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Domanda: spesso abbiamo citato a lezione l'articolo 565 riguardante le successioni legittime e lei
puntualizzava sempre che lo Stato, oltre i crediti ed i beni del de cuius, prende anche tutti i debiti. Se, per
esempio, mio padre dovesse morire e avesse soltanto debiti, io potrei rinunciare. Se tutti gli ascendenti
fino al sesto grado rinunciano, lo Stato avrebbe soltanto debiti da soddisfare. Però ho visto che l'articolo
586 al secondo comma dice che lo Stato non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni
acquistati.
Quindi, c'è un caso di estinzione dell'obbligazione diverso dall’adempimento?
Risposta Prof.: in questo caso si, perché, sostanzialmente, il legislatore non vuol far gravare sul bilancio
dello Stato obbligazioni che dovessero risultare particolarmente gravose in quanto derivano da successioni
cosiddette damnose. Quindi, nella successione l'unico successore necessario, cioè quello che non può
rifiutare, è lo Stato. Però, a tutela dello Stato e soprattutto dei conti dello Stato, lo Stato stesso risponde
dei debiti ereditari soltanto nei limiti dell'ammontare dei diritti che arrivano per via successoria. Quindi,
non abbiamo un’estinzione totale delle obbligazioni, ma abbiamo un’estinzione parziale, perché lo Stato
dovrà rispondere di quei debiti proporzionalmente alla quantità dei beni che ha ricevuto in eredità. Se
l’eredità ha un attivo di 100 e un passivo di 200 vorrà dire che tutti i debiti ereditari verranno estinti nella
misura del 50%.
Lezione
Il danno meramente patrimoniale, con il quale ci siamo lasciati la scorsa settimana, è quella perdita
patrimoniale che non è legata alla lesione di una specifica situazione giuridica soggettiva. E vi ho fatto
diversi esempi: sono tutti casi di danni subiti per errati investimenti o errati acquisti che siano frutto di un
esercizio dell'autonomia privata che sia stato condizionato da un qualche comportamento di controparte.
Vi facevo l’esempio del caso De Chirico, quindi dell'acquisto di un quadro come se si trattasse di un quadro
originario, salvo poi scoprire che non si trattava del quadro originario, nonostante il fatto che l'autore
avesse riconosciuto quel quadro come autentico.
Chiaramente lì il danno è il maggior prezzo che l'acquirente è costretto a pagare. Allora, in questo caso, se
l'acquirente dovesse agire nei confronti dell'artista che ha autenticato un quadro che non è, invece,
autentico, questa azione aquiliana è sorretta dal danno ingiusto.
Un altro esempio è quello dell'errato investimento che sia frutto di informazioni inesatte o incomplete che
siano state, però, diffuse da soggetti qualificati come banche, come autorità di vigilanza e via dicendo. E’
chiaro che se fate un investimento sbagliato perché un vostro amico, che è piuttosto pratico negli
investimenti finanziari, vi ha dato delle dritte che poi si riveleranno erronee, voi non avete margine per
poter agire in risarcimento del danno, ma se l'errata o omessa informazione proviene da un soggetto
istituzionale, quale potrebbe essere un istituto di credito o un' autorità di vigilanza, allora lì si potrebbero
creare i presupposti per l'azione risarcitoria.
N.B.: Non dite mai danno giusto, perché danni giusti non esistono. Esistono danni privi del requisito
dell'ingiustizia come nel caso del danno meramente patrimoniale.
Quindi, su questo punto, la nostra giurisprudenza di legittimità è molto ambigua, perché, in linea di
principio, stando alle affermazioni, si attesta sull'idea che l'ingiustizia non sia una clausola generale, ma sia
una norma generale e che quindi il giudice possa ritenere ingiusto il danno soltanto quando è leso un
interesse che il legislatore abbia, in qualche modo, riconosciuto facendone oggetto di una situazione
giuridica soggettiva. Però, poi, sul piano applicativo, arriva alle stesse conclusioni della tesi dell’atipicità,
perché considera ingiusti anche danni meramente patrimoniali grazie alla creazione di diritti scarsamente
credibili come il diritto all’integrità del patrimonio.
