Sei sulla pagina 1di 112

ffRIASSUNTI DIRITTO COMMERCIALE

SECONDA E TERZA PARTE.

SECONDA PARTE :

LE SOCIETA’

CAPITOLO DECIMO.
Il concetto di società discende sicuramente dal concetto di plurisoggettività, ovvero l’esigenza di
più persone di unirsi per esercitare un’attività economica. Infatti, le società non sono altro che
organizzazioni di persone e di mezzi create dall’autonomia privata per l’esercizio in comune di
un’attività produttiva.
Le società fanno quindi parte delle imprese collettive, ovvero quelle in cui partecipano più
persone, e rappresentano l’assetto organizzativo delle imprese medio grandi. Proprio per questo il
legislatore regole precisamente e mette a disposizione otto tipi di società, che l’autonomia privata
potrà scegliere di utilizzare. Questi tipi di società sono differenti tra loro ma possono essere
raggruppati in due macro insieme definiti in base ad alcuni aspetti comuni :
A) Le società di persone :
a. La società semplice
b. La società in nome collettivo
c. La società in accomandita semplice

B) Le società di capitali :
a. la società per azioni
b. la società in accomandita per azioni
c. la società a responsabilità limitata

inizialmente la società non era altro che un contratto, tramite il quale si dava inizio ala gestione
collettiva dell’impresa. Infatti, inizialmente il concetto di contratto di società e la società stessa
coincidevano perché non si poteva dar vita ad una società da soli.
Il contratto di società viene regolato dall’articolo 2247 :
“con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune
di un’attività economico allo scopo di dividerne gli utili”

Da quest’articolo possiamo vedere come le società siano degli enti associativi caratterizzati da tre
elementi :
1) i conferimenti dei soci
2) l’esercizio comune di un’attività economica
3) lo scopo della divisione degli utili, siamo difronte a società lucrative, non finalizzate al
lucro, ma strutture preordinate alla distribuzione degli utili.
Conferimenti
I conferimenti sono le prestazioni cui le parti del contratto si obbligano. Essi contribuiscono a
formare il capitale di rischio, ovvero il patrimonio iniziale necessario ad avviare l’attività. È
denominato capitale di rischio in quanto i soci potrebbero non ottenere nessuna remunerazione. È
obbligatorio che tutti i soci eseguano o si obblighino ad eseguire tali prestazioni.
L’articolo 2247 a riguardo non stabilisce cosa debba rappresentare queste prestazioni, dice
solamente che i conferimenti possono essere beni e servizi, quindi qualunque oggetto suscettibile
di valutazione economica. Vedremmo poi che a seconda del tipo di società, questi conferimenti
subiscono notevoli limitazioni.

Patrimonio sociale : il patrimonio sociale non è altro che l’insieme dei rapporti giuridici
attivi e passivi. Inizialmente esso coincide con i conferimenti versati dai soci.
Successivamente il patrimonio sociale subisce variazioni in relazione alle vicende
economiche e ne viene accertata la consistenza periodicamente attraverso il bilancio. Il
patrimonio sociale costituisce una garanzia per i creditori. Non bisogna confondere
patrimonio sociale con capitale sociale. Quest’ultimo è il valore in denaro dei conferimenti
dei soci. Quindi se il capitale sociale è 100, vuol dire che i soci si sono impegnati a versare
e/o hanno versato 100 euro. Il capitale sociale generalmente rimane immutato ma può
variare con modifiche dell’atto costitutivo. Il capitale sociale assolve due funzioni :
1) Vincolistica : in quanto il capitale sociale rappresenta il valore che non può essere
distratto dall’attività, ovvero se il capitale sociale è 100, i soci dovranno impegnarsi a
farlo rimanere 100.
2) Organizzativa : nel senso che il capitale sociale stabilisce, salvo diverse disposizioni,
stabilisce che i diritti sociali sono proporzionali al capitale conferito. In particolare,
modo per le società di capitali esso rappresenta una base di misurazione : stabilisce i
diritti spettanti ai soci, in quanto essi dipendono in misura proporzionale alla parte di
capitale sociale sottoscritto.

L’esercizio in comune di attività economica.


L’esercizio in comune rappresenta il così detto scopo-mezzo delle società. Tramite esso si deve
gestire un’attività economica. Quest’attività economica, al momento della costituzione della
società, viene specificata nell’oggetto sociale. Quest’oggetto sociale deve quindi identificare
un’attività economica, o meglio un’attività condotta con metodo economico al fine della
produzione di beni e servizi e quindi l’oggetto sociale consiste nell’attività d’impresa.
Ad esempio, non può essere oggetto sociale il godimento dei beni conferiti dai soci, in quanto in
questo caso si parla di comunione e non di società. Attenzione non bisogna generalizzare in
quanto è possibile invece costituire una società e nel contempo godere dei beni preesistenti e
produrre nuova ricchezza.

Le società fra professionisti. Le società tra professionisti è un argomento che ha ricoperto


un ruolo principale in un dibattito protratto per molto tempo. Come abbiamo detto
precedentemente, nei capitoli riguardanti i professionisti intellettuali, la loro non è
un’attività di impresa ma un’attività economica. Quindi possiamo già ben capire perché non
si può avere una società con oggetto l’esercizio in comune della loro attività. Inoltre, ciò era
rimarcato dalla legge del 1939 che prevedeva l’esercizio in comune dell’attività
professionale solo nella forma di associazione. Non bisogna però confondersi con la società
di mezzi tra professionisti, ovvero quella società che ha come oggetto non l’esercizio (ad
esempio) della professione media ma l’acquisto e la gestione di beni strumentali
all’esercizio individuale delle rispettive professioni. Oppure, non dobbiamo nemmeno
confonderci con le società di servizi imprenditoriali, ovvero quelle società che offrono un
servizio complesso. Come la società di ingegneria che non progetta solamente (in questo
caso sarebbe l’esercizio comune della professione intellettuale ) ma realizza e vende anche
impianti necessari alla realizzazione del servizio complessivo.
Quindi le società fra professionisti non mai state liberalizzate, sia perché non vi è mai stato
un decreto ma perché si è sottolineato come l’attività del professionista sia un’attività dal
carattere personale tanto che l’articolo 2232 impone che egli dovrà eseguire l’incarico
assunto personalmente, e quindi incompatibile con un ente impersonale quale la società.
Ma considerando l’evoluzione delle professioni intellettuale che richiedono sempre più
investimenti il legislatore ha messo mano introducendo una legislazione generale per le
società fra professionisti, con la legge 183 del 2011, con la quale si prevede l’istituzione di
società che hanno come oggetto sociale l’esercizio di attività professionali il cui esercizio è
riservato agli iscritti in albi professionali.
Il carattere personale delle attività professionali viene conservato dal fatto che il cliente
avesse il diritto di scegliere da quale professionista essere assistito e mancanza di
designazione colui che lo assisterà deve essere prima comunicato È ammesso però che alla
società possano partecipare soci non professionisti, per la fornitura ad esempio di
prestazioni tecniche, quindi possono partecipare anche i soci capitalisti. Essi devono però
essere in minoranza rispetto ai professionisti, se non è cosi e non si risolve la situazione
entro 6 mesi la società si scioglie. Il socio professionista e la società stessa sono soggetti al
regime disciplinar dell’ordine al quale sono iscritti. Questa riforma non ha però cancellato
le vecchie associazioni, quindi i professionisti sono liberi se istituire uno “studio
professionale” o una società, in quel caso hanno l’obbligo di iscrizione in una sezione
speciale con funzione di pubblicità notizia e certificazione anagrafica. Particolare invece è il
caso degli avvocati. In quanto inizialmente la disciplina per le società degli avvocati era
molto più restrittiva, mentre con la riforma del 2017 essa può intanto ricoprire può forme e
possono partecipare alla società non solo gli avvocati, ma anche soci capitalisti o
professionisti di altre professioni, con l’unica osservanza che la maggioranza dell’organo di
gestione debbano essere avvocati. La società degli avvocati è iscritta in una sezione
speciale dell’albo degli avvocati e non può fallire.

Lo scopo fine delle società : la divisione degli utili.


L’ultimo elemento caratterizzante le società è costituito dallo scopo conseguito dalle parti.
L’articolo 2247 enuncia però un solo scopo : la distribuzione degli utili. Questo infatti è lo scopo
per quanto riguarda le società lucrative. Vi sono altri due scopi che vengono perseguiti dalle
società cooperative e dalle società consortili. Per quanto riguarda le prime lo scopo è quello
mutualistico, ovvero vengono fornite ai soci beni o condizioni più vantaggiose. Quindi si conferisce
ai soci un vantaggio patrimoniale diretto. Le società consortili invece hanno lo scopo di costituire
un’organizzazione comune o di gestire più fasi in comune delle rispettive imprese. Quindi
possiamo affermare che non tutte le società nascono per uno scopo lucrativo ma tutte hanno
sicuramente lo scopo di realizzare un risultato economico a favore dei soci. Di conseguenza le
società sono un fenomeno prevalentemente egoistico, prevalentemente perché la legislazione
prevede società senza scopo di lucro, come le S.P.A. con partecipazione pubblica. Attenzione : le
società senza scopo di lucro sono previste da norme speciali, non è quindi consentito istituirne una
se non nei casi previsti dalla legge. Lo scopo lucrativo non fa si che non si persegua un benessere
comune, anzi la legislazione prevede che le società che intendono agire in modo socialmente
responsabile possono aggiungere alla propria denominazione sociale l’espressione :”società
benefit”. Una società benefit è una società che oltre allo scopo lucrativo o mutualistico, persegue
una o più finalità di beneficio comune. Questo però non le fa avere alcun vantaggio se non
l’apprezzamento del pubblico.

I tipi di società.
Possiamo distinguere i vari tipi di modelli organizzativi, e quindi le varie società secondo più criteri:
1) Criterio dello scopo : abbiamo le società lucrative e le società mutualistiche (di cui fanno
parte le consortili)
2) Criterio della natura dell’attività : a seconda dell’attività possiamo distinguere, nelle società
lucrative, la società semplice utilizzabile per attività non commerciale e le altre che invece
sono soggette ad iscrizione ne registro delle imprese con effetto di pubblicità legale e
quindi definite società commerciali
3) Criterio della responsabilità dei soci :
a. Le società nelle quali rispondono alle obbligazioni sociali sia il patrimonio sociale
che il patrimonio dei singoli soci illimitatamente (società in nome collettivo e
società semplice)
b. Società nelle quali coesistono soci a responsabilità limitata e illimitata (accomandita
semplice e per azioni)
c. Società in cui alle obbligazioni risponde solamente il patrimonio sociale (S.P.A. S.R.L.
e società cooperative)

personalità giuridica e autonomia patrimoniale.


Questi due concetti risultano avere un’importanza notevole tanto da aver ricoperto nella storia un
ruolo importante, ci si chiedeva se tutte le società dovessero avere personalità giuridica ? il
legislatore del 1942 concede la personalità giuridica alle società di capitali e alle società
cooperative, mentre alle società di persone è assoggettata solamente l’autonomia patrimoniale.

Attribuire l’autonomia patrimoniale o la personalità giuridica mira ad uno stesso obiettivo quello di
tutelare i creditori delle imprese societarie realizzando un patrimonio delle società e allo stesso
tempo tutelare i soci creando un diaframma tra il patrimonio del socio e quello della società.

per le società di capitali e società cooperative, questo obiettivo è raggiunto direttamente con il
riconoscimento della personalità giuridica. Così facendo le società sono trattate come soggetti di
diritto distinti dai soci ed i due patrimoni sono perfettamente autonomi l’uno rispetto all’altro .

mentre per quanto riguarda le società di persone non viene riconosciuta la personalità giuridica e
proprio per questo potremmo dire che l’autonomia patrimoniale sia relativa, in quanto ad
esempio i creditori personali non possono agire sul patrimonio della società ma sui diritti degli utili
spettanti al debitore oppure i creditori sociali non possono aggredire direttamente il patrimonio
personale ma è necessario prima che tentino di soddisfarsi con il patrimonio sociale. Quindi la
divisione tra i patrimoni c’è ma non è cosi marcata.

L’attribuzione della personalità giuridica comporta anche delle specifiche su più piani come quello
organizzativo. Infatti, le società di capitali e le società cooperative hanno un’organizzazione
corporativa, cioè formata da più organi con precisi ruoli. In più nelle società con personalità
giuridica vige il principio maggioritario, ovvero le decisioni, anche quelle sull’atto costitutivo,
devono essere prese a maggioranza. Il singolo socio inoltre non ha potere decisionale, in quanto
tale potere deriva dal capitale sociale sottoscritto. Per quanto riguarda le società di persone non vi
è l’obbligo di organizzazione corporativa e il socio ha responsabilità illimitata ha potere di gestione
e tale potere non dipende dal capitale conferito.

Per concludere il discorso riguardo la personalità giuridica, tutto il nostro discorso viene
leggermente a mancare se consideriamo l’articolo 2266 il quale ci dice che la società acquista
acquista diritti e obbligazioni per mezzo dei soci, e quindi la stessa società diventa titolare di questi
diritti e obbligazioni al pari di qualsiasi altro soggetto di diritto.

Ma l’autonomia privata può scegliere liberamente che tipo di società utilizzare ? il privato può
scegliere uno tra i tipi di società previsti ma non può scegliere la società semplice se l’attività è
commerciale. Se un soggetto però non si esprime, ovvero non ha manifestato una differente
scelta, e la sua attività non è commerciale allora si applica la disciplina della società semplice,
mentre se la sua attività è commerciale allora si applica la disciplina della società in nome
collettivo. Infatti, questi due tipi di società costituiscono i regimi residuali. Inoltre, i modelli
organizzativi fissati dal legislatore non sono rigidi, cioè possono essere modificati assecondando le
proprie esigenze con apposite clausole nell’atto costitutivo, ovviamente però è inammissibile la
creazione di un tipo di società del tutto inconsueto.
Diverse dalle clausole atipiche, inoltre, sono i PATTI PARASOCIALI, veri e propri accordi estranei
all’atto costitutivo, stipulati tra i soci e aventi ad oggetto comportamenti futuri in sede di votazione
(sindacati di voto), impossibilità di alienare le proprie quote a terzi (sindacati di blocco) o apporti in
denaro. Tali patti hanno efficacia meramente obbligatoria, in quanto vincolano solo i soci attuali e
quelli futuri NON automaticamente, ma previa espressa adesione, diversamente dalle clausole
contrattuali ad efficacia reale, che vincolano tutti i soci presenti e futuri; l’invalidità degli stessi non
comporta nullità del contratto di società e la loro violazione comporta il solo risarcimento del
danno nei rapporti interni tra coloro che vi hanno aderito ma in alcun modo determina l’invalidità
degli atti posti in essere.

CAPITOLO UNDICESIMO :
LA SOCIETA’ SEMPLICE E LA SOCIETA’ IN NOME COLLETTIVO.

Ripetiamo le nozioni delle società di persone.


1) La società semplice è un tipo di società che può essere utilizzata solo per attività non
commerciali ed è disciplinata dagli articoli 2551-2290
2) La società in nome collettivo può essere utilizzata per attività commerciali e non. La sua
iscrizione nel registro delle imprese ha come effetto la pubblicità legale. È caratterizzata in
oltre dal fatto che tutto i soci rispondono solidamente e illimitatamente alle obbligazioni
sociali.
3) La società in accomandita semplice è caratterizzata dalla presenza di due tipi di soci : soci
accomandatari, che rispondono illimitatamente e in solido, e i soci accomandanti che
rispondo in base alla quota conferita.

La società semplice, o meglio la sua disciplina, ha particolare rilievo in quanto in linea di principio
essa è applicabile a tutte le società di persone. Da un punto di vista pratico non ha invece
diffusione. In poche parole, la disciplina della società semplice, anche se la stessa non è
particolarmente diffusa, insieme a quella della società collettiva ( in minor parte ) consiste nello
statuto generale delle società di persone.
La costituzione della società .
Il contratto di società semplice necessario ad istituire la stessa non è soggetto a forma speciali,
salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti. Diversamente da quello previsto nel 1942 ora
l’iscrizione nel registro delle imprese ha effetto di pubblicità notizia, quindi per essere opponibile a
terzi. Però per essere costituita addirittura il contratto si può concludere anche verbalmente o può
risultare da comportamenti concludenti.
Per quanto riguarda la società in nome collettivo, la situazione non si discosta molto. A differenza
della società semplice vi sono specifiche regole di forma e di contenuto per l’atto costitutivo.
Mentre per quanto riguarda l’iscrizione, essa ha solamente efficacia normativa : ovvero la società a
nome collettivo che si iscrive viene detta regolare e gode della disciplina della società in nome
collettivo. Per iscriversi nel registro delle imprese e quindi per essere regolare l’atto costitutivo
inoltre deve essere redatto o per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e deve contenere
più voci come : le generalità dei soci, la ragione sociale (la ditta) l’oggetto sociale, i conferimenti…

Ma per la costituzione di una società di persone occorre l’atto scritto ? beh, come abbiamo già
detto no. Ad esempio, si può costituire una società per fatti concludenti, in quel caso parliamo di
società di fatto e si applica la disciplina della società semplice se l’attività non è commerciale
oppure quella della società in nome collettivo irregolare. Anche la società di fatto è esposta al
fallimento e se fallisce porta con sé anche i soci.
è obbligatorio esternalizzare la qualità di socio ? la risposta è no, ma vi è da ricordare che
comunque si è responsabili per le obbligazioni sociali. Questo concetto introduce due fenomeni da
tener ben distinti : la società con soci occulti e la società occulta.
Le società occulte di legge non possono essere istituite. Stiamo parlando del caso in cui i soci si
mettono d’accordo per svolgere l’attività d’impresa per conto della società ma di non spenderne il
nome e quindi di non far rilevare l’esistenza della società all’esterno. Ciò viene fatto quando si
vuole limitare la responsabilità nei confronti del terzo al patrimonio del gestore. Esistono artifici
legali che portano più o meno allo stesso risultato. I terzi vengono comunque tutelati dalla nuova
legge fallimentare, affermando che la mancata esteriorizzazione non impedisce ai terzi di invocare
la responsabilità anche della società occulta e dei soci, dopo che ne venga dimostrata l’esistenza.
Per dimostrare l’esistenza è sufficiente che i terzi provino l’esistenza della società o che gli atti
posti in essere dal gestore erano riferibili a tale società. Per quanto riguarda il fallimento si applica
lo stesso principio al socio occulto di società palese.
È bene chiarire però che nel caso del socio occulto, l’attività d’impresa è svolta in nome della
società mentre nel caso di società occulta l’attività d’impresa è esercitata per conto di chi agisce in
nome proprio, quindi stiamo parlando di mandato senza rappresentanza. Dunque, qui si potrebbe
di nuovo aprire il dibattitto riguardo l’imputazione della responsabilità (Bigiavi e Ferri) ma
arriviamo semplicemente alla conclusione in quanto la disciplina afferma che l’assoggettamento
alla responsabilità si basa sul criterio formale e quindi sulla spendita del nome.

La società apparente : a riguardo di tutto ciò dobbiamo parlare anche di questo concetto.
Abbiamo appena detto che l’esistenza di una società alle spalle di un imprenditore individuale,
definita come occulta, deve essere provata, al pari della partecipazione del socio occulto alla
società palese. Se tuttavia il giudice del tribunale fallimentare è fermamente convinto
dell’esistenza di una società, proprio in forza di comportamenti di terzi nei confronti
dell’imprenditore individuale fallito, ma non la può provare oggettivamente, allora solleva la
questione della SOCIETA’ APPARENTE: si tratta di una creatura giurisprudenziale, di una società
che esiste all’esterno, per terzi, ma non esiste tra i soci. Mentre la società occulta si cela ai terzi ed
esiste nei rapporti interni, qui avviene esattamente il contrario quando “duo o più persone
operano in modo da ingenerare nei terzi la ragionevole \convinzione che essi agiscano come soci e
l’incolpevole affidamento circa l’effettiva esistenza della società”.
I tribunali, dunque, provvedono a dichiarare il fallimento della società apparente, senza che sia
possibile da parte dei soci apparenti eccepire che la società non esiste: che non esiste per loro,
infatti, è lo stesso giudice a dirlo; il problema è che questa società esiste per i terzi.
La dottrina, in realtà, non è molto d’accordo circa l’estensione del fallimento ad altri soggetti
facenti parte di questa società apparente: la convinzione che una società esista potrebbe al
massimo essere sorta in coloro che hanno avuto a che fare con altri soggetti oltre all’imprenditore
individuale, convincendosi di tale esistenza, ma non in TUTTI i creditori, che magari non hanno
neanche avuto modo di trattare con diverse persone.
Ciò nonostante i tribunali continuano ad attuare il principio di apparenza e a decretare il
fallimento delle presunte società, il tutto solo in forza di una “non provata” convinzione.

I conferimenti.

Con la costituzione della società il socio assume l’obbligo di effettuare conferimenti determinati
nel contratto sociale.
Specie ed ammontare del conferimento dovuto da ciascun socio non è però condizione essenziale
per la valida costituzione delle società di persone. All’eventuale silenzio in merito dell’atto
costitutivo supplisce infatti la legge stabilendo che “se i conferimenti non sono determinati si
presume che i soci siano obbligati a conferire, in parti uguali fra loro, quanto è necessario per il
conseguimento dell’oggetto sociale”.
Nelle società di persone può essere conferita ogni entità (bene o servizio) suscettibile di
valutazione economica ed utile per il conseguimento dell’oggetto sociale.
Quindi, in sostanza, qualsiasi prestazione di dare, fare o non fare.
Il codice detta poi una specifica disciplina per:
i) il conferimento di beni in natura. Per il conferimento di beni in proprietà, è disposto che
“la garanzia dovuta dal socio (nei confronti della società) e il passaggio dei rischi sono
regolati dalle norme sulla vendita”(art. 2254). Il socio è perciò tenuto alla garanzia per
evizione (artt. 1483-1484) e per vizi (art. 1490). Sul socio grava inoltre il rischio del
perimento fortuito della cosa conferita fin quando questa non sia passata alla società. Il
passaggio di proprietà dal socio alla società della cosa si verifica con la stipula del
contratto di società se si tratta di cosa determinata (art. 1376) mentre solo in seguito
alla loro specificazione se si tratta di cose individuate solo nel genere (art. 1378).
Per il conferimento dei beni in godimento il rischio resta a carico del socio che le ha
conferite (art.2254). questi potrà essere escluso dalla società qualora la cosa perisca o il
godimento diventi impossibile per causa non imputabile agli amministratori (art. 2286).
Il rischio del caso fortuito incombe quindi sul conferente. La garanzia per il godimento
segue la disciplina della locazione (artt. 1578 ss.). il bene conferito in godimento resta
di proprietà del socio conferente: la società potrà goderne ma non disporne. Il socio ha
diritto alla restituzione del bene al termine della società, nello stato in cui si trova (art.
2281).
ii) il conferimento di crediti. Il socio che conferisce crediti risponde nei confronti della
società dell’insolvenza del debitore ceduto nei limiti del valore assegnato al suo
conferimento; sarà inoltre tenuto al rimborso spese e alla corresponsione degli
interessi. Se non versa tale valore può essere escluso dalla società (art. 2255).
iii) il conferimento d’opera. Nelle società di persone il conferimento può essere infine
costituito anche dall’obbligo del socio di prestare la propria attività lavorativa (manuale
o intellettuale) a favore della società. Il socio d’opera non è un lavoratore subordinato e
non ha diritto al trattamento salariale e previdenziale proprio dei lavoratori subordinati.
Il compenso per il suo lavoro è rappresentato dalla sua partecipazione ai guadagni della
società. Sul socio d’opera grava il rischio, oltre a quello del lavoro invano (non
retribuito), dell’impossibilità di svolgimento della prestazione, anche per causa a lui non
imputabile. Gli altri soci infatti, possono escluderlo per la sopravvenuta inidoneità a
svolgere l’opera conferita (art. 2286).

(Segue): Patrimonio sociale e capitale sociale.

I conferimenti dei soci formano il patrimonio iniziale della società che diventa proprietaria dei beni
conferiti a tal titolo dai soci. Questi ultimi non possono pertanto servirsi delle cose appartenenti al
patrimonio sociale per fini estranei a quello della società pena il risarcimento dei danni e
l’esclusione dalla società. Il divieto è però derogabile col consenso di tutti gli altri soci. Abbiamo già
fissato una distinzione tra patrimonio sociale e capitale sociale e illustrato la duplice funzione
(vincolistica ed organizzativa) che il capitale sociale nominale svolge in tutte le società. Ciò
nonostante una disciplina del capitale sociale è del tutto assente nella società semplice e non è
neppure richiesta una valutazione dei conferimenti.
Una sia pur frammentaria disciplina del capitale sociale è invece dettata per la società in nome
collettivo. È infatti prescritto che l’atto costitutivo indichi non solo i conferimenti dei soci, ma
anche “il valore ad essi attribuito e il modo di valutazione” (art. 2295) per determinare
l’ammontare globale del capitale sociale nominale. La determinazione del valore dei conferimenti
diversi dal denaro è rimessa alla libertà delle parti. Libertà limitata delle norme dettate a tutela
dell’integrità del capitale sociale (artt. 2303 e 2306).
L’articolo 2303 vieta la ripartizione fra i soci di utili non realmente conseguiti (utili fittizi); di somme
cioè che non corrispondono ad un’eccedenza del patrimonio netto (attività meno passività)
rispetto al capitale sociale nominale. La stessa norma stabilisce poi che, nel caso in cui si verifichi
una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo alla ripartizione di utili fino a che il capitale
non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente.
L’articolo 2306 vieta agli amministratori di rimborsare ai soci i conferimenti eseguiti o di liberarli
dall’obbligo di ulteriori versamenti in assenza di una specifica deliberazione di riduzione del
capitale sociale, adottata secondo le norme che regolano le modifiche dell’atto costitutivo e
soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese.
Tale operazione comporta una riduzione reale del patrimonio netto e può perciò pregiudicare i
creditori sociali. A questi è pertanto riconosciuto il diritto di opporsi alla riduzione del capitale.
Nonostante l’opposizione, il tribunale può però disporre che la riduzione abbia ugualmente luogo,
previa prestazione da parte della società di un’idonea garanzia a favore dei creditori opponenti
(art. 2306).

La partecipazione dei soci agli utili e alle perdite.

Tutti i soci hanno diritto di partecipare alla distribuzione degli utili e partecipano alle perdite. Non
è necessario che la ripartizione sia proporzionale ai conferimenti. I soci infatti godono della totale
libertà nella determinazione della parte a ciascuno spettante.
Il solo limite posto all’autonomia privata (e valido per tutte le società lucrative) è rappresentato
dal divieto di patto leonino: è nullo impatto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni
partecipazione agli utili o alle perdite (art. 2265). Sono nulli anche i criteri di ripartizione
congegnati in modo tale da determinare la sostanziale esclusione di uno o più soci dalla
partecipazione agli utili o alle perdite. In via di principio è nullo solo il patto leonino con la
conseguenza che troveranno applicazione i criteri legali di ripartizione degli utili e delle perdite
previsti per l’ipotesi in cui l’atto costitutivo nulla disponga al riguardo (art. 2263).
Esplichiamo tali criteri:
a) se il contratto nulla dispone, le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si
presumono proporzionali ai conferimenti;
b) se, come è possibile, neppure il valore dei conferimenti è stato determinato, le parti si
presumono uguali;
c) se è determinata soltanto la parte di ciascuno nei guadagni, si presume che nella stessa
misura debba determinarsi la partecipazione alle perdite. E viceversa.
Infine, la parte spettante al socio d’opera è fissata dal giudice secondo equità se non è
determinata dal contratto.
Nella S.s. il diritto del socio di percepire la sua parte di utili nasce con l’approvazione del
rendiconto (art. 2263), che se il compimento degli affari sociali dura oltre un anno, deve essere
predisposto dai soci amministratori “al termine di ogni anno, salvo che il contratto stabilisca un
termine diverso” (art. 2261).
Nella S.n.c. il documento destinato all’accertamento degli utili e delle perdite è invece un vero e
proprio bilancio d’esercizio, redatto con l’osservanza dei criteri stabiliti per il bilancio delle S.p.a..
Il bilancio deve essere predisposto dai soci amministratori ed è da ritenersi (anche se manca
specifica disciplina) che l’approvazione competa a tutti i soci e debba avvenire a maggioranza,
calcolata secondo la partecipazione di ciascun socio agli utili.
Diversamente da quanto avviene per le società di capitali, l’approvazione del rendiconto o del
bilancio è condizione sufficiente perché ciascun socio possa pretendere l’assegnazione della sua
parte di utili. A tal proposito evochiamo l’art. 2262 c.c.: “salvo patto contrario ciascun socio ha
diritto di percepire la sua parte di utili dopo l’approvazione del rendiconto”. Nelle società di
persone la maggioranza dei soci non può legittimamente deliberare la non distribuzione (totale o
parziale) degli utili accertati ed il conseguente loro reinvestimento nella società
(autofinanziamento).
Per quanto concerne le perdite, queste incidono direttamente sul valore della singola
partecipazione sociale riducendolo proporzionalmente, con la conseguenza che, in sede di
liquidazione della società, il socio si vedrà rimborsare una somma inferiore al valore originario del
capitale conferito. Solo all’atto dello scioglimento della società i liquidatori possono richiedere ai
soci illimitatamente responsabili le somme necessarie per il pagamento dei debiti sociali.
Prima dello scioglimento delle società, le perdite accertate quindi impediscono solo la
distribuzione degli utili successivamente conseguiti, fin quando il capitale non sia stato reintegrato
o ridotto in misura corrispondente (art. 2303).

La responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali.

Nella S.s. e nella S.n.c. delle obbligazioni sociali risponde innanzitutto la società col proprio
patrimonio e in secondo luogo rispondono solidamente ed illimitatamente anche i singoli soci. La
disciplina dettata al riguardo è però leggermente diversa per S.s. e S.n.c..
Per la società semplice, la responsabilità personale di tutti i soci non è principio inderogabile. La
responsabilità dei soci non investiti del potere di rappresentanza può essere infatti esclusa o
limitata da un apposito patto sociale opponibile ai terzi solo se portato alla loro conoscenza con
mezzi idonei (art. 2267).
Nella S.n.c., invece, la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci è inderogabile. Un eventuale
patto contrario non è opponibile ai terzi (art. 2291).
In entrambe le società la responsabilità per le obbligazioni sociali precedentemente contratte è
estesa anche ai nuovi soci.
Lo scioglimento del rapporto sociale per morte, recesso o esclusione, non fa venir meno la
responsabilità personale del socio per le obbligazioni sociali anteriori al verificarsi di tali eventi, che
devono tuttavia essere portati a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. Altrimenti “lo scioglimento
non è opponibile ai terzi che lo hanno senza colpa ignorato”.

(Segue): Responsabilità della società e responsabilità dei soci.

Nela società semplice e nella società in nome collettivo i creditori sociali hanno di fronte a loro più
patrimoni sui quali soddisfarsi: il patrimonio della società ed il patrimonio dei singoli soci
illimitatamente responsabili.
I soci sono responsabili in solido fra loro, ma sono responsabili in via sussidiaria rispetto alla
società in quanto godono del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale (artt. 2268-
2304). Ciò significa che i creditori sociali sono tenuti a tentare di soddisfarsi sul patrimonio della
società prima di poter aggredire il patrimonio personale dei soci. Il beneficio di preventiva
escussione opera diversamente a seconda che si tratti di società semplice e collettiva irregolare o
che si tratti di società in nome collettivo regolare.
a) società semplice/collettiva irregolare: il creditore può rivolgersi direttamente al singolo
socio illimitatamente responsabile e sarà questi a dover invocare la preventiva escussione
del patrimonio sociale indicando, specifica l’art. 2268, “i beni sui quali il creditore possa
agevolmente soddisfarsi”.
b) società i nome collettivo: il beneficio di escussione è più intenso; opera automaticamente. I
creditori sociali “non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo
l’escussione del patrimonio sociale”. Condizione necessaria è che il creditore abbia
infruttuosamente esperito l’azione esecutiva sul patrimonio sociale.

I creditori personali dei soci.

Il creditore personale del socio non può in alcun caso – né nella società semplice né nella collettiva
– aggredire direttamente il patrimonio sociale per soddisfarsi (autonomia patrimoniale delle
società di persone).
Egli non può nemmeno compensare il suo credito verso un socio con il debito che eventualmente
abbia con la società (divieto di compensazione).
Al contempo però il creditore personale del socio può:
a) far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al socio suo debitore;
b) compiere atti conservativi sulla quota allo stesso spettante nella liquidazione della società
(art. 2270).
Nella società semplice e nella collettiva irregolare se il creditore insoddisfatto prova che “gli altri
beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti” può richiedere alla società la
liquidazione della quota del suo debitore. La società sarà solo tenuta a versargli, entro tre mesi,
una somma di denaro corrispondente al valore della quota al momento della domanda. La
richiesta opera come causa di esclusione di diritto del socio.
Nella società in nome collettivo regolare invece, “il creditore particolare del socio, finché dura la
società, non può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore” (art. 2305), neppure se
prova che gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare il suo credito. Tale regola dura
fino alla scadenza della società fissata nell’atto costitutivo. I soci possono prorogare la durata della
società con specifiche decisioni o proseguendo l’attività ma in tal caso al creditore insoddisfatto si
applica una tutela analoga a quella attuata nel caso delle società semplici (art. 2307).

L’amministrazione della società.

L’amministrazione della società è l’attività di gestione dell’impresa sociale. Il potere di


amministrare è il potere di compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale e che si
pongono come mezzo-fine dell’attività di impresa dedotta in contratto.
Per legge ogni socio illimitatamente responsabile è anche amministratore della società salvo
previsioni particolari dell’atto costitutivo che possono riservare l’amministrazione solo ad alcuni
soci che generano una contrapposizione tra soci amministratori e non.
Incontriamo due tipi di amministrazione:
a) amministrazione disgiunta  il suo modello legale trova applicazione quando
l’amministrazione della società spetta a più soci ed il contratto sociale non specifica
particolari modalità di amministrazione. In tal caso ciascun socio amministratore può
intraprendere da solo tutte le operazioni di gestione senza consenso o parere degli altri
soci amministratori i quali possono però opporsi. Sulla fondatezza dell’opposizione decide
di regola la maggioranza dei soci per quote di interesse oppure uno o più terzi se così
previsto nell’atto costitutivo (c.d. clausola di arbitraggio). L’opposizione deve essere
esercitata prima che l’operazione sia stata compiuta e paralizza il potere decisorio del
singolo socio amministratore;
b) amministrazione congiuntiva  deve essere espressamente convenuta nell’atto costitutivo
o con modificazione dello stesso. In questo caso è necessario il consenso di tutti i soci
amministratori per il completamento delle operazioni sociali. Tuttavia, l’atto costitutivo
può prevedere che “per l’amministrazione o per determinati atti sia necessaria la
maggioranza per quote di interesse dei soci amministratori”. Ai singoli soci amministratori
è però concesso il potere di agire individualmente quando ci sia urgenza di evitare un
danno alla società.

(Segue): Amministrazione e rappresentanza.

Gli amministratori hanno anche il potere di rappresentanza della società (c.d. potere di firma).
È un potere questo che conferisce ai soci la possibilità di poter agire nei confronti di terzi in nome
della società (art. 2266).
Di regola la rappresentanza della società spetta a ciascun socio amministratore, disgiuntamente
(ogni amministratore può decidere da solo di stipulare atti in nome della società) o
congiuntamente (tutti i soci amministratori devono partecipare alla stipulazione dell’atto) a
seconda che in un modo o nell’altro sia stata conformata l’amministrazione.
La rappresentanza non è solo sostanziale ma anche processuale (art. 2266): la società può essere
convenuta in giudizio in persona dei soci amministratori che ne hanno la rappresentanza.
L’atto costitutivo può tuttavia prevedere alcune limitazioni convenzionali al potere di
rappresentanza dei soci amministratori sollevando il problema dell’opponibilità di tali limitazioni ai
terzi che entrano in contatto con gli amministratori.
Nella S.n.c. regolare le limitazioni, sia originarie sia successive, del potere di rappresentanza degli
amministratori non sono opponibili a terzi se non sono iscritte nel registro delle imprese o se non
si provi che i terzi ne hanno avuto effettiva conoscenza (art. 2298).
Nella S.n.c. irregolare l’omessa registrazione si ritorce contro i soci. Infatti si presume che ogni
socio che agisce per la società abbia la rappresentanza sociale anche in giudizio. I patti modificativi
del potere di rappresentanza non sono opponibili ai terzi, a meno che non si provi che questi ne
erano a conoscenza.
Nella società semplice le limitazioni originarie sono sempre opponibili ai terzi, sicché su costoro
incombe l’onere di accertare se il socio che agisce in nome della società ha effettivamente il potere
di rappresentanza. Le limitazioni successive o l’estinzione del potere di rappresentanza devono
invece essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei ed in mancanza sono loro opponibili
solo se la società prova che le conoscevano (art. 2266).

I soci amministratori.

Come già accennato, l’atto costitutivo può riservare l’amministrazione solo ad alcuni soci, dando
così luogo alla distinzione tra soci amministratori e soci non amministratori.
In tal caso, i soci investiti dell’amministrazione possono essere nominati direttamente nell’atto
costitutivo o con atto separato.
La distinzione fra amministratori nominati nell’atto costitutivo e amministratori nominati con atto
separato acquista rilievo ai fini della revoca della facoltà di amministrare (art. 2259).
La revoca dell’amministratore nominato nel contratto sociale deve essere decisa all’unanimità
dagli altri soci, se non è convenuto diversamente, perché comporta una modifica dell’atto
costitutivo. La revoca non ha effetto se non ricorre una giusta causa.
L’amministratore nominato invece per atto separato “è revocabile secondo le norme del
mandato”; quindi può essere revocato anche in mancanza di giusta causa se però risarcito.
In ogni caso la revoca per giusta causa può essere disposta dal tribunale su ricorso anche di un solo
socio (art. 2259).
I diritti e gli obblighi degli amministratori “sono regolati dalle norme sul mandato” (art. 2260).
Poteri. L’amministratore è investito per legge (art. 2266) del potere di compiere tutti gli atti che
rientrano nell’oggetto sociale, esclusi gli atti che comportano la modificazione dell’atto costitutivo,
senza il limite degli atti di ordinaria amministrazione posto per il mandatario generale.
Doveri. Nelle S.n.c. gli amministratori devono tenere le scritture contabili e redigere il bilancio di
esercizio (art. 2302); devono provvedere agli adempimenti pubblicitari connessi all’iscrizione nel
registro delle imprese (artt. 2296-2300). E specifiche sanzioni penali sono per essi previste (artt.
2621-2641) anche in caso di fallimento della società (art. 223 l.f.).
Responsabilità. Oltre al dovere generale di amministrare la società con la diligenza del mandatario,
gli amministratori sono poi solidamente responsabili verso la società, con conseguente obbligo di
risarcire i danni alla stessa arrecati se non provano di essere senza colpa.
I soci amministratori avranno di regola diritto al compenso per il loro ufficio, compenso che può
essere costituito anche da una più elevata partecipazione agli utili.

I soci non amministratori. Il divieto di concorrenza.

Parliamo ora dei soci esclusi dall’amministrazione. Ad essi sono riconosciuti ampi e penetranti
poteri di informazione e di controllo (art. 2261).
Ogni socio non amministratore ha infatti:
a) il diritto di avere dagli amministratori notizie dello svolgimento degli affari sociali;
b) il diritto di consultare i documenti relativi all’amministrazione e, quindi, tutte le scritture
contabili della società;
c) il diritto di ottenere il rendiconto al termine di ogni anno, oppure alla conclusione degli
affari sociali se ciò avviene prima dell’anno.
Nella S.n.c. (e non in quella semplice) tutti i soci hanno l’obbligo di non esercitare per conto
proprio o altrui un’attività concorrente con quella della società, ed inoltre di non partecipare come
socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente (art. 2301), pena il risarcimento dei
danni e l’esclusione dalla società (decisione questa discrezionale dei soci).
Il divieto tuttavia non ha carattere assoluto.

Le modificazioni dell’atto costitutivo.

Nella società semplice e nella società in nome collettivo “il contratto sociale può essere modificato
soltanto con il consenso di tutti soci, se non è convenuto diversamente” (art. 2252).
Nessun patto contrattuale è modificabile senza il consenso di tutti e quindi di ciascun socio, anche
se deroghe al riguardo sono state introdotte nel 2003 per la trasformazione, la fusione e la
scissione.
Fra le modificazioni del contratto sociale rientrano anche i mutamenti nella composizione della
compagine sociale. Il consenso di tutti gli altri soci perciò necessario per il trasferimento della
quota sociale sia fra i vivi che a causa di morte.
L’atto costitutivo può però stabilire la libera trasferibilità fra vivi della quota e/o la continuazione
della società con gli eredi del socio defunto.
Nella società semplice e nella società in nome collettivo regolare le modificazioni dell’atto
costitutivo sono soggette a pubblicità legale e finché non sono state iscritte nel registro delle
imprese non sono opponibili ai terzi, a meno che non si provi che questi erano a conoscenza.
Nella collettiva irregolare le modificazioni dell’atto costitutivo devono invece essere portata
conoscenza dei terzi con mezzi idonei e non sono opponibili a coloro che le abbiano senza colpa
ignorate.
Se la regola delle modifiche dell’atto costitutivo è l’unanimità, l’art. 2252 consente però che possa
essere convenuto diversamente (es. con la maggioranza).

Scioglimento del singolo rapporto sociale.

Il singolo socio può cessare di far parte della società per morte, recesso od esclusione. In tal caso vi
è solo la necessità ridefinire rapporti patrimoniali tra i soci superstiti ed il socio uscente o gli eredi
del socio defunto attraverso la liquidazione della quota sociale È invece rimesso ai soci superstiti il
decidere se porre fine alla società o continuarla.
Ed il principio di conservazione della società opera anche quando resta un solo socio. Il socio
superstite a tempo sei mesi per decidere se associare se altre persone e continuare la società
oppure porvi fine. Vediamo nel dettaglio le singole cause di cessazione del rapporto sociale.
Morte del socio. Simone il socio, I soci superstiti entro sei mesi devono liquidare la quota del socio
defunto ai suoi eredi. I soci superstiti non sono quindi tenuti a subire subingresso in società degli
eredi del defunto.
In alternativa, i soci superstiti possono tuttavia decidere:
a) lo scioglimento anticipato della società. In tal caso gli eredi devono attendere la conclusione
delle operazioni di liquidazione della società, per partecipare con i superstiti alla divisione
dell’attivo che residua dopo l’estinzione dei debiti sociali.
b) la continuazione della società con negli eredi del socio defunto, ma in tal caso è necessario sia il
consenso di tutti soci superstiti, sia il consenso degli eredi. Il consenso degli uni e/o degli altri non
è tuttavia necessario se, nell’atto costitutivo, vi è una clausola di continuazione della società con gli
eredi del socio defunto.
Recesso. il recesso è lo scioglimento del rapporto sociale per volontà del socio (art. 2285).
Se la società è a tempo indeterminato ogni socio può recedere liberamente con un preavviso di
almeno tre mesi. Il recesso diventa produttivo di effetti solo dopo che sia decorso tale termine.
Se la società è a tempo determinato, il recesso è ammesso per legge solo se sussiste una giusta
causa (art. 2285). Anche la volontà di recedere per giusta causa deve essere portata a conoscenza
degli altri soci, ma in tal caso di recesso ha effetto immediato.
Esclusione. È l’ultima casa dello scioglimento parziale del rapporto sociale. Essa in alcuni casi ha
luogo di diritto (art. 2288); in altri è facoltativa: È cioè rimessa alla decisione degli altri soci (art.
2286).
È escluso di diritto:
a) Il socio che sia dichiarato fallito, salvo ovviamente che non si tratta di fallimento
conseguente al fallimento della società. In questo caso l’esclusione opera dal giorno stesso
della dichiarazione di fallimento;
b) Il socio in quel creditore particolare “abbia ottenuto la liquidazione della quota”, nei casi
consentiti per legge e già in precedenza esaminati. In questo caso il socio cessa di far parte
della società solo quando la liquidazione della quota sia effettivamente avvenuta.
I fatti che legittimano la società a deliberare l’esclusione di un socio sono stabiliti dall’articolo 2286
e possono essere raggruppati in tre categorie.
1) gravi inadempienze degli obblighi che derivano dalla legge o dal contratto sociale.
2) l’interdizione, l’inabilitazione del socio o la sua condanna ad una pena che comporti interdizione
anche temporanea dai pubblici uffici.
3) sopravvenuta impossibilità di esecuzione del conferimento per causa non imputabile socio.

