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CAPITOLO V

L’AZIENDA

La nozione di azienda. Organizzazione ed avviamento


Oltre che da un punto di vista soggettivo (quindi con riferimento alla figura dell’imprenditore) l’impresa
deve essere considerata anche da un punto di vista oggettivo cioè con riferimento ai mezzi a disposizione
dell’imprenditore nell’esercizio della sua attività: l’azienda.
Ed infatti ai sensi dell’art 2555 cc “l’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per
l’esercizio dell’impresa”
L’azienda è quindi l’insieme di tutti quei beni di cui l’imprenditore si serve per lo svolgimento e nello
svolgimento dell’attività di impresa, per esempio locali, macchinari, materie prime, merci, attrezzature
ecc….
Ovviamente affinché un bene sia qualificato come aziendale è necessario che l’imprenditore lo abbia
destinato all’esercizio dell’attività imprenditoriale, per esempio non si può considerare bene aziendale
l’abitazione di famiglia anche se è di proprietà dell’imprenditore perché essa non è destinata all’attività di
impresa ma bensì è adibita a residenza familiare.
Viceversa anche se un bene non è di proprietà dell’imprenditore ma o possiede con un titolo giuridico, un
bene può essere destinato all’attività dei impresa e quindi essere considerato bene aziendale; per esempio
se l’imprenditore prende in affitto un immobile per svolgerci l’attività di impresa anche se l’immobile non è
di sua proprietà ma di un terzo costituirà comunque un bene aziendale perché destinato al’attività di
impresa.
Quindi i beni che costituiscono l’azienda sono eterogenei tra di loro ma costituiscono un complesso unitario
che consente all’imprenditore lo svolgimento della sua attività di impresa- sono tutti destinati (organizzati
per)ad un unico fine produttivo.
Proprio questo fa si che i beni aziendali acquisiscano un rilievo economico autonomo, vale a dire che al di la
del valore dei singoli beni, quando essi sono destinati all’attività di impresa, insieme, vanno ad assumere un
autonomo e maggiore valore di scambio (* il valore di scambio è il valore che ha il bene nel preciso
momento in cui si ha lo scambio).
Questo autonomo e maggiore valore dei beni è definito “avviamento” che altro non è che il valore
patrimoniale dell’azienda.
L’avviamento si misura sulla base della capacità dell’impresa di realizzare dei profitti e poiché i profitti sono
frutto della capacità dell’impresa di attrarre clientela si uò anche dire che l’avviamento si misura in base alla
capacità dell’impresa di attrarre clientela.
L’avviamento si distingue in:
 Avviamento oggettivo è la capacità dell’azienda di creare profitti (di attrarre clientela) e quindi si
ricollega a fattori permanenti che non cambiano se muta il titolare dell’azienda.
Es: la capacità dell’impresa di consentire una produzione a costi competitivi sul mercato
 Avviamento soggettivo che è la capacità dell’imprenditore di creare profitti (di attrarre clientela)
che è, quindi,legata all’abilità operativa dell’imprenditore sul mercato.
La circolazione dell’azienda. Oggetto e forma
L’azienda può essere oggetto di atti di disposizione di diversa natura (può essere venduta, conferita in
società ecc) e su di essa possono essere costruiti diritti reali o personali di godimento a favore di terzi
(usufrutto, affitto ecc); e per tale tipologia di trasferimenti il cc detta una specifica disciplina.
Gli artt. 2555/ss. c.c. sono norme dettate essenzialmente per disciplinare il fenomeno del trasferimento
dell'azienda e sono mirate a conciliare la disciplina della circolazione dei beni e dei contratti, con l'esigenza
del mantenimento di questa unità economica perché altrimenti si rischia di disgregare l'azienda, quindi di
non consentire all'imprenditore cedente di realizzare il valore di avviamento dell'azienda stessa.
Il problema è che l’imprenditore può compiere atti di disposizione anche solo su uno o più beni aziendali
per cui occorre capire bene quando si tratta di un trasferimento di azienda e quando invece si tratta di un
trasferimento di beni aziendali.
Il trasferimento di azienda si ha quando  trasferisca dall’alienante a un altro soggetto:
1. l’intero complesso aziendale quindi tutti i beni destinati allo svolgimento dell’attività d’impresa
2. parte di essa (ramo d’azienda). Il trasferimento di un ramo d’azienda si ha quando si trasferiscono
solo parte dei beni aziendali ma che hanno una certa organicità operativa cioè insieme sono
potenzialmente sufficienti a essere utilizzati per l’esercizio di una determinata attività d’impresa
senza alterare il funzionamento degli ulteriori beni rimasti nel complesso aziendale.
Ovviamente nel concreto non è così facile distinguere un trasferimento di azienda da un trasferimento di
beni aziendali perché da un lato può verificarsi che le parti ricorrano al frazionamento del trasferimento di
azienda in più atti per sottrarsi a determinati effetti ex legge, e quindi potrebbe sembrare un trasferimento
di beni;dall’altro lato può succedere che le parti etichettino come trasferimento di azienda un trasferimento
di beni per eludere i limiti posti dalla legge.

