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Redatto da Daniele Di Vico

daniele.divico@gmail.com

Il Codice civile qualifica imprenditore colui che esercita professionalmente un'attività economica
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. (Art. 2082)

La società è la forma privilegiata per l'esercizio dell'impresa in forma collettiva e il presupposto


soggettivo delle procedure concorsuali è la qualità di imprenditore commerciale.
L’art 41 della Costituzione indica i caratteri e le finalità dell'attività economica, e sancisce da un lato
che l'iniziativa economica è libera e, dall'altro proclama che non può svolgersi in contrasto con l'utilità
sociale e in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

La libertà di iniziativa economica genera a sua volta quattro libertà: di intraprendere l'attività di
impresa, di svolgerla senza condizionamenti, di cessarla senza interferenze, nonché la libertà di
concorrenza.
Il precetto secondo il quale l'attività non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale e in modo di
arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità delle persone, rappresenta il limite alla libertà
di iniziativa economica, e al contempo indica la rotta che il Costituente ha voluto dare al legislatore
ordinario e quindi anche alle imprese.
Inoltre, sia l'attività economica pubblica che privata deve essere indirizzata e coordinata ai fini sociali.

L’Articolo 2082 definisce l'imprenditore e non l'impresa, il quale è individuato in funzione


dell'esercizio dell'impresa, ragione per cui la definizione generale dell'imprenditore è anche la
definizione generale dell'impresa.
La globalità dell'impresa è data dall'imprenditore come soggetto, l'impresa come attività economica
e l'azienda come complesso organizzato di beni per l'attuazione della funzione e cioè per l'esercizio
dell'impresa secondo la disposizione dell'articolo 2555.

La qualità di imprenditore individuale si acquista con l'esercizio dell'attività attraverso l'utilizzazione


di un complesso di beni e di uomini e che la stessa qualità la si perde non solo per volontà
dell'imprenditore ma anche e soprattutto in conseguenza della effettiva dissoluzione del patrimonio
aziendale.
L'impresa ha un proprio nome, la ditta, e una serie di altri elementi che la identificano quale l'insegna
è il marchio.

La gestione, secondo il dettato dell'articolo 2086, vede l'imprenditore a capo dell'impresa e quando
assume forma societaria o collettiva, deve essere dotata di un assetto organizzativo, amministrativo
e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione
tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale. L'imprenditore può delegare ad
ausiliari come ad esempio, l’institore l'esercizio dell'attività.
In base alle dimensioni o alla natura dell'attività esercitata l'impresa può essere dotata di Statuti
normativi differenziali.

GLI ELEMENTI CARATTERIZZANTI L’IMPRESA: L'ATTIVITÀ’ ECONOMICA. L’IMPRESA


ILLECITA

Nell’analizzare l’articolo 2082, l'attività economica costituisce la vera novità del codice civile del 1942
rispetto al codice del Commercio del 1882, che prendeva in considerazione gli atti di Commercio in
modo isolato. L'impresa viene evidenziata come attività e quindi con una serie di atti finalizzati a un
medesimo scopo. Ogni atto che l'imprenditore compie serve all'esercizio dell'impresa e, più in
particolare alla realizzazione della produzione o allo scambio di beni o servizi che si concreta nel
carattere economico dell'attività.
Occorre ribadire che l'attività deve potersi far risalire alla volontà del soggetto.
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Nell'ambito di un'attività assolutamente lecita l'imprenditore può porre in essere singoli atti illeciti e
che, al contrario, nell'ambito di un'attività illecita è plausibile il compimento di atti perfettamente leciti,
ad esempio la stipulazione di un contratto di locazione per la sede dell'attività.

L’ORGANIZZAZIONE

L'attività deve essere organizzata come proclamato dal legislatore nell'articolo 2082 ma lo ripete
negli articoli 2083 nel quale definisce piccolo imprenditore, nel 1655 dove dà la nozione dell'appalto
e la stessa espressione viene usata con riferimento ai beni di cui all' articolo 2555 che definisce
l'azienda.
L'organizzazione è essenziale per ogni tipo di impresa, quali che siano le dimensioni e l'oggetto in
quanto, per produrre o scambiare beni e servizi occorrono dei mezzi patrimoniali e uomini che
lavorano, perciò, l'imprenditore organizza i fattori propri della produzione, ovvero il capitale proprio
o altrui e il lavoro.
L’organizzazione consente di individuare il confine tra le attività produttive che assumono il carattere
di impresa e quelle attività che pur essendo dirette a produrre beni o servizi, non assumono carattere
di impresa proprio perché non organizzate come ad esempio il lavoro autonomo.
Non è normativamente precisato il livello minimo di organizzazione imprenditoriale, ma è necessario
che ci sia una organizzazione del proprio lavoro e di impiego di capitali, seppur modesti.

LA PROFESSIONALITÀ’. L’IMPRESA OCCASIONALE

La professionalità è il requisito che più di altri caratterizza l'impresa come attività, in quanto
sta ad indicare la reiterazione di atti distinti, ma che sono accomunati da un unico obiettivo, nel senso
che tendono al fine comune che è l'esercizio dell'impresa.
Perché si abbia impresa non occorre solo che vi sia un'attività economica e che sia
organizzata, ma è necessario che venga esercitata professionalmente, ossia con abitualità.
Non si può parlare di impresa facendo riferimento ad un'attività economica svolta occasionalmente
in cui è di tutta evidenza che difetta del requisito della professionalità e pertanto non destinata a
protrarsi in modo sistematico nel tempo. La professionalità, in ogni modo non può essere disgiunta
dall'organizzazione.

Scopo di lucro, economicità e produttività

Occorre stabilire se lo scopo di lucro entri a far parte degli elementi costitutivi dell'impresa e quindi
se mancando vi sia impresa o meno. È consigliato imprenditore la società cooperativa, il cui scopo
istituzionale è mutualistico e non lucrativo. Occorre pertanto che i costi siano coperti con i ricavi, se
i beni venissero prodotti e poi erogati gratuitamente o ad un prezzo chiaramente politico, non
saremmo più in presenza di un’impresa.
Alla economicità, un altro carattere dell'attività è quello della produttività. Per qualificare
un'attività come produttiva è irrilevante il tipo e la natura dei beni o dei servizi prodotti o scambiati,
sia il tipo di bisogni che sono destinati a soddisfare.

L'impresa non è soltanto un'attività economica professionalmente organizzata, è anche una


comunità di lavoratori, in quanto l’imprenditore, per produrre e per scambiare, organizza anche il
lavoro umano di cui ha diritto alla prestazione lavorativa di cui assume alle sue dipendenze.

L’individuazione del criterio da adottare per l'imputazione dell'attività d'impresa, ha costituito uno dei
nodi più rilevanti della disciplina del codice civile del 1942 e le eventuali responsabilità che
discendono dalle relazioni economiche, ricadono sulla persona che compie gli atti di impresa nel suo
nome ed esercita l'attività.
Ma può accadere che il vero padrone dell'impresa non possa o non voglia manifestarsi all'esterno
nelle vesti di imprenditore, perché ad esempio gli è stato interdetto l'esercizio di un'attività
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imprenditoriale o, perché non intende rischiare il proprio danaro e quindi può decidere di servirsi di
un prestanome o costituire una società di comodo che, pur eseguendo direttive ed impiegando mezzi
e risorse messe a disposizione da altri, appare ai terzi come imprenditore.
In tal caso non c'è coincidenza tra l'effettivo portatore degli interessi connessi all'impresa, e chi
invece appare come imprenditore e quindi si pone il problema di stabilire quale dei due
soggetti debba essere chiamato a rispondere dell'attività nei confronti dei creditori e più in generale
dei terzi.
Per il criterio della spendita del nome, è chi appare all'esterno come tale e pertanto ricade il rischio
di impresa. Pur se si scoprisse l’esistenza di un accordo regolante i rapporti tra l'imprenditore occulto
e l'imprenditore palese, l'accordo dovrebbe essere considerato alla stregua di un mandato
senza rappresentanza, con la conseguenza che il mandatario che agisce in proprio nome e dunque
l'imprenditore palese, acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi,
anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato.

Una corrente di opinione rileva che, nelle ipotesi in cui un terzo presti all'interessato il proprio nome
e non anche la propria attività, imprenditore è colui che agisce usando il nome altrui e non colui che
si limiti a consentirne l'uso.

Per un altro filone di pensiero, non soltanto il soggetto in cui nome è speso, ma anche il soggetto
nel cui interesse l'attività viene svolta, pur restando fermo che la qualifica di imprenditore spetta
soltanto al primo.

La tesi dell'imprenditore occulto, il cui nome è legato a Walter Biagivi, individua i presupposti per
riconoscere la qualifica di imprenditore, a prescindere della spendita del nome, anche a chi sì occulta
dietro il paravento di un altro soggetto che agisce in nome proprio, per cui interviene nel fallimento
di una società con soci illimitatamente responsabili, il socio occulto scoperto dopo l'apertura della
procedura concorsuale ed è esposto alla stessa sorte dei soci palesi.
Dovrebbe rispondere delle obbligazioni assunte nel corso dell'attività ed essere esposto al fallimento
chiunque eserciti, in modo occulto o palese, un'impresa di cui non è formalmente titolare.

GLI STATUTI DELL’IMPRENDITORE. L’IMPRESA SENZA IMPRENDITORE

Tutti i soggetti che rientrano nell’articolo 2082 costituiscono lo statuto dell'imprenditore in generale.
Alla disciplina generale, sono poi applicate le norme indotte dalla natura dell'attività esercitata ad
esempio a chi esercita l’impresa agricola verrà applicato lo statuto dell'imprenditore agricolo e a chi
esercita l’attività commerciare, le norme dell'impresa commerciale (artt.2188-2221) e le disposizioni
della legge fallimentare e cioè lo statuto dell'imprenditore commerciale.
Nel caso in cui l'impresa, in relazione alle dimensioni, si configuri secondo il paradigma dell'art. 2083
(piccolo imprenditore), assumerà profili particolari la disciplina della pubblicità.
La disciplina dell'impresa si applica anche agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni
professionali; tutti gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività
commerciale sono soggetti all'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese.

La qualifica imprenditoriale prescinde dal carattere prevalente o esclusivo dell'attività e così


inquadrato, appartiene la figura dell'impresa senza imprenditore. Vi rientrano le ipotesi dell'ente
pubblico o delle fondazioni o associazioni che esercitano attività d'impresa ma non come oggetto
esclusivo o prevalente, e secondo qualche autore rientra anche il mondo della grande impresa nel
quale vi è spesso una scissione tra coloro che hanno investito nel capitale sociale e chi governa
l'impresa.

Nel caso in cui l'imprenditore eserciti più attività economiche organizzate ad impresa non è sempre
facile stabilire se si è in presenza di un'impresa unica, articolata in varie attività oppure si è di fronte
ad una pluralità di imprese distinte e facenti capo allo stesso soggetto.

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Si avranno imprese distinte seppur facenti capo allo stesso soggetto, quando si riscontrano una
pluralità di attività e di organizzazioni, che sono desumibili ad esempio da elementi come la qualità
è la durata dei cicli di lavorazione; mentre si parlerà di impresa unica quando si è in presenza di
un'unica attività organizzata con articolazioni di stampo autonomistico sul piano territoriale,
amministrativo-contabile o addirittura aziendale.
In ogni caso, l'esercizio di una pluralità di imprese da parte di uno stesso soggetto implica si
l'operatività delle diverse discipline corrispondenti all'attività, ma non dà necessariamente luogo a
fenomeni di autonomia o di separazione patrimoniale.

LE DISTINZIONI NORMATIVE NELL’AMBITO DELLA CATEGORIA “IMPRENDITORI”.


GENERALITA’

Nella disciplina che riguarda l'impresa occorre individuare le norme che si applicano a tutti gli
imprenditori indistintamente e quelle che si applicano solo a determinate categorie.

In relazione all'attività esercitata, avremmo le imprese agricole e le imprese commerciali e secondo


alcuni esistono anche le imprese civili, peraltro non previste da alcuna norma specifica. Facendo
riferimento alle dimensioni dell'impresa, avremo il piccolo imprenditore, definito dall'art
2083, l’imprenditore medio-grande non definito dalla norma e valutato secondo i parametri della
scienza aziendalistica.
Con riguardo al soggetto, possiamo avere una prima distinzione basata sulla natura e perciò
possiamo avere di impresa pubblica e l'impresa privata; una ulteriore distinzione è basata sulla veste
che l'imprenditore assume all'esterno, ed avremo perciò l'imprenditore individuale e l’imprenditore
collettivo.
Una ulteriore distinzione l'abbiamo tra le imprese a statuto ordinario e quelle a statuto speciale,
intendendosi quelle regolate da singole leggi speciali che per il loro contenuto peculiare e pregnante,
individua la figura di certi imprenditori in forza della particolare natura dell'attività esercitata come ad
esempio le imprese bancarie o assicurative.
L'istituzione di sezioni speciali del registro nel quale devono essere iscritti gli imprenditori agricoli, i
piccoli imprenditori, le società semplici e le imprese artigiane, ha la funzione di certificazione
anagrafica e di pubblicità notizia, oltre agli effetti previsti dalla legge speciale. L'iscrizione
dell'imprenditore agricolo oltre ad avere la funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia,
produce anche l'effetto di cui all'articolo 2193 (efficacia dell'iscrizione).

LE ATTIVITÀ AGRICOLE PRINCIPALI

All'impresa agricola sono attribuiti gli articoli che vanno dal 2135 al 2140. Soltanto con l'entrata in
vigore del Codice del 1942 l’impresa agricola è stata sottratta nell'orbita del diritto commerciale.
Rispetto alla versione originaria, il complesso normativo è stato profondamente modificato e del
vecchio impianto è rimasta la sola definizione di imprenditore agricolo principale art 2135, e la
distinzione tra attività agricole principali e attività agricole connesse.
La legge attribuisce la qualifica di imprenditore agricolo a colui che esercita le attività di coltivazione
del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Consente all'agricoltore, seppur
entro certi limiti di svolgere attività diverse ed ulteriori rispetto a quelle propriamente agricole, e senza
dover assume la qualifica di imprenditore commerciale.
L’impresa di coltivazione del fondo consiste in un'attività che non può risolversi nella mera raccolta
dei frutti naturali del suolo, ma deve assumere i caratteri di un'attività di produzione dei beni, rispetto
al quale il fondo assume il ruolo di fattore produttivo.
La locuzione allevamento di animali è comparsa nell'art. 2135 a sostituzione dell'allevamento di
bestiame. Si tratta di una innovazione normativa che ha ampliato lo spettro dell'attività di
allevamento. Infatti, la parola bestiame ha sempre contraddistinto le specie animali legate al fondo
mentre in tale ottica sono incluse ogni attività zootecnica che abbia il suo dato caratterizzante nello
sfruttamento del fondo rustico.

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Deve esserci corrispondenza tra la persona che esercita l'attività agricola principale e la persona
che esercita l’attività agricola per connessione e riguarda le attività consistenti nella manipolazione,
conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti
prevalentemente dalla coltivazione del fondo o dell'allevamento del bestiame, mentre la vera novità
riguarda anche le attività dirette alla fornitura di beni o servizi compresa la ricezione ed ospitalità,
che possono comprendere in via residuale anche l’impiego di mezzi acquisiti al di fuori.

Affinché le società possono essere considerate imprenditori agricoli a titolo principale occorre in
primo luogo che lo statuto preveda come oggetto sociale l'esercizio esclusivo dell'attività agricola
nonché, ulteriori presupposti.
Secondo l'art. 2135 è necessario il possesso di alcuni requisiti: nel caso di società di persone,
almeno un socio deve essere in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale,
mentre nel caso di società cooperative, tale requisito deve essere posseduto da almeno un quinto
dei soci e in caso di società di capitali da parte di almeno un amministratore.

L’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese, oltre alle funzioni di certificazione
anagrafica e a quelle previste dalle leggi speciali, ha anche l’efficacia di cui all'articolo 2193 e cioè
dell'efficacia dichiarativa che si riteneva riservata agli adempimenti pubblicitari effettuati
dall'imprenditore commerciale.

L’IMPRESA COMMERCIALE E LA SUA IDENTIFICAZIONE

L’imprenditore commerciale è identificabile attraverso un particolare statuto normativo che, a


differenza dell'imprenditore agricolo, non viene definito da una norma ad hoc.
Secondo una opinione prevalente, la nozione di impresa commerciale si ricava applicando un criterio
negativo, nel senso che è commerciale ogni imprenditore che non esercita un'attività agricola.
L’obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese, si applica alle attività industriali, che sono quelle
attività dirette alla produzione di beni o servizi attraverso l'organizzazione di capitale e lavoro e
questa precisazione è importante perché esclude dal novero degli Imprenditori commerciali i liberi
professionisti che pure producono servizi, ma con la loro attività personale e non con
l'organizzazione d'impresa.
Inoltre, sono soggette all’iscrizione le attività commerciali e cioè quella attività intermediarie nella
circolazione dei beni, le attività di trasporto, le attività bancarie, ovvero quella attività che agevolano
l'esercizio dell'attività o comunque sono legate a quest'ultime da un rapporto di complementarietà.

In base al codice civile e alla legge fallimentare l'imprenditore commerciale è obbligato ad Iscriversi
al Registro delle imprese, anche quando si tratta di ente pubblico che esercita l'attività commerciale,
è obbligato a tenere le scritture contabili, è soggetto a fallimento e alle altre procedure concorsuali,
salvo quando si tratti di ente pubblico, può servirsi di ausiliari individuati e disciplinati dall'articolo
2203 all'articolo 2213.

La tenuta della contabilità e la rilevazione periodica della situazione patrimoniale svolgono una
triplice funzione: quella di consentire all'imprenditore di seguire costantemente l'andamento della
gestione e capire se l'impresa va bene o male, quella di informare i terzi che entrano in contatto con
l’imprenditore, in caso di dissesto, e quindi di procedure concorsuali, permette la ricostruzione della
situazione debitoria dell'imprenditore.
Obbligati alla tenuta delle scritture contabili sono, oltre l'imprenditore commerciale, anche le società
qualunque sia l'attività esercitata e gli enti pubblici che svolgono attività commerciale non in via
principale.

Il legislatore ha previsto accanto all'obbligo di tenuta di scritture nominativamente individuate, e delle


quali viene descritta anche la funzione: libro giornale e libro inventari, l'imprenditore deve
necessariamente tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni

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dell'impresa. In tal modo è possibile ipotizzare un nucleo di scritture uniformi per tutte le imprese, ed
altre in relazione alla natura e alla dimensione.
Il contenuto minimo è costituito dal libro giornale, dal libro degli inventari e dalla conservazione della
corrispondenza.

Nel libro giornale devono essere redatte le operazioni secondo il criterio cronologico con
l'osservanza del criterio dell'immediatezza.
Nel libro degli inventari, devono essere inserite le attività e le passività relative all'impresa.
L’inventario deve essere redatto all'inizio dell'esercizio dell'impresa e successivamente ogni anno
ed ha la funzione di consentire la ricostruzione della storia dell’impresa, si chiude con il bilancio e
con il conto dei profitti e delle perdite.
Inoltre l'imprenditore deve conservare ordinatamente gli originali delle lettere telegrammi fatture e
quant'altro.

Il sistema normativo è completato dalle modalità di tenuta delle scritture contabili, la cui osservanza
è indispensabile perché le scritture siano considerate regolari. La regolarità costituisce un
presupposto indispensabile sia perché l'imprenditore possa invocare come prova a suo favore le
registrazioni, sia in caso di fallimento per evitare le imputazioni della bancarotta. Il libro giornale e
degli inventari devono essere numerati progressivamente in ogni pagina e non sono soggetti né a
bollatura né a vidimazione, mentre la bollatura degli altri registri è facoltativa. Tutte le scritture
contabili devono essere tenute in modo ordinato, senza spazio in bianco, senza interlinee, senza
abrasioni in modo che le parole eventualmente cancellate siano leggibili e la contabilità deve essere
conservata per 10 anni.
Chi vuole utilizzare le scritture come mezzo di prova contro l'imprenditore non può scindere il
contenuto, nel senso che non può chiedere l'esibizione delle scritture a lui favorevole. I mezzi
processuali di acquisizione delle scritture sono: l'esibizione che può avere ed oggetto solo
determinate registrazioni e viene ordinata dal giudice anche su istanza di parte, e la comunicazione,
che comprende l'integrale contabilità dell'imprenditore, viene fatta dalla controparte solo in caso di
controversie relative allo scioglimento della società, alla comunione dei beni e alla successione per
causa di morte.

IL PICCOLO IMPRENDITORE

Nella logica del legislatore del 1942 il profilo dimensionale dell'impresa costituisce un elemento di
divisione ai fini della applicazione dello Statuto dell'imprenditore commerciale e infatti non opera per
i piccoli imprenditori. L’articolo 2083 stabilisce che sono piccoli imprenditori, i coltivatori diretti del
fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale
organizzata prevalentemente con lavoro proprio e dei componenti della famiglia, identificando così
una categoria di operatori economici che sono esonerati dall'obbligo di iscrizione nel registro delle
imprese e di tenuta delle scritture contabili, nonché immuni dal fallimento.
Se ancora oggi permane l'esonero dei piccoli imprenditori dall'obbligo della tenuta della contabilità,
per gli stessi piccoli imprenditori non possono più sentirti esonerati dall'obbligo di iscrizione nel
registro delle imprese, dovendo assolvere in linea generale una funzione di pubblicità notizia,
salva l'efficacia dichiarativa attribuita alle iscrizioni effettuate dai coltivatori diretti.

Il legislatore sulla disposizione di apertura della legge fallimentare, ha eliminato qualsiasi riferimento
alla figura del piccolo imprenditore. Sicché, la norma indica essenzialmente i requisiti di ordine
dimensionale che l'imprenditore congiuntamente deve possedere al fine di sottrarsi al fallimento, 300
mila euro per l'attivo patrimoniale e 200 mila per i ricavi lordi dei feriti tre esercizi antecedenti, nonché
i debiti anche non scaduti non possono superare il limite di 50 mila.

La definizione del piccolo imprenditore può essere idealmente divisa in due parti: una prima, in cui
sono elencate tre distinte figure di piccoli imprenditori: il coltivatore diretto, l'artigiano e il piccolo
commerciante e, una seconda parte nella quale si riconosce la qualifica di piccolo imprenditore a chi
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esercita un'attività di impresa incentrata sulla prevalenza del lavoro proprio e dei familiari rispetto
agli altri fattori produttivi impiegati, ossia rispetto al lavoro altrui e al capitale investito. in definitiva
può dirsi che la piccola impresa si differenzia dall'impresa medio-grande sotto il profilo delle
dimensioni e dell'organizzazione interna perché, la prevalenza del lavoro familiare limita di ricorso
alla manodopera esterna e l'Impiego di capitali; e dal punto di vista organizzativo il fulcro della piccola
impresa è costituito dalla persona titolare e sia l’attività negoziale e prenegoziale risentono delle
vicende che interessano il titolare a differenza di quanto accade invece per l'imprenditore medio-
grande.

L’IMPRESA ARTIGIANA

Si definisce impresa artigiana quella avente oggetto prevalente lo svolgimento di un'attività di


produzione di beni, anche semilavorati o di produzione di servizi, escluse le attività agricole e
commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni.
La definizione di impresa artigiana è preceduta da quella di imprenditore artigiano, che è colui che
esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare dell'impresa Artigiana, assumendo
la piena responsabilità con tutti gli oneri e rischi inerenti la gestione e svolgendo in misura prevalente
il proprio lavoro, anche manuale nel processo produttivo. L’impresa Artigiana può essere svolta
anche con la prestazione d'opera di personale dipendente diretto personalmente dall'imprenditore
artigiano o dai soci e viene quantificato per ogni specie di impresa artigiana il numero di dipendenti
estranei alla famiglia dell'imprenditore.

IMPRENDITORE PRIVATO E IMPRENDITORE PUBBLICO

Appare superfluo definire l'imprenditore privato e invece può dirsi che l'impresa pubblica è quella
esercitata dallo stato o da un altro ente pubblico, retta da uno statuto approvato con un regolamento
ad hoc, nel quale sono indicati gli scopi che intende raggiungere, ossia imprimere un certo indirizzo
nei settori merceologici nei quali interviene.
Oggi le aziende autonome dello Stato assumono la forma della società per azioni in quanto
gestiscono i servizi essenziali in ogni comunità, sempre più variegati e quindi di difficile percepibilità.
Il significativo inizio dell’intervento pubblico si può far coincidere con la nascita dell'Iri, costituito
all'inizio degli anni trenta per salvare le aziende travolte dalla grande crisi economica del 29 che
assunse il ruolo di una mastodontica holding pubblica, che interveniva e gestiva partecipazioni nei
più svariati settori merceologici.
Oggi, si va progressivamente abbandonando la politica dell'intervento pubblico nell'economia, nel
segno della privatizzazione formale e sostanziale delle imprese. Inoltre, lo stato ha dato corso ad
importanti operazioni di dismissione delle partecipazioni detenute in società formalmente private.
Anche gli enti locali territoriali, per la gestione dei servizi pubblici di loro competenza ricorrono alla
costituzione di società di capitali, nelle quali possono assumere le vesti di unico socio oppure
detengono in società composte anche da soggetti privati, partecipazione maggioritarie o di
minoranza.

Non rientrano nell'impresa pubblica le cosiddette società a partecipazione pubblica, che sono
imprese costituite secondo modelli privatistici anche quando l'ente pubblico ha una partecipazione
di maggioranza ovvero, è in grado di influire sulle scelte gestionali. Inoltre, l'impresa pubblica non va
confusa con quelle società in cui lo Stato o un altro ente pubblico sia riservato il potere di nominare
amministratori o sindaci.

L'impresa pubblica in senso stretto comprende l'impresa esercitata direttamente dallo stato o da un
altro ente pubblico nel quadro delle rispettive funzioni istituzionali, per il tramite di un'organizzazione
priva di personalità giuridica come nel caso delle aziende municipalizzate; oppure l'ente pubblico
economico, che è una persona giuridica avente come scopo esclusivo o prevalente l'esercizio di una
specifica attività imprenditoriale come ad esempio l'istituto poligrafico dello Stato.

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L’impresa pubblica non presenta rispetto a quella privata particolari elementi di differenziazione, in
linea di principio il diritto civile dell'impresa è diritto comune all'impresa privata e all'impresa pubblica.
L'impresa pubblica non può perseguire il mero profitto e si deve quindi far carico dei costi sociali che
l'esercizio di un'attività può comportare, e un tempo veniva ritenuto l'elemento di maggiore
differenziazione e cioè il fine che l'impresa pubblica avrebbe dovuto perseguire.
Le disposizioni del libro V si applicano agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali e
l'articolo 2221 esclude gli enti pubblici dalla soggezione al fallimento e al concordato
preventivo; l'articolo 2201 obbliga gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale
un'attività commerciale l'iscrizione nel registro delle imprese.

L’IMPRESA SOCIALE

La figura dell'impresa sociale è stata introdotta nel nostro ordinamento nel 2006 e costituisce una
delle organizzazioni rientranti nell'ambito del terzo settore.
Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati, inclusi quelli rientranti nel libro
V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un'attività di impresa di interesse
generale, senza scopo di lucro e finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità
di gestione responsabile e trasparente, favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli
utenti e di tutti gli altri soggetti interessati alle loro attività. Per attività principale si intende quella per
la quale i relativi ricavi sono superiori al 70% dei ricavi complessivi dell'organizzazione.
L'impresa sociale deve essere costituita per atto pubblico e l'atto costitutivo deve contenere il
carattere sociale dell'impresa e deve essere depositato entro trenta giorni a cura del notaio e dagli
amministratori presso il registro delle imprese per l'iscrizione in un'apposita sezione.
Nella denominazione deve essere contenuta l'indicazione di impresa sociale. L'impresa sociale deve
destinare gli utili e gli avanzi di gestione allo svolgimento dell'attività statutaria o ad incremento del
patrimonio, quindi è vietata la distribuzione anche indiretta di utili e fondi. Le modalità di ammissione
ed esclusione dei soci sono regolate secondo il principio di non discriminazione. Le imprese sociali
devono tenere almeno il libro giornale e libro degli inventari e devono redigere e depositare il bilancio
sociale presso il registro delle imprese. Deve essere prevista la nomina di uno o sindaci con il
compito di vigilare sull'osservanza della legge e dello Statuto e dei principi di correttezza
amministrativa, nonché sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile. In
caso di insolvenza le imprese sociali sono sottoposte alla procedura di liquidazione coatta
amministrativa e il patrimonio residuo è devoluto secondo funzioni di finalità sociale. La
trasformazione, fusione e scissione devono essere realizzate in modo da preservare l'assenza di
scopo di lucro.

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L’imprenditore individuale è per definizione una persona fisica, a cui si aggiungerebbe secondo
autorevole opinione, anche la persona giuridica non corporativa come la fondazione e il patrimonio
separato, mentre non rientra invece il patrimonio autonomo che è caratterizzato da una pluralità di
costituenti.
Per le persone fisiche l'acquisto della qualità di imprenditore si produce in conseguenza dell'effettivo
inizio dell'attività economica. L’adempimento pubblicitario non influisce sull'acquisto della qualità di
imprenditore.

Occorre stabilire da quale momento si può dire che l’attività è iniziata e quindi nata l'impresa.
Secondo la dottrina si potrebbe considerare una tesi oggettiva e una tesi soggettiva.
La tesi oggettiva sostiene che l'impresa nasce quando sono realizzate l'organizzazione e l’attività
produttiva in quanto non si può qualificare come impresa, l'attività iniziata senza il supporto stabile
di una organizzazione non seguita dall’esercizio dell’attività.
Si riconduce l'attività di impresa a quelli che sono denominati atti di organizzazione, e cioè i
cosiddetti atti preparatori al vero e proprio inizio delle attività come ad esempio, la stipulazione del
contratto di locazione per la sede, e si distinguono dagli atti dell'organizzazione mediante quali si
esplica la vera e propria attività dell'impresa.

Secondo la tesi soggettiva, la distinzione tra atti di organizzazione e atti dell'organizzazione


non è particolarmente agevole, l'importante è che si tratti di atti non isolati e riconducibili verso
l'esercizio dell'impresa, come ad esempio gli atti diretti al procacciamento dei lavoratori o dei beni
strumentali o delle richieste di licenze ed autorizzazioni senza che avviene il concreto compimento
dell'attività di produzione.

La scelta di una o dell'altra tesi non è propriamente agevole dal momento in cui la legge ricollega
l'individuazione del momento nell'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, anche per
l'applicazione delle forme di tutela dei segni distintivi, contro la concorrenza sleale, e la soggezione
alle procedure concorsuali.

La cessazione dell'impresa non è legata a momenti formali, come possono essere la cancellazione
dal registro delle imprese o la chiusura della liquidazione, ma si produce in conseguenza della
cessazione di fatto dell'attività di impresa.
D'altronde pur collegando in linea di principio la cessazione dell'attività alla cancellazione dal registro
delle imprese, entro l'anno successivo da quel momento l’imprenditore può essere dichiarato fallito
e anche nel caso in cui sia avvenuta la cancellazione d'ufficio dell'impresa, viene considerata la
possibilità che anche dopo tale adempimento pubblicitario l'attività sia proseguita e quindi sì
legittimano i creditori e il Pubblico Ministero a far valere tale circostanza per l'applicazione della
disciplina fallimentare.

L'accertamento della cessazione dell'attività, si riscontra nella disgregazione dell'organizzazione


aziendale. Insomma, deve seguire l'effettiva liquidazione del patrimonio aziendale, compresa la
soddisfazione delle passività esistenti. La cessazione del complesso aziendale potrà dirsi avvenuta
solo quando oltre ad avere esaurito la liquidazione dell'attivo ed avere alienato non solo le giacenze
o le scorte in magazzino, ma anche l'attrezzatura necessaria allo svolgimento dell'attività.
La cessazione dell'impresa può avvenire anche per la morte dell'imprenditore e dove gli eredi
decidono di non continuare l'attività del loro dante causa, essi dovranno liquidare l'attività e
disgregare gli elementi aziendali. Nel caso In cui l’eredità si presenti dannosa, gli eredi potranno
chiedere entro un anno dalla sua morte e sempre che l'insolvenza si sia manifestata anteriormente
alla stessa o nell'anno successivo, il fallimento dell'imprenditore defunto a condizione che l'eredità

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non si sia confusa con il loro patrimonio. Con la dichiarazione di fallimento cessano di diritto gli effetti
della separazione dei beni ottenuta dai creditori del defunto a norma del codice civile.

Sia l’incapace che l'inabilitato possono essere autorizzati solo a continuare ma non ad iniziare
l'attività commerciale. Il minore emancipato, dopo l'autorizzazione consegue la piena capacità di
agire anche per gli atti estranei all'impresa, con la sola eccezione degli atti di donazione.
La continuazione o l'inizio, nel caso in cui l'impresa è pervenuta per successione, relativa ad
un'impresa commerciale, nel caso di incapacità assoluta come nel caso degli inabilitati e nei minori
emancipati deve essere sempre autorizzato dal tribunale su parere del giudice tutelare. Il giudice
può autorizzare l'esercizio provvisorio dell'impresa e tutti i provvedimenti devono essere iscritti nel
registro delle imprese.

LA PUBBLICITÀ’ DELL’IMPRENDITORE INDIVIDUALE

L'impresa essendo destinata al mercato fa sorgere una fitta rete di rapporti con i terzi e per
soddisfare questa esigenza, il legislatore del 42 apprestò uno strumento ad hoc denominato registro
delle imprese riservandolo ai soli imprenditori commerciali che dovevano iscriversi entro 30 giorni
dal momento dell'acquisto della qualità di imprenditore.
Il registro delle imprese soddisfa una doppia esigenza: quella dell'impresa di rendere edotti della
propria attività coloro che entrano in contatto con essa e quella dei terzi, attraverso l'informazione
relativa ai fatti e alle vicende più importanti della vita di impresa a partire dalla sua nascita.

Viene individuata nella camera di commercio la sede dell'ufficio del registro delle imprese. Vengono
istituite sezioni speciali del registro, nelle quali sono iscritte tutte quelle che categorie di imprenditori
per le quali non era prevista alcuna forma di pubblicità, e cioè per gli imprenditori agricoli, i piccoli
imprenditori, le società semplici e le imprese artigiana. L'iscrizione nelle sezioni speciali svolge la
funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, oltre agli effetti previsti dalle leggi
speciali.

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I SEGNI DISTINTIVI

LA DITTA: CONCETTO E FUNZIONE

La ditta è il nome usato dall'imprenditore nei rapporti inerenti l'esercizio dell'impresa e costituisce un
segno distintivo necessario, nel senso che ogni imprenditore ne è dotato ed in mancanza di una
diversa scelta coincide col nome civile.
Il nome civile distingue l'imprenditore nei rapporti extra aziendali, mentre la ditta lo distingue nei
rapporti riguardanti l'esercizio dell'impresa. Mentre nei rapporti extra aziendali può verificarsi la
omonimia, nei rapporti imprenditoriali viene esclusa l’esistenza di ditte identiche, anche quando
siano una conseguenza del nome civile.
La ditta svolge una funzione di trasparenza, che consente ai terzi di individuare con immediatezza
il soggetto a cui fa capo l'attività di impresa e una funzione concorrenziale che garantisce l'attività
svolta sotto tale segno distintivo, contro il pericolo di confusione con un'analoga attività esercitata
da imprese concorrenti.

L’articolo 2563 impone nella formazione della ditta, l'adozione del cognome o della sigla
dell'imprenditore che, secondo il principio della verità coincide con il soggetto che utilizza la
denominazione e il titolare dell'impresa al momento della sua creazione. Viene ridotto, in caso di
trasferimento del segno distintivo ad un altro imprenditore o di cambiamento dello stato civile, ad un
principio di verità storica, che porta ad escludere che l'imprenditore possa utilizzare la ditta come
forma di sottoscrizione degli atti, a meno che non vi sia una disposizione particolare che lo consenta.

L'indicazione del cognome o della sigla dell'imprenditore non esaurisce il contenuto della ditta, ma
costituisce un limite all'autonomia privata che può esplicarsi aggiungendo all'indicazione ogni altra
denominazione di fantasia, purché sia dotata di capacità distintiva o la cosiddetta originalità, che
deve essere rispettosa delle regole fondamentali dell'ordine pubblico e del buon costume, e non
trarre in inganno il pubblico circa la natura dell'attività svolta. Le aggiunte di fantasia possono
acquisire un valore attrattivo ben superiore al nome e costituire il cosiddetto cuore della ditta; l'uso
accanto al nome di indicazioni prive di capacità distintiva non integra un illecito, ma esclude che
possa fa parte della ditta fruendo del privilegio dell'uso esclusivo di cui all'articolo 2563.

LA FORMAZIONE DELLA DITTA: IL PRINCIPIO DI NOVITÀ

L'articolo 2564 stabilisce che quando la ditta risulta uguale o simile a quella usata da un altro
imprenditore e possa creare confusione per l'oggetto il luogo in cui viene esercitata, incombe a carico
del suo creatore l'obbligo di introdurre degli elementi che siano idonei a differenziarla.
La giurisprudenza rende rilevante la confondibilità di ditte anche in presenza di un rapporto
concorrenziale veramente potenziale e non ancora effettivo.
Il conflitto tra ditte confondibili viene risolto in base al principio della priorità dell'uso e non può essere
sostituito, per le imprese commerciali, da quello della priorità dell'iscrizione nel registro delle imprese,
in quanto la mancata registrazione non preclude totalmente l'opponibilità del fatto soggetto a
pubblicità ma è subordinata all'onere della prova dell'effettiva conoscenza da parte del terzo a cui si
vuole opporre il fatto non iscritto. Pertanto, nel caso di mancata registrazione si deve provare che al
momento della più tempestiva registrazione l'altro imprenditore fosse consapevole della
preesistenza della ditta uguale o simile non registrata.
Nel caso in cui le ditte confondibili siano formate dal solo cognome, si pone il problema se l'onere di
differenziazione si arresta, sia nel rispetto del principio di verità che nel diritto di ogni soggetto all'uso
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del proprio nome. In tal caso la seconda ditta deve sostituirlo con un nome di fantasia ed aggiungere
il nome, non come funzione distintiva dell’impresa, ma come indicazione del soggetto responsabile
per le obbligazioni assunte.

La registrazione non seguita dall'uso effettivo non attribuisce una esclusiva sul segno distintivo e, in
caso di conflitto tra la ditta registrata e quindi la ditta ufficiale e la ditta effettivamente usata quindi
quella ufficiosa, è solo a quest'ultima che può essere riconosciuta la tutela giuridica. Il diritto all'uso
della ditta si estingue con la cessazione dell’uso, il quale deve assumere un carattere definitivo,
come avviene nell'ipotesi di trasferimento dell'azienda non accompagnato dal trasferimento della
ditta; non è invece sufficiente la mera inattività del titolare non essendo alla ditta applicabile l'istituto
della prescrizione estintiva.

IL TRASFERIMENTO DELLA DITTA

La ditta, secondo l'articolo 2565 può essere trasferita sia mortis causa sia per atto tra vivi, purché
avvenga unitamente al trasferimento dell'azienda.
Articolo 2565 deroga al principio di verità, non essendo imposto all'acquirente della ditta l'aggiunta
del proprio nome a quello del Dante causa e la funzione di identificazione del titolare dell'impresa,
risulta temperato dall’onere di pubblicità. In caso di mancata ottemperanza all'onere della pubblicità
del trasferimento, si stabilisce in base al principio dell'apparenza del diritto, la responsabilità solidale
del cedente nei confronti dei terzi di buona fede per le obbligazioni contratte dal cessionario.

Per salvaguardare l'interesse morale del vecchio titolare a non veder associato il proprio nome
all’attività svolta da un altro, nei trasferimenti mortis causa deve essere prevista un’apposita clausola
che esclude il trasferimento della ditta, negli atti inter vivos, occorre il consenso dell’alienante
affinché il trasferimento dell’azienda includa la ditta.

L’INSEGNA: CONCETTO E FUNZIONE

L’insegna è un segno posto all'ingresso del locale dove l'imprenditore espone al pubblico i beni o
servizi da lui prodotti o commercializzati e risponde sia alla funzione di distinguere l'esercizio dagli
altri della concorrenza e sia per facilitare la reperibilità. È possibile avere una stessa insegna per
indicare una pluralità di esercizi della stessa impresa come di avere diverse insegne per i vari rami
di un'unica impresa.

Anche l'insegna deve essere dotata del requisito della originarietà. Il titolare del diritto sull'insegna
ha il potere di inibire ad altri imprenditori l'uso dello stesso segno distintivo qualora tale circostanza
possa generare confusione nel pubblico per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui è esercitata.
L’insegna svolge una funzione distintiva territorialmente localizzata e deve ricomprendere l'area di
potenziale espansione dell'attività non riferita ad un singolo esercizio, ma ad una catena di esercizi
appartenenti alla stessa impresa.

Come per la ditta, anche per l'insegna viene individuato nell'uso il momento del sorgere del
diritto sull'insegna a seguito della sua fisica apposizione sul locale.
Il diritto sull'insegna è di uso esclusivo nei confronti degli Imprenditori concorrenti. L'insegna non
essendo soggetta alla pubblicità sul registro delle imprese, l'eventuale conflitto tra insegne
confondibili viene risolto unicamente in base alla priorità d'uso.
Il diritto all'uso esclusivo si estingue per la cessazione definitiva dell'impresa o per il mancato utilizzo
prodotto per un tempo sufficiente a far riacquistare all'insegna il carattere della novità.

L'insegna non è trasferibile separatamente dall'azienda, e neanche possa essere oggetto di


concessione in uso trattandosi di un segno distintivo che localizza un certo complesso organizzato
ai fini imprenditoriali.
All'insegna non può essere applicato il principio della verità e qualora l’insegna include il nome
dell'imprenditore, l'interesse a non vedere il proprio nome identificare l'attività svolta da altri potrà
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trovare tutela mediante un'apposita clausola pattizia che esclude dai beni costituenti il complesso
aziendale ceduto, l'insegna.

IL MARCHIO

Tra i segni distintivi dell'impresa abbiamo il marchio che è il segno con il quale l'imprenditore
presenta i prodotti o i servizi sul mercato.
Il marchio assicurava la provenienza del prodotto da parte di un’azienda, garantendo indirettamente
il livello qualitativo. Tale funzione, definita come funzione di indicazione di provenienza, è tramontata
con la modifica normativa che ammette la circolazione del marchio separatamente dall'azienda.
La funzione distintiva del marchio riguarda soltanto la presenza nel prodotto di determinate
caratteristiche particolari, riconducibili solitamente all'utilizzazione di un brevetto o di una serie di
specifiche condizioni e tecniche procedimentali (know-how) che consentono di differenziarlo dai beni
analoghi. Pertanto il marchio assicura la presenza di queste caratteristiche. Vige il divieto di utilizzare
come marchio i segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolar modo sulla provenienza
geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti.
Il marchio veicola le scelte del consumatore e quindi adempie ad una funzione pubblicitaria,
comprovato dal fatto che il marchio viene utilizzato anche dalle imprese in posizione di monopolio
che non avrebbero bisogno di differenziare i propri prodotti in termini concorrenziali.
Il marchio si presenta come un segno che pur essendo idoneo a differenziare il prodotto non si
immedesima con esso e quindi è suscettibile di essere concepito come separato dal prodotto stesso,
tanto che la sua apposizione è frutto di una libera scelta del produttore. Tale principio noto come
estraneità del marchio al prodotto, esclude che possono essere protette come marchio le
innovazioni tecniche o estetiche che sono elementi costitutivi del prodotto stesso ed inseparabili
pena la sua valutazione. Su tali innovazioni è possibile acquisire un’esclusiva attraverso la loro
brevettazione. Il marchio può essere costituito sia da parole che da figure. Nel primo caso sono
Marchi denominativi, nel secondo caso Marchi figurativi o emblematici. Anche un suono può essere
un marchio come nel caso di una sigla di una trasmissione. Possono formare oggetto di marchio
anche le forme dei prodotti purché non si tratti né di forme tecniche, ossia imposte necessariamente
dalla natura del prodotto, né di forme ornamentali che aumentano il pregio estetico, ma di forme del
tutto arbitrarie
Il marchio debole è un segno costituito da un'espressione descrittiva del prodotto che per rispettare
il requisito della novità, vengono apposte determinate aggiunte come prefissi, suffissi è solo su tali
varianti opera l'esclusiva. I marchi forti sono quei segni di fantasia dotati di un valore semantico
privo di ogni riferimento al prodotto.

Viene a crearsi uno stretto collegamento tra il marchio e l'impresa mentre non è più necessaria la
corrispondenza della titolarità tra l'impresa e il marchio.

I REQUISITI DI VALIDITÀ’

I requisiti di validità del marchio sono la novità, l'originalità o la capacità distintiva, la liceità
e la veridicità.
Il requisito della novità manca completamente qualora il segno per il quale si chiede la registrazione
è già noto come marchio distintivo di prodotti o servizi simili a quelli messi in commercio da altri che
può comportare un rischio di confusione tra il pubblico.
Sono considerati carenti di novità anche i marchi costituiti da segni di uso generale come linguaggio
corrente o di uso nel commercio, rientra invece se, formati da segni dotati di valenza descrittiva del
prodotto accompagnati dall’aggiunta di modifiche, quali ad esempio l'aggiunta di prefissi, suffissi
oppure una alterazione o combinazione di parole.
L'utilizzo come marchio di una denominazione geografica, è perfettamente lecita se priva di qualsiasi
collegamento con il prodotto, mentre non lo è qualora vada a richiamare particolari caratteristiche.
La nullità del marchio può essere sanata se il segno ha acquistato carattere distintivo del prodotto a
seguito dell'uso che ne stato fatto.

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Sotto il profilo della liceità occorre inquadrare l'uso come marchio di ritratti o nomi altrui. Mentre per
i ritratti la registrazione è condizionata al consenso del soggetto ritratto, per i nomi altrui viene
stabilita la libera appropriabilità come marchio del nome altrui purché non vengono pregiudicati la
fama, il credito e il decoro del soggetto.
Per il principio della veridicità il marchio non debba trarre in inganno circa la natura, la qualità o la
provenienza dei prodotti o servizi.

L'acquisto del diritto di esclusiva all'uso del segno distintivo avviene con la registrazione del marchio
a seguito della domanda inoltrata all'ufficio brevetti e marchi, il quale verifica la presenza dei requisiti
di validità, eccezion fatta del conflitto con altri segni in quanto la tutela è rimessa all'iniziativa degli
interessati.

Chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha facoltà di continuare ad utilizzarlo, nonostante che
la registrazione sia stata successivamente ottenuta da altri, nei limiti in cui anteriormente se ne è
avvalso. Tale norma non sta a significare che ci sia la coesistenza di un marchio registrato e di uno
non registrato, bensì, stabilisce che l'utilizzo del precedente segno quando non importi notorietà o
comunque a livello puramente locale, non esclude il requisito della novità.
Qualora i terzi adottino un segno uguale o comunque simile, il titolare del marchio non registrato
potrà agire non con l'azione di contraffazione, ma con quella di concorrenza sleale per confusione,
in quanto la confondibilità del segno distintivo si traduce in confondibilità dei prodotti o dell'attività.
L’esclusiva riconosciuta al titolare del marchio registrato non è assoluta in quanto se ne deve
avvalere in modo esclusivo per le cose per le quali è stato registrato e questo esprime il principio
della cosiddetta relatività della tutela del marchio o principio di specialità e a tale scopo la
registrazione del marchio deve contenere l'indicazione del genere di prodotti che destinato a
contraddistinguere e la tutela si estende anche ai prodotti affini.
Per i marchi cosiddetti ordinari, la tutela è limitata ai prodotti indicati nel brevetto e a quelli affini,
mentre per i marchi particolarmente noti e quindi di risonanza si realizza un totale distacco del segno
dal prodotto, esaltandone la funzione pubblicitaria.
La ratio della tutela del marchio celebre è duplice, da un lato evita lo sfruttamento parassitario della
sua valenza, e dall'altro evita una menomazione dell'immagine dell'impresa per prodotti di uso vile,
pericoloso o nocivo. La registrazione del marchio dura 10 anni dalla data di deposito della domanda
ed è rinnovabile e praticamente ha una durata illimitata.

La protezione del marchio è articolata sul piano processuale, in tre tipi di azioni: cautelari, di
cognizione ed esecutive.
Nelle azioni cautelari, troviamo la descrizione, il sequestro e la inibitoria. Le prime due sono misure
cautelari reali, perché colpiscono le cose, mentre l'ultima è una misura cautelare personale, perché
colpisce una persona impedendole la continuazione di un facere.
La descrizione, fotografa la situazione che viene indicata quale violazione del diritto di esclusiva,
ha per oggetto i prodotti, gli involucri, il materiale inerente la produzione ed in genere tutti quegli
elementi che provano la violazione dell'esclusiva. La descrizione ha finalità ricognitive e lascia il
bene nella disponibilità di colui contro il quale è stata disposta. Il sequestro si realizza con lo
spossessamento e va a svolgere una funzione preclusiva della perpetuazione dell’illecito.
La funzione preclusiva è svolta con maggiore incisività dall'inibitoria che è un ordine di non facere,
cioè di non procedere ad alcuna forma di utilizzazione del marchio contraffatto ed ha una portata
generale. L'azione di contraffazione mira a far dichiarare l’illecito e quindi a fare interrompere un
uso indebito del segno distintivo.
Poi ci sono una serie di misure accessorie quale la rimozione del segno contraffatto dal prodotto e
della pubblicazione della sentenza su uno o più giornali a cura dell'attore vittorioso e a spese del
convenuto soccombente. Per il danno eventualmente prodotto nel patrimonio del titolare in
conseguenza della violazione, che deve essere in rapporto di causalità con l’illecito, si configura sia
nel danno emergente che da lucro cessante.

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LA CIRCOLAZIONE DEL MARCHIO

Il marchio esalta la funzione pubblicitaria, e può essere trasferito rispetto ai prodotti o servizi per i
quali è stato registrato.
Il precedente regime prevedeva la licenza d'uso del marchio ma in modo esclusivo, invece con la
nuova disciplina è prevista la possibilità che più utenti contemporaneamente utilizzino lo stesso
segno distintivo.
In tale ipotesi, si pone l'esigenza di protezione dei consumatori in ordine al livello qualitativo dei
prodotti contrassegnati con lo stesso marchio e quindi è imposto per il licenziatario non esclusivo,
l'obbligo di usare il marchio per contraddistinguere prodotti uguali a quelli messi in commercio con
lo stesso marchio del titolare o di altri licenziatari, consentendo solo al licenziatario esclusivo la
possibilità di differenziare la qualità del prodotto o il livello del servizio.

ESTINZIONE DEL MARCHIO

Il diritto esclusivo del marchio registrato si estingue per rinuncia espressa o per scadenza in caso di
mancato rinnovo. Nel caso in cui il titolare del segno scaduto continui a fare uso del marchio, sarà
trattato come un marchio di fatto con la conseguente perdita della tutela sostanziale e processuale
riconosciuta al marchio registrato.
Ci sono delle ipotesi di sopravvenuta perdita dei requisiti di validità del marchio, che si convertono
in causa di decadenza come il fenomeno della volgarizzazione del marchio che porta ad una perdita
di distintività. L'estinzione del diritto non è connessa solo all'acquisto di carattere generico, ma ad
un comportamento commissivo o omissivo del titolare e si riferisce nel caso in cui l'avente diritto
abbia tollerato l'attività di contraffazione altrui senza difendere il marchio e quindi trasformandolo in
denominazione generica.

Per evitare che imprenditori concorrenti non abbiano disponibilità del segno distintivo su quelli non
utilizzati, viene imposto al titolare l'uso effettivo del marchio entro cinque anni dalla sua registrazione
e al mancato uso, viene equiparata una sospensione per lo stesso periodo, eccetto nel caso in cui
il mancato uso sia dovuto a motivi legittimi come per esempio che sia sconsigliato l'uso a seguito di
ripetute contraffazioni.
La domanda giudiziale volta a far dichiarare la decadenza o la relativa eccezione sono precluse dalla
ripresa dell'uso dopo la scadenza del quinquennio, tale ripresa non ha valore se i preparativi sono
iniziati dopo che il titolare ha avuto conoscenza della imminente proposizione della domanda o
eccezione di decadenza.
Dalla decadenza per non uso sono esclusi i marchi difensivi, cioè quei marchi che presentano
somiglianza con il marchio effettivamente utilizzato e che sono registrati per gli stessi prodotti per
evitare che altri si avvicinano al marchio che viene difeso e soprattutto se si tratta di Marchi deboli,
adottando quelle piccole varianti idonee ad escludere la confondibilità.

Legittimato all’azione è chiunque vi abbia interesse, anche il pubblico ministero.


La sentenza che dichiara la nullità ha efficacia erga omnes e non solo per le parti in causa, ha effetto
retroattivo, travolgendo anche gli atti di disposizione posti in essere in precedenza sul segno
distintivo invalidato.
Viene prevista una eccezionale sanatoria del marchio nullo per difetto di novità, dopo che per 5 anni
consecutivi se n’è fatto un uso pubblico, salvo che la registrazione del marchio sia stata ottenuta in
malafede.
La convalidazione non è tuttavia una conservazione in toto degli effetti derivanti dalla registrazione,
infatti, mentre l'esclusiva comprende anche i prodotti e servizi affini, la sopravvivenza del marchio
nullo opera solo nei limiti dell'effettivo uso.
In caso di registrazione del marchio da parte di una persona diversa da quella avente diritto,
quest'ultimo può optare tra la declaratoria di nullità ed il trasferimento a suo nome, la c.d. azione di
rivendicazione.

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Le Invenzioni industriali e le ragioni della loro tutela

Per invenzione, si intende qualunque idea che consenta la soluzione ad un problema tecnico, idonea
a soddisfare i bisogni dell'uomo. Comprende sia le idee dotate di un particolare livello di creatività e
sia quelle che costituiscono la semplice applicazione di nozioni già acquisite alla comune
conoscenza. L'invenzione è un bene immateriale in quanto da un lato è suscettibile di soddisfare
un bisogno dell'uomo, dall'altro è concettualmente separabile dalla personalità dell'inventore e sia
dalle cose materiali attraverso la quale l'idea viene comunicata o realizzata.

L'invenzione consiste nella ideazione di un particolare modo di operare per giungere ad un risultato
pratico e si distingue in:
 invenzione di procedimento, quando consiste nella scoperta di un particolare
procedimento per giungere alla realizzazione di un prodotto già noto ma migliorandone lo
standard o riducendone i costi;
 invenzione di prodotto quando consiste nel realizzare nuovi oggetti dotati di particolari
caratteristiche;
 invenzioni d'uso, quando consiste in una nuova e diversa utilizzazione di oggetti già
esistenti.

La tutela dell'interesse dell'inventore, avviene attraverso la concessione del brevetto, che conferisce
al titolare la facoltà di sfruttare, sia pure temporaneamente, in via esclusiva l'invenzione. La
brevettazione implica che con essa venga resa di pubblico dominio l'invenzione, assicurando così
la realizzazione di ulteriori sviluppi.
Nel caso in cui l'invenzione derivi da vere e proprie organizzazioni imprenditoriali abbiamo la
cosiddetta invenzione di servizio, che mentre il diritto morale dell'inventore spetta ovviamente
all'autore, il diritto al suo sfruttamento economico spetta al soggetto titolare dell'ente che ha
organizzato la ricerca. Se l'invenzione è fatta in esecuzione di un contratto di lavoro dipendente,
senza che l'attività di ricerca formi oggetto dello stesso, la cosiddetta invenzione aziendale, il diritto
allo sfruttamento economico spetta al datore di lavoro mentre all'inventore spetta un equo premio
proporzionato all'importanza che ha l'invenzione. Nel caso in cui l'invenzione non ha ad alcuna
attinenza, nemmeno occasionale con lo svolgimento del rapporto di lavoro, ma rientra nel campo di
attività del datore di lavoro, questo ha un diritto di opzione da esercitarsi entro tre mesi dal
conseguimento del brevetto, per l'acquisto dello stesso o della relativa licenza d'uso, contro un
corrispettivo.

I requisiti per la brevettabilità dell’invenzione

Il primo requisito richiesto per la brevettabilità è la materialità dell'invenzione, ovvero deve avere
l'attitudine a realizzarsi in un quid fisicamente percepibile, che possa essere prodotto ed essere
immesso sul mercato.
Non possono formare oggetto di brevetto le scoperte, le teorie scientifiche e metodi matematici e ne
consegue la non brevettabilità del software, mentre è brevettabile l'hardware.

Il requisito dell'industrialità significa che l'invenzione per essere brevettabile, deve riguardare un
oggetto materiale, suscettibile di produzione in serie ed implica necessariamente il ricorso alla
produzione di massa per la soddisfazione della potenziale domanda. Questo significa che non può
essere brevettato un prodotto di produzione artigianale perché il monopolio di fabbricazione che vi

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è connesso, si tradurrebbe nella insoddisfazione degli utenti e per una sproporzione tra domanda
ed offerta e nella possibilità per il titolare del brevetto di imporre prezzi esorbitanti.
Il requisito della novità, qualifica come nuova un'invenzione non compresa nello stato della tecnica
prima del deposito della domanda di brevetto. Non si deve trattare di una divulgazione avvenuta
contro la volontà dell'inventore, ma determinata dalla necessità di valorizzare l'invenzione, come
avviene in occasione di esposizioni internazionali ufficialmente riconosciute.
Il requisito dell'originalità, deve rappresentare un contributo creativo significativo alle conoscenze
dell'epoca, non deducibile in base alla semplice competenza specifica media. Il livello di originalità
è attenuato nelle invenzioni di perfezionamento che nascono da una modifica ad una precedente
invenzione e presentano un legame di dipendenza dall'invenzione principale e per cui a meno che
non sia divenuta di dominio pubblico, non possono essere attuate senza il consenso del titolare del
brevetto principale.
La legge prevede l'obbligo di rilasciare una licenza obbligatoria al titolare del brevetto posteriore
nella misura necessaria a sfruttare l'invenzione, purché rappresenti un notevole progresso tecnico.
L'invenzione di traslazione consiste nel trasferire una invenzione esistente in un campo diverso di
applicazione conseguendo un risultato finale diverso. L’invenzione di combinazione mette insieme
elementi già conosciuti e raggiunge un risultato tecnico nuovo.

Il brevetto è concesso da un apposito ufficio su domanda corredata dalla descrizione delle invenzioni
e l'ufficio accerta solo la liceità e la industrialità dell'invenzione e non la sua novità e nemmeno
la titolarità del diritto al brevetto. Contro le decisioni dell'ufficio si può ricorrere ad un'apposita
commissione.
Il brevetto dura 20 anni e non è rinnovabile e attribuisce al titolare il diritto esclusivo all'attuazione e
allo sfruttamento economico dell'invenzione sia con la fabbricazione che con la vendita del prodotto.
Il titolare del brevetto può agire contro chi sfrutta abusivamente l'invenzione con l'azione di
contraffazione e la relativa sentenza, oltre ad inibire la prosecuzione dell'indebita utilizzazione
dell'invenzione, può disporne l'eliminazione dal mercato dei prodotti realizzati, il risarcimento del
danno e la pubblicazione della sentenza, rappresentano i tipici rimedi contro l'illecito concorrenziale.

La legge riconosce all'autore dell'invenzione non brevettata o ad un suo avente causa, il diritto a
continuare a sfruttare le invenzioni nei limiti del preuso.

Il titolare del brevetto può concedere ad altri la licenza d'uso che può essere in via esclusiva o meno,
contro un corrispettivo che può essere rappresentato anche da una percentuale sui prodotti venduti
o sugli utili realizzati.
Particolare forma di licenza (obbligatoria) è prevista in caso di mancata attuazione dell’invenzione
nel termine triennale dal rilascio del brevetto e l'inerzia del titolare del brevetto non viene sanzionata
con la decadenza dell'esclusiva ma con il diritto riconosciuto ad ogni interessato ad ottenere una
licenza per l'uso non esclusivo dell'invenzione.

Una tutela, seppur minore, viene riconosciuta al miglioramento della funzionalità o alla gradevolezza
estetica della produzione di massa. Nel caso in cui la forma dell'oggetto accresca sia l'utilità che il
pregio estetico si può chiedere una doppia brevettazione dalla quale si può usufruire in tempi
successivi, essendo vietato dalla legge il cumulo delle due protezioni monopolistiche. La principale
differenza sta nella durata dell'esclusiva che per i modelli ornamentali è di 15 anni, e per i modelli di
utilità e di 10 anni.

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Distinzione tra ausiliari autonomi e subordinati

Per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale, è richiesto il concorso sia dei mezzi materiali che di
energie lavorative, coordinate secondo l’art. 2082, a cui concorrono altri soggetti che sono gli
ausiliari dell’imprenditore.
Contribuiscono allo svolgimento dell’attività, rimanendo estranei alle vicende giuridiche della stessa,
in quanto i diritti e gli obblighi fanno capo al titolare dell’attività.
Questa collaborazione può avvenire in forma autonoma o subordinata: la differenza è data dalla
presenza o meno di un vincolo di dipendenza, con sottoposizione al potere disciplinare
dell’imprenditore.

Anche la collaborazione autonoma non si svolge sempre in modo del tutto separato
dall’organizzazione aziendale, richiedendo un certo coordinamento e si parla in tal caso di rapporto
di parasubordinazione e qualora assuma un carattere imprenditoriale, da luogo all’impresa
ausiliaria.
Gli ausiliari subordinati, sono legati all’impresa dal rapporto di lavoro subordinato, disciplinato dal
codice civile e dagli accordi collettivi e aziendali, mentre gli ausiliari autonomi sono legati all’impresa
da svariati tipi di rapporti contrattuali.

L’institore

L’institore secondo l'articolo 2203 è colui che è preposto dal titolare di un'impresa commerciale,
ovvero di una sede secondaria o di un ramo di essa. Si tratta di un soggetto che assume una
particolare posizione nell'impresa non essendo sottoposto a gerarchie, e gli conferisce un potere di
rappresentanza dell'imprenditore per tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa.
Insieme all'imprenditore è preposto all'osservanza delle norme relative alla tenuta delle scritture
contabili e alla pubblicità nel registro delle imprese ed è coinvolto nelle medesime responsabilità
penali in caso di fallimento. La qualità di institore non può essere riconosciuta a collaboratori
autonomi.

La cessazione del ruolo institorio, è soggetta, ai fini della sua opponibilità ai terzi, alla pubblicità nel
registro delle imprese, e per la revoca sono valide anche le altre cause di estinzione previste dal
codice civile, quali morte, rinuncia, scadenza del termine.
La figura dell’institore è un istituto proprio di tutte le imprese commerciali, sia gestite in forma
individuale che di società. L’institore si affianca in funzione subordinata ed ausiliare agli
amministratori, nei confronti dei quali risponde del suo operato.

Il potere rappresentativo dell’institore si estende a tutti gli atti pertinenti all’esercizio


dell’impresa, senza distinzione tra atti di ordinaria o straordinaria amministrazione e né tra
necessità o semplice utilità.
Fanno eccezioni gli atti di alienazione e costituzione di ipoteche sugli immobili, a meno che
costituiscono l’oggetto specifico dell’impresa.
Il potere di rappresentanza, con atto espresso può essere ampliato comprendendo non solo gli atti
dispositivi di beni immobili, ma anche gli atti che esorbitano dal concetto di gestione dell'impresa,
come l’alienazione o l'affitto dell'azienda, normalmente preclusi all'institore.
I terzi possono convenire in giudizio l'institore ed essere da lui convenuti per le obbligazioni
dipendenti gli atti compiuti nell'esercizio dell'impresa a cui è preposto. Anche la rappresentanza
processuale è suscettibile di limitazione volontaria modificabile salvo l'onere di pubblicità.
Per avere la deviazione degli effetti dell'atto posto in essere dal rappresentante sul patrimonio del
rappresentato, occorre la spendita del nome di quest'ultimo e l'articolo 2208 sancisce la
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responsabilità personale dell'institore che omette di far conoscere al terzo che egli tratta per il
preponente.

I procuratori

I procuratori sono coloro che in base ad un rapporto continuativo hanno il potere di compiere per
l'imprenditore atti pertinenti l'esercizio di impresa, pur non essendo preposti ad essa. L'articolo
2209 estende la norma sulla pubblicità degli institori anche ai procuratori.
L'espressione “potere di compiere per l'imprenditore gli atti pertinenti all'esercizio di impresa”, si
riferisce non solo ad un potere rappresentativo esterno, ma anche ad un corrispondente potere
decisionale interno, che non può mai abbracciare la globalità dell'attività di impresa o di un suo ramo
e si svolge sempre sotto il controllo di un superiore gerarchico e questo lo differenzia dall'institore.
La mancata ottemperanza dell’onere di pubblicità, comporta la presunzione nei confronti di terzi in
buona fede, delle generalità del potere di rappresentanza, restando irrilevante la normale limitazione
del potere gestorio interno.
Non può essere applica la norma sulla responsabilità dell’imprenditore anche in difetto della spendita
del nome.

I commessi

I commessi sono degli ausiliari subordinati che svolgono mansioni prevalentemente esecutive, e si
tratta di un potere di rappresentanza, con le limitazioni contenute nel conferimento dell’incarico.
Possono essere sia lavoratori impiegati che operai, accomunati dal potere di compiere atti relativi
alle operazioni a cui sono incaricati.
I commessi non possono concludere contratti derogando alle condizioni generali ed alle clausole
prestampate predisposte dall’imprenditore; inoltre, per i commessi preposti alle vendite, non
possono riscuotere il prezzo delle merci al di fuori dei locali dell’impresa, di non concedere sconti o
dilazioni che non siano di uso.

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Concetto giuridico e concetto economico di azienda

L'articolo 2555 definisce l'azienda come un complesso organizzato dei beni dall'imprenditore
per l'esercizio dell'impresa, rivolta alla produzione e allo scambio di beni o servizi. L'azienda
rappresenta uno dei requisiti per l'acquisto della qualità di imprenditore. La tutela degli interessi
dell’azienda è già presente anche se il complesso organizzato non è ancora in esercizio.
Il vincolo funzionale unisce i vari elementi costitutivi dell'azienda e grazie alla loro coordinata
utilizzazione, consente di venire incontro ai bisogni del mercato che i singoli elementi non sarebbero
in grado di soddisfare.

L'idoneità del complesso a creare, attraverso la produzione o lo scambio di beni o servizi, nuova
ricchezza fa sì che l'insieme abbia una valenza economica differenziale rispetto alla somma del
valore dei singoli elementi che lo compongono ed è definita valore di avviamento. Viene determinata
dalla sola formazione del complesso organizzato, indipendentemente dalla concreta esistenza di un
flusso di domanda, anche se quest'ultima lo incrementa ed è per questo che si può parlare di
avviamento anche per un'azienda non ancora in esercizio.
L'avviamento pur non costituendo un autonomo bene immateriale, ed esprime solo una peculiare
qualità del complesso aziendale, rappresenta un valore patrimoniale suscettibile di essere iscritto in
bilancio come voce autonoma dell'attivo e di formare oggetto di indennizzo al favore del conduttore
di immobili adibiti ad attività commerciale in caso di cessazione del rapporto di locazione.
Dal punto di vista giuridico l'azienda costituisce un bene a sé stante, separato e distinto dei
singoli beni che lo compongono, e quindi oggetto di un diritto separato e distinto dai diritti di
diversa natura dei singoli elementi.
Sotto l'aspetto economico concorre a costituire l'azienda ogni elemento idoneo a garantire la
realizzazione del programma imprenditoriale, e pertanto non solo i beni dei quali si abbia la
disponibilità in virtù di un diritto reale, ma anche per quei beni la cui disponibilità è assicurata
dall'adempimento di un contratto a prestazioni corrispettive.

Trasferimento di azienda e dei beni aziendali

Gran parte della disciplina specifica dedicata dal codice all'azienda concerne il fenomeno della sua
circolazione o, più esattamente il trasferimento inter vivos.
Il trasferimento dell'azienda può avvenire anche mortis causa, sia di chiamata all'eredità che di
legato.
La disciplina di cui agli articoli 2556 e seguenti deve ritenersi applicabile al trasferimento dei
cosiddetti rami d'azienda, cioè di quelle parti della struttura che sono dotate di una autonoma
organicità operativa in grado di riprodurre su scala ridotta il progetto aziendale.
Il vincolo funzionale che lega i vari elementi costituenti azienda, non preclude la possibilità di fare
dei singoli beni oggetto di separati atti di alienazione, salvo verificare se produce un effetto
disgregativo di un bene ritenuto essenziale e quindi si pone il problema di stabilire quando l'insieme
residuo costituisca una unità aziendale funzionale allo svolgimento di un'impresa oppure si riduca
ad un ammasso di beni facendo venir meno il presupposto dell'applicazione della disciplina
speciale.
In assenza di una espressa clausola che escluda uno o più beni aziendali non essenziali dal
trasferimento, deve ritenersi che tutti gli elementi costitutivi dell'azienda sono abbracciati secondo
l'articolo 2555 e l'inventario eventualmente allegato viene attribuito un valore esemplificativo, in
quanto la mancata inclusione di un bene pur esistente in azienda non vale come sua esclusione. Se
invece fanno parte beni immobili, occorre la specifica individuazione altrimenti non sarà possibile
effettuare la trascrizione e si dovrà ricorrere ad una sentenza di accertamento. Il criterio di buona
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fede comporta che dovranno considerarsi trasferiti tutti i documenti aziendali e le scritture e
l'alienante è tenuto a comunicare ogni dato utile per la continuazione dell'attività, come segreti di
fabbrica, condizioni tecniche non brevettate e così via.

Forma e pubblicità del trasferimento

L'articolo 2556 stabilisce che per i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della titolarità e
del godimento dell'azienda relative ad imprese commerciali non piccole, l'osservanza di una forma
scritta ad substantiam sia in relazione alla natura del contratto e sia in relazione alla natura dei singoli
beni che lo compongono, la nullità del trasferimento dei singoli beni aziendali per difetto di forma
comporta la nullità dell'intero contratto se questi sono essenziali per la qualificazione come azienda
altrimenti la nullità resta parziale.
L’articolo 2556 sottopone tali contratti all'onere di pubblicità nel registro delle imprese mediante
deposito in forma di atto pubblico a cura del notaio.
Tale norma offre la sicurezza all'acquirente che tutti i beni mobili sono ancora nel possesso
dell'alienante non essendo sufficiente il mero possesso di buona fede in quanto viene escluso dalle
universalità di mobili la regola del possesso vale titolo.
Inoltre, l'onore della pubblicità serve ad imputare all'acquirente l'attività svolta dopo il trasferimento
dell'azienda, altrimenti l'alienante continuerà ad essere responsabile nei confronti dei terzi in buona
fede in base al principio dell'apparenza, per i debiti di impresa contratti dell'acquirente utilizzando la
ditta derivata.

Il divieto di concorrenza

L'articolo 2557 stabilisce che l’alienante deve astenersi per 5 anni dal trasferimento dell'azienda,
dall’iniziare una nuova impresa che sia idonea a sviare la clientela dall'azienda ceduta. Si presume
che la clientela si consolidi nel periodo di 5 anni è tale divieto viene limitato a tale durata, a meno
che non si tratti di una concessione dell'azienda in godimento e in tal caso il divieto è pari a quella
dell'usufrutto e dell'affitto.
Si tratta di un effetto naturale e quindi è escludibile dalla volontà delle parti, le quali sono libere sia
di restringere che di ampliare la portata. Sono da ritenersi esclusi gli atti concorrenziali isolati ed
occasionali così come la continuazione di un'impresa concorrente già esistente.
Il divieto concerne non solo gli stessi beni o servizi dell'azienda ceduta, ma anche beni o servizi
succedanei perché destinati alla stessa clientela. Il divieto di concorrenza per aziende commerciali,
si applica anche al trasferimento delle aziende agricole limitatamente alle attività connesse.

La successione nei rapporti contrattuali

L’articolo 2558 prevede come effetto naturale del trasferimento dell'azienda, la successione
dell'acquirente nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda. È ispirata al principio della
conservazione dell'unità aziendale, che tiene conto da un lato, della mancanza di interesse
dell'alienante e dall'altro dell'interesse dell'acquirente ad acquisire beni o servizi funzionali
all'azienda, nonché della difficoltà da parte dell'alienante una volta privato del complesso aziendale
di adempiere.
La disposizione si presenta eccezionale rispetto alla tutela prevista dal diritto comune per il terzo
contraente: da un lato prescinde dal suo consenso per il trasferimento del rapporto contrattuale e
comporta la liberazione dell'alienante per obbligazioni assunte, normalmente escluse in caso di
successione nel debito e questo trova spiegazione nel fatto che l'interesse del terzo alla puntuale
esecuzione del contratto è garantita dalla titolarità del complesso aziendale.
Il cambiamento della controparte non è indifferente per il terzo e pertanto consente al terzo di
recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento dell'azienda risultante della
pubblicità legale o da quella di fatto. Dall'ambito di applicazione della norma sono esclusi i contratti
aventi carattere personale in quanto la prestazione dovuta dall’alienante sia infungibile, in quanto
deve essere adempiuta personalmente dallo stesso.
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Tale disciplina si applica ai trasferimenti dell'azienda mortis causa, limitatamente all'attribuzione a


titolo particolare, legato, mentre non si applica in caso di erede che subentra in tutti i rapporti
aziendali e non, facenti capo al de cuius.

Per quanto riguarda i crediti relativi all'azienda ceduta, il legislatore si è preoccupato solo di regolare
le condizioni di opponibilità alla vicenda traslativa, stabilendo che il conflitto vada risolto in deroga al
diritto comune, non in base ad una notifica ai singoli debitori, ma con una pubblicità legale globale
rappresentata dall'iscrizione del contratto traslativo dell'azienda nel registro delle imprese.

Nel conflitto tra l'interesse dei creditori dell'impresa e l'interesse alla facile circolabilità dell'azienda,
Il legislatore ha realizzato una soluzione di compromesso stabilendo che, nel trasferimento di
un'azienda commerciale l'acquirente risponde dei debiti preesistenti nei limiti della risultanza dei libri
contabili obbligatori, deve ritenersi inderogabile dell'autonomia privata e al contempo eccezionale,
in quanto prevede per legge un accollo di debiti altrui.

Laddove l'acquirente risponda dei debiti aziendali sorti anteriormente al trasferimento, tale
circostanza non libera l'alienante, a meno che non risulti che i creditori vi abbiano consentito.
La norma che è dettata per all’alienazione inter vivos va applicata anche ai trasferimenti mortis causa
nei limiti della compatibilità delle norme sulla successione ereditaria: pertanto se l’azienda cade in
comunione tra tutti gli eredi, ciascuno di essi risponderà pro quota dei debiti aziendali; se invece
venisse attribuita per legato, il legatario risponderà solo nei limiti dei debiti risultanti dalle scritture
contabili obbligatorie.

L'usufrutto di azienda

La disciplina dell'usufrutto considera l'azienda come un oggetto (del diritto di godimento) separato e
distinto dagli elementi che concorrono alla sua composizione.
L’obbligo di conservazione del bene si traduce nell'obbligo di conservazione della funzionalità del
complesso, e quindi del suo potenziale di avviamento.
L'obbligo di gestire l'azienda, ossia nel continuare l'esercizio dell'impresa si traduce in un illecito
quando tagliafuori l'azienda da mercato, e di conseguenza il godimento del bene non è più soltanto
una facoltà, ma un obbligo del titolare del diritto di usufrutto.
Nella sua qualità di imprenditore, l'usufruttuario subisce una doppia limitazione derivante dalla
temporaneità del suo diritto sull'azienda e dall'obbligo di non compromettere l'avviamento in quanto
non ha il potere di scegliersi la ditta, ma deve esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue,
l'usufruttuario deve gestire l'azienda senza modificare la destinazione.
L’usufruttuario ha il potere di disporre dei beni aziendali senza esclusione e quindi non solo del
capitale circolante, ma anche del capitale fisso, così come di immettere nuovi beni in aggiunta e/o
in sostituzione di quelli esistenti.
Il potere-dovere dell'usufruttuario si estende fino al mutamento del disegno organizzativo
aziendale, compreso il cambiamento dei segni distintivi diversi dalla ditta, e della tipologia degli
impianti idonea a fronteggiare l’obsolescenza materiale e tecnica, il tutto nei limiti della liquidità
aziendale.

L'ordinamento assicura all'usufruttuario la disponibilità dei rapporti giuridici preesistenti idonei alla
conservazione dell'avviamento, per la durata dell'usufrutto. Di contro, non si estende all'usufrutto la
responsabilità per i debiti aziendali contabilizzati. A tutela dell'usufruttuario, viene esteso il divieto di
concorrenza a carico del titolare dell'azienda per tutta la durata del rapporto; deve ritenersi
applicabile In modo analogo anche a carico dell'usufruttuario al termine del rapporto.

La diversità quantitativa e/o qualitativa tra la consistenza dei beni aziendali all'inizio del rapporto e
quella al momento della riconsegna dell'azienda al titolare è regolata in denaro sulla base dei valori
correnti al termine dell'usufrutto.

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Il principio di libertà di concorrenza

Il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica si traduce nella possibilità che sul
mercato operino una pluralità di soggetti, e la competizione tra le imprese si pone come una
conseguenza naturale della presenza di una pluralità di operatori. Il principio della libertà di
concorrenza significa l'assenza di impedimenti alla conquista del mercato con gli strumenti che, in
un sistema di concorrenza perfetta, dovrebbero essere i soli ad assicurare il successo o l'insuccesso
della singola impresa, quale la qualità del prodotto e/o il prezzo competitivo rispetto a quello praticato
da altri imprenditori.
Questo modello teorico subisce una serie di condizionamenti di varia natura che alcune sono delle
semplici conseguenze della logica concorrenziale, fondato sul contenimento dei costi di produzione
e distribuzione e sulla riduzione dei costi di vendita, con conseguente eliminazione dal mercato delle
imprese marginali. Questo significa che la libertà di accesso a determinati settori di attività è di fatto
preclusa a coloro che non dispongono dei mezzi necessari a dotare l'impresa di dimensioni ottimali
per operare a prezzi competitivi, e che la naturale scomparsa dei soggetti più deboli riduce il numero
degli operatori.

Questo stesso risultato può essere determinato dalla volontà di più imprenditori che per fronteggiare
la concorrenza dei soggetti più forti, rispetto ai quali soccomberebbero se operassero in modo
isolato, preferiscono raggrupparsi in varie forme in modo da realizzare economie di scala con
conseguente riduzione dei costi.

Il principio della Libertà di concorrenza può essere condizionato dalle disposizioni legislative che
precludono addirittura ai privati l'accesso a determinati settori del mercato, oppure ne filtrano
l'accesso subordinandolo ad autorizzazioni amministrative, o limitano la libertà di determinazione dei
prezzi, quando sono in gioco interessi generali della collettività.

Il potere dello stato di limitare la concorrenza può arrivare fino al punto di escludere totalmente
l'accesso a determinati settori di attività riservando allo Stato stesso l'esercizio, in tal caso viene
imposto a carico del monopolista legale un obbligo di contrarre con chiunque faccia richiesta del
bene o del servizio offerto, e di un obbligo di osservare la parità di trattamento tra tutti gli utenti.

La legge ammette in linea di principio che si possa limitare convenzionalmente l'attività


concorrenziale. A tal proposito abbiamo i patti autonomi di non concorrenza che sono degli accordi
che hanno la funzione esclusiva di limitare la concorrenza e possono essere a carico di una sola
parte con o senza corrispettivo, oppure reciproche.

