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Lezione 26

Domanda: la domanda viene fatta con riferimento all’espromissione.


Risposta Prof.: nell’espromissione possono essere sollevate le eccezioni fondate sul contratto o
sull'impegno con il quale l’espromittente si obbliga nei confronti del creditore espromissario e poi può
porgli anche tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre il debitore originario, cioè quelle fondate sul
rapporto di valuta, tranne quelle di natura strettamente personale.

Domanda: spesso abbiamo citato a lezione l'articolo 565 riguardante le successioni legittime e lei
puntualizzava sempre che lo Stato, oltre i crediti ed i beni del de cuius, prende anche tutti i debiti. Se, per
esempio, mio padre dovesse morire e avesse soltanto debiti, io potrei rinunciare. Se tutti gli ascendenti
fino al sesto grado rinunciano, lo Stato avrebbe soltanto debiti da soddisfare. Però ho visto che l'articolo
586 al secondo comma dice che lo Stato non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni
acquistati.
Quindi, c'è un caso di estinzione dell'obbligazione diverso dall’adempimento?
Risposta Prof.: in questo caso si, perché, sostanzialmente, il legislatore non vuol far gravare sul bilancio
dello Stato obbligazioni che dovessero risultare particolarmente gravose in quanto derivano da successioni
cosiddette damnose. Quindi, nella successione l'unico successore necessario, cioè quello che non può
rifiutare, è lo Stato. Però, a tutela dello Stato e soprattutto dei conti dello Stato, lo Stato stesso risponde
dei debiti ereditari soltanto nei limiti dell'ammontare dei diritti che arrivano per via successoria. Quindi,
non abbiamo un’estinzione totale delle obbligazioni, ma abbiamo un’estinzione parziale, perché lo Stato
dovrà rispondere di quei debiti proporzionalmente alla quantità dei beni che ha ricevuto in eredità. Se
l’eredità ha un attivo di 100 e un passivo di 200 vorrà dire che tutti i debiti ereditari verranno estinti nella
misura del 50%.

Lezione
Il danno meramente patrimoniale, con il quale ci siamo lasciati la scorsa settimana, è quella perdita
patrimoniale che non è legata alla lesione di una specifica situazione giuridica soggettiva. E vi ho fatto
diversi esempi: sono tutti casi di danni subiti per errati investimenti o errati acquisti che siano frutto di un
esercizio dell'autonomia privata che sia stato condizionato da un qualche comportamento di controparte.
Vi facevo l’esempio del caso De Chirico, quindi dell'acquisto di un quadro come se si trattasse di un quadro
originario, salvo poi scoprire che non si trattava del quadro originario, nonostante il fatto che l'autore
avesse riconosciuto quel quadro come autentico.
Chiaramente lì il danno è il maggior prezzo che l'acquirente è costretto a pagare. Allora, in questo caso, se
l'acquirente dovesse agire nei confronti dell'artista che ha autenticato un quadro che non è, invece,
autentico, questa azione aquiliana è sorretta dal danno ingiusto.

Un altro esempio è quello dell'errato investimento che sia frutto di informazioni inesatte o incomplete che
siano state, però, diffuse da soggetti qualificati come banche, come autorità di vigilanza e via dicendo. E’
chiaro che se fate un investimento sbagliato perché un vostro amico, che è piuttosto pratico negli
investimenti finanziari, vi ha dato delle dritte che poi si riveleranno erronee, voi non avete margine per
poter agire in risarcimento del danno, ma se l'errata o omessa informazione proviene da un soggetto
istituzionale, quale potrebbe essere un istituto di credito o un' autorità di vigilanza, allora lì si potrebbero
creare i presupposti per l'azione risarcitoria.

Le soluzioni variano profondamente a seconda che si aderisca:


 alla tesi dell’atipicità del sistema di responsabilità extracontrattuale, legato alla circostanza che
l’ingiustizia del danno sia intesa come clausola generale, perchè in questo caso i fautori di questa lettura
ritengono che nelle ipotesi di danno meramente patrimoniale, che vi ho appena indicato, ad essere
stato leso sia l'affidamento legittimo, cioè quello stato di fiducia che una parte, il danneggiato, nutre nei
confronti del danneggiante (perché mai l'acquirente di un quadro dovrebbe immaginare che il presunto
autore lo autentichi anche quando in realtà il quadro non sia suo? O perché mai l’investitore non
dovrebbe fare affidamento sulle informazioni che siano state diffuse nel mercato da un'autorità di
vigilanza come la Consob o come la Banca d'Italia o come l'autorità garante della concorrenza del
mercato?). Quindi, questa corrente di pensiero ritiene che, sostanzialmente, il danno possa essere
connotato da ingiustizia perché è stato leso un interesse giuridicamente rilevante, anche se non è stato
formalizzato in una situazione giuridica soggettiva; e questo interesse rilevante è quello alla salvaguardia
del proprio affidamento legittimo. Ad una conclusione analoga arriva un'altra tesi sull’ingiustizia del
danno, questa tesi è stata enunciata dal Professore Pietro Trimarchi ed è una tesi particolarmente
apprezzata. Questa tesi reputa che il danno ingiusto sia un giudizio, una qualificazione alla quale si
perviene all'esito di un bilanciamento degli interessi, cioè il danno è ingiusto ogni qual volta l'interesse
del danneggiato si riveli prevalente, secondo i criteri dell’ordinamento giuridico, rispetto all'interesse del
danneggiante. Anche in questo caso la tesi del bilanciamento degli interessi condurrebbe a ritenere il
danno meramente patrimoniale risarcibile in sede aquiliana;
 o alla tesi della tipicità progressiva enunciata da Castronovo, che, proprio sul presupposto che il danno
ingiusto non sia una clausola generale, né autorizzi il giudice a compiere un bilanciamento, ma imponga
al giudice di setacciare l'ordinamento giuridico per verificare se l’interesse leso sia rilevante sul piano
giuridico, preclude la configurazione del danno meramente patrimoniale come un danno ingiusto.
Perché? Perché, sostanzialmente, il patrimonio, in quanto tale, non integra una situazione giuridica
soggettiva la cui lesione possa giustificare l'ingiustizia del danno. Perché questo? Perché il patrimonio è
l’insieme delle situazioni giuridiche soggettive, dei diritti imputabili ad un soggetto e quando, quindi,
l'ammanco riguarda il patrimonio in sé, il requisito dell'ingiustizia manca perché non c'è una specifica
situazione soggettiva che è stata lesa.
Quando il danno è soltanto una perdita patrimoniale e questa perdita patrimoniale non è mediata dalla
lesione della proprietà, di un credito, di un diritto reale di godimento su cosa altrui, allora vuol dire che
tra il patrimonio e l'ammanco si è interposta l'attività del danneggiato; il danneggiato ha compiuto
un'attività, ha investito, ha stipulato contratti, l'ha fatto sulla base, magari, di informazioni erronee o
sulla base di indicazioni non corrette e questo ha determinato un cattivo investimento. Ma questo
cattivo investimento non attiene alla sfera dell'appartenenza, non attiene, quindi, a quello che già fa
parte del patrimonio del danneggiato, ma attiene alla sfera, per così dire, degli incrementi patrimoniali e
infatti, secondo Castronovo, il danno meramente patrimoniale non è risarcibile secondo le regole della
responsabilità extracontrattuale, ma è risarcibile, in determinate condizioni, soltanto secondo le regole
di responsabilità contrattuale. Castronovo ritiene che quando il danno meramente patrimoniale è in
effetti collegato alla lesione dell'affidamento legittimo (come nel caso De Chirico o nel caso delle
informazioni erronee o omesse che derivino da soggetti istituzionali del mercato come le autorità di
vigilanza o anche un istituto di credito), l'affidamento è indice del fatto che tra danneggiante e
danneggiato si è creato un rapporto. Questo rapporto è presidiato dalla buona fede. Perché? Perché lo
status professionale di chi suscita l'affidamento è tale da imporre, allo stesso soggetto
professionalmente qualificato, un obbligo di protezione autonomo che è la buona fede ad imporre,
perché la buona fede impone di non suscitare affidamenti legittimi per poi invece violarli e, quindi, a
quest’obbligo di protezione autonomo Castronovo dà la qualificazione di obbligazione senza
prestazione.
La logica di Castronovo è quella secondo cui l'obbligo di protezione, per sua natura, è un obbligo
accessorio, cioè che si collega ad un obbligo principale di prestazione e quindi, in questo contesto, esso
invece sorge prima e a prescindere dall'esistenza di una prestazione, perché un'obbligazione finalizzata
a garantire un incremento patrimoniale al danneggiato non sussiste. Questo obbligo di protezione
autonomo viene indicato, evocativamente, con la formula obbligazione senza prestazione. Questo
obbligo scatta, a carico di soggetti muniti di uno status professionale, ogni qual volta costoro, con il loro
comportamento, suscitano un affidamento legittimo e l'obbligo di protezione si potrà considerare
violato ogni qual volta questo affidamento legittimo sia stato poi vanificato (come è accaduto nel caso
De Chirico o come accadrebbe nel caso di errate o omesse informazioni al mercato da parte di soggetti
istituzionali). Allora, in questo caso, il danno meramente patrimoniale che deriva è risarcibile, ma è
risarcibile secondo le regole di responsabilità contrattuale, cioè secondo le regole degli articoli 1218 e
seguenti. E la ragione risiede nel fatto che alla base di questo danno c'è la violazione di un obbligo di
protezione che dà luogo ad un vincolo obbligatorio anche se di carattere protettivo.
(Vedrete che l'ipotesi più importante di obbligo di protezione autonomo è costituito dalla responsabilità
precontrattuale di cui ci occuperemo nelle prossime lezioni sul contratto perché, per l'appunto, si tratta
di un'ipotesi di responsabilità che, esattamente come quella che vi sto ora descrivendo, è caratterizzata
da un'obbligazione protettiva autonoma che è suscitata dall'affidamento legittimo).
Quindi, secondo Castronovo il danno meramente patrimoniale non è ingiusto e, quindi, non può essere
risarcito sulla base degli articoli 2043 e seguenti, ma in taluni casi è risarcibile secondo le regole di
responsabilità contrattuale sulla base della figura dell’obbligazione senza prestazione. Il presupposto è
che vi sia stato un affidamento legittimamente suscitato nel danneggiato dallo status professionale del
danneggiante (come vedrete accade nel caso della responsabilità precontrattuale o nel caso De Chirico
o nel caso delle errate informazioni al mercato da parte di soggetti istituzionali che è chiaramente il caso
più significativo).
Questa è l'evoluzione della nozione di danno ingiusto.

La giurisprudenza e la Corte di Cassazione ha sostanzialmente stabilito che il danno è ingiusto quando è


contra ius e non iure. È contra ius quando viola un diritto soggettivo o un’altra situazione giuridica
soggettiva (e, come abbiamo visto, la Cassazione nel 1971 ha ritenuto che il diritto soggettivo possa essere
anche relativo e nel 1999 ha ritenuto che la situazione giudica soggettiva lesa potrebbe essere anche un
interesse legittimo e non necessariamente un diritto soggettivo).
Il non iure invece significa non giustificato.

