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DIRITTO TRIBUTARIO- Tesauro (quarta ed.

Capitolo Primo: GLI ISTITUTI

1. La nozione di tributo
Il tributo comporta il sorgere di un’obbligazione; per questo aspetto esso si distingue da altri istituti, che
pur incidono sul patrimonio del privato, ma comportano limitazioni od ablazioni di altro tipo
(espropriazioni, imposizione di limiti o vincoli, etc). L’obbligazione tributaria è un’obbligazione con effetti
definitivi: in ciò il tributo si distingue dai prestiti forzosi.
Il tributo è un'entrata coattiva: è infatti imposto con atto della autorità (≠ dalle entrate di diritto privato).
Ciò comporta che l’ente pubblico impositore sia anche provvisto di poteri autoritativi, allo scopo di
costituire il rapporto tributario o anche soltanto di imporre il pagamento del tributo. Possono esservi
anche entrate pubbliche imposte coattivamente che non hanno carattere tributario (come le sanzioni), ma
il fondamento giuridico del tributo è un atto dell’autorità (legge o provvedimento).
Il fatto generatore del tributo è un fatto economico (≠ dalle sanzioni pecuniarie che nascono da illecito, che
sono, come i tributi, prestazioni pecuniarie imposte autoritativamente, ma collegate ad un fatto illecito).
Il tributo, dal punto di vista funzionale, realizza il concorso alla spesa pubblica (ex art. 53 Cost.: “1. Tutti sono
tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. 2. Il sistema tributario è
informato a criteri di progressività”) ed il suo gettito è destinato a finanziare lo Stato e gli altri enti pubblici,
indipendentemente dallo scopo per cui il tributo è istituito. Solitamente, il gettito dei tributi è una risorsa
dell’ente pubblico senza destinazione specifica; vi possono però esservi dei tributi con destinazione specifica
(tributi di scopo o tributi parafiscali).
In sintesi: il tributo comporta il sorgere di un’obbligazione; è imposto coattivamente; è collegato ad un
presupposto economico ed il suo gettito è destinato al finanziamento delle spese pubbliche.

2. La classificazione tradizionale: imposte, tasse, contributi.


I tributi possono essere: imposte, tasse e contributi (alcuni aggiungono i monopoli fiscali).
 imposte
– finanziano spese indivisibili;
– presupposto è un fatto economico posto in essere dal soggetto passivo, senza relazione specifica
con l'attività dell'ente pubblico (es. il conseguimento di un reddito, il possesso di un bene o la
stipulazione di un contratto): è quindi un evento cui sono estranei l’ente e l’attività pubblica;
– sono dovute a titolo di solidarietà, ex art. 2 e 53 Cost.;
– sono commisurate alla dimensione economica del presupposto;
 tasse
– finanziano spese divisibili;
– presupposto è un atto o attività pubblica (es. tasse su concessioni governative), ossia l'emanazione di
un provvedimento (es. tassa di iscrizione a ruolo) o la fruizione di un bene o servizio pubblico,
specificamente riguardanti un certo soggetto (es. tassa sui rifiuti);
– tra prestazione pecuniaria ed attività pubblica c'è un rapporto di correlatività (non di corrispettività: ciò
spiega perché le tasse sono dovute anche in casi in cui il servizio non è concretamente utilizzato);
Ciò che distingue una tassa dall’entrata di diritto privato è il suo regime giuridico: la prestazione imposta
coattivamente è una tassa; sa ha base contrattuale, ha natura privatistica.
 contributo
– nel diritto tributario, il termine contributo ( o “tributo speciale”) quel particolare tipo di tributo che ha come
presupposto è l'arricchimento (ad es., l’incremento di valore degli immobili9) che determinati soggetti

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traggono dall'esecuzione di un'opera pubblica destinata alla collettività in modo indistinto;
– sono detti contributi anche le prestazioni dovute a determinati enti (associazioni, consorzi, etc)
obbligatoriamente per il loro funzionamento (es. contributi ai consorzi di bonifica);
 monopoli fiscali
– sono considerati tributi solo con riguardo alla sua funzione di procurare entrate. Ciò che si paga per
l’acquisto di un genere di monopolio non è un tributo, ma il corrispettivo di un normale contratto di
compravendita. Se invece si ha riguardo alla funzione dei tributi (procacciare entrate all’ente pubblico),
anche il monopolio è un tributo, quando ha per scopo di procurare entrate.

3. Le nozioni in uso nella giurisprudenza.


Secondo la giurisprudenza costituzionale, partendo dall'art. 75 Cost., che vieta il referendum abrogativo
di norme tributarie, si intende il tributo caratterizzato da due elementi essenziali:
 l'imposizione di un sacrificio economico individuale realizzata con atto autoritativo, di carattere
ablatorio;
 la destinazione del gettito allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario necessario a
coprire le spese pubbliche (comprendente così anche dei contributi previdenziali e del contributo per il
servizio sanitario);
Secondo la giurisprudenza ordinaria sono tributarie (nozione ampia, ma che non comprende le prestazioni
previdenziali):
 tutte le prestazioni imposte in via coattiva, ossia senza il consenso dell’obbligato, purchè
non rappresentino il corrispettivo sinallagmatico di una prestazione dell’ente impositore,
 che siano destinate a finanziare le spese pubbliche.

Capitolo Secondo: . LE FONTI

1 La riserva di legge
Art. 23 Cost. “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
Con “legge”, l’art.23 indica:
 la legge statale ordinaria
 gli atti aventi forza di legge (decreti legge e decreti legislativi);
 le leggi regionali (e provinciali, per Trento e Bolzano);
 le fonti dell'Unione europea.
La riserva di legge riguarda solo le norme di diritto sostanziale, quelle che definiscono i soggetti passivi, l'an
e il quantum del tributo. L’art.23, dunque, non riguarda le norme sull'accertamento e la riscossione. È una
riserva di legge relativa: disciplina infatti le linee fondamentali della materia rimettendone il
completamento a norme di rango non legislativo.
Le “prestazioni personali e patrimoniali imposte” dall’art.23 sono da intendersi:
 sia in senso formale: imposte cioè con atto autoritativo, i cui effetti sono indipendenti dalla
volontà del soggetto passivo;
 che in senso sostanziale: ossia l’art.23 si applica anche a prestazioni di natura non tributaria ma
aventi funzione di corrispettivo, quando un obbligazione, per nascendo da un contratto, costituisca il
corrispettivo per un servizio pubblico che soddisfi un bisogno essenziale e sia reso in regime di monopolio
(es. tariffe elettriche, assicurazione obbligatoria delle auto). In tali situazioni, infatti, il cittadino è libero di
stipulare o non stipulare il contratto, ma questa libertà è astratta, perché si riduce solo alla possibilità di
scegliere tra la rinuncia al soddisfacimento di un bisogno essenziale e condizioni unilateralmente e
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autoritativamente prefissati.

2. Le leggi tributarie dello Stato.


Art. 75 co 2 Cost. “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di
indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Non possono essere abrogate con
referendum popolare le leggi tributarie.

2.1. Lo statuto dei diritti del contribuente


La l. 212/2000 “Statuto dei diritti del contribuente” contiene importanti disposizioni in materia di leggi
tributarie. Si tratta di disposizioni qualificate come principi generali dell’ordinamento tributario, che
possono essere derogate e qualificate solo espressamente. In materia di fonti, in particolare, vi sono 4
importanti enunciati:
 auto-qualificazione dello Statuto come attuativo della Costituzione;
 valore delle norme dello Statuto come princìpi generali dell'ordinamento tributario,
 divieto di deroga o modifica delle norme dello Statuto in modo tacito;
 divieto di deroga o modifica delle norme con leggi speciali.
Lo statuto è una legge tributaria generale. È una legge ordinaria e, quindi, le sue norme non invalidano le
leggi che non le rispettano: si tratta di importanti criteri-guida per l’interprete.

2.2.I decreti-legge e i decreti legislativi. I testi unici


Le nome tributarie possono esser emanate con decreti-legge (art. 77 Cost.), che il Governo emana in casi di
straordinaria necessità ed urgenza e che devono esser convertiti in legge entro 60 giorni, altrimenti
decadono ex tunc.
Il Parlamento può delegare al Governo l'emanazione di decreti legislativi, determinando i princìpi e i criteri
direttivi, per un tempo limitato e per oggetti definiti, quando sia necessaria una particolare competenza
tecnica (Art.77 Cost). Il ricorso frequente in materia tributaria al meccanismo della delega trova la sua
ragione giustificativa nel tecnicismo delle norme tributarie.
Il testo unico riunifica in un unico testo le norme contenute in fonti diverse; di solito ha forma di decreto
legislativo; possono essere meramente compilativi o innovativi.
La legge delega del 1971 per la riforma tributaria aveva attribuito al governo il potere di emanare: decreti
legislativi per l’attuazione della riforma, decreti legislativi con disposizioni integrative e correttive e infine
decreti legislativi recanti testi unici. Sono stati emanati testi unici che regolano le imposte sul reddito,
l'imposta di registro e l'imposta sulle successioni.

3.I regolamenti
Con i regolamenti, il Governo e le autorità amministrative hanno potestà normativa, subordinata però, nella
gerarchia delle fonti, alle leggi. I regolamenti, quindi, non possono essere in contrasto con le norme di
legge e, se sono contrari alla legge. Possono essere annullati dal giudice amministrativo e disapplicati
dagli altri giudici.
L. 400/1988 disciplina la potestà regolamentare: i regolamenti governativi sono deliberati dal Consiglio dei
Ministri, sentito il Consiglio di Stato, ed emanati dal Presidente della Repubblica (Art.1). Tali regolamenti
disciplinano: l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi (regolamenti esecutivi), l’attuazione e
l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio (regolamenti attuativi e
integrativi), le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge (regolamenti
indipendenti), l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche (regolamenti
organizzatori) e l’organizzazione del lavoro e dei rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti. In questi casi, il

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Governo dispone di una potestà regolamentare generale, esercitabile anche senza specifica autorizzazione
legislativa. L’art.17.2 contempla i regolamenti delegati, che il governo può emanare nelle, materie non
coperte da riserva assoluta di legge.
In materia tributaria, essendoci riserva di legge, possono aversi solo:
 regolamenti esecutivi: disciplinano l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi; che possono
essere emessi anche in assenza di apposita norma autorizzativa,
 regolamenti delegati (o delegificanti): emessi in materie non coperte da riserva assoluta di legge,
determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti;
possono essere emessi solo in base ad una norma espressa.
I regolamenti attuativi ed integrativi delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio non
sono ammissibili nel diritto tributario sostanziale, perché le leggi non possono limitarsi ad enunciare
princìpi di massima per le materie coperte da riserva di legge; sono invece ammessi solo per la parte di
disciplina non coperta da riserva di legge.
Non sono ammessi i regolamenti indipendenti, disciplinanti le materie in cui manchi la disciplina da parte di
leggi o atti aventi forza di legge, per la materia coperta da riserva di legge.
I regolamenti ministeriali sono adottati in materie di competenza del singolo Ministro, quando la legge
espressamente conferisca tale potere. Se la competenza è di più Ministri si hanno i regolamenti
interministeriali, adottati con decreto Presidente del Consiglio dei Ministri (ad es, il decreto con cui il
ministro fissa la revisione del catasto e ne aggiorna le rendite catastali).

4.Il riparto della potestà legislativa tra Stato e regioni


Art. 117 co 2 Cost.: lo Stato ha la potestà esclusiva di disciplinare il sistema tributario dello Stato e stabilirne i
princìpi fondamentali.
Art. 117 co 3 Cost.: nelle materie di legislazione concorrente le regioni trovano limiti nei princìpi fondamentali
fissati dalle leggi statali.
Art. 119 Cost.: le regioni hanno potestà legislativa concorrente in materia di coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario, e in materia di tributi regionali e locali.
Art. 119 co 2 Cost.: le regioni stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la
Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

4.1.La competenza legislativa in materia di tributi regionali.


Art. 119 co 2 Cost.: le regioni stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la
Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
L. 42/2009 “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione all'art. 119 Cost.” prevede 3
tipi di tributi regionali:
1. tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni; le
regioni possono modificare le aliquote e disporre esenzioni, detrazioni, deduzioni nei limiti e
secondo i criteri fissati dalle leggi statali;
2. addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali;
3. tributi propri istituiti dalle regioni su presupposti non assoggettati ad imposizione erariale.

4.2.La competenza legislativa in materia di tributi locali.


Gli enti locali stabiliscono ed applicano tributi propri, con norme attuative o integrative delle leggi statali o
regionali: lo Stato fissa i princìpi del coordinamento del sistema tributario e la regione, a sua volta,
coordina il sistema tributario regionale e locale. Lo Stato indica quali oggetti imponibili e quali tipi di tributi
sono riservati allo Stato e quali invece possono essere oggetto di legislazione regionale.
Oggetto del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (art.119.2) è la definizione dei
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tributi, o tipi di tributo, che possono far parte del sistema tributario come tributi propri delle regioni o degli
enti sub-regionali.
La normativa di coordinamento, in tema di autonomia tributaria degli enti locali,:
1. individua i tributi dei comuni e delle provincie, definendone presupposti, soggetti passivi, basi
imponibili ed aliquote;
2. disciplina i tributi comunali, attribuendo all'ente locale la facoltà di stabilirli e applicarli a particolari
scopi, come la realizzazione di opere pubbliche;
3. disciplina i tributi provinciali relativi a scopi istituzionali;
4. prevede che le regioni possano istituire nuovi tributi dei comuni, provincie e città
metropolitane;
5. prevede che gli enti locali possano modificare le aliquote dei tributi da loro attribuiti dalla legge e
introdurre agevolazioni.

5. I regolamenti degli enti locali


D.Lgs. 446/1997 (disciplina in via generale della potestà regolamentare delle province e dei comuni in
materia tributaria): gli enti locali non possono disporre in materia di fattispecie imponibile, soggetti passivi
ed aliquota massima. Devono inoltre rispettare i vincoli ex art. 117 e 119 Cost.

6.Le convenzioni internazionali


In materia tributaria, le convenzioni internazionali regolano:
6. la doppia imposizione e la collaborazione tra autorità fiscali di Stati diversi
7. l'evasione e l'elusione fiscale internazionale.
Di regola, le norme delle convenzioni prevalgono sulle norme interne, in quanto norme speciali.
Art. 169 T.u.i.r. nei casi in cui la norma interna sia più favorevole di quella del trattato, prevale la norma
interna.

7. Le fonti dell’Unione Europea


Art. 117.1 Cost.: “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario”. Nelle materie appartenenti alla sfera di competenza dell'UE
valgono le norme dell'Unione, non quelle nazionali.
Art. 288 TFUE i regolamenti dell'Unione sono direttamente applicabili e hanno portata generale. Entrano
immediatamente in vigore in tutti gli Stati, che non devono emanare norme per recepirli nell'ordinamento
interno.
Le direttive vincolano gli Stati membri circa il risultato da raggiungere, lasciandogli discrezionalità circa le
forme e i mezzi. Si rivolgono solo agli Stati membri ed è necessario che questi adottino norme di
recepimento. Se gli Stati non adempiono si verifica l'”effetto diretto”: quando contengono disposizioni precise
ed incondizionate, la cui applicazione non richiede l'emanazione di disposizioni ulteriori, scaduto il termine
per l'adempimento, le disposizioni acquistano efficacia diretta nell'ordinamento dello Stato
inadempiente; i singoli acquistano diritti che i giudici devono tutelare e gli Stati non possono opporsi.
Le decisioni riguardano casi specifici, hanno effetto diretto e sono obbligatori per i destinatari in esse
indicati. In particolare, rilevano le decisioni della Commissione sugli aiuti di Stato.
Le sentenze della Corte di giustizia hanno effetto diretto negli ordinamenti degli Stati membri.

8. Efficacia delle norme tributarie nel tempo


Leggi e regolamenti, dopo esser stati approvati dal Parlamento e promulgati dal Presidente della Repubblica,
e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, entrano in vigore dal 15° giorno successivo alla pubblicazione. Di regola,
la data di entrata in vigore è anche la data a partire dalla quale inizia l'efficacia delle norme.
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Art. 11 disp. prel. cod. civ. la legge non dispone che per l'avvenire: non ha effetto retroattivo. È la regola
generale, derogabile solo con altre norme di legge (non con regolamento).
Le leggi diventano inefficaci con:
1. abrogazione, che può avvenire ex art. 15 disp. prel. cod. civ.
– dichiarazione espressa del legislatore
– incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti
– la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore.
L'efficacia della legge abrogata cessa ex nunc.
Una legge tributaria abrogata continua ad essere applicabile ai fatti avvenuti prima dell'abrogazione, e
continuano ad esser dovuti i tributi sorti in relazione a presupposti d'imposta avvenuti sotto il suo vigore.
2. dichiarazione di incostituzionalità, che fa cessare l'efficacia ex tunc: la legge è da considerare come
mai esistita. I tributi riscossi in base a norme dichiarate incostituzionali devono essere rimborsati.
3. le norme nazionali cessano di essere applicabili quando la materia è regolata da norme comunitarie
direttamente applicabili o con effetto diretto.
4. il referendum abrogativo non è ammesso per abrogare leggi tributarie.

9. Efficacia delle norme tributarie nello spazio


La legge tributaria ha efficacia nei limiti del territorio sottoposto alla sovranità dello Stato e in tale territorio è
unica ed esclusiva.
Le norme emanate da enti diversi dallo Stato esplicano i loro effetti nel territorio su cui ha potestà l'ente.
Alcune imposte prescindono dalla territorialità, tassando anche fatti avvenuti all'estero. Le imposte
personali sui redditi prevedono che:
5. nei confronti dei soggetti fiscalmente residenti, si tassi il complesso dei redditi posseduti,
indipendentemente dal luogo di produzione
6. nei confronti dei non residenti, si tassano solo i redditi prodotti nello Stato.
Per quanto riguarda l'Iva, si ha imponibilità sulle operazione effettuate nello Stato e non imponibilità sulle
operazioni non effettuate nello Stato.
L'imposta di registro si applica agli atti giuridici formati nello Stato, ma anche su atti formati all'estero
con effetti di natura reale o locatizia su beni dello Stato.
La legge tributaria non può avere efficacia oltre i limiti del territorio sottoposto alla sovranità dello Stato ed
in questo territorio è unica ed esclusiva.

Capitolo Terzo:. INTERPRETAZIONE E INTEGRAZIONE

1.Peculiarità delle leggi tributarie


L’interpretazione e a conoscenza delle leggi tributarie presentano difficoltà non lievi, legate alle peculiarità
della legislazione tributaria stessa.
La legislazione tributaria non è sinteticamente raccolta in un codice, testo unitario, né vi è una legge
generale di tutta la materia. Solo lo Statuto dei diritti del contribuente pone dei principi generali, validi per
tutto il diritto tributario. Il diritto tributario è stato definito polisistematico.
Il diritto tributario è caratterizzato da iperlegificazione e instabilità. Il legislatore produce con continuità
norme per motivi di gettito e per adeguare la legislazione alle nuove realtà economiche e ai nuovi istituti
giuridici. Le norme tributarie nascono poi, sovente, per far fronte a situazioni di emergenza e, quindi,
mediante decreti-legge, convertiti con moltissime modifiche ed aggiunte. Un altro elemento di instabilità
delle legislazione tributaria è dato dall’emanazione frequente di “leggi a termine”, di leggi, cioè, con cui
viene stabilito un certo trattamento fiscale per determinati fatti, se posti in essere entro una certa data.
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Altre difficoltà sono originate dalle tecniche espositive: spesso le disposizioni di legge tributarie sono ricche
di rinvii ad altre disposizioni. Ecco perché l’art.2 dello Statuto dei diritti del contribuente dispone che “I
richiami di altre disposizioni contenuti nei provvedimenti normativi in materia tributaria si fanno indicando
anche il contenuto sintetico della disposizione alla quale si intende fare rinvio”. Altre difficoltà interpretative
delle leggi tributarie sono legate alla preferenza del legislatore per le formulazioni casistiche, piuttosto che
per le formulazioni generali. Infine, sovente le leggi tributarie sono di difficile comprensione, perché
richiedono la conoscenza di nozioni e discipline estranee alla formulazione culturale tipiche del giurista.
Un’ultima considerazione che molte norme descrivono e prescrivono dei calcoli e, quindi, non sono
immediatamente comprensibili.

2. L’interpretazione delle leggi tributarie


Non esistono criteri interpretativi peculiari al diritto tributario. Storicamente, vi sono state epoche in cui
erano in auge particolari canoni, a favore o contrari al fisco. Oggi nessuno più sostiene che la legge
tributaria debba essere intesa pro fisco o contra fiscum. La giurisprudenza, peraltro, è consolidata nel
ritenere che le norme che accordano esenzioni e agevolazioni, in quanto norme che apportano una deroga
ad una regola generale, siano norme da interpretare restrittivamente. Le discussioni sull’interpretazione
della legge tributaria hanno comunque sempre riguardato le norme sostanziali dell’imposizione, non le
norme formali o procedurali.

3. L’interpretazione letterale. Lingua corrente e termini tecnici


Per procedere all’interpretazione, l’interprete si avvale di 4 strumenti: l’elemento letterale, l’elemento
logico-sistematico; l’elemento storico; l’elemento teleologico.
L’interprete opera con discrezionalità: può servirsi liberamente di tutti gli strumenti. L’art. 12, comma 1,
delle disposizioni preliminari al codice civile, afferma che “nell’applicare la legge non si può ad essa
attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di
esse, e dall’intenzione del legislatore”.
Il primo elemento su cui si basa il lavoro interpretativo è il dato letterale, che pone problemi di vario tipo.
Anzitutto il linguaggio delle leggi tributarie è intriso di tecnicismi, per cui risulta spesso ostico per i giuristi.
Quando un termine, oltre che essere d’uso comune, ha un significato tecnico, si ritiene generalmente che il
legislatore lo usi nel suo significato tecnico. Il significato che l’interprete deve attribuire al termine tecnico
può rinviare da una definizione data dallo stesso legislatore. Talvolta, infatti, lo stesso legislatore, all’inizio
di un testo legislativo, si preoccupa di fornire all’interprete la definizione delle espressioni usate.
Di uno stesso termine possono poi esservi più definizioni: ad esempio, la nozione civilistica di residenza non
coincide con quella di residenza fiscale. Si ritiene comunemente che, quando la norma tributarie descriva la
propria fattispecie usando termini propri di altri settori dell’ordinamento, quel termine o istituto è assunto,
salvo casi particolari, nel diritto tributario con lo stesso significato che gli è attribuito nel settore di
provenienza.

3.1. Le convenzioni internazionali, i testi multilingue e le traduzioni


Le convenzioni internazionali devono essere interpretate secondo gli artt. 31, 32 e 33 della Convenzione di
Vienna sul diritto dei trattati. L’art. 31 prevede che i trattati devono essere interpretati secondo buona
fede, alla luce del contesto, dell’oggetto e dello scopo. L’art. 32 richiama i lavori preparatori e le circostanze
della conclusione del trattato. L’art. 33 si occupa dei trattatati redatti in più lingue e stabilisce che fa fede
ciascuno dei testi autentici; che i termini hanno lo stesso significato nei diversi testi e che, se appare una
differenza di significato, occorre adottare il significato che concilia meglio i diversi testi.
Vi sono, inoltre, norme particolari sull’interpretazione delle convenzioni in materia tributaria. Nel modello
Ocse di convenzione internazionale contro le doppie imposizioni (e quindi nelle convenzioni conformi a
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tale modello), l’art. 3 prevede che i termini della convenzione, la cui nozione non è definita dalla
convenzione stessa, o non è ricavabile dal contesto della convenzione, devono essere intesi secondo la
legge interna dello Stato alle cui imposte la convenzione dev’essere applicata.
Se in un testo normativo comunitario redatto in più lingue vi sono termini con significati non conicidenti,
l’interprete deve tenere conto delle diverse versioni e interpretarle in maniera uniforme.

4. L’interpretazione adeguatrice
Nell’interpretare un testo normativo, si deve privilegiare l’interpretazione conforme al testo
gerarchicamente sovraordinato (c.d. interpretazione adeguatrice). Oltre che la conformità alle norme
costituzionali, è da privilegiare la conformità alle norme dell’Unione europea e alle convenzioni
internazionali (c.d. principio della doppia conformità).

5. Gerarchia tra i mezzi ermeneutici. Preminenza del dato letterale


Dove la lettera della legge è vaga, l’interprete deve servirsi di altri strumenti interpretativi. In diritto
tributario, la giurisprudenza sembra seguire un procedimento per gradi; viene dato anzitutto rilievo al
criterio letterale; solo quando la lettera della legge non è chiara, viene fatto ricorso ad altri criteri. Non
mancano casi, però, in cui vengono seguite altre scale di valori: si ammette la liceità di interpretazioni che
fanno prevalere la ratio della legge sul significato letterale, ad esempio.

6. Le leggi interpretative. Limiti costituzionali delle leggi interpretative


Anche il legislatore si fa interprete, quando, data una disposizione di dubbio significato, ne impone una
determinata interpretazione. Le leggi interpretative riguardano di solito una disposizione di incerto
significato; dato tale presupposto, il legislatore, dettando una norma interpretativa, impone una
determinata interpretazione tra quelle possibili. Le leggi di interpretazione autentica possono essere
adottate dal legislatore anche per rimediare ad interpretazioni giurisprudenziali divergenti con la linea del
diritto perseguita. Vi sono, insomma, norme solo apparentemente interpretative.
Le leggi interpretative non sostituiscono la disposizione interpretata: si hanno così due disposizioni
coesistenti, quella interpretata e quella interpretativa. Non si ha invece una legge interpretativa quando
una norma viene sostituita da un’altra norma, formulata in modo di eliminare le ambiguità di significato
presenti in quella abrogata.
Le disposizioni interpretative sono, per loro natura, retroattive. Il loro scopo è di stabilire il significato di
una precedente disposizione, e sarebbe illogico che la disposizione interpretata assumesse un dato
significato solo a partire dall’entrata in vigore della legge interpretativa. Perciò è importante distinguere tra
disposizioni interpretative (retroattive) e disposizioni innovative (non retroattive). Tutte le volte che la
disposizione preesistente è sostituita da una nuova disposizione non siamo in presenza di una disposizione
interpretativa, perché la disposizione interpretativa si giustappone a quella interpretata.
Accade però, nella pratica, che nuove disposizioni, che sostituiscono disposizioni previgenti, ma con
formulazione più chiara, vengano considerate interpretative: in tali casi non si è in presenza di disposizioni
propriamente interpretative, ma di nuove diposizioni che talora possono essere assunte come argomento
di interpretazione della disposizione sostituita.
Dato il carattere retroattivo delle leggi interpretative, il legislatore, nello Statuto dei diritti del contribuente,
ha disposto che “l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi
eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica”
(art.1.2).
Una disposizione, che si auto qualifica come interpretativa, ma detta una interpretazione non riconducibile
ad una delle alternative potenzialmente desumibili dal testo della disposizione interpretata, non è proprio
interpretativa, ma innovativa. Lo scopo della nuova norma non è tanto quello di rendere chiaro un testo
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oscuro, ma di modificare retroattivamente una data disciplina, dissimulando il suo carattere innovativo. La
forma interpretativa della legge è solo un mezzo per dissimulare la retroattività dell’innovazione. Ma nulla
quaestio: se una legge si autodefinisce interpretativa ma in realtà è una legge che modifica la norma che
dice di interpretare, è comunque un uso improprio della legge di interpretazione, più volte censurato dalla
Corte Costituzionale.
Vi sono però limiti costituzionali che le leggi interpretative devono rispettare. L’irretroattività della legge
costituisce un valore del nostro ordinamento, per cui il legislatore deve astenersi dall’emanare norma che si
pongono in contrasto con interessi costituzionalmente protetti.
L’art. 53 Cost, ad esempio, è un limite alla retroattività delle leggi tributarie in quanto richiede che la
capacità contributiva sia attuale. Valgono dunque per le leggi tributarie , gli stessi limiti alla retroattività che
la Corte ha affermato per le ordinarie leggi impositive.

6.1. Le circolari interpretative (e l’affidamento del contribuente)


Di solito, all’emanazione di una nuova legge, l’amministrazione finanziaria fa seguire una circolare, con la
quale ne illustra agli uffici periferici il significato. La pronuncia dell’amministrazione finanziaria viene
sovente sollecitata da quesiti posti dagli uffici periferici o dai cittadini, in relazione a casi specifici; la
risposta a tali quesiti costituisce un’altra occasione per l’interpretazione della legge.
Le circolari sono atti interni all’amministrazione. Non sono fonti di diritto, e quindi, non sono vincolanti
nell’ordinamento giuridico generale, ma solo all’interno dell’ordinamento amministrativo. Essendo atti
interni, non ha rilievo neppure la loro violazione da parte dell’amministrazione finanziaria. Le circolari
ministeriali sono però fonte di legittimo affidamento del contribuente in ordine al comportamento da
tenere nell’applicazione delle leggi tributarie.

7.Le norme di rinvio


Vi sono dei casi nei quali la disciplina di un particolare settore del diritto tributario è integrata per effetto di
una norma di rinvio. Un esempio notevole è quello del diritto processuale tributario, che è disciplinato dal
D.lgs. 546/1992, il cui art. 1 richiama, per quanto non disposto, le norme del codice di procedura civile
compatibili con le norme del processo tributario.

7.1. L’integrazione analogica


L’art. 12, comma 2, delle Preleggi, prevede 2 forme di analogia: l’applicazione di norme dettate per casi
simili o materie analoghe (analogia legis) e il ricorso ai principi generali dell’ordinamento (analogia juris).
L‘analogia non è ammessa, come prevede l’art. 13 delle disposizioni preliminari al codice civile, per le leggi
penali e per quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi.
All’analogia si ricorre per porre rimedio ad una lacuna. Deve trattarsi, però, di una lacuna tecnica. Dove non
sono prospettabili lacune in senso tecnico, non sono necessarie, né possibili, integrazioni mediante
l’analogia. L’analogia è certamente da escludere per le norme tributarie sanzionatorie.
Non è poi ammissibile l’integrazione analogica delle fattispecie imponibili, perché le fattispecie imponibili
sono solo quelle indicate espressamente dal legislatore. Le norme tributarie impositrici non possono essere
integrate analogicamente perché non possono presentare lacune in senso tecnico. Il divieto di analogia
delle norme impositrici combacia con il divieto di analogia delle corrispondenti norme sanzionatorie. Se cosi
non fosse, ed estendessimo analogicamente un’imposta a casi non previsti espressamente dalla legge
tributaria, dovremmo poi considerare non punibile l’evasione, non potendo parallelamente estendere la
norma punitiva.
Ciò che è detto per le norme impositrici vale anche per le norme che stabiliscono esenzioni o agevolazioni.
È dunque vietata l’analogia per le norme che indicano che cosa è tassabile e chi è debitore d’imposta; non è
invece da escludere, a priori e in generale, l’integrazione analogica quando si riscontra una lacuna in altre
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discipline tributarie (ad es, norma sui procedimenti). Può trattarsi di analogia mediante ricorso ad altre
norme tributarie, o a norme di altri settori dell’ordinamento. Possono darsi, infatti, nel diritto tributario, le
lacune cc.dd. tecniche. Vi sono ad esempio lacune nella disciplina dell’obbligazione tributaria, che vengono
pacificamente integrate mediante ricorso al codice civile.
Anche in diritto tributario si applicano i principi generali dell’ordinamento. Vi sono, ad esempio, principi
desumibili dal codice civile, ma applicabili anche in campo tributario, come il diritto alla ripetizione
dell’indebito.
Il principio di buona fede è previsto espressamente dallo Statuto dei diritti del contribuente. E proprio l’art.
1 dello Statuto stabilisce che le disposizioni in esso contenute costituiscono principi generali
dell’ordinamento tributario. Sono poi da ricordare i principi generali enunciati nel diritto tributario per una
imposta o per alcune imposte, e non per altre: ad esempio, il divieto di doppia imposizione, enunciato solo
in materia di imposte sui redditi, ma applicabile a qualsiasi tributo.

Capitolo Quarto I PRINCIPI

1.Doveri di solidarietà e fini extrafiscali dei tributi


Le leggi che istituiscono e regolano i tributi devono rispettare il principio di capacità contributiva, sancito
dall’art. 53 Cost. (“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva”), ed ogni altro pertinente precetto costituzionale: ad esempio, la tassazione dei salari non
deve ledere le regole fissate dall’art. 36 Cost..
Il dovere di concorrere alle spese pubbliche, previsto dall’art. 53 Cost., è uno dei doveri inderogabili di
solidarietà sanciti dall’art. 2 della Costituzione. L’art. 53 specifica che a tale dovere sono tenuti tutti, in
ragione della propria capacità contributiva. Lo scopo dei tributi non è meramente fiscale (e cioè di
procurare entrate allo Stato) ma anche extrafiscale. Il tributo è infatti mezzo di attuazione del principio di
solidarietà ed è strumento per l’adempimento dei fini sociali, che la Costituzione assegna alla Repubblica.

2. Il principio di capacità contributiva


L’art. 53 Cost. dispone che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva”. Questa disposizione ha un duplice valore normativo. Da un alto essa, correlata ai doveri
inderogabili di solidarietà (art.2 Cost), specifica il dovere di contribuire alle spese pubbliche; dall’altro, in
quanto norma che pone il principio di capacità contributiva, limita sia il dovere di contribuire, sia il potere
legislativo in materia fiscale.
L’Art.53 Cost è una norma di garanzia per i soggetti passivi dei doveri tributari, perché disponendo che è
costituzionalmente legittimo imporre tributi solo in ragione di un fatto che sia indicativo di capacità
contributiva, vincola il legislatore nella scelta dei presupposti dei tributi. Il presupposto del tributo non può
essere un fatto qualunque, ma deve essere un fatto che esprime dunque capacità contributiva.
Ma che cosa è la capacità contributiva? Su di un punto, il consenso della giurisprudenza è unanime: e cioè
nell’attribuire alla capacità contributiva il significato di capacità economica, e quindi, nel dire che fatto
espressivo di capacità contributiva è un fatto di natura economica.

2.1. Nozione soggettiva e nozione oggettiva di capacità contributiva.


Per dare concretezza al concetto di capacità contributiva, occorre anche indicare, in positivo, quali fatti
economici esprimono capacità contributiva. In proposito, vi sono orientamenti divergenti.
Vi è un orientamento rigoroso e garantista, che adotta una nozione soggettiva di capacità contributiva.
Secondo tale orientamento, la capacità contributiva indica la effettiva idoneità soggettiva del contribuente
a far fronte al dovere tributario, manifestata da indici concretamente rivelatori di ricchezza. In questo senso
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si esprimeva, fino agli anni ’80, la Corte costituzionale.
Nella giurisprudenza costituzionale si può riscontrare una evoluzione dal concetto di capacità contributiva
più rigoroso a quello meno rigoroso, ossia da quello soggettivo a quello oggettivo. Secondo questo diverso
orientamento, la capacità contributiva viene ravvisata in qualsiasi fatto economico, anche non espressivo
dell’idoneità soggettiva del contribuente obbligato; la scelta dei presupposti d’imposta rientra nella
discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà.
In base alla definizione di natura oggettiva, trova giustificazione anche un’imposta sule imprese (come
l’Irap), che assume come presupposto il valore lordo della produzione, a prescindere dal reddito, e colpisce,
quindi, anche imprese che chiudono l’esercizio in perdita. Né si chiede che il presupposto del tributo sia
posto in essere dal soggetto obbligato; ad esempio, è parsa legittima la norma che pone l’imposta sulle
successioni a carico di tutti gli eredi, per cui ogni singolo erede è obbligato anche per la quota che spetta
agli altri.

2.2. Indici diretti e indiretti di capacità contributiva.


Vi sono indici diretti e indici indiretti di capacità contributiva. Fatto direttamente espressivo di capacità
contributiva è, per eccellenza, il reddito. Insieme con il reddito, sono considerati indici diretti di capacità
contributiva il patrimonio e gli incrementi di valore del patrimonio. Sono, invece, indici indiretti di capacità
contributiva il consumo e gli affari. Se, in generale, il consumo di beni o servizi è indice di capacità
contributiva perché implica disponibilità economica, ciò non vale per ogni consumo: altro è la spesa
voluttuaria, altro la spesa di beni di prima necessità. Altro indice indiretto è il trasferimento di un bene,
colpito da tributi come l’imposta di registro, la cui giustificazione costituzionale discende dall’assunto che
ogni trasferimento implichi un lucro per almeno uno dei contraenti.

2.3. La capacità contributiva come limite quantitativo.


Dal punto di vista quantitativo, il sacrificio patrimoniale che viene imposto ai contribuenti deve essere
rapportato alla idoneità che il singolo mostra di potersi privare di una parte dei propri beni per metterli a
disposizione della collettività, dopo aver soddisfatto i suoi bisogni essenziali. Nell’art. 53 è dunque insito un
limite massimo della misura del tributo.

3. Il requisito di effettività. Forfetizzazioni e principio nominalistico.


Nella giurisprudenza della Corte costituzionale è dato risalto all’esigenza che il collegamento tra fatto
rivelatore di capacità contributiva e tributo sia effettivo, e non apparente o fittizio. Talora, però, il
legislatore tributario si avvale di norme che forfettizzano la quantificazione di un qualche elemento
dell’imponibile o dell’imposta: si pensi al reddito catastale. Il requisito di effettività dovrebbe comportare
l’esclusione delle basi imponibili dei componenti meramente nominali. La Corte costituzionale ha ritenuto
che rientra nella discrezionalità del legislatore tenere conto o non tenere conto degli effetti della
svalutazione monetaria, e che solo in casi di particolare gravità il legislatore deve depurare la base
imponibile dagli effetti conseguenti ai processi di svalutazione monetaria, per correggere o eliminare
conseguenza inique o eccessivamente onerose.

3.1. Il requisito di attualità. Limiti di ammissibilità dei tributi retroattivi.


Oltre che effettiva, la capacità contributiva deve essere attuale. Si ammette però che il legislatore possa
emanare norme retroattive, se non ledono interessi costituzionalmente protetti. Secondo la giurisprudenza
costituzionale, i tributi retroattivi sono costituzionalmente legittimi se colpiscono fatti del passato che, in
base ad una verifica da compiersi volta per volta, esprimono una capacità contributiva ancora attuale. Oltre
che la distanza temporale, ha rilievo la prevedibilità del tributo retroattivo. L’affidamento riposto dal
cittadino nel principio di irretroattività e nella certezza del diritto non deve essere leso dal sopravvenire di
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tributi retroattivi non prevedibili.

4. Obblighi dei terzi e norme formali.


L’art. 53, in quanto esige che ciascuno sia tenuto a contribuire in ragione della propria capacità
contributiva, esige che il tributo sia posto a carico del soggetto che realizza il presupposto. Vi sarebbe
violazione dell’art.53 Cost se il tributo ricadesse su di un soggetto diverso.
Vi sono però anche norme che pongono obblighi a carico di soggetti diversi da colui cui è imputabile il
presupposto. Il sostituto e il responsabile d’imposta non realizzano il fatto economico espressivo di capacità
contributiva: sono tuttavia obbligati al pagamento dell’imposta, ma il principio di capacità contributiva non
è violato perché essi non sono incisi in via definitiva dal tributo, potendo riversare, mediante ritenuta o
rivalsa, l’onere economico del tributo su colui che realizza il presupposto.

5. Capacità contributiva e tributi “commutativi”


Secondo la lettera dell’Art.53 Cost, deve essere giustificato dalla capacità contributiva ogni concorso alle
spese pubbliche, senza distinzioni né rispetto ai modi del concorso, ne rispetto alle spese pubbliche. Vi sono
però interpretazioni restrittive della disposizione costituzionale.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, l’art. 53 ha riguardo soltanto a prestazioni il cui costo non si può
determinare divisibilmente; esso non concerne, quindi, le tasse, destinate a finanziare spese pubbliche il cui
costo è misurabile per ogni singolo atto. Inoltre non è criterio di riparto di tutte le spese pubbliche, ma
soltanto di quelle indivisibili; opera rispetto alle imposte, non opera rispetto ai tributi cc.dd. commutativi.
Questo orientamento restrittivo contrasta, però, sia con la lettera dell’art. 53, sia con una visione d’insieme
del testo costituzionale. Le entrate collegate a servizi divisibili possono essere addossate a chi ne fruisce,
solo se il fruirne è segno di capacità contributiva. Vi sono servizi pubblici che, pur essendo divisibili,
soddisfano bisogni essenziali (si pensi al servizio sanitario, all’istruzione, ecc.), costituzionalmente tutelati.
Anche il finanziamento di tali servizi è finanziamento di una spesa pubblica, da realizzare con un concorso
legato alla capacità contributiva. Il legislatore, quindi, non può addossare il costo a che ne fruisce, senza
tenere conto della sua capacità contributiva.
La garanzia costituzionale può venire meno solo per i servizi pubblici non essenziali; per tali servizi, sono
ammissibili modalità di finanziamento che prescindono dalla capacità contributiva di chi li usa, ma si basano
sul principio del beneficio. Spesa pubblica, nell’art. 53, è dunque sia quella relativa a servizi indivisibili, sia
quella relativa a servizi essenziali, anche se divisibile. Il concetto di spesa pubblica può essere limitato, ma
solo escludendo i servizi pubblici non essenziali, la cui spesa sia divisibile.

6. Capacità contributiva, uguaglianza e ragionevolezza


Il principio di capacità contributiva, combinato con il principio di uguaglianza, implica che a situazioni uguali
devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento
tributario diseguale; in materia tributaria ciò significa tassazione uguale di situazioni uguali sotto il profilo
della capacità contributiva, trattamenti disuguali dove la capacità contributiva è diversa.
Spetta al legislatore, nella sua discrezionalità, stabilire se due situazioni sono uguali o diverse, ma la Corte
può sindacare le scelte discrezionali del legislatore se queste sono irragionevoli.
Devono comunque essere fatti salvi i limiti indicati nello stesso art. 3, comma 1: cioè non possono esservi
discipline discriminatorie per ragioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni
personali e sociali.
Il principio di uguaglianza, imponendo al legislatore di trattare in modo uguale le situazioni che esso stesso
mostra di considerare uguali, esige che la legge non detti discipline contradditorie; esige, cioè, coerenza
interna alla legge tributaria.

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6.1. Principio di uguaglianza e agevolazioni fiscali
Il rispetto del principio di uguaglianza concerne sia le norme impositive, sia le norme di favore. Dato un
tributo, che colpisce in generale una categoria di soggetti o fatti economici, quali sono le ragioni che
legittimano il legislatore a introdurre trattamenti di favore senza violare il principio di eguaglianza??
Il legislatore può però riconoscere agevolazioni se ciò risponde a scopi costituzionalmente riconosciuti, e
cioè se il trattamento differenziato trova giustificazione in una norma costituzionale.

7. Il principio di progressività
L’art. 53.2, della Costituzione, recita che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Il principio di progressività (=rapporto diretto tra imposizioni e reddito individuale di ogni contribuente) non
riguarda i singoli tributi ma il sistema nel suo complesso; singoli tributi possono essere ispirati anche a
principi diversi.

8. Tutela dell’interesse fiscale e diritti inviolabili


L’interesse fiscale è il valore costituzionale che legittima le norme che tutelano il fisco. Secondo la Corte
costituzionale, la materia tributaria, per la sua particolarità e per il rilievo che ha nella Costituzione
l’interesse dello Stato alla percezione dei tributi, giustifica discipline differenziate.
La tutela costituzionale dell’interesse fiscale non deve però mai ledere i diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost.

Capitolo Quinto. NORME IMPOSITIVE E NORME DI FAVORE

1.L’obbligazione tributaria
Lo Stato (o altro ente impositore) è titolare di poteri autoritativi ed è titolare di un diritto di credito;
correlativamente c’è da distinguere tra i vari obblighi e poteri formali che danno vita alle attività o
procedure dirette e l’obbligazione tributaria, e gli effetti sostanziali connessi.
L’obbligazione tributaria non si differenzia dalle obbligazioni del diritto privato, disciplinate dal codice civile.
Dell’obbligazione tributaria, però, vi è una disciplina propria nel diritto tributario: solo quando la disciplina
tributaria presenta delle lacune, l’interprete può colmarla ricorrendo alle norme del codice civile, ma solo
se ricorrono i presupposti dell’analogia. L’analogia è possibile quando: a) la disciplina tributaria presenti
delle lacune in senso tecnico; b) le norme del codice sono suscettibili di essere estese oltre l’ambito del
diritto privato; c)la norme del codice sono compatibili con le peculiarità del diritto tributario.
L’obbligazione tributaria è poi un obbligazione legale. La disciplina dell’obbligazione è tutta stabilita dalla
legge; nulla di tale disciplina può essere determinato dalla volontà delle parti. La stessa amministrazione
finanziaria, pur dotata di poteri autoritativi, non dispone di discrezionalità: i suoi poteri sono vincolati.
Altro è invece se tale definizione viene intesa nel senso che l’obbligazione ha la sua origine esclusivamente
nella legge, e che, al meccanismo della sua nascita, sono estranei gli atti del contribuente o
dell’amministrazione finanziaria. Sotto questo profilo, la definizione dell’obbligazione tributaria come
obbligazione di fonte legale non è accolta dalla teoria costitutiva.

2. Il presupposto
La fattispecie che dà vita, in modo diretto o medito, all’imposta, è variamente denominata: presupposto,
fatto imponibile ecc. Preferire l’uno o l’altro termine è questione puramente lissicale.
Il presupposto è quell’evento che determina- direttamente o indirettamente- il sorgere dell’obbligazione
ributaria. Il presupposto è connotato dal legislatore (esplicitamente o implicitamente) sotto diversi profili:
oggettivo, soggettivo, spaziale e temporale.
Presupposto e oggetto dell’imposta sono nozioni usate talora come coincidenti (ad esempio, nell’imposta di
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registro). Le due espressioni sono però usate anche con significati distinti, in quanto il termine
“presupposto” è preferito nei discorsi giuridici, mentre “oggetto” è un termine usato con significato
economico.

2.1. Imposte dirette e indirette; reali e personali


Le classificazioni più correnti dell’imposta hanno come riferimento il presupposto. Assai nota ed usata è la
distinzione tra imposte dirette e indirette; le prime sono quelle che colpiscono il reddito o il patrimonio, le
seconde sono tutte le altre (imposte sui consumi, sui trasferimenti, ecc.). La distinzione tra imposte dirette
e indirette ha valore non meramente classificatorio, ma operativo, perché vi sono disposizioni normative
che la adottano.
La denominazione trae origine dal fatto che le imposte dirette colpiscono una manifestazione diretta di
capacità contributiva, le altre una manifestazione indiretta.
Le imposte sul reddito sono ulteriormente distinte in personali e reali, a seconda che, nella loro disciplina,
abbia o no rilievo qualche elemento che attiene alla persona (ad esempio, la situazione familiare) del
soggetto passivo.

2.2. Imposte istantanee e periodiche


Il presupposto può essere un fatto istantaneo o un fatto continuativo; di qui, la distinzione tra imposte
istantanee e periodiche. Sono istantanee, ad esempio, le imposte che prendono in considerazione il
patrimonio in un dato istante (ad es., imposta sulle successioni che colpisce l’asse ereditario).
Sono imposte periodiche le imposte sul reddito e l’imposta sul valore aggiunto, che hanno come
presupposto un insieme di fatti che si collocano in un dato arco temporale (periodo d’imposta). Ad ogni
periodo d’imposta corrispondono distinti rapporti d’imposta e, quindi, distinti procedimenti attuativi.
Ciascuna imposta periodica è determinata da fatti che si sono verificati nel (o che devono essere imputati
al) singolo periodo d’imposta, ma ciò non significa netta cesura tra i fatti di ciascun periodo: ad esempio, in
materia di redditi d’impresa, lo Statuto dei diritti del contribuente prevede che le modifiche delle imposte
periodiche si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata
in vigore delle disposizioni che le prevedono.
Lo Statuto dei diritti del contribuente, all’art.3, prevede che le modifiche delle imposte periodiche si
applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore
delle disposizioni che le prevedono.

3. Fattispecie equiparate (o assimilate) e supplementari


Vi sono norme che allargano l’ordinario campo di applicazione di un’imposta, aggiungendo altre fattispecie
imponibili a quelle tipiche. Ciò avviene talvolta perché il legislatore vuole che certi fatti economici non
sfuggano alla tassazione; essi sono perciò equiparati al presupposto tipico di un’imposta, pur se presentano
tratti di eterogeneità. In altri casi, l’ampliamento della sfera di applicazione del tributo risponde a fini
antielusivi. Per distinguere terminologicamente le due ipotesi, si parla nel primo caso, di fattispecie
equiparate (o assimilate), e, nel secondo, di fattispecie surrogatorie (o supplementari).
Ad esempio, fattispecie tipica dell’imposta di registro è un negozio o atto redatto per iscritto. In via
generale, quindi, non si ha registrazione, e non si ha imposizione, per gli atti non redatti per iscritto.
Tuttavia, in deroga a tale norma, è stabilito che determinati contratti verbali sono soggetti ad imposta
mediante registrazione della denuncia del contratto.
Da ricordare è che l’assimilazione è una tecnica adottata talora dal legislatore anche per ampliare l’ambito
di applicazione di una determinata norma.
Le fattispecie supplementari sono aggiunte a quelle tipiche al fine di impedire ai contribuenti di utilizzare lo
strumento previsto dalla fattispecie supplementare per fini di elusione.
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Possiamo esemplificare indicando due norme dell’imposta di registro. Il mandato irrevocabile con dispensa
dall’obbligo di rendiconto non è soggetto all’imposta normalmente prevista per il mandato, ma alla
maggiore imposta stabilita per l’atto per il quale è stato conferito (ad esempio, vendita immobiliare). Si
vuole con tale norma impedire che venga usato un mandato a vendere per dissimulare una vendita al
mandatario (e pagare così l’imposta sul mandato, che è inferiore a quella sulla vendita). Sempre agli effetti
dell’imposta di registro, le vendita con riserva di proprietà e gli atti sottoposti a condizione sospensiva
meramente potestativa sono trattati come gli atti non soggetti ad alcuna condizione.

4. Calcolo dell’imposta. Base imponibile e aliquota


La quantificazione del debito d’imposta dipende, innanzitutto, dalla base imponibile, che è concetto diverso
da quello di presupposto.
Presupposto è ciò che provoca l’applicabilità di un tributo (l’an debeatur); base imponibile ciò che
determina la misura (il quantum).
Può aversi identificazione o sovrapposizione di concetti: il reddito, ad esempio, è al tempo stesso
presupposto e base imponibile.
La base imponibile è costituita, nella maggior parte delle imposte, da una grandezza monetaria. Se gli
elementi della base imponibile non sono entità monetarie, ma beni o servizi, sarà necessario quantificarne
il valore in moneta.
Le norme sulla base imponibile sono sovente particolarmente complesse. Il legislatore non si limita a
stabilire quale sia la base imponibile di un tributo, ma detta anche le norme che fissano la composizione
della base imponibile ed i criteri di valutazione. Si considerino, ad esempio, le norme sul reddito d’imposta.
L’imposta può essere stabilita in misura fissa o variabile. Si pensi, ad esempio, all’imposta (o tassa) fissa di
registro, dovuta in una certa misura per ogni atto di cui si chiede la registrazione.
La misura variabile dipende dall’aliquota (cioè da una percentuale dell’imponibile), che può essere fissa o
progressiva. Nel caso dell’aliquota proporzionale, l’aliquota è fissa. Vi sono diverse modalità tecniche con
cui un’imposta può essere resa progressiva: vi è una progressività per classi, una progressività per scaglioni,
una progressività continua ed una progressività per detrazione. Le imposte sono regressive quando
l’aliquota diminuisce con l’aumentare della base imponibile, mentre, nelle imposte graduali, la base
imponibile è divisa in più gradi, a ciascuno dei quali corrisponde una determinata aliquota. La misura
dell’imposta, inoltre, può dipendere da situazioni personali o familiari del debitore; ad esempio, le aliquote
dell’imposta sulle successioni (e donazioni) variano a seconda del rapporto di parentela tra de cuius ed
erede (e tra donante e donatario).