L’esclusione è deliberata dalla maggioranza dei soci calcolata per teste, senza calcolare il socio da
escludere. La deliberazione motivata Deve essere comunicata al socio escluso ed ha effetto decorsi
30 giorni dalla data di comunicazione. Entro tale termine il socio può fare opposizione.
Nel caso di società tra due soci l’esclusione di uno dei due è pronunciata direttamente dal
tribunale su domanda dell’altro e diventa operante nel momento in cui la relativa sentenza sia
passata in giudicato.

(Segue): La liquidazione della quota.

In tutti casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio, questi o i suoi eredi
hanno diritto “soltanto ad una somma di denaro che rappresenta il valore della quota”. Il che
significa che il socio non può pretendere la restituzione dei beni conferiti in proprietà.
Il valore della quota è determinato in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in
cui si verifica lo scioglimento del rapporto.
La situazione patrimoniale della società va determinata attribuendo ai beni il loro valore effettivo,
nonché tenendo conto del valore di avviamento dell’azienda sociale e degli utili e delle perdite
sulle operazioni in corso.
Il pagamento della quota spettante al socio deve essere effettuato entro sei mesi dal giorno in cui
si è verificato lo scioglimento del rapporto; mentre deve essere effettuato entro tre mesi
nell’ipotesi di scioglimento su richiesta del creditore particolare.

Scioglimento della società.


Le cause di scioglimento della società semplice, valide anche per la collettiva, sono fissate
dall’articolo 2272. Esse sono:
1) il decorso del termine fissato nell’atto costitutivo. È tuttavia possibile la proroga della durata
della società, sia espressa (decisione formale dei soci), sia tacita (I soci continuano l’attività
sociale).
2) il conseguimento dell’oggetto sociale oppure la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo.
3) la volontà di tutti soci.
4) il venir meno della pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita.
5) le altre cause previste dal contratto sociale.
Sono poi cause specifiche di scioglimento della società in nome collettivo, il fallimento della stessa
ed il provvedimento della liquidazione coatta amministrativa della società (art.2308).
Verificatasi una causa di scioglimento la società entra automaticamente in stato di liquidazione E
nella società in nome collettivo tale situazione Deve essere espressamente indicata negli atti nella
corrispondenza (art. 2250).
La società però non si estingue immediatamente. Si deve infatti prima provvedere, attraverso la
liquidazione, al soddisfacimento dei creditori sociali ed alla distribuzione fra i soci dell’eventuale
residuo attivo.

(Segue): Il procedimento di liquidazione. L’estinzione della società.

Il procedimento di liquidazione inizia con la nomina di uno o più liquidatori, Che richiede il
consenso di tutti soci se nell’atto costitutivo non è diversamente previsto. In caso di disaccordo fra
i soci, i liquidatori sono nominati dal presidente del tribunale (art. 2275).
I liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti soci ed in ogni caso dal tribunale per
giusta causa, su domanda di uno o più soci (art.2275).
Con l’accettazione della nomina I liquidatori – che possono essere anche non soci – prendere
posto degli amministratori. Questi ultimi devono consegnare ai liquidatori di beni e i documenti
sociali e presentare loro il conto della gestione relativa al periodo successivo all’ultimo rendiconto.
Gli amministratori e i liquidatori devono redigere insieme l’inventario dal quale risulta lo stato
attivo e passivo del patrimonio sociale (art. 2277).
Il compito dei liquidatori è quello di definire i rapporti che si ricollegano all’attività sociale:
conversione in denaro dei beni, pagamento dei creditori, ripartizione fra i soci dell’eventuale
residuo attivo.
I liquidatori possono perciò compiere tutti “gli atti necessari per la liquidazione” e possono anche
vendere in blocco i beni aziendali, nonché procedere a transazioni e compromessi. Hanno inoltre
la rappresentanza legale della società anche in giudizio.
In particolare, per pagare i creditori sociali, I liquidatori possono chiedere ai soci versamenti
ancora dovuti, ma solo se i fondi disponibili risultano insufficienti.
Sui liquidatori incombe un duplice divieto:
a) non possono intraprendere “nuove operazioni” che non sono in rapporto di mezzo a fine
rispetto all’attività di liquidazione. Se violano tale divieto rispondono personalmente e
solidamente per gli affari intrapresi nei confronti dei terzi.
b) non possono ripartire dai soci, neppure parzialmente, i beni sociali finché i creditori sociali non
siano stati pagati o non siano state accantonate le somme necessarie per pagarli (art.2280).
Obblighi e responsabilità dei liquidatori sono gli stessi degli amministratori.
Estinti tutti i debiti sociali la liquidazione si avvia all’epilogo con la ripartizione fra i soci
dell’eventuale attivo patrimoniale residuo convertito in denaro, sei soci non hanno convenuto che
la ripartizione dei beni sia fatta in natura.
Il saldo attivo di liquidazione è destinato innanzitutto al rimborso del valore nominale dei
conferimenti. L’eventuale eccedenza è poi ripartita tra tutti i soci in proporzione della
partecipazione di ciascuno nei guadagni (art. 2282).
Mentre nessuna regola specifica è prevista per la chiusura del procedimento di liquidazione nella
società semplice, nella società in nome collettivo invece, i liquidatori devono redigere il bilancio
finale di liquidazione (rendiconto della gestione dei liquidatori) ed il piano di riparto (una proposta
di divisione fra i soci dell’attivo residuo).
Con l’approvazione del bilancio, i liquidatori sono liberati di fronte ai soci ed il procedimento di
liquidazione ha termine. Non è necessario che i liquidatori procedano all’effettiva ripartizione
dell’attivo residuo fra i soci.
Nella società in nome collettivo irregolare la chiusura del procedimento di liquidazione determina
l’estinzione della società, sempre che siano stati soddisfatti tutti i creditori sociali. In mancanza, la
società dovrà considerarsi ancora esistente.
Nella società in nome collettivo regolare E nella società semplice approvato il bilancio finale di
liquidazione, I liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese
(art. 2312).
La cancellazione può essere anche disposta d’ufficio.
Con la cancellazione dal registro delle imprese la società si estingue, quand’anche non tutti i
creditori sociali siano stati soddisfatti.
I creditori insoddisfatti possono agire nei confronti dei soci, che restano personalmente ed
illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali insoddisfatte. Possono inoltre agire anche
nei confronti del liquidatore, se il mancato pagamento è imputabile a colpa o dolo di quest’ultimi
(art. 2312).
I creditori della società in nome collettivo possono infine chiedere il fallimento della società entro
un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese.

LA SOCIETA’ IN ACCOMANDITA SEMPLICE

Nozione e caratteri distintivi.

Nella società in accomandita semplice (artt. 2313-2324) vi sono due categorie di soci:
a) gli accomandatari, che al pari dei socie della collettiva, rispondono illimitatamente e
solidamente per le obbligazioni sociali;
b) gli accomandanti che rispondono limitatamente alla quota conferita. Più esattamente, essi
sono obbligati solo nei confronti della società ad eseguire i conferimenti promessi.
L’amministrazione della società compete solo ed esclusivamente ai soci accomandatari.
La disciplina della S.a.s. è modellata su quella della S.n.c. (art. 2315), sia pure con adattamenti.
La S.a.s. è il solo tipo di società di persone che consente l’esercizio in comune di un’attività di
impresa commerciale con limitazione del rischio e non esposizione al fallimento per alcuni soci (gli
accomandanti). È bene capire che per questo motivo, servendosi di un accomandatario di paglia, i
soci accomandanti potrebbero in fatto cumulare i vantaggi della società di persone (esercizio
personale e diretto del potere di direzione dell’impresa), con quelli delle società di capitali
(beneficio della responsabilità limitata).
Da qui l’esigenza di evitare un uso anomalo e distorto di tale tipo di società, con la previsione di
rigorosi divieti a carico dei soci accomandanti e di ancor più rigorose sanzioni patrimoniali per la
loro violazione.
La costituzione della società. La ragione sociale.

L’atto costitutivo della S.a.s. dovrà indicare quali sono i soci accomandatari e quali gli
accomandanti.
L’atto costitutivo è soggetto ad iscrizione nel registro delle imprese, ma l’omessa registrazione
comporta solo l’irregolarità della società.
Nella S.a.s. la ragione sociale (art. 2314) deve essere formata col nome di almeno uno dei soci
accomandatari e con l’indicazione del tipo sociale. Non può invece essere inserito nella ragione
sociale il nome di uno o più soci accomandanti.
“l’accomandante il quale consente che il suo nome sia compreso nella ragione sociale, risponde di
fronte ai terzi solidamente ed illimitatamente con i soci accomandatari per le obbligazioni sociali
(art. 2314); l’accomandante perde cioè il beneficio della responsabilità limitata.

I soci accomandanti e l’amministrazione della società.

L’amministrazione della società può essere conferita solo ai soci accomandatari, che hanno stessi
obblighi e diritti dei soci della collettiva (art. 2318). Dall’amministrazione della società sono invece
esclusi i soci accomandanti.
La norma stabilisce che gli accomandanti “non possono compiere atti di amministrazione, né
trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli
affari”. All’accomandante è quindi sia preclusa la partecipazione all’amministrazione interna della
società, sia la possibilità di agire per la società nei rapporti esterni.
Più esattamente, per quanto riguarda l’amministrazione interna l’accomandante è privo di ogni
potere decisionale autonomo in merito alla condotta degli affari sociali.
Per quanto riguarda l’attività esterna l’accomandante può legittimamente trattare e concludere
affari in nome della società in forza di procura speciale per singoli affari.
All’accomandante è invece in ogni caso preclusa la possibilità di agire di fronte ai terzi come
procuratore generale o come institore.
L’accomandante che viola il divieto di immistione si espone ad una sanzione patrimoniale
particolarmente grave e non proporzionata all’infrazione commessa. Egli infatti risponde di fronte
ai terzi illimitatamente e solidamente per tutte le obbligazioni sociali che a qualsiasi titolo siano
imputabili alla società.
L’accomandante che ha violato il divieto di immistione è esposto all’ulteriore sanzione
dell’esclusione dalla società, con decisione a maggioranza degli altri soci (accomandanti e
accomandatari).
Agli accomandanti sono tuttavia riconosciuti per legge o per contratto alcuni diritti e poteri di
carattere amministrativo.
Essi hanno innanzitutto il diritto di concorrere con gli accomandatari alla nomina ed alla revoca
degli amministratori.
Per quanto riguarda poi la partecipazione all’attività dell’impresa comune i soci accomandanti:
a) possono trattare o concludere affari in nome della società, sia pure solo in forza di una
procura speciale per singoli affari;
b) possono prestare la loro opera, manuale o intellettuale, all’interno della società sotto la
direzione degli amministratori e quindi mai in posizione autonoma e indipendente;
c) possono, se l’atto costitutivo lo consente, dare autorizzazioni e pareri per determinate
operazioni, nonché compiere atti di ispezione e di controllo.
Per quanto riguarda specificamente i poteri di controllo degli accomandanti essi hanno il diritto di
avere comunicazione annuale del bilancio e di controllarne l’esattezza. È opinione corretta che gli
accomandanti hanno anche il diritto di concorrere all’approvazione del bilancio.
Gli accomandanti non sono tenuti a restituire gli utili fittizi eventualmente riscossi , purché essi
siano in buona fede e gli utili risultino da un bilancio regolarmente approvato.

Il trasferimento della partecipazione sociale.

Per gli accomandatari. Se l’atto costitutivo non dispone diversamente, il trasferimento per atto fra
vivi della quota degli accomandatari può avvenire solo col consenso di tutti gli altri soci
(accomandanti e accomandatari). E per la trasmissione a causa di morte sarà necessario anche il
consenso degli eredi.
Per gli accomandanti. La quota degli accomandanti è liberamente trasferibile per causa di morte,
senza che sia perciò necessario il consenso dei soci superstiti.
Per il trasferimento per atto fra i vivi è invece necessario il consenso dei soci che rappresentano la
maggioranza del capitale sociale, salvo che l’atto costitutivo non disponga diversamente.

Lo scioglimento della società.

La S.a.s. si scioglie, oltre che per cause previste per la S.n.c., quando rimangono soltanto soci
accomandatari o soltanto soci accomandanti, sempreché nel termine dei sei mesi non sia stato
sostituito il socio che è venuto meno (art. 2323).
Se sono venuti meno i soci accomandatari, gli accomandanti devono nominare un amministratore
provvisorio, i cui poteri sono per legge limitati “al compimento degli atti di ordinaria
amministrazione”. L’amministratore provvisorio non diventa socio accomandatario.
Per il procedimento di liquidazione e l’estinzione della società valgono le regole dettate per la
società in nome collettivo. Tuttavia, cancellata la società dal registro delle imprese, i creditori
rimasti insoddisfatti potranno far valere i propri crediti nei confronti dei soci accomandanti solo
nei limiti di quanto dagli stessi ricevuto a titolo di quota di liquidazione, dato che essi non erano
soci a responsabilità illimitata (art. 2324).

La società in accomandita irregolare.

È irregolare la S.a.s. il cui atto costitutivo non è stato iscritto nel registro delle imprese. L’omessa
registrazione non impedisce però la nascita della società. Inoltre, resta ferma la distinzione fra soci
accomandatari e soci accomandanti

CAPITOLO TREDICESIMO :
LA SOCIETA’ PER AZIONI
Recap.
La società per azioni insieme alla società in accomandita per azioni e la società a responsabilità
limitata formano la categoria delle società di capitali. Che ricordiamo si distinguono dalle società
per azioni in quanto alle società di capitali viene attribuita la personalità giuridica e quindi godono
di una perfetta autonomia patrimoniale. Inoltre, le società di capitali hanno una struttura
corporativa, dentro la quale vige il principio maggioritario ed i soci singolarmente non hanno
potere di gestione ma il loro peso dipende dal capitale conferito.

La società per azioni si caratterizza e si distingue dalle altre due società di capitali per due motivi :
1) Per le obbligazioni sociali risponde solo la società. Ad esempio, nella società in
accomandita per azioni i soci accomandatari rispondono in solido ed illimitatamente per le
obbligazioni sociali.
2) La partecipazione sociale è rappresentata da azioni. Ciò si differenzia dalle S.R.L. in quanto
li le partecipazioni sono delle quote.

La società per azioni ha sicuramente raggiunto un notevole successo nella realtà economica.
Questo successo dipende sicuramente da alcune caratteristiche che la riguardano ad esempio il
fatto che gode di personalità giuridica e perfetta autonomia patrimoniale. Oppure dal fatto che i
soci hanno responsabilità limitata e non assumono quindi nessuna responsabilità personale
nemmeno sussidiaria. Ciò però è contrapposto dal fatto che vigendo il principio maggioritario, il
socio che vuole avere più potere dovrà rischiare di più aumentando la sua partecipazione sociale.
Quindi se da un lato la sua responsabilità è limitata dall’altro lo è anche il suo potere.
Inoltre, le azioni di una società per azioni sono standardizzate, ovvero se vengono emesse 100
azioni, ognuna avrà uno stesso valore e conferisce uguali diritti, ciò fa si che le azioni sono
liberamente trasferibili.
Le società per azioni possono essere a base diffusa o a base ristretta. Nel primo caso un gruppo
ristretto di azionisti imprenditori ha necessità di finanziamento e quindi si appella al pubblico
risparmio. Nel secondo caso vi è un nucleo ristretto di soci che detiene la maggioranza delle azioni
e si appella al pubblico risparmio in maniera marginale. Questo panorama ha dato vita a
importanti problemi : nel caso della base ristretta i soci di maggioranza tendono a non curarsi della
minoranza e quindi abusano della loro posizione, mentre nel caso della base diffusa gli azionisti
risparmiatori non si interessano alla vita della società lasciano che anche gli azionisti imprenditori
non se ne curino pensando unicamente alla remunerazione, pensando quindi solo a far salire il
valore delle azioni.

La disciplina ha riguardo si è evoluta tanto che lo scenario contemporaneo è completamente


mutato. Soprattutto la disciplina si è evoluta non solo per risolvere tali problematiche, ma per
conciliare l’ordinamento nazionale alle direttive europee.
Il percorso è iniziato nel 1974, portando nel 1998 come risultato : una disciplina unitaria delle
società quotate e nel 2003 una disciplina unitaria delle società non quotate.
Inizialmente è stato subito posto un freno alle minisocietà con capitale irrisorio, poiché il capitale
per istituire le società per azioni era veramente basso soprattutto dopo la conversione all’euro,
tant’è che nel 2003 si arriva alla cifra fissata di cinquantamila euro. Successivamente si prende in
considerazione nel 1974 la larga diffusione di società per azioni a base diffusa e di conseguenza
nasce l’esigenza di tutelare maggiormente la massa di azionisti risparmiatori tramite ad esempio la
possibilità di mettere azioni di risparmio ovvero azioni prive di diritto di voto ma privilegiate sotto
il profilo patrimoniale, viene anche istituito un organo di controllo : la Consob. Successivamente
cominciano a diffondersi i così detti investitori istituzionali, ovvero degli operatori economici che
effettuavano considerevoli investimenti in maniera sistematica disponendo di ingenti possibilità
finanziarie soprattutto perché la gente dava a loro i propri risparmi per investire. Quindi con
l’obiettivo di incentivare l’afflusso del risparmio verso l’investimento in società quotate e volendo
valorizzare tali investitori istituzionali, nasce il testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria. Nel 2004 inoltre si sente il bisogno di modernizzare e rendere quindi
più semplificativa la disciplina delle società di capitali e delle società non quotate, nasce ad
esempio la società per azioni unipersonale a responsabilità limitata e si semplifica il processo di
costituzione.

La costituzione.
Una società per azioni si costituisce in due fasi :
1) Si stipula l’atto costitutivo.
2) Si iscrive l’atto costitutivo nel registro delle imprese.
Come dicevamo prima, il processo costitutivo si è semplificato infatti ora non occorre più
l’omologazione dell’autorità giudiziaria. L’iscrizione nel registro ha efficacia costituzionale e senza
di essa la società non acquista la personalità giuridica.
L’atto costitutivo si può costituire o stipulare in due modi : o simultaneamente o per pubblica
sottoscrizione.
Nel primo caso, viene stipulato simultaneamente da coloro che vogliono costituire la società e che
provvedono nella sottoscrizione integrale del capitale sociale iniziale. Il secondo caso si fa in poche
parole quando non si possiede il denaro sufficiente per sottoscrivere il capitale sociale quindi
tramite un procedimento complesso ci si appella sin da subito al pubblico risparmio. Solitamente
però si fa sempre il primo magari prevedendo nello stesso atto costitutivo che l’amministratore
delegato in seguito aumenti il capitale sociale.

L’atto costitutivo e le condizioni per la costituzione


L’atto può essere rappresentante sia da un contratto che da un atto unilaterale in caso si abbia
solo un socio fondatore, ma la cosa importante è che deve essere redatto per atto pubblico
altrimenti la società è nulla.
Esso deve inoltre contenere tutte le voci indicate dall’articolo 2328 come:

 Le generalità dei soci o dei promotori e il numero delle azioni assegnategli


 La denominazione e il comune dove sono poste la sede della società (la sede della società è
quella in cui risiedono l’rogano amministrativo e gli uffici direttivi)
 L’oggetto sociale
 I benefici accordati ai promotori o ai soci fondatori
 Ecc.

Non tutte le voci indicate nell’articolo sono essenziali ma l’eventuale omissione di una essenziale
legittima il rifiuto del notaio di stipulare l’atto costitutivo. Inoltre, sempre l’articolo 2328 terzo
comma considera lo statuto della società parte integrante dell’atto costitutivo ed è per questo che
anche lo statuto deve essere redatto per atto pubblico (sotto pena di nullità) ed è sempre per
questo che l’atto costitutivo nel suo insieme risulta di contenuto ampio.

Ovviamente non basta che venga stipulato l’atto costitutivo per costituire una società per azioni.
Intanto, la sua costituzione come abbiamo già detto deve avvenire con un capitale minimo di
cinquantamila euro, esclusi i casi eccezionali.
Inoltre, per procedere alla costituzione devono verificarsi tute le condizioni esposte dall’articolo
2329 come :
1) deve essere sottoscritto il capitale sociale
2) devono essere rispettati i conferimenti promessi e se il conferimento è in denaro il 25%
deve essere depositato in banca. Se invece siamo nella costituzione unilaterale allora
l’intero conferimento deve essere depositato
3) devono sussistere le autorizzazioni e condizioni richieste dalle leggi speciali.

L’iscrizione nel registro delle imprese.


Successivamente la stipulazione dell’atto costitutivo occorre depositarlo presso il registro delle
imprese. Di questo se ne dovrebbe occupare il notaio, ma se egli non provvede l’obbligo di
deposito incombe sugli amministratori nominati nell’atto. A questo punto in passato si apriva al
processo di omologazione da parte del tribunale competente, ma questo procedimento è stato
rimosso e sostituito dalla verifica da parte del notaio delle condizioni previste. Questo controllo
dovrà dunque verificare la legalità e la presenza della conformità alla legge della costituenda
società. Una volta effettuato il controllo e depositato nel registro delle imprese, un ulteriore
verifica sarà fatto dall’ufficio del registro.
Una volta iscritta come già detto, la società acquista la personalità giuridica.
Allora è lecito chiedersi di chi è la responsabilità delle azioni poste in essere prima dell’attribuzione
della personalità giuridica. La legge tramite l’articolo 2331 predispone che solo illimitatamente e in
solido responsabili coloro che hanno agito. Successivamente all’iscrizione la società può decidere
se accollarsi o meno tali azioni, in caso di accollo però i soggetti che hanno agito risponderanno
comunque in solido.

La nullità della società per azioni.


Durante tutto il procedimento elencato potrebbero sorgere vizi e anomalie. Però dobbiamo
distinguere il caso in cui l’anomalia sorga semplicemente dopo il contratto di società e prima
dell’iscrizione o quando sorga dopo l’iscrizione.
 Prima dell’iscrizione : siamo in una situazione in cui gli effetti prodotti dal contratto si sono
verificati solo a carico delle parti che lo hanno stipulato, quindi il legislatore ha deciso che
in questo caso la presenza di anomalie rende tale contratto nullo o annullato in casi
specifici.
 Dopo l’iscrizione : beh, qui invece ci troviamo nella situazione in cui la società è cominciata
ad esistere e a stringere rapporti con più soggetti, di conseguenza non si può dichiarare
l’iscrizione della società nulla in quanto il danno che si ripercuoterebbe sarebbe eccessivo.
D’altro canto, non possiamo non considerare che l’ente associativo sia nato da un contratto
o da un atto unilaterale invalido. La soluzione che si è trovata è disciplinata dall’articolo
2332 il quale limita a tre casi in cui una società può essere dichiarata nulla (prima erano 8)
e sono :
o Mancata stipulazione dell’atto costitutivo in forma dell’atto pubblico
o Illeceità dell’oggetto sociale
o Mancanza nell’atto di indicazioni riguardo la denominazione, i conferimenti,
l’ammontare del capitale sociale o l’oggetto sociale.

Come si tutelano coloro che hanno stretto rapporti con la società invalida ? a differenza della
dichiarazione di nullità del contratto che ha effetto retroattivo, quando viene dichiarata nulla una
società l’efficacia degli atti compiuti dopo l’iscrizione non viene toccata. Successivamente però la
società sarà sciolta ma si badi che i soci non verranno liberati fin quando non sono soddisfatti i
creditori. Per concludere la nullità della società è scritta è sanabile ovvero che se viene eliminata la
causa di essa e tale eliminazione viene iscritta allora non può essere dichiarata nulla la società.

I conferimenti.
I conferimenti costituiscono i contributi dei soci alla formazione del patrimonio inziale. La loro
funzione è quella di dotare del capitale di rischio necessario per iniziare l’attività d’impresa. Come
precedentemente detto il valore in denaro di questi conferimenti costituisce il capitale sociale
nominale della società. La disciplina riguardante i conferimenti mira principalmente a due risultati:
1. Che i conferimenti promessi vengano effettivamente acquisiti
2. Che il valore assegnatogli sia veritiero
Ovviamente questo secondo punto riguarda solo i conferimenti diversi da quelli in denaro che
hanno bisogno di un processo di valutazione.

I conferimenti in danaro.
Se nell’atto costitutivo non è previsto diversamente allora i conferimenti devono essere fatti in
denaro. Inoltre, il 25% dei conferimenti deve essere versato immediatamente in banca, o
addirittura l’intera somma se parliamo di una società unipersonale.
La disciplina dei conferimenti mira a garantire l’effettività del capitale sociale, infatti se ad
esempio, viene trasferito un titolo azionario nel quale risulta che il conferimento deve essere
ancora versato, il socio che lo trasferisce non si libera dalla responsabilità, ma questa diventa
sussidiaria per almeno tre anni (vuol dire che se il coglione che ha comprato il titolo non versa
allora toccherà versare al coglione che ha venduto se siamo entro i tre anni)
Vi è una speciale disciplina riguardo il socio che non paga. Innanzitutto, il socio in mora non ha
diritto di voto, in secondo luogo la società potrà avvalersi di una procedura di vendita coattiva
delle azioni del socio (prima deve offrirle agli altri soci e poi può venderle a terzi). Mentre se la
vendita coattiva non ha esito, nessuno vuole queste benedette azioni, allora la società dichiarerà il
socio decaduto e si terrà i conferimenti già versati.

I conferimenti diversi dal danaro.


Diversamente dalle società di persone non possiamo versare come conferimento qualsiasi entità
che sia soggetta di valutazione economica, in quanto sono presenti delle limitazioni introdotte nel
1986. È espressamente stabilito che non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni
di opera o servizi, che saranno invece considerate prestazioni accessorie.
Anche i beni in natura e i crediti hanno subito delle limitazioni come per quanto concerne le
società di persone, ovvero secondo l’articolo 2342 che disciplina i conferimenti diversi dal denaro,
le azioni corrispondenti ai conferimenti di beni devono essere immediatamente liberate, cosi
facendo la società acquista subito la titolarità del bene e la disponibilità dello stesso. In poche
parole, con questo comma si evita che vengano considerati ammissibili conferimenti rappresentati
da beni futuri o generici.
Anche se controverso è possibile fare un conferimento di diritti di godimento in quanto la
disponibilità effettiva c’è.
La valutazione.
I conferimenti diversi dal denaro devono formare oggetto di uno specifico procedimento di
valutazione regolato dall’art. 2343 (la cui finalità è quella di assicurare una valutazione oggettiva e
veritiera). Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare una relazione giurata di stima di
un esperto designato dal tribunale (si deve attestare che il loro valore è almeno pari a quello ad
essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale). Entro centottanta giorni dalla
costituzione della società, gli amministratori devono controllare le valutazioni contenute nella
relazione di stima. Nel frattempo, le azioni corrispondenti sono inalienabili. Se dalla revisione
risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti è inferiore di oltre un quinto rispetto a quello per
cui avvenne il conferimento, la società deve ridurre proporzionalmente il capitale sociale
e annullare le azioni che risultano scoperte. Al socio è concessa una duplice alternativa: può
versare la differenza in denaro oppure recedere dalla società (ha diritto alla restituzione in natura
del bene conferito).
Dal 2006 al 2010 sono state introdotte delle eccezioni per alcuni conferimenti in natura, che non
hanno bisogno della valutazione del perito, se e solo se il loro valore è pari o inferiore :
a. Al fair value (ovvero al valore di scambio del bene o del credito
b. Al valore risultante un'altra valutazione fatta non oltre sei mesi prima
c. Per i titoli quotati nel mercato al loro prezzo medio ponderato

L’ipotesi più frequente è sicuramente la b, dove chi vuol conferire un bene in natura, si procura
una valutazione da un esperto indipendente senza la necessità di interpellare il tribunale. Per i casi
sopraelencati che potremmo definire “eccezionali”, gli amministratori hanno comunque la facoltà
di richiedere una nuova valutazione secondo l’articolo 2343.
Altrimenti, se non vi è contestazione gli amministratori iscrivono nel registro delle imprese una
dichiarazione in cui indica sia il metodo con cui tale conferimento è stato stimato e il suo valore.
Concludiamo dicendo che in passato, molti furbetti utilizzavano un espediente in poche parole per
diventare soci senza conferire nulla. Praticamente dichiaravano nell’atto costitutivo che il loro
conferimento si basava su un futuro conferimento in denaro, poi però vendevano un bene alla
società casualmente di valore pari al loro conferimento e quindi per compensazione avevano
soddisfatto il loro obbligo. Oggi invece per l’acquisto da parte della società di beni o crediti dai
promotori o dai fondatori è richiesta un’autorizzazione dell’assemblea ordinaria e la presentazione
di una serie di documenti.

le prestazioni accessorie.
Oltre l’obbligo dei conferimenti, l’atto costitutivo può prevedere l’obbligo dei soci di eseguire
prestazioni non consistenti in denaro determinandone durata, contenuto e modalità di
svolgimento. Tali azioni accessorie devono essere nominative e non sono trasferibili senza il
consenso degli amministratori.

La società per azioni unipersonale


Questo argomento l’ho voluto mettere per ultimo poiché volevo prima tracciare un bel quadro
generale delle società per azioni.
Il codice inizialmente vietava la costituzione di una società da parte di una singola persona, ma
successivamente viene data la possibilità di istituire una S.R.L. da un atto unilaterale. In un
secondo momento, nel 2003, quest’opportunità si estende per le società per azioni.
Come le società per azioni normale, durante il socio risponderà in solido per le azioni commesse
durante l’istituzione, mentre per quanto riguarda i conferimenti, essendo il tutto versato da
un’unica persona, la disciplina è più rigorosa.
Infatti, il socio sarà tenuto a versare integralmente al momento della sottoscrizione i conferimenti
in denaro.
È importante per la società unipersonale la trasparenza, infatti sia negli atti che nel registro delle
imprese deve essere indicati che la società ha un unico socio. L’omissione impedisce che operi la
responsabilità limitata.
La disciplina riguardo la società unipersonale è più rigorosa anche perché è accentuato il pericolo
del conflitto di interessi, ovvero che l’unico socio possa fare operazioni in nome della società a
favore dello stesso. Per evitare ciò tutte queste operazioni sono opponibili a terzi solo se risultano
dal libro delle adunanze o dalle deliberazioni del c.d.a, quindi se non sono scritte e tracciabili in
poche parole si inchiappettano il socio. Inoltre, il fatto che il socio non incorra in responsabilità
illimitata significa che si può esercitare l’attività di impresa individuale tramite la forma societaria.
Però questo enorme beneficio viene limitato da eccezioni specificatamente previste dall’articolo
2325.

I patrimoni destinati.
I patrimoni destinati non sono altro che un espediente messo a disposizione dal legislatore onde
evitare la situazione nella quale per limitare il rischio di impresa non si creino una moltitudine di
società unipersonali.
Infatti, è possibile dal 2003, operare direttamente sui patrimoni individuandone più di uno, quindi
dividendo lo stesso patrimonio, e ognuno di essi risponderà solo a predeterminate e specifiche
obbligazioni.
Il patrimonio destinato si divide in due :
a. Finanziamento destinato : in pratica la giurisprudenza consente di stipulare un contratto
con terzi di finanziamento, che verrà utilizzato come patrimonio, pattuendo però che il
rimborso totale o parziale del finanziamento sarà fatto con tutti o parte dei proventi
dell’affare
b. Patrimonio destinato operativo : la società per azioni può costituire un o più patrimoni,
sempre che non superino il 10% del patrimonio netto, e destinarli ad uno specifico affare.

(da finire pag. 153-155)


CAPITOLO QUATTORDICESIMO :
LE AZIONI.

Nozione e caratteri.
Come già detto le azioni non sono altro che le quote di partecipazione dei soci nella società per
azioni. Esse sono omogenee, standardizzate, liberamente trasferibili e sono rappresentate da
documenti : i titoli azionari.
Al momento della costituzione il capitale sociale sottoscritto viene diviso in un numero di parti
identico di azione, e ogni azione conferisce identici diritti. La singola azione rappresenta quindi
l’unità di misura dei diritti sociali. Quindi una volta che si dividerà il capitale sociale, i soci a
seconda del conferimento diventeranno titolari di una o più azioni.

Azioni e capitale sociale.


Le azioni rappresentano un’identica frazione del capitale sociale. La parte del capitale sociale
rappresentata dalle azioni si chiama valore nominale. È possibile però che le azioni vengano
emesse anche senza indicare il valore nominale, il quel caso si dovrà indicare il numero di azioni e
il capitale circoscritto e si arriverà facilmente al valore nominale. Sempre in caso di assenza del
valore nominale, la partecipazione del singolo azionista sarà espressa in percentuale. Nel caso
invece ci sia indicato il valore nominale, allora nello statuto dovrà essere presente solo il capitale
circoscritto e il valore nominale.

Comunque, in entrambi i casi non si possono emettere azioni, per un valore complessivo inferiore
alla somma dei valori nominali, altrimenti il capitale conferito dai soci sarebbe inferiore di quello
dichiarato.

Le azioni invece possono essere emesse con sovrapprezzo, anzi vi è l’obbligo quando il valore reale
delle azioni sia superiore a quello nominale. Il valore reale si ottiene dividendo il patrimonio netto
per il numero delle azioni, quindi se si avrà più attività rispetto alle passività vorrà dire che il
patrimonio netto sarà alto e quindi il valore reale delle azioni anche. Mentre il valore di mercato
rappresenta il prezzo di scambio delle azioni in un determinato giorno. L’andamento di tale valore
esprime in maniera migliore rispetto al valore reale, il valore effettivo delle azioni.

La partecipazione azionaria.
Come detto prima l’azione sociale attribuisce un complesso di diritti e di poteri di natura
amministrativa (diritto di voto) patrimoniale (diritto agli utili).
Abbiamo precedentemente parlato del concetto di uguaglianza dei diritti, ma è bene chiarire di
cosa stiamo parlando.
Le azioni conferiscono ai possessori uguali diritto : articolo 2348
Ma quest’uguaglianza è relativa, in quanto è possibile creare categorie di azioni fornite di diritti
diverse, infatti le azioni si differenziano in ordinarie e speciali.
Inoltre, l’uguaglianza è oggettiva, ovvero che sono uguali i diritti che ogni azione distribuisce ma
non i diritti degli azionisti, perché potrebbe esserci chi ha comprato mille azioni e quindi ha “mille
diritti di voto” o chi ne ha comprato solo una.
Queste caratteristiche dell’oggettività, in particolar modo, sono giuste in quanto ci si affilia sempre
al principio cardine chi investe di più, quindi chi ha più conferito, rischia di più e quindi può
imporre la propria volontà alla minoranza.
Attenzione : ciò non esclude che quando nel gioco entra lo stato, siano introdotte deroghe a tale
principio.

Le categorie di azioni speciali.


Le azioni speciali sono quelle che conferiscono diversi da quelli tipici. Esse possono essere create
con lo statuto o con la modificazione dello stesso.
La presenza di azioni speciali comporta una modifica della organizzazione interna della società,
poiché saranno presenti dei gruppi di azionisti con interessi differenti.
L’attuale disciplina è comunque molto più permissiva riguardo le azioni speciali che possono
essere emesse tant’è che ora tutte le società possono emettere azioni senza diritto di voto.
Inoltre, tutte le società possono emettere :
a. Azioni con diritto di voto limitato a particolari argomenti
b. Azioni con diritto di voto subordinato al verificarsi di condizioni
Però queste azioni speciali, ovvero le azioni senza voto, con voto limitato o condizionato non
possono superare la metà del capitale sociale.
Per quanto riguarda le azioni a voto plurimo, ovvero quelle azioni che concedono più di un diritto
di voto, non possono essere emesse a meno che nelle società non quotate per particolari
condizioni. Un mezzo simile è invece concesso alle società quotate, le quali possono riconoscere
per statuto una maggiorazione del voto di soci, che possiedono le azioni da almeno 24 mesi. In
pratica possono attribuire a tali soci un numero di voti maggiore rispetto al numero azioni
possedute. Ad esempio, con un’azione hai due diritti di voto.
La differenza principale tra le azioni a voto plurimo (che comunque possono essere emesse anche
dalle società quotate ma prima della loro stessa quotazione) e la maggiorazione è che quest’ultima
è conseguibile da tutti gli azionisti (cioè se c’è scritto nello statuto anche zio Carletto che c’ha
l’azione di merda ha il voto maggiorato).
Sono concessi inoltre , non per le società non quotate, sia dei limiti di voti, i cosi detti tetti di voto,
ovvero una misura massima, sia il cosi detto voto scalare, ovvero a seconda della percentuale del
capitale sociale che si possiede si hanno più diritti di voto.
Per quanto riguarda invece le azioni privilegiate ovvero quelle azioni che danno un diritto di
preferenza nella distribuzione degli utili e/o nel rimborso non vi è una disciplina specifica riguardo
la natura e la misura del privilegio. L’unica limitazione risulta essere il patto leonino, ovvero quel
patto con cui uno o più soci sono esclusi dalla partecipazione agli utili o le perdite.
Per concludere, un’altra categoria che si distingue dalle azioni ordinarie (quelle azioni che godono
di diritti patrimoniali, come la partecipazione agli utili, e amministrativi, come il diritto di voto)
sono le azioni correlate che conferiscono diritti patrimoniali di una società solo di un determinato
settore, ad esempio di un ramo d’azienda.

Le azioni di risparmio 
Le azioni di risparmio costituiscono la risposta ad una esigenza unitaria: quella di incentivare gli
investimenti in azioni offrendo ai risparmiatori titoli meglio rispondenti ai loro specifici interessi.
Titoli cioè che tengano conto del disinteresse degli stessi per l’esercizio dei diritti amministrativi e
del rilievo attribuito al contenuto  patrimoniale ed alla redditività dei titoli azionari. Le azioni di
risparmio possono essere emesse solo da società le cui azioni ordinarie sono quotate. La
somma fra azioni di risparmio e azioni a voto limitato non può superare la metà del capitale
sociale. Le azioni di risparmio sono prive del diritto di voto e possono essere emesse al portatore,
garantendo l’anonimato. Per la tutela degli interessi comuni è prevista un’organizzazione di
gruppo: questa si articola nell’assemblea speciale e nel rappresentante comune. L’assemblea
delibera sugli oggetti di interesse comune ed
in  particolare sull’approvazione delle delibere dell’assemblea della società che pregiudicano i diri
tti degli azionisti di risparmio. Il rappresentante comune è nominato dall’assemblea di categoria,
provvede all’esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea e tutela gli interessi degli azionisti di
risparmio nei confronti della società.

Le azioni a favore dei prestatori di lavoro.


il legislatore favorisce sotto più profili l’acquisto della qualità di soci per i lavoratori.
Ad esempio tramite l’articolo 2349 consente l’assegnazione straordinaria di utili ai dipendenti
delle società o di società controllate attraverso un articolato procedimento che in poche parole gli
conferisce delle azioni gratuite e su queste azioni saranno poi stabilite dalla società norme
particolari riguardo il trasferimento e gli stessi diritti che conferiscono. Oppure la società, sempre
con delibera dell’assemblea straordinaria, può affidare ai propri dipendenti degli strumenti
finanziari alternativi. Però se le società vogliono applicare un piano di compensi basato su questi
due strumenti deve rispettare specifici obblighi di trasparenza.

Occorre a questo punto distinguere gli strumenti finanziari partecipativi dalle azioni. Essi infatti
possono essere emessi solo se i soci o terzi apportino un qualcosa che non rientra tra i
conferimenti e quindi non fa parte del capitale sociale.
Quindi tali strumenti non attribuiscono la qualità di azionista ed hanno un’ampia elasticità
riguardo ai diritti che gli possono essere attribuiti. Però tali diritti possono essere solo diritti
patrimoniali o amministrativi (mi dici cazzi) ma non possono essere assoggettati a diritti di voto
nell’assemblea generale degli azionisti. Anzi possono essere addirittura dotati di diritto di voto, ma
su argomenti specificatamente indicati.

La circolazione delle azioni


I titoli azionari sono i documenti che rappresentano le quote di partecipazione nella società per
azioni e ne consentono il trasferimento. Per quanto riguarda le società non quotate non è
obbligatorio l’emissione di titoli azionari. In questo caso le azioni circolarono con la disciplina della
cessione di contratto. Per quanto riguarda invece le società quotate dal 1998 le azioni non
vengono rappresentante dai titoli ed il loro sistema di circolazione si basa su semplici registrazioni
contabili. Le azioni rientrano nella categoria dei titoli di credito causali (possono essere emessi solo
in base ad un determinato rapporto causale). Le azioni possono essere nominative o al portatore
(con beneficio dell’anonimato) a scelta dell’azionista. Il sistema vigente prevede che tutte le azioni
devono essere nominative, salvo le azioni di risparmio e quelle emesse dalle Sicav che possono
essere anche al portatore. Le azioni al portatore si trasferiscono con la consegna del titolo; quelle
nominative sono assoggettate ad una specifica disciplina.

I vincoli sulle azioni


Le azioni possono essere gravate da vincoli, quindi essere costituite in pegno o in usufrutto. Il
creditore che gode del pegno o l’usufruttuario possono esercitare il loro diritto di voto, però
guardando agli interessi del socio. Altrimenti sono assoggettati al risarcimento del danno. Mentre
gli altri diritti amministrativi spettano disgiuntamente sia al socio che al creditore o usufruttuario.
Per quanto riguarda invece il diritto di opzione, ovvero il diritto dei socio attuali di venire preferiti a
terzi nella sottoscrizione di aumento del capitale sociale a pagamento, spetta unicamente al socio
il quale però deve provvedere almeno tre giorni prima della scadenza al versamento delle somme
necessarie per l’esercizio del diritto di opzione. In mancanza, gli altri soci possono offrire
di acquistarlo. Il socio deve provvedere al versamento delle somme dovute sulle azioni non
liberate. In mancanza il creditore pignoratizio può far vendere le azioni tramite una banca o altro
intermediario autorizzato, con trasferimento del pegno sul ricavato (della vendita dell’azione). In
caso di usufrutto, l’usufruttuario deve provvedere al versamento.