Ora nel trasferimento di azienda centrale è innanzitutto l’art 2556 cc “Per le imprese soggette a
registrazione i contratti che hanno per oggetto  il trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda
devono essere provati per iscritto, salva l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei
singoli beni che compongono l'azienda, o per la particolare natura del contratto.
I contratti di cui al primo comma, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, devono essere
depositati per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o
autenticante.”
CREDO DI AVER CAPITO CCOSI’ MA NON SONO CERTA
Quindi la regola generale dettata dal I comma dell’art 2556 cc è che per le imprese soggette a registrazione
( e non per le piccole imprese dunque) il trasferimenti di azienda che ha ad oggetto la vendita o il
godimento del’azienda deve avvenire in forma scritta ad probationem (quindi il trasferimento sarebbe
valido anche se non in forma scritta ma si redige in forma scritta per provarne l’esistenza).
La norma però continua subito ponendo alcune eccezioni; infatti anche se questa è la regola generale
occorre verificare che:
1. per i singoli beni non siano previste per legge delle forme precise;
es: è vero che il I comma impone la forma scritta ad probationem ma, se nell’azienda che si sta
trasferendo, un bene aziendale fosse un immobile si dovrebbe ricorrere alla forma scritta prevista
dall’art 1350 cc a penna di nullità del contratto
2. la natura del contratto con cui si sta trasferendo l’azienda non richiami una particolare forma
stabilita per legge.
Es: se il trasferimento dell’azienda si concretizza in una donazione, anche se il comma I prevede la
forma scritta ad probationem, la natura della donazione impone l’uso dell’atto pubblico.

Il II comma dell'art. 2556 cod. civ. (come modificato legge Mancino del ‘93) prescrive tali contratti di cui al
primo comma sono soggetti ad un regime di pubblicità legale per poter essere opponibili a terzi: essi
devono, infatti, essere iscritti nel registro delle imprese (nella sezione ordinaria) entro 30 giorni.
Quindi lo scenario che dovrebbe prospettarsi sarebbe:
 nel caso di imprese non soggette a registrazione ( non commerciali), i trasferimenti di azienda
dovrebbero essere:
a) forma libera (anche verbale);
b) Non soggette a nessun regime pubblicitario;
 Nel caso di imprese registrate (commerciali) i trasferimenti di azienda sono:
a) A forma scritta ad probationem;
b) Soggette ad obbligo di registrazione

Ora l’art 2556 cc fa riferimento alle imprese soggette a registrazione, che in origine erano solo quelle
commerciali; essendosi oggi arricchito il novero delle imprese soggette a registrazioni ci si chiede se,
comunque, la norma continui a riferirsi solo a quelle commerciali oppure si riferisca in toto alla totalità
delle imprese soggette a registrazione