5. Sovrimposte e addizionali
Vi è sovrapposizione di fattispecie quando la fattispecie imponibile di un tributo (imposta madre), viene
usata come fattispecie di un’altra imposta, detta imposta figlia. L’imposta figlia è denominata sovrimposta o
addizionale.
È denominata addizionale (o imposta addizionale) anche il tributo la cui misura è ragguagliata ad una
frazione o multiplo di quanto dovuto per l’imposta di base. Il legislatore disciplina di volta in volta
l’accertamento e la riscossione della sovrimposta e dell’addizionale, potendo prevedere un regime
autonomo o dipendente dall’applicazione dell’imposta-base.

6. Le norme di favore. Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni


Le norme fiscali non sono solo norme impositive. Vi sono anche norme fiscali di favore. Può essere definita
agevolazione, o aiuto fiscale, ogni tipo di norma che, in deroga a quanto previsto in via ordinaria, riduce il
peso dell’imposta. Gli strumenti di cui il legislatore può servirsi sono molteplici: esenzioni, deduzioni dalla
base imponibile, riduzioni di aliquote.
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Le esenzioni sono enunciati normativi che sottraggono all’applicazione del tributo fattispecie che invece
sono imponibili in base alla definizione generale del presupposto. Le esenzioni possono essere temporanee
o permanenti. Vi sono esenzioni di carattere soggettivo, di carattere oggettivo ed esenzioni che richiedono
sia un requisito soggettivo, sia un requisito oggettivo. La distinzione tra esenzioni soggettive ed esenzione
oggettive ha rilievo pratico perché le esenzione oggettive non vengono meno se muta la proprietà del
cespite. Invece, una esenzione soggettiva non opera più quando muta la proprietà del cespite.
Vi sono casi nei quali l’esenzione designa fattispecie da cui non scaturisce alcun effetto giuridico; in tali casi
la conseguenza dell’esenzione è la non applicazione di un’imposta. Talvolta il legislatore esenta una
fattispecie da una imposta perché prevede l’applicazione di un’altra imposta. Le esenzioni, dunque,
possono comportare tanto l’esonero da qualsiasi imposta, quanto l’applicazione di un’altra imposta; e solo
se l’applicazione dell’altra imposta comporta un minore onere economico per il contribuente, si può
affermare che un simile trattamento ha natura agevolativa. Vi sono poi dei casi nei quali l’esenzione
comporta l’esonero dall’obbligazione d’imposta, ma non da altri adempimenti; ad esempio, le esenzioni
dall’Iva esonerano il soggetto passivo dal pagamento dell’imposta, ma le operazioni esenti devono essere
fatturate e contabilizzate.
Per individuare le fattispecie esenti, si possono seguire 2 criteri, uno di tipo logico, uno di tipo
nominalistico. In base a quello logico, sono esenzioni tutti i casi che sono in rapporto di deroga rispetto alla
norma che definisce il presupposto. Oltre a tale criterio, non possono non essere considerate esenzioni
quelle che il legislatore qualifica e disciplina espressamente come tali, quale che sia il rapporto logico tra
caso esentato e disciplina generale.
Diverso può essere il modo di operare delle esenzioni: vi sono infatti, esenzioni operanti ex lege, ed
esenzioni operanti solo a seguito di istanza di parte, o di apposito provvedimento esonerativo.
Le esenzioni si differenziano dalle esclusioni perché le prime costituiscono una deroga alla disciplina
generale del tributo, mentre le esclusioni risultano da enunciati con cui il legislatore chiarisce i limiti di
applicabilità del tributo, senza derogare a quanto risulta dagli enunciati generali. L’esclusione è, dunque,
una disposizione a cui, per definizione, non corrisponde una norma. La distinzione indicata tra esenzioni ed
esclusioni, tuttavia, non sempre corrisponde al linguaggio legislativo.

7. Fattispecie sostitutive (e regime fiscali sostitutivi)


Il legislatore può stabilire, con una norma derogatoria, che talune categorie di fatti sono sottratte
all’applicazione d’una imposta, ad essa applicabile, e siano assoggettate ad altro, speciale regime. Si ha, in
tal caso, una fattispecie sostitutiva, o regime fiscale sostitutivo. Ciò può avvenire sia per scopi di
agevolazione, sia per motivi di tecnica impositiva (ossia di semplificazione del meccanismo impositivo).
Pongono in essere dei regimi sostitutivi, ad esempio, le norme che sottopongono determinati redditi a
ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. Rispetto al regime normale, in tali ipotesi si hanno le seguenti
differenze:
-Soggetto passivo del tributo sostitutivo non è colui che percepisce il reddito ma il sostituto;
-Il reddito è tassato in via autonoma, con aliquota fissa; non è quindi componente del reddito complessivo
del percettore, ed è sottratto alla progressività;
-La tassazione alla fonte in via definitiva sostituisce ogni imposta diretta.

8. Crediti d’imposta in senso tecnico


L’espressione “credito d’imposta” è ambivalente, perché indica tanto il credito del fisco verso il
contribuente, quanto l’opposto, ossia il credito del contribuente verso il fisco. Con l’espressione “credito
d’imposta in senso tecnico” non ci riferiamo in modo generico a qualsiasi credito del contribuente verso il
fisco, ma solo ad alcuni particolari crediti.
Vi sono crediti d’imposta accordati per motivi di tecnica tributaria, ossia per porre rimedio a fenomeni di
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doppia imposizione. È il caso del credito d’imposta attribuito a coloro che percepiscono redditi di fonte
estera. Vi sono, poi, i crediti d’imposta accordati per fini extrafiscali, ossia per ragioni agevolative. Ad
esempio, sono stati concessi crediti d’imposta a coloro che effettuano investimenti nelle aree svantaggiate.
Nell’ambito dei crediti d’imposta, dobbiamo distinguere quelli rimborsabili da quelli non rimborsabili. I
crediti non rimborsabili sono utilizzati dal contribuente solo a compensazione del debito d’imposta, e, se vi
è un eccedenza, il contribuente non ha diritto al rimborso. In sostanza tali crediti equivalgono a delle
detrazioni. Ad esempio, il credito d’imposta per rediti prodotti all’estero equivale ad una detrazione, perché
-se l’imposta pagata all’estero è più elevata di quella dovuta in Italia- il credito è attribuito in misura
limitata, ossia in misura non superiore all’imposta dovuta in Italia sul reddito prodotto all’estero. In genere
non sono rimborsabili, ma equivalgono a delle detrazioni, i crediti d’imposta previsti per motivi agevolativi.
Altra forma di norma di favore è quella che esclude da imposta i redditi reinvestiti. Ad esempio, vi sono
norme che, per il aiutare il cinema, escludono dalla tassazione gli utili impiegati nella produzione o
distribuzione di film con valore culturale italiano.

Capitolo Sesto. I SOGGETTI

1.Soggetti passivi e domicilio fiscale


Sono titolari di situazioni giuridiche le persone fisiche, gli enti collettivi dotati di personalità giuridica, le
società di persone, le associazioni non riconosciute, le organizzazioni senza personalità giuridica e, nell’Ires, le
altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto si
verifica in modo unitario e autonomo. Tra i soggetti passivi dell’IVA sono espressamente comprese le
organizzazioni senza personalità giuridica.
Il soggetto passivo è denominato contribuente. Ogni contribuente ha il domicilio fiscale in un comune dello
Stato ed è regolato a fini reddituali:
 i residenti hanno domicilio fiscale nel comune dell'anagrafe in cui sono iscritti
 le società e gli enti hanno domicilio fiscale nel comune in cui hanno sede legale
 i non residenti sono domiciliati nel comune in cui è prodotto il reddito
Il comune di domicilio fiscale determina la competenza dell'ufficio che deve controllare la posizione
fiscale del contribuente ed indica il comune in cui devono essere notificati gli atti provenienti
dall'amministrazione finanziaria.

2. La solidarietà tributaria
Le diverse situazioni passive, che scaturiscono dalle fattispecie tributarie, possono far capo ad una pluralità di
soggetti passivi.
Può trattarsi di obblighi formali o dell’obbligazione tributaria. Si ha obbligazione solidale quando più soggetti
sono tenuti in solido ad adempiere l'obbligazione tributaria, ciascuno può essere costretto all'adempimento
per la totalità e l'adempimento da parte di uno libera gli altri (art.1292 c.c.).
Il soggetto passivo del tributo è obbligato sia all'adempimento della prestazione pecuniaria che
all'adempimento di obbligazioni formali, come la presentazione della dichiarazione. Anche per tali obblighi
l'adempimento di uno dei coobbligati libera tutti gli altri. Nelle leggi tributarie sono espressamente indicati
i casi in cui l'obbligazione è solidale.

2.1. La solidarietà paritaria.


Vi sono 2 tipi di solidarietà: quella paritarie e quella dipendente.
La solidarietà tributaria può essere:

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 paritaria, quando il presupposto del tributo è riferibile ad una pluralità di soggetti; è tipica delle
imposte indirette, ad es.
– imposta di registro, stipulazione di un contratto da registrare, le parti contraenti sono obbligate in
solido,
– imposta sulle successioni, dovuta dagli eredi in solido
 dipendente, quando vi è un obbligato principale, che ha posto in essere il presupposto del tributo,
ed un obbligato dipendente (responsabile d'imposta), che non ha partecipato alla realizzazione del
presupposto e tuttavia è obbligato in solido perché ha posto in essere un'altra fattispecie connessa.
Le previsioni di solidarietà, soprattutto in materia di imposte personali, hanno natura eccezionale.

2.2. La solidarietà dipendente e il “responsabile d’imposta”.


Responsabile d'imposta è il debitore d'imposta che non realizza il presupposto ma una fattispecie collaterale,
è fiscalmente obbligato in via dipendente, in solido con il soggetto che realizza il presupposto.
Ciò che distingue il responsabile d’imposta dall’ordinaria figura di coobbligato della solidarietà paritaria è il
fatto che la sua responsabilità non deriva dall’aver concorso a realizzare il presupposto dell’imposta, ma
dall’aver posto in essere una fattispecie ulteriore e diversa.
Tra fattispecie principale (cui si collega il debito dell’obbligato principale) e fattispecie secondaria (da cui
deriva l'obbligazione del responsabile) vi è un rapporto di pregiudizialità- dipendenza: l'obbligazione del
responsabile esiste in quanto esiste quella principale; il responsabile è un coobbligato in via dipendente.
Ciò non ha rilievo nei rapporti con il fisco. Nei rapporti esterni, il responsabile d'imposta è un coobbligato
in solido, nei rapporti interni ha invece diritto di regresso per l'intero nei confronti dell'obbligato principale
(mentre, nella solidarietà paritetica, il coobbligato che opaga l’intero ha diritto di regresso pro quota).
Casi di solidarietà dipendente:
 Ires, se è adottato il regime di trasparenza, la società partecipata è obbligata come garante del
debito dei soci: ciascun socio risponde del debito tributario che scaturisce dal proprio reddito, ma la società
è solidalmente responsabile per l'imposta, le sanzioni e gli interessi;
 nel consolidato nazionale, ogni società controllata risponde dei debiti collegati alla sua
dichiarazione dei redditi; in quanto soggetto che realizza il reddito, è obbligata anche la controllante, in
quanto responsabile anche dei debiti fiscali che scaturiscono da redditi delle controllate;
 imposta di registro, il notaio è obbligato al pagamento dell'imposta con le parti contraenti;
 i soci delle società in nome collettivo e i soci accomandatari rispondono solidalmente ed
illimitatamente dei debiti della società, anche fiscali;
 nel caso in cui il sostituto a titolo di imposta venga iscritto a ruolo per le imposte, sanzioni o interessi
relativi a redditi per i quali non ha effettuato né le ritenute né i versamenti, il sostituto è obbligato per il
reddito altrui;
 il rappresentante fiscale ai fini Iva del soggetto non residente risponde, con il rappresentato, dei
debiti d'imposta del rappresentato;
 il cessionario d'azienda risponde delle imposte e sanzioni del cedente, previa escussione preventiva
del cedente;
 le aziende di credito che rilasciano fideiussione ai soggetti passivi dell'Iva che conseguono rimborsi
d'imposta rispondono dell'obbligo di restituire le somme indebitamente rimborsate.

2.3. I rapporti interni tra condebitori.


I rapporti tra condebitori d’imposta non sono disciplinati dal diritto tributario, ma dal codice civile.
Art. 1298 cod. civ. l'obbligazione solidale, nei rapporti interni, si divide per quote, e le quote si presumono
uguali, se non risulta diversamente. La divisione del debito nei rapporti interni nella solidarietà tributaria si
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riferisce al rapporto di ciascun condebitore con il presupposto dell'imposta. I privati possono in ogni caso
disciplinare in via convenzionale la ripartizione tra essi dell'onere tributario.
Art. 1299 cod. civ. chi ha pagato l'intero ha diritto di regresso e può ripetere dai condebitori la quota che
compete a ciascuno di essi.

3. La sostituzione tributaria
Si ha sostituzione tributaria quando l'obbligazione tributaria, o altri debiti tributari, sono posti a carico di
un soggetto diverso da chi realizza il presupposto del tributo.
Sono obbligati ad operare le ritenute (e quindi sostituti):
 le società ed altri enti soggetti passivi Ires
 società di persone, associazioni, imprenditori individuali
 chi esercita arti o professioni, curatori fallimentari quando corrispondono:
- somme o valori che costituiscono reddito di lavoro dipendente o assimilato
- compensi di lavoro autonomo
- provvigioni inerenti a rapporti di commissione, agenzia, mediazione, rappresentanza di commercio
- interessi, dividendi e altri redditi di capitale
- compensi per avviamento commerciale
- premi e vincite
Sostituto è chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o
situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto. Il sostituto, nel momento in cui corrisponde le
somme soggette a ritenuta, ha il diritto-dovere di trattenerne una quota (l'obbligazione del
sostituto verso il sostituito è adempiuta ed estinta con la corresponsione di una somma minore di quella
dovuta). Dal punto di vista del rapporto di rivalsa, non vi è differenza tra sostituzione a titolo d’imposta e
sostituzione a titolo di acconto, salvo l’obbligo, nel secondo caso, per il sostituto, di rilasciare al sostituito un
certificato. Operare la ritenuta è un obbligo la cui violazione è punita con sanzione amministrativa.

3.1. La sostituzione a titolo d’imposta


Con la sostituzione a titolo di imposta si applica un'aliquota fissa su un determinato provento, che viene
sottratto dal reddito complessivo del percipiente. Realizza un regime fiscale sostitutivo ponendo
l'obbligazione tributaria a carico di un soggetto diverso da colui che percepisce il reddito. Nella sostituzione
d'imposta il soggetto passivo è uno solo, il sostituto (≠ da responsabile d'imposta dove i soggetti sono due);
solo se il sostituto non opera la ritenuta e non provvede al versamento, alla sua obbligazione si
aggiunge quella del sostituito, realizzando un'obbligazione solidale successiva e dipendente.
Il sostituto non è un obbligato che sostituisce un altro soggetto, ma è debitore verso il sostituito di somme
la cui corresponsione realizza, presso il creditore, un fatto fiscalmente rilevante. Di solito è una società che
corrisponde redditi di capitale o di lavoro, e che quando eroga i redditi o compensi deve operare una
ritenuta. Il sostituto è obbligato personalmente verso il fisco ma ha anche il diritto-dovere di trattenere
dalla somma che corrisponde al reddituario, un importo pari alla somma di cui è debitore verso il fisco.
La sostituzione di imposta è una deroga alla tassazione progressiva delle persone fisiche, è prevista in casi
alcuni casi, tra cui:
 ritenute sui compensi corrisposti a lavoratori autonomi non residenti,
 ritenute sui dividendi e altri redditi di capitali spettanti a non residenti,
 ritenute su alcuni redditi di capitale e sulle vincite.
Il sostituto a titolo d'imposta è unico debitore, verso il fisco, dell'imposta dovuta sul presupposto realizzato
dal sostituito. Il debito del sostituto a titolo d'imposta realizza un regime sostitutivo della normale tassazione:
tra fisco e sostituito non c'è alcun rapporto, mentre tra sostituito e sostituto c'è un rapporto privatistico.

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3.2. La sostituzione a titolo d’acconto
Nella sostituzione a titolo d'acconto (o sostituzione impropria), il sostituto non è debitore in luogo del
soggetto che sarebbe obbligato secondo i criteri generali della soggettività passiva dell’obbligazione, ma è
soggetto passivo di un autonomo obbligo di versamento (previa effettuazione della ritenuta), al quale non
è riferibile alcuna idea di sostituzione. A carico del sostituto gravano obblighi di versamento di acconti non
previsti, in via ordinaria, a carico del reddituario. Il sostituto a titolo d'acconto non è soggetto passivo
dell'obbligazione tributaria in base al presupposto, ma è tenuto per obblighi di diversa natura, che hanno
come fattispecie l'erogazione di somme al sostituito, operando una ritenuta e versando al fisco una somma
pari alla ritenuta. Il sostituito resta obbligato per l'intero reddito, comprese le somme soggette a ritenute,
salvo il suo diritto di detrarre le ritenute subite dall'imposta complessivamente dovuta.
La misura delle ritenute e del versamento dipende solitamente da un'aliquota fissa; nei casi di redditi da
lavoro dipendente è invece variabile perché dipende dall'ammontare della retribuzione annua.
Le somme che il sostituito percepisce, al lordo della ritenuta, sono componenti del suo reddito complessivo
ma, subendo le ritenute, acquista il diritto di dedurre, dall'imposta globalmente dovuta, l'importo delle
ritenute subite. Se il sostituto non versa le somme ritenute, il fisco può agire soltanto nei confronti del
sostituto.
Il sostituito con le ritenute è assoggettato ad una tassazione anticipata, acquisendo il diritto di detrarre
dall'imposta dovuta per quel periodo d'imposta, l'ammontare delle rendite subite. Le somme ritenute valgono
come pagamenti in acconto della sua obbligazione d'imposta. Il sostituito acquista il credito verso il fisco
anche se il sostituto esegue la ritenuta ma non la versa. Il sostituto che non effettua le ritenute
d'acconto rimane obbligato nei confronti del fisco, conservando il diritto-dovere di rivalsa sul sostituito.
Il fisco può:
 emettere, nei confronti del sostituto, avviso di accertamento per stabilire che ha omesso di
effettuare le ritenute e di versarle
 accertare, nei confronti del sostituito, il reddito che gli è stato corrisposto dal sostituto e non è
stato dichiarato

7. Traslazione e rivalsa
Abbiamo visto come si ripartisce l’onere del tributo nei rapporti tra coobbligati in via paritaria e che
sostituto e responsabile d’imposta hanno diritto di rivalsa. Vediamo ora gli altri casi in cui il debitore
dell’imposta ha diritto di rivalersi verso gli altri.
Ogni contribuente cerca di trasferire ad altri l’onere del tributo. Si distingue tra contribuente di diritto e
contribuente di fatto; il primo è il debitore, che è tenuto a pagare il tributo, il secondo colui che sopporta
l’onere del tributo, senza poterlo riversare su altri.
Vi sono tributi posti a carico di un soggetto che però sono destinati a gravare economicamente su altri
soggetti (ad es. le imposte sui consumi, delle quali sono debitori gli operatori economici, sono destinate a
gravare sui consumatori).
Ma Vi sono casi nei quali al soggetto passivo del tributo è espressamente conferito il diritto di rivalsa (ad
es. i soggetti passivi Iva hanno diritto di rivalsa verso i cessionari).
Quando il soggetto passivo del tributo è diverso dal soggetto che pone in essere il fatto economico, il
debitore del tributo deve poter trasferire l'onere economico sul soggetto che realizza il fatto espressivo
di capacità contributiva; quando questo non si verifica, il tributo non si realizza secondo la sua ratio.
Il sostituto d'imposta e il responsabile d'imposta hanno diritto di rivalsa nei confronti di colui che ha posto in
essere il presupposto. In generale ogni terzo che sia tenuto a corrispondere il tributo ha diritto di rivalsa
verso colui che realizza il presupposto dell'imposta. La rivalsa può derivare da norme civilistiche o da
clausole contrattuali.
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La traslazione economica dell'imposta attuata in forza di un patto contrattuale ha natura di
integrazione del corrispettivo e non natura tributaria. Quando invece la rivalsa è prevista da norme
tributarie, il rapporto di rivalsa è parte del tributo inteso come istituto giuridico. Si ha surrogazione a
vantaggio di chi, essendo tenuto, con altri o per altri, al pagamento di un tributo, ha assolto il debito di
imposta: tale soggetto può surrogarsi, nei confronti del debitore di imposta che ha posto in essere il
presupposto, negli stessi diritti del fisco.

5. I patti di accollo dell’imposta.


La rivalsa può essere:
 obbligatoria, quando l'onere del tributo deve essere trasferito dal soggetto passivo ad altri, ed i patti
di rinuncia di rivalsa sono nulli
 facoltativa, i privati sono liberi di stipulare patti di accollo dell'imposta, con cui l'accollante si
impegna verso l'accollato, a far fronte a un determinato debito d'imposta o ad altri oneri tributari che
dovessero sopravvenire a carico dell'altro soggetto. L'accollo può essere:
– interno al rapporto tra contribuente accollato ed accollante, nel qual caso i fisco non acquisisce alcun
diritto nei confronti dell'accollante,
– esterno, che attribuisce all'accollatario il diritto di agire verso l'accollante.
Il debitore originario del tributo non può mai essere liberato, l'accollo delle imposte è sempre
cumulativo, mai liberatorio.
 vietata, possono esservi norme che vietano la rivalsa.

6. La successione nel debito di imposta.


La successione ereditaria, comportando il subentro degli eredi in tutte le situazioni giuridiche
trasmissibili che facevano capo al defunto, implica il subentro degli eredi nelle situazioni giuridiche di
natura tributaria. Il fenomeno non è compiutamente regolato del legislatore tributario, per cui si applica,
in mancanza di norme tributarie, la normativa codicistica.
Gli eredi non rispondono in solido dei debiti ereditari, ma ne rispondono in proporzione alle rispettive
quote (art.752 c.c.).

Capitolo Settimo. L'AZIONE AMMINISTRATIVA

1. Le agenzie fiscali
Il Ministero dell'economia e delle finanze ha la competenza circa la politica economica e finanziaria,
il bilancio e il fisco. La gestione pratica dei tributi spetta alle agenzie fiscali, enti pubblici economici. Le
agenzie fiscali sono 4:
 Agenzia delle entrate, amministra tutti i tributi statali, esclusi quelli doganali e le accise. Al vertice
dell'Agenzia delle entrate c'è il Direttore generale, da cui dipendono le Direzioni regionali. La titolarità
dell'obbligazione tributaria è dello Stato, l'esercizio dei poteri in materia di imposizione fiscale è attribuito
all'Agenzia delle entrate. I compiti strettamente operativi sono svolti, in periferia, dalla agenzia delle
entrate.
 Agenzia delle dogane, amministra tributi doganali ed accise,
 Agenzia del territorio,
 Agenzia del demanio.

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2. Lo schema standard di attuazione dei tributi.
Ai contribuenti sono imposti obblighi di
 autoliquidazione,
 versamento,
 dichiarazione.
L'Agenzia delle entrate controlla l'adempimento degli obblighi di versamento ed eventualmente emana
l'avviso di accertamento, che di regola comporta anche l'applicazione di sanzioni.
Il potere di riscuotere il tributo si attua con la formazione del ruolo, titolo esecutivo con cui si realizza la
riscossione in forma coattiva sia delle somme dovute in base alle dichiarazioni dei contribuenti che delle
somme dovute in base agli atti di accertamento.
Vi sono casi (tributi senza imposizione) in cui la nascita dell'imposta ne comporta direttamente l'adempimento: al
verificarsi del presupposto, l'obbligato deve versare l'imposta (ad es. imposta di bollo, tassa sulle
concessioni governative). L'inadempimento comporta l'attivazione della procedura sanzionatoria.

2.1. La disciplina generale dei procedimenti tributari


Per i procedimenti tributari si applicano
 le regole generali per i procedimenti amministrativi ex l. 241/1990, escluse le norme sulla
partecipazione del cittadino al procedimento e quelle in tema di accesso, mentre si applicano in materia
tributaria quelle relative
– ai principi generali,
– quelle in tema di responsabile del procedimento, soggetto attraverso il quale la Pa dialoga con il
cittadino, è quello che coordina l'istruttoria ed è organo di impulso;
– quelle in tema di efficacia e invalidità dei provvedimenti amministrativi.
 lo Statuto dei diritti del contribuente, l. 212/2000;
 regole procedimentali contenute in specifici testi normativi.
Il procedimento di imposizione inizia sempre d'ufficio (sia quando la dichiarazione sia stata omessa, sia
quando sia stata presentata); la dichiarazione non avvia il procedimento ma assolve un obbligo imposto
dalla legge.
Nel procedimento tributario d'imposizione non c'è una sequenza predeterminata di atti. Il procedimento
tributario d'imposizione può concludersi o
 con un avviso di accertamento,
 con un accertamento con adesione,
 senza l'emanazione di alcun provvedimento.
Le leggi tributarie disciplinano
 i presupposti,
 la misura,
 i soggetti passivi dell'obbligazione tributaria.

3. Funzioni vincolate e indisponibilità dell’obbligazione tributaria.


I poteri dell’amministrazione finanziaria non sono discrezionali ma vincolati. L'amministrazione
finanziaria, in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, deve emanare l'avviso di accertamento,
rispettando i criteri prestabiliti dalla legge. L'ufficio non ha possibilità di scelte discrezionali, non può
disporre dei suoi crediti né del potere impositivo.
Eventualmente, in contraddittorio con il contribuente, l'amministrazione può rivalutare gli elementi posti, in
concreto, a fondamento dell'atto di accertamento, pervenendo ad un accertamento con adesione; oppure
l'amministrazione finanziaria può riconoscere l'illegittimità dell'atto impositivo e ritirarlo in via di autotutela.
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È ammessa anche l'acquiescenza tacita da parte dell'amministrazione finanziaria rispetto ad una pronuncia
delle commissioni tributarie.

4. Lo statuto dei diritti del contribuente. Collaborazione e buona fede


Nello statuto vi sono diverse norme che disciplinano i rapporti tra amministrazione finanziaria e
contribuenti. Contiene, tra l’altro, norme riguardanti il procedimento d’imposizione, che prevedono obblighi
a carico della P.A. e la disciplina dell’interpello ordinario.
Art. 10 Statuto dei diritti del contribuente, i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono
improntati al principio
 della collaborazione
 e della buona fede.
Co 2 non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato
ad indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria; si tutela l'affidamento del contribuente,
anche quando abbia agito a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori
dell’amministrazione stessa, e sia incorso nella violazione di una norma tributaria.
Molte regole relative al comportamento cui è tenuta l'amministrazione sono improntate al principio di
buona fede, ad Es.
 correggere errori macroscopici in cui sia incorso in buona fede il contribuente;
 ritirare gli atti impositivi illegittimi, anche se divenuti definitivi;
 rimborsare al contribuente il costo delle fideiussioni rilasciate per ottenere la sospensione del
pagamento o la rateizzazione o il rimborso del tributo quando sia definitivamente accertato che
l'imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata;
 non applicare retroattivamente le interpretazioni sfavorevoli per il contribuente. Analogamente
sono applicazione dell'art. 10 Statuto gli obblighi di informazione imposti all'amministrazione che
deve
 garantire al contribuente l'effettiva conoscenza degli atti a lui destinati, senza violare il diritto
alla riservatezza;
 informarlo di ogni fatto o circostanza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un
credito o l'irrogazione di una sanzione;
 informare adeguatamente i contribuenti non residenti in Italia;
 garantire che i modelli di dichiarazione, le istruzioni e le comunicazioni siano comprensibili.
L'amministrazione deve anche
 non richiedere ai contribuenti documenti di cui sia già in possesso;
 prima di procedere ad iscrizione a ruolo in base alla dichiarazione, invitare il contribuente a fornire i
chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti;
 svolgere accessi, ispezioni e verifiche con modalità tali da non turbare l'attività del
contribuente;
 motivare i propri atti.
Se i contribuenti non hanno potuto adempiere in tempo gli obblighi tributari per cause eccezionali di forza
maggiore, il Ministro ha il potere-dovere di rimetterli in termini.

5. Il legittimo affidamento
Principio generale dell'ordinamento è la tutela del legittimo affidamento, con cui si tutela il
contribuente che si comporta in buona fede, facendo affidamento sulle indicazioni fornite
dall'amministrazione, o che viola una norma per ragioni imputabili all'amministrazione.

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Da ciò deriva, ad esempio, che le circolari ministeriali generano un legittimo affidamento in ordine al
comportamento da tenere nei confronti dell’amministrazione, che non può discostarsi nei rapporti con i
contribuenti dalle indicazioni fornite con le circolari.
L'amministrazione può modificare l'interpretazione di una disposizione ma le circolari peggiorative non
possono essere retroattive. Sono quindi illegittimi gli atti di accertamento che hanno per oggetto fatti
accaduti prima del cambiamento peggiorativo.

6. Il contraddittorio
Ai procedimenti tributari non si applicano le norme generali in tema di contraddittorio. L'ufficio non è
obbligato ad avvertire il contribuente dell'indagine avviata nei suoi confronti, né vi è un generale
riconoscimento legislativo del diritto del privato di partecipare al procedimento e di difendersi, prima che
sia emesso a suo carico un atto impositivo.
Vi sono norme che prevedono, caso per caso, la facoltà o l'obbligo dell'ufficio di ascoltare il
contribuente, tra cui
 quando dai controlli emerga un risultato diverso da quello dichiarato, l'ufficio deve
comunicare al contribuente l'esito del controllo per consentirgli di fornire i chiarimenti necessari;
 prima di emettere un accertamento che applica la clausola antielusiva, l'ufficio deve, a pena di
nullità, richiedere chiarimenti al contribuente;
 prima di emettere avviso di accertamento sintetico del reddito, l'ufficio può interpellare il
contribuente perché dimostri che il maggior reddito non è tassabile o è già stato tassato;
 prima di emettere un accertamento fondato su presunzioni desunte da conti correnti bancari, l'ufficio
può invitare il contribuente a fornire prova contraria;
 al termine delle verifiche fiscali, il contribuente ha 60 giorni per far pervenire le sue osservazioni
e richieste all'ufficio, che non può emanare l'avviso di accertamento prima della scadenza di tale termine.

7. Il divieto di doppia imposizione


Il divieto di doppia imposizione comporta che:
 non può esser applicata la stessa imposta, sullo stesso presupposto, sia nei confronti dello stesso
soggetto che nei confronti di soggetti diversi,
 divieto che opera anche quando sono coinvolte imposte diverse (un reddito non può essere tassato
sia come reddito di una società per capitali sia di persona fisica).
Ne deriva che il secondo atto d'imposizione è illegittimo, a prescindere dal fatto che l'imposta dovuta
sia quella applicata dal primo atto o quella applicata dal secondo.

8. L’interpello ordinario
Art. 11 Statuto dei diritti del contribuente: ciascun contribuente può presentare alla Direzione regionale
dell'Agenzia delle entrate circostanziate e specifiche istanze di interpello (ordinario) con cui richieda un
parere circa l'interpretazione di una disposizione tributaria, con riguardo a casi concreti e personali (non
può esser presentata a scopo accademico). Può riguardare qualsiasi domanda sull'applicazione delle
leggi tributarie.
L'istanza può esser presentata solo se riguarda una disposizione la cui interpretazione sia
obiettivamente incerta.
L'amministrazione risponde per iscritto entro 120 giorni con risposta motivata. Il silenzio vale assenso,
indica che l'Agenzia concorda con l'interpretazione e con il comportamento prospettato dal richiedente. È
onere del contribuente indicare nell'istanza quale sia la sua interpretazione, altrimenti in caso di silenzio
dell'amministrazione non si può avere tacito assenso.
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L'istanza deve essere preventiva all'applicazione della disposizione.
L'amministrazione non è tenuta a rispondere se non sussistono i presupposti sostanziali dell'istanza o se
questa è formalmente invalida.
Se l'istanza è formulata da molti contribuenti circa la stessa questione, l'amministrazione può fornire una
risposta collettiva con circolare o risoluzione.
Il parere reso dall'Agenzia vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell'istanza di interpello, e
limitatamente al richiedente. Il parere vincola l'Agenzia, rendendo illegittimi gli atti dell'amministrazione
contrastanti con i pareri resi, in via espressa o tacita.
Se la risposta è negativa ed il contribuente non vuole adeguarsi può:
 presentare la dichiarazione discostandosi dal parere ed impugnare poi l'eventuale avviso di
rettifica, insieme con il parere;
 presentare una dichiarazione conforme al parere, versare l'imposta ed agire con istanza di
rimborso.
Se c'è il dubbio che un comportamento sia elusivo, si ha interpello speciale circa l'applicazione di specifiche
disposizioni con finalità antielusive. Riguarda:
 operazioni di disapplicazione di norme tributarie che limitano deduzioni, detrazioni, etc per
contrastare comportamenti elusivi, quando non possono verificarsi effetti elusivi;
 operazioni in tema di interposizione;
 qualificazione di determinate spese come spese di rappresentanza, pubblicità e propaganda;
 disapplicazione della norma in tema di indeducibilità dei costi connessi a rapporti con imprese
residenti nei paradisi fiscali.

8.1. L’interpello in materia di elusione e interposizione


Poiché può essere dubbio se un comportamento sia elusivo, il legislatore ha previsto un’apposita forma di
interpello, concernente i comportamenti elusivi ed altre fattispecie di difficile interpretazione.
In caso di interpello speciale
 il contribuente chiede il preventivo parere alla Direzione dell'Agenzia delle entrate, fornendole
tutti gli elementi conoscitivi utili per la corretta qualificazione tributaria della fattispecie
prospettata;
 la Direzione deve rispondere entro 120 giorni, trascorsi i quali il contribuente può inviare una
diffida ad adempiere;
 la mancata risposta entro 60 giorni dalla diffida vale come silenzio-assenso.

8.2. L’interpello disapplicativo


Le norme con ratio antielusiva sono norme che negano, in via astratta e generale, un determinato beneficio,
ma il legislatore prevede un correttivo.
L'art. 37-bis D.p.r. 600/1973 stabilisce che le norme tributarie che, per contrastare comportamenti elusivi,
limitano deduzioni, detrazioni, crediti di imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse
dall'ordinamento tributario, possono esser disapplicate quando non possono verificarsi effetti elusivi.
L'interpello disapplicativo può esser presentato in relazione ad ogni norma che limita o esclude misure di
vantaggio.
Il contribuente presenta istanza al Direttore regionale dell'Agenzia delle entrate
 descrivendo in modo completo l'operazione,
 dimostrando che non possono verificarsi effetti elusivi,
 indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione.

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L'istanza è accolta o respinta con provvedimento definitivo dal Direttore.
L'art. 110 co 11 T.u.i.r. il contribuente, prima di effettuare operazioni con imprese residenti in paradisi
fiscali, può interpellare l'amministrazione finanziaria per ottenere, in via preventiva, un parere sulla
deducibilità dei costi, con la procedura prevista dall'interpello in materia elusiva.
Art. 167 e 168 T.u.i.r. Il contribuente residente con partecipazioni di controllo in paradisi fiscali può chiedere un
provvedimento disapplicativo del regime di trasparenza delle imprese estere controllate secondo la
procedura dell'interpello ordinario. Deve fornire la prova che la società non residente svolga un'attività
industriale o commerciale come sua principale attività nel Paese in cui ha sede o che dalle partecipazioni
non consegue l'effetto di localizzare i redditi in un paese a bassa fiscalità.

9. L’autotutela
Con l'autotutela l'amministrazione può annullare l'atto che riconosce viziato. Non essendovi
discrezionalità nel diritto tributario, l'esercizio dei poteri di autotutela non presuppone valutazioni di
convenienza: la correzione è giustificata soltanto dal dovere di ogni pubblica amministrazioni di ripristinare
la legalità.
Con l'autotutela si ha
 annullamento, da riferire agli atti che presentano vizi di legittimità, ossia vizi di forma o
procedimentali;
 revoca, da riferire agli atti infondati o viziati nel contenuto.
L'autotutela può esser esercitata a seguito di richiesta del contribuente o d'ufficio, sia in pendenza di giudizio
che dopo che l'atto sia divenuto definitivo, e può riguardar e qualunque atto
dell'amministrazione, anche gli atti di riscossione. Può avere ad oggetto anche un atto divenuto definitivo
perché non impugnato o impugnato senza successo. Il giudicato non impedisce l'autotutela, purché il
ritiro dell'atto sia fatto per motivi che non contraddicano il contenuto della sentenza passata in giudicato.

10. Il garante del contribuente


Presso ogni Direzione regionale dell'Agenzia delle entrate è istituito un Garante del contribuente, organo
collegiale, 3 membri scelti e nominati dal Presidente della Commissione tributaria regionale. Il Garante ha il
compito di tutelare il contribuente che lamenti disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative
anomale o irragionevoli che incrinino il rapporto di fiducia tra cittadini e amministrazione finanziaria. Ha
una funzione di persuasione morale, può solo:
 stimolare procedure di autotutela,
 rivolgere raccomandazioni ai dirigenti degli uffici per la tutela dei contribuenti e migliore
organizzazione dei servizi,
 richiamare gli uffici al rispetto dei propri obblighi di informazione,
 prospettare al Ministro i casi in cui possono esser esercitati i poteri di rimessione in termini del
contribuente,
 individuare i casi di particolare rilevanza in cui le disposizioni o i comportamenti
dell'amministrazione determinano pregiudizi per i contribuenti, segnalandoli agli organi
competenti o alla Guardia di finanza.

Capitolo Ottavo. LA DICHIARAZIONE.

1. Obblighi contabili e Centri di assistenza fiscale


Gli imprenditori sono obbligati a tenere la contabilità dal codice civile; le norme fiscali, però, impongono
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degli obblighi ulteriori. Vi è un regime di contabilità ordinaria e uno di contabilità semplificata.
Sono sottoposti a regime di contabilità ordinaria
 le società e gli enti commerciali soggetti all'Ires,
 gli imprenditori individuali e le società di persone con ricavi superiori a certe soglie,
 gli enti non commerciali che svolgono un'attività commerciale.
Ai fini Iva devono esser tenuti 2 registri:
 registro delle fatture emesse
 registro degli acquisti, vi si annotano le fatture relative ai beni e servizi acquistati o importati.
Ogni operazione fiscalmente rilevante (imponibile, non imponibile o esente) deve esser fatturata; le
fatture devono esser registrate entro 15 giorni dalla loro emissione.
I commercianti al minuto, che non sono obbligati ad emettere fattura, devono tenere un registro dei
corrispettivi.
Gli imprenditori commerciali, in regime di contabilità ordinaria, agli effetti dell’imposizione sui redditi,
devono tenere:
 il libro giornale (contiene le registrazioni di tutti i movimenti contabili di una ditta) e il libro degli
inventari;
 i registri prescritti a fini Iva;
 le scritture ausiliarie (conti di mastro) in cui registrare gli elementi patrimoniali e reddituali che
concorrono alla formazione del reddito;
 le scritture ausiliarie di magazzino;
 il registro dei cespiti.
Gli imprenditori e i sostituti d'imposta devono anche tenere
 libri paga
 libri matricola
in cui annotano le somme corrisposte ai dipendenti, le ritenute effettuate e le detrazioni applicate.
Le imprese minori, individuali e società di persone, il cui fatturato annuale non supera 309.374 Euro per le
imprese che prestano prevalentemente servizi (516.456 per le altre), hanno un regime semplificato di
contabilità, cioè 2 registi Iva in cui vanno annotate anche le operazioni rilevanti solo ai fini reddituali.
I lavoratori autonomi devono tenere due registri Iva
 registro dei corrispettivi,
 registro degli acquisti
e, ai fini delle imposte sui redditi
 registro da cui risultino le somme incassate, le spese fatte e il valore dei beni da
ammortizzare.
I lavoratori autonomi con entrate inferiori ad una certa soglia possono limitarsi a tenere i 2 registri Iva,
annotando anche i dati necessari per le imposte dirette.
I contribuenti possono esser assistiti da Centri autorizzati di assistenza fiscale:
 Caaf delle imprese, assistono le imprese nella tenuta della contabilità e nella preparazione e
presentazione della dichiarazione dei redditi; appongono il visto di conformità formale dei dati esposti
nelle dichiarazioni (rispetto alla contabilità) e degli oneri deducibili indicati nella dichiarazione (rispetto alla
documentazione esibita);
 Caaf lavoratori dipendenti, in alternativa all'assistenza del datore di lavoro o di professionisti abilitati,
sono organizzazioni sindacali di lavoratori dipendenti.

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2. La dichiarazione d’imposta in generale
I contribuenti hanno l'obbligo di presentare una dichiarazione all'agenzia fiscale nella quale indicano il
presupposto e l'ammontare dell'imposta.
Dichiarazione dei redditi e dichiarazione Iva devono esser presentate ogni anno, riguardano tributi periodici,
la cui base di commisurazione varia di anno in anno.
Vi sono poi tributi la cui base imponibile può permanere invariata nel tempo; di conseguenza, la
dichiarazione ha efficacia fino a quando non si verifichino variazioni (ad es, per l’imposta comunale per gli
immobili o per la tassa raccolta rifiuti).
Altri tributi a carattere istantaneo (come l'imposta di registro e sulle successione), richiedono invece che la
dichiarazione sia presentata ogni volta che si verifica il presupposto.

3. La dichiarazione dei redditi. I soggetti obbligati


La dichiarazione dei redditi deve esser presentata, di regola, da ogni soggetto che nel periodo di imposta
abbia posseduto redditi.
La dichiarazione deve esser presentata anche se dai redditi che si dichiarano non consegue alcun obbligo di
versamento (cioè debito d'imposta).
Gli imprenditori e i lavoratori autonomi (cioè coloro obbligati alla tenuta di scritture contabili), inoltre,
devono presentare annualmente la dichiarazione, anche se non hanno prodotto reddito.
I soggetti passivi Iva, analogamente, devono presentare la dichiarazione annuale anche se non hanno
effettuato operazioni imponibili.
Si desume da tali regole che la fattispecie, da cui scaturisce l’obbligo di dichiarazione, non coincide con il
presupposto dei tributi sul reddito; vi sono casi insomma in cui vi è l’obbligo di presentare la dichiarazione,
ma non vi è alcun debito d’imposta; e vi sono casi di soggetti esonerati.
Sono esonerati dall'obbligo di dichiarazione
 i soggetti che hanno solo redditi di lavoro dipendente e il reddito dell'abitazione principale,
 i soggetti che possiedono solo redditi esenti o redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta
(purchè non obbligati alla tenuta di scritture contabili),
 i soggetti che hanno redditi inferiori al minimo imponibile.

3.1. I contenuti della dichiarazione dei redditi.


Il contenuto caratteristico della dichiarazione, sia ai fini dell’Irpef, sia ai fini dell’Ires, è dato dall’indicazione
degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili.
Nella dichiarazione Irpef sono indicati:
 i redditi,
 l'imposta dovuta,
 la somma da versare,
 gli oneri deducibili,
 l'imposta lorda,
 le detrazioni d'imposta,
 l'imposta netta,
 le ritenute e i versamenti d'acconto,
 i crediti d'imposta
 il saldo finale (somma da versare o credito).
Devono essere indicati anche
 i dati ed elementi necessari per l'effettuazione dei controlli,

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 i trasferimenti da e verso l'estero,
 la disponibilità di investimenti all'estero.
La dichiarazione dei redditi è una “dichiarazione di scienza”. Il contribuente non deve però solo esporre fatti
e dati, ma deve anche qualificarli giuridicamente.
In sede di dichiarazione si possono esercitare opzioni di scelta del regime di contabilità come
 la rateizzazione delle plusvalenze realizzate,
 le sopravvenienze attive costituite da contributi o liberalità,
 la quantificazione degli ammortamenti,
 le spese per studi, ricerche, pubblicità e propaganda.
In questo modo la base imponibile e l'imposta non dipendono solo dalla legge ma anche dalle scelte del
contribuente.
Se vi sono perdite d'impresa pregresse, il contribuente può, nella dichiarazione, utilizzarle a
compensazione del reddito di esercizio.
L’opzione (e la revoca) di regimi speciali di determinazione delle imposte dirette e dell’IVA o di regimi
contabili, se non sono esercitate nella dichiarazione, possono essere desunti anche da comportamenti
concludenti del contribuente o dalla modalità di tenuta delle scritture contabili.
I contribuenti con periodo di imposta coincidente con l'anno solare presentano la dichiarazione unificata
annuale, comprendente:
 dichiarazione dei redditi,
 dichiarazione Irap,
 dichiarazione di sostituto d'imposta,
 dichiarazione annuale Iva.

3.2. La dichiarazione semplificata dei lavoratori dipendenti


I lavoratori dipendenti, se la loro situazione reddituale non è complessa, presentano una dichiarazione dei
redditi semplificata (mod. 730), avvalendosi dell’assistenza del proprio datore di lavoro, o di un Caaf, o di
un professionista abilitato.
Se il datore di lavoro si rende disponibile, i lavoratori possono presentargli entro il 30 aprile la dichiarazione
redatta sul modello semplificato.
Il datore di lavoro deve liquidare i saldi e gli acconti dovuti al lavoratore:
 se il lavoratore risulta debitore, il datore di lavoro trattiene la somma dovuta sulla
retribuzione dovuta nel mese di luglio;
 se il lavoratore risulta creditore il rimborso viene attuato con riduzione delle ritenute, da luglio in
poi.
Lavoratori e pensionati possono avvalersi anche dell’assistenza del “Caaf dipendenti”, presentando al Caaf il
mod.730. Il Caaf liquida l’imposta e ne comunica il risultato al datore di lavoro, che provvede ai conguagli.
Datori di lavoro e Caaf trasmettono telematicamente la dichiarazioni semplificate all’Agenzia delle Entrate.

3.3. Requisiti formali e sottoscrizione


La dichiarazione deve esser redatta, a pena di nullità, su modelli approvati annualmente
dall'Agenzia delle entrate. Il modello standard è detto Unico. Vi è poi il modello detto “semplificato”
(mod.730) destinato ai lavoratori dipendenti e pensionati.
La dichiarazione non sottoscritta è nulla, ma l'ufficio deve invitare il contribuente a sanare la nullità: se
questo non provvede si producono gli effetti della nullità.
La dichiarazione delle società o enti soggetti a Ires deve esser sottoscritta dal presidente del collegio sindacale e

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da chi ha sottoscritto la relazione di revisione: in mancanza si avrà una sanzione amministrativa.

3.4. Modi e tempi di presentazione


La dichiarazione dei redditi e Iva, redatta su modello cartaceo, deve esser presentata in via telematica
entro il 30 settembre dell'anno successivo al periodo d'imposta cui si riferisce, tramite banca, ufficio
postale o altri soggetti abilitati.
I soggetti passivi di Ires devono presentare la dichiarazione in via telematica entro l'ultimo giorno del
settimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d'imposta.
La dichiarazione può essere presentata in forma cartacea dalle persone fisiche che non sono obbligate
alla tenuta delle scritture contabili, in tal caso la dichiarazione è presentata per il tramite di una banca
o di un ufficio postale tra il 1 maggio e il 30 giugno.
La dichiarazione cartacea deve esser conservata dal contribuente per esser esibita in caso di controllo.
Sono considerate valide le dichiarazioni presentate entro 90 giorni dalla scadenza, si applica solo una
sanzione amministrativa per il ritardo. Le dichiarazioni presentate oltre i 90 giorni si considerano omesse
(non agli effetti del reato di omessa dichiarazione): con la conseguenza che l’accertamento sarà fatto nella
forma dell’accertamento d’ufficio, e non come accertamento di rettifica.

4. Gli effetti della dichiarazione dei redditi


Funzioni ed effetti della dichiarazione possono essere schematizzati da 4 punti di vista: dal punto di vista
procedimentale, dal punto di vista della genesi del debito d’imposta, dal punto di vista della riscossione e
dal punto di vista del credito o diritto al rimborso.
1. La dichiarazione è, innanzitutto, un atto che assume un particolare rilievo nel procedimento
amministrativo di determinazione dell’imposta. La dichiarazione ha insomma rilevanza
procedimentale. La dichiarazione è sottoposta al controllo dell'amministrazione per la liquidazione
dell'imposta e per il controllo formale, condiziona il controllo sostanziale, determina i modi di
rettifica del reddito dichiarato, il tipo di avviso di accertamento. L'ufficio è legittimato a
rettificare il reddito in relazione alla completezza della dichiarazione; in caso di omissione o nullità
della dichiarazione, l'amministrazione procede con l'avviso d'accertamento d'ufficio. La
dichiarazione non fa piena prova contro il contribuente dei fatti dichiarati, ma esonera l'ufficio
dal motivare e provare i fatti esposti nella dichiarazione stessa (rilievo probatorio).
2. Secondo al teoria costitutiva, la dichiarazione è elemento della fattispecie costitutiva
dell'obbligazione; mentre, secondo la teoria dichiarativa, il presupposto da solo determina per
legge il sorgere dell'obbligazione tributaria e la dichiarazione è solo destinata a liquidarla.
3. La dichiarazione è titolo per la riscossione delle somme in essa indicate come da versare. Il
dichiarante deve, infatti, non solo calcolare la somma da versare, ma anche versarl a.
L'amministrazione, sulla base della dichiarazione, può porre in riscossione le somme non versate
ma dovute in base alla dichiarazione.
4. Se dal saldo finale risulta un credito del dichiarante, la dichiarazione è titolo che obbliga
l'amministrazione a provvedere al rimborso. La dichiarazione è alternativamente titola per la
riscossione e titolo per il rimborso.

5. La dichiarazione integrativa (c.d. ravvedimento operoso)


Scaduto il termine per presentare la dichiarazione, il contribuente può presentare una nuova
dichiarazione (dichiarazione integrativa) che sani le violazioni formali, o che aumenti l'imponibile o
l'imposta, o che riduca una perdita. La dichiarazione integrativa può esser presentata entro il 31
dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è presentata la prima dichiarazione.
La presentazione della dichiarazione integrativa comporta la riduzione della sanzione a 1/10 del minimo
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se è presentata entro
 il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è commessa
la violazione
 ovvero, quando non è prevista la dichiarazione periodica, entro 1 anno dall'omissione o dall'errore.