La disciplina antitrust

Le limitazioni convenzionali della concorrenza contenute nel codice, trascurano completamente i


riflessi che tali accordi e comportamenti possono avere sulla funzionalità del mercato e tale lacuna
è stata colmata con la normativa 287/1990, la cosiddetta legge antitrust, che ha finalmente dotato
l'Italia di una disciplina antimonopolistica. Va a sacrificare la libertà di iniziativa economica dei singoli,
laddove si pone in contraddizione con la libertà di iniziativa economica degli altri operatori attuali o
potenziali, pregiudicandone l'accesso o la permanenza sul mercato. Si tratta di una disciplina che
tutela direttamente l'imprenditore concorrente e solo indirettamente i consumatori, in quanto
beneficiano di riflesso del mantenimento di una struttura concorrenziale sul mercato.
La matrice comunitaria della legge si pone in luce in quanto le fattispecie vietate sono individuate in
base ai principi dell'ordinamento della Comunità Europea.
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Considerata la fattispecie regolata, avrebbe potuto teoricamente essere assoggettata a una doppia
giurisdizione, quella comunitaria e quella nazionale e il legislatore italiano ha scelto la strada della
reciproca esclusione, stabilendo che la legge non si applica alle fattispecie che ricadono nell'ambito
del trattato e dei regolamenti CEE e di atti equiparati, optando per il criterio della cosiddetta barriera
unica che è tuttavia una barriera mobile, essendo possibile che fattispecie ricomprese nell'ambito di
applicazione della legge antitrust vengano in seguito escluse per effetto di atti comunitari.

Il controllo dell'osservanza dei divieti contenuti nella legge è stato affidato ad un organismo
amministrativo in posizione di assoluta Indipendenza dal potere esecutivo, come comprovato dal
procedimento di scelta dei suoi componenti, di comune accordo tra i presidenti della Camera e del
Senato, tuttavia non gli è stata attribuita una competenza esclusiva dei vari settori del mercato.

La prima delle fattispecie vietate dalla legge 287/1990 è costituita dalle intese, ossia qualsiasi forma
di collaborazione o di coordinamento che abbia effetto anticoncorrenziale.

Si distinguono le intese con oggetto anticoncorrenziale, che sono le intese idonee ad essere
represse, ed intese con effetto anticoncorrenziale per le quali non essendo l'effetto
anticoncorrenziale desumibile dal loro contenuto, la repressione è subordinata al verificarsi
dell'effetto.
Si distinguono inoltre le intese orizzontali, che intercorrono tra soggetti operanti allo stesso livello
produttivo, e le intese verticali, che intercorrono tra soggetti operanti a livelli diversi tra loro
complementari. Le principali forme di intese orizzontali sono gli accordi di fissazione del prezzo
che sono vietati indipendentemente dal verificarsi degli effetti comprese anche le semplici
raccomandazioni diffuse da associazioni di categoria; cosi come gli accordi di limitazione della
produzione. Vi è tuttavia un ipotesi in cui un accordo limitativo della produzione può risultare
compatibile con il divieto quando vi è un eccesso produttivo e quindi l'intesa è finalizzata alla
razionalizzazione del mercato; gli accordi di ripartizione mercato; gli accordi volti a creare una
rete distributiva comune; gli accordi di Cooperazione industriale, sempre che le imprese siano
in rapporto di competenza orizzontale; gli accordi di specializzazione, con i quali ciascuna impresa
rinuncia ad una o più attività concentrandosi su una sola.

Le intese verticali, pur essendo carenti di un rapporto concorrenziale diretto tra i partecipanti,
rientrano nel divieto in quanto risulta comunque alterata la concorrenza rispetto ai terzi, e l'esempio
più comune è quello dei rapporti di fornitura o di distribuzione con esclusiva.
L'autorità garante autorizza le intese quando consente dei miglioramenti alle condizioni offerte dal
mercato, rechi un beneficio per i consumatori, e la concorrenza non sia completamente eliminata.

La seconda fattispecie vietata è l'abuso di posizione dominante, con la quale consente


all'impresa di ricavare dei profitti competitivi grazie ad una posizione sul mercato che la pone al
riparo dai rischi della concorrenza.
Per abuso di posizione dominante si intende una situazione di potenza economica tale da consentire
all'impresa di vanificare la concorrenza sul mercato e di assumere decisioni afferenti i rapporti con
la clientela in modo assolutamente indipendente sia dai comportamenti dei concorrenti che dalle
aspettative dei consumatori.
Gli indici utilizzati per identificare la situazione di predominio economico non sono solo quantitativi,
ossia relativi alle quote di mercato controllate in genere tra i 55 e 70%, ma anche indici qualitativi,
quali l'esistenza di barriere di tipo amministrativo per l'ingresso nel mercato non facilmente
superabili.
Le ipotesi tipiche più frequenti sono:
l'applicazione di prezzi o condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose e il rifiuto di
contrarre con chi ne faccia richiesta e condurre trattative solo con soggetti predeterminati;
L'applicazione di condizioni diverse per prestazioni equivalenti e si tratta soprattutto della
pratica di prezzi differenziati non in base a una diversa qualità della prestazione, ma relativi ad una
discriminazione soggettiva;

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i cosiddetti accordi leganti, con i quali si subordina la conclusione di un contratto alla fruizione
obbligatoria di un'altra prestazione che non ha nulla a che vedere con l'oggetto dell'accordo.

La terza fattispecie vietata è costituita dalle concentrazioni di imprese laddove presentano dei
caratteri lesivi della libertà concorrenziale.
A differenza del controllo esercitato sulle intese e sui singoli abusi che è di carattere successivo e
repressivo, quello sulle concentrazioni è preventivo e valutativo in quanto qualsiasi accordo anche
se non manifestamente lesivo della concorrenza, deve essere notificato all'autorità garante, laddove
ha una portata che assume una dimensione quantitativa in base ad un determinato fatturato.
Sono ritenute operazioni di concentrazione:
le fusioni, in quanto implica di per sé una riduzione della competizione; la cessione del controllo
e si verifica quando o uno o più soggetti in posizione di controllo acquisiscono direttamente il
controllo di una o più parti di una o più imprese. Si può acquisire il controllo non solo attraverso la
cessione di azioni, ma secondo accordi contrattuali, come ad esempio il contratto di affitto di
un'azienda o mediante la cessione di elementi del patrimonio; la formazione di una nuova impresa
comune ottenuta mediante la costituzione di una nuova società da parte di due o più imprese
preesistenti che ne detengono il controllo congiunto.

La legge 287/1990 prevede due distinti procedimenti per le intese e gli abusi di posizione dominante
e un altro per le concentrazioni.
Per quanto riguarda le intese e gli abusi di posizione dominante si inizia con una verifica
preliminare a seguito di una notizia pervenuta all'autorità ed è svolta in maniera assolutamente
discrezionale e può essere sia sommaria che dettagliata e non è soggetta a limiti di durata. Se
questa indagine, porta ad un risultato di probabile infrazione viene aperta una vera e propria
istruttoria caratterizzata dal contraddittorio. Nel caso sia accertata l'infrazione contestata, viene
diffidata all'impresa o le imprese interessate alla loro eliminazione e nei casi più gravi a sanzioni
pecuniarie che vanno da una percentuale dell’1 al 10% del fatturato.

Per tutte le concentrazioni è prevista la verifica preliminare in quanto tutte le concentrazioni


sono soggette all'obbligo della notificazione preventiva all'autorità. Viene fissato un termine di durata
della verifica preliminare e laddove l'autorità ritenga che l'operazione sia suscettibile di essere
vietata, apre l'istruttoria che è soggetta ad una precisa scadenza.
Se viene accertato che la concentrazione ha carattere lesivo della concorrenza nel caso in cui
l'operazione ancora non è stata realizzata, l'autorità né vieta l'esecuzione; se l'operazione è stata
eseguita, l'autorità si può limitare a prescrivere le misure necessarie per ripristinare le condizioni di
effettiva concorrenza eliminando gli effetti distorsivi. Per tutti i provvedimenti emanati da parte
dell'autorità garante essendo atti amministrativi, sono impugnabili innanzi Il TAR del Lazio.

Il legislatore si preoccupa non solo di assicurare che la concorrenza abbia la massima estensione,
ma che si svolga secondo delle regole di comportamento e per questo che la disciplina della
concorrenza sleale, rafforza la libera concorrenza in quanto inibisce il ricorso a modalità scorrette.

Concorrenza sleale

L'articolo 2598 inibendo a chiunque il compimento degli atti vietati, individua senza dubbio come
destinatario chi riveste la qualifica di imprenditore e che si trovi in un rapporto di concorrenza.
Il rapporto di concorrenza deve essere un rapporto intercorrente tra due soggetti che si rivolgono
allo stesso mercato e che l'atto di concorrenza sleale sia idoneo a danneggiare l'azienda altrui
sviando la clientela. È sufficiente la mera potenzialità della concorrenza prossima, come avviene
quando due imprese pur operando su diversi mercati, vi sono delle concrete prospettive di
espansione dell'una o dell'altra sul mercato dell'altra. La responsabilità dell'imprenditore ricade non
solo negli atti materialmente da lui compiuti, ma anche quelli compiuti da altri soggetti nel suo
interesse, ed anche da soggetti assolutamente estranei, purché ne abbia in qualche misura ispirato
l'azione e non solo passivamente profittato e quindi indipendentemente dalla consapevolezza o dalla
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intenzionalità dell'autore. I due comportamenti tipici vietati, sono individuati negli atti di confusione
con i prodotti o l'attività del concorrente, e con gli atti di denigrazione o di appropriazione dei pregi
di un concorrente.

Gli atti di concorrenza sleale per confusione prevedono una serie di comportamenti idonei a
indurre la clientela a credere che il prodotto provenga da un'impresa concorrente, sfruttando così
l’accreditamento verso il pubblico utilizzando il nome o il segno distintivo di altri e come forma di
tutela c'è il concorso mediante l'azione di contraffazione e quella contro gli atti di concorrenza sleale,
che però in ogni caso non si può tradurre in una doppia condanna del concorrente.
Una seconda categoria di atti di confusione tipici è costituita dalla imitazione dei prodotti di un
concorrente, che si intende la riproduzione della forma del prodotto che caratterizza la provenienza
da una determinata impresa.
Con atti di confusione atipici si indica la generica formula del concepimento con qualsiasi mezzo
idoneo a creare confusione con i prodotti.

Gli atti di denigrazione sono notizie o apprezzamenti sui prodotti o sulla attività di un concorrente
idonei a determinarne il discredito.
Il divieto prescinde dalla rispondenza o meno al vero delle notizie o degli apprezzamenti negativi, in
quanto la poca obiettività del concorrente e il carattere parziale della notizia rende molto pericolosi
tali messaggi.
Tra gli atti di denigrazione può essere ricompresa anche la pubblicità superlativa che mira ad
esaltare una posizione di supremazia assoluta della propria attività e del proprio prodotto e quando
contiene riferimenti specifici verso gli altri concorrenti assume un valore denigratorio.

Gli atti di vanteria consistono nella appropriazione di pregi dei prodotti o dell'attività di un
concorrente. Si può realizzare sia in forma esplicita e sia in forma implicita, come avviene ad
esempio nel uso di false denominazioni d'origine, laddove la provenienza di un prodotto di una
determinata zona implica l'attribuzione di particolari pregi.

Viene qualificato come atto di concorrenza sleale il ricorso a mezzi contrari ai principi della
correttezza professionale e ricomprendere tutti quei comportamenti scorretti che possono emergere
nella prassi. Nella prassi giurisprudenziale sono state individuate alcune delle ipotesi più frequenti:
lo storno dei dipendenti, che non si tratta della semplice assunzione di un collaboratore di
un'impresa concorrente, ma nella sottrazione di forza lavoro, soprattutto quella più qualificata e
meno sostituibile finalizzata alla disgregazione dell'impresa concorrente;
il boicottaggio, ossia il sistematico rifiuto di contrarre con terminato imprenditore;
il ribasso irregolare dei prezzi non sia giustificato da esigenze dell'impresa;
La pubblicità menzognera, idonea a sviare la clientela;
La pubblicità suggestiva, che influenza le scelte del consumatore associando all'uso di un prodotto
vantaggi e prospettive che non hanno alcuna relazione con lo stesso.

Colui che subisce gli effetti di un comportamento di concorrenza sleale ha il diritto di ottenere, previo
accertamento, sia un provvedimento che impedisca la continuazione dello stesso e quindi un rimedio
inibitorio, sia un provvedimento che nei limiti del possibile ne cancelli le conseguenze, il cosiddetto
rimedio restitutorio. Il rimedio restitutorio si presenta più articolato e può consistere nella
eliminazione delle cose che hanno costituito il veicolo materiale dell'atto di concorrenza sleale
ovvero nell’imposizione all'autore dell'illecito di un messaggio correttivo.
L'articolo 2600 contempla anche il diritto al risarcimento del danno se l’atto è compiuto con dolo o
con colpa e l'attore ha l’onere di provare di avere ricevuto un danno effettivo.

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La disciplina della concorrenza sleale prende in considerazione anche il fenomeno pubblicitario, al


solo scopo di tutelare gli altri imprenditori del settore e senza tener conto dell'interesse dei
consumatori, la cui tutela è affidata di riflesso, alla reazione del consumatore leso. Le associazioni
di categoria hanno dato luogo a una sorta di ordinamento privato, di origine volontaria, che disciplina
il fenomeno pubblicitario sia salvaguardando la dignità dello strumento di informazione e promozione
e sia l'interesse dei soggetti che in vario modo sono coinvolti negli effetti del messaggio, dando vita
ad un vero e proprio codice di autodisciplina pubblicitaria.
Tali regole diventano vincolanti a seguito dell’inserimento nei contratti stipulati di una clausola di
accettazione del codice.
Uno dei capisaldi è il principio della lealtà pubblicitaria in quanto la pubblicità deve essere onesta,
veritiera e corretta e costituisce un paradigma di valutazione per la pubblicità ingannevole in quanto
la pubblicità deve essere chiara, completa, non equivoca, e non deve indurre a ritenere che la qualità
e le prestazioni del prodotto siano diverse da quelle evidenziate.
Il codice sottolinea anche la responsabilità che l'autore del messaggio si assume nei confronti dei
potenziali destinatari e quando la pubblicità è rivolta a bambini o adolescenti, deve rispettare la
dignità della persona e delle sue convinzioni morali e religiose, il divieto di rappresentazioni violente
o forme di pubblicità indecenti, ripugnanti e volgari.
Colui che si avvale del messaggio deve essere in grado di dimostrare la veridicità dei dati, delle
descrizioni e delle affermazioni; nel corso del procedimento innanzi al giurì c'è l'inversione dell'onere
della prova, ovvero, il convenuto deve provare l'infondatezza.

Il limite del sistema di autodisciplina è rappresentato da un lato, della sua applicabilità soltanto alle
imprese aderenti, e dall'altro dalla valenza puramente morale delle decisioni del Giuri.

Il legislatore ha considerato la pubblicità ingannevole come un illecito unitario che assorbe


e comprende in sé, sia la lesione degli interessi dei concorrenti, sia quella dei consumatori e
del pubblico in genere, in quanto lo sviamento della clientela per effetto della pubblicità
ingannevole, significa una lesione dell'interesse dei consumatori ad orientare le proprie
scelte in base ad un'informazione corretta.

I tre requisiti fondamentali che deve avere il messaggio pubblicitario sono che deve essere palese,
veritiero e corretto.
Con palese, si intende che deve essere riconoscibile come messaggio pubblicitario in modo da
proteggere il destinatario in modo da calibrare adeguatamente il suo affidamento in ordine al
contenuto. Inoltre, il criterio della riconoscibilità risponde all'esigenza di consentire l'applicazione
delle regole particolari che pongono ulteriori limiti, oltre a quello della non ingannevolezza, come
quelli relativi alla protezione dei diritti fondamentali e delle categorie particolarmente deboli.
La veridicità e correttezza del messaggio pubblicitario indica che la sua presentazione non
debba indurre in errore i potenziali destinatari e pregiudicare il loro comportamento economico o che
sia idonea a ledere un concorrente.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, istituita con la legge antitrust, ha il potere di
intervenire nei confronti dell'autore del messaggio e una volta comunicata l'apertura dell'istruttoria,
può richiedere al proprietario del mezzo che ha diffuso il messaggio pubblicitario ogni informazione
idonea ad identificare il committente. L'autorità può intervenire sia con provvedimenti di urgenza
disponendo la sospensione provvisoria della pubblicità, e sia con provvedimenti di carattere
definitivo. L'autorità può concedere rimedi di carattere restitutorio, quale la pubblicazione della
decisione che dichiara ingannevole il messaggio. Manca invece la possibilità di ottenere dall'autorità
garante, provvedimenti di carattere risarcitorio, per i quali si dovrà far ricorso all'autorità giudiziaria

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ordinaria. Il procedimento prevede l'inversione dell'onere della prova ed è l'operatore pubblicitario


che deve fornire la prova sulla esattezza dei dati contenuti nella pubblicità.

La pubblicità comparativa deve tutelare non più soltanto gli interessi degli Imprenditori concorrenti,
ma anche quelli dei consumatori, è più in generale, l'interesse ad un assetto del mercato corretto e
concorrenziale.
Affinché la pubblicità comparativa sia lecita, occorre che sia realizzata confrontando beni o servizi
destinati a soddisfare gli stessi bisogni e che quindi siano intercambiabili per i consumatori.

Il codice del consumo ha prescritto che le televendite non devono contenere forme di sfruttamento
della superstizione, della credulità o della paura, oltre scene di violenza fisica o morale o da
offendere il gusto e la sensibilità dei consumatori. Viene dedicata una particolare attenzione alla
tutela dei minori in quanto la televendita deve astenersi ad esortare i minori alla stipula, ma vietando
che causi agli stessi pregiudizi morali e fisici e impone dei criteri ai quali devono conformarsi le
dichiarazioni e le rappresentazioni delle televendite data l’inesperienza e la credulità dei minori.

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I consorzi

I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi sono delle forme di
integrazione tra imprese a carattere non temporaneo con la finalità di favorire la cooperazione
tra i partecipanti.
Due o più imprese possono stipulare un contratto di consorzio per istituire un'organizzazione
comune, per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi, con finalità di cooperazione
Interaziendale e/o di limitazione della concorrenza nel rispetto della disciplina antitrust.
Le imprese partecipanti mantengono la propria individualità ed autonomia, ma vincolano la propria
attività economica per determinate fasi ad una disciplina stabilità attraverso il contratto di consorzio,
che ha valenza anche nei confronti dei terzi.
Il contratto è un contratto associativo plurilaterale aperto che consente l'ingresso a nuovi consorziati
senza che venga alterato il tratto originario del contratto e purché vi sia il consenso di tutti gli altri
contraenti. Trova la sua fonte nella volontà dei contraenti, ed in parte nelle disposizioni del Codice
Civile.
Tutti i contratti di consorzio, che possono influire sul mercato, sono soggetti all'approvazione da
parte dell'autorità governativa.

Il contratto deve essere stipulato per iscritto sotto pena di nullità, così come le modificazioni e, nel
caso in cui il consorzio intenda svolgere un'attività con i terzi, le sottoscrizioni del contratto devono
essere autenticate per consentire l'iscrizione del consorzio nel registro delle imprese.
Il contratto deve prevedere la durata del consorzio, gli obblighi assunti e i contributi dovuti, le
attribuzioni e i poteri degli organi preposti al consorzio, le condizioni di ammissione dei
nuovi consorziati, il recesso e l'esclusione, e l'esenzione. Se non diversamente previsto, il contratto
potrà essere modificato solo con il consenso di tutti i partecipanti.
Pur essendo privo di soggettività giuridica, il consorzio con attività interna può assumere qualche
rilevanza nei confronti di terzi, considerato che si tratta di un contratto che incide sull'operare delle
imprese, che in mancanza di una clausola espressa di durata si protrae per un decennio, mentre
per i consorzi anticoncorrenziali la durata massima è di 5 anni.
Il consorzio si regge sul principio maggioritario e i consorziati assenti o dissenzienti, possono
impugnare davanti all'autorità giudiziaria le delibere. Il controllo sull'attività dei singoli consorziati sul
rispetto delle obbligazioni assunte, è affidato agli stessi componenti del Consorzio che possono
provvedere anche alle ispezioni presso le imprese partecipanti.
Al consorziato che recede o che viene espulso non compete la liquidazione della quota di
partecipazione, che si accresce proporzionalmente a quella degli altri. In caso di trasferimento
dell'azienda, l'acquirente subentra nel contratto di consorzio, ma nel caso di giusta causa gli altri
consorziati possono deliberare entro un mese dal trasferimento, l'esclusione dell'acquirente dal
consorzio.
Le cause di scioglimento del Consorzio sono il decorso del tempo stabilito per la sua durata, per il
conseguimento dell'oggetto o l'impossibilità di conseguirlo, la volontà unanime dei consorziati, dalla
deliberazione maggioritaria dei consorziati in presenza di una giusta causa, per un provvedimento
da parte dell'autorità governativa e dalle altre cause previste dal contratto.

I consorzi con attività esterna, costituiscono la parte più significativa della forma di associazione per
l'assunzione di appalti e questo implica la creazione di un patrimonio, il cosiddetto fondo Consortile
che è costituito dai contributi dei consorziati e dei beni acquistati con questi contributi, oltre ogni altro
mezzo patrimoniale apportato dai consorziati. Il fondo Consortile ha una autonomia patrimoniale sul
quale non possono agire i creditori particolari dei consorziati, né quest'ultimi possono richiederne e
la divisione. I diritti dei creditori del consorzio trovano tutela nel fondo Consortile. Nel caso in cui gli
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organi del consorzio assumono obbligazioni per conto dei singoli consorziati, alla responsabilità del
fondo Consortile si aggiunge in via solidale, quella dei consorziati per i quali le obbligazioni sono
state assunte, ed in caso di insolvenza il debito degli insolventi si ripartisce fra tutti in proporzione
delle quote.
Il consorzio gode di autonomia patrimoniale perfetta e il contratto di consorzio deve essere
depositato per l'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese e la pubblicità del bilancio.
Per quanto riguarda il bilancio d'esercizio è obbligatoria la redazione dello stato patrimoniale, del
conto economico e della nota integrativa.

Il consorzio può assumere anche la forma societaria pur mantenendo lo scopo Consortile. In
funzione della società in nome collettivo discende il potere gestorio in capo a ciascun socio
consorziato con un regime inderogabile di responsabilità solidale e illimitata di tutti i soci.
L'applicazione delle regole della società per azioni comporta un'articolata disciplina degli organi
sociali, con suddivisione delle competenze tra assemblea, amministratori e collegio sindacale, oltre
il beneficio della responsabilità limitata e in tal caso i creditori possono agire unicamente sul
patrimonio sociale.
Viene ritenuto adottabile per le finalità consortili anche la accomandita, sia semplice che per azioni
e in tal caso il regime di responsabilità sarà variegato tra i soci: responsabilità limitata alla quota
conferita o al capitale sottoscritto per quanto riguarda gli accomodanti, mentre gli accomandatari ne
rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali.
Può essere adottato anche il modello della società cooperativa.

Con il consorzio si pone in essere il contratto di rete, con il quale gli imprenditori perseguono lo
scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la
competitività sul mercato.
Con il contratto di rete si dispone un programma comune in cui sono fissati gli obiettivi strategici
condivisi dei partecipanti. Il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata
autenticata e se prevede l'istituzione di un fondo patrimoniale comune e di un organo destinato a
svolgere un'attività, anche commerciale, è soggetto all'iscrizione nel registro delle imprese e deve
indicare il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni partecipante, la dominazione
e la sede della rete, gli obiettivi strategici, la definizione del programma di rete, la durata del contratto,
e il soggetto prescelto per svolgere l'ufficio di organo comune.

Il gruppo europeo di interesse economico (Geie)

Il gruppo europeo di interesse economico deriva da un regolamento comunitario e pertanto è


applicabile a tutti gli stati membri ed è finalizzato a favorire lo sviluppo della collaborazione tra le
imprese nell'ambito dell'Unione Europea. Ricalca per disciplina e finalità, i consorzi con attività
esterna.
La forma del contratto deve essere scritta, a pena di nullità; l'iscrizione del contratto nel registro delle
imprese ha efficacia costitutiva e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ha una efficacia
dichiarativa. Può essere nominato amministratore del Geie anche una persona giuridica, che
esercita le relative funzione tramite un proprio rappresentante persona fisica.
I soggetti partecipanti al Geie, pur dovendo svolgere un'attività economica non devono essere
necessariamente imprenditori, ma almeno due membri devono esercitare la loro attività economica
in stati differenti. Pertanto l'istituto non può essere utilizzato fra imprese nazionali.
L'organizzazione interna è rimessa all'autonomia privata nel rispetto delle linee guida dettate dal
regolamento.
Per le obbligazioni rispondono in modo solidale ed illimitato tutti i membri del gruppo oltre che col
proprio patrimonio, considerato che non è imposto ai componenti alcun obbligo di conferimento per
la costituzione di un patrimonio del gruppo. I creditori possono agire nei confronti dei membri soltanto
dopo aver chiesto al gruppo di pagare e qualora il pagamento non sia stato effettuato entro un
congruo termine. I nuovi membri rispondono anche delle obbligazioni anteriori al loro ingresso.
In caso di insolvenza il Geie è sottoposto a fallimento, il quale non si estende ai membri del gruppo,
ma ai quali può essere richiesto il versamento delle somme necessarie per estinguere i debiti.
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L'associazione temporanea di imprese

La collaborazione imprenditoriale tra imprese a carattere temporaneo, nasce dalla esigenza di


consentire alle imprese di rimanere distinte l'una dall'altra ma di assumere con la veste di un unico
contraente l'esecuzione di un'opera pubblica, che per onerosità o complessità tecnica organizzativa
o finanziaria, difficilmente potrebbe essere attuata con le forze di una sola impresa.
L’ATI nasce dalla prassi d'affari statunitense e occorre che il raggruppamento sia costituito prima
della presentazione dell'offerta e che sia conferito un mandato collettivo speciale con
rappresentanza ad una delle imprese che qualificata come mandataria esprime l'offerta in nome e
per conto proprio e delle mandanti.
La titolarità dell'affare è in capo a tutti i partecipanti all'ATI, ma l'esecuzione dei lavori viene ripartita
con criteri differenti, a secondo la tipologia delle imprese. L'impresa mandataria è soggetta alla
responsabilità solidale dovuta dalla sua posizione di preminenza all'interno del gruppo.
L’ATI ha carattere temporaneo ed è privo di rilevanza esterna, il rapporto di mandato che lega le
imprese partecipanti non determina di per sé un patrimonio comune, organizzazione oppure un'unica
impresa, ma ognuno dei partecipanti mantiene la propria autonomia. Si tratta di un vincolo soltanto
interno con la possibilità per i partecipanti di disciplinare mediante un regolamento interno.
Nel caso di fallimento del mandatario, è rimessa alla stazione appaltante la facoltà di recedere
dall'appalto oppure proseguire con un altro operatore economico che abbia i medesimi requisiti e
che assume il ruolo di mandatario. Nel caso di fallimento del mandante, il mandatario che non indichi
nessun altro operatore è tenuto direttamente all'esecuzione.

Le joint venture e le forme occasionali di collegamento

L’espressione joint-venture trae origine nel mondo anglosassone ed indica qualsiasi tipo di
raggruppamento temporaneo di imprese.
Nel commercio internazionale ha assunto una connotazione più precisa e rappresenta uno
strumento contrattuale attraverso il quale imprenditori appartenenti a Paesi diversi pongono in
essere un rapporto di collaborazione al fine di penetrare in un nuovo mercato e per l'altro di acquisire
tecnologia e know-how.
Un’ultima evoluzione dei contratti di joint venture sono i contratti di scambio in compensazione in
base al quale il fornitore-esportatore si impegna a trasferire tecnologia al cliente-importatore ed
accetta in pagamento di beni prodotti da quest'ultimo utilizzando proprio la tecnologia che gli è stata
trasferita.

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L'impresa collettiva

Per impresa collettiva si può intendere l'impresa esercitata in comune da più soggetti e quindi nella
titolarità sostanziale di più soggetti.
È opinione condivisa che la società costituisce solo una delle possibili forme di esercizio collettivo
dell'impresa, in quanto troviamo le associazioni, le fondazioni, l'impresa Consortile e anche l'impresa
familiare facente capo ai coniugi in regime di comunione legale.

I caratteri distintivi tra associazione in partecipazione e società sono abbastanza netti e individuabili
nell'assenza di una gestione comune e di un patrimonio comune che sono esclusivi della società.
Anche un'associazione può essere legittimata ad esercitare un'attività economica e la differenza con
l'impresa, sta nel fatto che il carattere peculiare ed esclusivo della società è la divisione degli utili fra
i soci, che invece esula dal concetto di associazione, in quanto l’utile conseguito non potrà distribuirlo
agli associati, dovendo utilizzarlo per realizzare i propri scopi. E poiché l'associazione può svolgere
un'attività economica per il raggiungimento dei propri scopi, una parte degli autori ritiene che
l'associazione possa acquisire la qualità di imprenditore, con la conseguenza che quella societaria,
non è altro che una delle possibili forme di esercizio collettivo dell'impresa.
L'attività economica svolta da una fondazione costituisce lo strumento per il miglior conseguimento
degli scopi istituzionali che la fondazione si propone di raggiungere.

L'impresa familiare è un istituto introdotto con la riforma del diritto di famiglia del 1975 che la
definisce come l'impresa in cui collaborano il coniuge, i parenti entro terzo grado, gli affini entro il
secondo. Questa figura nasce soprattutto per tutelare il lavoro familiare e non è istituzionalmente
un'impresa collettiva, in quanto la titolarità si deve imputare secondo le regole generali, i familiari
prestatori di lavoro al di là del diritto alla retribuzione, non hanno diritti, poteri e né responsabilità
come imprenditori o soci.
L’impresa dei coniugi in regime di comunione legale è un'azienda gestita da entrambi i coniugi
in regime di comunione legale e il criterio legale di gestione del patrimonio comune dei coniugi è
quello della pariteticità ed è proprio fa assunzione la qualità di imprenditore ad entrambi i coniugi.

La comunione di azienda è una figura non prevista dal codice ma, una parte della dottrina e della
giurisprudenza la vedono come un modello di esercizio collettivo dell'impresa.
Si pensi ad a i figli di un imprenditore che ereditano l'azienda e non potendo o volendo concederla
in affitto, continuano in comune l'impresa.
I fautori della ammissibilità della comunione di impresa prevedono che per aversi società è
indispensabile che vi sia un'esplicita manifestazione di volontà delle parti a trasformare la comunione
dei beni in patrimonio sociale autonomo, mancando tale manifestazione di volontà i beni utilizzati
per l'esercizio dell'impresa restano beni in comunione, con la conseguenza che non potranno essere
applicate le norme relative alla società ed in particolar modo quelle relative al fondo comune. La
conseguenza non è di poca importanza in quanto, se si ammette la comunione d'impresa, sarà
permesso ai comunisti di chiedere in qualsiasi momento la divisione dei beni e sarà consentito a l
creditore personale del singolo comproprietario di pignorare i beni di quest'ultimo.

La volontà di destinare i beni al fondo sociale può risultare oltre che da un atto formale anche da
comportamento assunto dai comproprietari quindi saremo in presenza di un'impresa di fatto.
Per la giurisprudenza, la comunione incidentale ereditaria di un'azienda commerciale, si trasforma
in società irregolare fra i suoi eredi quando vi sia la prova che fra tutti i partecipanti alla comunione
ereditaria si sia raggiunto un accordo stabile e duraturo per la continuazione dell'esercizio aziendale.
Viene esclusa la formazione di una società irregolare se le parti si siano limitate a gestire in modo
collettivo l'azienda in attesa di cederla o di procedere alla sua divisione.
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Il momento genetico della società è individuato nell'articolo 2247 in cui due o più persone si
impegnano conferire beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica.
Se unitaria è la nozione di società, diversi possono essere i tipi di società e viene sancito il principio
della tipicità delle società e del numero chiuso dei tipi, con l'impossibilità di costituire società atipiche.

È stata prevista in via Generale la possibilità di costituire società aventi ad oggetto l'esercizio delle
professioni di quelle iscritte in ordini o collegi.
Le società tra professionisti possono essere costituite con modelli di società di persone, compresa
la società semplice, della società di capitali o anche di quella cooperativa.
L'atto costitutivo nelle società tra professionisti deve prevedere che l'oggetto sociale sia
necessariamente l'esercizio delle professioni protette, che la compagine sociale sia costituita da
professionisti iscritti ad ordini, Albi o collegi e da soggetti non professionisti che svolgono prestazioni
tecniche o finalità di investimento ed ogni caso il numero dei soci professionisti con la loro
partecipazione al capitale sociale deve essere in maggioranza di due terzi.
Anche per le società per le professioni forensi si applicano i medesimi criteri e la sospensione,
cancellazione o radiazione del socio dall'albo nel quale è scritto il professionista costituisce causa di
esclusione dalla società.
La circostanza che tra i modelli societari utilizzabili per la costituzione di tali società sia compreso
quello della società semplice, consente di escludere che l'attività possa essere ricondotta all'impresa
commerciale, con la conseguenza che le società tra professionisti non sono esposte a fallimento in
caso di insolvenza, bensì alla disciplina della liquidazione giudiziale e le procedure previste per la
composizione delle crisi da sovra indebitamento.

Il criterio principale per l'identificazione della fattispecie impresa-società è l'esercizio


effettivo di un'attività che risponde a quanto previsto dall’articolo 2082.
La società impresa presenta quattro elementi di identificazione:
All'esercizio comune di un'attività economica, occorre aggiungere che rappresenta lo scopo-mezzo
attraverso il quale i contraenti si propongono di raggiungere la finalità lucrativa, consortile o
mutualistica;
La comunanza dei mezzi patrimoniali, nel senso che attraverso gli apporti dei soci deve essere
creato un fondo sociale indispensabile per l’attività, ma non è sufficiente che i soci apportino beni o
servizi per lo svolgimento dell'attività economica, è necessario che ciascun bene esca dalla sfera
patrimoniale del conferente per confluire in un fondo comune di cui è titolare la società;
Il terzo elemento è dato dalla comunanza di poteri, nel senso che non si riconduce la titolarità
dell'impresa ad una sola persona fisica, occorre che risalga a tutti i partecipanti ovviamente in forma
diversa, secondo il tipo di società, in modo da poter determinare l'attività sociale;
Infine, il conseguimento di un risultato coerente con lo scopo istituzionale e nella ricaduta dei risultati
della gestione sociale su tutti i partecipanti.

Con il contratto di società, possono essere creati diversi tipi di società e la materia è regolata
dall'articolo 2249 che stabilisce che le società che hanno per oggetto l'esercizio di un'attività
commerciale devono essere costituite secondo quanto previsto dal Codice Civile. Le società che
hanno per oggetto l'esercizio di un'attività diversa, sono regolate secondo le disposizioni sulla
società semplice, a meno che i soci abbiano voluto costituire la società secondo uno degli altri tipi.

Per l'individuazione dei vari tipi di società si fa riferimento ad una serie di elementi
peculiari, quale lo scopo istituzionale, che sia lucrativo, mutualistico o consortile, il regime di
responsabilità personale dei soci e la natura dell'attività esercitata, agricola o commerciale;

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La società semplice è uno strumento è idoneo esclusivamente per attività non commerciali, mentre
la scelta degli altri tipi di società permette l'esercizio di ogni specie di attività sia commerciale che
non.
Non è possibile creare tipi di società non espressamente previsti dal legislatore e quindi creare
società atipiche ed è posta a garanzia dei terzi.

La società può essere identificata anche dal punto di vista funzionale, ovvero è lo strumento
attraverso il quale i soci si propongono di raggiungere lo scopo che può essere lucrativo, mutualistico
oppure consortile.
Perseguendo uno scopo lucrativo, si propone di conseguire un utile ed è nullo ogni patto con il quale
uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazioni agli utili o alle perdite, il cosiddetto patto Leonino,
andando così a decadere il carattere principale che ogni socio deve poter fruire dei vantaggi e
sopportare gli svantaggi prodotti dall'organismo del quale fa parte. Sono società lucrative le società
semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice e per azioni, per azioni e a responsabilità
limitata.
Nel perseguire uno scopo mutualistico, propone di offrire ai soci beni, servizi, occasione di lavoro a
condizioni migliori di quelli che i soci stessi troverebbero sul mercato e quindi il cosiddetto vantaggio
mutualistico.
Perseguendo uno scopo consortile, propone di creare un'organizzazione comune per la disciplina o
per lo svolgimento di determinate fasi delle imprese dei soci.
Le società benefit hanno una o più finalità di beneficio comune ed operano nei confronti di persone,
comunità, territori, ambienti, beni e attività culturali eccetera e devono indicare nell'oggetto tali finalità
che devono essere perseguite mediante bilanciamento tra l'interesse dei soci e l'interesse su coloro
i quali l'attività possa avere un impatto.

Esiste un insieme di elementi costanti per tutti i tipi di società e sono; i soggetti, il conferimento e
quindi la costituzione di un fondo sociale, l'oggetto sociale ossia la specificazione dell’attività
economica, la causa e quindi la specificazione dello scopo istituzionale.

I soggetti

La pluralità di persone non costituisce più la condicio sine qua non per la costituzione di una società,
dal momento che è possibile la costituzione per atto unilaterale, anche se solo per le società per
azioni e a responsabilità limitata.
Possono sottoscrivere il contratto di società sia le persone fisiche, sia le persone giuridiche e gli enti
non riconosciute.

La partecipazione di società ad altre società

Nel caso di partecipazione di società di capitali in società di persone è stato stabilito che
l'assunzione di partecipazione in altre imprese comportanti una responsabilità illimitata per le
obbligazioni deve essere deliberata dall'Assemblea. Viene disposto che le società in nome collettivo
ed in accomandita semplice devono redigere il bilancio secondo le norme previste per le società per
azioni e devono osservare, qualora vi siano i presupposti la disciplina del bilancio consolidato.

Nel caso di partecipazione di una società in nome collettivo ad un'altra società in nome
collettivo o in accomandita semplice, non ci sono particolari problemi o presupposti in quanto in
questo caso non viene a mancare intuitus personae.

La partecipazione di società di persone ad una società di capitali è sempre stata considerata


ammissibile.

L'ampiezza della formula legislativa della norma consente alle società cooperative possono
costituire ed essere soci di società per azioni ea responsabilità limitata.

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Possono essere soci di cooperative anche società di capitali purché non venga meno lo scopo
mutualistico proprio delle cooperative.

I conferimenti. L’inadempimento

La peculiarità più significativa del contratto sociale di cui all'articolo 2247 è costituita dal conferimento
di beni o servizi in quanto non esiste una società senza conferimenti, né può esservi socio senza
obbligo di conferire.
Con la stipulazione del contratto di società ciascun contraente è obbligato a contribuire alla
formazione di un fondo sociale mediante una prestazione di dare o di fare, e costituisce da un punto
di vista squisitamente tecnico-contrattuale, l'unico obbligo che grava su chi intende divenire socio di
una società. Il conferimento serve a costituire il fondo sociale in quanto è strumentale allo
svolgimento dell'attività.
I conferimenti possono avere come oggetto una prestazione di dare, cioè conferimenti di denaro,
di beni in natura in proprietà o in godimento, di crediti e conferimenti aventi ad oggetto una
prestazione di fare, che sono possibili nelle società personali e con la riforma del 2003 anche nelle
società a responsabilità limitata nelle quali il socio può impegnarsi a conferire la propria attività e il
suo risultato.

La differenza tra i conferimenti di capitale e conferimenti non di capitali, consiste nel fatto che i primi
sono iscrivibili in bilancio e sono idonei a garantire i creditori sociali, e quindi suscettibili ad
esecuzione forzata. I conferimenti non di capitale non hanno nessuna di tali caratteristiche, pur
essendo idonei al raggiungimento dello scopo sociale, e pertanto attribuiscono ai soci soltanto il
diritto di partecipare agli utili.

Per l'inadempimento del socio al conferimento, la legge distingue i vari tipi di società, e predispone
delle sanzioni apposite: per le società personali e cooperative viene comminata l'esclusione dalla
società, mentre per i soci di società di capitali è prevista la decadenza.

Comunione di godimento e società

La funzione che il fondo assolve è quella di permettere la formazione di un patrimonio della società
indispensabile per lo svolgimento dell'attività comune.
Le analogie tra società e comunione non vanno oltre il fatto che determinati beni appartengono
indistintamente a più persone.
Anche nella comunione ritroviamo alcuni caratteri che sono tipici dei rapporti associativi come la
comunanza di interessi, organizzazione unitaria basata sui poteri deliberativi della maggioranza e
sui doveri imposti alla minoranza ma, mancano due elementi vitalizzanti: l'esercizio dell'attività di
impresa e la funzionalizzazione dei beni comuni all'attività.
Nella comunione, la comproprietà dei beni è mantenuta solo per godere dei beni e dei frutti che
producono e i comunisti, nel rispetto di diritti altrui, possono ciascuno in modo autonomo esercitare
tutte le facoltà spettanti al proprietario; mentre si ha società quando i beni sociali sono impiegati per
effetto della volontà dei soci, in uno specifico vincolo di destinazione, per l'esercizio in comune
dell'attività di impresa, da ciò derivano delle importanti conseguenze:
Il divieto per il socio di servirsi senza il consenso degli altri, delle cose appartenenti al patrimonio
sociale, per fini estranei alla società;
Sottrazione all'iniziativa del singolo socio dello scioglimento della società, che è previsto in ipotesi
tassativamente predeterminate, mentre ciascun proprietario può in qualunque momento chiedere lo
scioglimento della comunione;
Nella liquidazione della quota del socio non si riconosce il diritto alla restituzione del bene conferito,
ma ad ottenerne una somma in denaro che rappresenti il valore della quota;
Il patrimonio sociale è destinato esclusivamente alla soddisfazione dei creditori sociali.

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Il capitale sociale

I conferimenti che confluiscono nel fondo sociale, assumono la denominazione di capitale sociale,
il quale può essere definito come il valore in denaro dei conferimenti dei soci secondo la valutazione
compiuta nel contratto sociale.
I conferimenti diversi dal denaro devono essere valutati all'atto del conferimento e la cifra deve
corrispondere alla realtà. Per le società personali e le società a responsabilità limitata, per i beni in
natura, si applica la disciplina della vendita per il conferimento in proprietà e quello della locazione
per il conferimento in godimento, mentre per il conferimento dei crediti si fa salvo buon fine.
Dal capitale sociale bisogna tenere distinto il patrimonio sociale, il quale è il complesso dei rapporti
giuridici attivi e passivi facenti capo alla società.
Il capitale non varia con il variare del patrimonio in modo da non danneggiare i soci e i terzi. Proprio
per la soddisfazione di tale esigenze, che l'integrità del capitale sociale svolge una funzione come
moderatore legale e contabile della vita della società.

Per autonomia patrimoniale perfetta si intende una reciproca insensibilità fra il patrimonio dell'ente
e patrimoni dei singoli associati, nel senso che le vicende dell'ente non potranno mai incidere sulle
vicende dei soci e viceversa. L’autonomia patrimoniale perfetta si ha solo sulle persone giuridiche e
con riferimento alle società, solo nelle società per azioni, a responsabilità limitata e nelle società
cooperative.
L'autonomia patrimoniale imperfetta la troviamo nelle società di persone, dove i creditori
particolari dei soci, nella società semplice possono addirittura chiedere la liquidazione della quota
sociale di pertinenza del socio debitore; Mentre nella società in nome collettivo i creditori sociali non
possono aggredire il patrimonio dei singoli soci se non dopo aver infruttuosamente esperito le azioni
giudiziarie contro il patrimonio della società.

L'oggetto sociale

L’attività economica si concretizza con la scelta del ramo merceologico dell'attività che costituisce
l'oggetto sociale che deve possedere i requisiti richiesti dall'articolo 1346 per ogni tipo di contratto,
e cioè liceità, possibilità, determinatezza o determinabilità.
La concreta individuazione dell'oggetto sociale è importante perché consente di distinguere la
società dalla comunione di godimento, in quanto nella società i beni conferiti vengono impiegati
per attuare concretamente l'oggetto sociale, mentre nella comunione di godimento ci si limita a
percepire i frutti; consente soprattutto, di individuare i limiti ai poteri degli amministratori.
Ci sono alcuni casi che la legge esige in modo espresso e tassativo l'esclusività dell'oggetto
sociale, nel senso che non può svolgere altre attività, anche se complementari, e si riscontra sempre
di più nella legislazione speciale come ad esempio alle società che hanno per oggetto l’attività di
intermediazione finanziaria.

Il quarto elemento rilevante è quello causale in quanto l'esercizio in comune dell’attività


economica costituisce lo scopo-mezzo, comune a tutti i soci per il conseguimento dello scopo
istituzionale che può essere lucrativo, mutualistico o consortile e può rappresentare l'elemento
individuante e marcante.

Il contratto di società come risulta dall' articolo 2247 è:


oneroso;
consensuale, che si desume dal conferimento dei soci;
sinallagmatico, il sinallagma si stabilisce tra il conferimento e il diritto agli utili, tra le prestazioni di
ciascun contraente e la realizzazione dello scopo comune;
plurilaterale, in quanto che anche se le parti originarie siano due, il rapporto resta comunque aperto
all'adesione di altri soggetti senza che ciò implichi la stipulazione di un nuovo contratto.;
con comunione di scopo in quanto l'avvenimento che soddisfa l'interesse di tutti i contraenti è
unico, le prestazioni dei contraenti possono essere anche di diverso valore e contenuto, purché

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siano idonei al raggiungimento dello scopo sociale, ed ogni contraente compie la propria prestazione
per la soddisfazione dell'interesse sia proprio che degli altri contraenti.

La forma del contratto di società. la società di fatto

La costituzione di società di persone è caratterizzata dalla massima semplicità formale e sostanziale,


essendo sufficiente che tra i soci intercorra il reciproco impegno nello svolgere una data attività
economica (art. 2251), mentre per le società di capitali e società mutualistiche l'atto costitutivo deve
essere stipulato, pena di nullità per atto pubblico.
Nelle società personali, si può dar vita ad una società non solo attraverso la volontà delle parti con
un accordo verbale, ma anche attraverso un comportamento concludente tra le parti e si ha in questo
caso la società di fatto in quanto due o più persone si comportano come soci realizzando i contenuti
descritti nell'articolo 2247 senza aver stipulato alcun tipo di accordo espresso, scritto o orale.
I soggetti devono essere almeno due e ci deve essere l'accordo. La società di fatto è un istituto che
può aversi per le sole società lucrative di persone. Una serie di norme a carattere suppletivo,
assicura il funzionamento della società, in quanto intervengono nel caso in cui non siano stati definiti
degli aspetti come nel caso della determinazione dei conferimenti o il criterio di ripartizione degli
utili.

Le maggiori situazioni che hanno dato luogo a contenzioso sono:

i rapporti di coniugio o di parentela: come nell'ipotesi della moglie che collabora nell'impresa di
cui è titolare il marito, e si pone il problema nel caso di fallimento, se fra i due intercorre un rapporto
di natura e societaria; o il padre che offre un supporto finanziario al figlio imprenditore che versi in
difficoltà, e in questo caso si tratta di stabilire se l'aiuto paterno abbia costituito una manifestazione
del legame affettivo, ovvero la presunzione dell’esistenza di una società tra il finanziatore e il
soggetto finanziato.
Oppure, per quanto riguarda la comunione ereditaria, che si costituisce tra gli eredi in conseguenza
della morte dell'imprenditore e ad esempio, nel caso in cui soltanto alcuni eredi abbiano
effettivamente continuato l'attività imprenditoriale e gli altri, non essendo interessati ad essa abbiano
soltanto percepito i frutti, senza preoccuparsi di fare registrare il loro dissenso e di farsi liquidare la
quota dagli eredi che hanno proseguito l'attività.

La disciplina della società di fatto segue lo schema della società semplice, esercitando un'attività
commerciale, permane la responsabilità illimitata e solidale dei soci nei confronti dei terzi e si
applicano le altre norme che sono connesse alla particolare natura dell'attività esercitata.

La società è irregolare quella commerciale per la quale non sono state osservate le prescrizioni
relative agli adempimenti pubblicitari, poiché l'iscrizione nel registro imprese non è un adempimento
costitutivo per le società di persone e la mancata iscrizione non impedisce che la società venga ad
esistenza, ma produce soltanto una parziale modificazione della disciplina applicabile.

La società è occulta quando vi è espressa e concordata volontà dei soci che ogni rapporto con i
terzi venga posto in essere per conto della società, ma non in suo nome, in quanto all'esterno
le operazioni sono compiute da un imprenditore individuale ed i cui soci restano occulti ai
terzi.
Lo scopo è di evitare che la società sia chiamata a rispondere nei confronti dei terzi, ma i terzi
possono provare l'esistenza del vincolo sociale tra il prestanome e i soci occulti, per riaffermare la
responsabilità della società e dei soci.

La società è apparente, quella in cui più persone operano nel mondo esterno in modo tale da creare
nei confronti di terzi la convinzione dell'esistenza di un vincolo sociale, nonostante inesistente nei
rapporti interni.

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I terzi che hanno fatto affidamento sulla esistenza della società rilevata inesistente, possono agire
in base all'articolo 2043 per il risarcimento da fatto illecito o per quanto riguarda l'articolo 1398 la
rappresentanza senza potere.

La società irregolare può essere anche di fatto, nell'ipotesi in cui non sia stato stipulato alcun
contratto scritto, oppure quando sia stata costituita in virtù di un contratto scritto, ma non depositato
presso il registro delle imprese. La distinzione non è meramente concettuale, in quanto basti pensare
alla circostanza che mentre nel caso in cui non è stato depositato presso registro imprese è sempre
possibile provvedere, nel caso della società di fatto, mancando il contratto scritto occorre una
sentenza che ne accerti l'esistenza.

Le Spa e le srl possono essere costituite con atto unilaterale e viene stesa, a determinate condizioni,
anche alla costituzione di società per azioni risultanti dalla dismissione di partecipazioni dello Stato
o di altri enti pubblici in società per azioni.
La conseguenza è che in tale ipotesi non si può più parlare di una società generata da un contratto
e la seconda conseguenza è che non tutti i caratteri marcanti il contratto di società si possono
riscontrare nell'alto unilaterale come al riguardo la comunione di scopo, perché se non c'è esercizio
comune non può esserci una comunione di scopo.
L'atto rimane a titolo oneroso e anche nelle società unilaterali e il socio che si obbliga ad effettuare
il conferimento, acquista per effetto di questo la qualità di socio.

La società legale, indica una società voluta dalla legge e in particolar modo quelle società che non
hanno la loro Fonte in un contratto o in un atto unilaterale ma direttamente nella legge. Presuppone
che la legge istitutiva individui specificatamente gli elementi essenziali per la nascita dell'ente e per
effetto della legge nasce come un effetto obbligatorio e con patrimonio autonomo, e l'acquisto della
personalità giuridica e subordinata all'iscrizione nel registro delle imprese.
Le società legali, sono caratterizzate dalla partecipazione pubblica, i soci sono predeterminati con
le rispettive quote di partecipazione, le modificazioni dell'atto costitutivo sono disposte dalla legge,
e di solito viene inibito lo scioglimento anticipato data l'essenzialità del raggiungimento dell'oggetto
sociale. Le società legali, sono delle società per azioni che sono disciplinate dalla legge istitutiva e
soltanto in modo residuale dal diritto societario comune.

Le società legificate, sono quelle società di fonte contrattuale per le quali sia stato predisposto
successivamente alla loro costituzione, uno statuto legale ad hoc come nel caso della
privatizzazione degli enti pubblici economici, trasformati in società per azioni.
Le Società speciali sono delle fattispecie societarie che presentano alcuni requisiti specifici. La
specialità può riguardare le parti contraenti, nel caso in cui alla costituzione della società possono
partecipare solo gli appartenenti a una categoria di soggetti, oppure l'oggetto sociale, in ragione di
una particolare rilevanza pubblica.
Nelle società anomale, manca un elemento non decisivo ai fini della qualificazione societaria, come
lo scopo di lucro o la pluralità dei soci.

La prova della società

La semplicità formale e sostanziale con la quale si possono costituire le società personali fa sorgere
una serie di problemi per quanto riguarda la prova del rapporto sociale concernenti le società di
fatto.
Un problema di grande rilievo riguarda le società apparenti, ovvero in tutti quei fatti e comportamenti
idonei a dare adito nei confronti dei terzi dell'esistenza della società e sulla responsabilità di coloro
che ne appaiono soci.
I soci apparenti non possono eccepire ai terzi l’inesistenza del rapporto sociale, e sono chiamati a
rispondere delle obbligazioni della società, sino a poter essere dichiarati falliti in estensione.
Per la valutazione dell'esistenza di una società di fatto si guarda essenzialmente ai rapporti interni
fra i soci, essendo necessario l'istituzione di un fondo comune, l’alea dei guadagni e delle perdite.
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La configurazione della società apparente, viene connessa al semplice accertamento delle


manifestazioni esteriori del vincolo sociale senza che sia rilevante l'indagine dell'effettiva esistenza
del vincolo sociale.
L'esternalizzazione del rapporto sociale è considerata una condizione sufficiente per l'affermazione
delle responsabilità e per l'eventuale assoggettamento al fallimento della società apparente.
I mezzi istruttori ammissibili per arrivare alla prova dell'esistenza della società, sono il ricorso al
giuramento decisorio, alla prova testimoniale, e alle presunzioni.

Il contratto di società. L'invalidità e la simulazione

In riferimento al contratto di società, il fatto che un patrimonio sia destinato allo svolgimento di
un'attività con i terzi, fa risaltare l'esigenza della tutela dell'affidamento di quest'ultimi e, pone il
problema della sorte degli effetti prodotti da tali atti, nel caso in cui risulti inficiato il vincolo sociale.
Si tratta di stabilire se la declaratoria di nullità del contratto sociale travolga o meno i contratti e gli
atti compiuti dalla società tra il momento della costituzione e il momento in cui interviene la
declaratoria di nullità.
Le logiche di conservazione degli atti compiuti, estensibili alle società mutualistiche, in tema di
società per azioni, stabilisce che la dichiarazione di nullità non pregiudica l'efficacia degli atti compiuti
in nome della società dopo l'iscrizione nel registro delle imprese; mentre non è prevista nessuna
norma in tema di invalidità del contratto sociale e dei conseguenti effetti di nullità per le società di
persone.
Le cause di nullità o di annullamento del contratto di società di persone sono le stesse per ogni altro
tipo di contratto: mancata stipulazione dell'atto costitutivo in forma pubblica; illiceità dell'oggetto
sociale; mancanza dell'atto costitutivo, dei conferimenti eccetera.

L'ammissibilità dell'azione di simulazione del contratto di società riguarda essenzialmente le società


di persone, dal momento in cui la dottrina per le società per azioni non prevede la simulazione tra i
casi tassativi di nullità della società.

In generale la configurabilità della simulazione fa sorgere dei problemi:


La distinzione tra società simulata e la società apparente: la società simulata presuppone sempre
comunque la volontà e la consapevolezza dei contraenti di far apparire all'esterno una situazione
che non corrisponde alla realtà dei fatti; la società apparente al di là del reale intento delle parti,
all'esterno appare come una società;
La difficoltà di individuare la simulazione assoluta e quella relativa. La simulazione assoluta si
configura all'esterno come sociale, un'impresa individuale e coloro che si che appaiono come soci
non vogliono in realtà stipulare alcun tipo di contratto di società; la simulazione relativa e quando
l'apparente rapporto sociale sottintende un diverso rapporto come nel caso di lavoro subordinato,
che le parti invece hanno interesse a far valere come sociale.
I soci non potranno opporre la simulazione ai creditori sociali, mentre la simulazione potrà essere
fatta valere dai creditori particolari del socio.

Le modificazioni del contratto di società

Si ha modificazione del contratto o dell'atto costitutivo della società quando si pone in essere un
regolamento difforme da quello originario, e sia da quello integrato dall'originaria volontà dei soci.

Società di persone. L’art. 2252 stabilisce che il contratto sociale può essere modificato soltanto con
il consenso di tutti i soci salvo che non sia convenuto diversamente. Le manifestazioni del consenso
o del dissenso non devono avvenire necessariamente in modo contestuale e cioè nel corso della
riunione, e possono essere espresse in modo più svariato come ad esempio, per lettera.
La deroga maggioritaria non può essere introdotta nel contratto mediante una modifica apportata a
maggioranza, solo con il consenso di tutti i soci può essere modificata la clausola che preveda una
determinata maggioranza. Così come non è consentito alla sola maggioranza di imporre ai soci

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nuovi obblighi. La regola maggioritaria incontra il limite costituito dai diritti individuali dei soci e, dalle
norme imperative.
Contenuto delle modificazioni può riguardare emissione dei nuovi soci o la sostituzione, l'oggetto
sociale, la sede, la ditta, i modi di amministrazione, la proroga della durata e i criteri di ripartizione
degli utili.

Società di capitali e società cooperative. Le modificazioni dell'atto costitutivo delle società per
azioni e delle società cooperative vengono adottate dall'Assemblea straordinaria. Il principio
maggioritario incontra il limite delle norme imperative e dei diritti individuali dei soci.

La società e i rapporti con i terzi

La società è un ente che destinato ad operare sul mercato e quindi assume una grande importanza
i rapporti e la responsabilità verso i terzi.
La società risponde con il proprio patrimonio per le obbligazioni assunte nei confronti di terzi ed è
questo un principio generale a tutte le società.
Nelle società di capitali il patrimonio sociale, costituisce in linea di principio l'unica garanzia e quindi,
l'unica fonte di soddisfacimento delle pretese dei creditori sociali. Questo significa che il limite
massimo del rischio del singolo socio è costituito dal valore della partecipazione sociale della quale
è titolare e che i creditori del singolo socio non potranno mai chiedere la liquidazione della quota del
socio e potranno solo aggredire i frutti della partecipazione, ovvero compiere atti conservativi o
cautelari sulla quota di partecipazione.
Per le società di persone, alla garanzia costituita dal patrimonio della società si aggiunge, nel caso
in cui questi sia insufficiente alla soddisfazione delle obbligazioni sociali, la responsabilità personale
dei soci. Di norma i creditori dovranno prima agire nei confronti del patrimonio sociale e solo se
questo risulterà incapiente potranno agire nei confronti del patrimonio dei singoli soci.
Per le società cooperative, la riforma del 2003 ha mantenuto in vita le sole cooperative a
responsabilità limitata.

Pubblicità dell'impresa

Tutte le società hanno l'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, anche se l'iscrizione può
avere un'efficacia diversa per i singoli tipi di società, che prevedono l’iscrizione in sezioni speciali ed
a fini diversi anche per la società semplice.
Tale obbligo deve essere osservato anche se la società non esercita un'attività commerciale;

L'efficacia dell'iscrizione è diversa a seconda del tipo di società: per la società semplice, l'iscrizione
nelle sezioni speciali ha funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia; per le società
di persone, ha efficacia dichiarativa, nel senso che pur prescritta e penalmente sanzionata, non è
un adempimento a cui l'ordinamento giuridico subordini la nascita della società o la validità del
contratto; per le società di capitali ha efficacia costitutiva nel senso che con l'iscrizione, la società
acquista la personalità giuridica; per le società formate da un unico azionista o quotista, viene
previsto un particolare tipo di pubblicità e gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel
registro delle imprese una dichiarazione contenente le generalità anagrafiche dell'unico socio.

Sono obbligati a eseguire l'iscrizione, gli amministratori e se questi non provvedono, ciascun socio
a spese della società, mentre se la stipulazione è avvenuta per atto pubblico, l'adempimento può
essere curato anche dal notaio; il presupposto per iscrizione è il deposito della scrittura privata
dell'atto presso il registro delle imprese.

Le società di capitali e le società cooperative sono dotate di personalità giuridica mentre,


difetta nelle società di persone. Sono dotate di un diverso grado di autonomia patrimoniale che è
piena e perfetta nelle società dotate di personalità giuridica, mentre è imperfetta, anche se assume
una diversa graduazione a seconda dei tipi, nelle società che non sono dotate di personalità
giuridica.
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Rientrano nelle società di persone: la società semplice, la società in nome collettivo e la società in
accomandita semplice, mentre tra le società di capitali abbiamo la società per azioni, la società in
accomandita per azioni e la società responsabilità limitata.

Le società di persone sono organizzate in funzione dell'uomo-socio, il quale viene preso in


considerazione per le sue qualità personali e professionali; mentre le società di capitali sono
organizzate in funzione dei capitali conferiti dal socio, nel senso che il socio non viene in
considerazione solo in quanto persona ma in ragione della quota di capitale sottoscritta.

Da ciò deriva un diverso regime di responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali, nel senso che
nelle società di persone il socio rischia di norma nell'impresa sociale il suo patrimonio con vincolo di
solidarietà nei confronti degli altri soci; mentre nella società di capitali rischia solo la quota conferita
essendo il suo patrimonio insensibile alle vicende che colpiscono il patrimonio sociale.

Inoltre, abbiamo una diversa misura del potere del socio di incidere con la propria opera sulla
gestione della società, nel senso che nelle società di persone il socio è il naturale amministratore
della società in quanto rischia nell'impresa anche con il proprio patrimonio personale, nelle società
di capitali il potere di amministrazione è svincolato dalla qualità di socio ed è esercitabile dal socio
solo indirettamente, nel senso che può scegliere gli amministratori;

Nelle società di capitali esiste una diversa organizzazione interna fondata sulla divisione delle
competenze fra assemblea dei soci, gli amministratori e collegio sindacale. Nelle società di persone
non esiste una vera e propria organizzazione interna in quanto i poteri di gestione e di deliberazione
risiedono entrambi nei soci amministratori;

Un ulteriore momento distintivo è costituito dal diverso principio che presiede al funzionamento
dell'ente, nelle società di capitali il contratto di società una volta che l'ente è nato si adotta principio
di maggioranza per tutte le deliberazioni dell'assemblea e dell’organo amministrativo; mentre nelle
società di persone le modificazioni del contratto sociale possono avvenire solo con il consenso di
tutti i soci;

Abbiamo un diverso regime di circolazione delle partecipazioni sociali. Nelle società di capitali sono
liberamente trasferibili e si trasmettono agli eredi, nelle società di persone, costituendo il
trasferimento della quota una modificazione dell'atto costitutivo e il trasferimento della
partecipazione per atti tra vivi può avvenire solo con il consenso di tutti i soci, mentre per causa di
morte, la regola è che, salvo patto contrario, la partecipazione non si trasmette agli eredi che hanno
diritto alla sola liquidazione della quota.

Società artigiana

Per la riforma della società artigiana del 1985, si considera tale quella che viene svolta in prevalenza
con il lavoro personale, anche manuale nel processo produttivo e che nell'impresa il lavoro abbia
una funzione preminente rispetto al capitale e, in linea di principio può essere esercitata anche con
forma societaria restando precluso il ricorso ai tipi di società per azioni e in accomandita per azioni.
Non può assumere le sembianze della società semplice nel caso in cui l'impresa artigiana svolga
un’attività commerciale.

L’impresa agricola

L'articolo 2135 nel qualificare un'attività agricola prevede che sia esercitata dallo stesso soggetto cui
è riferibile l'attività principale. Si considerano imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori
agricoli e i loro consorzi quando utilizzano per lo svolgimento delle attività prevalentemente prodotti
dei soci, consentendo che resti agricola la cooperativa che trasformi prodotti provenienti non dei
propri fondi ma dei fondi dei soci, permettendo che il conferimento dei prodotti da trasformare e da

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vendere da parte dei soci sia soltanto prevalente rispetto a quello conferito da estranei o acquistato
sul mercato.
Sono considerate imprenditori agricoli professionali quando hanno come oggetto esclusivo
l'esercizio di attività agricola e che siano in possesso, secondo i vari tipi di società che almeno un
socio abbia la qualifica di imprenditore agricolo professionale.

Società finanziarie

In linea generale si possono definire società finanziarie quelle che hanno per oggetto sociale una
qualsiasi delle attività normalmente definite finanziarie, o caratterizzanti il mercato finanziario, a
prescindere dalla intensità del grado di strumentalità che caratterizza sempre ogni attività finanziaria.
Possono considerarsi società finanziarie le banche d'affari e le società fiduciarie, le holding e le
Sicav, le società che hanno per oggetto prevalente o che svolgono in via prevalente attività di
concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, compresa la locazione finanziaria, l'assunzione
di partecipazione, intermediazione in cambi, servizi di incasso, pagamento e trasferimento di Fondi,
emissione e gestione di carte di credito.

Società fiduciarie
Le società fiduciarie si propongono, sotto forma di impresa, di assumere l'amministrazione di beni
per conto terzi, l'organizzazione aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni ed obbligazioni.

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La società semplice assume nel codice una posizione preminente dal punto di vista normativo, in
quanto la sua disciplina si estende anche alle società nome collettivo e alla società in accomandita
semplice, mentre rimane insignificante la concreta utilizzazione del modello.
Viene definita semplice la società che non presenta elementi di identificazione diversi da quelli che
la norma definisce Società come contratto, e cioè l’articolo 2247.
Una società è regolata dalle norme sulla società semplice quando non ha ad oggetto l'esercizio di
un'attività commerciale e quando le parti non abbiano adottato le forme di una delle società
commerciali.

Le categorie ipotizzabili quale oggetto della società semplice e sono:

Quella agricola, almeno dal punto di vista concettuale anche se in concreto l'utilizzazione per
l'esercizio dell'attività agricola risulta decisamente ridotto, in quanto, le comunioni tacite familiari, la
mezzadria, e la colonia erano sottratte alla disciplina della società semplice in quanto non potevano
avere ad oggetto il mero godimento dei beni. Inoltre, la legislazione speciale favorisce ai fini del
godimento di incentivi e agevolazioni, la scelta di forme societarie o associative diverse dalla società
semplice. L'ipotesi più frequente si verifica nella pratica ed è quella dei coeredi che continuano
l'esercizio dell'impresa agricola del loro dante causa; una seconda possibile forma di utilizzazione è
quella delle società di revisione; quella delle attività professionali; una quarta categoria potrebbe
comprendere tutte quella attività che una volta erano considerate latu sensu civili come le società
esercenti l'attività di riscossione delle imposte o l'attività di vigilanza notturna.

La costituzione della società semplice è caratterizzata dalla massima semplicità formale e


sostanziale, nel senso che il legislatore non solo non prescrive forme particolari per la stipulazione
del contratto, ma non richiede neanche un contenuto minimo dell'atto costitutivo, limitandosi a
stabilire nell'articolo 2251 che il contratto non è soggetto a forme particolari speciali, salve
quelle richieste dalla natura dei beni conferiti.
La forma scritta è indispensabile solo quando vengono conferiti dai soci in proprietà o in godimento
ultranovennale beni immobili o altri diritti reali immobiliari.

L'atto costitutivo deve contenere: i soggetti, l'oggetto e la causa.


I soggetti devono essere almeno due.
Per quanto riguarda l'oggetto, non può contemplare attività di natura commerciale.
La causa, è definita dall'articolo 2247 per tutte le società lucrative.
Il fondo sociale è lo strumento di attivazione dell'oggetto sociale e l'articolo 2253 stabilisce che se
i conferimenti non sono determinati, si presume che i soci siano obbligati a conferire in parti uguali
tra loro, quando è necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale.

La pubblicità

La pubblicità per le società è regolata dall'articolo 2200, da cui si possono ricavare delle regole:

Tutte le società hanno l'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, comprese quelle non
commerciali, anche se l'iscrizione può avere un'efficacia diversa per i vari tipi di società.
per la società semplice, l'iscrizione nelle sezioni speciali ha funzione di certificazione anagrafica e
di pubblicità notizia;
per le altre società di persona ha efficacia dichiarativa, nel senso che pur essendo prescritta e
penalmente sanzionata, la validità della società non è subordinata a tale adempimento;
per le società di capitali ha un'efficacia costitutiva ed è con l'iscrizione che acquista la personalità
giuridica;
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per le società con un unico azionista o quotista, viene previsto un particolare regime di pubblicità
in cui gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese una
dichiarazione contenente le generalità anagrafiche dell'unico socio.

Per l'iscrizione devono provvedere gli amministratori e nel caso in cui non provvedano, è tenuto ad
effettuarla ciascun socio a spese della società, Mentre se la stipulazione è venuta per atto pubblico,
l'adempimento può essere anche curato dal notaio. Il presupposto per l'iscrizione è il deposito della
scrittura privata o dell'atto pubblico presso il registro delle imprese.

Gli adempimenti pubblicitari disposti per la società sono effettuati in quanto ente e non in quanto
impresa, indipendentemente da fatto che l'attività sia esercitata come impresa e dal fatto che l'attività
sia o meno di natura commerciale.
Le società di capitali e le società cooperative sono dotate di personalità giuridica mentre le società
di persone essendone sprovviste, esprimono la propria volontà attraverso le persone fisiche che ne
hanno la rappresentanza.

Società di persone e società di capitali

Rientrano nelle società di persone, la società semplice, la società in nome collettivo e la società in
accomandita semplice, mentre nelle società di capitali sono comprese la società per azioni, la
società in accomandita per azioni e la società a responsabilità limitata.
Le società di persone sono organizzate in funzione dell'uomo-socio, il quale viene preso in
considerazione per le sue qualità personali e/o professionali, mentre le società di capitali sono
organizzate in funzione dei capitali conferiti e il socio non viene in considerazione solo in quanto
persona, ma anche in ragione della quota di capitale sottoscritto.

I diversi tipi di società sono contraddistinti dal diverso regime di responsabilità dei soci per le
obbligazioni sociali, nel senso che nelle società di persone il socio rischia, di norma, nell'impresa
sociale l'intero patrimonio con vincolo di solidarietà nei confronti degli altri soci; mentre nelle società
di capitali il socio rischia solo la quota conferita, essendo il suo patrimonio insensibile alle vicende
societarie.
Un altro carattere distintivo è il diverso potere del socio di incidere con la propria opera sulla gestione
della società, nel senso che nelle società di persone il socio è il naturale amministratore della società
in quanto rischia nell'impresa anche il proprio patrimonio personale; nelle società di capitali il potere
di amministrazione è svincolato dalla qualità di socio ed è esercitabile dal socio solo indirettamente
mediante la scelta degli amministratori.
Nelle società di capitali esiste un'organizzazione interna fondata sulla divisione delle competenze
fra l'assemblea dei soci, gli amministratori e collegio sindacale, mentre nelle società di persone non
esiste una vera e propria organizzazione interna in quanto i poteri di gestione e di deliberazione
risiedono entrambi nei soci amministratori.
Un ulteriore momento distintivo è costituito dal diverso principio che presiede al funzionamento
dell'ente, in quanto nelle società di capitali che si concreta nell'adozione del principio di maggioranza
per tutte le deliberazioni dell'assemblea e dell'organo amministrativo; mentre nelle società di persone
si prescrive che le modificazioni del contratto possono avvenire solo con il consenso di tutti i soci.
Un ultimo momento di distinzione è il diverso regime di circolazione delle partecipazioni sociali.
Mentre nelle società di capitali i titoli sono di norma liberamente trasferibili e si trasmettono agli eredi,
nelle società di persone costituendo una modifica dell'atto costitutivo, il trasferimento della
partecipazione inter vivos può avvenire solo con il consenso di tutti i soci, mentre per trasferimento
a causa di morte, la regola è che la partecipazione non si trasmette agli eredi e questi hanno diritto
alla sola liquidazione della quota.

Società artigiane

Nella regolamentazione della società Artigiana operata nel 1985, viene definita impresa artigiana a
condizione che la maggioranza dei soci, svolga in prevalenza con lavoro personale, anche manuale
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nel processo produttivo e che il lavoro abbia una funzione preminente sul capitale e, in linea di
principio può anche essere esercitata in forma societaria, escluse le società per azioni e in
accomandita per azioni. La società semplice è vietata qualora l'impresa artigiana svolga un'attività
commerciale.

Società agricole

Sono considerati imprenditori agricoli, le cooperative di imprenditori agricoli e i loro consorzi quando
utilizzano per lo svolgimento della propria attività prevalentemente prodotti dei soci, consentendo
che resti agricola, la cooperativa che trasforma prodotti provenienti non dai propri fondi ma da quelli
dei soci e, consentendo che il conferimento dei prodotti da trasformare e da vendere da parte dei
soci sia soltanto prevalente rispetto a quello conferito da estranei o acquistato sul mercato.
Le società sono considerate imprenditori agricoli professionali quando hanno come oggetto
l'esercizio dell'attività agricola di cui all'articolo 2135 e e che almeno un socio si è in possesso della
qualifica di imprenditore agricolo professionale, nel caso di società cooperative, almeno un quinto
dei soci e per le società di capitali deve essere in possesso da parte di un amministratore.

Le società finanziarie

In linea generale si possono definire società finanziarie quelle che hanno come oggetto sociale una
qualsiasi attività normalmente definita finanziaria, o caratterizzante il mercato finanziario, a
prescindere dalla intensità del grado di strumentalità che caratterizza sempre ogni attività finanziaria.
Si possono considerare società finanziarie le banche d'affari, le società fiduciarie, le holding, le Sicav
e così via.
Con l'emanazione della legge antiriciclaggio si stabilisce che possono essere considerate
finanziarie, le società che hanno per oggetto prevalente e che comunque svolgono in via prevalente
attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, compresa la locazione finanziaria,
l'assunzione trasferimento di Fondi, emissione e gestione di carte di credito.

Le società fiduciarie

Le società fiduciarie, si propongono sotto forma di impresa, di assumere l'amministrazione dei beni
per conto terzi, l'organizzazione di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di
obbligazioni e con il decreto legislativo del 1975 viene sottratta l'attività di revisione e di certificazione
contabile che viene attribuita alle società di revisione.
Essendo state private di molte delle loro funzioni originarie, occorre distinguere due categorie di
fiduciarie, quelle che svolgono attività di gestione dei patrimoni mediante operazioni aventi per
oggetto valori mobiliari, in nome proprio e per conto di terzi con quelle che svolgono attività lato
sensu di amministrazione, che sono ancora regolare quella legge del 1939.
Per quanto attiene le prime sono iscritte in un'apposita sezione delle SIM tenute presso la Consob
e sono soggette alla vigilanza per quanto riguarda gli obblighi di informazione e di correttezza e la
regolarità delle negoziazioni. Mentre, la seconda categoria di fiduciarie non avendo l'esclusività
dell'oggetto può svolgere una gamma piuttosto ampia di attività e sono sottoposti alla vigilanza del
Mise.

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La società semplice assume nel codice una posizione preminente dal punto di vista normativo, in
quanto la sua disciplina si estende anche alle società nome collettivo e alla società in accomandita
semplice, mentre rimane insignificante la concreta utilizzazione del modello.
Viene definita semplice la società che non presenta elementi di identificazione diversi da quelli che
la norma definisce Società come contratto, e cioè l’articolo 2247.
Una società è regolata dalle norme sulla società semplice quando non ha ad oggetto l'esercizio di
un'attività commerciale e quando le parti non abbiano adottato le forme di una delle società
commerciali.

Le categorie ipotizzabili quale oggetto della società semplice e sono:

Quella agricola, almeno dal punto di vista concettuale anche se in concreto l'utilizzazione risulta
decisamente ridotta, in quanto, le comunioni tacite familiari, la mezzadria, e la colonia erano sottratte
alla disciplina della società semplice in quanto non potendo avere ad oggetto il mero godimento dei
beni. A questo deve aggiungersi che la legislazione speciale favorisce ai fini del godimento di
incentivi e agevolazioni, la scelta di forme societarie o associative diverse dalla società semplice.
L'ipotesi più frequente si verifica nella pratica ed è quella dei coeredi che continuano l'esercizio
dell'impresa agricola del loro dante causa; una seconda possibile forma di utilizzazione è quella delle
società di revisione; le attività professionali, e le società esercenti l'attività di riscossione delle
imposte o l'attività di vigilanza notturna.

La costituzione della società semplice è caratterizzata dalla massima semplicità formale e


sostanziale, nel senso che il legislatore non solo non prescrive forme particolari per la stipulazione
del contratto, ma non richiede neanche un contenuto minimo dell'atto costitutivo, limitandosi a
stabilire nell'articolo 2251 che il contratto non è soggetto a forme particolari speciali, salve
quelle richieste dalla natura dei beni conferiti.
La forma scritta è indispensabile solo quando vengono conferiti dai soci in proprietà o in godimento
ultranovennale beni immobili o altri diritti reali immobiliari.

L'atto costitutivo deve contenere: i soggetti, l'oggetto e la causa.

I soggetti devono essere almeno due.


Per quanto riguarda l'oggetto, non può contemplare attività di natura commerciale.
La causa, è definita dall'articolo 2247 per tutte le società lucrative.
Il fondo sociale è lo strumento di attivazione dell'oggetto sociale e l'articolo 2253 stabilisce che se
i conferimenti non sono determinati, si presume che i soci siano obbligati a conferire in parti uguali
tra loro, quando è necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale.

La pubblicità

L'iscrizione nel registro delle imprese per la società semplice ha funzione di certificazione anagrafica
e di pubblicità notizia. Nelle società personali la pubblicità non incide sulla validità del contratto, e la
mancata iscrizione non determina una situazione di irregolarità come nelle società in nome collettivo
che in quella in accomandita semplice.
La funzione puramente informativa della cosiddetta pubblicità notizia che, a differenza di quella
dichiarativa, non ha lo scopo di rendere opponibili ai terzi determinate situazioni, ma ciò non significa
che non la si possa inquadrare fra i mezzi idonei a portare a conoscenza i terzi, e quindi rendendo
opponibili determinati fatti.

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L’importanza essenziale della pubblicità è l'idoneità a raggiungere lo scopo notificativo e, la sua


idoneità quale atto pubblicitario lo rende opponibile a qualunque terzo, anche se ignaro.
L'iscrizione nel registro delle imprese delle società semplici esercenti attività agricole e, oltre alle
funzioni di certificazione anagrafica e delle leggi speciali, produce gli effetti di cui all'articolo 2193
dell'efficacia dell’iscrizione.

I sistemi di amministrazione adottabili nelle società personali sono regolati dagli artt. 2257 e 2258.
Non esistono organi sociali in senso proprio, ma esistono solo i soci ai quali la legge attribuisce il
potere di decidere amministrando.

I modi di amministrare le società personali previsti dall'ordinamento, sono:

amministrazione disgiuntiva, regolata dall'articolo 2257. La gestione dell'impresa spetta


esclusivamente agli amministratori, ai quali competono le operazioni necessarie per l'attuazione
dell'oggetto sociale. Salvo diversa pattuizione, l'amministrazione della società spetta a ciascuno dei
soci disgiuntamente dagli altri. Se ci sono più soci amministratori, ciascun socio ha diritto di opporsi
all'operazione che un altro vuole compiere. La maggioranza dei soci, determinata secondo le
attribuzioni degli utili, decide sull'opposizione.

Amministrazione congiuntiva, regolata dall'articolo 2258 e dispone che se l’amministrazione


spetta congiuntamente a più soci è necessario il consenso di tutti i soci amministratori per il
compimento delle operazioni sociali. I singoli amministratori non possono compiere da soli alcun
atto, salvo che vi sia urgenza di evitare un danno alla società.