La vendita dell’azienda. Il divieto di concorrenza dell’alienante


Quando il trasferimento di azienda si concretizza nella vendita dell’azienda, da essa, oltre agli effetti
concordati nel contratto, ne scaturiscono una serie di effetti stabili ex legge.
Primo fra tutto il divieto di concorrenza dell’alienante; l’art 2557 sancisce che “Chi aliena l'azienda deve
astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto,
l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta.”
Dunque chi vende l’azienda, per legge, non può iniziare nei successivi 5 anni un’altra attività
imprenditoriale che si ponga in concorrenza con quella venduta.
L’esigenza che sta alla base di questa norma è quella di consentire a chi compra l’azienda di godere
dell’avviamento soggettivo (cioè della capacità dell’imprenditore che l’ha venduta di attrarre clientela) di
cui si è tenuto conto nella pattuizione del prezzo dell’azienda e quindi evitare che l’alienante vada a sviare
la clientela.
Ovviamente tale esigenza deve essere controbilanciata con l’interesse dell’alienante a non vedere
compromessa la propria libertà di iniziativa economica perciò la norma prevede già al I comma, che il
divieto non possa protrarsi per più di 5 anni
Al II comma l’articolo continua sancendo che “Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di
quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale
dell'alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento.”
Quindi la legge da altresì la possibilità alle parti di derogare il divieto di concorrenza o ampliare la portata
purché nei limiti dei 5 anni previsti dalla legge- sempre nell’ottica di tutelare l’alienante da limitazioni della
libertà di iniziativa economica.
Tale divieto di concorrenza si applica ovviamente nei casi in cui è l’alienante a vendere volontariamente
l’azienda ma anche nei casi di vendita coattiva a causa della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore.

Parte non chiara


Alcuni dubbi sorgono invece per altre situazioni che si possono presentare e che non sono espressamente
regolate, in particolare:
1. Quando non ci sono alienamenti veri e propri dell’azienda ma:
a) a causa di successione ereditaria l’azienda cade ad uno degli eredi
b) si scioglie una società e l’azienda sociale è ceduta a un socio come quota di liquidazione
2. Quando si procede con la vendita dell’intero pacchetto azionario o di una partecipazione di
controllo in una società di persone o di capitali.

La successione nei contratti aziendali


Oltre al divieto di concorrenza del’alienante, il trasferimento di azienda produce ulteriori effetti: tra questi
quello di far subentrare l’acquirente dell’azienda nei rapporti contrattuali che riguardano, direttamente o
indirettamente, l’organizzazione e l’esercizio dell’attività imprenditoriale che l’alienante aveva stipulato
prima della vendita ( e che sono, quindi, in corso di esecuzione cioè non son stati ancora totalmente
adempiuti da entrambe le parti) con lavoratori, fornitori, clienti ecc (per esempio contratti di locazioni di
immobili destinati all’esercizio dell’attività di impresa, contratti di lavoro subordinato ecc).
Ed in effetti, il successivo art 2558 cc sancisce che:“Se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda
subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale.”
Laddove acquirente e alienante non vogliano usufruire di questo sub ingresso di diritto è necessario che
pattuiscano espressamente una deroga.
Ovviamente questo influisce sul rapporto alienante- acquirente ma anche sul rapporto con il terzo
contraente che è stato estraneo alla vendita dell’azienda.
Questo perché in un rapporto contrattuale comune una cessione del contratto non potrebbe avvenire
senza il consenso del terzo contraente, mentre quando il rapporto contrattuale è con un imprenditore e
riguarda prestazioni inerenti all’attività di impresa la situazione cambia e il sub ingresso dell’acquirente
opera ex legge con il trasferimento di azienda e non è richiesto il consenso del terzo contraente che da quel
momento in poi dovrà eseguire la prestazione nei confronti del nuovo acquirente.
Ma il terzo contraente non resta senza tutela anche se è limitata;per cui la norma continua sancendo che “Il
terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento se
sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell'alienante”
Dunque il terzo contraente che dimostri concretamente di non poter fare affidamento sull’acquirente
dell’azienda per la regolare esecuzione del contratto, ha la possibilità di sottrarsi a tale cessione del
rapporto contrattuale.
Ovviamente il recesso del terzo acquirente non fa ritornare il vecchio rapporto contrattuale con l’alienante
ma l’estinzione definitiva del contratto ma rimane al terzo contraente la possibilità di richiedere un
risarcimento all’alienante laddove provi (anche se non è facile) che l’alienante non abbia avuto la normale
cautela nella scelta dell’acquirente.
Tale disciplina non trova applicazione con i contratti a carattere personale per i quali occorre una precisa
pattuizione tra acquirente e alienante oltre che al consenso del terzo contraente.