I limiti alla circolazione


Le azioni in principio liberamente trasferibili. Questa trasferibilità è esclusa o limitata per legge in
determinate ipotesi. Possiamo infatti annoverare limiti legali che impediscono come già sappiamo
l’alienazione di azioni corrispondenti a conferimenti diversi dal danaro prima della valutazione di
questi. Anche le azioni accessorie non sono trasferibili senza il consenso dei consigli di
amministrazione dato il loro carattere. Per quanto riguarda invece i limiti convenzionali (che vanno
distinti da quelli legali) , essi sono determinati da accordi intercorsi da soci. Questi accordi devono
essere a loro volta distinti se sono descritti nello atto costitutivo o meno. In questo ultimo caso,
stiamo parlando dei limiti parasociali. Essi vengono anche definiti sindacati di blocco e servono per
evitare l’ingresso nella società di terzi non graditi. Però essi vincolano solo le parti contraenti,
quindi se vengono vendute le azioni a quella persona che non era gradita gli effetti sono valida e
tale persona dovrà essere iscritta come socio. Però l’inadempiente dell’accordo dovrà risarcire il
danno. Quest’inopponibilità, e quindi quest’inefficacia dell’atto nei confronti di terzi, spiega perché
sia preferito stringere rapporti all’interno dell’atto costitutivo. Mentre i limiti che sorgono da patti
iscritti nell’atto costitutivo hanno efficacia reale : vincolano tutti i soci, anche futuri.
Le clausole statutarie, quindi quelle inserite nell’atto costitutivo, più diffuse sono le clausole
di prelazione, di gradimento e di riscatto. La clausola di prelazione è la clausola che impone al
socio, che intende vendere le azioni, di offrirle  preventivamente agli altri soci e di preferirli ai terzi
a parità di condizioni ( questo serve per impedire l’ingresso di soci non graditi senza impedire
all’azionista uscente di realizzare il valore economico della
partecipazione. La violazione del patto di preferenza comporta l’inefficacia del trasferimento
anche nei confronti dei soci beneficiari che hanno il diritto di riscattare dal terzo acquirente le
relative azioni. Le clausole di gradimento richiedono il possesso di determinati requisiti da parte
dell’acquirente (ad es. cittadinanza italiana, professione, …) e subordinano il trasferimento delle
azioni al consenso di un organo sociale (ad es. CdA). È prevista anche l’introduzione di clausole
statutarie che prevedono un potere di riscatto delle azioni da parte della società o dei soci al
verificarsi di determinati eventi. Il valore di rimborso è determinato applicando le disposizioni
in tema di diritto di recesso dell’azionista

Le operazioni della società sulle proprie azioni


Le operazioni della società per azioni sulle proprie azioni e in particolare la loro sottoscrizione
compravendita sono operazioni particolarmente pericolose e pericolose sotto più profili.
Pericolose per l'integrità del capitale sociale, per il corretto funzionamento dell'organizzazione
societaria, per il mercato dei titoli. Per tutti questi motivi le operazioni della società sulle proprie
azioni sono considerate con estremo sfavore dal legislatore e sono in linea di principio vietate: è
questa la linea fissata dal codice del 1942 e ribadita dalla riforma del 2003.
Tre sono le situazioni attualmente regolate:
a) sottoscrizione: in nessun caso la società può sottoscrivere proprie azioni. Il divieto ha carattere
assoluto e soffre una
sola a parziale deroga. Il divieto opera sia in sede di costituzione della società sia in sede di
aumento del capitale sociale. Colpisce inoltre tanto la sottoscrizione diretta, compiuta cioè in
nome della società, quanto la sottoscrizione indiretta, compiuta cioè da terzi in nome proprio ma
per conto della società. In caso di sottoscrizione diretta, le azioni si intendono sottoscritte devono
essere liberate dai promotori e dei soci fondatori. Nel caso di sottoscrizione indiretta, invece è il
terzo che ha sottoscritto le azioni.
b) acquisto delle proprie azioni: operazione questa che può dar luogo ad una riduzione del
capitale reale senza l'osservanza della relativa disciplina(art.2245).
Il regime delle azioni proprie in possesso della società ( art. 2357-ter), è disciplinato con la finalità
di evitare indebiti posizione di vantaggio degli amministratori e del gruppo di comando.
Gli atti sociali relativi alle azioni proprie sono infatti sterilizzati. Il diritto di voto l'è sospeso. Le
azioni proprie sono computate nel capitale ai fini del calcolo del quorum costitutivo e deliberativo
dell'assemblea. E amministratori non possono disporre delle azioni senza la preventiva
autorizzazione dell'assemblea, la quale dovrà stabilire anche relative modalità.
Alla società ha evitato di concedere prestiti o fornire garanzie di qualsiasi tipo a favore di soci o dei
terzi per la sottoscrizione o l'acquisto di azioni proprie ( art. 2358, 1 comma).
La società non può inoltre accettare azioni proprie in garanzia ( art. 2358, 2 co)

Le partecipazioni reciproche
Le partecipazioni reciproche fra società di capitali dando luogo a pericoli di carattere patrimoniale
o e amministrativo non diversi da quelli visti per la sottoscrizione e l'acquisto di azioni proprie.
Pericoli che diventano particolarmente accentuati quando fra le due società intercorre un
rapporto di controllo.
Questi pericoli sono di tutta evidenza nel caso di sottoscrizione reciproca del capitale. Se due
società si costituiscono o aumentano capitale sociale sottoscrivendo l'una capiva dell'altra,
si era infatti una moltiplicazione illusoria di ricchezza. Aumenta cioè il capitale sociale
nominale delle due società, senza che si incrementi di una sola lira il
rispettivo capitale reale. In nessun caso la società controllata può sottoscrivere un aumento di
capitale deliberato dalla controllante, sia direttamente, sia avvalendosi di terzi.
Identiche sono inoltre le sanzioni. Le azioni sono imputate agli amministratori della società
controllata che non dimostrino di essere esenti da colpa, ovvero al terzo che ha sottoscritto le
azioni in nome proprio, ma per conto della controllata.
L'attuale disciplina può essere così sintetizzata:
a) l'acquisto reciproco di azioni è possibile senza alcun limite quando fra le le due società che
intercorre un rapporto di controllo e nessuna delle due quotate in borsa.
b) se l'incrocio è realizzato fra società controllante e sue controllate, l'acquisto da parte della
società controllata, anche tramite i società fiduciaria o interposta persona, è considerato come
effettuato dalla controllante stessa.
È perciò assoggettato alle seguenti limitazioni:
1) le somme impiegate nell'acquisto non possono eccedere l'ammontare degli utili
distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato o della società
controllata;
2) possono essere acquistate solo azioni interamente liberate;
3) l'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea ordinaria della controllata e deve contenere le
stesse specificazioni richieste per l'acquisto di proprie azioni;
4) il valore nominale delle azioni acquistate non può eccedere il 10% del capitale della società
controllante;
5) la società controllata non può esercitare il diritto di voto nelle assemblee della controllante.
Le azioni o quote acquistate in violazione di tali condizioni devono essere alienate entro un anno
dal loro acquisto
( art. 2359-ter, 1 comma).
La società controllante deve procedere senza indugio al loro annullamento e alla corrispondente
riduzione del capitale sociale. La società controllata e ha diritto però al rimborso del valore delle
azioni annullate, determinato secondo i criteri stabiliti nella disciplina del diritto di recesso.
c) diversa da quella fin qui esposta invece la disciplina degli incroci azionari che trova applicazione
quando una o entrambe le società protagoniste dell'incrocio abbiano azioni quotate in borsa, ma
fra le stesse non intercorre rapporto di controllo.
in tal caso sono previsti solo limiti quantitativi agli incroci azionari; limiti che coincidono con le
percentuali che fanno scattare l'obbligo di comunicazione delle partecipazioni rilevanti alla società
partecipata e alla Consob: perciò
A) se entrambe le società sono quotate, l'incrocio non può superare il tetto del 2% del capitale con
diritto di voto;
B) se una sola delle società è quotata, la società quotata può arrivare fino al 10% del capitale della
società non quotata, fermo restando il tetto del 2% per quest'ultima.
Qualora la partecipazione incrociata ecceda da entrambi i lati le percentuali massime consentite,
la società che ha
superato il limite successivamente:
- non può esercitare il diritto di voto per le azioni o quote possedute in eccedenza rispetto alla
percentuale consentita;
- deve alienare l'eccedenza entro 12 mesi;
- in caso di mancata alienazione, la sospensione del diritto di voto si estende l'intera
partecipazione e quindi anche alla parte che può essere legittimamente posseduta.
Qualora il voto venga ugualmente esercitato, la delibera adottata con voto determinante di tali
azioni sono annullabili e
l'impugnazione può essere proposta anche dalla Consob. In sostanza, questa disciplina si
preoccupa essenzialmente di frenare gli abusi di carattere amministrativo degli incroci azionari

LE PARTECIPAZIONI RILEVANTI. I GRUPPI DI SOCIETA’

L’informazione sulle partecipazioni rilevanti.


La nominatività delle azioni ed il meccanismo dell’iscrizione nel libro dei soci dei trasferimenti
azionari non consentiva e non consente una totale trasparenza della compagine azionaria di una
società. Nel libro dei soci le azioni sono infatti iscritte al nome dell’intestatario formale, sicché i
relativi dati non permettono di conoscere anche i possessi azionari indiretti degli azionisti. Inoltre,
l’iscrizione nel libro dei soci è necessaria solo in occasione dell’esercizio dei diritti sociali, perciò
tale libro non riflette la reale composizione della compagine azionaria.
Tale situazione assume particolare rilievo soprattutto per le società quotate in borsa per le quali la
trasparenza della composizione della compagine azionaria e delle reali posizioni di potere acquista
rilievo anche per assicurare il regolare funzionamento della borsa.
Per questo motivo a partire dal 1974 vennero emanate una serie di disposizioni che tendono a far
chiarezza sui possessi azionari rilevanti in società quotate ed in società (anche non quotate) che
operano in settori di particolare rilievo economico e sociale (bancario, assicurativo, ecc.).
Società quotate  per le società con azioni quotate, la relativa normativa – introdotta nel ’74 ed in
seguito più volte modificata e integrata – è oggi dettata dall’art. 120 del tuf, e dal regolamento
della Consob del 1999.
L’attuale disciplina impone obblighi in parte differenziati a seconda che la società partecipata sia o
no una piccola o media impresa (PMI).

[È opportuno ora fare una piccola parentesi per ricordate quali siano i criteri per stabilire che
un’impresa sia PMI:
i) fatturato inferiore a 300 milioni;
ii) capitalizzazione di mercato inferiore a 500 milioni.]

sono tenuti a dare comunicazione alla società partecipata ed alla Consob tutti coloro che
partecipano, direttamente o indirettamente, in una società con azioni quotate in misura superiore:
a) al 5%, se la partecipata è una PMI;
b) al 3% negli altri casi
ulteriori comunicazioni alla partecipata ed alla Consob devono essere effettuate nel caso in cui la
partecipazione superi le percentuali fissate dalla Consob o scenda al di sotto di esse.
Le comunicazioni servono anche per reprimere il fenomeno delle partecipazioni incrociate, ma la
funzione principale è quella di rendere note le reali posizioni di potere in assemblea.
Per il calcolo delle percentuali si tiene conto solo del capitale rappresentato da azioni con diritto di
voto; non si tiene perciò conto, ad esempio, delle azioni di risparmio possedute. Nelle società in
cui statuti prevedono azioni a voto plurimo o maggiorazioni del diritto di voto le partecipazioni si
calcolano sul numero complessivo dei diritti di voto.
Per la violazione degli obblighi di comunicazione sono previste sanzioni pecuniarie ed è prevista
inoltre la sospensione del voto inerente alle azioni o agli strumenti finanziari diversi dalle zioni per i
quali sia stata omessa la comunicazione (art. 120 tuf).
Qualora la società ammetta ugualmente il socio a votare, la relativa deliberazione assembleare è
impugnabile a norma dell’art. 2377 c.c. se il voto di quel socio sia stato determinante per la
formazione della maggioranza.
Società non quotate  norme integrative della disciplina fin qui esposta sono state poi introdotte
per garantire la trasparenza delle partecipazioni in società per azioni non quotate che operano
però in settori di particolare rilievo.
Così, una disciplina che sostanzialmente ricalca quella detta per le partecipazioni in società
quotate è attualmente prevista per le partecipazioni rilevanti da chiunque possedute in:
1) società bancarie. Le partecipazioni rilevanti in considerazione vanno comunicate alla
partecipata ed alla Banca d’Italia;
2) società di intermediazione mobiliare, società di gestione del risparmio e società di
investimento a capitale variabile e fisso. Le partecipazioni rilevanti in considerazione vanno
comunicate alla partecipata ed alla Banca d’Italia ed alla Consob;
3) società di assicurazione. Le partecipazioni rilevanti in considerazione vanno comunicate alla
partecipata ed all’Ivas;

L’acquisto di partecipazioni rilevanti in società quotate.

Chiunque intenda acquistare una partecipazione di controllo in una società con azioni quotate
deve osservare specifiche regole di comportamento introdotte con la legge 149 del ’92, ed oggi
dettate dagli artt. 101-bis – 112 tuf, più volte modificati da diversi d.lgs. in attuazione dell’XIII
direttiva.
Cosa succedeva però in passato?
Le operazioni di compravendita delle partecipazioni di controllo, se concordate con l’attuale
gruppo di comando della società, avvenivano senza transitare attraverso la borsa. Il pacchetto
azionario di controllo era ceduto direttamente dal titolare dello stesso ad un prezzo solitamente
molto maggiore rispetto a quello di mercato (di borsa), con la conseguenza che la massa degli
azionisti investitori non beneficiava dei corrispondenti guadagni differenziali (c.d. premio di
maggioranza).
Se invece l’attuale gruppo di controllo non era disposto a cedere la sua partecipazione ma al
contempo non disponeva della maggioranza delle azioni, chi intendeva scalzarlo seguiva tecniche
diverse.
Procedeva per esempio a massicci acquisti di azioni in borsa (c.d. scalate ostili), diluiti nel tempo e
coperti dall’anonimato fin quando l’obiettivo prefissato non era stato raggiunto. Ne conseguivano
anomale spinte al rialzo delle quotazioni, con il possibile innescarsi di manovre speculative.
Ma chi intendeva andare alla conquista di una società quotata poteva seguire anche una tecnica
alternativa. Egli usciva subito allo scoperto lanciando un’offerta pubblica di acquisto delle azioni
(opa) rivolta a tutti gli azionisti della società bersaglio. Questa era una tecnica che sicuramente
assicurava trasparenza dell’operazione ma spesso scatenava una vera e propria battaglia senza
esclusione di colpi, fra l’offerente e l’attuale gruppo di comando, che reagiva al tentativo di
deposizione sviluppando una serie di strategie difensive (per esempio un aumento del capitale
sociale, ecc.).

Dalla legge 149 del ’92 la situazione è però radicalmente cambiata.


L’idea ispiratrice di tale legge è che il passaggio di proprietà di partecipazioni di controllo di società
quotate in borsa deve avvenire con la massima trasparenza e con modalità che consentano a tutti
gli azionisti di partecipare al premio di maggioranza che l’operazione può comportare. Sono stati
quindi introdotti due principi cardine:
a) l’opa è la sola procedura che consente di tutelare gli azionisti di minoranza in caso di
cambiamento del gruppo di comando poiché consente loro di disinvestire beneficiando del
premio di controllo; l’opa è perciò resa obbligatoria quando è trasferita la partecipazione di
controllo di una società quotata;
b) l’opa, sia essa obbligatoria o volontaria, deve svolgersi nel rispetto di determinate regole di
comportamento, inderogabilmente fissate per legge, a tutela dei destinatari dell’offerta e
del regolare funzionamento del mercato di borsa.
Opa obbligatoria. Esaminiamo ora l’attuale disciplina iniziando dai casi in cui il lancio di un’opa è
per legge obbligatorio: è questa l’opa successiva totalitaria (art. 106 tuf).
Questa consente agli azionisti di minoranza di società con titoli quotati di uscire dalla società a
seguito del mutamento dell’azionista di controllo. La legge puntualizza che per “titoli” si intendono
gli strumenti finanziari che attribuiscono il diritto di voto nell’assemblea ordinaria e straordinaria,
anche limitatamente a specifici argomenti.
L’attuale disciplina diversifica in parte le soglie di partecipazione che fanno scattare l’obbligo di
opa a seconda delle dimensioni delle società bersaglio.
In generale è specificato che è tenuto a promuovere un’opa chiunque, in seguito ad acquisti,
venga a detenere, direttamente o indirettamente, una partecipazione superiore al 30% dei titoli
che attribuiscono diritto di voto nelle deliberazioni assembleari riguardanti nomina o revoca degli
amministratori o del consiglio di sorveglianza; ossia, è tenuto a promuovere un’opa chi andrà a
detenere una partecipazione superiore al 30% dei titoli che consentono di esercitare un’influenza
sulla gestione della società.
Solo e soltanto gli statuti delle PMI possono tuttavia prevedere una soglia diversa, compresa tra il
25 ed il 40%.
Nelle altre la soglia del 30% è immodificabile. Proprio per queste altre imprese, è stata inoltre
introdotta una seconda soglia: è tenuto a promuovere l’opa chiunque, a seguito di acquisti, venga
a detenere una partecipazione superiore al 25% in assenza di altro socio che detenga una
partecipazione più elevata.
Nel caso in cui sono state emesse azioni a voto plurimo (cioè azioni che attribuiscono più di un
voto ciascuna) o lo statuto prevede maggiorazioni dei diritti di voto le soglie che fanno scattare
l’obbligo di opa si calcolano tenendo conto del numero di voti spettanti all’acquirente sul totale
dei diritti di voto esercitabili nelle deliberazioni riguardanti la nomina o la revoca degli
amministratori o del consiglio di sorveglianza.
L’offerta deve avere ad oggetto l’acquisto della totalità dei titoli quotati ancora in circolazione.
Per legge è fissato anche il prezzo minimo che deve essere offerto, peraltro reso più oneroso con
la riforma del 2007: è il prezzo più elevato pagato dall’offerente nei dodici mesi anteriori l’offerta
pubblica di acquisto di titoli della medesima categoria; nel caso in cui l’offerente non abbia pagato
in questo tempo per titoli della stessa categoria oppure in caso di superamento della soglia a
seguito di maggiorazione del voto, il prezzo sarà non inferiore a quello medio ponderato di
mercato degli ultimi dodici mesi o del minor periodo disponibile.
La Consob può tuttavia disporre diversamente quando ricorrono particolari circostanze indicate
per legge.
Opa preventiva facoltativa. Chi intende acquisire il controllo di una società quotata può tuttavia
sottrarsi all’obbligo di promuovere l’onerosa opa successiva totalitaria, lanciando un’opa
volontaria preventiva che lo porti a detenere una partecipazione superiore alla soglia rilevante.
L’opa preventiva può a sua volta essere totale o parziale.
L’opa preventiva diretta a conseguire tutti titoli della società bersaglio (totale) non è soggetta a
condizioni e l’offerente può fissare liberamente il prezzo di acquisto.
L’opa preventiva parziale deve invece avere per oggetto almeno il 60% dei titoli di ciascuna
categoria. L’esonero dall’opa successiva totalitaria deve essere autorizzato dalla Consob ed è
subordinato all’approvazione dell’offerta da parte degli azionisti di minoranza della Società
bersaglio.
L’obbligo di opa non sussiste se la partecipazione superiore alla soglia rilevante È detenuta a
seguito di un’offerta pubblica di acquisto di scambio totalitaria o parziale (artt. 106, 107).
La Consob disciplina anche gli altri casi, specificati per legge, in cui il superamento della soglia non
comporta l’obbligo di offerta successiva totalitaria. Ad esempio, acquisti a titolo gratuito;
operazione diretta salvataggio di imprese in crisi; trasferimenti tra società dello stesso gruppo.
Oltre al caso di opa successiva, la legge impone a chi consegue una partecipazione quasi totalitaria
in una società quotata di acquistare titoli ancora in circolazione ma non è necessario che
l’obbligato lanci a tal fine un’offerta pubblica di acquisto (in passato l’obbligato doveva farlo, era
questa la c.d. opa residuale). La funzione dell’obbligo di acquisto residuale è di consentire agli
azionisti di minoranza l’uscita dalla società ad un prezzo equo quando la stessa è ormai
saldamente in pugno di un predeterminato gruppo di controllo che pregiudica il regolare
andamento delle negoziazioni.
L’attuale disciplina prevede due casi di obbligo di acquisto residuale (art. 108 tuf):
1) ) Viene a detenere, a seguito di un’offerta pubblica totalitaria, una partecipazione almeno
pari al 95% del capitale rappresentato da titoli (azioni con diritto di voto) della società
bersaglio, È tenuto ad acquistare i restanti titoli da chi gliene faccia richiesta;
2) Chiunque viene a detenere (a seguito di opa oppure in altro modo) una partecipazione
superiore al 90% del capitale rappresentato da titoli quotati della società bersaglio ha
l’obbligo di acquistare i restanti titoli quotati, se non ripristina entro 90 giorni un flottante
sufficiente ad assicurare il regolare andamento delle negoziazioni.
In entrambe le ipotesi, qualora siano emessi più categorie di titoli, l’obbligo di acquisto residuale
sussiste soltanto in relazione alle categorie per le quali è stata raggiunta la rispettiva soglia limite.
Chi viene a detenere in seguito al lancio di un’opa totalitaria, preventiva o successiva, più del 95%
del capitale rappresentato da titoli diritto di acquistare coattivamente le azioni residue purché
abbia dichiarato nel documento di offerta di volersi avvalere di tale diritto (art. 111 tuf).
Il corrispettivo delle cessioni di questi titoli viene determinato dalla Consob tenuto conto anche del
prezzo di mercato e del corrispettivo di un eventuale opa precedente.
La violazione dell’obbligo di promuovere un’opa o di acquisto residuale è colpita con sanzioni
particolarmente dissuasive. Infatti:
a) Il diritto di voto inerente all’intera partecipazione detenuta non può essere esercitato;
b) I titoli eccedenti le percentuali che fanno scattare l’obbligo di opa oppure di acquisto
residuale devono essere alienati entro 12 mesi.
Sono previste anche sanzioni pecuniarie.

(Segue): Le offerte pubbliche di acquisto e di scambio.

Come anticipato, specificamente disciplinato (artt. 101-bis – 104-ter tuf, più volte modificati) è
anche lo svolgimento delle offerte pubbliche (volontarie o obbligatorie) di acquisto e di scambio di
prodotti finanziari (quindi, non solo azioni quotate).
In pratica però l’opa, anche volontaria, è utilizzata quasi esclusivamente per l’acquisto di azioni
quotate.
L’offerta pubblica che acquisto (corrispettivo in denaro) oppure di scambio (corrispettivo costituito
da altri strumenti finanziari) è una proposta irrevocabile rivolta a parità di condizioni a tutti i
titolari di prodotti finanziari che ne formano oggetto. Ogni clausola contraria è nulla (art. 103 tuf).
L’offerta si svolge sotto il controllo costante della Consob che può sospendere oppure dichiarare
decaduta l’offerta in caso di violazione della disciplina legislativa e regolamentare.
I soggetti che intendono lanciare un’offerta pubblica devono darne comunicazione senza indugio
alla Consob e contestualmente renderne pubblica la notizia. Le offerte pubbliche volontarie
devono essere promosse entro 20 giorni dalla comunicazione.
Per promuovere l’opa è necessario presentare alla Consob il documento di offerta destinato alla
pubblicazione. Tale documento deve contenere informazioni necessarie a consentire ai destinatari
di pervenire ad un fondato giudizio sull’offerta ed è reso pubblico, secondo le modalità stabilite
dalla Consob.
La società bersaglio, a sua volta, È obbligata a diffondere un comunicato contenente ogni dato
utile per l’apprezzamento dell’offerta ed una valutazione motivata degli amministratori sull’offerta
stessa.
Si apre così la fase delle adesioni all’offerta. Tali adesioni possono essere raccolte dall’offerente o
dagli intermediari indicati nel documento di offerta (banche, SIM, ecc.). La Consob fissa le regole
per assicurare la trasparenza ed il corretto svolgimento dell’offerta pubblica.
È bene sapere che il gruppo di comando della società bersaglio, aggredita da un’opa ostile, può
porre in essere tecniche di difesa per ostacolare il successo dell’iniziativa dell’offerente: massicci
aumenti di capitale sociale, trasformazione della società eccetera.
L’utilizzo di queste tecniche di difesa dopo il lancio dell’opa era praticamente precluso dalla legge
149 del 1992. Oggi invece il divieto non ha più carattere assoluto e si articola in due regole: la
regola di passività (passivity rule) e la regola di neutralizzazione.
Passivity rule. Per la regola di passività (art. 104) gli amministratori della società bersaglio devono
astenersi dal compiere atti oppure operazioni che possono contrastare il conseguimento degli
obiettivi dell’offerta. Il divieto può però essere rimosso in tutto oppure in parte.
Regola di neutralizzazione. È stata introdotta nel 2007 allo scopo di rendere inefficaci nei confronti
dell’offerente alcune misure difensive predisposte dal gruppo di comando della società bersaglio
prima del lancio dell’opa; tale regola è però destinata ad operare solo quelle società il cui statuto
lo prevede.
Ove applicabile, la regola di neutralizzazione comporta che, durante l’opa, non hanno effetto nei
confronti dell’offerente eventuali limitazioni statuarie al trasferimento dei titoli (per esempio,
clausole di prelazione o gradimento).
La passivity rule e la regola di neutralizzazione sono inoltre soggette alla clausola di reciprocità:
non operano cioè quando l’opa è promossa da chi non è a sua volta soggetto a tali disposizioni
oppure a disposizioni equivalenti.
La società bersaglio può avvalersi in pendenza di un’opa di una serie di tecniche di difesa fra le
quali rientra anche il lancio di un’opa concorrente da parte di eventuali alleati della società
bersaglio.
Alla scadenza del termine, l’offerta diventa irrevocabile se è stato raggiunto il quantitativo minimo
specificato nel documento di offerta. Se invece le adesioni superano il quantitativo richiesto, il
documento di offerta dovrà specificare se si procederà ad una riduzione proporzionale oppure se
l’offerente si riserva la facoltà di acquistare ugualmente tutti i titoli.

I GRUPPI DI SOCIETA’

Il fenomeno di gruppo. I problemi.

Le società per azioni sono libere di sottoscrivere od acquistare azioni o quote di altre società di
capitali. Si realizza così il fenomeno dei gruppi di società.
Il gruppo di società è un insieme di imprese societarie formalmente autonome ed indipendenti
l’una dall’altra, ma assoggettate tutte ad una direzione unitaria. Tutte sono infatti sotto l’influenza
dominante di un’unica società (capogruppo o madre), che direttamente o indirettamente le
controlla dirigendo secondo un disegno unitario la loro attività di impresa, per il perseguimento di
uno scopo unitario e comune a tutte le società del gruppo (c.d. interesse di gruppo).
Da qui la tradizionale affermazione che nei gruppi ad un’unica impresa sotto il profilo economico
corrispondono più imprese sotto il profilo giuridico: tante quante sono le società facenti parte del
gruppo.
Quali sono i vantaggi delle imprese madri ad essere a capo di un gruppo? Sicuramente sono quelli
derivanti dall’unione dell’unità economica con quelli offerti dall’articolazione in più strutture
formalmente distinte ed autonome (snellezza operativa, separazione del rischio di impresa, ecc.).
Il gruppo di società può assumere le più svariate configurazioni. Si distinguono così, ad esempio, i
gruppi a catena, raggiera o a stella di facile interpretazione.
Ferma resta, dopo quanto riferito finora, l’esigenza di definire una specifica disciplina del
fenomeno di gruppo, idonea a realizzare un adeguato punto di equilibrio fra unità economica e
pluralità giuridica di tali aggregazioni.
Per quanto riguarda il diritto societario, la presenza di aggregazioni societarie sollecita una
specifica disciplina diretta a soddisfare un triplice ordine di esigenze:
a) assicurare un’adeguata informazione sui collegamenti di gruppo, sui rapporti finanziari e
commerciali fra società del gruppo, nonché sulla situazione patrimoniale e sui risultati
economici del gruppo unitariamente considerato;
b) evitare che eventuali intrecci di partecipazioni alterino l’integrità patrimoniale delle società
coinvolte ed il corretto funzionamento degli organi decisionali della capogruppo;
c) evitare che le scelte operative delle singole società del gruppo pregiudichino le aspettative
di quanti fanno affidamento esclusivamente sulla consistenza patrimoniale e sui risultati
economici di quella determinata della società. Infatti, le decisioni delle società figlie ispirate
dall’interesse di gruppo (e perciò vantaggiose per il gruppo nel suo complesso) possono
risultare dannose per gli azionisti che non fanno parte del gruppo di comando (c.d. azionisti
esterni), nonché per i creditori delle stesse.

Nel nostro sistema delle società, sia pure attraverso interventi legislativi disorganici ed incompleti,
progressi non trascurabili sono stati compiuti dal 1942 ad oggi nella soluzione di alcuni problemi
dei gruppi.
Gli aspetti più significativi della relativa disciplina emergono dalle norme che regolano il controllo
societario ed i rapporti fra società controllante e sue controllate; nonché da quelle relative all’
“attività di direzione e di coordinamento di società”.

Società controllate e direzione unitaria.

Dall’articolo 2359 c.c. si ricava che è società controllata la società che si trova – direttamente o
indirettamente – sotto l’influenza dominante di altra società (controllante), che è perciò in grado di
indirizzarne l’attività nel senso da essa voluto.
Il controllo societario può assumere diverse forme:
1) è controllata la società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti
esercitabili nell’assemblea ordinaria. In tal caso, la società controllante è in grado, fra
l’altro, di nominare gli amministratori della controllata.
2) È società controllata inoltre la società in cui un’altra società dispone dei voti sufficienti per
esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria.
3) Si considerano, infine, controllate, le società che sono sotto l’influenza dominante di
un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Qui la possibilità di
esercitare influenza dominante esclusivamente determinata da particolari rapporti
contrattuali, che pongono una società in una situazione oggettiva di dipendenza economica
rispetto ad un’altra, tale da comprometterne esistenza e sopravvivenza.
Ai fini del solo controllo azionario (di diritto o di fatto) si computano anche “i voti spettanti a
società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta”, con l’esclusione però dei “voti
spettanti per conto di terzi”, quali i voti per delega (art. 2359).
Il controllo azionario può quindi essere non solo diretto ma anche indiretto.
Ad esempio, se A controlla B che a sua volta controlla C, quest’ultima società si considera
controllata indirettamente da A.
L’esistenza di un rapporto di controllo societario non è sufficiente per affermare che si è in
presenza di un gruppo di società: fa tuttavia presumere l’ “esercizio dell’attività di direzione e di
coordinamento di società” in cui si concretizza la stanza del fenomeno di gruppo.
Alle società controllate vanno poi tenute distinte le società collegate. Si considerano collegate
infatti “le società sulle quali un’altra società che esercita un’influenza notevole”, ma non
dominante.
E l’influenza notevole si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno
un quinto dei voti, Oppure un decimo se la società partecipata ha azioni quotate in mercati
regolamentati.

La disciplina dei gruppi.

Tale disciplina è costituita sia dalle norme, introdotte prima del 2003, che regolano i rapporti fra
società controllante società controllate, sia le ulteriori disposizioni introdotte dalla riforma del
2003 dedicati alle società o enti che esercitano l’attività di direzione e coordinamento di altre
società. Quindi pur mancando ancora oggi una disciplina generale direttamente riferita ai gruppi di
società, significativi progressi sono stati compiuti nella soluzione degli specifici problemi dagli
stessi sollevati.
Notevoli passi avanti si sono così fatti in tema di informazione sull’esistenza e sull’architettura dei
gruppi.
In base all’attuale disciplina è infatti istituita un’apposita sezione del registro delle imprese nella
quale sono iscritti le società oppure gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento e
la società alla stessa sottoposte che sono tenute ad indicare miliardi nella corrispondenza la
soggezione all’altrui attività di direzione e coordinamento gli amministratori delle società
controllate che omettono di provvedere all’iscrizione o all’indicazione, oppure le mantengono
quando la soggezione è cessata, sono responsabili degli anni che i soci oppure terzi hanno subito
per la mancata conoscenza di tali fatti (art. 2497-bis).
Ancora, scattano limitazioni e divieti a carico delle società controllate, che ridimensionano i
pericoli di alterazione dell’integrità patrimoniale della capogruppo e di inquinamento del
funzionamento degli organi della stessa. La disciplina oggi inibisce alle controllate l’esercizio del
diritto di voto per le azioni possedute nel capitale della controllante; ed inoltre limita (20% del
capitale) le azioni che possono essere complessivamente possedute dalle società appartenenti ad
uno stesso gruppo nel capitale della controllante, quando quest’ultima fa ricorso al mercato del
capitale di rischio.
Parliamo ora degli specifici obblighi di informazione contabile sia a carico della società
controllante, sia a carico delle società controllate, volti ad evidenziare i reciproci rapporti di
partecipazione E finanziari, I relativi risultati economici, nonché gli effetti che l’attività di direzione
e coordinamento ha avuto sull’esercizio dell’impresa sociale e sui risultati della società controllata.
Il quadro della disciplina È stato poi completato con l’introduzione del bilancio consolidato di
gruppo. Un bilancio cioè che consente di conoscere la situazione patrimoniale, finanziaria ed
economica del gruppo considerato unitariamente, attraverso l’eliminazione delle operazioni
intercorse tra le società del gruppo.

(Segue): La tutela dei soci e dei creditori delle società controllate.

La riforma del 2003 ha compiuto notevoli passi avanti per quanto riguarda la tutela degli azionisti
esterni e dei creditori delle società controllate contro possibili abusi della controllante, che induca
le prime al compimento di atti vantaggiosi per il gruppo unitariamente considerato, ma
pregiudizievoli per il proprio patrimonio.
Sotto tale profilo resta fermo nel mostro ordinamento il principio cardine della distinta
soggettività e della formale indipendenza giuridica delle società del gruppo. Il che comporta degli
svantaggi, ma anche alcuni vantaggi.
L’indipendenza formale porta infatti ad escludere che la capogruppo sia responsabile per le
obbligazioni assunte dalle controllate in attuazione della politica di gruppo.
L’indipendenza formale comporta però che la capogruppo non può legittimamente imporre alle
società figlie il compimento di atti che contrastino con gli interessi delle stesse separatamente
considerate.
Contro eventuali abusi dell’influenza dominante della capogruppo restano le norme in tema di
conflitto di interessi dei soci e soprattutto degli amministratori; nonché quelle che regolano la
responsabilità degli amministratori per i danni da essi arrecati al patrimonio sociale (artt. 2392-
2395).
Per altro verso le norme sul conflitto di interessi possono però frapporre ingiustificati ostacoli al
perseguimento della politica di gruppo.
Di questa situazione prende atto la riforma del 2003, che per un verso legittima il perseguimento
dell’interesse di gruppo e per altro verso introduce specifici strumenti di tutela a favore degli
azionisti di minoranza e dei creditori delle società controllate che limitano l’esercizio dell’attività di
direzione e di coordinamento da parte della capogruppo.
Al riguardo l’art. 2497-ter stabilisce che “le decisioni delle società soggette ad attività di direzione
e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e
recare puntuale indicazioni delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla
decisione”.
Una specifica disciplina è poi dettata per i finanziamenti concessi alle società controllate dalla
capogruppo o da altri soggetti alla stessa sottoposti (art. 2497-quinquies), al fine di evitar che un
eccessivo indebitamento danneggi gli altri creditori sociali.
L’art. 2467 ci dice che il rimborso di tali finanziamenti infragruppo (ma non di quelli delle
controllate a favore della capogruppo) è perciò postergato rispetto al soddisfacimento degli altri
creditori. Inoltre, se la società finanziata fallisce entro un anno dal rimborso, la somma necessaria
deve essere restituita.
Infine e soprattutto, la società capogruppo è tenuta ad indennizzare direttamente azionisti e
creditori delle società controllate per i danni dagli stessi subiti per il fatto che la propria società si è
supinamente attenuta alle direttive di gruppo lesive del proprio patrimonio. Analizziamo a tal
proposito i vari commi dell’articolo 2497 c.c.
ART. 2497 c.c.  Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di
società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta
gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei
confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della
partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata
all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante
alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente
eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette.
Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio
conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.
Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l'ente che esercita l'attività di
direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di
direzione e coordinamento.
Nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria di
società soggetta ad altrui direzione e coordinamento, l'azione spettante ai creditori di questa è
esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario.

Dall’articolo comprendiamo meglio come rispondono inoltre, in solido con la capogruppo, sia
coloro che abbiano preso parte al fatto lesivo, sia coloro che ne abbiano consapevolmente tratto
beneficio nei limiti del vantaggio conseguito.
Infine, si prevede che il danno va valutato non con riferimento alla singola operazione, bensì
considerando il risultato complessivo dell’attività di direzione e di coordinamento e quindi i
vantaggi compensativi che possono derivare dall’appartenenza ad un gruppo; nonché il fatto che il
danno può essere stato integralmente eliminato anche a seguito di specifiche operazioni a tal fine
dirette.
Con la riforma del 2003 è riconosciuto il diritto di recesso ai soci di una società soggetta ad attività
di direzione e coordinamento in presenza di eventi riguardanti la società capogruppo, ma che di
riflesso determinano un mutamento delle originarie condizioni di rischio dell’investimento delle
controllate (art. 2497-quater).
Il diritto di recesso è riconosciuto ai soci di una società non quotata che entra a far parte di un
gruppo o se ne esce, se “ne deriva un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento e
non venga promossa un’opa” che consenta al socio di alienare la propria partecipazione.
È inoltre riconosciuto quando la capogruppo delibera una trasformazione che comporta il
mutamento del suo scopo sociale o un cambiamento dell’oggetto sociale, tale da alterare in modo
sensibile le condizioni economiche e patrimoniali della società controllata.
È infine riconosciuto quando il socio della controllata abbia esercitato nei confronti della
capogruppo l’azi0one di responsabilità prevista dall’art. 2497 ed abbia ottenuto una sentenza di
condanna esecutiva. In tal caso il diritto di recesso può essere esercitato solo per l’intera
partecipazione.

Il gruppo insolvente.

Manca ancor oggi una compiuta disciplina del gruppo insolvente e nessuna disposizione specifica è
dettata in caso di fallimento di una società facente parte del gruppo.
Può tuttavia trovare applicazione la disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi
imprese insolventi, la quale dispone che in caso di direzione unitaria del gruppo, “gli
amministratori delle società che hanno abusato di tale direzione rispondono in solido con gli
amministratori della società dichiarata insolvente dei danni da questi cagionati alla società stessa”.
Gli amministratori delle società dominanti sono perciò coinvolti nella responsabilità degli
amministratori delle società dominate, per i danni da questi ultimi cagionati alla propria società
per il fatto di aver supinamente dato attuazione alle direttive di gruppo.

CAPITOLO SEDICESIMO :
L’ASSEMBLEA

I modelli organizzativi.
Fino a questo momento abbiamo visto come si costituisce una società per azioni e quali siano la
natura dei conferimenti. Abbiamo anche visto come il capitale sociale venga rappresentato dalle
azioni, che si distinguono in più tipi.
Come precedentemente detto la società per azioni gode della personalità giuridica e di una piena
autonomia patrimoniale. Ciò viene controbilanciato sia dal principio capitalistico che
dall’organizzazione corporativa obbligatoria. Adesso ci soffermeremo su questo ultimo punto.

La società per azioni si caratterizza per la presenza di tre distinti organi ognuno dei quali è investito
per legge da specifiche funzioni :
1. L’assemblea dei soci : è un organo con funzioni esclusivamente deliberative le cui
competenze, articoli 2364-2365, sono circoscritte alle azioni di maggior rilievo della vita
sociale
2. L’organo amministrativo è l’organo a cui è affiliata la gestione dell’impresa e quindi a cui
spettano molti poteri decisionali. Esso inoltre ha la rappresentanza legale
3. L’organo di controllo interno ha funzioni di controllo sull’amministrazione

Inizialmente il codice civile del 1942 prevedeva un unico modello di organizzazione riguardante
l’amministrazione e il controllo basato sulla presenza dell’organo amministrativo e il collegio
sindacale. Esso aveva fino al 2003 la funzione principale di controllare il bilancio. Questo sistema
presentava delle lacune, ad esempio dal fatto che veniva nominato dall’interno e quindi i controlli
possiamo dire che erano irrisori. Successivamente il 1998 questo problema viene parzialmente
risolto affiancando un organo di controllo esterno dei libri contabili : revisione legali dei conti.
Viene ulteriormente risolto dopo il 2003, in quanto si prevede che tale organizzazione venga
utilizzata in mancanza di un altro sistema alternativo nello statuto, che poteva essere :
a) Il sistema dualistico. Questo sistema è di ispirazione tedesca e risolve il fatto che “i
controllati nominassero i controllori” poiché prevedeva che l’assemblea nominasse il
consiglio di sorveglianza e quest’ultimo nominasse il consiglio di gestione. Il consiglio di
sorveglianza ricopre ruoli che nel modello tradizionale spetterebbero all’assemblea.
b) Il sistema monistico verticale. Questo sistema è di ispirazione anglosassone. L’assemblea
nomina il consiglio di amministrazione ma all’interno della stessa assemblea dei soci vi è il
comitato per il controllo che deve rispettare le caratteristiche di indipendenza

Per questi due modelli è comunque previsto un controllo contabile esterno.

Assemblea nozioni e distinzioni.


In questo capitolo ci soffermeremo sull’organo assembleare. l’assemblea è l’organo composto dai
soci e costituisce la volontà della stessa società nelle specifiche materie previste dalla legge.
L’assemblea decide utilizzando il principio maggioritario che ha sua volta dipende dalle
partecipazioni sociali di ogni socio (ovvero che il rapporto tra tutti i soci non è 1:1)
A seconda dell’oggetto delle deliberazioni l’assemblea si distingue in ordinaria e straordinaria.
L’assemblea ordinaria si occupa :
1) Di approvare il bilancio
2) Di revocare e nominare gli amministratori, i sindaci e il presidente del collegio sindacale
(penso ci stiamo riferendo al modello tradizionale)
3) Determina il compenso degli amministratori e sindaci se non previsto dall’atto costitutivo
4) Delibera sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci
5) Delibera ovviamente sugli oggetti che costituiscono per legge sua competenza
In precedenza, si sottoponeva all’assemblea operazioni della gestione ma ora il compito gestionale
spetta solo ed esclusivamente agli amministratori.

L’assemblea straordinaria si occupa :


1) Di modifiche dello statuto
2) Di nominare, sostituire o modificare i poteri dei liquidatori
3) U ogni altra materia prevista dall’articolo 2365
Di norma vi è solo l’assemblea generale ma se la società emette e può farlo, azioni di categoria
speciale allora all’assemblea generale si affiancano assemblee speciali di categoria.

Per quanto riguarda invece la convocazione dell’assemblea, essa spetta di regola all’organo
amministrativo che può convocarla quando lo ritiene opportuno, mentre in alcuni casi è obbligato
a farlo. Ad esempio, lo deve fare almeno una volta l’anno entro centoventi giorni dalla chiusura
dell’esercizio a meno che lo statuto non preveda un limite di tempo maggiore (max 180). Oppure
deve convocarla obbligatoriamente se i soci che rappresentano almeno il 10% del capitale sociale
ne fanno richiesta. La convocazione dell’assemblea può essere disposta anche dai sindaci ogni
qual volta essa sia obbligatoria o se non viene convocata dagli amministratori. Se entrambi restano
inerti allora l’assemblea sarà convocata con decreto dal tribunale. Quest’ultima cosa è importante
in quanto sottolinea come la giurisprudenza voglia tutelare gli azionisti di minoranza.
Dove e come deve essere fatta la convocazione? Per quanto riguarda il loco, deve essere fatta
dove la società ha la sede a meno che lo statuto non disponga diversamente mentre per quanto
concerne le modalità, esse sono diverse in base alla quotazione o meno della società
Per le società non quotate è effettuata mediante avviso sulla Gazzetta Ufficiale 15 giorni prima
dell’adunanza o su un altro quotidiano previsto dallo statuto. Per le società quotate invece la
convocazione avviene sul sito internet della società.
Può esservi assemblea anche senza convocazione, basta che in quel momento sia rappresentato
l’intero capitale sociale e vi sia la maggioranza degli organi amministrativi e di controllo. Agli
assenti deve comunque essere data tempestiva notifica delle deliberazioni assunte.
Quest’assemblea appena descritta è detta assemblea totalitaria.
La sua competenza è però precaria in quanto qualsiasi partecipante può opporsi ad una
deliberazione qualora non si ritenga informato sull’argomento impedendo la delibera stessa.
Per costituire un’assemblea si devono rispettare precise regole che tratterremmo più avanti, ora ci
limitiamo a dire che l’assemblea è presieduta fa una persona : il presidente che può essere scelto
tramite un voto di maggioranza o è indicato dallo statuto. Esso sarà poi affiancato o da un
segretario o da un notaio. Il suo compito è quello di assicurarsi che l’assemblea si svolga in modo
ordinato e con il rispetto delle norme, ad esempio accertandosi dell’identità dei presenti. È
possibile rinviare l’assemblea da parte dei soci, di un massimo di cinque giorni, se essi formano
almeno i 3/4 del capitale sociale. Per concludere diciamo che le delibere vengono messe in un
verbale sottoscritto da presidente e dal segretario/notaio. Esso è un documento molto completo
ed analitico.