5.1. Rimedi agli errori commessi dal contribuente a suo danno.


La dichiarazione può esser rettificata in diminuzione presentando una dichiarazione correttiva non oltre il
termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo. La dichiarazione
correttiva presentata nel termine sostituisce la dichiarazione originariamente presenta.
La dichiarazione è irretrattabile ma emendabile: il contribuente può sempre far valere gli errori commessi
a suo danno. Nel caso abbia indicato un debito errato per eccesso (e quindi un versamento
eccessivo), può fare istanza di rimborso, rispettando i termini dell'istanza (se l'errore riguarda la
dichiarazione dei redditi, il termine è 48 mesi).
In materia di Iva il termine è quello previsto per la rettifica della dichiarazione da parte dell'ufficio. Gli errori
possono esser fatti valere anche con ricorso contro il ruolo. La dichiarazione è un titolo sulla base del
quale- se non sono state versate le somme in essa indicate come dovute- l’amministrazione può procedere
all’iscrizione al ruolo; in sede di ricorso contro il ruolo, possono essere fatti valere gli errori commessi dal
contribuente a suo danno.
Gli errori sono rettificabili ai sensi dell’art.1427 c.c..

6. La dichiarazione dei sostituti


I sostituti d'imposta sono tenuti a presentare una dichiarazione dalla quale risultino le somme e i valori
corrisposti e le ritenute effettuate. In caso di ritenute d'acconto devono esser indicate le generalità di chi
le ha percepite; mentre tale indicazione non è richiesta per le ritenute a titolo di imposta..
Coloro che percepiscono redditi di lavoro dipendente (o assimilati) possono presentare al sostituto una
dichiarazione speciale dove indicano
 gli altri redditi posseduti,
 gli oneri deducibili
 gli altri elementi necessari per la determinazione dell'imponibile
 la liquidazione delle imposte.
Il sostituto d'imposta ha l'obbligo di ricevere la dichiarazione e di controllarne la regolarità formale, quindi
liquidare le imposte ed effettuare i conguagli. Deve quindi presentare la propria dichiarazione,
indicando gli elementi risultanti dalle dichiarazioni che gli sono state rese dai sostituiti.

7. La dichiarazione nulla, incompleta e infedele.


Gli obblighi relativi alla dichiarazione sono presidiati da sanzioni amministrative e penali. Ai fini delle
sanzioni amministrative, la dichiarazione può essere omessa, incompleta e infedele.
Si ha dichiarazione omessa quando
 non è stata presentata affatto, o
 è stata presentata oltre 90 giorni dalla scadenza.
È nulla la dichiarazione
 non redatta su stampati conformi a quelli ministeriali,
 non sottoscritta (o non sottoscritta da persona non legittimata).
Dichiarazione omessa e nulla sono equiparate relativamente all'accertamento.
È infedele quando un reddito netto non è indicato nel suo esatto ammontare. È incompleta quando è
omessa l'indicazione di una fonte reddituale. Le due fattispecie sono trattate allo stesso modo.
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La dichiarazione non sottoscritta è nulla, ma si tratta di nullità sanabile, perché l’ufficio deve invitare il
contribuente a regolarizzare l’atto.

8. La dichiarazione nell’iva e nell’imposta di registro


La dichiarazione annuale Iva deve essere presentata da tutti i soggetti passivi Iva, anche se non hanno
effettuato operazioni imponibili; se non deve essere presentata in forma unificata, è presentata in via
telematica tra il 1 febbraio e il 30 settembre. Sono indicati i dati e gli elementi necessari per la
determinazione dell'ammontare delle operazioni e dell'imposta e per effettuare i controlli.
È redatta in base alle registrazioni effettuate nel periodo di imposta; deve indicare:
 l'ammontare delle operazioni imponibili e delle relative imposte,
 l'ammontare degli acquisti e delle importazioni, con le relative imposte (agli effetti del diritto di
detrazione),
 l'ammontare delle somme versate,
 il saldo finale (credito d’imposta o debito).
Nel procedimento applicativo dell’imposta di registro, la dichiarazione occupa un’importanza ridotta,
poiché gli elementi da portare a conoscenza del fisco sono generalmente racchiusi nello stesso atto da
registrare. La dichiarazione Iva non è, di regola, un atto autonomo.

Capitolo Nono. L'ISTRUTTORIA

1. L’istruttoria ed il sistema informativo


Passiamo ora ad esaminare l’attività conoscitiva dell’amministrazione finanziaria, volta al controllo degli
adempimenti dei contribuenti.
Ogni contribuente ha un codice fiscale ed è iscritto all'Anagrafe tributaria.
L'emanazione dell'avviso di accertamento è una prerogativa esclusiva degli uffici dell'Agenzia delle entrate,
l'attività investigativa è svolta anche dalla Guardia di finanza.
Il Ministro dell'economia e delle finanze programma annualmente l'attività dell'Agenzia, fissando con
decreto i criteri selettivi in base ai quali individuare i contribuenti da controllare.

2. La liquidazione in via informatica.


Il primo controllo a cui sono sottoposte le dichiarazioni dei redditi ha ad oggetto
 la liquidazione delle imposte dovute
 e dei rimborsi spettanti in base alla dichiarazione stessa.
Il controllo viene eseguito con procedure automatizzate, entro il periodo di presentazione delle
dichiarazioni relative all'anno successivo.
L’Art. 36-bis D.p.r. 600/1973 regola la liquidazione. Con la liquidazione automatica si ha un controllo limitato sia
nell’oggetto che negli effetti, alla verifica dell'esattezza numerica dei dati dichiarati.
Se risulta che l'importo versato dal contribuente è inferiore a quello da versare in base alla dichiarazione,
si procede direttamente alla riscossione della somma non versata.
Sulla base dei dati dichiarati e dei dati tratti dall’Anagrafe tributaria, l'amministrazione finanziaria
 corregge gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli
imponibili, delle imposte, e nel riporto delle eccedenze delle imposte derivanti da precedenti dichiarazioni;
 riduce le detrazioni d'imposta, le deduzioni dal reddito e i crediti d'imposta indicati in misura superiore
a quella prevista dalla legge o non spettanti in base a quanto dichiarato;
 controlla che i versamenti siano tempestivi e corrispondenti a quanto dichiarato.
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Il risultato del controllo, se diverso da quanto dichiarato, è comunicato al contribuente, che viene invitato a
versare la somma così liquidata; se il contribuente versa è evitata l'iscrizione a ruolo e la sanzione è ridotta a
1/3.

2.1. Il controllo formale delle dichiarazioni


Art. 36-ter D.p.r. 600/1973: alla liquidazione può seguire un controllo formale della dichiarazione, entro il 31
dicembre del secondo anno successivo a quello della presentazione. Il controllo formale non è automatico
ma si svolge in base ai criteri selettivi fissati dal Ministero e riguarda solo alcune voci della dichiarazione,
che devono essere giustificate documentalmente.
Il contribuente o il sostituto d'imposta, in sede di controllo formale, è invitato a
 fornire chiarimenti su alcuni elementi della dichiarazione,
 trasmettere i documenti che li giustificano,
 esibire le ricevute dei versamenti.
Il controllo formale si differenzia quindi dalla liquidazione perché non riguarda solo la dichiarazione ma
anche i documenti che devono corredarla.
Al termine del controllo formale gli uffici (restando impregiudicata la facoltà di emettere avvisi di
accertamento) dopo aver invitato il contribuente a produrre documenti o fornire chiarimenti:
a) escludono lo scomputo delle ritenute d'acconto non documentate,
b) escludono le detrazioni d'imposta non spettanti in base alla documentazione o agli elenchi
dell'Anagrafe tributaria, riguardanti gli oneri deducibili, comunicati all’Anagrafe tributaria da banche,
assicurazioni o altri enti,
c) escludono le deduzioni dal reddito non spettanti in base alla documentazione fornita in base
alla lett.b),
d) quantificano i crediti d'imposta dovuti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti
richiesti ai contribuenti,
e) liquidano la maggiore Irpef e i maggiori contributi dovuti sull'ammontare complessivo dei redditi
risultanti da più dichiarazioni o certificati, presentati per lo stesso anno dal medesimo contribuente,
f) correggono errori materiali e di calcolo contenuti nelle dichiarazioni dei sostituti d'imposta.
L'esito del controllo formale (come l’esito della liquidazione) è comunicato al contribuente o al sostituto
d'imposta.
Tale doppio controllo (liquidazione automatica e controllo formale) è diretto alla determinazione del
debito d’imposta derivante dal reddito dichiarato e, se ad esse non non segue l'esatto adempimento da
parte del contribuente, l'amministrazione provvede ad iscrivere a ruolo le somme dovute.

3. Accessi, ispezioni e verifiche


Il controllo sostanziale delle dichiarazioni è svolto sia dall'Agenzia delle entrate che dalla Guardia di finanza.
Art. 14 Cost. il domicilio è inviolabile, ma vi si possono eseguire ispezioni, perquisizioni e sequestri nei
casi e nei modi stabiliti dalla legge, con la garanzia dell'autorizzazione data con atto motivato dall'autorità
giudiziaria. Gli accertamenti e le ispezioni sono ammessi a fini fiscali ma devono esser regolati da leggi
speciali.
La tutela costituzionale del domicilio non riguarda l'accesso nei locali destinati all'esercizio di attività
commerciali, agricole, artistiche, professionali: per accedervi si richiede l'autorizzazione del capo dell'ufficio
o del Comandante di zona, con provvedimento che ne indica lo scopo. È però richiesta la presenza del
titolare dello studio in caso di accesso a locali destinati all'esercizio di arti o professioni.
In caso di studi professionali si deve mediare tra tutela dell'interesse fiscale e segreto professionale: è
necessaria l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica per l'esame di documenti e la richiesta di
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notizie relativamente ai quali è eccepito segreto professionale.
Per l'accesso nelle abitazioni è necessaria
 l'autorizzazione del capo dell'ufficio o del Comandante di zona,
 l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica, concessa
– con atto motivato,
– in presenza di gravi indizi di violazione delle norme fiscali,
– allo scopo di reperire libri, registri, documenti ed altre prove delle violazioni. Tale atto può esser
sindacato dal giudice tributario.
L'autorizzazione del Procuratore è necessaria anche per perquisizioni personali e apertura coattiva di
plichi sigillati, casseforti, mobili ripostigli e simili.

Art. 12 Statuto dei diritti del contribuente prevede che gli accessi, le ispezioni e le verifiche fiscali nei locali
destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali
 sono effettuati in base ad esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo;
 si svolgono durante l'orario ordinario di esercizio delle attività, salvo casi eccezionali,
 con modalità tali da arrecare meno disturbo possibile allo svolgimento delle attività e alle relazioni
commerciali e professionali del contribuente.
Iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato
 delle ragioni che l'abbiano giustificata,
 dell'oggetto della verifica,
 della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa,
 dei diritti e degli obblighi riconosciutigli in occasione delle verifiche.
Su richiesta del contribuente l'esame dei documenti amministrativi e contabili può esser effettuato presso il
professionista che lo assiste.
Delle osservazioni del contribuente e del professionista deve darsi atto nel processo verbale delle operazioni
di verifica.

Durante il controllo sostanziale vengono eseguite ispezioni documentali su libri, registri, documenti e altre
scritture che si trovano nei locali, compresi quelli la cui tenuta non è obbligatoria.
La verifica contabile esamina la completezza, esattezza e veridicità della contabilità, anche
confrontandola con documenti e scritture contabili di terzi (controllo incrociato).
Le verificazioni sono controlli sugli impianti, sul personale dipendente, sull'impiego di materie prime ed
altri acquisti, e su ogni elemento utile ai fini del controllo dell'esatto adempimento delle norme fiscali.

Gli operatori dell'amministrazione finanziaria non possono permanere presso la sede del
contribuente oltre i 30 giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori 30 giorni nei casi di indagini
particolarmente complesse, con atto motivato del dirigente dell'ufficio.
Decorso tale periodo gli operatori possono tornare nella sede del contribuente per esaminare le
osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni
di verifica o per specifiche ragioni.
Di ogni accesso è redatto processo verbale da cui risultino
 le ispezioni e rilevazioni eseguite,
 le richieste fatte al contribuente,
 le risposte ricevute.
Il verbale è sottoscritto dal contribuente, che ha diritto di averne una copia.
La descrizione dettagliata delle operazioni è effettuata nel processo verbale di verifica. Viene poi redatto un
34
processo verbale di constatazione che sintetizzi i dati rilevati.
Entro 60 giorni dalla ricezione della copia del verbale, il contribuente può comunicare osservazioni o
richieste, valutate dagli uffici impositori.
L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza dei 60 giorni, salvo casi di particolare
e motivata urgenza.

3.1. Le indagini bancarie


Il segreto bancario non opera di fronte alle indagini fiscali.
Le indagini bancarie devono essere autorizzate, a seconda di chi procede, dalla Direzione regionale dell'Agenzia
o dal Comandante di zona per la Guardia di Finanza; ma la mancanza di tale autorizzazione non
preclude l'utilizzabilità dei dati acquisiti.
Le banche devono comunicare all'Anagrafe tributaria il nome dei loro clienti e la natura dei rapporti intrattenuti.
Acquisiti i dati bancari, l’ufficio può chiedere dati e notizie al contribuente, invitandolo a comparire di
persona o inviandogli questionari, per consentirgli di fornire elementi contrari alle presunzioni
derivanti dai movimenti bancari che non trovano riscontro nella contabilità. I prelevamenti non
registrati legittimano il fisco ad accertare dei ricavi, presupponendo che il prelevamento sia stato usato
per remunerare un acquisto inerente alla produzione del reddito e che al costo non contabilizzato
corrisponda un ricavo non contabilizzato. È una presunzione relativa, superabile indicando il beneficiario del
prelevamento

3.2. Inviti e richieste


Le indagini presso il contribuente (accessi, con conseguente ricerca ed esame di documenti e di altri
elementi probatori) e presso le banche (e le poste) sono gli strumenti più penetranti di cui il fisco
dispone per controllare le dichiarazioni e reprimere l’evasione. Meno penetranti sono altri strumenti
di cui il fisco dispone.
L'ufficio può invitare i contribuenti
 a comparire di persona per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti;
 ad esibire o trasmettere atti e documenti; ai soggetti obbligati alla tenuta della contabilità può
esser richiesta l'esibizione dei bilanci o delle scritture contabili;
 a compilare questionari relativi a dati e notizie specifiche, rilevanti ai fini dell'accertamento.
L'ufficio può chiedere
 agli organi e alle amministrazioni dello Stato, alle società di assicurazione, agli enti di riscossione
per conto terzi, la comunicazione di dati e notizie relativi a determinati soggetti o categorie di soggetti;
 a notai, procuratori del registro, conservatori dei registri immobiliari e pubblici ufficiali copia di
atti depositati presso di loro;
 ai soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili dati e documenti relativi ad attività svolte
nei confronti di clienti, fornitori e prestatori di lavoro autonomo;
 ad ogni altro soggetto, atti e documenti fiscalmente rilevanti relativi specifici rapporti intrattenuti
con il contribuente.

4. Gli obblighi di collaborazione del contribuente


Durante l'attività istruttoria, il contribuente è tenuto ad ottemperare agli inviti e alle richieste
dell'amministrazione. La mancata collaborazione è punita con sanzione amministrativa e pregiudica le
facoltà di difesa del contribuente.

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4.1. Il contraddittorio.
L'interpello del contribuente (sia invitandolo a comparire di persona sia inviandogli questionari) è una facoltà,
non un obbligo dell’Ufficio. Solo in alcuni casi la legge prevede che l'ufficio debba interpellare il
contribuente prima di procedere ad accertamenti (ad es., quando l'amministrazione considera elusiva
un'operazione ed intende applicare la norma elusa, deve prima chiedere chiarimenti al contribuente e poi
potrà emettere l'accertamento).

5. Collaborazione dei comuni


Ai fini Irpef, i comuni collaborano con l'Agenzia in due modi e momenti diversi:
 segnalando all'Agenzia delle entrate dati, fatti ed elementi idonei ad integrare la
dichiarazione dei redditi;
 in sede di accertamento, l'ufficio deve trasmettere ai comuni le sue proposte di
accertamento e il comune può formulare proposte di aumento; decorsi 90 giorni l'ufficio notifica gli
accertamenti per i quali non siano intervenute proposte dai comuni o per i quali accolga le proposte in
aumento. Le proposte non condivise devono esser trasmesse alla “Commissione per l'esame delle proposte
del comune” che determinerà gli imponibili da accertare; se non delibera entro 45 giorni dalla
trasmissione della proposta, l'ufficio provvede all'accertamento dell'imposta nella misura da lui
determinata.

6. Rapporti tra istruttoria amministrativa e processo penale


La Guardia di finanza, se durante una verifica emergono notizie di reato, deve darne notizia al Procuratore
della Repubblica. Di conseguenza, ogni successiva fase del procedimento, finalizzata ad assicurare le fonti
di prova e raccogliere quanto possa servire per l’applicazione della legge penale, dovrà svolgersi applicando
il codice di procedura penale.
La GdF, operante come polizia giudiziaria, può trasmettere agli uffici fiscali i documenti, dati e notizie reperiti
in sede di indagine preliminare, previa autorizzazione dall'autorità giudiziaria: gli uffici dell'Agenzia delle
entrate potranno immediatamente utilizzare gli elementi probatori raccolti in ambito penale, anche in
deroga alle disposizioni in materia di segreto sugli atti dell'indagine penale (art.329 cpp).
Per consentire all’amministrazione di usare gli elementi raccolti in sede penale anche quando le indagini si
prolungano nel tempo, il termine di decadenza entro cui deve essere notificato l’atto impositivo si
raddoppia qualora, nel periodo d’imposta esaminato, siano avvenuti fatti che devono essere denunciati
all’autorità giudiziaria.

7. Definizioni agevolate mediante adesione


Terminata la verifica, il processo verbale è trasmesso all'ufficio dell'Agenzia delle entrate; se sono stati
rilevati fatti penalmente rilevanti sarà trasmesso anche alla Procura della Repubblica.
Se nel processo verbale vengono rilevate violazioni di norme fiscali, il contribuente potrà:
 conclusa la verifica e quando gli è stato rilasciato il processo verbale di chiusura delle indagini,
presentare entro 60 giorni osservazioni e richieste agli uffici impositori, esponendo ragioni
di fatto o di diritto, per cui ritiene che le conclusioni del verbale debbano essere disattese;
 prestare adesione ai verbali di constatazione in materia di imposte dirette e Iva, da cui può scaturire
un accertamento parziale; l'adesione ha ad oggetto il contenuto integrale del verbale e interviene entro
30 giorni dalla consegna del verbale. L'ufficio emetterà un atto di definizione dell'accertamento parziale,
applicando sanzioni ridotte a 1/8 del minimo, anche rateizzabili;
 l'ufficio potrà formulare e notificare un invito al contraddittorio o un invito a comparire, indicando la
pretesa fiscale; il contribuente potrà prestare adesione, comunicandolo all'ufficio e versando le somme

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dovute (o la prima rata) entro 15 giorni prima dalla data per la comparizione; le sanzioni sono ridotte
a 1/8 del minimo, rateizzabili;
 potrà presentare istanza di accertamento con adesione, chiedendo all'ufficio di formulare una proposta,
per raggiungere un accertamento concordato; le sanzioni sono ridotte a 1/4 del minimo.
Se non c'è adesione all'invito o accertamento con adesione, l'ufficio può emettere un avviso di
accertamento (non prima della scadenza del termine concesso al contribuente per presentare memorie) e
può inoltre notificare un atto di contestazione delle sanzioni amministrative.

Capitolo Decimo. L'AVVISO DI ACCERTAMENTO

1. Natura giuridica e contenuto


L'avviso di accertamento è un provvedimento amministrativo vincolato (l’amministrazione
finanziaria non ha alcuna discrezionalità in ordine al contenuto da emanare) che conclude il
procedimento amministrativo di applicazione delle imposte. Negli avvisi di accertamento non è riscontrabile
il vizio di eccesso di potere.
Nell'avviso di accertamento si possono distinguere
 motivazione, indica i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che hanno determinato la decisione
dell'amministrazione,
 dispositivo.
Per le imposte sui redditi si richiede che l'avviso sia motivato indicando
 i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato,
 il distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie,
 la specifica indicazione dei fatti e circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici,
 le ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni.
In materia Iva bisogna indicare
 i presupposti di fatto e di diritto, a pena di nullità,
 gli errori, le omissioni e le false o inesatte indicazioni su cui è fondata la rettifica,
 i relativi elementi probatori,
 per le omissioni e le inesattezze desunte in via presuntiva devono essere indicati i fatti certi che
danno fondamento alla presunzione.
Molto spesso gli avvisi di accertamento sono emessi in base ad altri atti, richiamati dall’avviso. In caso di
motivazione per relationem, l'atto richiamato deve essere allegato all'atto che lo richiama; in alcune leggi
specifiche si ammette che non sia allegato ma ne sia riprodotto il contenuto essenziale.

Art. 42 D.p.r. 600/1973 è previsto che nelle imposte sui redditi, l'avviso di accertamento deve indicare
 l'imponibile o gli imponibili accertati,
 le aliquote applicate,
 le imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute d'acconto e dei crediti di
imposta.
Di regola l'avviso statuisce l'imposta dovuta, ma vi anche sono avvisi senza imposta:
 accertamento dei redditi delle società di persone, si ha la determinazione dell'imponibile della
società da imputare, poi, pro quota, a ciascun socio, agli affetti dell'imposta sui redditi dovuta dal socio;
 accertamenti di redditi per i quali hanno rilievo anche le perdite.
L'ufficio, con la rettifica della dichiarazione, determina autoritativamente il quantum delle varie operazioni.

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Nell'imposta di registro la rettifica deve stabilire il valore venale dei beni o diritti sui quali deve essere
applicato il tributo, indicando le aliquote e la maggiore imposta accertata.

2. La notificazione. Modalità e termini


L'avviso di accertamento viene ad esistenza attraverso la notificazione: l’atto di imposizione, in tanto
esiste, ed esplica effetti giuridici, in quanto sia notificato al destinatario.
La notificazione si esegue con consegna di copia al destinatario, in luoghi prefissati dalla legge. In caso di
consegna in mani proprie la notifica può esser effettuata in qualunque luogo, altrimenti il messo ricerca la
persona nel comune di domicilio fiscale e potrà consegnare copia dell'atto a persona di famiglia o addetta
alla casa, o al portiere, un vicino, dando avviso al destinatario con raccomandata. Se non è possibile
consegnare la copia a nessuno, l'atto è depositato in comune.
La notificazione alle persone giuridiche si esegue nella loro sede, mediante consegna dell’atto al
rappresentante o alla persona incaricata di ricevere la copia o ad altra persona addetta alla sede; regole
analoghe valgono per gli enti privi di personalità. Se la notificazione non può essere eseguita presso la
sede, l’atto e notificato secondo le regole previste per le persone fisiche, con riferimento al rappresentante
dell’ente.
In particolare, in materia tributaria, la notificazione degli atti tributari: è eseguita dai messi comunali o da
messi speciali autorizzati dall'Agenzia delle entrate, che dovranno far sottoscrivere l'atto al consegnatario.
Se il consegnatario non è il destinatario, il messo deposita copia dell'atto da notificare in busta sigillata
e vi trascrive il numero cronologico della notificazione, dandone atto nella relazione in calce all'originale e
alla copia dell'atto. Il consegnatario sottoscrive la ricevuta e il messo dà notizia dell'avvenuta notifica con
raccomandata.
Se non è possibile la consegna in mani proprie, la notificazione si esegue con spedizione di
raccomandata con avviso di ricevimento, nel domicilio fiscale.
La notificazione a mezzo postale si considera fatta nella data di spedizione, ma i termini che hanno inizio
dalla notificazione decorrono dalla data in cui l'atto è ricevuto.

Il comune di domicilio fiscale ha un particolare rilievo ai fini delle notifiche: il legislatore presuppone che il
contribuente abbia sempre un domicilio fiscale, nel quale la notifica deve essere fatta.
Se nel comune di domicilio fiscale non c'è un luogo presso il quale la notifica possa esser fatta
validamente, la notifica è fatta con la procedura prevista per gli irreperibili: l'atto è depositato presso la
casa del comune ed il messo affigge avviso di deposito presso l'albo del comune e ne dà notizia al
destinatario con raccomandata.
Anche quando la notifica deve essere fatta ad un non residente, il sistema è basato sul presupposto che il
non residente abbia o elegga in Italia un luogo presso cui fare la notifica. Il non residente può nominare un
rappresentante per i rapporti tributari ed ha in ogni caso un domicilio fiscale in Italia:
 per le imposte dirette il domicilio è nel comune in cui è prodotto il reddito,
 per le altre imposte nel comune in cui si verifica il presupposto.
Il contribuente può comunicare all'Agenzia delle entrate l'indirizzo estero per la notificazione degli avvisi e
degli atti che lo riguardano.

Poiché l’atto di imposizione viene ad esistenza attraverso la notificazione, i vizi della notificazione sono vizi
formali dell’atto; essi non sono sanati dalla proposizione del ricorso.
La giurisprudenza ritiene però che la proposizione del ricorso contro l'avviso di accertamento sani, con
effetto ex tunc, la nullità della notifica dell'avviso, per raggiungimento dello scopo della notifica.

L’atto di imposizione deve essere notificato entro un termine previsto a pena di decadenza. L'atto
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notificato in ritardo è illegittimo.
Per le imposte sui redditi e per l'Iva il termine è
 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione,
 in caso di omessa presentazione della dichiarazione, il 31 dicembre del quinto anno
successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto esser presentata.
Per l'imposta di registro il termine è
 5 anni per gli atti non registrati,
 3 anni per gli atti registrati.

3. Gli effetti.
L’avviso di accertamento è un provvedimento amministrativo, con cui l’obbligazione tributaria è stabilita
autoritativamente. È però questione discussa se l’accertamento abbia efficacia costitutiva o dichiarativa
dell’obbligazione tributaria.
Secondo la teoria dichiarativa, l'obbligazione tributaria sorge non appena si verifica il presupposto di
fatto del tributo. Si ritiene che le norme che disciplinano le imposte sono norme materiali, di cui
scaturisce direttamente il debito tributario, e che l'atto impositivo ha per effetto il mero accertamento
dell'obbligazione tributaria, che, nascendo ex lege con il verificarsi del presupposto, viene accertata
con la dichiarazione del contribuente e con l'avviso di accertamento.
Per la teoria costitutiva l'obbligazione non deriva direttamente dalle norme tributarie materiali (norme sul
presupposto del tributo, sui soggetti passivi, sul quantum), ma, perché sorga l'obbligazione, è necessaria la
presentazione della dichiarazione o l'emanazione di un avviso di accertamento; quindi gli avvisi di
accertamento costituiscono (non accertano) l'obbligazione tributaria.

Se l'atto di imposizione non è impugnato, l'obbligazione statuita nell'atto amministrativo è da


considerare definitiva, senza possibilità di rimedi per il contribuente.
Per la teoria dichiarativa, il contribuente è titolare, di fronte al potere di accertamento, di un diritto
soggettivo alla giusta imposizione, quindi agisce in giudizio a tutela del diritto soggettivo leso dall'atto
amministrativo. Per effetto del verificarsi del presupposto viene ad esistenza il rapporto di imposta.
Per la teoria costitutiva il contribuente è titolare di una posizione di interesse legittimo (intesa come mera
proiezione individuale di una giurisdizione di annullamento).
Per operare un'iscrizione a ruolo è necessario che il debito sia oggetto o di dichiarazione o di atto
amministrativo, questi sono atti che costituiscono il rapporto: la dichiarazione è un mero atto, mentre
l'avviso di accertamento è un atto costitutivo del rapporto.

3.1. L’accertamento delle obbligazioni solidali


In caso di solidarietà il potere impositivo può essere esercitato nei confronti di più soggetti. In passato, si
riteneva che l’avviso di accertamento, notificato ad uno solo dei condebitori, fosse efficace nei confronti di
tutti; e da ciò derivava che, se l’atto non era impugnato e diventava definitivo, si riteneva che gli effetti
valessero nei confronti di tutti, anche nei confronti del condebitore che non era stato notificato (c.d.
solidarietà .formale o supersolidarietà). Tuttavia, la Corte Costituzionale (sentenza n.48/1968) ne ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art.24 Cost., in quanto comportava lesione del
diritto di difesa dei condebitori nei cui confronti un atto poteva esplicare effetti senza che ad essi fosse
notificato, e quindi senza che fossero posti in condizione di contestarlo in giudizio. Dopo tale sentenza, si è
consolidata l’idea che l’obbligazione solidale tributaria non differisce, né per struttura, né per disciplina, da
quella di diritto civile.
Gli effetti degli atti compiuti da o nei confronti di un condebitore

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 se sono favorevoli, possono estendersi agli altri condebitori,
 se sono sfavorevoli non si estendono,
 se sono neutri si estendono solo se l'interessato ne vuole approfittare.

Assodato che l’avviso di accertamento dell’obbligazione solidale vale soltanto nei confronti dei soggetti ai
quali è notificato, va escluso che l’amministrazione finanziaria sia tenuta a notificare l’avviso di
accertamento a tutti i coobbligati.
Nella solidarietà vi è una pluralità di debitori per un’unica prestazione, e l’adempimento di uno libera tutti;
da ciò deriva la facoltà del creditore di rivolgersi a sua scelta ad uno o più debitori. La facoltà di rivolgersi ad
uno o più debitori implica, in diritto tributario, di riflesso, l’esclusione dell’obbligo di notificare l’avviso a
tutti. L'amministrazione finanziaria pertanto può, a scelta, emettere avviso di accertamento nei
confronti di un solo obbligato o di tutti, ma l'avviso di accertamento notificato ad un condebitore è efficace
solo nei confronti di questo soggetto, non verso gli altri.
L'atto produce effetti verso soggetti diversi dai suoi destinatari solo quando
 vi sia successione nel debito d'imposta,
 l'amministrazione sia titolare di privilegio speciale, perché in tal caso l’atto emesso nei confronti
del soggetto passivo legittima l’esecuzione sul bene, anche se di proprietà di terzi.

In passato si riteneva che l’avviso di accertamento, riguardante l’obbligazione principale, fosse


vincolante anche per l’obbligato dipendente, e che l’obbligato dipendente potesse contestare i
presupposti particolari dell’obbligazione dipendente, ma non l’obbligazione principale, risultante
da un’imposizione divenuta definitiva nei confronti dell’obbligato principale. Ora tale concezione è
superata. L'obbligato dipendente non è vincolato dall'avviso di accertamento (o da altro atto)
emesso nei confronti dell'obbligato principale. Nei rapporti tra coobbligati e fisco non vi è dunque
differenza tra solidarietà paritaria e solidarietà dipendente.
L'amministrazione che voglia ottenere il pagamento del tributo dall'obbligato dipendente deve
notificargli l'avviso di accertamento, motivando sia il presupposto dell'imposta, sia la fattispecie ulteriore da
cui scaturisce l'obbligazione del coobbligato dipendente.

Dato che l’avviso di accertamento esplica effetti solo nei confronti del condebitore al quale è notificato, è
solo il condebitore cui è stato notificato l'avviso di accertamento che può essere iscritto a ruolo.
Il fisco può iscrivere a ruolo un condebitore se l'iscrizione a ruolo sia legittimata da un avviso di
accertamento emesso nei suoi confronti. Nella prassi, invece, si iscrivono a ruolo tutti, anche senza
avviso. Occorre tuttavia che vi sia un titolo che legittimi l’iscrizione a ruolo (dichiarazione o avviso di
accertamento), del soggetto nei cui confronti si pretende di riscuotere.

Gli atti che riguardano un singolo condebitore non incidono sui rapporti interni tra condebitori. Il
condebitore che riceve l'avviso di accertamento e paga l'imposta non acquista per questo solo il diritto di
regresso nei confronti del coobbligato, in quanto l'obbligazione nei rapporti interni si divide secondo la
riferibilità del presupposto del tributo a ogni condebitore; il coobbligato non potrà ritenersi libero da ogni
vincolo solo per non aver ricevuto l'avviso di accertamento.

Se l'avviso non è notificato nei termini a tutti, la giurisprudenza ritiene che gli atti con i quali il creditore
interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido hanno effetto anche per gli altri debitori,
estendendo la regola anche alla decadenza. È però strano che estenda alla decadenza una regola della
prescrizione; questo orientamento suscita perplessità.

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Nella disciplina delle sanzioni, la notifica tempestiva di un atto sanzionatorio ad un autore della
violazione produce la proroga di un anno del temine per la notifica agli altri.

4. Nullità e annullabilità
La nullità, come forma di invalidità dei provvedimenti amministrativi, non è dunque la conseguenza della
violazione di una qualsiasi norma imperativa, ma solo delle norme che disciplinano
 gli elementi essenziali del provvedimento;
 l'attribuzione delle competenze;
 il giudicato,
 nei casi espressamente previsti dalla legge.
L'avviso di accertamento è nullo, ad esempio, quando
 non è sottoscritto (negli atti informatizzati basta l'indicazione del responsabile dell'atto),
 è intestato ad un soggetto inesistente (defunto o società estinta),
 non è notificato,
 è privo degli elementi essenziali della parte dispositiva.
Il provvedimento impositivo è nullo quando
 è viziato da difetto assoluto di attribuzione,
 è emesso in carenza di potere,
 nei casi espressamente previsti dalla legge (ad es.: in materia di imposte dirette si ha nullità
degli accertamenti non sottoscritti, non motivati; è anche previso che l'accertamento di un'imposta
elusa deve esser preceduto, a pena di nullità, da una richiesta di chiarimenti al contribuente; sono nulli
gli atti dell'ufficio non conformi alla risposta data in sede di interpello ordinario).

Vi sono norme da osservare a pena di annullabilità e norme la cui violazione determina una semplice
irregolarità del provvedimento impositivo.
Non sempre il legislatore rende esplicita al conseguenza di un vizio: ad es., gli avvisi di accertamento devono
essere notificati entro un termine di decadenza, ma non è espressamente indicato che l’atto notificato in
ritardo è annullabile.
Nullità è intesa come annullabilità.
L'art. 21-septies , c.1, l. 241/1990, regolante il procedimento amministrativo, prevede che fuori dai casi
in cui l'invalidità è espressamente prevista, non vi sono né criteri generali né indicazioni da cui desumere
se un vizio rende l'atto annullabile o soltanto irregolare. È l'interprete a stabilire la gravità del vizio,
tenendo conto che è invalidante la violazione di norme procedimentali a garanzia del contribuente e non
invalidante la violazione di norme che non tutelino alcun interesse del ricorrente.
La violazione di norme sui metodi di accertamento e sui presupposti di accertamento (sopravvenuta
conoscenza di nuovi elementi, per l’accertamento integrativo) rendono l'atto annullabile.
Gli accertamenti fondati su prove acquisite illecitamente sono viziati in quanto infondati, cioè privi di
fondamento di fatto (essendo inutilizzabili le prove acquisite in modo irrituale).
I vizi non invalidanti sono mere irregolarità.
Il co 2 art. 21-octies l. 241/1990 (legge regolatrice del procedimento amministrativo)stabilisce che
alcune violazioni non comportano l'annullamento del provvedimento quando, per la natura vincolata
del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto esser diverso da
quello adottato.
La norma si applica solo ai provvedimenti vincolati in modo assoluto, alla cui formazione è estranea qualsiasi
elaborazione intellettiva.

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5. L’accertamento analitico
Il metodo con cui viene determinato l'imponibile determina la diversa denominazione dell'avviso di
accertamento. Si distingue tra accertamento analitico e sintetico.
L'accertamento analitico:
 del reddito delle persone fisiche è effettuato quando sono note le fonti dei redditi e si
perviene al reddito complessivo sommando i redditi delle singole fonti;
 dei redditi di impresa è effettuato determinando o rettificando singole componenti del reddito,
e presuppone che la contabilità sia attendibile (è detto analitico-contabile);
 dell'Iva investe singole componenti dell'imponibile, dell'imposta o delle detrazioni. Nelle
imposte indirette (come l’imposta di registro) non ha senso la distinzione tra più metodi di
accertamento, salvo casi particolari.

5.1. L’accertamento sintetico


Il reddito complessivo delle persone fisiche può essere determinato con metodo sintetico.
Mentre l’accertamento analitico ha per oggetto redditi appartenenti a singole categorie (per il cui il
reddito complessivo, se vi sono più redditi, è la somma dei singoli redditi), con l’accertamento sintetico
si ottiene direttamente la misura del reddito complessivo.
L'accertamento sintetico è un accertamento presuntivo basato sulle uscite, ammesso solo se il reddito
complessivo accertabile ecceda di almeno 1/5 quello dichiarato.
L'ufficio deve indicare nell'avviso di accertamento la sussistenza dei fatti indice (spese o
investimenti) utilizzati per il calcolo sintetico del reddito.
L'ufficio può applicare il redditometro, stabilito con decreto dal Ministro dell'economia, che individua
gli elementi indicativi di capacità contributiva in base ai quali calcolare il reddito complessivo.
Applicando i coefficienti, l'ufficio determina sinteticamente il reddito complessivo lordo del
contribuente da cui si deducono gli oneri e si applicano le detrazioni di imposta lorda.
Il contraddittorio è obbligatorio. L'ufficio ha l'obbligo di invitare il contribuente a comparire per fornire dati e
notizie rilevanti per l'accertamento e quindi avviare il procedimento di accertamento con adesione.
Il contribuente ha l'onere di provare le spese finanziate con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso
periodo d'imposta; potrà opporre di aver utilizzato disponibilità economiche di natura non reddituale
(risparmi, beni ricevuti per successione o donazione).
L'ufficio deve accertare l'esistenza di fatti indice, ma il contribuente può contestare la sussistenza di tali
fatti, il cui onere di prova grava sull'ufficio, o contestare la quantificazione del reddito eseguita applicando i
coefficienti redditometrici.

6. L’accertamento dei redditi d’impresa


L'accertamento analitico-contabile dei redditi di impresa è costituito da rettifiche di singole componenti
del reddito dichiarato.
La rettifica può giustificarsi per
 ragioni di diritto, Es. se viene violata una norma in materia di reddito d'impresa che comporti
variazioni del reddito fiscale rispetto all'utile;
 ragioni di fatto, ad Es. dal confronto tra dichiarazione, bilancio e scritture contabili,
dall'esame della documentazione alla base della contabilità, da circostanze estranee alla contabilità.
Si distingue tra
 accertamento analitico semplice, che deduce la incompletezza, falsità o inesattezza degli elementi
indicati nella dichiarazione in modo certo e diretto da una delle risultanze probatorie acquisite
dall'ufficio con i verbali, le risposte ai questionari, l'esame di atti;

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 accertamento analitico-induttivo, rettifica la dichiarazione sulla base
– di presunzioni, affermando l'esistenza di attività non dichiarate o l'inesistenza di passività
dichiarate anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti,
– esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente
desumibili dalle caratteristiche e condizioni di esercizio della specifica attività svolta.

6.1. L’accertamento analitico-induttivo mediante studi di settore


Il reddito degli imprenditori può essere determinato su base contabile quando l’impresa ha una certa
dimensione e tiene in modo sistematico la contabilità, secondo il regime di contabilità ordinaria. Non è
invece possibile fare affidamento sulla contabilità per l’accertamento del reddito delle imprese minori, il
cui impianto contabile è rudimentale. Ecco perché, a partire dagli anni ’80, il legislatore ha introdotto
normative dirette a tassare gli imprenditori minori sulla base del loro reddito “ordinario”.
Nei confronti di soggetti in contabilità semplificata, quindi, l'accertamento può esser fatto sia in base alle
norme ordinarie, sia tramite l'accertamento analitico-induttivo mediante studi di settore.

Gli studi di settore determinano presuntivamente i ricavi o compensi attribuiti al contribuente in base
alla sua capacità potenziale di produrli, definita in base a fattori e indici di normalità economica.
Le imprese vengono divise in gruppi omogenei (cluster). Elaborando e valutando dati contabili e strutturali
di campioni significativi di contribuenti appartenenti allo stesso cluster, si individua la relazione matematica
tra le caratteristiche dell'attività e l'ammontare dei ricavi o compensi. Su tale relazione si calcola l'importo
presunto dei ricavi o dei compensi.
Gli studi di settore si applicano agli imprenditori e lavoratori autonomi i cui ricavi non superino i 5.164.000
Euro: ogni contribuente che appartenga a queste categorie deve presentare, oltre alla dichiarazione dei
redditi, un modello con cui comunica i dati rilevanti ai fini degli studi di settore.
I moduli si compilano e trasmettono attraverso un software che automaticamente applica lo studio di
settore ed indica:
 il cluster di appartenenza,
 congruità e coerenza, volume di ricavi o compensi previsti dallo studio.
Il reddito del contribuente congruo ma non coerente non può essere rettificato applicando gli studi di
settore, ma con gli ordinari metodi accertativi.
Il reddito del contribuente congruo e coerente non può esser rettificato, a meno che non si
disconosca la veridicità dei dati dichiarati.

Gli studi di settore sono atti amministrativi generali di organizzazione. Essi non possono essere applicati in
via automatica, ma è necessario che l'ufficio svolga un'attività istruttoria, in contraddittorio con il
contribuente, per verificare se nel caso concreto vi sono ragioni che confermano i ricavi indicati negli studi
di settore o che giustificano la produzione di ricavi in misura inferiore.
Sono applicati anche ai soggetti in regime di contabilità ordinaria (imprese o lavoratori autonomi) solo
quando si riscontrano ( con verbale d’ispezione) inattendibilità della contabilità.

I responsabili dei Caaf imprese e i professionisti abilitati possono, su richiesta del contribuente, rilasciare
una speciale dichiarazione (“visto pesante” o asseverazione) con cui
 asseriscono che gli elementi comunicati all'amministrazione finanziaria nella dichiarazione dei
redditi rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore, corrispondono alla contabilità e alla
documentazione dell'impresa.
• attestano che i ricavi dichiarati sono congrui rispetto a quelli determinabili in base agli studi di settore.

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Le dichiarazioni accompagnate da visto pesante non possono essere rettificate con metodo
induttivo, ma solo in base a studi di settore entro la fine del 3° anno successivo alla presentazione della
dichiarazione. In caso di rettifica il ricorso impedisce la riscossione fino alla sentenza di primo grado.

6.2. L’accertamento induttivo-extracontabile dei redditi d’impresa


L’accertamento analitico, anche se analitico-induttivo, presuppone l’attendibilità complessiva della
contabilità, e consta della rettifica di singoli componenti reddituali (sia pure di componenti di
grande rilievo, come nel caso in cui venga rettificato induttivamente l’ammontare dei ricavi).
Quando la contabilità è inattendibile l'ufficio può procedere ad accertamento induttivo-
extracontabile, ma tassativamente quando:
 il reddito di impresa non è stato indicato nella dichiarazione;
 dal verbale di ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o ha sottratto all'ispezione una
o più scritture contabili prescritte a fini fiscali;
 le scritture non sono disponibili per cause di forza maggiore;
 le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate con verbale di ispezione o le
irregolarità formali delle scritture contabili sono gravi, numerose e ripetute, tali da rendere inattendibili le
scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica;
 il contribuente non ha dato seguito all'invito a trasmettere o esibire atti o documenti e non ha risposto
al questionario.
In questi casi l'ufficio può:
 avvalersi dei dati e notizie comunque raccolti o conosciuti;
 prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili, se esistenti;
 avvalersi di presunzioni prive di gravità, precisione e concordanza.
L'ufficio può ritenere inattendibile la contabilità solo in base a prove circostanziate circa le irregolarità
contabili, solo su prove concrete riguardanti il singolo contribuente.
Stabilita l'inattendibilità della contabilità, l'ufficio può prescindere dalla contabilità e servirsi di dati ed
elementi comunque raccolti per ricostruire il reddito, utilizzando medie statistiche e dati di carattere
astratto.
Una volta appurata, in concreto, l’inattendibilità della contabilità, si apre una seconda fase, volta a
ricostruire il reddito: in questa fase, l’ufficio può prescindere dalla contabilità e servirsi di dati ed
elementi comunque raccolti (ossia raccolti in sede di indagini non riguardanti il singolo
contribuente) e di presunzioni non assistite dai requisiti di gravità, precisione e concordanza. È solo
in questa fase che l’ufficio può utilizzare medie statistiche ed altri simili dati di carattere astratto,
non desunti dalla situazione concreta del singolo contribuente.

7.e 8. L’accertamento parziale e accertamento integrativo


L'ufficio indagati i redditi di un soggetto, utilizza i dati emersi emettendo, se ricorrono i presupposti,
un avviso di accertamento.
Di regola l'accertamento è unico e globale. Si ha deroga in caso di accertamento parziale e di accertamento
integrativo:
 accertamento parziale, fondato su segnalazioni dal Centro informativo delle imposte dirette,
dalla Guardia di finanza e da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici o dall'Anagrafe tributaria: in
base a tali segnalazioni, l'ufficio può rettificare la dichiarazione accertando un reddito non dichiarato, il
maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato o la non spettanza di deduzioni, esenzioni,
agevolazioni. È un accertamento analitico. È quindi possibile emanare un successivo avviso di
accertamento, anche in base ad elementi già acquisiti dall'ufficio al momento dell'emissione
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dell'accertamento parziale; non è richiesta la collaborazione del comune.
 accertamento integrativo, l'accertamento può essere integrato o modificato in aumento con la
notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. È limitato il potere di
emettere accertamenti integrativi (che comportano un aumento dell'imponibile o dell'imposta
precedentemente accertati), ma non di accertamenti modificativi (comportanti una diversa qualificazione
del reddito). Il potere di autotutela non è limitato da questa disciplina.

9. L’accertamento con adesione


L'accertamento con adesione (o concordato) si forma al termine di un contraddittorio tra ufficio e
contribuente, ed è un provvedimento di accertamento dell'ufficio sottoscritto anche dal contribuente. Può
essere avviata sia dal contribuente che d’ufficio.
Il contribuente può
• al termine della verifica fiscale, chiedere all'ufficio di formulare una proposta;
• dopo che gli è stato notificato l'avviso di accertamento, presentare istanza di accertamento con
adesione, che sospende per 90 giorni il termine per presentare ricorso.
L’avvio del procedimento apre una fase di confronto tra contribuente ed ufficio; se dal contraddittorio
scaturisce un accordo, ad esse segue l’accertamento (conforme all’accordo), sottoscritto dal titolare
dell’ufficio e, per adesione, dal contribuente.
L'accertamento con adesione deve essere motivato e contenere la liquidazione delle imposte e degli altri
importi dovuti; non è notificato al contribuente in quanto da questo sottoscritto.
La procedura si perfeziona con il versamento delle somme dovute entro 20 giorni da lla
sottoscrizione; il versamento può esser rateizzato, nel qual caso sono dovuti gli interessi legali e il
contribuente è tenuto a prestare garanzia.

Il concordato può avere ad oggetto il reddito o il volume di affari soggetto ad Iva, può riguardare la base
imponibile di un'imposta di registro e delle imposte ipotecarie e catastali.
L'accertamento con adesione impegna il contribuente, che non può proporre ricorso, e l'ufficio, che non
può modificarlo: è dunque definitivo.
In casi tassativamente previsti può esser integrato con successivo accertamento quando
 a) sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, dai quali si desume un reddito superiore al 50%
del reddito definito, e non inferiore a 77.468 Euro;
 b) la definizione riguarda accertamenti parziali;
 c) la definizione riguarda redditi derivanti da partecipazione a società di persone, associazioni,
aziende coniugali non gestite in forma societaria;
 d) se l’azione accertatrice è esercitata nei confronti della società o dell’associazione o dell’azienda
coniugale di cui alla lett. c), alle quali partecipa il contribuente bei cui riguardi è intervenuta la definizione.
Con il concordato
 le sanzioni amministrative sono ridotte a 1/4 del minimo,
 può derivare la riduzione alla metà delle pene previste per reati tri butari e la non
applicabilità di misure accessorie se il debito tributario derivante dal concordato è assolto prima
dell'apertura del dibattimento di primo grado.
L'accertamento con adesione non è ammesso quando è configurabile l'obbligo di denuncia
all'autorità giudiziaria per alcuni reati. Inoltre non è ammesso anche quando, per tali reati, è stato
presentato rapporto alla GdF o è stata attivata l’zione penale.

In dottrina vi sono due orientamenti sulla natura giuridica del concordato:

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 è un contratto secondo concetti privatistici (in particolare, una transazione)
 è un normale atto unilaterale di accertamento.
È comunque una forma di esercizio di potere impositivo, non può quindi essere un atto di diritto privato.

10. L’accertamento d’ufficio


L'avviso di rettifica presuppone la presentazione della dichiarazione ed è così denominato perché il suo
contenuto ha come termine di riferimento la dichiarazione.
Per le imposte sui redditi e per l'Iva l'accertamento d'ufficio è emesso quando non è stata presentata
o è nulla la dichiarazione. È un accertamento analitico anche in questo caso; può essere sintetico o
induttivo solo se l'ufficio non ha potuto raccogliere elementi idonei alla determinazione analitica
dell'imponibile.
L'ufficio può avvalersi di presunzioni non gravi, precise e concordanti, e può prescindere dalla
dichiarazione e dalle scritture contabili, anche se regolarmente tenute. Ovviamente l’uso di tali facoltà non
deve essere arbitrario e deve trovare giustificazione nel caso concreto.

11. L’accertamento catastale


I redditi dei terreni e dei fabbricati (redditi fondiari) sono determinati con l'accertamento catastale.
Il catasto dei terreni è un inventario che descrive la proprietà terriera, suddivisa in particelle, con
l'indicazione dell'appartenenza, della qualità, della classe e del relativo reddito medio ordinario.
Le categorie catastali sono
 abitazioni (A),
 edifici ad uso collettivo (B),
 immobili ad uso commerciale (C),
 immobili industriali (D),
 immobili speciali (E).
L'iniziativa dell'accatastamento presso l'Agenzia del territorio spetta al possessore dell'immobile, che
dichiara le nuove costruzioni (c.d. Docfa). L’accatastamento è una prerogativa dell’Agenzia del Territorio,
che può far propria la dichiarazione di rendita proposta dal possessore o modificarla.
Gli atti dell'Agenzia del Territorio che attribuiscono o modificano la rendita catastale di terreni o
fabbricati devono essere notificati agli intestatari delle particelle, e sono efficaci dal giorno della
notificazione.
Ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi, i catasti forniscono la misura del reddito fondiario
imponibile. I catasti sono strumenti di determinazione analitica dei redditi.
La rendita catastale è la base imponibile delle imposte sui redditi, ma è utilizzata anche per altre imposte.
L'Ici è applicata su un valore calcolato in base alla rendita catastale; la base imponibile dichiarata agli effetti
delle imposte sui trasferimenti degli immobili (imposta di registro, Iva) non può essere rettificata
dall’amministrazione finanziaria, se è superiore ad un dato multiplo della rendita..

12. L’avviso di liquidazione


Nell'accertamento dell'imposta di registro, la legge distingue tra determinazione del valore imponibile e
determinazione (o liquidazione) dell’imposta. Quando l'ufficio rettifica il valore imponibile deve anche
liquidare l'imposta: si ha quindi un atto unico contenente la rettifica dell’imponibile e la liquidazione
dell’imposta (oltre che degli interessi e delle sanzioni).
Si ha avviso di liquidazione, come atto autonomo, anche quando, essendo già determinato l'imponibile, si
tratta solo di liquidare l'imposta e chiederne il pagamento.
La liquidazione non è un operazione puramente matematica: essa implica la qualificazione giuridica dell'atto
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registrato e la scelta dell'aliquota. Quindi l'avviso di liquidazione, in quanto atto determinativo dell’imposta,
è un atto impositivo, con valore autoritativo e, se non impugnato, definitivo. È un atto della procedura di
riscossione, in quanto atto con cui viene richiesto il pagamento dell’imposta; se ad esso non segue il
pagamento del tributo, l'amministrazione può iscrivere a ruolo il debito.