I crediti e i debiti aziendali


Fin qui abbiamo fatto riferimento a quei rapporti contrattuali in cui entrambe le parti (alienante e terzo
contraente) dovevano terminare il loro adempimento (erano in corso di esecuzione); diverso è invece il
caso in cui nel contratto con il terzo una delle due parti abbia già terminato l’adempimento:
1. Se è l’imprenditore ad aver già adempiuto, vi sarà un credito dell’imprenditore nei confronti del
terzo. Es: l’imprenditore ha pagato la merce e gli deve essere consegnata.
2. Se è il terzo ad aver adempiuto, vi sarà un debito dell’imprenditore nei confronti del terzo.
Es: il terzo ha consegnato a merce ma l’imprenditore non ha ancora pagato.
In tal caso troverà applicazione la disciplina dettata dagli artt 2559 e 2560 cc:
L’ art 2559 cc si occupa dei crediti dell’imprenditore nei confronti di terzi e della loro sorte a seguito del
trasferimento d’azienda; a tal proposito si distingue tra:
1. Imprese che sono soggette a registrazione con effetti di pubblicità legale per le quali l’art 2559 cc
sancisce che “La cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al
debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del
trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede
all’alienante”
Dunque non è necessario che al debitore venga notificato o accetti la cessione del credito (come
nella disciplina comune), perché nel momento in cui il trasferimento di azienda è iscritto nel
registro delle imprese tutti i terzi, compreso il contraente, ne vengono a conoscenza- c’è una
notifica collettiva a tutti i terzi interessati.
2. Imprese che non sono soggette a registrazione per le quali opera la disciplina generale di cessione
dei crediti: l’art. 1260 comma I cc che sancisce il principio della libera cessione dei crediti stabilendo
che il trasferimento del credito può avvenire “anche senza il consenso del debitore” e, pertanto,
solo in forza dell’accordo fra cedente e cessionario ma prevede la notifica al debitore dell'avvenuta
cessione per rendere efficace il negozio. Infatti ove manchi la notifica ed il debitore esegua la
prestazione nei confronti del creditore cedente, questo comportamento non gli potrà essere
imputato e far sorgere in capo ad esso alcuna responsabilità.

L’art 2560 cc, invece, si occupa del caso in cui l’imprenditore abbia un debito nei confronti del terzo
contraente. In questo caso vi è la forte esigenza che il trasferimento di azienda e quindi la cessione del
debito non pregiudichi le aspettative di soddisfacimento del credito del terzo contraente.
In effetti il principio generale è che il debitore- alienante non possa cambiare senza il consenso del
creditore- terzo “L’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al
trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito”.
Quindi ne caso in cui non acconsenta il terzo contraente, il debito rimane in capo all’alienante e non viene
ceduto all’acquirente.
L’art 2560 cc poi al II comma prevede che “Nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti
suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori”
Quindi anche se manca un patto tra alienante e acquirente l’acquirente risponda in solido con l’alienante
dei debiti contratti con il terzo contraente che non hanno acconsentito alla cessione.
Questa disposizione vale, però:
1. solo per i debiti aziendali che risultano dai libri contabili obbligatori e di cui, quindi, l’acquirente
poteva essere a conoscenza anche se non direttamente informato dall’alienante.
2. ,solo in caso di trasferimento di un’azienda commerciale

Una disciplina diversa in tema di debiti aziendali riguarda i debiti di lavoro perché a tutela dei lavoratori è
previsto che:
- l’alienante e l’acquirente rispondano in solido di questi debiti anche se essi non risultano dalle
scritture contabili
- E questo vale sia per l’azienda commerciale che non commerciale.