Nell'amministrazione disgiuntiva ciascun socio è legittimato ad intraprendere da solo in nome


della società tutte le operazioni che ritiene utili nell’interesse della società senza dovere informare
preventivamente gli altri soci e di portarle a termine, a meno che non venga esercitato il diritto di
opposizione che ogni socio può esercitare prima che l'operazione intrapresa sia conclusa.
L'amministrazione congiuntiva deve essere espressamente convenuta nell'atto di stipulazione del
contratto. Anche nell'amministrazione congiuntiva, oltre alla possibilità che l'amministrazione sia
affidata a tutti o solo ad alcuni dei soci, è possibile prevedere che le decisioni vengano adottate non
secondo la regola dell'unanimità, ma secondo la regola della maggioranza, che viene calcolata per
quote di interessi.

Il rapporto di amministrazione non viene disciplinato allo stesso modo in tutti i tipi di società, anche
se è identica la funzione amministrativa come dovere connesso all'esercizio di poteri speciali, idonei
a determinare effetti in una sfera di interessi estranei, in tutto o in parte, a quelli dell’agente.
L'amministrazione si occupa della direzione degli affari sociali in base a delle competenze risultanti
dalla legge o dal contratto e la rappresentanza si tratta di una legittimazione sostanziale e
processuale ad impegnare il nome della società nei confronti dei terzi.

I diritti e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato.
Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per l'adempimento degli obblighi
che sono imposti dalla legge e dal contratto sociale. Gli altri obblighi sono costituiti dal fornire Il
rendiconto ai soci non amministratori che, non sussiste nel caso in cui tutti i soci siano amministratori;
di fornire ai soci non amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consentire la
consultazione dei documenti relativi all'amministrazione; obbligo di tenere le scritture contabili
imposte dalla legge.
Per quanto riguarda i poteri, occorre far riferimento alla rappresentanza in quanto vengono
richiamate le disposizioni generali contenute negli articoli 2257 e 2258, ossia l'amministrazione
disgiuntiva e congiuntiva. La distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, perde
di significato per le società di persone essendo escluse solo le modifiche del contratto sociale.
L'articolo 2266 dispone che la società acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che
hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi. Questo sta a significare che
nei rapporti esterni, pur non avendo personalità giuridica, la società semplice e più In generale le
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società di persone, si presentano come un gruppo unitario, portatore di una propria volontà e titolare
di un proprio patrimonio, capace di acquistare diritti, di assumere obbligazioni e di stare in giudizio.
Da questa norma si ricava la distinzione tra la rappresentanza sostanziale e la rappresentanza
processuale, la possibilità di indicare quali soci abbiano la rappresentanza, l'individuazione
dell'oggetto sociale come limite ai poteri degli amministratori, la possibilità di determinare il contenuto
dei poteri rappresentativi.
Se il contratto non dispone nulla in merito alla rappresentanza, spetta a ciascun socio.

Per quanto concerne il contenuto dei poteri rappresentativi, la regola è che in mancanza di una
diversa disposizione del contratto, l'amministratore può compiere tutti gli atti che rientrano
nell'oggetto sociale, fatte salve le limitazioni che risultano dal contratto sociale, facendo coincidere
il contenuto dei poteri di amministrazione con il contenuto dei poteri di rappresentanza. Se invece il
contratto detta delle limitazioni, queste non sono opponibili se non portate a conoscenza dei terzi
con mezzi idonei.

Per vincolare la società, l'amministratore deve spendere necessariamente il nome della società e
deve aver compiuto un atto, lecito o illecito, che rientri nell'oggetto sociale.
Un fattore rilevante è la questione relativa alla sorte di un atto compiuto dal rappresentante quando
è richiesto per il compimento dell'atto stesso una decisione degli altri soci non amministratori e
questa non vi è stata: in virtù del quale l'atto compiuto dal rappresentante in assenza di deliberazioni
o in esecuzione di deliberazioni invalide, è invalido, ma l'invalidità non può essere opposta ai terzi di
buona fede. In linea di massima vale lo stesso per la rappresentanza processuale.

Gli amministratori, secondo l'articolo 2260, sono solidalmente responsabili verso la società per
l'adempimento degli obblighi che gli sono imposti dalla legge e dal contratto sociale. Tuttavia
la responsabilità non si estende a chi dimostri di essere esente da colpa.
Da tale norma si ricavano tre principi:
La responsabilità degli amministratori riguarda la società e non i singoli soci e cioè il socio viene
colpito solo in via riflessa in quanto si colpisce il patrimonio sociale;
la solidarietà fra gli amministratori opera anche in regime di amministrazione disgiunta;
Ciascun amministratore può esimersi da responsabilità di dimostrando di essere immune da colpa.
La responsabilità viene estesa anche agli amministratori di fatto anche non investiti formalmente
dell'incarico, ma che hanno svolto relative funzioni.
L'azione di responsabilità spetta alla società, e solo nel caso di società in nome collettivo, al curatore
fallimentare e non ai singoli soci, l'azione tende ad ottenere la reintegrazione del patrimonio sociale
depauperato dal comportamento illegittimo degli amministratori attraverso la condanna al
risarcimento dei danni.

L'estinzione del rapporto di amministrazione

L'estinzione del rapporto di amministrazione non è regolata in modo organico, diversamente da


quanto avviene per la nomina. La rinuncia del socio ad amministrare a favore di altri, non può
considerarsi un’ipotesi di estinzione del rapporto di amministrazione, potendo il socio riappropriarsi
successivamente del diritto.
L'esclusione del socio amministratore della società. La cessazione dell'amministrazione a
seguito dell'esclusione dalla società del socio amministratore è una soluzione obbligata è coerente
solo per chi ritiene che la qualità di socio sia un presupposto naturale è indispensabile per l'esercizio
delle funzioni amministrative.
La revoca costituisce l'unica ipotesi di cessazione espressamente regolata dalla legge e l'articolo
2259 stabilisce che la revoca dell'amministratore nominato con il contratto sociale non ha
effetto se non ricorre una giusta causa. L'amministratore nominato con atto separato è
revocabile secondo le norme sul mandato. La revoca per giusta causa può in ogni caso essere
chiesta giudizialmente da ciascun socio.

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Pertanto, esiste un diverso trattamento per amministratore nominato con il contratto sociale e quindi
revocabile solo se ricorre una giusta causa, dall’amministratore nominato con atto separato che può
essere revocato secondo le norme sul mandato e quindi la necessità del consenso unanime dei
soci.
Per l'ipotesi di giusta causa, è in linea generale ogni evento anche non imputabile all'amministratore
che rende impossibile il naturale svolgimento del rapporto di gestione. Non sussiste mai giusta causa
ove risulti rispettato l'obbligo di diligenza e rientra la violazione dell'obbligo di regolare tenuta della
contabilità, la mancata redazione del bilancio, impedimento ai soci del diritto di controllo sulla
gestione e così via.
La revoca giudiziale per giusta causa può essere domandata da ciascun socio solo se l’operazione
non sia stata deliberata dai soci, i richiedenti devono fornire la prova della sussistenza della giusta
causa e il giudizio si instaura tra i soggetti richiedenti e il destinatario della domanda di revoca, senza
necessità di integrare il contraddittorio con gli altri soci.

I poteri di controllo dei soci esclusi dall'amministrazione

L'articolo 2261 attribuisce ai soci che non partecipano all'amministrazione una serie di poteri di
controllo in quanto anche i soci non amministratori continuano a rispondere delle obbligazioni sociali.
Hanno il diritto di ottenere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali, il diritto
di consultare i documenti relativi all'amministrazione e di ottenere il rendiconto degli affari.
La concessione di poteri così penetranti si spiega in quanto nelle società di persone a differenza di
quanto accade nella società di capitali, non esiste un organo sociale istituzionalmente deputato al
controllo della gestione e sia perché nelle società di persone non esiste, come avviene per le società
di capitali, il potere di invocare il controllo dell’autorità giudiziaria per la gestione dell'impresa.

La qualità di socio

L'acquisto della qualità di socio può avvenire o per effetto di adesione originaria al contratto di società
e in virtù dell'assunzione dell'obbligo di conferimento, oppure, successivamente, per effetto
dell'acquisto inter vivos di una quota di partecipazione. Considerato che il principio ispiratore è quello
della non libera trasferibilità della quota in coerenza con il cosiddetto intuitus personae che
caratterizza la costituzione delle società personali, e l'efficacia della cessione è subordinata al
consenso di tutti gli altri soci.
Oppure per effetto della successione mortis causa qualora trovi l'accoglimento da parte dei soci di
far subentrare gli eredi in luogo del de cuius.

Ci sono dei diritti afferenti alle quote che spettano sicuramente al socio, incluso anche diritto di
recesso; quelle il cui esercizio spetta all'usufruttuario o al creditore pignoratizio, in cui sono inclusi il
diritto agli utili con la specificazione che dovranno imputare gli utili prima alle spese e agli interessi
e poi al capitale; quelli che per loro natura possono essere esercitati sia dal socio che
dall’usufruttuario e rientrano i cosiddetti diritti di controllo e il diritto alla quota di liquidazione.
A norma dell'articolo 2270 il creditore particolare del socio può compiere atti conservativi sulla quota
spettante a quest'ultimo e rientrano sia il sequestro conservativo, l'espropriazione e il pignoramento
presso terzi. Nel caso in cui della quota siano contitolari più persone si applica la disciplina che
regola la contitolarità dei diritti reali.

Gli obblighi connessi alla partecipazione sociale

Gli obblighi del socio si distinguono in due categorie: quelli sanciti da una norma e pertanto non
possono essere messi in discussione e quelli creati dalla dottrina e perciò opinabili. Tra quelli previsti
dalla legge, rientra l'obbligo del conferimento sancito nell'articolo 2253 secondo il quale il socio è
obbligato ad eseguire conferimenti determinati nel contratto sociale e qualora non siano determinati,
si presume che i soci siano obbligati a conferire in parti uguali quanto necessario per il
conseguimento dell'oggetto sociale. I beni, una volta conferiti nel patrimonio della società, non
possono essere utilizzati per fini estranei a quelli della società come stabilito dall'articolo 2256.
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Tra gli obblighi non sanciti dalla legge troviamo il cosiddetto obbligo di collaborazione che si ricollega
all'esercizio comune dell'attività economica per il perseguimento dello scopo comune e l'esercizio
dell'attività. Ciò comporta anche un dovere di cooperazione a carico del socio.

Diritti del socio

Accanto al diritto di amministrare, il socio è titolare di altre situazioni giuridiche che si distinguono in
due grandi categorie:
quelle amministrative o sociali nelle quali il socio ha il diritto di esprimere il proprio parere, il diritto
di opporsi quando l'amministrazione spetti disgiuntamente a più soci, il diritto di chiedere
giudizialmente la revoca del socio quando ricorre una giusta causa, il diritto di recesso, il diritto di
opporsi alla propria esclusione, i diritti di controllo spettanti ai soci;
quelle di carattere patrimoniale che spettano indistintamente a tutti i soci e sono: il diritto agli utili
percepibili dopo l'approvazione del rendiconto in misura proporzionale ai conferimenti, il diritto alla
liquidazione della quota nelle ipotesi di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio,
e diritto della cosiddetta quota di liquidazione, all'atto dell'estinzione della società e ai soli soci che
hanno conferiti beni in godimento spetta il diritto alla restituzione secondo l'articolo 2281.

Gli utili

Per utile deve intendersi quello derivante dall'attività economica esercitata dalla società e che solo
i guadagni effettivamente realizzati possono essere destinati alla ripartizione periodica dei soci.
L'articolo 2262 prevede il diritto del socio di società personale, alla divisione periodica degli utili e
tale diritto è immediatamente esigibile per effetto della approvazione del rendiconto annuale, qualora
siano stati registrati degli utili.
Non sono in nessun caso ammissibili perché nulli, sia i patti che stabiliscono una devoluzione
dell'utile, contrastante con la causa del contratto sociale, come esempio la devoluzione in
beneficenza e sia i patti, diretti o indiretti, con i quali uno o più soci vengono esclusi dalla ripartizione
degli utili o delle perdite per il cosiddetto patto Leonino articolo 2265.
Il socio potrà solo rinunciare ad esigere l'utile che gli spetta dopo l'approvazione del rendiconto,
perché in tal caso rinuncia a un diritto di credito, del quale può disporre anche a titolo oneroso.
Gli articoli 2263 e 2264 riguardano i criteri per determinare la partecipazione dei soci agli utili e alle
perdite. I soci sono liberi di adottare il regolamento che ritengono più opportuno, con il solo limite
del divieto del patto Leonino, stabilendo ad esempio che conferimenti uguali corrispondono
partecipazioni disuguali a utile e perdite.
Come principio suppletivo, quando mancano delle pattuizioni contrattuali, intervengono le
presunzioni poste dall'articolo 2263 e cioè: se il valore dei conferimenti è determinato nel contratto
vige il principio della proporzionalità, nel senso che ai soci spettano guadagni e perdite in misura
proporzionale ai conferimenti; se manca ogni determinazione contrattuale del valore dei
conferimenti, scatta la presunzione di uguaglianza, nel senso che la partecipazione ad utili e perdite
si presume in parti uguali fra tutti i soci.

Rappresentanza sociale

La società acquista i diritti e assume le obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la
rappresentanza e sta in giudizio nelle medesime persone, secondo l'articolo 2266.
Se il contratto sociale non dispone nulla per quanto riguarda la rappresentanza, aspetterà a ciascun
socio amministratore in quanto è un attributo inerente alla qualità di socio amministratore e non
richiede pertanto alcun espresso conferimento di poteri; quando invece contiene disposizioni
esplicite per quanto riguarda la rappresentanza, si dovrà valutare l'ammissibilità della persona
investita. I dubbi sorgono per le clausole che prevedono l'affidamento della rappresentanza ad
estranei.

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Se il contratto non dispone nulla, la rappresentanza si estende a tutti gli atti che rientrano nell'oggetto
sociale, facendo coincidere in tal modo il potere di amministrazione con il potere di rappresentanza.
Se invece sono dettate delle disposizioni che limitano il contenuto, si dovrà valutare l'ammissibilità.
Le limitazioni originarie saranno sempre opponibili ai terzi, anche se questi non le conoscessero, ed
incomberà sui terzi stessi l'onere di accertare sulla base del contratto, il potere e il contenuto dei
poteri di colui che agisce in nome della società; mentre per le modificazioni e l'estinzione vige un
diverso principio in quanto incombe sulla società l’onere di portare questi eventi a conoscenza dei
terzi con mezzi idonei, ovvero di provare che i terzi ne fossero a conoscenza.

Anche per la rappresentanza sociale è necessaria la contemplatio domini, per cui se il


rappresentante non spende il nome della società ovvero, quando si tratti di società di fatto, non
spende il nome dell'altro o degli altri soci, il negozio così concluso ha effetti solo nei confronti del
rappresentante, nonostante riguardi interessi e beni comuni.
La rappresentanza va tenuta concettualmente distinta dall'amministrazione: la prima ha il suo ambito
di applicazione all'esterno della società, mentre l'amministrazione al suo ambito all'interno della
società.

Con l'autonomia patrimoniale si indica l'insensibilità tra il patrimonio della società e il patrimonio
dei singoli soci, nel senso che i creditori sociali possono far valere le loro pretese solo sul patrimonio
sociale e mai sul patrimonio dei singoli soci, mentre i creditori particolari dei soci possono agire solo
sui beni personali dei soci.
L'autonomia patrimoniale perfetta la si ha solo nelle società di capitali e cooperative e in questi casi
la responsabilità per le obbligazioni sociali grava solo sul patrimonio sociale, e il socio risponde nei
limiti di quanto conferito.
Nella società semplice abbiamo la responsabilità sussidiaria dei soci per le obbligazioni sociali,
e il patrimonio sociale risulta esposto agli attacchi dei creditori particolari dei soci, se i beni del socio
debitore, sono insufficienti a soddisfare i loro crediti, possono chiedere in ogni tempo la liquidazione
della quota del socio debitore. La materia è regolata da cinque norme che vanno dagli articoli 2267
all'articolo 2271.

L'articolo 2267 dispone che i creditori della società possono far valere i loro diritti sul
patrimonio sociale. Per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e
illimitatamente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto
contrario, gli altri soci.

Per obbligazioni sociali si intendono le obbligazioni assunte dalla società per mezzo dei soci che
ne hanno la rappresentanza e quindi sono le obbligazioni che nascono da un contratto o da un altro
fatto idoneo a produrle in conformità per l'ordinamento giuridico; la società risponde anche delle
obbligazioni nascenti da fatto illecito.
Per responsabilità illimitata dei soci si intende che questi rispondono oltre che con il capitale
conferito, anche con tutti i propri beni;
La solidarietà si pone tra i soci e non tra i soci e la società.
I creditori sociali possono far valere le loro pretese innanzitutto sul patrimonio sociale, i creditori
particolari, oltre a poter far valere i loro diritti sugli utili spettanti al socio e di poter compiere atti
conservativi sulla quota che spetterà al socio nella liquidazione, possono chiedere la liquidazione
della quota dei loro debitori, solo a condizione che gli altri beni del debitore siano insufficienti a
soddisfare le obbligazioni.
I creditori sociali possono rivolgersi per la soddisfazione dei loro crediti anche ai soci, i quali
rispondono illimitatamente e solidalmente per obbligazioni sociali. La legge opera una distinzione tra
i soci che hanno agito in nome e per conto della società e quindi i soci agenti e gli altri soci, e dispone
per i soci agenti, la regola della inderogabilità, e significa che non possono far valere nei confronti
dei terzi i patti di limitazione della responsabilità nei rapporti interni. Gli altri soci potranno opporre ai
terzi ogni tipo di patto limitativo della responsabilità, a condizione di averli resi edotti con mezzi
idonei.

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La responsabilità del socio per le obbligazioni sociali è una responsabilità sussidiaria. Il creditore
sociale può agire contro il socio senza avere preventivamente esperito alcuna azione contro il
patrimonio sociale, ma il socio compulsato può bloccare l'azione, dimostrando che esistono beni
sociali sui quali il creditore può agevolmente soddisfarsi.
Due cose sono indiscutibili: La prima è che il patrimonio sociale costituisce la garanzia esclusiva per
i creditori sociali, e la seconda che in nessun caso può restare esclusa la responsabilità personale
di tutti i soci.

La responsabilità dei soci nei confronti dei propri creditori personali

L'articolo 2270 riguarda la tutela del creditore particolare nei confronti del socio suo debitore e
l'articolo 2271 vieta la compensazione tra il debito che il terzo ha verso la società e il credito che ha
verso il socio.
Questi due articoli messi insieme, consentono di affermare che il patrimonio sociale è un patrimonio
autonomo, vincolato all'esercizio dell'impresa sociale ed è insensibile alle pretese dei creditori
particolari.
L'articolo 2270 a tutela del creditore particolare, concede la possibilità di far valere i suoi diritti sugli
utili spettanti al debitore, compiendo atti conservativi come ad esempio il sequestro, ed esecutivi
come l'espropriazione, ma non può influire sulla distribuzione degli utili e in particolare sulla loro
quantificazione; può compiere atti conservativi sulla quota spettante al debitore nella liquidazione;
può ottenere la liquidazione della quota del suo debitore se gli altri suoi beni sono insufficienti a
soddisfare i suoi crediti.
A salvaguardia del patrimonio sociale, nella società semplice, ci sono due importanti regole: il
creditore particolare, nel chiedere la liquidazione della quota, ha all'onere di provare che gli altri beni
del debitore sono insufficienti e il creditore personale, in ogni caso non potrà agire direttamente sui
beni della società, potendo soltanto ottenere una somma di denaro corrispondente al valore della
quota. Tale articolo viene applicato anche alle società di fatto e alle società irregolari.

Tra le modificazioni del contratto che riguardano i soci, la più significativa, accanto al trasferimento
della quota sociale, è lo scioglimento del rapporto limitatamente ad un socio, può cessare oltre che
per la morte, anche per sua volontà e quindi abbiamo il recesso, oppure per volontà della società ed
abbiamo l'esclusione, oppure per cause indipendenti dall'una e dall'altra e quindi una esclusione di
diritto.

La morte del socio

Gli eredi, non subentrano di diritto nel rapporto sociale e l'articolo 2284 prevede come regola
ordinaria, l’intrasmissibilità mortis causa della posizione di socio e dispone che, gli eredi hanno solo
il diritto di ricevere la liquidazione della quota del loro dante causa. In alternativa, gli altri soci possono
provocare lo scioglimento della società o proporre agli eredi la continuazione, salva la presenza nel
contratto di clausole di continuazione della società con gli eredi.
Se il contratto sociale non prevede nulla a tal proposito, le strade percorribili sono tre: liquidare la
quota agli eredi del socio defunto; sciogliere la società; invitare gli eredi entrare in società,
subentrando nella stessa posizione del socio defunto, non iure successionis, ma per effetto
dell'accettazione di una proposta rivolta dai soci superstiti e quindi in seguito alla stipulazione di un
atto inter vivos.

Le clausole che prevedono la continuazione della società con gli eredi del socio defunto, si
raggruppano in tre categorie:
le clausole di continuazione facoltativa, obbligano i soci a continuare la società con gli eredi, i
quali però hanno il diritto, ma non l'obbligo di aderire al contratto sociale;
le clausole di continuazione obbligatoria, con le quali si obbligano gli eredi entrare in società e,
anche i vecchi soci di continuare con gli eredi il rapporto sociale;
le clausole di continuazione automatica, con le quali Il chiamato all'eredità, consegue la qualità
di socio per il solo fatto di aver accettato l'eredità.
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Il recesso del socio

Il recesso è una dichiarazione unilaterale di volontà, con la quale il socio dichiara di voler sciogliere
il rapporto contrattuale che lo lega alla società.
l'articolo 2285 dispone i casi in cui può essere esercitato: quando la società è stata contratta a tempo
indeterminato, ovvero la sua durata è stata commisurata alla vita di uno dei soci; quando sussiste
una giusta causa; nei casi previsti dal contratto sociale.
Nelle prime due soluzioni si parla di recesso legale, mentre nell'ultimo caso di recesso
convenzionale.
Una generale facoltà di recesso è prevista solo nel caso in cui la società sia contratta a tempo
indeterminato in ossequio al principio di libertà che scoraggia la perpetuità dei vincoli contrattuali,
mentre se la società e contratta a tempo determinato, il recesso è possibile solo se sussiste una
giusta causa o nei casi espressamente previsti nel contratto sociale.
La giurisprudenza ha individuato due criteri generali per poter ritenere giustificato il recesso, e cioè
quando costituisce reazione ad un illegittimo comportamento degli altri soci, tale da incrinare il
rapporto di fiducia ed intaccare la coesione indispensabile in una società di persone, oppure quando
è ricollegabile ad una violazione degli obblighi contrattuali, di doveri di fedeltà, di lealtà ma, possono
rientrare anche le modificazioni del contratto sociale adottate a maggioranza, che alterano le basi
essenziali della società e, anche i fatti che riguardano la persona del socio che recede, come
malattie, età avanzata, trasferimento della società in un'altra città. Il diritto di recesso non è
sopprimibile, né limitabile, né rinunciabile.

La dichiarazione di recesso può essere espressa o anche tacila e cioè desumibile da fatti
assolutamente incompatibili con la volontà di rimanere in società. Il recesso deve essere comunicato
agli altri soci con preavviso di almeno tre mesi e, consistendo in una dichiarazione unilaterale
recettizia, produce i suoi effetti solo dopo che i destinatari ne hanno avuto conoscenza.

L'esclusione del socio

L'esclusione è vista come una sorta di risoluzione parziale del contratto e produce i suoi effetti
immediatamente nei confronti dei soci. L'esclusione può essere facoltativa o di diritto.
L'esclusione facoltativa avviene o per deliberazione da parte della maggioranza dei soci, o in seguito
alla pronuncia del tribunale. È facoltativa perché è una facoltà e non un obbligo degli altri soci.
Il primo motivo di esclusione è costituito dalle gravi inadempienze che derivano dalla legge o dal
contratto sociale, come può essere per esempio il mancato conferimento. Le inadempienze devono
essere gravi altrimenti non si consente la risoluzione del contratto se l'inadempimento è di scarsa
importanza.
Il secondo motivo riguarda la persona del socio nel senso che può essere escluso se colpito da
interdizione e di inabilitazione.
Una terza categoria si riconnette all’impossibilità sopravvenuta della prestazione come la
sopravvenuta inidoneità del socio a svolgere l'opera conferita; il perimento della cosa conferita in
godimento; il perimento della cosa conferita in proprietà se questo è avvenuto prima che la proprietà
sia acquisita dalla società. Mentre per quanto riguarda il socio amministratore, non rileva il tipo di
violazione, anche una violazione dei doveri di amministrazione può essere posta a fondamento
dell'esclusione della società.

Il procedimento che conduce all’estromissione del socio è regolato con la sola ipotesi di esclusione
facoltativa e quando la società è costituita da più di due soci, attraverso tali fasi:
1- Deliberazione della maggioranza dei soci, escluso il socio da escludere, calcolata per teste e non
per quote. La decisione deve essere motivata.
2- comunicazione al socio escluso, ed è sufficiente un qualsiasi atto o fatto idoneo a portare a
conoscenza l'interessato della decisione adottata dagli altri soci.

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L'esclusione ha effetto 30 giorni dopo la comunicazione e da tale momento, il socio perde tale qualità
e decorrono i 6 mesi per la liquidazione della quota. Entro trenta giorni può fare opposizione al
tribunale.

L'esclusione di diritto è caratterizzata dal verificarsi del fatto che la legge indica come
generatore, indipendentemente da ogni valutazione discrezionale degli altri soci. Viene escluso di
diritto il socio che è stato dichiarato fallito e il socio nei cui confronti il creditore particolare abbia
ottenuto la liquidazione della quota.

Liquidazione della quota al socio cessato

Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi hanno
diritto soltanto a una somma di denaro che rappresenta il valore della quota. In altre parole non si
acquisiscono diritti sul patrimonio sociale, ma si diventa titolari di un diritto di credito alla liquidazione
della quota.
La liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui
si verifica lo scioglimento.
Nelle società di persone non si deve fare il riferimento al bilancio o al rendiconto, ma alla effettiva
consistenza patrimoniale della società riferita al momento in cui si verifica la cessazione del vincolo.
La quota di liquidazione deve comprendere il valore di avviamento dell'azienda e vanno aggiunti utili
e perdite dell'esercizio in corso. Viene considerata la società obbligata a liquidare e non i soci.
La quota deve essere liquidata entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto.

Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio, questi o i suoi eredi sono
responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento. Lo
scioglimento deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei e in mancanza di ciò, non
è opponibile ai terzi che lo hanno ignorato senza colpa.
Il mancato adempimento degli oneri pubblicitari comporta che il socio cessato verrà ritenuto
responsabile dai terzi anche per le obbligazioni sociali sorte dopo lo scioglimento del vincolo sociale,
almeno che non provi che i terzi conoscevano l'avvenuto scioglimento o comunque, avrebbero
potuto e dovuto conoscerlo usando l'ordinaria diligenza.

L'estinzione della società avviene a seguito del verificarsi di una fattispecie a


formazione successiva composta da due fasi distinte: il verificarsi di una causa di scioglimento e
l'esaurirsi del procedimento di liquidazione.

Articolo 2272 stabilisce che la società si scioglie per il decorso del termine, per il conseguimento
dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, per volontà dei soci, per il
venir meno della pluralità dei soci se questa non si ricostituisce entro i sei mesi e per altre cause
previste nel contratto sociale.
Queste cause di scioglimento operano di diritto nel senso che non è necessaria un previo
accertamento con valore costitutivo.
Il verificarsi di una causa di scioglimento non produce la morte della società ma solo una serie di
effetti preliminari e funzionali alla estinzione: in primo luogo abbiamo il mutamento dello scopo della
società, perché allo scopo di esercizio dell'attività si sostituisce quello di liquidare il patrimonio e
comporta il divieto per gli amministratori di intraprendere nuovi affari, pena la responsabilità verso la
società ai sensi dell'articolo 2260. Al verificarsi di una causa di scioglimento, la società entra in stato
di liquidazione e comporta la nomina dei liquidatori, che sostituiscono gli amministratori nella
gestione liquidativa del patrimonio sociale e si compone di quattro fasi: la redazione dell'inventario,
la monetizzazione dell'attivo, il pagamento delle passività sociali e la redazione del bilancio finale di
liquidazione e del piano di riparto.

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La società in nome collettivo è la più diffusa tra le società personali in quanto è suscettibile di essere
utilizzata per ogni specie di attività. La responsabilità illimitata e solidale dei soci costituisce il tratto
caratterizzante.
Entrare a far parte di una società già costituita si risponde con gli altri soci per le obbligazioni anteriori
all'acquisto della qualità di socio. I soci uscenti o i loro eredi rispondono verso i terzi per obbligazioni
sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento.
I patti limitativi della responsabilità hanno valore nei rapporti interni e rappresenta una non
trascurabile differenza rispetto alla società semplice. Ne consegue che il socio compulsato da un
creditore della società non si potrà opporre al terzo, ma potrà una volta pagato l'intero, agire in
regresso nei confronti degli altri soci verso i quali farà valere la limitazione di responsabilità.

Le principali differenze che intercorrono tra la società semplice e la società in nome


collettivo, riguardano la presenza nella disciplina della società in nome collettivo, di una norma che
indica il contenuto dell'atto costitutivo, e cioè l'articolo 2295;
L’inesistenza di limiti relativi all'oggetto sociale che consente alla società in nome collettivo di essere
utilizzata per qualunque tipo di attività lecita;
l'inefficacia esterna dei patti limitativi di responsabilità dei singoli soci;
un più accentuato livello di autonomia patrimoniale;
l'esistenza di un regime di pubblicità più articolato, il cui inadempimento pure non andando ad
incidere sulla validità e sull'esistenza della società, incide sulla regolarità; l'esistenza di una serie di
norme in tema di capitale sociale, che mancano nella società semplice.

Atto costitutivo

La legge disciplina in modo compiuto l'atto costitutivo e le indicazioni che devono essere contenute.
Nella norma che prescrive l'iscrizione nel registro delle imprese è indicata la scrittura privata
autenticata o l'atto pubblico come possibili forme di stipulazione. L'atto scritto è richiesto ai soli fini
dell'iscrizione nel registro delle imprese, perciò solo ai fini della regolarità della società, tant'è che
come esiste la società semplice di fatto così esiste anche la società in nome collettivo di fatto.
In caso di costituzione per atto scritto, non è indispensabile la contestuale presenza di tutti i requisiti
richiesti, in quanto può essere iscritto l'atto qualora ci sia una lacuna che abbia per oggetto uno dei
requisiti indispensabili, che può essere colmata da una norma di legge integrativa come ad esempio,
i criteri di ripartizione degli utili.

I soggetti partecipanti

L'atto costitutivo deve indicare l'indicazione dei contraenti.


La partecipazione di un incapace alla società in nome collettivo è subordinata all'osservanza delle
disposizioni relative al minore, all'interdetto e all'inabilitato, che per continuare l'esercizio di
un'impresa commerciale, devono ottenere l'autorizzazione da parte del tribunale e il minore
emancipato può esercitare un'impresa commerciale senza l'assistenza del curatore se è autorizzato
dal tribunale previo parere del giudice tutelare e sentito Il curatore.
Tale disposizione viene applicata solo se ha ad oggetto un'attività commerciale.

Ragione sociale

La ragione sociale assolve In primo luogo, una funzione di identificazione del soggetto. L'articolo
2292 fissa due regole: quando prescrive che accanto al nome di uno o più soci venga indicato il
rapporto sociale, rafforza il principio della verità; disponendo che la società può conservare nella
ragione sociale il nome del socio receduto o defunto, previo consenso, si parla di ragione sociale
derivata e la norma è preordinata alla conservazione dell'avviamento aziendale.

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La mancata indicazione del nome di almeno di un socio, il mantenimento del nome del socio
receduto senza il consenso o l'inclusione del nome di un estraneo, determinano la irregolarità della
ragione sociale che può dar luogo al rifiuto di iscrizione dell'atto costitutivo nel registro delle imprese.
La ragione sociale è liberamente trasferibile, alle condizioni stabilite per la ditta individuale.
Alla ragione sociale si applica il principio della novità, quando la ditta è uguale o simile a quella usata
da un altro imprenditore e può creare confusione per l’oggetto e deve essere integrata o modificata
con idonee indicazioni atte a differenziarla. Fra due società registrate l'obbligo incombe su chi ha
effettuato l'iscrizione per seconda.

Per sede della società si intende quella risultante dall'atto costitutivo e dallo statuto e nella quale si
trovano stabilmente gli organi che hanno la rappresentanza e la capacità di obbligare. L'indicazione
della sede è importante per la determinazione del giudice territorialmente competente; per
l'individuazione del registro delle imprese a cui la società deve essere iscritta; ai fini dell'applicazione
della disciplina fallimentare.
Può anche capitare che la sede legale non coincida quella reale dove è collocata la direzione e lo
svolgimento dell'attività sociale. Tale situazione riveste una maggiore importanza per le questioni
relative al processo civile e fallimentare.
La dottrina e la giurisprudenza in modo quasi unanime propendono per la prevalenza della sede
effettiva.
Per la sede secondaria c'è l'obbligo di iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese nel luogo
in cui è istituita. Per aversi sede secondaria, occorre un rapporto di dipendenza economica ed
organizzativa con la sede principale; uno stabile apprestamento di mezzi e uno stabile
rappresentante nella società; un autonomo ambito di affari. La mancata iscrizione della sede
secondaria produce irregolarità della società.

I conferimenti

L'atto costitutivo deve indicare i conferimenti dei soci, il valore attribuito ed il modo di valutazione.
Il capitale sociale rappresenta il valore in denaro dei conferimenti dei soci. Il patrimonio sociale
rappresenta il complesso dei rapporti giuridici facenti capo all'imprenditore e, per i beni di proprietà
della società, la condizione giuridica è profondamente diversa da quella dei beni in comunione.

Le funzioni attribuite al capitale sociale sono 4:


rappresenta lo strumento per l'attivazione dell'oggetto sociale;
rileva la situazione patrimoniale della società;
rappresenta la misura di partecipazione del socio;
è uno strumento di garanzia per i creditori sociali.

Per quanto riguarda lo strumento di garanzia per i creditori sociali, si è creata qualche voce di
dissenso in quanto la vera garanzia per i creditori sociali sarebbe costituita dalla responsabilità
illimitata dei soci.
È importante porre costantemente a confronto il capitale sociale e il patrimonio sociale per capire se
la situazione della società si evolve positivamente o meno.

La formula dell'integrità del capitale sociale prevede che possano essere distribuiti utili solo se
realmente conseguiti, e se si verifica una perdita di capitale sociale non possono essere ripartiti utili
fino a che il capitale sociale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente.
La riduzione del capitale per perdite implica una modificazione dell'atto costitutivo, ma a differenza
di quanto avviene per le società di capitali, dove si hanno casi di riduzione obbligatoria, è sempre
facoltativa anche se implica il divieto di distribuire utili qualora il capitale non venga reintegrato.
La delibera di riduzione del capitale può essere eseguita solo dopo 3 mesi dall'iscrizione nel registro
delle imprese sempre che nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione
ed è rivolta ad assicurare la cosiddetta integrità del capitale sociale.

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Nell'atto costitutivo devono essere indicate anche le prestazioni dei soci d'opera e la
determinazione della parte spettante al socio può essere demandata al giudice quando non è
determinata dal contratto. L’inidoneità a svolgere la propria opera costituisce una delle ipotesi di
esclusione.

Nell'atto costitutivo devono essere indicate le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti
e la quota di ciascun socio negli utili e nelle perdite.

La durata della società

L'articolo 2295 impone che nell'atto costitutivo della società sia indicata la durata. Includere o meno
il termine di durata della società ha importanza anche in termini di disciplina applicabile in quanto il
decorso del termine è una causa di scioglimento società e, l'articolo 2285 consente ad ogni socio di
recedere dalla società quando è contratta a tempo indeterminato.
La proroga può essere: espressa, quando i soci di comune accordo decidono di fissare, prima della
scadenza originaria, un nuovo termine di durata; tacita, quando nonostante sia decorso il tempo, i
soci continuano a compiere operazioni sociali.

La pubblicità della società in nome collettivo

La pubblicità della società in nome collettivo è contenuta principalmente in due norme: l'articolo 2296
fa obbligo agli amministratori e a cura del notaio, se la stipulazione è avvenuta per atto pubblico, di
depositare l’atto costitutivo entro 30 giorni, presso il registro delle imprese; e l'articolo 2300 impone
agli amministratori di richiedere sempre entro 30 giorni, l'iscrizione delle modificazioni dell'atto
costitutivo e degli altri fatti rilevanti alla società dei quali è obbligatoria l'iscrizione.
La società in nome collettivo è soggetta all’onere dell'iscrizione, indipendentemente dal fatto che
l'attività sia esercitata o meno ad impresa e dal fatto che sia o no di natura commerciale; l'iscrizione
della società in nome collettivo nel registro delle imprese seppur prescritta e sanzionata, non è un
adempimento a cui l'ordinamento subordina la nascita della società. L'inosservanza determina una
situazione di irregolarità della società. Il presupposto indefettibile per l'iscrizione è il deposito presso
il registro delle imprese della scrittura privata autenticata o dell'atto pubblico.

Il controllo che svolge l'ufficio del registro, più che un controllo di legalità, svolge l'accertamento della
ricorrenza dei presupposti formali e sostanziali richiesti dalla legge.

La società in nome collettivo è irregolare quando non sono state osservate le prescrizioni relative
alla pubblicità, ossia, che non sia stata iscritta nel registro delle imprese.
La mancata iscrizione può dipendere dalla mancanza dell'atto scritto, in quanto la legge non
prescrive alcuna forma per la costituzione, oppure gli amministratori non ne hanno provveduto
all'iscrizione. La disciplina dei rapporti interni tra i soci è la stessa dettata per la società collettiva
regolare e, si applicheranno tutte le norme, ad eccezione di quelle che prevedono gli adempimenti
pubblicitari.
Il legislatore ha adottato per i rapporti fra la società e i terzi, la analoga disciplina della società
semplice, in quanto è sottoposta ad un diverso regime di pubblicità.
Nella società irregolare ai soci non è consentito di limitare pattiziamente la propria responsabilità nei
confronti dei terzi e si presume che la rappresentanza sociale spetti a tutti i soci che agiscono per la
società.
Le modificazioni dell'atto costitutivo di una società irregolare ovviamente non devono essere iscritte
per la mancanza di pubblicità dell'atto costitutivo originario, con la conseguenza che le deliberazioni
di riduzione del capitale sociale saranno immediatamente esecutive.
L'irregolarità può anche essere sopravvenuta, nel senso che una società regolare diventi
successivamente irregolare per aver continuato ad esempio adoperare dopo la cancellazione dal
registro delle imprese. Una società irregolare può sanare la sua posizione attraverso la
regolarizzazione, che si attua con l'iscrizione della società nel registro delle imprese ed ha effetto ex

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nunc provocando la sostituzione della disciplina della società irregolare con quella della collettiva
regolare.

La rappresentanza della società

Per quanto attiene la rappresentanza della società, nei rapporti esterni, pur non avendo personalità
giuridica, le società di persone e quella in nome collettivo in particolare, si presentano come un
gruppo unitario, portatore di una propria volontà e titolare di un proprio patrimonio, capace di
acquisire diritti, assumere obbligazioni e di stare in giudizio. Il limite dei poteri degli amministratori è
costituito dall'oggetto sociale e il contenuto dei poteri rappresentativi risultano dall'atto costitutivo e
dalla procura. Le limitazioni per essere opponibili ai terzi devono essere iscritte nel registro delle
imprese o occorre provare che i terzi ne fossero a conoscenza.

La responsabilità per le obbligazioni sociali

L'articolo 2304 difende il patrimonio personale dei soci stabilendo che i creditori sociali, anche se la
società è in liquidazione, non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo
l'escussione del patrimonio sociale.
Il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo aver agito
infruttuosamente sui beni della società, ma non impedisce al creditore di agire in sede di cognizione
per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, per poi agire in via esecutiva ove
ricorrano le condizioni.
La norma non si applica alle società in nome collettivo irregolari e a quelle di fatto.

I creditori particolari del socio

Mentre il creditore particolare del socio di una società semplice potrà chiedere sempre la liquidazione
della quota del socio debitore, se gli altri suoi beni sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti, tale
potere è negato al creditore particolare del socio di collettiva. Al creditore particolare può essere
sempre concesso di far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al socio debitore e di compiere tutti
quegli atti conservativi sulla quota spettante a quest'ultimo.

Il patrimonio sociale è formato dai conferimenti da parte dei soci e dei loro successivi incrementi e
pertanto è vincolato all'esercizio dell'attività di impresa sociale e come tale è sensibile alle pretese
dei creditori sociali e insensibile alle pretese dei creditori particolari dei soci.

L'estinzione e la proroga della società

Le cause di scioglimento sono quelle previste per tutte le società personali di cui all'articolo 2272 e
si aggiungono i provvedimenti dell'autorità governativa nei casi stabiliti dalla legge e in caso di
dichiarazione di fallimento della società.
I liquidatori devono redigere il bilancio finale di liquidazione e proporre ai soci un piano di riparto che
deve essere comunicato mediante lettera raccomandata e si intende tacitamente approvato se non
impugnato entro due mesi dalla comunicazione, con l'effetto che l'approvazione libera i liquidatori di
fronte ai soci.
Dopo un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, la società non è più
esposta a fallimento, fatta salva l'ipotesi che trattandosi di cancellazione d'ufficio, i creditori o il
Pubblico Ministero dimostrino che l'impresa ha continuato ad operare.

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La società in accomandita semplice è caratterizzata dalla presenza di due tipi di soci: i soci
accomandatari che sono responsabili illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali ed
hanno il potere di amministrare la società; i soci accomandanti che sono responsabili entro i limiti
della quota conferita e sono esclusi dall’amministrazione della società pur avendo poteri di controllo
sulla gestione.

Anche per la costituzione della società in accomandita semplice non è imposta alcuna forma
determinata, essendo la forma scritta, funzionale unicamente all'iscrizione nel registro delle imprese.
L'atto costitutivo deve contenere gli elementi indicati nell'articolo 2295 con due aggiunte: la
ripartizione dei soci nelle due categorie di accomandanti e di accomandatari e la distinta indicazione
dei conferimenti degli uni e degli altri.

La posizione dei soci accomandatari è integralmente assimilabile a quella dei soci di società in nome
collettivo. La ragione sociale deve contenere, accanto all'indicazione del rapporto sociale, il nome di
almeno uno dei soci accomandatari.

La nomina e la revoca degli amministratori

L'amministrazione della società può essere conferita solo ai soci accomandatari e i soci
accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, ne possono trattare o concludere affari
in nome della società, se non in forza di una procura speciale per singoli affari.
Se nulla dispone l'atto costitutivo, il potere di amministrare spetta disgiuntamente a ciascun socio
accomandatario; se l'amministratore viene nominato con atto separato, la decisione oltre a dover
ricevere il consenso di tutti i soci accomandatari, deve avere l'approvazione della maggioranza dei
soci accomandanti ed in modo analogo deve avvenire per la revoca dell'amministratore così
nominato.

I divieti a carico degli accomodanti

Il socio accomodante che iscrive il proprio nome nella ragione sociale determina la perdita della
responsabilità limitata nei confronti dei terzi;
Agli accomandanti è fatto divieto di amministrare e nel caso in cui l’accomandante contravviene e
compie anche un solo atto di amministrazione, non solo è combinata la perdita della responsabilità
limitata, ma è prevista anche la possibilità di esclusione dalla società a norma dell'articolo 2286.
La società e i soci accomandatari non sono vincolati dagli atti posti in essere dall'accomandante e
non risponderanno quindi delle obbligazioni sorte in conseguenza di questi, che ne risponderà solo
l'accomandante. Per quanto riguarda la responsabilità, si discute se l’accomandante divenga
responsabile solo nei confronti di terzi o che debba sopportare anche nei rapporti interni una quota
delle perdite subite dalla società.

I poteri dell’accomandante

L’articolo 2320, consente agli accomandanti di prestare la loro opera sotto la direzione degli
amministratori e nel caso in cui vengono a mancare tutti gli accomandatari, concede agli
accomandanti il potere di nominare per il semestre di grazia un amministratore provvisorio per il
compimento degli atti di ordinaria amministrazione. Gli accomandanti hanno inoltre il diritto di avere
una comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e perdite e di controllarne l'esattezza,
consultando i libri e gli altri documenti della società.
Il patto di immistione consente agli accomandanti una più o meno ampia ingerenza
nell'amministrazione senza che questo significhi un esonero della responsabilità verso i terzi e
rientrano in questo ambito le autorizzazioni e i pareri per determinate operazioni o quello di compiere
atti di ispezione e sorveglianza. Come contropartita dalla esclusione della gestione sociale, la legge

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consente agli accomandanti di non restituire gli utili, qualora accertati successivamente come
inesistenti, ma riscossi in buona fede secondo il bilancio regolarmente approvato.
La quota dell'accomandante è trasferibile sia inter vivos che mortis causa ed ogni caso l'efficacia
della cessione è subordinata all'approvazione da parte della maggioranza dei soci.

All'accomandante sono applicate alcune delle norme per il socio di società in nome collettivo ed in
particolare prevede l'esclusione di diritto del socio fallito; la non applicabilità della norma sugli
incapaci legali viene giustificata dal fatto che l'accomandante non risponde illimitatamente e
pertanto, non corre l'esigenza di proteggerlo dalle conseguenze rovinose a cui potrebbe andar conto
in caso di responsabilità illimitata. Non viene ritenuto applicabile all’accomandante il divieto di
esercitare un'attività concorrente con quella della società e di partecipare come socio illimitatamente
responsabile ad un'altra società.

Anche per la società in accomandita semplice, l'iscrizione dell'atto costitutivo nel registro delle
imprese non ha efficacia costitutiva ma solo dichiarativa e la mancata iscrizione non incide
sull'esistenza della società, ma determina la irregolarità della stessa.
La disciplina dell'accomandita semplice irregolare è contenuta nell'articolo 2317 che fissa due
regole: rinvia per rapporti fra società e terzi alle disposizioni dell'articolo 2297 che è la norma Che
disciplina la collettiva irregolare ed esclude dalla responsabilità illimitata nei confronti dei terzi i soci
accomandanti, salvo che non abbiano partecipato all'operazione sociali e la sola posizione dei soci
accomandatari appare identica in termini di responsabilità illimitata a quella dei soci di collettiva
irregolare

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Caratteri e costituzione

La società per azioni è regolata da un articolato impianto normativo che trova il suo nucleo centrale
nel titolo V, capo V, del libro V, ma trova anche momenti essenziali nella legislazione speciale per
le società con titoli quotati in borsa. La disciplina vigente è di ispirazione comunitaria.

La società per azioni individua un modello tendenzialmente funzionale all'esercizio dell'impresa di


rilevanti dimensioni, ma tuttavia è utilizzato anche per iniziative imprenditoriali per così dire minori.
La disciplina codicistica, configura due diverse articolazioni del modello in ragione del diverso grado
di interazione fra l'impresa ed il mercato del capitale, ossia se ricorrono oppure no all'emissione di
azioni quotate in mercati regolamentati o che comunque diano corso alla diffusione dei propri titoli
fra il pubblico in misura rilevante.
La differenza normativa tra lo schema della società aperta e quello residuale della società chiusa, si
trova nella diversa ampiezza dei diritti e dei relativi obblighi di informazione, nel maggiore rigore
contabile e di gestione, in una maggiore tutela delle minoranze. Il fulcro della normativa delle società
quotate si rinviene in primo luogo nel Tuf (testo unico della finanza).

I caratteri della fattispecie

Al di là della distinzione fra società aperta e chiusa, i tratti marcanti della società per azioni vanno
ricondotti innanzitutto alle obbligazioni sociali, che trovano risposta esclusivamente nel patrimonio
della società; nelle partecipazioni sociali che sono rappresentate dalle azioni che costituiscono
frazioni omogenee di capitale e l'organizzazione interna che è articolata in base alle funzioni
imputate ai diversi organi.
I primi 2 profili sono idonei a distinguere la società per azioni, dalla società in accomandita per azioni
che è caratterizzata da un regime di responsabilità che prevede il coinvolgimento patrimoniale dei
soci accomandatari per quanto riguarda le obbligazioni sociali e dalla società a responsabilità
limitata, in quanto la partecipazione sociale non può essere rappresentata dalle azioni. Per quanto
riguarda l'organizzazione interna, non è prevista per la società a responsabilità limitata.

La responsabilità limitata

La limitazione del rischio è una delle funzioni proprie della società di capitali, per cui le pretese dei
creditori sociali possono essere orientate esclusivamente verso la sfera patrimoniale della società.
Il socio risponde delle obbligazioni sociali nei limiti del conferimento effettuato, almeno che,
ricorrendo l'insolvenza della società non sia stato integralmente versato il capitale o siamo stati violati
gli obblighi di informazione.

La natura azionaria delle partecipazioni sociali

La partecipazione sociale è rappresentata da azioni che costituiscono frazioni di capitale sociale di


valore uguale, e in linea di principio sono idonei ad attribuire ai loro possessori diritti uguali, ferma
restando la legittimità di emissione di categorie di azioni fornite di diritti diversi, anche in relazione
all'incidenza delle perdite.

L'organizzazione corporativa

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L'ultimo tratto marcante della società per azioni consiste nella organizzazione corporativa. I soci
possono dotare l’ente di sistemi di amministrazione e controllo alternativi a quello tradizionale,
basato sulla tricotomia assemblea-amministratori-collegio sindacale. I modelli alternativi vengono
individuati nel cosiddetto modello dualistico, di tradizione germanica, che vede l'attività di gestione
e di controllo rispettivamente demandate al consiglio di gestione e al consiglio di sorveglianza e nel
modello monistico, di tradizione anglosassone che prevede un consiglio di amministrazione e un
comitato di gestione eletto al suo interno.

La Costituzione

La nascita della società per azioni avviene attraverso un procedimento articolato in due fasi, che si
concretizza nella stipulazione dell'atto costitutivo e nella sua iscrizione nel registro delle imprese, a
seguito della quale l'ente acquisisce personalità giuridica e quindi viene ad esistenza. Il controllo
preventivo sull'atto costitutivo è affidato al notaio.

Ai sensi dell'articolo 2329, per poter procedere alla costituzione della società per azioni è necessario
che il capitale sociale, il cui ammontare minimo è di €50.000, deve essere interamente
sottoscritto in ossequio al principio della essenzialità dei conferimenti ai fini della fattispecie
costitutiva.
L'integrale sottoscrizione del capitale non implica l'integrale esecuzione dei conferimenti, ma che la
somma indicata come capitale risulti coperta da una corrispondente quantità di attivo.
La legislazione speciale per alcune particolari applicazioni, richiede che il capitale sociale debba
essere più elevato rispetto a quanto previsto dal codice.

Occorre che siano rispettate le previsioni in materia di conferimenti ed in particolare deve


risultare versato presso una banca almeno il 25% dei conferimenti in denaro e in caso di costituzione
unilaterale, l'intero ammontare. Il valore dei conferimenti in natura e dei crediti, deve essere
asseverato dalla relazione di stima redatta da un esperto.

Le fonti da cui può avere origine la costituzione della società per azioni assumono in linea di principio
una natura negoziale, che si concretizza in un contratto ovvero in un atto unilaterale. Non è tuttavia
escluso che l'ente possa venire in vita a seguito di un provvedimento normativo. Ai sensi dell’articolo
2238, l'atto costitutivo deve essere stipulato in forma di atto pubblico a pena di nullità. La forma
solenne si lega fondamentalmente all'esigenza di garantire il controllo della regolarità delle fasi
mediante le quali si attua il procedimento costitutivo della società.

I modelli procedimentali a cui si può far ricorso per la stipulazione dell'atto costitutivo sono: quello
più diffuso della costituzione simultanea, e quello individuato dalla legge mediante pubblica
sottoscrizione.
La costituzione simultanea avviene attraverso l'immediata stipulazione dell'atto costitutivo tra i
soggetti che sono coinvolti nella vicenda della società i quali, direttamente o per mezzo dei loro
rappresentanti, sottoscrivono integralmente il capitale iniziale innanzi al notaio incaricato.
La stipulazione per pubblica sottoscrizione, si attua mediante un processo complesso e macchinoso,
funzionale, almeno nelle intenzioni del legislatore di far nascere società dotate di un ingente
capitale.
L'utilizzazione non ha avuto una significativa applicazione in quanto si preferisce ricorrere alla
stipulazione simultanea dell'atto costitutivo dotando l’ente di un capitale iniziale minimo e delegando
gli amministratori a provvedere successivamente all'aumento del capitale fino all'ammontare
programmato con immissione delle nuove azioni sul mercato ovvero chiamando a sottoscrivere il
capitale richiesto a banche o intermediari finanziari.

La costituzione di società per pubblica sottoscrizione avviene attraverso un procedimento articolato


in più fasi:
la redazione del programma di iniziativa che è predisposto dei promotori, che non
necessariamente acquisiranno la qualità di soci;
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l'acquisizione delle adesioni al programma, si esprime attraverso la sottoscrizione del capitale


della società che deve risultare da atto pubblico o scrittura privata autenticata a cui deve far seguito
il versamento da parte dei sottoscrittori;
la celebrazione dell'assemblea costituente, che accerta l'esistenza delle condizioni per la
costituzione della società, delibera sul contenuto dell'atto costitutivo e dello Statuto, delibera sulla
riserva di partecipazione agli utili a favore dei promotori, nomina gli amministratori e i sindaci.
L'assemblea assumere le sue decisioni con il voto favorevole della maggioranza dei presenti, salvo
che si tratti di modificare le condizioni già stabilite dal programma, per il quale è necessario il
consenso di tutti i sottoscrittori;
Successivamente alla stipula dell'atto costitutivo si procede al depositato presso l'ufficio del registro
delle imprese ai fini dell'iscrizione, in virtù della quale la società acquista la personalità giuridica.
I promotori, sono solidalmente responsabili verso i terzi per le obbligazioni assunte. A fronte l'attività
svolta e le obbligazioni assunte, i promotori possono riservare a sé stessi una partecipazione agli
utili della società non superiore al 10% degli utili netti risultanti dal bilancio e per un periodo di tempo
non superiore ai 5 anni e non sono ammessi ulteriori benefici.

Il contenuto minimo dell'atto costitutivo è fissato dall'articolo 2328 e deve contenere gli estremi
di identificazione dei soci o di enti e il numero di azioni assegnate a ciascuno di essi. Tale indicazione
risponde all'esigenza di individuare le parti del contratto o del negozio unilaterale di società per
azioni. La qualifica di socio può anche essere assunta da una società.
La denominazione sociale in qualunque modo formata, deve contenere l'indicazione di società per
azioni.
Il riferimento alla sede assume rilievo ai fini della individuazione dell'ufficio del registro delle imprese
presso il quale viene iscritto l'atto costitutivo e per l'individuazione del giudice territorialmente
competente, per il luogo in cui gli amministratori devono convocare le riunioni e per il luogo in cui
deve essere deposito del bilancio. Le eventuali altre sedi indicate nell'atto costitutivo si dovranno
qualificare come secondarie, che identificano una articolazione dell'impresa non dotata di autonoma
soggettività e richiedono pertanto una rappresentanza stabile.

L'individuazione dell'oggetto sociale, consente l'applicazione delle disposizioni codicistiche per la


regolamentazione dell'ente, quali i temi della nullità della società, dell’assunzione di partecipazioni
in altre imprese, dell'estensione dei poteri amministratori, del recesso dei soci dal rapporto sociale.
Più in generale, l'oggetto sociale risponde alla esigenza di garantire che l'attività della società resti
coerente con le indicazioni rese alla compagine sociale e quindi, alle esigenze di delimitare
nell'interesse dei soci, le condizioni di rischio dell'investimento effettuato.

Il riferimento al capitale sottoscritto che non può essere inferiore ai €50.000, consente di definire il
valore delle attività patrimoniali destinate a rimanere vincolate al perseguimento dei fini sociali e
inoltre, si lega alla cosiddetta funzione organizzativa assolta la capitale. La mancanza di ogni
indicazione riguardante l'ammontare del capitale, integra una causa di nullità della società.

Valore attribuito ai crediti e ai beni conferiti in natura

Attraverso l'autonomia statutaria possono essere consentiti l'assegnazione di utili in misura non
proporzionale rispetto al conferimento effettuato, fermo restando il divieto del patto Leonino.

La legge conferisce all'autonomia statutaria il potere di scegliere il sistema di amministrazione e


controllo optando fra quello tradizionale, quello dualistico e quello monistico, fermo restando che in
mancanza di indicazione, si dovrà intendere quello tradizionale. Per quanto attiene il numero degli
amministratori, consente una scelta fra la composizione monocratica e quella collegiale dell'organo,
e rimette all'assemblea di scegliere l'una o l'altra forma.

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Il collegio sindacale può essere costituito da 3 o 5 sindaci effettivi, soci o non soci, e due supplenti.
L'atto costitutivo non può rimettere all'assemblea la determinazione del numero dei sindaci effettivi,
dovendo essere esplicitamente previsto.

La nomina dei primi amministratori, non è un elemento essenziale dell'atto costitutivo, nel senso che
la sua eventuale omissione non inficia la costituzione della società, ma implica essenzialmente
problemi di funzionamento, a cui si può ovviare con una designazione successiva. La nomina del
soggetto a cui è demandato il controllo contabile compete in linea generale, ad un revisore contabile
o ad una società di revisione, iscritti nell'apposito registro istituito presso il Ministero della Giustizia.

L'articolo 2328 prevede che la società per azioni può essere costituita a tempo determinato o
indeterminato. Se l'atto costitutivo non indica la durata della società, che può essere dedotta da una
condizione risolutiva o di un termine finale, questa deve ritenersi costituita a tempo indeterminato. È
possibile l'introduzione di clausole di proroga tacita della società.
Viene attribuito ai soci il diritto di sciogliersi dal vincolo associativo quando la società è contratta a
tempo indeterminato e risponde al principio che non si può ammettere di restare legati al sodalizio
sine die.
Il contenuto essenziale dell’atto costitutivo è dato dall’indicazione del numero delle azioni assegnate
ai soci, i criteri di ripartizione degli utili, il sistema di amministrazione prescelto e i poteri degli
amministratori. L’atto costitutivo si può arricchire con ulteriori elementi quali ad esempio le speciali
categorie di azioni.

Lo statuto è parte integrante dell'atto costitutivo nel quale sono previste le regole concernenti
l'organizzazione e il funzionamento della società.

L'assetto negoziale e le relazioni fra i soci, non si esauriscono nell'atto costitutivo ma è integrato da
intese separate, detti Patti parasociali, che hanno il compito di regolare l'esercizio del diritto di voto
nelle società per azioni o nelle società che controllano, pongono limiti al trasferimento delle azioni o
delle partecipazioni nelle società che controllano, e hanno un'influenza dominante su tali società. Il
tema della pubblicità assume rilievo soltanto se fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Controllo preventivo sull'atto costitutivo

Entro venti giorni dalla stipulazione dell'atto costitutivo, il notaio è obbligato a depositare copia
dell'atto presso il registro delle imprese dove si trova la sede sociale, allegando i documenti attestanti
la sussistenza delle condizioni richieste dall'articolo 2329 per la costituzione della società e
contestualmente richiedendone l'iscrizione. Il deposito può essere eseguito dagli amministratori della
società o in caso d'inerzia di quest'ultimi, dai singoli soci a spese della società.
Il controllo notarile, si basa sostanzialmente sull'esistenza di tutte le condizioni di cui all'articolo 2329,
sulla completezza documentale dell'atto costitutivo, sulla compatibilità delle previsioni contenute
nell'atto costitutivo con le norme imperative e con la disciplina per le società per azioni.
L’ufficio del registro delle imprese una volta riscontrata la regolarità formale della documentazione
prodotta, provvede all'iscrizione.
L'ufficio deve verificare che l'atto costitutivo sia stato stipulato in forma di atto pubblico, l'integrale
sottoscrizione del capitale sociale, l'osservanza delle prescrizioni relative ai conferimenti, il rilascio
delle autorizzazioni richieste, a norma dell'articolo 2329. Con riguardo alle autorizzazioni, qualora
l'autorità competente al rilascio, successivamente all'iscrizione riscontri la mancanza o l'invalidità,
può richiedere al tribunale di disporre la cancellazione dell'ente dal registro delle imprese.
L'accoglimento dell'istanza di cancellazione comporterà la liquidazione e la cancellazione della
società dal registro delle imprese.

Con l'iscrizione dell'atto costitutivo nel registro delle imprese, si acquista la personalità giuridica e la
società diviene come autonomo soggetto di diritto. L’adempimento pubblicitario ha quindi efficacia
costitutiva e in mancanza di essa non dà origine all'ente, e nemmeno in forma di società irregolare.

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Decorsi 90 giorni dalla stipulazione dell'atto costitutivo senza che sia avvenuta l'iscrizione nel registro
delle imprese, le somme versate a titolo di conferimento sono restituite ai sottoscrittori e non possono
essere utilizzate per far fronte a debiti della inesistente società e l'atto costitutivo perde la sua
efficacia.
Le operazioni compiute in nome della società prima della sua iscrizione, implicano la responsabilità
solidale e illimitata di coloro che hanno agito.
La società conserva la propria autonomia nel decidere se farsi carico o meno degli oneri connessi
alle operazioni preliminari alla sua nascita e quindi per quelle che si presentano come ineludibili alla
sua costituzione.

Nullità della società

Ai sensi dell'articolo 2332 può essere dichiarata la nullità della società per la mancata stipulazione
dell'atto costitutivo nella forma di atto pubblico, o che sia stato stipulato da un pubblico ufficiale
incompetente o incapace.
Illiceità dell'oggetto sociale nel caso in cui contrasti con le norme imperative o il buon costume.
L'articolo 2332 operare anche nelle ipotesi di nullità sopravvenuta, con la revoca delle autorizzazioni
inizialmente rilasciate o al venir meno dei presupposti fissati dalla legge per l'esercizio dell'attività
costituente l'oggetto sociale.
La mancanza nell'atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della
società, i conferimenti, l’ammontare del capitale sociale o l’oggetto sociale.
La valutazione relativa all'esistenza del contenuto minimo deve essere effettuata con esclusivo
riguardo al contenuto dell'atto costitutivo e allo Statuto, non essendo possibile che le eventuali
lacune di questi due documenti possono trovare soluzione mediante riscontro di dati extra statutari.
Le ipotesi di nullità della società per azioni sono tassative.
L'accertamento giudiziale dei vizi elencati nell'articolo 2332 travolge ex tunc la società che ne è
affetta e gli atti che sono stati posti in essere. Con la sentenza dichiarativa di nullità che implica lo
scioglimento della società e il procedimento della liquidazione, non ha effetti retroattivi.
Le cause di nullità possono essere eliminate e data comunicazione nel registro delle imprese.
L'assunzione di una delibera assembleare di modificazione dell'atto costitutivo resta il passaggio
obbligato per la rimozione delle cause di nullità.

I CONFERIMENTI E I TITOLI AZIONARI

I soci si obbligano a conferire sia nella fase costitutiva della società, che durante la vita della stessa,
alla formazione dei mezzi necessari per lo svolgimento dell'attività prevista nell'oggetto sociale.
Il capitale sociale è costituito dalla somma dei conferimenti eseguiti dai soci, ma è possibile che altri
apporti nella società siano eseguiti dai soci non imputato al capitale sociale.
Il valore del capitale sociale coincide con quello del patrimonio solo nella fase iniziale della
costituzione della società, perché durante lo svolgimento dell'attività il valore del patrimonio risente
degli incrementi o delle diminuzioni secondo l'andamento economico dell'impresa.

Il capitale sociale costituisce la prima risorsa disponibile per lo svolgimento dell'attività ed in questo
caso si parla di funzione produttiva del capitale sociale. Il capitale sociale è diviso in azioni che
rappresentano la partecipazione dei soci nella società e dunque assume una funzione
organizzativa, permettendo di stabilire i diritti che possono essere esercitati dai soci.
Il capitale costituisce la prima forma di garanzia per l'adempimento delle obbligazioni assunte dalla
società nei confronti dei creditori. Una serie di regole sono dirette a vincolare il capitale sociale
all'esercizio dell'impresa e a renderlo uno strumento di garanzia per i creditori. Infatti, i soci non
possono ottenere la restituzione dei conferimenti se non in sede di liquidazione della società; la
riduzione del capitale può avvenire solo attraverso una modifica del capitale sociale a cui peraltro i
creditori si possono opporre; se le perdite hanno inciso sul capitale sociale gli utili non possono
essere distribuiti ai soci fino a quando non sia stato reintegrato o ridotta in misura corrispondente.

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All’azionista possono essere attribuite le azioni solo se è eseguito il conferimento richiesto dallo
statuto e la somma dei conferimenti deve necessariamente corrispondere all'ammontare globale del
capitale sociale, perché se così non fosse, sì ammetterebbe la possibilità di un capitale sociale solo
apparente.
Ci possono essere altre attribuzioni dei soci al patrimonio sociale rispetto al conferimento. Infatti
accade spesso che chi sottoscrive le azioni si impegna non soltanto ad eseguire i conferimenti ma
ad attribuire alla società anche altre attività che non entrano a far parte del capitale sociale.
L'esempio più ricorrente è quando per sottoscrivere le azioni, si richiede ai soci il versamento di
somme ulteriori rispetto al valore nominale, ossia un sovrapprezzo. Il valore nominale va imputato
al capitale della società e la parte residua che è il sovrapprezzo, viene imputato al patrimonio della
società e costituisce una particolare riserva, denominata riserva da sovrapprezzo che non può
essere distribuita tra i soci fino a che la riserva legale non abbia raggiunto il quinto del capitale
sociale.
La ragione per la quale i soci si obbligano al pagamento di somme ulteriori rispetto al valore nominale
risiede nel fatto che il valore nominale delle azioni non corrisponde al valore effettivo o reale delle
stesse in quanto l'andamento economico dell'impresa incide sul valore del patrimonio, andando ad
incrementare quando gli affari vanno bene oppure a diminuire nel caso opposto. In caso di
andamento positivo dell'attività, il valore del patrimonio è superiore a quello del capitale sociale, il
valore effettivo delle azioni è superiore a quello del capitale sociale. Se per esempio, nuovi soci
decidono di entrare in società sarebbe ingiusto consentire il pagamento per un'azione del solo valore
nominale e non anche di quello effettivo. Se così non fosse, riceverebbero un patrimonio di valore
effettivo, superiore rispetto a quanto pagato.

Nella società per azioni sono ammissibili soltanto i conferimenti in denaro, di beni in natura e di
crediti. Nel caso in cui alla società viene effettuato un apporto da parte del socio di una prestazione
d'opera o di servizi, e viene emesso uno strumento finanziario fornito di diritti patrimoniali o anche di
diritti amministrativi, non ha diritto di voto nell’assemblea degli azionisti.
Lo statuto può anche prevedere una diversa assegnazione delle azioni non proporzionale al
conferimento. Può accadere che un socio sia disposto ad eseguire in favore della società una
prestazione non imputabile al capitale e visto che il valore dei conferimenti non può essere inferiore
all'ammontare globale del capitale sociale, l’attribuzione di azioni a questo socio, devono
necessariamente essere conferite dagli altri.
Con l'emissione di azioni con prestazioni accessorie, il socio assume oltre all'obbligo del
conferimento, anche quello di eseguire la prestazione accessoria non consistente in denaro, ma per
esempio si impegna ad eseguire determinate prestazioni o servizi.
L'atto costitutivo deve prevedere il contenuto della prestazione, la durata, le modalità, il compenso
e le sanzioni in caso di inadempimento. L'obbligazione ulteriore assunta dal socio si ricollega al
rapporto sociale e quindi non si tratta di un autonomo rapporto di scambio che interviene tra la
società ed il socio. Questo viene confermato dal fatto che le azioni con prestazioni accessorie
devono essere nominative e non possono essere trasferite senza il consenso degli amministratori,
gli obblighi a cui sono collegate, non possono essere modificati senza il consenso di tutti i soci. In
caso di inadempimento la società potrà attivare la vendita forzata delle azioni e la decadenza dalla
qualità di socio.

I conferimenti in denaro

Se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve essere effettuato in denaro.
Sono possibili i conferimenti di beni e di crediti solo se previsti dallo statuto.
Nel caso di conferimento in denaro, all'atto della sottoscrizione dell'atto costitutivo i soci devono
versare almeno il 25% del loro conferimento presso una banca. Se si tratta di una società
unipersonale dovrà essere versato l'intero importo. Se la pluralità dei soci viene meno, i residui
conferimenti eventualmente ancora dovuti dagli azionisti che hanno trasferito le azioni all'unico socio
devono essere eseguiti nel termine di 90 giorni. In mancanza di ciò l'unico azionista perde il beneficio
della responsabilità limitata.

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Gli amministratori dovranno richiedere ai soci il pagamento di quanto necessario per completare i
conferimenti e fin quando non avviene, la società non potrà eseguire aumenti di capitale e né
emettere obbligazioni convertibili.
Qualora il socio a cui è stato richiesto di integrare il conferimento non provveda, gli amministratori
dovranno diffidarlo ad adempiere nel termine di quindici giorni e pubblicare la diffida sulla Gazzetta
Ufficiale. Scaduto il termine gli amministratori potranno scegliere tra l'esecuzione forzata nei
confronti del socio moroso o l'offerta delle sue azioni agli altri soci per un corrispettivo non inferiore
ai conferimenti ancora dovuti.
In mancanza di offerte da parte dei soci le azioni possono essere vendute a rischio e per conto del
socio, tramite una banca. Se non vi sono compratori gli amministratori possono dichiarare decaduto
il socio e trattenere le somme riscosse, salvo il risarcimento del maggior danno.

I conferimenti di beni in natura e di crediti

L'articolo 2342 consente il conferimento di beni in natura o di crediti, i quali devono essere
integralmente liberati al momento della sottoscrizione in quanto non è possibile rinviare il
trasferimento ad un momento successivo.
Il conferimento di beni in natura o di crediti deve essere presentato unitamente alla relazione giurata
di un esperto designato dal tribunale e la relazione deve contenere la descrizione del bene o del
credito conferito, l'attestazione che il valore è almeno pari a quello attribuito ai fini della
determinazione del capitale sociale e dell'eventuale sovrapprezzo, nonché i criteri di valutazione
seguiti. Entro 180 giorni dell'iscrizione della società gli amministratori devono controllare le
valutazioni dell'esperto e, in presenza di fondati motivi procedere alla revisione della stima.

Nel caso in cui i beni conferiti abbiano un valore inferiore di oltre un quinto, s'impone la proporzionale
riduzione del capitale sociale e l'annullamento delle azioni corrispondenti. Il socio tuttavia potrà
scegliere tra l'integrazione del conferimento, versando quindi la differenza, ed il recesso dalla
società, e in tal caso ha diritto alla restituzione del conferimento qualora sia possibile in tutto o in
parte.
Nel caso dei c.d. acquisti pericolosi potrebbe accadere che per evitare l'applicazione della normativa
in tema di stima dei beni in natura e di crediti che il trasferimento in favore della società avvenga non
mediante il conferimento, ma attraverso la vendita alla società da parte dei soci, in modo che il debito
verso la società per la sottoscrizione delle azioni sia compensato col credito corrispondente al prezzo
che la società deve pagare per la vendita dei beni. Ciò che appare una vendita altro non è che un
conferimento attuato in violazione dell'articolo 2343.
Nel biennio successivo all'iscrizione del registro delle imprese, l'acquisto da parte della società di
beni o di crediti superiori al decimo del capitale sociale, deve essere autorizzato dall'Assemblea
ordinaria, successivamente alla presa visione della relazione di stima, depositata nella sede sociale
nei 15 giorni precedenti l'assemblea.
Il verbale di autorizzazione all'acquisto deve essere depositato nel registro delle imprese insieme
alla relazione di stima, nel termine di trenta giorni. Nel caso di violazione di tali regole, gli
amministratori e l'alienante sono solidalmente responsabili per i danni causati alla società, ai soci e
ai terzi.

La relazione di stima non è richiesta qualora il conferimento riguarda dei valori mobiliari negoziati su
uno o più mercati regolamentati nei sei mesi precedenti il conferimento; se ai beni in natura o ai
crediti il valore che è attribuito è pari o inferiore al Fair Value risultante dal bilancio dell'esercizio
precedente a quello a cui è effettuato il conferimento, a condizione che il bilancio sia sottoposto a
revisione legale, oppure se il valore è riferito ad una valutazione di non oltre sei mesi il conferimento
ed è conforme ai principi e criteri generalmente riconosciuti per la valutazione dei beni oggetti al
conferimento.
Entro 30 giorni dall'iscrizione della società, gli amministratori devono verificare se sono intervenuti
fatti eccezionali che hanno inciso sul prezzo, si sono verificati fatti nuovi e rilevanti tali da modificare
visibilmente il valore dei beni o dei crediti conferiti, i requisiti di professionalità ed indipendenza
dell'esperto che ha reso la valutazione.
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Le azioni

Nella società per azioni la partecipazione sociale è rappresentata da azioni, quante sono le frazioni
di capitale sociale sottoscritto dal socio.
Il primo tratto caratterizzante è delineato nell'articolo 2347 in cui le azioni sono indivisibili.
Qualora l'azione appartenga a più soggetti, non si può pretendere la divisione, e in modo analogo
l'unico titolare non può a sua volta dividerla. Semmai, potrà disporre di una o più quote ideali
dell'azione creando una comproprietà, ma non potrà essere sciolta mediante divisione.
Al fine di rendere più agevole lo svolgimento dei rapporti tra la società ed i soci, la legge prevede la
nomina di un rappresentante comune per l’esercizio dei diritti sociali.
Se la nomina non viene effettuata, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società ad uno dei
comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti e rispondono solidalmente delle obbligazioni
derivanti dall'azione.

Il principio di uguaglianza delle azioni è sancito dall'articolo 2348, secondo cui le azioni sono
tutte di uguale valore nominale e conferiscono ai possessori uguali diritti. Si può anche
omettere l’indicazione del valore nominale se ad esempio la società indica che se ha un capitale
sociale di €200.000 diviso in 100 azioni e il valore si ricava attraverso una semplice divisione tra
l'ammontare del capitale sociale e numero di azioni. L’aumento gratuito del capitale sociale si
realizza attraverso il passaggio di riserve, al capitale sociale. Se le azioni sono immesse con valore
nominale, la società incrementando il capitale sociale, deve attribuire ai soci nuove azioni, il cui
valore nominale deve corrispondere al nuovo capitale sociale, oppure è possibile aumentare il valore
nominale delle azioni già esistente senza emetterne di nuove. Se invece le azioni sono senza valore
nominale non sarà necessaria nessuna operazione perché sarà sufficiente modificare il valore
nominale lasciando inalterato il numero delle azioni.
Se dal punto di vista qualitativo le partecipazioni sociali sono tutte uguali, non lo sono dal punto di
vista quantitativo. Vi sono dei diritti rispetto ai quali il numero di azioni possedute non ha rilievo,
come ad esempio il diritto di intervento in assemblea, in altri casi presuppongono il possesso di una
determinata aliquota di capitale sociale, come nel caso di richiesta di convocazione dell'assemblea.
Esiste la possibilità di creare delle azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne
l'incidenza sulle perdite e si tratta di categoria di azioni che si contrappongono alle azioni ordinarie.
Ogni azione attribuisce gli stessi diritti delle altre ed è dotata del carattere della autonomia, nel senso
che il possessore di più azioni potrà disporne in modo separato ad esempio potrà esercitare il diritto
di recesso per una sola parte delle azioni di cui è titolare e partecipare all'assemblea con una sola
parte di esse.

I diritti spettanti agli azionisti. I vincoli sulle azioni

I diritti spettanti agli azionisti sono amministrativi e patrimoniali. I diritti amministrativi consentono al
socio di prendere parte alla società: di partecipare all'assemblea, di esprimere il voto, di impugnare
le deliberazioni invalide, di consultare il libro dei soci, di denunciare al collegio sindacale fatti
censurabili o al tribunale di gravi irregolarità, di esercitare l'azione di responsabilità contro
amministratori e sindaci.
I diritti a contenuto patrimoniale, consistono nel diritto agli utili e alla quota di liquidazione.
Ci sono poi dei diritti a contenuto misto, sia amministrativo che patrimoniale, come il diritto di recesso,
il diritto di opzione, il diritto di assegnazione gratuita delle azioni in caso di aumento gratuito del
capitale sociale. Si parla di contenuto misto perché è duplice la finalità che si persegue, ad esempio
attraverso l'esercizio del diritto di opzione in caso di aumento del capitale sociale il socio non solo
mantiene inalterata la sua quota di partecipazione capitale ma ne conserva anche intatto il valore
economico, evita così il fenomeno del c.d. annacquamento della partecipazione sociale.

L'esercizio dei diritti sociali spetta all'azionista, ma se le azioni sono state costituite in pegno,
usufrutto o sono stati oggetto di provvedimenti cautelari, il diritto di voto spetta al creditore
pignoratizio o all'usufruttuario. In caso di sequestro viene esercitato dal custode. Gli altri diritti

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amministrativi spettano, nel caso di pegno e usufrutto sia al socio che al creditore pignoratizio e
all'usufruttuario.
In caso di aumento di capitale a pagamento il diritto di opzione, spetta al socio a cui sono attribuite
le azioni sottoscritte e deve provvedere al versamento di quanto necessario almeno 3 giorni prima
della scadenza del termine fissato. Qualora gli altri soci non acquistano il diritto di opzione deve
essere venduto tramite una banca o un intermediario autorizzato nei mercati regolamentati.
Il pegno, l’usufrutto e il sequestro si estendono alle azioni di nuova emissione in caso di aumento
gratuito del capitale sociale.

Le categorie di azioni

Lo statuto può provvedere categorie di azioni fornite di diritti diversi, maggiori o minori di quelli
attribuiti alle azioni ordinarie, ma nell'ambito della stessa categoria non sono ammesse differenze.
La creazione di categorie speciali di azioni incide anche sui diritti delle azioni ordinarie, che possono
essere compressi o ampliati come ad esempio, con l'attribuzione del privilegio di pagamento prima
delle altre azioni, i titolari di azioni ordinarie saranno soddisfatti solo successivamente.
Una volta che lo statuto ha previsto determinate categorie di azioni, i diritti che sono attribuiti non
possono essere modificati senza il consenso dell'assemblea speciale degli appartenenti alla
categoria interessata.

La creazione di categorie speciali di azioni privilegiate non può escludere le altre azioni dalla
partecipazione agli utili o alle perdite della società.
L’articolo 2348, consente l’attribuzione di particolari diritti a determinate azioni riguardanti incidenza
sulle perdite. Nei limiti del rispetto del patto Leonino è possibile creare azioni postergate alla
partecipazione alle perdite della società, ossia azioni che sono intaccate dalle perdite solo dopo
che siano state colpite le altre azioni, oppure azioni che godono di una priorità nel rimborso, in sede
di liquidazione del capitale sociale.

Lo statuto ha la possibilità di prevedere: azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a
determinati argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni, e il valore
delle azioni con voto limitato non deve superare complessivamente la metà del capitale sociale.
Per quanto concerne le azioni con voto limitato ad una certa misura, significa che le azioni
possedute da un determinato soggetto, attribuiscono il diritto di voto fino ad una certa aliquota del
capitale sociale e non anche per l’eccedenza; mentre per il voto scaglionato, prevista già dal codice
di Commercio del 1882, per il quale l'azionista aveva un voto ogni cinque azioni fino al
raggiungimento di 100 azioni, e un voto ogni 25 nel caso di possesso di più di cento azioni.
Inoltre, viene ammessa la possibilità di azioni con voto plurimo che consente ad ogni azione di
avere fino ad un massimo di 3 voti e sono a orientate a potenziare il diritto di voto, diretto ad evitare
la dissociazione tra rischio di impresa e controllo.
Le azioni a voto plurimo sono ammesse nelle società chiuse, ma, tuttavia se emesse prima della
quotazione mantengono le loro caratteristiche e diritti.