Tuttavia, da questa affermazione di principio, che sembrerebbe collocare la giurisprudenza nell’ambito


della tesi di Castronovo, la Cassazione non ricava delle conseguenze logiche, delle conseguenze applicative
coerenti, perché la Cassazione, al cospetto di danni che non sono legati alla violazione di situazioni
giuridiche soggettive specifiche (come il danno meramente patrimoniale), piuttosto che decretare la non
risarcibilità aquiliana, crea diritti appositi per colorare questi danni meramente patrimoniali di
un'ingiustizia che essi, in realtà, non hanno.
Nel caso De Chirico, ad esempio, la Cassazione ha ritenuto risarcibile il danno meramente patrimoniale
subito dall'acquirente, in quanto ha ritenuto che l’acquirente avesse subito la lesione del proprio diritto
all'integrità del patrimonio, ma il diritto all'integrità del patrimonio è una costruzione bislacca. Il patrimonio
è la sintesi dei diritti, delle situazioni soggettive patrimoniali imputabili ad un soggetto, non è esso stesso
oggetto di un diritto soggettivo.
È, chiaramente, una costruzione ad hoc, è soltanto un artificio al quale la Cassazione ricorre per
considerare ingiusto un danno che invece, sulla base dell'affermazione secondo cui il danno debba essere
contra ius, dovrebbe essere considerato privo del requisito dell’ingiustizia.

N.B.: Non dite mai danno giusto, perché danni giusti non esistono. Esistono danni privi del requisito
dell'ingiustizia come nel caso del danno meramente patrimoniale.

Quindi, su questo punto, la nostra giurisprudenza di legittimità è molto ambigua, perché, in linea di
principio, stando alle affermazioni, si attesta sull'idea che l'ingiustizia non sia una clausola generale, ma sia
una norma generale e che quindi il giudice possa ritenere ingiusto il danno soltanto quando è leso un
interesse che il legislatore abbia, in qualche modo, riconosciuto facendone oggetto di una situazione
giuridica soggettiva. Però, poi, sul piano applicativo, arriva alle stesse conclusioni della tesi dell’atipicità,
perché considera ingiusti anche danni meramente patrimoniali grazie alla creazione di diritti scarsamente
credibili come il diritto all’integrità del patrimonio.

Dobbiamo ora esaminare gli altri requisiti della fattispecie di responsabilità aquiliana.
E comincerei dal nesso di causalità perché è particolarmente delicato.
Come vi ho detto, non è sufficiente che chi subisca un danno provi di aver subito un pregiudizio che abbia il
requisito dell'ingiustizia, ma è necessario che questo pregiudizio venga imputato in termini oggettivi a
qualcuno, cioè venga addebitato ad un autore.
Per compiere questo addebito in termini oggettivi (che noi giuristi chiamiamo imputazione oggettiva del
danno) è necessario formulare un giudizio causale.
Il diritto, a differenza della fisica, della chimica, della scienza medica, della scienza ingegneristica, non ha
sviluppato un'autonoma teoria dei rapporti di causa ed effetto. La scienza giuridica fa appello alle altre
scienze per stabilire se vi sia un nesso di derivazione tra la condotta del danneggiante e il pregiudizio
lamentato dal danneggiato.
Il modello esplicativo, cioè la forma di ragionamento che ci consente di affermare che tra un pregiudizio ed
una condotta umana vi sia il rapporto di causa ed effetto, è il modello condizionalistico, cioè è il modello
della conditio sine qua non.
Si ha conditio sine qua non quando, eliminando, ipoteticamente, il possibile antecedente, cioè la condotta
del soggetto a cui deve essere imputato il danno, il danno non si sarebbe verificato oppure non si sarebbe
verificato con le medesime caratteristiche.
Mentre, non c'è il nesso di causalità se, eliminando mentalmente quel determinato antecedente, il danno
si sarebbe comunque provocato con le medesime caratteristiche.
Cioè, se io sferro un cazzotto a Tizio e Tizio dopo qualche ora muore, se, eliminando la violenza che io gli ho
provocato, la morte si sarebbe comunque verificata e si sarebbe verificata negli stessi tempi perché poi
scopriamo che l'evento morte è dipeso da un fattore fisico del soggetto del tutto indipendente dal pugno
che io gli ho sferrato, allora lì non c'è nesso causale.
Ma se invece il giudice dovesse appurare che il pugno che io ho sferrato ha accelerato il processo di morte
che comunque è legata anche ad altri fattori, il nesso di causalità ci sarebbe. Questo perché? Perché in
natura raramente un evento deriva da un unico fattore causale, c’è sempre un concorso di più eventi.
Infatti il nostro codice civile non disciplina il nesso di causalità e rinvia al codice penale che invece disciplina
questo requisito negli articoli 40 e 41.
L'articolo 40 è concepito nel senso che il diritto applica il modello condizionalista della conditio sine qua
non.
L'articolo 41 è particolarmente significativo perché introduce il cosiddetto principio di equivalenza delle
condizioni, cioè il codice penale chiarisce che il fatto che il danno (nel caso del codice penale è il reato, in
questo caso invece è il danno) siano il frutto del concorso dell'azione dell’ipotetico danneggiante e di altri
fattori (nel caso del codice penale è l’imputato, qui invece il danneggiante e altri fattori) non esclude il
nesso di causalità.
Non esclude il nesso di causalità perché un evento è causa di un accadimento successivo non solo quando
né è l'unica ragione (cosa che, in natura, non capita mai), ma anche quando essa concorra con altri fattori,
a meno che gli altri fattori concomitanti o sopravvenuti non abbiano una efficacia causale prevalente.
Esempio: Federica mi strattona, mi fa cadere e io subisco una lesione alla spalla. Federica, molto
premurosa, chiama un’autoambulanza, io vengo caricato dentro l’autoambulanza che, a tutta velocità, mi
porta in ospedale. Tuttavia il conducente dell'autoambulanza, per rispondere ad un messaggio sul
telefonino, si distrae, esce fuori strada, fa un incidente ed io perdo la vita. È chiaro che se Federica non mi
avesse fatto cadere e non mi avesse provocato una lussazione, io non sarei mai salito sull’autoambulanza,
però è anche vero che la distrazione del conducente dell'autoambulanza è il fattore causale di gran lunga
prevalente e talmente più significativo, rispetto a ciò che all'origine ha determinato il mio passaggio
sull’autoambulanza, da rompere il nesso causale tra la mia morte e la condotta di Federica.
Se, invece, Federica mi ferisce gravemente e l'autoambulanza mi porta in ospedale, ma, a causa del
traffico, io arrivo in ritardo, in questo caso il concorso del traffico e della ferita che Federica mi ha
procurato determineranno la mia morte. Qui siamo di fronte ad un concorso di cause paritarie e dunque i
due fattori causali sono concorrenti e il ritardo non esclude la sussistenza del nesso causale anche tra il
ferimento che mi ha procurato Federica e la mia morte.

Per stabilire, tuttavia, se vi sia questo rapporto di antecedenza, il diritto deve appellarsi ad altre scienze,
cioè a quelle scienze che abbiano sviluppato una spiegazione dei rapporti di relazione causale. Esempio, se
si tratta di una ferita, dovremmo interpellare la scienza medica; se si tratta di un colpo ricevuto da un altro
corpo che ci urta, dovremmo fare riferimento alla scienza fisica (alla dinamica, in particolar modo); se si
tratta di una sostanza nociva, dovremmo fare riferimento alla biologia, e via dicendo.
Quindi, il diritto formula il giudizio di causalità prendendo come riferimento il sapere scientifico e, in
particolar modo, c'è un rapporto di antecedenza laddove una legge scientifica sancisca che vi sia un
rapporto di derivazione tra quell'evento e quella conseguenza, oppure vi sia, perlomeno, una legge
statistica sufficientemente corroborata, con grado di probabilità di inferenza talmente alto da far dire alla
comunità scientifica di riferimento che è altamente credibile che quel determinato evento abbia provocato
quella determinata conseguenza.
Esempio: immaginate che io abbia subito un danno da avvelenamento e che io sia stato il giorno prima
invitato a cena da Luigi e il giorno successivo a pranzo da Claudia. Dobbiamo stabilire quale delle pietanze,
dei prodotti, che mi sono stati somministrati, sia compatibile con il tipo di intossicazione che io ho
sviluppato. Faremo degli esami tossicologici di tutte le pietanze che mi sono state somministrate da Luigi
prima e da Claudia poi e, sulla base di una legge scientifica o anche soltanto di una legge statistica, ci sarà
rapporto di causalità tra quel determinato prodotto e il tipo di patologia che io ho sviluppato.
Questo, però, serve a costruire il nesso di causalità in astratto.
La legge scientifica o la legge statistica di copertura ci dice che tra quell'evento (cioè la condotta del
danneggiato) e quel danno c'è un rapporto di derivazione in astratto, vale a dire che quel tipo di evento è
in grado di provocare quel tipo di danno. Ma noi non possiamo addebitare la responsabilità sulla base
soltanto del rapporto di derivazione scientifica o della rilevazione statistica fra classi di eventi. Il giudice
potrà ritenere sussistente il nesso di causalità soltanto se, dimostrata la causalità in astratto, poi, in
concreto, il danneggiato fornisca prova che, in effetti, nella singola vicenda concreta, quel rapporto di
derivazione in astratto si sia anche verificato in concreto su basi per lo meno probabili, quindi, la
probabilità nel giudizio causale opera su due livelli. È la probabilità scientifica, quella che noi chiamiamo
probabilità cartesiana, che riguarda il fatto se tra quella classe di fatti (cioè quella determinata condotta,
quella sostanza, quell'azione) e quella classe di conseguenze (quel tipo di danno) vi sia un rapporto di
derivazione frutto di rilevazione statistica o di legge scientifica. Poi dovremmo vedere se, in concreto,
questa spiegazione astratta sia quella più probabile, ma questa probabilità è una probabilità diversa, non è
la probabilità quantitativa, è la probabilità che noi giuristi e gli studiosi delle scienze chiamiamo probabilità
baconiana.
La probabilità baconiana è la probabilità di ciò che appare più verosimile sulla base dei mezzi di prova che il
danneggiato e l’ipotetico danneggiante hanno fornito.
Cioè, una volta che io sono in grado di provare in astratto che il tipo di intossicazione che io ho subito è
compatibile con il prodotto utilizzato in una delle pietanze che mi ha somministrato Luigi, io ho dato la
prova della causalità in astratto; poi dovrò provare che in concreto sia proprio quel prodotto che, con più
probabilità rispetto ad altri, mi ha provocato il danno che io ho subito.
Se Luigi fosse in grado di provare che tuttavia il tipo di intossicazione che io ho subito è compatibile anche
con un medicinale che io adopero, allora lì il giudice dovrà valutare, sulla base degli elementi di prova, se
sia più probabile, in concreto, che quel danno sia frutto del prodotto che mi ha somministrato Luigi, oppure
sia frutto del medicinale e quindi del principio attivo che sta alla base di quel determinato medicinale.
Questa si chiama causalità in concreto.

Mentre in diritto penale per poter condannare un individuo è necessario che questa probabilità baconiana
sia oltre ogni ragionevole dubbio, cioè la probabilità che proprio la condotta dell'imputato abbia in
concreto determinato quel tipo di danno deve essere di gran lunga più probabile rispetto ad altre
spiegazioni causali, in diritto civile (dove non è in ballo la libertà degli individui, ma soltanto la condanna al
risarcimento del danno), la giurisprudenza e la Corte di Cassazione ritiene sufficiente un livello di
probabilità del più probabile che no. La regola del più probabile che no (che è la regola preponderance of
evidence, anglo-americana) è quella regola che ci consente, in diritto civile, di ritenere che il nesso di
causalità intercorra tra la condotta del soggetto che abbiamo individuato come danneggiante e il danno se
questo rapporto appaia, sulla base degli elementi di prova, quello che con più probabilità rispetto ad altre
possibili spiegazioni causali, ha determinato il pregiudizio.
Questa è la ricostruzione più rigorosa del nesso di causalità o del giudizio causale che quindi poggia su due
livelli: uno della causalità astratta e l’altro della causalità in concreto.