Dobbiamo ora esaminare gli altri requisiti della fattispecie di responsabilità aquiliana.
E comincerei dal nesso di causalità perché è particolarmente delicato.
Come vi ho detto, non è sufficiente che chi subisca un danno provi di aver subito un pregiudizio che abbia il
requisito dell'ingiustizia, ma è necessario che questo pregiudizio venga imputato in termini oggettivi a
qualcuno, cioè venga addebitato ad un autore.
Per compiere questo addebito in termini oggettivi (che noi giuristi chiamiamo imputazione oggettiva del
danno) è necessario formulare un giudizio causale.
Il diritto, a differenza della fisica, della chimica, della scienza medica, della scienza ingegneristica, non ha
sviluppato un'autonoma teoria dei rapporti di causa ed effetto. La scienza giuridica fa appello alle altre
scienze per stabilire se vi sia un nesso di derivazione tra la condotta del danneggiante e il pregiudizio
lamentato dal danneggiato.
Il modello esplicativo, cioè la forma di ragionamento che ci consente di affermare che tra un pregiudizio ed
una condotta umana vi sia il rapporto di causa ed effetto, è il modello condizionalistico, cioè è il modello
della conditio sine qua non.
Si ha conditio sine qua non quando, eliminando, ipoteticamente, il possibile antecedente, cioè la condotta
del soggetto a cui deve essere imputato il danno, il danno non si sarebbe verificato oppure non si sarebbe
verificato con le medesime caratteristiche.
Mentre, non c'è il nesso di causalità se, eliminando mentalmente quel determinato antecedente, il danno
si sarebbe comunque provocato con le medesime caratteristiche.
Cioè, se io sferro un cazzotto a Tizio e Tizio dopo qualche ora muore, se, eliminando la violenza che io gli ho
provocato, la morte si sarebbe comunque verificata e si sarebbe verificata negli stessi tempi perché poi
scopriamo che l'evento morte è dipeso da un fattore fisico del soggetto del tutto indipendente dal pugno
che io gli ho sferrato, allora lì non c'è nesso causale.
Ma se invece il giudice dovesse appurare che il pugno che io ho sferrato ha accelerato il processo di morte
che comunque è legata anche ad altri fattori, il nesso di causalità ci sarebbe. Questo perché? Perché in
natura raramente un evento deriva da un unico fattore causale, c’è sempre un concorso di più eventi.
Infatti il nostro codice civile non disciplina il nesso di causalità e rinvia al codice penale che invece disciplina
questo requisito negli articoli 40 e 41.
L'articolo 40 è concepito nel senso che il diritto applica il modello condizionalista della conditio sine qua
non.
L'articolo 41 è particolarmente significativo perché introduce il cosiddetto principio di equivalenza delle
condizioni, cioè il codice penale chiarisce che il fatto che il danno (nel caso del codice penale è il reato, in
questo caso invece è il danno) siano il frutto del concorso dell'azione dell’ipotetico danneggiante e di altri
fattori (nel caso del codice penale è l’imputato, qui invece il danneggiante e altri fattori) non esclude il
nesso di causalità.
Non esclude il nesso di causalità perché un evento è causa di un accadimento successivo non solo quando
né è l'unica ragione (cosa che, in natura, non capita mai), ma anche quando essa concorra con altri fattori,
a meno che gli altri fattori concomitanti o sopravvenuti non abbiano una efficacia causale prevalente.
Esempio: Federica mi strattona, mi fa cadere e io subisco una lesione alla spalla. Federica, molto
premurosa, chiama un’autoambulanza, io vengo caricato dentro l’autoambulanza che, a tutta velocità, mi
porta in ospedale. Tuttavia il conducente dell'autoambulanza, per rispondere ad un messaggio sul
telefonino, si distrae, esce fuori strada, fa un incidente ed io perdo la vita. È chiaro che se Federica non mi
avesse fatto cadere e non mi avesse provocato una lussazione, io non sarei mai salito sull’autoambulanza,
però è anche vero che la distrazione del conducente dell'autoambulanza è il fattore causale di gran lunga
prevalente e talmente più significativo, rispetto a ciò che all'origine ha determinato il mio passaggio
sull’autoambulanza, da rompere il nesso causale tra la mia morte e la condotta di Federica.
