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Introduzione

Oggi parliamo del rapporto tra le operazioni di leverage buy out e, in particolare, di merger leverage
buy out e il divieto di assistenza finanziaria sancito come sappiamo dall’art. 2358, se non a
determinate condizioni che vedremo. In particolare, abbiamo strutturato il seminario di oggi in due
parti. Nella prima parte, di cui mi occuperò io, cercheremo di comprendere perché le operazioni di
merger leverage buy out, che nella prassi internazionale hanno trovato un riconoscimento ormai da
decenni (si sono sviluppate nel contesto giuridico anglosassone ormai negli anni ’80 del secolo
scorso), nel nostro ordinamento siano state oggetto in passato di forti riserve da parte sia della
dottrina che della giurisprudenza, in quanto considerate elusive appunto del divieto di assistenza
finanziaria. E poi vedremo come invece a seguito della riforma del 2003 e dell’introduzione nel
nostro ordinamento dell’art. 2501-bis c.c., tali operazioni siano invece da considerarsi non solo
sostanzialmente lecite (vedremo sulla base di quale presupposti) ma anche non riconducibili alla
disciplina delle azioni proprie. Nella seconda parte, di cui vi parlerà Gaia, vedremo invece più nel
dettaglio l’evoluzione subita dalla disciplina dell’assistenza finanziaria, evidenziando i dubbi
interpretativi sollevati dalla riforma del 2008, che come vedremo portano a chiederci se la stessa
abbia ormai esaurito la sua funzione storica.
1. La nozione economica
Con l’espressione leveraged buy-out si indicano nella prassi internazionale, tutta una serie di
operazioni, la cui caratteristica comune consiste nell’eseguire l’acquisizione di una società target,
attraverso l’utilizzo della “leva finanziaria”. Come sappiamo attraverso l’utilizzo della leva finanziaria
(o “leverage” o rapporto di indebitamento) un soggetto ha la possibilità di acquistare attività
finanziarie per un ammontare superiore al capitale posseduto e, conseguentemente, di beneficiare di
un rendimento potenziale maggiore e, di converso, di esporsi al rischio di perdite molto significative.
Infatti possiamo dire che il ricorso al debito è idoneo ad amplificare – tanto in senso positivo che in
senso negativo – la redditività del capitale, in funzione del rapporto tra redditività dell’investimento
finanziato e tasso di interesse corrisposto sul finanziamento.
Una particolare modalità applicativa di questo fenomeno è rappresentata dal cd. merger leveraged
buy-out, che ricorre quando l’operazione di acquisizione, organizzata attraverso tutta una serie di
steps si conclude con la fusione tra la società acquirente e la società target.
L’operazione di MLBO, in genere, si svolge secondo i seguenti steps:
1) la costituzione di un veicolo societario, normalmente non dotato di mezzi propri sufficienti a
procedere all'acquisizione (detta newco);
2) la contrazione da parte della newco di un prestito, normalmente con un istituto bancario,
finalizzato all'acquisizione del controllo di un'altra società (detta target), prospettando al
creditore la ragionevole aspettativa di conseguire la restituzione del prestito sulla base del
patrimonio o del cash flow di target e spesso garantito con pegno sulle quote della target.
3) l'acquisizione da parte di newco di tutto o parte del capitale sociale di target, così da assumerne
il controllo;
4) la fusione tra newco e target (fusione che come sappiamo viene deliberata dalle assemblee di
ciascuna della società che vi partecipano ai sensi dell’art. 2502 c.c. e che normalmente avviene
entro un termine solitamente non superiore a 12 mesi post acquisizione). La fusione produce
quale effetto automatico la confusione dei patrimoni delle società fuse facendo sì che il debito
contratto da newco per l'acquisizione venga a gravare sul patrimonio della società risultante
dalla fusione1. Nella prassi, a ben vedere, si procede talvolta anziché alla fusione diretta (e cioè
la società acquirente che incorpora la società target) alla fusione inversa (e cioè, all’opposto, è la
società target che incorpora la società acquirente). Spesso accade inoltre che, a fusione attuata,
al pegno costituito inizialmente sulle quote di target venga sostituita una garanzia reale su beni
già appartenenti al patrimonio di questa.
È importante sottolineare che si parla di MLBO solo quando la fusione rappresenta lo strumento
necessario per rimborsare il debito contratto per l’acquisto del controllo della target, il che si verifica
quando l’indebitamento eccede di gran lunga i mezzi propri della newco.
2. Leveraged buy out e divieto di assistenza finanziaria nel sistema previgente
La caratteristica distintiva delle operazioni di MLBO come abbiamo detto consiste nella traslazione
del costo dell'acquisizione sul patrimonio della società acquisita. Questo aspetto da sempre porta con
sé un elemento di disvalore sociale. L'idea infatti che l'acquirente paghi il debito contratto per
l'acquisizione col danaro della società acquisita appare difficilmente conciliabile con una concezione
etica degli affari. E questa considerazione, unitamente alla naturale avversione riguardo ai rischi
connessi ad un elevato indebitamento, è stata probabilmente la ragione sottesa alle numerose critiche
mosse a questo tipo di operazioni.
Prima della riforma del diritto societario del 2003, in mancanza di una disposizione che, come
l’attuale art. 2501-bis c.c., avesse una funzione — per così dire — “legittimante” delle operazioni di
MLBO, il dibattito sulla liceità delle stesse era particolarmente acceso.
Parte della dottrina ha infatti intravisto in questo tipo di operazioni un meccanismo negoziale
finalizzato ad aggirare il divieto di assistenza finanziaria sancito dall’art. 2358 c.c. che vieta, come
sappiamo, di accordare prestiti e di fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie
se non a determinate condizioni.
Teniamo inoltre conto che con specifico riferimento alle norme che sanciscono il divieto di assistenza
finanziaria, la dottrina ma anche la giurisprudenza ha più volte sostenuto che le stesse dettassero un
principio di ordine pubblico e come tale inderogabile. In particolare si è ritenuto che la ratio legis
di tale disciplina fosse quella di impedire il risultato previsto ovvero l’assistenza finanziaria, a
prescindere dalla forma utilizzata per conseguire detto risultato (22).
Altra parte della dottrina diametralmente opposta, invece, ha da sempre sostenuto che non vi fosse
alcun rapporto tra le operazioni di MLBO e il divieto di assistenza finanziaria e che, pertanto, tali
operazioni dovessero quindi considerarsi assolutamente lecite.