N.B.: vi pregherei di ricordarlo così, perché il vostro libro su questo punto è piuttosto approssimativo.

L'altro requisito fondativo della responsabilità extracontrattuale è il criterio di imputazione soggettiva,


perché non basta dimostrare che il danno derivi, in termini oggettivi, dalla condotta commissiva o omissiva
del soggetto che voi avete indicato come danneggiante; è necessario dimostrare che la condotta di quel
soggetto sia in qualche modo censurabile. L'articolo 2043 individua come criteri di imputazione soggettiva
soltanto criteri soggettivi, cioè quelli del dolo e della colpa.
Esistono anche criteri di imputazione soggettiva di natura oggettiva. In entrambi i casi c'è un disvalore della
condotta.
Cominciamo dal criterio più tradizionale: quello del dolo e della colpa, cioè l'imputazione soggettiva di
natura soggettiva.
Come sapete dolo e colpa sono due criteri di imputazione soggettiva di natura soggettiva, perché sono
legati al fatto che l'autore del danno abbia deviato rispetto a dei parametri di condotta, cioè rispetto a delle
regole generali di condotta.
Queste regole generali possono essere:
1. o specifiche, cioè contenute in una disciplina normativa della condotta, come accade per alcune attività
umane che proprio in ragione della loro pericolosità sono oggetto di una disciplina da parte legislatore.
Pensate alla circolazione degli autoveicoli, pensate alla circolazione dei natanti (per andar per mare è
necessario rispettare le regole del codice della navigazione, le regole nautiche), pensate alla circolazione
di aeromobili (anche quella è un'attività talmente pericolosa da essere oggetto di una disciplina).
In questo caso, chi dovesse aver provocato un danno violando una delle regole che governano questo
tipo di attività (regole che quindi danno luogo a veri e propri doveri, cioè condotte necessitate non
nell’interesse di un soggetto specifico, ma nei confronti di tutti i consociati), incappa in cosiddetta colpa
specifica. La colpa specifica è la trasgressione di regole contenute in leggi o in altre fonti normative che
impongono determinati accorgimenti, determinate cautele, determinate regole di sicurezza. Se io sono
un imprenditore edile e nel rifacimento della facciata di un palazzo non adopero delle impalcature che
rispettino le prescrizioni di legge per quanto concerne le paratie e le misure di sicurezza e quindi da
queste impalcature cadono materiali che sfondano le autovetture parcheggiate in prossimità, quei danni
sono danni ingiusti e sono imputabili in termini soggettivi, perché l'imprenditore non ha adoperato, non
ha rispettato quelle regole di perizia e di prudenza imposte specificamente dal legislatore.
2. Ma, come vi ho spiegato, non sempre le attività umane sono oggetto di regolazione, anzi, larga parte
delle attività umane non sono oggetto di una regolazione specifica da parte del legislatore. Come vi ho
detto, non esiste un sistema di regole normative su come si cammina per strada a piedi o di come si
nuota al mare o di come si prende il sole o di come ci si comporta nei rapporti di amicizia, di ciò che si
deve dire e ciò che non si deve dire. Voi non dovete immaginare il diritto come un sistema di regole
talmente pervasivo da entrare in qualunque ambito della vostra vita, però, laddove l'attività umana, che
abbia provocato il danno, sia autenticamente libera, perché la condotta non deve essere improntata al
rispetto di norme giuridiche prestabilite lì, allora, soccorrono criteri di condotta generici ai quali
chiunque eserciti la propria libertà individuale o anche chiunque eserciti un proprio diritto soggettivo è
tenuto a rispettare e questi criteri generici sono riassunti nelle tre categorie della diligenza, della
prudenza e della perizia.
 La diligenza impone di adottare quello sforzo, quell’attenzione, quell'impegno medio;
 La prudenza impone di adottare quelle misure di prevenzione del danno medie;
 La perizia impone, quando si svolgono particolari attività che implichino delle abilità particolari (ad
esempio andare a cavallo o andare in motocicletta), di avere avuto cura, prima di svolgere l’attività,
di imparare quelle regole specifiche che riguardano quel tipo di attività (che non sono regole
giuridiche, ma sono regole sociali). Ad esempio, andare a cavallo non è oggetto di una regolazione
giuridica, ma esistono comunque delle regole. Se io sono un principiante e pretendo di andare a
cavallo non in un luogo isolato, ma in un luogo in cui vi sono molte altre persone o anche delle cose
appartenute ad altri e a causa della mia inettitudine faccio imbizzarrire il cavallo che ferisce un
passante o che danneggia un bene altrui, quella è una imperizia che quindi giustifica l’imputazione
soggettiva.

L'altro criterio di imputazione è costituito dal dolo. Se l'autore della condotta dannosa l’ha posta in essere
consapevolmente e coscientemente, pur sapendo che da quella condotta deriva sicuramente un danno,
questo rende il comportamento doloso e quindi giustifica l'imputazione soggettiva della responsabilità.
Quindi se io, coscientemente e volontariamente, pongo in essere una condotta di aggressione fisica nei
confronti di Francesco e, di conseguenza, lo ferisco, delle ferite io rispondo a titolo di dolo perché ho posto
in essere, con volontà, quella condotta dannosa che ha provocato quel tipo di danno.

Molto dibattuto è se tra gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità extracontrattuale rientri
anche l'antigiuridicità, cioè la condotta non iure, come dice la nostra giurisprudenza. Per antigiuridicità noi
alludiamo al fatto che la condotta debba essere contraria, in qualche modo, all’ordinamento giuridico. Ora
l'antigiuridicità può essere considerata un elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità solo in
presenza di un sistema di responsabilità fondato sulla tipicità, come è la responsabilità penale.
Nella responsabilità penale un soggetto può rispondere di un reato soltanto se quella condotta sia stata
espressamente prevista dalla legge come tale. È un principio sancito nell’articolo 25 della Costituzione che
recita: “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
commesso” ed anche nel primo articolo del codice penale. Quindi, in un sistema di tipicità ogni condotta
che integra un reato, in quanto espressamente prevista come tale dalla legge, è antigiuridica, a meno che
non vi sia una causa di giustificazione. La causa di giustificazione, sostanzialmente, lava l’antigiuridicità di
principio che una condotta, che integra gli estremi di un reato, abbia. E in diritto penale le cause di
giustificazione sono:
- l'esercizio di un diritto o
- l’adempimento di un obbligo,
- l’uso legittimo di armi (ad esempio legato ad un tipo di attività che implichi il ricorso alle armi come un
militare o un'esponente delle forze dell'ordine),
- la legittima difesa,
- lo stato di necessità e
- l’adempimento di una regola giuridica.
Una di queste cause di giustificazione, quindi, priva la condotta, che rientra nella fattispecie di reato, del
connotato dell'antigiuridicità.
Se io uccido Tizio commetto un reato, ma se l’ho fatto nell'ambito dell'esercizio legittimo di armi perché
Tizio era un manifestante che stava assaltando il mio reparto e stava per uccidere un mio commilitone,
allora in quel caso la reazione è giustificata.

Ma in un sistema come quello di diritto civile nel quale la condotta dannosa potrebbe anche non essere
illecita, anzi la condotta dannosa potrebbe addirittura essere libera (quindi una condotta che non è
connotata da alcuna illiceità), annoverare l'antigiuridicità tra gli elementi costitutivi della nostra fattispecie
è assolutamente inaccettabile e assolutamente ingiustificato.
Ecco perché, a dispetto della formulazione letterale del titolo nono del Codice Civile come dei fatti illeciti,
richiamato anche nell'articolo 1173 del Codice Civile sulle fonti delle obbligazioni, possiamo dire con
certezza che l'antigiuridicità della condotta non rientra tra i requisiti costitutivi della fattispecie di
responsabilità civile. Anzi, vi dirò di più, la gravità della condotta, in diritto civile, è del tutto irrilevante. È
chiaro che una condotta colposa è meno grave di una condotta dolosa, ma in diritto civile l'esito sarà
identico e sarà sempre il risarcimento del danno ed il risarcimento del danno verrà parametrato sul
pregiudizio e non sulla gravità della condotta.
Quindi, tutta la regola di responsabilità extracontrattuale è imperniata sul danneggiato e sul danno e non
sulla gravità, sulla riprovevolezza della condotta del danneggiante, perché il diritto civile, e in particolar
modo la responsabilità extracontrattuale, a differenza di quella penale, non mira a punire, non mira ad
educare, non mira ad assolvere quella funzione rieducativa e di prevenzione generale e speciale che è
tipica del diritto penale, ma mira soltanto a rimuovere il costo di danni.
E, tuttavia, il nostro Codice Civile annovera due cause di giustificazione dette anche scriminanti che sono:
- la legittima difesa di cui all'articolo 2044 e
- lo stato di necessità di cui all'articolo 2045.
Questo potrebbe smentire quello che abbiamo appena detto, perché allora se esistono le cause di
giustificazione anche in diritto civile vuol dire che l’antigiuridicità un ruolo l’abbia. in realtà non è così e
vedremo che, per la loro particolare natura, la legittima difesa e lo stato di necessità escludono la
responsabilità extra-contrattuale non perché facciano venir meno il requisito dell’antigiuridicità della
condotta del danneggiante (che non è un requisito costitutivo della fattispecie di responsabilità), ma
perché tanto la legittima difesa quanto lo stato di necessità escludono che il danneggiante sia libero e la
regola di responsabilità aquiliana presuppone che il danneggiante abbia esercitato in maniera, per così
dire, censurabile, in maniera contestabile la propria liberta individuale. Ma per poter formulare questo
giudizio di addebito il danneggiante deve essere libero, cioè doveva essere posto nella condizione di
scegliere un'alternativa non dannosa. Avrebbe potuto compiere una scelta diversa e agire in maniera non
dannosa e invece ha agito in maniera dannosa.
Ma affinché ciò sia possibile deve esservi un'assenza di condizionamenti, cioè deve esservi libertà.
Vedremo che lo stato di necessità e la legittima difesa, per motivi differenti tra loro, impattano sulla libertà,
escludono la libertà, esercitano un condizionamento che quindi rende incongruo, rende ingiusto l'addebito
di responsabilità e che quindi comportano l'esclusione della responsabilità aquiliana.

La legittima difesa
La legittima difesa è una condizione particolare, è una condizione di contesto in cui si trova chi produce un
danno per esservi stato costretto a causa della necessità di difendere un proprio diritto o un diritto altrui
contro il pericolo attuale di un danno ingiusto, purché la difesa sia proporzionata all'offesa (questo decreta
l'articolo 52 del codice penale).
Quando un soggetto provoca un danno in situazione di legittima difesa, allora l'autore del danno non può
essere chiamato a rispondere, cioè abbiamo una causa di giustificazione, una causa scriminante. Perché?
Perché chiaramente la condizione di costrizione, dovuta dall'esser stato costretto a difendere un diritto
proprio o altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, ha eliminato quella libertà che è il
presupposto dell'imputazione di responsabilità extracontrattuale, di responsabilità aquiliana.