Se, invece, Federica mi ferisce gravemente e l'autoambulanza mi porta in ospedale, ma, a causa del
traffico, io arrivo in ritardo, in questo caso il concorso del traffico e della ferita che Federica mi ha
procurato determineranno la mia morte. Qui siamo di fronte ad un concorso di cause paritarie e dunque i
due fattori causali sono concorrenti e il ritardo non esclude la sussistenza del nesso causale anche tra il
ferimento che mi ha procurato Federica e la mia morte.
Per stabilire, tuttavia, se vi sia questo rapporto di antecedenza, il diritto deve appellarsi ad altre scienze,
cioè a quelle scienze che abbiano sviluppato una spiegazione dei rapporti di relazione causale. Esempio, se
si tratta di una ferita, dovremmo interpellare la scienza medica; se si tratta di un colpo ricevuto da un altro
corpo che ci urta, dovremmo fare riferimento alla scienza fisica (alla dinamica, in particolar modo); se si
tratta di una sostanza nociva, dovremmo fare riferimento alla biologia, e via dicendo.
Quindi, il diritto formula il giudizio di causalità prendendo come riferimento il sapere scientifico e, in
particolar modo, c'è un rapporto di antecedenza laddove una legge scientifica sancisca che vi sia un
rapporto di derivazione tra quell'evento e quella conseguenza, oppure vi sia, perlomeno, una legge
statistica sufficientemente corroborata, con grado di probabilità di inferenza talmente alto da far dire alla
comunità scientifica di riferimento che è altamente credibile che quel determinato evento abbia provocato
quella determinata conseguenza.
Esempio: immaginate che io abbia subito un danno da avvelenamento e che io sia stato il giorno prima
invitato a cena da Luigi e il giorno successivo a pranzo da Claudia. Dobbiamo stabilire quale delle pietanze,
dei prodotti, che mi sono stati somministrati, sia compatibile con il tipo di intossicazione che io ho
sviluppato. Faremo degli esami tossicologici di tutte le pietanze che mi sono state somministrate da Luigi
prima e da Claudia poi e, sulla base di una legge scientifica o anche soltanto di una legge statistica, ci sarà
rapporto di causalità tra quel determinato prodotto e il tipo di patologia che io ho sviluppato.
Questo, però, serve a costruire il nesso di causalità in astratto.
La legge scientifica o la legge statistica di copertura ci dice che tra quell'evento (cioè la condotta del
danneggiato) e quel danno c'è un rapporto di derivazione in astratto, vale a dire che quel tipo di evento è
in grado di provocare quel tipo di danno. Ma noi non possiamo addebitare la responsabilità sulla base
soltanto del rapporto di derivazione scientifica o della rilevazione statistica fra classi di eventi. Il giudice
potrà ritenere sussistente il nesso di causalità soltanto se, dimostrata la causalità in astratto, poi, in
concreto, il danneggiato fornisca prova che, in effetti, nella singola vicenda concreta, quel rapporto di
derivazione in astratto si sia anche verificato in concreto su basi per lo meno probabili, quindi, la
probabilità nel giudizio causale opera su due livelli. È la probabilità scientifica, quella che noi chiamiamo
probabilità cartesiana, che riguarda il fatto se tra quella classe di fatti (cioè quella determinata condotta,
quella sostanza, quell'azione) e quella classe di conseguenze (quel tipo di danno) vi sia un rapporto di
derivazione frutto di rilevazione statistica o di legge scientifica. Poi dovremmo vedere se, in concreto,
questa spiegazione astratta sia quella più probabile, ma questa probabilità è una probabilità diversa, non è
la probabilità quantitativa, è la probabilità che noi giuristi e gli studiosi delle scienze chiamiamo probabilità
baconiana.
La probabilità baconiana è la probabilità di ciò che appare più verosimile sulla base dei mezzi di prova che il
danneggiato e l’ipotetico danneggiante hanno fornito.