13. L’ingiunzione fiscale


L'ingiunzione è l'atto di accertamento delle imposte indirette per le quali la legge non prevede l'avviso
di accertamento come atto tipico (tributi doganali e imposte di fabbricazione).
Tramite ingiunzione fiscale, si ha anche la riscossione coattiva dei tributi delle provincie e dei comuni
quando è svolta in proprio dall'ente o è affidata a soggetti terzi diversi dagli agenti di riscossione.

14. Facoltà difensive del contribuente


Il contribuente al quale è notificato avviso di accertamento può:
 presentare istanza di accertamento con adesione, con cui sospende il termine per impugnare per
90 giorni. La definizione mediante accertamento con adesione comporta un ridimensionamento del
tributo e la riduzione della sanzione di 1/4 del minimo edittale. Il contribuente può anche definire solo le
sanzioni (pagando ¼ di quanto irrogato) e impugnare l'avviso di accertamento relativamente al tributo e gli
interessi. Se l’avviso è tempestivamente impugnato, è ancora possibile una soluzione concordata della
vertenza, mediante conciliazione;
 Il contribuente può, entro 60 giorni dalla notifica, impugnare l'avviso di accertamento davanti alle
commissioni tributarie (o decidere di non impugnarlo);
 se non impugna l’avviso di accertamento o di liquidazione o non presenta istanza di accertamento
con adesione, le sanzioni sono ridotte a 1/4 , purché le somme siano pagate prima che scada il termine per
proporre ricorso. Le sanzioni irrogate sono ridotte, per mancata impugnazione dell’avviso, a 1/8 se al
contribuente non è stata data, prima della notificazione dell'avviso, la possibilità di definire il rapporto
d'imposta con adesione ai contenuti dell'invito a comparire o al processo verbale. Se l’avviso non è stato
preceduto né da un processo verbale cui è possibile aderire, né da invito a comparire, le sanzioni sono
ridotte- per mancata impugnazione- ad 1/8 di ¼ irrogato. Si ha riduzione solo a 1/4 quando il contribuente
avrebbe potuto aderire al processo verbale o a un invito ma non se ne sia avvalso.

Capitolo Undicesimo. L'ELUSIONE

1. Nozione di elusione
L’elisione fiscale occupa uno spazio intermedio tra risparmio legittimo (o lecito) d’imposta ed evasione.
L'evasione è diversa dall’evasione perché generalmente è realizzata occultando il presupposto dell'imposta
ed è punita con sanzioni amministrative o penali.
L'elusione non è violazione, ma aggiramento di un precetto fiscale; può essere definita come un
comportamento che realizza un "risparmio fiscale", conforme alla lettera ma non alla ratio delle norme
tributarie; è posta in essere con strumenti giuridici validi e leciti (quindi senza occultamenti della materia
imponibile, senza atti simulati). Invece, l’evasione appartiene all’area dell’illecito.
La nozione di elusione è collegata a quella di abuso: il contribuente che elude non applica il regime fiscale
"appropriato", ma applica, abusivamente, una normativa fiscale più favorevole.
L'art. 37-bis del D.p.r. 600/1973 fornisce una definizione legislativa: vi è elusione quando sono posti in
essere comportamenti "privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti
dall'ordinamento tributario, e a ottenere riduzioni d'imposte o rimborsi, altrimenti indebiti". Chi elude,

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pertanto, non viola alcuna specifica disposizione, ma ottiene un vantaggio fiscale indebito perché derivante
da comportamenti privi di ragioni economicamente apprezzabili, diverse dal risparmio fiscale. Se
l'operazione posta in essere non realizza l'aggiramento di specifiche disposizioni fiscali ed è motivata
essenzialmente da ragioni non fiscali, non si ha elusioni, ma risparmio lecito d'imposta. Il risparmio fiscale
non è indebito se e perché è la conseguenza dell'applicazione di una norma di favore in modo conforme alla
sua ratio; di fronte a due schemi di comportamento, è ammesso che il contribuente adotti quello
fiscalmente meno oneroso.
La giurisprudenza comunitaria ha escluso che costituisca un abuso del diritto di stabilimento il creare una
società in uno Stato membro per fruire di una legislazione fiscale più vantaggiosa. Sono elusive, invece, le
costruzioni societarie artificiose, costituite essenzialmente per spostare materia imponibile verso Paesi a
bassa fiscalità.
I contratti stipulati per fini di elusione fiscale non possono essere considerati in "frode alla legge", ai sensi
dell'art. 1344 c.c. ("Si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere
l'applicazione di una norma imperativa"). Questa disposizione non è applicabile ai contratti che eludono
norme fiscali, perché le norme imperative alle quali ci si riferisce sono le norme (civilistiche) proibitive, ossia
le norme che vietano di porre in essere determinati negozi. Poiché le norme tributarie sono imperative, ma
non proibitive, un contratto con fini di elusione fiscale non è nullo, ma valido ed efficace sul piano civilistico,
come stabilito dall'art. 10 dello "Statuto dei diritti del contribuente" ("Le violazioni di disposizioni con
rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto").

2. Interpretazione antielusiva e riqualificazione dei negozi


L'elusione può essere impedita attraverso l'interpretazione estensiva delle norme fiscali, ma, quando il
risultato dell'interpretazione è in grado di includere nella fattispecie della norma elusa il comportamento
elusivo, l'elusione non è più tale, ma una delle ipotesi alle quali si applica la norma impositiva. E' stato infatti
osservato che l'elusione comincia là dove finisce l'interpretazione. Infatti, in base all’interpretazione larga di
una fattispecie imponibile, il comportamento antielusivo viene tassato nei modi ordinari, e non come
comportamento elusivo.
L'interpretazione antielusiva va adottata quando il contribuente si avvale di atti e comportamenti che
appaiono estranei alla fattispecie di una norma impositiva, ma che, in realtà, vi possono rientrare, ove le
regole sull’interpretazione permettano di tenere conto del risultato economico avuto di mira dal legislatore.
La nozione di elusione rimanda ad una possibile duplice interpretazione della disposizione fiscale:
1. Metodo letterale (o formalistico) di interpretazione, in base al quale il comportamento elusivo non è
tassabile. Non consente interpretazioni antielusive, perché impedisce l'analogia e l'interpretazione
estensiva.
2. Metodi non formalistici, che, facendo prevalere la ratio sulla lettera della legge, favoriscono la
possibilità di interpretazioni antielusive.
Altra tecnica antielusiva consiste nella riqualificazione del negozio, ovvero il superamento della forma che i
contraenti hanno dato al contratto (principio chiamato "substance over form"), che avviene applicando i
criteri di interpretazione dei contratti in modo non formalistico, per pervenire ad una riqualificazione del
negozio fondata sulla sostanza giuridica della vicenda negoziale. Ha funzione antielusiva, ad es., l'art. 20 del
Testo unico del registro: "L'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti
presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente".

3. Le norme antielusive speciali


L'elusione può essere contrastata con:
1. Norme a contenuto espressamente antielusivo: all'amministrazione finanziaria è conferito il potere
di qualificare una operazione come elusiva e di imporre il pagamento del tributo eluso;
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2. Norme specifiche di diritto sostanziale: sono dettate per neutralizzare determinate pratiche elusive;
l'antielusività non è esplicita, ma risiede nella ratio delle norme, che sono dunque implicitamente
antielusive.
L'esistenza di norme tributarie che hanno lo "scopo di contrastare comportamenti antielusivi" è
espressamente riconosciuta dalla norma che permette all'amministrazione di autorizzarne la
disapplicazione delle norme antielusive, su richiesta del contribuente, nei casi concreti in cui non ricorrano
profili elusivi (art. 37-bis, comma 8, D.p.r. 600/1973).
Esempi di norme con funzione antielusiva:
• Art. 172, comma 7, T.u.i.r.: tale norma limita la deducibilità della perdite di società incorporate; il
legislatore ha di mira l'acquisto della partecipazione totalitaria in società inattive, ma aventi diritto a
dedurre perdite, seguita dall'incorporazione, fatta non per unire due organismi produttivi, ma per acquisire
il diritto a dedurre le perdite della società incorporata. Vengono posti dei limiti alla deducibilità delle perdite
dell'incorporata da parte della società incorporante.
• Art. 118, comma 2 e art. 115, comma 3 T.u.i.r.: inibiscono l'utilizzabilità delle perdite fiscali
realizzate prima dell'adozione del consolidato nazionale o della trasparenza; si ha di mira l'acquisto di
società portatrici di perdite fiscali al solo scopo di compensare le perdite con il reddito di altre società
partecipanti al consolidato o delle società-socie in regime di trasparenza.
• Art. 102, comma 7 T.u.i.r.: per impedire l'aggiramento della disciplina fiscale degli ammortamenti
mediante l'utilizzo di un leasing di durata molto breve, che consenta la deduzione del costo del bene in un
arco temporale inferiore a quello dell'ammortamento fiscale, la deduzione dei canoni di leasing dal reddito
d'impresa è ammessa solo se la durata del contratto non è inferiore ai due terzi del periodo di
ammortamento ordinario del bene oggetto di leasing.
• Art. 110, comma 7 T.u.i.r.: norma sul transfer price, in base alla quale, nei trasferimenti infragruppo,
è rilevante il valore normale e non il prezzo pattuito tra le due società dello stesso gruppo, che potrebbero
pattuire prezzi difformi al valore dei beni, al fine di eludere le imposte.
• Art. 167 e 168 T.u.i.r.: norma sulle "imprese estere controllate e collegate, che disciplina la
tassazione degli utili derivanti dalla partecipazione in società estere controllate collegate, aventi sede in
Stati a fiscalità privilegiata, tassazione che deve essere effettuata secondo il principio di trasparenza.

4. L'art 37-bis del D.p.r. 29 settembre 1973, n. 600


L'art. 37-bis del D.p.r. 600/1973 recita: "Sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i
negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti
previsti dall'ordinamento tributario, e a ottenere riduzioni d'imposta o rimborsi, altrimenti indebiti".
L'elusione, quindi, secondo tale disposizione, assume rilievo quando:
1. Sia stato conseguito un vantaggio fiscale (riduzione d’imposta o rimborso) "altrimenti indebito",
conseguito per effetto dell'aggiramento di un obbligo o divieto fiscale.
2. L'operazione sia priva di "valide ragioni economiche".
In via prioritaria , occorre esaminare se sia stato conseguito un vantaggio fiscale. La sussistenza di un
vantaggio fiscale non è tanto un requisito, quanto l’essenza stessa dell’elusione. Un vantaggio è indebito
qualora l'operazione risulti "diretta ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario".
Per accertare il vantaggio indebito, occorre confrontare lo schema realizzato ed un modello-standard, ed il
regime fiscale cui è soggetto il comportamento posto in essere ed il regime fiscale connesso al trattamento
evitato. Occorre confrontare 2 comportamenti: quello, meno oneroso, che è stato posto in essere, e quello
ortodosso, ma più oneroso, che è stato evitato. Se i due schemi sono fiscalmente equivalenti, non vi è
aggiramento. Vi è aggiramento se uno dei modelli si pone come standard, come operazione economica
fisiologica, in linea con la lettera e la ratio della legge, e se l'altro modello è anomalo ed ha comportato
l'aggiramento di un obbligo fiscale.
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Non è chiaro il concetto di "divieto", dato che il diritto tributario non prevede divieti in senso proprio. Il
diritto tributario non regola i comportamenti che appartengono alla sfera dell’autonomia privata; non li
autorizza né li vieta. In realtà, quindi, il termine divieto deve essere allora inteso in senso debole, ossia
come termine indicante norme fiscali che escludono un effetto vantaggioso per il contribuente (ad es.,
norme che escludono l'applicazione di norme fiscali agevolative, che limitano la deducibilità dei costi etc.).
L'aggiramento è da riferirsi ad una norma precisa, non all'ordinamento tributario nel suo complesso o ai
principi generali dell'ordinamento tributario.
Non si richiede abuso delle forme giuridiche civilistiche: l'abuso degli strumenti civilistici può essere un
sintomo di elusione fiscale, ma di per sé non è elemento costitutivo dell'elusione.
La giurisprudenza comunitaria intende il requisito delle "valide ragioni economiche" come necessità che
l'operazione economica sia motivata, essenzialmente, da ragioni extrafiscali, ossia che essa sarebbe stata
compiuta anche senza vantaggi fiscali.
Si possono distinguere due ipotesi:
1. L'operazione è del tutto priva di ragioni economiche e lo scopo di risparmio fiscale è l'unica ragione
di essa, dalla quale non deriva alcun risultato economico apprezzabile (è il caso, ad es., degli schemi elusivi
"circolari", nei quali viene posto in essere uno schema che si sviluppa mediante atti che realizzano una
soluzione finale che non differisce dalla soluzione di partenza: significativo è il caso delle cc. dd.
"esportazioni a U", nelle quali, al fine di usufruire della restituzione di dazi doganali per l'esportazione di
prodotti agricoli, le merci vengono consegnate al destinatario estero e immediatamente restituite, senza
alcuna utilizzazione, all'esportatore).
2. L'operazione non è priva di ragioni economiche, ma le ragioni economiche sono deboli, non
essenziali, ed il fine essenziale è quello fiscale. La Corte di Giustizia europea (Sentenza Halifax, causa C-
255/02)ha stabilito che il soggetto passivo Iva non ha il diritto di detrarre l'imposta assolta "a monte"
quando vengono poste in essere operazioni che hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio
fiscale.
• In sintesi, un’operazione è elusiva se comporta un vantaggio fiscale indebito, ottenuto aggirando una
specifica disposizione fiscale ed in assenza di valide ragioni economiche. L'amministrazione ha l'onere di
allegare quale sia il comportamento fisiologico che il contribuente avrebbe dovuto porre in essere, quale sia
la norma aggirata e in che cosa consista il risparmio fiscale indebito; il contribuente ha l'onere di dimostrare
le "valide ragioni economiche".
• Casi in cui si applicano le disposizioni citate:
a) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da
voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;
b) conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende;
c) cessioni di crediti;
d) cessioni di eccedenze d'imposta;
e) operazioni di cui al d.lgs. 544/1992 (fusioni, scissioni, conferimenti d'attivo e scambi di azioni
realizzate tra società di Stati membri dell'UE), nonché il trasferimento della residenza fiscale all'estero da
parte di una società;
f) operazioni, da chiunque effettuate, incluse le valutazioni e le classificazioni di bilancio, aventi ad
oggetto i beni ed i rapporti di cui all'art. 81, comma 1, lettere da c) a c-quinquies T.u.i.r.;
f-bis) cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate tra i soggetti ammessi al regime della tassazione di
gruppo di cui all'art.117 T.u.i.r.;
f-ter) pagamenti di interessi e canoni di cui all'art. 26-quater d.p.r. 600/1973, qualora detti pagamenti siano
effettuati a soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non residenti in uno
Stato dell'Unione Europea;
f-quater) pattuizioni intercorse tra società controllate e collegate ai sensi dell'art. 2359 c.c., una delle quali
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avente sede legale in uno Stato o territorio diverso da quelli di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi
dell'art. 168-bis T.u.i.r., aventi ad oggetto il pagamento di somme a titolo di clausola penale, multa, caparra
confirmatoria o penitenziale.

4.1. L'accertamento di imposte eluse


L'art. 37-bis, D.p.r. 600/1973 stabilisce che gli atti, i fatti e i negozi elusivi sono "inopponibili"
all'amministrazione finanziaria, la quale "disconosce i vantaggi tributari" conseguiti, "applicando le imposte
determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto dei comportamento
inopponibile all'amministrazione".
Pertanto, la sanzione dei comportamenti elusivi è l'inopponibilità all'amministrazione finanziaria. Gli
accertamenti dei comportamenti elusivi non sono normali atti impositivi, che determinano l’imposta
direttamente collegata dalla legge alla fattispecie realizzata, ma sono avvisi di accertamento speciali, che
applicano l'imposta elusa. A causa dell'inopponibilità, il contribuente non può opporre, a tale avviso di
accertamento, di non dovere l'imposta accertata dall’amministrazione, perché il comportamento
effettivamente tenuto è diverso da quello sul quale si fonda la pretesa fiscale.
Questi atti di imposizione "speciali", ferme le imposte dovute sul comportamento effettivamente posto in
essere, impongono il pagamento di un tributo supplementare, pari alla differenza tra imposte dovute in
base alla norma elusa ed imposte dovute sul comportamento realizzato.
Il provvedimento impositivo antielusivo è emesso in seguito ad un procedimento speciale, con
contraddittorio obbligatorio:
1. Prima di emettere l'avviso, l'amministrazione deve chiedere chiarimenti al contribuente; la richiesta
dell'ufficio ha come oggetto, in particolare, le ragioni economiche per le quali è stata realizzata una
determinata operazione.
2. Il contribuente ha l'onere di rispondere entro sessanta giorni.
3. L'avviso di accertamento deve essere motivato, oltre che con i consueti contenuti, anche prendendo
in considerazione le giustificazioni fornite dal contribuente: spiegando, cioè, perché l’ufficio non ha reputate
valide le ragioni economiche addotte dal contribuente.
4. La riscossione provvisoria dell'imposta e degli interessi è consentita solo dopo la sentenza di primo
grado.

5. La giurisprudenza e la clausola generale antielusiva


La giurisprudenza comunitaria ha affermato il principio secondo cui i singoli non possono avvalersi
abusivamente delle norme comunitarie (sentenza Halifax).
La Cassazione ha esteso questo principio dal settore dell'Iva a quello delle imposte dirette, ritenendo non
deducibili dal reddito d'impresa le minusvalenze derivanti da operazioni compiute essenzialmente allo
scopo di ottenere un vantaggio fiscale (Cass., sent. n. 21221/2006).
Obiezioni a questo orientamento derivano dal fatto che l'applicazione di regole comunitarie antiabuso non
si presta al settore delle imposte dirette, materia regolata dalle norme antielusive interne e demandata
perciò alla competenza dei singoli Stati.
Con le sentenze delle sezioni unite 30055, 30056, 30057 del 2008, la Cassazione ha superato queste
obiezioni sostenendo l'esistenza di una clausola generale antielusiva non scritta dai principi costituzionali di
capacità contributiva e di progressività dell'imposizione. E' insito dunque nell'ordinamento "il principio
secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non
contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale,
in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera
aspettativa di quel risparmio fiscale".

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6. Esclusione delle sanzioni
Nel diritto comunitario, l'elusione comporta il recupero dell'imposta elusa, ma non le sanzioni. Nella
sentenza Halifax, infatti, è stato affermato che la constatazione dell’esistenza di un comportamento abusivo
non deve condurre ad una sanzione, per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro e
univoco.
Parimenti, nel diritto interno, le sanzioni amministrative puniscono la "violazione" di norme tributarie; non
possono essere applicate nel caso di "aggiramento" di norme, né sono previste sanzioni specifiche per
l'elusione.

7. Interposizione fittizia ed interposizione reale


Un’apposita disposizione prevede che l’amministrazione finanziaria possa colpire chi si sottrae alla
tassazione utilizzando forme di interposizione fittizia.
Il concetto di interposizione fittizia è così esemplificabile: Tizio appare titolare di un reddito, ma in realtà è
un soggetto fittiziamente interposto, poiché, essendo il reddito di Caio, è quest'ultimo che deve essere
colpito dalla tassazione (titolare effettivo del reddito).
L'art. 37, comma 3 del D.p.r. 600/1973 prevede che: "in sede di rettifica o di accertamento d'ufficio sono
imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla
base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona".
La regola, quindi, è che nelle situazioni in cui vi è divario tra "titolarità apparente" e "possesso effettivo" di
un reddito, l'imposta deve essere posta a carico del "possessore effettivo" e non della persona interposta.
L'interposizione fittizia è riconducibile al campo dell'evasione, mentre l'interposizione reale è fenomeno
riconducibile all'elusione.
Esempi di interposizione fittizia:
• Conti correnti bancari intestati ai soci o agli amministratori di una società (quali soggetti interposti),
ma in realtà riferibili alla società.
• Calciatori (soggetti interponenti) che percepivano somme cospicue corrisposte dalla loro società a
società estere (soggetti interposti), per lo sfruttamento pubblicitario dell'immagine.
Se il soggetto interposto dichiara il reddito e paga l'imposta e, in seguito, l'amministrazione accerta il
reddito imputandolo all'interponente, si ha doppia imposizione dello stesso reddito. Si è previsto, pertanto,
che, dopo che sia divenuto definitivo l'accertamento nei confronti del soggetto interponente, i soggetti
interposti possono richiedere il rimborso di quanto versato.

Capitolo Dodicesimo. LA RISCOSSIONE

1. Aspetti generali
La riscossione è una funzione dell'Agenzia delle entrate, che la esercita mediante la società Equitalia s.p.a., i
cui compiti sono:
1. incassare le somme pagate mediante versamento diretto e quelle iscritte a ruolo;
2. gestire il "conto fiscale";
3. provvedere alla esecuzione forzata;
4. eseguire i rimborsi.
L'estinzione dell'obbligazione tributaria avviene in forme tipiche, rigidamente disciplinate; l'ente impositore
non può riscuotere, ed il contribuente non può liberarsi, se non nelle forme stabilite dalla legge. Non hanno
riscontro nel diritto tributario i modi di estinzione delle obbligazioni, che sono espressione del potere di
disporre del rapporto.
Anche la prescrizione può incidere sui crediti tributari. Relativamente alla prescrizione:

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• In materia di imposte sui redditi e di Iva, preso atto del silenzio della legislazione tributaria, si
applica il termine decennale previsto dall'art. 2946 c.c. ("Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente i
diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni").
• In materia di imposte indirette, sono (talora) espressamente previsti termini di prescrizione
dell'imposta "definitivamente accertata" (ad es., per l'imposta di registro, il termine è decennale).
Il testo normativo principale in tema di riscossione è il D.p.r. 602/1973, dettato per la riscossione delle
imposte sui redditi, ma richiamato per la riscossione dell'Iva e delle altre imposte indirette.

2. Le ritenute dirette.
L'art. 1 del D.p.r. 602/1973 stabilisce che le imposte sui redditi sono riscosse mediante:
a) ritenuta diretta;
b) versamenti diretti del contribuente all'agente della riscossione e alle sezioni di tesoreria provinciale
dello Stato;
c) iscrizione nei ruoli.
Le ritenute dirette sono ritenute simili a quelle dei sostituti d'imposta; sono dette "dirette" perché operate
dal creditore dell'imposta, ossia dalle amministrazione pubbliche, a titolo d'acconto o a titolo d'imposta.
Vi sono soggetti i redditi di lavoro dipendente e assimilati, i redditi di lavoro autonomo, alcune provvigioni, i
redditi di capitale, i contributi, i premi e le vincite (artt. 29 e 30, D.p.r. 602/1973).

2.1. I versamenti diretti


La forma di riscossione più importante, dal punto di vista del gettito, è il versamento diretto. Questo tipo di
versamento è detto "diretto" per distinguerlo da quello fatto a seguito di iscrizione a ruolo; si tratta del
pagamento di somme effettuato dai sostituti e dal contribuente in esecuzione di un obbligo stabilito dalla
legge ed in base ad autonoma liquidazione della somma da versare (c.d. "autoliquidazione" o
"autotassazione").
I versamenti diretti sono destinati all'agente della riscossione o alla Tesoreria provinciale dello Stato e sono
eseguiti in via telematica o mediante delega irrevocabile ad una banca convenzionata o alle Poste. Il
delegato deve rilasciare un’attestazione recante l’indicazione dei dati identificativi del soggetto che effettua
il versamento, la data, la causale e gli importi dell’ordine di pagamento, nonché l’impegno ad effettuare il
pagamento agli enti destinatari per conto del delegante.

I sostituti, dopo aver effettuato le ritenute (a titolo d'acconto o d'imposta), devono poi versare, mediante
versamento diretto, gli importi ritenuti: ogni mese, entro il giorno 16, i sostituti devono versare le somme
ritenute operate nel mese precedente.
Le ritenute d'acconto, per chi le subisce, sono un acconto dell'imposta dovuta per quel periodo d’imposta.
Chi subisce la ritenuta acquista un diritto di pari ammontare nei confronti del fisco, che, mediante
indicazione nella dichiarazione dei redditi e verrà compensato con il debito d'imposta per quell'anno.
Il fenomeno, dal punto di vista del sostituto, non è un acconto né un’anticipazione. Il sostituto, invece, con il
versamento, estingue l'obbligazione di cui è soggetto passivo e quindi il suo adempimento è definitivo.

Nella riscossione delle imposte periodiche (imposte sui redditi e IVA) incontriamo una pluralità di obblighi di
versamento, distinti dall’obbligazione tributaria.
In materia di imposte sui redditi, il contribuente deve effettuare, nel corso del periodo d'imposta, due
versamenti d'acconto, calcolati in base all'imposta dovuta per il periodo precedente e che valgono come
acconti dell'imposta dovuta per il periodo in corso:
• La prima rata è pari al 40 per cento dell'acconto e dev'essere versata nel termine previsto per il
versamento del saldo dovuto in base alla dichiarazione relativa all'anno d'imposta precedente.
53
• La seconda rata dev'essere versata nel mese di novembre (oppure l'ultimo giorno dell'undicesimo
mese del periodo d'imposta, per i soggetti passivi Ires il cui periodo d'imposta non coincide con l'anno
solare).
Tale forma di riscossione è denominata riscossione anticipata: con essa si vuole ravvicinare conseguimento
del reddito e pagamento del tributo (pay as you earn); precede sia il presupposto, che si realizza, per le
persone fisiche, solo al 31 dicembre, ossia con il decorso dell'intero periodo d'imposta, sia la procedura di
accertamento. La riscossione avviene nel corso del periodo d’imposta, e, quindi, in anticipo rispetto al
compiuto verificarsi del presupposto.
La ratio di tale norma risiede nel fatto che si presume che il reddito si riproduca ogni anno nella medesima
misura. Se il contribuente prevede di produrre un reddito inferiore e di dover quindi pagare un'imposta
minore, egli può versare meno di quanto dovuto, ma rischia una sanzione amministrativa se la sua
previsione si rivela errata.
A consuntivo, quando verrà presentata la dichiarazione annuale, sarà versato il saldo (se non emergerà un
credito).

Nell'Iva, l'imposta deve essere versata entro il 16 di ogni mese, in base alle liquidazioni mensili (oppure
dopo il compimento di ciascun trimestre). Entro il 27 dicembre, deve essere versato un acconto calcolato in
base all'ultima liquidazione dell'anno.
Dopo che il periodo d’imposta si è concluso, con la presentazione della dichiarazione dei redditi e della
dichiarazione annuale Iva, deve essere versato il saldo che risulta dovuto in base alla stessa dichiarazione. In
particolare, con la dichiarazione annuale Iva, deve essere versata la differenza tra versamento infra-annuale
e imposta dovuta per il periodo (meno le detrazioni); se risulta un credito, il contribuente ha diritto di
computare l'importo dell'eccedenza in detrazione nell'anno successivo e, in certe ipotesi, può chiederne il
rimborso.

2.2. Versamenti "unitari" e compensazione


I contribuenti versano, cumulativamente, sia le imposte dirette e le ritenute, sia altre imposte (Iva, Irap), sia
i contributi previdenziali e assistenziali. Sono versati unitariamente anche taluni tributi dovuti agli enti locali
e le somme dovute ad altri enti (ad es., Camere di commercio).
Il versamento si effettua utilizzando il modello F24 e il versamento è effettuato presso l'agente della
riscossione o tramite banche o uffici postali. I titolari di partita Iva devono effettuare i versamenti unitari per
via telematica, direttamente o tramite un intermediario abilitato.
I versamenti unitari hanno il pregio di consentire la compensazione tra "partite attive" e "passive" del
contribuente; la compensazione può essere verticale (stesso tributo) od orizzontale (tributi diversi,
ammessa entro importi annui prefissati).
Se la dichiarazione dei redditi reca un saldo attivo, "il contribuente ha diritto, a sua scelta, di computare
l'eccedenza in diminuzione dell'imposta relativa al periodo d'imposta successivo o di chiederne il rimborso in
sede di dichiarazione dei redditi" (art. 11, T.u.i.r.); può, inoltre, compensare il suo credito d'imposta con
quanto dovuto per imposte sui redditi, oppure con quanto dovuto a titolo di acconto per il periodo
successivo a quello cui si riferisce la dichiarazione.

3. La riscossione in base all'avviso di accertamento


Dal 1° luglio 2011 gli avvisi di accertamento delle imposte sui redditi e dell'Iva e gli atti di irrogazione delle
sanzioni per tali imposte sono anche atti della riscossione e titoli esecutivi. Non lo sono per le altre imposte,
per le quali, quindi, la riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo di quanto dovuto in base agli avvisi di
accertamento e agli atti sanzionatori.
L'art. 29 del D.l. 78/2010 prevede che l'avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle entrate ai fini

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delle imposte sui redditi e dell'Iva ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni (e tutti i
provvedimenti successivi che rideterminano gli importi dovuti) devono contenere anche l'intimazione ad
adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all'obbligo di pagamento degli importi stabiliti.
Il contribuente, se propone ricorso, deve versare, a titolo provvisorio, metà dell'imposta accertata, con gli
interessi (art. 15, D.p.r. 602/1973).
L’intimazione ad adempiere al pagamento è altresì contenuta nei successivi atti da notificare al
contribuente (anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento), in tutti i casi in cui siano
rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA
ed ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni.
Dopo le sentenze delle Commissioni tributarie sfavorevoli per il contribuente, l’Agenzia deve rideterminare
il dovuto e notificare un’intimazione ad adempiere.
Il versamento delle somme dovuto deve avvenire entro 60 gg dal ricevimento dell’intimazione.
Inoltre:
• L'avviso di accertamento (e l'intimazione ad adempiere in esso contenuta) divengono esecutivi
decorsi sessanta giorni dalla notifica.
• In esso deve esservi l'avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la
riscossione delle somme richieste è affidata agli agenti della riscossione anche ai fini dell'esecuzione forzata.
• Se sussiste fondato pericolo per il positivo esito della riscossione, decorsi sessanta giorni dalla
notifica dell'intimazione, può essere disposte la riscossione delle somme dovute nel loro ammontare
complessivo (imposta, interessi e sanzioni) anche prima dei termini normali.
• L’agente della riscossione, sulla base dei titoli esecutivi predetti, e senza notifica della cartella di
pagamento, procede ad espropriazione forzata con i poteri, le facoltà e le modalità previste dalle
disposizioni che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo.
• Decorso un anno dalla notifica, prima di procedere ad espropriazione forzata, è notificato l'avviso di
intimazione ad adempiere entro cinque giorni (art. 50, D.p.r. 602/1973).
• L'espropriazione forzata deve essere avviata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del secondo
anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo.
A partire dal primo giorno successivo al termine ultimo per la presentazione del ricorso, le somme richieste
sono maggiorate dagli interessi di mora, calcolati a partire dal giorno successivo alla notifica degli atti;
all'agente della riscossione spettano l'aggio e il rimborso delle spese per la procedura esecutiva.

4.La riscossione mediante ruolo


Il ruolo è un atto amministrativo collettivo, che racchiude un elenco di somme da riscuotere (per imposte,
interessi e sanzioni). È indicato il codice fiscale del contribuente, il tributo, il periodo d’imposta, l’imponibile,
l’imposta, l’importo dovuto. L'ufficio forma il ruolo iscrivendo le somme da riscuotere in base ad un titolo
che lo legittima a riscuotere (dichiarazione o avviso di accertamento).
I contribuenti sono iscritti in ruoli diversi, a seconda del comune di domicilio fiscale; il ruolo è sottoscritto,
anche mediante firma elettronica, dal titolare dell'ufficio (o da un suo delegato) e la sottoscrizione
attribuisce al ruolo effetti di titolo esecutivo; l'agente della riscossione comunica ai contribuenti le somme
iscritte che li riguardano e notifica loro la cartella di pagamento.

I ruoli sono regolati dal citato D.p.r. 602/1973 e si applicano sia alle imposte dirette, sia a quelle indirette
(eccetto le norme dedicate specificamente per le imposte dirette), sia ai tributi degli enti locali, che abbiano
affidato il servizio di riscossione ad Equitalia s.p.a. (altrimenti la riscossione si effettua mediante ingiunzione
fiscale, ai sensi del R.d. 639/1910).

Il ruolo, come ogni provvedimento amministrativo, deve essere motivato, come stabilito dall'art. 7, comma
55
3 dello Statuto dei diritti del contribuente: "sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all'eventuale
precedente atto di accertamento, ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria" .
Il titolo esecutivo, per i crediti tributari, è costituito dall’iscrizione a ruolo, che viene portato a conoscenza
del contribuente mediante la cartella di pagamento; le prescrizioni riguardanti la motivazione del titolo
esecutivo devono dunque essere contenute nella cartella di pagamento. È necessario che nel ruolo e nella
cartella di pagamento vi sia l’indicazione del titolo in base al quale è effettuata l’iscrizione a ruolo.
Possono aversi due situazioni:
5. Se il ruolo è meramente riproduttivo di un atto precedente, basta l'indicazione dell'atto precedente.
6. Se il ruolo è innovativo (ad es., se deriva dal controllo diplomatico o dal controllo formale della
dichiarazione), è necessaria una specifica motivazione.

4.1.Iscrizioni a ruolo in base alla dichiarazione. L'invito a pagamento


Le iscrizioni a ruolo presuppongono un titolo che le giustifichi: i titoli che le legittimano sono la
dichiarazione e l’avviso di accertamento.
L'iscrizione a ruolo è effettuata in base alla dichiarazione in tre ipotesi:
1. in caso di mancato versamento di somme che risultano dovute in base alla liquidazione fatta nella
stessa dichiarazione;
2. quando, dai controlli automatici e dal controllo formale della dichiarazione, risulta riscuotibile una
somma maggiore di quella liquidata e versata dal dichiarante;
3. quando vi siano da riscuotere imposte su redditi soggetti a tassazione separata.
Prima del ruolo formato per riscuotere somme che risultano dovute in base al controllo automatico ed al
controllo formale della dichiarazione dei redditi, l'ufficio deve invitare il contribuente a versare la somma
dovuta. Tale obbligo di comunicazione a carico dell'ufficio sussiste anche in materia di Iva.
Ai sensi dell'art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente, "Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo
derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti
rilevanti della dichiarazione, l'amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio
postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un
termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta". E' espressamente
sancita la nullità degli atti emessi in violazione di tale disposizione.

4.2.Iscrizioni a ruolo in base agli avvisi di accertamento


Nei casi in cui l'avviso di accertamento non è atto della riscossione, sono riscosse mediante ruolo le somme
dovute in base agli avvisi di accertamento (imposte, interessi, sanzioni amministrative).

In base al grado di stabilità del titolo della riscossione, si distinguono iscrizioni a titolo provvisorio e iscrizioni
a titolo definitivo:
• Le iscrizioni provvisorie sono effettuate in base ad un accertamento non definitivo, perché
impugnato: il ricorso contro un avviso di accertamento, infatti, non ne sospende l'esecuzione. Ad es., in
materia di imposte sui redditi e Iva, in pendenza del primo grado di giudizio, il contribuente deve versare
metà delle imposte accertate più gli interessi; per l'imposta complementare di registro, si riscuote un terzo
dell'imposta in pendenza del ricorso di primo grado, mentre l'imposta suppletiva è riscuotibile dopo il
secondo grado (art. 56, comma 1, lett. a) del D.p.r. 131/1986).
Inoltre:
a) dopo la sentenza della Commissione tributaria che respinge il ricorso, il ricorrente deve versare i
due terzi del tributo (con gli interessi, e previa detrazione di quanto già pagato);
b) in caso di accoglimento parziale del ricorso, da parte della Commissione tributaria provinciale, il
ricorrente deve versare: l'intero ammontare dovuto in base a tale sentenza, se inferiore o pari ai due terzi
56
del tributo controverso; ovvero una somma pari ai due terzi dell'importo del tributo controverso (sono
detratte le somme già versate e aggiunti gli interessi);
c) la sentenza della Commissione tributaria regionale rende riscuotibile l'intero importo dovuto.
Queste norme si applicano anche alle sanzioni amministrative. Se pende processo penale, si applica l'art. 21
D.lgs. 74/2000, secondo cui “1. L’ufficio competente irroga comunque le sanzioni amministrative relative
alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato. 2. Tali sanzioni non sono eseguibili nei confronti dei
soggetti diversi da quelli indicati dall’art.19.2, salvo che il procedimento penale sia definito con
provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che
esclude la rilevanza penale del fatto. In quest’ultimo caso, i termini per la riscossione ricorrono dalla data in
cui il provvedimento di archiviazione o la sentenza sono comunicati all’ufficio competente; alla
comunicazione provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi. 3. Nei casi di irrogazione di un’unica
sanzione amministrativa per più violazioni tributarie in concorso o continuazione tra loro,, a norma dell’art.
12 del d.lgs. n.472/1997, alcune delle quali soltanto penalmente rilevanti, la disposizione del comma 2 del
presente articolo opera solo per la parte della sanzione eccedente quella che sarebbe stata applicabile in
relazione alle violazioni non penalmente rilevanti”.

La legge prevede dei "ruoli straordinari" in cui sono iscritte, anticipatamente rispetto ai tempi ordinari, le
somme per le quali vi è fondato pericolo di non riscuoterle. In tal modo possono essere riscosse per intero
somme che sarebbero da riscuotersi solo in parte, nelle more del processo di primo grado.

4.3. Iscrizioni a titolo provvisorio e iscrizioni a titolo definitivo


Mentre le iscrizioni a titolo provvisorio sono fatte in base ad un atto sub judice e quindi producono per il
fisco un'entrata non definitiva (che potrebbe dover essere rimborsata se il processo si conclude a favore del
contribuente), le iscrizioni a titolo definitivo appaiono destinate alla riscossione di somme definitivamente
dovute, ma ciò non è vero in senso assoluto:
a) la dichiarazione è un atto contestabile dallo stesso dichiarante, che può impugnare l'iscrizione a
titolo definitivo che su di essa si fondi;
b) gli accertamenti definitivi possono essere rimossi dalla stessa amministrazione in via di autotutela;
c) può essere esperita con successo un'azione di revocazione straordinaria contro una sentenza
tributaria passata in giudicato.
In definitiva, la differenza tra iscrizioni a titolo provvisorio e a titolo definitivo deriva dal titolo che legittima
l'iscrizione e dal termine entro cui devono essere effettuate.

4.4. La cartella di pagamento. L'aggio della riscossione


L’agente della riscossione deve rendere note ai contribuenti le iscrizioni a ruolo mediante notificazione della
cartella di pagamento. Contenuto della cartella:
1. Imposte iscritte a ruolo.
2. Relativi interessi e sanzioni.
3. Aggio, ossia l'importo da corrispondere a titolo di compenso per la riscossione. All'agente della
riscossione spetta il 9 % delle somme da riscuotere: se il contribuente paga entro 60 giorni dalla notifica
della cartella, il contribuente paga il 4,65 %, mentre la parte restante è a carico dell'ente creditore; se il
contribuente paga dopo 60 giorni, l'aggio è interamente a suo carico (art. 17, D.lgs. 112/1999).
4. Data in cui il ruolo è stato reso esecutivo.
5. Descrizione delle “partite” (con relative e succinte motivazioni).
6. Istruzioni sulle modalità di pagamento.
7. A pena di nullità, la cartella deve contenere l'indicazione del responsabile del procedimento di
iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della cartella stessa.
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8. Invito a pagare entro 60 giorni, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione
forzata (la cartella equivale al precetto dell'esecuzione forzata ordinaria). Infatti se il contribuente non paga,
l’agente della riscossione può intraprendere l’azione esecutiva, senza altri avvisi, 60 gg dopo la notifica della
cartella.

4.5. La notifica della cartella di pagamento


La notifica della cartella deve avvenire entro un termine previsto a pena di decadenza (art. 25, D.p.r.
602/1973). La Corte Costituzionale, infatti, ha stabilito che non è consentito, "dall'art. 24 Cost., lasciare il
contribuente assoggettato all'azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato e comunque, se
corrispondente a quello ordinario di prescrizione, certamente eccessivo e irragionevole" (Corte Cost., sent.
280/2005).
Dopo 60 giorni dalla notifica, può avere inizio l'esecuzione forzata; dalla notifica decorre anche il termine di
60 giorni, entro il quale può essere proposto ricorso contro il ruolo (e contro la cartella).

4.6. L'intimazione ad adempiere


L'intimazione ad adempiere (che ha sostituito l'avviso di mora) è atto necessario per iniziare l'esecuzione
forzata, decorso un anno dalla notifica della cartella di pagamento. Con essa viene nuovamente portato a
conoscenza del contribuente il contenuto del ruolo.

4.7. Scadenza del pagamento. Dilazioni e sospensioni


Il pagamento deve essere effettuato (presso l'agente della riscossione o mediante delega ad una banca o
ufficio postale) entro 60 giorni dalla notifica della cartella, ma l'ufficio può concedere una dilazione. Sono
previste due forme di dilazione:
1. Ripartizione del pagamento in più rate mensili (massimo 72).
2. Sospensione della riscossione per un anno e, successivamente, la ripartizione del pagamento fino
ad un massimo di 48 rate mensili.

4.8. Interessi
Il pagamento delle imposte deve avvenire, oltre che in via anticipata, al momento di presentazione della
dichiarazione. Se il pagamento avviene in seguito sono dovuti interessi (art. 20, 21 e 30, D.p.r. 602/1973).
La legge distingue Quattro ipotesi:
a) interessi per mancato versamento diretto: sugli importi non versati (o versati dopo la scadenza dei
termini stabiliti); interessi in misura predeterminata dalla legge;
b) interessi per ritardata iscrizione a ruolo: si applicano quando, dalla liquidazione o dal controllo
formale della dichiarazione, risulta un importo non versato; si rendono allora dovuti gli interessi al tasso
fissato dalla legge (a partire dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione e fino alla data
di consegna all'agente dei ruoli nei quali tali somme sono iscritte);
c) interessi per dilazione di pagamento: in caso di rateizzazione o sospensione dal pagamento, si
applicano gli interessi al tasso del 6 % annuo;
d) interessi di mora: stabiliti annualmente dal Ministro (sulla base della media dei tassi bancari attivi),
si applicano quando, 60 giorni dopo la notifica della cartella, non è avvenuto il pagamento della somma
iscritta a ruolo.
Sulle somme dovute all'erario per tasse e imposte indirette sugli affari si applicano interessi moratori nella
misura semestrale prefissata dalla legge, da computarsi per ogni semestre compiuto.

5. Natura giuridica ed effetti del ruolo


Il ruolo è atto collettivo, riguardante una molteplicità di soggetti e di iscrizioni. Al singolo contribuente non
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interessa però il ruolo come atto collettivo, ma la singola iscrizione.
Effetti per il contribuente dell'iscrizione a ruolo:
1. Obbligo di pagamento.
2. Se l'obbligo non è adempiuto, legittimazione dell'esecuzione forzata.
Il primo di tali effetti prende il nome di "esigibilità": il ruolo rende esigibile l'obbligazione tributaria, che
preesiste al ruolo, ma può e deve essere adempiuta solo a seguito di iscrizione. Ciò è vero quando il ruolo si
fonda sull'avviso di accertamento, perché l'iscrizione a ruolo rende esigibile l'obbligazione che scaturisce
dall'avviso.
Ciò non è vero quando il ruolo è fondato sulla dichiarazione dei redditi, perché l'esigibilità preesiste al ruolo
(il contribuente doveva soddisfare il debito al momento della presentazione della dichiarazione). Il ruolo
semplicemente reitera l'obbligo di versamento nascente dalla dichiarazione: quindi, all'inadempimento
dell'obbligo da dichiarazione segue il ruolo, mentre all'inadempimento dell'obbligo da ruolo segue
l'esecuzione forzata.

5.1. Gli effetti del ruolo nei confronti dei terzi


In linea di principio, il ruolo esplica effetti solo nei confronti del soggetto a cui è rivolto (principio valido per i
titoli esecutivi, ex art.417 c.p.c.).
Persiste tuttavia la prassi abusiva di sottoporre ad esecuzione forzata, in base all'iscrizione a ruolo di un
soggetto, il patrimonio di altri soggetti (coobbligati in via paritaria o dipendente); prassi che si collega al
teorema della "solidarietà processuale", già censurato dalla Corte Costituzionale.
Nel caso di pluralità di soggetti obbligati in solido, il ruolo ha efficacia solo nei confronti dei soggetti iscritti;
e non può esservi iscrizione a ruolo di un soggetto, se non sulla base dell'avviso di accertamento emesso nei
confronti di quel soggetto, né efficacia dell’iscrizione a ruolo di un obbligato nei confronti di altri
coobbligati. Anche nel caso di solidarietà dipendente, gli effetti degli atti emessi nei confronti dell'obbligato
principale non si estendono al coobbligato dipendente.
Unica eccezione al principio dell'inefficacia contro i terzi, è costituita dai terzi proprietari di beni soggetti a
privilegio speciale; tali soggetti sono estranei al processo di esecuzione, ma il particolare diritto di garanzia
che insiste sui loro beni ne consente il pignoramento e la vendita in virtù del titolo esecutivo riguardante
l'obbligato principale.

6. La sospensione amministrativa del ruolo


Il ricorso contro il ruolo non sospende la riscossione, ma il contribuente può ottenere la sospensione del
ruolo in due modi:
• chiedendo la sospensione alla Commissione Tributaria alla quale ha presentato ricorso (il ricorso, da
solo, non sospende la riscossione); il potere ha natura cautelare ed ha lo scopo di tutelare il contribuente in
presenza dei tradizionali requisiti dell'azione cautelare (fumus boni iuris e periculum in mora).
• chiedendo la sospensione all'ufficio dell'Agenzia delle entrate; il potere non presuppone un pericolo
di danno per il contribuente, bensì un pericolo per la riscossione, pertanto è uno strumento di tutela del
credito del fisco; poiché si tratta di autotutela amministrativa, contro il rigetto della richiesta (o contro il
silenzio) non è dato alcun ricorso giurisdizionale.

7. La riscossione dell'imposta di registro


L'art. 42 Testo unico registro stabilisce che nell’imposta di registro:
• è principale l'imposta "applicata al momento della registrazione e quella richiesta dall'ufficio se
diretta a correggere errori od omissioni effettuati in sede di autoliquidazione nei casi di presentazione della
richiesta di registrazione per via telematica";
• è suppletiva l'imposta applicata successivamente se diretta a correggere errori od omissioni
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dell'ufficio;
• è complementare l'imposta applicata in ogni altro caso.
In dottrina si discute se tali "forme" d'imposta siano frazioni di un unico rapporto obbligatorio o diano vita
ad obbligazioni distinte. È certo che il parametro dovuto è unitario, ma la distinzione ha il preciso rilievo
pratico ai fini della riscossione, Esistono infatti discipline differenziate per queste imposte (ad es., il notaio è
coobbligato con le parti di un contratto per il pagamento dell'imposta principale, ma non per l'imposta
complementare o per la suppletiva).
L'imposta principale è quella liquidata e richiesta dall'ufficio sulla base dell'atto sottoposto a registrazione.
Vi è però la facoltà di utilizzare procedure telematiche per la registrazione di atti relativi a diritti sugli
immobili (e per la trascrizione, iscrizione e annotazione di tali diritti nei registri immobiliari, nonchè per la
voltura catastale). Le richieste sono presentate utilizzando un modello informatico che è trasmesso per via
telematica, con la documentazione necessaria, ed il tributo è liquidato dal contribuente stesso (mediante
notaio). Gli ufficio controllano la regolarità dell'autoliquidazione e del versamento; se risulta una maggiore
imposta, notificano, anche per via telematica, entro 30 giorni dalla presentazione della richiesta, un avviso
di liquidazione; la maggiore imposta deve essere pagata entro 15 giorni dalla notifica ( art. 3-bis, d.lgs.
463/1997).
L'imposta supplementare e quella complementare sono notificate al contribuente con "avviso di
liquidazione" (art. 54 e 55 del Testo unico registro).
Nell'imposta di registro, l'avviso di accertamento è denominato anche "avviso di accertamento valore"
perché determina solo la base imponibile e non è atto della riscossione; ad esso segue l'avviso di
liquidazione (e, se vi è inadempimento, l’iscrizione al ruolo).
L'avviso di liquidazione contiene la determinazione autoritativa del quantum dell'imposta (per rimuoverne
gli effetti è infatti necessario impugnarlo ed ottenere l’annullamento); è atto della riscossione e contiene
l'invito al pagamento dell'imposta, da effettuarsi entro 60 giorni; se il pagamento non avviene nei termini, si
rende dovuta una sanzione, e l’amministrazione iscrive a ruolo l’imposta da riscuotere.
In caso di ricorso contro l'avviso di accertamento che accerti un maggior valore:
• Le imposte suppletive sono riscosse dopo la sentenza di secondo grado.
• L'imposta complementare è riscossa, in pendenza del giudizio di primo grado, in misura di un terzo
(art. 56, Testo unico registro); dopo la decisione della Commissione provinciale e dopo la decisione di
appello, si applicano le norme dell'art. 68 del D.lgs. 546/1992 (“1. Anche in deroga da quanto previsto nelle
singole leggi d’imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio
davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato: a)
per i 2/3, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso; b) per
l’ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i 2/3,
se la stessa accoglie parzialmente il ricorso; c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della
commissione tributaria regionale. Per la ipotesi indicate nelle precedenti lettere a), b) e c) gli importi da
versare vanno in ogni caso diminuiti di quanto già corrisposto. 2. Se il ricorso viene accolto, il tributo
corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito nella sentenza della commissione tributaria provinciale,
con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro 90 gg dalla
notificazione della sentenza. 3. Le imposte suppletive debbono essere corrisposte dopo l’ultima sentenza non
impugnata o impugnabile solo con ricorso in cassazione”).

7.1. Riscossione di altre imposte indirette


Vari tipi di imposte indirette:
• Imposte indirette il cui pagamento è connesso alla presentazione della dichiarazione (ad es., sulle
assicurazioni, sulla pubblicità, sugli intrattenimenti etc.).
• Imposte indirette nella quali il pagamento avviene senza dichiarazione (cc.dd. "tributi senza
60
imposizione"): ad esempio, le tasse sulle concessioni governative sono assolte mediante versamento su di
un conto corrente postale intestato all'Ufficio concessioni governative di Roma (art. 6, D.lgs. 237/1997).
Tradizionalmente gli uffici procedevano alla riscossione coattiva delle imposte indirette mediante
ingiunzione fiscale, che è stata soppiantata dal ruolo. Pur non avendo più funzione di titolo esecutivo, è
usata ancora come avviso di accertamento per certe imposte (doganali, di fabbricazione etc.) in cui aveva
anche tale funzione. Essa conserva anche la funzione di atto con l’amministrazione invita a pagare il tributo;
se il pagamento non avviene, l'ingiunzione costituisce titolo in base a cui iscrivere a ruolo il dovuto.