Si definisce quorum costitutivo la parte del capitale sociale (e quindi i soci) che deve essere
rappresentata all’interno dell’assemblea affinché la stessa sia regolarmente costituita. Mentre si
definisce quorum deliberativo la parte del capitale sociale che si deve esprimere a favore affinché
una delibera sia approvata. La disciplina delle maggioranze assembleari o quorum è rappresentata
da un sistema complesso di regole che cerca di trovare il punto di equilibrio tra la facile
formazione delle delibere e la tutela delle minoranze.
La disciplina dei quorum si differenzia sotto due punti aspetti : il primo a seconda se le società
fanno richiesta di capitale di rischio nel mercato finanziario o meno, il secondo a seconda se le
assemblee siano ordinarie o straordinarie.
Se le società richiedono capitale di rischio, visto la pluralità enorme dei soci, è prevista una singola
convocazione con dei quorum ridotti. Per quelle invece che non ne fanno richiesta è prevista una
pluralità di convocazioni.
o 1°caso : società che non ricorrono al mercato di rischio.
Per queste società si ricorre come abbiamo detto ad una pluralità di convocazioni. Per
quanto riguarda l’assemblea ordinaria, nella prima convocazione il quorum costitutivo si
raggiunge con la metà del capitale sociale con diritto di voto, mentre il quorum deliberativo
si raggiunge con la metà più una delle azioni che hanno preso parte all’assemblea. Nella
seconda convocazione non è richiesto nessun quorum costitutivo mentre per quello
deliberativo vi deve essere la maggioranza di chi ha partecipato. Per
quanto riguarda l’assemblea straordinaria non è richiesto un quorum costitutivo, anche se
invece lo è indirettamente dato che affinché una delibera venga approvata deve essere a
favore l’intero capitale sociale con diritto di voto. Per la seconda convocazione il quorum
costitutivo si ha con un terzo + 1 del capitale sociale per quello deliberativo con almeno
due terzi del capitale che ha partecipato
o 2°caso : società che fanno ricorso al mercato di rischio. Come abbiamo detto in questo
caso a meno che non si preveda diversamente, non vi è il sistema di pluralità di
convocazione ma ce ne è una sola in cui il quorum costitutivo vi deve essere più di un terzo
del capitale sociale mentre per quello deliberativo almeno due terzi del capitale
rappresentato in assemblea. Per quanto riguarda l’assemblea straordinaria il quorum
costitutivo è rappresentato da almeno un quinto del capitale sociale e quello deliberativo
da almeno due terzi del capitale rappresentato (c’è un problema in realtà nella maggior
parte dei casi è cosi, però in teoria se anche le società che fanno ricorso al mercato di
rischio prevedono nello statuto una pluralità di convocazioni allora l’assemblea ordinaria
segue le regole elencate nel 1°caso)

Lo statuto può modificare le maggioranze solo in aumento, tranne in alcuni casi come
l’approvazione del bilancio articolo 2369 comma 4.

La domanda che forse ci saremmo dovuti porre prima, ma alla quale possiamo rispondere anche
adesso è : chi ha il diritto di intervento all’assemblea, ovvero chi è che può parteciparvi ? chi può
invece esercitare il diritto di voto ?

Secondo l’articolo 2370 possono intervenire in assemblea tutti coloro che hanno diritto di voto,
quindi non parliamo solamente dei soci ma anche i creditori pignoratizi e gli usufruttuari. Però
l’attuale disciplina prevede che all’assemblea possano intervenire i soci che hanno concesso le loro
azioni in pegno o in usufrutto e che quindi non hanno diritto di voto. L’attuale disciplina inoltre ha
esemplificato l’accertamento del diritto dei soci di intervenire, distinguendo però se si tratti di
società non quotate o quotate. Per quanto riguarda le prime, il diritto di voto deve sussistere il
giorno dell’adunanza a meno che lo statuto non preveda il deposito delle azioni o nella sede della
società o presso delle banche selezionate. Per le società quotate invece interviene il così detto
record date, ovvero con la nuova riforma si indica un preciso momento che coincide con il settimo
giorno di mercato aperto, nel quale l’azionista che vuole partecipare all’assemblea deve effettuare
la registrazione della propria partecipazione. Lo statuto può inoltre prevedere la partecipazione
all’assemblea per vie telematiche o in corrispondenza elettronica.
La rappresentanza in assemblea.
Gli azionisti possono partecipare all’assemblea sia personalmente che per mezzo di
rappresentanza. La rappresentanza in assemblea è regolata sia dal codice civile che dal t.u.f.
Questo strumento può essere visto sicuramente come una soluzione all’assenteismo dei soci per le
società con base azionaria diffusa ma può comunque dar luogo ad abusi da parte degli
amministratori o comunque dal comando della società
Per questo il legislatore ha introdotto delle limitazioni.
Riguardo alle società che non fanno ricorso al capitale di rischio (questo non vuol dire che non
siano quotate penso) lo statuto può limitare o addirittura escludere la facoltà della delega. Essa
deve essere inoltre presentata per iscritto indicando specificatamente il rappresentante e il
rappresentato ma può essere in qualunque momento revocata.
Per quanto concerne invece le società non quotate, le limitazioni sono ancora più strette (ovvio).
In queste la rappresentanza non può essere affiliata a persone facenti parte del gruppo di
comando, come gli amministratori, i sindaci o dipendenti della società (mentre le banche possono
rappresentare). Inoltre, un rappresentante non può rappresentare più di venti soci per le società
che non fanno ricorso al capitale di rischio nei mercati finanziari, mentre per quelle che lo fanno al
massimo il rappresentante può rappresentare 50, 100 o 200 soci a seconda del capitale sociale.

Il risultato della riforma però seconda l’opinione diffusa non ha avuto gli effetti desiderati, anzi ha
ancor di più scoraggiato, dato il complicato processo, l’intervento dei piccoli azionisti. Come
dimostra l’esperienza straniera si poteva agire in altro modo senza scoraggiare le deleghe, ad
esempio attraverso un informazione dettagliata sul perché i piccoli azionisti deleghino, su come i
voti saranno utilizzati e quali potranno essere gli svantaggi o i vantaggi.

Ed è proprio cosi che si è agito nel 1998, ma maggiormente nel 2010 :


a. È stato permesso di conferire la delega in via elettronica
b. La società , se lo statuto non dispone diversamente, è tenuta a disegnare un soggetto al
quale gli azionisti possano conferire una delega con istruzioni di voto
c. Sono stati soppressi i limiti quantitativi al cumulo delle deleghe da parte del medesimo
rappresentante
È importante sottolineare che vi è però l’obbligo secondo il quale il rappresentante debba
comunicare al socio le circostanze secondo le quali possa sorgere un conflitto di interesse. Vi sono
inoltre soggetti elencati dalla legge in cui in ogni caso sorge un conflitto di interessi.

Per aiutare inoltre il gruppo di comando ma soprattutto i piccoli azionisti vi sono due istituti
previsti con la riforma del 1998 : la sollecitazione e la raccolta di deleghe.
La sollecitazione è la richiesta a più di 200 azionisti da parte di uno o più soggetti che gli venga
conferita la delega su specifiche proposte di voto. Questa sollecitazione è accompagnata da
raccomandazioni e da un prospetto, nonché da un modulo di delega, con il quale si permette
all’azionista di fare una scelta consapevole.
La raccolta di deleghe, invece, è la richiesta da parte di associazioni di azionisti di conferimento di
deleghe esclusivamente nei confronti dei propri associati. Essa serve per agevolare l’esercizio
indiretto del voto da parte dei piccoli azionisti che si sono già messi in associazione per difendere i
propri interessi. La Consob stabilisce regole di trasparenza e di correttezza per l’utilizzo di questi
due istituti.
Quindi come abbiamo già detto, con l’esercizio di voto da parte di un socio si forma la volontà
della società. Il voto di un socio è proporzionale in base al numero di azioni possedute. L’esercizio
del voto deve essere inoltre utilizzato in modo da non arrecare danno alla società.
Questo si desume con chiarezza dall’articolo 2373 che regola che regola il conflitto d’interessi.
Infatti, può succedere che per una determinata delibera un socio abbia un interesse contrastante
con quello della società. Precedentemente se fosse sussistito tale condizione al socio non sarebbe
stata consentito di votare mentre oggi può farlo ma la delibera può essere annullabile se il suo
voto è determinante e se con questa delibera si possa danneggiare la società. In particolare, se
non ricorre quest’ultima caratteristica la delibera è inattaccabile.
Con l’articolo 2373 si prevedono due fattispecie specifiche in cui vi è il conflitto d’interessi :
a. I soci amministratori non possono votare nelle delibere riguardanti la loro responsabilità
b. I soci componenti il consiglio di gestione, nel sistema dualistico, non possono votare per
delibere riguardanti la nomina, la revoca o la modifica del potere dei consiglieri di
sorveglianza (cioè i controllati non possono votare delibere riguardanti i controllori)
Può avvenire però che i soci di maggioranza deliberino non per inficiare sulla società ma per
danneggiare i singoli soci, ad esempio aumentando il capitale sociale e quindi riducendo la loro
partecipazione in quanto i soci di minoranza non possono sottoscrivere il nuovo capitale. Per
tutelare le minoranze non si può invocare all’articolo 2373 ma la giurisprudenza ha estrapolato
dalla disciplina del contratto il principio di buona fede e correttezza, quindi ora si può annullare
una delibera se essa sia ispirata al solo scopo di danneggiare i singoli soci, ma dimostrare ciò è
complicatissimo.

Precedentemente abbiamo parlato dei sindacati di blocco, ora invece parleremo dei sindacati di
voto. Questi due concetti devono essere ben distinti. Entrambi derivano da accordi parasociali,
accordi non consacrati nell’atto costitutivo. Ma i primi servono a evitare che terzi non graditi
entrino nella società e quindi servono a limitare la circolazione delle azioni.
I sindacati di voto sono accordi parasociali, tramite i quali i soci si impegnano a concordare
preventivamente il modo in cui votare in assemblea. Questi accordi possono avere carattere
occasionale o permanente. In questo secondo caso possono anche essere a tempo indeterminato
o determinato e riguardare solo alcune delibere o tutte le delibere.
I sindacati di voto presentano sicuramente molti vantaggi quanto però degli svantaggi. Infatti, se
da un lato tramite questi si può assicurare un indirizzo unitario all’azione dei soci e una miglior
difesa se tali patti sono presi dai soci di minoranza. Dall’altro i sindacati di voto cristallizzano il
gruppo di controllo, soprattutto se stipulati a lungo termine.
Inoltre, da un punto di vista sostanziale, essi alterano il procedimento assembleare mentre
formalmente no. Proprio per questo ampia è stata la critica soprattutto per i sindacati a
maggioranza e quelli a lungo termine. Inoltre, possiamo dire che i sindacati di voto alterano
l’individuazione dei centri di potere delle società.
Di conseguenza si sono poste delle limitazioni con la riforma del 2003 e il tuf nel 1998, anche se
leggermente irrisorie.
Queste limitazioni valgono solo per le società che fanno ricorso al mercato finanziario per il
capitale di rischio. Per le società non quotate i sindacati hanno un massimo di durata di 5 anni ma
sono rinnovabili a scadenza. Possono comunque essere stipulati anche quelli indeterminati ma un
socio può rescindere con un preavviso di 180 giorni. In queste società i patti devono essere
comunicati alla società e dichiarati in apertura di assemblea. Nel verbale apparirà tale patto che
sarà poi depositato insieme allo stesso nel registro delle imprese. Mentre per le società quotate i
patti devono essere comunicati alla Consob, pubblicati sulla stampa quotidiana e depositati nel
registro.
Come facilmente intuibile da quello finora detto, anche le delibere possono essere invalide.
Come per i contratti bisogna distinguere tra nullità e annullabilità. Ricordiamo brevemente che la
nullità comporta il non verificarsi degli effetti del contratto in quanto inidonei, di conseguenza il
giudice dovrà solamente accertare la situazione. L’annullabilità, vi è generalmente quando un
soggetto non sia tutelato, e in contratto annullabile produce effetti fin quando il giudice non lo
dichiari annullato, in quel caso gli effetti che ha prodotto sono retroattivi.
La disciplina delle cause di nullità e annullabilità è profondamente mutata con la riforma del 2003
e per capirlo dobbiamo fare un passo all’indietro. Nel 1942 la nullità si presentava come sanzione
eccezionale solamente se le delibere avevano oggetto impossibile o illecito, mentre i vizi anche
gravi davano vita all’annullabilità. Ma il tempo per dichiarare una delibera annullata era di soli tre
mesi, quindi questo procedimento non tutelava affatto i soci di minoranza e non rispettava
nemmeno la legalità.
L’ostacolo quindi era principalmente posto dall’articolo 2379 che prevedeva come cause di nullità
solamente le delibere con oggetto illecito o impossibile. Tale ostacolo fu aggirato introducendo
una terza categoria : le delibere inesistenti, ovvero tutte quelle delibere che presentava vizi nel
procedimento che non permettevano di qualificare quell’atto una delibera assembleare. la
sanzione per una delibera inesistenti era la nullità. A questo punto se si è risolto un problema se
ne è posto un altro in quanto non si capiva più quando una delibera dovesse essere considerata
inesistente, e quindi nulla, o annullabile. Per risolvere tutta la situazione con la riforma del 2003 si
introduce una disciplina della nullità e annullabilità autonoma rispetto a quella dei negozi, e
comprendente tutti i vizi che possono riguardare le delibere assembleari.

Con la disciplina del 2003 si riconosce il principio dell’annullabilità per tutte le delibere invalide,
quindi quelle che non sono prese in conformità della legge o dello statuto. Mentre la nullità è una
sanzione più grave che interviene solo in tre casi previsti.
Le delibere nulle le vedremmo in seguito, ora trattiamo delle delibere annullabili disciplinati dagli
articoli 2377-2378. Ad esempio, è annullabile la delibera quando vi sia la partecipazione
all’assemblea di persone non legittimate, ma solo se tale partecipazione sia stata determinante
per la regolare costituzione dell’assemblea.
Per quanto riguarda l’impugnativa, ovvero quell’atto con cui si chiede al giudice di annullare la
delibera, può essere esercitata solo dai soggetti previsti per legge e in alcuni casi anche dalla
Consob, dalla Banca d’Italia o dall’Ivass. Per evitare azioni di mero disturbo il diritto di impugnativa
non è più riconosciuto ad ogni socio con diritto di voto, ma per averlo essi devono rappresentare
almeno l’uno per mille del capitale sociale. Ai soggetti che non possono presentare l’impugnativa è
stato dato un correttivo che consiste nel richiedere il risarcimento del danno scaturito dalla non
conformità della delibera. Ovviamente l’impugnativa e la richiesta del risarcimento del danno
devono essere richiesti entro un limite di tempo (90 giorni).
Per annullare una delibera occorre presentare l’azione di annullamento al tribunale competente.
Se viene presentato dai soci, questi dovranno dimostrare di essere possessori al momento della
presentazione dell’impugnativa del prescritto numero di azioni.
Inoltre, il legislatore ha anche previsto mezzi di tutela affinché non venga lesa la stessa società
quando si presentino impugnative pretestuose. Ad esempio, la proposizione non cessa
l’esecuzione della delibera.
Una volta dichiarata annullata una delibera, l’effetto riguarda tutti i soci e obbliga gli
amministratori a prendere i giusti provvedimenti.
Trattiamo ora le delibere nulle.
per quanto concerne la disciplina delle delibere nulle, con la riforma del 2003 si è voluto eliminare
la categoria delle delibere inesistenti allargando i casi di sanzione nulla. Essi sono elencati
nell’articolo 2379, ed oltre a comprendere le delibere con oggetto illecito o impossibile come :” si
delibera di non redigere il bilancio”, comprende questi due casi :
1. La mancata convocazione dell’assemblea, ma si considera non mancante quando vi sia
un’irregolarità in un avviso che però contiene data e loco.
2. Mancanza del verbale, ma la nullità per mancanza del verbale può essere sanata con
effetto retroattivo mediante un’altra verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea
successiva a quella in cui non vi è stato il verbale.

Quindi anche se la disciplina delle delibere nulle è diversa da quella dei negozi ma resta fermo il
principio secondo il quale la nullità delle delibere può essere fatta valere da chiunque ne abbia
interesse. A differenza invece dei contratti le delibere possono essere impugnate entro tre anni a
meno che non siano delibere riguardanti modifiche dell’oggetto sociale, le quali non hanno limiti.
Come per le delibere annullabili la dichiarazione di nullità non pregiudica i diritti acquistati in
buona fede da terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera, e la nullità come
l’annullabilità, non può essere dichiarata se la delibera è sostituita con un'altra presa in conformità
della legge.
Per ridurre l’operatività delle cause di nullità vengono disciplinati a parte i casi più frequenti e di
particolare rilievo che riguardano delibere su : aumento del capitale sociale, riduzione reale del
capitale ed emissione di obbligazione.
Il sistema attuale, considerando i casi speciali e tutte le caratteristiche differenti per ogni caso, non
brilla per semplicità ma questo viene considerato il prezzo che si è dovuto pagare per eliminare
l’incertezza che regnava sovrana nel vecchio sistema giurisprudenziale.

Tips:
Solo per le società che fanno ricorso al capitale di rischio, la rappresentanza vale per la singola
assemblea più eventuali convocazioni successive.

Le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio sono anche dette società aperte.
Esse sono disciplinate dall’articolo 2325 bis. In poche parole, stiamo parlando di quelle società

AMMINISTRAZIONE. CONTROLLI
I sistemi di amministrazione e controllo.

La riforma del 2003 ha previsto tre sistemi di amministrazione e controllo.


a) il sistema tradizionale, basato sulla presenza di due organi entrambi di nomina
assembleare: l’organo amministrativo ed il collegio sindacale, con funzioni ora circoscritte
al controllo sull’amministrazione. Il controllo contabile è invece affidato per legge ad un
organo di controllo esterno alla società: revisore contabile o società di revisione.
b) Il sistema dualistico, di ispirazione tedesca, prevede la presenza di un consiglio di
sorveglianza di nomina assembleare e di un consiglio di gestione, nominato del consiglio di
sorveglianza. Il consiglio do sorveglianza è inoltre investito di competenze che nel sistema
tradizionale sono proprie dell’assemblea (ad esempio, approva il bilancio).
c) Il sistema monistico, di ispirazione anglosassone, nel quale l’amministrazione ed il controllo
sono esercitati rispettivamente dal consiglio di amministrazione, nominato dall’assemblea,
e da un comitato per il controllo sulla gestione costituito al suo interno ed i cui componenti
devono essere dotati di particolari requisiti di indipendenza e professionalità.
Anche per le società che adottano il sistema dualistico o monistico è poi previsto, senza eccezioni,
il controllo contabile esterno.
Il sistema tradizionale di amministrazione e controllo trova tuttora applicazione in mancanza di
diversa previsione statuaria. Il sistema dualistico e quello monistico devono invece essere
espressamente adottati in sede di costituzione delle società o con successiva modifica statuaria.

A. GLI AMMINISTRATORI

Struttura e funzioni dell’organo amministrativo.

Nel sistema tradizionale, la società per azioni non quotata può avere sia un amministratore unico,
sia una pluralità di amministratori (consiglio di amministrazione). Alle società quotate è invece
imposta l’amministrazione pluripersonale. Il numero di componenti del consiglio di
amministrazione può essere in ogni caso liberamente determinato dallo statuto. Inoltre, il CDA
può essere articolato al suo interno con la creazione di uno o più organi delegati, che danno luogo
alle figure del comitato esecutivo e degli amministratori delegati.
Fissiamo ora le funzioni di cui è rivestito l’organo amministrativo.
Gli amministratori sono l’organo cui è affidata in via esclusiva la gestione dell’impresa sociale e ad
essi spetta compiere tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale (art. 2380-
bis).
a) gli amministratori deliberano su tutti gli argomenti attinenti alla gestione della società che
non siano riservati dalla legge all’assemblea (art. 2364). È questo il cosiddetto potere
gestorio degli amministratori.
b) Gli amministratori (tutti o alcuni) hanno la rappresentanza generale della società (art.
2384). Hanno cioè il potere di manifestare all’esterno la volontà sociale – determinata
dall’assemblea o dallo stesso organo amministrativo – ponendo in essere i singoli atti
giuridici in cui si concretizza l’attività sociale.
c) Gli amministratori, inoltre, danno impulso all’attività dell’assemblea: la convocano e ne
fissano l’ordine del giorno. Danno attuazione alle delibere della stessa ed hanno il potere
dovere di impugnare quelle che violino la legge o l’atto costitutivo.
d) Gli amministratori devono curare la tenuta dei libri e delle strutture contabili della società
ed in particolare devono redigere annualmente il progetto di bilancio da sottoporre
all’approvazione dell’assemblea. Devono inoltre provvedere agli adempimenti pubblicitari
prescritti dalla legge.
e) Gli amministratori devono infine prevenire il compimento di atti pregiudizievoli per la
società, o quanto meno eliminarne od attenuarne le conseguenze dannose (art. 2392).
Di tutte queste funzioni gli amministratori sono investiti per legge e non per mandato dei soci. Si
tratta di funzioni che essi esercitano in posizione di formale autonomia rispetto all’assemblea.
Dell’adempimento dei loro doveri essi sono personalmente responsabili civilmente e penalmente.

Nomina. Cessazione della carica.

I primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo. Successivamente la loro nomina


compete all’assemblea ordinaria (art. 2383).

Lo statuto può tuttavia riservare la nomina di un amministratore indipendente ai possessori di


strumenti finanziari partecipativi (art. 2351).
Nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, la legge o lo statuto possono
riservare la nomina di uno o più amministratori allo stato o ad enti pubblici, purché siano titolari di
una partecipazione sociale ed in proporzione alla partecipazione stessa (art. 2449).
Se invece la società fa ricorso al mercato del capitale di rischio, è possibile riconoscere diritti
speciali di nomina allo Stato o ad enti pubblici mediante attribuzione agli stessi di strumenti
finanziari partecipativi o azioni speciali: ma in questo caso si deve ritenere che valga il limite
numerico di un solo amministratore, previsto dall’art. 2351.
Nelle società quotate almeno un amministratore deve essere espresso dalla minoranza. Inoltre,
almeno un componente del consiglio di amministrazione (due, se il consiglio è composto da più di
7 membri) deve essere un cosiddetto amministratore indipendente: deve, cioè, essere in possesso
dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci e degli ulteriori requisiti di indipendenza stabiliti
per i sindaci e degli ulteriori requisiti eventualmente previsti dallo statuto. Infine, lo statuto deve
prevedere modalità di nomina volte ad assicurare l’equilibrio tra uomini e donne nella
composizione dell’organo amministrativo.
Il numero degli amministratori è fissato nello statuto che in alternativa può indicarne il limite
massimo e quello minimo.
Analizziamo i requisiti che devono avere gli amministratori. Essi possono essere soci o non soci
(art. 2380-bis).
Alcune leggi speciali oppure lo statuto potrebbero richiedere, per gli amministratori di società che
svolgono determinate attività (assicurative, bancarie, ecc.), specifici requisiti di onorabilità,
professionalità ed indipendenza.
Non possono essere nominati amministratori l’interdetto, l’inabilitato, il fallito o chi è stato
condannato ad una pena che comporta l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o
l’incapacità ad esercitare uffici direttivi (art. 2382).
numerose cause di incompatibilità sono poi previste da leggi speciali. Comportano però solo che
l’interessato è tenuto ad optare tra uno e l’altro ufficio; non rendono perciò invalida la delibera di
nomina.
La nomina degli amministratori non può essere fatta per un periodo superiore a tre esercizi. Essi
sono però rieleggibili, se l’atto costitutivo non dispone diversamente.
Sono cause di cessazione dall’ufficio prima della scadenza del termine:
a) la revoca da parte dell’assemblea;
b) la rinuncia da parte degli amministratori
c) la decadenza dall’ufficio, ove sopravvenga una delle cause di ineleggibilità;
d) la morte.
Le dimissioni dell’amministratore hanno effetto immediato se rimane in carica la maggioranza
degli amministratori. In caso contrario, le dimissioni hanno solo effetto dal momento in cui la
maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all’accettazione di nuovi amministratori.
Nei casi infine in cui gli effetti della cessazione non sono differiti o differibili (morte, decadenza,
dimissioni della minoranza degli amministratori), è dettata una particolare disciplina per la
sostituzione degli amministratori mancanti (art. 2386). Sono al riguardo previste tre ipotesi.
a) se rimane in carica più della metà degli amministratori nominati dall’assemblea, i superstiti
provvedono a sostituire provvisoriamente quelli venuti meno, con delibera consiliare
approvata dal collegio sindacale (c.d. cooptazione).
b) Se viene a mancare più della metà degli amministratori nominati dall’assemblea non si da
luogo alla cooptazione. I superstiti devono convocare l’assemblea perché provveda alla
sostituzione dei mancanti ed i nuovi amministratori così nominati scadono con quelli in
carica all’atto della nomina, se non è diversamente previsto dallo statuto o dall’assemblea.
c) Se infine vengono a cessare tutti gli amministratori o l’amministratore unico, il collegio
sindacale deve convocare con urgenza l’assemblea per la ricostituzione dell’organo
amministrativo. Nel frattempo il collegio sindacale può compiere gli atti di ordinaria
amministrazione.
Sono valide le clausole statuarie che prevedono la cessazione di tutti gli amministratori e la
conseguente ricostruzione dell’intero collegio da parte dell’assemblea a seguito della cessazione di
alcuni amministratori (clausole simul stabunt simul cadent).
La nomina e la cessazione dalla carica degli amministratori è soggetta ad iscrizione nel registro
delle imprese.

Compenso. Divieti.

Gli amministratori hanno diritto ad un compenso per la loro attività (art. 2389) che può consistere,
in tutto o in parte, anche in una partecipazione agli utili della società o, in base all’attuale
disciplina, nell’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura
emissione (c.d. stock options).
Modalità e misura del compenso sono determinati dall’atto costitutivo o dall’assemblea all’atto
della nomina. Per gli amministratori investiti di particolari cariche (ad esempio, amministratore
delegato), la remunerazione è invece stabilita dallo stesso consiglio di amministrazione, sentito il
parere del collegio sindacale.
Per assicurare trasparenza sui compensi, inoltre, nelle società quotate il consiglio di
amministrazione sottopone una volta l’anno all’assemblea, convocata per l’approvazione del
bilancio, una relazione sulla remunerazione, nella quale si illustra la politica della società in tema di
compensi e si indicano analiticamente le remunerazioni spettanti e quelle già corrisposte ai
componenti degli organi di amministrazione, di controllo, ai direttori generali e, in forma
aggregata, ai dirigenti con responsabilità strategiche.
L’assemblea delibera sulla relazione con un voto non vincolante.
Per prevenire situazioni di pericoloso antagonismo con la società e di potenziale conflitto di
interessi, gli amministratori di società per azioni non possono assumere la qualità di soci a
responsabilità illimitata in società concorrenti, né esercitare un’attività concorrente per conto
proprio o altrui, né essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, salva
l’autorizzazione dell’assemblea (art. 2390) che può essere concessa anche anticipatamente con
clausola generale prevista nell’atto costitutivo.
L’inosservanza del divieto espone l’amministratore alla revoca dall’ufficio per giusta causa ed al
risarcimento degli eventuali danni alla società.

Il consiglio di amministrazione.

Quando l’amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di


amministrazione, retto da un presidente scelto dallo stesso consiglio fra i suoi membri, qualora
non sia già stato nominato dall’assemblea (art. 2380-bis).
In tal caso l’attività è esercitata collegialmente. Le relative decisioni devono essere perciò adottate
in apposite riunioni alle quali devono assistere i sindaci.
Con la riforma del 2003 lo statuto può prevedere che le riunioni del consiglio di amministrazione
avvengano anche mediante mezzi di telecomunicazione.
Se lo statuto non prevede diversamente, il consiglio di amministrazione è convocato dal
presidente dello stesso, il quale ne fissa anche l’ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede
affinché tutti gli amministratori siano adeguatamente informati sulle materie iscritte all’ordine del
giorno.
Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della
maggioranza degli amministratori in carica, salvo che lo statuto non richieda un quorum
costitutivo più elevato.
Le deliberazioni sono approvate se riportano il voto favorevole della maggioranza assoluta dei
presenti. Non è ammesso il voto per rappresentanza.
Le deliberazioni adottate devono risultare da un apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni
del consiglio di amministrazione. In passato l’impugnazione delle deliberazioni del consiglio di
amministrazione era espressamente consentita in un solo caso: delibera adottata col voto
determinante di un amministratore in conflitto di interessi.
L’attuale disciplina invece, prevede che possono essere impugnate tutte le delibere del consiglio di
amministrazione che non sono prese in conformità della legge o dello statuto. L’impugnativa può
essere proposta dagli amministratori assenti o dissenzienti e dal collegio sindacale (ma non dai
soci) entro 90 giorni dalla data della deliberazione. Si applica in quanto compatibile la disciplina del
solo procedimento di impugnazione prevista per le delibere assembleari.
Inoltre, quando la delibera consiliare leda direttamente un diritto soggettivo del socio questi avrà
diritto di agire giudizialmente per far annullare la delibera applicando l’intera disciplina delle
delibere assembleari annullabili (art. 2388).
L’annullamento delle delibere consiliari non pregiudica i diritti acquistati in buona fede dai terzi in
base ad atti compiuti in esecuzione delle stesse (art. 2388).
Può capitare che un amministratore abbia in una determinata operazione un particolare interesse
per conto proprio o di terzi. Ed anche quando tale interesse non sia in conflitto con quello della
società egli:
a) deve darne notizia agli altri amministratori ed al collegio sindacale precisandone “la natura,
i termini, l’origine e la portata”;
b) se si tratta di un amministratore delegato, deve inoltre astenersi dal compiere l’operazione
investendo della stessa l’organo collegiale competente;
In entrambi i casi il consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare e ragioni e la
convenienza per la società dell’operazione.
Se la società ha un amministratore unico, questi deve darne notizia al collegio sindacale ed anche
alla prima assemblea utile.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! pag 248

Comitato esecutivo. Amministratori delegati.

Se l’atto costitutivo o l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare le


proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo oppure ad uno o più amministratori delegati (art.
2381).
Il comitato esecutivo è un organo collegiale. Le sue decisioni sono adottate in riunioni alle quali
devono assistere i sindaci (art. 2405). Le relative deliberazioni devono risultare da un apposito
libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo, tenuto a cura dello stesso
organo.
Gli amministratori delegati sono invece organi unipersonali. Se vi sono più amministratori delegati,
essi agiscono disgiuntamente o congiuntamente. Agli amministratori delegati è di regola affidata la
rappresentanza della società.
È poi possibile la coesistenza di un comitato esecutivo e di uno o più amministratori delegati con
competenze ripartite.
I membri del comitato esecutivo e gli amministratori delegati sono designati dallo stesso consiglio
di amministrazione, che determina inoltre l’ambito della delega. In base all’attuale disciplina non
possono essere tuttavia delegati:
a) la redazione del bilancio d’esercizio;
b) la facoltà di aumentare il capitale sociale e di emettere obbligazioni convertibili per delega;
c) gli adempimenti posti a carico degli amministratori in caso di riduzione obbligatoria del
capitale sociale per perdite;
d) la redazione del progetto di fusione o di scissione.
Con la concessione della delega larga parte della gestione corrente della società è svolta dagli
organi delegati, nei quali in fatto si concentra il potere decisionale.
La legge stabilisce poi i doveri degli organi delegati e del consiglio di amministrazione.
Per quanto riguarda i primi, gli organi delegati:
a) si preoccupano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società sia
adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa;
b) riferiscono periodicamente – in ogni caso almeno ogni 6 mesi – al consiglio di
amministrazione ed al collegio sindacale sul generale andamento della gestione e sulla sua
prevedibile evoluzione, nonché sulle operazioni di maggior rilievo effettuate anche dalle
società controllate
per quanto concerne invece i doveri del consiglio di amministrazione si dispone che tutti gli
amministratori devono agire informati e che ciascuno può chiedere agli organi delegati che siano
fornite in consiglio informazioni relative alla gestione della società (art. 2381). Inoltre il consiglio di
amministrazione ha il potere-dovere di:
a) valutare, sulla base delle informazioni ricevute, l’adeguatezza dell’assetto amministrativo,
organizzativo e contabile della società;
b) esaminare i piani strategici, industriali e finanziari della società;
c) valutare, sulla base della redazione degli organi delegati, il generale andamento della
gestione (art. 2381).
La rappresentanza della società.

Fra le funzioni cui gli amministratori sono per legge investiti vi è quella di rappresentanza della
società. Gli amministratori investiti del potere di rappresentanza devono essere indicati nello
statuto o nella deliberazione di nomina, soggetta a pubblicità legale. Inoltre, se questi sono più di
uno, deve essere specificato se essi hanno il potere di agire disgiuntamente (firma disgiunta) o
congiuntamente (firma congiunta). Di regola la rappresentanza della società è attribuita al
presidente del consiglio di amministrazione e/o ad uno o più amministratori delegati.
In base all’attuale disciplina il potere di rappresentanza degli amministratori è generale (art. 2384).
Essi hanno inoltre la rappresentanza processuale attiva e passiva della società. La rappresentanza
della società conferita ad altri soggetti può aggiungersi, ma non può sostituire quella degli
amministratori.
La rappresentanza organica degli amministratori di s.p.a. è assoggettata ad una disciplina
particolare che privilegia al massimo l’esigenza di tutela dell’affidamento dei terzi, nonché quella
più generale di certezza e di stabilità dei rapporti giuridici. Sono due i principi cardine secondo
l’attuale disciplina:
a) è inopponibile ai terzi di buona fede la mancanza di potere rappresentativo dovuta ad
invalidità dell’atto di nomina. Intervenuta l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di
nomina, le cause di nullità e di annullabilità della nomina degli amministratori con
rappresentanza non sono opponibili ai terzi, salvo che la società non provi che questi terzi
ne erano a conoscenza.
b) La società inoltre resta vincolata verso i terzi anche se gli amministratori hanno violato
eventuali limiti posti dalla società ai loro poteri di rappresentanza. A partire dal 1969, “le
limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una decisione degli
organi competenti, non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che
questi abbiano agito intenzionalmente a danno della società” (art. 2384).
Facciamo ora un piccolo appunto circa gli atti ultra vires, ovvero quegli atti che non rientrano
nell’attività di impresa determinata nello statuto.
In passato la società poteva opporre ai terzi l’invalidità di tali atti solo se riusciva a dimostrare che i
terzi erano consapevoli che tali atti erano proprio ultra vires.
Con l’attuale disciplina, la tutela dei terzi si è ulteriormente rafforzata: ora la società non può
opporre ai terzi gli atti ultra vires nemmeno nel caso in cui sia dimostrata la consapevolezza (dei
terzi) dell’estraneità di tali atti dall’oggetto sociale.
L’unico appiglio normativo per opporsi all’agire scorretto dei terzi è il secondo comma dell’art.
2384.

Art. 2384: Il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla
deliberazione di nomina è generale.
Le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una decisione degli
organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi
abbiano intenzionalmente agito a danno della società.

Restano invece opponibili ai terzi i limiti legali del potere di rappresentanza degli amministratori.
Se per esempio un amministratore unico oppure un amministratore delegato stipula un contratto
in conflitto di interessi con la società, il contratto sarà annullabile su richiesta della società, se il
conflitto di interessi era conosciuto o riconoscibile dal terzo (art. 1394).
La responsabilità degli amministratori verso la società.

Gli amministratori sono responsabili civilmente del loro operato in tre direzioni: verso la società
(art. 2392 - 2393-bis), verso i creditori sociali (art. 2394) e verso i singoli soci o terzi (art. 2395).
Iniziamo parlando della responsabilità verso la società:

Art. 2392: Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge [2423, 2435,
2485, 2486] e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro
specifiche competenze [18, 1176, 1710, 2507] (1). Essi sono solidalmente responsabili [1292] verso
la società (2) dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni
proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori
[2381, 2449, 2455].
In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell'articolo 2381, sono
solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto
potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose [2377,
2409].
La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che,
essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle
adunanze e delle deliberazioni del consiglio [2421, n. 1], dandone immediata notizia per iscritto al
presidente del collegio sindacale [18, 2260, 2941, n. 7].

In base all’attuale disciplina, gli amministratori incorrono in responsabilità verso la società e sono
tenuti al risarcimento dei danni dalla stessa subiti quando non adempiono i doveri ad essi imposti
dalla legge o dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche
competenze.
Gli amministratori non sono invece responsabili per eventuali risultati negativi della gestione che
non siano imputabili a difetto di normale diligenza nella condotta degli affari sociali o
nell’adempimento degli specifici obblighi posti a loro carico.
Se gli amministratori sono più, essi sono responsabili solidamente. Ciascuno può essere quindi
costretto dalla società a risarcirle l’intero danno subito.
Nel contempo, la presenza di amministratori con funzioni delegate non comporta che gli altri siano
senz’altro esonerati da responsabilità solidale per i comportamenti dei primi. L’art. 2382 c.c.
stabilisce infatti che “in ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo
dell’art. 2381, sono solidamente responsabili se, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli, non
hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le
conseguenze dannose”. Quindi, se il comportamento dannoso è direttamente imputabile solo ad
alcuni amministratori, con essi risponderanno in solido anche gli altri qualora, per violazione degli
specifici obblighi posti a loro carico, non abbiano prevenuto o impedito l’attività dannosa dei
primi. Ne risponderanno però solo per culpa in vigilando, con la conseguenza che, se costretti a
risarcire il danno, avranno diritto di regresso per l’intero nei confronti dei primi.
La responsabilità degli amministratori è comunque responsabilità per colpa. Infatti, la
responsabilità degli atti e le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che sia
immune da colpa, purché:
a) abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle
deliberazioni del consiglio di amministrazione;
b) del suo dissenso dia immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale.
L’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori deve essere deliberato
dall’assemblea ordinaria oppure dal collegio sindacale a maggioranza di due terzi dei suoi
componenti.
L’azione deve essere esercitata entro 5 anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica.
La deliberazione dell’azione di responsabilità comporta la revoca automatica dall’ufficio degli
amministratori contro cui è proposta solo se la delibera è approvata col voto favorevole di almeno
un quinto del capitale sociale. Se non si raggiunge tale percentuale del capitale sociale sarà invece
necessaria una distinta ed espressa delibera di revoca.
Che l’azione sociale di responsabilità debba essere deliberata dall’assemblea tutela poco le
minoranze azionarie, questo perché la relativa decisione è in sostanza nelle mani del gruppo di
comando che ha nominato gli amministratori e che perciò deciderà di agire in giudizio contro gli
stessi solo ove si rompa il relativo rapporto fiduciario.
La situazione è solo in parte migliorata con l’attribuzione del relativo potere al collegio sindacale,
dato che i sindaci sono a loro volta nominati dall’assemblea e sono anch’essi espressione del
gruppo di comando.
Le cose però cambiano quando la società cade in dissesto ed è dichiarata fallita o assoggetta a
liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria. In tal caso, infatti, la
legittimazione a promuovere l’azione sociale di responsabilità compete al curatore fallimentare, al
commissario liquidatore o al commissario straordinario (art. 2394-bis).
Una tutela limitata ed indiretta delle minoranze è però prevista anche quando la società è in bonis.
La società infatti può rinunziare all’esercizio dell’azione di responsabilità o pervenire ad una
transazione con gli amministratori. L’una e l’altra devono però essere espressamente deliberate
dall’assemblea ed è necessario che non vi sia il voto contrario di una minoranza qualificata: il
quinto del capitale sociale, ridotto ad un ventesimo nelle società che fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio, o la percentuale prevista per l’esercizio dell’azione di responsabilità da parte
della minoranza.
Una tutela più energica delle minoranze è stata infine introdotta dalla riforma del 1998 per le sole
società con azioni quotate e poi estesa a tutte le s.p.a. con la riforma del 2003.
L’art. 2393-bis c.c. ci dice che l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori può essere
infatti promossa anche dagli azionisti di minoranza, così superando l’eventuale inerzia del gruppo
di comando. Però, i soci che assumono l’iniziativa devono rappresentare almeno un quinto del
capitale sociale, o la diversa misura prevista nello statuto comunque non superiore ad un terzo.
Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è sufficiente che l’azione sia
promossa dai soci che rappresentano un quarantesimo del capitale sociale o la percentuale più
bassa prevista dallo statuto.
L’azione promossa dalla minoranza è diretta a reintegrare il patrimonio sociale, non a risarcire il
danno eventualmente subito dai soggetti agenti.
Perciò la società deve essere chiamata in giudizio.
Inoltre, i soci che hanno agito possono rinunciare all’azione o transigerla, ma ogni corrispettivo
deve andare a vantaggio della società, tenuta a rimborsare loro le spese giudiziarie.

(Segue): La responsabilità verso i creditori sociali.

Oltre che nei confronti della società, gli amministratori sono responsabili anche verso
i creditori sociali (art. 2394 c.c.).

Art. 2394: Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi
inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale [2409, 2509].
L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al
soddisfacimento dei loro crediti [2949].
La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei
creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione
revocatoria [2901] quando ne ricorrono gli estremi [2393, 2393 bis, 2395].

Come possiamo notare:


a) gli amministratori sono responsabili verso i creditori sociali solo “per l’inosservanza degli
obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”;
b) l’azione può essere proposta dai creditori solo quando il patrimonio sociale risulta
insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.

L’azione può essere proposta dai singoli creditori sociali tuttavia in caso di fallimento della società
l’azione può essere promossa esclusivamente da un curatore (art. 2394-bis). Ed è fuori dubbio che,
intervenuto il fallimento, il risarcimento danni va ad incrementare la massa attiva fallimentare.
Si ritiene che l’azione dei creditori sociali esercitata fuori dal fallimento è azione diretta ed
autonoma e non azione surrogatoria di quella spettante alla società: gli amministratori non
potranno perciò opporre ai creditori agenti le eccezioni opponibili alla società. Inoltre quanto
corrisposto dagli amministratori a titolo di risarcimento danni non spetterà alla società, ma
direttamente ai creditori fino alla concorrenza del loro credito. Se l’azione risarcitoria è già stata
esperita dalla società (nei confronti degli amministratori) ed il relativo patrimonio è stato
reintegrato, I creditori non potranno più esercitare l’azione di loro spettanza dato che gli
amministratori sono ovviamente tenuti a risarcire una sola volta il danno.
Anche la transazione intervenuta con nella società paralizza l’azione dei creditori sociali, salva la
possibilità degli stessi di impugnare la transazione con l’azione revocatoria (art. 2901) qualora ne
ricorrano gli estremi.

(Segue): La responsabilità verso i singoli soci o terzi.

Le azioni di responsabilità della società e dei creditori sociali “non pregiudicano in diritto al
risarcimento del danno spettante al singolo socio oppure al terzo che sono stati direttamente
danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori” (art. 2395).
Perché il singolo socio oppure il singolo terzo possono chiedere agli amministratori il risarcimento
dei danni devono ricorrere due presupposti:
a) Il compimento da parte degli amministratori di un atto illecito nell’esercizio dell’ufficio;
b) La produzione di un danno diretto al patrimonio del singolo socio oppure del singolo terzo;
di un danno cioè che non sia semplice riflesso del danno eventualmente subito dal
patrimonio sociale.
I direttori generali.