L'articolo 2349 consente allo Statuto di prevedere l'immissione di azioni e strumenti finanziari in
favore dei dipendenti della società atti ad incentivare il cosiddetto azionariato operaio che avviene
mediante l’assegnazione di utili in categorie speciali di azioni, con norme particolari riguardo la
forma, al modo di trasferimento e ai diritti spettanti.
Quando la società delibera la riduzione del capitale sociale e procede al rimborso del capitale
conferito per il suo valore nominale e al conseguente annullamento delle corrispondenti azioni, ai
possessori delle azioni rimborsate vengono attribuite delle azioni di godimento per consentire di
partecipare ad eventuali utili o plusvalenze patrimoniali di cui mancanza non potrebbero godere,
visto che le azioni sono state rimborsate al valore nominale. Le azioni di godimento non danno diritto
di voto e concorrono alla ripartizione degli utili.
Con le azioni riscattabili, lo statuto prevede il potere di riscatto delle azioni da parte della società
o dei soci in determinate circostanze, come nel caso di morte del socio, il riscatto potrà essere
esercitato per evitare il subingresso da parte degli eredi.
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La circolazione delle azioni

Con l'incorporazione dell'azione nel documento che la rappresenta, si consente di agevolare, da un


lato l'esercizio da parte dei soci dei diritti sociali che gli spettano e, dall'altro il trasferimento delle
partecipazioni sociali.
I titoli azionari sono titoli di credito causali, a letteralità indiretta e di massa. Possono essere
nominativi o al portatore. La disposizione del codice è derogata dalla legislazione speciale che
impone la nominatività obbligatoria delle azioni delle società dello Stato.
Gli elementi che devono contenere i titoli azionari sono: la denominazione e sede della società, data
dell'atto costitutivo e l’iscrizione presso il registro delle imprese, il valore nominale, l'ammontare dei
versamenti parziali sulle azioni non interamente liberate, i diritti e gli obblighi.
Nelle società quotate nei mercati regolamentati le azioni non possono essere rappresentate da
documenti e la legittimazione all'esercizio dei diritti e la circolazione delle azioni avviene mediante il
sistema della dematerializzazione, cioè attraverso una serie di scritturazioni contabili eseguite dalle
società emittenti, dalla società di gestione accentrata e dagli intermediari. La dematerializzazione è
obbligatoria per le società quotate, ma può essere adottata anche da quelle che non vi sono tenute.

Limiti alla circolazione

Di regola, le azioni sono liberamente trasferibili sia per atto inter vivos che mortis causa, ma può
accadere che il principio sia derogato da disposizioni legislative, da previsioni statutarie e da patti
parasociali tra i soci. In ogni caso è escluso che possano esserci delle limitazioni convenzionali al
trasferimento che riguardano azioni quotate sui mercati regolamentati.
Esempi di limitazioni nel caso di azioni liberate mediante conferimenti in natura, non possono essere
trasferite fino a quando la valutazione dei conferimenti eseguiti non sia stata controllata dagli
amministratori.
Le clausole statutarie che limitano il trasferimento delle azioni sono ammesse a due condizioni: che
non si tratti di azioni al portatore e che, il divieto non ecceda il periodo di 5 anni decorrenti dalla
costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto.
Le ipotesi più frequenti di particolari condizioni è quando il trasferimento sia subordinato alle clausole
di godimento e di prelazione.
Con la clausola di gradimento, si subordina il trasferimento al gradimento degli organi sociali o degli
altri soci e produce l'inefficacia nei confronti della società del trasferimento delle azioni fino a quando
non interviene il gradimento. Fino ad allora il compratore non potrà esercitare i diritti sociali.
Può accadere che la clausola indichi le condizioni in presenza della quale il gradimento deve essere
espresso, e in tal caso il rifiuto del gradimento in violazione dei criteri dettati dallo statuto legittima
l'impugnazione della delibera. L'efficacia della clausola è subordinata alla previsione, a carico della
società o degli altri soci, di un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell'alienante. Attraverso
questi correttivi si bilanciano due interessi: quello della società di controllare l'ingresso di nuovi soci
e quello del socio di non restare prigioniero della stessa.

Con la clausola di prelazione si prevede che il socio che intende vendere le proprie azioni debba
prima offrirle agli altri soci, i quali potranno acquistarle a parità di condizioni rispetto a quanto
proposto da un terzo. La violazione della clausola di prelazione, comporta l'inefficacia che può
essere fatta valere dalla società o dei soci.
Le clausole limitative del trasferimento delle azioni possono essere introdotte, modificate o
soppresse con la maggioranza richiesta per modifiche statutarie. in questo caso però si attribuisce
il diritto di recesso al socio che non ha concorso all'approvazione della deliberazione.

le azioni proprie

La società può compiere operazioni aventi ad oggetto azioni proprie, diventando socia di sé stessa,
realizzando un investimento sulle proprie azioni nella consapevolezza che presenti delle buone
prospettive, se non maggiori possibilità di guadagno rispetto ad altre. Per le società quotate nei
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mercati regolamentati, l'acquisto di azioni proprie può servire a mantenere stabile il valore dei titoli
azionari scambiati allo scopo di evitare picchi o crolli del corso delle azioni. L'acquisto di azioni
proprie può essere utilizzato anche come strumento di reazione contro manovre ostili e può avere
l'effetto di rafforzare il gruppo.
Nelle società chiuse, l'acquisto di azioni proprie può consentire ad uno dei soci di liquidare
l'investimento: se nessuno degli altri soci è disposto ad acquistare la partecipazione, viene
temporaneamente collocata presso la società, in attesa che qualcuno si disponga all'acquisto o che
si trovi un accordo tra i vecchi soci per la ripartizione delle azioni.
I pericoli nell'acquisto di azioni proprie non sono di poco conto in quanto può dar luogo
all’annacquamento del capitale sociale, nella misura in cui costituisca uno strumento per eludere la
disciplina dei conferimenti e dunque il principio della integrità del capitale sociale; può prestarsi a
manovre speculative da parte di amministratori che effettuano operazioni di mercato dirette ad
alterare la quotazione.

L'acquisto di azioni proprie è consentito nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili
risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato. Possono essere acquistate soltanto azioni
interamente liberate, in quanto se così non fosse l'obbligo di eseguire il conferimento si
estinguerebbe per confusione, diventando la società debitrice di sé stessa.
L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea, la quale ne fissa le modalità, indicando in
particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, non superiore ai diciotto mesi, per
la quale l'autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed il corrispettivo massimo.
Per le società che fanno ricorso al mercato di rischio, il valore nominale delle azioni proprie
acquistate non può superare il quinto del capitale sociale.
L'acquisto di azioni proprie deve avvenire in modo da assicurare la parità di trattamento tra gli
azionisti.
Qualora l'acquisto sia avvenuto in violazione di tali regole, le azioni devono essere vendute entro un
anno dall'acquisto. In mancanza di ciò, si deve procedere all'annullamento delle azioni e alla
riduzione del capitale e se l'assemblea non provvede, gli amministratori devono richiedere che la
riduzione sia disposta dal tribunale.

Una volta che le azioni sono state acquistate dalla società occorre stabilire i criteri con cui gli
amministratori possono disporne e la modalità di esercizio dei diritti sociali. Anche la vendita delle
azioni proprie deve essere autorizzata dall'Assemblea che deve stabilire le modalità.
Il diritto agli utili e il diritto di opzione sono attribuiti proporzionalmente alle altre azioni. Il
diritto di voto è sospeso, ma le azioni proprie sono computate ai fini del calcolo delle maggioranze e
delle quote di capitale richieste per la costituzione e deliberazione assembleare.
Questa regola fa eccezione per società che fanno ricorso al capitale di rischio, per le quali il diritto
di voto viene sospeso, sono computate per la sola determinazione del quorum costitutivo, ma non
si tiene conto del quorum deliberativo. La sospensione del diritto di voto sterilizza il pericolo che
l'acquisto di azioni proprie da parte del gruppo di comando, sia utilizzato per alterare i rapporti tra i
soci.
L'acquisto di azioni proprie comporta una riduzione del patrimonio netto mediante l'iscrizione nel
passivo del bilancio della riserva negativa per azioni proprie in portafoglio. In questo modo viene
neutralizzato il valore delle azioni proprie detenute dalla società.

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All’assemblea partecipano i soci della società, i quali, devono decidere sulle materie riservate alla
competenza dell’assemblea da parte dalla legge o dallo statuto.
Alla deliberazione assembleare si giunge attraverso delle fasi che sono la convocazione, l'intervento
dei soci alla riunione con la discussione degli argomenti, il voto e la proclamazione dei risultati della
votazione e in ultimo la verbalizzazione dell'intero svolgimento dell'assemblea.
Le deliberazioni assembleari sono adottate secondo il modello collegiale che è inderogabile nelle
società per azioni in quanto sono coinvolti molteplici interessi da parte di ampie categorie di soggetti
e la deliberazione con metodo collegiale assicura una maggiore consapevolezza delle decisioni da
parte dei soci e consente la verifica del rispetto delle regole fissate per l'adozione delle deliberazioni.
L’assemblea ai sensi dell'articolo 2363, può essere ordinaria o straordinaria e la differenza riguarda
le materie che sono riservate alla competenza dell'una o dell'altra e alle modalità di adozione delle
deliberazioni.
L'assemblea ordinaria nel sistema di amministrazione tradizionale e monistico approva il bilancio,
nomina e revoca degli amministratori, i sindaci e il presidente del collegio sindacale e, quando
previsto il soggetto responsabile della revisione legale dei conti, determina il compenso degli
amministratori e dei sindaci, delibera sulla responsabilità contro amministratori e sindaci, delibera
sugli altri oggetti che sono stati attribuiti dalla legge e sulle autorizzazioni eventualmente richieste
dallo statuto per il compimento degli atti degli amministratori, approva l'eventuale regolamento
assembleare.
L’Articolo 2364 attribuisce all'assemblea la competenza a deliberare su atti di gestione, qualora
previsto necessario dallo statuto per determinati atti e in ogni caso resta ferma la responsabilità degli
amministratori per gli atti compiuti. Viene escluso che gli amministratori possano di propria iniziativa
ed al fine di esimersi dalla responsabilità nei confronti della società, richiedere l'autorizzazione per
atti di gestione.
Nel caso in cui la società abbia scelto il sistema di amministrazione dualistico, le competenze
assembleari si riducono ed in particolare l'approvazione del bilancio passa al consiglio di
sorveglianza. Le materie di competenza rimangono la nomina e la revoca dei consiglieri di
sorveglianza, determina il loro compenso se non viene stabilito dallo statuto, delibera sull'azione di
responsabilità nei loro riguardi, delibera sulla distribuzione degli utili, nomina il soggetto incaricato di
effettuare la revisione legale dei conti.
L'assemblea straordinaria, invece delibera sulle modificazioni dello Statuto, sulla nomina, sulla
costituzione e sui poteri dei liquidatori, su ogni altra materia espressamente previste dalla legge e
per esempio l'emissione di obbligazioni convertibili in azioni. Lo statuto può prevedere che alcune
materie riservate alla competenza dell'assemblea straordinaria siano invece delegate agli
amministratori, nel sistema tradizionale e in quello monistico e al consiglio di gestione o al consiglio
di sorveglianza nel caso di sistema dualistico.
Le materie a riguardo sono: l'emissione di obbligazioni convertibili, l'aumento di capitale, la
deliberazione sulla fusione semplificata, l'istituzione o la soppressione di sedi secondarie,
l'indicazione degli amministratori ai quali è attribuito il potere di rappresentanza della società, la
riduzione del capitale in caso di recesso del socio, l'adeguamento dello Statuto a nuove disposizioni
normative, il trasferimento della sede nel territorio nazionale.

La convocazione dell’assemblea

Il potere di convocare l'assemblea è attribuito dalla legge agli amministratori, nel sistema dualistico
vi provvede il consiglio di gestione. Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio,
il potere di convocare l'assemblea è anche attribuito al collegio sindacale e nel caso di adozione del
sistema dualistico, spetta al consiglio di sorveglianza.
L'assemblea ordinaria deve essere convocata almeno una volta l'anno nel termine fissato dallo
statuto e non superiore a 120 giorni dalla chiusura dell'esercizio, al fine di provvedere
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all'approvazione del bilancio. Tale termine sia può superato nel limite massimo di 180 giorni nel caso
in cui le società siano tenute alla redazione del bilancio consolidato, e quando richiesto da particolari
esigenze relative alla struttura e all'oggetto della società.
L'assemblea, deve essere convocata qualora ne sia fatta domanda da una minoranza qualificata di
soci che raggiunga il ventesimo del capitale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale
di rischio e il decimo del capitale nelle altre, purché nella richiesta siano indicati gli argomenti da
trattare.
Se gli amministratori non convocano l'assemblea e in loro sostituzione non intervengono i sindaci o
il consiglio di sorveglianza o il comitato di controllo sulla gestione, interviene il tribunale. Qualora il
rifiuto di provvedere alla convocazione risulti ingiustificato, ordina con decreto la convocazione
dell'assemblea, designando la persona che deve presiederla.
Quando cessano dalla carica tutti gli amministratori, il collegio sindacale deve convocare d'urgenza
l'assemblea e può compiere nel frattempo tutti gli atti di ordinaria amministrazione.
I sindaci possono convocare l'assemblea quando ravvisano fatti censurabili di rilevante gravità e vi
sia urgente necessità di provvedere.
L'assemblea deve essere convocata nel comune ove ha la sede la società, salvo che lo statuto non
disponga diversamente.
Gli amministratori devono redigere l'avviso di convocazione contenente l'indicazione del giorno,
dell'ora, del luogo dell'adunanza e l'elenco delle materie da trattare. Per le società che fanno ricorso
al mercato del capitale di rischio sono richieste indicazioni più ampie, per far in modo che gli azionisti
siano adeguatamente informati in ordine alle procedure da rispettare per partecipare all'assemblea,
alla possibilità di porre domande prima dell'assemblea e di integrare l'ordine del giorno. Gli
amministratori sono tenuti a depositare presso la sede sociale, sul sito internet ed eventualmente
con altre modalità previste dalla Consob, una relazione su ciascuna delle materie poste all'ordine
del giorno.
L'ordine del giorno deve essere sufficientemente analitico non essendo consentite le espressioni
vaghe, non è permesso deliberare su argomenti non previsti all'ordine del giorno. La giurisprudenza
ammette che l'ordine giorno contenga l'espressione provvedimenti connessi, consequenziali ed
accessori o da altre forme equivalenti. La deliberazione sarà quindi valida sempre che la materia
discussa ed approvato dai soci sia direttamente collegata a quella prevista nell'ordine giorno e ad
essa conseguente.
L'avviso può contenere anche l'indicazione per la seconda convocazione dell'assemblea, nelle
ipotesi in cui nella prima non sia stato raggiunto il numero minimo dei soci per la costituzione
dell'assemblea essendo previsti dei quorum ridotti per facilitare l'adozione delle deliberazioni. In
ogni caso non potrà avere luogo nello stesso giorno fissato per la prima. Se l'avviso non contiene la
data della seconda convocazione, l'assemblea deve essere convocata entro trenta giorni dalla data
fissata dalla prima e nel caso di pubblicazione dell'avviso sulla stampa il termine è ridotto a 8 giorni
e a 21 giorni per la società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, la seconda convocazione è
ammessa solo se prevista dallo statuto.
Di regola l'avviso deve essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale o su un altro quotidiano indicato
nello Statuto almeno 15 giorni prima di quello fissato per l'assemblea. Se i quotidiani indicati nello
Statuto hanno cessato le pubblicazioni, l'avviso deve essere pubblicato necessariamente sulla
Gazzetta Ufficiale. Le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio possono
convocare l'assemblea mediante mezzi che garantiscono la prova dell'avvenuto ricevimento almeno
8 giorni prima dell'assemblea.
Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l'avviso della convocazione deve
essere pubblicato sul sito internet della società e per estratto, sui giornali quotidiani entro trenta
giorni prima della data dell'assemblea. Il termine è anticipato al quarantesimo giorno per l'assemblea
relativa alle elezioni degli organi di amministrazione e controllo ed è posticipato al ventunesimo
giorno per le deliberazioni di riduzione del capitale e di nomina dei liquidatori.
In caso di assemblea totalitaria, ossia quando è rappresentato anche per delega l'intero capitale
sociale e sia presente la maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo, in
questo caso i soci possono decidere su qualunque argomento e la discussione non è vincolata alle
materie previste nell'ordine del giorno.

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L’assemblea è presieduta dalla persona indicata nello Statuto o in mancanza, da quella eletta a
maggioranza dei presenti. Il presidente è assistito da un segretario che peraltro non è necessario
quando il verbale deve essere redatto dal notaio.
Sono attribuiti al presidente dei specifici poteri che non assumono rilievo solo nella fase costitutiva
dell'assemblea, ma anche nel corso dei lavori. Infatti, pone in discussione e in votazione gli
argomenti previsti nell'ordine del giorno, attribuisce o toglie la parola agli intervenuti e accerta l'esito
delle votazioni, verifica cioè il quorum deliberativo se sia stato raggiunto.
Oltre agli azionisti, intervengono alla riunione anche gli amministratori, i sindaci, il rappresentante
comune degli azionisti di risparmio e degli obbligazionisti. Nel caso in cui le azioni siano state date
in pegno o usufrutto, il diritto di voto spetta al creditore pignoratizio e all'usufruttuario. In caso di
sequestro delle azioni, il diritto di voto spetta al custode.
Lo statuto delle società può richiedere il preventivo deposito delle azioni presso la sede sociale o in
banche indicate nell'avviso di convocazione, prevedendo che le azioni non possono essere ritirate
prima che abbia avuto luogo l'assemblea e in questo caso al socio che effettua il deposito viene
rilasciato un biglietto di ammissione all'assemblea. Il divieto di ritiro delle azioni è diretto ad evitare
che all'assemblea possa votare chi nel frattempo abbia venduto le azioni e quindi perso la
legittimazione.
Per le società aventi azioni quotate nei mercati regolamentati, la legittimazione all'intervento
nell'assemblea e all'esercizio del diritto di voto è attestata da una comunicazione all'emittente,
effettuata dall'intermediario in conformità alle proprie scritture contabili. L'intermediario effettua la
comunicazione sulla base delle evidenze relative al settimo giorno di mercato aperto precedente la
data fissata per l'assemblea.

I quorum assembleari

Per poter validamente deliberare è necessaria l'esistenza del quorum costitutivo, ovvero la presenza
della parte di capitale sociale richiesto affinché l'assemblea possa dirsi regolarmente costituita. In
mancanza di ciò non si potrà procedere all'inizio dei lavori.
Perché le proposte siano approvate e dunque deliberate dall'Assemblea, è necessario il
raggiungimento del quorum deliberativo, ossia la quota di capitale richiesta affinché la deliberazione
possa considerarsi approvata. Per il computo del quorum costitutivo non si tiene conto delle
azioni che sono prive del diritto di voto e invece si calcolano le azioni per le quali il diritto di voto è
attribuito ma per qualche particolare motivo non può essere esercitato, come nel caso delle azioni
del socio moroso.
Per il quorum deliberativo invece non sono conteggiate le azioni per le quali il diritto di voto non
può essere esercitato e per le quali il diritto di voto non è stato esercitato a seguito della dichiarazione
del soggetto al quale spetta il diritto di voto di astenersi per conflitto di interesse.
I quorum variano a seconda che l'assemblea si svolga in prima o in seconda convocazione, che si
tratti di assemblea ordinaria o straordinaria, o di società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio. È prevista una autonomia statutaria che consente la previsione di maggioranze più elevate
ma non per tutte le materie. Infatti qualora l'assemblea deliberi in seconda convocazione non è
possibile prevedere maggioranze più elevate per l'approvazione del bilancio, la nomina e la revoca
delle cariche sociali.
Per l’assemblea ordinaria in prima convocazione, il quorum costitutivo deve essere composto
almeno dalla metà del capitale sociale e il quorum deliberativo con maggioranza assoluta; per la
seconda convocazione non esiste un quorum costitutivo e l'assemblea delibera qualunque sia la
parte di capitale rappresentata e il quorum deliberativo è costituito dalla maggioranza delle azioni
che hanno preso parte alla votazione.

Per l'assemblea straordinaria di società chiuse per la prima convocazione è richiesta la metà del
capitale sociale salvo che lo statuto non preveda una maggioranza più elevata; per la seconda
convocazione occorre un quorum costitutivo di oltre un terzo del capitale sociale; il quorum
deliberativo è costituito da almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea.

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Per le società aperte per la prima convocazione è richiesto un quorum costitutivo della metà del
capitale sociale o la maggior percentuale prevista dallo statuto mentre il quorum deliberativo deve
essere costituito dai due terzi del capitale sociale rappresentato nell'assemblea; per la seconda e le
successive convocazioni il quorum costitutivo deve essere di almeno un quinto del capitale sociale
e per poter correttamente deliberare occorrono i due terzi del capitale rappresentato.

La discussione dell'assemblea è diretta dal presidente che introduce gli argomenti che sono
all'ordine del giorno, stabilisce l'ordine di trattazione degli argomenti, da e toglie la parola agli
intervenuti. Può accadere che i soci non siano adeguatamente informati sulle materie in discussione
ed è possibile rinviare la riunione a condizione che la richiesta prevenga da tanti soci che formano
un terzo del capitale sociale. Si tratta di uno strumento di tutela delle minoranze che però non deve
tradursi in uno strumento di impedimento allo svolgimento dell'assemblea attraverso comportamenti
ostruzionistici. il diritto al rinvio può essere esercitato solo una sola volta per lo stesso oggetto.

Può accadere che il socio versi per proprio conto o di terzi, in conflitto di interessi con la società e ai
sensi dell'articolo 2373 non gli viene vietato di votare, o di astenersi, può decidere a sua discrezione
la soluzione che gli appare più opportuna e conveniente. Se il socio vota e la delibera è stata
approvata con il suo voto determinante è impugnabile qualora possa arrecare un danno alla società
o che sia anche solo potenzialmente dannosa.

Il voto può essere espresso anche per corrispondenza o in via elettronica e chi si avvale di queste
modalità si considera intervenuto all'assemblea.
L’unica forma di esercizio di voto ammessa è quella palese in quanto il voto segreto è incompatibile
ad identificare i soci che hanno votato a favore o contro o che si sono astenuti e peraltro è
indispensabile anche al fine dell’accertamento della legittimazione ad impugnare le deliberazioni.
Lo svolgimento dell'assemblea deve risultare nella sua interezza dal verbale sottoscritto dal
presidente e dal segretario o dal notaio e deve indicare la data dell'assemblea, l'identità dei
partecipanti e capitale rappresentavano ciascuno, le modalità e il risultato delle votazioni.

L'annullabilità

Gli articoli 2377 e seguenti disciplinano l'invalidità delle deliberazioni distinguendo le due ipotesi:
l'annullabilità è la nullità.
Per l'articolo 2377 le deliberazioni prese in conformità della legge e dell'atto costitutivo, vincolano
tutti i soci anche se non intervenuti o dissenzienti. Annullabili invece sono le deliberazioni prese non
in conformità della legge o dello Statuto e quindi si conferma una causa generale di invalidità delle
deliberazioni, mentre la nullità ricorre solo nelle tassative ipotesi di cui all'articolo 2379.
Sono legittimati ad impugnare le deliberazioni annullabili i soci assenti, i dissenzienti o astenuti, gli
amministratori, il consiglio di sorveglianza e di collegio sindacale. in alcuni casi viene attribuita la
legittimazione all'impugnazione anche a soggetti esterni alla società come nel caso delle società
quotate da parte della Consob o della Banca Italia e dall’Isvap.
La legittimazione dei soci è subordinata al possesso di un'aliquota minima del capitale sociale che
varia a seconda della società faccia o meno ricorso al mercato del capitale di rischio in modo da
evitare che la minoranza abusi dei propri diritti proponendo azioni pretestuose o disturbo.
La previsione è derogabile dallo statuto ma solo con abbassamento dell’aliquota o con l'eliminazione
del requisito e non con la previsione di aliquote più elevate.
Per i soci privi dell’aliquota di capitale richiesta, il legislatore accorda una tutela risarcitoria potendo
proporre un'azione diretta ad ottenere il risarcimento del danno subito dalla non conformità della
deliberazione alla legge o allo Statuto. Si tratta di una tutela che pone il socio nella necessità di dare
una compiuta prova del danno subito dalla deliberazione e la prova non risulta essere agevole
considerando che il danno deve essersi verificato nel breve termine previsto per l'impugnativa.

I casi di annullabilità delle deliberazioni sono dati dalla partecipazione all'assemblea di soggetti non
legittimati come ad esempio, il socio privo del diritto di voto. L'annullamento è ammesso solo se la
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partecipazione del soggetto privo di legittimazione sia stata determinante al fine del raggiungimento
del quorum costitutivo; Invalidità dei singoli voti o di errato conteggio i quali siano risultati
determinanti per il raggiungimento della maggioranza richiesta;
Incompletezza o inesattezza del verbale solo quando impedisca l'accertamento del contenuto, degli
effetti e della validità della deliberazione.

L'annullamento della deliberazione ha effetto per tutti i soci ed obbliga gli amministratori, il consiglio
di sorveglianza e di gestione, a prendere i provvedimenti necessari ma, tuttavia sono salvi i diritti
acquisiti in buona fede dai terzi in base agli atti compiuti in esecuzione della deliberazione e pertanto,
viene preferita la stabilità dei rapporti sorti sulla base della deliberazione.
Per il procedimento di impugnazione ha competenza il Tribunale del luogo ove la società ha la
sede. Chi impugna la deliberazione ha l'onere di provare il possesso, al momento della proposizione
dell'azione, dell'aliquota di capitale richiesta per la legittimazione all'impugnativa.
L'impugnativa non sospende l'esecuzione della deliberazione che può essere disposta dall'autorità
giudiziaria comparando il pregiudizio che il socio subirebbe dall'esecuzione della deliberazione e
quello che subirebbe la società dalla sospensione.

La nullità

L’Articolo 2379 restringe l’applicazione della nullità alla mancata convocazione, alla mancanza del
verbale, dalla impossibilità o illiceità dell'oggetto della deliberazione, deliberazioni che modificano
l'oggetto sociale prevedendo lo svolgimento di attività illecite o impossibili.
Le prime tre ipotesi di nullità possono essere fatte valere da chiunque vi abbia interesse ed è
rilevabile d'ufficio dal giudice nel termine di tre anni dall'iscrizione o dal deposito nel registro delle
imprese o dalla trascrizione nel libro delle adunanze. Per il quarto caso invece la nullità può essere
fatta valere o rilevata d'ufficio dal giudice senza limiti di tempo.
Per l’ipotesi di nullità relativa alla deliberazione invalida, un’ipotesi di sanatoria è di sostituire la
deliberazione invalida con un'altra presa in conformità della legge o dello Statuto. La mancata
convocazione non ricorre in caso di irregolarità dell'avviso di convocazione se questo proviene da
un componente dell'organo di amministrazione o di controllo ed è comunque idoneo a consentire
agli aventi diritto di essere preventivamente avvertiti della convocazione e della data.

Il verbale non si considera mancante se contiene la data della deliberazione e l'oggetto è sottoscritto
dal Presidente dell’assemblea e dal segretario o dal notaio. Viene privilegiata la stabilità delle
deliberazioni in presenza di vizi che in sostanza non incidono in maniera significativa né sul
procedimento di formazione della deliberazione né sulla verbalizzazione.
La sanatoria della nullità ricorre nel caso della mancata convocazione, che non può essere
impugnata da chi, anche successivamente abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento
dell'assemblea; per la mancanza del verbale, quando la verbalizzazione sia eseguita prima
dell'assemblea successiva. La deliberazione produce i suoi effetti comunque dalla data in cui è stata
presa, salvi i diritti dei terzi che in buona fede ignoravano la deliberazione.
La nullità non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede in base ad atti compiuti in
esecuzione della deliberazione e non può essere pronunciata se la delibera è stata sostituita da
un'altra presa in conformità dalla legge o dallo statuto.

Per le deliberazioni di aumento o riduzione del capitale sociale e di emissioni delle obbligazioni, la
nullità può essere fatta valere nel termine di 180 giorni dall'iscrizione della deliberazione nel registro
delle imprese; nel caso di nullità per mancata convocazione il termine è di 90 giorni dall'approvazione
del bilancio dell'esercizio nel corso del quale la deliberazione è stata anche parzialmente eseguita.
Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l'invalidità della delibera di
aumento di capitale sociale non può essere pronunciata dopo che sia stata iscritta nel registro delle
imprese e l'aumento è stato eseguito; l'invalidità della delibera di riduzione del capitale e di emissione
delle obbligazioni non può essere pronunciata dopo che sia stata anche parzialmente eseguita.
La deliberazione di approvazione del bilancio non può essere impugnata dopo che è intervenuta
l'approvazione del bilancio successivo.
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Per le società per azioni sono previsti tre sistemi alternativi di amministrazione e controllo: quello
cosiddetto tradizionale, il dualistico ed il monistico. Il sistema tradizionale è imperniato sul consiglio
di amministrazione, sul collegio sindacale ed eventualmente sul revisore dei conti e agli
amministratori spetta in modo esclusivo la gestione dell'impresa, compiendo le operazioni che sono
necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale, articolo 2380.
Gli amministratori possono essere anche non soci, ed è riservato il potere di esercizio dell'impresa.
La competenza degli amministratori è generale ed esclusiva, mentre quella dell'assemblea è
speciale, la quale li nomina ma non può in alcun caso condizionarli per ciò che attiene la gestione
dell'impresa sociale.
L’assemblea ha il potere di revocare gli amministratori anticipatamente rispetto alla scadenza del
loro incarico, nonché di agire per la responsabilità.
La funzione amministrativa è attribuita agli amministratori dalla legge e non da un mandato
dei soci. La piena autonomia gestionale di cui godono, l'obbligo di vigilare anche sull'osservanza
della legge da parte dell'assemblea e l'esposizione a responsabilità per i danni provocati alla società,
ai creditori sociali ai singoli soci e ai terzi, impediscono di qualificarsi mandatari. Se l'amministrazione
è affidata a più persone queste costituiscono un consiglio di amministrazione e le decisioni sono
assunte attraverso una riunione nella quale ciascun amministratore partecipa alla discussione ed
esercita il diritto di voto.
La gestione dell'impresa deve essere svolta rispettando l’articolo 2086, secondo il quale
individua dell'imprenditore il capo della società dal quale dipendono gerarchicamente i suoi
collaboratori e impone un assetto organizzativo, amministrativo e contabile, adeguato alla natura
e alle dimensioni dell'impresa. Tale assetto viene esplicitamente concepito anche in funzione della
rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché al
fine di consentire alla società di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli
strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e per recupero della continuità
aziendale, allo scopo di tutelare gli interessi esterni all'impresa, cominciando dai creditori.
Per le società per azioni significa l'implementazione di protocolli, procedure e strumenti di
identificazione delle criticità e dei sintomi della crisi, nonché di un monitoraggio costante aziendale.

Nomina, accettazione e remunerazione degli amministratori

I primi amministratori sono nominati nello Statuto e ne viene stabilito il numero, se lo statuto indica
un numero minimo e massimo di amministratori, la determinazione spetta all'assemblea.
Successivamente, è l'assemblea che nomina tutti gli amministratori.
Lo statuto può stabilire norme particolari per la nomina delle cariche sociali, consentendo una
rappresentanza in consiglio anche dei soci di minoranza, ma non può aumentare i quorum
deliberativi previsti dalla legge per la nomina e la revoca delle cariche sociali, ma può ridurli.
Nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può conferire allo
stato o agli enti pubblici, che hanno una partecipazione sociale, la facoltà di nominare un numero di
amministratori e di sindaci in modo proporzionale alla partecipazione al capitale sociale, e possono
essere revocati solo dall'ente che li ha nominati.
La durata dell'incarico degli amministratori non può superare i 3 esercizi ed entro 30 giorni dalla
nomina sono tenuti a chiederne l'iscrizione nel registro delle imprese. Non possono essere nominati
come amministratori e, se nominati decadono, l’interdetto, l'inabilitato, il fallito o chi è stato
condannato ad una pena che porta all'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o
l'incapacità ad esercitare uffici direttivi.
Lo statuto può anche prevedere requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza.
Se le funzioni amministrative sono svolte da soggetti non legittimamente investiti dalla qualifica, si
parla di Amministratore di fatto, ossia di colui che gestisce indirettamente l'impresa sociale
attraverso gli amministratori in carica. Tale fenomeno di ingerenza nella gestione non è contemplato
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in nessuna norma codicistica e presenta la sua problematicità soprattutto in sede fallimentare,


quando si tratta di accertare la responsabilità civile e penale degli organi amministrativi e di controllo.
L'articolo 2639 equipara ai soggetti formalmente investiti della qualifica, coloro che esercitano in
modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti la qualifica o la funzione.
La carica di amministratore cessa per revoca da parte dell'assemblea e in mancanza di giusta causa,
hanno diritto al risarcimento del danno. Non è ammessa la revoca degli amministratori nominati dallo
Stato o dagli enti pubblici.
Inoltre la carica di amministratore, cessa per revoca da parte del tribunale per gravi irregolarità di
gestione; per rinuncia; per la scadenza del termine; per morte; per decadenza dovuta alla
sopravvenienza di una causa di ineleggibilità; per l'iscrizione nel registro delle imprese della nomina
dei liquidatori; e di altre cause previste dallo statuto.
Se la cessazione della carica è dovuta alla scadenza del termine, gli amministratori restano in carica
fino all'accettazione dei nuovi.
La rinuncia produce effetto immediato solo se rimane in carica la maggioranza degli amministratori
altrimenti, opera dal momento della ricostituzione del consiglio con l'accettazione dei nuovi
amministratori.
Se vengono a mancare uno o più amministratori, quelli in carica possono sostituirli cooptando i nuovi
e, gli amministratori cooptati restano in carica fino alla successiva assemblea, la quale potrà
confermarli o nominare degli altri. Se invece viene meno la maggioranza degli amministratori
nominati dall'Assemblea, i superstiti dovranno convocare quest'ultima per la nomina dei nuovi e il
loro incarico scadrà insieme a quegli altri, salvo diversa disposizione dello Statuto.
Qualora venisse a cessare l'amministratore unico o l'intero consiglio di amministrazione, sarà il
collegio sindacale a compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione, a convocare d'urgenza
l'assemblea perché provveda alla nomina. L'assemblea determina il compenso degli amministratori
se questo non è stabilito dallo statuto.
I compensi possono essere costituiti sia dalla partecipazione agli utili, sia dall'attribuzione del diritto
di sottoscrizione, a prezzo predeterminato, di azioni di futura emissione e si tratta di strumenti che
consentono di legare la remunerazione degli amministratori all'andamento dell'impresa sociale.

Se l'organo amministrativo è costituito dall'amministratore unico su di esso si accentrano i poteri di


gestione e rappresentanza che eserciterà sotto il controllo del collegio sindacale ed eventualmente
del revisore legale dei conti. Se invece è pluripersonale, il consiglio di amministrazione sceglie il
presidente tra i suoi componenti. La figura del presidente è regolata dall'articolo 2381 che stabilisce
che spetta a lui convocare il consiglio, fissare l'ordine del giorno, e ne coordina i lavori e provvede
affinché vengano fornite adeguate informazione sulle materie iscritte all'ordine giorno a tutti i
consiglieri in modo da assicurare un flusso informativo.
Se lo statuto o l'assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare alcune delle
proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo, composto da alcuni componenti stesso del consiglio
di amministrazione, oppure da uno o più amministratori delegati.
La delega non sottrae le attribuzioni delegate al consiglio di amministrazione, il quale Infatti
determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega. Inoltre, il consiglio di
amministrazione può avocare a sé operazioni rientranti nella delega e revocarla anche senza giusta
causa. Il consiglio di amministrazione non può delegare l'emissione di obbligazioni convertibili, la
redazione del bilancio, l’aumento o la riduzione del capitale sociale, la predisposizione del progetto
di fusione e di scissione.
Gli organi delegati devono curare che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della
società sia adeguato alla natura e alla dimensione dell'impresa. L'adeguatezza degli assetti e di
concreto funzionamento costituiscono un segnale rilevante della correttezza dell'amministrazione. Il
rapporto tra consiglieri deleganti e organi delegati si svolge attraverso determinati obblighi informativi
per rendere più consapevole l'assunzione di decisioni amministrative e di vigilanza. Gli organi
delegati devono riferire con una periodicità fissata dallo statuto ed ogni caso ogni sei mesi al
consiglio di amministrazione e del collegio sindacale sul generale andamento della gestione, sulla
sua evoluzione, e sulle operazioni di maggiore rilievo. I consiglieri deleganti devono valutare le
informazioni ricevute per valutare il generale andamento della gestione sulla base della relazione
degli organi delegati.

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L'obbligo di agire in modo informato è funzionale sia rispetto al fatto che gli amministratori devono
assumere scelte gestionali fondate sulla conoscenza e sulla correttezza dei presupposti, oltre a
rappresentare un distinto obbligo di legge che impone agli amministratori di vigilare sulla gestione
sociale.

Il potere di rappresentanza

Affinché gli atti di amministrazione eseguiti nei confronti di terzi e quindi imputati alla società, occorre
il potere di rappresentanza attraverso il quale la società assume obblighi e acquista diritti.
Con lo statuto o con la delibera di nomina, si stabilisce chi abbia la rappresentanza.
Ai fini della pubblicità legale gli amministratori devono effettuare l'iscrizione della loro nomina,
indicando chi tra loro abbia la rappresentanza, le modalità di esercizio, se congiunto o disgiunto.
Il potere di rappresentanza è generale e gli amministratori possono compiere tutte le operazioni
necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale e ne deriva che tutti gli atti da essi compiuti, in nome
e per conto della società, sono per la stessa vincolanti.
Le cause di nullità o annullabilità dell'amministratore che ha la rappresentanza della società, non
sono opponibili ai terzi dopo l'iscrizione dell'atto di nomina nel registro delle imprese, salvo che la
società provi che i terzi ne fossero a conoscenza. Tale norma è ispirata ai principi di salvaguardia
dell'affidamento dei terzi in buona fede, della certezza e della stabilità dei rapporti giuridici. Anche
quando lo statuto contiene delle limitazioni al potere di rappresentanza, e iscritte nel registro delle
imprese, non sono opponibili ai terzi, salvo che la società dimostri che i terzi ne fossero a conoscenza
ed abbiano agito intenzionalmente a danno della società.
Può accadere che la volontà esteriorizzata non sia conforme alla delibera che ha deciso di compiere
l'atto, oppure che tale delibera manchi o presenti dei vizi di invalidità, e quindi se gli atti compiuti dal
rappresentante, vincolino o meno la società. Vengono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona
fede, in esecuzione di deliberazioni consiliari invalide.

Le deliberazioni del consiglio di amministrazione

Spetta al Presidente del Consiglio di Amministrazione, il potere di convocare la riunione, di fissare


l'ordine del giorno e di provvedere affinché siano fornite adeguate informazioni sulle materie da
trattare a tutti i consiglieri.
Le riunioni possono avvenire anche mediante mezzi di telecomunicazione purché sia consentita
l'identificazione di tutti i consiglieri, la possibilità di seguire la discussione ed intervenire in tempo
reale.
Il consiglio di amministrazione si deve riunire almeno una volta all'anno per redigere il progetto di
bilancio che verrà sottoposto all'approvazione dell'assemblea ordinaria.
Le delibere non assunte In conformità della legge o dello Statuto possono essere impugnate dinanzi
al Tribunale, dal collegio sindacale e dai singoli amministratori assenti o dissenzienti, entro 90 giorni
dalla delibera. Rientrano nella previsione sia la violazione delle regole sul funzionamento dell'organo
collegiale e sia la violazione delle regole relative al contenuto della delibera, come illiceità
dell'oggetto.
La legittimazione dei soci ad impugnare le delibere consiliare vale solo per quelle che abbiano leso
i loro diritti. Sono fatti salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede, in base ad atti compiuti in
esecuzione delle delibere consiliari.

Gli interessi degli amministratori

Gli obblighi di diligenza e di fedeltà che caratterizzano il rapporto tra la società e gli amministratori,
fa sì che il loro compito sia quello di perseguire esclusivamente l'interesse della società, fondato sul
contratto sociale nel rispetto dei criteri di buona fede e/o correttezza.
La disciplina contenuta nell'articolo 2391, si ispira all'idea che l'interesse dell'amministratore non sia
in contrapposizione con quello della società e la norma infatti, obbliga l'amministratore di informare
gli altri amministratori e il Collegio Sindacale di ogni interesse di cui sia portatore, per conto proprio
o di terzi, in una determinata operazione sul quale il consiglio è chiamato a decidere.
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L'amministratore portatore di un interesse proprio non è tenuto ad astenersi dal voto, se si tratta di
un amministratore delegato, dovrà astenersi dal compiere l'operazione, e investire il consiglio di
amministrazione. Se si tratta di un amministratore unico dovrà darne notizia alla prima assemblea
utile e motivare il perché decida di compiere l'operazione.
Quindi, nel primo caso il consiglio di amministrazione dovrà bilanciare gli interessi in gioco, se
compiere l'operazione oppure no, qualora non ci siano adeguate ragioni e convenienza per la
società.
Nel caso in cui l'amministratore non abbia dato notizia del proprio interesse nell'operazione, oppure
al consiglio non abbia motivato le ragioni ed il voto dell'amministratore portatore di interesse è stato
determinante per la maggioranza, la delibera essendo suscettibile di arrecare un danno alla società
può essere impugnata dagli altri amministratori, anche singolarmente, entro 90 giorni dalla data in
cui la delibera è stata assunta.
L'articolo 2391 prevede che l'amministratore risponda dei danni arrecati alla società derivanti dalla
sua azione o omissione degli obblighi di comunicazione.

Gli amministratori non possono assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società
concorrenti, né esercitare un'attività concorrente per conto proprio o di terzi, né esserne
amministratore, salvo che sia autorizzato dall'Assemblea. La violazione di tale divieto espone
l'amministratore alla revoca dalla carica e al risarcimento del danno eventualmente cagionato alla
società.
Nel caso in cui la posizione concorrenziale preesiste alla nomina di amministratore, significa che la
società ne ha autorizzato l’attività.
L'azione degli amministratori deve essere indirizzata soltanto nell'interesse sociale e per questo
articolo 2391 prevede che gli amministratori rispondano dei danni quando utilizzano a proprio
vantaggio o di terzi, dati, notizie ed opportunità di affari appresi nell'esercizio dell'incarico.

L’articolo 2391 bis interessa soltanto gli amministratori delle società per azioni che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio, che devono adottare delle regole che assicurino la trasparenza e la
correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con le parti correlate per il rischio di
concludere operazioni a condizioni meno vantaggiose rispetto a quelle che si sarebbero avute in
assenza di una correlazione con determinate controparti, legate alla società da rapporti di varia
natura.
Il pericolo è ancora più incombente quando sono in gioco gli interessi degli investitori e, soprattutto
il corretto funzionamento del mercato.

La responsabilità degli amministratori

L'esercizio della funzione amministrativa può causare pregiudizio al patrimonio della società, dei
creditori sociali, dei soci e dei terzi, se gli amministratori violano gli obblighi che la legge o lo statuto
pongono a loro carico. La responsabilità degli amministratori viene considerata come un istituto volto
a bilanciare i poteri di gestione e a garantire che tutto sia svolto nell'interesse della società.
Gli amministratori devono adempiere ai propri obblighi con la diligenza richiesta dalla natura
dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. La violazione degli obblighi espone gli
amministratori ad una responsabilità solidale per i danni provocati alla società, a meno che si tratti
o di funzioni attribuite ad uno o più amministratori.
La responsabilità ex articolo 2392 scaturendo dall'inadempimento di ben precisi obblighi di condotta,
può essere fatta valere quando abbia provocato un danno alla società e sussista un nesso di
causalità immediata e diretta tra il danno e la condotta dolosa o colposa degli amministratori.
Possono essere responsabili anche per la mala gestio degli amministratori che li hanno preceduti
se non hanno individuato i fatti pregiudizievoli o non si siano attivati per eliminarli o attenuarne le
conseguenze dannose.

Quella degli amministratori verso la società è una responsabilità contrattuale, per colpa e per
fatto proprio e non una responsabilità oggettiva. Si tratta di una responsabilità di mezzi e non di

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risultato, non potendo gli amministratori essere imputati per il mancato successo economico
dell'attività di impresa.
Alcuni obblighi specifici sono previsti dal legislatore per garantire il buon funzionamento della società
per azioni e rientra l'integrità del capitale sociale, la tutela del corretto funzionamento degli organi
sociali, di bilancio, di scioglimento della società e nonché di adeguatezza dell'assetto organizzativo,
amministrativo e contabile della società.
Individuare tali specifiche violazioni risulta piuttosto agevole, mentre è piuttosto difficoltosa quella
che appartiene alla trasgressione dell'obbligo generale di agire con la diligenza richiesta dalla
natura dell'incarico a cui sono associate la prudenza e la perizia e diventano rilevanti ai fini
dell'accertamento della responsabilità, le modalità con le quali gli amministratori decidono.
La responsabilità solidale non opera se il danno è riconducibile ad attribuzioni proprie del comitato
esecutivo o di funzioni attribuite ad uno o più amministratori e cioè in presenza di organi delegati o
comunque di deleghe di fatto.
Se i consiglieri deleganti vengono a conoscenza di fatti pregiudizievoli e non reagiscono, saranno
senz'altro esposti alla responsabilità dal momento che la violazione dell'obbligo di agire informato
può costituire una negligenza rilevante ai sensi dell'articolo 2392.
L'amministratore immune da colpa, può liberarsi da responsabilità se fa notare tempestivamente il
suo dissenso nel libro delle adunanze, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del
collegio sindacale.

L'azione sociale di responsabilità

L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori può essere fatta valere anzitutto dalla
società ex articolo 2393 per ottenere la reintegrazione del patrimonio sociale.
L'azione è proposta dinanzi al Tribunale ed è deliberata dall'Assemblea ordinaria, anche se la
società è in liquidazione e può essere decisa in occasione della discussione del bilancio anche
quando il punto non è iscritto all'ordine del giorno. Se l'amministratore è anche socio non può votare
nella deliberazione che riguarda la sua responsabilità.
Se l’assemblea decide con voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale, comporta la
revoca degli amministratori contro i quali è proposta. In seconda convocazione, se è approvata con
quorum inferiore al quinto, gli amministratori restano in carica e l'azione sarà promossa da un
curatore speciale nominato dal tribunale. L'azione sociale di responsabilità si prescrive in cinque
anni dalla cessazione della carica.

L'azione di responsabilità difficilmente sarà promossa contro gli amministratori da parte della stessa
maggioranza che gli ha nominati e per questo l'articolo 2393 bis attribuisce ai soci di minoranza la
stessa azione di responsabilità. I soci che rappresentano almeno il quinto del capitale sociale o una
percentuale diversa prevista dallo statuto, possono citare in giudizio gli amministratori e chiedere il
risarcimento del danno sopportato dalla società, esercitando l'azione in nome proprio ma
nell'interesse della società. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio l'azione
può essere esercitata da tanti soci che rappresentano il 2,5% del capitale sociale. I soci che
promuovono l'azione devono nominare uno o più rappresentanti comuni per l'esercizio dell'azione e
per il compimento degli atti conseguenti.

Il capitale costituisce nella società per azioni l'unica garanzia per i creditori sociali e per questo,
l'articolo 2394 attribuisce ai creditori sociali una distinta azione di responsabilità nei confronti degli
amministratori, purché il pregiudizio sia riconducibile alla violazione degli obblighi. I creditori sociali
possono promuovere l'azione in quanto il patrimonio sociale risulta incapiente e quindi insufficiente
a pagare i loro crediti ed è attraverso questa azione che i creditori puntano a conseguire tramite titolo
risarcitorio l'equivalente della prestazione rimasta insoddisfatta. L'azione si prescrive in 5 anni dal
momento in cui l’insufficienza patrimoniale è conoscibile da parte dei creditori.
L’azione dei creditori sociali nelle procedure concorsuali consente di beneficiare del più favorevole
termine di prescrizione che decorre da quando risulta a conoscenza l’insufficienza del patrimonio
sociale e, l'ulteriore peculiarità consiste nella possibilità di convenire in giudizio l’amministratore

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quando la società abbia per ipotesi, rinunciato all'azione sociale di responsabilità. L'azione di
transazione dell'azione può essere impugnata dai creditori sociali a condizione che ricorrano gli
estremi dell'azione revocatoria.

L'articolo 2395 riguarda la responsabilità in cui possono incorrere gli amministratori quando con i
loro atti colposi o dolosi, abbiano cagionato direttamente un pregiudizio al patrimonio del singolo
socio o del terzo. Il presupposto dell'azione risiede nella lesione di un diritto soggettivo patrimoniale
del socio e del terzo. Gli ambiti che sono più evidenti sono quelle delle false comunicazioni sociali e
dei mercati finanziari, comunicazioni al pubblico inesatte o dell'omissione di informazioni obbligatorie
idonei ad influenzare sensibilmente le scelte di investimento e, creare pregiudizio direttamente sui
patrimoni degli investitori che hanno acquistato o sottoscritto titoli della società sulla base delle false
o inesatte informazioni. La prospettiva che alla responsabilità degli amministratori possa aggiungersi
quella della società, consente certamente una tutela molto più energica del danneggiato. L'azione
si prescrive in cinque anni dal compimento dell'atto che ha pregiudicato il socio o il terzo, quindi dal
momento in cui danno si è prodotto.
L'azione è esercitabile dal socio e dal terzo anche se la società dichiarata fallita.

Il direttore generale si pone al vertice dell'organizzazione aziendale e ha il compito di dare


esecuzione alle decisioni degli amministratori che agiscono sotto la sua direzione e vigilanza.
Spesso è un dipendente della società, ma il contratto che lo lega non è segnato da subordinazione.
Per l'ampiezza dei suoi poteri e per la collaborazione con l'organo amministrativo, fanno sì che sia
esposto alla stessa responsabilità degli amministratori, restano ferme le eventuali azioni che può
esercitare in base al rapporto di lavoro con la società. Il direttore generale non viene liberato dalle
responsabilità relative alla gestione per effetto dell'approvazione del bilancio.

Il collegio sindacale: nomina e cessazione

Il collegio sindacale è l'organo a cui è affidato il controllo e la vigilanza della gestione sociale. Più
esattamente, vigila sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo, sul rispetto dei principi di
corretta amministrazione. Viene nominato dall'Assemblea.
Il controllo contabile è affidato ad un revisore esterno, nominato dall'Assemblea su proposta motivata
del collegio sindacale. Il controllo contabile può anche essere affidato al collegio sindacale ma solo
nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e che non sono tenute alla
redazione del bilancio consolidato.
L'obiettività, l'imparzialità, l'indipendenza sono gli elementi essenziali per l'esercizio delle
funzioni di controllo e vanno perseguiti sia nei confronti degli amministratori e sia nei confronti degli
azionisti di maggioranza che li hanno nominati, oltre ai soggetti di direzione e coordinamento a cui
la società è assoggettata.
Il fatto che i sindaci siano nominati dalla stessa assemblea che elegge gli amministratori, è una
regola che ha fatto sempre dubitare dell'indipendenza dell'organo di controllo. Nelle sole società
quotate lo strumento del voto di lista è imposto per consentire che un componente effettivo del
collegio sindacale sia eletto dai soci di minoranza.
Il collegio sindacale è composto da tre o cinque sindaci effettivi è da due supplenti.
Almeno un sindaco effettivo ed un supplente devono essere scelti tra i revisori legali iscritti
nell'apposito registro. Gli altri membri, se non sono iscritti in tale registro, devono esserlo negli Albi
degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei Ragionieri, oppure tra i professori universitari di ruolo
in materie economiche o giuridiche. Nel caso in cui al collegio sindacale sia affidato anche il controllo
contabile, tutti i suoi componenti devono essere iscritti nel registro dei revisori legali dei conti. Tra le
cause tra le cause di ineleggibilità dei sindaci e quindi che non possono essere eletti e, se eletti
decadono, gli interdetti, gli inabilitati, i falliti e coloro che abbiano riportato la condanna ad una pena
che importi l'interdizione dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi.
Inoltre, non possono essere eletti coloro che sono legati agli amministratori della società da rapporti
di coniugio, di parentela ed affinità entro il quarto grado. Ulteriori cause di ineleggibilità sono quelle
di essere legati da rapporti di lavoro subordinato, professionale, da rapporti di natura patrimoniale

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che ne comprometterebbero l'indipendenza. La nomina deve essere scritta entro 30 giorni presso il
registro delle imprese.
I sindaci restano in carica per tre esercizi e scadono alla data dell'assemblea di approvazione del
terzo esercizio. Alla scadenza del loro incarico ha effetto la prorogatio ossia che mantiene l'organo
in carica fino a quando non venga ricostituito al fine di garantire la continuità della funzione. Viene
disposta la pubblicità della cessazione presso il registro delle imprese. Al fine di garantire
l'indipendenza, la revoca dei sindaci da parte dell'assemblea, oltre alla giusta causa, deve essere
sottoposta all'approvazione del tribunale. Anche per quanto riguarda la retribuzione se non è stabilita
dallo statuto viene determinata dall'assemblea e resta invariata per l'intero periodo di durata
dell'incarico. In caso di morte, rinuncia o decadenza il subingresso dei supplenti in ordine di età deve
avvenire rispettando i requisiti di professionalità in modo da garantire che nel collegio vi sia sempre
un componente iscritto nel registro dei revisori. Se nonostante il subingresso dei sindaci supplenti
l'organo risulta incompleto, gli amministratori devono convocare l'assemblea perché vi preveda e se
non provvedono possono convocare l'assemblea i sindaci rimasti in carica.

I sindaci, oltre al rispetto dei principi di corretta amministrazione, devono verificare sull'adeguatezza
dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e il suo concreto
funzionamento.
La vigilanza sulla corretta amministrazione riguarda la conformità della gestione alle regole della
prudente amministrazione, derivante dalle scienze aziendalistiche.
Per quel che riguarda la vigilanza sull'adeguatezza degli assetti interni, la norma pretende che i
sindaci verificano l'effettivo funzionamento della struttura organizzativa e soprattutto, la capacità di
rilevare i rischi e le criticità.
I sindaci possono in ogni momento compiere atti di ispezione e di controllo, anche in forma
individuale e di accedere ad ogni informazione concernente la gestione della società. Tutti gli
accertamenti eseguiti dovranno risultare dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio
sindacale.
Il collegio sindacale e non i singoli sindaci, possono chiedere agli amministratori notizie
sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari anche riferite a società controllate.
Il Collegio Sindacale si deve riunire almeno ogni 90 giorni e la partecipazione è garantita dalla
sanzione della decadenza dall'ufficio, qualora Il sindaco non partecipi senza giustificato motivo a
due riunioni nel corso di un esercizio sociale. Per assicurare l'effettività del controllo, la legge impone
al collegio di assistere alle adunanze del consiglio di amministrazione, del comitato esecutivo e delle
assemblee.
L'articolo 2406 impone determinati doveri e poteri al Collegio Sindacale di intervento e di supplenza.
Infatti, deve convocare l'assemblea ed effettuare tutti gli adempimenti previsti dalla legge o dallo
statuto se gli amministratori siano inerti o in ingiustificato ritardo nel provvedervi.
Se durante lo svolgimento dei suoi incarichi il collegio ravvisi dei fatti censurabili di rilevante gravità
che richiedono una necessità di intervento, la legge gli attribuisce il potere di convocare l'assemblea.
Il collegio sindacale è tenuto a convocare l'assemblea quando cessano tutti gli amministratori o
quando l'organo amministrativo non provveda alla convocazione richiesta dai soci che rappresentino
il 10% del capitale. Ciascun socio ha il potere di denunciare al collegio sindacale i fatti ritenuti
censurabili che i sindaci possono non avere rilevato per inefficienza o per collusione con gli
amministratori. Se la denuncia proviene da tanti soci che rappresentano il 5% del capitale e il 2% se
fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il collegio sindacale una volta verificata la fondatezza,
deve indagare senza indugio sui fatti denunciati e presentare le sue conclusioni e le eventuali
proposte all'assemblea.
Per quanto riguarda i poteri di collegio sindacale, esso è legittimato ad impugnare le delibere
annullabili dell'assemblea e a promuovere l'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori
e il controllo giudiziario della società. La relazione del collegio sindacale al bilancio d'esercizio deve
restare depositata presso la sede sociale durante i quindici giorni che precedono l'assemblea, lo
scopo della relazione è quello di riferire sulle attività svolte nell'adempimento dei propri doveri di
vigilanza e sulle modalità dei controlli e sugli esiti.

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I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura
dell'incarico e il richiamo alla professionalità sottintende un grado di diligenza più elevato rispetto
alla media, giustificato in ragione delle competenze professionali richieste.
I sindaci possono rispondere anche in solido con gli amministratori per i fatti o le omissioni compiuti
dà quest'ultimi quando il danno alla società o, ai creditori sociali o ai singoli soci non si sarebbe
verificato se avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica, quindi una Culpa in
vigilando.
Le azioni di responsabilità esperibili contro i sindaci sono le stesse esperibili contro gli amministratori
potendo rendersi responsabili verso la società, verso i creditori, verso i singoli soci e i terzi.

La revisione legale dei conti

Le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e che non sono tenute alla
redazione del bilancio consolidato, possono affidare Il controllo contabile al collegio sindacale,
mentre per le altre è affidata a una a un revisore legale o ad una società di revisione contabile,
iscritte nel registro tenuto presso il Ministro dell'Economia e delle Finanze.
In sede di costituzione della società per azioni il soggetto incaricato del controllo contabile è indicato
nell'atto costitutivo, mentre successivamente è nominato dall'Assemblea. L'incarico dura tre esercizi
e scade alla data dell’assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio
dell'incarico. La norma non pone limiti alle volte in cui è consentito rinnovare l'incarico allo stesso
revisore. Il limite è invece posto per le Spa che sono enti di interesse pubblico al fine di scongiurare
rischi che possono derivare all'indipendenza del revisore da rapporti troppo prolungati. L'assemblea
può revocare l'incarico al revisore legale quando ricorra una giusta causa. I revisori possono
rinunciare all'incarico salvo il risarcimento del danno.

L'indipendenza dell'organo è data anche dal divieto assoluto di coinvolgimento nei processi
decisionali della società, e viene vietata la revisione ai soggetti con cui sussistono delle relazioni
finanziarie, affari di lavoro o di altro genere che possono comprometterne l'indipendenza. I soggetti
incaricati alla revisione devono verificare la regolare tenuta della contabilità e la corretta rilevazione
dei fatti di gestione nelle scritture contabili. La relazione esprime un giudizio di conformità del bilancio
alle norme e che rappresentano in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, finanziaria e
il risultato economico dell'esercizio.
Nel peggiore dei casi il revisore lascia una relazione di impossibilità di esprimere un giudizio. Tutti i
giudizi devono essere illustrati analiticamente nella divisione.
L'importanza del giudizio sta nel fatto che se questo è senza rilievi la legittimazione ad impugnare la
delibera approvazione del bilancio anche per nullità spetta a tanti soci che rappresentino il 5% del
capitale.
I revisori, con le società di revisione sono solidalmente responsabili con gli amministratori e non con
i sindaci della società revisionata per i danni cagionati a causa dell'inadempimento dei doveri.
Tuttavia, la responsabilità è limitata al contributo dato da ciascuno alla causazione del danno. Inoltre
è prevista la responsabilità solidale tra il responsabile della revisione, i dipendenti che hanno
collaborato alle attività di revisione e la società di revisione, per i danni subiti dalla società revisionata
e dei terzi.
L'azione di responsabilità contro i soggetti incaricati della revisione si prescrive in cinque anni dalla
data della revisione del bilancio.

Il controllo giudiziario sulla gestione

Il controllo giudiziario sulla gestione della società è diretto al ripristino della legalità
dell'amministrazione. Nei casi in cui le funzioni di controllo non siano efficacemente e correttamente
esercitate, possono essere necessari controlli esterni. Per le società non sottoposte a vigilanza
regolamentare, il controllo giudiziario è l'unico controllo esterno.
Nel caso in cui vi sia un fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità
di gestione, suscettibili di arrecare danno alla società o ad una o più società controllate, i soci che
rappresentano il decimo del capitale sociale e il ventesimo, nelle società che fanno ricorso al mercato
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di rischio, possono presentare il ricorso in tribunale per denunciare tali fatti. Lo statuto può prevedere
aliquote inferiori. Legittimati ad attivare il procedimento sono anche gli organi di controllo ed il
pubblico ministero nelle sole società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
La denuncia di gravi irregolarità si deve ricondurre alla violazione di norme civili, penali, tributarie,
amministrative, idonee a pregiudicare il buon funzionamento della società e non a una questione di
merito o di convenienza degli atti di gestione. Nel caso l'ispettore verifichi l'esistenza delle
irregolarità denunciate può disporre opportuni provvedimenti provvisori ovvero, convocare
l'assemblea per le conseguenti deliberazioni, sempre se ritenuta ancora in grado di correggere o
eliminare le irregolarità. Nei casi più gravi possono essere revocati gli amministratori ed
eventualmente anche i sindaci e nominare un amministratore giudiziario determinandone i poteri e
la durata. All'amministratore giudiziario spetta la gestione dell'impresa entro i limiti dei poteri
conferitogli, la rappresentanza anche processuale della società, e per gli atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione è richiesta l'autorizzazione del tribunale

Il consiglio di gestione

La società per azioni sia in fase di costituzione che successivamente, può adottare il sistema
dualistico di amministrazione e controllo introdotto con la riforma societaria del 2003 che trae origine
dall'ordinamento tedesco.
Realizza una forte dissociazione fra proprietà e controllo, ed è un sistema che si addice meglio
alla grande impresa ed è caratterizzato dal consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione.
La funzione amministrativa spetta esclusivamente al consiglio di gestione, che è tenuto ad
esercitarla nel rispetto del secondo comma dell'articolo 2086 e cioè istituendo un assetto
organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche
in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale.
La funzione del controllo di legalità a spetta invece al consiglio di sorveglianza e il controllo
contabile ad un revisore o una società di revisione.
Il consiglio di gestione è costituito da almeno 2 componenti anche non soci. I primi sono nominati in
sede di costituzione e successivamente dal consiglio di sorveglianza che ne determina il numero e
il compenso.
Sono applicabili le norme sugli amministratori, ai componenti del consiglio di gestione per le cause
di ineleggibilità e di decadenza, quelle sulla pubblicità della nomina presso il registro imprese, sulla
rappresentanza, sulla citazione di amministratori e sul divieto di concorrenza.
I consiglieri di gestione non possono far parte del consiglio di sorveglianza e restano in carica per
un periodo non superiore ai tre esercizi, sono rieleggibili salva diversa previsione dello Statuto, e
possono essere revocati solo dal consiglio di sorveglianza, anche se nominati nell'atto costitutivo. In
mancanza di una giusta causa hanno diritto al risarcimento dei danni.
Non è ammesso il meccanismo della cooptazione, in base al quale nel sistema tradizionale, gli
amministratori che vengono a mancare sono sostituiti dal consiglio di amministrazione in attesa della
prossima assemblea. Per cui, il consiglio di sorveglianza deve provvedere alla sostituzione dei
componenti mancanti.
Il consiglio di gestione sceglie tra i suoi componenti il presidente se non è nominato dell'assemblea.
Alle delibere del consiglio di gestione si applica la disciplina sulla validità delle delibere consiliari e
quella sugli interessi degli amministratori.
L'azione di responsabilità contro i consiglieri di gestione può essere promossa dai soci, dalla società,
dai creditori, dagli organi delle procedure concorsuali e dai singoli soci e terzi. Inoltre, è legittimato il
consiglio di sorveglianza, il quale delibera l'azione di responsabilità a maggioranza dei suoi
componenti e non dei presenti. Può essere deliberata anche quando non è all'ordine del giorno
durante la riunione di approvazione del bilancio di esercizio. Se la maggioranza è di due terzi dei
componenti, i consiglieri di gestione sono revocati e il consiglio di sorveglianza provvede alla loro
sostituzione. I criteri di valutazione delle responsabilità sono richiamati nell'articolo 2409.

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Il consiglio di sorveglianza

Al consiglio di sorveglianza spetta la funzione di controllo sull'amministrazione, ma non il controllo


contabile che deve necessariamente essere attribuito a un revisore o ad una società di revisione.
I componenti possono essere anche non soci e sono nominati per prima volta nell'atto costitutivo e
successivamente dall'assemblea e non possono essere inferiori a tre.
La nomina e la cessazione dell'incarico dei consiglieri di sorveglianza sono soggette ad iscrizione
nel registro delle imprese entro 30 giorni dalla cessazione dell'incarico. Restano in carica per tre
esercizi e scadono alla data dell'assemblea successiva alla scadenza del terzo esercizio. La
cessazione per scadenza ha effetto dal momento in cui l'organo è ricostituito. Se uno o più
consiglieri vengono a mancare per rinuncia, morte o decadenza, l'assemblea li sostituisce e quindi
non opera il meccanismo della cooptazione.
Salvo che lo statuto non preveda diversamente, i consiglieri di sorveglianza sono rieleggibili senza
limiti e revocabili dall'assemblea. La revoca senza giusta causa rimane comunque efficace, ma i
consiglieri revocati hanno diritto al risarcimento del danno.
Il fatto che la revoca non sia sottoposta all'approvazione del tribunale come avviene per i sindaci, lo
rende indubbiamente meno stabile ed indipendente rispetto il collegio sindacale.
La retribuzione come per i sindaci, è predeterminata ed invariabile per tutto il periodo. Almeno un
componente deve essere iscritto nel registro dei revisori legali, mentre per gli altri la previsione di
particolari requisiti è rimessa allo Statuto.
I consiglieri di sorveglianza non si devono trovare nelle condizioni previste dall'articolo 2382 quale
inabilitazione, interdizione, fallimento eccetera. Non possono far parte del consiglio di gestione, e né
essere legati alla società, le sue controllate o a quelle sottoposte da rapporto di lavoro, di consulenza
o di prestazione d'opera retribuita. Tra le cause di ineleggibilità, non sono previste, ma solo per le
società per azioni non quotate, i rapporti di coniugio, di parentela ed affinità.

Le competenze del consiglio di sorveglianza sono:

 la nomina e la revoca dei consiglieri di gestione e la determinazione del loro compenso;


 l'approvazione del bilancio
 le funzioni di vigilanza del collegio sindacale
 l'esercizio dell'azione di responsabilità contro i consiglieri di gestione
 La denuncia al tribunale di gravi irregolarità
 informativa scritta all'assemblea, almeno una volta all'anno sull'attività di vigilanza svolta,
sulle omissioni e sui fatti censurabili rilevati
 l'approvazione, si è prevista dallo statuto, delle operazioni strategiche, dei piani industriali e
finanziari predisposti dal consiglio di gestione.

A tutto ciò va aggiunta di impugnativa delle delibere del consiglio di gestione e delle delibere
assembleari annullabili.

Anche nel sistema dualistico i soci hanno diritto di impugnare la delibera di approvazione del bilancio,
eccetto che sia intervenuta l'approvazione del bilancio dell'esercizio successivo e la consente solo
ai soci che rappresentano il 5% del capitale, qualora il revisore legale non abbia formulato rilievi sul
bilancio.
Per quanto attiene il funzionamento del consiglio di sorveglianza, è prevista la facoltà per i consiglieri
di assistere alle adunanze del consiglio di gestione e l'obbligo di partecipare alle assemblee. Il
consiglio di sorveglianza si deve riunire ogni 90 giorni ed ha l'obbligo di redigere il verbale e delibera
come il collegio sindacale. Non decade dalla carica per ingiustificata assenza, mentre si rende
applicabile alle delibere del consiglio di sorveglianza il regime di validità delle delibere del consiglio
di amministrazione nel modello tradizionale.

Per quanto riguarda i poteri del consiglio di sorveglianza gli consente di chiedere ai consiglieri di
gestione notizie sull'andamento delle operazioni sociali e lo abilita allo scambio di informazioni con
il revisore legale dei conti. Convoca l'assemblea in tutti i casi in cui sia obbligatorio, e quando abbia
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ravvisato fatti censurabili di rilevante gravità e si deve attivare quando il socio o i soci che
rappresentano il ventesimo del capitale sociale abbiano denunciato fatti censurabili. Solo nelle
società quotate i consiglieri di sorveglianza possono individualmente compiere atti di ispezione e di
controllo.

Per quanto riguarda la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza, devono adempiere i loro
doveri con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e sono solidalmente responsabili con i
consiglieri di gestione per i fatti e le omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se
avessero vigilato in conformità' con gli obblighi della loro carica. Rispondono in modo esclusivo
quando violano obblighi di vigilanza, per esempio, approvano un bilancio falso, oppure concedono
compensi illegittimi ai consiglieri di gestione.
L'azione di responsabilità contro i consiglieri di sorveglianza è esercitata dall’assemblea.

Col sistema monistico la gestione dell'impresa spetta al consiglio di amministrazione e la


vigilanza e il controllo è affidata ad un comitato per il controllo sulla gestione costituito
all'interno del consiglio di amministrazione. È quest'ultimo che nomina i componenti del comitato per
il controllo sulla gestione che è composto esclusivamente da amministratori indipendenti.
Il controllo contabile è esercitato in modo inderogabile dal revisore legale dei conti.
Il sistema monistico nasce e si sviluppa nella tradizione angloamericana che è caratterizzata da una
maggiore quantità di informazioni a disposizione dell'organo di controllo della legalità ma, sono
evidenti i pericoli derivanti dalla stretta vicinanza tra controllori e controllati aggravata dal fatto che i
primi sono scelti dei secondi. La gestione dell'impresa sociale spetta esclusivamente al consiglio di
amministrazione. All'atto della nomina e prima dell'accettazione dell'incarico, i consiglieri devono
rendere noto all'assemblea gli incarichi di amministrazione e controllo ricoperti presso le altre
società.
La nomina e il numero dei componenti del comitato per il controllo sulla gestione è affidata al
consiglio di amministrazione. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non
possono essere meno di 3. Possono far parte del comitato solo i componenti del consiglio di
amministrazione che posseggono i requisiti di onorabilità e professionalità stabilite dallo statuto oltre
che i requisiti di indipendenza. Almeno un componente del comitato deve essere scelto tra i revisori
legali iscritti nell'apposito registro. Il presidente è scelto a maggioranza assoluta al suo interno.
Per realizzare quanto più possibile un distacco dalla funzione gestoria da quella di controllo, è fatto
divieto ai componenti del comitato per il controllo sulla gestione di essere titolari di funzioni
esecutive.
Il mancato rinvio alla disciplina dei sindaci, consente di essere nominati dal consiglio di
amministrazione e dallo stesso revocati. L'omesso richiamo dell'articolo 2400 rende legittima la
revoca anche senza giusta causa, salvo il risarcimento del danno e, soprattutto senza alcuna
approvazione da parte del tribunale.
Nel caso in cui un membro del comitato, cessi per morte, per rinuncia, per revoca o per decadenza,
il consiglio di amministrazione lo sostituisce scegliendo tra i consiglieri in possesso dei requisiti e
qualora non ve ne fossero, attraverso la cooptazione.
Per quanto riguarda il funzionamento, è prevista una riunione almeno ogni 90 giorni e la redazione
del verbale. Manca un rinvio sulla decadenza per ingiustificata assenza. I componenti del comitato
devono assistere alle adunanze del consiglio di amministrazione e dell'assemblea e attivarsi qualora
i soci denuncino fatti censurabili.
Per quanto riguarda le competenze, vigila sull'adeguatezza della struttura organizzativa,
amministrativa e contabile, oltre che sulla idoneità a rappresentare correttamente i fatti di gestione.
Svolge gli ulteriori compiti che gli sono affidati dal consiglio di amministrazione con particolare
riguardo ai rapporti con il revisore legale dei conti.

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La struttura finanziaria delle società per azioni è basata sul capitale di rischio, al quale si può
aggiungere il capitale di credito, rappresentato dalle obbligazioni.
Chi sottoscrive le obbligazioni, effettua un prestito alla società ed esige la restituzione con gli
interessi, a tasso fisso o variabile in base all'andamento del mercato. Il prestito obbligazionario è
un’operazione con la quale la società chiede a mercato dei mezzi finanziari sotto forma di credito
che è obbligata a restituire.
Gli obbligazionisti hanno diritto alla restituzione del prestito, maggiorato dagli interessi, alle scadenze
pattuite e con precedenza assoluta rispetto ad ogni gruppo di soci. Se la società è in perdita l'utile
non può essere distribuito, mentre non può essere omesso il pagamento degli interessi agli
obbligazionisti essendo creditori sociali. Se la società è insolvente, anche gli obbligazionisti sono
esposti al rischio di non conseguire il rendimento e la restituzione del prestito. La peculiarità
dell'emissione delle obbligazioni è la sua unitarietà. In sostanza si tratta di un'unica operazione con
la quale si rivolge ai risparmiatori per essere finanziata.
La provvista che richiede si pone come un'entità unitaria, frazionata in una molteplicità di strumenti
finanziari di stessa natura e qualità. Anche il rapporto tra società e i sottoscrittori è unitario in quanto
ciascuno di essi, aderendo all'offerta, accetta di prestare una quota del complessivo finanziamento,
che rappresenta una frazione dell'operazione globale.
I titoli obbligazionari devono indicare le caratteristiche delle operazioni di prestito, oltre che le
eventuali garanzie reali o personali delle quali sono assistite.
Nel caso in cui la società entri in uno stato di liquidazione o sia sottoposta ad una procedura
concorsuale, la restituzione del prestito e il pagamento degli interessi, possono essere subordinati
alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società e in questo caso si parla di obbligazioni
subordinate, in ordine alle quali si applica il meccanismo della postergazione.
Per il pagamento dei soli interessi è previsto che l'entità e i tempi, possono variare in base a degli
indici oggettivi interni o esterni alla società e in questo caso si parla di obbligazioni indicizzate che
adeguano il tasso di interesse a determinati parametri prefissati al momento del lancio del prestito.
Se i parametri sono interni e quindi legati all'andamento economico della società si parla di
obbligazioni partecipanti e si tratta di titoli che riducono in modo sensibile la distinzione tra capitale
di rischio e capitale di credito.
Le obbligazioni strutturate sono normalmente emesse dalle banche e si caratterizzano per le
modalità particolari ed innovative di calcolo interessi o del valore di rimborso del capitale spesso
particolarmente complesso.
Tra le obbligazioni non strutturate abbiamo le ordinarie e le convertibili in azioni.
Le obbligazioni ordinarie sono le meno sofisticate e accordano al sottoscrittore il diritto alla
restituzione del prestito maggiorato degli interessi e, per incentivare gli investitori possono essere
emesse anche al di sotto della pari, nel senso che il valore di sottoscrizione versato è inferiore al
valore nominale del titolo.
Abbiamo anche le obbligazioni a premio che oltre alla restituzione del capitale maggiorato degli
interessi, accordano al sottoscrittore il beneficio di possibili convenienze come oggetto di estrazione
a sorte. Le obbligazioni con warrant consentono all’obbligazionista di restare tale e di sottoscrivere
o acquistare azioni della società emittente o di un'altra società.

Gli obbligazionisti dispongono per legge di una organizzazione comune, costituita da un'assemblea
e da un rappresentante comune e comporta che il singolo obbligazionista non venga considerato
come singolo creditore della società, bensì come un membro di un gruppo di creditori, la cui
maggioranza può assumere decisioni vincolanti anche per la minoranza dissenziente. Inoltre,
consente alla categoria di essere rappresentata e tutelata nei rapporti con la società emittente.
L'assemblea degli obbligazionisti è regolata secondo la disciplina dell'assemblea straordinaria dei
soci, alla quale possono assistere gli amministratori, i sindaci e i componenti del consiglio di gestione
o di sorveglianza. Nomina e revoca il loro rappresentante comune, delibera sulle modificazioni delle

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condizioni del prestito, sulla proposta di concordato della società emittente, sulla costituzione di un
fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e su altri oggetti di interesse comune.
L'assemblea è convocata dal consiglio di amministrazione o del consiglio di gestione o dal
rappresentante comune o quando ne sia fatta richiesta da quella parte che rappresenti il ventesimo
dei titoli emessi e non estinti. Le deliberazioni sono iscritte a cura del notaio che ha redatto il verbale,
nel registro delle imprese.

Le deliberazioni dell'assemblea degli obbligazionisti possono essere impugnate se non conformi alla
legge innanzi al tribunale in cui ha sede la società in contraddittorio con il rappresentante comune,
il quale può essere scelto anche al di fuori degli obbligazionisti, e se non è nominato dall'Assemblea,
è nominato con decreto del presidente del tribunale su domanda di uno o più obbligazionisti o degli
amministratori della società emittente. Il rappresentante comune dura in carica per tre esercizi sociali
e può essere rieletto. Il rappresentante comune convoca l'assemblea degli obbligazionisti e ne
esegue le deliberazioni, tutela gli interessi del rapporto con la società emittente e per la tutela degli
interessi comuni ed è investito dalla rappresentanza processuale anche nel concordato preventivo,
nel fallimento e nella liquidazione coatta amministrativa e nell'amministrazione straordinaria. I singoli
obbligazionisti possono esercitare azioni individuali nei confronti della società, qualora gli interessi
del singolo non siano coincidenti con le deliberazioni assunte dall’assemblea.

Il procedimento ed i limiti all'emissione

L'emissione di obbligazioni viene deliberata, salvo diversa disposizione dallo Statuto, dagli
amministratori. Per le obbligazioni convertibili, se lo statuto non attribuisce la competenza agli
amministratori, questa spetta all'assemblea straordinaria. La deliberazione deve risultare dal verbale
redatto dal notaio ed è soggetta al deposito e all'iscrizione presso il registro delle imprese. Per
mantenere un certo equilibrio tra indebitamento della società e il capitale sociale, l'emissione delle
obbligazioni non può superare la somma del doppio del capitale sociale, integrato dalla riserva legale
e da riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato.
Tale limite può essere superato se le obbligazioni sono destinate a investitori professionali, soggetti
a vigilanza prudenziale e qualora siano successivamente trasferite, gli investitori professionali
rispondono del pagamento nei confronti dell'acquirente dei titoli se a loro volta non siano investitori
professionali.
Il limite può essere superato se la restituzione del prestito obbligazionario è garantito da ipoteca di
primo grado su immobili di proprietà della società, fino a due terzi del loro valore così da scongiurare
i rischi derivanti da una sopravvalutazione dell'immobile.
Il limite non trova applicazione se le obbligazioni sono destinate ad essere quotate in mercati
regolamentati. Tale esenzione si basa sulla presunzione di controllo da parte del mercato e delle
Agenzie di Rating. L'ultima ipotesi di superamento del limite è quando l'emissione in eccedenza sia
stata autorizzata dall'autorità governativa che stabilirà le relative modalità e cautele. Va mantenuto
il rapporto tra capitale, la riserva legale e quelle disponibili e l'ammontare del prestito
obbligazionario.