In particolare, tra le varie argomentazioni a sostegno di questa conclusione, si è sostenuto che nel
contesto delle operazioni di MLBO, la società target, non presta alcuna assistenza finanziaria ai sensi
dell’art. 2358 c.c.: essa, in realtà, non accorda “prestiti”, o fornisce “garanzie” in senso tecnico. Se
“prendiamo infatti alla lettera” il dettato dell’art. 2358 c.c., dobbiamo ammettere che le operazioni di
MLBO non integrino perfettamente le condotte che l’art. 2358 c.c. descrive come vietate:
semplicemente, il patrimonio della società target, diventa, quale conseguenza ex lege della fusione,
garanzia “generica” per il soddisfacimento, tra le altre cose, del debito contratto dalla società
1
acquirente per procedere all’acquisizione, si tratterebbe, in realtà, di una garanzia “in senso per così
dire economico” e non di una garanzia in senso tecnico-giuridico.
La società target, piuttosto, è “vittima” dell’operazione; ma è una vittima che “non entra mai in
scena”: infatti anche dopo l’intervenuta fusione, non è la società target che rimborsa il debito, ma il
debito viene rimborsato la società risultante dalla fusione; la società target, in verità, all’esito della
fusione, addirittura “non esiste più”, essa si estingue e le sue partecipazioni vengono annullate.
Di contro, la “protagonista” delle fasi dell’operazione è sempre la società acquirente: è la società
acquirente che contrae il debito, che contestualmente fornisce le correlate garanzie e che poi procede
all’acquisto delle partecipazioni dai soci della società target. In tutte queste fasi, società acquirente e
società target rimangono dei soggetti completamente distinti.
Tanto premesso, una svolta rispetto a queste posizioni contrastanti si è avuta con la sentenza
emessa nel caso “Trenno”. Il Tribunale di Milano, in quella sentenza, aveva infatti fornito delle
indicazioni al fine di valutare la liceità delle operazioni di merger leveraged buy-out. Più nel dettaglio,
il Tribunale aveva sostenuto che “nel caso di operazioni di leveraged buyout ... si deve accertare caso
per caso se l’operazione concretizzi un negozio in frode alla legge e cioè se siano stati utilizzati
strumenti oggettivamente leciti per aggirare lo specifico divieto alla società emittente, di concedere
prestiti o garanzie per l’acquisto di proprie azioni. Se il leveraged buyout, attuato attraverso il
procedimento di fusione, è sorretto da un progetto industriale proiettato verso il futuro in un’attività
compatibile e sinergica in grado di generare cash flow, non è configurabile un negozio in frode alla
legge”.
In estrema sintesi, possiamo dire che il Tribunale di Milano è pervenuto alla conclusione per cui, da
un lato il merger leveraged buy-out non potesse considerarsi sempre lecito o sempre illecito, bensì
fosse necessario svolgere la verifica di liceità “caso per caso” e dall’altro (e questa se vogliamo è la
parte “innovativa” della sentenza), l’elemento che consente di escludere la frode alla legge, consiste
nella sussistenza di un “progetto industriale” che avrebbe rappresentato la base
giustificativa dell’operazione.
Su questo scenario, si sono “aperte le porte” alla riforma del 2003.
3. L'introduzione della disciplina del leveraged buy out nel sistema codicistico
Il legislatore della riforma del diritto societario, nell’intento di dare espresso “riconoscimento” a tale
modalità di acquisizione, con l’art. 2501-bis c.c. rubricato “fusione a seguito di acquisizione con
indebitamento” ha disciplinato “la fusione tra società, una delle quali abbia contratto debiti per
acquisire il controllo dell’altra, quando per effetto della fusione il patrimonio di quest’ultima viene a
costituire garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti”. In particolare, il legislatore ha
disposto che, in tal caso:
(i) il progetto di fusione di cui all'articolo 2501-ter deve indicare le risorse finanziarie previste per
il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione.
(ii) la relazione di cui all'articolo 2501-quinquies deve indicare le ragioni che giustificano
l'operazione e contenere un piano economico e finanziario con indicazione della fonte delle
risorse finanziarie e la descrizione degli obiettivi che si intendono raggiungere;
(iii) la relazione degli esperti di cui all'articolo 2501-sexies deve attestare la ragionevolezza delle
indicazioni contenute nel progetto di fusione di cui al precedente paragrafo (i);
(iv) al progetto di fusione deve essere allegata una relazione della società di revisione incaricata
della revisione contabile obbligatoria della target o della società acquirente.
(v) non si applicano le disposizioni degli articoli 2505 e 2505-bis.
4. La non riconducibilità del leveraged buy out all'art. 2358 c.c. nel nuovo sistema
Notiamo come leggendo il testo della disposizione, emerge quanto il legislatore della riforma sia stato
influenzato dalla sentenza emessa nel caso “Trenno”, tanto da sancire la necessità che l’operazione sia
sorretta da una “giustificazione economica” che deve appunto risultare dai documenti predisposti
nell’ambito della fusione.
Leggiamo infatti al comma 3, c.c. che la relazione degli amministratori (di cui all’art. 2501-quinquies,
c.c.), deve indicare “le ragioni che giustificano l’operazione”, e contenere un “piano economico e
finanziario” che, a sua volta, individui la “fonte delle risorse finanziarie” e descriva gli “obiettivi che si
intendono raggiungere”.
Fondamentale quindi nell’ambito del MLBO è il piano economico e finanziario, il quale è parte
essenziale della relazione degli amministratori e concorre alla individuazione della fonte delle risorse
finanziarie destinabili al servizio dei debiti, da indicarsi nel progetto.
Il piano economico e finanziario (che si articola poi in business plan e financial plan per dirla
all’inglese) deve quindi delineare l’intero progetto imprenditoriale che deve trovare supporto nei
prospetti di carattere industriale, patrimoniale e finanziario.
La norma non fa invece nessun riferimento ai metodi da utilizzare nella redazione del piano
economico e finanziario, né ai dati da prendere in considerazione, né infine, alle conclusioni cui la
relazione ed il progetto di fusione devono giungere. A questo suppliscono tuttavia - quantomeno in
relazione ai metodi e ai dati – le indicazioni che possono essere desunte dalla scienza aziendalistica,
cui il legislatore possiamo dire rinvia implicitamente.
Quanto invece al contenuto del piano economico e finanziario, le obbligazioni future che gli
amministratori dovranno prendere in considerazione comprendono sicuramente (i) l'indebitamento
preesistente della società acquirente, comprensivo chiaramente del debito contratto per l'acquisizione
della target; (ii) l'indebitamento preesistente della target; (iii) nonché le obbligazioni che saranno
contratte dalla società derivante dalla fusione nell'esercizio della propria attività d'impresa nell'arco
temporale considerato dal piano.
Per quanto riguarda le risorse finanziarie con cui la società risultante dalla fusione dovrà far fronte a
queste obbligazioni le stesso possono derivare in primo luogo da risorse già presenti nel patrimonio
della società target.