I direttori generali sono dirigenti che svolgono attività di alta gestione dell’impresa sociale. Opera
di rapporto diretto con gli amministratori, dando attuazione alle direttive generali dagli stessi
impartite. Hanno anche potere decisionale nella gestione dell’impresa. Direttori generali hanno
stesse responsabilità penali e, se nominati dall’assemblea oppure per disposizioni dello statuto,
civili degli amministratori.

B. IL COLLEGIO SINDACALE.
Premessa.

Il collegio sindacale è l’organo di controllo interno della società per azioni, con funzioni di vigilanza
sull’ amministrazione della società.
La disciplina del collegio sindacale ha subito profonde modifiche dal 1942 ad oggi, al fine di
rendere più efficace la relativa attività di vigilanza.
La riforma del 1974, pur lasciando inalterata la disciplina del collegio sindacale, ha introdotto per
le società quotate anche un controllo contabile esterno da parte di una società di revisione, dando
però vita ad una sovrapposizione di funzioni col collegio sindacale che si è rilevata scarsamente
funzionale. Il decreto legislativo numero 88 nel 1992 ha istituito un apposito registro dei revisori
contabili E parzialmente modificato la disciplina del codice. La riforma del 1998 ha in più punti
modificato la disciplina del collegio sindacale delle società con azioni quotate, affrancando tale
organo Dalle funzioni di controllo contabile, che perciò sono ora affidate in via esclusiva al revisore
legale dei conti. Analoga soluzione è stata estesa, con la riforma del 2003, anche nelle altre società
per azioni.
Da ultimo, la legge sulla tutela del risparmio (legge 28-12-2005, n° 262) ha parzialmente riformato
la composizione del collegio sindacale ed i requisiti dei sindaci delle società quotate nonché
rafforzato i poteri dell’organo.

Composizione. Nomina. Cessazione.

Il collegio sindacale delle società con azioni non quotate si compone di tre oppure cinque membri
effettivi, soci oppure non soci, Secondo quanto stabilito nello statuto. Devono inoltre essere
nominati due membri supplenti (art. 2397).
Il collegio illegale delle società non quotate ha struttura semirigida (3 o 5 membri) e ciò costituisce
un primo significativo ostacolo all’efficiente svolgimento delle sue funzioni, soprattutto nelle
grandi società. Questo ostacolo è stato invece rimosso per le società quotate con la riforma del
1998. Fermo restando il numero minimo the tre sindaci effettivi e di due supplenti, l’atto
costitutivo delle società quotate può oggi determinare liberamente il numero dei sindaci (art. 148
tuf)Adeguandolo alla complessità dell’impresa sociale.
I primi sindaci sono nominati nell’atto costitutivo. Successivamente sono nominati dall’assemblea
ordinaria. Lo stato, i possessori di strumenti finanziari, oppure enti pubblici che abbiano
partecipazioni nella società possono nominare uno o più sindaci.
Quindi, i sindaci sono di regola nominati dallo stesso organo che nomina gli amministratori.
La situazione tuttavia mutata per le sole società quotate con la riforma del 1998. L’atto costitutivo
di tali società deve prevedere che almeno un membro effettivo sia eletto dalla minoranza.
Per quanto riguarda i requisiti di professionalità richiesti nelle società non quotate, insieme alla
riforma del 2003, almeno un sindaco effettivo ed uno supplente devono essere scelti fra gli iscritti
nel registro dei revisori legali. Gli altri sindaci devono essere scelti fra gli iscritti negli albi
professionali individuati dal Ministero della giustizia, oppure fra i professori universitari di ruolo in
materie economiche o giuridiche (art. 2397).
Per le società quotate i requisiti di onorabilità e di professionalità sono invece fissati con
regolamento dal ministero della giustizia che prevede anche la nomina di sindaci non iscritti nel
registro dei revisori legali dei conti. Nel registro dei revisori possono iscriversi persone fisiche con
determinati requisiti che abbiano superato un apposito esame di ammissione, nonché società che
rispondono a determinati requisiti.
In base al testo attuale dell’articolo 2399, non possono essere nominati sindaci:
a) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori, nonché degli
amministratori di società facenti parte dello stesso gruppo;
b) Coloro che sono legati alla società oppure a società facenti parte dello stesso gruppo “da
un rapporto di lavoro oppure da un rapporto continuativo di consulenza oppure di
prestazione d’opera retribuita, oppure da altri rapporti di natura patrimoniale che ne
compromettano l’indipendenza”.
Per favorire l’efficacia del controllo nelle società quotate o con strumenti finanziari diffusi tra il
pubblico, I sindaci devono rispettare i limiti al cumulo di incarichi stabiliti dalla Consob; nelle altre
società, tali limiti sono eventualmente previsti dallo statuto.
Trova inoltre applicazione le regole sull’equilibrio tra uomini e donne nella composizione degli
organi sociali già esaminate con il consiglio di amministrazione.
Il loro compenso deve essere predeterminato ed invariabile in corso di carica: la retribuzione
“deve essere determinata dall’assemblea all’atto della nomina per l’intero periodo di durata del
loro ufficio” (art. 2402).
I sindaci restano in carica per tre esercizi e sono rieleggibili.
L’assemblea può revocar solo se sussiste una giusta causa. Inoltre, la delibera di revoca deve
essere approvata dal tribunale (art. 2400), al fine di verificare se ricorre giusta causa, nel
frattempo la delibera è improduttiva effetti. I sindaci nominati dallo stato o da enti pubblici
possono essere revocato solo da l’ente che li ha nominati
Costituisce causa di decadenza dall’ufficio il sopraggiungere di una delle cause di ineleggibilità, non
che la sospensione la cancellazione dal registro dei revisori. Decade il sindaco che, Senza
giustificato motivo, non assiste alle assemblee o diserta, Durante un esercizio sociale, due riunioni
del consiglio di amministrazione, del comitato esecutivo oppure del collegio sindacale.
In caso di morte, rinuncia oppure di decadenza di un sindaco, Subentrano automaticamente i
supplenti in ordine di età, Fermo restando che un componente del collegio deve essere iscritto nel
registro dei revisori.
La nomina e la cessazione dall’ufficio dei sindaci devono essere iscritte, a cura degli
amministratori, nel registro delle imprese.

Il controllo sull’amministrazione.

Una delle funzioni principali del collegio sindacale è quella di controllo sull’amministrazione della
società globalmente intesa e si estende a tutta l’attività sociale al fine di assicurare che la stessa
venga svolta nel rispetto della legge, dell’atto costitutivo e dei principi di corretta amministrazione.
A tal proposito infatti, gli articoli 2403 c.c. e 149 tuf ci dicono che il collegio sindacale vigila
“sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul
suo concreto funzionamento”.
Come abbiamo visto in precedenza, la revisione legale dei conti della società è oggi affidata ad un
revisore oppure ad una società di revisione. Tuttavia lo statuto può prevedere che anche la
revisione legale dei conti sia esercitata dal collegio sindacale. Tale opzione è contemplata solo nel
caso in cui l’intero collegio sindacale sia costituito da revisori legali iscritti nell’apposito registro
(art. 2409-bis c.c.).
Al contempo l’opzione non è consentita però:
a) nelle società tenute a redigere il bilancio consolidato;
b) Nelle società soggette alla revisione legale come “enti di interesse pubblico” oppure come
“enti sottoposti a regime intermedio”, non che nelle società che controllano, sono
controllate o sono sottoposte a comune controllo con le stesse (artt. 16 e 19-bis, d.lgs. n.
39 del 2010);
c) Nelle società soggetta al controllo di un ente pubblico (art. 3 d.lgs. n. 175 del 2016).
La vigilanza del collegio sindacale è esercitata innanzitutto nei confronti degli amministratori, ma
riguarda anche l’attività dell’assemblea e comunque può estendersi in ogni direzione. Da qui, il
potere-dovere dei sindaci di intervenire alle riunioni dell’assemblea, dei consiglio di
amministrazione e Del comitato esecutivo, nonché di impugnare le relative delibere.
Il controllo del collegio sindacale sull’amministrazione è un controllo di carattere globale e
sintetico che può essere esercitato con modalità a discrezione del collegio.
Al fine di rendere più efficace lo svolgimento dell’attività del collegio sindacale, gli amministratori
hanno particolari obblighi di comunicazione nei confronti di esso.
Particolari obblighi di informazione si hanno nel caso delle società quotate (art. 150 tuf). In queste
infatti gli amministratori devo riferire tempestivamente al collegio sindacale circa l’attività svolta,
le operazioni compiute di maggior rilievo economico, nonché quelle a rischio di conflitto di
interessi (perché gli amministratori stessi vi avevano interessi personali oppure perché influenzate
dal soggetto che esercita l’attività di direzione coordinamento).
La riforma del 2003 a poi potenziato gli strumenti informativi del collegio sindacale che può infatti
ora “scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate in merito ai
sistemi di amministrazione e di controllo e all’andamento generale dell’attività sociale” (art. 2403-
bis c.c.); è inoltre previsto lo scambio tempestivo di informazioni tra collegio sindacale e soggetti
incaricati della revisione legale dei conti (art. 2409-septies). Infine, nelle società quotate il collegio
sindacale deve comunicare senza indugio alla Consob le irregolarità riscontrate nell’attività di
vigilanza (art. 149 tuf).
Se fino adesso abbiamo analizzato i doveri del collegio sindacale, ora ne vediamo i poteri. I sindaci
hanno il potere-dovere di porre in essere in qualsiasi momento, anche individualmente, atti di
ispezione e di controllo, nonché quello di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle
operazioni sociali oppure su determinati affari, anche in riferimento a società controllate (art.
2403-bis c.c.).
Poi, nel caso in cui il collegio sindacale, “nell’espletamento del suo incarico ravvisi fatti censurabili
di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere”, può, previa comunicazione al
presidente del consiglio di amministrazione, convocare l’assemblea (art. 2406). Nelle società
quotate, questo potere può essere esercitato anche solo da due sindaci; inoltre, ciascun sindaco è
individualmente legittimato a convocare il consiglio di amministrazione ed il comitato esecutivo. Il
collegio può anche promuovere il controllo giudiziario sulla gestione nel caso in cui abbia fondato
sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione. Nelle società
quotate, tale procedura può essere attivata a sua volta dalla Consob nel caso in cui questa abbia
fondato sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri dei sindaci (art. 152 tuf).

Il funzionamento del collegio sindacale.

Il Presidente del collegio sindacale è nominato dall’assemblea (art. 2398), e nelle società quotate
deve essere prescelto tra i sindaci eletti dalla minoranza (art. 148 tuf).
Il collegio sindacale deve riunirsi almeno ogni 90 giorni e, se lo statuto lo permette, le riunioni
possono svolgersi anche con mezzi telematici.
Il collegio sindacale è regolarmente costituito con la presenza della maggioranza dei sindaci e
delibera a maggioranza assoluta dei presenti.
Di ogni riunione deve essere redatto un verbale, Sottoscritto da tutti gli intervenuti, che viene
trascritto nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale. Il sindaco
dissenziente ha il diritto di fare iscrivere a verbale i motivi del proprio dissenso.
I sindaci possono avvalersi, sotto la propria responsabilità ed a proprie spese, di dipendenti e di
ausiliari per lo svolgimento di specifiche operazioni di ispezione e controllo (art. 2403-bis).
Addirittura, nelle società quotate, il collegio sindacale e ciascun sindaco individualmente possono
avvalersi dell’assistenza di dipendenti della società nell’espletamento delle proprie funzioni (art.
151 tuf).
Come si rapportano i soci ai sindaci? L’attività di controllo del collegio sindacale può essere
sollecitata dei soci (art. 2408 c.c.), privi nella società per azioni di poter individuare di controllo.
Ogni socio può denunciare al collegio sindacale fatto che ritiene censurabili. Il collegio sindacale
però dal canto suo, è obbligato solo a tenerne conto nella relazione annuale all’assemblea.
Nel caso in cui però, la denuncia provenga da tanti soci che rappresentano il 5% il capitale sociale
(2% per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio) oppure la minore
percentuale prevista dallo statuto, il collegio sindacale “ deve indagare senza ritardo sui fatti
denunciati e presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte all’assemblea”, convocando
immediatamente la medesima nel caso in cui vi sia urgente necessità di provvedere (art. 2408
c.c.).

La responsabilità dei sindaci.

Come gli amministratori, anche i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la
diligenza richiesta dalla natura dell’incarico (art. 2407). I sindaci sono responsabili, anche
penalmente, della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e
documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.
L’obbligo di risarcimento dei danni grava esclusivamente sui sindaci nel caso in cui il danno sia
imputabile solo al mancato oppure negligente adempimento dei loro doveri. Può capitare però
che l’evento dannoso sia conseguenza di un comportamento doloso oppure colposo degli
amministratori, che i sindaci avrebbero potuto e dovuto prevenire oppure impedire. In tal caso i
sindaci sono perciò responsabili in solido con gli amministratori per i fatti oppure le omissioni di
questi ultimi, nel caso in cui il danno non si sarebbe prodotto sei sindaci avessero vigilato in
conformità degli obblighi della loro carica (art. 2407).
L’azione di responsabilità contro i sindaci e disciplinata dalle stesse norme dettate per l’azione di
responsabilità contro gli amministratori.

C. LA REVISIONE LEGALE DEI CONTI

Il sistema.

Come anticipato, la riforma del 2003 ha completato il processo di separazione del controllo
sull’amministrazione dal controllo contabile, originariamente entrambi affidati al collegio
sindacale. L’intera materia è stata oggi riformata dal d.lgs. n. 39 del 2010 che ha raccolto in un
unico testo le principali disposizioni di legge in tema di revisione legale dei conti, prima divise tra il
codice civile ed il tuf.
Con l’occasione stato anche attuato ravvicinamento tra le discipline delle revisioni di società
quotate e non quotate.
Tuttavia resta separato un corpo di regole speciali per la revisione legale esercitata sulle società
qualificate come “ente di interesse pubblico” (art. 16, d.lgs. del 2010). Sono enti di interesse
pubblico le società emittenti valori mobiliari quotati, nonché banche, imprese di assicurazione e di
riassicurazione. Si tenga a mente che una parte di tale disciplina si applica anche ad un gruppo di
società che, fino al 2016, erano qualificate anch’esse come ente di interesse pubblico, ma che poi
in occasione dell’attuazione della direttiva 2014/ 56/UE si è preferito assoggettare ad un regime
intermedio: c.d. Enti sottoposti a regime intermedio. Vengono considerati enti sottoposti a regime
intermedio le società (non quotate) emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in maniera
rilevante, nonché alcune società operanti nel campo dell’intermediazione finanziaria e mobiliare.
La revisione legale degli enti di interesse pubblico e degli enti sottoposti a regime intermedio deve
quindi essere inderogabilmente esercitata da un revisore legale esterno, senza possibilità cioè di
affidarne il compito al collegio sindacale.

Conferimento e cessazione dell’incarico.

Come già più volte ribadito revisione legale è esercitata da un revisore legale oppure dalla società
di revisione iscritti nel registro dei revisori legali dei conti oppure, il caso in cui lo statuto preveda,
dal collegio sindacale.
Il revisore esterno è nominato per la prima volta nell’atto costitutivo. Successivamente l’incarico
conferito dall’assemblea su proposta motivata dell’organico controllo. L’assemblea determina
anche il corrispettivo spettante al revisore oppure alla società di revisione per l’intera durata
dell’incarico e tale corrispettivo non può essere subordinato ad alcuna condizione, ne dipende
dall’esito della revisione il revisore legale oppure la società di revisione devono essere soggetti
indipendenti dalla società controllata e non devono in alcun modo essere coinvolti nel suo
processo decisionale. Al riguardo la disciplina della riforma richiede genericamente che fra la
società revisionata da una parte, ed il revisore dall’altra, non devono sussistere situazioni tali da
indurre un terzo informato, obiettivo e ragionevole a trarre la conclusione che l’indipendenza del
revisore risulta compromessa: relazioni personali, di affari, di lavoro, familiarità…
Il revisore deve adottare misure ragionevoli per non essere influenzato nell’espletamento
dell’incarico da alcun conflitto di interessi o relazioni d’affari.
Non può esercitare la revisione chi ha intrattenuto rapporti di lavoro presso l’ente revisionato nel
periodo di riferimento dei bilanci da revisionare oppure nel periodo di durata dell’incarico, se ciò
determina rischio di conflitto di interessi. Dall’altra parte, colui il quale ha partecipato alla
revisione non può andare a ricoprire cariche sociali oppure funzioni dirigenziali di rilievo presso la
società revisionata prima che sia trascorso un anno dalla cessazione dell’incarico: c.d. Divieto delle
porte girevoli (art. 10 tuf).
L’incarico di revisione legale dei conti ha durata di tre esercizi ed è rinnovabile senza limiti.
Per quanto riguarda la revoca, l’incarico può essere revocato dall’assemblea solo per giusta causa,
sentito il parere dell’organo di controllo. Contestualmente alla revoca, la sudare conferire incarico
nuovo revisore.
Nel caso di dimissioni del revisore, la società deve provvedere tempestivamente conferire incarico
ad un nuovo; fino ad allora il vecchio resta in carica in regime di prorogatio, ma comunque non
oltre i sei mesi.
La deliberazione deroga non deve essere approvato dal tribunale però la società sottoposta a
revisione deve informare tempestivamente l’autorità di vigilanza e fornire adeguate spiegazioni
sulle ragioni che hanno determinato la cessazione anticipata dell’incarico, anche per dimissioni
oppure scioglimento consensuale.

(Segue): La revisione legale degli enti di interesse pubblico e degli enti sottoposti a regime
intermedio.
Come anticipato, la revisione legale degli enti di interesse pubblico è soggetta a regole speciali.
Oggi tale attività non è più riservata alle società di revisione iscritte in un albo speciale (in passato
tenuto dalla Consob). Resta fermo però il potere di vigilanza della Consob sull’organizzazione e
sull’attività del soggetto incaricato della revisione di un ente di interesse pubblico, al fine di
controllare l’indipendenza e l’idoneità tecnica.
La disciplina della revisione legale degli enti di interesse pubblico è caratterizzata da un maggiore
rigore e da una maggiore analiticità in relazione ai requisiti di indipendenza del soggetto incaricato
della revisione.
L’incarico di revisione legale degli enti di interesse pubblico ha durata di nove esercizi quando è
conferito a società di revisione e di sette esercizi per i revisori legali persona fisica. L’incarico non
può essere rinnovato oppure nuovamente conferito al medesimo soggetto se non siano decorsi
almeno quattro esercizi dalla cessazione del precedente.
Fermi restando i principi generali già esaminati, la Consob può stabilire con regolamento le
situazioni che possono compromettere l’indipendenza del revisore ele misure da adottare per
rimuoverle.
È vietato alle società di revisione di prestare alla società revisionata servizi ulteriori rispetto
all’organizzazione revisione contabile. Tale divieto opera anche i confronti dei soggetti che fanno
parte della rete del revisore: per “rete” si intende un insieme di società, studi professionali, singoli
professionisti oppure esperti, che insieme al revisore compongono una struttura finalizzata alla
cooperazione sulla base della condivisione di utili e costi, oppure di una proprietà o direzione
comune, oppure ancora della condivisione di segni distintivi, strategie e personale.
Non può svolgere la revisione chi ha ricoperto da meno di due anni cariche sociali oppure funzioni
dirigenziali nella società revisionata. Al contempo, che ha partecipato la revisione non può
assumere per due anni cariche sociali oppure funzioni dirigenziali presso la società revisionata,
pena sanzione amministrativa pecuniaria oppure ulteriori provvedimenti che possono arrivare fino
alla revoca d’ufficio dell’incarico e, nei casi più gravi, alla cancellazione dal registro dei revisori.
Sull’indipendenza e l’attività del revisore vigila inoltre presso la società revisionata un apposito
Comitato per il controllo interno e la revisione contabile.
Il revisore durante pubblico può essere rimosso anche dal tribunale (revoca giudiziale), per giusta
causa, su richiesta dei soci che rappresentano il 5% del capitale sociale, oppure dell’organo di
controllo o della Consob.
Per quanto riguarda invece gli enti sottoposti a regime intermedio, le norme applicabili sono
specificate dall’articolo 19-ter d.lgs. 39/2010 ed in particolare sono richiamate le regole che
concernono: la soggezione controllo della Consob, la durata dell’incarico, la prestazione di servizi
ulteriori alla revisione, il trasferimento di personale. Non si applicano invece, tra l’altro, le regole
in tema di comitato per il controllo interno che la revoca giudiziale.

Funzioni e responsabilità del revisore legale dei conti.

Stessi principi regolano sia la revisione legale per gli enti di interesse pubblico che la revisione
legale per le altre società soggette a revisione.
La funzione principale del revisore è quella di controllare la regolare tenuta della contabilità
sociale e la corretta rilevazione delle scritture contabili dei fatti di gestione e di esprimere un
giudizio sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato.
Deve inoltre verificare che tali due bilanci siano conformi alle norme che li disciplinano e
rappresentino in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale finanziaria ed il risultato
economico dell’esercizio.
Attività di revisione è volta ad esprimere un “giudizio” sul bilancio. Giudizio che può essere
graduato secondo quattro modelli:
1) giudizio “senza rilievi”, se il bilancio è conforme alle norme che disciplinano la redazione;
2) Giudizio “con rilievi”;
3) Giudizio negativo;
4) Dichiarazione di impossibilità di esprimere il giudizio.

Negli ultimi tre casi il revisore espone analiticamente nella relazione i motivi della propria
decisione. Inoltre, in caso di giudizio negativo, di dichiarazione d’impossibilità di esprimere un
giudizio sul bilancio oppure di significativi dubbi sulla continuità aziendale di una società quotata o
con strumenti finanziari diffusi del pubblico, informa immediatamente la Consob (art. 156 tuf).
Il rilascio di un giudizio positivo (nelle società quotate, anche se con rilievi) produce effetti giuridici
particolarmente rilevanti poiché modifica sensibilmente la normale disciplina dell’impugnativa
della delibera di approvazione del bilancio.
Vediamo ora quali sono i poteri del revisore. Egli ha il diritto di ottenere dagli amministratori
documenti e notizie utili per la revisione e può procedere autonomamente ad accertamenti,
ispezioni e controlli. Tale soggetto ed il collegio sindacale si scambiano tempestivamente le
informazioni rilevanti per l’espletamento dei rispettivi compiti. Negli enti di interesse pubblico
oppure sottoposti a regime intermedio, il revisore deve inoltre denunciare tempestivamente alla
Consob qualsiasi illegittimità di cui sia venuto a conoscenza. Poiché il revisore è interamente
responsabile per il giudizio espresso anche sul bilancio consolidato nel caso di gruppo di imprese,
Egli ha speciali poteri di informazione ed ispezione anche nei confronti delle società controllate.
Il revisore oppure la società di revisione devono conservare documenti e carte di lavoro relativi
all’incarichi di revisione legale svolti per 10 anni dalla data della relazione di revisione, in modo da
consentire successivi controlli.
Vediamo ora quali sono le responsabilità del revisore. Egli, come il collegio sindacale, Deve
adempiere i propri doveri con diligenza professionale; È responsabile della verità delle sue
attestazioni e deve conservare il segreto su fatti e documenti di cui ha conoscenza per ragioni del
suo ufficio.
Nei confronti della società revisionata, dei soci oppure dei terzi, il soggetto revisore deve
rispondere in solido con gli amministratori per i danni derivanti dall’inadempimento dei loro
doveri. Nei rapporti interni, ciascun condebitore solidale risponde tuttavia nei limiti del contributo
effettivo al danno cagionato.
L’azione di responsabilità si prescrive in cinque anni dalla data della relazione di revisione sul
bilancio emessa al termine dell’attività di revisione in cui si riferisce l’azione di risarcimento.

D. I SISTEMI ALTERNATIVI

Il sistema dualistico.

Esaminato il sistema tradizionale di amministrazione e controllo, passiamo all’esame dei due


sistemi alternativi introdotti dalla riforma del 2003: il sistema monistico e quello dualistico. Questi
sistemi trova applicazione solo se espressamente adottati in sede di costituzione della società
oppure con modifica dello statuto (art. 2380 c.c.).
Il sistema dualistico (artt. 2409-octies, 2409-quinquiesdecies), di ispirazione tedesca, prevede la
presenza di un consiglio di gestione e di un consiglio di sorveglianza. Il controllo contabile è
affidato, senza eccezioni, ad un revisore legale oppure una società revisione.
Il consiglio di gestione svolge le funzioni proprie del consiglio di amministrazione il sistema
tradizionale.
Particolare è invece la posizione del consiglio di sorveglianza: ha sia le funzioni di controllo proprie
del collegio sindacale, sia funzioni di indirizzo della gestione (nomina e revoca dei componenti del
consiglio di gestione e l’approvazione del bilancio di esercizio) che nel sistema tradizionale sono
propri dell’assemblea dei soci. Tale funzione di indirizzo possono essere ulteriormente rafforzate
con apposita clausola statuaria, riservando al consiglio di sorveglianza l’approvazione di tutte le
operazioni predisposte del consiglio di gestione.
La presenza del consiglio di sorveglianza riduce le competenze dell’assemblea ordinaria. Questa
infatti nomina e revoca i componenti del consiglio di sorveglianza, ne determina il compenso e
delibera in ordine all’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro confronti, nomi nel revisore ma
perde la competenza per la nomina della revoca degli amministratori, nonché la competenza per
l’approvazione del bilancio in quanto, salvo diversa disposizione dello statuto, il bilancio è
approvato dal consiglio di sorveglianza e l’ assemblea decide soltanto sulla distribuzione degli utili
(art. 2364-bis).
Il sistema dualistico determina quindi un più accentuato distacco fra azionisti e organo gestorio
della società. Infatti, scelte e valutazioni tipicamente imprenditoriale quale la designazione degli
amministratori e l’approvazione del bilancio, sono sottratte soci ed affidate ad un organo
professionale, quale il consiglio di sorveglianza, che nel frattempo esercita il controllo
sull’amministrazione.
Esaminiamo ora la disciplina dei due organi in cui si articola il sistema dualistico.
Il consiglio di sorveglianza può essere composto da soci oppure non soci ed il loro numero, non
inferiore a tre, è fissato dallo statuto (art. 2409-duodecies).
I primi componenti sono nominati nell’atto costitutivo mentre, successivamente, la loro nomina
compete all’assemblea ordinaria che ne determina anche il numero, nei limiti stabiliti dallo
statuto.
Nelle società quotate almeno un componente è eletto dalla minoranza con le modalità fissate
dalla Consob.
Le regole sull’equilibrio fra uomini e donne nella composizione degli organi sociali già esaminate
con riguardo al sistema di amministrazione tradizionale trovano applicazione anche in questo caso.
Almeno un componente effettivo del consiglio di sorveglianza deve essere scelto tra gli iscritti nel
registro dei revisori contabili. Inoltre lo statuto può prevedere, ai fini dell’assunzione della carica,
determinati requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza.
Non possono invece essere eletti ne componenti del consiglio di gestione, ne coloro che sono
legati alla società “da un rapporto di lavoro oppure da un rapporto continuativo di consulenza o di
prestazione d’opera retribuita che ne compromettano l’indipendenza” (art. 2409-duodecies).
Per quanto riguarda le cause di ineleggibilità e di decadenza, trovano applicazione le stesse
previste dall’articolo 2382 per gli amministratori e, nelle società quotate, anche quelle previste per
i sindaci.
Nelle società quotate inquilino strumenti finanziari diffusi tra il pubblico i membri del consiglio di
sorveglianza devono anche rispettare i limiti al cumulo di incarichi determinati con regolamento
della Consob.
Nelle isole società quotate, infine, i membri del consiglio di sorveglianza devono, a pena di
decadenza, essere in possesso dei requisiti di professionalità ed onorabilità fissate per decreto dal
Ministro della giustizia.
I componenti del consiglio di sorveglianza restano in carica tre esercizi e sono rieleggibili, salvo
diversa disposizione statuaria. Al pari degli amministratori di sistema tradizionale (e a differenza
dei sindaci), sono liberamente revocabili dall’assemblea anche se non ricorre una giusta causa se
però risarciti. È tuttavia necessario che la delibera sia approvata con il voto favorevole di almeno
un quinto del capitale sociale. L’assemblea provvede sostituire sostituire senza indugio i
componenti del consiglio di sorveglianza che vengono a mancare per qualsiasi ragione nel corso
dell’esercizio.
Vediamo ora quali sono competenze e poteri del consiglio di sorveglianza. Esso esercita le funzioni
che nel sistema tradizionale sono proprie del collegio sindacale. In particolare:
a) presenta la denunzia al tribunale ex art. 2409;
b) riferisce per iscritto almeno una volta l’anno all’assemblea circa l’attività di viglilanza svolta,
le omissioni e i fatti censurabili rilevanti;
c) è destinatario delle denunzie dei soci;
d) i suoi componenti devono assistere alle assemblee e possono assistere alle adunanze del
consiglio di gestione. Nelle società quotate però alle riunioni del consiglio di gestione deve
necessariamente partecipare almeno un consigliere di sorveglianza.

Il CDS ha poteri e diritti di informazione nei confronti del consiglio di gestione, del soggetto che
esercita la revisione contabile, dei corrispondenti organi delle società controllate. Nelle società
quotate un solo consigliere di sorveglianza ha il potere di avvalersi di dipendenti della società per
l’espletamento delle funzioni, il potere di convocare l’organo amministrativo (poteri che nel
sistema tradizionale potevano essere esercitati individualmente da ciascun sindaco), mentre due
consiglieri hanno il potere di convocare l’assemblea (nel sistema tradizionale potere esercitabile
dai sindaci congiuntamente).
Al CDS sono attribuite varie funzioni dell’assemblea ordinaria:
a) nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione; ne determina anche il compenso
se tale compito non è affidato dallo statuto all’assemblea;
b) approva il bilancio e, nel caso, anche quello consolidato;
c) promuove l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei componenti del
consiglio di gestione
d) (se previsto dallo statuto) delibera in ordine alle operazioni strategiche ed ai piani
industriali e finanziari della società predisposti dal consiglio di gestione.

Il presidente del CDS viene eletto dall’assemblea ed i suoi poteri sono stabiliti dallo statuto.
La validità delle deliberazioni del CDS è regolata dalle stesse disposizioni che regolano quella delle
deliberazioni del CDA.
Quali sono le responsabilità dei membri del CDS? Essi devono adempiere i loro doveri con la
diligenza richiesta dalla natura dell’incarico. Sono solidamente responsabili con i componenti del
CDG per fatti ed omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato
in conformità dei doveri della loro carica. L’assemblea delibera l’azione di responsabilità nei loro
confronti ma stranamente non sono richiamate le disposizioni in materia di responsabilità nei
confronti dei soci, dei creditori sociali e dei terzi e tale silenzio viene colmato con l’applicazione
delle disposizioni generali applicabili ad amministratori e sindaci (art. 223-septies, disp. Att. C.c.).
Esaminiamo ora la disciplina del Consiglio di gestione le cui funzioni coincidono con quelle rivestite
dal CDA nel sistema tradizionale ed al quale si applicano quasi tutte le norme applicabili al CDA.
Analizziamo quindi solo le differenze.
Il CDA deve essere composto da almeno due componenti. I primi componenti sono nominati
dall’atto costitutivo mentre, successivamente, la loro nomina compete al CDS, che ne determina
anche il numero. Nelle società quotate:
1) se i componenti sono tre o più  si applicano le regole circa l’equilibrio tra i sessi nella
composizione degli organi sociali;
2) se i componenti sono più di quattro  almeno uno deve essere un amministratore
indipendente.

I componenti del CDG non possono essere nominati componenti del CDS. Essi sono revocabili ad
nutum (decisione presa in totale libertà) dal CDS.
Se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più componenti del CDG, il CDS provvede
senza indugio alla loro sostituzione.
L’art. 2409-decies disciplina specificatamente l’azione sociale di responsabilità contro i consiglieri
di gestione.

Art. 2409-decies : L'azione di responsabilità contro i consiglieri di gestione (1) è promossa dalla
società o dai soci, ai sensi degli articoli 2393 e 2393 bis.
L'azione sociale di responsabilità può anche essere proposta a seguito di deliberazione del consiglio
di sorveglianza. La deliberazione è assunta dalla maggioranza dei componenti del consiglio di
sorveglianza e, se è presa a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, importa la revoca
dall'ufficio dei consiglieri di gestione contro cui è proposta, alla cui sostituzione provvede
contestualmente lo stesso consiglio di sorveglianza.
L'azione può essere esercitata dal consiglio di sorveglianza entro cinque anni dalla cessazione
dell'amministratore dalla carica.
Il consiglio di sorveglianza può rinunziare all'esercizio dell'azione di responsabilità e può
transigerla, purché la rinunzia e la transazione siano approvate dalla maggioranza assoluta dei
componenti del consiglio di sorveglianza e purché non si opponga la percentuale di soci indicata
nell'ultimo comma dell'articolo 2393.
La rinuncia all'azione da parte della società o del consiglio di sorveglianza non impedisce l'esercizio
delle azioni previste dagli articoli 2393 bis, 2394 e 2394 bis.

Ferma restando l’applicazione della disciplina dettata per l’azione di responsabilità contro gli
amministratori del sistema tradizionale, è previsto in questo caso che tale azione può essere
esercitata anche dal consiglio di sorveglianza. La relativa deliberazione è assunta a maggioranza
dei componenti e comporta le revoca d’ufficio dei consiglieri di gestione se è raggiunta la
maggioranza dei due terzi dei componenti. In tal caso il CDS provvede contestualmente alla
sostituzione.
Il CDS può rinunciare all’esercizio dell’azione di responsabilità o può transigerla a determinate
condizioni.
Tuttavia la rinuncia all’azione da parte della società o del CDS non impedisce l’esercizio dell’azione
sociale di responsabilità da parte dei creditori sociali nonché da parte dei soci di minoranza.

Il sistema monistico.

Il sistema monistico, di ispirazione anglosassone, è caratterizzato dalla soppressione del collegio


sindacale. Amministrazione e controllo sono infatti esercitati dal consiglio di amministrazione e da
un comitato per il controllo sulla gestione, costituito al suo interno e che svolge le funzioni proprie
del collegio sindacale.
Anche nel sistema monistico la revisione contabile è affidata, senza eccezioni, ad un revisore
esterno (o società di revisione).
Al consiglio di amministrazione, eletto dall’assemblea, si applicano le stesse disposizioni dettate
per gli amministratori nel sistema tradizionale con la sola significativa differenza che da esso
devono essere estratti i membri dell’organo di controllo. È previsto infatti che almeno 1/3 dei
componenti del CDA deve essere in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci.
Nelle società quotate un amministratore indipendente deve essere eletto dalla minoranza.
Il CDA nomina i componenti del comitato per il controllo sulla gestione. Sono papabili i consiglieri
in possesso di tali requisiti di indipendenza, nonché dei requisiti di onorabilità e professionalità
eventualmente stabiliti dallo statuto. Almeno uno dei componenti deve essere iscritto nel registro
dei revisori contabili ed è inoltre richiesto che essi non siano membri del comitato esecutivo e che
non svolgano, anche di fatto, funzioni gestorie neppure in società controllanti o controllate.
Se la società è quotata, l’amministratore indipendente eletto dalla minoranza è di diritto
componente del comitato di controllo sulla gestione e lo presiede.
Il CDA stabilisce anche quale deve essere il numero dei componenti del comitato di controllo che,
comunque, non può essere inferiore a 3 nelle società che ricorrono al mercato del capitale di
rischio.
Il CDA provvede anche alla sostituzione (per morte, rinuncia, revoca) di un componente del
comitato.
Vediamo ora nel dettaglio quali sono le funzioni del comitato di controllo sulla gestione.
a) vigila sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistea di controllo
interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché sualla sua idoneità a
rappresentare adeguatamente i fatti di gestione.
b) È destinatario delle denunzie dei soci di fatti censurabili ex art. 2408, e può a sua volta
presentare denunzia al tribunale ex art. 2409 ove riscontri gravi irregolarità di gestione
potenzialmente dannose. Nelle società quotate è tenuto a denunciare tali irregolarità
anche alla Consob;
c) Esercita gli ulteriori compiti affidatigli dal CDA con particolare riguardo ai rapporti con il
soggetto incaricato della revisione dei conti, con il quale il comitato di controllo è obbligato
a scambiarsi informazioni;
d) I suoi componenti devono assistere alle assemblee, alle adunanze del CDA e del comitato
esecutivo;
e) (nelle società quotate) il comitato di controllo ha gli stessi diritti e poteri del collegio
sindacale (e del CDS) nei confronti degli altri amministratori, del soggetto revisore e dei
corrispondenti organi delle società controllate;
f) (nelle società quotate) può procedere in ogni momento ad ispezioni e controlli;
g) (nelle società quotate) può avvalersi della collaborazione di dipendenti della società e
convocare il CDA o il comitato esecutivo (ma non l’assemblea).

La disciplina del funzionamento del comitato di controllo sulla gestione è estremamente scarna.
Il comitato elegge al suo interno il presidente ed opera in osservanza delle norme dettate per il
collegio sindacale. Deve riunirsi ogni 90 giorni almeno ed è regolarmente costituito con la presenza
della maggioranza dei componenti e delibera a maggioranza assoluta dei presenti.
Nelle società quotate ciascun componente del comitato ne può chiedere la presidente la
convocazione, indicando gli argomenti da trattare.

E. I CONTROLLI ESTERNI

Il sistema.

Al fine di garantire un corretto funzionamento delle società e, di conseguenza, del mercato,


l’ordinamento prevede un articolato sistema di controlli esterni sulle società per azioni, in aggiunta
a quelli interni già esaminati. Tale sistema dei controlli esterni non è però identico per tutte le
S.p.a..
L’unica cosa comune a tutte le S.p.a. è il controllo esterno sulla gestione esercitato dall’autorità
giudiziaria in presenza di situazioni patologiche che ne alterano il corretto funzionamento.
Sono previsti particolari controlli esterni di diversa natura e rispondenti a diverse finalità per
determinate società (tipo società bancarie…).
A partire dalla riforma del 1974 le società con azioni quotate in borsa e quelle che
istituzionalmente operano sul mercato mobiliare sono assoggettate al controllo della Consob.

Il controllo giudiziario sulla gestione.

Costituisce una forma di intervento dell’autorità giudiziaria nella vita delle società per azioni volta
a ripristinare la legalità dell’amministrazione delle stesse.
In base all’attuale disciplina il procedimento può essere attuato se vi è fondato sospetto che gli
amministratori (non più i sindaci come prima delle riforme del ’98 e del ’03) “in violazione dei loro
doveri abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione”, ma si richiede che tali violazioni
“possono arrecare danno alla società oppure ad uno o più società controllate”.
Le gravi irregolarità possono essere denunciate:
a) Dai soci che rappresentano almeno 1/10 del capitale sociale. Nelle società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio la percentuale richiesta è ridotta al 5% del capitale
sociale. In tutte le società lo statuto può prevedere percentuali inferiori;
b) In tutte le società l’iniziativa può essere assunta anche dal collegio sindacale oppure dal
corrispondente organo di controllo nei sistemi alternativi;
c) Nelle sole società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio iniziativa può essere
assunta anche dal pubblico ministero così sottolineandosi interesse pubblico al regolare
funzionamento di queste società per azioni; nonché dalla Consob quando sospetti gravi
irregolarità nell’adempimento dei doveri dei sindaci, del consiglio di sorveglianza oppure
del comitato per il controllo sulla gestione.

Il tribunale non può invece procedere di ufficio.


Il procedimento attivato con la denuncia si articola in due fasi:
- la fase istruttoria  È diretta ad accertare l’esistenza delle irregolarità ed ad individuare i
provvedimenti da adottare per rimuoverle. Per fare ciò il tribunale Deve sentire in camera di
consiglio gli amministratori ed i sindaci. Il tribunale può inoltre fare eseguire l’ispezione
dell’amministrazione della società da parte di un consulente designato dallo stesso tribunale. Il
provvedimento è reclamabile.
Tuttavia il gruppo di comando della società può evitare l’ispezione ed ottenere dal tribunale la
sospensione del procedimento per un periodo determinato se l’assemblea sostituisce
amministratori e sindaci “con soggetti di adeguata professionalità, che si attivano senza indugio
per accertare se le violazioni sussistono e, in caso positivo, per eliminarle”, riferendo al tribunale
circa gli accertamenti e le attività compiute.
- i provvedimenti  nel caso in cui questi accertamenti ed attività compiute dagli amministratori e
sindaci nominati dall’assemblea risultino insufficienti all’eliminazione delle violazioni denunciate
ed accertate dal tribunale, questo ha di fronte a sé due strade, fra le quali può scegliere in
relazione al grado di gravità delle irregolarità. Il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti
provvisori per evitare il ripetersi di irregolarità e nel contempo convocare l’assemblea della società
per le deliberazioni conseguenti. Deliberazioni che però l’assemblea delibera di adottare o meno.
Nei casi più gravi, il tribunale revoca gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci e nomina
un amministratore giudiziario.
I poteri e la durata dell’incarico dell’amministratore giudiziario sono determinati dal tribunale col
decreto di nomina. In ogni caso, per legge, l’amministratore giudiziario è investito del potere di
proporre l’azione di responsabilità contro gli amministratori ed i sindaci, senza che l’azione venga
deliberata dall’assemblea dei soci.
L’amministratore giudiziario ha la rappresentanza della società, ma non può compiere atti
eccedenti l’ordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del presidente del tribunale.
Prima che scada il suo incarico all’amministratore giudiziario deve convocare l’assemblea per la
nomina dei nuovi amministratori e sindaci oppure in alternativa egli può proporre all’assemblea la
messa in liquidazione della società oppure la sua sottoposizione ad una procedura concorsuale.
L’assemblea è comunque libera di deliberare o meno quanto proposto dall’amministratore
giudiziario.

La Consob.

La commissione nazionale per le Società e la borsa è un organo pubblico di vigilanza sul mercato
dei capitali istituito nel 1974. Oggi la Consob è una persona giuridica di diritto pubblico avente
piena autonomia nei limiti stabiliti dalla legge. Ha sede a Roma.
Quali sono le funzioni della Consob? Nata come organo di controllo della borsa e delle società che
collocano i propri titoli in borsa è oggi organo di controllo dell’intero mercato mobiliare, dei
soggetti che vi operano e di ogni operazione di sollecitazione del pubblico risparmio attraverso
l’emissione ed il collocamento di strumenti finanziari.

(Segue): Consob e informazione societaria.