8. Privilegi e fideiussioni
Il codice civile prevede una serie di privilegi, generali e speciali, sui mobili e sugli immobile, ad assistenza dei
crediti tributari:
a) privilegio generale sui mobili del debitore (art. 2752 c.c.): previsto per Irpef, Ires, Iva e per i tributi
comunali;
b) privilegio speciale sui mobili: i crediti dello Stato per i tributi indiretti hanno privilegio sui mobili ai
quali i tributi si riferiscono, e così anche i crediti di rivalsa Iva (art. 2758 c.c.); i crediti Irpef e Ires hanno
privilegio sopra i mobili che servono all'esercizio dell'impresa e sulle merci (art. 2759 c.c.);
c) privilegio generale immobiliare (art. 2771 c.c.): i crediti per Ires e Irpef, limitatamente alla quota
imputabile a redditi immobiliari o fondiari non determinabili catastalmente, hanno privilegio sugli immobili
del debitore situati nel comune in cui il tributo si riscuote;
d) privilegio speciale immobiliare (art. 2772 c.c.): assiste i crediti per tributi indiretti, in relazione agli
immobili cui il tributo si riferisce.

In determinati casi, per ottenere il rimborso del credito IVA annuale, o relativo a periodi inferiori all’anno, il
contribuente deve prestare delle garanzie per assicurare all'amministrazione il recupero del rimborso
eventualmente indebito.
La sospensione cautelare dell'atto impugnato (ossia la sospensione della riscossione) può essere
subordinata, con provvedimento discrezionale della commissione tributaria, alla prestazione di una garanzia
bancaria o assicurativa.
Se risulta che l'imposta non è dovuta, lo Statuto dei diritti del contribuente impone all'amministrazione di
rimborsare il costo delle fideiussioni.

8.1. Ipoteca, sequestro e fermo amministrativo


L'amministrazione finanziaria, in caso di fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito (cioè
quando teme che il contribuente possa spogliarsi dei propri beni e rendersi insolvente), può chiedere al
Presidente della Commissione tributaria provinciale l'iscrizione di ipoteca e l’autorizzazione a procedere al
sequestro conservativo nei confronti dei beni del contribuente, compresa l’azienda (art. 22, D.lgs.
472/1997).
A norma dell'art. 2808 c.c., l'ipoteca si costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari e attribuisce al
creditore il diritto di espropriare, anche in confronto del terzo acquirente, i beni ipotecati e di essere
soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall'espropriazione.
A norma dell'art. 2906 c.c.,il sequestro conservativo rende inefficaci, in pregiudizio del creditore
sequestrante, le alienazioni e gli altri atti che hanno per oggetto la cosa sequestrata, in conformità delle
regole stabilite per il pignoramento (inefficacia relativa).
Le misure possono essere richieste:
1. A garanzia del credito per il tributo.
2. A garanzia del credito per la sanzione.
Presuppongono la notifica di un atto di contestazione di sanzioni, o di un provvedimento di irrogazione di
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sanzioni, o di un processo verbale di constatazione o un avviso di accertamento.
Procedura:
1. Notifica dell'istanza alle parti interessate.
2. Le parti interessate possono, entro 20 giorni dalla notifica, depositare memorie e documenti
difensivi.
3. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio, provvede con sentenza, che può essere appellata.
Altra forma di tutela cautelare del credito erariale è il fermo amministrativo (previsto dall'art. 69, ultimo
comma, del R.d. 2440/1923, regolamento di contabilità pubblica): l'amministrazione pubblica può
sospendere il pagamento di un suo debito se è a sua volta creditrice verso lo stesso privato. Questo istituto
è stato usato dall’amministrazione finanziaria per sospendere i rimborsi nei confronti di contribuenti che sia
in posizione di debito.
E' previsto inoltre dall'art. 48-bis del D.p.r. 602/1973 che le amministrazioni pubbliche e le società a
prevalente partecipazione pubblica non devono effettuare pagamenti a favore di soggetti che siano
inadempienti all'obbligo di versamento risultante da una cartella di pagamento.
Diverso dal fermo amministrativo, che consiste nella sospensione dei pagamenti, è il "fermo dei veicoli".
Dopo 60 giorni dalla notifica della cartella, l'agente della riscossione ha il potere di disporre il "fermo" dei
beni mobili registrati (art. 86, D.p.r. 602/1973), che ha per effetto quello di vietare la circolazione del
veicolo sottoposto a fermo (la violazione del divieto comporta l'applicazione di una sanzione
amministrativa).

9. Responsabilità di liquidatori, amministratori e soci


I liquidatori di società o altri enti, soggetti all'Ires, rispondono in proprio del pagamento delle imposte
dovute dalla società o ente, quando, pur disponendo delle risorse per pagare le imposte, abbiano assegnato
beni ai soci oppure pagato crediti di ordine inferiore a quelli tributari, senza avere prima soddisfatto i crediti
tributari (art. 36, D.p.r. 602/1973).
Si tratta di responsabilità che non sorge quando sorge il debito d’imposta, ma a causa del porre in essere di
una fattispecie successiva, con il carattere di illecito, ed ha per oggetto le imposte dovute per il periodo
della liquidazione e per quelli anteriori. È commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero
trovato capienza in sede di graduazione dei debiti.
Tali norme valgono anche per gli amministratori in carica all'atto dello scioglimento della società o ente, se
non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori, e per gli amministratori che, nel corso degli ultimi due
periodi d'imposta precedenti alla messa in liquidazione, hanno compiuto operazioni di liquidazione ovvero
hanno occultato attività sociali anche mediante omissione nelle scritture contabili.
E' prevista anche la responsabilità per i soci (o associati) che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due
periodi d'imposta precedenti la messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli
amministratori, o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della
liquidazione, per il pagamento delle imposte dovute dai liquidatori, nei limiti del valore dei beni ricevuti,
salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile.
La responsabilità di liquidatori, amministratori e soci è accertata con avviso di accertamento, da notificarsi
entro il termine di prescrizione di 10 anni.

10. La transazione fiscale


L'art. 163 della legge fallimentare disciplina il concordato preventivo tra l'imprenditore in stato di crisi o
insolvenza ed i suoi creditori.
Il piano di concordato può avere ad oggetto anche i debiti fiscali, come previsto dall'art. 182-ter. Il debitore
può proporre il pagamento parziale dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali, ad eccezione dei tributi
costituenti risorse proprie dell'UE (come l’IVA).

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Caratteristiche:
• La proposta di concordato può prevedere la dilazione del pagamento.
• Se il credito tributario è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le garanzie
non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o una
posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie fiscali.
• Se il credito tributario ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a
quello degli altri creditori chirografari.

11. L'esecuzione forzata.


Il ruolo ha valore giuridico di titolo esecutivo. Se il contribuente non paga le somme iscritte a ruolo (titolo
esecutivo), l'agente della riscossione può sottoporre i suoi beni ad esecuzione forzata (artt. 25 e segg.,
D.p.r. 602/1973).
L'esecuzione forzata fiscale è disciplinata dalle norme di diritto comune (c.c., c.p.c. e codice della
navigazione), con alcune differenze: ad es., le attribuzioni degli ufficiali giudiziari sono svolte dagli ufficiali
della riscossione.
L'esecuzione può avere inizio 60 giorni dopo la notifica del titolo esecutivo; se non è iniziata entro un anno
dalla notifica della cartella, l'espropriazione deve essere preceduta dalla notifica di una "intimazione ad
adempiere" entro cinque giorni (l’intimazione ha sostituito l’avviso di mora).
Gli agenti della riscossione possono svolgere indagini per individuare i beni da pignorare, come previsto
dall'art. 18 del D.lgs. 112/1999:
a) accedendo agli uffici pubblici, anche in via telematica, per prendere visione ed estrarre copia degli
atti riguardanti i beni dei debitori iscritti a ruolo e dei coobbligati;
b) accedendo all'Anagrafe tributaria e ad altri sistemi informativi.
L'azione esecutiva può essere subita anche da un terzo. I crediti dello Stato per tributi indiretti, infatti, sono
assistiti da privilegio speciale sugli immobili ai quali il tributo si riferisce ex art. 2772 c.c.: in forza del "diritto
di seguito", il fisco può sottoporre l'immobile ad esecuzione forzata, anche se di proprietà di un terzo.
L'amministrazione, però, deve attivarsi contro il terzo prima che maturi il termine di decadenza dal
privilegio: entro tale termine deve essergli notificato il titolo esecutivo (ossia l'iscrizione a ruolo) con cui
l’amministrazione fa valere il privilegio.
L'esecuzione forzata si articola in tre momenti:
1. Pignoramento: per i beni mobili, si usano le forme del diritto processuale comune, ad opera
dell'ufficiale della riscossione, che deve redigere un verbale da notificare e consegnare al destinatario; per i
beni immobili, si esegue mediante trascrizione di avviso di vendita recante una serie di indicazioni.
2. Messa all'incanto dei beni pignorati; l'incanto è tenuto e verbalizzato dall'ufficiale. Se dopo il primo
ed il secondo incanto il bene non è venduto, la Direzione regionale dell'Agenzia delle entrate può
autorizzare un terzo incanto; se anche questo è negativo, l'immobile è devoluto allo Stato.
3. Deposito degli atti del procedimento di espropriazione, a cura dell'agente della riscossione, nella
cancelleria del giudice dell'esecuzione (più la somma ricavata).
4. Distribuzione del ricavato.

11.1. Liti esecutive


Contro il processo esecutivo ordinario, il c.p.c. prevede tre mezzi di tutela:
1. Opposizione all'esecuzione, con cui si contesta il diritto della parte istante di procedere ad
esecuzione forzata.
2. Opposizione agli atti esecutivi, con cui si contesta la regolarità formale del titolo esecutivo o del
precetto o dei singoli atti esecutivi.
3. Opposizione di terzo, promossa dal terzo che afferma di essere proprietario (o di vantare altro
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diritto reale) dei beni pignorati.
Mezzi di tutela per il contribuente:
a) impugnazione del titolo esecutivo dinanzi alle Commissioni;
b) opposizione dinanzi al giudice ordinario per contestare la pignorabilità dei beni;
c) opposizione dinanzi al giudice ordinario contro i singoli atti esecutivi.
E' ammessa l'opposizione di terzo, dinanzi all’autorità giudiziaria, secondo le norme del c.p.c.
Chi si ritenga leso dall'esecuzione forzata può agire contro l'agente della riscossione, dopo il compimento
dell'esecuzione, per il risarcimento dei danni. L'agente della riscossione, nelle cause promosse contro di lui,
che non riguardano esclusivamente la regolarità o validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l'ente
creditore interessato; in mancanza risponde delle conseguenze della lite (art. 39, D.lgs. 112/1999).
La procedura esecutiva può essere sospesa dal giudice dell'esecuzione quando "ricorrano gravi motivi e vi
sia fondato pericolo di grave e irrevocabile danno".

Capitolo Tredicesimo. IL RIMBORSO

1 e 2. I crediti per rimborso e Crediti “non da indebito”


Il contribuente può essere creditore del fisco per:
 crediti per rimborsi da indebito, ex art. 2033 c.c.: chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha
diritto alla restituzione. Può accadere che
– manchi dall'origine, o che venga meno, la norma di legge alla quale si collega l'imposta che è stata
pagata;
– che una norma sia dichiarata incostituzionale e i tributi pagati diventano ex post pagamenti non
dovuti (il rimborso però in caso di “rapporto esaurito”: non è dovuto se l'atto impositivo è divenuto
definitivo o se sono scaduti i termini per richiedere il rimborso);
– che l'imposta sia stata pagata in base ad una norma nazionale in contrasto con il diritto comunitario e il
giudice è quindi tenuto ad applicare la norma comunitaria e non la norma nazionale (l'imposta pagata è da
rimborsare se gli atti non siano divenuti definitivi o i termini non siano scaduti) o con una convenzione
contro le doppie imposizioni;
– viene presentata una dichiarazione erronea, o inesatta;
– l'imposta è stata pagata a titolo provvisorio in base ad un avviso di accertamento che è stato
annullato;
– ci sono stati errori nella riscossione;
 crediti per rimborsi non da indebito, cioè per il rimborso di acconti o altre somme debitamente
versate. I crediti emergenti dalla dichiarazione dei redditi che sorgono quando l'imposta dovuta risulti
inferiore alla somma dei versamenti d'acconto, delle ritenute d'acconto e dei crediti di imposta: il saldo
creditorio, dopo le compensazioni con il debito d'imposta, può
– esser riportato all'anno successivo,
– esser chiesto a rimborso,
– essere ceduto;
Nell'Iva l'imposta relativa agli acquisti (IVA a credito) può risultare superiore all'imposta sulle operazioni
imponibili (IVA a debito), quindi creando un credito del contribuente verso il fisco. Nella dichiarazione Iva
annuale si può avere eccedenza quando la somma dell'Iva detraibile e dei versamenti effettuati nel
corso dell'anno supera il debito d'imposta. L'eccedenza è un credito che può essere:
– compensato con debiti d'imposta diversi dall'Iva,
– riportato a nuovo e compensato con le situazioni debitorie degli anni successivi,
– chiesto a rimborso.
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Nell'imposta di registro e sulle successioni si ha credito del contribuente alla restituzione di imposte
regolarmente percepite quando le somme versate sono, al momento del versamento, dovute ma per ragioni
sopravvenute risultano da restituire.

3. Il rimborso delle ritenute dirette e dei versamenti diretti.


Per ottenere il rimborso, il creditore deve presentare istanza all'Agenzia delle entrate nei termini e con
modalità prefissate:
 per le ritenute dirette e i versamenti diretti, l’istanza deve essere presentata entro 48 mesi dal
versamento: il termine di 48 mesi inizia a decorrere:
– dal momento in cui è effettuato il versamento o operata la ritenuta, solo se la ritenuta o il versamento
sono indebiti dall'origine,
– dal versamento del saldo nel caso in cui il diritto derivi da un'eccedenza sugli importi anticipatamente
corrisposti rispetto all'ammontare del tributo che risulti al momento del saldo complessivamente dovuto,
– da una successiva determinazione in via defi nitiva dell'an e del quantum dell'obbligazione
fiscale;
 per ritenute indebitamente operate e versate, l'istanza può esser presentata sia dal sostituto
che dal sostituito: il termine decorre
– per il sostituito da quando ha subito la ritenuta,
– per il sostituto da quando ha versato, se la ritenuta e il versamento sono indebiti dall'origine.
La tardività dell'istanza è rilevabile d'ufficio, ex art.2969 c.c..
Decorre il termine decennale di prescrizione per la presentazione di istanza di rimborso, ex art.2964 c.c..

3.1. Il rimborso delle somme riscosse mediante ruolo


Per le somme riscosse mediante ruolo, la legge non disciplina espressamente la domanda di rimborso.
Quando c'è iscrizione a ruolo di una somma non dovuta, il contribuente può tutelarsi e impugnare il ruolo,
chiedendo, cumulativamente,
 l'annullamento del ruolo,
 la condanna dell'amministrazione a rimborsare le somme indebitamente riscosse.
Secondo la giurisprudenza una somma riscossa con ruolo non può essere restituita se non è stato prima
impugnato e annullato il ruolo, in realtà la mancata impugnazione del ruolo non preclude la domanda di
rimborso delle somme indebitamente riscosse.
In ogni caso, anche se si dovesse ritenere, in linea generale, che la mancata impugnazione del ruolo
impedisca il rimborso, resta fermo che la preclusione non opera per qualsiasi tipo di iscrizione a ruolo, e per
qualsiasi titolo di indebito.
La preclusione non opera per le iscrizioni a ruolo a titolo provvisorio, che dipendono dalla sorte del titolo
(avviso di accertamento) in base al quale, in presenza di ricorso contro l’avviso, si sono formate. Perciò, la
sorte di ciò che viene riscosso in base ad un’iscrizione provvisoria dipende dall’esito del processo
riguardante l’avviso di accertamento.
La preclusione non opera quando emergono errori materiali o duplicazioni dovuti all'ufficio delle imposte,
che deve provvedere a rimborsare a prescindere dall'iniziativa di parte: è effettuato d'ufficio.

3.2. Il rimborso di imposte indirette.


L'istanza di rimborso delle imposte indirette deve essere presentata all'ufficio stesso che gestisce il tributo
indebitamente pagato entro 3 anni decorrenti da quando è avvenuto il pagamento indebito, a pena di
decadenza.
Termine per l'istanza di rimborso delle accise, invece, è di 2 anni, decorrenti da quando è avvenuto il

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pagamento indebito.
Per l'Iva bisogna distinguere tra
 rimborso di imposte indebitamente versate,
 credito d'imposta (o diritto di detrazione) spettante in relazione agli acquisti di beni o servizi fatti
nell'esercizio di impresa, arte o professione,
 autorimborso derivante da una nota di variazione.
In materia di rimborso dell’indebito, valgono le norme generali.

3.3. Il termine residuale.


Il termine per il rimborso, in mancanza di disposizioni specifiche, è di 2 anni dal pagamento o, se
posteriore, dal giorno in cui è sorto il diritto alla restituzione.
Se la domanda è esplicitamente respinta, il rifiuto espresso sarà impugnabile davanti alla Commissione
tributaria provinciale; se l'amministrazione non agisce entro 90 giorni dalla presentazione della domanda di
rimborso, il silenzio si interpreta come rifiuto e l'interessato può proporre ricorso alla Commissione
tributaria provinciale.

4. Il rimborso d’ufficio
Di regola, il rimborso deve essere chiesto dall’interessato, ma vi sono dei casi in cui il rimborso deve essere
disposto d’ufficio. L’iter da seguire, per la tutela giurisdizionale, anche in caso di rimborso d’ufficio, è quello
consueto: istanza di rimborso e successivo ricorso alle commissioni. In tal caso, opera soltanto il termine di
prescrizione del diritto.
Si ha rimborso d'ufficio quando
 in sede di liquidazione o controllo formale della dichiarazione dei redditi risulta un credito del
contribuente,
 dopo la sentenza della Commissione tributaria provinciale, devono esser rimborsate d'ufficio le
somme riscosse in via provvisoria durante il giudizio di primo grado (l’obbligo del rimborso d’ufficio è
l’effetto della sentenza della Commissione provinciale, che annulla in tutto o in parte un provvedimento
impositivo, con la conseguenza che la somma versata in via provvisoria risulta in tutto o in parte non
dovuta),
 in caso di somme indebitamente riscosse a causa di errori materiali o duplicazioni imputabili all'ufficio
dell'Agenzia delle entrate.

5. Interessi per ritardato rimborso


In caso di ritardo nel rimborso di imposte sui redditi, il contribuente ha diritto all'interesse, nella misura
prevista dalla legge, per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del
versamento e la data dell'ordinativo di rimborso. Quando il diritto al rimborso sorge con la dichiarazione
dei redditi, gli interessi decorrono dal semestre successivo alla data di presentazione della dichiarazione.

Capitolo Quattordicesimo. LE SANZIONI AMMINISTRATIVE

1. La distinzione tra illeciti amministrativi e illeciti penali


La violazione delle norme tributarie può avere come conseguenza una sanzione amministrativa o penale.
Un illecito è amministrativo o penale a seconda del nomen della sanzione che la legge prevede. Gli illeciti
penali si distinguono in delitti e contravvenzioni. Quando la legge prevede, come sanzione, una multa o la
reclusione, siamo in presenza di un delitto. Invece, quando la legge prevede, come sanzione, l’arresto o

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l’ammenda, si ha una contravvenzione.
Alle sanzioni penali si contrappongono le sanzioni amministrative, che puniscono gli illeciti amministrativi.
La disciplina generale delle sanzioni amministrative tributarie è nel D.lgs. 472/1997.
La sanzione amministrativa è inflitta dall'amministrazione finanziaria e non dall'autorità giudiziaria (come invece
le sanzioni penali).

2. Passaggio dal sistema risarcitorio al sistema personalistico


Tradizionalmente la sanzione amministrativa tributaria ha scopo risarcitorio (più che punitivo): di
conseguenza, la sanzione è commisurata al danno provocato, al tributo evaso; sono destinatari della
sanzione sia persone fisiche che enti collettivi; in caso di pluralità di trasgressori essi rispondono in solido; in
caso di morte l'obbligo della sanzione passa agli eredi.
Nel 1997 è introdotto un modello personalistico (o penalistico) che mira a punire il trasgressore,
evidenziando l'elemento soggettivo di dolo o colpa: perciò in caso di concorso non si ha responsabilità
solidale ma correale; gli enti collettivi non sono imputabili per l'illecito; la sanzione non si trasmette agli
eredi.
Con la l. 269/2003 è stata ridotta la portata di uno ei capisaldi della riforma del 1997: le sanzioni
amministrative relative al rapporto fiscale proprio di una società o enti con personalità giuridica sono
esclusivamente a carico della persona giuridica. Da ciò deriva che le norme che presuppongono
l’irrogazione della sanzione alle persone fisiche, non si applicano alle persone giuridiche.

3. Principio di legalità e favor rei


Art. 3 D.lgs. 472/1997 contiene una molteplicità di principi generali. L’articolo, al primo comma, dispone
che “Nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima
della commissione della violazione ed esclusivamente nei casi considerati dalla legge”. In questa norma
sono contenuti 3 principi:
 principio di legalità, solo la legge può comminare sanzioni,
 divieto di retroattività: la legge deve essere entrata in vigore prima della violazione,
 principio di tassatività della previsione sanzionatoria: la legge deve prevedere sia la sanzione che i
fatti illeciti, non sono ammesse estensioni analogiche delle norme sanzionatorie,
Il secondo e il terzo comma sono ispirati al principio del favor rei.
Il secondo comma dispone che: “Se la sanzione è stata già irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo
si estingue, ma non è ammessa ripetizione dell’indebito”. Anche qui viene riproposto un principio penalistico:
quello della retroattività della abolitio criminis.
Ispirato al principio dell’applicazione della legge più favorevole al trasgressore è anche il comma 3, che
dispone: “Se la legge in vigore nel momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori
stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di
irrogazione sia divenuto definitivo”. Mentre il comma 2 concerne il caso in cui la violazione cessi del tutto di
essere punita, il comma 3 ha riguardo al caso in cui la violazione continua ad essere illecito amministrativo,
e viene mutata l’entità della sanzione. La nuova legge che muta l'entità della sanzione è retroattiva se
dispone una sanzione più lieve; non lo è se la aggrava.

3.1. Responsabilità personale, imputabilità, colpevolezza


L'illecito richiede:
 un comportamento, commissivo o omissivo, che viola una norma,
 l'elemento soggettivo, costituito da un particolare atteggiamento psicologico; devono ricorrere
cioè

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– imputabilità, cioè capacità di intendere e volere,
– colpevolezza, cioè dolo o colpa, non basta la volontarietà del comportamento sanzionato ma serve
anche la colpevolezza del trasgressore, cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se
non doloso, quanto meno negligente.

4. Le sanzioni
La sanzione amministrativa principale è l'obbligo di pagare una somma di denaro (cui si aggiungono sanzioni
accessorie, con contenuto interdittivo), che può variare
 la misura della sanzione può variare tra un minimo ed un massimo, può essere irrogata in una misura
determinata discrezionalmente, avendo riguardo
– alla gravità della violazione (desunta anche dalla condotta dall’agente),
– all'opera svolta dall'agente per eliminare o attenuare le conseguenze,
– alla sua personalità (desunta anche dai suoi precedenti fiscali),
– alle sue condizioni economiche e sociali;
 può esser pari ad una frazione o a un multiplo del tributo cui si riferisce la violazione,
 può esser fissa.
La sanzione pecuniaria non produce interessi e non è trasmissibile agli eredi.
Sono sanzioni accessorie
 interdizione dalla carica di amministratore, sindaco o revisore di società di capitali,
 interdizione dalla partecipazione a gare pubbliche,
 interdizione dal conseguimento di licenze, concessioni o autorizzazioni,
 sospensione dall'esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa per un massimo di 6 mesi.

4.1. Concorso di illeciti e continuazione, cumulo materiale e cumulo giuridico


In materia di sanzioni amministrative tributarie si ha
 cumulo materiale delle pene, la sommatoria di tante sanzioni quante sono le violazioni
commesse,
 cumulo giuridico, una sola sanzione maggiorata, in tre ipotesi:
– concorso formale: un soggetto, con una sola azione, viola più norme, anche relative a tributi diversi.
Il concorso formale è
– omogeneo quando si commettono diverse violazioni della stessa disposizione,
– eterogeneo quando con una sola azione od omissione si violano disposizioni diverse.
Si applica soltanto la sanzione più grave, aumentata da 1/4 al doppio (cumulo giuridico). Se le violazioni
rilevano ai fini dei tributi, si considera quale sanzione base, cui riferire l'aumento, quella più grave
aumentata del 20%.
– concorso materiale, la stessa disposizione è violata più volte. Si ha concorso materiale, in deroga al
cumulo materiale delle sanzioni, solo quando si tratta di violazioni di obblighi formali. Si applica la
sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata da 1/4 al doppio.
– Illecito continuato, si applica la sanzione più grave, aumentata da 1/4 al doppio quando:
– vi sono più violazioni commesse in tempi diversi,
– le violazioni sono progressive e con un unico fine, ovvero tendono ad alterare la determinazione
dell’imponibile o la liquidazione del tributo.
Se le violazioni rilevano ai fini di più tributi, si considera quale sanzione base, cui riferire l’aumento,
quella più grave aumentata di 1/5.

Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi si applica la sanzione
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base aumentata dalla metà al triplo, che quindi con il cumulo verrà poi aumentata da 1/4 al doppio.
La sanzione può essere aumentata fino a 1/2 in caso di recidiva, cioè nei confronti di chi, nei 3 anni
precedenti, sia incorso in altra violazione della stessa indole. In particolari ed eccezionali circostanze,
che rendono manifestamente sproporzionata la sanzione, può essere ridotta fino alla metà del minimo.
L'ufficio che emette in tempi diversi gli accertamenti relativi a periodi di imposta diversi, deve
determinare la sanzione complessiva tenendo conto dei provvedimenti già emessi. In sede processuale il
giudice deve rideterminare la sanzione complessiva tenendo contro delle sentenze precedenti.
In caso di accertamento con adesione, le disposizioni sulla determinazione della sanzione unica in caso di
progressione si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta. La sanzione
conseguente alla rinuncia, all’impugnazione dell’avviso di accertamento, alla conciliazione giudiziale e alla
definizione agevolata non può stabilirsi in progressione con violazioni non indicate nell’atto di
contestazione o di irrogazione delle sanzioni.
N.B.: Se la sanzione risultante dal cumulo giuridico è superiore a quella calcolata con il cumulo materiale, si
applica il cumulo materiale, si applica cioè il sistema più favorevole.

5. I responsabili solidali, a titolo di garanzia, del pagamento della sanzione.


Nel sistema coesistono due principi: il principio per cui sono punite solo le persone fisiche ed il principio
(introdotto nel 2003) per cui sono punite le società ed enti con personalità giuridica.
Quando è punita una persona fisica, l'obbligo di pagare la sanzione è posto a carico del contribuente che ne
ha beneficiato: risponde, infatti, a titolo di garanzia, anche la società o ente che abbia beneficiato
dell'illecito, con diritto di regresso verso la persona fisica che ha commesso la violazione. Il diritto di
regresso verso l’autore materiale permette di ritenere non contraddetto, almeno formalmente, il principio
della personalità della sanzione.
Si ha responsabilità solidale di soggetti diversi dall'autore quando
 la violazione incide sulla determinazione dell'obbligazione o sul pagamento del tributo
 è commessa dal rappresentante legale, dall'amministratore o da un dipendente nell'esercizio delle
proprie funzioni.
La stessa regola vale per il rappresentate negoziale di una persona fisica.
L'attore non risponde per più di 51.645 Euro quando:
 l'autore è diverso dal contribuente che ne ha beneficiato,
 la violazione non è stata commessa con colpa grave o dolo.
Perciò, quando l’autore della violazione ha agito come rappresentate di una persona fisica o per conto di un
ente o società senza personalità giuridica (come amministratore, legale rappresentate, dipendente), e non
ha agito con dolo o colpa grave, la sua responsabilità è limitata a 51.654 euro.
Gli illeciti commessi dai consulenti nella risoluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo
se commessi con dolo o con colpa grave (imperizia o negligenza indiscutibili da cui risulta evidente la
macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari).

5.1. La corresponsabilità del cessionario d’azienda


La cessione d’azienda è un fenomeno che il legislatore tributario prende in considerazione per il timore
che i debiti tributari del cedente, non assolti al momento della cessione, restino definitivamente
insoluti. Ecco perché il cessionario d'azienda è responsabile, in solido con il cedente, per il pagamento
di sanzioni derivanti da violazioni commesse dal cedente nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei 2
precedenti, nonché di quelle già irrogate e contestate nello stesso periodo (anche se riferite a violazioni
commesse in epoca anteriore).
La responsabilità del cessionario è limitata al valore dell'azienda acquistata: la sua responsabilità riguarda

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solo il debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti della Direzione regionale dell'Agenzia delle
entrate.
Gli uffici sono tenuti a rilasciare un certificato sull'esistenza di contestazioni in corso e su quelle già definite e
non ancora estinte. Il certificato negativo esonera da responsabilità il cessionario (che è liberato anche nel
caso in cui il certificato non sia rilasciato entro 40 gg dalla richiesta).
La responsabilità del cessionario non è soggetta a limitazione quando la cessione sia fatta per frodare il
fisco, e c'è presunzione di frode per i trasferimenti entro 6 mesi dalla contestazione del reato.

5.2. Concorso di persone. Responsabilità del professionista e autore mediato


Se la violazione è commessa da più persone, ciascuna di esse (dato il principio di personalità) è
responsabile della sanzione ad essa singolarmente irrogata.
Vi è concorso di persone quando l’illecito è commesso da più persone, ma non è necessario che tutti i
soggetti realizzino compiutamente il fatto illecito; un soggetto è punibile quando contribuisca alla
commissione dell’illecito. Quindi il concorso può essere materiale o psicologico.
Può concorrere nella violazione il professionista che suggerisca al trasgressore la condotta punita.
L'autore materiale dell'illecito non è punito quando è stato determinato a compiere la violazione con violenza o
minaccia o perché indotto incolpevolmente in errore (autore mediato):
 l'autore è indotto, senza sua colpa, a commettere un illecito dal parere di un professionista,
 il socio non amministratore di una società di persone, non avendo potuto esaminare la
documentazione della società, riporta nella sua dichiarazione il reddito che gli è imputabile in base a
quanto risulta dalla dichiarazione della società: è considerato autore mediato il socio amministratore che
ha predisposto la dichiarazione della società.
Quando la violazione è l'omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti, è irrogata
una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo diritto di
regresso. Vi è solidarietà tra i trasgressori solo quando la violazione consiste nell'inadempimento
di un'obbligazione solidale; in tal caso l’illecito è imputato a tutti, la sanzione è determinata in maniera
uguale per tutti e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di
regresso.

6. Le cause di non punibilità


Il D.Lgs. n.472/1997 prevede 5 cause di esclusione della punibilità:
 errore incolpevole sul fatto,
 errore di diritto derivante da ignoranza inevitabile della legge tributaria,
 incerta portata della legge tributaria,
 imputabilità ad un terzo del mancato pagamento del tributo, quando il pagamento del tributo non
è stato eseguito per fatto denunciato all'autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a
terzi,
 forza maggiore.
Lo Statuto dei diritti dei contribuenti prevede altri due casi per cui sia esclusa la punibilità per
 violazioni formali che non incidono sul debito d'imposta,
 chi si è conformato alle indicazioni dell'amministrazione finanziaria o non ha ricevuto risposta
entro 120 giorni dalla presentazione di interpello.

7.I procedimenti applicativi delle sanzioni amministrative


È competente per le sanzioni lo stesso ufficio che è competente per l'accertamento del tributo.
Quando le sanzioni da irrogare sono collegate all'ammontare del tributo, sono irrogate con l'avviso di
70
accertamento.
Le sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi sono irrogate con iscrizione a ruolo.
Il procedimento ordinario, invece, inizia con la notificazione dell'atto di contestazione, in cui è indicato, a
pena di nullità,:
 la sanzione,
 i fatti attribuiti al trasgressore,
 le prove,
 le norme sanzionatorie,
 i criteri seguiti nel determinare la sanzione.
Deve contenere anche
 l'invito al pagamento entro il termine previsto per la presentazione del ricorso,
 indicare la possibilità di definizione agevolata, presentazione di memorie, impugnazione davanti
alla commissione.
I trasgressori e gli obbligati in solido, entro il termine per proporre ricorso, possono:
 definire la controversia con il pagamento di 1/4 della sanzione indicata nell'atto di
contestazione, impedendo l'irrogazione di sanzioni accessorie,
 produrre deduzioni difensive, l'ufficio deve esaminare e può, entro 1 anno, irrogare sanzioni (con
provvedimento motivato a pena di nullità, anche in ordine alle deduzioni),
 impugnare l'atto davanti alla commissione tributaria.

8. Estinzione dell’illecito
Il contribuente può estinguere l'illecito se:
 rimedia alla violazione commessa, se questa non sia già stata constatata e non siano iniziati accessi,
ispezioni o verifiche di accertamento delle quali l’autore o i soggetti obbligati in solido abbiano avuto
formale conoscenza,
 paga una parte della sanzione, se il versamento è eseguito con ritardo non superiore a 30 giorni la
sanzione è 1/12 del minimo,
 per qualsiasi errore o omissione, se rimedia entro il termine per la presentazione della
dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione (o, se non è prevista la
dichiarazione periodica, entro 1 anno dalla violazione), nel qual caso la sanzione è ridotta a 1/10 del
minimo,
 se è stata omessa la presentazione della dichiarazione, se questa è presentata con ritardo inferiore
a 90 giorni, la sanzione è ridotta a 1/12 del minimo.

8.1. Estinzione della sanzione amministrativa


La sanzione si estingue con:
 il pagamento dell'obbligazione.
Quando la sanzione riguarda un fatto che potrebbe avere rilevanza penale, la riscossione della sanzione
amministrativa è sospesa fino a quando non cessa il processo penale.
 Se l'amministrazione non agisce nel termine di decadenza, decorso questo l'illecito si estingue.
L'atto di contestazione o l’atto di irrogazione devono essere notificati, a pena di decadenza, entro 5 anni
dalla commissione della violazione o nel termine previsto per l'accertamento dei singoli tributi. Se la
notificazione è stata eseguita tempestivamente ad almeno un autore il termine è prorogato di 1 anno.
Il termine di prescrizione del credito, invece, relativo ad una sanzione già irrogata è 5 anni, ma
l'impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione fino alla definizione del

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procedimento.
 La morte della persona fisica autrice della violazione estingue l'illecito e la sanzione già irrogata;
non cessa la responsabilità solidale dei soggetti tenuti a titolo di garanzia, anche quando non sia stata
ancora irrogata la sanzione amministrativa nei confronti della persona fisica che ha commesso la
violazione. Da ciò deriva che la sanzione può essere irrogata anche dopo la morte del trasgressore, allo
scopo di ottenere il pagamento della sanzione da parte dei coobbligati.
 Definizione Agevolata (o in via breve). Gli effetti dell'illecito cessano se, entro 60 giorni
dalla notificazione dell'atto di contestazione, il trasgressore o un obbligato in solido pagano 1/4
della sanzione indicata nell'atto di contestazione. La definizione agevolata estingue l’illecito e
impedisce sia l'irrogazione della sanzione principale che quelle accessorie. Per incentivare la
definizione in via breve, l’atto di contestazione deve contenere l’invito al pagamento delle somme
dovute nel termine previsto per la proposizione del ricorso, con l’indicazione della possibilità di
definizione in via breve.
 Per effetto del condono, concesso con provvedimento ad hoc.

9. Cenni sulle singole violazioni e sulle singole sanzioni.


Obblighi dei contribuenti:
 documentazione e contabilizzazione, sono puniti con sanzioni che variano da un minimo ad un
massimo, a prescindere dall'entità dell'evasione,
 obblighi relativi alle dichiarazioni, sono rapportati all'entità dell'imposta non dichiarata,
 obblighi relativi alla riscossione, chi non esegue i versamenti diretti è soggetto ad una sanzione pari
al 30% del tributo non versato.

Capitolo Quindicesimo. LE SANZIONI PENALI

1. I reati in materia di imposte sui redditi e Iva


La vigente disciplina è contenuta nel D.lgs. 74/2000.
Si tratta di reati classificati come delitti, a causa della notevole offensività e del dolo specifico di evasione: si
tratta, perciò, di reati che hanno natura di delitti.
Non sono reato le violazioni tributarie commesse a monte della dichiarazione. Sono punite come reato le
violazioni dell'obbligo di dichiarazione annuale dei redditi e Iva (ossia dichiarazione fraudolenta, infedele ed
omessa).
Altre figure di reato previste:
• emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti;
• occultamento o distruzione di documenti contabili;
• omesso versamento di ritenute e dell'Iva;
• compimento di atti fraudolenti, sui propri beni o su beni di altri, intesi a rendere inefficace la
riscossione coattiva.
Hanno rilievo penale solo gli illeciti che superano determinate soglie. Non sono previste soglie di alcun tipo
per:
• dichiarazione fraudolenta basata sull'uso di fatture (o altri documenti) per operazioni inesistenti;
• emissione di fatture (o altri documenti) relative ad operazioni inesistenti;
• occultamento o distruzione di scritture contabili.
La sanzione è sempre la reclusione.

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2. Reati relativi alle dichiarazioni. La dichiarazione fraudolenta
Si hanno due forme di reato:
1. Indicazione, nella dichiarazione, di costi fittizi, correlati all'uso di fatture, o altri documenti, che si
riferiscono ad operazioni inesistenti. Il reato è commesso se vi è una fattura o altro documento relativo ad
operazione inesistente, quale che sia l'ammontare di tale operazione; e la registrazione di tale documento
nelle scritture contabili obbligatorie, o la detenzione ai fini di prova nei confronti dell'amministrazione
finanziaria (art. 2, D.lgs. 74/2000).
Non è prevista una soglia minima di punibilità, poiché si tratta di reato di falso non è dato rilievo all’entità
dell’evasione. La pena va da un minimo di un anno e sei mesi ad un massimo di sei anni di reclusione. E'
prevista una pena più mite (da sei mesi a due anni di reclusione) quando l'ammontare complessivo degli
elementi fittizi è inferiore a 154.937,07 euro.
2. Registrazione nelle scritture contabili di dati falsi, ponendo in atto mezzi fraudolenti che siano
idonei ad ostacolare l'accertamento della falsità.
Differenze con la figura precedente:
a) il primo delitto si riferisce a fatture (o altri documenti) relativi ad operazioni inesistenti (ossia a costi
fittizi), il secondo può riferirsi tanto a elementi attivi (mancata indicazione) quanto ad elementi passivi
(indicazione fittizia);
b) tale delitto può essere commesso solo quando vi sia l'obbligo di tenuta della contabilità (per i
redditi d'impresa e di lavoro autonomo);
c) il rilievo penale può concernere non solo le rilevazioni di fatti materialmente inesistenti, ma anche
le falsità di carattere valutativo;
d) questo reato è costituito non da qualsiasi registrazione di dati falsi, ma dall'impiego di mezzi
fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento della falsità (è necessario un quid pluris, ad es., una
contabilità tenuta "in nero");
e) la pena va da un anno e sei mesi a sei anni, ma è prevista una soglia di punibilità, allo scopo di
"limitare l'intervento penale ai soli illeciti economicamente significativi". Il reato è commesso se in una delle
dichiarazioni annuali sono indicati elementi attivi fittizi per un ammontare inferiore a quello effettivo o
elementi passivi fittizi e se, congiuntamente: con riferimento alle singole imposte, l'imposta evasa è
superiore a 77468,53 euro; e l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche
mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 5% dell'ammontare complessivo degli
elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, superiore a 1.549.370,70 euro.

2.1.La dichiarazione infedele


Il reato di dichiarazione infedele è realizzato dalla indicazione di elementi attivi inferiori a quelli reali, o
elementi passivi fittizi, per importi superiori a determinate soglie.
Il reato è commesso quando, congiuntamente:
• l'imposta evasa è superiore a 103.291,38 euro, con riferimento ad una delle singole imposte;
• l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione
di elementi passivi fittizi, è superiore al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi
indicati in dichiarazione, o comunque superiore a 2.065.872,60 euro.
Non è richiesta la contabilizzazione di dati falsi e, perciò, il reato può essere commesso anche da chi non è
soggetto ad obblighi di contabilità.
La pena è della reclusione da uno a tre anni e le soglie di punibilità sono più elevate.

2.2.La dichiarazione omessa


Il reato di dichiarazione omessa è punibile quando l'imposta non dichiarata è superiore a 77.468,53 euro.
Il delitto è dunque contraddistinto da una soglia di punibilità rapportata alla singola imposta evasa. La
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mancanza della dichiarazione rende qui inapplicabile la soglia basata sul rapporto tra elementi attivi da
dichiarare ed elementi dichiarati. Per "imposta evasa" si intende l'intera imposta da versare con la
dichiarazione, al netto delle somme comunque pagate in precedenza.
Non ha rilevanza penale un ritardo nella presentazione contenuto entro 90 giorni e non sono considerate
omesse, a fini penali, le dichiarazioni non sottoscritte o non redatte su uno stampato conforme al modello
prescritto.
La pena è la reclusione da uno a tre anni.

2.3.Le disposizioni sul tentativo e sulle valutazioni


Nel sistema penale tributario, sono puniti solo i fatti che si riflettono nella dichiarazione (quindi il tentativo
non risulta punibile).
L'utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, e le altre condotte fraudolente,
pertanto, non sono punibili come "delitti tentati di dichiarazione fraudolenta": non è applicabile l'art. 56
c.p., sul tentativo, e il contribuente che, nella compilazione della dichiarazione, non si avvalga di dati falsi,
non commette reato.
Possono assumere tuttavia rilievo penale le falsità di carattere valutativo, entro i limiti stabiliti dall'art. 7 del
D.lgs. 74/2000: si possono avere stime esageratamente ridotte di elementi attivi o stime esageratamente
elevate di elementi negativi.
In base all'art. 7, non sono punibili:
1) "le rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione dei criteri di
determinazione dell'esercizio di competenza ma sulla base di metodi costanti di impostazione
contabile": questo limite riguarda la violazione delle regole in materia di imputazione temporale
degli elementi reddituali (ad es., il contribuente imputa dolosamente un costo ad un periodo
d'imposta concluso con un utile imponibile invece che a un esercizio concluso in perdita); sono da
escludere intenti evasivi quando il criterio di imputazione temporale è usato in modo costante in
più esercizi;
2) "le rilevazioni e le valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati sono
stati comunque indicati in bilancio" (ossia nella nota integrativa): chi mette in luce l'adozione di un
metodo estimativo non si propone di frodare il fisco;
3) "le valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al dieci per
cento da quelle corrette": limite di natura quantitativa ed è correlato alla intrinseca opinabilità delle
stime.

3.Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti


L'emissione di fatture false è punita indipendentemente dal reato relativo alla dichiarazione; colui che
emette e colui che utilizza fatture non sono puniti a titolo di concorso nell'altro delitto.
Il reato è commesso da chiunque emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, al
fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Si tratta di un reato di
pericolo astratto, per la configurazione è sufficiente il mero compimento dell'atto tipico: non è rilevante se il
destinatario delle fatture le abbia utilizzate o meno.
L'emissione o il rilascio di più fatture o documenti nel corso del medesimo periodo d'imposta si considera
come un solo reato. Poiché emettere ed utilizzare fatture false sono aspetti di un medesimo fenomeno,
meritano eguale trattamento sanzionatorio: sia l'emissione che l'utilizzo di più fatture false nel corso del
medesimo periodo d'imposta, pertanto, integrano un solo reato e non tanti reati quante sono le fatture e/o
i documenti utilizzati.
La pena prevista è la stessa del reato di dichiarazione fraudolenta, ossia la reclusione da un anno e sei mesi
a sei anni. Per l'emittente è comminata una pena più breve (reclusione da sei mesi a due anni), quando
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l'importo complessivo dei documenti falsi è inferiore, in un periodo d'imposta, a 154.937,07 euro.

4.Occultamento e distruzione della contabilità


E' reato l'occultamento o la distruzione totale o parziale, per fini di evasione, di documenti o scritture
contabili di cui sia obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del
volume d'affari. Non è prevista una somma minima di punibilità.
La pena è la reclusione da uno a cinque anni.

5.Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte


Chiamata anche frode sottrattiva, è commessa da chi "aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti
sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva"
(art. 11, D.lgs. 74/2000).
Si tratta di reato di pericolo concreto, per la cui sussistenza è necessario e sufficiente che vi sia un debito
non inferiore a 50.000 euro. Non si richiede che sia in atto una procedura esecutiva, o che siano avvenuti
accessi della polizia tributaria o che sia stato notificato un avviso di accertamento.
E' da precisare che:
• il delitto si perfeziona per il solo fatto che vengano posti in essere atti che potrebbero rendere
inefficace la procedura coattiva; non si richiede che si verifichi l’evento;
• la soglia di punibilità è 51.645,69 euro, riferita all'ammontare complessivo delle imposte, degli
interessi e delle sanzioni amministrative;
• la pena è la reclusione da uno a quattro anni;
• è fatta salva l'applicazione di figure di reato più gravi come la bancarotta fraudolenta patrimoniale.

6.Omesso versamento di ritenute e dell'Iva


L’omissione di versamenti è delitto punito con la reclusione da sei mesi a due anni, l'omesso versamento di
ritenute, in presenza delle seguenti 3 condizioni:
1. per le ritenute non versate è stata rilasciata la certificazione ai sostituti;
2. il versamento non è stato effettuato entro il termine per la presentazione della dichiarazione
annuale dei sostituti d'imposta;
3. l'ammontare non versato è superiore a 50.000 euro nel periodo d'imposta.
Ciò che viene punito non è tanto l’omesso versamento, me soprattutto la falsità del certificato rilasciato al
sostituto, che, in base ad esso, acquisisce un credito verso l'erario, senza che vi sia stato versamento.

Per reprimere la condotta di chi non le dichiarazioni IVA, ma omette i versamenti Iva, la disposizione relativa
all'omesso versamento di ritenuta sia applica anche a chi non versa, entro il termine per il versamento
dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, l'imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale
Iva; tale disposizione si applica anche a chi non versa, utilizzando in compensazione crediti non spettanti o
inesistenti.

7.Le pene. Attenuanti ed esimenti


La condanna per i delitti visti in precedenza, oltre alla pena principale, comporta pene accessorie, di tipo
interdittivo (come l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche).
Inoltre, sono previste le seguenti attenuanti (oltre a quelle già previste dal codice penale):
• la pena è diminuita fino alla metà e non si applicano le pene accessorie se, prima della dichiarazione
di apertura del dibattimento di primo grado, l'imputato assolve i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei
delitti per cui pende il processo penale (devono essere pagate anche le sanzioni amministrative);
• la pena principale è diminuita fino alla metà e non si applicano le pene accessorie quando
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l'imputato venga ammesso a risarcire il danno recato all'erario (se i debiti tributari sono estinti per
prescrizione o decadenza). L'imputato deve indicare una somma da pagare a titolo di equa riparazione
dell'offesa recata all'interesse pubblico; il giudice, sentito il p.m., se ritiene congrua la somma, può fissare
con ordinanza un termine non superiore a 10 giorni per il pagamento. La somma è restituita in caso di
assoluzione o proscioglimento.
Sono previste due esimenti:
1. Non sono punibili "le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza
sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione".
2. Non è punibile chi si è uniformato al parere dell'amministrazione finanziaria ovvero ha compiuto le
operazioni esposte nell'interpello sul quale si è formato silenzio-assenso (è un "criterio legale di esclusione
del dolo di evasione").

7.1.La confisca per equivalente


L'art. 240 c.p. prevede la confisca facoltativa delle cose che sono il prodotto o il profitto del reato; la
confisca è obbligatoria, invece, per le "cose che costituiscono il prezzo del reato". Poiché vi sono ipotesi in
cui è impossibile individuare le somme di denaro o i beni costituenti il prezzo o il profitto del reato, per i
delitti previsti dall'art. 314 all'art. 321 c.p. (peculato, corruzione, concussione), e per altri delitti previsti da
leggi speciali, l'art. 322-ter c.p. prevede la c.d. "confisca per equivalente", ossia la confisca di beni per un
valore corrispondente al prezzo del reato.
Con la legge finanziaria 2008, il legislatore ha stabilito che, anche per i reati in materia di imposte sui redditi
e sul valore aggiunto, si applica la confisca per equivalente: è obbligatoria, pertanto, la confisca di beni di cui
il contribuente abbia la disponibilità, per un valore corrispondente al prezzo del reato.

8.Rapporto tra disciplina dei reati tributari e codice penale. La prescrizione


Ai reati tributari si applicano le norme del codice penale, come previsto dall'art. 16 c.p. ("diritto penale
complementare").
Vi sono alcune particolarità. Per quanto riguarda la prescrizione, si applicano le disposizioni dell'art. 157
c.p., ma sono previsti atti interruttivi ulteriori rispetto a quelli indicati nell'art. 160 c.p.: interrompono,
infatti, la prescrizione anche il verbale di constatazione e l'atto di accertamento delle violazioni.
A seguito della l. 251/2005, il termine di prescrizione è di sei anni per tutti i reati previsti dal D.lgs. 74/2000.

9.Rapporto tra sanzioni amministrative e penali. Il principio di specialità


Sanzione penale e sanzione amministrativa non si cumulano. Il sistema sanzionatorio è improntato alla
regola della "unicità della sanzione", come conseguenza del "principio di specialità", in forza del quale, se
uno stesso fatto è punito sia con sanzione amministrativa che con sanzione penale, si applica solo la
disposizione speciale (art. 19, comma 1, D.lgs. 74/2000).
Per stabilire quale norma applicare, ovvero stabilire quale delle norme sia speciale rispetto all’altra, bisogna
confrontare le norme e stabilire quale delle due è generale, ossia di portata più ampia, e quale speciale,
ossia di portata più ristretta. La norma generale ha un minor numero di elementi caratterizzanti rispetto
all'altra e quindi un'applicazione più ampia; la norma speciale presenta tutti gli elementi della norma
generale, più elementi connotativi ulteriori.
Nel confronto tra norme sanzionatorie amministrative e penali, emerge che quelle penali hanno, di regola,
un elemento in più, ossia il dolo; pertanto le norme penali sono speciali rispetto a quelle amministrative
sanzionatorie. Quindi, secondo l'attuale legislazione, la norma penale si applica a preferenza di quella
amministrativa.
Il principio di specialità non opera per gli illeciti commessi in ambito societario. Quando, per la sanzione
amministrativa, è solidalmente responsabile (con la persona fisica cha ha commesso un illecito) una società,
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l'obbligazione pecuniaria che grava sulla società si cumula con la sanzione penale irrogabile alla persona
fisica. Pertanto, per le sanzioni amministrative, non applicabili alla persona fisica per il principio di specialità,
rimane la responsabilità dei soggetti indicati nell'art. 1, comma 1 del D.lgs. 472/1997. Il principio di
specialità, quindi, non impedisce che, per uno stesso fatto, vengano applicate sanzioni diverse a soggetti
diversi.