Cioè, una volta che io sono in grado di provare in astratto che il tipo di intossicazione che io ho subito è
compatibile con il prodotto utilizzato in una delle pietanze che mi ha somministrato Luigi, io ho dato la
prova della causalità in astratto; poi dovrò provare che in concreto sia proprio quel prodotto che, con più
probabilità rispetto ad altri, mi ha provocato il danno che io ho subito.
Se Luigi fosse in grado di provare che tuttavia il tipo di intossicazione che io ho subito è compatibile anche
con un medicinale che io adopero, allora lì il giudice dovrà valutare, sulla base degli elementi di prova, se
sia più probabile, in concreto, che quel danno sia frutto del prodotto che mi ha somministrato Luigi, oppure
sia frutto del medicinale e quindi del principio attivo che sta alla base di quel determinato medicinale.
Questa si chiama causalità in concreto.
Mentre in diritto penale per poter condannare un individuo è necessario che questa probabilità baconiana
sia oltre ogni ragionevole dubbio, cioè la probabilità che proprio la condotta dell'imputato abbia in
concreto determinato quel tipo di danno deve essere di gran lunga più probabile rispetto ad altre
spiegazioni causali, in diritto civile (dove non è in ballo la libertà degli individui, ma soltanto la condanna al
risarcimento del danno), la giurisprudenza e la Corte di Cassazione ritiene sufficiente un livello di
probabilità del più probabile che no. La regola del più probabile che no (che è la regola preponderance of
evidence, anglo-americana) è quella regola che ci consente, in diritto civile, di ritenere che il nesso di
causalità intercorra tra la condotta del soggetto che abbiamo individuato come danneggiante e il danno se
questo rapporto appaia, sulla base degli elementi di prova, quello che con più probabilità rispetto ad altre
possibili spiegazioni causali, ha determinato il pregiudizio.
Questa è la ricostruzione più rigorosa del nesso di causalità o del giudizio causale che quindi poggia su due
livelli: uno della causalità astratta e l’altro della causalità in concreto.
N.B.: vi pregherei di ricordarlo così, perché il vostro libro su questo punto è piuttosto approssimativo.
L'altro criterio di imputazione è costituito dal dolo. Se l'autore della condotta dannosa l’ha posta in essere
consapevolmente e coscientemente, pur sapendo che da quella condotta deriva sicuramente un danno,
questo rende il comportamento doloso e quindi giustifica l'imputazione soggettiva della responsabilità.
Quindi se io, coscientemente e volontariamente, pongo in essere una condotta di aggressione fisica nei
confronti di Francesco e, di conseguenza, lo ferisco, delle ferite io rispondo a titolo di dolo perché ho posto
in essere, con volontà, quella condotta dannosa che ha provocato quel tipo di danno.
Molto dibattuto è se tra gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità extracontrattuale rientri
anche l'antigiuridicità, cioè la condotta non iure, come dice la nostra giurisprudenza. Per antigiuridicità noi
alludiamo al fatto che la condotta debba essere contraria, in qualche modo, all’ordinamento giuridico. Ora
l'antigiuridicità può essere considerata un elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità solo in
presenza di un sistema di responsabilità fondato sulla tipicità, come è la responsabilità penale.
Nella responsabilità penale un soggetto può rispondere di un reato soltanto se quella condotta sia stata
espressamente prevista dalla legge come tale. È un principio sancito nell’articolo 25 della Costituzione che
recita: “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
commesso” ed anche nel primo articolo del codice penale. Quindi, in un sistema di tipicità ogni condotta
che integra un reato, in quanto espressamente prevista come tale dalla legge, è antigiuridica, a meno che
non vi sia una causa di giustificazione. La causa di giustificazione, sostanzialmente, lava l’antigiuridicità di
principio che una condotta, che integra gli estremi di un reato, abbia. E in diritto penale le cause di
giustificazione sono:
- l'esercizio di un diritto o
- l’adempimento di un obbligo,
- l’uso legittimo di armi (ad esempio legato ad un tipo di attività che implichi il ricorso alle armi come un
militare o un'esponente delle forze dell'ordine),
- la legittima difesa,
- lo stato di necessità e
- l’adempimento di una regola giuridica.