La Consob svolge un ruolo centrale per assicurare un’adeguata e veritiera informazione del
mercato mobiliare sugli eventi di rilievo che riguardano la vita delle società che fanno appello al
pubblico risparmio, in modo da consentire agli investitori scelte più consapevoli.
A tal proposito:
a) Tutte le società emittenti strumenti finanziari quotati o comunque diffusi tra il pubblico
devono tempestivamente informare il pubblico, secondo le modalità stabilite dalla Consob,
di qualsiasi fatto riguardante anche l’attività delle società controllate, la cui conoscenza
può influire sensibilmente sul prezzo degli strumenti finanziari;
b) La Consob può richiedere che siano resi pubblici notizie e documenti necessari per
l’informazione del pubblico e provvedervi direttamente, a spese degli interessati, in caso di
in ottemperanza.
La Consob ha prescritto specifici obblighi di informazione preventiva del pubblico per una
serie di operazioni straordinarie quali fusioni, scissioni, acquisto e cessione di pacchetti
azionari…
Ha inoltre prescritto che siano messi tempestivamente a disposizione del pubblico il
bilancio di esercizio e la relazione finanziaria semestrale degli amministratori.
La Consob ha ampi poteri di indagine e di intervento al fine di vigilare sulla correttezza
dell’informazione fornita.
Le informazioni di cui è prescritta la pubblicazione devono essere depositate presso la
Consob e la società di gestione del mercato dove avviene la quotazione.
La Consob stabilisce modalità e termini per la diffusione delle stesse fra il pubblico.
CAPITOLO DICIOTTESIMO :
IL BILANCIO

Come ogni altro imprenditore, anche la società per azioni è soggetta all’obbligo delle scritture
contabili. Con l’evolversi del processo comunitario e per risolvere numerose lacune la disciplina
riguardante tali scritture è mutata notevolmente. Tanto che ora alcune società sono obbligate a
redigere il bilancio secondo i principi contabili internazionali emanati dallo IASB. Tra queste società
vi sono le società quotate e le società che emettono azioni o strumenti finanziari diffusi. Per altre
società invece l’adozione è facoltativa, ma una volta adottati la scelta non è revocabile salvo
eccezioni. Ma che cosa rappresenta il bilancio ?
Il bilancio d’esercizio è il documento contabile che rappresenta in modo chiaro, veritiero e
corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società alla fine di ciascun esercizio, nonché il
risultato economico. Questo documento è formato a sua volta dallo stato patrimoniale, dal conto
economico, dal rendiconto finanziario e dalla nota integrativa.
Ho precedentemente sottolineato quegli aggettivi poiché affinché si possa accertare la situazione
del patrimonio occorre rispettare i principi chiave della chiarezza e quello della rappresentazione
corretta e veritiera. Il principio della chiarezza si manifesta attraverso il rispetto delle norme che
regolano la struttura del bilancio mentre quello di verità e correttezza si manifesta attraverso il
rispetto delle norme che fissano i criteri di valutazione.
Vi sono infine ulteriori principi per la redazione di bilancio che rafforzano i principi soprastanti. Essi
prevedono che :
a) La valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva di
continuazione della società. Questo principio ne introduce a sua volta un altro che è quello
della prevalenza della sostanza sulla forma. Quest’ultimo è infatti confermato dal fatto gli
stessi criteri di valutazione e quindi le norme previste dal codice civile possono essere
derogate se il rispetto di esse possa inficiare negativamente o inutilmente sulla chiarezza
delle voci. La deroga deve però essere dettagliatamente motivata nella nota integrativa
b) Nella valutazione del bilancio si deve tener conto delle entrate e delle uscite di competenza
dell’esercizio indipendentemente dalla data di incasso o di pagamento nonché dei rischi e
delle perdite dell’esercizio.

Come già detto il bilancio si compone di : stato patrimoniale, il conto economico, la nota
integrativa e il rendiconto finanziario. Abbiamo già detto anche che per rispettare il principio della
chiarezza bisogna rispettare le norme, soprattutto gli articoli 2424 e 2425 che oltre a specificare
tutte le voci che bisogna utilizzare e la loro divisione, indica dei criteri di redazione generali :
a. Bisogna rispettare l’ordine d’esposizione tassativo fissato per legge
b. Le voci sono organizzate in :
a. Categorie omogenee : lettere maiuscole
b. Sottocategorie : numeri romani
c. Voci : numeri arabi
d. Sotto voci : lettere minuscole
In modo da creare così un sistema di voci chiaro e ordinato
c. Per ogni voce dello stato patrimoniale e del conto economico deve essere indicato
l’importo della voce corrispondente dell’esercizio precedente per un agevole confronto.

Il bilancio però non deve essere tenuto per tutte le imprese in maniera identica, in quanto
comunque la redazione delle scritture contabili è un costo e non sarebbe giusto se ci fosse lo
stesso obbligo per le società che fanno ricorso al capitale di rischio nel mercato finanziario e un
calzolaio. Infatti, sono previste due modelli semplificati per le piccole imprese e per le
microimprese. Esse vengono individuate tramite criteri quantitativi riguardanti l’attivo
patrimoniale, il fatturato e il numero di dipendenti. Per le piccole imprese non è necessario il
rendiconto finanziario. Mentre per le micro non è necessario sia il rendiconto che la nota
integrativa. In entrambi i casi comunque le voci da utilizzare per lo stato patrimoniale e per il
conto economico sono ridotte.
Vediamo ora più nel dettaglio i documenti che compongono il bilancio :
lo stato patrimoniale.
Lo stato patrimoniale rappresenta la composizione quantitativa e qualitativa del patrimonio della
società, quindi delle attività e passività. Esso deve essere redatto per legge nella forma a colonne.
Le voci dell’attivo sono :
A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti
B) Immobilizzazioni : sono gli elementi patrimoniali destinati ad un uso durevole e si dividono
in : immobilizzazioni materiali ( fabbricati o attrezzature) immobilizzazioni immateriali
(costi di impianto e ampliamento) immobilizzazioni finanziarie (partecipazioni)
C) Attivo circolante : in poche e semplici parole è costituito da elementi di rapida circolazione,
oggi ci sono, dopo domani no. Esso infatti comprende i crediti, le rimanenze e le attività
finanziarie che non costituiscono partecipazioni
D) Ratei e risconti (attivi) : i ratei attivi sono ricavi di competenza dell’esercizio ma esigibili
negli esercizi successivi. I risconti invece sono dei costi.

Le voci del passivo invece :


A) Patrimonio netto : il patrimonio netto è composto dal capitale sociale e dai diversi tipi di
riserve. Ovviamente aumenta degli utili a nuovo (non distribuibili) e diminuisce delle
perdite a nuovo.
B) Fondi rischi e oneri : sono dei fondi costituiti per coprire perdite o debiti certi o probabili.
C) Trattamento di fine rapporto : è una specie di fondo, con però una specifica destinazione
D) Debiti : che oggi si suddividono addirittura in 14 voci
E) Ratei e risconti passivi

Precedentemente il 2015 dovevano essere inseriti sul fondo dello stato patrimoniale anche i così
detti conti d’ordine, ovvero dei conti con la funzione di informare sull’esistenza di rischi e impegni
futuri anche se tali impegni o rischi non incidono sulla consistenza del patrimonio di oggi. Ora
queste informazioni devono essere riportate nella nota integrativa.
Il conto economico.
Per quanto riguarda il conto economico, esso rappresenta il risultato economico dell’esercizio. La
sua forma è differente da quella dello stato patrimoniale. Parliamo di una forma espositiva scalare.
Ovvero vi è un’unica sequenza di componenti positivi e negativi di reddito. Tale forma permette di
distinguere il risultato ottenuto da normali operazioni di gestione da quello ottenuto da operazioni
di finanziamento e di impiego temporaneo dei mezzi finanziari. Le voci del conto economico sono :
A) Valore della produzione : qui vanno sommati algebricamente i ricavi derivanti dall’attività
tipica e i costi di produzione (B) come gli ammortamenti o le svalutazioni. Ottenendo cosi il
risultato loro della gestione ordinaria.
C) I proventi ed oneri finanziari : ovvero i proventi derivanti da partecipazioni
D) Rettifiche di valore di attività finanziarie.
La somma algebrica dei diversi totali ottenuti in ogni area da vita al risultato lordo, sul quale
verranno poi calcolate e sottratte le imposte.
Il rendiconto finanziario.
Il rendiconto finanziario non è obbligatorio per tutte le società, ma comunque rappresenta i flussi
finanziari, ovvero gli incassi e i pagamenti che hanno determinato una variazione delle
disponibilità liquide della società nel corso dell’esercizio (i così detti cash flows). Questi flussi
vengono distinti in :
1. Flussi finanziari relativi all’esercizio dell’attività produttiva principale
2. Flussi finanziari relativi alla realizzazione o smobilizzazione di investimenti.
3. Flussi finanziari derivanti dall’attività finanziaria

Per quanto riguarda invece la nota integrativa, essa contiene le informazioni che integrano ed
illustrano in maniera più chiara il contenuto dello stato patrimoniale e del conto economico. Vi è
infine un ulteriore documento, ovvero la relazione sul bilancio che serve principalmente per
informare gli shareholders riguardo la gestione passata e gli obiettivi futuri.

i criteri di valutazione.
Come è facilmente intuibile la valutazione di alcune voci comporta necessariamente delle stime,
ad esempio la valutazione di un terreno o di un’attrezzatura. Precedentemente queste valutazioni
venivano fatte in modo distorsivo ad esempio, si sovra valutavano le passività dando luogo alle
così dette riserve occulte, ovvero utili che la società ha conseguito ma che non risultano. Per
evitare ciò oltre ai criteri della prudenza e della continuità, il legislatore ha previsto dei criteri
specifici con i quali iscrivere i vari elementi nello stato patrimoniale.
Il criterio base è quello del costo storico ovvero il costo di acquisto o di produzione, nel quale
vanno computati anche i costi accessori.
Anche le immobilizzazioni vengono iscritte tramite questo criterio ma quelle materiali ed
immateriali devono essere anche ammortizzate, ovvero gli deve essere sottratto una parte del loro
valore in relazione alla residua possibilità di utilizzazione, ad esempio per l’usura. se però il valore
di un’immobilizzazione risulta essere durevolmente minore del costo storico ammortizzato, vuol
dire che quell’immobilizzazione si è svalutata, magari per fattori naturali, ma deve essere iscritta in
bilancio con quel valore minore. Vediamo ora le eccezioni al criterio del costo storico :
1. Le immobilizzazioni finanziarie costituite da partecipazioni in imprese controllate o
collegate possono essere rilevate con il metodo del patrimonio netto, ovvero iscrivendo in
bilancio la quota presente nel patrimonio netto della società partecipata.
2. I costi di impianto, di ampliamento e di sviluppo possono essere iscritti solo se hanno
un’utilità pluriennale
i crediti inoltre devono essere valutati secondo la loro realizzazione, quindi dovranno essere iscritti
per la minor somma che si presume di poter realizzare.
Gli strumenti finanziari derivati sono iscritti al fair value ovvero al volare di scambio o di mercato
dello stesso strumento. Infine, vi sono precise disposizioni riguardanti anche le operazioni in
moneta estera. Infatti, le attività e le passività che hanno ad oggetto pagamenti in denaro devono
essere iscritte al tasso di cambio della chiusura dell’esercizio, eventuali plusvalenze danno origine
a riserve non distribuibili. Mentre le operazioni che non danno luogo a crediti o debiti, sempre in
moneta estera, devono essere iscritte al tasso di cambio del momento dell’operazione.
Per concludere ripetiamo un concetto di fondamentale importanza precedentemente accennato :
è possibile che gli amministratori deroghino questi criteri di valutazione e quindi le norme che li
dispongono se reputano che la loro applicazione possa essere incompatibile con la
rappresentazione veritiera e corretta.

il procedimento di formazione del bilancio.


Perfetto ora abbiamo quindi capito a cosa serve il bilancio, chi lo deve fare e come lo deve fare, di
cosa si compone ecc.
Ora invece ci soffermiamo sulla formazione del documento. I soggetti che partecipano alla
redazione del bilancio dipendono dal tipo di organizzazione : se infatti ci riferiamo al sistema
tradizionale, alla sua redazione partecipano tutti e tre gli organi sociali, gli amministratori, il
collegio sociale e l’assemblea, nonché il soggetto incaricato alla revisione esterna legale dei conti.
Per quanto riguarda invece il modello dualistico, il bilancio viene predisposto dal consiglio di
gestione ed approvato dal consiglio di sorveglianza.
Visto che il bilancio deve essere approvato o respinto dall’assemblea ordinaria, diciamo che i suoi
tempi dipendono quindi dai tempi di convocazione assembleare che ricordiamo deve avvenire non
oltre centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio (intorno marzo/aprile).
Noi ci occuperemo del modello tradizionale, nel quale la redazione spetta agli amministratori, che
non possono delegarla. Essi vengono affiancati ad un soggetto esperto in materia, ovvero un
dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili. Successivamente il bilancio dovrà
essere comunicato al collegio sindacale il quale eserciterò la revisione legale dei conti.
Il progetto di bilancio con i relativi allegati, ovvero le relazioni degli amministratori, del collegio
sindacale dovrà essere depositato entro 15 giorni prima dell’assemblea nella sede della società
(per le società quotate nel sito internet). I poteri dell’assemblea oltre che l’approvazione o la
respinta del documento, non sono specificati ma essa può anche modificare direttamente il
progetto di bilancio. Entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio, gli amministratori dovranno
depositare presso il registro delle imprese una copia di esso.
Come già detto parlando delle delibere assembleari, per garantire un processo fluido e stabile, le
azioni di annullabilità e/o nullità non possono essere fatte dopo che è stato approvato il bilancio
successivo.

L’assemblea che approva il bilancio delibera anche sulla distribuzione degli utili ai soci. Però non
tutti gli utili sono distribuibili sia per vincoli legali che statuari. In primo luogo se la società registra
delle perdite, gli utili non possono essere distribuiti fino a che il capitale sociale sia reintegrato (si
sistema la perdita quindi) oppure ridotto di una misura equivalente. Inoltre, per legge, il 5% degli
utili deve essere disposto in una riserva legale che ha la funzione di salvaguardare l’integrità del
capitale sociale, per evitare che future perdite intacchino quest’ultimo. Però la riserva legale deve
raggiungere il 20% del capitale sociale, dopo di ciò non vi si deve più disporre il 5% degli utili.
Lo statuto inoltre può prevedere una riserva, con una funzione invece di autofinanziamento. Essa
può essere modificata con un eventuale assemblea straordinaria che modifichi lo stesso statuto.
Possono essere previste dall’assemblea ordinaria che approva il bilancio delle altre riserve
facoltative.
Vi possono essere anche altri vincoli di destinazione degli utili, ad esempio norme statuarie che
prevedono una partecipazione per i soci fondatori o per i promotori.
Gli utili che possono essere distribuiti ai soci devono essere deliberati specificatamente, con un
ulteriore delibera (a differenza delle società di persone in cui sorgono agli azionisti diritti
individuali per l’assegnazione del proprio utile). Possiamo quindi notare come sia favorito il
reinvestimento degli utili rispetto ai singoli interessi del socio. Inoltre il potere dispositivo
dell’assemblea riguardo gli utili è limitato sia da clausole statuarie che prevedono determinate
categorie di azioni ma sia da clausole, che rispettando il patto leonino (patto con cui uno o più soci
sono esclusi dalla divisione) incidano sulla modalità di distribuzione. Le società non possono
pagare dividendi sulle azioni (ovvero non possono dare quella parte dell’utile agli azionisti) se non
per utili realmente conseguiti. Ne può procedere se vi sono delle perdite da coprire. Se viola
queste norme, gli utili distribuiti sono denominati utili fittizi e la relativa delibera è nulla per
illeceità dell’oggetto. Gli azionisti non sono esposti però, e quindi non devono restituire gli utili
fittizi, se senza colpa ignoravano il carattere fittizio.

Il bilancio consolidato.
Il bilancio consolidato è un bilancio aggiuntivo fatto dalla società vertice di un gruppo. Esso deve
rappresentare la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica considerando il gruppo nella
sua unità. Precedentemente non era obbligatorio, ma dal 1991, per adattarsi alle normative
europee, lo è diventato. Esso viene quindi redatto dalle società di capitali che controllano altre
imprese e dalle società cooperative che controllano società di capitali, a meno che le società
sottostanti sono individualmente irrilevante al fine di una rappresentazione patrimoniale,
economica e finanziaria unitaria. Il bilancio consolidato è redatto dagli amministratori della
capogruppo e ha la stessa struttura del bilancio normale, tranne che per l’esclusione di alcune voci
che inficerebbero sulla rappresentazione unitaria, come le partecipazioni o i proventi e gli oneri
per operazioni effettuate tra le imprese. Quindi è come se si dovesse trattare di un’unica impresa.
Esso è accompagnato da una relazione degli amministratori contenente un’analisi fedele,
equilibrata ed esauriente. L’unica differenza con il bilancio normale è che non è assoggettato
all’approvazione dell’assemblea e quindi è un atto degli amministratori.

CAPITOLO DICIANNOVESIMO :
LE MODIFICAZIONI DELLO STATUTO.

Quando parliamo di modificazioni dello statuto in realtà parliamo di un mutamento del contenuto
oggettivo del contratto sociale, dunque non solo lo statuto in sé per sé ma anche l’atto costitutivo.
Questo mutamento può consistere nell’inserimento di nuove clausole, nella modificazione o
soppressione di vecchie. Visto che le possibili modifiche potrebbero essere moltissime, la disciplina
a riguardo si limita a regolamentare il procedimento.
Come precedentemente detto le delibere volte alla modificazione dello statuto rientrano nella
competenza dell’assemblea straordinaria.
Inizialmente le delibere modificative dello statuto erano soggette ad omologazione da parte del
tribunale mentre ora i compiti di controllo spettano al notaio che ha verbalizzato la delibera. Egli
entro 30 giorni dalla verbalizzazione, la deve depositare presso nel registro delle imprese e l’ufficio
delle imprese la ricontrollerà nuovamente. La delibera non produce effetti se non dopo l’iscrizione.
Per le assemblee straordinarie vige il principio maggioritario (c’è però da precisare che questa
frase non è del tutto corretta in quanto per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale
di rischio, il quorum deliberativo si raggiunge con l’intero capitale sociale con diritto di voto, certo
è vero che potrebbe essere che i soci di minoranza abbiano tutti azioni di risparmio. Mentre per le
società che non ricorrono al mercato di rischio servono 2/3 del capitale sociale presente in
assemblea quindi penso che con quella frase si riferisca di più a questo caso) quindi le minoranze
sono quasi impossibilitate ad impedire modifiche dell’assetto societario.
Proprio per questo motivo sono previsti degli strumenti di tutela. In primo luogo, comunque
devono essere rispettati i principi di correttezza e di parità di trattamento fra gli azionisti. Ma in
secondo luogo i soci di minoranza, ma in generale tutti i soci, hanno in questo caso il diritto di
recesso.
Dal 2003, i casi in cui è possibile appellarsi al diritto di recesso sono aumentati di molto tanto che è
possibile distinguere le cause che danno luogo al diritto di recesso in 3 categorie : cause
inderogabili, cause derogabili e cause statuarie.
Le cause inderogabili sono elencate dall’articolo 2437 1° comma. L’articolo esprime la possibilità
del diritto di recesso, anche per una parte delle azioni, nel caso in cui le delibere riguardino ad
esempio, modificazioni dell’oggetto sociale o trasformazione della società, o ancora trasferimento
della sede all’estero ecc. in questi casi i soci che non hanno concorso (perché assenti o
dissenzienti) hanno diritto di recesso.
Queste vengono definite cause inderogabili perché il diritto di recesso non può essere soppresso
dallo statuto.
Le cause derogabili invece prevedono il diritto di recesso nei casi in cui i soci non abbiano concorso
a delibere riguardanti la proroga del termine della durata della società o riguardanti introduzione o
rimozione di vincoli sulla circolazione delle azioni. In questo caso i soci possono recedere se lo
statuto non prevede diversamente e il diritto di recesso non è valido per una parte di azioni.

Quindi in questi casi il diritto di recesso costituisce un’estrema reazione del socio di fronte ad
una modificazione non desiderata di elementi essenziali del contratto sociale o di fronte ad un
abuso.

Per quanto riguarda invece le società a tempo indeterminato non quotate il diritto di recesso
costituisce una via di fuga nei confronti di una durata potenzialmente illimitata. Infatti i soci i
queste società possono recedere con un preavviso di centottanta giorni.

Per usufruire del diritto di recesso, colui che vuole recedere deve darne comunicazione tramite
lettera raccomandata entro 15 dall’iscrizione della delibera che gli permette di esercitare tale
diritto. Se invece il fatto non è una delibera allora entro 30 giorni dalla sua conoscenza. Le azioni
per le quali è esercitato il diritto vengono depositate nella società. In quanto verranno prima
offerente in opzione agli altri soci e poi in caso vendute a terzi. Se non avviene né l’uno né l’altro,
la società le acquisterà o con utili o con delle riserve. Se però non ne le ha a disposizione allora
dovrà diminuire il capitale sociale. Ma come si stabilisce il valore di quelle azioni ? per le società
non quotate lo stabiliscono gli amministratori, consultando il collegio sindacale e il revisore dei
conti. Per le società quotate invece con la media aritmetica dei orezzi di chiusura nei sei mesi che
precedono l’assemblea.

Le modificazioni del capitale sociale : l’aumento reale, l’aumento nominale e la diminuzione.


Lo statuto può essere modificato anche nel caso in cui le società vogliano o debbano aumentare o
diminuire il capitale sociale.
Per quanto riguarda l’aumento del capitale sociale, esso può essere reale oppure nominale.

Aumento reale e diritto di opzione.


Nel caso di un aumento reale del capitale sociale, la società vuole procurarsi nuovi mezzi finanziari,
quindi nuovi conferimenti. L’unica condizione affinché vi sia un aumento reale è che le azioni
corrispondenti ai conferimenti iniziali siano completamente liberate, ovvero che siano stati
eseguiti interamente i corrispondenti conferimenti. Se viene violata tale condizione risponderanno
gli amministratori in solido. Per aumentare il capitale sociale in teoria vi deve essere una delibera
nell’assemblea straordinaria, ma è possibile se previsto dallo statuto che possano direttamente
farlo gli amministratori, se però nello statuto sia scritto il massimo entro cui possono aumentare.
Il verbale della delibera sarà redatto dal notaio e controllato della presenza di tutti i requisiti, solo
dopo tali controlli potrà essere iscritto nel registro delle imprese.
La delibera che prevede l’aumento dovrà anche fissare un termine entro il quale dovranno essere
raccolte le iscrizioni. Se non viene sottoscritto tutto il nuovo capitale offerto, se la delibera lo aveva
espressamente previsto allora ci sarà un aumento di quello che si è raccolto, mentre se non lo si
aveva previsto non è ammissibile una sottoscrizione parziale e quindi si dovranno restituire le
somme già versate. Le azioni possono venire emesse con sovraprezzo, in tal caso il tutto deve
essere conferito alla società. Per quanto riguarda i conferimenti in natura, potranno essere valutati
anche con metodi differenti dalla stima giurata ma il valore dovrà essere controllato al massimo
entro 30 giorni dal conferimento.

Quando si aumenta il capitale sociale si emettono delle nuove azioni che dovranno rappresentare i
nuovi conferimenti entranti nella società, queste nuove azioni per legge devono essere
riconosciute ai soci o comunque a chi possiede il diritto di opzione e poi a terzi.
Vediamo più nel dettaglio tale diritto.
Il diritto di opzione è il diritto dei soci attuali di essere preferiti a terzi nella sottoscrizione
dell’aumento del capitale sociale a pagamento.
Questo diritto conferisce a chi lo possiede un vantaggio non piccolo ma soprattutto permette di
mantenere inalterata la formazione della volontà sociale. Infatti il diritto di opzione ha un valore
economico ed è concesso all’azionista di monetizzarlo cedendolo. Oggi questo diritto ha per
oggetto le azioni di nuova emissione di qualsiasi categoria e le obbligazioni convertibili in azioni
emesse dalla società. il diritto di opzione compete agli azionisti di ogni categoria ed è attribuito in
proporzione alle azioni già possedute.
Per quanto riguarda le azioni non optate quindi quelle in cui non è stato esercitato il diritto di
opzione, gli amministratori non possono collocarle a loro piacimento ma sono soggetti a delle
restrizioni.
Il diritto di opzione inoltre può essere sacrificato in 4 casi :
1) Se è escluso per legge. Parliamo del caso in cui la società voglia dei conferimenti in natura
da terzi determinati.
2) È escluso quando l’interesse della società lo esige
3) Può essere escluso dallo statuto per le società quotate. Però la parte esclusa non può
superare il 10% del capitale sociale preesistente
4) Può essere escluso con delibera assembleare straordinaria se le azioni devono essere
offerte ai dipendenti.
È inoltre possibile l’opzione indiretta. Ovvero quando le azioni di nuova emissione sono
sottoscritte da banche o da altri soggetti autorizzati al collocamento di strumenti finanziari. Ma tali
soggetti sono obbligati ad offrirle considerando il diritto di opzione.

Invece riguardo l’aumento di capitale nominale, quindi gratuito, non vi sono nuovi conferimenti e
quindi non c’è un aumento del patrimonio sociale. Ricordiamo che inizialmente, alla costituzione
della società, i conferimenti costituiscono il capitale sociale che corrisponde (solo inizialmente al
patrimonio sociale). L’aumento nominale avviene tramite le riserve e gli altri fondi iscritti al
bilancio disponibili. Ad esempio, tramite le riserve statuarie, oppure tramite la riserva legale
quando supera il 20% del capitale sociale. L’aumento è quindi realizzato utilizzando valori già
esistenti nel patrimonio della società. a questo aumento deve necessariamente corrispondere o
un aumento del valore nominale delle azioni o emettendo nuove azioni che verranno date
gratuitamente.

Riduzione.
Come è possibile aumentare il capitale sociale e possibile anche diminuirlo. Anche la riduzione può
essere reale o nominale. Reale se vi è il rimborso dei conferimenti, mentre nominale se si riduce
per perdite.
La riduzione reale precedentemente avveniva solamente per esuberanza, ovvero nel momento in
cui si era raccolto eccessivo capitale di rischio, mentre oggi vi ricorrono più cause.
Però c’è da considerare che la riduzione del capitale sociale reale, è un’operazione pericoloso per i
creditori sociali, ed è per questo che vi sono una serie di tutele sostanziali e procedimentali.
Intanto il capitale non può essere ridotto al di sotto del minimo legale di 50 mila euro.
L’avviso di convocazione dell’assemblea per la riduzione deve indicare le ragioni e le modalità della
stessa riduzione. La delibera inoltre può essere eseguita dopo 90 giorni dall’iscrizione, per
permettere ai soci di opporsi. Tale opposizione sospende l’esecuzione della delibera.
Per quanto riguarda le modalità : intanto si po' dar luogo a riduzione liberando i soci dall’obbligo di
versare i conferimenti ancora dovuti oppure rimborsando. Le modalità prescelte per la riduzione
devono comunque garantire un trattamento alla pari degli azionisti, ad esempio estraendo a sorte
ed annullando un certo numero di azioni dietro rimborso. Ai soci ai quali vengono annullati tali
azioni gli vengono date le così dette azioni di godimento che permettono di partecipare alla
ripartizione degli utili ma non danno diritto di voto.

Se invece si registrano delle perdite bisogna ridurre il capitale sociale nominale all’attuale valore
del capitale sociale. Le perdite infatti abbassano il patrimonio sociale e di conseguenza quello di
cui stiamo parlando è una diminuzione nominale. Tale diminuzione è facoltativa se le perdite non
superano 1/3 del capitale sociale. In questo caso infatti la società utilizza le riserve, ma può anche
decidere ugualmente di ridurre il capitale sociale nominale per distribuire gli utili ai soci.
La riduzione è invece obbligatoria quando supera 1/3. se non supera però il minimo legale
rappresentante 50 mila euro allora gli amministratori dovranno convocare un’assemblea
straordinaria e presentare la situazione patrimoniale e le osservazioni precise. L’assemblea
prenderà gli opportuni provvedimenti, che non corrispondono necessariamente alla riduzione ma
le perdite possono anche essere rinviata a nuovo. Se così viene fatto e nell’esercizio successivo
non sono diminuite di almeno un terzo allora si dovrà ridurre il capitale sociale per forza in
proporzione delle perdite accertate. In mancanza di tale riduzione, questa sarà disposta d’ufficio
dal tribunale. La disciplina se la perdita va oltre un terzo del capitale e questo si riduce al di sotto
del minimo legale. In tal caso l’assemblea convocata sempre senza indugio, deve deliberare per
forza la riduzione o la trasformazione della società. se l’assemblea non adotta tali decisioni la
società si scioglie ed entra in stato di liquidazione. La società può presentare in alternativa
domanda di ammissione alla procedura del concordato preventivo, in quel caso la disciplina in
tema di riduzione rimane sospesa. Oppure può far domanda di omologazione al tribunale di un
accordo di ristrutturazione dei debiti chiedendo la protezione da azioni esecutive dei creditoi.

LE OBBLIGAZIONI

Nozione e tipologia.

L’obbligazione un tipico e tradizionale strumento della raccolta di capitale di prestito tra il pubblico
e può essere emessa dalle società per azioni.
Precisamente le obbligazioni sono titoli di credito (nominativi o al portatore) che rappresentano
frazioni di uguale valore nominale e con uguali diritti di un’unitaria operazione di finanziamento a
titolo di mutuo. Di conseguenza i titoli obbligazionari rappresentano un credito verso la società.
È quindi lampante la distinzione tra azione ed obbligazione:
- l’azione  attribuisce la qualità di socio e di conseguenza, di compartecipe ai risultati
d’esercizio d’impresa;
- L’obbligazione  attribuisce invece la qualità di creditore della società.

L’obbligazionista, diversamente dall’azionista, ha diritto ad una remunerazione periodica fissa


(interessi), quindi normalmente svincolata dal risultato economico della società finanziata; in più,
ha diritto al rimborso del valore nominale del capitale prestato alla scadenza pattuita.
L’azionista invece, aderito al rimborso del suo apporto solo in sede di liquidazione della società e
sempre nel caso in cui vi sia un attivo netto dopo che sono stati soddisfatti tutti i creditori compresi
gli obbligazionisti. È evidente come, inoltre, la quota di liquidazione dell’azionista può essere
uguale, superiore oppure inferiore al valore nominale del conferimento eseguito.

Meno netta è invece la distinzione tra obbligazioni e strumenti finanziari partecipativi, poiché sono
entrambi i titoli emessi a seguito di un apporto non imputato a capitale. In ogni caso però, le
obbligazioni hanno caratteristiche tipiche:
a) sono titoli di massa, poiché rappresentano frazioni standardizzate di un’unica operazione
economica;
b) Attribuiscono il diritto al rimborso di una somma di denaro. Il diritto al rimborso del
capitale delle obbligazioni può essere subordinato, in tutto oppure in parte, alla
soddisfazione dei diritti di altri creditori, ma non può dipendere dall’andamento economico
della società, né può essere escluso oppure soppresso; soltanto i tempi e l’entità del
pagamento degli interessi possono variare in dipendenza di parametri oggettivi anche
relativi all’andamento della società.
Per quanto riguarda invece gli strumenti finanziari partecipativi, essi sono genericamente “ forniti
di diritti patrimoniali oppure anche diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea Generale
degli azionisti” (art. 2346). Rappresentano quindi una categoria residuale che comprende tutti
quegli strumenti finanziari emessi dalla società che non sono qualificati o disciplinati dalla legge in
altro modo.
Poiché è chiaramente possibile una stretta somiglianza tra le obbligazioni e determinati s.f.p., l’art.
2411 prevede che la disciplina delle obbligazioni è applicabile anche agli strumenti finanziari “che
condizionano i tempi e l’entità del rimborso del capitale all’andamento economico della società”.
La pratica societaria ha creato e continua a creare particolari tipi di obbligazioni per incentivare il
pubblico verso tale forma di investimento, quali:
a) obbligazioni indicizzate  sono mirate ad adeguare il rendimento dei titoli all’andamento
del mercato finanziario, ancorando il tempo ed il tasso di interesse e/o i tempi ed il valore
di rimborso a indici di varia natura che possono anche essere relativi all’andamento
economico della società:
b) obbligazioni convertibili in azioni  con esse l’obbligazionista può trasformare il proprio
credito in una partecipazione della società emittente (procedimento diretto) o di altra
società alla prima collegata (procedimento indiretto);
c) obbligazioni con warrant (o con diritto di opzione su azioni)  con esse l’obbligazionista ha
il diritto di sottoscrivere o acquistare azioni dalla società emittente o di altra società
rimanendo comunque creditore in forza delle obbligazioni possedute. È questo il punto che
le distingue dalle obbligazioni convertibili;
d) obbligazioni subordinate  in questo caso il diritto degli obbligazionisti al pagamento degli
interessi ed al rimborso del capitale è, in tutto o in parte, subordinato all’integrale
soddisfacimento degli altri creditori, in caso di liquidazione o di assoggettamento a
procedura concorsuale della società emittente;
e) obbligazioni partecipative  la loro remunerazione periodica del capitale è commisurata,
in tutto o in parte, agli utili di bilancio della società emittente.
Le subordinate e le partecipative devono avere una durata non inferiore a 36 mesi, quando sono
emesse da società non quotate di medie o grandi dimensioni, secondo i parametri dimensionali
fissati dalla legge.

I limiti all’emissione di obbligazioni.

In base all’attuale disciplina la società per azioni può emettere obbligazioni, nominative o al
portatore, per somma non eccedente complessivamente il doppio del capitale sociale
(sottoscritto), della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato.
Sono i sindaci ad attestare il rispetto di tale limite.
Tuttavia alla società è concesso emettere obbligazioni per ammontare suoperiore al limite nel caso
in cui:
1) le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate ad essere sottoscritte da investitori
istituzionali soggetti a vigilanza prudenziale (banche, società finanziarie e imprese di
assicurazione);
2) le obbligazioni sono garantite da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della
società, sino a 2/3 del valore (di bilancio) di questi;
3) ricorrono particolari ragioni che interessano l’economia nazionale e la società è autorizzata
con provvedimento dell’autorità governativa a superare il limite;
4) le obbligazioni sono destinate ad essere quotate in mercati regolamentati o in sistemi
multilaterali di negoziazione;
5) le obbligazioni danno il diritto di acquistare oppure di sottoscrivere azioni (obbligazioni
convertibili o obbligazioni con warrant).

Restano in ogni caso salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari categorie di società,
quali le società bancarie.
Per le altre società la legge si preoccupa di garantire che il rapporto tra capitale più riserve e
obbligazioni permanga per tutta la durata del prestito obbligazionario (art. 2413).
La società che ha emesso obbligazioni non può infatti ridurre volontariamente il capitale o
distribuire riserve se il limite non risulta più rispettato per le obbligazioni che restano in
circolazione. È però consentita la riduzione (per perdite) obbligatoria ma in tal caso, o nel caso in
cui le riserve diminuiscano in conseguenza di perdite, non possono distribuirsi utili finché non
viene ripristinato il predetto rapporto.

Il procedimento di emissione.

Se la legge o lo statuto non dispongono diversamente, l’emissione delle obbligazioni è deliberata,


dagli amministratori (art. 2410). La delibera deve risultare da verbale redatto da un notaio, è
soggetta a controllo di legalità dello stesso e ad iscrizione nel registro delle imprese. Essa produce
effetti e può essere eseguita solo dopo l’iscrizione.
Inoltre, la delibera per l’emissione di obbligazioni che prevedono la costituzione di garanzie reali a
favore dei sottoscrittori, deve designare un notaio per il compimento delle formalità.
L’ammontare delle obbligazioni deve essere annotato in un apposito libro delle obbligazioni, ove
devono essere annotati anche l’ammontare delle obbligazioni via via estinte, nonché il cognome
ed il nome dei titolari di obbligazioni nominative, i trasferimenti ed i vincoli a queste relative.
Le obbligazioni convertibili in azioni.

Come abbiamo già accennato esiste la possibilità di convertire un’obbligazione in un’azione


utilizzando come riferimento le somme apportate per l’acquisto dell’obbligazione. L’art. 2420-bis
disciplina in particolare le obbligazioni convertibili in azioni per procedimento diretto (già visto
poco prima) delineando alcune condizioni per l’emissione di tali obbligazioni:
a) la delibera di emissione delle obbligazioni convertibili non può essere adottata se il capitale
sociale precedentemente sottoscritto non è stato precedentemente versato;
b) le obbligazioni convertibili non possono essere emesse per somma complessivamente
inferiore al loro valore nominale ed al valore nominale delle azioni offerte in conversione.
Le obbligazioni convertibili non sono assoggettate invece al limite quantitativo fissato
dall’art. 2412.

È l’assemblea straordinaria a deliberare l’emissione di obbligazioni convertibili.


L’atto costitutivo oppure una sua successiva modifica possono, con delega, attribuire agli
amministratori la facoltà di emettere obbligazioni convertibili, fino ad un ammontare
predeterminato e per il periodo massimo di 5 anni.
La stessa assemblea che delibera l’emissione delle obbligazioni deve anche determinarne il
rapporto di cambio, nonché il periodo e le modalità di conversione. Deve inoltre contestualmente
deliberare l’aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente al valore nominale
delle azioni da attribuire in conversione.
Durante il periodo concesso per la conversione vanno rispettate tre regole:
a) in caso di aumento del capitale sociale a pagamento e di nuove emissioni di obbligazioni
convertibili, il diritto di opzione sugli stessi spetta anche ai possessori di obbligazioni
convertibili. Si permette così agli obbligazionisti di mantenere inalterata la proporzione
della loro futura partecipazione azionaria.
b) In caso di aumento gratuito del capitale o di riduzione dello stesso per perdite, il rapporto
di cambio è automaticamente modificato in proporzione alla misura dell’aumento o della
riduzione del capitale. Nel primo caso, quindi la società aumenterà proporzionalmente il
numero delle azioni offerte in conversione, se l’aumento gratuito è attuato mediante
l’emissione di nuovi titoli. Nel caso di riduzione per perdite, invece, sarà ridotto il valore
nominale o il numero delle azioni offerte in conversione.
c) Infine, la società non può deliberare la riduzione volontaria del capitale sociale, la fusione
con altra società, la scissione o la modificazione delle disposizioni dello statuto concernenti
la ripartizione degli utili, fin quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione. Il
divieto non ha però carattere assoluto. Può infatti essere superato dalla società
concedendo agli obbligazionisti la facoltà di conversione anticipata.
In caso di fusione e scissione ai possessori di obbligazioni convertibili, che non si avvalgono
della conversione anticipata, devono essere assicurati diritti equivalenti a quelli loro
spettanti prima della fusione o della scissione, salvo che la modifica dei loro diritti non sia
stata approvata dall’assemblea degli obbligazionisti.

L’organizzazione degli obbligazionisti.

Le S.p.a. prevedono un’organizzazione del gruppo degli obbligazionisti articolata in due organi:
l’assemblea ed il rappresentante comune (artt. 2415-2418).
L’assemblea degli obbligazionisti delibera:
1) sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune;
2) Sulle modificazioni delle condizioni del prestito;
3) Sulle proposte di amministrazione controllata e di concordato preventivo fallimentare;
4) Sulla costituzione di uno sfondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e
sul relativo rendiconto;
5) sugli altri oggetti di interesse comune degli obbligazionisti.

Per l’assemblea degli obbligazionisti valgono, salvo alcune regole specifiche, le stesse disposizioni
dettate per l’assemblea straordinaria dei soci.
L’assemblea è convocata dagli amministratori della società oppure dal rappresentante comune
degli obbligazionisti. Se gli obbligazionisti che richiedono la convocazione dell’assemblea
rappresentano 1/20 dei titoli emessi e non estinti, allora la convocazione è obbligatoria.
All’assemblea possono assistere amministratori e sindaci.
Circa le delibere di modificazione delle condizioni del prestito è necessario, anche in seconda
convocazione, il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentano la metà delle obbligazioni
emesse non estinte. Le deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti sono iscritte nel registro
delle imprese a cura del notaio che ha redatto il verbale.
L’intera disciplina dettata per le delibere assembleari nulle e annullabili è estesa anche alle
delibere dell’assemblea degli obbligazionisti.
Il rappresentante comune degli obbligazionisti e nominato dall’assemblea degli obbligazionisti. Se
così non fosse, È nominato dal tribunale, Su domanda di uno o più obbligazionisti o degli
amministratori della società. La nomina è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese. La
carica di rappresentante comune dura non più di tre esercizi ed è rieleggibile. Può essere
revocato dall’assemblea anche senza giusta causa salvo il risarcimento dei danni.
Quali sono le funzioni del rappresentante comune? Egli:
1) Esegue le deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti;
2) Assistere alle operazioni per l’estinzione a sorteggio delle obbligazioni, operazioni che sono
nulle se svolte senza la sua presenza oppure, in sua mancanza, di un notaio;
3) Possiede la rappresentanza processuale degli obbligazionisti, anche nelle procedure
concorsuali.
Sono precluse solo ed esclusivamente le azioni individuali del singolo obbliga azionista che “siano
incompatibili con le deliberazioni dell’assemblea previste dall’articolo 2415”.

LO SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETA’ PER AZIONI

Le cause di scioglimento.

Lo scioglimento della S.p.a. è disciplinato dagli artt. 2484-2496 c.c..


La società per azioni si scioglie ed entra in stato di liquidazione col verificarsi di una delle seguenti
cause (art. 2484).
1) il decorso del termine di durata fissato nell’atto costitutivo; termine che può tuttavia essere
prorogato prima della scadenza con delibera dell’assemblea straordinaria. Per le società
che non fanno appello al mercato del capitale di rischio è richiesta la maggioranza
rafforzata di più di un terzo del capitale sociale anche in seconda convocazione (art. 2369).
In tutte le s.p.a., salvo diversa disposizione dello statuto, è concesso agli azionisti che non
hanno concorso all’approvazione della delibera, il diritto di recesso.
2) Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, nel
caso in cui quest’ultima abbia carattere assoluto e definitivo. In ogni caso, tale causa di
scioglimento non opera se l’assemblea, all’occasione convocata senza indugio, delibera le
opportune modifiche statuarie.
3) L’impossibilità di funzionamento o la continua inattività dell’assemblea. È necessario però
che la paralisi dell’organo assembleare precluda l’adozione di delibere necessarie per il
funzionamento della società.
4) La riduzione del capitale sociale (per perdite) al di sotto del limite legale, salvo che
l’assemblea deliberi la riduzione ed il contemporaneo aumento del capitale ad una cifra
superiore al minimo legale, oppure la trasformazione della società.
5) La delibera dell’assemblea straordinaria di scioglimento della società in seguito al recesso
di uno o più soci, prevista dall’art. 2437-quater, oppure all’impossibilità di provvedere al
rimborso delle relative azioni senza ridurre il capitale sociale o all’opposizione dei creditori
alla riduzione.
6) La deliberazione dell’assemblea straordinaria di scioglimento anticipato, per la quale nelle
società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è richiesta la maggioranza
rafforzata di più di un terzo del capitale sociale anche in seconda convocazione (art, 2369).
7) Le altre cause previste dall’atto costitutivo o dallo statuto, per le quali lo stesso deve
determinare la competenza a deciderle o accettarle e ad effettuare i prescritti adempimenti
pubblicitari.
Dopo il 2003 non è più causa di scioglimento la dichiarazione di fallimento della società.

Al verificarsi di una delle cause di scioglimento, gli amministratori devono verificarla senza indugio
e iscrivere nel registro delle imprese la relativa dichiarazione o la deliberazione assembleare che
dispone lo scioglimento. Se questi non lo fanno, il tribunale, su istanza dei singoli soci, o sindaci o
amministratori, accerta il verificarsi della causa di scioglimento con decreto soggetto ad iscrizione
nel registro delle imprese.
Ai sensi dell’attuale disciplina (2003) gli effetti connessi al verificarsi di una causa di scioglimento
decorrono dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione di
accertamento del consiglio di amministrazione o della delibera assembleare che dispone lo
scioglimento (art. 2484). Da questo momento si producono, almeno nei confronti dei terzi, tutti gli
effetti per legge ricollegabili al verificarsi di una causa di scioglimento.
In caso di ritardo o di omissione nell’accertamento e nell’iscrizione, gli amministratori sono
personalmente e solidamente responsabili per i danni subiti dalla società, dei creditori sociali e dai
terzi (2485).

La società in stato di liquidazione.