Qual è il rapporto di proporzionalità tra l'offesa e il danno? Il rapporto di proporzionalità è legato non tanto
ai mezzi adoperati, quanto agli interessi in ballo, cioè se il pericolo a cui è esposto un proprio diritto
riguarda un diritto patrimoniale, la lesione che si produce all’offensore non può essere la privazione della
vita. Quindi, il rapporto di proporzionalità è tra i due beni giuridici in campo, cioè l'offensore espone a
pericolo un diritto della persona e allora l'offeso, per reagire, per difendersi, può ledere un altro diritto
della persona.
Se Tizio mi aggredisce e vuole tentare di uccidermi e io, nell'atto di difendermi, uccido l'offensore, allora
qui la proporzionalità è garantita perché i due beni della vita sono equiparabili.
Più discutibile è il fatto che, ad esempio, per reagire ad una rapina, uccido chi tenta di rapinarmi piuttosto
che limitarmi, ad esempio, a ferirlo. Ecco che qui c'è il rischio che non vi sia proporzionalità. Allora, per
questa ragione, il legislatore è intervenuto in due diverse occasioni con una riforma del codice penale che è
stata recepita anche dal Codice Civile. Il secondo comma dell'articolo 2044 recita che nei casi di cui
all'articolo 52 commi secondo, terzo e quarto del codice penale, la responsabilità di chi ha compiuto il fatto
è esclusa.
Cosa prevedono questi commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 52 sulla legittima difesa riformati negli
ultimi anni? La legge ritiene che vi sia sempre rapporto di proporzionalità (quindi dà per presunta, in
termini assoluti, la proporzionalità) se la legittima difesa è stata esercitata nel proprio domicilio (a seguito
dell’altrui violazione di domicilio), o sul proprio luogo di lavoro, utilizzando un'arma legittimamente
detenuta anche se è stata utilizzata per salvaguardare non solo l'incolumità fisica, ma anche i propri beni
(quindi la proprietà), se non vi è stata desistenza (cioè se chi subisce una rapina in casa o sul proprio luogo
di lavoro dovesse minacciare con un'arma il rapinatore, il quale, ciò nonostante, non desiste, allora l'uso
delle armi con il ferimento o anche l’uccisione non dovrebbe escludere il requisito della proporzionalità). È
una norma molto discutibile, perché capite bene che ampliare l'ambito della legittima difesa serve per
rendere più sicuri i luoghi di abitazione ed esercizio delle attività economiche, ma potrebbe accentuare
fenomeni di giustizia privata che caratterizzano altri ordinamenti. Pensate a quello nordamericano nel
quale la detenzione di armi è ammessa in termini molto più larghi di quanto non lo sia in Italia.
Quindi, sarebbe stato opportuno creare i presupposti di un maggiore equilibrio, mentre, specie la riforma
del 2019, è particolarmente gravosa.

Inoltre, il terzo comma dell'articolo 2044 prevede, nel caso di cui all'articolo 55 secondo comma del codice
penale (cioè quando il danno è stato provocato nell'ambito della legittima difesa, ma con eccesso colposo
di legittima difesa), che al danneggiato è dovuta un'indennità la cui misura è rimessa all'equo
apprezzamento del giudice, tenuto altresì conto della gravità, delle modalità realizzative e del contributo
causale della condotta posta in essere dal danneggiato.
Che cos'è l’eccesso colposo? Si ha eccesso colposo quando, nel ricorrere ad una delle cause di
giustificazione prevista dalla legge (nel nostro caso la legittima difesa), si eccedano i limiti stabiliti dalla
legge o dalla necessità, cioè quando chi ricorra alla legittima difesa lo faccia, ad esempio, equivocando.
Il classico esempio è quello di chi ritiene che l'offesa al proprio diritto sia più grave, per un errore di
valutazione, rispetto a quello che in effetti sia. Allora, in questi casi, se c'è eccesso colposo di legittima
difesa, allora la norma penale (l’articolo 55) prevede che si applicheranno le norme sui delitti colposi,
sempre che il delitto rientri fra quelli colposi, perché la regola è che i delitti siano dolosi. La responsabilità
penale può scattare in caso di delitti colposi solo dove la legge espressamente lo preveda, come nel caso
dell'omicidio.

Il secondo comma dell'articolo 55 decreta che quando però l'eccesso colposo avviene nel caso in cui ci si
trovi in una ipotesi di legittima difesa posta in essere nel proprio domicilio o nel luogo in cui si svolge
l'attività economica (quindi l'articolo 52 commi secondo, terzo e quarto), la punibilità è esclusa se chi ha
commesso il fatto, per la salvaguardia della propria o dell'altrui incolumità, ha agito o nelle condizioni di cui
all’art. 61 del codice penale numero 5 (cioè in condizioni di particolare debolezza: l’art dice “l'autore della
legittima difesa deve trovarsi in circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età,
tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”), oppure nel caso di grave turbamento derivante dalla
situazione di pericolo.
Quindi, la riforma del 2019 esclude, addirittura, l'eccesso colposo di legittima difesa domiciliare o sul luogo
di svolgimento dell'attività economica, in tutti quei casi in cui chi abbia reagito, l'abbia fatto per proteggere
la propria o l'altrui incolumità e l'abbia fatto:
- o in condizione di minorità, per esempio perché molto anziani o perché giovani o perché malati;
- oppure in condizioni di grave turbamento.
In questi casi, non scatta la responsabilità penale e, dal punto di vista della responsabilità civile, non
sorgerà responsabilità aquiliana, ma sarà dovuta una indennità. È una tecnica a cui il legislatore ricorre di
frequente: è il caso dei cosiddetti atti leciti dannosi, cioè quei comportamenti che la legge autorizza e
rispetto ai quali, quindi, c'è esclusione di responsabilità, come nel caso della legittima difesa.
La legittima difesa domiciliare e sul luogo di svolgimento dell'attività economica, per di più se posta in
essere per salvaguardare l'incolumità propria e altrui e in condizioni di grave turbamento o di minorità, non
fa sorgere responsabilità perché è una attività autorizzata, ma, per ragioni di solidarietà, autorizza il giudice
a riconoscere al danneggiato (che però è anche l'offensore, ricordatelo. Nella legittima difesa chi subisce il
danno è colui il quale ha esposto al pericolo attuale di un'offesa ingiusta, un diritto altrui) perlomeno una
indennità.

Se nella legittima difesa, quindi, il danno è stato provocato per reagire all'offesa che il terzo (a cui si
procura il danno) ha posto in essere contro un'incolumità fisica o un diritto patrimoniale dell’offeso, nello
stato di necessità ci troviamo, invece, in una situazione differente che però, al pari della legittima difesa,
esclude la liberta del danneggiante.
Lo stato di necessità si ha quando un soggetto ha provocato ad altri un danno per la necessità di salvare sé
o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né
altrimenti evitabile, sempre che il danno sia proporzionato al pericolo (art. 54 del codice penale).
Il classico esempio è: io, per mettermi al riparo da un edificio in fiamme, nel tentativo di conquistare
l'uscita, urto un altro individuo che sta cercando di fuggire, lo faccio cadere e a causa di questa caduta quel
soggetto muore o rimane gravemente leso per le intossicazioni da fumo.
Ora, quel danno, dovuto alla morte o alla lesione della salute, non può essere addebitato a chi l'ha
provocato perché è stato determinato in condizione di stato di necessità, proprio per la necessità di salvare
sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave, in questo caso, soltanto alla persona, pericolo che non è
stato causato da chi poi vuole sfuggire a questo pericolo. Anche qui non c'è libertà, non c’è scelta, perché
altrimenti l'ordinamento dovrebbe porre l'individuo di fronte alla scelta di sacrificare la propria integrità
fisica pur di non danneggiare un terzo. L'ordinamento non vuole porre gli individui di fronte a questa scelta
tragica.