Una di queste cause di giustificazione, quindi, priva la condotta, che rientra nella fattispecie di reato, del
connotato dell'antigiuridicità.
Se io uccido Tizio commetto un reato, ma se l’ho fatto nell'ambito dell'esercizio legittimo di armi perché
Tizio era un manifestante che stava assaltando il mio reparto e stava per uccidere un mio commilitone,
allora in quel caso la reazione è giustificata.
Ma in un sistema come quello di diritto civile nel quale la condotta dannosa potrebbe anche non essere
illecita, anzi la condotta dannosa potrebbe addirittura essere libera (quindi una condotta che non è
connotata da alcuna illiceità), annoverare l'antigiuridicità tra gli elementi costitutivi della nostra fattispecie
è assolutamente inaccettabile e assolutamente ingiustificato.
Ecco perché, a dispetto della formulazione letterale del titolo nono del Codice Civile come dei fatti illeciti,
richiamato anche nell'articolo 1173 del Codice Civile sulle fonti delle obbligazioni, possiamo dire con
certezza che l'antigiuridicità della condotta non rientra tra i requisiti costitutivi della fattispecie di
responsabilità civile. Anzi, vi dirò di più, la gravità della condotta, in diritto civile, è del tutto irrilevante. È
chiaro che una condotta colposa è meno grave di una condotta dolosa, ma in diritto civile l'esito sarà
identico e sarà sempre il risarcimento del danno ed il risarcimento del danno verrà parametrato sul
pregiudizio e non sulla gravità della condotta.
Quindi, tutta la regola di responsabilità extracontrattuale è imperniata sul danneggiato e sul danno e non
sulla gravità, sulla riprovevolezza della condotta del danneggiante, perché il diritto civile, e in particolar
modo la responsabilità extracontrattuale, a differenza di quella penale, non mira a punire, non mira ad
educare, non mira ad assolvere quella funzione rieducativa e di prevenzione generale e speciale che è
tipica del diritto penale, ma mira soltanto a rimuovere il costo di danni.
E, tuttavia, il nostro Codice Civile annovera due cause di giustificazione dette anche scriminanti che sono:
- la legittima difesa di cui all'articolo 2044 e
- lo stato di necessità di cui all'articolo 2045.
Questo potrebbe smentire quello che abbiamo appena detto, perché allora se esistono le cause di
giustificazione anche in diritto civile vuol dire che l’antigiuridicità un ruolo l’abbia. in realtà non è così e
vedremo che, per la loro particolare natura, la legittima difesa e lo stato di necessità escludono la
responsabilità extra-contrattuale non perché facciano venir meno il requisito dell’antigiuridicità della
condotta del danneggiante (che non è un requisito costitutivo della fattispecie di responsabilità), ma
perché tanto la legittima difesa quanto lo stato di necessità escludono che il danneggiante sia libero e la
regola di responsabilità aquiliana presuppone che il danneggiante abbia esercitato in maniera, per così
dire, censurabile, in maniera contestabile la propria liberta individuale. Ma per poter formulare questo
giudizio di addebito il danneggiante deve essere libero, cioè doveva essere posto nella condizione di
scegliere un'alternativa non dannosa. Avrebbe potuto compiere una scelta diversa e agire in maniera non
dannosa e invece ha agito in maniera dannosa.
Ma affinché ciò sia possibile deve esservi un'assenza di condizionamenti, cioè deve esservi libertà.
Vedremo che lo stato di necessità e la legittima difesa, per motivi differenti tra loro, impattano sulla libertà,
escludono la libertà, esercitano un condizionamento che quindi rende incongruo, rende ingiusto l'addebito
di responsabilità e che quindi comportano l'esclusione della responsabilità aquiliana.
La legittima difesa
La legittima difesa è una condizione particolare, è una condizione di contesto in cui si trova chi produce un
danno per esservi stato costretto a causa della necessità di difendere un proprio diritto o un diritto altrui
contro il pericolo attuale di un danno ingiusto, purché la difesa sia proporzionata all'offesa (questo decreta
l'articolo 52 del codice penale).
Quando un soggetto provoca un danno in situazione di legittima difesa, allora l'autore del danno non può
essere chiamato a rispondere, cioè abbiamo una causa di giustificazione, una causa scriminante. Perché?