Il verificarsi di una delle cause di scioglimento non determina l’immediata estinzione della società,
si deve prima procedere alla liquidazione della stessa, provvedendo cosi al pagamento dei
creditori sociali ed alla ripartizione fra i soci dell’eventuale residuo attivo. Analizziamo ora la
posizione degli amministratori durante il processo di liquidazione.
Essi restano in carica fino alla nomina dei liquidatori ma, contemporaneamente all’accertamento
della causa di scioglimento, devono convocare l’assemblea per le delibere relative alla
liquidazione. Devono inoltre conservare (sono responsabili de) i beni sociali fin quando non li
abbiano consegnati ai liquidatori.
Infine, e soprattutto, vengono limitati i loro poteri tant’è che, al solo verificarsi di una delle cause
di scioglimento gli amministratori conservano il potere di gestire la società “ai soli fini della
conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale” (art. 2486) in attesa di farne
consegna ai liquidatori. Per gli atti o le omissioni poste in essere violando tale limitazione, gli
amministratori sono personalmente e solidamente responsabili dei danni arrecati alla società, ai
soci, ai creditori sociali ed ai terzi. Con gli amministratori risponderà nei confronti dei terzi anche la
società.
“le disposizioni… sulle assemblee e sugli organi amministrativi e di controllo si applicano, in quanto
compatibili, anche durante la liquidazione” (art 2488), quindi lo scioglimento della società si
ripercuote anche sugli altri organi sociali.
Il collegio sindacale invece continuerà a svolgere la consueta attività di controllo anche nei
confronti dei liquidatori che subentrano agli amministratori.
Per quanto riguarda invece la posizione dell’assemblea durante la liquidazione, è controverso se
talune delibere modificative dello statuto quali l’aumento del capitale sociale a pagamento o
riduzione facoltativa o ancora trasferimento della sede sociale all’estro (…), siano in compatibili
con lo stato di liquidazione. È comunque consentita la fusione con altra società fin quando non sia
iniziata la distribuzione dell’attivo (art. 2501).
Per quanto concerne invece la revoca dello stato di liquidazione, la disciplina stabilisce che la
società può in ogni momento revocare lo stato di liquidazione e tornare ad una fase di normale
esercizio con delibera dell’assemblea straordinaria, ma nelle società che non fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio è richiesta la maggioranza rafforzata di un terzo del capitale sociale
anche in seconda convocazione. In tutte le s.p.a. inoltre è consentito, a tutti i soci che non hanno
concorso alla deliberazione, il diritto di recesso.
La revoca ha effetto solo dopo 60 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese, termine entro il
quale i creditori sociali anteriori all’iscrizione possono proporre opposizione, secondo le modalità e
con gli effetti previsti dalla disciplina della riduzione facoltativa del capitale sociale.

Il procedimento di liquidazione. L’estinzione della società.

Il procedimento di liquidazione si apre con la nomina di uno o più liquidatori, I quali, salvo diversa
disposizione dello statuto, sono nominati dall’assemblea straordinaria con delibera che ne fissa
anche il numero, le regole di funzionamento ed i poteri con particolare riguardo “alla cessione
dell’azienda sociale, di rami di essa, oppure anche di singoli beni o diritti”, Nonché agli “atti
necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio,
anche di singoli rami, in funzione del migliore realizzo”.
Se il guidatore non sono nominati dall’assemblea, lo sono dal tribunale, su istanza dei singoli soci o
amministratori oppure dei sindaci.
I liquidatori restano in carica per tutta la durata del riferimento di liquidazione salvo che vi sia un
termine espressamente fissato. Per essi valgono le stesse cause di ineleggibilità e di decadenza
previste per gli amministratori. I liquidatori possono essere revocati dall’assemblea con le
maggioranze prescritte per l’assemblea straordinaria. Inoltre, se sussiste giusta causa, sono
revocabili anche dal tribunale, su istanza dei soci, dei sindaci oppure del pubblico ministero.
Sia il provvedimento di nomina che quello di revoca dei liquidatori sono soggetti all’iscrizione nel
registro delle imprese.
Vediamo ora quali sono i poteri, i doveri e le responsabilità dei liquidatori. Con l’iscrizione della
nomina dei guidatori, gli amministratori cessano dalla loro carica e devono consegnare ai
liquidatori i libri sociali, una situazione dei conti alla data dello scioglimento ed un rendiconto della
loro gestione relativo al periodo successivo all’ultimo bilancio approvato. Poteri, doveri e
responsabilità dei liquidatori sono modellati su quelli degli amministratori:
a) I liquidatori devono adempiere i loro doveri con la diligenza e la professionalità richieste
dalla natura dell’incarico e la loro responsabilità è disciplinata dalle norme in tema di
responsabilità degli amministratori;
b) I liquidatori devono prendere in consegna dagli amministratori di beni e i documenti
sociali, nonché redigere con gli stessi l’inventario del patrimonio sociale;
c) I liquidatori possono compiere “tutti gli atti utili per la liquidazione della società”, Salvo
diversa disposizione statuaria o adottata in sede di nomina.
Poiché l’attività dei liquidatori deve essere innanzitutto diretta al pagamento dei creditori sociali,
essi non possono ripartire fra i soci i beni della società fin quando non siano pagati tutti i creditori
noti oppure non siano state accantonate le somme necessarie per pagarli. Tuttavia, l’attuale
disciplina consente la distribuzione ai soci di acconti durante la liquidazione. I liquidatori sono
personalmente e solidalmente responsabili nei confronti dei creditori sociali per i danni che ad essi
ne derivano.
Nel caso in cui i fondi disponibili risultino insufficienti, i liquidatori possono chiedere
proporzionalmente ai soci i versamenti ancora dovuti sulle azioni non interamente liberate.
I liquidatori devono redigere ogni anno il bilancio e sottoporre all’approvazione dell’assemblea
(art. 2409).
Nel primo bilancio successivo alla loro nomina i liquidatori devono indicare le variazioni nei livelli
di valutazione adottati rispetto all’ultimo bilancio approvato, e le ragioni e conseguenze di tali
variazioni inoltre, quando sia prevista la continuazione anche parziale dell’attività d’impresa, le
relative poste di bilancio devono avere separata indicazione.
Con la conversione in denaro dell’attivo si completa la liquidazione del patrimonio sociale E i
liquidatori devono redigere il bilancio finale di liquidazione, indicando la parte spettante a ciascun
socio nella divisione dell’attivo (c.d. piano di riparto).
Il bilancio finale di liquidazione deve essere approvato (silenzio assenso) dai singoli soci e non
dall’assemblea, questo naturalmente perché ora è in gioco l’interesse del singolo all’ottenimento
della quota di liquidazione.
Una volta approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione
della società dal registro delle imprese nel quale ufficio, inoltre, sono depositati I libri della società.
L’attuale disciplina prevede la cancellazione d’ufficio quando per oltre tre anni consecutivi non
viene depositato il bilancio annuale di liquidazione.
Intervenuta la cancellazione dal registro, nonostante la società sia effettivamente estinta, I
creditori sociali rimasti insoddisfatti possono far valere i loro diritti:
a) Nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al
bilancio finale di liquidazione;
b) Nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.
Di conseguenza alla cancellazione dal registro delle imprese segna quindi l’estinzione della società
per azioni, quand’anche vi siano creditori non soddisfatti.
I creditori possono tuttavia chiedere il fallimento della società entro un anno dalla cancellazione
della stessa dal registro delle imprese.
CAPITOLO VENTIDUESIMO :
LA SOCIETA’ IN ACCOMANDITA PER AZIONI

La società in accomandita per azioni (SAPA) è un tipo di società che come l’accomandita semplice
ha due categorie di soci :
a. I soci accomandatari : sono i soci che rispondono illimitatamente e solidamente per le
obbligazioni sociali e sono per legge amministratori della società
b. I soci accomandanti : sono i soci che rispondono solo per la parte di quota sottoscritta

Prima di proseguire vorrei ricordare la differenza principale tra società di capitali e società di
persone. Il tutto si basa sull’autonomi patrimoniale che nelle società di persone è imperfetta,
ovvero i creditori di tali società se non riescono a soddisfarsi con il patrimonio sociale, possono
aggredire quello personale del socio. Il fatto però dell’autonomia patrimoniale imperfetta è
contrappeso dall’assenza del minimo per la costituzione. La caratteristica principale delle società di
persone deriva proprio dall’autonomia patrimoniale imperfetta, in quanto la responsabilità dei
soci è :
 Illimitata : i soci rispondono con tutti i loro beni
 Solidale : ovvero che i creditori della società possono pretendere l’intero pagamento anche
da un solo socio, il quale poi avrà la possibilità di rivalersi sugli altri soci in base alle loro
quote di competenza

Potrebbe sembrare la SAPA sia una via di mezzo tra le società di persone e di capitali, ma non è
cosi. Infatti, le partecipazioni sono rappresentate da azioni e la disciplina che si applica, a parte
alcune eccezioni, è quella della società per azioni.
la maggiore peculiarità delle SAPA è che vi è un nesso indissolubile tra il socio accomandatario – la
posizione di amministratore – e la responsabilità per le obbligazioni sociali.
Infatti, i soci indicati nell’atto costitutivo come soci accomandatari sono tutti di diritto
amministratori. Il socio accomandatario che cessa dall’ufficio d’amministrazione non risponde più
per le obbligazioni sociali dopo la cessazione, cioè dopo tale avvenimento questo socio farà parte
della categoria degli accomandanti. Ovviamente il nuovo amministratore non risponderà delle
obbligazioni sociali precedenti la sua nomina.
In succo : Vi è quindi una coincidenza fra accomandatari ed amministratori e accomandatari
amministratori e la risposta delle obbligazioni sociali sorte nel periodo di carica.

Vediamo alcuni punti in cui la disciplina delle SAPA si discosta da quella delle società per azioni.
Intanto come abbiamo detto nell’atto costitutivo devono risultare i soci accomandatari, che poi
saranno gli amministratori. La denominazione sociale inoltre deve esser costituita dal nome di
almeno un socio accomandatario e deve indicare che è una SAPA. Per quanto riguarda la
responsabilità, lo sappiamo, dobbiamo solo dire che i creditori sociali possono soddisfarsi sul
patrimonio personale del socio solo se prima non sono riusciti a soddisfarsi sul patrimonio sociale.
La disciplina si distacca riguardo alcune delibere assembleari : gli amministratori non possono
votare per nominare o revocare i sindaci ovvero i componenti del consiglio di sorveglianza ne il
revisore legale. Mentre le delibere riguardanti le modifiche dello statuto devono essere approvate
da tutti i soci accomandatari. Le più significative deviazioni riguardano, come era facilmente
intuibile, l’organo amministrativo. come già detto, i soci accomandatari sono di diritto
amministratori ed il loro ufficio ha carattere permanente. Però essi possono essere revocati
tramite una delibera con le maggioranze valide per l’assemblea straordinaria. Importante è anche
il fatto che la nomina degli amministratori nuovi deve essere approvata dagli amministratori in
carica. Infine a differenza delle società per azioni vi è un'altra causa di scioglimento, ovvero la
SAPA si scioglie se cessano tutti gli amministratori e in 180 giorni non si provvede alla sostituzione.

CAPITOLO VENTITREESIMO
LA SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA

La società a responsabilità limitata è una società di capitale nella quale :


 per le obbligazioni sociali risponde solamente la società con il suo patrimonio
 le partecipazioni non possono essere azioni
quindi visto che le partecipazioni non possono essere rappresentate da azioni, la società a
responsabilità limitata non è preposta per raccogliere capitali di rischio dai risparmiatori. Anzi ciò
era espressamente vietato. Nel 2003 però, con la riforma delle società di capitali, le S.R.L. possono
raccogliere denaro emettendo titoli di debito (titoli emessi da soggetti che hanno bisogno di
finanziamenti) ma non possono collocare tali titoli presso i risparmiatori. Tali titoli di debito
possono essere emessi sia dai soci che dagli amministratori, a seconda di cosa prevede lo statuto,
e possono essere sottoscritti solamente da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale.
Una novità molto particolare e recente riguardo le S.R.L. è che esse possono essere costituite con
solamente un euro. Spieghiamoci meglio : già in precedenza il minimo legale per le S.R.L. minore
rispetto alle altre società di capitali (10.000) ma per favorire la nascita di nuove società il minimo
legale è sceso abbondantemente. Se però viene costituita una società con capitale sociale iniziale
inferiore del minimo legale i conferimenti devono essere versati per intero e in denaro nelle mani
degli amministratori. Queste società inoltre non possono ridurre il loro capitale. Tutto ciò
ribadiamo è per favorire la nascita di S.R.L. con la possibilità che esse si rafforzino gradualmente.
Per quanto riguarda l’organizzazione, inizialmente si riprendeva quello delle società per azioni, ma
in un momento successivo si è voluto creare un modello più elastico e con più potere
all’autonomia privata. Tanto che oggi è possibile adottare statutariamente il modello organizzativo
proprio della società di persone, ad esempio si può sopprimere in tema di decisione dei soci, il
procedimento assembleare.

Vediamo meglio la costituzione e i conferimenti.


Come abbiamo accennato il capitale sociale minimo è 10.000 € ma in sede di costituzione può
anche essere derogato e determinato in misura inferiore. La denominazione sociale invece, come
per le società per azioni, può essere liberamente formata ma deve contenere l’indicazione S.R.L.
Ricordiamo inoltre che quando abbiamo parlato di società per azioni unipersonali, abbiamo
specificato che la prima società a cui è stato concessa la costituzione da parte di un singolo socio
era proprio S.R.L. la disciplina è infatti la stessa.

Con l’attuale disciplina riguardante i conferimenti è caduta grande parte dei limiti. Prima si
attuavano le stesse norme per le società per azioni mentre ora il principio alla base dei
conferimenti è quello delle società di persone : possono essere conferiti tutti gli elementi
suscettibili di valutazione economica. (Inoltre il 25% dei conferimenti in denaro si versa agli
amministratori). Tra gli elementi che possono essere conferiti rientrano anche le prestazioni
d’opere o servizi purché l’intero valore assegnato a tale conferimento sia garantito da una polizza
assicurativa. (ovvero se tipo vuole farti come conferimento un servizio lo può fare ma deve fare
allo stesso tempo una polizza assicurativa di valore identico al suo servizio)
Anche la disciplina dei conferimenti in natura risulta essere semplificata, tanto che non serve più
l’esperto nominato dal tribunale ma è sufficiente un revisore iscritto nell’apposito registro.
Riguardo il socio moroso ovvero quel socio che non adempie entro i termini prescritti al
pagamento della quota sociale, la disciplina è differente da quella delle società per azioni. O
meglio rimane sempre la regola che il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci e
che la società può vendere coattivamente le sue quote.
Per le S.R.L. se queste quote dopo la vendita coattiva non vengono comprate allora gli
amministratori potranno escludere il socio trattenendo le somme ma abbassando il capitale
sociale.
Un’altra ed ultima novità riguardante le S.R.L. sono le nuove norme riguardanti i finanziamenti dei
soci. Visto che il fenomeno era molto diffuso, soprattutto per le S.R.L. a conduzione familiare si è
deciso porre dei limiti, ad esempio tale finanziamento sarà rimborsato dopo il soddisfacimento dei
creditori. Ciò vale solo però per quei finanziamenti che sono stati concessi in un momento in cui
risultava un eccessivo indebitamento oppure quando è eccessivo.

Le quote sociali
a differenza delle società per azioni, le partecipazioni per una S.R.L. sono rappresentate da quote.
Nelle S.R.L. il capitale sociale è diviso secondo un criterio personale, ovvero inizialmente ci sono
tante quote quanti soci costituiscono la società. ad ogni socio è data una singola quota di
partecipazione, ma le quote non hanno pari valore e non attribuiscono stessi diritti in quanto
dipende dal capitale sottoscritto dal socio. Ovvero che se egli sottoscrive 10€ di capitale sociale,
avrà una quota di 10€.
Le quote inoltre attribuiscono diversi diritti, non solo perché la regola base è che i diritti sociali
spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta, ma anche
perché tramite lo statuto si possono conferire diritti speciali ai soci e quindi una quota alla fine
potrebbe essere privilegiata, un’altra riservata all’amministrazione ecc.
Le quote inoltre non possono essere rappresentate da titoli di credito, ma da dei certificati che
possono essere rilasciati e che costituiscono documenti probatori della qualità di socio. Le quote
possono essere trasferite e con esse anche i diritti speciali o non che attribuiscono, però lo statuto
può escludere tale circolazione del tutto o in parte in modo da accentuare il carattere personale
del socio.
Differente nelle S.R.L. è la disciplina riguardo il diritto di recesso sottolineando come esso possa
rappresentare uno strumento di tutela per le minoranze in una società. tale diritto è inderogabile
per una serie di motivi :
- se la società è a tempo indeterminato un socio può sempre recedere con un preavviso di
180 giorni
- si può recedere se un socio non ha consentito, perché assente o dissenziente, a modifiche
dell’oggetto sociale, al trasferimento della sede, alla fusione o scissione …
- si può recedere se si vuole aumentare il capitale sociale senza concedere il diritto di
opzione
i soci che recedono hanno diritto di ottenere il rimborso, ed il valore della loro quota sarà
determinato dal mercato. La situazione è invece analoga quando parliamo delle soluzioni trovate
per far si che un socio possa liberamente recedere senza rovinare l’interesse dei creditori sociali.
Infatti la quota del socio recedente debba essere prima offerta ai soci, oppure ad un terzo scelto
preventivamente dai soci. Se non vi sono acquirenti si rimborsa la quota diminuendo il capitale
sociale.
Le quote come abbiamo detto possono essere trasferite. La disciplina a riguardo tende a
concentrarsi sulla trasparenza della cessione. Infatti, i trasferimenti devono risultare da una
scrittura privata autenticata da un notaio, oppure un documento informatico. Successivamente
verrà depositato entro 30 giorni nel registro delle imprese. Se la quota dovesse essere alienata a
più persone, prevaler chi per primo ha effettuato l’iscrizione, purché sia in buona fede. La società a
responsabilità limitata a differenza della società per azioni non può acquistarsi le proprie quote.
Interessante è che la quota può essere oggetto di espropriazione da parte dei creditori personali
del socio, con conseguente vendita forzata o assegnazione a tale creditore. Però la vendita è priva
di effetto se la società entro 10 giorni trova un soggetto disposto ad offrire lo stesso prezzo, questo
serve per evitare che si inseriscano soggetti non desiderati.

Come anticipato le quote di una S.R.L. non possono essere oggetto di offerta al pubblico. Dal 2017
però alle piccole e medie imprese costituite in forma di S.R.L. è concesso attraverso appositi portali
internet. Per le quote sottoscritte tramite questo portale è previsto, ma non è obbligatorio
aderirne, ad un sistema di intestazione fiduciaria che permette la più veloce circolazione di queste
quote (si può parlare di crowdfunding ?). tale sistema permette che l’investitore effettui la
sottoscrizione tramite un intermediario abilitato e che quest’intermediario effettui la
sottoscrizione in nome proprio sulla base di un mandato fiduciario. In questo caso l’intermediario
è per un socio per conto di terzi, però al fiduciante ovvero l’investitore spetta l’esercizio dei diritti
sociali. Questo sistema agevola la circolazione in quanto se il fiduciante volesse vendere la
circolazione, il trasferimento avverrebbe tramite un’annotazione nel registro dell’intermediario.

Gli organi sociali.


La riforma delle società di capitali del 2003 ha inciso molto sul modello di organizzazione dando
moltissima importanza all’autonomia statuaria.
Certo rimane comunque il modello tripartitico : assemblea-organo amministrativo-organo di
controllo, però il ruolo dell’assemblea è un ruolo marginale, quasi del tutto assente se facciamo il
paragone con le società per azioni.
Infatti, le materie sotto la responsabilità dei soci sono definite in maniera autonoma e sono più
ampie rispetto alle competenze dell’assemblea. Ad esempio, l’approvazione del bilancio e la
distribuzione degli utili, oppure la nomina degli amministratori o dei sindaci, che per le S.P.A.
spettano all’assemblea, nelle S.R.L. spettano inderogabilmente ai soci.
Completamente opposto alla società per azioni si prevede che i soci dispongono di qualsiasi
argomento se sottoposto al loro giudizio da parte degli amministratori o da tanti soci che
rappresentano almeno un terzo del capitale sociale.
Queste tematiche se però non viene specificato nulla nell’atto costitutivo, allora spettano
all’assemblea altrimenti ai soci. La procedura che devono seguire i soci è sicuramente più snella e
si base su una consultazione scritta o sul consenso scritto. In tal caso le decisioni sono adottate con
voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale.
Però vi sono delle decisioni che spettano comunque per forza all’assemblea come le modifiche
dell’atto costitutivo o le decisioni che comportano una sostanziale modifica dell’oggetto sociale.
La disciplina dell’assemblea dipende però dall’atto costitutivo, ovvero ad esempio i modi di
convocazione possono essere differenti se lo statuto prevede ciò. Non è più necessaria, come nelle
S.P.A. la pubblicazione dell’avviso nella Gazzetta ufficiale.
A differenza sempre delle società per azioni, in assemblea possono intervenire tutti i soci e la
rappresentanza non incorre a limitazioni.
Però per le S.R.L. le maggioranze deliberative sono più alte, per l’assemblea ordinaria il quorum
costitutivo è raggiunto con almeno la metà del capitale sociale, mentre quella deliberativa serve la
maggioranza assoluta del capitale intervenuto.
Ovviamente anche per le S.R.L. le decisioni possono essere invalide : se non sono in conformità
della legge o dell’atto costitutivo possono essere impugnate dai soci, dagli amministratori e dai
sindaci anche individualmente entro 90 giorni dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei
soci. Non si richiede quindi, come per le S.P.A. che le delibere vengano impugnate dai soci che
rappresentino almeno una determinata percentuale di capitale. Il tribunale però può assegnare un
termine di tempo entro il quale sanare la causa di invalidità della decisione. Nel caso in cui le
decisioni abbiano oggetto impossibili o illecito allora chiunque ne abbia interesse può impugnarle.

Se ci ricordiamo, gli amministratori si occupano delle decisioni di gestione, ma anche ciò per
quanto riguarda le società a responsabilità limitata è rimesso allo statuto. Quindi ci si è posti la
domanda se fosse possibile che lo statuto prevedesse l’intero potere di gestione ai soci compresa
l’amministrazione.
In mancanza di una diversa disposizione dallo statuto, l’amministrazione è affidata a uno o più
soci, che comporranno cosi l’organo amministrativo, e saranno nominati dagli altri soci. La novità
importante però è che non è necessario che gli amministratori operino come consiglio di
amministrazione decidendo con un metodo collegiale (ovvero il metodo assembleare) ma possono
operare disgiuntamente o congiuntamente come nelle società di persone.
Per alcune tematiche però deve comunque esserci il metodo collegiale come la redazione del
bilancio.
Le cause di invalidità per le delibere possono ritrovarsi nelle decisioni prese dagli amministratori in
conflitto di interessi, o nelle decisioni in cui il voto determinante è stato di un amministratore in
conflitto di interessi ed ha cagionato un danno alla società.
Riguardo alla responsabilità degli amministratori, la disciplina delle S.R.L. è più particolare. Essa
prevede che gli amministratori siano responsabili verso la società, i soci o terzi direttamente
danneggiati, ma non verso i creditori sociali. I soci rispondo in solido con gli amministratori se
hanno autorizzato o deciso intenzionalmente il compimento di atti dannosi per la società. infine il
singolo socio può disporre contro l’amministratore che ha creato gravi danno di gestione e
revocarlo.
Riguardo l’organo di controllo, esso viene disposto dall’atto costitutivo, il quale ne delimita anche
le competenze e i poteri. Vi sono però dei casi in cui tale nomina è obbligatoria, ad esempio
quando bisogna redigere un bilancio consolidato.

Altri aspetti.
Riguardo la redazione del bilancio, che viene fatto in modo collegiale dagli amministratori, e della
distribuzione degli utili, non vi sono differenza son le S.P.A.
Cambiano le disposizioni sulla riserva legale, che visto il minor capitale necessario per la
costituzione, è maggiore e deve arrivare a 10.000€. riguardo le modifiche dell’atto costitutivo, con
previsioni di aumento di capitale reale, bisogna delegare gli amministratori. I limiti e come verrà
fatto ciò è rimesso allo statuto. Mentre per la diminuzione, non si può diminuire al di sotto del
capitale minimo legale , anche quando si deve farlo per perdite. Per concludere come nelle società
di capitali l’obbligo di ridurre per perdite non vale se si è iniziata la procedura di concordato
preventivo.
Lo scioglimento, invece, è disciplinato in modo unitario per tutte le società di capitali quindi basta
vedere quello delle società per azioni.

La società a responsabilità limitata semplificata.


Non è altro che un tipo speciale di società a responsabilità limitata introdotta nel 2012. Si tratta di
un modello societario disciplinato dalle norme relative alle S.R.L. ma con alcune differenze. Non è
più necessario che i soci fondatori abbiano età inferiore ai 35 anni, e può essere costituita da
contratto o da atto unilaterale. Il capitale sociale deve essere maggiore o uguale ad un euro e
minore di 10.000€. i conferimenti devono essere fatti in denaro e il capitale deve essere tutto
sottoscritto. Per costituirla serve però l’atto pubblico. Le pratiche per costituire tale società sono
molto più economiche, ma proprio quest’economicità è compensata dal fatto che la disciplina non
viene rimandata allo statuto ma segue un modello predefinito.

LE SOCIETA’ COOPERATIVE

Il sistema legislativo.

Le società cooperative sono società a capitale variabile che perseguono uno scopo mutualistico
(art. 2511).
Il nostro ordinamento favorisce la diffusione e lo sviluppo delle società che perseguono tale scopo.
L’articolo 45 della Costituzione infatti, dice che “la Repubblica riconosce la funzione sociale della
cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e
favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e
le finalità”. La disciplina delle società cooperative è particolarmente articolata e complessa.
La disciplina generale delle società cooperative dettata dal codice del 1942 era integrata e
completata infatti in più punti dalla c.d. legge Basevi (d.l.c.p.s. n. 1577 del 1947). Inoltre, ulteriori
modifiche introdotte dalla legge numero 59 del 1992 hanno agevolato la raccolta di capitale di
rischio da parte delle cooperative.
Numerose erano e restano poi le leggi speciali volte ad incentivare il fenomeno cooperativo.
Alcune delineano un particolare statuto per le cooperative che operano in determinati settori
produttivi (cooperative agricole, cooperative di credito…).
Altre leggi speciali fissano poi particolari requisiti e riconoscono particolari agevolazioni creditizie e
tributarie per le cooperative che perseguono specifici fini sociali (cooperative per la promozione
dell’occupazione giovanile nel mezzogiorno).
La riforma delle cooperative del 2003 lasciò sostanzialmente inalterata la complessa legislazione
speciale, ma incise significativamente sulla disciplina generale, fra l’altro, introducendo la
distinzione tra “società cooperative a mutualità prevalente” e le altre società cooperative, Dando
così luogo ad una bipartizione delle società cooperative.
Prima di affrontare questo punto è però necessario approfondire caratteri distintivi di tali società
rispetto alle società lucrative.

Le società con scopo mutualistico.

Le società cooperative si distinguono dagli altri tipi di società per lo scopo economico perseguito.
Più esattamente, identico allo scopo-mezzo delle società cooperative edelle società lucrative:
esercizio in comune di una determinata attività economica. Diverso è invece lo scopo-fine: nelle
società lucrative, la produzione di utili (lucro oggettivo) da distribuire fra i soci (lucro soggettivo);
Nelle società cooperative, lo scopo mutualistico.
Ma in cosa consiste esattamente lo scopo mutualistico? In cosa e fino a che punto si differenzia
dallo scopo lucrativo?
Secondo l’originaria relazione al codice civile lo scopo mutualistico consiste “nel fornire beni o
servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione a condizioni più
vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato” (relazione al codice civile numero 1025).
Più esattamente, nelle cooperative di consumo vi è una tendenziale coincidenza fra i soci e i
soggetti che usufruiscono dei beni o servizi prodotti dall’impresa esercitata dalla società. Nelle
cooperative di produzione e di lavoro, Invece, I fattori produttivi necessari per l’attività di impresa
sono tendenzialmente forniti dagli stessi soci, anche eventualmente, attraverso una propria
distinta attività di impresa.
L’attività di impresa delle società cooperative si caratterizza quindi per la cosiddetta “gestione di
servizio” a favore dei soci I quali sono i destinatari elettivi (ma non esclusivi) dei beni o dei servizi
prodotti dalla cooperativa, oppure delle possibilità di lavoro e della domanda di materie prime
dalla stessa create.
Il che consente ai soci della cooperativa di ottenere condizioni più vantaggiose di quelle di
mercato. Nel processo di produzione e/o di distribuzione viene infatti eliminata l’intermediazione
di altri imprenditori ed il relativo profitto: “I soci si fanno imprenditori di se stessi”.
I soci di una cooperativa mirano perciò a realizzare un risultato economico ed un proprio
vantaggio patrimoniale, Attraverso lo svolgimento di attività di impresa. Il risultato economico
perseguito non è prevalentemente quello della più elevata remunerazione possibile del capitale
investito (lucro soggettivo), Bensì quello di soddisfare un comune preesistente bisogno economico
(il bisogno di lavoro, il bisogno del bene casa…) conseguendo un risparmio di spesa per i beni o
servizi acquistati dalla propria società (cooperative di consumo), Oppure una Maggiore
retribuzione per i propri beni o servizi alla stessa ceduti (cooperative di produzione e di lavoro).
I soci sono avventori sono coloro i quali non sono specificamente interessati alle prestazioni
mutualistiche ed il cui ruolo è esclusivamente quello di portare il capitale di rischio necessario per
lo svolgimento dell’attività della cooperativa.

(Segue): Scopo mutualistico e scopo lucrativo.

Nelle cooperative, lo scopo mutualistico è prevalente ma non esclusivo, può quindi coesistere con
un’attività con terzi produttiva di utili (lucro oggettivo).
Incompatibile con lo scopo mutualistico è e resta però l’ integrale distribuzione ai soci degli utili
prodotti dalla cooperativa. Le norme che regolano la destinazione degli utili si caratterizzano per la
previsione di limiti massimi della percentuale di utili distribuibile alle diverse categorie di soci.
Esercizio di attività di impresa tendenzialmente orientata verso il soddisfacimento di preesistenti
bisogni economici dei soci E con limitata ripartizione fra i soci stessi degli utili eventualmente
prodotti. Sono questi, in definitiva, i dati caratterizzanti lo scopo mutualistico e del profilo causale
delle società cooperative.

Le cooperative a mutualità prevalente.

Come anticipato, l’attuale disciplina generale delle società cooperative si basa sulla distinzione tra
società cooperative a mutualità prevalente e altre società cooperative. Le prime godono di tutte le
agevolazioni previste per le società cooperative, le seconde invece non godono delle agevolazioni
di carattere tributario, pur continuando a godere delle altre agevolazioni.
Elementi caratterizzanti le cooperative a mutualità prevalente sono:
a) La presenza nello statuto di clausole che limitano la distribuzione di utili e riserve ai soci
cooperatori (art. 2514);
b) La circostanza che la loro attività Deve essere svolta prevalentemente a favore dei soci
(cooperative di consumo), oppure deve utilizzare prevalentemente prestazioni lavorative
dei soci (cooperative di lavoro) o Beni e servizi dagli stessi apportati (cooperative di
produzione e lavoro). Gli amministratori e i sindaci devono documentare nella notte
integrativa al bilancio tali condizioni di prevalenza.

Perdono la qualifica di cooperative a mutualità prevalente è società che per due esercizi non
rispettino tali condizioni.
È società cooperative a mutualità prevalente sono iscritte d’ufficio in un apposito albo delle
società cooperative, Tenuto a cura del ministero dello sviluppo economico. All’amministrazione
che tiene l’albo, tali società devono annualmente comunicare le notizie di bilancio, anche al fine di
dimostrare il rispetto della condizione di prevalenza della gestione mutualistica. In una distinta
sezione dello stesso albo si iscrivono le altre società cooperative.
L’atto costitutivo deve stabilire le regole per lo svolgimento dell’attività mutualistica con i soci e
che ne relativi a rapporti deve essere rispettato il principio di parità di trattamento. L’atto
costitutivo deve anche determinare se la società può svolgere la propria attività anche conto terzi.

I caratteri strutturali.

L’attuale disciplina prevede che le cooperative medie e grandi vengano disciplinate come le
società per azioni mentre che le piccole cooperative (quelle con un numero di soci cooperatori
inferiori a 20 oppure con un attivo dello stato patrimoniale non superiore ad 1 milione di euro)
possono optare per la più snella disciplina della società a responsabilità limitata (articolo 2519). La
adozione del modello organizzativo della società a responsabilità limitata è infine obbligatoria per
le società cooperative costituite con meno di nove soci (articolo 2522).
Inoltre, al fine di orientare l’attività sociale verso il perseguimento dello scopo mutualistico:
a) È previsto un numero minimo di soci per la costituzione e la sopravvivenza della società.
Nel contempo si richiede che i soci cooperatori siano in possesso di specifici requisiti
soggettivi;
b) Sono fissati limiti massimi alla quota di partecipazione di ciascun socio ed alla percentuale
di utili agli stessi distribuibile, sia pure con disposizioni diverse per le cooperative a
mutualità prevalente e le altre cooperative.
c) Le variazioni del numero e delle persone dei soci e le conseguenti variazioni del capitale
sociale non comportano modificazione dell’atto costitutivo. È così data alla società una
struttura aperta, che facilita l’ ingresso di nuovi soci ed il recesso di quanti non sono più
interessati alle attività mutualistica.
d) Ogni socio cooperatore persona fisica ha in assemblea un solo voto, qualunque sia il valore
della sua quota o il numero delle sue azioni. È così capovolta la regola di funzionamento
propria delle società di capitali ed è introdotto il principio “una testa-un voto”.
e) Le società cooperative sono sottoposti a vigilanza dell’autorità governativa al fine di
assicurare il rispetto dei requisiti mutualistici.

La costituzione della società.

Per costituire una società cooperativa è necessario che i soci siano almeno nove (articolo 2522).
Sono tuttavia sufficienti tre soci persone fisiche se la società adotta le norme della società a
responsabilità limitata. Un minimo più elevato è poi previsto per alcune categorie di cooperative
dalla legislazione speciale.
La società si scioglie e deve essere posta in liquidazione se il numero dei soci scende al di sotto del
minimo e non è reintegrato nel termine massimo di un anno.
L’articolo 23 d.l.c.p.s. numero 1577 del 1949 delinea I requisiti soggettivi per la partecipazione ad
una società cooperativa, I quali variano a seconda del settore di attività della cooperativa. La
disciplina attuale fissa tuttavia come regola generale che non possono in ogni caso essere soci
quanti esercitano improprio imprese in concorrenza con quella della cooperativa.
Tali requisiti non sono però richiesti per i soci sovventori.
Il procedimento di costituzione ricalca quello previsto per la società per azioni.
Le indicazioni dell’atto costitutivo, da redigere per atto pubblico, in buona parte coincidono con
quelle stabilite per la società per azioni.
È tuttavia necessario inserire:
a) L’indicazione specifica dell’oggetto sociale, con riferimento ai requisiti e vitali interessi dei
soci;
b) I requisiti, le condizioni e la procedura per l’ammissione di nuovi soci, specificandosi che si
deve trattare di “criteri non discriminatori coerenti con lo scopo mutualistico e l’attività
economica svolta”;
c) Le condizioni per l’eventuale recesso e per l’esclusione dei soci;
d) Le regole per la ripartizione degli utili e i criteri della ripartizione dei ristorni.
La denominazione sociale della società cooperativa deve contenere l’indicazione di società
cooperativa.
L’atto costitutivo deve essere iscritto nel registro delle imprese e con l’iscrizione della società
cooperativa acquista personalità giuridica.
L’attuale disciplina prevede che lo svolgimento dell’attività mutualistica fra società e soci può
essere disciplinata da appositi regolamenti i quali, quando non costituiscono parte integrante
dell’atto costitutivo, sono predisposti dagli amministratori ed approvati dall’assemblea
straordinaria.

I conferimenti. La responsabilità dei soci.

La disciplina dei conferimenti e delle prestazioni accessorie è identica a quella dettata per la
società per azioni, salvo che lo statuto non abbia optato per la disciplina della società a
responsabilità limitata.
Con la riforma del 2003 è stata invece soppressa la distinzione fra cooperative consoci a
responsabilità illimitata e cooperative consoci a responsabilità limitata. Con la tua Le disciplina,
nelle società cooperative per le obbligazioni sociali risponde solo la società col suo patrimonio.
Il socio che non esegue in tutto o in parte i conferimenti dovuti può essere escluso dalla società.
Inoltre, se cessa di far parte della società risponde verso la stessa per un anno dal giorno in cui il
recesso, l’esclusione o la cessione della quota si è verificata. E se entro un anno dallo scioglimento
del rapporto si manifesta l’insolvenza della società, il socio uscente è tenuto a restituire alla stessa
quanto ricevuto per la liquidazione della quota o per il rimborso delle azioni.
Il creditore particolare del socio cooperatore non può agire esecutiva mente sulla quota o sulle
azioni dello stesso. E l’attuale disciplina non gli consente più di fare opposizione in caso di proroga
della società.

Le quote. Le azioni.

Nelle cooperative della partecipazione sociale può essere rappresentata da quote o da azioni, a
seconda che la cooperativa sia regolata dalla disciplina della società per azioni oppure della società
a responsabilità limitata.
Nessun socio persona fisica può avere una quota superiore a € 100.000. Nelle cooperative con più
di 500 soci l’atto costitutivo può tuttavia rilevare tale limite fino al 2% del capitale sociale. Inoltre,
il limite non opera nei casi di conferimenti in natura o di crediti, soci diversi dalle persone fisiche e
così via.
Una specifica disciplina è prevista per il trasferimento della partecipazione sociale (articolo 2530),
Per il rilievo che nelle cooperative acquista la persona dei soci, potenziali fruitori dell’attività
dell’impresa mutualistica.
Le quote e le azioni dei soci cooperatori non possono infatti essere cedute, con effetto verso la
società, senza l’autorizzazione degli amministratori, il cui provvedimento deve essere comunicato
al socio entro 60 giorni dalla richiesta. Vale il silenzio ha senso. L’autorizzazione in ogni caso non
potrà essere validamente concessa in mancanza dei requisiti soggettivi fissati per legge o dall’atto
costitutivo.
Il provvedimento che nega l’autorizzazione deve essere motivato e contro lo stesso il socio non
può proporre opposizione al tribunale.
L’atto costitutivo può anche evitare del tutto la cessione sia delle quote sia delle azioni, salvo in
questo caso il diritto del socio di recedere dalla società con preavviso di 90 giorni e purché siano
decorsi due anni dal suo ingresso in società.
L’atto costitutivo può autorizzare gli amministratori ad acquistare o rimborsare quote o azioni
della società con l’osservanza di un duplice limite: il rapporto tra patrimonio netto e complessivo
indebitamento della società deve essere superiore ad un quarto; l’acquisto oppure rimborso deve
essere effettuato nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo
bilancio regolarmente approvato (articolo 2529).

(Segue): Le nuove forme di finanziamento.

La previsione di limiti massimi alla partecipazione di ciascun socio e dei limiti alla libera
circolazione delle azioni, sommati ai limiti posti per la distribuzione degli utili, frapponevano in
passato vistosi ostacoli alla raccolta di capitale di rischio da parte delle società cooperative. Con la
legge numero 59 del 1992 sono stati elevati i limiti massimi della partecipazione di ciascun socio,
oggi ulteriormente incrementati, Ed i limiti massimi dei prestiti dei soci ammessi a godere delle
agevolazioni fiscali. Nel contempo sono state consentite nuove e più incentivanti forme di raccolta
del capitale di rischio con la previsione della figura dei soci sono avventori e delle azioni di
partecipazione cooperativa.
I conferimenti dei soci sovventore sono rappresentate da azioni nominative liberamente
trasferibili, salvo che l’atto costitutivo non preveda limiti alla circolazione.
L’atto costitutivo può stabilire particolari condizioni a favore dei soci sovventore per la ripartizione
degli utili e la liquidazione delle quote o delle azioni, così superando i limiti posti per i soci
cooperatori. È però stabilito che il tasso di remunerazione dei soci sovventore non può essere
maggiorato in misura superiore al 2% rispetto a quello previsto per gli altri soci.
L’atto costitutivo può attribuire a ciascun socio sovventore più voti, anche in relazione
all’ammontare dei conferimenti, ma non oltre cinque. Inoltre, i voti attribuiti ai soci sovventore
non possono mai superare un terzo dei voti spettanti a tutti i soci.
I soci sovventore possono essere nominati amministratori, ma la maggioranza degli amministratori
deve essere costituita da soci cooperatori.
Le azioni di partecipazione cooperativa costituiscono una particolare categoria di azioni, che
presenta affinità con le azioni di risparmio: sono infatti prive del diritto di voto e sono privilegiate
nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale. Possono essere emesse per ammontare
non superiore al valore delle riserve indivisibili o del patrimonio netto risultante dall’ultimo
bilancio certificato.
al portatore, Se interamente liberate.
Esse sono privilegiate sotto il profilo patrimoniale in quanto:
a) Assicurano ex lege una partecipazione agli utili maggiorata del 2% rispetto quella delle
quote o delle azioni dei soci cooperatori;
b) Hanno diritto di prelazione nel rimborso del capitale per l’intero valore nominale, in sede di
scioglimento della società;
c) Le perdite incidono sulle stesse solo per la parte che eccede il valore nominale complessivo
delle altre azioni o quote.
È prevista un’organizzazione di gruppo dei possessori di tali azioni, per la tutela degli interessi
comuni che si articolano nell’assemblea speciale di categoria e nella rappresentante comune, Il
quale ha funzioni e poteri sostanzialmente coincidenti con quelli visti per le azioni di risparmio.
Alle società cooperative è consentita anche l’emissione di obbligazioni per la raccolta di capitale di
prestito. I limiti e i criteri di emissione sono fissati dal Cicr (comitato interministeriale per il credito
e il risparmio), ferma restando l’applicabilità della restante disciplina dettata per la società per
azioni. Attualmente valgono i medesimi limiti all’emissione previsti in generale dall’articolo 2412.
La riforma del 2003 consente a tutte le società cooperative dell’emissione di strumenti finanziari
secondo la disciplina prevista per la società per azioni (articolo 2526). L’atto costitutivo stabilisce i
diritti patrimoniali o anche amministrativi attribuiti ai possessori di tali strumenti finanziari e le
eventuali condizioni cui è sottoposto il loro trasferimento, fermo restando che il diritto di recesso
dei possessori di strumenti finanziari con diritto di voto è disciplinato dalle norme in tema di
società per azioni.
Ai possessori di strumenti finanziari non può essere attribuito più di un terzo dei voti spettanti
all’insieme dei soci presenti oppure rappresentati in ciascuna assemblea generale. Allo stesso
tempo, per gli strumenti finanziari senza voto è prevista un’organizzazione a tutela dei relativi
interessi (articolo 2541).

Gli organi sociali. L’assemblea.