10.Il processo penale per reati tributari; rapporti con il processo tributario
Per i delitti in materia di dichiarazione, è competente il giudice del luogo in cui il contribuente ha il domicilio
fiscale. Per gli altri reati, l'art. 8 c.p.p. dà rilievo al luogo in cui è stato commesso il reato; quando non è
applicabile tale criterio, è competente il giudice del luogo in cui il reato è accertato.
Processo penale e processo tributario sono indipendenti l'uno dall'altro e possono svolgersi
contemporaneamente. Non esiste, pertanto, alcuna pregiudizialità tra processi.
Occorre però vedere quale sia il rapporto tra i due processi, nel caso in cui uno stesso fatto sia punibile sia
con sanzioni amministrative che con sanzioni penali.
Anche se la sanzione penale esclude quella amministrativa, l'ufficio "irroga comunque le sanzioni
amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato" (art. 21, comma 1, D.lgs.
70/2000). Il provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa resta sospeso in pendenza del
processo penale; una volta conclusosi il processo penale, la sanzione amministrativa viene eseguita, se
eseguibile, o diventa ineseguibile (se il processo penale termina con una condanna).
Se il processo penale termina con l'archiviazione o con sentenza irrevocabile di assoluzione o di
proscioglimento, ma permangono i presupposti della sanzione amministrativa, questa diventa eseguibile.
Per quanto riguarda l'efficacia del giudicato penale nel processo tributario, vale l'art. 654 c.p.p., che esclude
l'efficacia del giudicato penale nei processi (come il processo tributario) in cui vi sono limitazioni di prova
estranee al processo penale.

Capitolo Sedicesimo. IL PROCESSO TRIBUTARIO

1. Le commissioni tributarie
Il D.lgs. 546/1992 disciplina il processo tributario, attribuendo la giurisdizione tributaria alle commissioni
tributarie e rinviando alle norme del codice di procedura civile in caso di lacune.
Le commissioni tributarie si articolano in
 Commissioni tributarie provinciali,
 Commissioni tributarie regionali.
I membri delle commissioni non sono selezionati con pubblici concorsi per esami, ma sono scelti dal
Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria secondo graduatorie formate in base a criteri e punteggi
determinati.
Possono far parte della commissione provinciale i magistrati, i dipendenti civili dello Stato, i ragionieri
con 10 anni di attività, i laureati in giurisprudenza o economia da 2 anni, altri professionisti con 10
anni di attività (ingegneri, architetti, geometri, periti edili, periti industriali, dottori agronomi, agrotecnici e
periti agrari).
I membri delle commissioni tributarie sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta
del Ministro dell'economia. Sono in situazioni di incompatibilità coloro che svolgono attività professionale di
consulenza in materia tributaria.

2.Giurisdizione e competenza delle commissioni tributarie


La giurisdizione delle commissioni tributarie si estende a
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 tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, comunque
denominati (compresi quelli regionali, provinciali e comunali) e il contributo per il servizio sanitario
nazionale, nonché le sovraimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da
uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio (anche se le liti relative all’esecuzione forzata
appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario);
 il canone per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani;
 il canone comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni;
 le controversie in materia catastale.
La competenza territoriale è determinata dalla sede dell'ufficio o ente che ha emesso l'atto che si impugna.
Per l'appello è competente la commissione tributaria regionale nella cui regione ha sede la
commissione provinciale che ha pronunciato la sentenza appellata.

3.La giurisdizione del giudice ordinario


Le controversie relative all'esecuzione forzata tributaria appartengono alla giurisdizione del giudice
ordinario. In particolare, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario:
 le questioni relative al titolo esecutivo (cioè il ruolo) devono esser sollevate con ricorso contro il
ruolo, da proporre alle commissioni tributarie;
 l'opposizione all'esecuzione è proponibile davanti al giudice ordinario solo quando riguarda la
pignorabilità dei beni;
 l'opposizione agli atti esecutivi si propone al giudice ordinario, ma non è ammessa quando riguarda la
regolarità formale o la notificazione del titolo esecutivo (dato che tali questioni attengono al ruolo e,
quindi, sono da proporre con ricorso contro il ruolo, alle commissioni tributarie);
 le cause di opposizione di terzo (ossia le cause proposte da terzi che assumono di avere la
proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati) si propongono davanti al giudice ordinario;
 le cause di danni contro l'agente della riscossione si propongono davanti al giudice ordinario.
Le commissioni tributarie sono adite solo con ricorso contro uno degli atti individuali indicati come impugnabili;
gli atti amministrativi che non sono impugnabili davanti al giudice tributario possono essere impugnati
davanti al giudice amministrativo (regolamenti governativi o ministeriali, regolamenti degli enti locali
che istituiscono o disciplinano tributi: possono essere disapplicati dal giudice tributario e impugnati davanti
al giudice amministrativo, che li può annullare).

4.Le parti private e la difesa tecnica


Legittimato a proporre ricorso è il destinatario dell'atto che viene impugnato.
È obbligatorio farsi assistere da un difensore tecnico, tranne che nelle controversie di valore inferiore a
2.582 Euro e nelle controversie promosse da soggetti che sono abilitati all’assistenza tecnica.
Sono difensori tecnici:
 gli avvocati, ma anche i commercialisti, i ragionieri e periti commerciali, i consulenti del lavoro;
 esistono poi soggetti che sono abilitati all'assistenza tecnica davanti alle commissioni ma con
capacità limitata (ingegneri, architetti, geometri, periti edili sono abilitati per cause
in materia catastale; i dipendenti delle associazioni di categoria sono abilitati per le cause che riguardano
gli associati);
 a certe condizioni sono abilitati anche ex funzionari dell'amministrazione finanziaria, ex ufficiali
della Guardia di finanza e i consulenti tributari.

78
4.1.La parte resistente.
Il soggetto che ha emesso l'atto impugnato è parte necessaria del processo tributario.
Se il ricorso è proposto dopo che si è formato il silenzio-rifiuto rispetto ad un’istanza di rimborso,
legittimato a resistere è l’ufficio o l’ente cui è stata presentata l’istanza; la sede di tale soggetto determina
anche la competenza territoriale della Commissione.
Gli uffici dell'Agenzia e gli enti locali stanno in giudizio senza difensore tecnico; gli uffici del contenzioso
presso la Direzione regionale dell'Agenzia delle entrate possono stare in giudizio in rappresentanza degli
uffici locali.

4.2.Litisconsorzio necessario e intervento


Nel processo tributario c'è litisconsorzio necessario quando il ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti.
Secondo la giurisprudenza, vi è litisconsorzio necessario nelle liti per il rimborso delle ritenute: al processo
devono partecipare, con l'amministrazione resistente, sia il sostituto che il sostituito. Il sostituito non può
agire davanti al giudice ordinario contro il sostituto, ma deve agire dinanzi alle Commissioni, in
contraddittorio necessario sia del sostituto, sia dell’amministrazione.
Si ha litisconsorzio necessario anche nelle cause di impugnazione di atti di accertamento dei redditi delle
società di persone: società e soci devono essere parte dello stesso processo.
Se un atto di impugnazione è indirizzato verso più soggetti obbligati in solido, gli obbligati diversi dal
ricorrente sono cointeressati all'esito favorevole del ricorso proposto da un destinatario dell'atto: ciascun
soggetto a cui sia notificato l'atto può impugnarlo, ma non è necessario che, nel processo promosso dal
coobbligato, siano presenti gli altri, perché la sentenza sarebbe comunque utiliter data nei confronti del
ricorrente.
Si ha ricorso collettivo quando più soggetti impugnano lo stesso atto con un ricorso unico. Si ha ricorso
cumulativo quando l'oggetto sono più atti.
Si ha litisconsorzio facoltativo quando altri soggetti intervengono in un processo già instaurato, o sono
chiamati in giudizio su istanza di una delle parti o per ordine del giudice.
È legittimato ad intervenire:
 chi è destinatario dell'atto impugnato;
 chi è parte del rapporto controverso.
Chi interviene in giudizio deve notificare l'atto di intervento alle altre parti del processo e costituirsi secondo le
regole previste per la parte resistente.

5.Il contenuto del ricorso


Il processo tributario è instaurato con il ricorso, cioè una domanda motivata rivolta al giudice.
Il ricorso deve indicare:
 la commissione adita,
 il ricorrente e il suo legale rappresentante, la residenza o sede legale o il domicilio eletto, il codice
fiscale,
 il soggetto contro cui è proposto ricorso,
 l'atto impugnato e l'oggetto della domanda (petitum e causa petendi); l'oggetto si distingue: nei
processi di impugnazione si chiede al giudice l'annullamento o la dichiarazione di nullità del
provvedimento; nei processi di rimborso si chiede al giudice l'accertamento di un credito nei confronti
dell'amministrazione finanziaria e la condanna a soddisfarlo, previo annullamento dell'atto che ha
negato il rimborso;
 i motivi, che
– nel processo di impugnazione, è la deduzione del vizio invalidante dell'atto impugnato,
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– nel processo di rimborso, comprende l'indicazione del pagamento indebito e la ragione per cui lo si
ritiene indebito, e in più la condanna dell'amministrazione finanziaria;
 la sottoscrizione del difensore e l'indicazione dell'incarico.
Tutte le indicazioni sono prescritte a pena di inammissibil ità (tranne il codice fiscale);
l'inammissibilità è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, non è sanata dalla costituzione
del resistente.
Nel ricorso può esser indicata anche l'istanza di sospensione dell'atto impugnato e l'istanza di discussione
in pubblica udienza.

5.1.La notificazione del ricorso


Il ricorso deve essere notificato alla controparte e poi portato a conoscenza del giudice con la
costituzione in giudizio.
La notifica può esser fatta in 3 modi:
 spedizione postale (con plico senza busta, raccomandato e con avviso di ricevimento), il ricorrente
spedisce l'originale del ricorso alla controparte e ne deposita copia conforme per la costituzione in giudizio;
nella copia che si deposita in giudizio deve attestarsi la conformità della copia depositata all'originale;
 consegna dell'atto alla controparte, il ricorrente consegna l'originale del ricorso alla
controparte e ne deposita copia conforme per la costituzione in giudizio; nella copia che si deposita in giudizio
deve attestarsi la conformità della copia depositata all'originale;
 notifica, con i modi previsti dal codice di procedura civile: il pubblico ufficiale consegna copia
autentica dell'atto al destinatario della notifica e restituisce l'originale al ricorrente con la relazione di
notifica.
La notificazione del ricorso deve esser fatta entro 60 giorni dalla notificazione dell'atto contro cui si ricorre.
I ricorsi contro il “rifiuto tacito” di restituzione non hanno termine decadenziale: il ricorso non può esser
proposto prima di 90 giorni dalla presentazione della domanda di restituzione, e non deve esser
proposto dopo la prescrizione del diritto alla restituzione che si fa valere.
Il termine per impugnare è sospeso quando il contribuente, che riceve un avviso di accertamento, presenta
all'ufficio istanza di accertamento con adesione. La sospensione è di 90 giorni dalla presentazione
dell'istanza.

5.2.Atti impugnabili e motivi di ricorso


Il processo tributario può essere instaurato solo se il contribuente riceve la notifica di un atto
dell’amministrazione, che rientra nell’elenco degli atti impugnabili.
Il legislatore divide gli atti impugnabili in due categorie: atti autonomamente impugnabili (espressamente
elencati), ed altri atti, non impugnabili autonomamente (e non indicati espressamente).
Sono atti autonomamente impugnabili:
1) l'avviso di accertamento,
2) l'avviso di liquidazione,
3) il provvedimento sanzionatorio,
4) l'iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento,
5) l'intimazione ad adempiere,
6) gli atti delle operazioni catastali,
7) il rifiuto espresso o tacito di restituzione,
8) il diniego o revoca di agevolazioni e rigetto di domande di definizione agevolata,
9) l'iscrizione di ipoteca sugli immobili e fermo di beni mobili registrati,
10) l'ingiunzione.
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Gli altri atti non compresi nell’elenco non sono impugnabili autonomamente, ma solo insieme con
l'atto successivo impugnabile. Il contribuente, a cui è notificato un atto che non è impugnabile
autonomamente deve attendere che gli venga notificato un atto autonomamente impugnabile e proporre
ricorso contro entrambi.
Ogni atto può essere impugnato per i vizi che lo riguardano (vizi propri) e non per vizi di atti precedenti
(anche perché, se l’atto precedente non è stato impugnato, il vizio non può più essere fatto valere).

5.3. e 5.4Le azioni esperibili. Azioni di impugnazione e azioni di condanna


Nel processo tributario possono essere esperite
 azioni di impugnazione, rivolte ad ottenere l'annullamento dell'atto impugnato; queste
comportano, tra l’altro:
– il ricorrente non può agire in via preventiva, con azione di accertamento, prima che l'amministrazione
abbia emesso un atto impugnabile;
– il ricorrente non può sottoporre al giudice questioni estranee all'atto impugnato;
– l'amministrazione finanziaria, costituendosi in giudizio, non esercita un autonomo potere di azione ma
si limita a difendere l'atto impugnato e, quindi, non può fondare la sua difesa su ragioni giuridiche
diverse da quelle indicate nell'atto impugnato;
– l'amministrazione non può proporre domanda riconvenzionale.
Si deve distingue:
– quando l'impugnazione riguarda vizi formali e radicali dell'atto (ad es., difetto totale di
motivazione, incompetenza assoluta dell’ufficio), ed il ricorso è riconosciuto fondato dal giudice, si
ha annullamento dell'atto impugnato; il giudizio ha quindi i caratteri del giudizio di annullamento, ed in tale
annullamento si esaurisce;
– quando l'impugnazione verte sull'an o sul quantum dell'imposta, la sentenza che accoglie il ricorso ha
un contenuto complesso, perché il giudice non si limita ad eliminare l’atto impugnato, ma lo sostituisce (si
definisce perciò processo di impugnazione-merito).
Il giudizio tributario, quindi, non mette capo a sentenze di mero accertamento. Dato che gli atti impugnati
hanno carattere autoritativo- con effetti vincolanti (non importa se dichiarativi o costitutivi)-, è necessario
che la tutela giurisdizionale porti all’eliminazione degli atti illegittimi.
È nullo il provvedimento amministrativo che
– manca degli elementi essenziali,
– è viziato da difetto assoluto di attribuzione,
– è stato adottato in violazione o elusione del giudicato,
– nei casi espressamente previsti dalla legge.
Il contribuente può tutelarsi facendo valere la nullità di un atto in sede di impugnazione dell'atto
successivo.
 azioni di condanna, presuppongo che sia stata presentata istanza di rimborso e vi sia stato un rifiuto,
espresso o tacito.
L'istanza di rimborso deve esser presentata all’Amministrazione entro i termini previsti da ciascuna
legge d'imposta, se non è disposto nulla, entro 2 anni.
Presentata istanza di rimborso, l'amministrazione ha il dovere di esaminarla e pronunciarsi; l’atto
espresso di rifiuto è impugnabile davanti alle commissioni tributarie entro 60 giorni dalla notifica.
Il ricorrente non deve chiedere il mero annullamento del rifiuto, ma deve chiedere che sia accertato il suo
credito e quindi che l'amministrazione sia condannata a pagare.
Se l'amministrazione rimane inerte, l'interessato può ricorrere alla commissione tributaria provinciale dopo
90 giorni dalla presentazione dell'istanza ( e non oltre il termine di prescrizione del diritto al rimborso).
Quando viene presentato ricorso a seguito di silenzio dell’amministrazione, l’azione presuppone il silenzio-
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rifiuto dell’amministrazione, ma non ha, come oggetto, l’annullamento di un provvedimento; si tratta,
invece, di un’azione diretta a far accertare il credito del ricorrente e ad ottenere una pronuncia di
condanna.

6.La costituzione in giudizio


Entro 30 giorni dalla notifica del ricorso, il ricorrente deve costituirsi in giudizio, depositando (o spedendo
per posta) il ricorso e i documenti prodotti, depositando il fascicolo nella segreteria della Commissione.
La mancata costituzione del ricorrente rende inammissibile il ricorso.
Si deve costituire anche la parte resistente, depositando il fascicolo, le controdeduzioni e i documenti.
Se non si costituisce in giudizio, la parte resistente non riceve
 avviso di fissazione dell'udienza,
 notifica dell'istanza di pubblica udienza,
 comunicazione del dispositivo.
Se c'è rinuncia al ricorso del ricorrente, il processo si estingue senza bisogno di accettazione della parte
costituita.

7.Esame preliminare del ricorso e preparazione dell’udienza


I fascicoli delle parti sono inseriti nel “fascicolo del processo”, che la segreteria deve formare e
sottoporre la presidente della Commissione. Il presidente compie un esame preliminare del ricorso e,
se riscontra un caso di inammissibilità manifesta espressamente prevista, la dichiara. Altrimenti assegna il
ricorso ad una sezione.
Il presidente della sezione fissa poi l'udienza di trattazione, ne dà avviso alle parti costituite almeno 30 giorni
liberi prima: se l'udienza si tiene senza che le parti o una delle parti siano ritualmente avvertite, la decisione
è nulla per violazione del contraddittorio.
Le parti possono:
 fino a 20 giorni liberi prima dell'udienza, depositare documenti,
 fino a 10 giorni liberi prima dell'udienza, depositare memorie,
 in caso di trattazione in camera di consiglio, fino a 5 giorni liberi prima dell'udienza, presentare
brevi repliche scritte.

8.Trattazione e decisione della controversia


La trattazione della controversia può essere
 in pubblica udienza, se richiesta da una delle parti, con atto autonomo o con ricorso o in altri atti
processuali, purché si tratti di atti notificati alle altre parti costituite e depositati in segreteria almeno 10
giorni liberi prima dell'udienza;
 camera di consiglio., in mancanza di istanza di pubblica udienza.
All’udienza, dopo la relazione di uno dei componenti del collegio, le parti sono ammesse alla
discussione, quindi il collegio delibera la decisione in camera di consiglio.
La sentenza è resa pubblica con il deposito nella segreteria della commissione entro 30 giorni dalla
deliberazione; il dispositivo è notificato alle parti costituite.

9.Sospensione, interruzione ed estinzione del processo


Art. 39 D.lgs. 546/1992 il processo è sospeso quando:
 è presentata querela di falso,
 deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o capacità delle persone, salvo
che si tratti della capacità di stare in giudizio.
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La giurisprudenza ritiene che l’art.39 regola i rapporti tra giudice tributario e giudice ordinario (pregiudizialità
esterna), non i rapporti tra giudizi pendenti dinanzi al giudice tributario (pregiudizialità interna).
Esiste dunque un doppio regime. Se ricorrono i casi di cui all’art.39, il processo tributario deve essere sospeso.
Le altre questioni pregiudiziali sono risolte in via incidentale dallo stesso giudice tributario. È infatti previsto
che “il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie
rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato
o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio” ( ex art.2, D.Lgs. n.546/1992).
Secondo l’art. 295 cod. proc. civ. è necessario sospendere il processo tributario anche se pende una
controversia pregiudiziale davanti ad un altro giudice tributario, ma solo se le parti della causa pregiudiziale
sono le stesse della causa dipendente.
Secondo le regole comuni a tutti i processi, si ha sospensione del processo tributario quando
 viene presentato regolamento preventivo di giurisdizione,
 viene sollevata una questione di costituzionalità,
 viene sollevata una questione di interpretazione di norme comunitarie,
 viene presentato ricorso per ricusazione del giudice.
La sospensione è dichiarata con ordinanza, e durante la sospensione non possono essere compiuti atti
del processo.
Cessata la causa di sospensione, deve essere presentata istanza di trattazione entro 6 mesi, altrimenti il
processo si estingue.

Si ha interruzione del processo quando muore la parte privata, il suo legale rappresentante o il suo difensore.
Durante l'interruzione non possono essere compiuti atti del processo. La parte da cui è derivata
l'interruzione deve presentare istanza di ripresa entro 6 mesi, altrimenti il processo si estingue.

Il processo si estingue per


 rinuncia al ricorso, ha effetto solo se è accettata dalle altre parti costituite che abbiano effettivo
interesse alla prosecuzione del processo;
 inattività delle parti, nei casi in cui l'impulso di parte è previsto come necessario per la
prosecuzione del giudizio; e, quindi, nel caso in cui la parte non si attivi a seguito di sospensione,
interruzione, o nel caso in cui non ottemperi all’ordine di ordine di integrazione del contraddittorio, o non
riassuma dopo una sentenza declinatoria della competenza o dopo una sentenza di rinvio della Cassazione;
 cessazione della materia del contendere, viene meno l’oggetto del processo, ossia l'atto
impugnato.

9.1.L’estinzione a seguito di conciliazione.


Altro mezzo di estinzione del processo tributario è la conciliazione.
Il contribuente ottiene
 riduzione delle sanzioni ad 1/3 delle somme irrogabili in base all'ammontare del tributo risultante
dalla conciliazione stessa;
 riduzione fino a 1/2 delle pene previste per i reati tributari, con la non applicazione delle pene
accessorie;
 compensazione delle spese di giudizio.
La conciliazione può avvenire solo durante la lite di primo grado, in udienza o in sede
extraprocessuale, ed in ogni caso può avvenire non oltre la prima udienza, ma, se l'accordo non viene raggiunto,
la commissione può assegnare alle parti un termine non superiore a 60 giorni, per la formazione di una
proposta in via stragiudiziale.
83
Quando è raggiunto un accordo in udienza, viene redatto processo verbale che chiude il processo e costituisce
titolo per la riscossione delle somme dovute.
La conciliazione può realizzarsi fuori dal processo: l'ufficio deposita in giudizio una proposta di conciliazione
ed accettazione, documento che formalizzerà l'accordo.
L'atto di conciliazione (contenuto nell’istanza di trattazione in pubblica udienza), se è depositato prima
della fissazione della data di udienza collegiale, è esaminato dal presidente della sezione che verifica i
presupposti e le condizioni di ammissibilità della conciliazione, dichiarando con decreto l'estinzione del
processo (tale decreto è titolo per la riscossione delle somme dovute).
Dopo la fissazione della data di udienza collegiale, la conciliazione è esaminata dal collegio all'udienza
già fissata, se ne redige processo verbale, riportando il contenuto dell'accordo stragiudiziale.
La conciliazione si perfeziona con il versamento, entro 20 giorni dalla data di redazione del processo
verbale,
 dell'intero importo dovuto
 ovvero della prima rata e con la presentazione della garanzia sull'importo delle rate
successive.
In caso di mancato pagamento anche di una sola rata successiva, se il garante non versa l'importo
garantito entro 30 giorni dalla notificazione di apposito invito, l'Agenzia delle entrate iscrive a ruolo il
contribuente e il garante.

10.L’istruzione probatoria
Art. 115 cod. proc. civ. il giudice, salvi i casi previsti dalla legge, deve porre a fondamento della decisione le
prove proposte dalle parti.
Le parti possono produrre documenti in giudizio
 inserendoli nel fascicolo con cui si costituiscono,
 allegandoli alle memorie difensive,
 con apposita nota, fino a 20 giorni prima dell'udienza.
Il giudice deve tener conto anche dei fatti non specificamente contestati dalla parte costituita: si ritengono
provati i fatti addotti da una parte e non tempestivamente contestati dall'altra.

La raccolta delle prove è quindi dominata dal c.d. principio dispositivo. Il giudice deve pronunciare in base
alle prove fornite dalle parti, ma vi sono dei casi, espressamente previsti dalla legge, in cui la prova può
essere assunta d’ufficio dal giudice.
Art. 7 D.lgs. 546/1992 le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti,
possono:
 disporre accessi e ispezioni,
 richiedere dati, informazioni e chiarimenti,
 richiedere relazioni tecniche ad organi dello Stato, quando occorre acquisire elementi conoscitivi
particolarmente complessi,
 disporre lo svolgimento di una consulenza tecnica.
Il giudice, ex art. 210 cod. proc. Civ,. su istanza di parte, può ordinare all'altra parte o ad un terzo di esibire
in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l'acquisizione al processo.
Inoltre, ex art. 113 cod. proc. civ., il giudice può richiedere d'ufficio alla pubblica amministrazione le
informazioni scritte relative ad atti e documenti dell'amministrazione stessa, che è necessario acquisire
al processo.

Il processo tributario è un processo di parti, ed il potere di indicare i fatti rilevanti per il giudizio appartiene
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in via esclusiva alle parti. Il giudice non può indagare sui fatti che non siano stati indicati dalle parti.
In appello i poteri istruttori del giudice riguardano solo prove che siano ritenute necessarie per la decisione
o che la parte non ha potuto fornire in primo grado, per causa ad essa non imputabile. È sempre ammessa,
in appello, la produzione di documenti.
Quando occorra acquisire documenti conoscitivi di particolare complessità, le commissioni tributarie
possono richiederli ad organi tecnici di una P.A., che redigeranno una relazione, oppure disporre una
consulenza tecnica.

10.1.Le prove escluse.


Art. 32 co 8-ter D.p.r. 600/1973 gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli
inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione, a favore del contribuente, ai fini
dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa.
Il contribuente può superare questa preclusione depositando, con il ricorso, i documenti non esibiti in
fase amministrativa, e dichiarando di non aver potuto adempiere alle richieste dell'ufficio per causa a lui
non imputabile.
In materia Iva e di imposte sui redditi, i documenti di cui, nel procedimento amministrativo, il contribuente
abbia rifiutato l'esibizione non possono essere utilizzati nel processo.

Non sono utilizzabili i documenti acquisiti nel corso di un accesso che sia stato eseguito senza
autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’Autorità giudiziaria, o a seguito di autorizzazione
illegittima, essendo qui in gioco la tutela del domicilio.
Invece, non è invalidante la mancanza di autorizzazione della Direzione regionale dell’Agenzia e del
Comandante di zona della GDF per lo svolgimento di indagini bancarie, trattandosi di un atto interno.
Sono utilizzabili anche le prove acquisite in sede penale e trasmesse all'amministrazione finanziaria senza
autorizzazione dell'autorità giudiziaria, essendo, tale autorizzazione, intesa a tutelare il processo penale,
non interessi del contribuente.

Nel processo tributario sono esclusi il giuramento e la testimonianza, in quanto processo essenzialmente
scritto e documentale.

10.2.Le dichiarazioni di terzi


Il divieto di prova testimoniale impedisce di applicare le norme del codice civile e del c.p.c., ma non
impedisce, secondo la giurisprudenza consolidata, di prendere in considerazione:
 le dichiarazioni di terzi riprodotte nei processi verbali della Guardia di finanza o
dell'amministrazione finanziaria,
 le dichiarazioni di terzi raccolte dal contribuente,
 le testimonianze rese in altri processi.
Tuttavia le dichiarazioni di terzi possono venir prese in considerazione con valore di semplici indizi,
sicchè la decisione non può essere fondata soltanto su di esse, ma sono necessari altri elementi di prova
a sostegno.

10.3.La confessione
La confessione non è espressamente disciplinata come prova del processo tributario, per cui si applica
l’art.116 c.p.c. (libera valutazione delle prove da parte del giudice).
Valgono come prova le dichiarazioni che il contribuente faccia, nel processo o in atti extraprocessuali, di
fatti a sé sfavorevoli. La stessa dichiarazione dei redditi e le altre dichiarazioni fiscali possono essere viste,

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nel dialettica del processo, come dichiarazioni di fatti sfavorevoli al dichiarante e, dunque, come
confessioni stragiudiziali.
Le dichiarazioni rese nelle risposte ai questionari, o documentate nei verbali redatti a seguito di
convocazione del contribuente presso l'ufficio, o in sede di accesso, valgono come confessioni stragiudiziali
se il verbale che le documenta è stato sottoscritto dal contribuente.

10.4.Le prove assunte in sede penale e il giudicato penale


Se durante le indagini di polizia sono rinvenuti documenti o assunte dichiarazioni, coperte dal segreto, il
magistrato penale, se ritiene che non vi sia pregiudizio per le indagini, può autorizzarne l'utilizzazione
fiscale.
Il giudicato penale, secondo la giurisprudenza consolidata, non vincola il giudice tributario, ma è liberamente
valutabile.

10.5.Gli atti pubblici


Art. 116 cod. proc. civ.: il giudice valuta le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la
legge preveda altrimenti.
Ma vi sono numerosi casi in cui l’efficacia di un mezzo di prova è predeterminata dalla legge.
Art. 2700 c.c.: l'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del
documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato e delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il
pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. I verbali delle verifiche fanno piena
prova fino a querela di falso, dei fatti compiuti dal verbalizzante o avvenuti in sua presenza. I giudizi
espressi dai verbalizzanti sono liberamente valutabili.

10.6.Le presunzioni
Il diritto tributario prevede molte presunzioni legali, tra cui
 presunzioni collegate a dati bancari:
– se vi sono incassi non registrati, si presume, ai fini delle imposte dirette e Iva, che si tratti di
corrispettivi non registrati;
– se vi sono prelevamenti non registrati, si presume, ai fini delle imposte dirette, che abbiano generato
ricavi o compensi non registrati.
Il contribuente ha l'onere di provare di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile o che
sono estranei alla produzione del reddito.
 Presunzioni in materia iva: si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si
trovano in luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni. La presunzione non opera se è
dimostrato che i beni sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti, o consegnati a terzi in
lavorazione, deposito o latro titolo non traslativo della proprietà. I beni che si trovino in uno dei luoghi in
cui il contribuente svolge le proprie operazioni si presumono acquistati se il contribuente non dimostri di
averli ricevuti in base ad un titolo non traslativo della proprietà.

Non si applica, in diritto tributario, l’art. 2729, comma 2, c.c., secondo cui, le presunzioni semplici sono escluse
nei casi in cui non è ammessa la prova testimoniale. Le presunzioni semplici devono essere basate su elementi
gravi, precisi e concordanti. Esistono presunzioni semplicissime, non basate su elementi gravi, precisi e
concordanti, ad es. nell'accertamento induttivo.

11.L’onere della prova


La regola dell'onere della prova indica al giudice in quale modo risolvere la controversia:

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 l'amministrazione finanziaria ha l'onere di provare i fatti su cui si fonda l'atto impugnato; i fatti
costitutivi del presupposto del tributo e della base imponibile;
 il contribuente ha l'onere di provare i fatti che riducono o elidono il tributo; nei processi di
rimborso, ha l'onere di dimostrare che ricorrono i fatti costitutivi del diritto che deduce in giudizio; non ha
l'onere di provare che non ha traslato su altri l'onere del tributo.

12.I provvedimenti del giudice


Il collegio pronuncia
 sentenza in tutti i casi in cui definisce il giudizio, sia quando decide il ricorso nel merito che quando
dichiara l'estinzione del giudizio o l'ammissibilità del ricorso;
 ordinanza in tutti i casi in cui non definisce il giudizio (ad es. quando dispone la
sospensione cautelare dell'atto impugnato, la sospensione o l’interruzione del processo, l’assunzione di
mezzi di prova).
 Decreti: per di più regolano lo svolgimento del processo, e sono atti del presidente (della
commissione o della sezione). Il presidente della commissione o della sezione pronuncia decreto quando
regola lo svolgimento del processo (ad es. quando assegna il ricorso ad una sezione, quando riunisce
dinanzi ad una medesima sezione ricorsi pendenti dinanzi a sezioni diverse, quando fissa l’udienza di
trattazione dell’istanza di sospensione, quando fissa la trattazione della controversia e nomina il
relatore, e quando dispone la riunione dei ricorsi). Il presidente inoltre dichiara con decreto
l’inammissibilità manifesta del ricorso, la sospensione e l’estinzione del processo.

12.1.L’ordinanza di sospensione cautelare


Se viene impugnato un avviso di accertamento, l’atto impugnato può essere, in parte, eseguito mediante
iscrizione a ruolo; se è impugnata un’iscrizione a ruolo e/o la cartella di pagamento, il ricorso non ha
alcuna efficacia sospensiva. Il contribuente può richiedere alla stessa amministrazione di sospendere la
riscossione.
Il contribuente che impugna un atto può richiedere all'amministrazione di sospendere la riscossione o
l'esecuzione dell'atto impugnato:
 se è impugnato l'avviso di accertamento, l'istanza di sospensione può essere presentata al giudice
del processo relativo all'avviso di accertamento, e la sospensione dell'avviso produrrà i suoi effetti
anche sull'iscrizione a ruolo (impedendone l’iscrizione a ruolo);
 quando si impugna il ruolo o la cartella, per vizi propri, la sospensione riguarderà solo tali atti.
Per ottenere la sospensione è necessario che sussistano due presupposti:
 fumus boni iuris, la probabile fondatezza del ricorso
 periculum in mora, il pericolo che dal ritardo del processo si verifichi un danno grave ed
irreparabile.
La decisione sulla domanda spetta alla commissione; in caso di eccezionale urgenza il presidente dispone la
sospensione in via interinale fino alla decisione del collegio, che decide in camera di consiglio sentite le
parti ed esaminato sommariamente il merito. Si avrà un'ordinanza motivata e non impugnabile.
La sospensione può essere anche parziale, o subordinata alla prestazione di idonea garanzia.
Le sanzioni sono riscosse dopo la sentenza di primo grado, in appello, se prestata idonea garanzia, la
sospensione deve essere concessa obbligatoriamente.
Gli effetti della sospensione cessano con la pubblicazione della decisione di primo grado: pubblicata
la sentenza diventa operante la norma sulla riscossione ad essa collegata.
Il provvedimento che respinge la domanda di sospensione non può essere appellato; e, secondo la
giurisprudenza, la commissione regionale non può sospendere la riscossione dell’imposta, ma solo la
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riscossione delle sanzioni.

12.2.La disapplicazione dei regolamenti e degli atti amministrativi generale


Non è possibile impugnare atti amministrativi generali né regolamenti: il ricorrente può impugnare un atto
deducendo, come motivo di ricorso, il vizio di regolamento che si riflette sull'atto impugnato.
Il giudice dovrà valutare se sussiste il vizio del regolamento denunciato e, se lo ritiene sussistente, dovrà
giudicare l'atto impugnato come se non esistesse la norma regolamentare ritenuta viziata; da questo potrà
derivare l'annullamento dell'avviso impugnato.

12.3.La condanna alle spese


Le spese di lite sono a carico del soccombente e sono liquidate con sentenza. Possono essere
compensate solo in caso di soccombenza reciproca o se ricorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, indicate
nella motivazione della sentenza.
I compensi sono liquidati secondo le tariffe professionali. Il giudice deve provvedere alle spese anche in
caso di estinzione della materia del contendere.

13.Sentenze di annullamento e sentenze di condanna


La sentenza può essere
 mero accertamento, quando dichiara l'insussistenza dei vizi dedotti con il ricorso e del diritto
all'annullamento dell'atto impugnato: l'atto impugnato sopravvive al giudizio, non è sostituito dalla
pronuncia del giudice e i suoi effetti continuano. Quando l'amministrazione, a seguito di sentenza
che respinge l'impugnazione di un avviso di accertamento, iscrive a ruolo la somma da riscuotere, non
esegue la sentenza ma l'avviso di accertamento;
 di annullamento, quando accoglie le domande di impugnazione, contiene l'accertamento del
diritto del ricorrente all'annullamento e l'annullamento dell'atto impugnato; può essere: annullamento
totale, quando il vizio accertato inficia totalmente l'atto impugnato, (ad es. un difetto di motivazione;
l'atto è eliminato e con esso tutti i suoi effetti); o annullamento parziale, quando il giudice accerti che il
debito di imposta è inferiore a quello determinato dall'atto impugnato; con la parte di atto annullato
cadono tutti gli effetti corrispondenti, rimanendo in vigore solo gli effetti legittimi legati alla parte di
atto legittimo.
Essendo il contenuto dell'atto un rapporto d'imposta, se l'atto è impugnato per vizi sostanziali, il
giudice conosce del rapporto d'imposta per stabilire se l'atto debba essere annullato in tutto o in parte, o
se il ricorso debba essere respinto; il giudice conosce del rapporto d'imposta come definito dall'atto
impugnato.
La sentenza di accoglimento del ricorso dispone l'annullamento, non la formazione di un nuovo atto
impositivo: l'impugnazione è di tipo rescindente e non di tipo rescissorio.
In tema di rimborso, il contribuente deve chiedere una decisione che statuisca sia sull'annullamento
del diniego espresso che l'accertamento del credito del ricorrente e la condanna dell'amministrazione a
rimborsare.
Nel caso di ricorsi proposti a seguito di silenzio si ha soltanto l'accertamento del credito e la condanna
dell'amministrazione.
 di condanna, una volta passata in giudicato ha valore di titolo esecutivo. Può essere base di un
giudizio di ottemperanza o di un processo di esecuzione forzata.

13.1.La cosa giudicata


Le decisioni di merito, quando diventano definitive, producono un particolare effetto, detto cosa giudicata

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sostanziale, che è costituito, ex art.2909 c.c., dell’accertamento di una situazione giuridica soggettive.
Per cosa giudicata si intende
 sostanziale: accertamento della situazione giuridica soggettiva, che scaturisce dalla statuizione di
esistenza o inesistenza del diritto fatto valere in giudizio,
 formale: stabilità che acquisisce la sentenza quando non è più impugnabile in via ordinaria. La
riscossione a titolo definitivo presuppone sentenza passata in giudicato in senso formale; il contribuente
può iniziare un giudizio di ottemperanza e l'esecuzione forzata solo se la condanna è passata in giudicato. Le
sentenze passate in giudicato possono essere impugnate solo con revocazione straordinaria.
L’oggetto dell’accertamento, ex Art. 2909 c.c., contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad
ogni effetto tra le parti: il giudicato ha per oggetto l'accertamento del diritto soggettivo fatto valere in
giudizio. Oggetto del giudicato tributario è solo la decisione sull'accertamento del diritto all'annullamento, è
estraneo l'annullamento dell'atto impugnato.
La risoluzione delle questioni pregiudiziali, da cui dipende la decisione della controversia, è risolta in via
incidentale; ciò che passa in giudicato è solo la decisione della controversia.
Il giudicato, dal punto di vista soggettivo, vale solo tra le parti del processo, i loro eredi ed aventi causa; non
vale per i terzi: il principio del contraddittorio e il diritto di difesa impediscono di opporre il giudicato a chi
non ha partecipato al processo o non è stato messo in grado di esserne parte.

13.2.Il giudicato in caso di solidarietà


Se i coobbligati impugnano l’atto impositivo con distinti ricorsi, gli esiti possono essere tanti quanti sono i
processi instaurati. La sentenza che respinge il ricorso di un condebitore non pregiudica gli altri perché,
secondo l’art. 1306 c.c., la sentenza pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori in solido non ha
effetto contro gli altri debitori.
Se un condebitore impugna ed un altro condebitore no, l'annullamento ottenuto dal condebitore
impugnante è annullamento dell'unico atto impositivo ed esplica effetti verso tutti i condebitori; quindi
dell'annullamento può giovarsi anche il condebitore rimasto inerte, sia per opporsi a pretese di
pagamento che per ottenere il rimborso di quanto pagato. L'annullamento di un atto vale erga omnes, ed
il processo tributario è un processo costitutivo rivolto all'annullamento di atti autoritativi.
Nella solidarietà tributaria, la sentenza di annullamento dell'avviso di accertamento, ottenuta da un
condebitore, può essere opposta al fisco anche dagli altri condebitori, anche se non abbiano impugnato
l'accertamento, tuttavia possono invocare il giudicato favorevole solo in via di eccezione (per contrastare la
pretesa di pagamento di maggior tributo), e non in via di azione: si esclude quindi la ripetibilità di quanto
già versato, per cui l'onere economico dell'imposta grava totalmente sul contribuente che ha adempiuto
l'obbligazione, che non può agire in regresso pro quota nei confronti degli altri coobbligati.
Secondo la giurisprudenza, il giudicato favorevole ottenuto da altro condebitore non può esser fatto valere
dal coobbligato nei cui confronti si sia direttamente formato il giudicato.

14.L’esecuzione delle sentenze tributarie


Il creditore, sulla base di una copia della sentenza di condanna spedita in forma esecutiva, può promuovere
l'esecuzione forzata o il giudizio di ottemperanza davanti alle commissioni. Sono due processi concorrenti e
cumulabili, quindi possono essere attivati contemporaneamente.
Le sentenze che annullano un atto amministrativo non hanno bisogno di esecuzione; le sentenze che invece
respingono l'impugnazione di un atto impositivo sono puramente dichiarative non modificano la
situazione sostanziale: esse dichiarano la fondatezza del ricorso e non modificano la situazione sostanziale;
resta in vita l’atto impugnato e, quindi, il precetto che deve essere portato ad esecuzione non è quello
contenuto nella sentenza, ma quello contenuto nell’atto impugnato.

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14.1.Il giudizio di ottemperanza
Il ricorso per ottemperanza è proposto scaduto il termine per l'adempimento degli obblighi posti dalla
sentenza passata in giudicato a carico dell'agenzia fiscale o dell'ente impositore. In mancanza di un
termine, il ricorso è proponibile decorsi 30 giorni da un atto di messa in mora notificato a mezzo di ufficiale
giudiziario.
È competente
 la Commissione tributaria provinciale, se la sentenza da ottemperare è di tale organo (quando
cioè è una sentenza che non è stata appellata, o è stata impugnata, ma la Commissione regionale ha
dichiarato inammissibile o improcedibile l’appello);
 la Commissione tribunale regionale, quando si sia pronunciata nel merito, dato che la pronuncia
d'appello sostituisce quella appellata, anche se è una sentenza di rigetto del gravame;
 se la sentenza della Commissione tributaria regionale è impugnata e la Cassazione respinge il
ricorso, il giudizio di ottemperanza è promosso davanti alla Commissione tributaria regionale che ha
promanato la sentenza;
 se la pronuncia della Cassazione è di merito, l'ottemperanza alla sentenza della Cassazione spetta
al giudice amministrativo.

Il ricorrente deposita il ricorso in doppio originale presso la segreteria della commissione; la segreteria
lo comunica alla controparte che, entro 20 giorni, può trasmettere le proprie osservazioni alla
commissione, allegando la documentazione dell'eventuale adempimento.
Il presidente della commissione, decorso tale termine, fissa il giorno per la trattazione del ricorso non oltre
90 giorni dal deposito del ricorso.
Il ricorso è trattato in camera di consiglio con facoltà delle parti di intervenire, che devono essere avvisate
almeno 10 giorni liberi prima.
Il collegio adotta le disposizioni per la realizzazione dell'ottemperanza con sentenza. Il
procedimento è chiuso con ordinanza.

Nel giudizio di ottemperanza il giudice deve prioritariamente individuare gli obblighi non adempiuti,
valutando la portata del dispositivo della sentenza da ottemperare con la motivazione. Con
l'ottemperanza si adottano i provvedimenti in luogo dell'amministrazione inadempiente; può essere
necessaria un'attività cognitiva per individuare la portata della sentenza da eseguire ed individuare il
provvedimento idoneo a dare esecuzione effettiva alla sentenza.
Il giudizio di ottemperanza non può riconoscere un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello su cui ha
statuito la sentenza da eseguire; è ammissibile solo la domanda di interessi legali, trattandosi di una
domanda accessoria rispetto alla condanna al rimborso.

Il giudice gode di discrezionalità nell'individuare i mezzi idonei ad assicurare l'esecuzione del giudicato e il
collegio può, se lo ritiene opportuno, delegare un proprio componente o nominare un commissario al
quale fissa un termine congruo per i necessari provvedimenti attuativi.
Può essere nominato un commissario ad acta cui viene conferito il potere di avvalersi della struttura
dell'amministrazione finanziaria, tenuta a fornire l'assistenza necessaria per la sollecita adozione del
provvedimento commissariale.

Le sentenze della Commissione tributaria provinciale, emesse nel giudizio di ottemperanza, non sono
appellabili, e possono essere impugnate solo per Cassazione. Sono impugnabili tutte le sentenze, non
soltanto quelle che provvedono sull’ottemperanza.

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Il ricorso contro le sentenze di ottemperanza è ammissibile ex art. 111 Cost., e può esser proposto per
violazione di legge sia sostanziale che processuale.

15.Le impugnazioni in generale


Le impugnazioni si possono distinguere in
 impugnazioni rescindenti, conducono ad una pronuncia di mero annullamento (o cassazione) della
sentenza impugnata (senza sostituire la pronuncia impugnata, essendo a tal fine necessario un nuovo
giudizio); tipica impugnazione rescindente è il ricorso per cassazione
– oggetto del nuovo giudizio è la sentenza impugnata,
– i motivi del giudizio rescindente riflettono i vizi della sentenza impugnata e che sono considerati dal
legislatore come rilevanti ai fini dell’impugnazione,
– il giudice limita la sua cognizione ai motivi dell'impugnazione,
– la decisione, se i motivi di gravame sono giudicati fondati, elimina la precedente sentenza, se
sono giudicati non fondati, lascia in vita la sentenza impugnata;
 impugnazioni sostitutive, tipico è il ricorso in appello,
– oggetto è lo stesso oggetto di giudizio del grado precedente,
– motivi non sono predeterminati, sono a critica libera,
– al giudice sono devoluti tutti i materiali già acquisiti al processo,
– la decisione prende sempre il posto della pronuncia impugnata.
Non è proponibile né l'opposizione di terzo né il regolamento di competenza.
I mezzi di impugnazione esperibili nel processo tributario sono: a) l’appello alla Commissione tributaria
regionale, contro le sentenze della Commissione tributaria provinciale; b) il ricorso per cassazione, contro
la sentenza della Commissione tributaria regionale; c) la revocazione (contro le sentenze di primo e di
secondo grado).
Sono mezzi di impugnazione ordinaria l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione ordinaria, e le
sentenze passano in giudicato quando non sono più suscettibili di impugnazione con uno di tali mezzi. È
invece impugnazione straordinaria la revocazione proponibile contro le sentenze passate in giudicato.

15.1.L’appello
Le sentenze delle Commissioni tributarie provinciali possono essere appellate con ricorso alle Commissioni
tributarie regionali. L’atto di appello deve essere proposto entro 60 giorni dalla notificazione (ad istanza di
parte) della sentenza di primo grado; in assenza di notificazione entro 6 mesi dal deposito della sentenza.
Se il ricorso non è notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l'appellante deve, a pena di
inammissibilità, depositare copia dell'appello presso la segreteria della Commissione che ha
pronunciato la sentenza impugnata.
La parte appellata, se soccombente, può proporre appello incidentale nell'atto di controdeduzione. Si
osservano le norme di primo grado.

Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità:


 l'esposizione dei fatti,
• l'oggetto della domanda, che deve indicare i capi della decisione di primo grado su cui viene richiesto un
nuovo giudizio;
 i motivi specifici dell'impugnazione: l'appellante ha un doppio onere: riproporre i motivi di critica
del provvedimento, dedotti nel ricorso di primo grado, e censurare la sentenza che non li ha accolti.
L'appellante deve necessariamente formulare motivi e conclusioni di merito, e può dedurre motivi di rito
solo se ne deriva la rimessione in primo grado.

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L'oggetto del giudizio di appello è delimitato dai motivi e dal petitum dell'appello, che deve indicare i capi
della decisione di primo grado su cui viene richiesto un nuovo giudizio.
Se non viene richiesta la riforma integrale, vi sarà una parte della sentenza di primo grado che sarà sostituita
dalla pronuncia di appello, ed una parte, non impugnata, che passerà in giudicato.
Non sono ammesse domande nuove; solo nelle azioni di rimborso, il contribuente può domandare gli interessi
maturati dopo la sentenza di primo grado.
Non sono ammesse nuove eccezioni, ma questo non impedisce di proporre nuove deduzioni difensive.
Le nuove eccezioni vietate in appello sono quelle non rilevabili d'ufficio.
Con l'effetto devolutivo, i materiali acquisiti in primo grado passano automaticamente all'esame del giudice
d'appello.
Le questioni e le eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale, che non sono
espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate.

Le decisioni di merito sostituiscono quelle di primo grado, sia quando accolgono, sia quando respingono
l’appello.
Le sentenze di puro rito si distinguono in
 decisioni dichiarative della inammissibilità dell'appello, cessa il processo e la sentenza di primo
grado passa in giudicato;
 decisioni estintive del giudizio d'appello, cessa il processo e la sentenza di primo grado passa in
giudicato;
 decisioni di rimessione al primo giudice, il processo ricomincia in primo grado.
Il giudice d'appello, di regola, decide la causa; deve rimettere la causa al primo giudice solo quando, in primo
grado, si siano verificate anomalie particolarmente gravi, che rendano necessario rifare il primo giudizio.
Sono casi tassativi:
– quando dichiara la competenza o la giurisdizione negata dal primo giudice,
– quando in primo grado il contraddittorio non è stato regolamentare costituito o integrato,
– quando la sentenza impugnata ha erroneamente dichiarato estinto il processo in sede di reclamo
contro il provvedimento presidenziale,
– quando il collegio della Commissione tributaria provinciale non era legittimamente composto,
– quando manca la sottoscrizione della sentenza di primo grado.

15.2.Il giudizio in Cassazione


Le sentenze delle commissioni tributarie regionali sono impugnabili in cassazione (ex art. 360 c.p.c.) per:
 motivi attinenti alla giurisdizione,
 violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto regolamento di
competenza,
 violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di
lavoro,
 nullità della sentenza o del procedimento,
 omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio.
Non può ricorsi in cassazione per questioni di fatto, ma solo per questioni di diritto o sulla motivazione:
se una questione di fatto è stata risolta in modo sfavorevole, il ricorrente non può censurare il merito della
decisione ma può sollevare solo questioni di diritto.

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Il ricorso è sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato cassazionista, munito di procura speciale.
Il ricorso deve presentarsi entro 60 giorni dalla notificazione della sentenza della Commissione tributaria
regionale; se non è notificata è proposta entro 6 mesi dal deposito.
La parte contro cui è proposto il ricorso può contraddire con un controricorso, che può contenere anche il
ricorso incidentale.
I ricorsi in materia tributaria sono assegnati ad un'apposita sezione.
Non vi è una fase istruttoria. La causa è discussa oralmente in un'unica udienza; entro 5 giorni liberi prima
dell'udienza possono esser depositate memorie.
La corte si pronuncia in camera di consiglio quando è manifesta la fondatezza o l'infondatezza del ricorso.

Se il ricorso viene accolto si ha sentenza che annulla la sentenza impugnata, senza rinvio o con rinvio
davanti alla commissione tributaria regionale.
Eccezionalmente, la cassazione può pronunciare sul merito (per cui respinge o accoglie il ricorso
proposto in primo grado), solo quando non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto. Se invece sono
necessari ulteriori accertamenti di fatto, rinvia alla Commissione tributaria regionale, che provvederà
attenendosi a quanto stabilito dalla Cassazione.

15.3.Il giudizio di rinvio


La Cassazione rinvia
 alla Commissione tributaria provinciale quando accerta anomalie nello svolgimento del giudizio di
primo grado e cassa una sentenza della Commissione tributaria regionale che avrebbe dovuto rinviare, ed
erroneamente non l'ha fatto, alla Commissione provinciale;
 alla Commissione tributaria regionale quando riscontra vizi di violazione e falsa
applicazione di norme di diritto, dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro.
Il giudizio di rinvio (prosecutorio o restitutorio) è promosso con
 impulso d'ufficio quando il rinvio è disposto da una commissione tributaria,
 impulso di parte quando è disposto dalla Corte di cassazione.
La riassunzione deve esser fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro 1 anno dalla
pubblicazione della sentenza di Cassazione. Il processo si estingue se la riassunzione non è tempestiva
o se si estingue il giudizio di rinvio.
In sede di rinvio le parti conservano la posizione processuale che avevano in appello; non sono ammesse
nuove produzioni o acquisizioni probatorie, a meno che dalla cassazione non sia derivato un mutamento
processuale che le renda necessarie.
Sono salvi gli adeguamenti imposti dalla sentenza di cassazione.