Articolo 2044 Legittima difesa


Sono atti leciti dannosi, quei comportamenti che la legge autorizza e rispetto ai quali c’è esclusione di
responsabilità come nel caso di legittima difesa. La legittima difesa domiciliare nell’esercizio dell’attività
economica, se posta in essere per salvaguardare incolumità altrui e quindi di grave turbamento o di
minorità non determina responsabilità, perché è attività autorizzata ma per ragioni di solidarietà autorizza
il giudice a riconoscere al danneggiato (è anche l’offensore nella legittima difesa) riconosce una indennità.
Se nella legittima difesa il danno è stato provocato per reagire all’offesa che il terzo a cui si procura il danno
che ha posto in essere contro una incolumità fisica o un diritto patrimoniale dell’offeso, nello stato di
necessità ci troviamo in una situazione differente che, al pari della legittima difesa, esclude la libertà del
danneggiante.
Articolo 2045 Stato di necessità
Lo stato di necessità si ha quando un soggetto ha provocato ad altri un danno per la necessità di salvare sé
o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, nel caso in cui il pericolo non è stato da lui
volontariamente causato ne era altrimenti inevitabile. ESEMPIO; Io per mettermi al riparo da un edificio in
fiamme nel tentativo di conquistare l’uscita, urto un altro individuo che sta cercando di fuggire, lo faccio
cadere ed a causa della caduta quel soggetto muore o rimane gravemente leso per le intossicazioni da
fumo. Quel danno dovuto alla morte alla lesione della salute non può essere addebitato a chi lo ha
provocato perché è stato determinato in condizioni di stato necessità, di salvare sé o altri da danno gravi e
in questo caso colui che subisce il danno ha esposto ad un pericolo attuale altra persona, pericolo che non
è stato causato da chi vuole fuggire dal pericolo. Anche qui non c’è libertà, non c’è scelta nel senso di
sacrificare la propria integrità fisica o danneggiare un terzo, l’ordinamento non vuole porre gli individui di
fronte a questa scelta tragica e quindi nel caso si danneggia un terzo, nell’atto di mettersi al riparo, di
salvare la propria vita o la propria integrità fisica, quel danno non genera responsabilità. L’articolo 2045
prevede che il giudice può riconoscere al danneggiato una indennità la cui misura è rimessa
all’apprezzamento equitativo del giudice, anche in questo caso siamo davanti ad un atto lecito dannoso.
Tanto lo stato di necessità quanto la legittimità difesa escludono la libertà perché ci sono dei costringimenti
dovuti da situazioni di contesto che escludendo la libertà non consentono di formulare un giudizio di
responsabilità aquiliano. Un altro evento che potrebbe escludere la libertà è la condizione di incapacità
naturale.
Articolo 2046 2047
Se l’autore della condotta dannosa è incapace di intendere e di volere, ovviamente per causa da lui non
prodotta, a causa a lui non imputabile, allora l’incapace di intendere e di volere non è imputabile, questo
vale sia in diritto penale sia nel diritto civile, con la responsabilità aquiliana. Perché il soggetto incapace di
intendere e di volere è un soggetto capace di agire ma per ragioni passeggere transeunti si trova in una
condizione di alterazione mentale, intellettiva tale da non consentirgli di compiere scelte consapevoli e
razionali. Se non ci sono le condizioni di consapevolezza, le condizioni di lucidità per compiere delle
valutazioni razionali, non c’è libertà, perché la libertà presuppone coscienza e razionalità, chi non è
cosciente, chi per qualche ragione non può compiere un calcolo razionale non è pure autenticamente
libero, ed è il motivo per il quale l’incapace naturale non è imputabile.
La domanda che vi formulerò: Qual è la condizione di imputabilità della responsabilità civile e la risposta è:
È imputabile solo chi sia capace di intendere e di volere.
Non ditemi che la condizione di imputabilità è il dolo e la colpa perché quella è l’imputazione ed in diritto
come in economia le parole pesano come pietra, imputazione è una cosa e significa addebitamento del
danno e l’imputazione è oggettiva, sulla base del nesso di causalità, è soggettiva sulla base dei criteri del
dolo e della colpa, che abbiamo esaminato e quella della responsabilità oggettiva, che passeremo ora ad
esaminare. L’imputabilità è un’altra cosa, è la condizione soggettiva che consente di formulare nei
confronti di quel soggetto un addebito a titolo di responsabilità. Chi non è capace di intendere de di volere
per ragioni a lui non imputabili non può essere chiamato a rispondere. ESEMPIO: Se voi siete poco lucidi
perché avete fatto uso di sostanze stupefacenti o di sostanze alcoliche nessuno vi considererà non
imputabile perché in quel caso la causa della vostra incapacità di intendere e di volere al momento del
compimento dell’atto è a voi imputabile perché avete consapevolmente assunto sostanze stupefacenti e
sostanze alcoliche perché vi ha reso non sufficientemente lucidi ed a causa di quel difetto di lucidità avete
provocato un danno ad altri mettendovi per esempio alla guida oppure ferendo quei soggetti.
L’incapacità di intendere e di volere deve provenire da una causa non imputabile, immaginate che
qualcuno vi propini senza che voi non lo sappiate una sostanza psicotropa, in quel caso non lo avete fatto
volontariamente, siete stati intorpiditi da terzi che hanno deciso di drogarvi e poi voi, in assenza di lucidità,
ferite un terzo o infrangete un bene, lì siamo di fronte ad una condizione di non imputabilità che deriva da
una condizione d’incapacità di intendere e di volere che non è stata provocata dall’autore.
Articolo 2047
Tuttavia del danno cagionato da incapace naturale potrebbe rispondere il sorvegliante lo prevede l’articolo
2047 del Codice Civile che introduce la prima fattispecie speciale di responsabilità aquiliana. Che
intendiamo per fattispecie speciale di responsabilità aquiliana? la regola generale è quella dell’articolo
2043, poi il legislatore introduce tutta una serie di altre fattispecie quella degli articoli 2047, 2048, 2050,
2051, 2052, 2053, 2054 nei quali c’è un elemento di specialità, questo elemento di specialità è legato per lo
più al criterio di imputazione soggettiva, la cui prova viene semplificata, in particolar modo l’articolo 2047 è
una forma di responsabilità speciale è la specialità consiste nel fatto che il legislatore ha introdotto una
presunzione di colpa a carico di chi sorvegli un soggetto incapace di intendere e di volere. Immaginate che
io sia ricoverato in un ospedale perché ho avuto un attacco ischemico e mi ha reso poco lucido e che io
sfuggendo al controllo dell’equipe medica e degli infermieri ferisca un vicino di letto oppure aggredisca il
familiare di un altro degente. In questo caso ne risponde il sorvegliante e risponde senza che il danneggiato
debba provare la colpa del sorvegliante perché l’articolo 2047 stabilisce che istituisce un regime di
responsabilità semplificato, La semplificazione consiste nel fatto se per regola generale il danneggiato deve
provare il danno ingiusto, il nesso casuale e il dolo o la colpa della danneggiante in questo caso qualora il
danno sia stato provocato da un soggetto incapace di intendere e di volere sottoposto a sorveglianza
l’autore materiale della condotta non potrà rispondere direttamente perché non è imputabile ai sensi
dell’articolo 2046 ma risponderà il sorvegliante , il danneggiato deve limitarsi a provare il danno ingiusto, il
nesso casuale tra la condotta dell’incapace e il danno , il rapporto di sorveglianza deve provare al giudice
che quell’incapace era sottoposta all’altrui vigilanza e il sorvegliante sarà considerato responsabile a meno
che egli non provi, primo comma dell’articolo 2047, di non aver potuto impedire il fatto, non aver potuto
impedire il fatto costituisce la prova dell’assenza di colpa perché non aver potuto impedire il fatto vuol dire
che la condotta del soggetto capace di intendere d di voler e è caratterizzato da imprevedibilità caso
fortuito o da forza maggiore. Non aver potuto impedire il fatto vuol dire che il sorvegliante non può esser
considerato in colpa, ma la specialità qua consiste nel fatto che non spetta tanto al danneggiato provare
che il sorvegliante è in colpa perché la sua colpa la presume la legge sulla semplice base della
dimostrazione del rapporto di sorveglianza, ma spetterà al sorvegliante, presuntivamente in colpa, vincere
questa presunzione legale e relativa dimostrando la propria assenza di colpa. Questo è l’unico modo per
enunciare correttamente l’articolo 2047, quindi vi prego di ricordarlo così perché tutte le altre spiegazioni
sono sbagliate ed io le considero erronee, questo è l’unico modo corretto di impostare e spiegare questa
norma.
Il secondo comma dell’articolo 2047 stabilisce che nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere
il risarcimento da chi è tenuto alla sorveglianza, perché il sorvegliante è riuscito a fornire la prova contraria,
di esonero da responsabilità cioè il fatto di non aver potuto impedire il fatto, allora in questo caso il
giudice, tenuto conto delle condizioni economiche delle parti, può condannare l’autore del danno cioè
l’incapace di intendere e di volere ad una equa indennità, esattamente come accade nel caso di eccesso
colposo di legittima difesa domiciliare sul luogo di esercizio di attività economica, articolo 2044 comma 3, e
di quello che accade già in stato di necessità articolo 2045, anche nel caso di danno provocato da un
incapace di intendere e di volere sottoposto a sorveglianza, nel caso in cui il sorvegliante sia in grado di
fornire la causa di esonero da responsabilità legata da dimostrazione dell’assenza della sua colpa e quindi
vince la presunzione di colpa imposta dalla legge, anche in questo caso il giudice per ragioni di solidarietà
di giustizia, potrebbe dire le condizioni economiche dell’incapace di intendere e di volere sono solide, le
condizione economiche del danneggiato sono meno solide ed allora per ragioni solidaristiche imponiamo
all’incapace di intender e di volere per lo meno il pagamento di un equa indennità. L’indennità è una
somma di denaro di ammontare inferiore rispetto al danno perché il risarcimento deve eliminare
integralmente le conseguenze dannose, l’indennità si limita unicamente ad attenuare queste conseguenze,
a contenerne la portata, ad attenuarle , non comporta la loro eliminazione integrale.
Articolo 2048
Altra fattispecie di responsabilità speciale extracontrattuale è costituita dal fatto della responsabilità dei
genitori, dei tutori e degli insegnanti fissata nell’articolo 2048, anche questa è una forma di responsabilità
speciale perché i genitori o il tutori (per tutore si intende non il tutore dell’indetto , la tutela si apre
quando i genitori non ci sono perché sono morti oppure hanno perso la responsabilità genitoriale)quindi il
padre, la madre o il tutore , stabilisce l’articolo 2048, sono responsabili del fatto illecito commesso dai
minori di età o dalle persone soggette a tutela e in questo caso scatta anche una presunzione di
colpevolezza, cioè se il danneggiato è in grado dii provare di aver subito il danno ingiusto che sia
riconducibile alla condotta del minore od al soggetto sottoposto alla tutela allora la legge tramite l’articolo
2048 fa scattare una presunzione di colpa a carico dei genitori o dei tutori che quindi risponderanno di
questi danni, a meno che, terzo comma articolo 2048, non dimostrino anche in questo caso di non aver
potuto impedire il comportamento dannoso. Anche in questo caso non spetta al danneggiato provare la
colpa dei genitori o del tutore perché essa si presume solo che il danneggiato abbia provato che l’autore
della condotta dannosa è un minore sottoposto a responsabilità genitoriale o a tutela, ma questa
presunzione è legale relativa può essere vinta ed è vinta se i genitori o il tutore dimostrino di non aver
potuto impedire il fatto. La medesima regola si applica agli insegnanti, il lessico utilizzato dal legislatore
nell’articolo 2048 comma 2 è anacronistico perché: I precettori e coloro che insegnano un mestiere o
un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui
sotto la loro vigilanza. Perché precettori? perché nel 1942 l’istruzione non era così diffusa come oggi, oggi
l’istruzione è pubblica, anche le scuole private devono essere riconosciute e devono rientrare nel sistema
del controllo dell’istruzione dell’università e della ricerca scientifica. In passato nel nostro paese era diffuso
l’insegnamento privato, le classi più abbienti spesso ricorrevano ad insegnanti privati pagati dalle stesse
famiglie, i cosiddetti precettori. E così come chi invece non veniva avviato agli studi, veniva avviato