Le obbligazioni convertibili in azioni concedono al sottoscrittore la possibilità di convertire tale


situazione soggettiva in quella di socio. Competente a deliberare l'emissione di obbligazioni
convertibili è l'assemblea straordinaria, che all'atto dell'emissione viene fissato il rapporto di cambio
in modo da determinare il numero delle azioni spettanti agli obbligazionisti che eserciteranno la
conversione. Contestualmente alla deliberazione di emissione del prestito viene deliberato
l'aumento del capitale sociale a servizio dell'ammontare delle obbligazioni emesse.

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Nozioni e funzioni

L'articolo 2421 stabilisce che la società deve tenere i libri e le altre scritture contabili, e il 2243
prescrive che gli amministratori devono redigere il bilancio di esercizio, costituito da 4 documenti:
stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario e nota integrativa.
Le scritture contabili possono essere definite come l’insieme ordinato della documentazione scritta
inerente l'impresa, redatte secondo un criterio cronologico nel libro giornale e sistematico nel libro
Mastro e vanno rilevate con il metodo della partita doppia, secondo le norme di un'ordinata
contabilità, nel rispetto non solo di regole giuridiche, ma secondo dei principi contabili.
Le scritture contabili recepiscono i fatti di gestione, ossia le operazioni poste in essere
dall'imprenditore o dagli amministratori e da cui possono derivare variazioni positive o negative. La
funzione delle scritture contabili è di rilevare al momento della loro manifestazione numeraria, la
consistenza quantitativa e monetaria dei fatti di gestione.
Il bilancio d'esercizio espone in modo ordinato e periodico i valori del reddito (conto economico) e
del capitale (stato patrimoniale) a questi si aggiunge il rendiconto finanziario e la nota integrativa,
redatta in forma prevalentemente narrativa con funzione esplicativa.
La rilevazione delle scritture contabili viene effettuata nel momento in cui si verifica la variazione
numeraria senza attendere che avvenga la correlata entrata o uscita monetaria in quanto il bilancio
è impostato secondo il criterio di competenza e non per cassa. La ratio del principio di competenza
è quello di far emergere i risultati economici nell'esercizio in cui sono realizzati i proventi e gli oneri,
indipendentemente dalla manifestazione monetaria ossia dagli incassi e dei pagamenti.
La funzione primaria del bilancio e di offrire informazioni ai soci, ai creditori e ai terzi in genere
secondo una valutazione prudente.

Per le imprese con rilevanza pubblica, il bilancio è redatto secondo dei principi contabili internazionali
in modo da uniformare la comparazione dei risultati alle esigenze conoscitive degli operatori e degli
investitori.
La disciplina codicistica del bilancio d'esercizio prevede in linea generale, una semplificazione delle
regole di redazione del bilancio basata sui profili dimensionali delle società.

La struttura dello stato patrimoniale e del conto economico

La struttura dello stato patrimoniale e del conto economico ha la funzione di facilitare una visione
d'insieme dei prospetti contabili che costituiscono il bilancio, secondo il principio di tipicità.
L'insieme delle regole che disciplinano la struttura, sono:

inderogabilità delle poste e vuol dire che nello stato patrimoniale nel conto economico le voci
devono essere iscritte separatamente e nell'ordine indicato e quindi non è consentito adottare un
ordine di sequenza diverso da quello scelto dal legislatore.
Suddivisioni-raggruppamenti, le voci possono subire dei raggruppamenti solo in presenza di
presupposti estremamente limitati e, quando il raggruppamento per l'importo delle singole voci è
irrilevante al fine di un'informazione chiara, veritiera e corretta; oppure quando il raggruppamento
favorisce la chiarezza del bilancio.
L'aggiunta delle voci si ha quando il loro contenuto non è compreso in nessuna delle previsioni
degli articoli 2424 2425.
Adattamento delle voci, è quando lo esige la natura dell'attività esercitata.
La comparazione tra bilancio dell'esercizio e quello precedente per ogni voce dello stato
patrimoniale e del conto economico, l'importo della voce corrispondente l'esercizio precedente.

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Il divieto di compensazione di partite, che peraltro non esclude che anche ai crediti delle società
per azioni si applichi l'istituto della compensazione volontaria o legale tra crediti e debiti reciproci.

Le clausole Generali

Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la
situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società al giorno di chiusura dell'esercizio.

La chiarezza è intesa come sinonimo di evidenza, che necessita di andare oltre l'analiticità minima
richiesta da queste norme.
La verità e il rispetto dei criteri legali di valutazione indicati dal legislatore. La clausola impone ai
redattori, il dovere di formulare le ipotesi sul futuro utilizzo dei beni, e di accertare con la più possibile
esattezza le varie componenti che confluiscono nei costi e di rappresentare fedelmente poi i risultati.
La correttezza viene rilevata soprattutto nella nota integrativa in quanto è necessario che la
comunicazione dei dati avvenga in modo non deviante. La correttezza costituisce una esplicazione
del principio di buona fede in senso giuridico, e si completa al principio di chiarezza. Il bilancio può
considerarsi economicamente corretto quando sono veri i valori certi, corretti quelli stimati
e congrui quelli congetturali.

I principi di redazione

Alle clausole generali si affiancano i principi di redazione del bilancio, che sono:
Continuità della gestione, secondo cui la valutazione delle voci deve essere fatta secondo
prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività. La mancanza del requisito della
continuità aziendale, comporta che il bilancio non possa più essere redatto seguendo i principi di
funzionamento ma applicando i criteri di liquidazione, ossia di realizzo delle attività ed estinzione
delle passività.
Sostanza dell'operazione è un principio che da prevalenza alla sostanza dell'operazione rispetto
alla forma giuridica rivestita.
Per il principio della prudenza, le voci di bilancio devono essere redatte sul costo storico o del
valore di realizzo se inferiore al primo. Il principio di prudenza non può essere però il pretesto per la
creazione di riserve occulte mediante la sottovalutazione di attività o sopra valutazione di passività.
Divieto di indicare utili non realizzati, obbligo di tenere conto sugli utili i rischi e le perdite.
Per il principio della competenza, la redazione del bilancio deve tener conto dei proventi e degli
oneri di competenza dell'esercizio, indipendentemente dalla data dell'incasso o del pagamento. I
ricavi si considerano realizzati quando il processo produttivo è completato e lo scambio avvenuto.

Lo stato patrimoniale

Lo stato patrimoniale deve essere redatto a colonne contrapposte e a sinistra vanno inseriti i valori
attivi, nella destra quelli passivi, con la fondamentale distinzione tra il passivo ideale dato dal
patrimonio netto e il passivo reale costituito dalle effettive passività.
Il patrimonio netto rappresenta la differenza positiva tra le attività e le passività, costituito dal capitale
sociale, dalle riserve, utili non distribuiti.
Le voci dell'attivo assumono una fondamentale distinzione tra le immobilizzazioni e l'attivo circolante.
Le immobilizzazioni sono costituite da elementi patrimoniali che sono destinati ad essere utilizzati
durevolmente, mentre l'attivo circolante consente di rilevare la situazione finanziaria della società,
intesa come capacità dell'impresa di disporre di liquidità e mezzi equivalenti per far fronte alle
passività. Il confronto fra le voci dell'attivo e quelle del passivo fa emergere la consistenza
patrimoniale dell'impresa.

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Il conto economico

Il conto economico costituisce una rielaborazione riassuntiva del libro giornale nel quale sono indicati
i fatti e i movimenti economici di competenza dell'esercizio e ne espone il risultato.
Lo schema presenta una classificazione per natura ed è finalizzato a determinare il valore e costi
della produzione. Si presenta in forma scalare e quindi consente di conoscere i risultati intermedi.
La determinazione dei costi e dei ricavi avviene secondo principi di competenza. La gestione
ordinaria va sempre tenuta separata della gestione finanziaria in modo da consentire a chi legge il
bilancio di comprendere se il risultato dell'esercizio è frutto del favorevole andamento dell'attività
ordinaria o, se invece discende da operazioni finanziarie.
In chiusura il conto economico indica l'utile o la perdita d'esercizio che va a determinare l'aumento
o la riduzione del patrimonio netto rispetto a quello dell'esercizio precedente.

La maggior parte dei valori che sono iscritti nel bilancio discendono per lo più da stime, essendo
quelli certi ben pochi quali per esempio i depositi bancari.

Il rendiconto finanziario

Il rendiconto finanziario rappresenta la situazione finanziaria della società e consente di determinare


il risultato finanziario mediante la sommatoria delle entrate e delle uscite monetarie, e verificare con
quali risorse sono state finanziate le attività sociali.
La risorsa finanziaria che è presa come riferimento sono le disponibilità liquide, cioè il denaro e i
valori di cassa, i depositi bancari o postali e gli assegni.
Si tratta quindi di un documento di cassa che fornisce informazioni fondamentali per valutare la
capacità di un'impresa di far fronte ai propri debiti in scadenza e di effettuare nuovi investimenti,
consente di cogliere eventuali segni di insolvenza e di stato di crisi.
il rendiconto finanziario non deriva direttamente dalla contabilità, ma si ottiene per elaborazione
successiva del bilancio.

La nota integrativa

Quanto riportato nello stato patrimoniale, nel conto economico e nel rendiconto finanziario, trova
esplicazione nella nota integrativa, redatta prevalentemente in forma narrativa, svolge la funzione di
migliorare la capacità informativa e la comprensione delle operazioni.
Il contenuto obbligatorio riguarda le indicazioni dei criteri di valutazione; l'indicazione dei movimenti
nelle voci del patrimonio.
Deve essere indicata la composizione e il dettaglio di alcune voci come ad esempio i costi di impianto
e ampliamento, costi di sviluppo, la partecipazione in imprese controllate e collegate, i debiti di durata
superiore ai 5 anni.
Inoltre, devono essere indicate le garanzie di passività e una serie di informazioni diverse, come il
numero medio dipendenti, il compenso degli amministratori e dei sindaci, le varie categorie di azioni,
le operazioni con le parti correlate e gli accordi fuori bilancio.

Il criterio del fair value tradotto in italiano con valore equo, viene definito dei principi contabili
internazionali come l'importo per il quale un'attività potrebbe essere scambiata o una passività
potrebbe essere estinta e quindi di regola il fair value è determinato facendo riferimento al valore di
mercato.
La sostituzione del criterio del costo storico, non sempre idoneo ad individuare l'effettivo valore, con
il fair value, dà la possibilità di avvicinare maggiormente i valori contabili delle attività e delle passività
al valore di mercato, in modo da consentire agli investitori di disporre di informazioni sempre più
precise sull'effettivo valore economico dell'impresa.

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La struttura del bilancio e criteri di valutazione secondo i principi contabili internazionali

La redazione dei bilanci elaborati secondo i principi dello IASB costituiscono regole obbligatorie,
soprattutto per il bilancio d'esercizio di società quotate e a capitale diffuso.
Coesistono nel nostro ordinamento interno due discipline dei conti, una dettata dai principi di
IAS/IFRS recepiti mediante regolamento comunitario e l'altra contenuta negli articoli 2423 e seguenti
del codice civile.
Differenti sono gli obiettivi del bilancio redatto secondo le norme del codice civile e quelle previste
dai principi contabili internazionali: quelle del codice civile, in primo luogo vanno a proteggere gli
interessi dei creditori e successivamente gli interessi dei soci attuali, con applicazione di criteri
prudenziali e non sono ammesse rettifiche in periodi di inflazione.
I principi internazionali sono caratterizzati dalla perdita di rilievo del principio di prudenza, volta
ad evitare la rilevazione di utili non realizzati, e prevalentemente svolgono un ruolo informativo
fornendo agli investitori le migliori scelte possibili per i loro investimenti.
Gli schemi dello stato patrimoniale e del conto economico secondo i principi economici contabili
internazionali non contengono un elenco rigiro di voci e sottovoci, ma solo un numero minimo:
Le attività e le passività devono essere classificate come correnti se a breve termine o non correnti,
se a lungo termine, vale a dire secondo un criterio di liquidità.

La struttura del bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali prevede altri due
documenti: un prospetto delle variazioni del patrimonio netto e un rendiconto finanziario.
Il rendiconto finanziario consente di determinare il risultato finanziario mediante la sommatoria
delle entrate e delle uscite monetarie e verificare quindi con quali risorse sono state finanziate le
attività sociali.
Nel prospetto delle variazioni del patrimonio netto sono rilevate le operazioni eseguite dai propri
soci e che agiscono in tale qualità, quali ad esempio i conferimenti di capitale proprio, e i costi delle
operazioni direttamente collegati a tali operazioni, vengono rilevate direttamente come poste del
patrimonio netto senza che risultino dal conto economico.
Le note al bilancio, corrispondono soltanto parzialmente alla nostra nota integrativa. Costituisce un
documento discorsivo ed ha la funzione di offrire una rappresentazione del bilancio conforme con
tutti gli IFRS applicabili.
Per quanto concerne i criteri di valutazione, una delle principali caratteristiche è data dal fair value
inteso come l'importo per il quale un'attività potrebbe essere scambiata o una passività potrebbe
essere estinta e quindi è determinato facendo riferimento al valore di mercato.
Secondo i principi contabili internazionali, l'avviamento, a differenza di quanto dispone il nostro
codice civile non deve essere ammortizzato, ma solo svalutato in caso di perdita rilevante di valore
durante l'esercizio di riferimento.

Relazione sulla gestione

Il bilancio deve essere corredato da una relazione degli amministratori che, non fa parte del bilancio
ma svolge un ruolo di informativa, ed è rivolto ai soci, ai creditori e al mercato in genere, sulla
situazione della società e sull'andamento e il risultato della gestione. L'analisi deve fornire un esame
critico dei costi, dei ricavi e degli elementi dal quale dovrà emergere una descrizione dei principali
rischi e incertezze a cui è esposta la società.

La relazione dei sindaci

L’articolo 2429 stabilisce che il collegio deve riferire all'assemblea con un'apposita relazione
accompagnata al bilancio, l'attività svolta nell’adempimento dei propri doveri. Dovendo i sindaci nel
corso dell'esercizio assistere alle adunanze del consiglio di amministrazione, alle assemblee e alle
riunioni del comitato esecutivo, e potendo in qualsiasi momento procedere ad atti di ispezione e
controllo, essi sono nelle condizioni di poter riferire all'assemblea sui risultati delle loro verifiche.

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Se lo statuto ha riservato al collegio sindacale, invece che al revisore dei conti, anche il controllo
contabile, sarà compito del collegio, procedere periodicamente alle verifiche sulla tenuta della
contabilità e, quindi al controllo della correttezza dei saldi esposti in bilancio.
L'attività di revisione legale dei conti si traduce poi in una relazione con la quale viene espresso un
giudizio sul bilancio e sulla propria idoneità a rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione
patrimoniale e finanziaria e conto economico dell'esercizio. La relazione si chiude con giudizio senza
rilievi se il bilancio risponde a requisiti di legge; in ogni altro caso il revisore esprime un giudizio con
rilievi oppure un giudizio negativo o rilascia una impossibilità di esprimere un giudizio.

Nelle società quotate va allegata una dichiarazione sul bilancio sottoscritta congiuntamente dagli
amministratori e dal dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili attestando che bilancio
è conforme alle risultanze delle scritture contabili e dei principi contabili internazionali e che il bilancio
fornisce una rappresentazione veritiera e corretta della situazione.

La pubblicità

Il progetto di bilancio viene trasmesso da parte degli amministratori insieme alla relazione sulla
gestione, al collegio sindacale e al soggetto incaricato della revisione legale dei conti almeno 30
giorni prima di quello fissato per l'assemblea che deve discuterlo. L'assemblea deve essere
convocata entro 120 giorni prima della chiusura dell'esercizio. Tutta la documentazione deve restare
depositata in copia nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea e
finché il bilancio non è approvato.
Nelle società quotate deve essere allegata, anche una relazione sul bilancio sottoscritta
congiuntamente dagli amministratori e dal dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili
societari. Compete all'assemblea approvare o respingere il bilancio.
L'approvazione del bilancio non implica liberazione per le responsabilità incorse nella gestione
sociale. Entro 30 giorni dalla sua approvazione deve essere depositato a cura degli amministratori
presso il registro delle imprese e le società non aventi azioni quotate in mercati regolamentati sono
tenute a depositare l'elenco dei soci con l’indicazione del numero delle azioni possedute.

L'utile e le riserve

L'assemblea che approva il bilancio deve decidere sugli utili eventualmente maturati, sia mediante
distribuzione oppure come accantonamento in un'ottica di autofinanziamento della società.
L'utile può essere definito come l'incremento patrimoniale che si verifica attraverso la
gestione, rispetto al patrimonio netto.
A tutela del capitale sociale l'articolo 2433 dispone che non possono essere pagati i dividendi sulle
azioni, se non per utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio e, inoltre, se si verifica una perdita
del capitale sociale, non si può dar luogo a una ripartizione di utili fino a che il capitale non sia
reintegrato o ridotto in misura corrispondente.
Dagli utili deve essere dedotta una somma corrispondente almeno del 5% per costituire la cosiddetta
riserva legale, fino a che non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale. Lo scopo
dell’accantonamento è quello di costituire una garanzia per i creditori sociali ulteriore rispetto al
capitale sociale, dando vita ad un autofinanziamento obbligatorio.
La riserva legale non è distribuibile ai soci ed è utilizzabile per la copertura delle perdite dopo che
siano state a tal scopo utilizzate tutte le altre riserve disponibili.
L'utile non distribuito e accantonato comporta la creazione di una riserva facoltativa, la quale può
essere in ogni momento distribuita ai soci mediante delibera dell'assemblea ordinaria, può essere
utilizzata anche per aumenti gratuiti di capitale sociale. Lo statuto può prevedere un terzo tipo di
riserve, le cosiddette riserve statutarie in aggiunta a quella legale. Lo statuto, inoltre può prevedere
ulteriori vincoli di destinazione degli utili di esercizio, come a favore dei promotori, dei soci fondatori
e degli amministratori.

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I dividendi e gli acconti dividendo

Il dividendo costituisce la remunerazione del capitale investito, che compete all'assemblea decidere
di distribuirlo o meno. La discrezionalità dell'assemblea trova un limite nel principio generale di
correttezza e di buona fede nell'esecuzione del contratto.
Il dividendo, oltre che cash, può essere distribuito anche sotto forma di nuove azioni. Lo statuto può
prevedere delle clausole che riconoscono particolari categorie agli azionisti, particolari diritti relativi
alla prelazione del dividendo. In ogni caso, i dividendi erogati in violazione di legge non sono ripetibili
se i soci gli hanno riscossi in buona fede in base a bilancio regolarmente approvato da cui risultino
utili netti corrispondenti.
La disponibilità di utili prima della chiusura dell'esercizio, è consentita solo alle società che hanno il
bilancio assoggettato alla revisione legale dei conti e deve essere prevista dallo statuto.
Non è consentita la distribuzione degli acconti se nell'ultimo bilancio approvato risultano perdite.
L'ammontare degli acconti sui dividendi non può superare la minor somma tra l'importo degli utili
relativi all'esercizio precedente, diminuito delle quote che dovranno essere destinate a riserva. Gli
amministratori deliberano la distribuzione degli acconti in base a un prospetto contabile e di una
relazione nella quale risulti che la situazione patrimoniale, economica e finanziaria ne consente la
distribuzione.

L'invalidità della delibera di approvazione. l'impugnazione

L'invalidità delle delibere assembleari si distingue in deliberazioni annullabili e, deliberazioni nulle.


L'impugnativa, non può essere proposta se è stato approvato il bilancio dell'esercizio successivo in
modo di impedire che si crei incertezza al bilancio. Chi ha interesse deve agire con sollecitudine.
L'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato censura con nullità non solo la delibera
approvativa di un bilancio che non abbia fornito una rappresentazione veritiera, ma anche la delibera
approvativa di un bilancio che, per violazioni non marginali del principio di chiarezza, abbia
compromesso una rappresentazione che consenta di desumere l'intera gamma delle informazioni
richieste dalla legge per ciascuna delle singole poste iscritte.
Nelle società quotate l'impugnativa per mancata conformità del bilancio alle norme che ne
disciplinano i criteri di redazione può essere proposta anche dalla Consob entro sei mesi dal
deposito del bilancio.

Il bilancio in forma abbreviata

Le società per azioni cosiddetti minori possono redigere il bilancio in forma abbreviata, sempre che
si tratti di società chiuse.
Il bilancio in forma abbreviata, presuppone che la società non superi determinati valori del totale
dell'attivo dello stato patrimoniale e dei ricavi delle vendite e prestazioni e massimo 50 dipendenti
occupati in media durante l'esercizio. Deve essere redatto in forma ordinaria quando per il secondo
esercizio consecutivo hanno superato i limiti. Alle società che redigono il bilancio in forma abbreviata
è preclusa la facoltà di redigere il bilancio secondo i principi contabili internazionali.

Sono considerate microimprese le società che non hanno titoli emessi nei mercati regolamentati e
che il totale dell'attivo dello stato patrimoniale non superi i €175.000, i ricavi delle vendite e delle
prestazioni non superiori a €350.000 e i dipendenti occupati in media durante l'esercizio massimo 5.
Trovano applicazione tutte le semplificazioni previste per i bilanci a forma abbreviata ed è consentito
omettere la redazione della nota integrativa. Quindi il bilancio si riduce allo stato patrimoniale e del
conto economico redatti in forma sintetica.

Il bilancio consolidato

Il bilancio consolidato è obbligatorio, in aggiunta al bilancio d'esercizio, per le società per azioni, in
accomandita per azioni e a responsabilità limitata che controllano con impresa.
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Per trovare applicazione delle norme sul bilancio consolidato è sufficiente che sussista un rapporto
di controllo, senza necessità di una influenza dominante ossia che sfoci in una direzione unitaria.
La finalità del bilancio consolidato è costituita dalla rappresentazione della situazione patrimoniale,
finanziaria ed economica del complesso delle imprese, costituito dalla controllante e dalla
controllata, con una funzione informativa sulla situazione complessiva del gruppo che viene
considerato come un'unica impresa.
Il bilancio consolidato è composto dallo stato patrimoniale, dal conto economico, dal rendiconto
finanziario e della nota integrativa.

I bilanci straordinari

Il legislatore prescrive la predisposizione di un bilancio straordinario nel caso di riduzione del capitale
sociale, di fusione e di scissione. Quando il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di
perdite, deve essere sottoposta all'assemblea una relazione degli amministratori sulla situazione
patrimoniale della società con le osservazioni del collegio sindacale.

I libri sociali

Secondo l’art. 22144 l'imprenditore che esercita un'attività commerciale deve tenere il libro
giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste
dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa
La società per azioni deve tenere:

il libro dei soci, nel quale devono essere indicate per categoria il numero delle azioni, il nome, i
trasferimenti e i vincoli;
il libro delle obbligazioni;
Il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, del consiglio di amministrazione
o del consiglio di gestione;
il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale, del comitato esecutivo, e
delle assemblee degli obbligazionisti;
Il libro degli strumenti finanziari.

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I patrimoni che sono destinati ad un uno specifico affare consentono di limitare ulteriormente il rischio
di impresa, in quanto il rischio resta limitato a quanto investito nello specifico a fare.
In sostanza mentre la società resta unica, vengono invece individuati uno o più patrimoni separati,
che rispondono ad obbligazioni relative a specifiche e ben individuate operazioni economiche.
L'articolo 2447 bis offre due modelli di patrimoni destinati: la società può costituire uno o più
patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad un singolo a fare; oppure la società può
stipulare con terzi un contratto di finanziamento destinato ad uno specifico affare, pattuendo che i
proventi derivanti dalla gestione specifica restino finalizzato al rimborso totale o parziale
finanziamento.
Queste due tipologie, condividono la caratteristica della strumentalità del patrimonio ad
un'operazione individuata.
L'esigenza di trasparenza è soddisfatta dalla nomina di una società di revisione per il controllo
contabile sull'andamento dell’affare, quando la società non è assoggettata alla revisione contabile
ed emette titoli sul patrimonio, diffusi tra il pubblico in misura rilevante e offerti a investitori non
professionali.
La deliberazione con la quale viene costituito il patrimonio separato deve essere depositata e iscritta
nel registro delle imprese e in tal modo viene garantita la conoscenza dei terzi, ma soprattutto di
garanzia per i creditori sociali che possono opporsi all'operazione entro 60 giorni dall'iscrizione,
sempre che il loro credito sia insorto anteriormente all'iscrizione.
Per le obbligazioni contratte relative allo specifico affare, la società risponde nei limiti del patrimonio
che ha dedicato all'iniziativa; mentre ne risponde illimitatamente per le obbligazioni da fatto illecito.
Se l'affare è realizzato o è divenuto impossibile, l'atto conclusivo è rappresentato dal rendiconto
finale che è predisposto dagli amministratori, integrato da una relazione dei sindaci e dal soggetto
incaricato della revisione legale dei conti.
Se non sono state integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo svolgimento del singolo
affare, i titolari dei creditori possono chiedere la liquidazione del patrimonio destinato entro tre mesi
dal deposito del rendiconto. Se non ci sono pretese da parte dei creditori, il patrimonio destinato
torna a far parte del patrimonio sociale, ma restano salvi i diritti dei creditori particolari e in tal caso
si parla di cessazione della sola destinazione funzionale.
Il rendiconto del patrimonio separato deve avere le caratteristiche di un vero e proprio bilancio
d'esercizio.
Nel caso in cui la società beneficia di un finanziamento per la realizzazione dello specifico affare, i
proventi dell'affare stesso costituiscono il patrimonio separato.
È necessaria l'adozione di sistemi di incasso e di contabilizzazione che consentono la autonoma
individuazione dei proventi per separarli dal residuo patrimonio della società.
La dichiarazione di fallimento non è causa di necessaria cessazione del vincolo di destinazione,
restando rilevante solo se il fallimento consegue l'impossibilità di realizzare o continuare
l'operazione. I creditori sociali non possono aggredire né tali proventi, né i relativi frutti e quelli degli
investimenti eventualmente effettuati fino al rimborso del finanziamento o alla scadenza del termine,
possono esercitare solo iniziative conservative.
Nell'ipotesi di liquidazione giudiziale della società, che impedisca la realizzazione o la continuazione
dell'operazione, si avrà lo scioglimento del contratto di finanziamento e il finanziatore può insinuarsi
nel passivo per il recupero del credito non ancora riscosso.

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Le società in accomandita per azioni si diversifica dalla società per azioni per l'esistenza di due
categorie di soci: gli accomandatari, che sono amministratori di diritto e ne rispondono solidalmente
e illimitatamente per le obbligazioni sociali e gli accomandanti, i quali rispondono nei limiti della
quota conferita e non possono amministrare la società.
La qualità di socio accomandatario e di amministratore è in definitiva inscindibile in quanto non sono
separabili.
Rispetto alla accomandita semplice, il socio accomandatario non è necessariamente
amministratore, ma risponde solidalmente ed illimitatamente con gli altri accomandatari anche per
le obbligazioni che sono state contratte dalla società anteriormente all'acquisto della qualità di socio
e di quelle sorte successivamente alla dismissione della carica di amministratore.

Nettamente diversa è la responsabilità del socio accomandatario della accomandita per azioni che
risponde verso i terzi, sussidiariamente, per il periodo in cui mantiene l'ufficio di amministratore.
Il fallimento della società per azioni produce anche il fallimento dei soci a responsabilità illimitata.
La connessione della qualità di socio accomandatario e di amministratore, rappresenta il pregio ed
il limite di questa società: il pregio in quanto viene preservata la stabilità della gestione della società,
perché salvo revoca, il socio accomandatario può mantenere la carica di amministratore
permanente. Rappresenta il limite, poiché la responsabilità illimitata e solidale ha notevolmente
condizionato il gradimento per questo tipo di società.
Nella società in accomandita per azioni, nella sua denominazione deve essere riprodotto almeno il
nome di uno dei soci accomandatari, con l'indicazione comunque di società in accomandita per
azioni, in modo che i terzi identificano immediatamente uno degli amministratori e sulla cui
consistenza patrimoniale possono confidare, ad integrazione di quella del patrimonio sociale.
L'atto costitutivo deve indicare i soci accomandatari che in quanto amministratori di diritto, sono
soggetti agli obblighi di quella della società per azioni. La revoca degli amministratori deve essere
deliberata con le maggioranze prescritte per le deliberazioni dell'assemblea straordinaria. Nelle
società per azioni viene delibera con le maggioranze proprie dell'assemblea ordinaria, con la
conseguenza che, in seconda convocazione, si può provvedere sempre a maggioranza, qualunque
sia il numero dei presenti. Nell'accomandita per azioni, la tutela accordata per la protezione degli
amministratori richiede un quorum deliberativo protetto.
Il nuovo amministratore assume la qualità di socio accomandatario dal momento che accetta la
nomina; il socio accomandatario che cessa come amministratore non risponde per le obbligazioni
della società sorte posteriormente all'iscrizione nel registro delle imprese della sua cessazione.
La accomandita per azioni si può sciogliere se cessano dall'ufficio tutti gli amministratori e se nel
termine di 180 giorni non si è provveduto alla loro sostituzione e se i sostituti non hanno accettato la
carica.
Anche la società in accomandita per azioni può assumere il sistema di amministrazione e controllo
nella versione dualistica ossia consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza. Se i soci hanno
optato per tale soluzione, gli amministratori operano necessariamente nella versione collegiale e in
tal prospettiva è preclusa l'opportunità di avvalersi dell'amministratore unico.
È precluso il ricorso a sistema monistico in quanto incompatibile con la peculiarità della accomandita
per azioni poiché dell'organo amministrativo ne rispondono esclusivamente i soci accomandatari per
le obbligazioni sociali.
Se la società fosse organizzata con sistema dualistico, la competenza per la revoca spetterebbe al
consiglio di sorveglianza, potendo invece lo statuto disciplinare il divieto di rieleggibilità
dell'amministratore. I soci accomandatari non hanno diritto di voto nelle deliberazioni dell'assemblea
relativa alla nomina e alla revoca dei sindaci ovvero dei componenti del consiglio di sorveglianza.

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Il primo dato che caratterizza la società a responsabilità limitata è la concessione ai soci di una
reale autonomia statutaria, molto più alta, rispetto a quella che si ritrova nelle società per azioni.
Si potrebbe dire che è concesso ai soci di società a responsabilità limitata di compiere attraverso lo
statuto scelte che sembrano impensabili nel previgente regime e di incidere in settori come
l'amministrazione della società, infatti l'articolo 2473 nel delineare il contenuto dell'atto costitutivo,
stabilisce con una formula molto ampia che l'atto costitutivo contiene le norme relative al
funzionamento della società.
Il secondo carattere consiste nell'aver creato un tipo di società, che pur mantenendo in prevalenza
i caratteri propri della società di capitali, ridimensiona la differenza tra società di capitali e di persona,
riformando l'organizzazione interna, che non consente più di scrivere che la caratteristica delle
società di capitali è l'adozione del metodo collegiale per il funzionamento dell'organo amministrativo,
mentre tale previsione manca nell'amministrazione della società di persona, infatti, la norma
stabilisce che l'amministrazione della società è affidata ad uno o più soci.
Il terzo carattere, è dato dalla personalizzazione della società, intesa in duplice senso, e cioè come
valorizzazione del ruolo che la persona del socio ha nella vita della società e per l’introduzione di
regole fino ad ora riservate alle società di persone: l'articolo 2478, nella parte in cui dopo aver
disposto che, salva la possibilità che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione a singoli soci di particolari
diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili, i diritti sociali spettano
ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuna posseduta e relega a rango di norma
suppletiva il criterio della proporzionalità fra la misura della partecipazione del socio e il conferimento
da questo effettuato. Inoltre, viene introdotto l'istituto dell'esclusione, tipico della società di persone
ed esteso alle società cooperative soprattutto come misura disciplinare.
Il quarto carattere riscontra un certo ibridismo dell'organizzazione interna. Viene ridimensionato il
ruolo dell'assemblea, nel senso che la deliberazione assembleare non rappresenta più il modo
esclusivo di espressione della volontà della società, ma diventa uno dei modi in cui si può formare
tale volontà, tant'è che la parola “deliberazione” viene abbandonata come termine per indicare il
modo in cui i soci assumono le loro determinazioni e il legislatore del 2003 sostituisce la parola “voto”
con l'espressione “consenso”, che da sempre la dottrina ha utilizzato per indicare solo le decisioni
della società di capitali che avendo ad oggetto diritti indisponibili degli azionisti, potevano essere
prese anche al di fuori del contesto assembleare.
Il quinto carattere marcante lo si può riscontrare nel mantenimento della imperatività delle regole
e, nel mantenimento delle norme di funzionamento proprie della società di capitale.
Il sesto carattere risiede nella disciplina delle modificazioni del capitale sociale che non trova
riscontro neanche nella disciplina dettata per le società per azioni.

La fattispecie costitutiva

La costituzione della società avviene mediante una fattispecie a formazione successiva e si


compone da due fasi, dalla stipulazione dell'atto costitutivo e dall’iscrizione della società nel
registro imprese.
Con l’iscrizione nel registro delle imprese, si concreta la responsabilità illimitata e solidale dei soci
che hanno compiuto operazioni prima dell'iscrizione o che semplicemente hanno dato il consenso
al compimento delle operazioni nell'atto costitutivo. Solo con l'iscrizione della società nel registro
delle imprese si ha la nascita della società e in tal modo acquista personalità giuridica.
Il notaio rogante deve entro 10 giorni depositare l'atto costitutivo presso il registro delle imprese nella
circoscrizione in cui è stabilita la sede della società, allegando i documenti che provino le condizioni
previste dall'articolo 2329 e, se ne il notaio né gli amministratori vi provvedono, può provvedervi
ciascun socio a spese della società.

Non si può dar luogo all'iscrizione nel registro delle imprese, se manca la sottoscrizione per intero
del capitale sociale, se non sono state rispettate le previsioni relative ai conferimenti, la sussistenza
delle autorizzazioni e delle altre condizioni richieste dalle leggi speciali per la costituzione della
società in relazione al suo particolare oggetto.
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Quanto al rispetto delle previsioni relative ai conferimenti, il rinvio effettuato dal legislatore non è
altro che una distrazione, in quanto la materia è regolata e riceve una autonomia dagli articoli 2464
2465.
Se entro 90 giorni dalla stipulazione dell'atto costitutivo o dal rilascio delle autorizzazioni, l'iscrizione
non ha avuto luogo, le somme dovranno essere restituite ai sottoscrittori e l'atto costitutivo perderà
efficacia.

L'atto costitutivo deve rivestire la forma dell'atto pubblico e deve contenere le generalità di ciascun
socio, dal momento che non potrebbe esistere un contratto che non contenesse le indicazioni utili
alla identificazione delle parti contraenti.

Denominazione. La ditta è definibile come la denominazione sotto alla quale agiscono le società di
capitali e le società mutualistiche e assolve, in primo luogo alla identificazione del soggetto. L'unica
regola esistente per la formazione della denominazione è quella relativa alla inclusione in essa del
rapporto sociale, a rafforzamento del principio di verità.
Alla denominazione sociale si applica il cosiddetto principio della novità, quando la ditta è uguale
o simile a quella usata da un altro imprenditore e può generare confusione, deve essere integrata o
modificata con indicazioni idonee a differenziarla. In ogni caso è obbligata ad integrare o a
differenziare, la società che ha effettuato l'iscrizione successivamente.

Per sede legale, si intende quella risultante dall'atto costitutivo e dallo statuto e nella quale si trovano
stabilmente gli organi che hanno la rappresentanza dell'ente e la capacità di obbligarlo. È importante,
poiché individua il giudice territorialmente competente, individua il registro delle imprese in cui la
società deve essere iscritta, e per i fini dell'applicazione della disciplina fallimentare.
Può capitare che la sede legale non coincida con la sede reale, che è quella dove c'è effettivamente
il centro di direzione e svolgimento dell'attività sociale, dove risiedono gli amministratori e coloro che
hanno il potere di rappresentare la società. In questo caso la dottrina e la giurisprudenza
propendono per la prevalenza della sede reale su quella legale, almeno con riferimento alle
procedure concorsuali.
Nell'atto costitutivo devono essere indicate solo il comune dove sono poste la sede della società e
le eventuali sedi secondarie.
Per aversi sede secondaria occorre che ci sia un rapporto di dipendenza economica ed
organizzativa con la sede principale, un rappresentante stabile della società e un autonomo ambito
di affari.

L'oggetto sociale, è una delle indicazioni più importanti che necessariamente deve consistere in
un'attività economica e, possedere i requisiti di cui all'articolo 1346, ossia: liceità, possibilità,
determinatezza o determinabilità. L'oggetto sociale oltre ad assolvere una funzione identificatrice
perché permette di distinguere la società dalla comunione di godimento, consente soprattutto ai terzi
di individuare i limiti ai poteri di gestione.

Il capitale sociale minimo per una S.r.l. è fissato in euro 10.000 ma, è prevista la possibilità di
costituire S.r.l. con capitale inferiore al minimo, pari almeno ad un euro. In tal caso i conferimenti
devono essere fatti in denaro e versati per intero. La somma che deve essere detratta dagli utili netti
risultanti dal bilancio per formare la riserva prevista dall'articolo 2430, deve essere pari ad almeno
un quinto, fino a che la riserva non raggiunga il capitale. La riserva così formata può essere utilizzata
solo per imputazione a capitale e per copertura di eventuali perdite.
La S.r.l. con capitale inferiore ai €10000 presenta poche differenze rispetto ad una S.r.l. ordinaria
che, a parte la disciplina della riserva legale, l'unica regola difforme è quella relativa ai conferimenti
che devono essere effettuati necessariamente in denaro e per intero.
Non ci sono differenze rispetto alle S.r.l. ordinarie per quanto riguarda i requisiti soggettivi dei soci e
nella S.r.l. semplificata, tutti i soci devono essere persone fisiche. Non è escluso che durante il corso
della società il capitale venga aumentato a €10000 o superiore.

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La società a responsabilità limitata semplificata è caratterizzata dalla sostanziale assenza di capitale


sociale, che deve essere pari ad almeno €1 ed inferiore ai 10000. L'intento del legislatore è di
incentivare la nascita di nuove imprese, soprattutto da parte dei giovani.
Gli elementi caratterizzanti sono, oltre al valore del capitale sociale e che i soci della società possono
essere solo persone fisiche, la denominazione deve contenere l'indicazione di società a
responsabilità limitata semplificata, l'assenza di una autonomia statutaria perché l'atto costitutivo
deve essere redatto per atto pubblico in conformità al modello tipizzato con decreto del ministero
della Giustizia, e l'esenzione del pagamento degli onorari notarili e dei diritti di bollo e segreteria.

I conferimenti sono disciplinati da tre norme: articolo 2464, 2465 e 2466.


Possono essere conferiti tutti gli elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica. Per quanto
riguarda i conferimenti d'opera, oggi sono possibili dal momento che il conferimento può anche
avvenire mediante la prestazione di una polizza assicurativa o di una fideiussione bancaria con cui
vengono garantiti per l'intero valore gli obblighi assunti dal socio per la prestazione d'opera.
Ogni conferimento diverso dal denaro deve essere espressamente previsto nell'atto costitutivo; al
momento della costituzione è necessario versare almeno il 25% del proprio conferimento in denaro,
o trattandosi di costituzione per atto unilaterale, l'intero ammontare.
I conferimenti in natura e di crediti sono contenute negli articoli 2464 2465. Viene snellito il
procedimento di stima, che pur rimanendo la valutazione dei beni in natura affidata ad una perizia
giurata, l'esperto incaricato di redigerla non dovrà più essere nominato dal presidente del tribunale.
Il passaggio dei rischi per le cose conferite in proprietà sono regolate dalle norme sulla vendita e per
le cose conferite in godimento, dalle norme sulla locazione e il socio che ha conferito un credito
risponde della insolvenza del debitore.
Il socio che non esegue il conferimento nel termine prescritto subisce una serie di provvedimenti,
quale la diffida ad adempiere nel termine di trenta giorni, con la possibilità di promuovere un'azione
per l'esecuzione dei conferimenti e per finire alla vendita della partecipazione a rischio e pericolo del
socio moroso per il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato e in assenza di offerte alla vendita
all'incanto.

La partecipazione nella società è determinata in misura proporzionale al conferimento e i diritti sociali


spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione posseduta da ciascuno.
Tuttavia, l'atto costitutivo può prevedere l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti
l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili, con il limite del divieto del patto Leonino.
L'articolo 2469 detta la regola della libera trasferibilità delle partecipazioni sia per atto tra vivi che
mortis causa, salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo, il quale può anche sottoporre il
trasferimento al mero parere degli organi sociali.
La partecipazione sociale può essere sottoposta a pignoramento che viene eseguito mediante
notificazione al debitore e alla società, con successiva iscrizione nel registro imprese. La
partecipazione può formare oggetto di pegno, usufrutto e sequestro.
L'atto costitutivo deve indicare le norme relative al funzionamento della società, indicando quelle
concernenti l’amministrazione e la rappresentanza e deve indicare, almeno in modo approssimativo,
le spese per la costituzione posta a carico della società.

La nullità della società responsabilità limitata a seguito del rinvio espresso dall'articolo 2332 è
identica a quella per le società per azioni.

L'organizzazione interna

La riforma societaria ha inciso con maggiore profondità sull'organizzazione interna.


L'assemblea della società non è più la sede esclusiva e naturale per l'adozione delle deliberazioni,
né la deliberazione assembleare è lo strumento esclusivo attraverso il quale si manifesta la volontà
della società su determinati argomenti, che viene sostituita dalla locuzione decisione dei soci.
La decisione dei soci, è alternativa alla deliberazione assembleare, perché viene presa al di fuori del
contesto assembleare e senza l'adozione del modello collegiale. Affinché le decisioni dei soci

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possono essere adottate senza il ricorso ad una deliberazione assembleare, è necessario che lo
statuto prevede espressamente strumenti alternativi ed in particolare che le decisioni siano adottate
mediante consultazione scritta e con l'abbandono del merito collegiale.
La convocazione dell’assemblea è obbligatoria quando si tratta di decisioni relative alle modificazioni
dell'atto costitutivo, modificazione dell'oggetto sociale o una rilevante modificazione dei diritti dei
soci, e quando ne è fatta espressa richiesta da uno o più amministratori o da tanti soci che
rappresentano almeno un terzo del capitale sociale.
L'assemblea deve essere convocata con le modalità indicate nell'atto costitutivo o, in mancanza
mediante lettera raccomandata spedita ai soci 8 giorni prima dell'adunanza. La riunione deve
svolgersi presso la sede sociale, salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo. L'assemblea è
regolarmente costituita se è presente almeno la metà del capitale e delibera a maggioranza assoluta
dei presenti. Nel caso delle modificazioni dell'atto costitutivo, dell'oggetto sociale o una
modificazione dei diritti dei soci, occorre un quorum deliberativo di una maggioranza pari ad almeno
la metà del capitale sociale.

Per quanto riguarda l'invalidità delle decisioni dei soci, il legislatore ha sancito che l'annullamento
della deliberazione può essere evitato attraverso la sostituzione della delibera impugnata con
un’altra presa in conformità della legge e dello Statuto; ha stabilito che l'impugnativa non è
proponibile nei confronti delle delibere di approvazione del bilancio dopo che è venuta l'approvazione
del bilancio dell'esercizio successivo; ha negato la legittimazione all'impugnazione a chi, pur non
avendo ricevuto la convocazione, ha dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell'assemblea; ha
ipotizzato una sorta di sanatoria per la mancata verbalizzazione, disponendo che tale lacuna può
essere colmata redigendo il verbale prima dell'assemblea successiva.

Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'amministrazione può essere affidata ad uno o
più soci.
L'atto costitutivo può in alternativa adottare uno dei due sistemi ipotizzati dal legislatore per le società
di persone, e cioè quello disgiuntivo in questo caso ciascun socio potrà intraprendere da solo
operazioni in nome e per conto società, salvo il diritto degli altri soci di esprimere opposizione, sulla
quale decide la maggioranza dei soci; oppure quello congiuntivo, nel quale il socio che vuole
intraprendere un'operazione deve ottenere il consenso di tutti gli altri soci.
Per quanto riguarda la rappresentanza, gli amministratori hanno la rappresentanza generale della
società e si desume che ci possono essere amministratori senza rappresentanza.

Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per i danni derivanti
dall'inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dall'atto costitutivo. I soci che non partecipano
all'amministrazione hanno diritto di ottenere notizie dagli amministratori per quanto riguarda gli affari
sociali e di consultare anche tramite professionisti libri sociali e documenti relativi
all'amministrazione.

La legittimazione a promuovere l'azione è concessa a ciascun socio, il quale nel caso in cui
sussistano gravi irregolarità nella gestione della società, può richiedere la revoca degli amministratori
in via cautelare. In caso positivo, incombe sulla società l'obbligo di rimborsare agli attori le spese di
giudizio e quelle sostenute per l'accertamento dei fatti, salvo il regresso nei confronti degli
amministratori.
La rinuncia all'azione e la transazione dell'azione restano ammissibili a condizione che sia consentito
dall'atto costitutivo e che le proposte siano approvate da tanti soci che rappresentano i due terzi del
capitale sociale e che non riceva l'opposizione di tanti soci che rappresentino almeno il decimo del
capitale.
La responsabilità nei confronti dei creditori sociali ricalca integralmente il contenuto dell'articolo
2394.
Per la responsabilità degli amministratori verso i soci e terzi viene ripetuta con qualche leggera
variazione la norma contenuta nell'articolo 2395 dettata per le società per azioni.

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In caso di conflitto di interesse da parte degli amministratori con la società per fatto proprio o
per conto di terzi sulle decisioni del consiglio amministrazione, sui contratti conclusi, le deliberazioni
possono essere impugnate, fatti salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede in base ad atti compiuti
in esecuzione della delibera, entro tre mesi dagli amministratori, sindaci o dal revisore a condizione
che il voto dell’amministratore in conflitto sia stato determinante per l'approvazione e che la delibera
abbia cagionato un danno patrimoniale alla società. Per quanto riguarda i contratti, è possibile
l'annullamento su domanda della società a condizione che il conflitto fosse conosciuto o riconoscibile
dal terzo.

La nomina dell'organo di controllo o di un revisore è obbligatoria se la società è tenuta alla


redazione del bilancio consolidato, controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti, se
ha superato per due esercizi consecutivi uno dei limiti previsti dalla normativa. L'obbligo cessa
quando per tre esercizi consecutivi non è superato alcun limite.
Una importante novità introdotta dal codice della crisi è costituita dalla reintroduzione per la S.r.l.
dell'Istituto del controllo giudiziario, disciplinato dall'articolo 2409 che in caso di fondato sospetto che
gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che
possono arrecare danno alla società o a una o più società controllate, i soci che rappresentano il
decimo del capitale sociale possono denunziare i fatti al tribunale, il quale può ordinare l'ispezione
dell'amministrazione della società. Il tribunale non ordina l'ispezione e sospende il procedimento se
l'assemblea sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata professionalità, che si
attivano senza indugio per accertare se le violazioni sussistono e, in caso positivo, per eliminarle,
riferendo al tribunale sugli accertamenti e le attività compiute.

Le modificazioni dell'atto costitutivo sono deliberate dall'Assemblea dei soci e, il notaio


verbalizzante deve verificare l'adempimento di tutte le condizioni stabilite dalla legge, ed entro 30
giorni deve essere richiesta l'iscrizione nel registro delle imprese contestualmente al deposito.
L'ufficio del Registro iscrive la delibera dopo aver verificato la regolarità formale della
documentazione. Se il notaio che ha redatto il verbale ritiene che non sono state adempiute le
condizioni stabilite dalla legge lo comunica agli amministratori, i quali entro 30 giorni possono o
convocare l'assemblea per gli opportuni provvedimenti o chiedere al tribunale dopo aver verificato
l'adempimento delle condizioni stabilite dalla legge, che ordini l'iscrizione della delibera nel registro
imprese.

L'unico obbligo del socio che ritroviamo negli articoli 2484 e 2472, è quello del conferimento.
Mentre per quanto riguarda i diritti dei soci trovano la sua consacrazione nelle norme contenute
negli articoli 2463 e 2468.
L’articolo 2463 concede autonomia ai soci di modellare sia pure entro certi limiti, l'organizzazione
interna della società, crea la possibilità di modificare i tradizionali diritti concessi al socio.
L'articolo 2468 fissa alcuni principi, innanzitutto un criterio generale e cioè che i diritti sociali spettano
ai soci in misura proporzionale alla partecipazione posseduta, e, le partecipazioni dei soci sono
determinate in misura proporzionale ai conferimenti. In secondo luogo viene stabilito che l'atto
costitutivo può prevedere l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione
della società o la distribuzione degli utili. Un terzo principio, nuovo e importante, è quello fissato
dall'articolo 2482 quater, che in tutti i casi di riduzione del capitale per perdite è esclusa ogni
modificazione delle quote di partecipazione e dei diritti spettanti ai soci.

I diritti individuali del socio sono:


il diritto di intervenire alle riunioni assemblea;
di esprimere il proprio consenso o dissenso per la gestione al di fuori del contesto assembleare e
per il voto per le deliberazioni;
il diritto di recedere dalla società;
il diritto di promuovere l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori;
il diritto di impugnativa delle deliberazioni invalide;
il diritto di sottoscrivere l'aumento del capitale mediante nuovi conferimenti;
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il diritto agli utili e alla quota di liquidazione;


il diritto di ricevere notizie sullo svolgimento degli affari e di consultare i libri sociali.

Il capitale sociale

L'articolo 2464 dispone che il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore
all'ammontare globale del capitale sociale. Le variazioni del capitale sociale possono essere in
aumento o in diminuzione.
L'aumento del capitale sociale può essere a pagamento o gratuito e la facoltà di aumentarlo può
essere attribuita dall'atto costitutivo agli amministratori. La decisione non può essere attuata fino a
quando i conferimenti precedenti non sono stati integralmente liberati.

L'aumento del capitale sociale a pagamento, avviene mediante nuovi conferimenti e deve essere
deliberato dall'assemblea, e ai soci spetta il diritto di sottoscriverlo in proporzione alle partecipazioni
possedute in modo da mantenere inalterata la percentuale di partecipazione al capitale sociale.
L'atto costitutivo può prevedere la possibilità che l'aumento di capitale possa essere attuato anche
mediante quote di nuova emissione, i soci possono prevedere nella deliberazione sia le modalità
che i termini di sottoscrizione, e può essere prevista la concessione ai soci di un diritto di prelazione,
nella eventualità che non tutti i soci abbiano esercitato il diritto di opzione sulle quote non sottoscritte.
I soci devono versare alla società all'atto della sottoscrizione, almeno il 25% della quota sottoscritta
e il socio unico deve versare l'intero conferimento in denaro.

L’aumento gratuito, avviene mediante imputazione a capitale sociale delle riserve e degli altri fondi
disponibili iscritti in bilancio e in tal caso la quota partecipativa di ciascuno resta immutata.

La riduzione del capitale può trovare la sua fonte o nella volontà delle parti o nella legge quando
si verificano delle perdite.
La forma volontaria può avvenire sempre nel rispetto del limite minimo di capitale fissato dalla legge,
attraverso due modalità: o mediante rimborso ai soci delle quote pagate o mediante liberazione dei
soci dall'obbligo dei versamenti ancora dovuti. La delibera dell'assemblea può essere eseguita dopo
che siano trascorsi 90 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese.
La delibera di riduzione deve essere adottata obbligatoriamente quando il capitale sociale è
diminuito di oltre un terzo a seguito di perdite.
Nel caso in cui la perdita ha prodotto una diminuzione del capitale di oltre un terzo senza tuttavia
portarlo al di sotto del minimo stabilito dalla legge, in questo caso gli amministratori devono
convocare l'assemblea e sottoporre la situazione patrimoniale della società insieme alle osservazioni
del collegio sindacale o del revisore legale dei conti. Se entro l'esercizio successivo la perdita non
risulta diminuita a meno di un terzo, l'assemblea convocata per l'approvazione bilancio, deve ridurre
il capitale in proporzione delle perdite accertate e, se non lo fa, gli amministratori, i sindaci o il
revisore legale dei conti devono chiedere al tribunale che venga disposta tale riduzione in ragione
delle perdite bilancio.
Nel caso in cui la perdita ha portato il capitale al di sotto del minimo legale, l'assemblea deve essere
convocata dagli amministratori per deliberare la riduzione capitale e la sua reintegrazione ad una
cifra non inferiore al minimo, oppure, se preferisce trasformare la società in un altro tipo. In tutti i casi
di riduzione del capitale per perdite è esclusa ogni modificazione delle quote di partecipazioni e dei
diritti spettanti ai soci.

I profili patrimoniali e il finanziamento dell'impresa sociale

Si definisce finanziamento dei soci a favore della società quelli effettuati in qualsiasi forma, che
sono stati concessi in un momento di difficoltà economiche e finanziarie della società e quando
risulta un eccessivo squilibrio tra l’indebitamento della società rispetto al proprio patrimonio netto.
Vengono previste due regole: quella della postergazione dei rimborsi dei finanziamenti rispetto alla

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soddisfazione degli altri creditori e quella per il quale il rimborso deve essere restituito se è avvenuto
nell'anno precedente la dichiarazione fallimento.

Il bilancio deve essere redatto secondo le disposizioni di cui alla sezione IX del capo V del libro V.
Il bilancio deve essere presentato ai soci entro il termine stabilito dall'atto costitutivo e comunque
non superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell'esercizio sociale ed entro 30 giorni
dall'approvazione deve essere depositato presso il registro delle imprese. I principi generali valevoli
per tutti i tipi di società: possono essere distribuiti solo utili realmente conseguiti e risultanti dal
bilancio regolarmente approvato; che se si verificano perdite di capitale, non si può dar luogo alla
distribuzione di utili fino a quando il capitale non si è integrato o ridotto in misura proporzionale; non
sono ripetibili dai soci in buona fede gli utili erogati in violazione delle disposizioni.

La cessazione dello status di socio poteva avvenire attraverso la cessione della partecipazione o
a seguito al recesso dalla società ad oggi viene aggiunta l'esclusione.

Il recesso è un negozio unilaterale recettizio con il quale il socio dichiara di voler sciogliere il vincolo
che lo lega alla società e l'atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le
modalità.
La prima fonte dei casi di recesso è lo statuto, mentre la seconda è la legge che oltre ai casi di
trasformazione, cambiamento dell'oggetto sociale, trasferimento della sede sociale all'estero, si
aggiunge la fusione, la scissione, il diritto di recedere quando l'atto costitutivo non prevede la
trasferibilità delle quote o sottopone la cessione al mero gradimento di organi sociali o di terzi.
Inoltre, è consentito il recesso del socio nel caso di aumento del capitale sociale a pagamento,
qualora dissenta dalla decisione di offrire a terzi le quote di nuova emissione.
Quando in una società soggetta ad attività di direzione e coordinamento, la capogruppo ha deliberato
una trasformazione del suo scopo sociale o una modifica dell'oggetto sociale che alteri le condizioni
di rischio d’investimento oppure quando il socio abbia ottenuto in suo favore una decisione esecutiva
di condanna di chi esercita l’attività di direzione e coordinamento.
C'è un'altra ipotesi di recesso non contenuta nel D.Lgs 6/2003 ed è relativo alle modifiche dell'atto
costitutivo, introduttive o soppressive di clausole compromissorie, che devono essere approvate dei
soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale. I soci assenti o dissenzienti possono
entro novanta giorni esercitare il diritto di recesso.
Il recesso non può essere esercitato e se esercitato resta privo di efficacia, se la società revoca la
delibera che lo legittima, oppure se si è deliberato lo scioglimento della società.

È previsto un solo caso legale di esclusione in base all'articolo 2466 quando il socio è moroso e
sono falliti i tentativi di vendita della quota. Mentre è ampio lo spazio che viene concesso
all'autonomia dei soci in base all'articolo 2473 bis con il quale l'atto costitutivo può prevedere
specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa.

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A partire dalla legge 216/1974, con la quale venne istituita la Consob, il legislatore ha dettato una
serie di norme per le società quotate nei mercati regolamentati, che hanno inciso sempre più
profondamente sulla disciplina delle società per azioni.
Nella disciplina delle società quotate, si intersecano norme societarie e norme del mercato mobiliare.
Le norme di mercato consentono la circolazione dei diritti e le norme societarie individuano il
contenuto di quei diritti e utilizzano strumenti di intervento sulla gestione. Le norme di mercato
dovrebbero facilitare la contendibilità del controllo e le norme societarie incidere sulle modalità con
le quali il controllo è esercitato. L'obiettivo è quello di una gestione più efficiente possibile l'impresa.

La trasparenza degli assetti proprietari

Il testo unico impone trasparenza alle società aventi sede in Italia con azioni negoziate nei mercati
regolamentati italiani o di un altro Stato membro della Comunità Europea e la trasparenza deve
essere estesa anche nei confronti della Consob e del mercato. L'obbligo di trasparenza non riguarda
una qualsiasi partecipazione ma soltanto quelle che possono avere un'incidenza significativa sul
potere di gestione della società.
Per partecipazioni si intendono le azioni, le quote degli altri strumenti finanziari che attribuiscono
diritti amministrativi (diritti di voto). È consentito agli statuti di dotare gli strumenti finanziari del diritto
di voto su determinati argomenti e in particolare, di riservare ai possessori la nomina di un
componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un
sindaco.
La norma inoltre stabilisce che coloro che partecipano in misura superiore al 3% del capitale sociale
devono dare comunicazione alla società partecipata e alla Consob. Il legislatore ha ritenuto
importante imporre trasparenza anche alle variazioni delle partecipazioni rilevanti, sia in aumento
che in diminuzione.
La comunicazione delle partecipazioni rilevanti e delle relative variazioni, non viene effettuata
soltanto nei confronti della società quotata e della Consob, ma viene diffusa anche al mercato. In
caso di omessa comunicazione oltre ad una sanzione amministrativa, anche una sanzione civile
data dalla sospensione del diritto di voto per le azioni per le quali è stata omessa la comunicazione.

Le partecipazioni reciproche

Le norme di diritto comune non pongono limiti alla partecipazione reciproca fra due società, se non
nel caso in cui fra le stesse vi sia un rapporto di controllo e in tal caso viene impedito alla società
controllata di acquisire una partecipazione superiore al 10% del capitale della controllante, in modo
da evitare che attraverso il ricorso a partecipazioni reciproche, i diritti di proprietà siano sottratti al
mercato.
Il legislatore vieta le partecipazioni reciproche che coinvolgono almeno una società quotata, quando
superano, da entrambi i lati, la soglia prevista per l'obbligo di comunicazione.
Nell'ipotesi di partecipazioni reciproche superiori alle soglie, la società che ha superato il limite non
può utilizzare il diritto di voto inerente alle azioni o alle quote eccedenti e devono essere alienate
entro dodici mesi dalla data in cui il limite è stato superato. In caso di mancata alienazione la
sospensione del voto riguarderà l'intera partecipazione.
I limiti all'assunzione di partecipazioni reciproche prendono in considerazione anche le
partecipazioni realizzate attraverso rapporti di gruppo.
Il limite all'assunzione di partecipazioni reciproche poteva rappresentare una formidabile arma
antiscalata in quanto la società che temeva di essere scalata acquistava una partecipazione
superiore al limite previsto nel capitale del potenziale scalatore e impediva a quest'ultimo di
acquistare una partecipazione superiore a tale soglia nel capitale della società target. Proprio per
evitare l'ostacolo alla circolazione dei diritti proprietari, le norme sui limiti dell'assunzione di
partecipazione reciproche non si applicano in caso di un'offerta pubblica di acquisto.

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Nel caso in cui sono esercitati il diritto di voto per i titoli per i quali il voto era sospeso e il voto si riveli
determinante, la deliberazione assembleare è annullabile e l’impugnazione può essere proposta
anche della Consob nel termine di sei mesi dalla delibera.

I patti parasociali

L'esistenza di un patto parasociale può incidere profondamente nella circolazione dei diritti
proprietari e sia sulla effettiva gestione.
Il testo unico prende in considerazione i patti in qualunque forma stipulati, riguardanti l'esercizio del
diritto di voto nelle società quotate e nella società che le controllano, nonché quelli:
che istituiscono obblighi di preventiva consultazione;
che pongono limiti al trasferimento delle azioni o di strumenti finanziari;
che prevedono l'acquisto delle azioni;
quelli aventi per oggetto o per effetto di favorire o a contrastare il conseguimento di un'offerta
pubblica di acquisto.
La disciplina per i patti parasociali prevede da un lato, obblighi di trasparenza e, dall'altro, vincoli
all'autonomia delle parti.

Il testo unico prevede che i patti siano, entro 5 giorni dalla stipulazione, comunicati alla Consob,
pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana, depositati presso il registro imprese e comunicati alle
società con azioni quotate.
Per il mancato adempimento anche di uno soltanto degli obblighi di pubblicità, si ha la nullità del
patto e la sospensione del diritto di voto inerente alle azioni quotate per le quali non sono stati
adempiuti gli obblighi, con la conseguente annullabilità delle deliberazioni assembleari assunte con
il voto determinante delle relative azioni, annullabilità che può essere fatta valere anche dalla
Consob.
La ragione di avere optato per la nullità anziché per la inefficacia del patto, risiede nel fatto che la
nullità costituisce uno strumento più efficace al fine di incentivare la pubblicazione dell'atto.
Il testo unico ha posto alcuni limiti all'autonomia privata per quanto riguarda la durata dei patti e il
diritto di recesso. Per quanto riguarda la durata i patti possono essere sia a tempo indeterminato e
sia a tempo determinato. In caso che siano a tempo indeterminato ciascun contraente ha diritto di
recedere dal patto con un preavviso di sei mesi, nella seconda ipotesi la durata massima è di 3 anni
e il patto si intende stipulato per tale durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore. Il
limite massimo di durata tende ad impedire che un patto renda irreversibile per un tempo lungo
l'assetto di potere societario, ma sono rinnovabili alla scadenza,
Non sono ammessi né il rinnovo totale tacito né il rinnovo parziale, ossia per una parte dei soci. Il
rapporto si estingue per tutti i contraenti e questi tuttavia potranno stipulare una nuova convenzione
di voto.

Le azioni

Le azioni delle società quotate sono sottoposte a disciplina speciale e devono necessariamente
essere dematerializzate e la loro gestione è accentrata e il certificato azionario è sostituito dalla
certificazione rilasciata dell'intermediario con la quale viene legittimato l'esercizio di un diritto,
qualora sia subordinato al deposito del titolo.
Lo statuto può escludere il diritto di opzione nei limiti del 10% del capitale sociale preesistente, a
condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni. Quando
l’interesse della società lo esige, il diritto di opzione può essere escluso.
Le ipotesi di limitazione o esclusione del diritto di opzione sono: quando le nuove azioni devono
essere liberate con conferimenti in natura; nei limiti del 10% se emessi al valore di mercato e quando
sia nell’interesse della società.

Nel caso di recesso da parte del socio, il criterio di valutazione non fa riferimento al patrimonio della
società, ma alla media aritmetica dei prezzi di chiusura dei 6 mesi che precedono la ricezione
dell'avviso di convocazione dell'assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso.
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La riforma societaria ha consentito alle società per azioni di emettere azioni senza valore nominale
e azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati ottenuti in un determinato settore.

Lo statuto può prevedere una maggiorazione non superiore al 10% del dividendo per azione
detenute dall’azionista per un periodo continuativo predeterminato, purché non detenga una
partecipazione superiore allo 0,5%. Tali tipologie di azioni non costituiscono una categoria speciale.

Il diritto di voto relativo alle azioni dematerializzate viene attribuito ai soggetti che risultano legittimati
alla chiusura della giornata contabile del settimo giorno di mercato aperto precedente la data fissata
per l'assemblea, essendo irrilevanti gli atti di disposizione delle azioni successive a tale data.

Le società quotate non possono emettere azioni a voto plurimo mentre possono prevedere sia limiti
al diritto di voto, come tutti società per azioni, e introdurre meccanismi di maggiorazione del voto,
preclusi alle società non quotate. È possibile prevedere fino a un massimo di 2 voti per le azioni
detenute da uno stesso soggetto per un periodo continuativo di 2 anni. La maggiorazione del voto
si computa per la determinazione sia dei quorum costitutivi che di quelli deliberativi, ma non si
computa per l'esercizio di diritti diversi dal diritto di voto.

Il testo unico ha conservato in vita le azioni di risparmio e ha rimesso all'autonomia statutaria la


determinazione dei privilegi patrimoniali, in modo da consentire alla società e ai risparmiatori di
individuare il tipo di privilegio che di volta in volta forse in grado di conciliare le rispettive esigenze.
Il testo unico stabilisce che i certificati rappresentativi delle azioni portino l'indicazione dei privilegi
che le assistono; Pur potendo essere emesse al portatore, dovranno essere nominative non solo
quando non siano interamente liberate, ma anche quando appartengono agli amministratori, ai
sindaci e ai direttori generali delle società.

Le società quotate hanno maggiore libertà sulle emissioni di obbligazioni rispetto alla generalità delle
società per azioni. in particolare l'articolo 2412 stabilisce che la società non può emettere
obbligazioni per un importo complessivo superiore al doppio dell'ammontare del capitale sociale,
della riserva e delle riserve disponibili. Tale limite può essere superato se le obbligazioni emesse in
eccedenza sono riservate a sottoscrittori professionali soggetti a vigilanza prudenziale.
Il legislatore ritiene che i controlli sulle società quotate e quelli che insistono sui mercati nei quali le
obbligazioni sono destinate ad essere negoziate, assicurano ai sottoscrittori una garanzia di
mercato.

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L'assemblea è il luogo nel quale le minoranze ed in particolare gli investitori istituzionali, possono
far sentire la propria voce e svolgere un’azione di controllo sulle scelte gestionali. Il testo unico
impone ai sindaci, al consiglio di sorveglianza e al comitato di controllo, di riferire all'assemblea su
tutte le omissioni e i fatti censurabili rilevati e più in generale sull'attività svolta, gli atti di gestione
che possono contrastare il conseguimento di un'offerta pubblica devono essere sottoposti ad
autorizzazione dell'assemblea dei soci.
La legge 262/2005 ha introdotto degli strumenti a tutela delle minoranze, e il diritto di chiedere
l'integrazione dell'ordine del giorno dell'assemblea, consentendo così di diventare l’assemblea il
luogo di discussione per gli argomenti ritenuti importanti dalla minoranza dei soci, sia pur con dei
limiti.
L'assemblea deve essere convocata mediante avviso sul sito internet e con le altre modalità previste
dalla Consob entro il trentesimo giorno precedente l'assemblea. il termine viene anticipato al
quarantesimo giorno precedente per l'elezione dei componenti degli organi di
amministrazione e controllo è posticipato al ventunesimo per le assemblee relative alle
operazioni sul capitale per perdite e nomina e revoca dei liquidatori. Vengono così fissati
termini e modalità diverse da quelle previste dal diritto comune della società per azioni.

L'assemblea dei soci, nelle società quotate può essere convocata anche dal collegio sindacale, o
da almeno due membri del collegio previa comunicazione al presidente del consiglio di
amministrazione.
La disciplina del contenuto dell'avviso di convocazione è molto analitica e deve contenere una
descrizione chiara e precisa delle procedure che gli azionisti devono rispettare per poter partecipare
e votare in assemblea, la data indicata, con la precisazione che coloro che risulteranno titolari delle
azioni solo successivamente a tale data non avranno il diritto di partecipare e votare in assemblea,
indica la reperibilità del testo integrale delle proposte di deliberazione. Lo scopo è quello di evitare
al socio una qualsiasi sorpresa non solo sull'oggetto della deliberazione, ma anche sulle modalità di
funzionamento dei lavori.
I partecipanti all'assemblea possono porre domande relative alle materie indicate nell'ordine del
giorno prima dell'assemblea e la risposta deve essere fornita al più tardi nel corso dell'assemblea. Il
diritto di informazione si colloca tra le informazioni che la società quotata deve fornire non solo ai
soci ma al pubblico, e si attua anche attraverso il deposito della documentazione richiesta presso la
sede sociale e rendendo tale documentazione consultabile anche da parte del pubblico.
Così ad esempio, per le deliberazioni di fusione e scissione dovranno essere depositati presso la
sede sociale i documenti almeno trenta giorni prima di quello fissato per la riunione e dell'avvenuto
deposito deve essere data notizia mediante comunicato destinato al pubblico.

I soci che anche congiuntamente rappresentino almeno un quarantesimo del capitale sociale
possono chiedere, entro 10 giorni dalla pubblicazione dell'avviso di convocazione assemblea,
l'integrazione dell'elenco delle materie da trattare.
L'integrazione, che dovrà essere effettuata dal consiglio di amministrazione e resa pubblica almeno
15 giorni prima della riunione, non sarà consentita se si tratta di argomenti sui quali l'assemblea
delibera, a norma di legge su proposta degli amministratori, almeno che gli amministratori non
facciano propria l'integrazione.
Nelle ipotesi in cui gli amministratori non integrino l'ordine del giorno, l'integrazione potrà avvenire
da parte del collegio sindacale e in caso d'inerzia anche dei sindaci, da parte del tribunale.
Le azioni quotate sono necessariamente dematerializzate e in gestione accentrata e quindi la
legittimazione all'intervento in assemblea e all'esercizio di diritti di voto è attestata da una
comunicazione all'emittente, effettuata dall'intermediario in conformità con le proprie scritture
contabili.

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La comunicazione è effettuata dall'intermediario sulla base delle evidenze relative al termine della
giornata contabile del settimo giorno di mercato aperto precedente la data fissata per l'assemblea.
Dopo quel momento colui che risulti legittimato potrà intervenire in assemblea anche se nel
frattempo ha venduto le azioni, mentre non potranno intervenire all’assemblea coloro che abbiano
acquistato la qualità di socio dopo il settimo giorno.

La riforma del 2003 ha consentito allo statuto di tutte le società per azioni di ammettere il voto per
corrispondenza o in via elettronica. L'avviso di convocazione dovrà contenere l'avvertenza che il
voto può essere esercitato anche per corrispondenza, le modalità e i soggetti presso cui richiedere
la scheda e il termine entro il quale quest'ultima deve pervenire al destinatario e copia dell'avviso
deve essere inviata dalla società emittente alla società di gestione accentrata.
Il documento cardine è la scheda di voto che deve essere predisposta in modo da garantire la
segretezza del voto fino all'inizio dello scrutinio.
Il socio può anche rispedire la scheda in bianco e significa che si è astenuto. la scheda deve
pervenire alla società emittente entro il giorno precedente all'assemblea e fino al giorno precedente
il voto espresso per corrispondenza può essere revocato.
I voti per corrispondenza devono essere computati al fine della determinazione dell'eventuale
quorum costitutivo e devono restare segreti fino all'inizio dello scrutinio. È possibile che in assemblea
può essere sottoposta a votazione una proposta di delibera diversa da quella sulla quale il socio ha
espresso il proprio voto per corrispondenza e tale eventualità deve essere contemplata nella scheda
di voto e il socio può già in quella sede esprimere la propria volontà.

Per sollecitazione di deleghe si intende la richiesta di conferimento di deleghe di voto rivolto a più
di 200 azionisti su specifiche proposte, accompagnate da raccomandazioni, ed ogni altre indicazioni
idonee ad influenze il voto da parte di un promotore. Mentre la raccolta di deleghe, si riferisce ad
ogni tipo di indicazione idonea a influenzare il voto ed è rivolta agli associati dalle associazioni di
azionisti.
Mentre la sollecitazione tende ad acquisire adesioni ad una proposta, la raccolta tende a rendere
possibile ai piccoli azionisti di concorrere alla formazione della volontà assembleare, rimanendo gli
azionisti liberi di esprimersi a favore o meno e per l'associazione l'obbligo di attenersi alle decisioni
prese dal socio nella delega di voto.
Il conferimento di una delega ad un rappresentante in conflitto di interesse è consentito purché il
rappresentante comunichi per iscritto al socio le circostanze da cui deriva il conflitto e purché vi siano
specifiche istruzioni di voto per ciascuna delibera in relazione alla quale il rappresentante dovrà
votare per conto del socio. Spetta al rappresentante l'onere della prova di aver comunicato al socio
le circostanze che danno luogo al conflitto di interesse.

La sollecitazione è effettuata da un promotore mediante la diffusione di un prospetto e di un modulo


di delega. Il prospetto deve identificare il promotore, l'emittente, la data di convocazione
dell'assemblea, gli argomenti all'ordine del giorno con le proposte di voto per le quali si sollecitano
le deleghe. La delega è revocabile almeno fino al giorno precedente l'assemblea e può essere
conferita solo per singole assemblee già convocate.
Nella sollecitazione il diritto di voto viene esercitato dal promotore in nome e per conto dei deleganti.
Il promotore non avrà soltanto il diritto di esercitare il diritto di voto, ma anche il dovere di farlo in
quanto mandatario dei deleganti.

La raccolta delle deleghe di voto è consentita alle associazioni di azionisti che sono costituite con
scrittura privata autenticata, non esercitano attività di impresa, e siano composte da almeno 50
persone fisiche ciascuna delle quali proprietaria di un quantitativo di azioni non superiore allo 0,1%
del capitale sociale.
La raccolta viene effettuata direttamente dall'Associazione senza la pubblicazione di alcun
prospetto, ma attraverso la consegna agli associati della documentazione predisposta dall'emittente
in vista dell'assemblea ed il modulo di delega. Gli associati potranno esprimersi sia in modo
favorevole o con voto contrario alla proposta, fermo restando anche il diritto dell'azionista di non
conferire alcune a delega.
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La delega può essere attribuita anche al rappresentante designato dalla società con azioni quotate
ed ha effetto per le sole proposte in relazione alle quali siano conferite istruzioni di voto. Si tratta di
un servizio offerto agli azionisti in modo gratuito ma che può nascondere pericoli di manipolazione
da parte della società e possibili conflitti di interesse nei quale può trovarsi il rappresentante e per
far fronte a questi pericoli la delega deve essere conferita mediante sottoscrizione di un modulo
disciplinato dalla Consob che impone al rappresentante doveri di trasparenza e correttezza.

Amministrazione e controllo interno

Anche per le società quotate la scelta del modello tradizionale, monistico o dualistico comporta una
distribuzione diversa delle funzioni di amministrazione e di controllo mentre non incide sul controllo
legale dei conti essendo comunque riservato ad una società di revisione esterna.

Il modello tradizionale: l'amministrazione

Il modello tradizionale composto dal consiglio di amministrazione e dal collegio sindacale era l'unico
modello disponibile per le società per azioni nel momento in cui fu emanato il testo unico del 1998.
Molte norme del testo unico coinvolgevano ovviamente gli amministratori, ma si trattava di norme
che non incidevano, se non indirettamente, sull'organizzazione dell'organo amministrativo.
La legge di tutela del risparmio 262/2005 che è applicabile anche alle quotate, riconosce al collegio
sindacale il potere di deliberare con il consenso dei due terzi dei sindaci, la promozione dell'azione
sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori.
La legge 262/2005 prevede che i membri del consiglio amministrazione siano eletti in base a delle
liste di candidati e che sia determinata la quota minima di partecipazione richiesta in misura non
superiore a un quarantesimo del capitale sociale ed almeno uno dei componenti del consiglio deve
essere espresso da una lista di minoranza.
Quindi, le minoranze possono esprimere oltre che una parte dei sindaci, anche uno o più componenti
del consiglio di amministrazione.
Inoltre è previsto che almeno uno dei componenti del consiglio di amministrazione o due se
composto da più di 7 componenti, devono possedere i requisiti di indipendenza previsti per i sindaci.

Inoltre, è stato imposto l'obbligo di informazione al mercato in materia di attribuzione di strumenti


finanziari a esponenti aziendali, dipendenti o collaboratori e così il legislatore ha affrontato il
problema delle stock option che costituiscono una parte importante della remunerazione degli organi
delegati e dei vertici delle società quotata o comunque diffuse.
Il riparto degli amministratori da eleggere deve essere effettuato in base ad un criterio che assicuri
l'equilibrio tra i generi e in modo da garantire la presenza della quota rosa.

Il collegio sindacale

Nella riforma del collegio sindacale il legislatore ha cercato di favorire l'indipendenza nei confronti
dei gruppi di controllo e ne ha esplicitato le funzioni attraverso una puntuale indicazione dei doveri,
ne ha rafforzato i poteri di informazione nonché di convocazione degli organi e di avvio del controllo
giudiziario; nel contempo lo ha liberato dal controllo contabile attribuendolo a società di revisione.
La riforma del 2005 ha attribuito alla Consob il potere di stabilire con regolamento le modalità per
l’elezione di un membro effettivo del collegio sindacale da parte dei soci di minoranza e ha stabilito
che il presidente del collegio sindacale è nominato dall'Assemblea tra i sindaci eletti dalla
minoranza.
Vengono stabiliti limiti al cumulo degli incarichi che i componenti del collegio possono assumere in
base alla complessità e alla dimensione della società.
Non può assumere la carica di componente dell'organo di controllo di una società quotata, chi ricopre
la stessa carica in cinque altre società quotate.
Non possono essere eletti sindaci e se eletti decadono dall'ufficio coloro che si trovano nelle
condizioni previste dall’articolo 2382 (clausole di ineleggibilità e decadenza), il coniuge, parenti e gli
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affini entro il quarto grado degli amministratori della società, coloro che sono legati alla società o alle
società controllate o sottoposte a comune controllo, da rapporti di lavoro autonomo, subordinato o
altri rapporti di natura patrimoniale o professionale che ne compromettono l'indipendenza.
Il collegio sindacale vigila sull'osservanza della legge e dall'atto costitutivo, sul rispetto dei principi
di correttezza dell'amministrazione, sulla adeguatezza della struttura organizzativa e sul rispetto dei
codici di comportamento redatti dalla società di gestione dei mercati, e sulla adeguatezza delle
disposizioni impartite dalla società alle società controllate.
Il principio di corretta amministrazione concerne il dovere degli amministratori di perseguire
l’interesse sociale e il controllo mira a verificare che gli amministratori non siano coinvolti in conflitto
di interessi con quello della società.
Il collegio deve anche verificare l’adeguatezza delle scelte organizzative.
Di notevole importanza è di assicurare il rispetto delle regole dettate dal Consiglio di
Amministrazione per l'attività di impresa.
Il collegio sindacale deve anche valutare l'adeguatezza del sistema amministrativo-contabile ma
deve accettare, ex-ante, se un particolare modello sia in grado di assicurare una corretta
rappresentazione dei fatti di gestione e un giudizio sulla conformità delle scelte di amministrazione
per la diligenza adottata.
Il collegio sindacale con il revisore legale o la società di revisione si scambiano tempestivamente i
dati e le informazioni rilevanti per lo svolgimento dei propri compiti.
La violazione delle norme può comportare la sospensione o l'esclusione dal collegio e giustificare
delle azioni risarcitorie da parte di soggetti che hanno fatto affidamento sul rispetto di quelle regole,
quindi l'obbligo dell'organo è di vigilare sulla loro concreta attuazione.
Il collegio deve informare la Consob sulle irregolarità che riscontra durante l'attività di vigilanza.
Gli amministratori, sotto il profilo dei doveri di informazione, devono riferire tempestivamente e con
periodicità almeno trimestrale al collegio sindacale sull'attività svolta e sulle operazioni di maggior
rilievo economico, finanziario e patrimoniale. I sindaci possono anche individualmente procedere in
qualsiasi momento ad atti di ispezione e di controllo e di chiedere notizie agli amministratori
sull'andamento dei lavori o su determinati affari.
Il collegio dovrà convocare immediatamente l'assemblea quando abbia ricevuto denuncia di fatti
censurabili da tanti soci che rappresentino cinquantesimo del capitale sociale e abbia accertato che
la denuncia è fondata e vi si è urgente necessità di provvedere, mentre se la società fa ricorso al
mercato del capitale di rischio questo obbligo sussiste quando la denuncia è effettuata da un
ventesimo del capitale.