Gli organi delle società cooperative disciplinate dalle norme sulla società per azioni sono gli stessi
della società per azioni ed identico è il riparto di funzioni con alcune significative deviazioni nella
disciplina dell’assemblea (articoli 2538-2540).
Il peso di ciascun socio cooperatore in assemblea è del tutto svincolato dall’ammontare della
partecipazione sociale. Ogni socio persona fisica ha infatti diritto ad un solo voto, Qualunque sia il
valore della quota o il numero delle azioni possedute. Solo ai soci persone giuridiche possono
essere attribuiti più voti, ma non oltre cinque, in relazione all’ammontare della quota o delle
azioni, oppure al numero dei loro membri.
Ai soci sostenitori possono essere invece attribuiti più voti, ma essi non devono superare in ogni
caso un terzo dei voti spettanti a tutti i soci. Inoltre l’atto costitutivo determina i limiti al diritto di
voto degli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori.
Nelle cooperative consortili, cioè quelle cooperative in cui i soci realizzano lo scopo mutualistico
attraverso l’integrazione delle rispettive imprese pure di talune fasi di esse, il diritto di voto è
attribuito in ragione della partecipazione allo scambio mutualistico.
Nessun socio però puoi scrivere più di un 10º del totale dei voti, oppure più di un terzo dei voti
spettanti ai soci presenti o rappresentati in ciascuna assemblea (articolo 2538).
Inoltre valgono le seguenti regole:
a) Hanno diritto di voto solo coloro che risultano iscritti nel libro dei soci da almeno 90 giorni.
In questo modo sia Italia amministratori possono manipolare le maggioranze a mettendo
un numero massiccio diciotto di soci all’ ultimo momento.
b) Il socio può farsi rappresentare in assemblea solo da altro socio. In ogni caso, ciascun socio
non può rappresentarne più di 10.
c) Il voto può essere dato anche per corrispondenza oppure mediante altri mezzi di
telecomunicazione, se l’atto costitutivo lo consente. In tale caso l’avviso di convocazione
deve contenere per esteso la deliberazione proposta (articolo 2538).
Si possono riscontrare alcune differenze anche per il procedimento assembleare.
I quorum costitutivi e deliberativi vanno calcolati secondo il numero dei voti spettanti per testa ai
soci e non in base all’ammontare della loro partecipazione capitale. I quorum sono determinati
dall’atto costitutivo, Che può derogare in aumento ed anche in diminuzione le maggioranze
stabilite della società per azioni sia per quanto riguarda l’assemblea ordinaria che quella
straordinaria. Non è invece ammessa la convocazione unica; né si applica la regola della “data di
registrazione” per determinare la legittimazione all’intervento in assemblea.
L’innovazione più significativa è però il meccanismo delle assemblee separate, la cui disciplina è
stata in più punti modificata dalla riforma del 2003 (articolo 2540). In cosa consiste? L’atto
costitutivo può prevedere che il procedimento assembleare sia articolato in due fasi per agevolare
la partecipazione dei soci e la formazione delle maggioranze nelle cooperative con ampia
compagine sociale e territorialmente articolate. Le assemblee separate sono però obbligatorie
quando la società ha più di 3000 soci e svolge la propria attività in più province oppure sia più di
cinquecento soci e si realizzano più gestioni mutualistiche.
Le assemblee separate deliberano sulle stesse materie che formeranno oggetto dell’assemblea
generale ed eleggono dei soci-delegati che parteciperanno a quest’ultima, l’attuale delibera
definitivamente sulle materie allora il giorno
Le deliberazioni delle assemblee separate non possono essere autonomamente impugnate mentre
quelle dell’assemblea generale possono essere invece impugnate anche dai soci assenti o
dissenzienti nelle assemblee separate quando, senza i voti espressi dai delegati delle assemblee
separate il regolarmente tenute, verrebbe meno la necessaria maggioranza

(Segue): Amministrazione. Controlli. Collegio dei probiviri.

Ferma restando la possibilità di adottare in alternativa al sistema tradizionale quello dualistico


oppure monistico poche sono le differenze rispetto alla società per azioni per quanto riguarda
amministratori e sindaci delle cooperative.
Nomina  nel sistema tradizionale i primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo e
successivamente dall’assemblea. L’atto costitutivo può tuttavia derogare questa regola, purché la
nomina della maggioranza degli amministratori resti di competenza assembleare. Ad esempio può
attribuire la nomina di uno o più amministratori allo Stato o ad altri enti pubblici; può riconoscere
ai possessori di strumenti finanziari il diritto di eleggere fino ad un terzo degli amministratori… può
infine prevedere che uno o più amministratori siano scelti tra gli appartenenti alle diverse
categorie dei soci, in proporzione dell’interesse che ciascuna categoria ha nell’attività sociale
( articolo 2542).
Nel sistema dualistico invece i possessori di strumenti finanziari non possono leggere più di un
terzo dei componenti del consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione. I componenti del
consiglio di sorveglianza scelti dei soci cooperatori devono essere soci cooperatori.
Nel sistema monistico agli amministratori eletti dai possessori di strumenti finanziari, comunque
non superiore ad un terzo, non possono essere attribuite deleghe operative; né gli stessi possono
far parte del comitato esecutivo.
A differenza del passato, oggi è sufficiente che solo la maggioranza degli amministratori sia scelta
tra i soci cooperatori oppure tra le persone indicate dai soci cooperatori persone giuridiche
(articolo 2542).
Quanto poi al collegio sindacale, la nomina dello stesso nelle cooperative è obbligatoria negli stessi
casi in cui lo è la nomina di un organo di controllo oppure di un revisore nella società a
responsabilità limitata, nonché quando la cooperativa hai messo strumenti finanziari Non
partecipativi (articolo 2543).
Per la nomina del collegio sindacale lo statuto può attribuire il diritto di voto proporzionalmente
alle quote o azioni possedute oppure ragione della partecipazione allo scambio mutualistico e può
prevedere che i possessori di strumenti finanziari dotati di diritti amministrativi possano leggere
fino a un terzo dei componenti del collegio sindacale.
All’interno delle cooperative vi è un altro organo sociale: il collegio dei probiviri. È questo un
organo designato della risoluzione di eventuali controversie fra sorci o tra soci e società,
riguardanti il rapporto sociale o la gestione mutualistica. Si tratta però di un organo che non sa che
dà garanzie di imparzialità.
L’attuale disciplina vieta comunque agli amministratori di delegare i propri poteri in materia di
ammissione, recesso esclusione dei soci e le decisioni che incidono sui rapporti mutualistici con i
soci (articolo 2544).

La vigilanza governativa. Il controllo giudiziario.


Le società cooperative sono sottoposte al controllo dell’autorità governativa, Il quale fine è quello
dell’accertamento dei requisiti mutualistici. Tale vigilanza spetta al ministero dello sviluppo
economico ed è esercitata tramite previsioni, Effettuate con cadenza almeno biennale, ed ispezioni
straordinarie disposte ogni qualvolta se ne ravvisa l’opportunità.
In caso di irregolare funzionamento della società, l’autorità di vigilanza può revocare
amministratori e sindaci affidando la gestione della cooperativa ad un commissario governativo,
determinandone la durata in carica ed i poteri (articolo 2545-sexiesdecies). Può fare lo stesso
anche quando vengono riscontrate irregolarità nelle procedure di ammissione dei nuovi soci e la
società non si adegui a porvi rimedio, oppure per due anni consecutivi non ha depositato il bilancio
di esercizio o non ha compiuto atti di gestione.
Anche le società cooperative sono assoggettate a controllo giudiziario sulla gestione previsto dalla
titolo 2409 per la società per azioni.
Per quanto riguarda il ricorso, esso può essere esercitato dai soci titolari del 10º del capitale
sociale, oppure un 10º del numero complessivo dei soci, ridotto ad un 20º per le cooperative che
hanno più di 3000 soci.
Nel procedimento di ricorso deve essere anche sentita l’autorità di vigilanza governativa ed il
tribunale dichiara l’improcedibilità del ricorso nel caso in cui quest’ultima ha già nominato un
ispettore oppure un commissario. Viceversa, all’autorità di vigilanza sta nel procedimento
amministrativo nei casi in cui il tribunale abbia nominato un ispettore oppure un amministratore
giudiziario.

Bilancio. Utili. Ristorni.

La disciplina della formazione del bilancio di esercizio delle società cooperative è la stessa dettata
per la società per azioni. Le cooperative di maggiori dimensioni e quelli che emettono obbligazioni
devono sottoporre il bilancio alla revisione di una società di revisione.
La percentuale degli utili netti annuali da destinare a riserva legale è sei volte più elevata rispetto
alle società per azioni: il 30%, anziché il 5%. Inoltre tale obbligo sussiste indipendentemente
dall’ammontare raggiunto dalla riserva legale. Con la legge numero 59 del 1992 si è poi introdotto
l’obbligo di destinare il 3% degli utili netti annuali ad appositi “fondi mutualistici per la promozione
e lo sviluppo della cooperazione”. Si tratta in sostanza di una forma di auto contribuzione
obbligatoria, finalizzata alla promozione ed al finanziamento di nuove imprese e delle iniziative di
sviluppo del movimento cooperativo.
Vediamo quali sono i limiti alla distribuzione degli utili. Per tutte le cooperative non quotate vige la
regola che possono essere distribuiti utili, direttamente o indirettamente, solo se il rapporto fra
patrimonio netto e complessivo indebitamento della società è superiore ad un quarto. Questo
vincolo non si applica però ai possessori di strumenti finanziari ed alle cooperative con azioni
quotate in mercati regolamentati. Per le società cooperative che non hanno mutualità prevalente
è sufficiente che l’atto costitutivo fissi la percentuale massima dei dividendi che possono essere
ripartiti tra i soci cooperatori. Inoltre, il loro atto costitutivo può autorizzare l’assemblea ad
assegnare ai soci le riserve disponibili, mediante emissione di strumenti finanziari o mediante
aumento gratuito del capitale sociale. Non possono invece essere distribuite, nemmeno in caso di
scioglimento della società, le riserve indivisibili, Le quali sono invece utilizzabili esclusivamente per
la copertura di perdite dopo che si sono esaurite le altre riserve.
Per quanto riguarda invece le società cooperative a mutualità prevalente, l’attuale disciplina, che
sostanzialmente ricalca la legge Basevi, prevede:
a) Il divieto di distribuire dividendi in misura superiore all’ interesse massimo dei buoni
fruttiferi postali aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente
versato;
b) Il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori
in misura superiore al 2% rispetto a tale limite massimo;
c) Il divieto di distribuire le riserve tra i soci cooperatori;
d) L’obbligo di devolvere in caso di scioglimento della società l’intero patrimonio sociale,
dedotto soltanto il capitale sociale e i dividendi eventualmente maturati, ai fondi
mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
Se viene una quota di utili che residua dopo tali destinazioni, essa può essere allora assegnata
dall’assemblea ad altre riserve fondi oppure distribuita ai soci oppure infine destinata a fini
mutualistici.
Dagli utili (remunerazione del capitale) vanno tenuti distinti i ristorni.
Questi costituiscono rimborso ai soci di parte del prezzo pagato per i beni o servizi acquistati dalla
cooperativa (cooperativa di consumo) a prezzo di mercato, Oppure costituiscono integrazione
della retribuzione corrisposta dalla cooperativa per le prestazioni del socio (cooperative di
produzione e lavoro).
I ristorni rappresentano quindi uno degli strumenti tecnici per attribuire ai soci cooperatori il
vantaggio mutualistico derivante dai rapporti di scambio intrattenuti con la cooperativa. Alle
somme distribuite ai soci a titolo di ristorno non sono perciò applicabili le limitazioni che la legge
pone alla distribuzione degli utili.
I ristorni possono essere distribuiti anche mediante aumento gratuito del capitale sociale oppure
mediante l’emissione di strumenti finanziari.

Variazioni dei soci del capitale sociale.

Le società cooperative sono società a capitale variabile, cioè il capitale sociale non è determinato
in un ammontare prestabilito. La variazione del numero e delle persone dei soci non comportano
per forza modificazione dell’atto costitutivo. Salvo alcuni casi infatti il procedimento per
l’ammissione di nuovi soci cooperatori è estremamente semplificato. L’ammissione è infatti
deliberata dagli amministratori, Su domanda dell’interessato, e la delibera di ammissione è
annotata a cura degli stessi amministratori nel libro dei soci. Il nuovo socio deve versare, oltre
l’importo delle quote o delle azioni sottoscritte, anche il sovrapprezzo eventualmente determinato
dall’assemblea in sede di approvazione del bilancio su proposta degli amministratori.
L’atto costitutivo può prevedere, Determinandone diritti ed obblighi, una categoria speciale di soci
cooperatori che devono seguire un periodo di formazione, non superiore a cinque anni, al termine
del quale anche essi sono messi a godere dei diritti che spettano agli altri soci cooperatori (c.d.
Soci in formazione).
Recesso, esclusione e morte del socio costituiscono nella società cooperativa cause di riduzione
del numero dei soci e del capitale.
Il recesso è ammesso per legge:
a) quando l’atto costitutivo vieta la cessione delle quote o delle azioni;
b) Nei casi previsti per la società per azioni.
Ulteriori cause di recesso possono essere poi stabilite nell’atto costitutivo. Il recesso dei soci
cooperatori non può mai essere parziale.
Gli amministratori devono esaminare la dichiarazione di recesso ed in caso di esito negativo il
socio può proporre opposizione innanzi a tribunale.
Per quanto riguarda l’effetto che la dichiarazione di recesso ha circa il rapporto sociale, esso si ha
dalla comunicazione del provvedimento di accoglimento della domanda.
Per quanto concerne invece i rapporti mutualistici essa ha effetto con la chiusura dell’esercizio
sociale in corso, se comunicata alla società primitive prima. In caso contrario ha effetto con la
chiusura dell’esercizio.
L’esclusione può essere disposta dalla società in caso di:
a) Mancato pagamento delle quote o delle azioni;
b) Nei casi previsti per le società di versione;
c) Per gravi inadempienze del socio degli obblighi derivanti dal rapporto sociale, oppure dal
rapporto mutualistico;
d) Per mancanza o perdita dei requisiti previsti per la partecipazione alla società.
Specifiche cause di esclusione possono essere introdotte dall’atto costitutivo. L’Esclusione deve
essere deliberata dagli amministratori pure, se lo prevede l’atto costitutivo, dall’assemblea. La
deliberazione di esclusione (motivata) Deve essere comunicata al socio, che può proporre
opposizione dinanzi tribunale.
In caso di morte del socio il rapporto sociale si scioglie, a meno che l’atto costitutivo non disponga
la continuazione della società con gli eredi del defunto purché essi siano provvisti dei requisiti per
l’ammissione alla società.
La liquidazione della quota avviene secondo i criteri stabiliti nell’atto costitutivo facendo
riferimento come base al bilancio dell’esercizio in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente al
socio. Il pagamento deve essere effettuato entro 180 giorni dall’approvazione del bilancio stesso e
deve comprendere il rimborso del sovrapprezzo, se versato.

Il gruppo cooperativo paritetico.

Anche le società cooperative possono dar vita ad organizzazione di gruppo ed è diffuso nella
pratica che il gruppo cooperativo trovi fondamento in un accordo contrattuale, inquadrabile nello
schema del consorzio fra imprenditori, volto a dar vita ad una strategia imprenditoriale comune ed
unitaria.
Questo fenomeno trova oggi uno parziale disciplina nell’articolo 2545-septies, dedicato al gruppo
cooperativo paritetico.

La legge fissa innanzitutto il contenuto minimo del relativo contratto richiedendo che siano
indicate:
- la durata;
- La cooperativa o le cooperative cui è affidata la direzione del gruppo ed i relativi poteri;
- “I criteri di compensazione e l’equilibrio nella distribuzione dei vantaggi derivanti
dall’attività comune”
Se per una cooperativa, per effetto dell’adesione al gruppo, le condizioni dello scambio risultino
particolarmente pregiudizievoli per i propri soci, essa può recedere dal contratto senza oneri di
alcun tipo. Il contratto deve essere depositato in forma scritta presso l’albo delle società
cooperative.

Lo scioglimento della società.

Per le società cooperative valgono le stesse cause di scioglimento previste per le società di capitali,
con la sola differenza, dovuta alla variabilità del capitale sociale, che solo la perdita totale del
capitale è causa di scioglimento.
Sono poi cause specifiche di scioglimento:
a) la riduzione dei soci al di sotto del numero minimo di nove (o tre), se questo non è
reintegrato entro un anno;
b) La liquidazione coatta amministrativa disposta dall’autorità governativa.
L’unica peculiarità prevista per il procedimento di liquidazione È costituita dal fatto che, In caso di
irregolarità o di eccessivo ritardo nello svolgimento della liquidazione, l’autorità di vigilanza può
sostituire i liquidatori o, se questi sono stati nominati dal tribunale, può chiedermi la sostituzione
al medesimo.
Nelle cooperative a mutualità prevalente il residuo attivo di liquidazione, cioè l’intero patrimonio
sociale al netto del capitale versato e rivalutato e dei dividendi eventualmente maturati, Deve
essere devoluto ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.

Le mutue assicuratrici.

Quelle di mutua assicurazione sono società cooperative caratterizzate dalla stretta


interdipendenza che per legge esiste fra la qualità di socio e la qualità di assicurato:
“non si può acquistare la qualità di socio, se non assicurandosi presso la società” E, viceversa, “si
perde la qualità di socio con l’estinguersi dell’assicurazione”.
Nelle comuni cooperative di assicurazione si può essere assicurati senza diventare soci e, d’altro
canto, il socio ha diritto alle prestazioni assicurative solo se ed in quanto stipula un distinto ed
autonomo contratto di assicurazione con la società. Inoltre il rapporto sociale permane anche se
viene meno il rapporto assicurativo.
Tutto l’opposto si verifica invece per le mutue assicuratrici. Le deposizioni di socio ed assicurato
infatti, nascono e restano fra loro strettamente collegate. Così, ad esempio, la cessazione del
rischio assicurato comporta il contestuale scioglimento del rapporto assicurativo e di quello
societario. Nelle mutue assicuratrici per le obbligazioni sociali risponde solo la società col proprio
patrimonio.
I soci assicurati sono obbligati verso la società al pagamento di “contributi”, che costituiscono nel
contempo conferimento e premio di assicurazione.
Il patrimonio sociale, formato con i contributi dei soci assicurati, può essere però insufficiente per
l’esercizio dell’attività assicurativa. Di conseguenza, per superare questo ostacolo l’atto costitutivo
può prevedere la costituzione di fondi di garanzia per il pagamento dell’indennità, mediante
speciali conferimenti da parte dei soci assicurati o di terzi, attribuendo anche a quest’ultimi la
qualità di socio.
Di regola nelle mutue assicuratrici coesistono due categorie di soci: I soci sovventori e i soci
assicurati.
I soci sovventori si limitano a conferire il capitale necessario per l’attività della società senza essere
assicurati.
La legge, preoccupandosi di evitare che i soci sovventori prendere il sopravvento nella gestione
della società, prevede che l’atto costitutivo possa attribuire a ciascun socio sovventore più voti, ma
non oltre cinque, In relazione all’ammontare del conferimento. In ogni caso però, i voti attribuiti ai
soci sovventori, devono essere in ogni caso inferiori al numero di voti spettanti ai soci assicurati.
È inoltre consentito che i soci sovventori siano nominati amministratori ma la maggioranza degli
amministratori deve essere costituita da soci assicurati.
CAPITOLO VENTICINQUESIMO :
TRASFORMAZIONE, FUSIONE E SCISSIONE.

Trasformazione.
La trasformazione consiste in un istituto con la quale si attua il cambiamento del tipo di società o il
passaggio da una società di capitali ad un altro tipo di ente giuridico.
Sicuramente la peculiarità più importante è : la continuità dei rapporti giuridici, ovvero che l’ente
trasformato continua ad avere i diritti, le obbligazioni e i rapporti dell’ente che ha eseguito la
trasformazione.
La disciplina in materia è notevolmente cambiata considerando che prima della riforma del 2003 il
codice regolava solo la trasformazione di una società di persone in società di capitali. Questa
lacuna comportava un doppio passaggio : prima l’ente doveva sciogliersi e solo dopo poteva
costituire il nuovo tipo di società.

L’attuale disciplina invece colma tale lacuna attuando una distinzione tra trasformazione
omogenea e trasformazione eterogenea.
La trasformazione omogenea contempla il passaggio da una società lucrativa (di persone o di
capitali) ad un'altra società lucrativa. Questo cambiamento infatti riguarda l’assetto organizzativo
delle società lucrative e permette di evitare l’estinzione e la nuova costituzione, ricorrendo invece
ad una modifica dell’atto costitutivo : in poche parole la società continua a vivere conservando i
diritti e gli obblighi precedenti, ma sotto una veste giuridica differente. (art. 2498)
Il discorso cambia quando la trasformazione non serve per adattarsi alle nuove esigenze
sopravvenute ma per cambiare lo scopo economico. Stiamo parlando della trasformazione di
società lucrative in mutualistiche e viceversa. Infatti, è vietato la trasformazione di una società
cooperativa a mutualità prevalente in società lucrativa. È permesso invece alle altre società
cooperative il passaggio in società di capitali, non di persone, o in un ente societario tramite la
trasformazione eterogena.

Particolare attenzione merita il caso dell’impresa individuale che intenda passare ad una società di
capitali unipersonale : l’operazione è possibile, ma non si può attuare la disciplina della
trasformazione e quindi è necessaria la costituzione ex novo della società. Per concludere il
discorso generale le trasformazioni possono avvenire anche in pendenza di una procedura
concorsuale sempre che non si alteri le finalità e lo stato della stessa.

La trasformazione omogena : il procedimento di trasformazione.


Per ottenere tale trasformazione, occorre una delibera assembleare secondo le modalità dettate
all’interno della disciplina della società che intende trasformarsi.
 Nel caso di società di persone che vuole trasformarsi occorre la maggioranza dei soci. Una
volta ottenuta la maggioranza la delibera fissa le basi del nuovo assetto organizzativo,
quindi occorre che venga modificato l’atto costitutivo tenendo conto delle regole riguardo
la forma e il contenuto del tipo di società scelto. Se la società intende trasformarsi in una
società di capitali l’atto dovrà risultare da atto pubblico. Inoltre, il patrimonio dovrà essere
stimato secondo le norme stabilite. La delibera sarà poi controllata dal notaio, il quale
successivamente la registrerà nel registro delle imprese, insieme alla relazione giurata di
stima del patrimonio sociale, e cosi si produrranno gli effetti della trasformazione.
 Nel caso di società di capitali Per le società di capitali è invece necessaria una delibera
dell'assemblea straordinaria da adottare nelle società per azioni non quotate con la
maggioranza forzata. È comunque richiesto il consenso dei soci che con la trasformazione
assumono responsabilità illimitata. Gli amministratori, sempre per quanto riguarda la
trasformazione in una società di capitali devono predisporre una relazione contenente la
motivazione e gli effetti della trasformazione
 Nella trasformazione di società cooperative, diverse da quelle a mutualità prevalente, in
società di persone o di capitali è invece richiesto il voto favorevole di almeno la metà dei
soci, elevata due terzi quando i soci sono meno di 50.
In tutti i casi i soci che non hanno concorso alla deliberazione hanno diritto di recesso.

La fusione
La fusione è l'unificazione di due o più società in una sola. Può essere realizzata in due diversi
modi:
 con la costituzione di una nuova società che prende il posto di tutte le società preesistenti
(fusione in senso stretto)
 mediante assorbimento in una società preesistente di una o più altre società (fusione per
incorporazione).
La fusione può aver luogo sia fra società dello stesso tipo (fusione omogenea), sia tra società di
tipo diverso(fusione eterogenea). La fusione fra società eterogenee si caratterizza anche per la
trasformazione delle società che partecipano alla fusione. La partecipazione alla fusione non è
consentita alle società che si trovano in stato di liquidazione e che hanno già iniziato
la distribuzione fra i soci del residuo attivo. La fusione è uno strumento di concentrazione delle
imprese societarie che consente di ampliarne la dimensione e la competitività sul mercato. Il
passaggio da una pluralità di società ad una sola determina la riduzione ad unità dei patrimoni
delle singole società e la confluenza dei rispettivi soci in un’unica struttura organizzativa che
continua l’attività di tutte le società preesistenti, mentre queste ultime si estinguono. La società
incorporante o che risulta dalla fusione assume i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla
fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione. I creditori
delle società estinte potranno quindi far valere i loro diritti
sull’unitario patrimonio della società risultante dalla fusione.
 
Il progetto di fusione
Il procedimento di fusione si articola in 3 fasi: progetto di fusione, delibera di fusione e atto di
fusione. È espressamente previsto che gli amministratori delle società partecipanti devono
redigere un progetto di fusione nel quale sono fissate le condizioni e le modalità dell'operazione
da sottoporre all'approvazione dell'assemblea.
Il progetto di fusione deve avere identico contenuto per tutte le società partecipanti e dallo stesso
devono risultare:
 il tipo, la denominazione o ragione sociale, la sede delle società partecipanti alla fusione;
 l'atto costitutivo della nuova società risultante dalla fusione o di quella incorporante;
 il rapporto di cambio delle azioni o quote.
Il progetto di fusione deve essere iscritto nel registro delle imprese del luogo ove hanno sede le
società partecipanti. Inoltre, è prescritta la redazione preventiva di ulteriori 3 documenti:
 la situazione patrimoniale: da redigere con l'osservanza delle norme che regolano
la redazione del bilancio di esercizio;
 la relazione degli amministratori: relazione che illustra e giustifica il progetto di fusione e in
particolar modo il rapporto di cambio;
 la relazione degli esperti: relazione sulla congruità del rapporto di cambio e
sull'adeguatezza del metodo seguito dagli amministratori per stimarlo.
I documenti previsti e in più i bilanci degli ultimi 3 esercizi delle società partecipanti, devono
restare depositati in copia nelle sedi di ciascuna società partecipante durante i 30 giorni che
precedono l'assemblea e fino a quando la fusione non sia stata deliberata. La fase preparatoria
della delibera di fusione può essere tuttavia semplificata in alcuni determinati casi individuati dal
legislatore.

La delibera di fusione
Per l'approvazione del progetto vanno rispettate le norme che regolano le modificazioni dell'atto
costitutivo. Nelle società di persone è sufficiente la maggioranza dei soci, calcolata attraverso la
partecipazione che ognuno di questi ha nella distribuzione degli utili. Nelle società di capitali, la
fusione deve essere deliberata dall'assemblea straordinaria e per le società non quotate sono
necessarie maggioranze rafforzate. Nel caso di fusione eterogenea ai soci che non hanno
acconsentito alla fusione è riconosciuto il diritto di recesso; diritto che invece è riconosciuto, per
fusione omogenea, solo nel caso di S.r.l. Le delibere di fusione delle società devono essere iscritte
nel registro delle imprese, previo controllo di legalità.
La tutela dei creditori sociali
È stabilito che la fusione può essere attuata soltanto 60 giorni dopo l'iscrizione dell'ultima delibera
nel registro delle imprese. Entro questo termine i creditori sociali possono presentare opposizione.
In questo modo la fusione si sospende fino all'esito del relativo giudizio. Il tribunale può tuttavia
autorizzare comunque l'attuazione della fusione, previa prestazione da parte della società
coinvolta di garanzie idonee a favore dei soli creditori opponenti. Se alla fusione partecipano
società con soci a responsabilità illimitata e la società risultate dalla fusione è una società
di capitali, questi soci continuano ad essere illimitatamente responsabili delle obbligazioni sociali
sorte antecedentemente l'iscrizione nel registro delle imprese della delibera di fusione.

L'atto di fusione
Il procedimento di fusione si conclude con la stipulazione dell'atto di fusione. L'atto di fusione deve
essere sempre redatto per atto pubblico. Deve essere iscritto nel registro delle imprese nei luoghi
in cui sono iscritte le società partecipanti e nel comune in cui ha la sede la nuova società risultante
dalla fusione. Dall'ultima iscrizione nel registro delle imprese decorrono gli effetti della fusione.
Una volta eseguite le iscrizioni dell'atto di fusione prescritte per legge, l'invalidità dell'atto di
fusione non può più essere pronunciata, salvo il diritto al risarcimento del danno per eventuali
danni causati a soci o a terzi dalla fusione.

La scissione
Con la scissione il patrimonio di una sola società è scomposto e trasferito in tutto o in parte ad
altre società, con contestuale assegnazione ai soci della prima di azioni o quote delle
società beneficiarie del trasferimento patrimoniale. La scissione può essere:
 totale: l'intero patrimonio della società viene trasferito a più società. La prima società
perciò si estingue;
 parziale: solo una parte del patrimonio della società viene trasferito ad altre società;
la società scissa resta quindi in vita con un proprio patrimonio, anche se ridotto.
Beneficiarie della scissione possono essere sia società di nuova costituzione, nate per gemmazione
dalla società che si scinde (scissione in senso stretto), sia società preesistenti (scissione per
incorporazione). Come per la fusione è espressamente stabilito che non vi ci possono partecipare
le società in stato di liquidazione che hanno iniziato la distribuzione ai soci del residuo attivo.

Il procedimento
Il procedimento di scissione ricalca in grande parte quello illustrato per la fusione. Gli
amministratori delle società partecipanti devono redigere un unitario progetto di scissione,
sottoposto alla stessa pubblicità prevista per il progetto di fusione. Il progetto di scissione deve
contenere sia l'esatta descrizione degli elementi patrimoniali da trasferire sia i criteri di
distribuzione ai soci delle azioni o delle quote delle società beneficiarie del trasferimento. Nella
scissione totale, le attività di incerta attribuzione sono attribuite alle società beneficiarie in
maniera proporzionale alla quota di patrimonio netto distribuita a ciascuna di esse. Delle passività
di dubbia imputazione risponde la società in solido con le società beneficiarie. Nella scissione
parziale, le relative attività restano in testa alla società trasferente. Delle passività rispondono in
solido sia questa sia le società beneficiarie. Per la situazione patrimoniale e le relazioni
è pienamente richiamata la disciplina della fusione, così come per le altre fasi della scissione. Se
beneficiarie della scissione sono società di nuova costituzione, l'atto di scissione vale come atto o
contratto di costituzione. La scissione diventa efficace a partire dalla data in cui è stata eseguita
l'ultima iscrizione dell'atto di scissione nel registro delle imprese del comune dove ha sede la
società beneficiaria.

CAPITOLO VENTICINQUESIMO :
TRASFORMAZIONE, FUSIONE E SCISSIONE
(PRESO DAI RIASSUNTI, LEGGI SE NON È CHIARO QUELLO SOPRA)

LA TRASFORMAZIONE
Nozione e limiti
La riforma del 2003 ha profondamente modificato ha l'ambito di operatività e disciplina della
trasformazione: la trasformazione è nel sistema del codice del 1942 un istituto tipicamente
societario. Questa linea di tendenza è stata recepita dall'attuale disciplina con la distinzione fra
trasformazione omogenea (fra società) e trasformazione eterogenea ( da società di capitali in altri
enti o viceversa).
La trasformazione omogenea e cambiamento del tipo di società; il passaggio da un tipo ad un altro
tipo di società. Ad esempio, una società in nome collettivo assuma la veste giuridica della società
per azioni o viceversa. Con la trasformazione assetto organizzativo della società. Non si ha però
estinzione della società preesistente e successiva società; è la stessa società che continuò a vivere
in una rinnovata veste giuridica e che " conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti
anche processuali dell'ente che ha effettuato la trasformazione" ( art. 2498, 1 comma).
Rientrano nella trasformazione omogenea la trasformazione di società di persone in società di
capitali e viceversa, in breve, il passaggio dall'uno all'altro tipo nell'ambito delle società lucrative.
Per quanto riguarda ciò che comporta il mutamento dello scopo economico della società era e
resta espressamente vietata la trasformazione di una società cooperativa mutualità prevalente in
società lucrativa, "anche se tale trasformazione sia deliberata all' unanimità ". Con la riforma del
2003 è stata invece consentita la trasformazione delle altre società cooperative e società lucrative
o consorzi, la trasformazione di società di capitali ( ma non di persone) in società cooperative.

La trasformazione omogenea: il procedimento e trasformazione


Da trasformazioni omogenea deve essere deliberata secondo le modalità previste
dell'atto costitutivo e con l'osservanza delle relative maggioranze.
Al fine di favorire la trasformazione delle società di persone in società di capitali, ma disciplinato
richiede più il consenso di tutti soci. Se l'atto costitutivo non dispone diversamente, è sufficiente
consenso a maggioranza dei soci determinata secondo la partecipazione attribuita a ciascuna negli
utili. Al socio che non ha concorso alla decisione è però riconosciuto diritto di recesso.
Per le società di capitali è invece necessaria una delibera dell'assemblea straordinaria da adottare
nelle società per azioni non quotate con la maggioranza forzata. È comunque richiesto il consenso
dei soci che con la trasformazione assumono responsabilità illimitata. I soci che non hanno
concorso alla deliberazione hanno diritto di recesso.
Nella trasformazione di società cooperative, diverse da quelle a mutualità prevalente, in società di
persone o di capitali è invece richiesto il voto favorevole di almeno la metà dei soci, elevata due
terzi quando i soci sono meno di 50. La delibera di trasformazione fissa le basi organizzative della
società nella nuova veste giuridica. Deve perciò rispondere a requisiti di forma di contenuto
previsti per l'atto costitutivo del tipo di società prescelto. Devono inoltre essere rispettate le
ulteriori regole previste dalla costituzione della società che risulta dalla trasformazione.
Alla delibera di trasformazione deve essere allegata una relazione giurata di stima del patrimonio
sociale. La delibera di trasformazione in società di capitali è soggetta a controllo di legittimità da
parte del notaio che ha redatto il verbale e ad iscrizione nel registro delle imprese. Ogni socio ha
diritto all'assegnazione di un numero di
azioni o quote proporzionali alla sua partecipazione, mentre regole specifiche sono dettate per
l'assegnazione alle socio d'opera ( art. 2500-quater).
Per quanto riguarda infine le società cooperative diverse da quella mutualità prevalente, l'attuale
disciplina ne consente la trasformazione in società lucrative. Impone però di devolvere ai fondi
mutualistici per la promozione e sviluppo della cooperazione il valore effettivo del patrimonio
esistente alla data della trasformazione.

( segue): La responsabilità dei soci


La trasformazione può comportare un mutamento del regime di responsabilità dei soci.
Se in seguito la trasformazione socio suo responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali,
l'attuale disciplina dispone che comunque richiesto il consenso dei soci che assumono
responsabilità illimitata.
Per favorire la trasformazione, è però introdotto una disciplina che agevola la liberazione dei soci.
È infatti stabilito che:
a) il consenso dei creditori alla trasformazione vale come consenso alla liberazione di tutti soci a
responsabilità illimitata.
b) il consenso a trasformazione si presume, se singoli creditori è stata comunicata per
raccomandata la delibera di trasformazione ed essi non hanno negato espressamente la loro
adesione, nel termine di 60 giorni dal ricevimento della comunicazione. Il silenzio vale quindi
consenso.

La trasformazione eterogenea
L'attuale disciplina regolante la trasformazione eterogenea e più esattamente la trasformazione
eterogenea da parte di una società di capitali o che da vita ad una società di capitali. Non è invece
disciplinata la trasformazione eterogenea di società di persone o in società di persone.
Una società di capitali può trasformarsi in "consorzi, società consortili, società cooperative,
comunione di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni" ( art. 2500-septies).
Più articolata è la disciplina della trasformazione eterogenea in società di capitali ( art. 2500-
octies) prevista per " i
consorzi, le società consortili, le comunioni e di aziende, le associazioni riconosciute e fondazioni "
(ma non per le associazioni e riconosciute e le cooperative).
Nei consorzi la trasformazione deve essere deliberata a maggioranza assoluta dei consorziati. Nelle
comunioni di azienda da tutti i partecipanti alla comunione. Nelle società consortili e nelle
associazioni con le maggioranze richieste per lo scioglimento anticipato.

LA FUSIONE
Nozione. Distinzioni
La fusione è l'unificazione di due o più società in una sola.
Essa può essere realizzata in due diversi modi:
a) con la costituzione di una nuova società, che prende il posto di tutte le società che si fondano
( fusione in senso stretto);
b) mediante assorbimento in una società preesistente di una o più altre società ( fusione per
incorporazione).
La disciplina della fusione era stata già radicalmente riformata nel 1991 dando attuazione alla
terza e sesta direttiva Cee in materia societaria, e successivamente nel 2003.
La fusione può aver luogo sia società dello stesso tipo ( fusione omogenea), sia fra società di tipo
diverso ( fusione eterogenea).
La fusione fra società eterogenee comporta anche la trasformazione di una o più delle società che
si fondono. Per le fusioni eterogenee valgono perciò gli stessi limiti esposti per la trasformazione.
La partecipazione alla fusione non è consentita alle società che si trovano in stato di liquidazione,
mentre con la riforma del 2003 è caduto il divieto per le società sottoposte a procedura
concorsuale. La fusione è uno strumento di concentrazione delle imprese societarie che consente
di ampliarne la dimensione e la competitività sul mercato in questa prospettiva è agevolata sotto
diversi profili dalla legislazione tributaria. La fusione inoltre un istituto che dà luogo ad una
concentrazione giuridica e non solo economica. La fusione determina perciò la riduzione ad unità
dei patrimoni delle singole società e la confluenza dei rispettivi soci in unica struttura organizzativa
che continua attività di tutte le società preesistenti.
La società incorporante o che risulta dalla fusione " assumono diritti e gli obblighi delle società
partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti loro rapporti, anche processuale, anteriori alla
fusione".

Il progetto di fusione
Il procedimento di fusione si articola in tre fasi essenziali: il progetto di fusione, la delibera di
fusione e l'atto di fusione.
Il progetto di fusione deve avere identico contenuto per tutte le società partecipanti alla fusione e
dallo stesso devono risultare, fra le altre, le seguenti indicazioni:
a) il tipo, la denominazione o ragione sociale, la sede delle società partecipanti alla fusione.
b) l'atto costitutivo della nuova società risultante dalla fusione o di quella incorporante.
c) il rapporto di cambio delle azioni o quote; vale a dire rapporto in base al quale saranno
assegnate a ai soci delle società che si estinguono le azioni o quote della società incorporante o
della nuova società. Il progetto di fusione deve essere iscritto nel registro delle imprese del luogo
ove hanno sede le società partecipanti alla fusione.
La documentazione informativa non si esaurisce però nel progetto di fusione in quanto è prescritta
la redazione preventiva di altri tre documenti:
1) la situazione patrimoniale ( art. 2501-quater);
2) la relazione degli amministratori ( art. 2501-quinquies);
3) la relazione degli esperti ( art. 2501- sexies).
Gli amministratori di ciascuna delle società partecipanti alla fusione devono redigere una
situazione patrimoniale aggiornata della propria società, con l'osservanza delle norme sul bilancio
di esercizio. Si tratta di un vero e proprio bilancio di esercizio infrannuale (c.d. bilancio di fusione),
la cui funzione prevalente è quella di fornire i creditori sociali informazione aggiornate per il
consapevole esercizio del diritto di opposizione alla
fusione. Gli amministratori delle società partecipanti alla fusione devono redigere una relazione la
quale lustri giustifichi il progetto di fusione e in particolare il rapporto di cambio, in modo da
mettere soci in condizione di verificare i metodi di valutazione utilizzati dagli amministratori nella
determinazione del rapporto di cambio. È inoltre prescritto che per ciascuna società partecipante
la fusione uno più esperti devono redigere una relazione sulla congruità del rapporto di cambio ed
esprimere un parere sull'adeguatezza del metodo o dei metodi seguiti dagli amministratori. Per le
società quotate esperte è scelto fra le società di revisione ( art. 2501-sexies).
Il progetto di fusione, le relazioni degli amministratori degli esperti, le situazioni
patrimoniali tutte le società partecipanti alla fusione i nostri bilanci degli ultimi tre esercizi delle
stesse, devono restare depositato in copia nelle sedi di ciascuna delle società partecipanti alla
fusione durante i 30 giorni che precedono l'assemblea e finché la fusione
sia deliberata.

La delibera di fusione
La fusione viene decisa da ciascuna delle società che vi partecipano "mediante l'approvazione del
relativo progetto"( art. 2502). L'attuale disciplina consente tuttavia che la decisione di fusione
possa portare al progetto le modifiche non incidono sui diritti dei soci o dei terzi. Nelle società di
capitali la fusione essere invece deliberata dall'assemblea straordinaria con le normali
maggioranze. Le delibere di fusione delle singole società devono essere iscritte nel registro delle
imprese, previo controllo di legalità da parte del notaio verbalizzante se la società risultante dalla
fusione è una società di capitali.

La tutela dei creditori sociali


La fusione può essere attuata solo dopo che siano trascorsi 60 giorni dall'iscrizione nel
registro delle imprese dell'ultima delibera delle società che vi partecipano. Entro tale termine, a
ciascun creditore anteriore la pubblicazione del progetto di fusione può proporre opposizione alla
fusione. L'opposizione sospende l'attuazione della fusione fino all'esito del relativo giudizio.
Se alla fusione partecipano società con soci a responsabilità illimitata e la società risultante della
fusione è una società di capitali e resta ferma responsabilità personale dei soci delle prime per le
obbligazioni interiori alla fusione.
L'atto di fusione
Il procedimento di fusione si conclude con alla stipulazione dell'atto di fusione ( art. 2504 ).
L'atto di fusione deve essere sempre redatto per atto pubblico, anche se la società incorporante o
la nuova società risultante dalla fusione a una società di persone. L'atto di fusione essere iscritto
nel registro delle imprese dei luoghi ove posta la sede di tutte le società partecipanti alla
fusione e di quello della società risultante dalla fusione. Dall'ultima iscrizione nel registro delle
imprese decorrono gli effetti della fusione. Si produce perciò l'unificazione soggettive patrimoniale
delle diverse società. La società risultante dalla fusione assume tutti i diritti e gli obblighi di
quelle partecipanti, che si estinguono.

LA SCISSIONE
Nozione. Forme
Con la scissione il patrimonio di una società composta da assegnare in tutto o in parte altre
società, con contestuale assegnazione ai soci della prima di azioni o quote delle società
beneficiarie del trasferimento patrimoniale . con la scissione sia la suddivisione di un unico
patrimonio sociale e di un'unica compagine societaria in più società. nella scissione infatti le azioni
o quote delle società beneficiarie del trasferimento patrimoniale sono acquistare
direttamente soci della società che si scinde. La scissione non era regolata dal codice del 1942,
situazione è però cambiata nel 1991. La scissione può assumere forme diverse.
Può essere innanzitutto totale o parziale: nella scissione totale, l'intero patrimonio della società
che si scinde era trasferita più società. La prima società perciò si estingue senza che però si abbia
liquidazione della stessa, dato che l'attività continua tramite le società beneficiarie
della scissione che assumono diritti e gli obblighi corrispondenti alla quota di patrimonio loro
trasferita.
Nella società parziale, invece, sono parte del patrimonio della società che si scinde viene trasferito
ad una o più altre società. La società scissa resta perciò in vita sia pure con un patrimonio ridotto e
una continuatività parallelamente alle società beneficiarie, di cui entra a far parte i soci della
prima. Beneficiarie della scissione possono essere:
A) società di nuova costituzione, che nascono per gemmazione dalla società che si scinde ( c.d.
scissione in senso stretto);
B) una o più società preesistenti (c.d. scissione per incorporazione), che vedono nel contempo
incrementati il loro patrimonio e la compagine sociale per l'ingresso dei soci della società scissa.

Il procedimento
Il procedimento di scissione ricalca quello dettato per la fusione.
Gli amministratori della società partecipante a scissione devono redigere un unitario progetto di
scissione, sottoposta la stessa pubblicità prevista per il progetto di fusione.
Oltre alle indicazioni stabilite per quest'ultimo, il progetto di scissione deve contenere:
a) l'esatta descrizione degli elementi patrimoniali;
b) i criteri di distribuzione soci delle azioni o quote delle società beneficiarie.
Nella scissione totale, le attività di incerta attribuzione sono ripartite fra la società beneficiarie in
proporzione della quota di patrimonio netto trasferita a ciascuna di esse. Delle passività di dubbia
imputazione a rispondere invece in solido tutte società beneficiarie.
Nella scissione parziale, le relative attività restano in testa alla società trasferente. Delle passività
a rispondere in solido sia questa sia le società beneficiarie.
Per la situazione patrimoniale, la relazione degli amministratori e quella degli esperti, è
integralmente richiamata la disciplina della fusione. Rinvia la disciplina della fusione sia anche per
le altre fasi del procedimento di scissione: delibera di scissione, pubblicità, e opposizione dei
creditori e stipula dell'atto di scissione. La scissione diventa efficacia a partire dalla data in cui è
stata eseguita l'ultima iscrizione dell'atto di scissione registro delle imprese in cui sono iscritte le
società beneficiarie. A partire da tale momento ciascuna delle società beneficiarie assume diritti e
gli obblighi della società scissa, che le sono state attribuiti nell'atto di scissione. "Ciascuna società è
solidamente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato
rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico "( art. 2506-
quater, 3 comma). Tutte le altre società coinvolte nella scissione sono garanti in via sussidiaria di
quella cui il debito è stato trasferito, sia
pure nei limiti specificati dalla norma

Potrebbero piacerti anche