all’apprendimento di un’arte, di un mestiere, era una fase della nostra storia dove l’artigianato era molto
diffuso ed era frequente che un giovane andasse a bottega per imparare un mestiere, oggi i precettori non
esistono più, esistono insegnanti privati, si affiancano all’istruzione pubblica. I casi di avvio
all’apprendimento di un arte o di un mestiere manuale si sono ridotti drasticamente, oggi questa norma si
applica all’istituto scolastico ed agli insegnanti, in particolar modo se uno studente provoca un danno a
terzi quando si trova sotto il controllo o la vigilanza dell’insegnante, l’insegnante risponde del danno a
titolo di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’articolo 2048 e la legge .presume la colpa
dell’insegnante nella vigilanza a meno che l’insegnante non fornisca la causa di esonero che abbiamo
individuato nel terzo comma dell’articolo 2048 cioè di non aver potuto impedire il fatto. Quindi agli
insegnanti si applica per i danni provocati dagli studenti durante il periodo in cui sono sotto il loro
controllo, la loro vigilanza, la stessa regola di responsabilità che si applica nei confronti dei genitori.
Articolo 2049
L’articolo 2049 invece utilizza un linguaggio altrettanto anacronistico ma introduce nel nostro ordinamento
la più celebre fattispecie di responsabilità oggettiva. Il legislatore rubrica questa norma l’articolo 2049
come responsabilità di padroni e committenti, anche questo è un lessico oramai anacronistico e lo è anche
la formulazione della norma. La norma stabilisce i padroni ed i committenti sono responsabili del fatto
illeciti dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti. Oggi noi non
parliamo di padroni ma di datori di lavoro, non di committenti ma di imprenditori, questa è la regola che si
applica all’imprenditore al datore di lavoro per i danni provocato dai loro dipendenti o anche loro
collaboratori liberi professionisti nell’espletamento delle mansioni o dei compiti a cui il lavoratore o i
collaboratori dell’impresa sono adibiti. E come vedete qui non c’è una causa di esonero legata a non aver
potuto impedire il fatto o al caso fortuito o alla forza maggiore, perché questa è una forma di
responsabilità oggettiva, l’imputazione soggettiva è affidata ad un criterio oggettivo, ed il criterio oggettivo
è totalmente differente da quello del dolo e della colpa. Alcuni manuali, errando, affermano che la
responsabilità oggettiva è una responsabilità senza colpa, questa definizione in negativo è profondamente
sbagliata, perché vi induce nell’erronea convinzione che allora la responsabilità oggettiva sia una
responsabilità fondata su un nesso di casualità, non è così. Non esistono di forma di responsabilità
extracontrattuale, di responsabilità aquiliana che siano fondate sul nesso di casualità, è sempre necessario
un criterio di responsabilità soggettiva, anche al limite di natura appunto oggettiva. Allora qual è la
caratteristica del criterio di responsabilità oggettiva, innanzitutto il criterio della responsabilità oggettiva è
in un sistema di legge scritta come la nostra, un sistema di civil law e non di common law, e deve essere
necessariamente prevista dal legislatore. E il legislatore come individua il soggetto da rendere
responsabile? lo individua scegliendo quel soggetto che è posto nella posizione migliore per rispondere.
Quindi potremmo dire che la responsabilità oggettiva è una responsabilità quasi di posizione, come
individuare chi è il soggetto nella posizione migliore per rispondere a quella tipologia di danno? Allora le
spiegazioni che nel corso degli anni tra giuristi ed economisti si sono tentati di dare sono le più varie, vi
enumero quelle più celebri:
 il criterio del cujus commoda et eius et incommoda che tradotto dal latino significa che il
responsabile oggettivo è colui il quale trae beneficio dalla condotta dannosa. Cujus commoda et
eius et incommoda significa che le conseguenze negative incommoda gravano su colui che trae
beneficio dall’attività dannosa, in questo caso il datore di lavoro, l’imprenditore trae beneficio
dall’attività dei suoi lavoratori ed in questo caso devono rispondere dei danni che essi provocano a
terzi.
 L’altra spiegazione, in realtà questa è una spiegazione di tipo moraleggiante che in realtà è poco
convincente, è quella del cosiddetto “rischio” cioè l’imprenditore, il datore di lavoro risponde in
termini oggettivi dei danni provocati dai suoi dipendenti e dai suoi collaboratori perché ha assunto
il rischio. Nel rischio di impresa non rientra soltanto il pericolo di vedere perduti i capitali investiti
nell’attività economica nell’ipotesi in cui l’attività economica dovesse essere in perdita, ma rientra il
rischio del risarcire i danni che i propri dipendenti hanno prodotto. All’interno di questa spiegazione
ve n’è anche un’altra quella legata all’aggravamento del rischio, vale a dire che a rispondere in
termini oggettivi dovrebbe essere colui il quale ha creato l’incremento di rischio, cioè che un
individuo possa danneggiare un altro è rischio fisiologico, ma se quell’individuo è adibito ad
un’attività, una mansione che lo porta a stretto contatto con più persone rispetto a quelle che
incontrerebbe nella sua vita ordinaria, questo determina un aggravamento del rischio e quindi
giustifica che chi ha creato questo aggravamento risponde dei danni che ha provocato questo
aggravamento.
La tesi di imputazione a titolo di rischio incontra un limite, è un limite applicabile solo nella realtà
d’impresa, mentre la responsabilità oggettiva potrebbe applicarsi anche al di là della responsabilità di
impresa. Allora la spiegazione più convincente è stata elaborata negli Stati di Uniti da uno studioso
straordinario della responsabilità extracontrattuale che è un Prof. statunitense Guido Calabresi, nome e
cognome denunzia una origine italiana, nato in Italia ma ha dovuto emigrare a causa di legge razziale
perché la famiglia era di origine ebraica, trasferitosi negli Stati Uniti in tenera età, è diventato un
professore di torts law, i torts negli ambienti di common law sono la nostra responsabilità
extracontrattuale, vengono identificati con questa formula: Torst. È stato professore all’università di
Yale per tantissimi decenni, ancora oggi è vivo è quasi novantenne, Calabresi ed è stato uno dei primi
giuristi ad applicare l’analisi economica del diritto dando una spiegazione della responsabilità oggettiva,
spiegazione reputata convincente fondata sull’analisi costi/benefici. Il legislatore in Italia e negli altri
paesi di civil law, il giudice, come sapete nei paesi di common law il diritto può scaturire oltre che dalla
legge dalle consuetudini, anche dalla giurisprudenza delle Corti Superiori, perché la giurisprudenza è
considerata fonte formale del diritto. Quindi la legge nei sistemi di civil law, anche i giudici nei sistemi di
common law individuano il soggetto da rendere responsabile in termini oggettivi in colui il quale può
condurre, è nella migliore posizione per condurre un’analisi costi/benefici e quindi verificare se sia
preferibile investire in prevenzione per evitare che da quella determinata attività possano derivare
danni oppure astenersi da queste attività e correre il rischio di dover risarcire i danni. Quando ad
un’analisi costi/benefici appare che l’investimento in prevenzione è più alto dell’ammontare dei
risarcimento che si possono stimare ,potrebbero essere dovuti a causa dei danni provocati da quella
attività allora il responsabile in termini oggettivi si astiene da quelle forme di investimento, se quindi il
danno che si verifica che il responsabile oggettivo ha consapevolmente preferito risarcire il danno
piuttosto che prevenirlo e quindi il disvalore della condotta anche in questo caso sussiste e consiste
nell’aver fatto questo calcolo per così dire di convenienza economica e aver scelto di correre il rischio di
risarcire il danno piuttosto che affrontare i costi della prevenzione, quindi oggi noi affermiamo che la
responsabilità oggettiva è quella forma di responsabilità in cui l’imputazione soggettiva è affidata ad un
criterio oggettivo, questo criterio oggettivo consiste nel rendere responsabile in termini oggettivi quel
soggetto che nella catena che dalla produzione porta fino alla distribuzione di un prodotto o di un
servizio è posto nelle condizioni migliore per porre un’analisi costi/benefici e valutare se sia preferibile
investire per prevenire il danno oppure sia preferibile correre il rischio di dover risarcire quel tipo di
pregiudizio. Nel caso di imprenditore o datore di lavoro il soggetto posto nella posizione migliore per
compiere l’analisi costi/benefici è proprio il datore di lavoro o l’imprenditore da ciò l’articolo 2049,
sappiate che il nostro codice non delinea altre ipotesi sicuramente di responsabilità oggettiva , vedrete
che si dubita se siano oggettivi gli articoli 2050 e 2051.
Un’altra ipotesi sicura di responsabilità oggettiva l’abbiamo nella legislazione speciale , norme che si
possono trattare in economia e finanza nel corso di diritto privato ma non si possono trattare qua, ma
un’altra ipotesi di responsabilità oggettiva, forse la più significativa, è la responsabilità del produttore per i
danni da prodotti difettosi, questa disciplina è stata introdotta nel nostro ordinamento a seguito
dell’approvazione di una direttiva del 1986 in materia, è frutto di quello che abbiamo chiamato il processo
di armonizzazione dei diritti nazionali in Europa e l’attuale disciplina è contenuta negli articoli 114 e
seguenti del Codice del consumo. Il codice del Consumo è un decreto legislativo del 6 settembre 2005,
n.206. Il datore di lavoro o l’imprenditore risponde in termini oggettivi prodotti dai loro dipendenti purché
si tratti di danni cagionati a terzi nell’espletamento o nell’ambito dello svolgimento dell’attività lavorativa
in termini oggettivi perché il legislatore ha ritenuto che il datore di lavoro o l’imprenditore sia il soggetto
posto nella migliore posizione per compiere l’analisi dei costi/benefici e verificare se sia più conveniente,
più efficiente investire per prevenire quel danno oppure astenersi dal farlo e correre il rischio di dover
risarcire il danno. Ricordate che la nostra giurisprudenza interpreta l’articolo 2049 nel senso che tra il
danno provocato dal lavoratore o dal collaboratore dell’impresa e l’attività lavorativa o l’attività di impresa
vi debba essere un cosiddetto nesso di condizionalità necessaria. Vi prego di scrivere a carattere cubitale,
Questo nesso di condizionalità necessaria la nostra giurisprudenza equivocando lo sovrappone al nesso di
casualità ma non ha alcun collegamento con il nesso di casualità, nesso di casualità significa che il danno
deve derivare o dall’esplicazione dell’attività lavorativa oppure lo svolgimento dell’attività lavorativa deve
aver creato l’occasione, cioè le condizioni per il danno.
ESEMPIO: se io sono un lavoratore dell’imprenditore Federico e ferisco Serena nel corso di un party,
sarebbe demenziale pensare che il vostro collega Federico debba rispondere nei confronti di Serena del
danno che io gli ho provocato, perché questo danno non ha alcun collegamento con l’attività che io svolgo
presso l’impresa di Federico. Se invece durante l’attività lavorativa e sono un agente commerciale, ed
aggredisco Serena perché lei non ha voluto acquistare i prodotti che le ho proposto, quello è sicuramente
un danno di cui Federico risponde ai sensi dell’articolo 2049.
Ma il collegamento con l’attività lavorativa potrebbe anche essere meno diretto, ad esempio mentre mi sto
recando all’appuntamento con Serena io per distrazione urto nel parcheggiare la sua autovettura e la
danneggio, anche quello è un danno che non è strettamente legato all’attività lavorativa, ma l’attività
lavorativa ha comunque determinato la condizione affinché io lo provocassi. Se io non mi dovessi dalla
collega Serena per svolgere l’attività lavorativa non avrei avuto l’occasione per provocare il danno e quindi
anche di questo danno, anche se meno strettamente correlato all’attività lavorativa il datore di lavoro
Federico risponderà sempre ai sensi dell’articolo 2049 perché il nesso di occasionalità necessaria si ha
quando lo svolgimento dell’attività lavorativa è stata la causa, cioè il fattore primo, o soltanto il teatro, cioè
ha creato la condizione per il prodursi del danno cagionato a terzi.
Articolo 2050 a 2054 e poi introduciamo il tema del danno non patrimoniale con il quale completiamo la
responsabilità extracontrattuale per poi passare al contratto.
L’articolo 2050 è stato concepito dal legislatore, come si evince dalla lettura della relazione illustrativa del
Codice Civile con la forma di responsabilità oggettiva, nei termini in cui è stata concepita, letterale, ma non