Modelli alternativi

Il modello dualistico è composto da un consiglio di gestione e un consiglio di sorveglianza e le


norme che fanno riferimento al consiglio di amministrazione, e all'amministratore si applicano anche
al consiglio di gestione e ai suoi componenti, mentre le norme del collegio sindacale e dei sindaci si
applicano anche al consiglio di sorveglianza e ai suoi componenti.
Se il consiglio di gestione di una società quotata è composto da più di 4 membri almeno uno di essi
deve possedere i requisiti di indipendenza previsti per i sindaci.
I componenti del consiglio di sorveglianza possono anche individualmente, chiedere notizie ai
consiglieri di gestione sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari e chiedere al
presidente la convocazione dell'organo, indicando gli argomenti da trattare.
Il consiglio di sorveglianza o anche un solo componente dello stesso, può procedere in qualsiasi
momento ad atti di ispezione e di controllo e scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle
società controllate.
Il consiglio di sorveglianza ha anche il potere di nominare e revocare i componenti del consiglio di
gestione e di approvare il bilancio. Se è previsto dallo statuto, delibera sulle operazioni strategiche
e i piani industriali e finanziari della società predisposti dal consiglio di gestione, divenendo un
organo di controllo e di supervisione strategica dell'amministrazione.

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Per il modello monistico formato dal consiglio di amministrazione e dal comitato per il controllo
sulla gestione costituito al suo interno, il testo unico stabilisce che le norme dettate per i sindaci e il
collegio sindacale si applicano anche al comitato di controllo e ai suoi componenti.
I componenti del comitato per il controllo sulla gestione possono, anche individualmente, chiedere
agli altri amministratori notizie anche relative a società controllate, sull'andamento delle operazioni
o su determinati affari e chiedere, anche individualmente, al presidente la convocazione del comitato
indicando gli argomenti da trattare.
Il comitato per il controllo sulla gestione può, previa comunicazione al Presidente del Consiglio di
Amministrazione, convocare il consiglio di amministrazione ed avvalersi dei dipendenti della società
per l'espletamento delle proprie funzioni. Il comitato può procedere in qualsiasi momento ad atti di
ispezione e di controllo nonché scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società
controllate.

Il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili

La legge 262/2005 impone la nomina di un dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili
societari, con poteri adeguati e correlate responsabilità circa la corrispondenza al vero dei
documenti.
Il dirigente ha un preciso compito organizzativo che deve predisporre adeguate procedure
amministrative e contabili per la formazione del bilancio d'esercizio e quindi ha compiti operativi.
Inoltre, ha la funzione di attestazione, con assunzione di responsabilità relativa alla corrispondenza
tra le informazioni rese pubbliche e la contabilità sociale.

Il controllo giudiziario

Legittimati a promuovere il procedimento previsto dall'articolo 2409 (denuncia tribunale) nei confronti
di una società quotata, sono tanti soci che rappresentino almeno il ventesimo del capitale sociale
escluse le azioni di risparmio, il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il
controllo di gestione se hanno fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi
irregolarità nella gestione e le spese per l'ispezione sono a carico della società e il tribunale può
revocare anche i soli amministratori.
Anche la Consob, se ha fondato sospetto di gravi irregolarità nell'adempimento dei doveri di vigilanza
da parte del collegio sindacale del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo di gestione
può denunciare i fatti al tribunale, ma solo per le società italiane quotate sul mercato regolamentato
italiano e non anche nei confronti delle società italiane quotate esclusivamente in un altro mercato
regolamentato.

La revisione legale dei conti

Nelle disposizioni speciali riguardanti la revisione legale dei Conti degli enti di interesse pubblico,
rientrano anche le banche, le assicurazioni, le società di gestione dei mercati. L'interesse pubblico
non si coglie nell'attività svolta, ma almeno per le quotate, nel fatto che ricorrono al risparmio diffuso.
Le società italiane con azioni quotate in un mercato regolamentato dell'Unione Europea devono
sottoporre a revisione legale il proprio bilancio d'esercizio e il proprio bilancio consolidato e il relativo
incarico può essere conferito soltanto ad un revisore legale o ad una società di revisione legale
iscritti nel registro dei revisori legali.
Spetta al revisore il compito di accertare nel corso dell'esercizio, se la contabilità è tenuta secondo
le regole dettate dalle norme e dai principi contabili. Al collegio sindacale spetta la verifica, ex ante,
dell'adeguatezza del sistema amministrativo-contabile e dell'affidamento dello stesso a
rappresentare correttamente i fatti di gestione.
L'indipendenza del revisore viene perseguita vietando al revisore di fornire alla società servizi diversi
per i quali è deputato a svolgere.
L'incarico di revisione legale ha una durata di 9 esercizi per le società di revisione e di 7 per i revisori
legali. L'incarico non può essere nuovamente conferito se non siano decorsi almeno tre esercizi

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dalla data di cessazione del precedente, in modo da evitare un eccesso di amicizia fra il responsabile
della revisione e la società oggetto di revisione.
Il revisore legale e coloro che hanno preso parte con funzioni di direzione e supervisione alla
revisione bilancio di un ente di interesse pubblico non possono rivestire incarichi sociali, lavoro
autonomo o subordinato, se non sia decorso almeno un biennio della conclusione dell’incarico,
ovvero dal momento in cui hanno cessato di essere soci, amministratori o dipendenti della società
di revisione.
Il giudizio sul bilancio incide anche sulla sua impugnabilità, nel senso che se il giudizio è senza rilievi,
o con rilievi o con semplici richiami di normativa viene limitata la legittimazione ad impugnare il
bilancio. Il bilancio può essere impugnato per mancata conformità alle norme che ne disciplinano la
sua redazione, da tanti soci che rappresentano almeno il 5% del capitale sociale.
Il legislatore supponendo l'attendibilità del giudizio della società di revisione ha inteso così evitare
che la stabilità della deliberazione di approvazione bilancio può essere compromessa da iniziative
non giustificate dall'interesse sociale. Naturalmente la deliberazione potrà essere impugnata
secondo il diritto comune per la violazione di altre norme, come quelle previste per il procedimento
assembleare.
La revisione legale dei conti delle società quotate persegue l'interesse dei soci ad avere una corretta
rappresentazione della società, ma attenta a fornire al mercato una informazione fedele sulla
stessa.

Le relazioni finanziarie

Le società italiane quotate in un mercato regolamentato italiano o di un altro Stato dell'Unione, deve
redigere i propri bilanci secondo i principi IAS-IFRS che sono dei principi elaborati da un organismo
internazionale privato e adottate dall'Unione Europea per una conformità alle proprie direttive in
materia.
I principi internazionali si preoccupano essenzialmente della prospettiva dell'investitore, nel senso
che tendono a fornirgli una fotografia puntuale della situazione economica e finanziaria della società
per consentirgli se è il caso di conservare i titoli o se venderli o se eventualmente comprarle degli
altri. Il destinatario dei principi contabili è soprattutto il mercato mobiliare.
Le società italiane quotate in un mercato regolamentato dell'Unione, devono entro 4 mesi dalla
chiusura dell'esercizio, pubblicizzare la relazione finanziaria annuale comprendente il progetto di
bilancio, il bilancio consolidato, la relazione sulla gestione e l'attestazione degli organi delegati e del
dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, e la relazione del revisore legale dei conti.
Entro tre mesi dalla chiusura del primo trimestre deve essere pubblicata una relazione finanziaria
semestrale comprendente il bilancio semestrale abbreviato e una relazione sempre da parte degli
amministratori delegati e del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili e del revisore
legale dei conti.

Il delisting

La condizione di società quotata cessa con il venir meno della quotazione dei titoli emessi su tutti i
mercati regolamentati.
La cessazione della quotazione può avvenire o a seguito di esclusione della società dal mercato,
per incorporazione della società quotata in una non quotata, per fusione che dia vita ad una società
non quotata, o su richiesta della stessa società.
L’articolo 2437 quinquies recita che hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso alla
deliberazione che comporta l'esclusione della quotazione e quindi anche i soci assenti o astenuti.
La perdita di status di società quotata può anche essere la conseguenza alla contemporanea
ammissione su un altro mercato regolamentato anche non italiano, purché quel mercato offra una
tutela equivalente agli azionisti.
In tal caso il socio dissenziente o assente dalla deliberazione assembleare che approva la richiesta
di delisting, non ha il diritto di recedere dalla società ma la liquidabilità del suo investimento è
comunque assicurata.

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La disciplina generale delle società cooperative si trova nel libro V del codice civile sotto il titolo
VI rubricato delle società cooperative e delle mutue assicuratrici.
Le leggi speciali prevalgono sul codice, nel senso che gli articoli 2511 e seguenti si applicano alle
cooperative solo se non esiste una disciplina speciale.
Al vertice del sistema delle fonti si colloca l'articolo 45 della Costituzione nel quale si riconosce la
funzione sociale della Cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La
legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura con gli opportuni
controlli, le finalità.

La definizione di cooperativa è contenuta nell'articolo 2511 e stabilisce che le cooperative sono


società a capitale variabile con scopo mutualistico, a cui si è aggiunto un terzo requisito che è quello
dell’iscrizione presso l'albo delle società cooperative, che assume quindi valore costitutivo della
qualità di cooperativa, in aggiunta all'iscrizione del registro delle imprese.
L'elemento fondamentale sta nello scopo mutualistico che caratterizza un particolare tipo di società
e quindi giustifica il particolare tipo di organizzazione interna delle cooperative.
Lo scopo mutualistico, attribuisce alle cooperative la funzione sociale di cui all'articolo 45 della
Costituzione, sempre che, la mutualità serva a realizzare i bisogni economici particolarmente
significativi, potendo esserci anche una mutualità neutra, quando serve a soddisfare esigenze
economiche non essenziali o addirittura di tipo speculativo come per i consorzi tra imprenditori.
Lo scopo mutualistico consiste in una reciprocità di prestazioni tra società e soci, la cosiddetta
gestione di servizio, che è assente nelle società ordinarie.
Le cooperative debbono svolgere la loro attività direttamente per i propri soci, e a condizioni più
favorevoli rispetto a quelle praticate sul mercato da imprese simili attraverso la fornitura di beni,
servizi e occasioni di lavoro.
Il rapporto mutualistico si realizza in base a rapporti contrattuali distinti e successivi, rispetto al
rapporto sociale e in tal senso nelle cooperative si sottolinea esistenza di una duplicità di rapporti:
contratto di società e successivi rapporti contrattuali di scambio, caratterizzati da una particolare
vantaggiosità economica della prestazione alla quale il socio ha diritto.
Un'apparente eccezione è data dalle mutue assicuratrici in quanto non si può acquistare la qualità
di socio se non assicurandosi presso la società e si perde la qualità di socio estinguendo
l'assicurazione. La norma sancisce la necessaria coincidenza della qualità di socio con quella di
assicurato e la mutualità è più intensa nelle mutue che non nelle cooperative.
Il vantaggio patrimoniale della prestazione mutualistica viene realizzato mediante un procedimento
produttivo e distributivo nel quale la società si sostituisce all'intermediario speculatore, eliminandole
il profitto che viene redistribuito ai soci sotto forma di minor costo dei servizi offerti dalla società ai
soci, o di maggiore remunerazione dei beni e servizi forniti dei soci alla società.
Il vantaggio mutualistico può essere realizzato con due metodi: quello immediato, e quello del
vantaggio differito o di ritorno.
Con la tecnica del vantaggio immediato, la società pratica immediatamente, al momento dello
scambio con il socio, prezzi inferiori o retribuzioni superiori rispetto a quelli di mercato. Nella seconda
ipotesi, il vantaggio mutualistico viene attribuito ai soci attraverso i ristorni, che sono somme di
denaro che la società restituisce ai soci periodicamente, quasi sempre in occasione
dell'approvazione del bilancio, in proporzione ai rapporti intercorsi con la cooperativa.

Cooperative a mutualità prevalente e cooperative diverse

La riforma, ha introdotto una distinzione tra Cooperative a mutualità prevalente e Cooperative a


mutualità non prevalente o diversa, che non va ad incidere sulla unitarietà del fenomeno, ma ne
evidenzia un diverso livello di meritevolezza delle une rispetto alle altre. Le cooperative a mutualità
prevalente, sono caratterizzate dal fatto di agire prevalentemente con i propri soci, di possedere
nello statuto delle clausole che limitano la partecipazione dei soci agli utili di esercizio e alle riserve
accumulate durante la vita della società.

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Il primo criterio, della prevalenza degli scambi con i soci rispetto ai terzi è regolato dagli articoli 2512
e 2513 che stabiliscono regole minuziose e diversificate a seconda della categoria a cui la
cooperativa appartiene, per stabilire se operi o meno prevalentemente con i propri soci. Il criterio
generale è che si considera indirizzata prevalentemente verso i soci quando il volume complessivo
degli scambi con i soci è superiore al 50% degli scambi con i terzi non soci.

Il secondo criterio, che oltre ad agire prevalentemente con i soci, lo statuto prevede il divieto di
distribuzione dei dividendi superiori alla misura dell'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi
aumentati di due punti e mezzo; il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in
sottoscrizione ai soci in misura superiore ai 2 punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi;
il divieto di ripartizione delle riserve tra soci, durante la vita della società; in caso di scioglimento del
rapporto sociale o di scioglimento dell'intera società, deve avvenire la devoluzione del patrimonio
sociale, nella parte eccedente il capitale che va poi rimborsare i soci, ai fondi mutualistici per la
promozione e lo sviluppo della Cooperazione. In pratica viene limitato il cosiddetto lucro
soggettivo dei soci.

Le cooperative a mutualità prevalente sono dotate di un patrimonio gravato da vincoli di indivisibilità


tra i soci e godono di agevolazioni tributarie. Solo le società cooperative diverse, non avendo una
marcata impronta mutualistica possono trasformarsi in società lucrative, purché devolvano ai fondi
mutualistici il valore effettivo del patrimonio sociale che eccede il capitale.
Con la regola della devoluzione il legislatore ha voluto evitare che dopo la trasformazione, la società
possa distribuire ai soci gli utili e le riserve indivisibili accumulate prima della formazione per fruire
dei benefici di legge concessi alle imprese mutualistiche.

Scopo mutualistico e attività lucrativa

Le cooperative abbandonano spesso la cosiddetta mutualità pura, operando anche con i terzi non
soci, assumendo dimensioni che cedono i fabbisogni degli stessi soci e si aprono al mercato
ponendosi in concorrenza con le imprese ordinarie. Quando ciò accade, le cooperative finiscono per
trascurare lo scopo mutualistico per dedicarsi prevalentemente allo svolgimento di attività
economiche del tutto simili a quelle di impresa ordinarie e quindi al conseguimento del lucro.
Visto che il nostro ordinamento consente alle cooperative di perseguire anche lo scopo di lucro,
purché vengono rispettate determinate regole patrimoniali, che non sono imposti alle società
ordinarie, che vanno ad incidere sul cosiddetto lucro soggettivo, impedendo la distribuzione e la
fruizione da parte dei soci, dei risultati patrimoniali conseguiti della società attraverso lo svolgimento
di attività oggettivamente lucrative.
Oggi il legislatore ha introdotto delle regole che vanno a ridurre rispetto al passato la possibilità di
svolgere attività lucrativa, per le cooperative a mutualità prevalente, e comunque riducono
ulteriormente i margini del cosiddetto lucro soggettivo; mentre, per le cooperative diverse non
fiscalmente agevolate, il legislatore ha ampliato la possibilità di svolgimento di attività speculative
dei cui risultati possono approfittare i soci e i finanziatori dell'impresa. La riforma ha imposto anche
alle cooperative diverse, alcuni limiti come per esempio i limiti massimi al conferimento e i limiti
massimi alla distribuzione degli utili e il divieto ex legge di divisione tra i soci della riserva legale.
Nelle cooperative nessun socio può avere una quota o possedere azioni superiori ai € 100.000 o,
nelle cooperative con più di 500 soci, superiore al 2% del capitale sociale.
E’ resa possibile la rivalutazione delle quote di partecipazione, attraverso l'imputazione di utili di
esercizio al capitale sociale e quindi con un aumento gratuito del capitale sociale, che prima era
considerato vietato per effetto delle clausole statutarie di non lucratività.
In tutte le cooperative almeno il 30% degli utili deve essere destinato a riserva legale e una quota
del 3% deve essere corrisposta ai fondi mutualistici.
Nelle cooperative a mutualità prevalente non è consentita la ripartizione delle riserve tra i soci in
caso di scioglimento del singolo rapporto ma è consentito il rimborso del capitale rivalutato e del
sovrapprezzo. In caso di scioglimento della società nelle cooperative protette il patrimonio eccedente
capitale sociale deve essere devoluto ai fondi mutualistici, mentre nelle cooperative diverse può
essere ripartito tra i soci.
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La variabilità del capitale

La variabilità del capitale è considerato un elemento essenziale della definizione di società


cooperativa. La variabilità del capitale significa che il capitale sociale può essere aumentato
mediante raccoglimento da parte dell'amministratore delle domande di ingresso di nuovi
soci; mentre nelle società lucrative l'aumento del capitale a pagamento avviene mediante un
procedimento di modificazione formale dell'atto costitutivo, nelle cooperative è possibile una serie
continua ed ininterrotta di conferimenti dei nuovi soci, che innalza progressivamente il capitale
sociale.
Le cooperative sono caratterizzate dalla regola della porta aperta nel senso però che non comporta
che chiunque che possegga i requisiti abbia un diritto di essere accolto: infatti, l'articolo del 1528 pur
avendo aumentato le garanzie per i terzi aspiranti soci, non concede la possibilità di rivolgersi al
tribunale in caso di rifiuto illegittimo della società. Mentre si ha una tutela più ampia per il socio che
intende trasferire a terzi la quota sociale pur prevedendo la necessità di ricevere un vero e proprio
gradimento, però consente al socio di rivolgersi al tribunale qualora l'autorizzazione degli
amministratori sia stata illegittimamente negata.

La costituzione

La cooperativa, essendo una società a responsabilità limitata dal punto di vista organizzativo è
modellata sulla disciplina delle società di capitali. I rapporti mutualistici sono disciplinati dai
regolamenti interni predisposti dagli amministratori ed approvati dall'assemblea straordinaria.
Per la costituzione della società occorre un numero minimo di soci, in generale almeno 9, salvo che
la legge non disponga diversamente come accade per esempio per le banche popolari.
Può essere costituita una cooperativa da almeno tre soci, quando gli stessi sono persone fisiche e
la società adotta le norme della società a responsabilità limitata.
I requisiti che devono avere i soci delle cooperative sono stabiliti dalle leggi speciali e più in generale
dallo statuto, e si collegano al tipo di attività che la società deve svolgere. In ogni caso è vietata la
partecipazione a persone che esercitano attività in concorrenza con quella della cooperativa. La
riforma ha previsto la possibilità che prima della definitiva ammissione nella società, gli aspiranti
vengono collocati in una speciale categoria per un periodo di formazione non superiore ai 5 anni.
Così per esempio, nelle cooperative di lavoro i soci devono essere lavoratori ed esercitare il mestiere
corrispondente alla specialità delle cooperative di cui fanno parte.

Oltre alla pubblicità nel Registro delle Imprese, le cooperative anche a mutualità non prevalente
devono essere iscritte all'albo delle società cooperative e tale iscrizione ha assunto valore costitutivo
della qualifica di società cooperativa.

Accanto alle azioni o quote, la riforma ha previsto l'emissione di strumenti finanziari e di altri titoli di
debito. I sottoscrittori di strumenti finanziari sono dei finanziatori della cooperativa che sono mossi
da intenti lucrativi.
Non è escluso che anche i soci cooperatori possono sottoscrivere strumenti finanziari e in quel caso
una persona può essere socio cooperatore e socio finanziario nello stesso tempo.

Non tutte le cooperative possono prevedere soci sovventori e sono escluse le società e consorzi
operanti nel settore dell'edilizia abitativa, le banche di Credito Cooperativo, le banche popolari e le
cooperative di assicurazione.
Le azioni dei sovventori sono nominative e circolano liberamente senza il consenso del consiglio di
amministrazione. Tuttavia lo statuto della Cooperativa può prevedere clausole di prelazione e di
gradimento. Il socio sovventore effettua un apporto la cui entità è determinata liberamente,
indipendentemente dai limiti massimi stabiliti per il conferimento dei soci ordinari, ma comunque i
voti che sono attribuiti non devono superare in ogni caso un terzo dei voti spettanti a tutti i soci. i
soci sovventori possono essere nominati amministratori ma la maggioranza degli amministratori
deve essere costituita da soci cooperatori.

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Ogni socio cooperatore ha un voto a prescindere dal valore della quota o dal numero di azioni
possedute. L'uguaglianza nel vuoto scoraggia il conferimento competitivo o i tentativi di acquisizione
del controllo societario. Tutte le decisioni sociali devono essere conseguite a seguito
dell'approvazione della maggioranza dei soci cooperatori e non della maggioranza del capitale.
Questo scoraggia gli investimenti e il legislatore ha dovuto temperare il rigore favorendo la
capitalizzazione delle imprese mutualistiche, con l'emissione di strumenti finanziari con diritto di
voto.
La riforma del 2003 ha introdotto alcune modifiche prevedendo un'ipotesi di voto pro-quota per
l'elezione del collegio sindacale.

Le assemblee separate sono previste in leggi speciali e sono facoltative per tutte le cooperative e,
obbligatorie quando la società ha più di 300 soci e svolge la sua attività in più province. Le assemblee
separate nominano i delegati che voteranno nelle assemblee Generali.

Anche le cooperative possono adottare il sistema di amministrazione adottato per la società per
azioni: quello cosiddetto tradizionale, il sistema dualistico e sistema monistico.
Il modello dualistico è quello preferito dalle cooperative della grande distribuzione, essendo alla
ricerca di nuove regole di governance che vanno a rivalutare il ruolo dei soci e delle assemblee
ridimensionando i poteri dei manager che non hanno la vera proprietà dell'impresa.

I membri del consiglio di amministrazione devono essere in maggioranza soci cooperatori.

La nomina del collegio sindacale è obbligatoria se il capitale sociale della cooperativa non è
inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni e se la società emette strumenti finanziari
non partecipativi.

Il controllo giudiziario rappresenta una novità di rilievo della riforma, sono legittimati all'azione i
soci titolari del decimo del capitale sociale e nelle cooperative con più di 3000 soci ad un ventesimo
dei soci.
La riforma ha consentito la trasformazione delle cooperative in società ordinarie, ma per le
cooperative a mutualità prevalente resta il divieto di utilizzo delle risorse a fini lucrativi o speculativi
in modo da impedire che attraverso la trasformazione i soci possono utilizzare le risorse accumulate
dalle cooperative anche grazie a interventi pubblici. La trasformazione delle cooperative implica la
devoluzione ai fondi mutualistici del valore effettivo del patrimonio eccedente il capitale sociale.

Tutte le cooperative per la funzione sociale che svolgono, sono soggette a controlli pubblici e
la vigilanza è devoluta al Ministero delle attività produttive mediante revisioni o ispezioni
straordinarie. La revisione, deve avvenire almeno una volta ogni due anni. Le ispezioni straordinarie
sono disposte dal ministero.
La principale eccezione a tale vigilanza è costituita dalle cooperative di credito, sottoposte alla
vigilanza della banca d'Italia e delle cooperative di assicurazione e mutue assicuratrici.
La certificazione annuale del bilancio d'esercizio per le cooperative che presentano un valore della
produzione superiore a 60 milioni di euro è affidata ad una società di revisione e la sanzione per tale
omissione è la gestione commissariale a cui possono essere conferiti anche i poteri dell'assemblea.
L'autorità di vigilanza può sciogliere le società cooperative e enti mutualistici che non perseguono lo
scopo mutualistico, che non sono in grado di raggiungere gli scopi per cui furono costituite e se per
due anni non hanno depositato bilanci o non hanno compiuto atti di gestione.

In caso di irregolarità o di eccessivo ritardo nello svolgimento della liquidazione ordinaria di una
società cooperativa, l'autorità governativa può sostituire i liquidatori.

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La Società Europea è un nuovo tipo di società, predisposta dall’Unione Europea per offrire ad
imprese o gruppi di imprese operanti in più Stati Membri la possibilità di organizzarsi in una forma
giuridica regolata in modo uniforme in tutti gli ordinamenti nazionali comunitari.

La disciplina base della Società Europea è dettata dal regolamento comunitario 2157 del 2001 e per
le materie non disciplinate dal regolamento si fa riferimento alle disposizioni di legge emanate da
ciascuno Stato e in mancanza, alle norme generali sulle società per azioni.
Tramite la costituzione di una Società Europea, le società di capitali di Paesi diversi possono fondersi
oppure possono assoggettarsi ad una direzione unitaria, dando vita ad un gruppo in cui la Società
Europea assume il ruolo di controllante (SE holding), oppure possono creare una società controllata
in comune (SE affiliata).
La caratteristica della Società Europea è la relativa facilità di trasferimento della sede da uno Stato
all’altro dell’Unione che consente dunque di superare gli ostacoli frapposti dagli ordinamenti
nazionali alla libertà di stabilimento delle società straniere.

La Società Europea è una società per azioni, dotata di personalità giuridica, in cui ciascun socio
risponde delle obbligazioni sociali esclusivamente nei limiti del capitale sottoscritto.
Il capitale minimo è di 120mila euro. La Società Europea può essere costituita solo in 5 casi:

 quando si fondono società per azioni soggette alla legge di Stati membri differenti
 quando due o più S.p.A. o s.r.l. promuovono la costituzione di una Società Europea holding
al fine di sottoporsi ad una direzione unitaria
 quando due o più enti (anche non società) costituiscono una Società Europea controllata in
comune (SE affiliata)
 una Società Europea affiliata può essere costituita per atto unilaterale da parte di un’altra
Società Europea
 infine, la Società Europea può nascere dalla trasformazione di una S.p.A. costituita secondo
la legge di uno Stato membro, purché quest’ultima controlli da almeno due anni una società
soggetta alla legge di un altro ordinamento comunitario.

Il procedimento di costituzione è regolato dalle norme della società per azioni dello Stato in cui la
Società Europea stabilisce la sua sede e si conclude con l’iscrizione della società nel registro delle
imprese, con la quale acquista della personalità giuridica.
Nulla prevede infine il regolamento comunitario in merito ai conferimenti dei soci, che pertanto
restano soggetti alla disciplina degli ordinamenti nazionali.

La struttura interna della Società Europea si caratterizza per la necessaria presenza dell’assemblea
dei soci, ma è estremamente scarna la sua disciplina e sono infatti regolate dalle norme in tema di
assemblea della società per azioni dello stato in cui la Società Europea ha sede.
Le deliberazioni vengono prese di regola a maggioranza semplice dei voti, ma per le modificazioni
dello statuto è necessaria la maggioranza di almeno i 2/3 dei voti.

L’amministrazione della Società Europea può essere organizzata secondo il sistema dualistico
oppure secondo il sistema monistico. Il sistema dualistico prevede la presenza di un organo di
vigilanza e di un organo di direzione. L’organo di vigilanza esercita il controllo sulla gestione operata
dall’organo di direzione, mentre l’organo di direzione gestisce la società sotto la propria
responsabilità. Il sistema monistico prevede solo un organo di amministrazione, cui compete la
gestione della società.
I componenti degli organi dei sistemi dualistico e monistico restano in carica per il periodo stabilito
dallo statuto, che non può comunque superare i 6 anni, ma sono rieleggibili.
Non possono essere nominati i soggetti che la legge dello Stato della sede considera ineleggibili.

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Se non diversamente disposto dal regolamento o dallo statuto, gli organi della Società Europea sono
validamente costituiti quando è presente o rappresentata almeno la metà dei loro componenti, e
decidono a maggioranza semplice dei membri presenti o rappresentati.
La responsabilità dei componenti degli organi è disciplinata dalle corrispondenti disposizioni in tema
di società per azioni dello Stato dove ha sede la Società Europea.

La Società Europea si caratterizza per la necessaria presenza di forme di coinvolgimento dei


lavoratori nella gestione, disciplinata dalla Direttiva 86 del 2001che può tuttavia essere attuato in
forme molto diverse.
Può consistere nell’obbligo di consultare ed informare periodicamente un organo di rappresentanza
dei dipendenti oppure può arrivare fino al riconoscimento del potere di nomina da parte dei lavoratori
di alcuni componenti degli organi di gestione o di controllo della società.

Estremamente lacunosa è la restante disciplina della Società Europea che si limita a fare rinvio alla
disciplina in tema di società per azioni dello Stato della sede sociale per quanto riguarda lo
scioglimento e la liquidazione, nonché per lo stato di insolvenza e le procedure concorsuali.
La Società Europea possa si può trasformare in una società per azioni disciplinata dalla legge dello
Stato membro della sede sociale, ma non prima di due anni dalla registrazione e comunque dopo
l’approvazione del secondo bilancio d’esercizio.

Gli SPVS sono strumenti finalizzati, non ad obiettivi politici di interesse generale, ma alla
realizzazione di specifici affari, rispetto ai quali rappresentano il veicolo societario.

Gli SPV si compongono di elementi specifici volti ad adattare il modello generale di società prescelto
al singolo affare.
Non abbiamo nel nostro ordinamento una SPV (ogni società può esserlo) è un concetto prima
economico e poi giuridico.

La SPV si presenta come fulcro degli interessi coinvolti, e consente di conferire maggior trasparenza
al bilanciamento degli interessi in campo. Si tratta di un nuovo ente maggiormente idoneo ad isolare
i rischi, ed una maggiore bancabilità del progetto.
Il ricorso alla SPV, interagendo nel rapporto tra attività e organizzazione, proietta la costituzione di
un ente societario verso la soddisfazione di esigenze specifiche e verso l’incremento dei livelli di
efficienza del diritto.
Per un verso porta l’ambito giuridico di riferimento verso un contesto omogeneo europeo e verso un
contesto che valorizza il rapporto esistente tra attività e organizzazione, conferendo alla SPV quella
particolare funzione di individuare un centro di imputazione di interessi riferibili ad uno specifico
affare.

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Il finanziamento dell’impresa

Qualunque tipo di azienda anche la più sana può aver bisogno di ricorrere ad un finanziamento
diverso da quello costituito dai mezzi propri. Con il termine finanziamento tout-court si indica il
complesso delle operazioni mediante le quali si realizza la provvista dei mezzi finanziari, necessari
alla realizzazione degli investimenti e di norma alla costituzione e al funzionamento di un'impresa e
si realizza con il concorso di diverse fonti, interne ed esterne all'impresa.
A seconda della fonte della quale l'imprenditore attinge i fondi, si parla di autofinanziamento se
provengono dall'interno un'impresa e, di etero finanziamento se provengono da fonti esterne e cioè
da terzi.
L'autofinanziamento è in genere rappresentato dai capitali di rischio apportati dall'imprenditore, che
nell'impresa individuale consistono nel reinvestimento dal guadagno ottenuto, nell'impresa societaria
si realizza principalmente attraverso due canali: dai conferimenti iniziali dei soci e sulle operazioni
sul capitale sociale, che si concretano essenzialmente nell’aumento a pagamento del capitale
stesso.
Esistono forme di autofinanziamento riservate solo alcuni tipi di società come per le cooperative
abbiamo i soci sovventori, gli azionisti di partecipazione, i prestiti dei soci.
L’etero finanziamento si può realizzare attraverso il canale bancario e/o finanziario, attraverso
contratti di finanziamento non tipicamente bancari come il leasing, il factoring e il forfaiting, quello
che comprende tante operazioni che per la loro eterogeneità non sono raggruppabili in un'unica
categoria, i possibili incentivi previsti dalle leggi speciali, l'emissione di prestiti obbligazionari,
l'emissione dei titoli cosiddetti atipici o di altri titoli come le cambiali finanziarie.
Una forma di finanziamento anomala ma comunque praticata delle grandi imprese è quella che
consiste nella raccolta di depositi di soci, di dipendenti, di società controllate o collegate.

Le banche, l'attività bancaria e le regole prudenziali di Basilea 2

Il canale primario di finanziamento è quello bancario, nonché il recente sviluppo della


intermediazione finanziaria non bancaria.
Pertanto tutte le imprese si dovranno necessariamente confrontare con l’impresa bancaria, intesa
come attività congiunta di raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito.
Oggi, a differenza del passato, le banche possono operare congiuntamente nel breve e nel medio-
lungo termine per la cosiddetta despecializzazione temporale dell'esercizio del credito.
Il credito che la banca mette a disposizione del cliente per un certo periodo di tempo, trae origine
non soltanto dai mezzi propri, ma anche dalla raccolta di fondi che la banca ha effettuato presso il
pubblico, divenendo così debitrice nei confronti dei propri depositanti, ed è un’operazione
denominata passiva. In generale il rischio che la banca corre nella concessione del credito e in
generale nella gestione del risparmio raccolto non si trasferisce di solito sul cliente.
È evidente il rischio che comporta l'attività bancaria, dato dalla correlazione tra la raccolta e gli
impieghi, ovvero l'esercizio del credito. Pertanto è necessario il mantenimento di una proporzione
fra il patrimonio della banca e l'ammontare complessivo degli affidamenti, anche in funzione delle
caratteristiche di durata delle operazioni attive e passive a cui è abilitata l'impresa bancaria.
Per garantire il rispetto degli interessi pubblicistici alla stabilità del sistema, la banca d'Italia, quale
autorità di vigilanza, dispone di penetranti poteri di regolamentazione e di sorveglianza, volti ad
assicurare una sana e prudente gestione per garantire sia la efficienza che la stabilità aziendale
delle banche, imponendo l'osservanza di requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito, secondo
il metodo dei rating interni stabiliti dalla disciplina prudenziale approvata a livello internazionale, dal
comitato di Basilea la cosiddetta Basilea 2 e 3. Le banche devono essere dotate di un patrimonio

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Redatto da Daniele Di Vico
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detto di vigilanza, sufficiente a coprire le perdite attese e quelle inattese riconducibili alla gestione
dei crediti, in relazione al grado di rischio assunto ed idoneo a remunerare congruamente il capitale
conferito dai soci della stessa banca.

Solo alla banca è consentita la raccolta del risparmio tra il pubblico che consiste nell'acquisizione di
fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di deposito che di altre forma; più in particolare alle
sole banche è riservata la raccolta di fondi a vista ed ogni forma di raccolta collegata all'emissione
o alla gestione dei mezzi di pagamento a spendibilità generalizzata.
La banca assume l'obbligo di restituire le somme ricevute e questo obbligo di rimborso caratterizza
e qualifica la raccolta bancaria e la distingue da quella consentita anche alle imprese non bancarie.
La raccolta del risparmio avviene tra il pubblico ed è rivolta ad una pluralità di soggetti non
predeterminati.
La delibera del CICR precisa che non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico quella svolta
in connessione con l'emissione di moneta elettronica, presso i soci, dipendenti o società del gruppo,
e sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti.

Le banche esercitano oltre all'attività bancaria, ogni altra attività finanziaria secondo la disciplina
propria di ciascuna, nonché le attività connesse e strumentali.
Per attività connesse si intendono tutte quelle attività non finanziarie che creando occasioni di
contatto con il pubblico, consentono le banche di sviluppare e promuovere l'attività principale come
ad esempio la locazione di cassette di sicurezza.
Le banche possono raccogliere il risparmio anche attraverso l'emissione di strumenti finanziari come
le obbligazioni ed altre attività quali factoring, leasing e forfaiting, emissione e gestione di carte di
credito e così via. Le attività finanziarie possono essere svolte dalle banche sia direttamente che
attraverso la costituzione di autonome società assumendo così la struttura del gruppo
polifunzionale.
Al fine di evitare commistioni tra attività finanziarie ed industriali, le banche devono avere un oggetto
sociale esclusivo e cioè lo statuto deve contenere l'espressa previsione dell'attività bancaria ed
eventualmente di una o più attività finanziarie, ma non può prevedere altre attività.

Gli intermediari finanziari non bancari

Nel testo unico bancario sono disciplinati gli intermediari finanziari non bancari e il diverso regime è
in funzione del diverso grado di pericolosità per gli interessi generali tutelati.
Il tub definisce intermediari finanziari i soggetti iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 106 e dispone
che l'esercizio nei confronti del pubblico delle attività di assunzione di partecipazione, di concessione
di finanziamenti sotto qualsiasi forma, è riservato a intermediari finanziari iscritti in un apposito
elenco tenuto presso UIC, le cui funzioni sono state trasferite presso la banca d'Italia.
La banca d'Italia ha assunto ogni attività relativa alla gestione e alle verifiche degli Albi e degli elenchi
degli intermediari finanziari ex articolo 106 del tub.
Gli intermediari finanziari sono tenuti all'iscrizione anche in un elenco speciale tenuto presso la
banca d'Italia in presenza di particolari requisiti riferibili all'attività svolta e alla dimensione e al
rapporto tra indebitamento e patrimonio articolo 107 del tub.
L'articolo 106 prevede un controllo una tantum dei requisiti minimali richiesti per l'iscrizione ed una
limitata vigilanza di tipo formale a carattere informativo; l'articolo 107 assoggetta gli intermediari
inseriti in questo elenco alla vigilanza prudenziale della Banca d'Italia, cioè hanno una serie di
controlli anche funzionali, e si tratta di interventi più esigenti, volti ad assicurare stabilità ed efficienza
al soggetto vigilato, con intensità paragonabile a quelle previste per le banche. Interventi che
comportano come contropartita, la possibilità per questi intermediari di raccogliere entro certi limiti il
risparmio tra il pubblico, ferma l'esclusione della raccolta a vista o a spendibilità generalizzata.

Vigilanza e disciplina della crisi

La banca è un'impresa privata non diversa dalle altre soprattutto se è quotata in borsa, mentre il
credito rimane un bene pubblico che racchiude in sé una natura pubblica, poiché risponde non solo
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Redatto da Daniele Di Vico
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alle esigenze di attribuire valore agli azionisti, ma sostiene lo sviluppo economico attraverso il credito
e pertanto bisogna che siano rispettati gli obiettivi di redditività che di sana e prudente gestione.
Alla Banca d'Italia compete la vigilanza delle banche e degli intermediari finanziari. La banca d'Italia
disciplina anche le forme tecniche dei bilanci di esercizio e consolidati delle banche.
La banca d'Italia, In conformità con le deliberazioni del cicr, emana disposizioni di carattere generale
aventi ad oggetto: l'adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio nelle sue diverse
configurazioni, le partecipazioni detenibili, l'organizzazione amministrativa e contabile e i controlli
interni, l'informativa da rendere al pubblico e quindi la vigilanza regolamentare. Le banche devono
inviare alla Banca d'Italia i bilanci, le segnalazioni periodiche e ogni altro documento richiesto che
rientra nella vigilanza informativa.

La banca d'Italia Inoltre può convocare gli amministratori, i sindaci e i dirigenti delle banche per
esaminare la situazione, può ordinare la convocazione degli organi collegiali, fissa l'ordine del giorno
e proporre l'assunzione di determinate decisioni, può procedere direttamente alla convocazione
degli organi collegiali qualora non abbiano ottemperato a quanto richiesto, può adottare
provvedimenti specifici nei confronti di singole banche, e il divieto di effettuare determinate
operazioni, anche di natura societaria, di distribuzione di utili o di altri elementi del patrimonio. La
banca d’Italia può effettuare ispezioni e richiedere l'esibizione di documenti e degli atti che ritenga
necessari e rientra nella vigilanza ispettiva.
Se la banca è partecipata per almeno per il 20% da società appartenenti ad un gruppo bancario o
da una singola banca, la disciplina si estende anche ai soggetti non ricompresi nell'ambito del gruppo
creditizio.
Le banche aventi sede legale e amministrativa in un altro stato comunitario, sono ammesse ad
operare in Italia in regime di mutuo riconoscimento a seguito di una semplice comunicazione da
parte dell'autorità di vigilanza del paese d'origine, restando soggetti ai controlli di natura prudenziale
vigenti nel proprio paese d'origine per il principio della home Country Control.

La Consob e la banca d'Italia esercitano una vigilanza continua agli intermediari, la prima per quanto
riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti, la seconda per il contenimento del
rischio e la stabilità patrimoniale.
La banca d'Italia può sciogliere con decreto gli organi di amministrazione e controllo delle banche
nei casi in cui risultino gravi irregolarità nell'amministrazione, o gravi violazioni legislative,
amministrative o statutarie, e nel caso di gravi perdite patrimonio e quando il provvedimento è
richiesto dall'Assemblea straordinaria. Con l'assunzione di tali provvedimenti, si ha la nomina di
commissari straordinari e di un comitato di sorveglianza che eserciti poteri e funzioni di controllo e
consultive a favore dei commissari. Qualora le irregolarità o le violazioni o le perdite del patrimonio
sono di eccezionale gravità, può essere disposta la revoca dell'autorizzazione dell'attività bancaria
e la liquidazione coatta amministrativa.
In presenza di uno stato di dissesto, anche solo prospettico, occorre valutare se è possibile avviare
la liquidazione coatta amministrativa o se è possibile avviare la procedura di risoluzione.
La risoluzione è disposta dalla banca d'Italia in presenza dell'accertamento dell'interesse pubblico,
in modo da assicurare la continuità delle funzioni essenziali della banca, la stabilità del sistema, la
tutela dei depositanti. In caso di crisi irreversibile deve essere avviata la liquidazione coatta
amministrativa.

La tutela dei risparmiatori e la direttiva Mifid

Per una maggior tutela dei clienti, special modo se inesperti, sono previsti obblighi di informazione
e pubblicità relative alle condizioni contrattuali per i servizi bancari e finanziari, e regole di
comportamento improntate ai criteri di trasparenza, correttezza e diligenza nei casi di investimento.
La consulenza in materia di investimenti deve essere caratterizzata dalla correttezza ed affidabilità
degli operatori e dalla trasparenza delle condizioni relative alle operazioni che si svolgono e deve
essere personalizzata e basata tenendo conto delle caratteristiche del cliente in modo da adottare

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le idonee misure per evitare che siano lesi gli interessi del cliente e che lo stesso sia in grado di
comprendere le caratteristiche salienti dell'operazione e la misura del rischio.
L'intermediario deve tutelare l'interesse del cliente, superando i conflitti di interesse che
l'intermediario stesso possa venirsi a trovare a seguito di un congiunto esercizio di servizi di
investimento.
La sanzione per l'inadempimento da parte degli intermediari ai propri doveri di comportamento,
consente all'investitore di conseguire il rimborso del denaro investito.

Il legislatore utilizza l'espressione mercato anche per individuare le organizzazioni che prestano una
serie di servizi diretti a ridurre i costi delle transazioni nella negoziazione degli strumenti finanziari.
Tali organizzazioni rendono più facile l'incontro tra domanda e offerta, danno certezza delle regole
di negoziazione, accrescono la liquidità degli strumenti finanziari negoziati, rendono o posso rendere
più sicura l'esecuzione dei contratti e quindi riducono i costi di transazione.
Gli operatori possono dar vita spontaneamente a tali organizzazioni e il legislatore può mantenere
una posizione di indifferenza, lasciando la disciplina alle norme di diritto comune, ma può succedere
che per alcune possa essere previsto uno statuto speciale, sottoponendole al controllo della pubblica
autorità.
In quest'ultima ipotesi saremo in presenza di un mercato regolamentato, mentre nella precedente di
un mercato non regolamentato, sempre che questa eventualità non si è esclusa dall'ordinamento.
Il modello di mercato adottato dalla riforma introdotta nel 1996 è quello del mercato-impresa, che è
creato per iniziativa dell'autonomia privata, ma sottoposto ad autorizzazione e controllo pubblico,
ossia un modello di mercato privato regolamentato.

L'organizzazione e la gestione dei mercati regolamentati

L'organizzazione e la gestione dei mercati regolamentati è riservata a società per azioni che devono
essere dotate delle risorse finanziarie indicate dalla Consob purché i soggetti che svolgono le
funzioni di amministrazione, direzione e controllo della società posseggano i requisiti di onorabilità
e di professionalità fissati dal Ministro dell'Economia e delle Finanze.
La società di gestione del mercato, può essere anche senza scopo di lucro ma deve possedere un
oggetto esclusivo, in quanto non puoi esercitare alcuna attività che non sia connessa o strumentale
all'organizzazione e alla gestione di uno o più mercati.
La società deve prevedere un programma per la propria attività che costituisce il contenuto del
regolamento. Il regolamento del mercato, pur potendo essere considerato un atto di
amministrazione, deve essere deliberato dall'Assemblea ordinaria della società di gestione ed è
consentito attribuire con il regolamento, il potere di dettare norme di attuazione al consiglio di
amministrazione.
Le norme che regolano il funzionamento del mercato sono norme di diritto privato, così come lo sono
i rapporti che si instaurano tra le società di gestione, gli intermediari e gli emittenti.
La Consob autorizza l'esercizio dei mercati regolamentati quando la società di gestione possiede i
requisiti e il regolamento è conforme alla disciplina comunitaria ed è idoneo ad assicurare la
trasparenza del mercato, l'ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela dell'investitore.

La Consob iscrive il mercato nell'elenco dei mercati autorizzati allo scopo di consentire alla società
di gestione di avvalersi del diritto al mutuo riconoscimento e da quel momento diverrà un mercato
comunitario riconosciuto.
La società di gestione è un imprenditore che fornisce agli intermediari ed emittenti servizi di mercato
perseguendo fini lucrativi o consortili, che incontra i limiti che sono posti a tutela degli interessi
generali, ma non la trasforma in un'impresa-funzione, che persegue un interesse generale.
La Consob ha poteri di vigilanza anche sulla società di gestione mercato, ma non si instaura un
rapporto di sovraordinazione con potere di direttiva, almeno per quanto riguarda il potere di vigilanza.

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La Consob esercita un controllo sul mercato e sulla società di gestione allo scopo di accertare che
le regole che disciplinano il mercato siano osservate e che la società di gestione svolga le proprie
funzioni.
Si è introdotto così un regime di audit self-regulation, nel quale la self-regulation della società di
gestione è sottoposta a controllo e verifica della parte della Consob, ma senza che la società di
gestione sia un'articolazione della Consob stessa. La Consob in caso di necessità ed urgenza, può
anche sostituirsi alla società di gestione.

La società di gestione di un mercato regolamentato è sottoposta alle procedure concorsuali di diritto


comune e i relativi provvedimenti del tribunale sono comunicati entro 3 giorni alla Consob. Il
legislatore non ha ritenuto necessario sottoporre a liquidazione coatta la società di gestione perché
la sua insolvenza non dovrebbe mettere in pericolo i diritti degli intermediari e la continuità delle
negoziazioni.
Essenziali per il corretto funzionamento di un mercato regolamentato sono i servizi di
compensazione e liquidazione delle operazioni. Con la compensazione si riducono drasticamente le
operazioni materiali che sarebbero necessarie per pareggiare tutte le posizioni che ciascun
negoziatore ha gli altri negoziatori, con la liquidazione si consente di rendere uniformi le modalità di
esecuzione dei contratti.

Di evidente rilevanza per il funzionamento di un mercato è la gestione accentrata che consente di


dare esecuzione alle negoziazioni senza il trasferimento materiale dei titoli e attraverso la semplice
annotazione dei trasferimenti sulle scritture contabili del depositario centrale.
Le regole che disciplinano i rapporti fra emittenti, risparmiatori e società di gestione accentrata
cambiano a seconda che si tratti di strumenti finanziari non dematerializzati o dematerializzati.
Gli strumenti finanziari non dematerializzati, vengono depositati presso banche o imprese di
investimento con l'autorizzazione a sub depositare gli stessi presso la società di gestione accentrata
in regime di deposito regolare che non passano in proprietà della società di gestione, anche se il
deposito assume le caratteristiche del deposito alla rinfusa e quindi il diritto di proprietà del singolo
depositante si trasforma in una frazione della massa dei titoli. Il sub deposito a favore della società
di gestione avviene tramite girata; la società di gestione accentrata per ogni emittente accende un
conto.
La società di gestione accentrata deve rilasciare le certificazioni attestanti i diritti che il depositante
vanta sui titoli immessi nel deposito accentrato, come necessario per partecipare all’assemblea.

La dematerializzazione incide profondamente sull'attività di gestione accentrata. Per ciascuna


emissione di strumenti finanziari soggetti a dematerializzazione, deve essere scelta un'unica società
di gestione accentrata, presso la quale ciascun intermediario accende un conto; Il trasferimento
degli strumenti finanziari avviene attraverso l’annotazione del trasferimento dal conto dell'alienante
a quello dell'acquirente.
L'intestazione del conto attribuisce una posizione analoga a quella che compete al soggetto
legittimato di esercitare i diritti incorporati in un titolo di credito. Ed anche sotto il profilo dell'acquisto
del diritto colui che ha ottenuto la registrazione in suo favore in base a un titolo idoneo e in buona
fede, non è soggetto a pretese o azioni da parte dei precedenti titolari. L'emittente può opporre
soltanto le eccezioni personali e quelle comuni a tutti gli altri titolari degli stessi diritti.

La Direttiva Mifid n. 164 del 2007 ha cancellato la nozione di mercato non regolamentato ed
ha disciplinato due sistemi: i sistemi multilaterali di negoziazione e gli internalizzatori sistematici.

Nei sistemi multilaterali di negoziazione si consente l'incontro di proposte di vendita e di acquisto,


senza che l'intermediario diventi parte dei relativi contratti ed è subordinato all'autorizzazione della
Consob, ove l'adeguata trasparenza delle negoziazioni, consente l’efficacia del processo di
formazione dei prezzi.

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Per internalizzatore sistematico si intende l'impresa di investimento che in modo organizzato,


frequente e sistematico negozia per proprio conto eseguendo gli ordini dei clienti al di fuori di un
mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione.

La regione che giustifica il controllo pubblico deriva dalla pericolosità dei prodotti finanziari e nella
essenzialità del mercato mobiliare per la collocazione del risparmio e, quindi, per il finanziamento
efficiente dell'economia. Ci si è resi conto dell'incapacità del mercato di assicurare l’ottima
combinazione di efficienza e di stabilità, pertanto deve essere favorita attraverso controlli pubblici
che consentano ai risparmiatori una completa informazione sulle possibili alternative per l'impiego
del risparmio e che impongono all'intermediario regole di gestione e di comportamento necessarie
per assicurare un corretto svolgimento dell'attività.

I poteri di controllo sul mercato mobiliare sono riservati, essenzialmente al ministro dell'economia,
alla Banca d'Italia e alla Consob, nonché per i mercati regolamentati, alla società di gestione dei
mercati.
I poteri attribuiti al ministro dell'economia si possono distinguere in: poteri che il ministro ha nei
confronti della Consob e poteri che gli competono in base alle attività degli operatori del mercato. Il
ministro dell'economia non ha alcun potere di direzione nei confronti della Consob.
Al ministro spettano i poteri normativi nei confronti della società di gestione dei fondi comuni, delle
Sicav, delle società di intermediazione mobiliare e delle società di gestione dei mercati
regolamentati; oltre ai poteri autorizzatori e sanzionatori nei confronti delle società di gestione dei
mercati regolamentati.
Assume un particolare valore la norma che consente al ministro di ampliare il catalogo delle attività
sottratte alla libera iniziativa degli operatori.

Alla Banca d'Italia è negato ogni potere sulle operazioni di pubblico risparmio, mentre sono attribuiti
poteri normativi e di vigilanza sulle società di gestione dei fondi comuni e Sicav, sulle SIM e sulle
banche, per quanto concerne lo svolgimento dei servizi di investimento, oltre che sui sistemi di
indennizzo ai risparmiatori da parte degli istituti.
I limitatissimi poteri di controllo che ha sui mercati regolamentati, sono relativi ai poteri di
liquidazione, compensazione e garanzia delle operazioni.
I poteri normativi e di controllo della banca d'Italia sugli investitori istituzionali e sulle imprese di
investimento, concorrono con quelli attribuiti sugli stessi soggetti e sulle stesse attività, alla Consob.
Quindi alla Banca d'Italia spetta l'obiettivo della stabilità degli intermediari attraverso una gestione
sana e prudente.
La Consob esercita una vigilanza esclusiva sulle operazioni di appello al pubblico risparmio avendo
riguardo alla tutela degli investitori nonché all'efficienza e alla trasparenza del Mercato. Le
competenze della Consob sono concentrate sulla osservanza di obblighi di informazione e di
correttezza.
Pressoché esclusiva è la vigilanza della Consob sui mercati regolamentati, sulle società di gestione,
sugli intermediari e sugli emittenti e in particolare sulle informazioni che devono essere fornite al
pubblico. Esclusiva, nel senso che la banca d'Italia non ha un ruolo rilevante nella vigilanza dei
mercati regolamentati.

La Consob come la Banca d’Italia, fa parte del SEVIF che è il sistema europeo di vigilanza finanziaria
che ha il compito di assicurare che le norme comunitarie vengono interpretate ed applicate in modo
uniforme nei vari paesi dell'Unione.

La Consob nasce nel 1974, come una struttura riconducibile all'apparato politico-amministrativo,
anche se dotata di una accentuata autonomia organizzativa e funzionale. Per il funzionamento e
l'organizzazione della commissione, i regolamenti potevano essere deliberati dalla commissione
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stessa, ma poi approvati dal governo. Pertanto la possibilità di collocare la Consob tra le autorità
indipendenti era esclusa.
Con la modifica viene stabilito che la Consob ha una personalità giuridica di diritto pubblico e piena
autonomia nei limiti stabiliti dalla legge. Oggi è dotata sia di autonomia organizzativa e sia di una
parziale autonomia finanziaria e soprattutto funzionale e comporta che tutti gli atti compiuti sono
imputabili esclusivamente ad essa e non allo Stato.
Nonostante alcuni tratti della sua organizzazione come la nomina dei commissari e del presidente
rilevano ancora qualche dipendenza dal governo si può dire che oggi la Consob è un'autorità
indipendente.
La commissione è composta da un presidente e da 4 commissari, nominati dal Presidente della
Repubblica su proposta del presidente del consiglio, previa delibera del Consiglio dei Ministri, scelti
tra persone di specifica e comprovata competenza ed esperienza e di indiscussa moralità e
indipendenza. La durata in carica è elevata a 7 anni non rinnovabili.

L'autonomia riconosciuta alla Consob, si estende anche nei confronti del governo e si
risolve nell'assenza di un qualsiasi rapporto di subordinazione o di potere di direzione da parte del
governo in riferimento all'esercizio delle sue funzioni. Tuttavia, esiste un collegamento fra la Consob
e Governo e più esattamente: il presidente della Consob informa il ministro dell'economia sugli atti
e sugli eventi di maggiore rilievo e trasmette i dati e le notizie di volta in volta richiesti e il ministro
dell'economia può formulare le proprie valutazioni alla commissione, informando il Parlamento. Poi
il ministro informa il parlamento degli atti e degli eventi di maggior rilievo dei quali abbia avuto notizia
quando le ritiene rilevanti al fine del corretto funzionamento del mercato.
La commissione entro il 31 marzo di ciascun anno trasmette al ministro dell'economia una relazione
sull'attività svolta, sulle questioni in corso e sugli indirizzi e le linee programmatiche che intende
perseguire e il ministro trasmette la relazione al parlamento con le proprie valutazioni.
La legge si preoccupa di stabilire un flusso informativo tra la Consob e ministro dell'economia, che
può comprendere anche delle valutazioni da parte del ministro stesso.

La Consob svolge nei confronti degli operatori e delle attività di mercato, funzioni normative, di
vigilanza e di amministrazione.
La funzione normativa viene espressa attraverso l'emanazione di regolamenti.
Le funzioni di controllo della Consob sono atte ad assicurare il rispetto delle regole, dettate dalla
legge e dalla Consob stessa, alle quali si devono attenere gli emittenti e gli operatori del mercato.
Sono regole che essenzialmente impongono ad emittenti ed operatori di fare affluire al mercato le
informazioni dovute e di osservare particolari codici di comportamento.
La Consob ha anche funzione di amministrazione, nell'ambito del mercato mobiliare, contribuendo
all'organizzazione dello stesso. Rilascia il nulla osta per la pubblicazione del prospetto informativo
per l'offerta al pubblico di prodotti finanziari e autorizza l'esercizio dei servizi di investimento da parte
delle SIM.

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Il titolo di credito è uno strumento che favorisce la smobilizzazione dei diritti di credito, tutelando
l'acquirente contro i rischi insiti della cessione.
Viene estesa alla circolazione dei crediti la disciplina della circolazione delle cose mobili, che
garantisce all'acquirente possessore di buona fede, la titolarità del bene anche in difetto della
stessa dell'alienante, a condizione che ci sia stata buona fede al momento della consegna e che
esisteva un titolo idoneo al trasferimento, con la prevalenza nel conflitto tra più acquirenti dello
stesso bene, mentre per l'esercizio del diritto di proprietà è svincolato dalla prova dell'acquisto,
grazie alla tutela possessoria.

Ciò avviene, attraverso un particolare collegamento detto di incorporazione, tra la titolarità del
credito e la proprietà di un documento, ed è proprio questo che diventa il veicolo necessario per la
nascita e la circolazione del diritto.
La spiegazione del fenomeno si trova nella nascita del cosiddetto credito cartolare, che trae origine
da una dichiarazione unilaterale di effettuare una data prestazione a chi lo presenterà al debitore.

Il credito cartolare è caratterizzato dalla letteralità ed autonomia. Per letteralità si intende che le
risultanze del documento segnano i limiti della pretesa azionabile dal portatore. Si può configurare
come letteralità diretta, quando il documento contiene tutti gli elementi atti a individuare il contenuto
della pretesa, oppure come letteralità indiretta quando rimanda ad altri documenti, purché soggetti
a pubblicità legale o comunque di facile accessibilità.

Per autonomia si intende l'indipendenza della posizione di ciascun portatore del titolo rispetto a
portatore precedente, in quanto l’acquisto del diritto cartolare avviene sempre a titolo originario.

Il rilascio del titolo di credito non ha effetto novativo rispetto al credito del quale mira a favorire la
circolazione. Al debitore fanno capo due rapporti obbligatori: un rapporto detto fondamentale o
causale derivante dalla relazione intercorrente tra i sottoscrittori del documento e il primo prenditore,
e un rapporto cartolare che scaturisce dal rilascio del titolo, differenziato per la fonte, per il
contenuto e per l'individuazione del creditore.
I due rapporti coincidono solo in capo al primo prenditore e con la spendita del titolo divergono.
Per evitare che il debitore possa essere esposto al rischio di un doppio pagamento, viene
subordinato alla restituzione del documento.
I titoli di credito si dividono in causali ed astratti. La distinzione consiste nel fatto che per titoli i causali
si può far riferimento alla disciplina legale del rapporto fondamentale, mentre per i titoli astratti ci può
essere un’ampia gamma indefinita di relazioni tipiche.

Con la legittimazione attiva si attribuisce al possessore del documento il diritto della prestazione
indicata, mediante la presentazione del titolo.
La legittimazione passiva è quando il debitore cartolare è liberato se adempie la prestazione nelle
mani del portatore, anche se questi non è titolare per diritto, a meno che non sia in dolo o colpa
grave. Rappresenta un mezzo per facilitare l'esercizio del diritto cartolare, riversando sul debitore
l'onere di provare che il credito non spetta al portatore del titolo.

Le eccezioni reali

Le eccezioni reali, sono elencate tassativamente nell'articolo 1993 e sono: le eccezioni di forma, le
eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo, l'eccezione di falsità della firma, l'eccezione di
difetto di capacità, l'eccezione del difetto della rappresentanza, e l'eccezione di mancanza delle
condizioni necessarie per l'esercizio dell'azione.

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L'eccezione di forma si riferisce al determinato contenuto che alcuni titoli, detti formali, devono
possedere.
Le eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo, si riferisce non solo alle ipotesi di divergenza
tra il contenuto testuale del titolo e la pretesa avanzata dal portatore, ma consente di ricomprendere
anche tutte le ipotesi di invalidità e/o inefficacia dell’obbligazione derivante dai principi generali a
condizione che trovino il loro fondamento in dati rilevabili dalla lettura del documento.
L'eccezione di falsità della firma non va intesa nel significato comune di falsificazione, ma nel
senso più lato di non riferibilità psicologica del sottoscrittore.
L'eccezione del difetto di capacità si riferisce a tutte le ipotesi di esclusione o limitazione della
capacità legale contemplate dal diritto comune. Non si riferisce invece al difetto di capacità
naturale che non è rilevabile dei pubblici registri e quindi sarà opponibile solo al primo prenditore.
L'eccezione del difetto di rappresentanza può essere sanata con l'eventuale ratifica da parte del
soggetto il cui nome è speso nel titolo.
L'eccezione di mancanza delle condizioni necessarie per l'esercizio dell'azione allude a tutte
le ipotesi in cui la legge, o l'autonomia privata, condizioni l’esercizio del diritto cartolare
all'adempimento di determinate formalità o al verificarsi di certi eventi.

Le eccezioni personali

Le eccezioni personali sono quelle opponibili solo ad un determinato portatore ed abbiamo


l'eccezione del difetto di titolarità, ossia la mancanza della qualità di proprietario del documento.
Il difetto di titolarità può determinarsi nel caso in cui il portatore è entrato in possesso del titolo senza
un contratto di rilascio o in base a un contratto nullo o annullato; dal difetto di proprietà del
precedente possessore, salva la buona fede del portatore attuale acquirente a non domino;
nell'avere il portatore trasferito ad altri la proprietà pur conservando il possesso; nel caso in cui la
proprietà del titolo è stata acquistata da un terzo possessore di buona fede e pervenga una richiesta
di pagamento da parte dell’ex possessore in virtù di un decreto di ammortamento.
Normalmente le eccezioni personali fondate sui rapporti personali sono opponibili al portatore con il
quale è intercorso il rapporto personale che ne costituisce il fondamento, in modo eccezionale si
propagano anche al portatore successivo qualora si agisca intenzionalmente per danneggiare Il
debitore al momento dell'acquisto del titolo. Tale formula va intesa come un atteggiamento
psicologico di proprio di vero e proprio dolo, e precisamente ad una collusione con il portatore
precedente.

La formazione del titolo di credito

Il titolo nasce con la sottoscrizione del documento che deve essere autografa e, non occorre che la
firma sia leggibile, essendo sufficiente un segno grafico che consenta di risalire all'identità del
sottoscrittore.
Il testo può essere sia scritto a macchina o anche da un terzo. Se la stesura totale o il completamento
del testo sono affidati al portatore del titolo, si ha il fenomeno del titolo in bianco e al terzo
acquirente in buona fede non può essere opponibile la violazione degli accordi.
La sottoscrizione del titolo in caso di incapacità legale, sia totale che parziale, dovrà avvenire
facendo ricorso ai meccanismi prescritti dal diritto comune per la sostituzione o l'integrazione della
volontà del soggetto incapace.
La sottoscrizione del titolo a mezzo di rappresentante, deve avvenire attraverso la spendita del nome
del rappresentato, che deve risultare dal testo cartolare.
Se la sottoscrizione del titolo è connessa ad un'operazione intervenuta con soggetti determinati si
parla di titoli individuali che sono caratterizzati dal carattere di infungibilità, mentre se un'operazione
è intervenuta con la massa del pubblico dei risparmiatori, si hanno in questo caso dei titoli di massa
caratterizzati dalla fungibilità, dato che ciascuno di essi rappresenta una frazione matematica della
massa unitaria.
I requisiti di validità di un titolo di credito sono:

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la riferibilità psicologica della sottoscrizione al soggetto che figura sul documento, e in


mancanza si ha la nullità dell'obbligazione;
la capacità legale del sottoscrittore al momento dell'emissione, la cui mancanza è sanzionata
dalla annullabilità;
l'esistenza di un conforme potere di rappresentanza al momento dell'emissione che in
mancanza si ha l'inefficacia dell'obbligazione che è sanabile mediante ratifica;
la deducibilità del contesto originario del documento ravvisabile nel contenuto
dell'obbligazione cartolare, lui mancanza comporta l'inesistenza;
la possibilità, determinatezza o determinabilità, liceità della prestazione, la cui mancanza dà
luogo alla nullità;
in caso di titoli formali, il mancato rispetto delle indicazioni determinate, comporta la nullità
dell'obbligazione.

Il diritto cartolare può essere composto da titoli di credito semplici o complessi, a seconda che il
portatore abbia diritto ad una prestazione determinata idonea a soddisfare un unico interesse,
oppure atto a soddisfare una pluralità di pretese, corrispondenti a più interessi. La differenza consiste
nel fatto che per i titoli di credito semplici è possibile un adempimento con la contestuale restituzione
del documento, mentre per i titoli complessi la restituzione del titolo potrà avvenire solo quando tutte
le pretese sono state soddisfatte.
I titoli complessi sono caratterizzati da una pretesa principale e da pretese accessorie e il
trasferimento del titolo comprende anche i diritti accessori che sono inerenti.

La circolazione del titolo di credito

La circolazione del titolo di credito può essere volontaria, se è fondata su un valido contratto di
rilascio e comporta l'acquisto sia della proprietà del documento che il possesso e quindi la
legittimazione, oppure, può essere involontaria se manca un valido contratto di rilascio in tal caso
comporta l’acquisto del solo possesso e quindi della sola legittimazione.
Anche la circolazione successiva può assumere carattere volontario o involontario a seconda se sia
accompagnata o meno da un valido contratto di trasmissione del titolo.
Nella circolazione involontaria la proprietà del titolo rimane al vecchio portatore e invece il possesso
qualificato passa a nuovo possessore, ma tale situazione non si perpetua all'infinito se un terzo di
buona fede, ossia ignaro del difetto di proprietà dell'alienante, acquista il possesso del titolo In
conformità della legge di circolazione in base ad un contratto valido sotto ogni aspetto. La buona
fede è presunta fino a prova contraria.
La circolazione impropria, si verifica non solo nelle ipotesi in cui le parti espressamente dichiarano
di volere questo effetto, ma anche nel caso di acquisto di un titolo all’ordine con un mezzo diverso
dalla girata e produce gli effetti della cessione, come nel caso della successione ereditaria.
Il fenomeno della circolazione impropria non si può verificare per i titoli al portatore e per i titoli
all'ordine girati in bianco, per i quali l'attribuzione della legittimazione cartolare coincide con il
possesso materiale del titolo.

Per titolo al portatore si intende quel titolo di credito la cui legittimazione all'esercizio del diritto
cartolare è data dalla pura e semplice detenzione materiale del documento, come si desume
dall'articolo 2003.
Per il trasferimento della legittimazione è sufficiente la mera consegna del titolo. Per la qualificazione
di un titolo di credito al portatore è sufficiente la mancanza di un nominativo e anche nel caso rechi
l'intestazione di un nome, resta al portatore se c'è un'apposita clausola, con un esempio pagabile al
portatore, che esclude la rilevanza dell'intestazione all'esercizio del diritto.
La libertà dell'autonomia privata alla creazione di titoli atipici, di libertà di emissione, trova per il titolo
al portatore, il limite nell'articolo 2004 che sancisce il divieto di emettere titoli atipici al portatore
avente oggetto il pagamento di una somma di denaro, pena la nullità, in modo di evitare la
formazione di documenti, che per la loro facile circolazione, siano suscettibili di fare concorrenza
alla moneta legale, escludendo, le ipotesi in cui il pagamento di una somma di denaro non costituisca
l'oggetto esclusivo della promessa, ovvero non sia esigibile a vista o abbia un carattere condizionato.
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Il titolo di credito all'ordine, è quel titolo che reca all'atto dell'emissione, l'intestazione di una
determinata persona e la possibilità di pretendere la prestazione è condizionata all’accertamento del
soggetto possessore del documento. L'indicazione nominativa è variabile mediante girata. La girata
trasferisce tutti i diritti inerenti al titolo e costituisce un ordine impartito dal portatore (girante) al
debitore di effettuare la prestazione indicata sul titolo a favore di un altro soggetto (il giratario) ordine
vincolante per Il debitore.
Normalmente la girata contiene anche l'indicazione del giratario e in tal caso si parla di girata in
pieno, ma tuttavia non è indispensabile e allora si parla di girata in bianco, rappresentata della
semplice firma del girante.
La girata unita alla consegna del titolo è idonea ad attribuire al giratario la legittimazione cartolare
nel caso provenga dall'intestatario originario; se invece le girate sono più di una occorre che
ciascuna si inserisca in una serie continua. La ratio è quella di rendere ricostruibile, dalla lettera del
documento, l’esistenza di una catena di trasferimenti. Il trattario è tenuto ad accertare la regolare
continuità delle girate, ma non a verificare l'autenticità delle firme.

La legge prevede due forme di girate speciali che limitano in vario modo la posizione del giratario:
La girata per l'incasso, attribuisce al giratario la legittimazione attiva non come espressione di un
diritto autonomo, ma come un mero mandato ad incassare in nome e per conto del portatore
precedente e ne consegue può girare il titolo solo per l'incasso e a lui sono opponibili le eccezioni
personali al girante e non quelle fondate sui rapporti personali con Il debitore.

La girata a titolo di pegno, attribuisce una legittimazione a riscuotere in via primaria, e quindi in
una posizione di autonomia rispetto ai rapporti intercorsi tra debitore e il girante.

I titoli nominativi

I titoli nominativi sono caratterizzati dal fatto che la loro intestazione non risulta solo dal documento,
ma anche dal registro tenuto dal debitore, in modo che la legittimazione cartolare è data dalla
coincidenza tra l'identità del portatore e il nome che risulta dal registro.
Il trasferimento della legittimazione, implica una modifica del registro e quindi, è necessaria la
collaborazione obbligatoria del debitore che devi iscrivere il nuovo portatore.
Il cambiamento dell’intestazione si chiama trasfert e può essere richiesto sia dall’alienante che
dell'acquirente.
Se la richiesta del trasfert è fatta dall'alienante deve essere accompagnata, oltre dall'esibizione del
titolo, da una certificazione rilasciata dal notaio o dall’agente di cambio che accerti l'identità del
richiedente e la sua capacità di agire. Se invece è fatta dall'acquirente, deve essere accompagnata
dall'esibizione oltre che del titolo, di un atto autentico dalla quale risulti il trasferimento da parte del
precedente intestatario.
Quando l'acquirente non intende esercitare il diritto cartolare, ma procedere ad un successivo
trasferimento, è possibile attuare i trasferimenti intermedi senza la collaborazione del debitore
ricorrendo alla girata. La Girata, si differenzia da quella dei titoli all'ordine sia per la forma in quanto
richiede necessariamente il nome del giratario ed autentica della firma del girante e sia per gli effetti,
in quanto non attribuisce il diritto a pretendere la prestazione, ma solo quello di ottenere l'iscrizione
del nome nel registro in base ad una serie continua di girate.

Il deterioramento del titolo di credito

In caso di deterioramento di un titolo, il possessore ha diritto di ottenere dall'emittente un titolo


equivalente contro la restituzione del precedente o il rimborso delle spese. La norma qualifica il
concetto di titolo deteriorato come non più idoneo alla circolazione, ma che consente ancora
l'individuazione dell'impegno cartolare. Invece, quando il documento non è più leggibile si dovrà
parlare di distruzione in senso giuridico ed applicare la disciplina della distruzione materiale.

In caso di comprovata distruzione del titolo, è consentito ottenere dal debitore, un duplicato o un
titolo equivalente.
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Se il titolo distrutto invece risulta in circolazione, prevale il diritto che è stato acquistato sul titolo
dall'eventuale terzo in buona fede, con effetto liberatorio per il debitore che ha pagato al portatore
del duplicato o del titolo equivalente.
Se invece la prova della distruzione non viene pienamente raggiunta si applica la disciplina dello
smarrimento e sottrazione che esclude l'applicabilità della procedura di ammortamento lasciando
all'ex portatore solo la possibilità decorso il termine di prescrizione, di ottenere provando di essere il
titolare del credito, la prestazione.

Smarrimento, sottrazione e distruzione dei titoli all'ordine e nominativi

La perdita involontaria del possesso dei titoli nominali è risolta attraverso la procedura di
ammortamento, che è diretta a reintegrare la legittimazione cartolare, tutelando anche le aspettative
di un eventuale acquirente terzo di buona fede. La procedura di ammortamento è articolata in due
fasi: una essenziale, finalizzata a reintegrare il possessore nella possibilità di riscuotere il credito
cartolare mediante un provvedimento giudiziale che tolga valore al titolo in circolazione, la seconda,
eventuale, che vede come contraddittorio un terzo detentore che insorge contro il provvedimento di
ammortamento.
Il possessore denuncia al debitore la perdita del possesso e ricorre all'autorità giudiziaria, presso il
presidente del Tribunale del luogo in cui il titolo è pagabile.
Il presidente del tribunale emana un decreto di ammortamento che toglie valore al titolo in
circolazione e ne autorizza il pagamento al ricorrente, qualora nel termine di trenta giorni dalla
pubblicazione del provvedimento non sia stato proposta opposizione da parte del terzo detentore.
Il decreto deve essere pubblicato a cura del ricorrente, nella Gazzetta Ufficiale facendo decorrere in
questo modo il termine per l'opposizione, viene notificato al debitore in modo da escludere valore
liberatorio al pagamento fatto al terzo detentore, salvo che il detentore non fornisca la prova della
titolarità del credito da parte sua.
La seconda fase (eventuale) si apre con l'opposizione del terzo detentore il quale deve depositare il
titolo in cancelleria, in modo da evitare che possano esserci ulteriori trasferimenti. Se l'opposizione
è respinta il titolo dovrà essere consegnato al ricorrente, se accolta verrà riconsegnato al terzo
detentore.
Il giudizio verte sull’accertamento dell'avvenuto acquisto del titolo da parte dell'opponente, ma non
esclude che possa vertere anche sull'eventuale nullità del provvedimento di ammortamento per
difetto dei suoi propositi.
L'accertamento giudiziale nel decreto di ammortamento, concerne unicamente la perduta
legittimazione, ma non la questione della titolarità, il terzo acquirente di buona fede, anche se non
ha proposto tempestiva opposizione, può agire sia contro l’ammortante che ha riscosso la
prestazione e sia contro il debitore se ha effettuato il pagamento con dolo o colpa grave.

La dematerializzazione forte o decartolarizzazione

Con il decreto legislativo istitutivo dell'Euro, è stato introdotto il divieto per gli strumenti finanziari
negoziati nei mercati regolamentati italiani di essere rappresentati da titoli, esteso anche a strumenti
finanziari di terzi, in funzione della loro diffusione tra il pubblico.
Per evitare che la scomparsa del supporto cartaceo potesse privare il titolare della particolare tutela
del sistema cartolare, sono ricalcate le tre norme fondamentali, ossia:
Con la registrazione, il titolare del conto ha legittimazione piena ed esclusiva all'esercizio dei diritti
relativi agli strumenti finanziari che sono registrati;
L'emittente può porre al soggetto in favore del quale è avvenuta la registrazione, soltanto le eccezioni
personali e quelle comuni a tutti gli altri titolari degli stessi diritti;
Chi ha ottenuto la registrazione in base ad un titolo idoneo e in buona fede, non è soggetto a pretese
o azioni da parte dei precedenti titolari.
L'effetto liberatorio, derivante dall’adempimento effettuato a favore dell'intestatario del conto trova il
limite del dolo o della colpa grave del venditore.

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Le caratteristiche generali dei titoli cambiari

Sotto l'aspetto strutturale i titoli cambiari si presentano o come una promessa di pagamento nel caso
di pagherò cambiario e assegno circolare, oppure come un ordine nel caso di cambiale tratta e
assegno bancario, impartito da un soggetto detto traente ad un altro soggetto, detto trattario, avente
ad oggetto il pagamento di una somma di denaro al portatore del titolo. La sottoscrizione ha un
immediato effetto obbligatorio del traente nel caso di mancato pagamento o della mancata
accettazione del titolo.
Sotto l'aspetto funzionale la cambiale tratta e pagherò cambiario rispondono ad una funzione
creditizia, ossia di differimento nel pagamento di una certa somma, mentre l'assegno bancario e
l'assegno circolare rispondono ad una funzione di pagamento.

La caratteristica dei titoli cambiari è costituita dal fatto che all'obbligazione iniziale del sottoscrittore
si può aggiungere quella del girante, dell'avallante.
Gli obbligati diretti nella cambiale tratta sono il trattario accettante e gli avallanti, nel pagherò
cambiario l'emittente e gli avallanti, negli assegni circolari la banca emittente.
Nei confronti del portatore del titolo, gli obbligati diretti o di regresso, si dispongono tutti sullo stesso
piano, nel senso che il portatore una volta che sono maturate le condizioni per l'esercizio dell'azione
cartolare, può agire indifferentemente contro ognuno di essi per l’intero. Solo l'adempimento
effettuato dell'obbligato di primo grado estingue tutte le obbligazioni, mentre l’adempimento da parte
di un qualsiasi altro obbligato lascia al solvens la possibilità di agire per l'intera somma pagata,
contro gli obbligati di grado anteriore.

Requisiti formali e materiali dei titoli cambiari

Le varie obbligazioni del titolo cambiario sono rette dal principio della autonomia delle obbligazioni
cambiarie, secondo cui l'invalidità per qualsiasi ragione di una singola obbligazione cambiaria non
incide sulla validità delle altre. Abbiamo una distinzione ignota agli altri titoli di credito, tra requisiti
materiali e requisiti formali. I requisiti materiali sono tutte le condizioni che devono ricorrere per
la validità dell'obbligazione assunta dal singolo firmatario; i requisiti formali, sono tutte le indicazioni
che devono risultare dal contesto del documento perché questo sia valido. La differenza consiste
nel fatto che mentre la carenza dei primi inficia la validità della singola applicazione, la carenza dei
secondi inficia la validità dell'intero titolo dando luogo ad una eccezione assoluta.
I requisiti materiali sono uguali per tutti i titoli cambiari, e sono ricavabili per interpretazione della
disciplina e sono: la paternità della sottoscrizione, la capacità di agire al momento dell'emissione, il
potere di rappresentanza al momento dell'emissione, una forma determinata, la rispondenza della
pretesa del portatore relativa al contesto originario e la dichiarazione sottoscritta.

La circolazione dei titoli cambiari

Il trasferimento della proprietà dei titoli cambiari è analogo a quelle dei titoli di credito in genere e
vale sia la circolazione volontaria che per quella involontaria, dov'è la buona fede del terzo
acquirente possessore sana il difetto di titolarità dell'alienante, ferma la necessità di un negozio
traslativo valido.
È esclusivo per i titoli cambiari l'acquisto della proprietà per riscatto e si verifica quando il
pagamento viene effettuato da un obbligato di regresso e ricorre in ogni altro caso in cui la legge
riconosce a chi abbia pagato il titolo, pur non essendo un obbligato di regresso in senso tecnico,
l'acquisto dei diritti cartolari contro gli altri firmatari.
Il trasferimento a favore di una determinata persona, è soggetto alla legge di circolazione dei
titoli all'ordine indipendentemente da un’apposita clausola, ma visto che si tratta di un effetto
naturale, è escludibile con l'apposizione di una clausola contraria con l'effetto di sottoporre Ii
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trasferimento del titolo alle regole della cessione sia per quanto concerne la forma, sia per quanto
concerne gli effetti, con conseguente opponibilità delle eccezioni personali al cedente.
La responsabilità cartolare del girante nei confronti dei portatori successivi per il mancato buon fine
è effetto naturale della girata cambiaria, che è escludibile solo mediante una clausola contraria
apposta sul titolo come girata senza garanzia. L’apposizione di una clausola “non all'ordine” produce
l'effetto di limitare all'immediato giratario la responsabilità di regresso del girante.