Perché chiaramente la condizione di costrizione, dovuta dall'esser stato costretto a difendere un diritto
proprio o altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, ha eliminato quella libertà che è il
presupposto dell'imputazione di responsabilità extracontrattuale, di responsabilità aquiliana.
Qual è il rapporto di proporzionalità tra l'offesa e il danno? Il rapporto di proporzionalità è legato non tanto
ai mezzi adoperati, quanto agli interessi in ballo, cioè se il pericolo a cui è esposto un proprio diritto
riguarda un diritto patrimoniale, la lesione che si produce all’offensore non può essere la privazione della
vita. Quindi, il rapporto di proporzionalità è tra i due beni giuridici in campo, cioè l'offensore espone a
pericolo un diritto della persona e allora l'offeso, per reagire, per difendersi, può ledere un altro diritto
della persona.
Se Tizio mi aggredisce e vuole tentare di uccidermi e io, nell'atto di difendermi, uccido l'offensore, allora
qui la proporzionalità è garantita perché i due beni della vita sono equiparabili.
Più discutibile è il fatto che, ad esempio, per reagire ad una rapina, uccido chi tenta di rapinarmi piuttosto
che limitarmi, ad esempio, a ferirlo. Ecco che qui c'è il rischio che non vi sia proporzionalità. Allora, per
questa ragione, il legislatore è intervenuto in due diverse occasioni con una riforma del codice penale che è
stata recepita anche dal Codice Civile. Il secondo comma dell'articolo 2044 recita che nei casi di cui
all'articolo 52 commi secondo, terzo e quarto del codice penale, la responsabilità di chi ha compiuto il fatto
è esclusa.
Cosa prevedono questi commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 52 sulla legittima difesa riformati negli
ultimi anni? La legge ritiene che vi sia sempre rapporto di proporzionalità (quindi dà per presunta, in
termini assoluti, la proporzionalità) se la legittima difesa è stata esercitata nel proprio domicilio (a seguito
dell’altrui violazione di domicilio), o sul proprio luogo di lavoro, utilizzando un'arma legittimamente
detenuta anche se è stata utilizzata per salvaguardare non solo l'incolumità fisica, ma anche i propri beni
(quindi la proprietà), se non vi è stata desistenza (cioè se chi subisce una rapina in casa o sul proprio luogo
di lavoro dovesse minacciare con un'arma il rapinatore, il quale, ciò nonostante, non desiste, allora l'uso
delle armi con il ferimento o anche l’uccisione non dovrebbe escludere il requisito della proporzionalità). È
una norma molto discutibile, perché capite bene che ampliare l'ambito della legittima difesa serve per
rendere più sicuri i luoghi di abitazione ed esercizio delle attività economiche, ma potrebbe accentuare
fenomeni di giustizia privata che caratterizzano altri ordinamenti. Pensate a quello nordamericano nel
quale la detenzione di armi è ammessa in termini molto più larghi di quanto non lo sia in Italia.
Quindi, sarebbe stato opportuno creare i presupposti di un maggiore equilibrio, mentre, specie la riforma
del 2019, è particolarmente gravosa.
Inoltre, il terzo comma dell'articolo 2044 prevede, nel caso di cui all'articolo 55 secondo comma del codice
penale (cioè quando il danno è stato provocato nell'ambito della legittima difesa, ma con eccesso colposo
di legittima difesa), che al danneggiato è dovuta un'indennità la cui misura è rimessa all'equo
apprezzamento del giudice, tenuto altresì conto della gravità, delle modalità realizzative e del contributo
causale della condotta posta in essere dal danneggiato.
Che cos'è l’eccesso colposo? Si ha eccesso colposo quando, nel ricorrere ad una delle cause di
giustificazione prevista dalla legge (nel nostro caso la legittima difesa), si eccedano i limiti stabiliti dalla
legge o dalla necessità, cioè quando chi ricorra alla legittima difesa lo faccia, ad esempio, equivocando.