lo è anche se il modo in cui è stata applicata l’articolo 2051 è, a tutti gli effetti, una forma di responsabilità
oggettiva. La norma riguarda lo svolgimento di attività pericolose e stabilisce: chiunque produca o provoca
nello svolgimento di un’attività pericolosa o per sua natura, ad esempio pensate ad un’attività di trasporto
di materiale infiammabile, attività di estrazione del petrolio, attività di produzione di energia nucleare,
oppure per la natura dei mezzi adoperati, lo svolgimento di trasporto persone se avviene su ruote, può
essere considerata non pericolosa se avviene su ruote ma assume connotati di pericolosità ma per il tipo di
mezzo adoperato, in questi casi chi svolge l’attività pericolosa è tenuto al risarcimento del danno che
provoca se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Il legislatore intendeva
con l’articolo 2050 introdurre una forma di responsabilità oggettiva, perché questo stabilisce la relazione
del Codice Civile, tuttavia l’effetto non v’è stato perché la causa di esonero di aver adottato tutte le misure
idonee per evitare il danno è pur sempre una causa di esonero che è legata della meritevolezza della
propria condotta, cioè cosa distingue una responsabilità oggettiva da una fattispecie di responsabilità
soggettiva magari con colpa presunta come sono gli articoli 2047 e 2048. Noi lo capiamo se si tratta di
responsabilità oggettiva o meno dalla causa di esonero. Se la causa di esonero è la prova di un fatto che
esclude qualunque censurabilità nella condotta del soggetto da rendere responsabile allora quella è una
forma di responsabilità soggettiva, se invece la causa di esonero è semplicemente la dimostrazione che il
danno non rientra tra quelli di cui il responsabile oggettivo deve rispondere, ad esempio nel caso di cui
all’articolo 2049 il fatto che il danno non ha alcun collegamento con l’attività lavorativa, con la mansione,
con l’incarico svolto dal dipendente, dal collaboratore d’impresa, allora quella è una forma di
responsabilità oggettiva. Allora aver adottato tutte le misure idonee ad impedire il danno è una causa di
esonero legata all’assenza di censure, assenza di errori, assenza di elemento di contestazione della
condotta del soggetto che svolge attività pericolose. Quindi stando al tenore letterale l’articolo 2050
dovrebbe essere annoverato tra le fattispecie di responsabilità con presunzione di colpa e anche se magari
la causa di esonero è particolarmente severa perché un conto è provare di non aver potuto impedire il
fatto come nell’articolo 2047 e 2048, un conto è provare di aver adottate TUTTE le misure idonee ad
impedire il danno. Tanto è vero che nell’applicazione pratica la giurisprudenza, da quel che mi consta, dal
1942 ad oggi non ha ritenuto mai integrata questa causa di esonero, ritenendo che se è stata già
sperimentata una possibile alternativa, una misura di contenimento degli effetti dannosi dell’attività
pericolosa, se anche dovesse trattarsi di un procedimento sperimentale, allora in quel caso l’esercente
attività pericolosa pur avendo provato di aver fatto tutti gli sforzi, non potrebbe dire di aver provato tutte
le misure idonee perché ne esiste una che è già stata messa a punto che il soggetto che svolge attività
pericolosa non ha avuto cura di adoperare. Ecco perché l’articolo 2050 viene applicato come una forma di
responsabilità oggettiva proprio perché non è stata mai ritenuta integrata la causa di esonero di aver
adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno e noi assistiamo ad un fenomeno molto singolare di
scollamento tra la law en book, perché la formulazione letterale dell’articolo 2050 è chiaramente nel senso
di una responsabilità soggettiva con colpa presunta, e la law in action. La law in action, cioè il diritto
applicato, è chiaramente nel senso di un’applicazione di questa regola in termini di responsabilità
oggettiva. Un discorso analogo può essere fatto per l’articolo 2051, che riguarda i danni provocati da cose
in custodia. La norma stabilisce che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in
custodia salvo che provi il caso fortuito. Secondo l’applicazione letterale, il caso fortuito è l’evento
oggettivamente imprevedibile, quando il proprietario o anche soltanto il possessore o addirittura il
detentore della cosa che ha determinato il danno, provi il caso fortuito esclude per definizione la
sussistenza della colpa perché il caso fortuito esclude la colpa. Quindi per come è stato formulato l’articolo
2051 sembrerebbe una ipotesi di responsabilità soggettiva speciale con colpa presunta soltanto con una
causa di esonero più grave rispetto a quella prevista dagli articoli 2047 e 2048, dove è sufficiente provare di
non aver potuto impedire il fatto, qui addirittura è necessario un evento oggettivamente imprevedibile cioè
il caso fortuito, quindi potremmo dire che è una forma di responsabilità soggettiva aggravata. Tuttavia la
giurisprudenza applica l’articolo 2051ritenendo che il caso fortuito vada individuato in un evento causale
alternativo rispetto alla cosa che risulta dal punto di vista causale prevalente. Quindi la giurisprudenza
interpreta l’articolo 2051 nel senso che il caso fortuito coincida in un fattore causale alternativo, rispetto
alla cosa, prevalente, se il caso fortuito si interpreta così non ha niente a che vedere con l’assenza di colpa
e quindi se inteso così, se il caso fortuito viene come il fattore causale alternativo prevalente e allora anche
l’articolo 2051 si tramuta a dispetto della sua formulazione linguistica in una responsabilità oggettiva. La
custodia si ha ogni qualvolta un soggetto abbia il controllo su un bene e il rapporto di custodia non c’è
soltanto tra proprietario e il bene ma anche tra possessore e bene e finanche tra detentore e bene, è
importante che il danneggiato provi che quel bene era sotto il controllo, era sotto il dominio la sfera di
controllo di un soggetto, sia esso il proprietario, si esso il possessore, sia il detentore, e allora da ciò
scatterà la responsabilità. Questa norma si applica anche nel caso di danno provocato dalle condizioni del
manto stradale, quindi si applica ai comuni che sono proprietari delle strade che fanno parte del demanio,
quando un cittadino subisce un danno a causa delle condizioni pericolose del manto stradale perché ad
esempio c’è una buca troppo profonda o c’è del materiale scivoloso sul manto stradale allora in questi casi
il comune risponde dei danni ex art. 2051. Quindi va esente da responsabilità solo provando che il danno
sia causalmente derivato da un fattore prevalente rispetto allo stato dei luoghi ad esempio la condotta del
danneggiato. Se il comune dimostra che si la strada era affetta da una buca molto pericolosa nella quale il
conducente era caduto, ma la buca era evitabile perché era segnalata ed allora in questo caso la
disattenzione o l’imprudenza del conducente diventa il fattore causale prevalente del danno e quindi
esclude la responsabilità. Oppure la strada era scivolosa a causa della caduta di sostanze che l’hanno resa
tale, tuttavia il conducente passa con la sua autovettura perde il controllo e si va a schiantare, tuttavia se il
comune dimostra che il conducente andava ad una velocità troppo elevata, superiore al limite, se fosse
rimasta all’interno del limite avrebbe perduto lo stesso controllo avrebbe danneggiato l’autovettura o
quantomeno non l’avrebbe danneggiata in quella misura ed allora il comune prova che vi è stato un
fattore prevalente rispetto alla pericolosità del bene del manto stradale che ha una attitudine causale sul
bene rispetto al bene stesso. Un’applicazione specifico di questa regola si ha nell’articolo 2052 per i danni
cagionati dagli animali. Gli animali giuridicamente sono beni particolari, perché esistono reati a tutela di
animali, ad esempio reato di sevizie, di maltrattamenti perché sono pur sempre beni viventi, l’articolo 2052
è un’applicazione specifica dell’articolo 2051. Il proprietario di un animale o chi se ne serve, anche il
linguaggio del legislatore è piuttosto rude nei confronti degli animali, per il tempo in cui lo ha in uso, ai
responsabili cagionati dall’animale sia che fosse sotto la custodia, sia che sia smarrito salvo che provi il caso
fortuito. Senza all’articolo 2052, è una norma concepita nei termini di una forma di responsabilità
soggettiva con colpa presunta, tuttavia è applicata come responsabilità oggettiva in quanto il caso fortuito
viene individuato in un fattore causale alternativo rispetto alla reazione dell’animale che risulti prevalente.
Classico esempio, io vado a fare lezione di equitazione dal vostro collega Luca, il quale mi mette a
disposizione un cavallo sufficientemente mansueto per il mio livello di esperienza, tuttavia il cavallo viene
morso da un serpente, a seguito il dolore si imbizzarrisce e mi disarciona; in questo caso il gestore
dell’ippodromo Luca andrebbe esente da responsabilità perché ha provato che l’imbizzarrimento del
cavallo è stato causa del danno che io ho subito nella caduta ma non è il fattore causale prevalente, che è
stato il morso del serpente che ha determinato l’imbizzarrimento , se invece il cavallo si fosse imbizzarrito
per sua sponte, allora in quel caso il povero gestore dell’ippodromo e proprietario e custode del cavallo
non avrebbe avuto alcun modo per andare esente da responsabilità.
Una norma di fattispecie speciale è l’articolo 2053, formulata in maniera curiosa, recita la norma: il
proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni provocati cagionati dal crollo
parziale o totale dell’edificio salvo che provi che questa, la rovina, non è dovuta a difetto di manutenzione
o a vizio di costruzione, in altri termini qui noi assistiamo ad una norma così concepita: ogni qualvolta un
edificio o un’altra costruzione crolla in tutto o in parte la legge presume che questa rovina dipenda da un
difetto di manutenzione o da un vizio di costruzione di cui il proprietario risponde in termini oggettivi,
l’articolo 2053 è una forma di responsabilità oggettiva a meno che il proprietario non dimostri che la causa
del crollo è diversa da quella presunta dalla legge e imputata in termini oggettivi al proprietario
dell’edificio, cioè difetto di manutenzione o vizio di costruzione. ESEMPIO il palazzo è crollato a causa di
una scossa tellurica, il palazzo è crollato a causa di un indebolimento del terreno dovuta ad una fuoriuscita
copiosa di acqua dalle tubature dell’impianto fognario comunale. Il proprietario deve provare che la causa
della rovina è diversa dal vizio di costruzione o dal difetto di manutenzione perché, se la causa è quella, di
questi fattori egli risponde in termini oggettivi anche se dovesse aver fatto tutte le opere di manutenzione
più idonee, proprio perché questi fattori sono imputati in termini oggettivi. E la legge presume che quando
l’edificio crolli in tutto o in parte, anche soltanto si distacchi una parte della facciata o una parte del
balcone presume questi crolli siano dovuti a difetti di manutenzione o a vizi di costruzione che sono eventi
addebitati in termini oggettivi al proprietario. Infine, arriviamo all’ultima fattispecie di responsabilità
speciale che è quella da circolazione di autoveicoli. Stiamo parlando dell’articolo 2054, la norma è molto
importante perché stiamo parlando della circolazione di autoveicoli, è un’attività talmente delicata che è
stata oggetto di una specifica disciplina da parte dl legislatore e le norme sulla circolazione di autoveicoli li
avete dovuti imparare quando avete sostenuto l’esame di guida e sono contenute nel codice della strada.
In più vista l’attività intrinsecamente pericolosa della circolazione con autoveicoli il legislatore ha imposto a
carico del proprietario di ogni autovettura un obbligo legale di assicurazione. È la famosa assicurazione per
responsabilità civile autoveicoli cosiddetta assicurazione RCAuto responsabilità civile autoveicolo che come
sapete è un obbligo legale che grava su chiunque sia titolare di un’autovettura. Chi ha acquisito
l’autovettura o un altro motoveicolo, motociclo o motocicletta è obbligato ad assicurarsi per la
responsabilità civile per garantire al danneggiato la certezza del ristoro perché, se non vi fosse l’obbligo di
assicurazione il danneggiato dalla circolazione di autoveicoli potrebbe correre il rischio che qualunque altro
creditore corre dell’insolvenza del debitore. Se il conducente che vi ha danneggiato fisicamente o nel
vostro patrimonio dovesse essere un nullatenente o aver un patrimonio non sufficiente il danneggiato
creditore dell’obbligazione risarcitoria potrebbe il rischio di non ottenere nulla o di ottenere meno di
quanto gli spetti e allora per evitare questo rischio chiunque sia proprietario di un autoveicolo deve