L'avallo

L'avallo è una dichiarazione finalizzata allo scopo di garantire l'obbligazione assunta da un altro
obbligato cambiario, riveste carattere di accessorietà in quanto è puramente formale ed è valido
anche se è nulla l'obbligazione garantita, salvo che la nullità derivi da un vizio di forma.
Si può dire che l'avallo costituisce garanzia non dell'adempimento da parte del garantito, ma della
soddisfazione dell'interesse del portatore come tale. L'unico legame che unisce i soggetti è costituito
dal fatto che l'avallante assume la stessa posizione formale dell’avallato sotto il profilo della
distinzione tra obbligati in via principali ed in via di regresso. L'avallante non può opporre tutte le
altre eccezioni personali, tranne quella di avvenuto pagamento del titolo.
La legittimazione a prestare l'avallo è riconosciuta oltre che a qualsiasi estraneo, anche ad un altro
firmatario il titolo a condizione che il suo impegno venga a rafforzare la posizione del portatore.
L'avallo deve essere espresso con la formula “per avallo” o un'altra equivalente e seguita dalla
sottoscrizione. Può risultare anche della semplice sottoscrizione purché sia apposta sulla faccia
anteriore del titolo è sempre che non si tratti di una firma di coemittenza o del trattario.
Il pagamento effettuato dall’avallante non estingue il titolo, ma determina a suo favore l'acquisto del
diritto cartolare contro l’avallato e contro tutti gli altri obbligati cambiari nei suoi confronti.

L'azione di regresso

L'azione di regresso si differenzia da quella diretta per essere condizionata al maturare due
presupposti: l'uno, sostanziale, rappresentata dal mancato pagamento e nella cambiale tratta, da
mancata accettazione, ed uno formale rappresentato dalla necessità che tale evento venga
constatato in una determinata forma.

Il regresso non è azionabile quando la responsabilità per mancata accettazione sia stata esclusa
con apposita clausola dal traente o dai giranti. La constatazione di mancato pagamento viene
effettuata mediante un atto autentico redatto da un pubblico ufficiale che prende il nome di protesto
e deve avvenire in un determinato termine utile.
La sua omissione ha conseguenze diverse a seconda che si riferisca al rifiuto di accettazione o rifiuto
di pagamento: nel primo caso ha come conseguenza, l'impossibilità di esercitare l'azione di regresso
per mancata accettazione, restando salva quella del mancato pagamento previa nuova
presentazione ad hoc del titolo; nel secondo la decadenza dell'azione contro gli obbligati di
regresso.
Il protesto è soggetto a pubblicità in un apposito bollettino curato dalla camera di commercio, e
l'elenco dei protesti viene inviato dal Presidente del tribunale.
Gli adempimenti formali quali la preventiva presentazione del titolo al designato in via principale e la
constatazione mediante protesto, sono necessari per la conservazione e l'esercizio dell'azione di
regresso ma possono essere omessi in determinate ipotesi.
La preventiva presentazione del titolo può essere omessa nel caso di fallimento del soggetto
designato a pagare in via principale, essendo sufficiente per esercitare il regresso, la semplice
esibizione della sentenza dichiarativa. Il secondo caso è quello della forza maggiore rappresentata
da un provvedimento dell'autorità centrale o locale o da un altro fatto impeditivo avente carattere
assoluto e generale che costituisca un ostacolo insormontabile alla presentazione del titolo.
Le specifiche ipotesi di esonero dal protesto sono rappresentate dalla cosiddetta dichiarazione di
rifiuto e dalla clausola “senza spese”.

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La dichiarazione di rifiuto è una dichiarazione scritta sul titolo, datata, firmata dal designato a
pagare in via principale, con la quale si respinge la richiesta di pagamento o di accettazione.
La clausola senza spese o senza protesto o un'altra equivalente se è apposta dal creatore del
titolo ha efficacia generale nei confronti di tutti gli obbligati di regresso, se è apposta da un girante o
da un suo avallante ha effetto solo nei suoi confronti.
La clausola rende il protesto superfluo, ma non illegittimo, sei il portatore comunque vuole procedere
è salva la irripetibilità delle spese, se la clausola aveva efficacia generale.

L'azione di regresso comprende l'ammontare del titolo non pagato o non accettato, gli eventuali
interessi compensativi e di mora e le spese per presentazione del titolo e la levata del protesto.
Un'azione analoga può essere promossa dall’obbligato di regresso che abbia pagato l'importo
richiesto nei confronti degli altri firmatari di grado inferiore al suo. La legge onera il portatore entro 4
giorni dal protesto, di avvisare il girante e il traente nonché i loro avallanti ed è analogo obbligo è
fatto all'obbligato di regresso entro i due giorni. La ratio della prescrizione è quella di porre l'obbligato
di regresso in condizione di predisporsi per il pagamento e, di premunirsi nei confronti degli altri
obbligati verso i quali ha diritto di rivalersi a sua volta. L'inosservanza dell'onere di avviso non
comporta la perdita dell'azione di regresso, ma al risarcimento dell'eventuale danno subito
dall’obbligato di regresso, danno che tuttavia la legge limita nel suo massimo all'importo del titolo.

L’esercizio dei diritti cambiari

Le eccezioni opponibili dal debitore nei confronti del portatore del titolo cambiario, sono quelle che
eccepiscono la nullità del titolo per difetto dei suoi requisiti formali e tutte le eccezioni diverse da
quelle fondate sui rapporti personali con i portatori precedenti.
La peculiarità dei titoli cambiari è data dalla distinzione tra eccezioni assolute che sono opponibili
da qualunque obbligato, e le eccezioni relative, opponibili solo da un obbligato determinato, che
per il principio dell'autonomia delle obbligazioni cambiarie, non inficia la posizione degli altri
obbligati.
Sotto il profilo processuale, l'esercizio dei diritti cambiari riceve un trattamento particolare. Nel
processo, diretto ad ottenere un'ingiunzione di pagamento fondata su prova scritta del credito, se
costituita dal possesso di un titolo cambiario, l'ingiunzione è provvisoriamente esecutiva.
La più spiccata peculiarità è quella della qualità di titolo esecutivo purché regolarmente bollato.

L'azione causale e l'azione di arricchimento

L'esercizio dell'azione derivante dal rapporto fondamentale presenta dei profili particolari dovuti
alla presenza di una potenziale pluralità di obbligati, e quindi alla possibilità che il soggetto passivo
dell'azione abbia a sua volta delle pretese cartolari di rivalsa, e pertanto il suo esercizio deve essere
salvaguardato. La legge stabilisce a carico di chi vuole esercitare l'azione causale, oltre che l'offerta
in restituzione del titolo, l'adempimento di tutte le formalità necessarie per conservare al debitore le
azioni di regresso che possono competergli.
Ovviamente, il portatore non solo deve aver presentato infruttuosamente il titolo cambiario al
soggetto designato a pagare in via principale, ma che sia stato constatato tramite protesto.

L'azione di arricchimento è un rimedio equitativo per stemperare l'estremo rigore dei termini di
prescrizione e di decadenza a cui è subordinato l'esercizio dei diritti cambiari e si tratta della
possibilità riconosciuta al portatore che abbia perduto l'azione cartolare nei confronti di tutti gli
obbligati cambiari, di agire nei confronti di un firmatario del titolo per la somma della quale si sia
ingiustamente arricchito a suo danno. L'arricchimento deve consistere in un incremento patrimoniale
o in un risparmio di spesa che sia in rapporto di causalità diretta con l'avvenuta perdita dei diritti
cambiari da parte del portatore, ed è ravvisabile normalmente in capo al sottoscrittore iniziale del
titolo che vede de facto estinto il debito senza alcun esborso monetario.

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La cambiale: struttura e requisiti formali del titolo

L'espressione cambiale, designa due fattispecie distinte: la cambiale tratta e il vaglia cambiario (il
pagherò).
Per cambiale tratta si intende un ordine incondizionato rivolto da un soggetto detto traente ad un
altro soggetto detto trattario di pagare una somma determinata al portatore del titolo; per vaglia o
pagherò cambiario si intende la promessa incondizionata rivolta da un soggetto detto emittente
al portatore del titolo di pagare una somma determinata.
Il primo dei requisiti formali è costituito dalla denominazione del titolo e il secondo che costituisce
il nucleo qualificante è costituito, per la tratta, dall'ordine di pagare una somma determinata, e,
per il vaglia cambiario dalla promessa di pagamento, entrambi insuscettibili di essere soggetti a
condizione, pena la nullità del titolo.
L'esigenza di includere gli interessi all’importo dovuto, risponde al requisito della determinatezza
dell'importo e può essere disatteso solo nei tipi di cambiale a scadenza indeterminata, rimessa ad
un'iniziativa del portatore in un certo arco temporale sempre che vi sia l'indicazione del tasso.
Esclusivo della tratta è il requisito dell'indicazione del trattario, che può essere effettuata
utilizzando sia il nome civile che la ditta nel caso in cui si tratta di imprenditore.
Il terzo requisito formale è costituito dalla indicazione della scadenza del titolo a tutela dell'esigenza
di certezza del portatore e, precisamente: a vista, a certo tempo vista, a data certa, a certo tempo
data.
A vista e a certo tempo vista, l'esigibilità del titolo è rimessa all'iniziativa del portatore e si
differenziano per il fatto che nel primo caso la presentazione coincide con l'immediata esigibilità,
mentre nel secondo, decorre un certo tempo da cui potrà essere riscosso. La legge impone, previa
la perdita di efficacia del titolo, la sua presentazione entro un anno dalla data di emissione.
Per consentire il computo del “certo tempo vista”, l'avvenuta presentazione del titolo deve risultare
da un visto apposto dall’obbligato in via principale con la data ed in caso di rifiuto si ricorre a fare
constatare mediante protesto l'avvenuta presentazione.
Per scadenza a certo tempo data si intende che il titolo è esigibile solo dopo che sia decorsa una
frazione di tempo dalla data di emissione; per scadenza a dalla certa significa il titolo è esigibile in
un giorno determinato.
Il requisito dell'indicazione del luogo di pagamento non deve essere oggetto di una enunciazione
espressa, è sufficiente che il titolo contenga i dati necessari per la ricostruzione del contesto.
Non necessariamente il luogo di pagamento deve coincidere con il domicilio del debitore e può
anche coincidere con il domicilio di un terzo.
Come titolo all'ordine la cambiale deve contenere l'indicazione nominativa del primo prenditore.
L'indicazione espressa della data di emissione è essenziale sia per valutare la capacità legale e i
poteri di rappresentanza del sottoscrittore e sia per il computo del termine massimo di presentazione
del titolo.
Il luogo di emissione deve risultare dal titolo, anche se non è necessaria una enunciazione
esplicita, è sufficiente che sia desumibile dal contesto.
L'ultimo dei requisiti formali è la sottoscrizione del traente o dell'emittente, intesa come
sottoscrizione verosimile, cioè oggettivamente riferibile ad una persona astrattamente esistente, non
come sottoscrizione autentica.
La mancanza di uno solo degli elementi dei requisiti formali è sanzionato dalla legge con l'invalidità
del titolo come cambiale.
La presenza di norme suppletive che colmano l'omessa esplicita indicazione di uno o più requisiti
formali, esclude che in tal caso ti possa parlare di cambiale in bianco.
La possibilità che durante la circolazione siano aggiunte altre sottoscrizioni porta a ritenere che la
violazione dell'accordo di riempimento possa essere opposta solo da coloro che hanno firmato prima
del riempimento illegittimo o abusivo, e non da quelli che hanno sottoscritto il titolo comunque
completato.
Viene sancita la decadenza del portatore dal diritto di riempimento decorsi tre anni dalla data di
effettiva emissione del titolo, decadenza inopponibile al terzo portatore in buonafede.

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La cambiale ed il rapporto fondamentale. La cambiale di favore

Anche la cambiale, come per tutti i titoli di credito è sottoposta ad un rapporto fondamentale, rapporto
le cui vicende non si ripercuotono sull’obbligazione cartolare se non nei confronti del portatore con
il quale viene intrattenuto il rapporto, essendo le relative eccezioni inopponibili ai portatori
successivi.
Tale astrazione dell’obbligazione cartolare si verifica, nella cambiale tratta, non solo rispetto al
rapporto che intercorre tra il creatore del titolo (il traente) e il primo prenditore, che viene definito
rapporto di valuta, ma anche rispetto al rapporto che intercorre tra il traente ed il terzo (trattario) con
cui viene impartito l'ordine pagamento e che viene definito rapporto di provvista.
Per cambiale di favore si intende quando l'apposizione della firma cambiaria avviene da parte di
un soggetto in base ad un accordo con l'immediato prenditore allo scopo di facilitargli la spendita del
titolo, ma con l'intesa che al momento in cui fosse costretto da un successivo portatore al
pagamento, interverrà per fornire la somma necessaria o rimborsarlo.
È consentito al favorente di eccepire al favorito il carattere di favore della firma opposta ma tale
eccezione, fondata sul rapporto personale è inopponibile ai portatori successivi tranne che abbiano
partecipato all'accordo.

La cambiale tratta

La cambiale tratta si presenta nella veste di un ordine di pagamento e nel diritto comune corrisponde
alla delegazione di pagamento, con la quale un soggetto detto delegante, debitore di un altro
soggetto detto delegatario, ordina ad un terzo, di solito suo debitore detto delegato, di pagare al suo
creditore.
Per ottenere l'accettazione occorre presentare il titolo al trattario ma tale presentazione è facoltativa
se il portatore ha fiducia nell’ottemperanza da parte del trattario e presenterà la tratta direttamente
per il pagamento. Fa eccezione la tratta a certo tempo vista, in quanto la preventiva presentazione
è necessaria per far maturare la scadenza. Sulla accettazione può influire la volontà del traente che
può vietarla, dando luogo alla figura della tratta non accettabile, la quale non si traduce in una
illegittimità o invalidità dell’accettazione, ma solo in una esclusione della responsabilità di regresso
del traente per mancata accettazione.
L'accettazione non deve essere espressa con formule particolare e può consistere nella semplice
apposizione della firma del trattario. È ammessa l'accettazione per parte della somma, con
liberazione parziale degli obbligati di regresso.

Nel caso in cui la cambiale è accompagnata da una garanzia reale quale pegno o ipoteca o da una
personale quale la fidejussione, la garanzia si trasferisce come accessorio del credito cambiario.
Nel caso dell’ipoteca occorrerebbe ogni volta iscrivere il nome del nuovo creditore nei registri
immobiliari e tale formalismo costituirebbe un deterrente alla circolazione del credito e pertanto è
stata introdotta la cambiale ipotecaria con la quale, una volta iscritta a nome del primo prenditore e
fattone annotazione sulla cambiale, l'ipoteca si trasmette automaticamente a favore di ogni
successivo giratario, il quale potrà esercitare il diritto di garanzia pur non figurando il suo nome nel
registro immobiliare.
Per favorire la spendita delle cambiali tratte non accettate, che si reggono praticamente sulla sola
fiducia ispirata della firma del traente è stata introdotta la cambiale tratta garantita mediante
cessione della provvista a condizione che il credito di provvista derivi da una fornitura di merce,
della quale si riporta sul titolo gli estremi della fattura e che il primo prenditore sia una banca.

Il pagamento della cambiale ed il regresso per mancato pagamento

La legge stabilisce i termini entro i quali la cambiale deve essere presentata per il pagamento al
debitore: per le cambiali a data certa e a certo tempo data o vista, nel giorno della scadenza o in
uno dei due giorni feriali successivi, per la cambiale a vista nell'anno della data di emissione. La
differenza consiste che nel secondo caso l'inosservanza del termine determina la perdita di qualsiasi

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azione cambiaria, mentre nella prima determina solo la perdita dell'azione di regresso, mentre il
debitore in via principale resta obbligato fino alla scadenza del termine di prescrizione.
Il pagamento della cambiale deroga al principio generale sulle obbligazioni divisibili secondo il quale
il creditore non è obbligato ad accettare un pagamento parziale: l'obbligo di accettarlo si spiega con
l'esigenza di tutelare gli obbligati di regresso e pertanto trova nella loro presenza il limite della sua
applicabilità.
Sempre in deroga al diritto comune e, secondo il quale il termine per l’adempimento delle
obbligazioni è stabilito è l'interesse del debitore, il portatore non è tenuto ad accettare un pagamento
prima della scadenza; se comunque ha luogo si considera effettuato a rischio e pericolo del debitore
con il quale si vuole intendere che quest'ultimo non potrà invocare la norma sull’effetto liberatorio
del pagamento fatto al legittimo cartolare se il portatore che riceve il pagamento difetta la titolarità
del credito.
Viene consentito l'esercizio anticipato dell'azione di regresso quando il trattario o l'emittente sono
sottoposti ad una procedura concorsuale, quando avviene la cessione dei pagamenti, o il fallimento
del traente di una cambiale tratta non accettabile. È consentito al portatore di monetizzare
immediatamente il credito di regresso mediante l'emissione della cambiale di rivalsa, che è una
tratta che come traente figura il titolare dell'azione di regresso e come trattario l'obbligato cambiario,
il quale è tenuto a prestare la relativa accettazione, rispondendo In mancanza del danno arrecato.

L'intervento cambiario

L'intervento cambiario consiste in un soggetto che interviene nel rapporto cambiario prestando
l'accettazione o pagando il titolo, allo scopo di evitare l'azione di regresso verso un obbligato
cambiario e di conseguenza verso tutti quelli che hanno firmato successivamente.
L'intervento può essere fatto in modo del tutto spontaneo oppure, è un'eventualità già prospettata al
momento della creazione della cambiale indicando sul titolo un soggetto al quale, a seconda dei
casi, il portatore può e deve rivolgersi preventivamente prima di esercitare l'azione di regresso.
L'intervento può essere fatto sia da un terzo estraneo e sia da chi è già obbligato in via di regresso.
L'accettazione per intervento può essere fatta ogni qualvolta il portatore di una cambiale tratta
accettabile può esercitare il regresso prima della scadenza, ossia nel caso di rifiuto dell’accettazione
di una cambiale accettabile o di insolvenza del trattario; può anche essere rifiutata dal portatore, a
meno che non provenga da un soggetto che già è stato indicato sul titolo e che domicili nel luogo di
pagamento dello stesso. Ha come effetto quello di costringere il portatore non solo ad attendere il
pagamento del titolo alla scadenza, ma a sottoporsi a l’onere di un doppio protesto, prima contro il
trattario e poi contro l'Interveniente se domiciliato nello stesso luogo del titolo.
Il pagamento per intervento può essere effettuato in qualunque tipo di cambiale, sia alla scadenza
che prima, a condizione che vi sia un obbligato di regresso a cui va a favore l'intervento e non può
essere rifiutato dal portatore, pena la perdita dell'azione di regresso verso coloro che sarebbero stati
liberati per effetto dell'intervento. Il pagamento deve essere integrale e tempestivo.
Per effetto del pagamento, se tempestivo, l'interveniente acquista in via autonoma i diritti cambiari
spettanti al portatore soddisfatto, se tardivo comporta il più limitato effetto della surrogazione, ossia
un acquisto dei diritti a titolo derivativo, gravato da tutte le eccezioni personali opponibili al portatore
precedente.

La prescrizione dei diritti cambiari

I diritti cambiari sono sottratti alla prescrizione decennale dei diritti di credito e sono soggetti ad una
disciplina speciale.
L'azione del portatore contro gli obbligati in via diretta si prescrive in tre anni dalla data di
scadenza, e nel caso di cambiale a vista, dall'avvenuta presentazione infruttuosa; l'azione di
regresso dell'ultimo portatore si prescrive in un anno dalla data del protesto o della scadenza se
c'è una clausola senza spese; l'azione di ulteriore regresso si prescrive in sei mesi dal giorno in
cui l'obbligato di regresso ha pagato la cambiale o è stata promossa azione nei suoi confronti.

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L'assegno bancario: struttura e funzione

L'assegno bancario nonostante che si presenta strutturalmente come una tratta a vista, diverge
profondamente sotto il profilo funzionale, in quanto, mentre la cambiale tratta assolve ad una
funzione di credito, l'assegno bancario assolve ad una funzione di pagamento.
L'assegno bancario è esigibile a vista nonostante presenti una data successiva, deve essere
presentato in termini brevissimi, pena la perdita dell'azione di regresso contro i giranti e contro lo
stesso traente;
è necessario che il trattario rivesti una qualifica particolare quale banchiere;
la necessità di un preventivo accordo tra traente e trattario;
la irrevocabilità, fino alla scadenza del termine di presentazione, dell'ordine contenuto nel titolo.
La semplice emissione dell'ordine di pagamento non determina alcuna responsabilità del trattario
verso il prenditore per la sua mancata esecuzione, con il quale si esclude che il portatore di un
assegno bancario possa vantare alcun diritto nei confronti della banca trattaria, al pagamento del
titolo anche se ricorrono i presupposti per la sua emissione quali fondi disponibili e convenzione di
assegni.
L'esigenza della banca di negoziare un assegno tratto su un'altra azienda di credito, per acquisire
la certezza preventiva, utilizza la prassi interbancaria del benestare telefonico, con la quale in ipotesi
normale, la banca trattaria interpellata si limita a dare assicurazione dell'esistenza dei fondi in quel
momento, oppure che la banca trattaria non solo assicura l'esistenza dei fondi per il pagamento, ma
anche il pagamento del titolo nel momento della sua presentazione, oppure la terza ipotesi è quella
in cui la banca trattaria conferisce alla banca negoziatrice un vero e proprio mandato extracartolare
a pagare il titolo indipendentemente dalla verifica di eventuali irregolarità formali.

I requisiti di regolarità dell'assegno bancario sono: esistenza dei fondi disponibili del traente
presso la banca, il diritto di disporne mediante assegno bancario in conformità di una convenzione
espressa o tacita.
Per fondi disponibili si intende la titolarità da parte del traente, di un credito disponibile nei confronti
del trattario, nel senso che questi non solo è obbligato a corrispondere una somma di denaro, ma a
tenerla a disposizione del cliente in attesa di una sua richiesta di pagamento.
La convenzione di assegno è riconducibile allo schema del mandato, in quanto ha per oggetto il
compimento da parte della banca, di una serie di atti giuridici, costituiti dal pagamento di assegni
tratti in favore di terzi utilizzando i fondi del cliente.
I singoli ordini di pagamento comportano alcune deroghe alla disciplina generale del mandato e la
prima è costituita per il fatto che il pagamento non deve essere effettuato all'effettivo beneficiario
dell'ordine, ma a chi appare tale secondo le regole della legittimazione cartolare. La seconda è che
l'importo addebitabile è quello risultante dal testo dell'assegno anche se divergente da quello
effettivamente ordinato dal traente e ogni alterazione dell'assegno che si verifica durante la sua
circolazione, qualora non rilevabile dalla diligenza professionale compatibile con la rapidità delle
operazioni di sportello, è a carico del cliente.
La terza è che l’addebito dell'importo dell'assegno può prescindere perfino dalla effettiva
emanazione di un ordine conforme come avviene in caso di falsità della firma di traenza non
rilevabile con la diligenza professionale.

Il primo dei requisiti formali di validità dell'assegno bancario è costituito dalla denominazione di
assegno bancario inserita nel titolo. Il secondo è l'ordine incondizionato di pagare una somma
determinata, ed attesta la funzione di pagamento a cui risponde il titolo. Il terzo requisito è costituito
dal nome di colui che è designato a pagare e quindi il trattario, riferito ad un soggetto che esercita
l'attività bancaria previa autorizzazione e sotto il controllo della banca d'Italia. Ne consegue
l'invalidità del titolo tratto su una banca di fatto o su un non banchiere.
Il quarto requisito è l'indicazione del luogo di pagamento, la cui omissione è supplita, come avviene
per le cambiali, con norme integrative, la mancanza di un luogo accanto al nome del trattario non
comporta la nullità del titolo ma si considera pagabile nel luogo in cui è stato emesso e, se non c'è
una filiale della banca trattaria, dove quest'ultima ha la sede principale.

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Il quinto requisito è l'indicazione del luogo e della data di emissione: per quanto riguarda il luogo in
difetto si considera luogo di emissione quello indicato accanto al nome del traente, e per quanto
riguarda la data di emissione non solo deve essere esistente ma rispondere all'effettivo momento
del rilascio.
La legge stabilisce l'inefficacia della postdatazione secondo cui l'assegno bancario presentato per il
pagamento prima del giorno indicato come data di emissione è pagabile nel momento della
presentazione.
L'ultimo requisito formale è rappresentato dalla sottoscrizione del traente.

La legge sanziona con la nullità l'assegno in cui siano assenti uno o più requisiti formali, i quali
devono essere presenti dal momento del rilascio, ritenendo inammissibile il rilascio di un assegno in
bianco poiché contrastante con la funzione di mezzo di pagamento assegnata al titolo. Tale nullità
è opponibile unicamente all'immediato prenditore e non a colui che ha ricevuto il titolo già compilato.

L'assegno bancario è suscettibile di essere sottoposto alla legge di circolazione dei titoli all'ordine o
al portatore e valgono le regole generali sui titoli di credito e quelle specifiche dei titoli cambiari sulla
responsabilità di regresso dei giranti. La clausola di intrasferibilità che figura sui moduli di assegni
deve essere necessariamente presente per assegni superiori a €12.500 pagabili unicamente
all'immediato prenditore o al banchiere giratario per l'incasso.
Con le clausole di sbarramento, realizzate mediante l'apposizione di due linee parallele sulla faccia
anteriore del titolo, l'assegno risulta pagabile solo ad un banchiere o ad un cliente della banca.
Con la “clausola da accreditare”, Il titolo è pagabile solo mediante accreditamento della somma ad
un correntista della banca trattaria.
Entrambe le clausole non incidono sulla negoziazione del titolo ma solo sul suo pagamento, e quindi
non precludono la circolazione immediata e l'eventuale acquisto di buona fede.

L'esigibilità a vista è una caratteristica essenziale dell'assegno bancario e pertanto i termini per il
pagamento decorrono dalla data di emissione. L’osservanza dei termini è rilevante ai fini
dell’inefficacia, per la revoca impartita dal traente e per la conservazione delle azioni di regresso
contro i giratari e non ai fini dell'esigibilità dell'assegno, che se non revocato, può essere pagato
anche dopo la scadenza.
L'azione di regresso può avvenire solo per mancato pagamento ed è subordinata alla
constatazione mediante protesto, ma può essere supplito da dichiarazioni equivalenti quali una
dichiarazione del trattario scritta sull'assegno o una dichiarazione da parte del capo di una stanza di
compensazione che è un organismo associativo interbancario gestito la banca d'Italia.
Per l'azione contro il traente è necessaria la tempestività della presentazione e del protesto, e
l'azione di regresso è soggetta al termine di prescrizione di sei mesi, dalla data di presentazione.

L'assegno circolare si presenta strutturalmente come un pagherò cambiario a vista emesso da una
banca, mentre funzionalmente costituisce uno strumento di pagamento più valido dell'assegno
bancario perché incorpora un credito verso una banca e quindi di sicura esigibilità.
L'emissione è subordinata a due presupposti: l’esistenza di fondi disponibili presso l'emittente e
l'autorizzazione all'emissione di assegni circolari.
L'emissione dell'assegno circolare può avvenire sia a favore del richiedente e sia a favore di un
terzo. Nel caso di consegna al terzo il titolo venga smarrito o sottratto e pagato dalla banca, per sua
colpa, ad una persona diversa del beneficiario, il richiedente può vantare un'azione di risarcimento
per illecito extracontrattuale nei confronti della banca o che il pagamento avvenga a favore
dell'effettivo beneficiario.

I requisiti formali dell'assegno circolare sono:


la denominazione di assegno circolare;
la promessa incondizionata di pagare a vista una somma determinata;
l'indicazione del prenditore;
l'indicazione del luogo e della data di emissione;
la sottoscrizione dell’istituto emittente.
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Con l'espressione procedure concorsuali si intendono una serie di procedure che con la presenza
di un'autorità pubblica, viene regolato il rapporto tra un determinato soggetto e il complesso dei suoi
creditori.
La libertà di iniziativa economica è sancita dall'articolo 41 della Costituzione e comprende la libertà
di avviare l'attività economica, di proseguirla e di cessarla in base a una determinazione spontanea
dell'imprenditore, trova un limite, proprio nella possibilità che l'imprenditore possa essere sottoposto
ad una procedura concorsuale.
Il legislatore ha previsto una pluralità di procedure concorsuali, ciascuna con proprie caratteristiche
e finalità.
Le procedure concorsuali sono disciplinate da leggi speciali e quella fondamentale è la n. 267 del
1942 che ha subito negli ultimi anni una radicale riforma. Disciplina il fallimento, il concordato
preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, la liquidazione coatta amministrativa ed è
solitamente nota come legge fallimentare.
Sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa determinate categorie di imprese come
le società cooperative, le imprese sociali o imprese che esercitano una particolare attività come
banche e assicurazioni.
L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è disciplinata dal D.Lgs 270 del
1999 che a seguito insolvenza della Parmalat è stata introdotta una ulteriore procedura che
costituisce una variante di tale decreto e cioè la ristrutturazione industriale di grandi imprese in
stato di insolvenza.
Più recentemente il legislatore ha introdotto una procedura concorsuale anche per disciplinare la
situazione di sovraindebitamento di debitori non fallibili.
Inoltre, l'insieme delle procedure concorsuali sono integrate con il regolamento comunitario relativo
alle procedure di insolvenza transnazionali e da una serie di norme che regolano il fallimento di un
soggetto che abbia una dipendenza in uno stato dell'Unione Europea diverso da quello in cui si trova
la sede principale della sua attività o che comunque possegga beni in uno stato diverso da quello in
cui è dichiarato il fallimento. Il regolamento non va a creare una nuova procedura concorsuale ma
introduce una serie di modifiche o integrazioni per esempio l'efficacia delle sentenze di fallimento in
tutti gli stati dove sono i beni del fallito.
Si può dire che da una originaria finalità sanzionatoria e liquidatoria del fallimento, si è passati ad
una articolata pluralità di procedure dove assume rilevanza l'impresa in crisi quale bene da
proteggere, ogni volta che le condizioni lo consentano.
Quando l'organo statuale si costituisce all'imprenditore, opera in continuità con l'attività
dell'imprenditore stesso, anche se con finalità diverse e significa che l'imprenditore conserva la
proprietà dei beni, pur essendo stato spogliato del potere di amministrazione e di disposizione, e
che gli atti compiuti nella procedura vanno incidere sul patrimonio che fin quando non sia stato
liquidato, resta di sua proprietà. Da ciò deriva per il fallimento che qualora alla chiusura i creditori
risultino complementi soddisfatti, i beni non utilizzati rimangono nella proprietà del fallito e rientrano
nella sua piena disponibilità.

La disciplina dell'amministrazione straordinaria prevede una fase preliminare di competenza


dell'autorità giudiziaria, e se ricorrono le condizioni, l'apertura della procedura amministrativa
avviene con provvedimento del ministro delle attività produttive, in mancanza il tribunale dichiara il
fallimento.
Le procedure giudiziarie hanno essenzialmente l'interesse di estinguere la situazione debitoria,
mentre le procedure amministrative, hanno come finalità primaria quella di ricollocare o risanare ove
possibile le strutture aziendali in modo da conservarne la funzionalità.

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Al verificarsi di determinate condizioni si configurano i presupposti per l'adozione di questa o di quella


procedura concorsuale.
Alcune procedure possono essere disposte su richiesta di terzi anche contro la volontà
dell'imprenditore ed altre invece è l'imprenditore stesso l'unico legittimato a proporle. Appartengono
al primo caso il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, l'amministrazione straordinaria delle
grandi imprese insolventi e, mentre alla seconda categoria appartiene il concordato preventivo e la
ristrutturazione aziendale delle grandi aziende in stato di insolvenza.

La funzione essenziale delle procedure concorsuali è quella di far cessare la situazione anomala di
crisi in cui si è venuta a trovare l'impresa, e che crea quindi una turbativa al sistema economico oltre
a tutelare i terzi, evitando che la crisi evolva in insolvenza.
La pluralità delle procedure consente una sorta di adattamento alle esigenze della natura della crisi.
La finalità più diffusa è quella esecutivo-satisfattiva che tende a soddisfare nei limiti dell'attivo i
creditori. Il fallimento rientra in tale categoria. Nell’esecuzione forzata, la legge fallimentare opera
con l'ottica esclusiva della liquidazione dei beni del debitore considerati nel suo insieme, con l'intento
di massimizzare il ricavato; nel fallimento tale prospettiva è subordinata all'impossibilità e comunque
alla non convenienza di vendita dell'intero blocco aziendale.
Nel concordato preventivo, sulla base della proposta del debitore, accettata da una maggioranza
qualificata di creditori ed approvata dal tribunale, il debitore ristruttura i propri debiti e soddisfa i
creditori, anche in misura percentuale, utilizzando una vasta gamma di operazioni. In questo caso
manca la fase di esecuzione forzata, mentre è presente la finalità satisfattiva.
Il concordato preventivo una volta adempiuto attua il soddisfacimento dei creditori a stralcio e
determina un effetto estintivo dell'obbligazione originaria.
Finalità analoghe a quelle del concordato preventivo le troviamo negli accordi di ristrutturazione
dei debiti che sono stipulati in sede stragiudiziale.

Alla liquidazione coatta amministrativa è attribuita una funzione estintiva: ossia di estinguere
l'impresa. Tale procedura si applica ad imprese che sono sottoposte a vigilanza da parte dell'autorità
amministrativa, e sono rilevate gravi irregolarità nella gestione o una situazione di insolvenza. La
procedura ha come finalità primaria quella di eliminare l'impresa malata dal sistema nel quale opera
e tende a ricollocare l'azienda e regolare i rapporti pendenti trasferendoli possibilmente ad un'altra
impresa già operante nello stesso sistema.
Non è escluso che la procedura di liquidazione coatta amministrativa possa chiudersi con un
concordato, che permette il ritorno in bonis dell'imprenditore e quindi la ripresa di esercizio
dell'attività.
Ci sono delle procedure che hanno una finalità organizzatoria e recuperatoria e costituisce il
presupposto della procedura concorsuale amministrativa per le grandi imprese in crisi che versano
in stato di insolvenza. L'esigenza di riorganizzare e di recupero dell'azienda costituisce la finalità
essenziale della procedura.
L'amministrazione straordinaria è stata oggetto di un radicale modifica con il dlgs 270/1999, che
consente la sua applicazione solo quando effettivamente siano riscontrate le condizioni per la
conservazione dei complessi produttivi. In una prima fase il commissario giudiziale deve valutare se
l'impresa possa conseguire il risultato attraverso la vendita dell'azienda o attraverso un piano di
risanamento. Se c'è un giudizio di fattibilità in tal senso si apre la procedura amministrativa e in
mancanza viene dichiarato il fallimento.

Il presupposto soggettivo

L'imprenditore assoggettabile alla procedura concorsuale può essere una persona fisica, una
società, un ente pubblico, un'associazione che eserciti un'attività commerciale è quindi escluso
l’imprenditore agricolo, il professionista e il soggetto civile.
Un tradizionale criterio di selezione è quello della dimensione dell'imprenditore commerciale. La
riforma ha previsto che non sono soggetti al fallimento e al concordato preventivo gli imprenditori
che dimostrano che nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento, un attivo
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patrimoniale non superiore ai €300.000, ricavi lordi superiori ai €200.000 e di non avere debiti anche
non scaduti superiori a €500.000.
È venuta meno la figura del piccolo imprenditore e ciò significa, almeno in linea di principio che tutti
gli imprenditori commerciali non pubblici sono assoggettabili a tali procedure.
Viene esclusa la soggezione al fallimento il debitore che abbia debiti scaduti inferiori ai €30.000.
Gli imprenditori non assoggettabili al fallimento, i professionisti ed i consumatori, in caso di grande
difficoltà o incapacità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni, possono ricorrere alla
procedura che regola la crisi di sovraindebitamento.
Gli enti pubblici sono esclusi dalla soggezione al fallimento, e si applicherà la disciplina della
liquidazione coatta amministrativa, se espressamente prevista dalla legge istitutiva.
In via di principio, per tutti quegli enti a cui è riconosciuta la natura pubblica e manchi la previsione
della liquidazione coatta amministrativa o al fallimento, in caso di insolvenza si applicheranno solo
le norme generali in tema di esecuzione forzata.
Per la liquidazione coatta amministrativa non esiste un criterio generale di identificazione dei
presupposti soggettivi e sono sottoposti a tale procedura i soggetti per i quali le leggi speciali lo
prevedano e quindi potranno essere anche imprenditori non commerciali o enti pubblici che
esercitano attività commerciale.
Alla disciplina dell'amministrazione straordinaria possono essere ammessi gli imprenditori
collettivi e gli imprenditori individuali soggetti al fallimento che presentano congiuntamente dei
requisiti: avere un numero di lavoratori non inferiore a 200 e debiti per un ammontare complessivo
non inferiore ai due terzi dell'attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e
prestazioni.
La procedura di ristrutturazione industriale è applicabile alle imprese che abbiano almeno 500
lavoratori subordinati e debiti non inferiori a 300 milioni di euro.

L'imprenditore cessato e l'imprenditore defunto

È assoggettabile al fallimento l'imprenditore individuale defunto entro un anno dalla morte, e


possono essere dichiarati falliti sia l'imprenditore individuale che l'imprenditore collettivo, entro un
anno dalla cancellazione dal registro delle imprese.
In caso di impresa individuale o di cancellazione eseguita d'ufficio, i creditori o il pubblico ministero
hanno la facoltà di dimostrare il momento della effettiva cessazione dell'attività, da cui far decorrere
il termine annuale.

L'imprenditore collettivo

L'articolo 147 della legge fallimentare prevede che la sentenza che dichiara il fallimento delle società
S.n.c., S.a.s e S.a.p.a. produca anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili e quindi ai
soli soci che abbiano assunto responsabilità illimitata in ragione del tipo di società a cui partecipano,
dove tale qualità è connaturale alla partecipazione.
Non può essere dichiarato il fallimento del socio una volta che sia decorso un anno dallo scioglimento
del rapporto sociale, dalla fusione o scissione, sempre che siano state osservate le formalità per
rendere noti ai terzi tali fatti, ossia l'iscrizione nel registro delle imprese e per le società non registrate
sono le notizie date con mezzi idonei.
La non soggezione alla procedura concorsuale non esclude la persistenza della responsabilità
illimitata del socio cessato, per le obbligazioni che sono sorte durante il vincolo sociale, e i creditori
sociali potranno farà valere la propria pretesa, salvo che abbiano dato l'assenso alla liberazione
della responsabilità illimitata.
Il concordato preventivo della società ha efficacia nei soci illimitatamente responsabili per i debiti
sociali.
In caso di liquidazione coatta amministrativa, ove sia stato accertato lo stato di insolvenza è coerente
applicare anche al patrimonio dei soci illimitatamente responsabili le norme dell'accertamento
giudiziario dello stato d'insolvenza.

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Il presupposto oggettivo

Le diverse finalità delle procedure dipendono dalla situazione in cui versa l'imprenditore e in ogni
caso non può essere imposta o avviata una procedura concorsuale se non sussistono le condizioni
previste dalla legge. Il presupposto oggettivo comune ed indefettibile del fallimento,
dell'amministrazione straordinaria e della ristrutturazione industriale è lo stato di insolvenza del
debitore.
Lo stato di insolvenza è una situazione percepibile all'esterno della realtà aziendale, attraverso
fenomeni dei quali emerge l'incapacità dell'imprenditore di adempiere alle proprie obbligazioni alla
scadenza e con strumenti e modalità normali. Non è il semplice mancato adempimento di una
obbligazione che configura di per sé lo stato di insolvenza, ma si estrinseca in uno squilibrio
finanziario dell'impresa di cui è irrilevante la causa e che prescinde da un eventuale squilibrio
patrimoniale.
La condizione del patrimonio del debitore che non consente di soddisfare appieno tutti i creditori, e
l'incapacità di adempimento regolare che comporta uno squilibrio nel sistema economico, costituisce
il presupposto indefettibile delle procedure.
A qualunque imprenditore che versi in uno stato di insolvenza, su istanza di uno o più creditori il
tribunale può accertare tale situazione attraverso una sentenza.

Il presupposto oggettivo dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di


insolvenza, è lo stato di insolvenza e ci devono essere concrete prospettive di recupero
dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali.
Tale risultato si deve poter realizzare con tre strumenti tra loro del tutto diversi ma non
necessariamente alternativi: attraverso la liquidazione dell'attivo; attraverso una fase di
ristrutturazione di durata non superiore ai 2 anni; per le società operanti nei servizi pubblici
essenziali, attraverso un programma di cessione di complessi di beni e contratti.
La condizione perché l'imprenditore possa proporre ai creditori un concordato, è lo stato di crisi,
ossia quando c'è il rischio che vengano meno le prospettive di continuità aziendale.

Gli organi delle procedure

Il tribunale territorialmente competente per la procedura fallimentare e per quella del concordato
preventivo deve essere individuato facendo riferimento al luogo in cui l'imprenditore ha la sede
principale dell'impresa che coincide di regola con il luogo di Iscrizione registro delle imprese.
Nelle procedure giudiziarie viene nominato dal tribunale, il giudice delegato, che ha la funzione di
seguire più direttamente la procedura, vigilando e adottando una serie di provvedimenti
amministrativi, di controllo o integrativi.
Nel fallimento la gestione viene affidata al curatore; nel concordato preventivo l'imprenditore non
perde i poteri di gestione e amministrazione dell'impresa, viene nominato un organo con funzione di
controllo che è il commissario giudiziale. Anche se sottoposti alla vigilanza del giudice delegato,
non sono legati allo stesso da un vincolo di subordinazione tant'è che possono impugnarne i
provvedimenti.
In alcune forme di concordato preventivo in cui si prevede la cessione dei beni ai creditori, sono
nominati uno o più liquidatori, a cui viene attribuita la funzione di liquidare i beni che il debitore ha
messo a disposizione dei creditori.
Vi è ancora un altro organo, il comitato dei creditori, composto dai creditori, nominato dal giudice
delegato o dallo stesso tribunale a garanzia degli interessi dei creditori, senza diventare un mero
organo rappresentativo degli stessi.

La procedura di liquidazione coatta amministrativa è disposta dall'autorità amministrativa (dal


ministro) che vigila sull'impresa per la quale è prevista la procedura. L'amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza è aperta dal tribunale, sentito il parere
del commissario giudiziale e del ministro dello sviluppo economico, successivamente il ministro
nominerà gli organi della procedura e vigilerà sulla stessa.

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La procedura di ristrutturazione industriale si apre con un provvedimento del ministro dello


sviluppo economico che contestualmente nomina il commissario, a cui seguirà la sentenza del
tribunale di accertamento dello stato di insolvenza.
Il comitato di sorveglianza delle procedure amministrative ha la finalità di ricollocazione
dell'azienda, i suoi membri sono scelti tra soggetti particolarmente esperti nel ramo di attività
esercitata dall'impresa. Assume una funzione di controllo sull'attività dei commissari, sia per i singoli
atti di gestione, sia per le modalità in cui sono realizzate le finalità della procedura.

I rapporti tra le procedure

Ci sono una pluralità di procedure e tra le stesse intercorrono una serie di rapporti. In linea di
massima la soggezione di un imprenditore alla liquidazione coatta amministrativa, esclude che
possa trovarsi in via alternativa assoggettato al fallimento. A tale regola vi sono delle eccezioni.
Nel caso in cui l'amministrazione straordinaria non possa essere utilmente conseguita, si converte
in fallimento e in modo analogo avviene per la procedura di ristrutturazione industriale.
Il principio della conversione ha la funzione di tenere fermi gli effetti giuridici prodotti dal
provvedimento che ha disposto la procedura non più applicabile; di tenere ferme, senza soluzione
di continuità, le limitazioni sul potere di disposizione del debitore.
Gli imprenditori assoggettabili al fallimento, alla liquidazione coatta amministrativa ed
amministrazione straordinaria, qualora ricorrano i presupposti possono essere ammessi al
concordato preventivo.
La possibilità di successione è prevista tutte le volte in cui non si è realizzato nei tempi previsti il
programma di recupero dell'equilibrio economico dell’impresa.

Caratteri comuni delle procedure concorsuali. La globalità

Esistono alcuni principi che tendenzialmente configurano un carattere comune a tutte le procedure
concorsuali.
Innanzitutto, le procedure concorsuali non si riducono in alcun caso ad una mera esecuzione forzata
sui singoli beni, in quanto coinvolgono in modo unitario il complesso patrimoniale, che può esaurire
l'intero patrimonio del debitore o comprenderne solo una parte.
La globalità la si ha nel fallimento, e in tutte quelle volte in cui la procedura si applichi ad un
imprenditore in accertato stato di insolvenza.
Il principio della globalità viene mitigato nella procedura di concordato preventivo, in cui lo stato di
insolvenza viene superato con l'omologazione creando un patrimonio separato.
Il principio della globalità comporta che sono compresi nella procedura tutti i beni e i rapporti esistenti
al momento in cui viene disposta la procedura, senza che siano stati identificati. Tale globalità
comporta da una parte che tutti i beni che risulteranno appartenere al debitore nel corso della
procedura saranno acquisiti dalla stessa e dall'altra che i creditori non possono agire individualmente
su tali beni per soddisfare i propri crediti.

Con il principio della par condicio creditorum, gli organi delle procedure liquidatorie devono fare
in modo che i creditori siano soddisfatti, non in base all'ordine con il quale avanzano le richieste di
pagamento, bensì con una graduazione dove in successione vengono pagati prima i titoli che
vantano diritti di prelazione quale ipoteca, pegno e privilegi e poi in maniera proporzionale gli altri
creditori riconosciuti nella procedura.
Se si tiene conto che oltre le prelazioni fondate su pegno e ipoteca vi sono relazioni fondate su
innumerevoli privilegi e pertanto i creditori non garantiti (i chirografari) certamente versano in una
situazione piuttosto precaria.
Oggi il principio della par condicio subisce una ulteriore limitazione, infatti è prevista la possibilità di
suddividere i creditori per classe in modo da soddisfare in maniera differenziata.
Con il principio di concorsualità significa che i creditori devono essere soddisfatti in concorso tra
di loro, e cioè in base ad un piano di riparto nel quale sono compresi ed ordinati in successione e
ciò significa che non possono essere soddisfatti fuori dal concorso.

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Un ulteriore carattere comune è quello della officiosità e significa che la procedura viene disposta
con provvedimento di un organo pubblico e che viene condotta e gestita a cura dello stesso.

Il soddisfacimento del creditore avvenuto attraverso la procedura concorsuale ha un carattere di


stabilità, che manca in assenza della stessa. Alcuni rapporti giuridici posti in essere quando si è
manifestato lo stato di insolvenza dell'imprenditore restano segnati da una sorta di provvisorietà, nel
senso che nel caso venga dichiarato il fallimento o giudizialmente accertato lo stato di insolvenza,
potranno essere aggrediti con l'azione revocatoria. Invece, i rapporti regolati dalla procedura
acquistano un carattere definitivo e di non aggredibilità.

La dichiarazione di fallimento può essere pronunciata su ricorso di uno o più creditori, su ricorso
dello stesso debitore o su richiesta del Pubblico Ministero.
L'iniziativa del creditore è quella statisticamente più frequente e presuppone che il credito abbia
avuto un riconoscimento in sede giudiziaria e quindi si richiede non solo l'esistenza della pretesa
creditoria, ma anche che il credito sia scaduto, liquido ed esigibile.
Legittimato al ricorso di fallimento è anche il creditore non munito di titolo esecutivo, nonché il
creditore che vanti un credito non scaduto o sottoposto a condizione. Deve fornire la prova
dell'esistenza del credito ai fini del riconoscimento della propria legittimazione.
Può essere anche lo stesso debitore a chiedere il proprio fallimento per esempio per non gravare
sullo stato di insolvenza.
Anche il Pubblico Ministero è legittimato a chiedere che venga dichiarato il fallimento quando
l’insolvenza risulti nel corso di un procedimento penale da eventi tipici significativi, quali la fuga, la
irreperibilità o la latitanza dell’imprenditore; quando l'insolvenza risulti da segnalazione del giudice
che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.

Con l'iniziativa si avvia un procedimento in camera di consiglio non di natura contenziosa bensì
volontaria che tende a valutare l'esistenza delle condizioni per adottare una particolare procedura
per la liquidazione del patrimonio del debitore.
Il procedimento si svolge innanzi al tribunale in composizione collegiale a cui partecipa il Pubblico
Ministero solo nel caso in cui sia stata sua l'iniziativa per l’avvio della procedura. I momenti
significativi del procedimento oltre alla notifica al debitore, la possibilità di depositare documenti e
relazioni tecniche, l'obbligo del debitore di depositare i bilanci degli ultimi tre esercizi ed una
situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata. Il tribunale su istanza del soggetto che
ha assunto l'iniziativa del procedimento, può disporre provvedimenti di natura cautelare o
conservativa tendenti a tutelare il patrimonio del debitore o l'impresa nella fase istruttoria. Se il
procedimento non sfocia nella sentenza di fallimento, i provvedimenti adottati saranno revocati con
decreto che rigetta l'istanza.

La competenza per territorio

La competenza del tribunale è quella del luogo in cui si trova la sede principale dell'impresa. In linea
di principio si tende ad attribuire rilevanza alla sede legale ma, tale criterio può essere superato
quando risulti con tutta evidenza che la sede legale sia meramente fittizia e di comodo. In ogni caso,
il momento in cui va determinata la competenza territoriale è quello della data anteriore di un anno
dal momento in cui viene attivata l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento.
Nel caso in cui l'imprenditore è titolare di più imprese vige il principio della prevenzione, ossia una
volta che è stato dichiarato il fallimento dal tribunale competente per una delle imprese, resta
assorbita l'eventuale competenza di altro tribunale.

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La sentenza di fallimento

Il tribunale all'esito dell'istruttoria, con sentenza dichiara il fallimento, o con decreto rigetta la
richiesta.
Il fallimento è pronunciato con sentenza che oltre ad avviare un procedimento liquidatorio, incide sui
diritti soggettivi anche personalissimi del debitore; ha capacità di acquistare forza di cosa giudicata
e cioè il carattere di immodificabilità, oltre che legittimare lo spossessamento del debitore, costituisce
il titolo esecutivo ai fini dell'esecuzione del suo patrimonio.
Con la sentenza di fallimento si nomina il giudice delegato, il curatore, si ordina al fallito il deposito
dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie e l'elenco dei creditori; fissa il termine
perentorio non superiore a 120 giorni dal deposito della sentenza entro il quale va tenuta l'adunanza
per l'esame dello stato passivo, assegna ai creditori e ai terzi che vantano diritti reali o personali su
cose in possesso del fallito il termine perentorio di 30 giorni per la presentazione in cancelleria per
la domanda di ammissione al passivo e di insinuazione.
La sentenza è provvisoriamente esecutiva, cioè è eseguita anche in caso di opposizione. Produce i
suoi effetti dalla data di pubblicazione, ma nei riguardi dei terzi si producono dalla data di Iscrizione
registro delle imprese.
La sentenza che dichiara il fallimento, entro il giorno successivo al deposito in cancelleria è notificata
al debitore ed è comunicata per estratto al pubblico ministero, al curatore e al richiedente ed è
trasmessa al registro delle imprese ove ha sede l'impresa.

Il debitore dichiarato fallito o qualunque interessato, può proporre reclamo mediante ricorso presso
la Corte d'Appello entro 30 giorni dalla data in cui gli è stata notificata la sentenza fallimento, per tutti
gli altri interessati il termine decorre dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese.
La proposizione del reclamo non sospende l'esecutività della sentenza di fallimento ma, su richiesta
del reclamante o del curatore ricorrendo gravi motivi può essere sospesa in tutto o in parte la
liquidazione dell'attivo.
Nel caso in cui il reclamo venga rigettato, la sentenza è notificata a chi l'ha proposto e potrà proporre
il ricorso per cassazione nel termine ridotto di 30 giorni. Nel caso in cui il procedimento viene accolto,
la sentenza è notificata al debitore e al creditore. Nel caso in cui il fallimento è revocato restano fermi
gli effetti degli atti legalmente compiuti fino al passaggio in giudicato della sentenza.

Nel caso in cui il tribunale non riscontri la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di
fallimento, emette il decreto motivato di rigetto, con il quale si limita ad escludere che allo stato può
essere richiesta la procedura concorsuale. Può essere riproposta la richiesta in qualunque momento.
Contro il decreto di rigetto il creditore può proporre reclamo alla Corte d'Appello entro 30 giorni dalla
comunicazione del provvedimento. La Corte d'Appello può rigettare il reclamo con un nuovo decreto,
oppure accogliere il reclamo e rimettere d'ufficio gli altri al Tribunale per la dichiarazione di
fallimento.

Il tribunale fallimentare è il tribunale che ha dichiarato il fallimento ed è investito dell'intera procedura,


ha una competenza generale di programmazione, direzione e controllo della procedura, che
consente di dare indicazioni di carattere generale, sentire in ogni momento gli altri organi o il fallito,
di essere destinatario di qualsiasi segnalazione in ordine alla procedura. Il tribunale provvede alla
nomina del giudice delegato e del curatore.
La funzione preminente si può identificare nel potere di decidere sui reclami proposti avverso i
provvedimenti del giudice delegato assunti nel corso della procedura. I provvedimenti del tribunale
sono pronunciati con decreto reclamabile innanzi la Corte d'Appello.
Legittimati al reclamo sono Il curatore, il fallito, il comitato dei creditori e chiunque vi abbia interesse
nel termine perentorio di dieci giorni che decorre dalla comunicazione o dalla notificazione del
provvedimento oggetto del reclamo.
Non sono reclamabili in Cassazione i provvedimenti che abbiano un contenuto meramente
ordinatorio, cioè che riguardano l'andamento della procedura; mentre sono suscettibili di ricorso per
Cassazione solo in caso di violazione di legge i provvedimenti a contenuto decisorio e cioè che
incidono su diritti soggettivi.
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Il tribunale è giudice di tutte le controversie che derivano da fallimento, per esempio le azioni
revocatorie, le impugnazioni dello stato passivo, la revocazione dei crediti, le azioni di risoluzione
dei contratti.

Il giudice delegato

Il tribunale con la sentenza di fallimento, designa il giudice delegato, il quale ha la funzione di


vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura. Quindi non ha un forte potere gestorio ma un
potere di controllo, ossia sul rispetto delle leggi, della procedura oltre che di vigilanza sui
comportamenti dei soggetti operanti.
In ogni caso non può essere considerato marginale, sia per quanto riguarda i controlli, sia per la
rilevanza dei suoi provvedimenti nelle fasi essenziali della procedura, quali l'autorizzazione al
compimento degli atti conformi al programma e la possibilità di interdizione in sede di vendita e il
potere sostitutivo che gli spetta in caso di mancanza o inerzia del comitato dei creditori.
Il giudice delegato decide sui reclami proposti dal fallito o da ogni altro interessato contro gli atti del
curatore e del comitato dei creditori.
Il rapporto che lega il curatore al giudice delegato deve escludere che tra questi due organi vi sia un
vincolo di subordinazione.

Il curatore

Il curatore è nominato dal tribunale nella sentenza che dichiara il fallimento e successivamente con
decreto motivato, il tribunale può revocarlo o sostituirlo. La revoca costituisce una sanzione per
violazione dei doveri imposti dalla legge, mentre la sostituzione può dipendere dalla non
accettazione dell'incarico, per rinuncia motivata, decesso o perdita della capacità di agire o altri fatti
accidentali.
In sede di adunanza dei creditori per l'esame dello stato passivo, i creditori che rappresentano la
maggioranza dei crediti ammessi, possono chiedere la sostituzione del curatore motivando la
richiesta. È possibile nominare un collegio di curatori.

Al curatore è affidata l'amministrazione del patrimonio fallimentare, e nell'ambito delle funzioni che
gli sono attribuite, in alcuni casi può operare solo previa autorizzazione del comitato dei creditori o
del giudice delegato, i quali hanno un generale potere di vigilanza sull'attività.
Il curatore ha un'ampia autonomia gestionale con la quale assume la responsabilità delle operazioni
di gestione, nonché di quelle tendenti a monetizzare le attività del patrimonio fallimentare per un
rapido soddisfacimento delle ragioni dei creditori.
Il curatore entro 60 giorni dall'avvio della procedura, deve informare il giudice delegato mediante
una relazione sulle cause del dissesto, di eventuali azioni revocatorie o risarcitorie da proporre e
successivamente ogni sei mesi deve redigere un rapporto sull'attività svolta.
La legge ha attribuito al curatore la qualità di pubblico ufficiale per l'esercizio delle sue funzioni. Tale
attribuzione costituisce da una parte una maggiore garanzia di correttezza del suo comportamento
e dall'altra il riconoscimento dell'esercizio di una funzione pubblica a cui si attribuisce particolare
rilevanza.
Il curatore assume diverse posizioni nella procedura in quanto esercita i diritti che fanno capo al
fallito, mentre quale destinatario delle pretese dei terzi agisce come organo della procedura, e non
come sostituto del debitore.

Il curatore non può stare in giudizio senza l'autorizzazione del giudice delegato e né compiere atti di
straordinaria amministrazione senza l'autorizzazione del comitato dei creditori.
Nel caso in cui il curatore sia in giudizio senza la preventiva autorizzazione si configura solo
un'ipotesi di difetto di rappresentanza, che può essere sanato con efficacia retroattiva anche sui
precedenti gradi di giudizio con la sopravvenuta autorizzazione.
Per gli atti di straordinaria amministrazione deve chiedere l'autorizzazione del comitato dei creditori
e dovrà illustrare la convenienza dell'operazione. Se tali atti sono superiori a € 50.000 il curatore

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dovrà informare preventivamente il giudice delegato, a meno che tali atti non siano già compresi nel
programma di liquidazione approvato dal comitato dei creditori.
Nel caso che l'atto venga compiuto senza la dovuta approvazione, presenta un vizio genetico dovuto
alla carenza dei poteri del curatore che ha agito come un soggetto non munito della piena capacità
di agire. Per cui o l'autorizzazione viene rilasciata a sanatoria dell'atto prima che il difetto di capacità
sia accertato, oppure potrà essere richiesto l'annullamento.
Per il compimento di atti senza il rispetto delle procedure Il curatore può essere sanzionato con la
revoca.
Se invece è mancata la richiesta di parere al Comitato dei creditori, si ritiene che si abbia una mera
irregolarità.
Contro gli atti di amministrazione del curatore è riconosciuto al fallito ed ogni altro interessato il
potere di proporre reclamo al giudice delegato, ma solo per violazione di legge e nel breve termine
di 8 giorni dalla conoscenza dell'atto.
Il curatore deve adempiere ai doveri del suo ufficio con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico
e quindi con diligenza professionale.

Il comitato dei creditori

Il comitato dei creditori ha penetranti funzioni di gestione, attraverso il potere di approvazione che
gli è stato riconosciuto. Il comitato dei creditori è nominato dal giudice delegato entro 30 giorni dalla
data della sentenza del fallimento, è composto da tre o cinque membri e al suo interno nomina il
presidente.
Il comitato dei creditori ha assunto molte funzioni che erano attribuite al giudice delegato, quali la
vigilanza sull'attività del curatore, la funzione autorizzatoria degli atti da lui compiuti, il potere di
approvare il programma di liquidazione, esprime i pareri nei casi previsti dalla legge, ovvero su
richiesta del tribunale o del giudice delegato.
Il comitato è convocato dal presidente e le decisioni sono assunte a maggioranza di chi partecipa e
la legge non prevede un quorum costitutivo.
Il comitato deve esprimere il proprio parere entro 15 giorni dalla data in cui è pervenuta la richiesta;
in caso di inerzia o di altra situazione che impedisca al Comitato di esprimersi o in caso di urgenza,
provvede il giudice delegato.
Al fine di sollecitare il comitato dei creditori a svolgere con effettività ed efficienza il proprio ruolo si
applica ai membri del comitato la norma dettata in tema di responsabilità del collegio sindacale
operando con professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico.
L'azione di responsabilità può essere promossa solo dal curatore previa autorizzazione del giudice
delegato, il quale contestualmente sostituisce i componenti del comitato.

Gli effetti del fallimento per il fallito. Gli effetti di natura personale

Il fallimento produce nei confronti del fallito effetti di natura personale e patrimoniale. Le norme che
prevedono l’incapacità personali per il fallito trovano applicazione solo dal momento in cui la
procedura è stata chiusa. È stato soppresso il registro dei falliti dal quale si poteva essere cancellati
solo con la riabilitazione ed oggi, l'accertamento dell'esistenza di una sentenza di fallimento può
essere effettuata attraverso il registro delle imprese, dove con riferimento al nominativo viene
annotata.
Il fallito non perde la patria potestà e l'esercizio di tutti i poteri legati al rapporto di famiglia.

Gli effetti di natura patrimoniale

Dalla data della sentenza di fallimento, fino alla sua chiusura il fallito perde il potere di amministrare
e di disporre dei propri beni.
Il fallito non perde la proprietà dei beni, se non nel momento in cui saranno liquidati dal curatore, ne
perde la generale capacità di agire, e gli eventuali atti di amministrazione e di disposizione saranno
validi ed efficaci inter partes, ma sono privi di effetto nei confronti del fallimento.
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Gli effetti della sentenza di fallimento nei riguardi dei terzi non si producono dalla sua data, bensì
dalla sua iscrizione nel registro delle imprese. Pertanto chi dalla data di iscrizione della sentenza nel
registro delle imprese riceva qualcosa dal fallito è tenuto a restituirla al curatore e parimenti, chi
esegue una prestazione nelle mani del fallito e questo non lo consegna al curatore, non sarà liberato
e quindi tenuto ad eseguire nuovamente la prestazione nelle mani del curatore.
Rientrano nella massa attiva anche i beni che il fallito ha acquistato successivamente alla sentenza
di fallimento. Il fallito conserva nella propria piena disponibilità alcuni beni e diritti di natura personale,
o perché esclusi dalla legge o perché sono essenziali per la sua esistenza. Il fallito può certamente
lavorare, però il giudice delegato determinerà le somme che potrà trattenere, tenendo conto della
condizione personale del fallito e quella della sua famiglia, e quelle che devono essere comprese
nella massa attiva. Restano a vantaggio ed a carico del fallito il contratto di locazione della casa di
abitazione e i relativi contratti di somministrazione.
Il fallito perde la legittimazione dei rapporti processuali pendenti o da instaurarsi, relativi ai diritti
patrimoniali. I giudizi pendenti, se proseguiti nei confronti del fallito, saranno inopponibili alla massa.
La perdita della capacità processuale da parte del fallito determina automaticamente l’interruzione
del processo.
Nei giudizi instaurati dopo la dichiarazione di fallimento relativi ai rapporti inerenti il fallimento, al
posto del fallito starà in giudizio Il curatore che però il fallito può parteciparvi, se il giudizio può
comportare il rischio di una sanzione penale a suo carico.

Gli effetti del fallimento per i creditori

Dalla data di dichiarazione del fallimento, i creditori possono chiedere l'accertamento del proprio
credito solo attraverso l'ammissione al passivo. Da tale data i creditori non possono proseguire o
avviare azioni esecutive nei confronti del fallito.
Il divieto di azioni esecutive sui beni compresi nella massa fallimentare si giustifica con la necessità
di evitare che con tali azioni possono essere sottratti alla disponibilità dell'organo fallimentare i beni
che, per esempio gli stessi abbiamo deciso di vendere in blocco o di riutilizzare per la continuazione
dell'esercizio dell'impresa.
Tali regole non valgono per chi sia diventato creditore personale del fallito dopo la sentenza di
fallimento e si potrà soddisfare esclusivamente sui beni personali del fallito e cioè, quelli non
compresi nella massa del fallimento.
Il divieto di azioni esecutive individuali, comprese le azioni cautelari, nel fallimento non è assoluto in
quanto vi sono delle leggi speciali che consentono tali azioni come ad esempio in tema di credito
fondiario.
Anche i creditori forniti di autonomi poteri esecutivi devono presentare domanda di ammissione al
passivo e potranno vedersi assegnato il ricavato dalla vendita nei limiti in cui sono stati ammessi al
passivo e in mancanza di creditori con preferenza di prelazione.
È prevista la possibilità che i creditori garantiti da pegno o assistiti da privilegio, una volta che siano
stati ammessi al passivo, possono essere autorizzati dal giudice delegato a procedere alla vendita.
Partecipano al concorso, i titolari di credito sottoposti a condizione e di credito non ancora scaduto
alla data della sentenza di fallimento.
Se il credito è munito di un titolo di prelazione è incrementato dagli interessi che maturano anche
dopo la dichiarazione di fallimento sino al momento della vendita del bene e anche gli interessi hanno
natura di credito privilegiato.
Se invece il credito è chirografario, ossia non munito di titolo di prelazione, con la dichiarazione di
fallimento è sospeso il corso degli interessi e significa che i creditori potranno far valere il proprio
credito per gli interessi maturati in pendenza della procedura, solo dopo che il debitore sia tornato
in bonis, salvo che fallimento si sia chiuso per concordato oppure che abbia ottenuto l'esdebitazione.

Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori. l'azione revocatoria

L'articolo 2740 prevede che il debitore risponde dell'adempimento delle proprie obbligazioni con tutti
i suoi beni presenti e futuri. Tale norma, se interpretata alla lettera, vincolerebbe totalmente il

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patrimonio del debitore, e sarebbe paralizzante per la circolazione dei beni e quindi per l'economia.
Il debitore, anche in presenza di quel vincolo comunque può disporre dei propri beni e nel caso in
cui dovesse risultare o c'è il timore che sia venuto meno una preesistente garanzia patrimoniale e
il patrimonio residuo sia insufficiente per consentire l'adempimento, è previsto un meccanismo che
consentire al creditore di ripristinare la garanzia attraverso l'azione revocatoria.
L'azione revocatoria ordinaria può essere esercitata anche dal singolo creditore che, a seguito di atti
di disposizione compiuti dal debitore teme di perdere la garanzia del proprio credito. L'azione può
essere esercitata entro 5 anni dalla data del compimento dell'atto.
Una volta accolta la domanda del creditore, il bene uscito dal patrimonio del debitore potrà essere
aggredito come se fosse ancora compreso nello stesso. L’azione è certamente di grande efficacia
in linea di principio ma nel concreto pone delle serie difficoltà al creditore, in quanto deve essere in
grado di provare tutte le circostanze e i vizi.
Nel fallimento è stato sostanzialmente utilizzato un meccanismo identico, ma l'esercizio è affidato in
via esclusiva al curatore. L'elemento differenziale e determinante è la circostanza che il curatore
viene sollevato in larga misura dal dover provare le circostanze costitutive dell'azione.
L'azione revocatoria colpisce il comportamento che modifica il patrimonio e quindi rende meno
agevole o meno sicuro il soddisfacimento del credito e quindi viene colpito l'atto di disposizione che
pregiudica la massa dei creditori.
L'azione revocatoria non colpisce la validità dell'atto, bensì la sua efficacia, impedendo che i suoi
effetti si producono in danno dei creditori.
In termini generali l'azione revocatoria fallimentare può colpire gli atti posti in essere in un
determinato arco temporale anteriore alla dichiarazione di fallimento quando ricorrono i presupposti.
Il dato temporale costituisce lo spartiacque tra gli atti aggredibili o meno con la revocatoria
fallimentare e abbiamo due particolarità: nel caso in cui il fallimento sia stato dichiarato a seguito di
nullità di una prima sentenza, la Cassazione fa decorrere i termini per revocatoria dalla data della
sentenza di fallimento; mentre nel caso che il fallimento sia stato dichiarato senza soluzione di
continuità a seguito di altra procedura concorsuale, quale il concordato preventivo, il termine non
decorre dalla data della sentenza di fallimento, bensì dalla data di pubblicazione della domanda di
concordato nel registro imprese. Questa previsione si fonda sul concetto unitario delle procedure
concorsuali.

La revocatoria fallimentare

Gli atti a titolo gratuito, sono privi di effetto rispetto ai creditori, se sono compiuti dal fallito nei due
anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, sono esclusi i regali d'uso e gli atti compiuti in
adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, purché la liberalità sia proporzionale
al patrimonio del donante.
I beni sono acquisiti al patrimonio del fallimento mediante la trascrizione della sentenza dichiarativa
di fallimento. Questa norma risponde all'esigenza di paralizzare gli effetti degli atti gratuiti, senza la
necessità che vi sia un accertamento giudiziale dei presupposti, salva la possibilità per i soggetti
interessati di impugnare i provvedimenti.
Si tratta di un fenomeno restitutorio, dal patrimonio del beneficiario al patrimonio del fallito.
Gli atti a titolo gratuito sono quelli nei quali il patrimonio del debitore subisce un sacrificio senza
alcun corrispettivo.
Lo stesso tipo di inefficacia opera per i pagamenti che sono stati eseguiti dal debitore prima della
scadenza, per debiti che sarebbero scaduti il giorno della dichiarazione di fallimento o
successivamente. Non rientrano in tale categoria i pagamenti eseguiti prima della sentenza, di debiti
con scadenza anteriore alla data della sentenza di fallimento.

L'azione revocatoria ordinaria modificata, lascia fermo l'onere della prova a carico dell'attore e la
legittimazione all'azione passa dal creditore al curatore, la irrilevanza del momento in cui è sorto il
credito rispetto a quello in cui è stato compiuto l'atto pregiudizievole, e il beneficio dell'azione per
tutti i creditori e non solo per quelli che siano stati tali alla data del compimento dell'atto
pregiudizievole.

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Le ragioni che possono indurre Il curatore ad esercitare l'azione che non gode delle presunzioni che
operano nella revocatoria fallimentare, risiedono nella circostanza che può colpire atti non aggredibili
per ragioni temporali. L’azione revocatoria ordinaria può essere esercitata entro i 5 anni dal
compimento dell'atto, mentre la revocatoria fallimentare può aggredire solo gli atti compiuti nell'anno
o nel biennio precedente la dichiarazione fallimento.

Tra gli atti a titolo oneroso, rientrano gli atti cosiddetti anormali. Per questa categoria di atti, una
volta che Il curatore ha fornito la prova della loro esistenza e del loro compimento nell'arco di un
anno anteriore la data della sentenza fallimento, l'atto sarà revocato, salvo che il terzo dimostri di
non aver avuto conoscenza dello stato di insolvenza in cui versava il debitore al momento del
compimento dell'atto e la prova può essere fornita solo provando che lo stato di insolvenza non si
sia manifestato.
Rientrano in tale categoria gli atti in cui esiste una notevole sproporzione tra le prestazioni eseguite
o le obbligazioni assunte dal fallito e ciò che è stato a lui dato o promesso; Gli atti estintivi di debiti
pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con denaro o con altri mezzi normali di
pagamento, eccetto nel caso in cui il diverso adempimento sia stato contrattualmente previsto come
alternativa nel momento della costituzione del rapporto; I pegni, le anticresi, le ipoteche volontarie
costituite nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti non scaduti, la norma
si riferisce a prestazioni di garanzia da parte del debitore per un debito proprio.

Gli atti cosiddetti normali

Per la categoria degli atti cosiddetti normali, apparentemente privi di anormalità rispetto all'ordinario
andamento dei rapporti di impresa, spetterà al curatore fornire la prova che il terzo forse a
conoscenza dello stato di insolvenza al momento del compimento dell'atto, utilizzando lo strumento
della presunzione.
Se il curatore riesce a fornire la prova e realizzati nei sei mesi prima della dichiarazione di fallimento,
e rientrano anche le garanzie prestate per i debiti terzi, sono revocati. Saranno revocabili sia i
pagamenti spontanei che quelli coattivi conseguiti a mezzo di esecuzione forzata.

Per i rapporti patrimoniali tra coniugi, la legge ha dettato una disciplina revocatoria molto più severa
rispetto agli altri soggetti supponendo una stretta contiguità economica oltre che frequenti
simulazioni. Il coniuge del fallito per evitare la revoca deve dare la prova che ignorava lo stato di
insolvenza del coniuge e sono revocati gli atti a titolo gratuito anteriore ai 2 anni alla dichiarazione
fallimento compiuti tra i coniugi nel tempo in cui il fallito esercitava un'impresa commerciale.

Per tutte le procedure concorsuali valgono alcune esenzioni dalla revocatoria come i pagamenti di
imposte scadute e i contributi sociali obbligatori con i relativi accessori. Un'altra eccezione è data
dal pagamento della cambiale al fine di tenere fermi i principi che regolano l'azione di regresso, ma
l'ultimo obbligato di regresso che abbia girato o tratto la cambiale, ha l'obbligo di versare al curatore
la somma riscossa.
Le ipoteche a garanzia di finanziamenti non sono soggette a revocatoria fallimentare quando sono
stati scritti 10 giorni prima data di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento.

Nel caso venga accolta la domanda in revocatoria proposta dal curatore, il terzo deve restituire il
bene ricevuto e su sua domanda può essere ammesso al passivo per ciò che aveva corrisposto al
debitore poi fallito, se è revocato un atto costitutivo di prelazione, il credito relativo sarà ammesso al
passivo come chirografario; se è revocato un pagamento il soggetto che lo aveva ricevuto deve
restituire la somma, eventualmente anche con interessi decorrenti dalla data della domanda
giudiziale e potrà chiedere di essere ammesso al passivo per la somma. Non è ammessa la
compensazione tra il debito di restituzione al fallimento e il credito che dovrà essere riconosciuto in
sede di ammissione al passivo.

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Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti

Il fallimento coinvolge l'intero patrimonio del debitore e quindi una serie di rapporti giuridici costituiti
prima della dichiarazione di fallimento.
Nel caso dei rapporti in corso che non sono stati completamente eseguiti da ambo le parti, la legge
fallimentare ha dettato un principio di carattere generale applicabile a tutte le tipologie contrattuali,
mentre ha previsto delle eccezioni in riferimento ai rapporti tipici.
La regola generale è costituita dalla sospensione del rapporto che risulta pendente nel momento
della dichiarazione di fallimento, con facoltà del curatore di proseguire il contratto previa
autorizzazione da parte del comitato dei creditori.
La sospensione del contratto non opera nel caso dei contratti ad effetti reali quando già è avvenuto
il trasferimento del diritto.
Nel caso di esercizio provvisorio e di prosecuzione da parte del curatore dell’attività di impresa,
vige la regola di prosecuzione automatica di tutti i rapporti pendenti, con facoltà del curatore di
comunicare all'altro contraente la diversa volontà di sciogliersi immediatamente ovvero di
sospendere l'efficacia prendendo un periodo di tempo per l'assunzione della decisione.
In caso di sospensione dell'efficacia del rapporto, la scelta del curatore non è sottoposta ad alcun
termine e l'altro contraente può richiedere al giudice delegato di assegnare al curatore un termine
non superiore a 60 giorni per assumere una decisione, diversamente il contratto è sciolto.

Nel contratto di compravendita, se non è avvenuto il trasferimento di proprietà del bene, resta
sospeso nell'efficacia fino a quando Il curatore, ottenuta l'autorizzazione del comitato dei creditori
dichiari di subentrare in luogo del fallito nel contratto, ovvero ne comunichi all'altro lo scioglimento.
Nel primo caso il curatore si obbliga ad adempiere la propria prestazione fuori dal concorso, come
debito di massa; nel secondo ciascuna parte è liberata dall’eseguire le ulteriori prestazioni ancora
dovute e l'acquirente, se ha già eseguito in tutto o in parte la propria obbligazione prima del
fallimento, ha diritto a far valere il proprio credito nel passivo.
Quando il contratto preliminare è stato trascritto, e sciolto su iniziativa del curatore, il promittente
acquirente può far valere il credito di restituzione della caparra pagata nel passivo del fallimento, a
condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati prima della di
dichiarazione di fallimento. Lo scioglimento del contratto su determinazione del curatore non
comporta il risarcimento del danno.
In caso di fallimento dell'acquirente ove il curatore abbia ricevuto l'autorizzazione da parte del
comitato dei creditori che intenda subentrare nel contratto nella posizione dell'acquirente, dovrà
offrire al venditore se richiesta un’idonea cauzione. Se il curatore decide di sciogliere il contratto
dovrà restituire la cosa e non pagherà le rate scadute successivamente alla data del fallimento e il
venditore dovrà restituire le rate già riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l'uso della
cosa.
Nella vendita a rate con riserva di proprietà, il fallimento del venditore non è causa di
scioglimento del contratto.
Viene dettata una norma particolare per la vendita di cose mobili e se prima della dichiarazione
di fallimento del compratore è stata spedita e alla data di dichiarazione di fallimento la cosa non è
stata ritirata, il venditore può riprenderne il possesso, restituendo al curatore gli acconti
eventualmente ricevuti. Anche in questo caso il venditore può lasciare che il contratto abbia
esecuzione facendo valere il proprio credito nel passivo, oppure che il curatore pagando
integralmente il prezzo può chiedere che la cosa sia consegnata.
Anche per i contratti ad esecuzione continuata o periodica il curatore ha facoltà di dare ulteriore
esecuzione all'obbligazione, ovvero di sciogliere il rapporto. Se il curatore chiede che il contratto sia
proseguito, non solo è obbligato a pagare il corrispettivo per il futuro, ma deve anche pagare
integralmente il prezzo delle consegne già avvenuti e dei servizi ricevuti.

I contratti che si sciolgono de jure

Nel contratto di borsa a termine, il prezzo e i titoli da scambiare sono stabiliti nel momento della
conclusione del contratto, ma il pagamento del corrispettivo e la consegna dei titoli avvengono ad
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una scadenza successiva e se il termine scade dopo la dichiarazione di fallimento, il contratto si


scioglie. Avverrà la comparazione tra il valore dei titoli alla data del fallimento è quello convenuto
contrattualmente e la differenza è versata nel fallimento se il fallito risulta in credito, oppure nel
passivo.
Con la dichiarazione di fallimento si sciolgono i contratti di associazione in partecipazione, di conto
corrente, il contratto di finanziamento destinato ad uno specifico affare, di società di persone, nonché
il rapporto del socio nella società di persone.
Per le società di capitali il fallimento non è più menzionato tra le cause di scioglimento disciplinate
del codice civile, deve essere considerato tra le altre cause di scioglimento previste dalla legge in
quanto la chiusura del fallimento produce l’effetto della cancellazione della società dal registro delle
imprese.
La risoluzione di questi contratti deriva molto probabilmente dal fatto che si tratta di contratti di
durata, che provocano modifiche nel patrimonio di ciascuna delle parti.
Per il contratto di appalto privato è previsto lo scioglimento in caso di fallimento di una delle parti,
salvo che Il curatore, ottenuta l'autorizzazione del comitato dei creditori, non dichiari di voler
subentrare dando comunicazione all'altra parte nel termine di sessanta giorni dalla dichiarazione di
fallimento, ma in tal caso deve offrire una cauzione per l'adempimento delle successive obbligazioni.
Nel caso di fallimento dell'appaltatore rimane facoltà del committente, rifiutare la prosecuzione del
rapporto con conseguente scioglimento dello stesso, se qualità soggettiva dell'imprenditore era stato
il motivo determinante nella conclusione del contratto.
Con lo scioglimento di qualsiasi contratto, sia che avvenga de jure, sia quale scelta del curatore, fa
venir meno l'efficacia della clausola compromissoria con la quale le parti hanno optato ad arbitri
la risoluzione delle controversie, le quali dovranno essere sottoposte alla cognizione del giudice
ordinario e il procedimento arbitrale eventualmente già instaurato deve essere interrotto.