Tuttavia non di rado una fonte che spesso viene presa in considerazione nelle operazioni di MLBO è
rappresentata dall'eventuale smobilizzo di alcuni asset della target non essenziali per la gestione
dell’attività principale dell'impresa, quali ad esempio immobili o addirittura interi rami d'azienda.
Tuttavia, teniamo anche conto che non necessariamente le risorse finanziarie devono ricavarsi da
elementi patrimoniali; anzi spesso le risorse provengono dal c.d. cash flow, vale a dire della
ragionevole aspettativa di generare, nell'esercizio dell'attività di impresa, flussi di cassa che siano
idonei ad assicurare il pagamento delle passività.
Per concludere possiamo quindi dire che il piano economico e finanziario rappresenti il fulcro
su cui poggia l'intera operazione di MLBO. Ragion per cui il progetto di fusione, nell'indicare le
"risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla
fusione", non può che rinviare proprio al piano economico e finanziario per il dettaglio e la
dimostrazione delle relative informazioni e così pure per l'esposizione delle ragioni che giustificano
l'operazione.
Da ultimo teniamo inoltre conto che l'indicazione delle risorse finanziarie nel progetto di fusione
persegue una duplice finalità.
Da un lato tale indicazione è diretta a rendere noto ai soci ed ai terzi le ragioni economiche
dell'operazione. Dall'altro essa è diretta invece a far assumere agli amministratori che hanno redatto
ed approvato il progetto di fusione una precisa responsabilità rispetto a quanto viene indicato progetto
in modo, in sostanza, da rappresentare un deterrente alla realizzazione di operazioni di leveraged buy
out per così dire azzardate.
Passiamo quindi velocemente alle conclusioni cui è giunta la dottrina e la giurisprudenza a seguito
appunto della riforma del 2003.
La dottrina maggioritaria ritiene che all’esito della riforma del 2003 le operazioni di merger leveraged
buy-out che rispettino il dettato dell’art. 2501-bis c.c. non possano più, come in passato, considerarsi
potenzialmente in violazione del divieto di assistenza finanziaria. La maggioranza degli interpreti 2
muove infatti dall’assunto che le operazioni di MLBO non diano luogo di per sé ad una fattispecie
tipica di violazione del divieto di assistenza finanziaria all’acquisto di azioni proprie, ma possano
talvolta piuttosto dar luogo a un negozio in frode alla legge: vale a dire a un’elusione dell’art. 2358
c.c. In questa prospettiva, l'art. 2501-bis c.c., nuovo testo, non mira dunque ad introdurre una deroga
all'applicazione di un divieto altrimenti «direttamente» in grado di incidere sull'operazione. Esso
risponde ad una diversa ratio, ovvero tende a contrastare le eventuali distorsioni delle operazioni di
merger leveraged buy out con lo strumento preventivo della «procedimentalizzazione speciale».
Vale a dire mediante l'imposizione di un particolare iter deliberativo, cui consegue uno speciale
regime della responsabilità dei soggetti che tale procedimento lo governano.
Altri ancora (dapprima Picone e poi, più recentemente, Spolidoro), si spingono fino a sostenere che
non vi sia più spazio nemmeno per l’applicazione dell’istituto della frode alla legge in relazione alla
disposizione di cui all’art. 2358. La violazione, infatti, delle condizioni di cui all’art. 2501-bis c.c.,
determina ormai una specifica ed autonoma fattispecie di illiceità procedimentale.
In particolare, la violazione di tali regole procedimentali non determina la nullità per presunto
contrasto con l’art. 2358 c.c. ma piuttosto la semplice annullabilità delle delibere di fusione
in tal modo adottate in forza del principio generale di cui all’art. 2377 c.c.3

2
E. CIVERRA, Le operazioni di fusione e scissione, cit., p. 161; P. SERRAO D'AQUINO, Commento art. 2501- bis, cit., p. 427; L.
LAMBERTINI, Commento art. 2501-bis, cit., p. 391, il quale ultimo pertanto a p. 394 ipotizza problemi di compatibilità della
nuova norma con la II direttiva Cee recepita nell'art. 2358 c.c.; P. MONTALENTI, «Il leveraged buy out nel nuovo diritto penale
societario e nella riforma del diritto societario» cit., p. 793, 812 e 816, anch'egli con riferimento alla vincolatività della direttiva
Cee; ID., Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2312, 2318 e 2322; V. SALAFIA, «Il "leveraged by out" nella riforma societaria», in
Le società, 2004, p. 936; G. ARTALE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 1284 e ss.; P. CARRIèRE, «Il leveraged financing e il
project financing alla luce della riforma del diritto societario: opportunità e limiti», in Riv. soc., 2003, p. 1042 e ss. e spec. p.
1049.
3
L. PICONE, «Il leveraged buy out nella riforma del diritto societario», cit., p. 1446 e ss.; M. S. SPOLIDORO, «Fusioni
pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 247 e 270; L. ARDIZZONE, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 523 e ss.; contra
V. SALAFIA, «Il "leveraged by out" nella riforma societaria», cit., p. 937, secondo cui la delibera sarebbe nulla). In ogni caso
rimarrebbe ferma l'applicazione dell'art. 2504-quater c.c. (P. MONTALENTI, Commento all'art. 2501-bis, cit., p. 2323; M.S.
SPOLIDORO, «Fusioni pericolose (merger leveraged buy out)», cit., p. 247 e 271; C. SANTAGATA, Le Fusioni, in Trattato delle
società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 7**, 1, Torino, 2004, p. 278 e 612; L. ARDIZZONE, Commento all'art.
2501-bis, cit., p. 527.
Quanto alla giurisprudenza, il Tribunale di Milano, in una sentenza del 2008, ha mostrato di
aderire alla tesi per cui la presenza di una giustificazione economica, escluderebbe l’illiceità ex art.
2358 c.c.