Il classico esempio è quello di chi ritiene che l'offesa al proprio diritto sia più grave, per un errore di
valutazione, rispetto a quello che in effetti sia. Allora, in questi casi, se c'è eccesso colposo di legittima
difesa, allora la norma penale (l’articolo 55) prevede che si applicheranno le norme sui delitti colposi,
sempre che il delitto rientri fra quelli colposi, perché la regola è che i delitti siano dolosi. La responsabilità
penale può scattare in caso di delitti colposi solo dove la legge espressamente lo preveda, come nel caso
dell'omicidio.
Il secondo comma dell'articolo 55 decreta che quando però l'eccesso colposo avviene nel caso in cui ci si
trovi in una ipotesi di legittima difesa posta in essere nel proprio domicilio o nel luogo in cui si svolge
l'attività economica (quindi l'articolo 52 commi secondo, terzo e quarto), la punibilità è esclusa se chi ha
commesso il fatto, per la salvaguardia della propria o dell'altrui incolumità, ha agito o nelle condizioni di cui
all’art. 61 del codice penale numero 5 (cioè in condizioni di particolare debolezza: l’art dice “l'autore della
legittima difesa deve trovarsi in circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età,
tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”), oppure nel caso di grave turbamento derivante dalla
situazione di pericolo.
Quindi, la riforma del 2019 esclude, addirittura, l'eccesso colposo di legittima difesa domiciliare o sul luogo
di svolgimento dell'attività economica, in tutti quei casi in cui chi abbia reagito, l'abbia fatto per proteggere
la propria o l'altrui incolumità e l'abbia fatto:
- o in condizione di minorità, per esempio perché molto anziani o perché giovani o perché malati;
- oppure in condizioni di grave turbamento.
In questi casi, non scatta la responsabilità penale e, dal punto di vista della responsabilità civile, non
sorgerà responsabilità aquiliana, ma sarà dovuta una indennità. È una tecnica a cui il legislatore ricorre di
frequente: è il caso dei cosiddetti atti leciti dannosi, cioè quei comportamenti che la legge autorizza e
rispetto ai quali, quindi, c'è esclusione di responsabilità, come nel caso della legittima difesa.
La legittima difesa domiciliare e sul luogo di svolgimento dell'attività economica, per di più se posta in
essere per salvaguardare l'incolumità propria e altrui e in condizioni di grave turbamento o di minorità, non
fa sorgere responsabilità perché è una attività autorizzata, ma, per ragioni di solidarietà, autorizza il giudice
a riconoscere al danneggiato (che però è anche l'offensore, ricordatelo. Nella legittima difesa chi subisce il
danno è colui il quale ha esposto al pericolo attuale di un'offesa ingiusta, un diritto altrui) perlomeno una
indennità.
Se nella legittima difesa, quindi, il danno è stato provocato per reagire all'offesa che il terzo (a cui si
procura il danno) ha posto in essere contro un'incolumità fisica o un diritto patrimoniale dell’offeso, nello
stato di necessità ci troviamo, invece, in una situazione differente che però, al pari della legittima difesa,
esclude la liberta del danneggiante.
Lo stato di necessità si ha quando un soggetto ha provocato ad altri un danno per la necessità di salvare sé
o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né
altrimenti evitabile, sempre che il danno sia proporzionato al pericolo (art. 54 del codice penale).
Il classico esempio è: io, per mettermi al riparo da un edificio in fiamme, nel tentativo di conquistare
l'uscita, urto un altro individuo che sta cercando di fuggire, lo faccio cadere e a causa di questa caduta quel
soggetto muore o rimane gravemente leso per le intossicazioni da fumo.
Ora, quel danno, dovuto alla morte o alla lesione della salute, non può essere addebitato a chi l'ha
provocato perché è stato determinato in condizione di stato di necessità, proprio per la necessità di salvare
sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave, in questo caso, soltanto alla persona, pericolo che non è
stato causato da chi poi vuole sfuggire a questo pericolo. Anche qui non c'è libertà, non c’è scelta, perché
altrimenti l'ordinamento dovrebbe porre l'individuo di fronte alla scelta di sacrificare la propria integrità
fisica pur di non danneggiare un terzo. L'ordinamento non vuole porre gli individui di fronte a questa scelta
tragica.