I contratti che proseguono

Oltre alle ipotesi di esercizio provvisorio dell'attività di impresa, per la quale è prevista la
prosecuzione generalizzata di tutti i contratti, per alcune tipologie è prevista la continuazione
dell'efficacia senza soluzione di continuità.
Il contratto di locazione non si scioglie, nel caso di fallimento del locatore e il curatore subentra
nel rapporto. Qualora il contratto abbia complessivamente una durata superiore a 4 anni, il curatore
a determinate condizioni potrà recedere.
Il fallimento del conduttore, pur non costituendo di per sé causa di scioglimento del contratto,
abilita comunque il curatore a recedere dal contratto corrispondendo un equo indennizzo. Per quanto
concerne l'abitazione del fallito, il relativo contratto di locazione deve essere considerato di natura
strettamente personale e quindi non compreso nel fallimento.
Anche il contratto di affitto di azienda prosegue dopo il fallimento di una delle parti, ma ciascuna
di queste e quindi non solo Il curatore può comunicare all'altra il recesso con l'obbligo di
corrispondere un equo indennizzo.
Il contratto di leasing è diversificato a seconda che il fallimento riguardi la società concedente
oppure l'utilizzatore. Nel caso di fallimento della società concedente l'utilizzatore conserva la
facoltà di acquistare la proprietà del bene alla scadenza del contratto verso il pagamento del prezzo
pattuito e quindi il contratto prosegue; mentre con il fallimento dell'utilizzatore si ha la sospensione
del rapporto.

I contratti tipici non menzionati ed i contratti atipici

Per il rapporto di lavoro, l’art. 2119 del codice civile si limita ad escludere il fallimento quale giusta
causa per la risoluzione del contratto, e si ha la sospensione del rapporto.
Nel caso in cui il fallimento riguardi le imprese assoggettate all'intervento straordinario di
integrazione salariale, su domanda del curatore viene concessa ai lavoratori la cassa integrazione
guadagni per un periodo non superiore ai 12 mesi, prorogabile di ulteriori 6 mesi, nel caso sussistano
fondate prospettive di ripresa dell'attività. Questo significa che con i soli oneri della cassa
integrazione il rapporto non si interrompe, fin quando il curatore non collochi i lavoratori in mobilità.
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L'avvio della procedura

Dopo la dichiarazione di fallimento, il curatore provvede all’apposizione dei sigilli sui beni del
debitore, assistito dal cancelliere del tribunale e nel caso può richiedere l'intervento della forza
pubblica.
Capita che i beni del fallito si trovino in più luoghi e in tal caso il giudice delegato nomina uno o più
coadiutori, ai quali vengono delegate le operazioni di apposizione dei sigilli. Se ci sono dei beni a
cui non è possibile apporre sigilli, il curatore provvede alla loro descrizione nel verbale.
I sigilli non sono apposti sul denaro, sui titoli di credito e le scritture contabili del fallito che vengono
direttamente consegnati al curatore, il quale provvede alla custodia.
Il curatore dopo avere avvisato il fallito e il comitato dei creditori, con l’assistenza del cancelliere
procede all'inventario, con il quale acquisisce il possesso dei beni del fallito.
Nel corso delle operazioni il giudice delegato, con il consenso del curatore e del comitato dei
creditori, può restituire a terzi che ne facciano richiesta i beni su cui vantano diritti reali o personali
che sono chiaramente riconoscibili.
Il curatore deve depositare in cancelleria l'elenco dei creditori con l'ammontare dei crediti e di
eventuali diritti di prelazione. Nel caso in cui il fallito non abbia redatto l'ultimo bilancio d'esercizio,
dovrà farlo il curatore.

Chiunque vanti una pretesa nei confronti dell'imprenditore fallito deve farla valere in quanto Il
curatore non può autonomamente adempiere alle obbligazioni del fallito e deve essere fatta valere
con la domanda di ammissione al passivo, che può riguardare sia un credito pecuniario, un diritto
reale o personale su beni mobili o immobili.
Subito dopo la dichiarazione di fallimento, secondo i dati delle scritture contabili del fallito, il curatore
deve inviare un avviso a tutti i creditori e titolari di diritti.
La domanda di ammissione al passivo si effettua mediante ricorso al curatore, nel termine perentorio
di trenta giorni, e devono essere trasmessi i documenti dimostrativi del credito e del diritto fatto
valere.
Se nel termine nessuna domanda è stata presentata, si verifica un caso di chiusura del fallimento.
La domanda di ammissione produce gli effetti della domanda giudiziale e il più importante è
l'interruzione della prescrizione sui diritti vantati fino al termine del fallimento.
All'udienza il giudice delegato, anche in base alle conclusioni del curatore e delle osservazioni degli
altri interessati, decide con decreto succintamente motivato su ogni domanda, disponendone
l'accoglimento o il rigetto, anche parziale ovvero dichiarandone l'inammissibilità per motivi
processuali e in questo caso consente la riproposizione della domanda in via tardiva; in caso di
rigetto anche parziale l'opposizione è l'unico rimedio esperibile.
Il giudice delegato oltre a valutare l'esistenza del credito, del suo ammontare e la sua natura
chirografaria o privilegiata, deve anche valutare l’opponibilità al fallimento.
Gli atti e i documenti sono opponibili solo se muniti di data certa e l'inopponibilità per difetto di data
certa preclude la valutazione in ordine alla esistenza. Il secondo profilo riguarda la soggezione
dell'atto all'esercizio dell'azione revocatoria, che tende a far dichiarare inefficace l'atto revocabile e
quindi esclude che il credito nascente dallo stesso, può essere fatto valere nei confronti del
fallimento.
La domanda può essere ammessa con riserva, ma solo in casi determinati espressamente previsti
dalla legge.
Terminato l'esame di tutte le domande pervenute, il giudice delegato forma lo stato passivo e viene
dichiarato con decreto esecutivo. Lo stato passivo non è altro che l'elenco di tutti i creditori, o titolari
di altri diritti che hanno presentato domanda di ammissione al passivo.
Dopo che lo stato passivo è stato reso esecutivo, il curatore lo comunica a tutti coloro che hanno
presentato le domande, informando del diritto di proporre opposizione nel caso di mancato
accoglimento, totale o parziale, della domanda.

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Opposizioni, impugnazioni e revocazione

Contro il decreto con cui il giudice delegato ha reso esecutivo lo stato passivo, sono ammessi tre
rimedi processuali: l'opposizione, l'impugnazione e la revocazione.
Con l'opposizione il titolare del credito o di un altro diritto nei confronti del fallito, contesta che la
propria domanda sia stata rigettata o accolta solo in parte e si propone esclusivamente nei confronti
del curatore.
Con l'impugnazione il curatore, i creditori e i titolari di altri diritti, contestano il provvedimento con il
quale è stata ammessa, in tutto o in parte la domanda di un concorrente. Il curatore è una parte
necessaria del giudizio, anche se a proporlo sono altri.
La revocazione è un rimedio proponibile solo se sono scaduti i termini per proporre l'opposizione e
l'impugnazione. Con la revocazione si tende alla revoca dei provvedimenti dipesi da falsità, da dolo,
da un errore essenziale di fatto o dalla mancata considerazione di documenti decisivi, non prodotti
nei termini per fatti non imputabili al ricorrente.
Lo stato passivo può contenere degli errori materiali e sono corretti con decreto del giudice delegato
senza particolari formalità.
Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria del Tribunale entro 30 giorni dalla ricezione della
comunicazione con la quale il curatore fa conoscere ai concorrenti l'esito della domanda, oppure nel
caso di revocazione, dalla scoperta del fatto o del documento. Il termine di trenta giorni è perentorio
e se non viene rispettato il ricorso è dichiarato inammissibile.

Le domande di ammissione al passivo, sono considerate tardive se presentate oltre il termine dei
30 giorni e, comunque, entro 12 mesi dalla data di approvazione dello stato passivo (18 in caso di
procedura particolarmente complessa).
Oltre questo termine la domanda è inammissibile, salvo che il ricorrente non dimostri che il ritardo
non è a lui imputabile.
Il procedimento di verifica delle domande tardive è identico a quello delle domande tempestive,
trattate in un'apposita udienza di verifica, che si conclude con decreto di ammissione o di rigetto, e
gli atti sono soggetti agli stessi mezzi di impugnazione previsti per le domande tempestive.
Per il creditore della domanda tardiva, si applica un regime più sfavorevole nella ripartizione
dell'attivo, in quanto non partecipa alle ripartizioni effettuate prima della sua ammissione. Questo
non vale per i crediti assistiti da diritto di prelazione.

Tutta la fase di accertamento del passivo, comprensiva delle eventuali impugnazioni e delle
domande tardive, può anche non svolgersi affatto, oltre al caso di mancata presentazione delle
domande entro il termine, anche nel caso in cui il patrimonio del fallito non sia sufficiente ad
effettuare distribuzioni in favore di alcuno dei creditori che hanno presentato domanda di ammissione
e dispone, con decreto, di non procedere all'accertamento del passivo. Il decreto è comunicato ai
creditori che possono proporre reclamo alla Corte di Appello.

La legge fallimentare del 1942, pur prevedendo istituti che consentivano di esercitare l'attività di
impresa dopo la dichiarazione di fallimento, considerava come prevalente la liquidazione atomistica
dei beni. La riforma ha invertito questo principio, puntando alla conservazione dell'attività di impresa
e quindi alla funzionalità produttiva dell'azienda o parte di essa, onde consentirne l'eventuale
trasferimento.

L'articolo 104 della legge fallimentare prevede che il tribunale, già con la sentenza che dichiara il
fallimento, può disporre per l'esercizio dell'impresa l'azienda nel suo complesso o rami specifici,
qualora dalla sua interruzione può derivare un danno grave e purché non provochi un pregiudizio ai
creditori.
Qualora l'esercizio dell'impresa non venga disposto con sentenza di fallimento, il giudice delegato,
autorizza con decreto motivato, la sua continuazione.
Una volta disposta la continuazione dell'impresa, la norma pone una serie di cautele per evitare un
aggravio pregiudizievole alla procedura.

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I crediti che sono sorti nel corso dell'esercizio provvisorio sono inclusi tra i crediti da soddisfare in
prededuzione e comporta che loro ammontare erode le somme disponibili per i creditori concorsuali.
L'esercizio dell'impresa cessa con provvedimento del giudice delegato, nel momento in cui il
comitato dei creditori si pronunci in tal senso; con provvedimento del tribunale, ogni qualvolta lo
ritenga necessario o opportuno, sentiti per altro Il curatore e il comitato dei creditori.

L'affitto dell'azienda può essere utilizzato anche prima che sia approvato il programma di
liquidazione.
Al fine di evitare pericoli di elusione è stato disciplinato il procedimento di scelta dell'affittuario, le
clausole obbligatoriamente, la possibilità di riconoscere convenzionalmente un diritto di prelazione,
la sorte dei debiti sorti in capo all'affittuario.
Viene escluso che, cessato il contratto d'affitto, il fallimento sia responsabile dei debiti contratti
dell'affittuario.

Il programma di liquidazione

Il programma di liquidazione è una nuova figura nell'ambito delle procedure concorsuali che ha una
funzione più strettamente operativa, in quanto rappresenta la proposta del curatore circa le modalità
e gli strumenti della liquidazione.
Il programma deve essere sottoposto al comitato dei creditori per l’approvazione e costituisce l'atto
di pianificazione e di indirizzo per la liquidazione dell'attivo, deve poter prevedere la possibilità
della continuazione dell'esercizio dell'impresa e dell'affitto d'azienda; la presenza di una proposta di
concordato fallimentare; le azioni risarcitorie, per esempio le azioni di responsabilità nei confronti
degli organi sociali cessati e revocatorie; la possibilità di gestione unitaria dell'azienda, dei singoli
beni, di beni o rapporti giuridici in blocco; le condizioni di vendita dei singoli cespiti.
Deve essere indicato anche il termine entro il quale sarà completata la liquidazione dell'attivo che
non può eccedere i 2 anni dal deposito della sentenza di fallimento. Nel caso in cui il curatore ritenga
necessario un termine maggiore, è tenuto a darne motivazione. In assenza di giustificato motivo è
giusta causa di revoca del curatore.

Il criterio primario di liquidazione è costituito dalla vendita dell'azienda in blocco. La liquidazione


atomistica avverrà nella ipotesi in cui risulterà maggiormente conveniente rispetto all'altra. In sede
di vendita dell'azienda l'unico dato rilevante è la convenienza economica.
Per la vendita dell'azienda è doverosa la consultazione sindacale e viene esclusa la responsabilità
dell'acquirente per i debiti afferenti l'azienda ceduta. Si può prevedere che il prezzo, in tutto in parte,
sia soddisfatto attraverso l’accollo dei debiti, sempre che non comporti una lesione della par condicio
creditorum.
Affine di favorire, per quanto possibile, la conservazione dei livelli occupazionali, è stata introdotta
la previsione secondo cui hanno diritto di prelazione per l'affitto o per acquisto le società cooperative
costituite da lavoratori dipendenti dell'impresa.
Il curatore può procedere alla liquidazione mediante l'attivazione di operazioni straordinarie
d'impresa, quale ad esempio la costituzione di una o più società su cui conferire i beni aziendali, con
successiva alienazione delle partecipazioni societarie o con assegnazione delle quote ai creditori.
Le vendite sono effettuate dal curatore, senza la previsione di una forma di liquidazione vincolata e
quindi potrà scegliere il procedimento e gli strumenti che ritiene più utili opportuni, mediante l’utilizzo
di una procedura competitiva, ove potenzialmente possono partecipare più soggetti da porre in
competizione tra di loro. Questo impone che vi debba essere una stima dei beni oggetti della
liquidazione. Al fine di assicurare la massima informazione e partecipazione dovranno essere
adottate adeguate forme di pubblicità, almeno 30 giorni prima dell'inizio della procedura competitiva.
Il giudice delegato ha il potere di sospendere le operazioni di vendita, su istanza del fallito, del
comitato dei creditori o di qualunque interessato quando il prezzo risulti inferiore a quello giusto.

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La ripartizione dell'attivo e il rendiconto del curatore

Con la ripartizione dell'attivo i creditori concorrono al soddisfacimento dei loro diritti, nei limiti di
quanto realizzato e nel rispetto delle legittime cause di prelazione.
Ogni quattro mesi, a partire dalla data di approvazione dello stato passivo, il curatore deve
presentare un prospetto relativo alle somme disponibili dalla liquidazione compiuta.
Nel caso siano in corso giudizi di opposizione, impugnazione e revocazione, nel progetto di
ripartizione il curatore indica per ciascun creditore, le somme che sono immediatamente ripartibili e
le somme che lo sono soltanto previo rilascio di una fideiussione irrevocabile a prima richiesta per
garantire la restituzione nel caso che le somme risultino ripartite in eccesso.
L'aspetto più importante della fase di distribuzione dell'attivo riguarda l'ordine con il quale devono
essere pagati i crediti concorrenti. Le somme che devono essere pagate in primo luogo sono relative
ai debiti prededucibili, poi i crediti muniti di diritti di prelazione e infine i crediti chirografari e
quelli privilegiati per i quali non è ancora stata realizzata la garanzia. Anche se non menzionati dalla
legge, vi sono poi i crediti postergati, cioè quelli che possono essere soddisfatti solo dopo che sono
stati completamente pagati gli altri.
Sono prededucibili i crediti che sorgono in occasione o in funzione di procedure concorsuali
disciplinate dalla legge fallimentare.
I crediti prededucibili sono fruttiferi e devono essere pagati nell'ambito della ripartizione dell'attivo,
esclusa solo la parte destinata a soddisfare i crediti garantiti da pegno o ipoteca in quanto prevalgono
su quelli prededucibili.
Le ripartizioni parziali non possono superare il 80% delle somme disponibili che tra l'altro la
percentuale si riduce se il residuo non è sufficiente a coprire le spese future e i crediti prededucibili
non ancora maturati o liquidati.
Prima del riparto finale e in tutti i casi in cui il curatore cessi delle due funzioni, deve presentare al
giudice delegato un rendiconto analitico con tutte le movimentazioni, il quale viene depositato in
cancelleria e il giudice fissa l'udienza alla quale tutti gli interessati possono presentare osservazioni
o contestazioni al conto. Se non sorgono contestazioni il giudice delegato, con decreto approva il
conto, diversamente fissa un'udienza e avvia un giudizio di conto che si svolge in camera di
consiglio.
Dopo l'approvazione del conto e la liquidazione del compenso del curatore, il giudice delegato ordina
il riparto finale.

I casi di chiusura del fallimento sono indicati nell'articolo 118 della legge fallimentare, e rientrano
i casi di mancata proposizione, nel termine fissato dalla sentenza di fallimento delle domande di
ammissione al passivo;
Quando, anche prima della ripartizione finale, le ripartizioni effettuate estinguono i crediti e sono
state pagate anche le spese in prededuzione;
Quando viene accertato che l'attivo non sarebbe sufficiente a soddisfare neanche in quota parte i
creditori concorsuali.

La chiusura della procedura di fallimento per ripartizione finale non è impedita dalla pendenza di
giudizio. Questa previsione è stata introdotta al fine di evitare le azioni risarcitorie a carico dello Stato
per irragionevole durata della procedura fallimentare. Dopo la chiusura, le somme ricevute dal
curatore relative a provvedimenti definitivi e gli eventuali residui sugli accantonamenti sono
nuovamente ripartiti fra i creditori.
Tra le ipotesi di chiusura c'è anche il concordato.
Prima del provvedimento di chiusura del fallimento, il curatore deve presentare il rendiconto con la
richiesta di chiusura e nel caso in cui, si verificano uno dei casi di chiusura, il tribunale con decreto
motivato dispone la chiusura del fallimento.
Prima di emettere il decreto di chiusura, Il tribunale deve sentire il comitato dei creditori ed il fallito
solo nel caso in cui la chiusura dipenda da mancanza di attivo e non sia stato approvato il programma
di liquidazione.

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I reclami possono essere presentati innanzi alla Corte d'Appello e contro tale provvedimento è
ammesso il ricorso per Cassazione.
Con la chiusura, cessano tutti gli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito e gli organi preposti
alla procedura di fallimento decadono. Nel caso in cui si tratti di una società il curatore ne chiede la
cancellazione dal registro delle imprese.
Con la chiusura del fallimento della società con soci illimitatamente responsabili, si determina anche
la chiusura e il fallimento del socio.
Con la chiusura del fallimento i crediti che non siano stati completamente soddisfatti, anche
eventualmente per i soli interessi, possono essere azionati nei confronti del debitore tornato in bonis,
almeno che il debitore non ottenga il beneficio della esdebitazione.

La chiusura del fallimento per concordato

Il concordato fallimentare consiste in un accordo raggiunto tra il proponente ed i creditori, in base al


quale il proponente paga in percentuale o per intero, i debiti del fallito a fronte dell'acquisto dei beni
costituenti l'attivo fallimentare.
Sono legittimati a presentare la proposta di concordato uno o più creditori, un terzo, una società cui
esso partecipi o sia sottoposta a comune controllo. Il fallito può presentare la proposta solo dopo
che è decorso un anno dalla dichiarazione di fallimento. La proposta può essere presentata anche
prima del decreto di esecutività dello stato passivo se la contabilità è tenuta in modo ordinato e in
base alla quale il curatore è in grado di predisporre un elenco provvisorio di creditori da sottoporre
all'approvazione del giudice delegato.
Se il fallito che propone il concordato non è un imprenditore individuale, ma una società, nelle società
di persone, deve essere approvata dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale,
nelle società di capitale, dagli amministratori.
Nel caso di fallimento di società con soci illimitatamente responsabili, ciascun socio dichiarato fallito
può proporre un proprio concordato ai creditori. Se il concordato è proposto da una società con soci
illimitatamente responsabili ha efficacia anche personalmente nei confronti dei soci e fa cessare
anche il loro fallimento.
Il contenuto della proposta non è predeterminato e quindi può essere il più diverso. Le ipotesi più
comuni sono costituite dal pagamento dei creditori chirografari in una percentuale uguale per tutti;
la suddivisione dei creditori in classi;
il pagamento integrale o non integrale dei crediti privilegiati;
Il trasferimento al proponente di tutti i beni dell'attivo fallimentare;
l'assunzione di tutti gli obblighi derivanti dal concordato da parte di un terzo o di creditori, con
liberazione immediata del debitore.
Se a proporre il concordato sono un terzo o i creditori, questi possono limitare il proprio impegno di
pagamento ai soli crediti già ammessi al passivo o in corso di accertamento e il debitore continuerà
a rispondere nei confronti dei creditori anteriori la dichiarazione di fallimento che non abbiano
presentato domanda di ammissione al passivo.
Anche se ottiene l'esdebitazione, il fallito non è liberato nei confronti dei creditori non concorrenti per
la parte di credito che gli stessi avrebbero ottenuto in sede concordataria.
Una volta omologato il concordato ha efficacia sia nei confronti dei creditori che sono stati ammessi
al passivo, che nei confronti degli altri creditori anteriori alla dichiarazione di fallimento. In caso di
più proposte, il comitato dei creditori sceglie quale proposta deve essere sottoposta al voto dei
creditori, ma il giudice delegato può anche disporre che siano sottoposte ai creditori più proposte.
Se la proposta contiene la suddivisione dei creditori in classi, deve essere sottoposta a giudizio del
tribunale la verifica sulla correttezza dei criteri di formazione delle classi.
Hanno diritto di voto i creditori chirografari per i quali non è previsto il pagamento integrale del credito
ed i creditori privilegiati che abbiano rinunciato, anche parzialmente, al diritto di prelazione, o che in
base alla proposta non saranno soddisfatti con pagamento in denaro ed integralmente.
Dopo l'omologazione del concordato, il giudice delegato, il curatore e del comitato dei creditori ne
sorvegliano l'adempimento.
Nel caso in cui il concordato non sia regolarmente adempiuto, il tribunale su ricorso di un creditore
concordatario, dichiara la risoluzione del concordato e la conseguente riapertura del fallimento.

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Qualora dopo l'omologazione, si scopre che il passivo sia stato dolosamente esagerato ovvero sia
stata sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo, su istanza del curatore o di un creditore
concordatario può essere annullato con sentenza del tribunale e riaperta la procedura fallimentare.
Anche in questa fase può essere formulata una nuova proposta di concordato, ma si dovrà
provvedere al deposito integrale delle somme occorrenti per l'adempimento o con garanzie
equivalenti.

La esdebitazione

L'istituto della esdebitazione è stato introdotto con la riforma. Dopo la chiusura del fallimento, i
creditori non integralmente soddisfatti possono agire nei confronti del fallito tornato in bonis per
tentare di recuperare il credito residuo. Nell'ipotesi che il fallito riesca ad ottenere il beneficio della
esdebitazione, sarà liberato dei crediti concorsuali concorrenti non soddisfatti, nonché dei crediti
concorsuali non concorrenti ossia dei crediti anteriori al fallimento per i quali non sia stata proposta
domanda di ammissione al passivo, nei limiti di quanto eccede rispetto alla percentuale riconosciuta
ai creditori di ugual grado in sede concorsuale.
Restano comunque esclusi dalla esdebitazione i debiti di natura alimentare e quelli estranei
all'impresa nonché, quelli per fatto illecito extracontrattuale, le sanzioni penali e amministrative di
carattere peculiare.
La esdebitazione non libera i coobbligati del fallito come i fideiussori.
Il beneficio può essere concesso solo al fallito persona fisica e il requisito oggettivo è che durante la
procedura di fallimento siano stati pagati almeno in parte i creditori ammessi al passivo mentre per
i requisiti soggettivi deve aver cooperato con gli organi della procedura, non abbia ritardato o
contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura, che abbia sempre consegnato la
corrispondenza al curatore, non abbia beneficiato della esdebitazione nei 10 anni precedenti la
richiesta, non abbia distratto attivo, esposto passività inesistenti o cagionato o aggravato il dissesto,
o fatto ricorso abusivo al credito, e che non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato
per bancarotta fraudolenta o per altri delitti connessi all'esercizio dell'attività di impresa.

Il fallimento delle società

La nozione di imprenditore commerciale comprende sia l'imprenditore individuale che quello


collettivo, si devono ritenere applicabili a quello collettivo tutte le norme dettate per quello individuale,
salvo che la peculiarità del riferimento alla persona fisica renda impossibile tale estensione.

L'azione di responsabilità contro amministratori e, eccetera

L'articolo 146 della legge fallimentare prevede che gli amministratori e i liquidatori della società sono
tenuti agli obblighi imposti al fallito e essenzialmente assumono la stessa posizione del fallito in tutte
le ipotesi nelle quali questi ha il potere di partecipare alla procedura.
L'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, sindaci, direttori generali, può essere
instaurata quando sussistono i presupposti del codice civile e sono autorizzate dal giudice delegato.
Il curatore può esercitare l'azione di responsabilità nei confronti dei soci di società a responsabilità
limitata che abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la
società, i soci e i terzi.

La sentenza che dichiara il fallimento della società con soci a responsabilità illimitata produce anche
il fallimento dei soci.
Tale norma si applica sia al socio occulto di una società già palese, sia nel caso in cui prima venga
dichiarato il fallimento di un imprenditore individuale, e successivamente si scopre che l'attività era
esercitata da una società di fatto e tal caso si avrà l'estensione del fallimento alla società di fatto,
che produrrà il fallimento dei soci.
Anche l'ex socio illimitatamente responsabile può essere dichiarato fallito, ma solo entro l'anno dallo
scioglimento del rapporto o della cessazione della responsabilità illimitata, e solo se al momento

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dello scioglimento del rapporto o della cessazione, esistevano i debiti che poi hanno determinato lo
stato di insolvenza.
Quando a seguito del fallimento della società con soci illimitatamente responsabili, viene dichiarato
il fallimento dei soci, le procedure conservano una propria autonomia per ciascun oggetto.

In caso di fallimento di società con soci a responsabilità limitata, il giudice delegato può emettere
un'ingiunzione di pagamento a carico dei soci che non abbiano completato il versamento dei
conferimenti o di altre somme a cui erano obbligati.

La chiusura del fallimento della società determina la chiusura del fallimento dei soci illimitatamente
responsabili, a meno che il socio non sia stato autonomamente dichiarato fallito come imprenditore
individuale. Dopo la chiusura del fallimento della società, Il curatore deve richiedere la cancellazione
dal registro imprese.

Il fallimento del socio di società a responsabilità limitata non provoca alcun effetto particolare
sulla società, salvo ovviamente la sostituzione del curatore nella gestione della quota di
partecipazione e nel potere di disposizione. Il fallimento del socio di società con soci
illimitatamente responsabili non produce il fallimento della società, bensì l'esclusione di diritto del
socio fallito.

Nel caso di fallimento di una società per azioni nella quale era stato costituito uno o più patrimoni
destinati ad uno specifico affare, il curatore subentra in luogo degli amministratori, nella gestione del
patrimonio destinato al solo fine di provvedere alla sua immediata gestione. Se la gestione non
risulta possibile, il curatore deve avviare la liquidazione del patrimonio che deve essere eseguita
secondo le norme della liquidazione delle società in modo da garantire la par condicio creditorum e
i creditori particolari del patrimonio non possono nel corso della liquidazione, porre in essere azioni
esecutive individuali sul patrimonio stesso.
I creditori particolari del patrimonio destinato possono presentare domanda di ammissione al
passivo, solo nelle ipotesi in cui sussista la responsabilità illimitata o sussidiaria della società.
Il curatore può esercitare l'azione revocatoria sugli atti che, incidendo sul patrimonio destinato,
abbiano provocato un pregiudizio al patrimonio della società.
Quanto ricavato dalla liquidazione del patrimonio destinato è acquisito nell'attivo del fallimento della
società, previo pagamento dei debiti derivanti dal patrimonio destinato.
Nel caso in cui la società sia in bonis, e il patrimonio destinato risulti insolvente, non può essere
dichiarato il fallimento del patrimonio destinato e può essere dichiarato il fallimento della società solo
se l'insolvenza del patrimonio determini anche l'insolvenza della società. I creditori possono chiedere
che venga posto in liquidazione secondo le norme del codice civile.
Nel caso di fallimento di una società che abbia stipulato finanziamenti destinati ad uno specifico
affare si può dire che il fallimento della società determini lo scioglimento del contratto di
finanziamento, a meno che il fallimento non ne impedisca la realizzazione o la continuazione
dell'operazione e il curatore decida di subentrare nello stesso.

IL CONCORDATO PREVENTIVO

Per accedere al concordato preventivo il presupposto oggettivo non è più lo stato di insolvenza,
bensì lo stato di crisi e l’imprenditore è l’unico legittimato a richiedere procedura, cioè il carattere
volontario.

L'iniziativa del debitore, si apre con il deposito presso il Tribunale di competenza della domanda di
concordato preventivo, che contenga un piano nel quale devono essere indicati i mezzi, le modalità
e gli strumenti per una ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti, ovvero se è previsto
l'intervento di un assuntore che acquista l'attivo ed estingua i debiti, nella misura e con le modalità
proposte.
I destinatari della proposta sono i creditori chirografari e dei creditori privilegiati.
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La proposta può prevedere sia la suddivisione in classi dei creditori, e sia trattamenti differenziati tra
creditori appartenenti a classi diversi.
Si può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca non siano soddisfatti
integralmente, a condizione che sia prevista la soddisfazione in misura non inferiore a quella
realizzabile con la liquidazione del bene tenuto conto del suo valore di mercato.
L'autonomia negoziale del debitore nella determinazione del contenuto incontra due limiti
inderogabili: il trattamento stabilito per ciascuna classe non deve alterare l'ordine di pagamento che
vede prima i creditori prededucibili, poi i creditori privilegiati ed infine i chirografari; deve essere
assicurato il pagamento di almeno il 20% dell'ammontare dei crediti chirografari.
E’ consentito che dopo l'apertura della procedura, uno o più creditori che rappresentino almeno il
10% dei crediti, presentino una proposta di concordato concorrente con quella del debitore,
ammissibile solo nel caso in cui nella proposta del debitore non è assicurato il pagamento di almeno
il 40% dei crediti chirografari o, nella misura del 30% in caso di concordato con continuità aziendale.
La veridicità dei dati aziendali e la fattibilità deve essere attestati da un professionista ed è prevista
una specifica figura di reato nel caso di informazioni false o omesse.

Durante il periodo di presentazione della domanda di concordato, per il tempo concesso dal
tribunale, sono paralizzate le eventuali azioni esecutive o cautelari sui beni del debitore, in modo da
predisporre tutta la documentazione.
Nel termine concesso dal tribunale, il debitore può chiedere di essere autorizzato a compiere atti di
straordinaria amministrazione, mentre potrà compiere gli atti di ordinaria amministrazione senza
dover ottenere alcuna autorizzazione. I debiti che sorgono in tale periodo sono considerati
prededucibili.

Il piano di concordato può prevedere sia la liquidazione dei beni del debitore, oppure la prosecuzione
dell'attività di impresa e quest’ultimo è maggiormente incentivato dal legislatore quale strumento utile
per la salvaguardia dell'attività di impresa.

A volte, il ricorso alle procedure di risoluzione concordata della crisi soprattutto nel caso di continuità
aziendale, non ha successo per la difficoltà di ricorso a finanziamenti e per superare questa difficoltà,
viene prevista la natura prededucibile di tali crediti.

Nel caso la domanda di concordato o di omologazione dell'accordo sia presentata quando sono già
pendenti uno o più ricorsi di fallimento, si ritiene che non possa essere dichiarata la procedibilità del
ricorso di fallimento, bensì occorre verificare se le procedure concordate hanno un esito favorevole.
Se il tribunale ritiene ammissibile la proposta, apre la procedura con un decreto, che viene pubblicato
nell'albo del tribunale e comunicato al Registro delle imprese. Nomina un giudice delegato ed un
commissario giudiziale, ordina la convocazione dei creditori, stabilisce un termine per il deposito da
parte del debitore di una somma pari tra il 20 e il 50% di quella presumibilmente necessaria per
l'intera procedura. Se sussiste lo stato di insolvenza, il mancato versamento del deposito comporta,
nel caso che sia richiesta da parte dei creditori o del pubblico ministero, la dichiarazione di fallimento
che però l'eventuale deposito oltre il termine fissato dal tribunale, ma prima che sia stata pronunciata
la sentenza di fallimento, può precludere la pronuncia.
Il debitore conserva l'amministrazione dei propri beni che prosegue l'esercizio dell'impresa e una
serie di atti considerati di straordinaria amministrazione, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori
alla proposta di concordato, se compiuti senza l'autorizzazione del giudice delegato.
In qualsiasi momento il commissario giudiziale accerti che il debitore abbia occultato o dissimulato
parte dell'attivo, ovvero che abbia compiuto atti in frode o atti di straordinaria amministrazione senza
la prescritta autorizzazione, si apre il procedimento per la revoca dell'ammissione alla procedura e
qualora sia accertata l’esistenza dei presupposti, emette sentenze fallimento.

Con la procedura, sono sospesi il decorso degli interessi per i creditori chirografari.
L'ammissione alla procedura non incide di per sé sui contratti pendenti e tuttavia il debitore può
chiedere al tribunale che lo autorizzi a sciogliersi dai contratti ancora non eseguiti o non
compiutamente eseguiti alla data di presentazione del ricorso e può anche essere autorizzato la
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sospensione del contratto per non più di 60 giorni, prorogabili una sola volta e in tal caso il contraente
ha diritto ad un indennizzo equivalente per il danno conseguente al mancato adempimento.
Il commissario giudiziale convoca i creditori e redige l'inventario del patrimonio del debitore e
predispone una relazione in cui illustra le cause della crisi e la proposta di concordato.
I creditori chirografari e i privilegiati per i quali non sia previsto un pagamento completo del credito e
che rinunciano alla prelazione, sono chiamati a pronunciarsi sulla proposta esprimendo il proprio
voto ed opera la regola del silenzio-dissenso.
Il concordato è approvato con il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei
crediti ammessi. Se sono previste diverse classi di creditori, Il concordato è approvato se la
maggioranza si verifica nel maggior numero di classi.
Il mancato raggiungimento delle maggioranze, non legittima la dichiarazione di fallimento in assenza
dello stato di insolvenza e della richiesta in tal senso dei creditori o del Pubblico Ministero.

Se il concordato è approvato, il tribunale fissa l'udienza in camera di consiglio e se non sono state
proposte opposizioni, il tribunale con decreto motivato non impugnabile, omologa Il concordato.
Qualora ci sia opposizione alla omologazione da parte di qualche creditore appartenente ad una
classe dissenziente, il tribunale può approvare il concordato qualora ritiene che il credito potrà
essere soddisfatto nell'ambito dello stesso concordato in misura non inferiore ad altre eventuali
diverse alternative.
Contro il decreto di approvazione del concordato in presenza di opposizioni, è previsto il reclamo
alla Corte di Appello, che qualora accerti l'esistenza dei presupposti dichiara il fallimento.
Per i debiti anteriori al decreto di ammissione alla procedura, il debitore risponderà nei limiti del
concordato e salvo limitazioni derivanti dal decreto di omologazione, il debitore riacquista la piena e
libera disponibilità dei propri beni.
Il concordato una volta che è stato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla domanda
di ammissione e, una volta soddisfatti nei limiti del concordato, ogni obbligazione del debitore nei
loro confronti è estinta.
Mentre i creditori conservano impregiudicati i propri diritti nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori
e degli obbligati in via di regresso del debitore. Il terzo che estingue il debito, avrà diritto di regresso
nei confronti del debitore nei limiti della percentuale concordataria.
Dopo l'omologazione ciascun creditore può richiedere la risoluzione del concordato per
inadempimento.
Il concordato può essere annullato dal tribunale quando si scopre che sia stato dolosamente
esagerato il passivo o sottratto o dissimulato una parte rilevante dell'attivo. Il ricorso deve essere
presentato entro 6 mesi dalla scoperta del dolo ed ogni caso non oltre 2 anni dalla scadenza del
termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dal concordato. L'annullamento comporta la
dichiarazione di fallimento se viene riscontrata la sussistenza dello stato di insolvenza.

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, pur trattandosi di accordi negoziali tra debitore e creditore
rientrano nella fattispecie riconducibile alle procedure concorsuali, in quanto trovano applicazione
alcune delle norme proprie delle procedure, quali la sospensione delle azioni esecutive, la natura
prededucibile in caso di fallimento dei crediti sorti in tale periodo. Il debitore deposita in tribunale un
accordo di ristrutturazione dei debiti già stipulato con i creditori che rappresentano almeno il 60%
dei crediti, domandandone l’omologazione. Il ricorso deve essere accompagnato dalla relazione di
un esperto sulla veridicità dei dati e sulla attuabilità dell'accordo e assicurare l'integrale pagamento
dei creditori rimasti estranei all'accordo. L'accordo è pubblicato nel registro delle imprese ed acquista
efficacia della sua pubblicazione. Entro 30 giorni dalla pubblicazione, i creditori possono proporre
opposizione.
In sede di riforma è stato disciplinato, il trattamento dei crediti tributari e contributivi che consente di
includere nella proposta di concordato preventivo, o nell'accordo di ristrutturazione, i crediti tributari
non ancora iscritti a ruolo e/o i crediti degli istituti previdenziali.

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Non esiste un'unica disciplina per la liquidazione coatta amministrativa, che con tale espressione
si fa riferimento a tutte quelle procedure che disciplinano la liquidazione non volontaria di imprese
esercitate da soggetti privati o enti pubblici.
In linea di principio, la finalità della liquidazione coatta è l'eliminazione dell'impresa dal sistema del
quale fa parte, o per gravi irregolarità nella gestione o per manifesto stato di insolvenza, cercando
quando possibile, soluzioni che evitano ripercussioni nel sistema nel quale opera l'impresa come
per esempio il sistema bancario e consente una tutela dei clienti come per esempio i risparmiatori.
Può accadere che durante la procedura di liquidazione coatta disposta per gravi irregolarità, può
essere accertato lo stato di insolvenza, possibilità esclusa solo per gli enti pubblici.
Se manca l'accertamento dello stato di insolvenza, assoggettata alla procedura è solo
l'impresa, cioè solo il patrimonio ed i rapporti in essa compresi. Se invece viene accertato lo
stato di insolvenza, sarà compreso nella procedura l'intero patrimonio dell'imprenditore e si
applicano le norme per il fallimento, in ordine agli effetti sugli atti pregiudizievoli per i creditori.
La procedura di liquidazione coatta può essere disposta in via autonoma dall'autorità che ha la
vigilanza sull'impresa con un atto amministrativo, decreto ministeriale.
Il provvedimento di liquidazione è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ed è comunicato per l'iscrizione
al registro delle imprese e deve contenere la nomina di uno o tre commissari liquidatori, un comitato
di sorveglianza composto da tre o cinque membri scelte da persone parzialmente esperte nel ramo
di attività di impresa. Gli effetti della procedura decorrono dalla data del provvedimento e non della
sua pubblicazione.
I poteri e le funzioni del commissario sono simili a quelli del liquidatore in quanto deve stimare i beni
nel momento dell'inventario, deve predisporre una relazione semestrale all'organo di vigilanza (è
dispensato dalla redazione del bilancio annuale), ha il potere di esercitare nei confronti degli
amministratori e degli organi di controllo impresa in liquidazione l'azione di responsabilità; è
legittimato a compiere tutti gli atti connessi alla liquidazione, salvo l'autorizzazione dell'autorità di
vigilanza.
È ammessa la distribuzione di acconti parziali a categorie particolari di creditori come ad esempio i
lavoratori.
La procedura si può chiudere con il riparto tra i creditori dell'attivo realizzato o con un concordato. Il
concordato non viene sottoposto ai creditori per l'approvazione, ma deve essere omologato dal
tribunale.

La disciplina dell'amministrazione straordinaria ha finalità conservative del patrimonio


produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione di attività imprenditoriale.
Per l'annessione alla procedura è necessario che siano contemporaneamente presenti alcune
caratteristiche: che l'impresa sia soggetta per sua natura a fallimento e che non abbia meno di 200
dipendenti e che presenti debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi del totale
dell'attivo dello stato patrimoniale, e sia dei ricavi delle vendite.
La peculiarità della disciplina sta nella circostanza che l'apertura della procedura può sfociare sia
nel fallimento che nel procedimento di amministrazione straordinaria. Per l'ammissione alla
procedura è necessario che ci siano concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle
attività imprenditoriali.

l tribunale accerta con sentenza lo stato di insolvenza dell'imprenditore mediante camera di


consiglio, su richiesta dello stesso debitore, su ricorso dei creditori o del pubblico ministero, ovvero
di ufficio.
Prima di provvedere, il tribunale deve convocare l'imprenditore, il ricorrente e il ministro dello
sviluppo economico il quale deve indicare uno o tre commissari giudiziali da nominare, nel caso
venga dichiarato lo stato di insolvenza.
La sentenza che dichiara lo stato di insolvenza ha lo stesso contenuto della sentenza di fallimento,
con l'unica variante costituita dalla nomina invece del curatore, dei commissari giudiziali.

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La sentenza è comunicata e pubblicata alla stregua della sentenza di fallimento ed è comunicata


entro tre giorni al Ministero. Può essere proposta opposizione con le stesse modalità previste per la
sentenza di fallimento.
Gli organi della procedura sono il tribunale, il giudice delegato e il commissario giudiziale.
Il tribunale ha la competenza per le azioni che derivano dalla dichiarazione dello stato d’insolvenza
e provvede sui reclami contro i decreti del giudice delegato.
Il giudice delegato decide con decreto motivato sui reclami avverso gli atti di amministrazione
compiuti o le omissioni del commissario giudiziale. Contro il decreto del giudice delegato è ammesso
il reclamo al tribunale.
Il commissario giudiziale per quanto attiene le sue funzioni è un pubblico ufficiale.
Gli effetti della sentenza sono diversi da quelli del fallimento. Cioè, l'imprenditore conserva
l'amministrazione dei beni e il potere di gestione dell'impresa, sotto la vigilanza del commissario
giudiziale il quale deve autorizzare il compimento degli atti di straordinaria amministrazione. I
creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive, né possono acquistare diritti di
prelazione, salvo che siano autorizzati dal giudice delegato.
Il pagamento spontaneo di un debito anteriore è consentito se autorizzato dal giudice delegato.
Il commissario giudiziale avvisa i creditori dell'apertura della procedura e comunica i termini per
l'accertamento dei crediti.
È possibile anche successivamente, sottrarre all'imprenditore insolvente il potere di amministrare e
disporre, con affidamento della gestione dell'impresa, al commissario giudiziale che produce per
l'imprenditore l'effetto dello spossessamento, gli fa perdere la capacità processuale, rende inefficaci
gli atti dallo stesso compiuti successivamente all'emissione del decreto stesso.
Il tribunale può adottare provvedimenti conservativi sui beni dell'imprenditore nell'interesse
dell'impresa e dei creditori.

La più significativa novità della disciplina e che non è sufficiente la sussistenza dei requisiti soggettivi
ed oggettivi per l'annessione alla procedura, ma devono presentare concrete prospettive di recupero
dell'equilibrio economico dell'attività imprenditoriale.
Le prospettive di recupero possono essere conseguite con due strumenti tra loro del tutto diversi ed
alternativi: o attraverso l’alienazione dei complessi aziendali e quindi la liquidazione dell'attivo,
oppure attraverso una fase di ristrutturazione di durata non superiore ai 2 anni.
Il tribunale qualora sussistano le condizioni dichiara aperta la procedura di amministrazione
straordinaria, altrimenti dichiara il fallimento.

L'azione revocatoria non può essere utilizzata per acquisire attivo da destinare alla riorganizzazione
dell'impresa o ancor meno per l'esercizio della stessa, dovendo essere funzionale esclusivamente
alla ricostituzione del patrimonio del debitore per il soddisfacimento dei creditori.
Per quanto concerne i rapporti giuridici preesistenti, è previsto un generale potere di scioglimento
dei contratti in corso non ancora eseguiti da ambo le parti, attribuito al commissario straordinario,
con la sola esclusione dei rapporti di lavoro subordinato e dei contratti di locazione.
I crediti sorti per la continuazione dell'esercizio dell'impresa conservano la natura di crediti
prededucibili.

Il commissario straordinario, entro 60 giorni dal decreto di apertura della procedura di


amministrazione straordinaria, redige il programma, e il criterio a cui si deve ispirare, è quello della
salvaguardia dell'unità operativa dei complessi aziendali, tenuto conto degli interessi dei creditori.
È prevista la possibilità che in corso di esecuzione del programma, Il commissario possa chiedere
al ministro di essere autorizzato a sostituire il programma prescelto, in relazione alle alternative
consentiti dalla legge.
Contro gli atti e provvedimenti del commissario o del ministro che ledano diritti soggettivi, relativi alla
liquidazione dei beni è ammesso il ricorso al tribunale.
Nel caso che alla scadenza del termine previsto per l'attuazione del programma, la cessione non sia
ancora avvenuta è possibile ottenere una proroga da parte del tribunale per una sola volta e per un
periodo non superiore a tre mesi. Il termine può essere ulteriormente prorogato per un periodo non
superiore ai 12 mesi dal ministro dello sviluppo economico.

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Possono essere distribuiti acconti ai creditori o ad alcune categorie di esse, ma va data precedenza
ai lavoratori subordinati ed agli imprenditori che abbiano venduto beni o eseguito servizi a favore
dell'impresa insolvente nei sei mesi precedenti la dichiarazione dello stato di insolvenza.

La procedura di amministrazione straordinaria, viene convertita in fallimento con decreto del


tribunale, su richiesta del Commissario straordinario, quando non può essere utilmente conseguita,
oppure quando sono scaduti i termini per l'esecuzione del programma senza che sia stata la
completata l'alienazione dell'azienda, oppure in caso di programma di riorganizzazione,
l'imprenditore non abbia recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Con il decreto il tribunale nomina il giudice delegato e Il curatore, mentre cessano le funzioni del
Commissario straordinario del comitato di sorveglianza.
Con l'avvenuta alienazione dei complessi aziendali viene dichiarata la cessazione dell'esercizio
dell'impresa.
La procedura di amministrazione straordinaria non ha necessariamente una finalità estintiva
dell'impresa. Infatti, la procedura si chiude se non sono state presentate domande di ammissione al
passivo, se l'imprenditore nei termini di scadenza per l'attivazione programma abbia recuperato la
capacità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni, quando passa in giudicato la sentenza
di omologazione del concordato che l'imprenditore o un terzo abbiano eventualmente proposto.

Per il gruppo di imprese, viene definita procedura madre la procedura di amministrazione


straordinaria che riguarda un imprenditore facente parte di un gruppo.
Il commissario giudiziale, per l’impresa facente parte del gruppo, dovrà valutare se ricorrono le
condizioni oggettive per l’apertura della procedura, che si potrebbe concludere anche in senso
negativo nonostante faccia parte di un gruppo di cui l’imprenditore è ammesso alla procedura madre,
e che potrebbe essere emesso decreto di apertura di fallimento.

Qualora nel momento in cui viene aperta la procedura madre, già sia stato dichiarato il fallimento di
un'impresa del gruppo e non si sia esaurita la liquidazione dell'attivo, si avrà la conversione del
fallimento in amministrazione straordinaria, con decreto dello stesso tribunale che anteriormente
aveva dichiarato il fallimento.
Qualora si abbia la conversione in fallimento della procedura madre, sarà convertito in fallimento
anche la procedura dei soggetti che non avevano i requisiti per la soggezione all'amministrazione
straordinaria.

La ristrutturazione industriale di imprese in stato di insolvenza

La procedura di ristrutturazione industriale di imprese in stato di insolvenza è stata confezionata per


affrontare l'insolvenza della Parmalat e successivamente della crisi Alitalia.
Più recentemente, ci sono state delle ulteriori e marginali modifiche, soprattutto per la legittimazione
alla presentazione dell'istanza per far fronte a specifiche esigenze insorte nella crisi dell’Ilva.
La procedura è riservata alle imprese assoggettate al fallimento e che presentano determinati
requisiti: almeno 500 lavoratori subordinati da oltre un anno e debiti non inferiori a 300 milioni di
euro.
La procedura si apre, su istanza dell'impresa insolvente che è l'unica legittimata, al ministro dello
sviluppo economico, il quale valuta l'esistenza dei requisiti ed immediatamente ammette l'impresa
alla procedura e si ha l'immediata nomina del Commissario straordinario.
Il decreto ministeriale di apertura della procedura determina lo spossessamento del debitore e
affidamento della gestione dell'impresa e dell'amministrazione dei beni del debitore al commissario
e da quel momento nelle controversie, anche in corso, relative ai rapporti di diritto patrimoniale
dell'impresa, sta in giudizio Il commissario al posto del debitore.
Il decreto del ministro viene comunicato al tribunale, il quale riscontrata l'esistenza dei requisiti e la
sussistenza dello stato di insolvenza, dichiara con sentenza, lo stato di insolvenza. Qualora il
tribunale ritiene che non sussista lo stato di insolvenza, o che rilevi la mancanza anche di uno solo
dei presupposti soggettivi cessano gli effetti del decreto del ministro dello sviluppo economico.
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Il commissario dovrà disporre un programma di ristrutturazione entro il termine 180 giorni prorogabile
per non più di 90 giorni. Se il ministro non approva il programma, ne dovrà essere predisposto un
altro con la previsione della cessione dei complessi aziendali. Se tale alternativa non risulta
praticabile, oppure anche il nuovo programma non è approvato dal ministro, il tribunale dispone la
conversione della procedura in quella di fallimento.

Una volta che il commissario è stato autorizzato all'esecuzione del programma, può prevedere alla
soddisfazione dei creditori anche attraverso un concordato, può depositare l'istanza presso il giudice
delegato, il quale comporta l'interruzione delle operazioni di verifica del passivo.
Il concordato può essere unico per più società del gruppo sottoposte alla procedura di
amministrazione straordinaria, però mantenendo separate le rispettive masse attive e passive.
Il concordato può prevedere la suddivisione dei creditori in classi, tenendo conto della posizione
giuridica e della omogeneità degli interessi economici; trattamenti differenziati fra creditori
appartenenti a classi diverse; la possibilità che i debiti vengono ristrutturati e cioè che ne venga
determinato l'ammontare, la qualità, il tempo di pagamento e le modalità di soddisfazione dei
creditori.
In particolare, ai creditori o a particolari categorie possono essere attribuiti in pagamento azioni o
quote di società, obbligazioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito.
Può essere prevista la presenza di un assuntore, a cui siano trasferite le attività delle imprese
interessate e si potranno costituire come assuntori, i creditori e le società da questi partecipati o
costituite dallo stesso commissario.
Sulla proposta di concordato votano i creditori compresi negli elenchi predisposti dal commissario e
avverso l'esclusione, i creditori possono proporre opposizione o impugnazione al giudice delegato.
Il voto favorevole può essere espresso anche per silenzio da parte dei creditori. Il concordato è
approvato con il voto favorevole della maggioranza dei creditori che rappresentino la maggioranza
dei crediti ammessi al voto. Se suddivisi per classi, e approvato con il voto favorevole della
maggioranza dei creditori appartenenti a ciascuna classe che rappresenti la maggioranza dei crediti.

Anche se la procedura non è meramente liquidatoria in quanto è autorizzata l'esecuzione del


programma di ristrutturazione, l'azione revocatoria può essere esercitata purché si traduca in un
vantaggio per i creditori.

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Il legislatore ha di recente introdotto una specifica procedura concorsuale per disciplinare la


situazione di sovraindebitamento dei debitori non fallibili, la procedura di composizione delle crisi da
sovraindebitamento.
Il presupposto soggettivo per l'accesso a queste procedure è di essere debitori non assoggettabili
ad altre procedure concorsuali. Possono far ricorso: i consumatori, i professionisti e gli altri debitori
civili non fallibili, gli imprenditori non commerciali, i piccoli imprenditori commerciali che non superino
i limiti dimensionali, gli imprenditori commerciali non fallibili per espressa previsione legislativa ad
esempio le start up innovative.
Il presupposto oggettivo è costituito da sovraindebitamento, inteso quale situazione di perdurante
squilibrio tra le obbligazioni assunte e patrimonio per farvi fronte.
Sono previste tre diverse procedure: l'accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei
creditori; il piano del consumatore; la liquidazione dei beni.
L'accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei creditori presenta affinità con il
concordato preventivo, trattandosi di una procedura negoziale basata su un accordo proposta dal
debitore ai creditori sulla base di un piano la cui fattibilità è attestata da un professionista.
Il contenuto dell'accordo è libero e può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei
crediti attraverso qualsiasi forma.
La proposta dell'accordo, insieme ai documenti ulteriormente richiesti, devono essere depositati
presso il Tribunale del luogo di residenza e se il vaglio del giudice ha esito positivo, dispone con
decreto che sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non
possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti
sequestri conservativi e nei diritti di prelazione sul patrimonio del debitore. Inoltre gli atti eccedenti
l'ordinaria amministrazione compiuti senza l'autorizzazione del giudice sono inefficaci rispetto ai
creditori anteriori. L'accordo è raggiunto con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti.
Il piano del consumatore è una variante semplificata dell'accordo, riservata al solo consumatore.
La differenza principale è nell'assenza di consenso dei creditori sul piano proposto che, superato il
vaglio di ammissibilità, viene direttamente proposto all'omologazione da parte del tribunale. Viene
introdotto un giudizio di meritevolezza, non potendosi procedere all'omologazione quando il
consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poter adempiere ovvero
ha colposamente determinato il sovraindebitamento.
La liquidazione dei beni rappresenta una procedura meramente esecutiva, diretta alla liquidazione
dell'intero patrimonio del debitore e all'utilizzo del ricavato per soddisfare i creditori. Si può dire che
la liquidazione dei beni è assimilabile al fallimento, differenziandosi dal carattere meramente
volontario e per l'assenza di profili penali.
In tutte e tre le procedure è stato assegnato da parte del legislatore un ruolo centrale agli organismi
di composizione della crisi da sovraindebitamento, che possono essere costituiti da enti pubblici
dotati dei requisiti di indipendenza e professionalità e di organismi di conciliazione.

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La trasformazione rappresenta una modifica del contratto sociale che implica il mutamento della
struttura organizzativa, che incide sulla disciplina da applicare al diverso ente che risulta dalla
trasformazione.
Per il principio della continuità dei rapporti giuridici si conservano i diritti e gli obblighi. Con la
trasformazione non si realizza alcun tipo di trasferimento dei beni in quanto il patrimonio della
società resta lo stesso, incluse le eventuali passività non indicate nella relazione di stima.
La riforma del 2003 va ad agevolare le imprese nel ricercare la forma giuridica più adatta
all'evoluzione del mercato e alle situazioni aziendali.
La trasformazione può avvenire anche in pendenza di una procedura concorsuale purché non vi sia
incompatibilità con le finalità e lo stato della stessa, fermo restando la necessità di autorizzazione
da parte degli organi della procedura.
La trasformazione in società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata deve
risultare da atto pubblico e la trasformazione è soggetta alla disciplina propria per il tipo di società
adottato e le relative forme di pubblicità. La trasformazione ha effetto dall'ultimo adempimento
pubblicitario al fine di rendere edotti i terzi in modo certo circa le vicende modificative, affermando il
carattere costitutivo dell'iscrizione.
Una volta eseguita la pubblicità, l'invalidità dell'atto di trasformazione non può essere pronunciata,
restando fermo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai partecipanti dell'ente
trasformato e ai terzi danneggiati dalla trasformazione. In sostanza, la tutela degli interessi avviene
mediante risarcimento, al fine di assicurare la certezza e la stabilità nei rapporti giuridici.
Qualora i creditori si ritengano lesi dalla trasformazione, possono esercitare il diritto di opposizione,
con la conseguenza che l'efficacia della delibera resterà sospensivamente condizionata al decorso
del termine. Il tribunale nel caso in cui non ritenga che ci sia pregiudizio ai creditori, può ordinare la
trasformazione nonostante l'opposizione.

La trasformazione omogenea

La trasformazione di società di persone in società di capitali

La trasformazione delle società di persone in società di capitali è anche detta trasformazione


progressiva, e comprende anche la società semplice. La norma tende a favorire la trasformazione
di società di persone in società di capitali, e stabilisce che, la trasformazione è decisa con il consenso
della maggioranza dei soci secondo l’utile attribuito a ciascuno.
Il consenso unanime è invece ritenuto necessario in caso di trasformazione da uno ad un altro tipo
di società di persone. Il socio dissenziente può applicare il diritto di recesso riconosciuto come diritto
inderogabile.
La trasformazione di società di persone in società di capitali, deve risultare da atto pubblico e
contenere le indicazioni previste dalla legge per l'atto costitutivo del tipo di società prescelto.
Il passaggio da società di persone in società di capitali, presenta delle peculiarità:
Il capitale della società risultante dalla trasformazione, deve essere determinato sulla base dei valori
attuali degli elementi dell'attivo e del passivo, e deve risultare da una relazione di stima. Nel caso di
trasformazione in società per azioni o in accomandita per azioni, la stima deve essere sottoposta a
verifica da parte degli amministratori dopo la trasformazione della società. La valutazione del
patrimonio è necessaria per la mancanza nelle società di persone di un apparato di controllo
dell'effettività del capitale e in considerazione della necessità di tutelare i terzi creditori, che a seguito
della trasformazione non potranno più contare sulla responsabilità personale e illimitata dei soci.
Qualora il capitale sociale dovesse risultare inferiore al minimo per la costituzione del particolare tipo
di società, i soci dovranno effettuare nuovi conferimenti.

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Ciascun socio ha diritto all'assegnazione di una quota o di un numero di azioni proporzionale alla
sua partecipazione.
La trasformazione non libera i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità per le obbligazioni
sorte prima che la trasformazione abbia effetto, però tale responsabilità non può essere evocata da
parte dei creditori che abbiano dato il consenso alla trasformazione.
Il consenso si presume prestato a seguito di comunicazione per raccomandata o con altri mezzi che
garantiscano la prova dell'avvenuto ricevimento e che non lo abbiano espressamente negato nel
termine di sessanta giorni dalla ricezione. In ogni caso il mancato consenso non impedisce la
trasformazione della società. Il permanere della responsabilità dei soci comporta il loro
assoggettamento a fallimento, purché l'insolvenza sia dovuta, in tutto o in parte, a debiti risalenti al
periodo anteriore alla trasformazione, che non siano state osservate tutte le formalità per rendere
nota l'operazione ai terzi e che non sia decorso un anno dalla pubblicità secondo le formalità di
legge.

La trasformazione di società di capitali in società di persone

La trasformazione di una società di capitali in una società di persone è definita anche


trasformazione regressiva e presenta profili peculiari. La deliberazione di trasformazione deve
essere adottata con la maggioranza prevista per le modifiche statutarie, richiedendo il consenso
espresso dei soci che in ragione della trasformazione assumono responsabilità illimitata. La ratio
della disposizione è che in nessun caso si può incidere la sfera patrimoniale di un soggetto e quindi
sulla tua responsabilità senza una sua preventiva manifestazione di volontà. I soci che sono contrari
alla trasformazione possono esercitare il diritto di recesso. I soci che hanno assunto con la
trasformazione la responsabilità illimitata, rispondono illimitatamente anche per le obbligazioni
sociali che sono sorte anteriormente alla trasformazione, in modo da tutelare le ragioni dei creditori
che, venendo meno il regime vincolistico del capitale sociale, vengono compensati con l'assunzione
da parte dei soci della responsabilità illimitata.

La trasformazione eterogenea consiste nel passaggio di società in un altro ente di diversa natura e
viceversa, come è considerata eterogenea anche la trasformazione in società cooperative, con la
precisazione che protagonisti di queste vicende modificative possono essere le sole società di
capitali.

La trasformazione da società di capitali

Le società di capitali possono trasformarsi in consorzi, società consortili, società cooperative,


comunione di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni. Viene richiesta la maggioranza
favorevole dei due terzi degli aventi diritto e si deve ritenere che la norma faccia riferimento alla
maggioranza calcolata per teste.
Nel caso di trasformazione in comunione d'azienda, gli ex soci diventano comunisti e in quanto tali
rispondono in solido per le obbligazioni contratte per la cosa comune. In tal caso gli ex soci
diverranno comproprietari dei beni aziendali e assumeranno la responsabilità personale ed
illimitata.
La trasformazione in fondazione produce gli effetti che la disciplina ricollega all'atto di fondazione o
alla volontà del fondatore.

La trasformazione in società di capitali

È previsto che i consorzi, le società consortili, Le comunioni d'azienda, le associazioni riconosciute


e le fondazioni possono trasformarsi in società di capitali. Resta ancora vietata la trasformazione di
una società cooperativa a mutualità prevalente in società lucrativa, anche se deliberata all'unanimità.
La ratio della norma risiede nell'esigenza di evitare che i soci cooperatori possono, dopo aver goduto
di privilegi fiscali e agevolazioni, eludere i limiti della distribuzione degli utili, per riappropriarsi delle
risorse accumulate, sottraendoli agli scopi mutualistici.
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Mentre la trasformazione di una società di capitali in società cooperativa è sempre possibile, la


trasformazione in società di capitali è possibile solo per le cooperative diverse da quelle a mutualità
prevalente. La trasformazione comporta che il valore effettivo del patrimonio alla data della
trasformazione deve essere devoluto, al netto di capitale versato e rivalutato e dei dividendi ancora
non distribuiti, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della Cooperazione.

Per fusione si intende l'unificazione di due o più società, precedentemente distinte, da cui se ne
costituisce una sola.
Abbiamo due tipi di fusione: la fusione in senso stretto, in cui tutte le società partecipanti si
estinguono e dalla loro integrazione nasce una nuova società; la fusione per incorporazione, in
cui una società già costituita assorbe tutte le altre, che si estinguono.
La fusione è una reciproca modifica statutaria delle società che partecipano all'operazione, Il cui
effetto consiste nella prosecuzione da parte dell'incorporante o della società riveniente dalla fusione
in tutti i rapporti facenti capo alle preesistenti società, che a loro volta si estinguono. Anche la società
semplice può parteciparvi e sono soggette all'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese e risulta
espressamente prevista anche la pubblicità degli atti del procedimento che le riguardano.
La fusione può essere effettuata tra società dello stesso tipo o che perseguono lo scopo oppure tra
società di tipo diverso o tra società ed enti di tipo diversi.
La partecipazione alla fusione è consentita anche alle società che si trovano in stato di liquidazione,
purché non sia iniziata la distribuzione dell'attivo. È caduto il divieto per le società sottoposte a
procedure concorsuali di partecipare alla fusione in modo da ampliare gli strumenti utilizzabili per il
risanamento dell'impresa. Quando la società è in liquidazione saranno i liquidatori a predisporre il
progetto di fusione e convocare l'assemblea per l'approvazione, con la conseguenza che dalla
deliberazione si potrebbe avere una implicita revoca dello stato di liquidazione.
Con direttiva comunitaria è stata introdotta la fusione transfrontaliera intracomunitaria, ovvero
una particolare ipotesi di fusione che si realizza fra una o più società italiane e una o più società di
un altro stato comunitario, dalla quale risulti una società italiana o di altro Stato membro. Per i soci
che non hanno dato l'assenso è previsto il diritto di recesso. In caso di conflitto prevale il diritto della
società risultante dalla fusione. L’atto di fusione deve essere depositato per l'iscrizione nel registro
delle imprese nei paesi dove hanno sede le società partecipanti alle operazioni e in quello della
società risultante dalla fusione.

Dal punto di vista giuridico, la fusione determina la riduzione ad unità dei patrimoni delle singole
società e la confluenza dei singoli soci di queste in una sola struttura organizzativa che continua
l'attività di tutte le società.
La società incorporante o quella risultante dalla fusione, assume i diritti e gli obblighi delle società
partecipanti alla fusione, prosegue in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione. I
creditori delle società estinte possono far valere i loro diritti sul patrimonio della società che risulta
dalla fusione. I soci delle società estinte che diverranno soci della società risultante dalla fusione
ricevono, in cambio della loro originaria partecipazione, quote o azioni della società, in base ad un
predeterminato rapporto di cambio.
Pertanto, si realizza con la fusione una continuazione aziendale e viene inquadrata tra le vicende
modificative ed evolutive dell'atto costitutivo delle società partecipanti.

Il procedimento prevede tre fasi inderogabili: il progetto di fusione che è predisposto dagli organi
amministrativi delle società partecipanti; la decisione dei soci sul progetto di fusione; l'atto di fusione;
l'iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di fusione.

Il progetto di fusione è l'espressione finale dell'attività preparatoria svolta dagli organi amministrativi
della società al fine di stabilire le modalità della riorganizzazione societaria. Il progetto deve essere
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unico per tutte le società partecipanti e viene individuato un contenuto tipico e minimo quale: la
denominazione o ragione sociale, la sede della società partecipanti la fusione; l'atto costitutivo della
nuova società; il rapporto di cambio delle azioni o delle quote oltre l'eventuale conguaglio in denaro;
le modalità di assegnazione delle quote o delle azioni della società; la data dalla quale decorrono le
azioni o le quote alla partecipazione agli utili; la data dalla quale le operazioni della società
partecipanti alla fusione sono imputate al bilancio della società che risulta dalla fusione; il trattamento
riservato a particolari categorie di soci; i vantaggi particolarmente eventualmente accordati ai
soggetti a cui competere l’amministrazione. il progetto di fusione è rilevante non solo per i soci ma
anche per i terzi.

L'amministrazione delle società partecipanti alla fusione deve redigere la situazione patrimoniale
delle società, riferita ad un periodo non anteriore a 120 giorni dal giorno in cui il progetto di fusione
è stato depositato nella sede della società. La situazione patrimoniale può essere sostituita dal
bilancio dell'ultimo esercizio se è stato chiuso non oltre 6 mesi prima del giorno in cui il progetto di
fusione è depositato presso la società. La situazione patrimoniale rappresenta un documento storico
che costituisce il supporto informativo più completo, per i creditori e per i soci, al fine di consentire
la valutazione dell'operazione.

L'amministrazione delle società partecipanti alla fusione deve predisporre una relazione che illustri
o giustifichi sotto il profilo giuridico ed economico il progetto di fusione, e particolarmente deve
indicare i criteri di determinazione del rapporto di cambio delle azioni o delle quote e l'eventuale
difficoltà di valutazione. La relazione non è richiesta se c'è rinuncia all'unanimità dei soci e dei
possessori di altri strumenti finanziari che attribuiscono il diritto di voto.
Il rapporto di cambio esprime il rapporto con il quale verrà determinata la partecipazione attribuita ai
soci, facendo riferimento alla sostituzione delle vecchie partecipazioni con le nuove. Il rapporto
dipende dalla valutazione comparativa dei patrimoni delle società che partecipano alla fusione.
Viene prevista l'ipotesi di conguaglio in denaro, determinato nella misura massima del 10% del
valore delle azioni o delle quote che vengono assegnate ai soci. La relazione redatta da esperti delle
varie società deve contenere un parere sull’adeguatezza per la determinazione del rapporto di
cambio ed esprime un giudizio di congruità sull'operato degli amministratori.

Il progetto di fusione, le relazioni degli amministratori e degli esperti, le situazioni patrimoniali delle
società partecipanti e dei bilanci degli ultimi tre esercizi, devono restare depositati presso le sedi di
ciascuna delle società ovvero pubblica vi sul sito internet delle stesse durante i 30 giorni che
precedono la decisione in ordine la fusione.

La fusione è decisa da ciascuna società che partecipa all'operazione mediante approvazione del
progetto e può apportare solo delle modifiche che non incidono sui diritti dei soci e dei terzi.
L'approvazione del progetto di fusione avviene: nelle società di persone con il consenso della
maggioranza dei soci determinata secondo la parte attribuita a ciascuno degli utili; nelle società di
capitali deve essere deliberata dall'Assemblea straordinaria con le normali maggioranze richieste e
nel caso di fusione eterogenea nelle società non quotate dovranno essere osservate le maggioranze
rafforzate previste per la trasformazione.
La fusione rappresenta motivo di recesso del socio solo nella disciplina delle società di
persone e a responsabilità limitata, mentre nelle società per azioni e in accomandita per azioni
solo se la fusione implichi una trasformazione della società, il trasferimento della sede all'estero, il
cambiamento dell'oggetto sociale e la revoca dello stato di liquidazione. Rappresenta motivo di
recesso anche l'azionista che non abbia concorso e che la delibera di fusione dia luogo alla
conversione di azioni quotate in un mercato regolamentato in azioni non quotate.

La fusione può pregiudicare la posizione dei creditori, i quali sarebbero costretti a concorrere tutti
sul patrimonio dell'unica società risultante dalla fusione, che potrebbe non risultare idoneo a loro
soddisfacimento. L'interesse che si va tutelare è quello tipico della conservazione della
garanzia patrimoniale e per questo è stabilito che la fusione può essere attuata solo dopo che
siano trascorsi 60 giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese delle deliberazioni delle società che
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vi partecipano. Entro tale termine i creditori anteriori possono fare opposizione e il tribunale può
disporre comunque che la fusione abbia luogo, se reputa infondato il pericolo del pregiudizio o se la
società abbia prestato idonea garanzia in favore dell'opponente. Pertanto, la funzione non può
essere attuata prima del decorso di tale termine, a meno che non vi sia il consenso da parte dei
creditori anteriori.
Un'altra eccezione per assicurare la celerità del procedimento, è rappresentata dalle ipotesi in cui la
relazione degli esperti si adatta per tutte le società partecipanti alla fusione da un'unica società di
revisione che asseveri sotto la propria responsabilità che la situazione patrimoniale e finanziaria
delle società partecipanti non rende necessarie le garanzie per la tutela dei creditori.
Se alla fusione partecipano società a responsabilità illimitata e dalla fusione risulti una società di
capitali, resta ferma la responsabilità personale dei soci per le obbligazioni anteriori alla fusione e la
liberazione degli stessi potrà avvenire solo con il consenso dei creditori.

Gli obbligazionisti come qualsiasi altro creditore possono opporsi alla fusione, almeno che sia stata
approvata dall'assemblea degli obbligazionisti, che si rende necessaria perché costituisce una
modificazione delle condizioni del prestito obbligazionario. Ai possessori di obbligazioni convertibili
deve essere data la possibilità di esercitare il diritto di conversione nel termine di 30 giorni dalla
pubblicazione dell'avviso e quindi in modo anticipato. A coloro che non esercitino il diritto di
conversione deve devono essere assicurati i diritti equivalenti a quelli spettanti prima della fusione,
a meno che la modificazione sia stata approvata dall'Assemblea.

Il procedimento della fusione si conclude con la stipulazione dell'atto di fusione da parte degli organi
amministrativi, i quali hanno compiti essenzialmente esecutivi nell'adottare le decisioni o le
deliberazioni già prese. Gli amministratori possono astenersi dal procedere alla fusione di fronte ad
eccezionali o sopravvenute mutazioni delle circostanze e delle condizioni dell'operazione.
L'atto di fusione deve risultare da atto pubblico e deve essere depositato dal notaio o dei soggetti a
cui compete l'amministrazione, entro 30 giorni presso l'ufficio del registro delle imprese dove hanno
sede le società partecipanti alla fusione, nella sede che risulta dalla fusione o dalla società
incorporante.

All'iscrizione nel registro delle imprese va riconosciuta l'efficacia costitutiva. Nella fusione per
incorporazione gli effetti possono essere posticipati rispetto a tale momento, mediante l'apposizione
di un termine iniziale.

L'unificazione delle società e dei relativi patrimoni non possono essere fatti retroagire
convenzionalmente in quanto potrebbero essere pregiudicati gli interessi dei creditori sociali. Viene
invece consentita la retrodatazione contabile, che consiste nell’imputare alla società risultante dalla
fusione le operazioni compiute dalle società partecipanti alla fusione prima del perfezionamento della
stessa; la retrodatazione della data a decorrere dalla quale le azioni o le quote attribuite ai soci della
società che si estinguono potranno partecipare agli utili.

Una volta iscritto l'atto di fusione, l'invalidità dell'atto non può essere pronunciata, restando salvo il
diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi danneggiati dalla fusione.
Il legislatore ha voluto evitare che un qualunque vizio dell'atto potesse vanificare l'unificazione delle
società coinvolte nell'operazione, andando a sostituire la tutela reale o ripristinatoria configurabile in
una pronuncia di invalidità dell'atto di fusione, con una tutela meramente obbligatoria o risarcitoria
riservata ai soci e ai terzi, con accentuata propensione verso la stabilità dell'atto e quindi andando a
tutelare la certezza dei rapporti giuridici.

Il legislatore ha previsto un'ipotesi semplificata di fusione tra le società il cui capitale non è
rappresentato da azioni, disponendo la disapplicazione dei limiti all'operatività della fusione tra
società in liquidazione, il conguaglio in denaro può essere determinato anche in misura superiore al
10% del valore nominale delle quote assegnate, nella possibilità di superare attraverso il consenso
unanime dei soci, la relazione di congruità del cambio, nella riduzione alla metà di alcuni termini
fissati per il procedimento di fusione.
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Ulteriori semplificazioni sono previste quando una società incorpora un'altra di cui possiede tutte le
quote o le azioni ovvero di società possedute al 90%. Il procedimento semplificato viene richiamato
anche quando le società che partecipano alla fusione hanno gli stessi soci e non risulta alterata la
proporzione fra le originarie partecipazioni ovvero In tutti i casi in cui non sia necessaria la
determinazione del rapporto di cambio.
L’atto costitutivo può prevedere che la fusione sia decisa dei rispettivi organi amministrativi con
deliberazione risultante da atto pubblico, se non si oppongono entro 8 giorni dal deposito del progetto
di fusione, i soci della società incorporante che rappresentino almeno il 5% del capitale.
L'incorporazione di una società interamente posseduta è vista come una pura e semplice
riorganizzazione interna del gruppo e pertanto non influisce sugli interessi dei soci dell’incorporante.

Sono ammissibili le cosiddette operazioni di merger leveraged buy out che consistono
nell'acquisizione del pacchetto azionario di controllo di una società detta anche società target o
bersaglio, da parte di un'altra società, che facendo leva sulla maggiore capacità di indebitamento
della società target accede al finanziamento ritenuto necessario per l'operazione in quanto il
rimborso è garantito dalle capacità patrimoniali della stessa società target.
Per assicurare l’obbligo di trasparenza il progetto di fusione deve indicare anche le risorse finanziarie
previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione, la relazione
dell'organo amministrativo in cui sono indicate le ragioni che giustificano l'operazione, la relazione
degli esperti in cui sia attestata la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione,
viene preclusa la possibilità di ricorrere a procedure semplificate.
La norma nel dettare limiti e condizioni, si preoccupa di disincentivare operazioni meramente
speculative, che avrebbero l'unico fine di condurre al dissesto floride società, a tutela dell'interesse
generale e per una corretta gestione imprenditoriale.

La scissione è un evento modificativo degli Statuti delle società partecipanti ovvero è un fenomeno
di riorganizzazione delle strutture societarie coinvolte, operato senza soluzione di continuità. La
scissione è uno strumento duttile per una formale separazione di attività diverse, esercitate da una
sola società o per attuare una mera diversificazione dei rischi o per consentire la separazione tra
soci.

Con la scissione totale, la società scissa assegna il suo intero patrimonio a favore di una o più
società preesistenti o di nuova Costituzione; con la scissione parziale, la società scissa trasferisce
soltanto una parte del proprio patrimonio a favore di una o più società preesistenti o di nuova
Costituzione. Nella prima ipotesi e quindi nel caso della scissione totale, il patrimonio della società
scissa viene assegnato e attributo alla società beneficiaria e in tal modo la società scissa si estingue
senza necessità di procedere alla liquidazione e i soci della stessa, diventano i soci della società
costituita ex novo.
Nel secondo caso, ossia nella cessione parziale si crea un certo parallelismo con la figura della
scorporazione, ossia come il conferimento di una parte o di tutte le attività a favore di una o più
società, a fronte di un certo quantitativo di azioni o quote corrispondenti al valore delle attività
trasferite. Tale fenomeno però resta distinto dalla scissione nel caso in cui le azioni o le quote della
società beneficiaria vengono assegnate direttamente ai soci della società scissa.

Nel caso in cui il progetto di scissione prevede un’attribuzione non proporzionale delle azioni o delle
quote della società beneficiaria, deve essere concessa facoltà al socio dissenziente di alienare la
propria partecipazione in favore di soggetti preventivamente indicati nel progetto di scissione a fronte
di un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per recesso. Nella prassi la scissione
può essere utilizzata anche per rimodulare l'organizzazione societaria nel caso di gruppi di soci non
coesi e che perseguono opposti interessi imprenditoriali.
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Le società beneficiarie della scissione possono essere anche società di tipo diverso rispetto a quello
della società scissa ovvero altri enti giuridici e in tal caso sono richiamati di limiti stabiliti per la
trasformazione o la fusione eterogenea. La problematica di ulteriori limiti si pone in riferimento alle
società mutualistiche in quanto l'operazione potrebbe provocare oltre la lesione degli interessi dei
creditori, anche la lesione dell'interesse dei soci al perseguimento dello scopo mutualistico. Possono
partecipare alla cessione anche società in liquidazione sempre che non abbiano già iniziato la
distribuzione dell'attivo.

Il procedimento della scissione è in gran parte modellato su quello della fusione e ci si pone il
problema di tutela dei creditori e dei soci.
Il progetto di scissione oltre a contenere tutti gli elementi previsti per il progetto di fusione, deve
indicare l'esatta descrizione degli elementi patrimoniali e quindi di attività e passività che saranno
trasferite a ciascuna delle società beneficiarie con l'eventuale conguaglio in denaro, oltre ai criteri di
distribuzione ai soci delle azioni o delle quote delle società beneficiarie.
Anche per la scissione è prevista la redazione della situazione patrimoniale, la relazione degli
amministratori e la relazione degli esperti, almeno che vi sia l'esonero con il consenso unanime dei
soci e dei possessori gli altri strumenti finanziari che attribuiscono il diritto di voto.
La delibera di cessione, la pubblicità, l'eventuale opposizione dei creditori e la stipula dell'atto di
cessione, sono disciplinati come da normativa per la fusione.

La scissione diventa efficace a partire dalla data in cui sarà eseguita l'ultima iscrizione dell'atto di
scissione nel registro delle imprese e da tale momento, ciascuna delle società beneficiarie assume
i diritti e gli obblighi della società scissa.
L'iscrizione nel registro delle imprese dell'atto della scissa deve precedere quella della beneficiaria
e può essere tuttavia stabilità una data successiva, la postdatazione, tranne che nel caso di
scissione mediante costituzione di nuova società.
Ciascuna società è solidalmente responsabile per i debiti non soddisfatti della società scissa, nei
limiti del valore effettivo del patrimonio netto che gli è stato assegnato.
La finalità della norma è di garantire un'effettiva tutela dei creditori che, altrimenti dopo la scissione
potrebbero non trovare ristoro se non nei confronti del beneficiario, oltre a impedire facili frodi a
danno dei creditori mediante sviamento delle garanzie patrimoniali da un'entità societaria all'altra.
L'invalidità dell'atto di scissione richiama la stessa disciplina della fusione.
In riferimento ad una particolare inefficacia della scissione, più recentemente si è posto l'interrogativo
circa la legittimazione del curatore fallimentare della società scissa di esercitare l'azione revocatoria
fallimentare dell'atto di scissione finalizzato alla tutela della par condicio creditorum.
Qualificando la scissione come fenomeno organizzativo a cui sono collegati anche degli effetti
traslativi, ed in ragione della scindibilità di tale effetti, dovrebbe escludersi l'azione revocatoria, sia
fallimentare che ordinaria.

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