In particolare, il Tribunale di Milano, in uno dei pochi precedenti giurisprudenziali in
materia di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento successivamente alla
riforma, nell’analizzare l’art. 2501-bis c.c., ha sostenuto che “La norma dell’art. 2501-bis c.c.,
cristallizza, a tutela dei soci di minoranza e dei creditori della target, i requisiti di liceità di
una particolare operazione che potrebbe prestarsi ad una elusione del divieto di cui
all’art. 2358 c.c. in quanto ha in sé il rischio che l’acquirente delle quote ed il finanziatore di questi
contino sulla possibilità per il primo, una volta effettuato l’acquisto, di asservire attraverso la
fusione il patrimonio della società target al rimborso del debito contratto per l’acquisizione. Un
debito preesistente, non contratto in funzione dell’acquisizione, può comunque aggravare la
posizione finanziaria netta del target dopo la fusione, ma non dà titolo ai soci di minoranza o ai
creditori di dolersi invocando la norma del 2501-bis c.c.; così come non dà titolo di ricorrere alla
norma l’ipotesi in cui il rischio del finanziatore sia interamente coperto da garanzie collaterali
fornite dallo stesso raider. Pertanto nelle operazioni in cui sia acquisito il controllo del target
tramite un finanziamento concesso a quello scopo alla società raider, la quale pianifichi la fusione
con la target, si impone l’adozione da parte degli amministratori di un procedimento di fusione
“aggravato”, poiché, secondo la stessa disciplina voluta dal legislature con la norma di recente
introdotta, e attraverso lo strumento della pianificazione, soprattutto finanziaria, che
si può discernere, nell’ambito del LBO, il lecito dall’illecito: l’operazione è legittima se
il progetto di fusione o gli altri documenti informativi depositati a corredo del
progetto di fusione, contengono informazioni adeguate ed attendibili circa la
disponibilità delle risorse finanziarie necessarie a garantire la continuità
dell’equilibrio finanziario della società target, e quindi il soddisfacimento delle
obbligazioni della società risultante dalla fusione (in tal caso la fusione è neutra dal punto
di vista dell’equilibrio finanziario della target); se così non è, la fusione potrebbe rivelarsi fonte di
danno per i soci di minoranza e i creditori della società target, il cui patrimonio potrebbe venire
“asservito” al rimborso di un debito contratto per la sua acquisizione. In questi casi il danno si può
manifestare nella “incongruità” del rapporto di cambio, se ed in quanto il debito della controllante
ha l’effetto di deprimere in maniera illegittima — oltre, cioè i limiti di una “sostanziale
conservazione” ovvero in maniera “squilibrata” rispetto ai soci di maggioranza — il valore della
partecipazione posseduta dai soci ante fusione”.

Adesso vi chiediamo di rispondere a questa domanda e dopodichè vi ringrazio e io la lascio la parola a


Gaia.

5. Dubbi interpretativi a seguito della riforma della disciplina dell'assistenza


finanziaria del 2008
Nel 2008, il quadro normativo subisce una nuova modifica: il D.lgs. 4 agosto 2008, n. 142, in
attuazione della direttiva 2006/68/CE del 6 settembre 2006, ha riscritto l’art. 2358 c.c. L’intento del
legislatore comunitario, recepito da quello italiano, è stato quello di “allentare” il “dogma assoluto” del
divieto di assistenza finanziaria. Il nuovo art. 2358 c.c., pertanto, prevede sia dei requisiti procedurali
che dei requisiti sostanziali, al ricorrere dei quali è possibile procedere all’assistenza finanziaria.
Anche questa volta, tuttavia, l’intervento del legislatore italiano non è stato risolutivo.
L’ultimo comma dell’art. 2358 c.c. è stato infatti oggetto di varie interpretazioni. Secondo alcuni, quel
“resta salvo” starebbe a significare che, in tema di MLBO, dovrà trovare applicazione solo l’art. 2501-
bis c.c. e non anche l’art. 2358 c.c.
Secondo altri, invece, quel “resta salvo” significherebbe che nel verificare la legittimità delle operazioni
di MLBO, dovranno trovare applicazione sia l’art. 2501-bis c.c. che l’art. 2358 c.c.
Ma l’intervento del legislatore italiano, in questo caso, ha avuto anche un ulteriore impatto ancor più
“sfortunato”. Se difatti, prima di quel momento si discuteva se le operazioni di MLBO potessero o
meno rilevare ai fini della disciplina dell’assistenza finanziaria, l’esplicito riferimento all’art. 2501-bis
c.c., nell’art. 2358 c.c. avrebbe — è stato sostenuto — “spazzato via” ogni incertezza: se il legislatore,
nel disciplinare le modalità di assistenza finanziaria “lecite”, ha fatto espressa menzione dell’art. 2501-
bis c.c., sta a significare, che le operazioni di MLBO sono da considerarsi, nel nostro ordinamento, una
volta per tutte, una forma di assistenza finanziaria. Insomma, il legislatore è riuscito ad ottenere il
risultato opposto di quello “sperato”.
Ad ogni modo, la conseguenza di tutto ciò sarebbe che la disciplina delle operazioni di MLBO
dovrebbe ora ricavarsi dalla lettura sia dell’art. 2501-bis c.c., che dell’art. 2358 c.c..
A tale riguardo, è bene notare che mentre gli steps procedurali dettati dall’art. 2358 c.c. appaiono
pienamente compatibili con quelli dettati dall’art. 2501-bis c.c., e più in generale, con la disciplina
della fusione, i requisiti sostanziali dettati dalla stessa disposizione avrebbero un certo impatto sulle
operazioni di merger leveraged buy-out: l’art. 2358, comma 6, c.c., dispone infatti che “l’importo
complessivo delle somme impiegate e delle garanzie fornite ai sensi del presente articolo non può
eccedere il limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio
regolarmente approvato...”.
Applicando questa disposizione nel contesto delle operazioni di cui all’art. 2501-bis c.c., la società
risultante dalla fusione, potrebbe far fronte al rimborso del finanziamento concesso alla società raider,
solo—appunto—nei limiti “degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo
bilancio regolarmente approvato”.
A nostro avviso, le argomentazioni secondo le quali, allo stato attuale, la disciplina delle operazioni di
MLBO dovrebbe trarsi dalla lettura congiunta sia dell’art. 2501-bis c.c. che dell’art. 2358 c.c. (come
riformato all’esito dell’intervento del legislatore nel 2008) sono meritevoli di considerazione.
La giurisprudenza che si è sviluppata dopo la riforma del 2003, anche quella più recente, invece,
sembra aver messo “una pietra tombale” sulla questione dei rapporti tra MLBO e assistenza
finanziaria. All’esito dell’inserimento nel nostro ordinamento dell’art. 2501-bis c.c. il tema sembra
essere risolto: le operazioni di MLBO dovrebbero essere valutate solo sulla base del paradigma
legislativo di cui alla predetta disposizione.