Ovviamente sia l’art 2559 che l’art 2560 cc si riferiscono genericamente alle conseguenze di un
trasferimento di azienda in presenza di crediti e debiti aziendali senza però accennare a quelle che sono le
ricadute nel rapporto tra alienante e acquirente quando non c’è una pattuizione tra essi- cioè i crediti e i
debiti aziendali, in assenza di pattuizione, sono comunque accollati all’acquirente oppure no?
L’orientamento più recente auspica sempre in una pattuizione sul tema.

Usufrutto e affitto dell’azienda.


Come abbiamo detto oltre alla vendita, sull’azienda possono essere costituiti diritti reali o personali di
godimento: l’azienda può, infatti, essere costituita in usufrutto o concessa in affitto

Usufrutto
Quindi è possibile costituire in usufrutto un’azienda e all’usufruttuario sono concessi tutta una serie di
poteri-doveri per consentirgli la libertà operativa necessaria per gestire l’impresa senza essere limitato.
Tra i poteri vi è quello non solo di disporre dei beni aziendali ma anche di acquistarne e immetterne nuovi.
Beni che entreranno a far parte della proprietà dell’imprenditore per questo è imposta la redazione di un
inventario all’inizio e alla fine dell’usufrutto cosicché la differenza possa essere compensata in denaro.
Accanto all’esigenza di lasciare libertà operativa all’usufruttuario, la legge ha anche il compito di tutelare
l’interesse del concedente a non veder scemare l’efficienza della sua azienda che dovrà tornargli alla fine
del rapporto.
“La differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio e al termine dell’usufrutto è  regolata in danaro, sulla
base dei valori correnti al termine dell’usufrutto.”
Per cui l’art 2561 cc sancisce che “L’usufruttuario dell’azienda deve esercitarla sotto la ditta che la
contraddistingue” .
E’ necessario cioè che questi poteri dell’usufruttuario siano esercitati sotto il nome commerciale
dell’imprenditore e soprattutto senza andare a modificare la destinazione dell’azienda o l’efficienza
altrimenti ciò potrebbe determinare la cessazione dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario.
“Egli deve gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza
dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte.”

La stessa disciplina è richiamata dal’art 2562 cc con riferimento all’affitto dell’azienda, ovviamente quando
parliamo di affitto di azienda ci riferiamo alla locazione del complesso di beni aziendali e non del singolo
immobile destinato all’esercizio dell’attività di impresa (in quel caso si parla di locazione di un bene
aziendale e non di affitto dell’intera azienda) anche se spesso non è facile distinguere le due fattispecie.

Ora sia all’usufrutto che al’affitto è esteso l divieto di non concorrenza ex art 2557 cc : Il nudo proprietario
che concede l’usufrutto e il locatore son tenuti a non iniziare un’attività d’impresa concorrente a quella su
cui è costituito l’usufrutto o concesso l’affitto per non sviare la clientela per la durata dell’usufrutto o
dell’affitto.
Ancora ad essi è estesa anche la disciplina di successione nei contratti aziendali ex art 2558 cc e quindi
l’usufruttuario e l’affittuario subentreranno automaticamente al nudo proprietario concedente ed al
locatore nei contratti in esecuzione per la durata dell’usufrutto o dell’affitto.
Mentre non è richiamata la disciplina dei debiti e crediti aziendali ex art 2559 e 2560 cc per cui si ritiene che
di debiti e crediti aziendali antecedenti all’usufrutto o all’affitto ne rispondano solo il nudo proprietario
concedente e il locatore salvo che per i debiti di lavoro per cui invece ne rispondono in solido.

*usufrutto: è il diritto di un soggetto (usufruttuario) di godere di un bene di proprietà di un altro soggetto


(nudo proprietario) e di raccoglierne i frutti, ma con l'obbligo di rispettarne la destinazione economica
Affitto: è la locazione di un fondo rustico, di una casa o di un immobile in genere, a tempo determinato e
dietro pagamento.

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