15.4.La revocazione
La revocazione è un mezzo di impugnazione straordinario (proponibile anche contro sentenze passate in
giudicato), che si propone allo stesso giudice che ha emesso la sentenza da revocare. Si fonda sul presupposto
che i vizi della sentenza, che possono essere addotti come motivo di gravame, siano tanto gravi ed evidenti da
far ritenere che saranno riconosciuti dalli stesso giudice che l’ha pronunciata.
È un mezzo di impugnazione a critica vincolata, proponibile solo se (ex art.395 c.p.c.):
1) le sentenze sono effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra;
2) si è giudicato in base a prove riconosciute o dichiarate false dopo la sentenza o che la parte
soccombente ignorava esser state riconosciute o dichiarate false prima della sentenza;
3) dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto
produrre in giudizio per cause di forza maggiore o per fatto dell'avversario;

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4) la sentenza è l'effetto di errore di fatto risultante dagli atti della causa: è fondata sulla
supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, o quando è supposta l'inesistenza di un
fatto la cui verità è positivamente stabilita, ed il fatto non ha costituito un punto controverso su cui si è
pronunciata la sentenza;
5) la sentenza è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata,
purchè non abbia pronunciato sulla relativa eccezione;
6) la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

La revocazione si distingue in
• ordinaria, fondata su vizi palesi come errore di fatto e contrasto con un precedente giudicato, desumibili
dalla stessa sentenza o sono relativi ad altri elementi già noti o conoscibili; deve esser proposta entro 60
giorni dalla notificazione o entro 6 mesi dal deposito della sentenza;
• straordinaria, fondata su dolo della parte, falsità della prova, ritrovamento di documenti decisivi, dolo del
giudice; si basa su circostanze non desumibili dal testo della sentenza, di cui la parte può venire a
conoscenza anche dopo un notevole lasso di tempo; deve esser proposta entro 60 giorni dal giorno in cui è
stato scoperto il dolo o sono state dichiarate false le prove o è stato recuperato il documento o è passata in
giudicato la sentenza che accerta il dolo del giudice.

La revocazione è proponibile contro le sentenze delle commissioni tributarie che non sono
ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate. Ciò significa che le sentenze di primo grado,
fino a che sono impugnabili con appello, non sono soggette a revocazione, perché i vizi denunciabili
con la revocazione possono essere fatti valere con l’appello.
Le sentenze per le quali è scaduto il termine di appello possono essere impugnate con ricorso per
revocazione straordinaria.
Il riesame della sentenza di primo grado, ad opera dello stesso giudice che l’ha emessa, può avvenire solo
per i motivi specificati dai nn. 1,2,3 e 6 dell’art.395 c.p.c., ossia dolo di una delle parti, prove false, nuovi
documenti decisivi e dolo del giudice.
Le sentenze di secondo grado sono impugnabili per revocazione, sia ordinaria che straordinaria, purché
sui vizi relativi al giudizio sul fatto non può porre rimedio il ricorso per cassazione; la revocazione è
ammessa da subito, perché le sentenze d’appello non sono ulteriormente impugnabili sotto il profilo degli
accertamenti di fatto.
Le sentenze della Cassazione sono soggette a revocazione ordinaria se la sentenza è l'effetto di errore di
fatto risultante dagli atti della causa: è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è
incontestabilmente esclusa, o quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è
positivamente stabilita, ed il fatto non ha costituito un punto controverso su cui si è pronunciata la sentenza.
Il ricorso per revocazione deve contenere, a pena di inammissibilità, la specifica indicazione del motivo di
ricorso.

La revocazione è divisa in due fasi:


 rescindente, ha ad oggetto il motivo di revocazione e si conclude con una pronuncia a carattere
esclusivamente processuale; se accerta che il vizio non sussiste il giudice non annulla, altrimenti se accerta
l'esistenza del motivo, la sentenza viene meno e si passa alla seconda fase;
 rescissoria, ha ad oggetto lo stesso oggetto della sentenza revocanda e si conclude con una sentenza
che decide il merito della causa, sostituendosi a quella revocata.

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PARTE SPECIALE

Capitolo Diciassettesimo. L'IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE

1.Premessa
Le imposte sul reddito sono due:
 Irpef
 Ires,
disciplinate dal Testo unico delle imposte sui redditi, D.lgs. 917/1986, modificato con D.lgs. 344/2003.

2.Le nozioni economiche di reddito


Gli economisti hanno elaborato tre nozioni di reddito:
 reddito come prodotto: un'entrata ha natura di reddito solo se deriva da una fonte produttiva; è un
concetto proprio del nostro ordinamento;
 reddito come entrata, comprende sia i frutti del patrimonio e dell'attività del soggetto, sia gli incrementi
patrimoniali, qualsiasi ne sia la causa (non solo gli incrementi di valore del patrimonio, ma anche le entrate
conseguite a titolo gratuito, i guadagni causali, etc);
 reddito come consumo: è teorizzata da coloro che sostengono che bisognerebbe tassare solo il
reddito consumato; non dovrebbe essere tassato né il reddito risparmiato né il reddito di capitale. È solo
un’impostazione teorica perché non esistono sistemi positivi che lo adottano.

2.1.Il presupposto dell’imposta. Il possesso dei redditi


Presupposto delle imposte sui redditi è il possesso di redditi. Anche se nel testo unico non vi è una
definizione generale di reddito; vi è solo la definizione dei singoli redditi, ossia delle singole categorie
reddituali. Dalle definizioni delle diverse categorie, per via di astrazione, è desumibile una nozione generale
di reddito..
Il reddito è, in generale, un incremento di patrimonio che deriva da una fonte produttiva.
Si possono distinguere:
a) redditi fondiari,
b) redditi di capitale,
c) redditi di lavoro dipendente,
d) redditi di lavoro autonomo,
e) redditi di impresa,
f) redditi diversi.
Le diverse categorie reddituali sono
 strumento di individuazione e classificazione della materia imponibile,
 oggetto di regimi giuridici diversi, relativamente al sistema di determinazione dell'imponibile
(quantificazione e imputazione al periodo d'imposta), e agli adempimenti formali (contabilità,
dichiarazione, metodi di accertamento, ritenuta alla fonte).
Se si prescinde dai “redditi diversi”, le altre categorie reddituali sono contrassegnate dalla derivazione del
reddito da un tipo unico e unitario di fonte produttiva (un’attività o un capitale); se ne può desumere, perciò,
che il nostro sistema di tassazione dei redditi è informato al criterio di tassazione del reddito inteso come
prodotto. Tuttavia vengono tassate anche fattispecie che devono essere ascritte all’area contrattuale del
reddito-entrata.

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2.2.Il presupposto dell’imposta. Il possesso dei redditi.
Art. 1 T.u.i.r. presupposto dell'Irpef è il possesso di determinati redditi.
Non esiste una nozione unitaria di possesso di reddito, ma tante nozioni quante se ne traggono dai fatti che
rendono tassabili i redditi delle diverse categorie:
 i redditi di capitale, redditi di lavoro, redditi diversi sono tassabili quando sono percepiti (principio
di cassa); il possesso di questi redditi significa percezione;
 per i redditi fondiari, il possesso va riferito all'immobile;
 per il reddito d'impresa, il reddito è un dato contabile (non vi è possesso del reddito, ma
dell’apparato produttivo).

3.Differenza tra reddito e patrimonio


Reddito e patrimonio sono concetti da tenere distinti, come sono da distinguere i proventi reddituali dalle
entrate patrimoniali.
Il patrimonio è l'insieme di situazioni soggettive a contenuto economico di cui è titolare un soggetto in un
dato momento (diritti reali, crediti, debiti, etc); è un concetto statico: indica ciò che si ha.
Il reddito è un fenomeno dinamico, ed è dato dalle variazioni incrementative del patrimonio: indica ciò che
si acquista.
La nozione di reddito-prodotto comprende quello che costituisce incremento del patrimonio ed esclude ciò
che costituisce mera reintegrazione del patrimonio già posseduto.
Ecco perché l’art. 6 T.u.i.r. dispone che sono tassabili i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, e le
indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi (tali proventi o
indennità costituiscono redditi della stessa categoria dei redditi sostituiti o perduti). Sono dunque tassabili i
proventi che sostituiscono redditi imponibili, non lo sono proventi e indennità conseguiti in sostituzione di
entrate patrimoniali o per integrare perdite patrimoniali È reddito il risarcimento del lucro cessante, non lo
è il risarcimento del danno emergente.
Da ciò deriva che sono soggette ad imposta le pensioni che si collegano ad un rapporto di impiego o di
servizio, e che sono quindi proiezione di un precedente trattamento economico; non lo sono le pensioni
risarcitorie.
Anche la nozione di incremento del patrimonio va intesa in senso lato: vi sono compresi non solo i proventi,
in danaro o in natura, ma anche le utilità che derivano dall’uso di un bene o dalla fruizione di un servizio (ad
es., l’utilità che deriva dal possesso di un fabbricato da parte del proprietario).

3.1.Proventi acquisiti a titolo oneroso e proventi gratuiti.


La conferma che, nel nostro diritto positivo, è accolto un concetto lato di reddito prodotto e che,
comunque, il sistema è ancorato a tale concetto, proviene da una verifica di come il legislatore tratta le
ipotesi di confine.
In primo luogo, è da osservare che il requisito della derivazione del reddito da una fonte produttiva
implica che il provento abbia come causa un titolo giuridico di natura onerosa. Di regola, sono tassati i
proventi acquisiti a titolo oneroso (ad es., corrispettivi contrattuali), e sono esclusi da imposta i proventi
acquisiti a titolo gratuito (come donazioni ed eredità).

4.La quantificazione dei redditi. Redditi in natura e valore normale


I redditi possono essere
 monetari,
 non monetari, in natura e ad essi deve essere attribuito un valore monetario (c.d. valore normale);
possono essere costituiti da beni o servizi: per determinare il valore normale si fa riferimento ai listini e

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alle tariffe mediamente praticati per i beni o i servizi della stessa specie e, in mancanza, ai listini delle camere di
commercio e alle tariffe professionali.
Per le azioni, obbligazioni e altri titoli negoziali regolamentati, si tiene conto della media aritmetica dei prezzi
rilevati nell'ultimo mese; per le altre azioni, per le quote di società non azionarie e per i titoli di
partecipazione in enti non societari, si tiene conto proporzionalmente del valore del patrimonio
netto della società o ente.

4.1.Reddito lordo e reddito netto.


Il reddito tassato è al netto dei costi. Sono deducibili solo i costi inerenti alla produzione del reddito. Per i
redditi di capitale (ad es., redditi di lavoro) non sono ammessi in deduzione i costi di produzione, in quanto
di regola non ci sono costi di produzione.

4.2.Redditi e deprezzamento monetario.


Il reddito sottoposto ad imposta è una grandezza monetaria: l'imposta è commisurata al valore nominale del
reddito tassabile, senza dare rilievo ai fenomeni monetari. Sono necessari appositi interventi normativi
per dare rilievo alle conseguenze dell'inflazione. Alcuni parametri di liquidazione dell'imposta sono soggetti
a revisione, quando la variazione dell'indice Istat supera una data soglia: la revisione è stabilita dal
Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio.

5.Periodo d’imposta e imputazione dei componenti di reddito


Il reddito assume rilievo come reddito di un determinato periodo di imposta:
 per le persone fisiche, è l'anno solare;
 per le società è l'esercizio sociale.
Ci possono essere interruzioni, come in caso di morte della persona fisica, o di trasformazione, fusione,
scissione, liquidazione per le società.
Ogni periodo di imposta ha autonoma rilevanza, e ad ogni periodo d’imposta corrisponde
un'obbligazione tributaria autonoma, con relativi obblighi formali e sostanziali.
Solitamente per l'imputazione dei redditi al periodo di imposta vige il principio di cassa: rai fini
dell’imputazione al periodo d’imposta, rileva il momento in cui il reddito è percepito; mentre per i
redditi di impresa vige il principio di competenza economica: i costi e i proventi hanno rilievo nel periodo
di imposta di maturazione.

5.1.I redditi del de cuius percepiti dagli eredi


Gli eredi subentrano al de cuius quali soggetti passivi dell'imposta dovuta per effetto dei presupposti d'imposta
realizzati dal de cuius, e, per tali presupposti d’imposta, sono obbligati in solido.
Inoltre, i redditi prodotti dal de cuius e percepiti dagli eredi, sono tassati come redditi degli eredi, quando
sono redditi cui si applica il principio di cassa, quindi redditi di lavoro, di capitale e diversi (ad esempio i
crediti derivanti dall'attività professionale del de cuius, percepiti dagli eredi, sono entrate patrimoniali,
derivanti dalla realizzazione di crediti che fanno parte dell'asse ereditario, e non reddito degli eredi).

6.I redditi di provenienza illecita


Il carattere illecito di un'attività produttiva di reddito non esclude l'applicabilità del tributo, un'attività
illecita può essere classificabile tra quelle tassabili. Anche un reddito di provenienza illecita piò essere
oggetto di possesso.
Non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come
reato. I redditi illeciti sono considerati come redditi diversi quando non siano classificabili nelle categorie

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di reddito ex art. 6 T.u.i.r.

7.I soggetti passivi e la residenza fiscale


I residenti sono tassati sul complesso dei loro redditi, ovunque prodotti nel mondo, i non residenti sono
tassati solo per i redditi prodotti in Italia. Non rileva la cittadinanza.
La nozione fiscale di residenza diverge da quella civilistica. A norma dell’art. 2, comma 2, T.u.i.r., ai fini Irpef,
“si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta sono iscritte nelle anagrafi
della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice
civile”.
Per contrastare il fenomeno dei trasferimenti fittizi di residenza all’estero, si considerano residenti, con
presunzione relativa, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in
stati o territori con regime fiscale privilegiato.

7.1.I debitori d’imposta e i soggetti tenuti ad obblighi formali


Il sistema di tassazione dei redditi si compone di due imposte, di cui una colpisce le persone fisiche,
l’altra le persone giuridiche e, in generale, i soggetti diversi dalle persone fisiche.
In tal modo, tutti i titolari di rapporti giuridici a contenuto patrimoniale possono essere soggetti passivi
d'imposta, anche se privi di capacità di agire (agiscono per essi i rappresentanti legali); unica eccezione
sono le società i cui redditi sono imputati ai soci, in applicazione del principio di trasparenza.
Ci riferiamo dunque, nell’indicare i soggetti passivi Irpef, ai soggetti passivi dell’obbligazione, cioè ai
soggetti passivi in senso sostanziale.
Altra cosa sono gli obblighi formali, che possono far capo a soggetti diversi dal debitore d'imposta (ad es.,
le società di persone e le associazioni sono tenute ad alcuni adempimenti formali, come presentare la
dichiarazione, ma non sono debitori d’imposta).

8.I redditi dei coniugi: dal cumulo alla tassazione separata


Quando fu introdotta l’Irpef, i redditi della moglie erano imputati al marito, che era soggetto passivo
d’imposta sia per i redditi propri, che per quelli della moglie. I redditi dei due coniugi erano così cumulati e
si aveva, a causa della progressività dell’imposta, una tassazione dei redditi dei coniugi più elevata rispetto
alla tassazione individuale. Il sistema del cumulo fu però dichiarato incostituzionale (Corte Cost.
n.179/1976) e i redditi di ciascun coniuge sono ora tassati separatamente.
Resta comunque aperto il problema del trattamento fiscale della famiglia, in quanto si ritiene che il sistema
in vigore penalizzi i nuclei familiari con un solo reddito rispetto a quelli che fruiscono di redditi prodotti da
più componenti. In materia di trattamento della famiglia, l’art. 4 T.u.i.r. prevede che i redditi della
comunione legale e del fondo patrimoniale si imputano a ciascun coniuge per metà del loro ammontare
netto, salva diversa pattuizione. I redditi dei figli minori soggetti all'usufrutto legale dei genitori sono
imputati per metà del loro ammontare netto a ciascun genitore. Per i redditi derivanti da un'attività
lavorativa o da beni non soggetti ad usufrutto legale, i genitori, come rappresentanti legali, devono
presentare la dichiarazione dei redditi di pertinenza dei figli minori.

9.I redditi prodotti in forma associata. Le società commerciali di persone


Le società di persone non sono soggetti passivi d'imposta, e i loro redditi sono imputati ai soci in
applicazione del principio di trasparenza: i redditi della società sono trattati fiscalmente come se la
società fosse uno schermo trasparente, come se non fosse un soggetto autonomo. Quindi i redditi
della società sono fiscalmente redditi dei soci; non sono qualificati come redditi di capitali ma come
redditi di partecipazione, trattati come redditi d'impresa.
Alla società fanno capo obblighi formali, come la tenuta della contabilità, la presentazione della
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dichiarazione, funzionali all'applicazione dell'imposta personale dovuta dal socio. Inoltre, non essendo
tassata la società, ma solo i soci, è risolto il problema della doppia tassazione degli utili societari.
Le perdite della società sono ripartite tra i soci, così come gli utili; se l'ammontare delle perdite supera i
redditi dell'anno, la differenza può esser dedotta negli anni successivi, non oltre il 5°.
Le ritenute operate sui redditi della società sono scomputate dall'imposta dovuta dai soci.
I redditi di partecipazione sono assoggettati ad imposta insieme agli altri redditi del soggetto passivo.
Per le persone fisiche titolari di redditi di partecipazione in società commerciali di persone, in regime di
contabilità ordinaria, si ha un regime speciale: possono optare per la tassazione separata con aliquota del
27,5% (che corrisponde all’aliquota Ires), purché i redditi imputati per trasparenza non siano prelevati o
distribuiti (in caso di distribuzione o di prelievo, il reddito è tassato e l’imposta già pagata vale come
acconto dell’imposta dovuta sul reddito complessivo).

9.1.Le società semplici


Il principio di trasparenza vale anche per le società semplici, che differiscono dalla altre società di persone
perché non hanno oggetto commerciale (spesso la forma di società semplice è adottata per le imprese
agricole e per la mera gestione immobiliare).
Le principali differenze di trattamento fiscale tra società personali commerciali e società di persone sono:
 le società semplici non producono reddito d'impresa ma singoli redditi (fondiari, di lavoro autonomo, di
capitale e diversi), determinati secondo le regole proprie di ciascuna categoria;
 per le società semplici, le perdite derivanti dal lavoro autonomo sono imputate ai soci e possono
essere compensate con gli altri redditi che concorrono a formare il reddito complessivo;
 alcuni costi delle società semplici sono imputabili ai soci come oneri deducibili dal reddito o come
oneri detraibili dall'imposta.

9.2.Le associazioni professionali


I professionisti possono svolgere la loro attività dando vita ad enti di tipo societario; quando ciò avviene, la
società è soggetta al regime giuridico fiscale previsto in relazione al tipo sociale.
Inoltre, i professionisti possono dar vita ad associazioni professionali; la disciplina fiscale di tali associazioni
è la stessa delle società semplici.
Per le associazioni professionali vale il principio di trasparenza: i redditi, in quanto redditi di lavoro
autonomo, sono tassati secondo il principio di cassa e sono imputati agli associati (e tassati a carico degli
associati indipendentemente dalla distribuzione).
Le perdite sono imputate ai soci in proporzione alla loro quota di partecipazione e possono essere
compensate con gli altri redditi che concorrono a formare il reddito complessivo.
Il reddito dell'associazione è reddito di lavoro autonomo.

9.3.Le imprese familiari


L'impresa familiare assume rilievo fiscale solo se, prima dell'inizio del periodo d'imposta, sia redatto
un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, da cui risultino nominativamente i familiari che
collaborano prestando un'attività lavorativa con carattere continuativo e prevalente.
Ai collaboratori è attribuita una quota del reddito complessivo proporzionata al lavoro
effettivamente prestato nell'impresa in modo prevalente e continuativo, non superiore al 49%.
Per l'imputazione dei redditi a ciascun familiare è necessario:
 che i familiari risultino indicati nell'atto formato prima dell'inizio periodo d'imposta;
 che la dichiarazione dei redditi dell'imprenditore indichi le quote di partecipazione dei
collaboratori familiari e attesti che le quote siano proporzionate alla qualità e quantità di lavoro

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effettivamente prestato nell'impresa in modo continuato e prevalente;
 che ciascun familiare attesti, nella propria dichiarazione, di aver prestato attività lavorativa
nell'impresa in modo continuativo e prevalente.
Il reddito delle imprese familiari non è reddito d’impresa imputato ai partecipanti come reddito omogeneo,
ma vi è netta separazione tra reddito dell’imprenditore e reddito dei collaboratori: solo la quota spettante
all'imprenditore è reddito da impresa.
Il criterio di riparto degli utili non vale per le perdite: civilisticamente, i collaboratori non partecipano alle
perdite.
Sono riferite ai collaboratori le ritenute d'acconto operate sui redditi percepiti dall'imprenditore.

10.Reddito complessivo e perdite deducibili


La base imponibile lorda è costituita, per i soggetti passivi residenti, dal complesso dei redditi ovunque
prodotti (per i non residenti, l’imposta si applica soltanto sui redditi prodotti in Italia).
Per calcolare il reddito complessivo si devono prima individuare e qualificare i singoli redditi, aggregandoli
secondo le rispettive categorie; quindi si sommano i redditi di ogni categoria che concorrono a formare il
reddito complessivo e si sottraggono le perdite derivanti dall'esercizio di imprese commerciali in regime di
contabilità semplificata e dall'esercizio di arti e professioni.
Le perdite delle società in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle delle società semplici e
delle associazioni professionali sono imputate pro-quota, in base al principio di trasparenza, a ciascun
socio. Per la società in accomandita semplice la perdita che supera il capitale sociale è imputata solo agli
accomandatari.
Ciascuno dei soci può riportare a nuovo la perdita, ma solo se si tratta di perdita derivante dall’esercizio di
imprese commerciali (in regime normale) o dalla partecipazione in società commerciali di persone. Se la
perdita supera, in un periodo d'imposta, l'ammontare dei redditi della categoria conseguiti in quel
periodo, la differenza può essere computata in diminuzione di redditi della stessa categoria nei periodi di
imposta successivi, non oltre il 5°.
Le perdite realizzate nei primi 3 periodi di imposta dalla data di costituzione possono essere riportate a
nuovo senza limiti di tempo, purché si riferiscano ad una nuova attività produttiva.

10.1.Gli oneri deducibili


Dal reddito complessivo sono deducibili determinati oneri: viene in tal modo detassata quella parte di
reddito che viene impiegata per finalità ritenute meritevoli di particolare considerazione. Gli oneri
deducibili sono spese personali che incidono sulla capacità contributiva del contribuente, tra cui:
 spese mediche e di assistenza in caso di grave e permanente invalidità;
 assegni periodici corrisposti al coniuge, costituiscono reddito per il coniuge che li riceve come
redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente;
 contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge;
 contributi versati per le forme pensionistiche complementari;
 alcune erogazioni liberali;
 un importo pari alla rendita catastale della casa di abitazione del contribuente;
 le spese di produzione del reddito, come gli oneri fondiari non contemplati dalle stime catastali,
le somme corrisposte ai dipendenti chiamati a ricoprire incarichi elettorali, le indennità corrisposte dal
proprietario di un immobile locato al conduttore, per perdita dell'avviamento, quando cessa il rapporto;
 le sopravvenienze passive, cioè le somme che il contribuente deve restituire, dopo che quelle somme
hanno concorso a formare il reddito di un periodo d'imposta precedente.

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10.2.Imposta lorda, detrazioni e imposta netta
Dedotti dal reddito complessivo gli oneri, si ottiene la base imponibile dell'imposta, cui si applicano le
aliquote, crescenti per scaglioni di reddito:
 23% per i redditi fino a 15.000 Euro;
 27% per i redditi da 15.000 a 28.000 Euro;
• 38% per i redditi da 29.000 a 55.500 Euro;
 41% per i redditi da 56.000 a 75.000 Euro;
 43% per i redditi superiori a 75.000 Euro.

Dall'imposta lorda si devono sottrarre


 le detrazioni per carichi di famiglia: attribuite per chi ha familiari a carico;
 detrazioni sostitutive delle spese di produzione: chi ha reddito di lavoro dipendente e alcuni redditi
assimilati, i pensionati e chi ha reddito di lavoro autonomo;
 detrazione di altri oneri, nella misura del 19%, per
– interessi passivi per mutui agrari;
– interessi passivi per mutui ipotecari per l'acquisto della prima casa;
– spese sanitarie, a partire da 129 Euro;
– spese funebri;
– spese di istruzione;
– premi per assicurazione sulla vita;
– spese di manutenzione e restauro di immobili di interesse storico ed artistico;
– erogazioni liberali per interessi meritevoli;
– spese veterinarie;
– spese per badanti;
– detrazione forfettaria per i titolari di contratti di locazione di unità immobiliari adibite ad abitazione
principale.

Scomputate le detrazioni si ottiene l'ammontare dell'imposta astrattamente dovuta per il periodo


d'imposta. Tale importo non costituisce, peraltro, un importo da versare, perché all’imposta netta si
scomputano:
 i crediti di imposta;
 i versamenti d'acconto;
 le ritenute subite a titolo d'acconto.
Se il saldo è a debito per il contribuente (cioè se l’ammontare dell’imposta del imposta netta supera la
somma dei crediti d’imposta, dei versamenti d’acconto e delle ritenute), la differenza deve essere versata
prima di presentare la dichiarazione.
Se è a credito per il contribuente (cioè se l’imposta netta è inferiore alla somma dei crediti d’imposta, dei
versamenti e delle ritenute d’acconto), l'eccedenza costituisce un credito; il contribuente può computarlo
in diminuzione dell'imposta relativa al periodo d'imposta successivo o chiederne il rimborso in sede di
dichiarazione dei redditi.

11.I redditi soggetti a tassazione separata


I redditi percepiti una tantum, che derivano da un processo produttivo pluriennale, sono soggetti a
tassazione separata: pur sottoposti ad Irpef, non sono componenti del reddito complessivo (soggetto ad
imposizione progressiva), ma sono tassati con una diversa aliquota.
Sono soggetti al regime di tassazione separata:
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 le indennità di fine rapporto dei lavoratori dipendenti (è imponibile per un importo
determinato riducendo l'ammontare delle rivalutazioni già tassate; l'aliquota si ottiene dividendo
l'imponibile per il numero di anni di durata del rapporto, moltiplicando il risultato per 12);
 le plusvalenze derivanti dalla cessione di aziende possedute per più di 5 anni;
 le indennità per perdita dell'avviamento spettante al conduttore di esercizi commerciali in caso di
cessazione della locazione;
 risarcimento attribuito a titolo di perdita di redditi pluriennali;
 i redditi a formazione pluriennale attribuiti ai soci in caso di recesso da società.
Per gli altri redditi tassati separatamente, l'imposta è calcolata applicando alla somma percepita
l'aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del biennio precedente.

Capitolo Diciottesimo. I SINGOLI REDDITI

1.I redditi fondiari


I redditi fondiari sono quelli inerenti ai terreni e ai fabbricati
 situati in Italia,
 iscritti nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano.
I redditi degli immobili non determinabili catastalmente o situati all'estero sono redditi diversi.
Sono produttivi di reddito fondiario soltanto i terreni atti alla produzione agricola; non generano reddito
fondiario i terreni che costituiscono pertinenza di fabbricati urbani e quelli dati in affitto per usi non
agricoli.
Gli immobili strumentali (costruzioni rurali e fabbricati usati per l’esercizio di attività commerciali o di arti
e professioni) non danno origine a redditi di natura fondiaria, ma sono fattori della produzione del
reddito dei terreni, del reddito di impresa o del reddito di lavoro autonomo.
I redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo dei soggetti che li possiedono.
Dato il carattere catastale dei redditi fondiari, la tassazione prescinde dalla percezione del reddito
(monetario o in natura).

1.2.Il reddito dei terreni


Il reddito dei terreni si distingue in
 reddito dominicale, comprende sia il reddito derivato dalla proprietà del fondo che dai capitali
stabilmente investiti;
 reddito agrario, cioè il reddito dell'impresa agraria: ossia il reddito derivante dall'esercizio di
attività agricole e di attività connesse, nei limiti della potenzialità del terreno.
Sono considerate attività agricole in senso stretto:
– la coltivazione del terreno e la silvicoltura,
– l'allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno 1/4 dal terreno,
– le attività dirette alla produzione di vegetali; e le attività connesse, cioè quelle dirette alla
manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti
ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo.
Di regola i redditi delle società commerciali (società in nome collettivo e in accomandita semplice,
società di capitali e altri enti commerciali) non sono redditi agrari, ma sono redditi d'impresa; quindi il
reddito agrario, determinato con il metodo catastale, è invece un reddito d'impresa commerciale quando
è prodotto da società commerciali o da altri enti commerciali, ed è determinato in base ai ricavi e costi
effettivi.
102
Sono previste due eccezioni:
 sono imprenditori agricoli la società di persone commerciali e le società a responsabilità limitata,
costituite da imprenditori agricoli, che svolgono esclusivamente attività di manipolazione,
conservazione, trasformazione, commercializzazione di prodotti agricoli ceduti dai soci (il reddito agrario è
determinato a forfait, applicando ai ricavi il coefficiente di redditività del 25%);
 producono reddito agrario anche le società di persone c ommerciali, le società a
responsabilità limitata e le società cooperative, con qualifica di società agricole, che optano per tale forma
di tassazione.
Il reddito dei terreni, sia dominicale che agrario, non è colpito nella sua misura effettiva, ma è colpito nella
misura media ordinaria, risultante dalle tariffe d'estimo catastale.
Il reddito catastale è:
 un reddito ordinario, ottenuto da un coltivatore di capacità normale applicando tecniche
produttive generalmente adottate nella zona;
 un reddito medio, calcolato per una media di più anni, in modo da abbracciare un ciclo
produttivo che tenga conto della rotazione delle colture e delle vicende favorevoli e sfavorevoli delle
coltivazioni che possono succedersi negli anni.
Si ha riduzione dell'imponibile in caso di mancata coltivazione, e non si ha tassazione in caso di perdita del
prodotto per eventi naturali.
I fabbricati rurali non producono un reddito autonomo, ma sono strumenti di produzione del reddito del
terreno. Il loro reddito è incluso nel reddito catastale dei terreni.

1.3.Il reddito dei fabbricati


Il reddito dei fabbricati è un reddito medio ordinario, determinato secondo le tariffe d'estimo del catasto
urbano. Le singole unità immobiliari sono contraddistinte per zona censuaria, categoria e classe.
Le categorie sono:
a) abitazioni,
b) edifici a uso collettivo,
c) edifici commerciali,
d) immobili industriali, la rendita catastale è attribuita con stima diretta su questi immobili;
e) immobili speciali.
Per gli immobili non censiti, il reddito è determinato comparativamente con quello catastale di unità similari.
Per gli immobili locati si tassa il canone di locazione (ridotto del 15% a titolo di deduzione forfetaria delle
spese) quando sia superiore alla rendita catastale. Anche se i canoni non sono percepiti; i canoni scaduti
e non percepiti cessano di essere tassati quando si conclude il procedimento di convalida dello sfratto per
morosità del conduttore.
Il reddito dell'abitazione principale non è tassato, mentre il reddito catastale delle seconde case non locate è
maggiorato di 1/3.

Gli immobili strumentali per la produzione del reddito di impresa e di lavoro autonomo non sono produttivi
di un reddito autonomo.
Gli immobili sono strumentali per destinazione o per natura. La strumentalità può essere
 per destinazione, cioè gli immobili utilizzati esclusivamente per l'esercizio dell'arte o della professione
o dell'impresa commerciale da parte del possessore;
 per natura, cioè gli immobili relativi ad imprese commerciali che per le loro caratteristiche non
sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, anche se usati da un terzo.

103
2.I redditi di capitale
Quella dei redditi di capitale è una categoria che il legislatore non delimita con una definizione generale,
ma con un elencazione.
L’art. 44 T.u.i.r. elenca tassativamente i redditi di capitale, tra cui le rendite vitalizie, gli utili derivati da
contratti di associazione in partecipazione, redditi imputati ai beneficiari di trust, ma i principali redditi di
capitale sono gli interessi e i dividendi.
Generalmente sono reddito di capitale:
 quelli che derivano dall'impiego di capitale,
 e non derivano da eventi incerti.
Non sono redditi di capitale:
 le plusvalenze realizzate con la cessione di azioni, obbligazioni, in quanto incerti (rientrano tra i
redditi diversi);
 i redditi di capitale conseguiti nell'esercizio dell'impresa che fanno parte dei redditi d'impresa.
In molti casi, i redditi di capitale sono soggetti a regimi sostitutivi (ritenute alla fonte e imposte sostitutive).

2.1.Gli interessi dei mutui e dei prestiti obbligazionari.


Nel Testo unico sono distintamente elencati:
 gli interessi e altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti;
 gli interessi e gli altri proventi delle obbligazioni e dei titoli similari alle obbligazioni (i redditi delle
obbligazioni e titoli similari e dei titoli atipici sono soggetti a regime sostitutivo);
 gli interessi e proventi di altri titoli diversi dalle azioni e di titoli similari alle azioni;
 i proventi dei certificati di massa.
In materia di interessi, sono tassabili tutti gli interessi derivati da un rapporto giuridico che ha come
oggetto l'impiego di un capitale finanziario, che siano frutto di un capitale.
Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento, invece, non sono redditi di capitale ma
appartengono alla stessa categoria reddituale dei crediti da cui derivano.
Per gli interessi, sono previsti regimi fiscali sostitutivi.
Oltre agli interessi, sono redditi di capitale:
 Le rendite perpetue e le prestazioni annue perpetue,
 i compensi per prestazioni di fideiussioni e altre garanzie,
 le gestioni collettive di patrimoni mobiliari,
 i proventi derivanti dal mutuo di titoli garantiti.

2.2.I dividendi azionari.


Sono redditi di capitale gli utili derivanti dalla partecipazione in società di capitali ed altri enti soggetti
all'imposta sul reddito delle società (azioni e titoli similari).
I dividendi distribuiti a soci-società non sono tassati; l'esclusione da imposta è
 totale se si applica il consolidato o il regime di trasparenza,
 al 95% negli altri casi.
Per i dividenti distribuiti a soci-persone fisiche si ha una tassazione ridotta, il trattamento fiscale varia in
ragione della quota di partecipazioni posseduta, se la partecipazione è qualificata o non qualificata.
Nelle società per azioni quotate, si ha partecipazione qualificata se
 supera il 5% del capitale,
 o attribuisce diritti di voto nell'assemblea ordinaria superiori al 2% del capitale.
Nelle società di capitali non quotate, si ha partecipazione qualificata se

104
 supera il 25% del capitale,
 o attribuisce diritto di voto nell'assemblea ordinaria superiori al 20% del capitale.
I dividendi delle partecipazioni non qualificate di persone fisiche sono soggetti ad una ritenuta a titolo di
imposta del 12,50%.
La base imponibile dei dividendi delle partecipazioni qualificate è 49,72%; per valutare l'onere fiscale
complessivo bisogna sommare l'imposta sugli utili della società all'imposta che grava sul dividendo.
Se il socio-persona fisica è un imprenditore o una società di persone, si applica il regime per le
partecipazioni qualificate, tassato cioè al 49,72%.
I dividendi sono tassati integralmente, indipendentemente dalla natura e dalla qualifica del soggetto
percipiente, quando provengono da società estere partecipate domiciliate in paesi a regime fiscale
privilegiato.
Sono tassati come i dividendi gli utili percepiti dall'associato in un rapporto di associazione in
partecipazione con apporto di capitale o, insieme, di lavoro e capitale e le remunerazioni dei titoli e degli
strumenti finanziari assimilati alle azioni.
Non sono redditi di capitale gli utili che provengono da società di persone ed enti assimilati: tali utili sono
imputati ai soci e tassati come redditi da partecipazione.
Per i dividendi distribuiti da società residenti a persone fisiche non residenti si ha una ritenuta del 27%, e i
contribuenti non residenti possono chiedere il rimborso di 4/9 della ritenuta subita se dimostrano che gli
stessi dividendi sono tassati nel loro Stato di residenza.
La ritenuta è 1,375% quando i percettori non residenti siano società ed enti soggetti a imposizione sui
redditi di uno degli Stati membri Ue.
Non è reddito quello che i soci ricevono a titolo di ripartizione di riserve di capitali o altri fondi costituiti con
 sovrapprezzi di emissione delle azioni o quote,
 interessi di conguaglio versati dai sottoscrittori di nuove azioni o quote,
 versamenti dati dai soci a fondo perduto o in conto capitale,
 saldi di rivalutazione monetaria esenti da imposta.
Tali introiti hanno natura patrimoniale, sono restituzione di conferimenti.

2.3.Regole di determinazione di redditi di capitale.


Secondo l’art. 45 , comma 1, T.u.i.r., “Il reddito di capitale è costituito dall’ammontare degli interessi, utili o
altri proventi percepiti nel periodo d’imposta, senza alcuna deduzione”. Quindi i redditi di capitali sono
tassati
 al lordo, impedisce qualsiasi deduzione, sia di spese di produzione che di perdite di capitale;
 per cassa, gli interessi si presumono percepiti alla scadenza e nella misura pattuite.
Se le scadenze non sono pattuite, gli interessi si presumono percepiti nell'ammontare maturato nel periodo
d'imposta; se la misura non è determinata per iscritto, gli interessi si computano al saggio legale, stabilito
annualmente dal Ministro dell'economia.
L’altra presunzione riguarda i finanziamenti fatti dai soci alle società commerciali e agli enti commerciali.
Quindi, ex art. 46 T.u.i.r., quello che, ai fini fiscali, definisce la natura del rapporto, è il bilancio: le somme si
presumono date a mutuo se dal bilancio non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo.

3.I redditi di lavoro dipendente


Secondo l’art. 49 T.u.i.r., sono redditi di lavoro dipendente “quelli che derivano da rapporti aventi per
oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri,
compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione
sul lavoro”.
105
Quindi, costituiscono reddito di lavoro dipendente:
 redditi da lavoro dipendente, pubblico e privato,
 redditi del lavoro a domicilio, quando vi sia subordinazione tecnica del lavoratore rispetto
all'imprenditore,
 pensioni di ogni tipo e gli assegni ad esse equiparate, purché si colleghino ad un precedente rapporto
di impiego o servizio,
 le somme che il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore a seguito di sentenza di condanna
del giudice del lavoro.

3.1.Il principio di omnicomprensività.


La regola basilare in materia di determinazione del reddito di lavoro dipendente è l’art. 51 T.u.i.r., secondo
cui il reddito di lavoro dipendente è costituito da
 tutte le somme e i valore in genere, la retribuzione imponibile è costituita da tutti i compensi,
sono tassabili sia i redditi monetari che quelli in natura,
 tali somme a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni
liberali.
La tassazione è collegata alla
 percezione (principio di cassa),
 in relazione al rapporto di lavoro.
Fanno parte della base imponibile anche le liberalità che il lavoratore riceve dal datore di lavoro, i compensi
ricevuti sotto forma di partecipazioni agli utili.
I compensi sono imponibili nel periodo d'imposta in cui sono percepibili, per i redditi in natura si tiene
conto del momento in cui il lavoratore fruisce del servizio o riceve il bene.
I redditi percepiti entro il 12 gennaio si imputano al periodo d'imposta precedente.
Le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore a titolo di rimborso delle spese sostenute sono
comprese nella base imponibile del reddito del lavoratore, escluse le spese di viaggio e di trasporto
rimborsate dall'impresa e analiticamente documentate, mentre le spese effettivamente sostenute dal
lavoratore non sono deducibili.
Quando il lavoratore opera fuori dal territorio comunale, l'indennità di trasferta non è imponibile fino ad
un certo limite, oltre al quale l'indennità è imponibile.

3.2.Redditi in natura e “fringe benefit”.


Nella retribuzione imponibile sono compresi i compensi in natura (fringe benefit), ossia i benefici che il
datore di lavoro attribuisce ad alcuni lavoratori, in aggiunta alla normale attribuzione in danaro.
Tali benefici sono tassati come redditi del lavoratore. Per determinare il loro valore imponibile, sono
quantificati in base al loro valore normale. Non sono tassati quando il loro valore non supera, nel periodo di
imposta, l'importo di 258 Euro.

3.3.Redditi di lavoro dipendente non tassati.


Tuttavia la regola dell’omnicomprensività è largamente derogata.
Non sono tassati:
 i contributi che il datore di lavoro versa per l'assistenza, la previdenza e la sanità;
 le erogazioni liberali concesse in occasione di festività;
 le prestazioni di vitto, come la mensa aziendale;
 le prestazioni di servizi di trasporto collettivo.
Le azioni attribuite, con funzione retributiva, ai dipendenti (c.d. piani di azionariato diffuso), non sono
106
tassate, ma solo nei limiti di un importo di 2.065 Euro e a condizione che non siano riacquistate dalla
società emittente o dal datore di lavoro, o cedute prima che siano trascorsi 3 anni dalla percezione,. Se
le azioni sono cedute prima del triennio, l'importo è assoggettato a tassazione nel periodo d'imposta in
cui avviene la cessione.

3.4.Redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.


Esistono fattispecie reddituali, non propriamente di lavoro dipendente, che sono assimilate a quelle tipiche
di lavoro dipendente, tra cui ad esempio:
 i compensi percepiti dai lavoratori soci delle cooperative,
 le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi prestatori di lavoro dipendente per incarichi
svolti in base a tale qualità,
 le somme percepite a titolo di borsa di studio o per addestramento professionale,
 le remunerazioni dei sacerdoti,
 i compensi per l'attività di libero professionista intramuraria del personale dipendente del Servizio
sanitario nazionale,
 le indennità, i gettoni di presenza e i compensi corrisposti dallo Stato per l'esercizio di pubbliche
funzioni,
 le indennità dei parlamentari,
 le rendite vitalizie e le rendite a tempo determinato, costituite a titolo oneroso,
 gli assegni periodici,
 i compensi percepiti dai soggetti impegnati in lavori socialmente utili,
 capitali e rendite periodiche corrisposti da fondi pensione.
L’assimilazione di questi redditi a quelli di lavoro comporta che si applicano le regole previste per i redditi
di lavoro dipendente, ma per alcuni redditi vi sono abbattimenti della base imponibile a titolo di
deduzione forfettaria delle spese.
I redditi di lavoro, che non rientrano nella definizione di reddito di lavoro dipendente, e neppure nei casi
dei redditi assimilati, sono redditi di lavoro autonomo o redditi diversi.

3.5.I redditi di collaborazione coordinata e continuativa.


Sono assimilati ai redditi di lavoro i redditi derivanti da rapporti di collaborazione aventi per oggetto la
prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione, a favore di un determinato soggetto, nel quadro
di un rapporto unitario e continuativo, senza l'impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica
prestabilita; ad es.
 amministratore, sindaco e revisore di società e altri enti,
 collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili,
 partecipazioni a collegi e commissioni.
A tali tipologie di redditi si applicano tutte le norme di lavoro dipendente.

4.I redditi di lavoro autonomo.


Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano da un'attività lavorativa
 svolta in modo autonomo,
 abitualmente,
 di natura non commerciale, quindi non ha ad oggetto l'attività prevista all'art. 2195 c.c. che identifica
l'attività di impresa commerciale.

107
4.1.Determinazione dei redditi di lavoro autonomo.
La base imponibile dei redditi da lavoro autonomo è costituita
 principalmente dai compensi, cioè i corrispettivi
– percepiti a titolo di remunerazione dell'attività, comprese le somme ricevute a titolo di rimborso spese e
gli interessi moratori o per dilazione di pagamento, ed esclusi i rimborsi delle spese sostenute in nome e
per conto del cliente e i contributi previdenziali e assistenziali posti a carico del cliente;
– percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali, comunque riferibili all'attività
artistica o professionale;
 dalle plusvalenze dei beni strumentali e degli immobili, derivanti da cessione a titolo oneroso,
da risarcimento per perdita o danneggiamento; sono tassabili anche in caso di autoconsumo e di
destinazione a finalità estranee all'esercizio dell'attività professionale. La plusvalenza è la differenza tra il
corrispettivo o l'indennizzo e il costo non ammortizzato del bene.

Sono deducibili:
 le spese sostenute nell'esercizio della professione, cioè inerenti a tale esercizio, le spese si deducono
secondo il principio di cassa, nel periodo d'imposta in cui avviene il pagamento; di regola sono
integralmente deducibili;
 le minusvalenze dei beni strumentali: in caso di cessione di un bene strumentale verso un
corrispettivo inferiore al costo non ammortizzato, la minusvalenza è deducibile, lo stesso in caso di
risarcimento. Non sono deducibili le minusvalenze in caso di autoconsumo o destinazione del bene a
finalità estranee all'attività;
 il costo dei beni strumentali mobili e dei beni immateriali è deducibile con ammortamento, ma i
beni il cui costo non supera 516 Euro sono deducibili integralmente nell'anno di acquisto. I canoni di
leasing di beni mobili strumentali sono ammessi in deduzione nell'anno in cui maturano secondo i princìpi di
competenza economica, a condizione che la durata del contratto non sia inferiore a 1/2 del periodo di
ammortamento;
 le indennità di fine rapporto dovute ai dipendenti sono deducibili anno per anno, in base alla quota
maturata nel periodo d'imposta.
I costi di acquisto di immobili acquisiti dopo il 1 gennaio 2010 non sono deducibili, e neanche i canoni di
leasing.
Le spese di ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli immobili sono deducibili al limite di 5% del
costo complessivo dei beni ammortizzabili, l'eccedenza è deducibile in quote costanti nei 5 anni d'imposta
successivi.

Esistono regole particolari, con finalità antiabuso, per la deducibilità di alcuni costi come:
 le spese relative a beni di uso promiscuo (sia lavoro che personale) si deducono a metà;
 gli ammortamenti e le spese relative all'auto utilizzata nell'esercizio della professione sono
deducibili al 40%;
 le spese telefoniche sono deducibili per 80%;
 le spese per alberghi e ristoranti sono deducibili nel limite del 75% della spesa entro il limite
annuo del 2% dei compensi percepiti;
 le spese di rappresentanza sono deducibili nel limite del 1% dei compensi percepiti;
 le spese di partecipazione a convegni, corsi di aggiornamento professionale sono deducibili
a metà.
Non sono deducibili i compensi al coniuge o ai figli per prestazioni di lavoro dipendente,
collaborazioni coordinate e continuative o occasionali.
108
4.2.Redditi equiparati a quelli di lavoro autonomo.
I redditi derivanti dall'utilizzazione economica, da parte dell'autore o inventore, di opere di ingegno, brevetti,
sono deducibili per il 25% a titolo di spese di produzione; 40% se l'autore è di età inferiore a 35 anni.
Sono redditi di lavoro autonomo gli utili spettanti ai promotori e ai soci fondatori di società di capitali e
le indennità per cessazione di rapporti di agenzia.
In materia di determinazione dell’imponibile, a parte i costi deducibili in misura forfetaria dai diritti
d’autore, non sono ammesse deduzioni di costi per gli altri redditi equiparati a quelli di lavoro autonomo.

5.I redditi d'impresa.


Il reddito d'impresa è tassato con Irpef, come reddito degli imprenditori, e con Ires, come reddito delle
società ed enti.
Secondo l’art. 55 T.u.i.r. sono redditi di impresa quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali.
Per definizione è attività di impresa quella delle società commerciali.
Per gli imprenditori individuali si deve invece distinguere l'attività d'impresa dalle altre attività
economiche.
Per esercizio di imprese commerciali si intende l'esercizio per professione abituale, anche non esclusiva,
delle attività ex art. 2195 c.c.:
 le attività industriali dirette alla produzione di beni o servizi,
 le attività intermedie nella circolazione di beni,
 le attività di trasporto,
 l'attività bancaria o assicurativa,
 le attività ausiliarie a queste.
La definizione fiscale di impresa si basa sulla natura dell'attività, non su caratteristiche soggettive.
Costituiscono esercizio di impresa anche alcune attività connesse all'agricoltura, quelle che eccedono i
limiti per l'attività agricola. Sono redditi d'impresa i redditi derivanti dallo sfruttamento di miniere, cave,
torbiere, saline, laghi, acque interne.
Le attività commerciali sono tali, ai fini fiscali, anche se non organizzate in forma di impresa; tuttavia
sono redditi di impresa anche quelli derivanti dall'esercizio di attività organizzate in forma di impresa
dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'art. 2195 c.c.
In materia di servizi si ha quindi
 la produzione di servizi genera reddito di impresa anche se non organizzata in forma di impresa;
 la prestazione di servizi, fuori dai casi 2195 c.c., genera redditi d'impresa solo se organizzata in
forma di impresa;
 la prestazione di servizi, fuori dai casi ex art. 2195 c.c., e non organizzata in forma di impresa, è
attività di lavoro autonomo.
Nelle professioni intellettuali la presenza di organizzazione non vale a qualificare l'attività come impresa.

5.1.Determinazione del reddito degli imprenditori individuali.


Il reddito d’impresa degli imprenditori individuali e delle società delle persona commerciali (società in
nome collettivo e in accomandita semplice) è determinato con le regole dettate, in ambito IRES, per le
società e gli altri enti soggetti a tale imposta.
Per determinare il reddito Irpef degli imprenditori individuali bisogna considerare che
 tra i ricavi si comprende il valore normale dei beni destinati al consumo personale
dell'imprenditore o a finalità estranee all'esercizio dell'impresa, quindi anche se destinato ad uscire senza
corrispettivo: si ha un componente positivo di reddito tutte le volte che un bene cessa di appartenere
all'impresa;
109
 le plusvalenze che fruiscono del regime di participation exemption sono tassate solo nella misura
del 49,72%; le minusvalenze sono deducibili solo per il 49,72%;
 le plusvalenze realizzate con la cessione di aziende possono essere tassate separatamente. Il
trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo delle plusvalenze
dell'azienda, non si ha quindi tassazione della plusvalenza;
 non sono ammesse in deduzione i compensi per il lavoro prestato dallo stesso imprenditore o dai
suoi familiari;
 gli interessi passivi inerenti all'esercizio dell'impresa non sono deducibili relativamente alla quota dei
ricavi e proventi esenti rispetto al totale dei ricavi e proventi;
 le spese sostenute per l'acquisto o la locazione di beni mobili adibiti promiscuamente sono
ammortizzabili o deducibili al 50%; per le spese di acquisto di immobili ad uso promiscuo è deducibile per la
misura della rendita catastale o del canone di locazione, a condizione che il contribuente non disponga di altro
immobile adibito esclusivamente all'esercizio d'impresa;
 se il risultato dell'attività d'impresa è negativo, la perdita può essere portata in diminuzione del
reddito complessivo, al netto dei proventi esenti da imposta;
 per le imprese individuali sono beni relativi all'impresa i beni merci, i beni strumentali e i crediti
acquisiti nell'esercizio dell'impresa, i beni appartenenti all'imprenditore indicati tra le attività relative
all'impresa nell'inventario. Gli immobili strumentali si considerano relativi all'impresa solo se indicati
nell'inventario.