Più nel dettaglio, in alcune sentenze, preso atto dell’“esistenza” dell’art. 2501-bis c.c., nemmeno si è
fatta menzione della possibilità che l’operazione, pur eventualmente rispettosa della disposizione di
cui sopra, possa eventualmente porsi in contrasto con l’art. 2358 c.c. 4
In un altro caso, fermo il principio per cui il rispetto dell’art. 2501-bis c.c. fa sempre “salva”
l’operazione, si è fatto cenno anche alla tematica dell’eventuale violazione dell’art. 2358 c.c., seppur al
fine di escluderne la rilevanza sulla base di argomentazioni già in voga ante riforma: in particolare, si
legge nella sentenza sia che “l’esistenza stessa della disciplina di cui all’art. 2501-bis c.c. [...] ha tolto
fondamento ad approcci integralmente contrari alla ammissibilità della fusione con indebitamento”,
e che, ad ogni modo, l’operazione nemmeno potrebbe apparire “contrastante con il divieto,
indirizzato dall’art. 2358 c.c. agli amministratori della società bersaglio, di concessione di prestiti e
garanzie finalizzati all’acquisto di azioni proprie, atteso che nessuna garanzia è stata concessa”
dalla società target5.
Tuttavia, il fatto che nella giurisprudenza post riforma non si noti un’attenzione dei Giudici rispetto
alla sussistenza, oltre che dei requisiti di cui all’art. 2501-bis c.c. anche dei requisiti dell’art. 2358 c.c.,
non significa, a nostro avviso, che la questione dei rapporti tra merger leveraged buy-out e assistenza
finanziaria possa considerarsi completamente “tramontata”, e che un’operazione di merger leveraged
buy-out, per essere “salva” basta che sia conforme esclusivamente con il paradigma di cui all’art.
2501-bis c.c.
6. Cenni alla questione della liceità delle operazioni di merger leveraged buy-out nei
casi in cui la società target sia una s.r.l.
Parte della dottrina ritiene che allorché la società target rivesta la forma giuridica della s.r.l., dovrà
trovare applicazione l’art. 2474 c.c., che è “fermo” nel sancire il divieto di ogni forma di operazioni
sulle proprie quote da parte della s.r.l.
Pertanto, stante il vincolo stringente ed inderogabile dettato dall’art. 2474 c.c., non potrebbe
procedersi ad operazioni di merger leveraged buy-out nel caso in cui la società target rivestisse detta
forma giuridica.
Sul punto occorre tuttavia fare delle precisazioni.
A livello sistematico, infatti, bisogna notare che l’art. 2358 c.c., pur essendo disposizione che non è
materialmente applicabile alle S.r.l., ha comunque un forte impatto interpretativo: il riferimento
all’art. 2501-bis c.c., nell’ultimo comma dell’art. 2358 c.c. (dove “resta salvo” quanto previsto all’art.
2501-bis c.c.), ha una valenza la cui portata non può essere limitata alle sole s.p.a. Con quel

4
Si veda, Trib. Milano, 5 novembre 2016, in Arch. Dejure, e Trib. Milano, 3 novembre 2016, in Arch. Dejure, secondo le quali:
“Questa operazione, che consente all’investitore di acquisire “a leva” il controllo di una società operativa generatrice di cassa,
sfruttando il patrimonio e/o la liquidità generata dalla target ha trovato riconoscimento nell’ordinamento giuridico con
l’introduzione dell’art. 2501-bis del Codice Civile”.
5
Così testualmente Trib. Milano, 14 agosto 2015, in Arch. De Jure: “Va ulteriormente ricordato che è stato ampiamente
confermato in causa che il finanziamento finalizzato all’acquisto della partecipazione di proprietà degli ... è stato richiesto ed
ottenuto dalla società veicolo, in epoca preesistente alla fusione ed è confluito nella contabilità della nuova per effetto della
fusione tra la società veicolo e la società bersaglio; sotto tale profilo la fattispecie, oltre risultare coerente con uno schema usuale
(la società veicolo è normalmente costituita ad hoc, non è dotata di significativo capitale, fa ricorso al credito per sostenere
l’acquisto e si obbliga a costituire un diritto reale di garanzia sulle azioni della società bersaglio; per effetto della fusione il
debito graverà sulla società scaturita dalla fusione), nemmeno appare palesemente contrastante — come invece opinato dalla
convenuta — con il divieto, indirizzato dall’art. 2358 c.c. agli amministratori della società bersaglio, di concessione di prestiti e
garanzie finalizzati all’acquisto di azioni proprie, atteso che nessuna garanzia è stata concessa da ... L’esistenza stessa della
disciplina di cui all’art. 2501-bis c.c., peraltro, non solo ha tolto fondamento ad approcci integralmente contrari alla
ammissibilità della fusione con indebitamento ma offre ulteriori ragioni di riflessione, direttamente connessi alle caratteristiche
della fattispecie qui in esame”.
riferimento, come sopra accennato, è stato “implicitamente confermato” che le operazioni di merger
leveraged buy-out sono una forma di assistenza finanziaria, questa valutazione non può cambiare a
seconda della forma giuridica delle società coinvolte.
Quindi, “appurato” che le operazioni di merger leveraged buy-out sono una forma di assistenza
finanziaria, nel caso di s.p.a. troverà applicazione l’art. 2358 c.c., nel caso di S.r.l., troverà invece
applicazione, l’art. 2474 c.c. L’applicazione dell’art. 2358 c.c., o dell’art. 2474 c.c., non dovrà
dipendere, però, dalla forma giuridica della società target, bensì dalla forma giuridica della società
risultante dalla fusione. È infatti la società risultante dalla fusione che “paga il debito”, è pertanto
quest’ultima società, non la società target, che sta prestando assistenza finanziaria.
Di conseguenza, troverà applicazione l’art. 2358 c.c. tutte le volte in cui, la società risultante dalla
fusione sarà una s.p.a., anche nel caso in cui la società target abbia, prima della fusione, rivestito la
forma della S.r.l. Stante il “ferreo” divieto di cui all’art. 2474 c.c., invece, non potrà procedersi ad
operazioni di merger leveraged buy out, ove si volesse prevedere che la società risultante dalla fusione
debba essere una s.r.l.
Esaminato il problema da questo punto di vista, pertanto, possiamo concludere che la circostanza che
la società target rivesta la forma della s.r.l. non dovrebbe, di per sé, sollevare particolari problemi 6.

Analizzeremo quegli elementi che il legislatore, nel comma 1 della disposizione, ha riconosciuto quali
caratteristici dell’operazione di merger leveraged buy-out, e cioè l’indebitamento, l’acquisizione del
controllo e la fusione.

7. La definizione di “indebitamento”
Iniziamo il nostro esame da quello che, in genere, è il primo step dell’operazione, e cioè
l’“indebitamento”. La società raider, infatti, il più delle volte non dispone delle somme per procedere
all’acquisizione del controllo della società target, e dovrà pertanto reperire dette somme facendo
ricorso all’indebitamento.