stipulare con la compagnia assicuratrice un contratto di assicurazione della responsabilità civile con obbligo
di concludere questo contratto pena le sanzione amministrative e il blocco, la sanzione del blocco
dell’autoveicolo e stipulare un contratto di assicurazione in maniera tale che il danneggiato qualora si provi
i requisiti di cui all’articolo 2054 , se il danneggiato dimostra la responsabilità del conducente potrà
ottenere l’indennizzo, la somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento dalla assicurazione del
responsabile civile all’interno di una misura minima non coperta dall’indennizzo assicurativo che si chiama
franchigia, che è quella misura talmente lieve di danno che l’indennizzo assicurativo non copre ed entro un
massimale che è una misura massima di danno oltre alla quale la compagnia assicuratrice non indennizza e
quindi la differenza tra il massimale di 100 e il danno di 120 il danneggiato non può domandarla al
responsabile non alla compagnia assicuratrice. Affinché la compagnia assicuratrice abbia l’obbligo di
pagare un indennizzo è necessario che il danneggiato dimostri che sussistano i presupposti dell’articolo
2054. L’articolo 2054 stabilisce che il conducente di un veicolo senza guida di ruote è obbligato a risarcire il
danno provocato a persona o a cosa dalla circolazione del veicolo se non prova di aver fatto tutto il
possibile per evitare il danno, questa è una forma di responsabilità soggettiva con presunzione di colpa,
esattamente come le fattispecie degli articolo 2047 e 2048, vale a dire il legislatore ha stabilito che se io
danneggiato ho subito un danno provocato da un autovettura condotta da tizio la legge presume che tizio
sia in colpa a meno che tizio non provi di aver fatto il possibile per evitare il danno, ad esempio non sia in
grado di provare di aver rispettato tutte le norme del codice della strada e che se il danno c’è stato è
dipeso da una condotta inconsulta e imprevedibile del danneggiato.
Esempio: il danneggiato si è lanciato sulla corsia, il danneggiato ha compiuto una manovra imprevista e
pericolosa che ha determinato l’impatto e quindi il danno. Non spetta al danneggiato nell’ambito della
circolazione di autoveicoli provare che il conducente è in colpa, spetta al conducente di aver fatto tutto il
possibile per evitare il danno perché anche qui c’è una presunzione legale di colpa. La presunzione scatta
dal fatto che è sufficiente che il danneggiato provi, il danno ingiusto, il nesso casuale tra il danno e la
circolazione di autoveicoli e la proprietà dell’autoveicolo, la legge da questi fatti presume che allora vi sia la
colpa in capo al conducente salvo che egli non provi di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno,
peraltro nel caso di scontro tra i veicoli il legislatore introduce una presunzione ulteriore, una presunzione
di concorso di colpa, quando due veicoli si scontrano si presume fino a prova contraria che ciascun
conducente abbia concorso alla produzione del danno in eguale misura, che vi sia un concorso nel danno, il
che significa che ciascuno sarà a risarcire soltanto la metà del danno che ha subito l’altro. Vi ho fatto
questo esempio quello dello scontro di autoveicoli, quando abbiamo parla to della compensazione per dirvi
non è compensazione vera e propria si chiama compensazione impropria, perché nel caso dello scontro tra
autoveicoli con concorso paritario di colpa, i due crediti contrapposti non nascono da titoli differenti ma
dallo stesso titolo e quindi l’operazione contabile che il giudice compie non è una vera e propria
compensazione ma è un’operazione di elisione per semplificazione che non è vera e propria
compensazione ma è compensazione impropria. La presunzione di concorso paritario si può vincere perché
se io mi sono scontrato con la macchina di Federico e ci siamo provocati vicendevolmente danni ma poi la
Polizia stradale accerta che lo scontro è avvenuto perché io stavo effettuando un sorpasso in una zona con
linea continua che quindi impedisce sorpasso mentre il vostro collega Federico era perfettamente entro
limiti di velocità ed ha anche tentato di schivarmi e provando tutto ciò Federico vince la presunzione di
concorso paritario e addebiterebbe tutta la responsabilità a me. Se invece dovessimo scoprire che io
andavo sempre oltre il limite di velocità e stavo superando in un tratto di strada in cui era vietato mentre
Federico stava rispettando il limite ma non aveva la cintura di sicurezza ed allora dei danni fisici che lui
subisce c’è sicuramente un concorso di causa ma è un concorso di causa non paritario, la mia
responsabilità la mia condotta avrà concorso a provocare i danni che Federico ha subito in misura
largamente prevalente, cioè la mia condotta avrà una incidenza causale 90, 85 per cento, mentre il
mancato uso di cinture di sicurezza potrebbe avere inciso sulle ferite subite da Federico nella misura
soltanto del 10 per cento. Peraltro del danno provocato dalla circolazione di autoveicoli risponde non solo
il conducente, cioè colui il quale materialmente stava guidando ma, terzo comma art. 2048, anche il
proprietario o in sua vece l’usufruttario a meno che non provi che la circolazione sia avvenuta contro la sua
volontà. Questa è la norma fatta per rendere responsabili anche i genitori dei danni provocati dai figli
maggiori di età che si mettano alla guida di autovetture che non sono proprietari, perché non è detto che il
neopatentato abbia un’autovettura a suo nome, potrebbe utilizzare nei primi anni l’autovettura dei
genitori, quindi il proprietario è il genitore e il conducente è lui e dei danni provocati dal conducente
risponda anche il proprietario perché si presume che, la norma è stata introdotta prima della norma della
Responsabilità civile , il proprietario abbia un patrimonio più capiente rispetto al conducente magari
neopatentato ed allora c’è questa responsabilità solidale del proprietario salvo che il proprietario non provi
che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà articolo 2054 comma terzo. Se il genitore dovesse
provare che l’autovettura è stata sottratta dal figlio a sua insaputa o addirittura contro la sua disposizione
allora in questo caso è esente da responsabilità.
Infine il comma 4 dell’articolo 2054 introduce una ulteriore forma di responsabilità oggettiva perché
conducente o il proprietario sono responsabili in termini oggettivi di tutti quei danni che derivino da vizi di
costruzione o da difetti di manutenzione, se si appura che l’autoveicolo ha determinato un danno per un
vizio di costruzione o per un difetto di manutenzione, allora di quel danno il conducente o il proprietario, il
responsabile è chiamato a rispondere in termini oggettivi perché l’articolo 2054 comma 4 non prevede
causa di esonero legata all’assenza di addebiti nella condotta del conducente. L’articolo 2054 comma 4 non
prevede che il conducente o il proprietario possano andare esenti da responsabilità provando di aver fatto
tutto il possibile per evitare il danno o possano andare esenti da responsabilità in caso di caso fortuito, se il
danno è derivato da un cattivo funzionamento dell’impianto frenante dovuto ad un vizio di costruzione o
dovuto ad un’errata riparazione, il conducente ne risponde in termini oggettivi non può andare esente da
responsabilità ovviamente si rivarrà nei confronti del venditore o nei confronti del meccanico che ha
effettuato riparazioni inadeguate, dovrà dimostrare l’inadeguatezza di queste riparazioni o la difettosità del
prodotto. Una norma estremamente importante è quella contenuta nell’articolo 2055 che è strettamente
collegata al problema di casualità, la norma stabilisce questo che se il fatto danno è imputabile a più
persone, esse sono obbligate in solido al risarcimento, cioè se si prova il concorso di causa cioè che una
condotta dannosa è frutto del concorso causale di più azioni, il classico esempio per cui io sono aggredito
da un branco, da quattro persone che tutte si accaniscono contro di me, in quel caso tutti e quattro sono
responsabili e sono responsabili in solido e sono in gradi dimostrare che lesioni che ho subito sono frutto
dell’aggressione potrò agire contro uno dei quattro per ottenere tutto , non potrò chieder ad ogni autore il
risarcimento, la somma che io posso ottenere è quella pari all’ammontare del danno che ho subito, la
posso chiedere secondo le regole della solidarietà a ciascuno degli autori, a cui posso domandare l’intero.
Chi adempie libera gli altri che poi regoleranno i conti all’interno dei rapporti interni con l’azione di
regresso, che abbiamo studiato quando abbiamo analizzato le obbligazioni solidali negli articoli 2194 e
seguenti, ovviamente un fatto imputabile a più persone o perché si tratta di una condotta di un danno
multifattoriale cioè che deriva da più condotte dannose come nel caso dell’aggressione del branco o come
nel caso in cui uno scontro di autoveicoli che coinvolge più autoveicoli, oppure l’imputazione a più soggetti
può avvenire per scelta del legislatore come nel caso del conducente e del proprietario. Il proprietario
risponde prodotto dal conducente non perché con la sua condotta abbia concorso casualmente a
provocare il danno ma perché la legge ha stabilito che ci debba essere questo vincolo di solidarietà anche
in questo caso il proprietario è responsabile in solido con il conducente. Quindi la responsabilità solidale
può nascere o perché c’è un concorso di azioni o perché il legislatore ha stabilito che di quella fattispecie
dannosa debba rispondere a titolo differente più soggetti come nel caso della circolazione di autoveicolo
anche se il nesso casuale è riconducibile di uno soltanto di essi, cioè il conducente.
Secondo comma articolo 2055 colui che ha risarcito il danno ha regresso contro gli altri nella misura
determinata dalla gravità delle rispettive colpe e dalla entità delle conseguenze che ne sono derivate. In
un’aggressione non è detto che i colpi sferrati da ciascuno degli aggressori abbiano la medesima incidenza
causale e la medesima gravità, alcuni colpi potrebbero essere più gravi ed aver provocato le ferite maggiori
ed altri più lievi, questo non toglie che tutti siano responsabili in solido. Ma quando si deve stabilire la
quota di responsabilità di ciascuno dei coautori, si deve guardare alla gravità della colpa ed alla entità delle
conseguenze. E come si prova questo concorso? Innanzitutto non spetta al danneggiato provarlo, egli deve
provare che ci sia stato il concorso di più azioni poi spetterà ai responsabili fornire la prova della diversa
intensità delle colpe ad esempio tramite delle riprese, se l’aggressione è stata ripresa dalle telecamere di
vigilanza, delle poste, di un’abitazione privata e dalle immagine si appura che uno degli aggressori è stato
più violento degli altri, allora in questo caso gli altri riescono a provare che la loro partecipazione alla
responsabilità è inferiore. Se questa non viene fornita, dice il terzo comma dell’articolo 2055 le colpe si
presumono eguali.
Per quanto concerne la determinazione del danno e la relativa liquidazione l’articolo 2056 come vi ho già
anticipato rinvia alle norme contenute nella responsabilità contrattuale ed il risarcimento dovuto si deve
determinare secondo gli articoli 1223, 1226 e 1227. Il 1223 individua come criterio di selezione dei danni le
conseguenze immediate e dirette che però possono anche essere mediate e dirette purché rientranti
nell’Id quod plerumque accidit, purché siano conseguenze abitualmente collegate a quel tipo di condotta.
L’articolo 1226 è la norma che stabilisce che il danneggiato deve provare di aver subito la perdita non
anche l’entità di essa, il quantum può essere stabilito anche dal giudice tramite poteri equitativi.
Ed infine il 1227 è la norma che riduce l’ammontare del risarcimento se vi è stato concorso colposo dello
stesso danneggiato. Se io sono stato ferito da Federico ma nell’ambito di una colluttazione, ovviamente
alcune delle ferite che io mi sono provocato potrebbero essere conseguenza dei colpi che ho sferrato a
Federico e quindi l’applicazione del primo comma dell’articolo 1227 prevede che la responsabilità che è in
capo a Federico potrebbe essere ridotta e il risarcimento potrebbe essere ridotto nella misura della gravità
della mia colpa e dell’entità delle conseguenze. Mentre il secondo comma dell’articolo 1227 prevede che
se il danno avrebbe potuto essere evitato applicando la diligenza ordinaria di quel danno non può essere
domandato il risarcimento. Il secondo comma prevede che il lucro cessante debba essere sempre valutato
dal giudice con equo apprezzamento.

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