L’art. 2501-bis c.c., a tal riguardo, fa riferimento, con espressione decisamente generica, alla
contrazione di “debiti per acquisire il controllo”; cui si aggiunge la precisazione “quando per effetto
della fusione il patrimonio di quest’ultima” (i.e. della società target) “viene a costituire garanzia
generica o fonte di rimborso di detti debiti”.
La disposizione non contiene altri parametri se non quelli poc’anzi riferiti.
Spetta quindi all’interprete, sulla base dei pochi elementi che il legislatore ha inserito nella
disposizione, individuare l’ambito di applicazione della relativa disciplina.
Nella prassi, le operazioni di merger leveraged buy-out sono solitamente finanziate per il tramite di
contratti di finanziamento sottoscritti tra la società raider e una banca (62). Nella nozione di “debiti”,
cui fa riferimento l’art. 2501-bis c.c., rientra sicuramente l’indebitamento derivante dalla

6
Preme rilevare che all’esito di recenti interventi normativi, il divieto di cui all’art. 2474 c.c. non può più considerarsi assoluto.
Ai sensi dell’art. 26, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, come modificato dall’art. 57 del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, “Nelle PMI costituite
in forma di società a responsabilità limitata, il divieto di operazioni sulle proprie partecipazioni stabilito dall’articolo 2474 del
codice civile non trova applicazione qualora l’operazione sia compiuta in attuazione di piani di incentivazione che prevedano
l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori o componenti dell’organo amministrativo, prestatori di
opera e servizi anche professionali”. Detta disposizione era stata in principio dettata solo in favore delle start-up innovative, e
successivamente, con l’art. 4, comma 9 del d.l. 24 gennaio 2015, n. 3, esteso alle PMI Innovative. L’art. 57 del d.l. 24 aprile 2017,
n. 50, sopra citato, ha infine esteso la deroga a tutte le PMI.
sottoscrizione di contratti di finanziamento. Tuttavia, in dottrina è pacifico che al fine di individuare
l’ambito di applicazione della fattispecie legislativa, si debba prescindere da nozioni contabili o
finanziarie di “debiti” e/o “indebitamento”, così come da definizioni tecnico/ giuridiche di
finanziamento. Ciò che rileva è che vengano erogate o comunque messe a disposizione per la società
raider, somme qualificabili, a vario titolo, come indebitamento, e pertanto idonee ad incrementare le
passività (e, conseguentemente, la posizione finanziaria netta) della società target, una volta che sia
intervenuta la fusione.
In virtù di ciò, è stato ritenuto che, ai fini dell’applicazione dell’art. 2501-bis c.c., la nozione di
indebitamento rilevante è integrata anche in tutti quei casi in cui, nel contesto di un’operazione di
merger leveraged buy-out (e, possibilmente, con espresso riferimento ad essa), vi sia, ad esempio,
l’emissione di obbligazioni, l’emissione di strumenti finanziari partecipativi di cui all’art. 2346,
comma 6, c.c., la rinegoziazione di un rapporto di credito preesistente; il finanziamento da parte dei
soci della società raider (in questo caso, dovrebbe trattarsi di finanziamenti in senso tecnico, e cioè
con obbligo di restituzione da parte della società; mentre le tutele di cui all’art. 2501-bis c.c. non
troverebbero applicazione in caso di finanziamenti “in senso economico”, cioè quelli derivanti da
conferimenti non imputati a capitale, quali ad esempio i versamenti in conto capitale o a fondo
perduto)7; nonché, nel contesto dell’acquisizione del controllo sulla società target, il debito di
pagamento del prezzo, che la società raider ha nei confronti dei soci alienanti della società target, nel
caso in cui lo stesso non sia “saldato” contestualmente all’acquisizione. Tale elenco, si badi bene, è
meramente esemplificativo, e ricognitivo delle ipotesi ad oggi individuate in dottrina.
In sintesi, pertanto, si ritiene non vi siano vincoli rispetto alla “forma” dell’indebitamento.
Parte della dottrina, invece, sottolinea che l’art. 2501-bis c.c. porrebbe espressamente un vincolo
quanto alle modalità di utilizzo dello stesso: l’indebitamento dovrebbe essere infatti finalizzato
all’acquisizione del controllo (“debiti per acquisire il controllo”). Quindi, affinché scattino le tutele
previste nella disposizione in commento, è necessario che vi sia un nesso di causalità tra
l’indebitamento e l’acquisizione del controllo.
Ciò, a ben vedere, non significherebbe che l’eventuale contratto di finanziamento debba
espressamente recare menzione della finalità dello stesso. Detta finalità potrebbe anche essere
desunta in base a presunzioni semplici o per fatti concludenti.
Questa dottrina, che ha trovato un riscontro anche in giurisprudenza, si basa effettivamente sulla
“lettera” dell’art. 2501-bis c.c. (che, ribadiamo, testualmente recita “debiti per acquisire il controllo”).
Tuttavia, la presenza del nesso di causalità tra indebitamento e acquisizione del controllo non va
enfatizzata, bisogna infatti ricordare che l’acquisizione del controllo è solo uno step intermedio
dell’operazione, è un mezzo, non il fine. Il legislatore, d’altronde, in sede di redazione dell’art. 2501-bis
c.c., ha dimostrato, giustamente, di intendere l’operazione di merger leveraged buy-out come
un’operazione “unitaria”, al di là dei singoli step di cui essa si compone.
Di conseguenza, l’indebitamento dovrà essere “rilevante”, ai fini dell’applicazione dell’art. 2501-bis
c.c., ogni volta in cui risulti, anche in base a presunzioni semplici o per fatti concludenti, che lo stesso
7
MAGLIULO, (nt. 3), 145, il quale, sul punto rileva che “la normativa in tema di leveraged buyout è diretta ad evitare che
attraverso tali operazioni si possa causare il dissesto della società target. Orbene i versamenti effettuati dai soci a titolo di
conferimento non imputato a capitale non sono suscettibili di produrre siffatto inconveniente, poiché essi tecnicamente fanno
parte del patrimonio netto, costituiscono una riserva da patrimonio e come tali non possono dar luogo ad alcuna pretesa
restitutoria attuale da parte del socio conferente e quindi ad alcun correlativo debito da parte della Newco”.
è funzionale all’esecuzione dell’operazione di merger leveraged buy-out, considerata come operazione
“unitaria”. Si consideri l’ipotesi in cui la società raider proceda all’acquisizione del controllo con mezzi
propri, e successivamente, dopo l’acquisizione del controllo, venga erogato il finanziamento
direttamente alla società target, o post fusione, alla società risultante da tale ultima operazione.
Anche in questi casi, la società che riceve il finanziamento (la target o quella risultante post fusione),
potrebbe utilizzare lo stesso, comunque, per far fronte ad obbligazioni o impegni a vario titolo
connessi all’operazione di merger leveraged buy-out, o per finalizzare l’implementazione
dell’operazione (si vedano in particolare, sotto questo profilo, lo schema del “doppio veicolo” e lo
schema del conferimento della partecipazione intragruppo, che esamineremo a breve). Secondo la tesi
che enfatizza il nesso di causalità tra indebitamento e acquisizione del controllo, tale ipotesi
“cadrebbe” al di fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 2501-bis c.c., in quanto, nel momento in cui
sorge l’indebitamento, il controllo è già stato acquisito con mezzi propri della società raider. Se così
fosse, tuttavia, sarebbe sin troppo semplice eludere le tutele di cui all’art. 2501-bis c.c.
(segue). L’entità dell’indebitamento. — Altra questione su cui si è interrogata la dottrina al fine di
delimitare e/o comunque meglio definire l’ambito di applicazione dell’art. 2501-bis c.c., attiene
all’aspetto quantitativo dell’indebitamento, cioè se sia possibile individuare un rapporto, più o meno
preciso, tra l’entità dell’indebitamento e il patrimonio della società raider, che possa essere rilevante ai
fini dell’applicazione della disposizione in commento.
La questione non è di agevole risoluzione, visto che il legislatore non ha inserito nell’art. 2501-bis c.c.
alcun parametro quantitativo.
La dottrina maggioritaria (sostenuta anche dalla massima L.B.1 degli Orientamenti del Comitato del
Triveneto dei Notai in materia di Atti Societari, 1° pubbl. 9/06) ritiene che la stessa troverebbe
applicazione solo nei casi in cui vi sia “un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al
patrimonio netto” della società raider, di tal che quest’ultima non potrebbe far fronte allo stesso, se
non facendo affidamento sul patrimonio e le capacità reddituali della società target (76). In realtà, a
ben vedere, di detto requisito dell’“eccessivo squilibrio dell’indebitamento” non vi è traccia nell’art.
2501-bis c.c.; e comunque, lo stesso non fornirebbe indicazioni esatte, atteso che quello stesso
requisito inserito nell’art. 2467 c.c., in tema di finanziamenti dei soci, ha sollevato (e continua a
sollevare) questioni che non consentono di pervenire ad una interpretazione univoca e definitiva.
In considerazione di ciò, riteniamo che al fine di circoscrivere la portata applicativa dell’art. 2501-bis
c.c., nel silenzio (probabilmente colpevole) del legislatore, non possa farsi ricorso ad alcun parametro
quantitativo. È tuttavia necessario che l’interprete vada a ricercare nel testo di legge delle limitazioni,
al fine di scongiurare l’“incongruenza” rilevata dalla dottrina, per cui, in assenza di limitazioni, la
disposizione dovrebbe trovare applicazione in ogni ipotesi di fusione.
Oltre a quelle già esaminate (e cioè, l’indebitamento finalizzato all’acquisizione del controllo della
società target, rectius, come abbiamo visto, finalizzato all’esecuzione dell’operazione di merger
leveraged buy-out unitariamente intesa), una ulteriore limitazione può trarsi, in via interpretativa,
dalla locuzione “quando per effetto della fusione il patrimonio di quest’ultima” (i.e. della società
target) “viene a costituire garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti”.
La disposizione, individua, come punto di riferimento dell’indebitamento contratto dalla società
raider, “il patrimonio” della società target. Di conseguenza, l’art. 2501-bis c.c. troverà applicazione, a
prescindere dal quantum del finanziamento, ogni volta in cui il finanziatore abbia basato le sue
valutazioni, ai fini della concessione della provvista, sulla consistenza del patrimonio e sulle capacità
reddituali della società target.
Quindi, se concretamente risulta dalla documentazione contrattuale da cui è sorto l’indebitamento e/o
dal progetto di fusione e/o altrimenti (riteniamo anche per fatti concludenti) che il “merito creditizio”
della società target sia stata condicio sine qua non della concessione del finanziamento, le tutele
predisposte dall’art. 2501-bis c.c. dovranno trovare applicazione, e ciò a prescindere dall’ammontare
dell’indebitamento e dal rapporto tra questo e il patrimonio della società raider.
Diversamente, invece, nell’ipotesi in cui il finanziatore abbia concesso il finanziamento alla società
raider sulla base delle normali tecniche di copertura e valutazione del rischio di credito, e cioè facendo
affidamento solo sulla consistenza patrimoniale della società raider e non su quella della società
target8: in tal caso l’art. 2501-bis c.c. non dovrebbe trovare applicazione.
Questo elemento di discrimine ha il pregio di circoscrivere l’ambito di applicazione dell’art. 2501-bis
c.c. in ogni ipotesi in cui risulta concretamente integrato il rischio che la ratio della disciplina intende
scongiurare, e cioè l’“azzardo morale” della società raider e del finanziatore che pongano in essere
l’operazione appositamente al fine di addossare l’indebitamento in capo alla società target; effetto
questo che è appositamente ricercato dai due operatori, tanto che la consistenza del patrimonio della
società target è stata considerata il metro di valutazione circa la fattibilità dell’operazione.
Tracciato questo principio, è anche più agevole inquadrare e risolvere un’altra situazione che ha
mostrato margini di incertezza. Si pensi all’ipotesi in cui la società raider non sia una newco ma una
società operativa già esistente, ed utilizzi ai fini dell’acquisizione in parte mezzi propri, e in parte
faccia ricorso all’indebitamento proveniente da fonti esterne.
In tale ipotesi bisognerà verificare se l’erogazione del finanziamento sia stata determinata, anche solo
in parte, dalla prospettiva del rimborso dello stesso facendo affidamento sulla consistenza
patrimoniale e le prospettive reddituali della società target. Ove così fosse, l’art. 2501-bis c.c. dovrà
trovare applicazione, nonostante la società raider utilizzi in una quantità più o meno elevata anche
mezzi propri. L’applicazione della disposizione in commento potrà essere esclusa solo nel caso in cui il
rimborso del finanziamento sia stato garantito dalla società raider attraverso la costituzione di
garanzie collaterali fornite da essa stessa o dai suoi soci 9.

8
Così testualmente GALLETTI, (nt. 63), 439: “Dunque se il raider utilizza nell’operazione esclusivamente liquidità
preesistente, conseguita anche tramite ricorso all’indebitamento, non è integrato il rischio tipico presupposto dalla norma,
perché il finanziatore ha concesso il prestito avvalendosi delle normali tecniche di copertura e valutazione del rischio di credito,
non confidando nei risultati prospettici di un’operazione di LBO. Le passività così contratte aggraveranno senz’altro ugualmente
la posizione finanziaria netta della target, dopo la fusione, ma non diversamente da qualsiasi altro debito contratto in
precedenza da chi gestiva la stessa, e così i creditori di questa non hanno titolo per dolersene, e per aspirare all’utilizzo dei
poteri attribuiti dall’art. 2501-bis”.
9
In merito alla costituzione di garanzie da parte di terzi, occorre prendere posizione circa il rischio sollevato dalla citata
massima L.B.1 degli Orientamenti del Comitato del Triveneto dei Notai, secondo la quale la procedura di cui all’art. 2501-bis c.c.
dovrebbe trovare applicazione anche nel caso in cui “il debito contratto dalla società incorporante, ai fini dell’acquisizione del
controllo della società incorporata, sia assistito da garanzie speciali prestate da terzi”, in quanto, anche in tal caso, il patrimonio
dell’incorporata sarebbe potenzialmente “a rischio di rimborso”, poiché “il garante escusso può sempre agire in regresso nei
confronti del soggetto garantito”. Effettivamente, in tale scenario, poco conta se il beneficiario della garanzia del terzo sia stata,
a suo tempo, la società raider o la società target: una volta intervenuta la fusione, sarà la società risultante dalla fusione stessa a
subentrare i tutti i rapporti giuridici che precedentemente facevano capo alle due società, e pertanto, il garante escusso potrà
rivalersi sul patrimonio di questa. A nostro avviso, tuttavia, il presupposto ai fini dell’applicazione dell’art. 2501-bis, c.c.
dovrebbe risultare integrato non ogni qual volta il patrimonio della società target possa, anche in via meramente potenziale,
divenire fonte di rimborso dei debiti contratti per l’acquisizione, ma solo quando — secondo il dettato della disposizione stessa
—il patrimonio della società target venga a costituire garanzia generica o fonte di rimborso dei debiti contratti ai fini
dell’operazione “per effetto della fusione”. La fusione, pertanto, dovrebbe essere quel “fatto giuridico” all’esito del quale la
società target — automaticamente ed in via immediata — subentra nei debiti che “fino ad un momento prima” facevano capo
Per concludere, è bene ricordare che pur non essendo possibile rinvenire né nell’art. 2501-bis c.c., né
in altre norme del nostro ordinamento, un limite quantitativo all’ammontare dell’indebitamento che
può essere contratto dalla società raider per procedere all’acquisizione, all’esito della modifica dell’art.
2358 c.c., operata con d.lgs. 4 agosto 2008, n. 142, è ora invece stato introdotto un limite quantitativo
alle facoltà di rimborso di detto indebitamento da parte della società risultante dalla fusione.
Come illustrato precedentemente, ai sensi dell’art. 2358, comma 6, c.c., la società risultante dalla
fusione potrà infatti rimborsare il debito esclusivamente nei limiti degli “utili distribuibili e delle
riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato”.
Questo ulteriore limite dovrà, a nostro avviso, essere oggetto di attenta considerazione sin dalla fase di
strutturazione dell’operazione di merger leveraged buy-out.

8. Conclusioni
Allo stato attuale, pertanto, al di là delle varie interpretazioni, i punti “fermi” della disciplina del
merger leveraged by-out che possono essere “fissati” sono i seguenti.
Innanzitutto, all’esito dell’“ammissione” operata dal legislatore italiano con l’intervento del 2008, il
merger leveraged buy-out può considerarsi una particolare modalità di assistenza finanziaria.
Questo, tuttavia, non rende illecita l’operazione, atteso che il legislatore comunitario ha “allentato” le
maglie del divieto, e quindi, attualmente, è possibile procedere a forme di assistenza finanziaria, sia
pur nel rispetto delle condizioni procedurali e sostanziali dettate dal legislatore comunitario e recepite
dal legislatore italiano nell’art. 2358 c.c. Chiarito questo primo punto, riteniamo che l’art. 2501-bis
c.c., e le relative tutele, dovranno trovare applicazione quando:
i) vi sia un “indebitamento”, e cioè, ogni volta in cui, a prescindere dalle varie definizioni contabili,
finanziarie, tecnico/giuridiche, vengono erogate o comunque messe a disposizione della società raider,
somme che siano idonee ad incrementare le passività (e, conseguentemente, la posizione finanziaria
netta) della società target, una volta che sia intervenuta la fusione.
A tale riguardo, sarà irrilevante il momento temporale in cui il finanziamento è stato erogato (e
quindi, se lo stesso sia stato erogato prima dell’acquisizione del controllo, o dopo l’acquisizione del
controllo, o anche dopo la fusione), atteso che, ciò che conta, è che il finanziamento possa
considerarsi, comunque, “funzionalmente” connesso con l’operazione di merger leveraged buy-out
unitariamente intesa.
Il requisito dell’“eccessivo squilibrio dell’indebitamento”, invece, non essendo stato espressamente
menzionato dal legislatore in sede di redazione dell’art. 2501-bis c.c., non potrà operare.
Si dovrà invece considerare che, giusta quanto stabilito dall’art. 2358, comma 6, c.c., la società
risultante dalla fusione potrà far fronte al debito, non oltre il limite “degli utili distribuibili e delle
riserve disponibili” risultanti dal bilancio ex art. 2504-bis, comma 4, c.c.;
ii) vi sia l’acquisizione del “controllo”. A tale riguardo, a prescindere dalla sussistenza della
definizione di controllo di cui all’art. 2359 c.c., ciò che rileverà sarà la circostanza che la società raider,

alla società raider. Diversa invece è l’ipotesi delle garanzie fornite da terzi. Affinché dette garanzie si “traducano” in un debito
per la società derivante dall’incorporazione, è necessario che il garante sia stato escusso e possa pertanto esperire l’azione di
regresso nei confronti della società risultante dalla fusione. In tale scenario, pertanto, la società target dovrebbe rispondere del
debito non per “effetto della fusione”, ma “per effetto” dell’avvenuta escussione del garante. Non è infatti “l’evento fusione” che
determina, di per sé, immediatamente ed automaticamente, il sorgere del debito del garante nei confronti della società
risultante dall’incorporazione, ma l’avvenuta escussione di questi.
raggiunga una partecipazione all’interno della società target tale da consentirgli di deliberare
autonomamente la fusione nell’assemblea della società target; e
iii) a prescindere dalla forma di fusione adottata (le tutele, come visto, dovrebbero operare anche in
caso di scissione parziale), si verifichi la confusione tra i patrimoni della società raider e della società
target.
Su tali “punti fermi”, da noi individuati, l’ultima parola spetterà alla giurisprudenza, che potrà
eventualmente confermare, o proporre nuove ricostruzioni.

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