5.2.Le imprese minori.


Le imprese minori sono esercitate da persone fisiche e da società di persone, ed hanno ricavi inferiori a
309.874 Euro per le imprese che prestano servizi e di 516.456 Euro per le altre.
Possono optare per il regime ordinario di contabilità e di determinazione del reddito; altrimenti possono
tenere contabilità semplificata, cioè i registri Iva dove annotano tutti gli elementi rilevanti ai fini reddituali,
compresi i valori delle rimanenze.
Il regime speciale prevede che:
 l'imputazione è in base al principio di competenza;
 il reddito è costituito dalla differenza tra componenti passivi (ricavi, plusvalenze,
sopravvenienze, rimanenze di magazzino) e componenti negativi (spese documentate, perdite,
minusvalenze, giacenze di magazzino);
 gli unici accantonamenti consentiti sono quelli di quiescenza e previdenza; tutti gli altri,
presupponendo la redazione del bilancio, non sono consentiti;
 gli ammortamenti dei beni strumentali sono consentiti a condizione che sia tenuto il registro dei
cespiti ammortizzabili;
 si applicano le norme che limitano la deducibilità delle spese.

5.3.I contribuenti minimi.


I contribuenti minimi, cioè gli imprenditori e i lavoratori autonomi, possono usufruire di un regime
ulteriormente semplificato, purché nell'anno solare precedente abbiano realizzato ricavi o percepito
compensi inferiori a 30.000 Euro.
È necessario che
 non abbiano effettuato cessioni all'esportazione o servizi internazionali;
 non abbiano sostenuto spese per lavoratori dipendenti o collaboratori non occasionali, né
corrisposto somme a titolo di borsa di studio, ovvero sotto forma di utili da partecipazioni agli associati

110
che apportano solo lavoro;
 nel triennio solare precedente non abbiano acquistato beni strumentali di ammontare
complessivo superiore a 15.000 Euro.
Il reddito imponibile è determinato dalla differenza tra i compensi percepiti e le spese sostenute nel
periodo d'imposta, secondo il criterio di cassa.
Il reddito è assoggettato ad un'imposta sostitutiva dell'Irpef e delle addizionali con aliquota del 20%.
I contribuenti minimi non applicano l'Iva sulle loro prestazioni, non la detraggono dagli acquisti; sono
esenti Irap.
I contribuenti minimi devono presentare la dichiarazione dei redditi ma sono esonerati dagli obblighi di
registrazione e di tenuta delle scritture contabili e dagli studi di settore.
Il regime cessa a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in cui vengono meno i requisiti previsti o
si verifica una causa di esclusione.
In caso di superamento in corso d'anno dell'ammontare di 45.000 Euro di ricavi o compensi, il regime
cessa immediatamente, con il passaggio al regime ordinario per l'intero periodo d'imposta.

5.4.Le società di comodo.


Le società commerciali i cui ricavi sono inferiori ad un certo importo, determinato in una percentuale
delle attività patrimoniali, sono considerate società di comodo, e quindi soggette ad imposta sulla base di
un imponibile minimo presunto, in rapporto al patrimonio. È una presunzione relativa, la prova contraria
vince la presunzione.

6.I redditi diversi.


Comprendono tutte le ipotesi reddituali non riconducibili alle altre categorie. Vi rientrano:
 le plusvalenze immobiliari, non sono realizzate nel contesto di un'attività economica di tipo
continuativo, in particolare quelle
– realizzate con la lottizzazione di terreni e la successiva vendita dei terreni o degli edifici;
– realizzate con la cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati da non più di 5 anni, esclusi gli
immobili acquisiti per successione e le unità immobiliari che per la maggior parte del periodo tra
l'acquisto e la cessione sono adibite ad abitazione principale dal cedente o suoi familiari;
 Plusvalenze delle partecipazioni, realizzate con
– la cessione di azioni o altre partecipazioni sociali,
– la cessione di titoli obbligazionari o di strumenti finanziari;
Sono redditi diversi le plusvalenze realizzate quando un titolo viene venduto ad un prezzo superiore a quello
di acquisto.
Le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate sono soggette ad imposizione per il
49,72% del loro ammontare.
Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate sono soggette ad
imposta sostitutiva del 12,50%.
Sono redditi diversi anche:
– le plusvalenze derivanti dalla cessione di contratti di associazione in partecipazione con apporto di
capitale;
– le plusvalenze realizzate con la cessione di strumenti finanziari assimilati alle azioni.
 Altri oneri, come:
– i redditi di natura fondiaria, la cui quantificazione non è data dal catasto,
– i redditi delle sublocazioni,
– i redditi dei beni immobili situati all'estero,

111
– i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente,
– i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente,
– il reddito di chi dà l'azienda in affitto,
– i redditi derivanti dalla concessione in usufrutto e dalla sublocazione di beni immobili, dall'affitto,
locazione, noleggio e concessione in uso di veicoli,
– le vincite delle lotterie, dei giochi e concorsi a premio,
– i primi ricevuti come riconoscimento di meriti artistici, scientifici e sociali, – i proventi illeciti,
– i redditi che derivano dall'assunzione di obbligazioni di fare, non fare e premettere.
I redditi diversi sono tassati al momento del realizzo ma al netto delle spese ed oneri di produzione e non
sono soggetti a ritenute alla fonte.

Capitolo Diciannovesimo. L'IMPOSTA SUL REDDITO DELLE SOCIETA’

SEZIONE PRIMA: I SOGGETTI PASSIVI

1.I soggetti passivi.


L'Ires è un'imposta proporzionale che colpisce il reddito delle società e di altri enti collettivi. Sono soggetti
passivi ad Ires:
 le società di capitali, cioè società per azioni, società in accomandita per azioni, società a
responsabilità limitata, le cooperative, le società di mutua assicurazione;
 gli enti commerciali, aventi cioè come oggetto esclusivo o principale della propria attività l'esercizio
di un'attività commerciale;
 gli enti non commerciali, che non svolgono attività commerciale o la svolgono come attività non
principale;
 le società e gli enti non residenti.
Non sono soggetti ad Ires le società di persone, i cui redditi sono imputati ai soci, e alcuni enti pubblici,
che ne sono esenti.
Il trust è soggetto passivo ad Ires se non vi sono beneficiari individuati: se ci fossero i suoi redditi sarebbero
imputati ai beneficiari come redditi di capitale.
Si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno la sede
legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato. Si ha una presunzione
legale di residenza fiscale in Italia per
 le società estere che detengono partecipazioni di controllo in società italiane e che a loro volta
sono controllate da soggetti residenti;
 le società estere che sono amministrate da un organo prevalentemente composto da persone
residenti in Italia;
 i trust esteri istituiti in paesi con cui non sono stati stipulati trattati che prevedono lo scambio
di informazioni se
– almeno un disponente e un beneficiario sono residenti in Italia, è ammessa prova contraria,
– il disponente ha trasferito in trust immobili o diritti reali immobiliari.

2.Tassazione delle società versus tassazione dei soci.


Per i soggetti il cui scopo è produrre utili da distribuire ai soci, e che quindi non sono soggetti ultimi
dell'imposizione poiché il reddito prodotto è destinato ai soci, si pone il problema di coordinare la tassazione
del reddito delle società con la tassazione dei dividendi del socio, per evitare la doppia imposizione
112
economica.
Si può adottare:
 sistema della trasparenza: la società non è tassata, sono tassati solo i soci, ai quali è imputato il
reddito della società;
 sistema del credito d'imposta: viene accreditata al socio l'imposta che colpisce i redditi della società; è
ora usato per tassare i redditi provenienti dall'estero;
 sistema dell'esenzione dei dividendi, quando il socio sia anch'esso una società;
 tassazione ridotta dei redditi del socio, applicata solo ai soci persone fisiche.
Nel nostro ordinamento l'imposta dovuta dalla società non è imputata al socio; i dividendi, se distribuiti
a soci aventi forma di società di capitali, non sono tassati o sono tassati al 5%. Sono tassati soltanto i
dividendi che escono dal circuito inter-societario, e sono distribuiti a soci persone fisiche.

3.Le società e gli enti commerciali. Il reddito complessivo.


Gli enti non commerciali possono esser titolari di redditi d'impresa e di altri redditi.
Il reddito delle società e degli enti commerciali residenti è invece reddito d'impresa, da qualsiasi fonte
provenga.
Il reddito complessivo è determinato sulla base del bilancio: al risultato del conto economico (utile o
perdita) si apportano le variazioni, in aumento o in diminuzione, derivanti dall'applicazione delle norme
fiscali che disciplinano il reddito d'impresa.
Per i soggetti che redigono il bilancio in base ai princìpi contabili internazionali, il reddito complessivo
è determinato senza apportare variazioni ai criteri di qualificazione, imputazione temporale e
classificazione in bilancio.

3.1.Il riporto delle perdite.


La perdita di un periodo d'imposta può essere portata in diminuzione del reddito dei periodi d'imposta
successivi, ma non oltre il 5° anno.
Le perdite dei primi 3 periodi d'imposta possono essere riportate a nuovo senza alcun limite di tempo,
dalla data di costituzione, purché si riferisca ad una nuova attività produttiva.
Per i soggetti i cui utili sono esenti, il riporto è limitato alle sole perdite fiscali che eccedono l'utile detassato
negli esercizi precedenti.
La perdita fiscale riportabile è solo quella eccedente i proventi esenti al netto dei componenti negativi
indeducibili.
Il riporto della perdita non è ammesso quando
 si abbia il mutamento della maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee
ordinarie;
 si abbia modificazione dell'attività principale in fatto esercitata nei periodi d'imposta in cui le
perdite sono state realizzate.
Non si ha limitazione al riporto quando le partecipazioni riguardino società che nel biennio precedente
abbiano rispettato gli indici di vitalità:
 abbiano un numero di dipendenti superiore a 10,
 l'ammontare dei ricavi e delle spese per prestazioni di lavoro subordinato sia superiore al 40%
della media degli ultimi due esercizi precedenti.

4.Gli enti non commerciali.


Per stabilire se l'attività di un ente sia commerciale o meno, bisogna prima di tutto stabilire l'oggetto
della sua attività, determinato in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto; se manca l'atto costitutivo
113
e lo statuto si determina in base all'attività effettivamente esercitata.
L'oggetto principale è l'attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge,
dall'atto costitutivo o dallo statuto. Gli enti che esercitano più attività diverse sono non commerciali
quando l'attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari non è commerciale.
Gli enti perdono la qualifica di non commerciali, prescindendo da quanto previsto dallo statuto, quando
esercitino prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d'imposta, considerando
 la prevalenza delle immobilizzazioni relative all'attività commerciale rispetto alle restanti attività;
 la prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o
prestazioni afferenti le attività istituzionali;
 la prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali;
 la prevalenza delle componenti negative inerenti all'attività commerciale rispetto alle restanti
spese.

4.1.La tassazione degli enti non commerciali.


Il reddito complessivo imponibile degli enti non commerciali è la somma
 dei redditi fondiari,
 di capitale,
 d'impresa,
 dei redditi diversi posseduti da tali enti.
Al reddito complessivo si sottraggono le perdite derivanti dall'esercizio di imprese commerciali; le perdite
devono essere portate in diminuzione dei redditi della stessa fonte.
Si applica un regime di detassazione dei dividendi al 95% del loro ammontare.
L'ente non commerciale, se svolge attività d'impresa, è tenuto a istituire una contabilità separata,
distinguendo quello che inerisce all'attività d'impresa da ciò che inerisce all'attività istituzionale.
Le spese specificamente inerenti all'attività commerciale sono deducibili per intero; le spese
specificamente inerenti ad attività non imponibile non sono deducibili; le spese ad utilizzazione promiscua
sono deducibili in parte.
Gli enti ammessi al regime di contabilità semplificata possono optare per la determinazione forfettaria
del reddito d'impresa, in percentuale della somma dei componenti positivi.

4.2.Gli enti di tipo associativo.


Gli enti di tipo associativo sono non commerciali quando l'attività
 è rivolta agli associati e partecipanti,
 non è retribuita con corrispettivi specifici.
Se manca un requisito, l'attività è commerciale.
Per le associazioni politiche, sindacali, religiose, assistenziali, culturali, sportive, le attività svolte verso
corrispettivo non sono commerciali se svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali.

5.Gli enti non residenti. Rinvio.


Per le società ed enti non residenti, si veda il capitolo Fiscalità transnazionale.

SEZIONE SECONDA: IL REDDITO D'IMPRESA

6.Determinazione del reddito d’impresa


L’art. 83 T.u.i.r. prevede che il reddito complessivo è determinato apportando all'utile o alla perdita
114
risultante dal conto economico, relativo all'esercizio chiuso nel periodo d'imposta, le variazioni in aumento o
in diminuzione conseguenti all'applicazione dei criteri stabiliti.
Il risultato (utile o perdita) del conto economico è fiscalmente rilevante e quindi sono indirettamente rilevanti
tutte le componenti positive e negative che concorrono a determinarlo: le componenti positive sono
tassabili anche se non espressamente contemplate nelle norme fiscali sui componenti positivi. In materia di
componenti positive le norme fiscali determinano le modalità di tassazione, le norme sui componenti negativi
determinano le particolari condizioni, tempi e modalità cui è subordinata la deduzione di alcuni
componenti.

7.Cenni sul bilancio di esercizio e sui principi contabili internazionali.


Il reddito d'impresa è condizionato dai princìpi contabili internazionali.
Il bilancio di esercizio è costituito da
 stato patrimoniale, rappresenta la situazione patrimoniale e finanziaria della società, regolato all'art.
2424 c.c.;
 conto economico, rappresenta le spese e i costi sostenuti, i ricavi e proventi conseguiti in un dato
arco temporale (periodo amministrativo o esercizio), regolato all'art. 2425 c.c.
Lo stato patrimoniale raggruppa le attività in
 crediti verso i soci per versamenti ancora dovuti,
 immobilizzazioni,
 attivo circolante,
 ratei e risconti.
Il passivo dello stato patrimoniale si divide in:
 patrimonio netto, devono esservi indicati:
– il capitale sociale,
– le riserve,
– gli utili o perdite degli esercizi precedenti portati a nuovo,
– l'utile o perdita dell'esercizio;
 fondi per rischi ed oneri, sono costituiti quando il debito è certo nell'an ma non nel quantum, o
quando costituisce conseguenza probabile di un evento verificatosi nell'esercizio; fiscalmente invece
sono computabili solo le passività certe, i fondi o accantonamenti sono deducibili solo in ipotesi
tassativamente previste;
 trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato,
 debiti, sono iscritti quando vi è certezza sull'esistenza e sull'ammontare del debito;
 ratei e risconti.
Il conto economico indica:
a) valore della produzione, comprende i ricavi e le variazioni delle rimanenze, il totale indica la
produzione ottenuta dalla gestione;
b) costi della produzione, indica gli acquisiti di beni, i salari, gli stipendi, gli ammortamenti, le
svalutazioni, gli affitti e i canoni di leasing, quanto non rientra in queste voci rientra nelle spese per servizi o
negli oneri diversi di gestione;
 differenza tra valore e costo della produzione, indica il reddito operativo
c) proventi ed oneri finanziari;
d) rettifiche di valore di attività finanziarie;
e) proventi ed oneri straordinari;
 risultato prima delle imposte, è elemento costitutivo dell'imponibile;

115
f) imposte sul reddito dell'esercizio,
 utile o perdita dell'esercizio.
A) e b) sono gestione ordinaria, c) e d) sono gestione finanziaria, e) è gestione straordinaria. Secondo il
principio della realizzazione non sono iscritti a bilancio i plusvalori non realizzati.
Le società che applicano i princìpi contabili internazionali IAS e IFRS non applicano tali regole civilistiche. In
base ai princìpi contabili internazionali sono obbligati a redigere il bilancio consolidato e il bilancio
annuale
 le società quotate,
 le società con strumenti finanziari diffusi presso il pubblico;
 le banche e gli intermediari finanziari sottoposti a vigilanza della Banca d'Italia;
 le imprese assicurative quotate e non obbligate a redigere bilancio consolidato.
I plusvalori, in alcuni casi sono iscritti a conto economico quali componenti positivi del risultato d'esercizio, in
altri sono considerati una rivalutazione e comportano l'iscrizione del corrispondente importo in una riserva del
patrimonio netto. Il plusvalore non concorre alla formazione del risultato d'esercizio.
Al risultato del conto economico si applicano variazioni fiscali.

8.Le norme fiscali sul reddito d’impresa.


Le norme fiscali possono essere
 a tutela del fisco,
 a tutela del contribuente,
 neutre, quando mirano a dare certezza al rapporto d'imposta e stabiliscono dei parametri rigidi,
prevenendo il sorgere di controversie.
Le norme fiscali sul reddito d'impresa possono essere inquadrate in base all'inerenza, alla
competenza o ad altri princìpi generali.
Alcune norme hanno contenuti forfettari: alcuni componenti del reddito d'impresa derivano da
corrispettivi contrattuali o da altri valori numerari, ma molti altri sono frutto di una stima. Le norme fiscali
dettano dei parametri per impedire il sorgere di controversie.
Le norme fiscali comportano delle variazioni rispetto ai dati del bilancio:
 possono aumentare il reddito imponibile rispetto all'utile civilistico variando in aumento un
componente positivo del conto economico; Es. la norma che impone, per le operazioni tra società
controllate, di tener conto del valore normale dei beni che la società italiana ha venduto ad una
società controllata estera al posto del corrispettivo pattuito e contabilizzato, se il valore normale è
superiore al corrispettivo;
 possono aumentare il reddito imponibile rispetto all'utile civilistico eliminando o riducendo un
componente negativo del conto economico;
 possono ridurre il reddito imponibile rispetto all'utile civilistico eliminando o riducendo un
componente positivo del conto economico; ad Es. quando il conto economico contiene ricavi o proventi
esenti, o non soggetti al regime ordinario di tassazione, quando la tassazione di un componente
positivo di reddito non avviene nell'anno in cui si realizza civilisticamente;
 possono ridurre il reddito imponibile rispetto all'utile civilistico consentendo di tener conto di
componenti negativi non presenti, o presenti in misura minore, nel conto economico.
Le norme fiscali possono determinare una variazione definitiva o temporanea. Le variazioni possono
avere effetti permanenti.
Le variazioni fiscali possono essere in aumento e in diminuzione.

116
9.Il principio di competenza
L'attività d'impresa è frazionata in esercizi sociali annui, ad ogni esercizio corrisponde un periodo d'imposta.
Per l'imputazione temporale dei componenti che concorrono a determinare il reddito d'impresa si fa
riferimento al principio di competenza economica: i ricavi devono essere imputati all'esercizio in cui sono
conseguiti in senso economico, quando avviene lo scambio con i terzi; i costi assumono rilievo quando
sono realizzati i ricavi che contribuiscono a produrre, secondo il principio di correlazione dei costi ai
ricavi. In particolare,
 per la cessione di beni mobili, i corrispettivi si considerano conseguiti alla data della consegna o
spedizione;
 i corrispettivi per la cessione di immobili e aziende si considerando conseguiti alla data di
stipulazione dell'atto;
 il ricavo per la prestazione di servizi è imputabile all'esercizio in cui la prestazione è
ultimata; in caso di prestazioni periodiche rileva la data di maturazione dei corrispettivi.
Si prescinde perciò dal considerare la data in cui è incassato il corrispettivo o la data in cui viene pagato il
prezzo di acquisto di un bene o di un servizi.
Il principio di competenza economica comporta che i costi siano dedotti nell'esercizio in cui sono conseguiti i
ricavi che hanno concorso a produrre, in quanto i costi sono correlati ai ricavi, e non sono dedotti
nell'esercizio in cui sono sostenuti.

9.1.Deroghe al principio di competenza economica.


Il principio di competenza economica ha delle deroghe:
 se i costi non sono certi nell'an, ma oggettivamente determinabili nel quantum, non sono
deducibili nell'esercizio di competenza, ma nel successivo periodo in cui divengono certi nell'an e
quantificabili con criteri oggettivi: nel periodo di competenza in cui è imputato al conto economico, deve
essere operata una variazione in aumento, controbilanciata da una variazione in diminuzione nel periodo
d'imposta in cui il costo acquisterà i requisiti di certezza e di oggettiva determinabilità richiesti ai fini
fiscali;
 se i ricavi non sono certi ed oggettivamente determinabili, non sono da computare ai fini fiscali
nell'esercizio di competenza, ma nel successivo esercizio in cui la loro esistenza diventa certa ed il loro
ammontare determinabile in modo oggettivo;
 gli oneri fiscali e contributivi, e i compensi dovuti agli amministratori sono deducibili per cassa;
 agli interessi di mora si applica il principio di cassa;
 gli utili delle partecipate, approvati ma non distribuiti, non formano il reddito della società
partecipante, anche se inseriti nel bilancio di questa in base al principio di competenza: ne deriva una
variazione in diminuzione nell'anno di competenza, ed una variazione in aumento nell'anno di distribuzione;
 la tassazione delle plusvalenze dei beni relativi all'impresa può avvenire in modo
dilazionato;
 le sopravvenienze attive conseguite a titolo di contributo o liberalità, che concorrono a formare il
reddito imponibile per intero nell'esercizio in cui sono incassati, derogano al principio di competenza.

10-I beni dell’impresa e id il “valore fiscalmente riconosciuto”.


I beni relativi all'impresa sono
 per le società tutti i beni che possiedono;
 per l'imprenditore individuale tutti i beni che non sono personali;
 per le imprese individuali

117
– le merci,
– i beni strumentali,
– i crediti acquisiti nell'esercizio d'impresa,
– beni inventariati,
– gli immobili, anche se strumentali, se inclusi nell'inventario;
 per le società di fatto
– le merci,
– i beni strumentali,
– i crediti commerciali,
– i beni mobili e immobili iscritti nei pubblici registri a nome dei soci utilizzati in via esclusiva per lo
svolgimento dell'attività d'impresa.
I beni relativi all'impresa si distinguono in:
 beni merce, cui è diretta l'attività di produzione o scambio dell'impresa, le partecipazioni e i titoli
che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie. La cessione di beni merce genera ricavi. Sono rilevati e
valutati come rimanenze. Alla somma dei beni merce prodotti o acquisiti da un'impresa in un esercizio e di
quelli residuati da precedenti esercizi (rimanenze iniziali di magazzino) deve corrispondere la somma dei beni
alienati nell'esercizio e di quelli giacenti in magazzino alla fine dell'esercizio (rimanenze finali): le rimanenze di
magazzino trasferiscono il costo dei beni invenduti da un esercizio all'altro, il costo d'acquisto è
imputato all'esercizio in cui genera ricavi; le variazioni delle giacenze di magazzino concorrono sempre
a formare il reddito;
 beni strumentali, sono inseriti nel processo produttivo dell'impresa in modo durevole, quindi sono
utilizzati in più esercizi; la loro cessione genera plusvalenze e minusvalenze. Sono rilevati al costo nello
stato patrimoniale dell'esercizio di acquisizione, saranno ammortizzati a partire dall'esercizio in cui entrano
in funzione;
 beni meramente patrimoniali, sono una categoria residuale; la loro cessione genera
plusvalenze e minusvalenze. Sono rilevati al costo nello stato patrimoniale dell'esercizio di acquisizione.
L'elemento costitutivo iniziale del valore fiscalmente riconosciuto è il costo, cioè il corrispettivo pagato
per l'acquisto del bene, in caso di provenienza esterna, o dal costo di fabbricazione, in caso di
provenienza interna. Il costo di un bene comprende anche gli oneri di diretta imputazione connessi
all'acquisto e al suo inserimento nel ciclo produttivo.
Il valore fiscalmente riconosciuto dei beni strumentali è ridotto per effetto degli ammortamenti.

11.I singoli componenti positivi. I ricavi.


I ricavi sono i corrispettivi della cessione di merci e delle prestazioni di servizi; si ha ricavo quando il
corrispettivo si considera conseguito, secondo il principio di competenza. Derivano anche da indennità, da
contributi e dal distacco di un bene dalla sfera dell'impresa senza corrispettivo.
A norma dell’art. 85 T.u.i.r. sono ricavi:
• i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o scambio è
diretta l'attività dell'impresa;
 i corrispettivi delle cessioni di materie prime e sussidiarie, di beni mobili, esclusi quelli strumentali,
acquistati o prodotti per esser impiegati nella produzione;
 i corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di partecipazione in società, quando sono equiparate
alle merci;
 le indennità conseguite a titolo di risarcimento per la perdita o il danneggiamento di beni la cui
cessione genera ricavi;
 i contributi in denaro, o il valore normale di quelli in natura, spettanti sotto qualsiasi
118
denominazione in base a contratto;
 i contributi spettanti esclusivamente in conto esercizio a norma di legge, che integrano i ricavi: i
contributi pubblici dati in conto capitale costituiscono sopravvenienze attive, i contributi contrattuali sono
dei normali corrispettivi;
 il bene merce fuoriuscito dall'impresa senza corrispettivo, sarà quantificato sulla base del valore
normale del bene.

11.1.Le plusvalenze patrimoniali.


Plusvalenza è una differenza positiva tra due valori dello stesso bene in due momenti diversi; non riguarda
mai i beni merce.
La plusvalenza è tassabile quando sono realizzate con
 cessione a titolo oneroso, risarcimento o conferimento in società;
 distacco del bene dall'impresa mediante assegnazione ai soci, autoconsumo o destinazione a finalità
estranee all'esercizio d'impresa;
 trasferimento all'estero della sede di impresa o della residenza dell'imprenditore, con perdita della
residenza fiscale italiana; non determina la tassabilità se il bene rimane in Italia nell'ambito di una stabile
organizzazione, continuando ad essere soggetto in Italia al regime dei bene d'impresa.
È quindi tassabile tutte le volte in cui viene a cessare il legame tra attività d'impresa e bene
plusvalente.
Le plusvalenze iscritte non sono fiscalmente rilevanti.
Il valore base è dato dal valore fiscalmente riconosciuto, cioè dal costo del bene incrementato e ridotto
dalle variazioni derivanti dall'applicazione delle norme tributarie.
I beni strumentali sono iscritti nell'attivo dello stato patrimoniale per un valore pari al costo, valore che
decresce per effetto degli ammortamenti: è pari alla differenza tra costo fiscale e ammortamenti, cioè pari al
costo fiscale non ammortizzato.
Il valore finale è dato dal corrispettivo; se non c'è un corrispettivo si considera il valore normale.
Le plusvalenze realizzate concorrono a formare il reddito, a scelta del contribuente, nell'esercizio di
competenza o in quote costanti nell'esercizio stesso e nei successivi non oltre quarto.
La rateizzazione è consentita solo per i beni posseduti per un periodo non inferiore a 3 anni ed è attuata
con le variazioni.

11.2.Le plusvalenze tassabili da partecipazioni immobilizzate.


I titoli o quote di partecipazione in società ed enti sono beni d'impresa.
Nello stato patrimoniale
 fanno parte dell'attivo circolante quando costituiscono un impiego transitorio di liquidità; i titoli di
partecipazioni in società di capitali che fanno parte dell'attivo circolante sono equiparati alle merci e la
loro cessione genera ricavi;
 fanno parte delle immobilizzazioni finanziarie quando costituiscono un investimento durevole;
la cessione titoli di partecipazioni in società di capitali che costituiscono immobilizzazioni finanziarie
danno origine a plusvalenze.

11.3.Le plusvalenze esenti (partecipation exemption)


In ambito Ires l'esenzione delle plusvalenze è del 95% (participation exemption), ed ha come
fondamento l'assunto che la tassazione delle plusvalenze del socio duplicherebbe la tassazione dei redditi
della società partecipata. Per lo stesso motivo anche i dividendi non sono tassati.
Perché sussista l'esenzione è necessario che:

119
 le partecipazioni siano detenute ininterrottamente dal primo giorno del dodicesimo mese
precedente quello dell'alienazione, con presunzione assoluta di previa cessione delle azioni o quote acquisite
in data più recente, quindi l'esenzione non si applica agli investimenti di breve periodo;
 le partecipazioni siano iscritte fra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il
periodo di possesso; anche se dopo l'iscrizione fra le immobilizzazioni la partecipazione dovesse essere
iscritta nell'attivo circolante, il diritto all'esenzione non verrebbe meno; l'originaria iscrizione nell'attivo
circolante invece preclude definitivamente l'accesso al regime di esenzione;
 la società partecipata non abbia sede in un paese a regime fiscale privilegiato; condizione che al
momento del realizzo della plusvalenza deve essere integrata ininterrottamente fin dal terzo periodo di
imposta anteriore al realizzo;
 la società partecipata svolga un'effettiva attività commerciale; condizione che al momento del
realizzo della plusvalenza deve essere integrata ininterrottamente fin dal terzo periodo di imposta anteriore al
realizzo.

11.4.Conseguenze della partecipation exemption.


L’esenzione delle plusvalenze derivanti da partecipazioni dotate dei requisiti sopra elencati, per i soggetti
passivi Ires, è del 95%. L'esenzione per gli imprenditori individuali è pari al 49,72%.
L'amministrazione finanziaria può disconoscere le classificazioni di bilancio che hanno carattere elusivo.
Le minusvalenze meramente iscritte non hanno rilevanza fiscale; quelle realizzate sono
integralmente irrilevanti se derivano da partecipazioni con i requisiti della participation exemption, e sono
deducibili se derivano da partecipazioni cui si applica tale regime.
Per gli imprenditori individuali e le società commerciali di persone le minusvalenze realizzate derivanti da
partecipazioni con i requisiti dell'esenzione sono indeducibili in misura corrispondente alla percentuale
dell'esenzione.
L'esenzione delle plusvalenze comporta l'indeducibilità dei costi connessi alle partecipazioni esenti; le
plusvalenze delle partecipazioni non sono tassate in quanto esenti, i dividendi non sono tassati in quanto
esclusi: i costi inerenti ai proventi esclusi sono deducibili mentre quelli inerenti ai proventi esenti non sono
deducibili.
L'esenzione non riguarda le plusvalenze delle aziende: se viene ceduta una partecipazione, la plusvalenza
non viene tassata; se viene ceduta un'azienda la plusvalenza è tassabile, e chi acquista può dedurre il
costo.
Può accadere che, in un periodo successivo a quello di competenza, si verifichino eventi che danno, ad un
fatto già contabilizzato, un esito diverso da quello contabilizzato.

11.5Le sopravvenienze attive.


Le sopravvenienze sono eventi che modificano componenti positivi o negativi di reddito che hanno già
concorso alla formazione del reddito in precedenti esercizi; possono essere sia attive che passive.
Le sopravvenienze attive si distinguono in:
 attive in senso stretto/proprio, possono derivare da
– conseguimento di ricavi o altri proventi a fronte di spese, perdite o oneri dedotti o di passività iscritte in
bilancio in precedenti esercizi, es. conseguimento di indennizzi per i danni subiti;
– conseguimento di ricavi in maniera superiore a quella che ha concorso a formare il reddito in
precedenti esercizi, es. conseguimento di maggiori corrispettivi a seguito di revisione contrattuale;
– sopravvenuta insussistenza di componenti negative dedotte in precedenti esercizi
 attive in senso lato/improprie, che derivano da un evento estraneo alla normale gestione
dell'impresa, come:

120
– le indennità conseguente a titolo di risarcimento per danni non connessi alla perdita di beni che
generano ricavi o plusvalenze;
– i proventi conseguiti a titolo di contributo o liberalità.
Non costituiscono sopravvenienze attive i versamenti a fondo perduto o in conto capitale effettuati dai
soci in società né la riduzione dei debiti derivanti da concordati fallimentari o preventivi.

11.6.I dividenti e gli interessi attivi.


I dividendi percepiti da società soggette ad Ires sono tassati secondo il principio di cassa, al momento
della percezione:
 se è applicato il regime di trasparenza, sono tassati al 5%, e sono esclusi al 95%: i costi di gestione
sono deducibili ma nella misura forfettaria del 5% dei dividendi;
 i dividendi percepiti da imprenditori individuali o società commerciali di persone sono tassati al
49,72% del loro ammontare;
 i dividendi percepiti dai soggetti che redigono il bilancio in base ai princìpi contabili
internazionali concorrono alla formazione del reddito imponibile
– per intero se derivano da azioni e strumenti finanziari similari detenuti per la negoziazione;
– al 5% se derivano da azioni o strumenti finanziari diversi, cioè da immobilizzazioni finanziarie.
Questo regime si applica sia che i dividendi siano distribuiti da società residenti in Italia, sia ai dividendi
distribuiti da società non residenti, a condizione che nello Stato estero l'importo sia interamente deducibile
dal reddito della società estera che li distribuisce.
 Gli utili provenienti da società controllate e collegate residenti in paesi considerati a regime fiscale
privilegiato sono soggetti a tassazione integrale, non costituendo doppia imposizione.
La non tassazione dei dividendi è legata all'irrilevanza delle plusvalenze e delle minusvalenze delle
partecipazioni immobilizzate.
L'esclusione al 95% si applica alla remunerazione che il soggetto Ires percepisce a fronte di titoli e strumenti
finanziari assimilati alle azioni o come associato in contratti di associazione in partecipazione con
apporto di capitale, in quanto vengono assimilate ai dividendi.
A differenza dei dividendi, gli interessi attivi concorrono a formare il reddito imponibile per
l'ammontare maturato nel periodo d'imposta (principio di competenza).
Se la misura del tasso d'interesse è prevista in un contratto scritto, gli interessi devono essere
computati nella misura concordata, altrimenti si ha una presunzione di fruttuosità del credito al saggio di
interesse legale.
Queste regole disciplinano
 interessi attivi da mutui, depositi, conti correnti bancari e postali, obbligazioni e titoli similari;
 interessi compensativi o per dilazione di pagamento o per rimborsi di imposta;
 interessi attivi derivanti dalle operazioni di pronti contro termine.
Sono esclusi gli interessi di mora.

11.7.Gli immobili e i proventi immobiliari.


I beni diversi da quelli che generano ricavi devono essere distinti in beni strumentali e beni meramente
patrimoniali. Si ha così una tripartizione.
Ai beni di impresa è attribuito un valore fiscalmente riconosciuto:
 il valore dei beni merci è dato dalle norme in tema di costi e rimanenze, riguarda gruppi omogenei
di merci e non singoli beni;
 il valore dei beni strumentali riguarda i singoli beni ed è dato dal costo ridotto dagli
ammortamenti e aumentato dalle rivalutazioni fiscalmente rilevanti (costo fiscalmente riconosciuto del
121
bene), che sarà base di confronto quando il bene è alienato.
Di regola gli immobili appartenenti alle imprese concorrono alla produzione di reddito d'impresa; quindi gli
immobili che costituiscono beni alla cui produzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa,
comportano costi e ricavi come i beni merce.
Gli immobili strumentali rilevano come beni dell'impresa in ragione dei costi e dei proventi effettivi.
Il reddito degli immobili meramente patrimoniali è quantificato in base all'estimo catastale; i costi e i
proventi, realizzati in conto economico, sono irrilevanti in quanto sostituiti dalla rendita catastale.

12.Proventi non reddituali (sovraprezzi di emissione e annullamento di azioni proprie).


I sovrapprezzi di emissione delle azioni o quote sono le somme percepite dalla società per l'emissione di azioni
ad un prezzo superiore al valore nominale.
Gli interessi di conguaglio sono somme che i sottoscrittori di nuove azioni corrispondono in aggiunta al
prezzo delle azioni, per porsi in un piano di parità con i precedenti azionisti.
Sovrapprezzi azionari e interessi di conguaglio sono entrate patrimoniali, aventi natura di
conferimenti: la distribuzione ai soci di riserve costituite con sovrapprezzi di emissione di azioni e con
interessi di conguaglio non costituisce reddito per i soci ma restituzione di conferimenti.

13.Regole generali in tema di deducibilità dei componenti negativi.


Per poter dedurre un costo o una spesa, si seguono i criteri di
 l'inerenza del componente negativo all'attività dell'impresa, un nesso funzionale che leghi il costo
alla vita dell'impresa.
Per le società che fanno parte dello stesso gruppo, i costi che una società ha sopportato nell'interesse di
altre società del gruppo o di tutto il gruppo devono essere ripartiti tra tutte le società che ne traggono
beneficio.
Gli uffici possono disconoscere la deducibilità di una spesa solo quando può ritenersi che la spesa non è fatta
in funzione dell'impresa ma per altri scopi ad essa estranei. Non ha rilievo la natura giuridica del negozio
da cui scaturisce il costo.
In alcuni casi il legislatore ha posto regole rigide per la non deducibilità, totale o parziale, di determinati costi,
per motivi di inerenza, ad es. limitando la deduzione delle spese di rappresentanza.
Gli oneri di utilità sociale sono spese non inerenti, tuttavia sono ammessi in deduzione, per favorire il
finanziamento di attività meritevoli di incentivazione.
Esistono limiti anche alla deducibilità dei costi inerenti, quando si tratti di costi non riferibili ai proventi o
ricavi non imponibili:
– i costi che si riferiscono ad attività o beni imponibili o proventi esclusi sono integralmente
deducibili;
– i costi che si riferiscono esclusivamente ad attività o beni esenti non sono deducibili;
– i costi che si riferiscono, promiscuamente, ad operazioni imponibili e ad operazioni esenti sono
deducibili in parte;
– non sono soggetti alla regola dell'inerenza gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale.
 Il principio di competenza;
 l'iscrizione nel conto economico: i componenti negativi non sono deducibili se non sono imputati al
conto economico dell'esercizio di competenza. Sono previste deroghe alla previa imputazione a conto
economico:
– per i componenti negativi iscritti nel conto economico di un esercizio precedente è ammesso uno
scomputo se la deduzione è stata rinviata in conformità alle norme che dispongono o consentono il rinvio:
se i costi imputati all'esercizio di competenza, e quindi iscritti nel relativo conto economico, sono

122
deducibili fiscalmente solo in un periodo successivo, quando diventano certi e oggettivamente determinabili,
devono esser deducibili in tale esercizio, senza essere imputati al relativo conto economico;
– per le spese e gli altri componenti negativi di reddito che, pur non essendo imputabili al conto
economico, sono deducibili per disposizione di legge;
– per le spese e gli altri oneri che afferiscono specificamente ai ricavi e ad altri proventi e che, pur non
risultando imputati a conto economico, concorrono a formare il reddito. Quando sono recuperati a
tassazione dei ricavi non dichiarati, vanno dedotti gli oneri e le spese ad essi specificamente relativi.
L'ammontare deducibile è solo quello imputato a bilancio, con rinvio ai successivi periodi di imposta
della deducibilità della parte in eccedenza.
L'amministrazione finanziaria può disconoscere la deduzione di ammortamenti, accantonamenti e altre
rettifiche di valore risultanti dal conto economico, ma non coerenti con i comportamenti contabili
sistematicamente tenuti nei precedenti esercizi.
Le spese per prestazioni di lavoro sono interamente deducibili, anche se si tratti di liberalità.
I compensi spettanti agli amministratori delle società sono deducibili nell'esercizio in cui sono corrisposti,
derogando al principio di competenza.
La partecipazione agli utili spettanti ai dipendenti e agli associati in partecipazione sono computate nell'esercizio
di competenza, indipendentemente dall'imputazione al conto economico, in deroga al principio della previa
imputazione, in quanto calcolata dopo la determinazione dell'utile, e quindi non calcolabile tra i costi del
conto economico di quel periodo.

14. I singoli componenti negativi.


Gli interessi passivi
Gli interessi passivi sono soggetti a diversi regimi:
 per i soggetti passivi Ires, sono deducibili in ciascun periodo d'imposta fino alla concorrenza degli
interessi attivi realizzati nello stesso periodo.
L'eccedenza negativa è deducibile entro il 30% del risultato operativo lordo della gestione caratteristica, dato
dalla differenza fra il valore e i costi della produzione risultanti dal conto economico, escluse le quote di
ammortamento delle immobilizzazioni e dei canoni di leasing di beni strumentali. La quota di eccedenza
che supera tale limite ed è indeducibile in un periodo di imposta può essere dedotta nei periodi successivi,
nei limiti in cui l'eccedenza negativa di periodo sia inferiore al 30% del risultato operativo lordo dello stesso
periodo. Se l'eccedenza negativa è inferiore al 30% del risultato operativo lordo, la quota residua
inutilizzata può essere rinviata a nuovo e portata in aumento del 30% del risultato operativo lordo dei
periodi di imposta successivi.
 In caso di consolidato nazionale, l'eccedenza negativa di una società può essere portata in riduzione
del reddito complessivo del gruppo se e nei limiti in cui le altre società aderenti al consolidato presentino, nello
stesso periodo d'imposta, una parte di risultato operativo lordo non utilizzata per la deduzione dei propri
interessi passivi. Nella dichiarazione dei redditi del gruppo la consolidante residente dovrà indicare i dati
relativi agli interessi passivi e al risultato operativo lordo apportati nel consolidato nazionale dalle società
estere virtualmente partecipanti.
 Per gli imprenditori individuali e le società commerciali di persone, gli interessi passivi, inerenti
all'esercizio dell'impresa, sono deducibili parzialmente per la parte corrispondente al rapporto fra
l'ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono alla formazione del reddito d'impresa, e
l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi: gli interessi passivi non deducibili sono la quota dei
ricavi e proventi esenti rispetto al totale dei ricavi e proventi; non danno diritto alla detrazione
d'imposta.
 Banche ed assicurazioni sono esclusi dall'applicazione di tale disciplina in quanto il loro sistema

123
non ammette le norme di sottocapitalizzazione. Anche le imprese minori prevedono una deducibilità degli
interessi passivi non limitata.

Oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale


Dalla base imponibile di un'imposta sul reddito non è deducibile la somma pagata per pagare
l'imposta stessa. Non sono deducibili le imposte per le quali è prevista la rivalsa.
Le altre imposte sono deducibili se assumono il rilievo di costi per la sua produzione. L'Irap è deducibile al
10%.
Sono ammessi accantonamenti per il pagamento di imposte, sulla base di dichiarazioni,
accertamenti o sentenze.
I contributi ad associazioni sindacali e di categoria sono deducibili nell'esercizio in cui sono corrisposti,
per cassa, a condizione che siano dovuti in base a formale deliberazione dell'associazione.
Gli oneri di utilità sociale sono limitatamente deducibili.

Le minusvalenze patrimoniali
Si ha minusvalenza quando viene ceduto un bene (non un bene merce) ad un prezzo inferiore al suo
valore fiscalmente riconosciuto.
Le minusvalenze rilevano solo quando sono realizzate, cioè a seguito di cessione a titolo oneroso, o di
risarcimento, ad un controvalore inferiore al valore fiscalmente riconosciuto.
Le minusvalenze realizzate con la cessione di partecipazioni immobilizzate sono integralmente irrilevanti se
derivano da partecipazioni con i requisiti di participation exemption, sono deducibili se derivano da
partecipazioni cui non si applica tale regime.
Per gli imprenditori individuali e le società di persone le minusvalenze realizzate con partecipazioni esentate,
ed i costi inerenti al loro realizzo, sono indeducibili in misura corrispondente alla percentuale esente.

Le sopravvenienze passive
Le sopravvenienze passive si hanno quando:
 non si conseguono i ricavi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi;
 si sostengono spese, perdite, oneri a fronte di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare
il reddito in esercizi precedenti;
 sopravvenga l'insussistenza di attività iscritte in bilancio in esercizi precedenti.

Le perdite
Le perdite possono essere di
 un bene relativo all'impresa, deducibile nei limiti del valore fiscalmente riconosciuto:
– se bene strumentale è deducibile per il costo non ammortizzato,
– se bene patrimoniale è deducibile per il costo d'acquisto o produzione.
Le perdite sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi.
 Crediti, sono deducibili
– in ogni caso, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali;
– quando la valutazione negativa in ordine all'insolvibilità del debitore risulta da elementi certi e precisi.
L'accantonamento al fondo rischi su crediti viene appostato in bilancio e fiscalmente dedotto
nell'esercizio in cui il credito viene reputato in sofferenza, anticipando la deduzione del costo per la futura
perdita su crediti. Quando la perdita si verificherà l'ammontare della perdita su crediti sarà deducibile
solamente per la parte che eccede l'ammontare dell'accantonamento effettuato nei precedenti esercizi.

124
I costi pluriennalI: a) l’ammortamento delle immobilizzazioni materiali
I costi la cui utilità si estende a più esercizi devono essere ammortizzati, cioè ripartiti nei diversi esercizi in
cui sono utilizzati.
Nell'attivo dello stato patrimoniale le immobilizzazioni devono essere iscritte inizialmente per un valore
pari al costo, il costo sarà sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la residua
possibilità di utilizzazione.
L'ammortamento dei beni materiali è ammesso solo per i beni strumentali all'esercizio dell'impresa. Non
sono ammortizzabili gli immobili che concorrono alla formazione del reddito d'impresa secondo le
regole catastali.
Le quote degli ammortamenti sono determinate in base ad una stima del periodo di durata del cespite,
sono stabiliti periodi minimi di durata dell'ammortamento mediante la determinazione di coefficienti
massimi.
Le quote di ammortamento sono deducibili a partire dall'esercizio di entrata in funzione del bene: nel
primo esercizio la quota di ammortamento deve essere ridotta a 1/2, indipendentemente dalla sua entrata in
funzione.
Il quantum ammortizzabile è dato dal costo storico del bene. L'ammortamento è effettuato entro i limiti
dei coefficienti stabiliti con decreto ministeriale.
Per i beni materiali il cui costo è inferiore a 516 Euro è consentita la deduzione integrale delle spese di
acquisizione nell'esercizio in cui sono state sostenute.

Segue: b) l’ammortamento delle immobilizzazioni immateriali


Le immobilizzazioni immateriali si distinguono in
 diritti di utilizzazione di opere di ingegno, brevetti industriali, il costo è annualmente deducibile
fino al 50%, la durata minima è 2 anni;
 diritti di concessione, le quote di ammortamento sono rapportate alla durata di utilizzazione prevista
dal contratto o dalla legge;
 avviamento, ammortizzabile annualmente al 5,56% del valore iscritto nell'attivo del bilancio.

Segue: c) le spese incrementative


Le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento possono essere patrimonializzate,
incrementando il costo fiscalmente riconosciuto ai beni cui si riferiscono.
È deducibile una quota forfettaria nell'esercizio in cui le spese sono sostenute, il 5% del costo
complessivo; l'eccedenza è ammortizzabile per quote costanti nei 5 esercizi successivi.
Le spese dovute in base a contratti di manutenzione sono deducibili nell'esercizio in cui sono sostenute
le spese di manutenzione in abbonamento.

Segue d) spese per studi e ricerche; spese di pubblicità e rappresentanza


Le spese sostenute per studi e ricerche sono interamente deducibili nell'esercizio in cui sono sostenute.
Le spese di pubblicità e propaganda sono deducibili nell'esercizio in cui sono state sostenute o in quote
costanti nell'esercizio stesso e nei 4 successivi.
Le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo d'imposta di sostenimento se rispondono ai requisiti
di inerenza e congruità stabiliti con decreto.

15.Gli accantonamenti.
Gli accantonamenti fiscalmente deducibili costituiscono un'eccezione al principio per cui i costi e le spese
sono deducibili solo quando sono certi.

125
Sono deducibili:
 gli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi previdenza del personale
dipendente, nei limiti delle quote maturate nell'esercizio: è incerta la data in cui sarà corrisposta
l'indennità di fine rapporto;
 gli accantonamenti al fondo di copertura per rischi su crediti: si può dedurre annualmente lo 0,5%
del valore nominale o di acquisizione dei crediti, fino ad un massimo del 5%. Quando si verificano delle
perdite, la deduzione è ammessa solo per la parte che supera l'accantonamento già dedotto;
 accantonamenti al fondo delle spese per lavori ciclici di manutenzione e revisione di navi e aeromobili;
 accantonamenti delle società concessionarie per spese di ripristino o di sostituzione di beni
gratuitamente devolvibili;
 accantonamenti per oneri derivanti da operazioni e concorsi a premio.

16.Le valutazioni. Le rimanenze in magazzino.


Le rimanenze finali partecipano al calcolo del reddito. Si valutano raggruppando i beni in categorie omogenee,
per valore e natura, ed assumendo, come criterio di valutazione, il costo.
Nel primo esercizio in cui si verificano, le rimanenze sono valutate in base al costo medio, attribuendo
ad ogni unità il valore risultante dalla divisione del costo complessivo dei beni prodotti o acquistati per le
quantità.
Se negli esercizi successivi c'è
 un incremento di rimanenze, le maggiori quantità sono gruppi distinti per esercizio di
formazione, valutate con il criterio del costo medio;
 una diminuzione, si considerano alienati per primi i beni facenti parte degli incrementi formati
negli esercizi precedenti, a partire dall'incremento più recente: last in first out. Le giacenze di magazzino sono
valutate in base ai costi più vecchi e il reddito imponibile risulta compresso. È consentita l'assunzione di altri
metodi, come first in first out.
Quando il valore del magazzino, determinato in base al costo, risulta superiore a quello di mercato dell'ultimo
mese dell'esercizio, il contribuente può svalutare il magazzino adottando il valore di mercato: si azzerano
tutti gli incrementi formati negli esercizi e si forma un nuovo incremento relativo all'anno in cui si svaluta,
con valore totale pari al valore di mercato, e valore unitario dei singoli beni pari al valore totale diviso
per la quantità complessiva. Si dà rilievo fiscale alle rimanenze dei beni merce.

16.1.I titoli e le partecipazioni sociali non immobilizzate.


Le partecipazioni che sono assimilate alle merci (fanno parte dell'attivo circolante) concorrono a formare il
reddito d'impresa se:
 sono raggruppate in categorie omogenee;
 nel primo esercizio, ogni titolo è valutato dividendo il costo complessivo per le quantità;
 negli esercizi successivi, le maggiori quantità sono distinte per periodo di formazione, se le quantità
sono diminuite si segue il last in first out;
 le rimanenze di un esercizio costituiscono esistenze iniziali dell'esercizio successivo;
 la svalutazione è fiscalmente ammessa solo per le obbligazioni e titoli similari. I titoli che
costituiscono un investimento durevole devono essere classificati in bilancio come immobilizzazioni
finanziarie; non devono essere valutati tra le rimanenze.

16.2.I lavori in corso e le opere di durata ultrannuale


Il valore dei prodotti in corso di lavorazione e dei servizi in corso di esecuzione sono valutati in base alle

126
spese sostenute nell'esercizio.
Nel caso delle opere di lunga durata, fatte su ordinazione, devono essere rilevati, tra le rimanenze, i lavori
eseguiti, in base ai corrispettivi pattuiti, quando vi sono stati avanzamenti dei lavori, si tiene conto dei
corrispettivi liquidati.
Quando l'opera è conclusa si ha liquidazione definitiva dei corrispettivi e i corrispettivi
definitivamente liquidati non fanno parte delle rimanenze ma dei ricavi.

SEZIONE TERZA: I GRUPPI

17. Rilevanza fiscale dei gruppi.


La tassazione ordinaria delle società implica che ciascuna società è un soggetto a sé stante, tenuto
pagamento dell’Ires e dei suoi redditi. La distribuzione dei dividendi comporta, per i soci, una tassazione
ulteriore, in misura diversificata. Il diritto fiscale prende però in considerazione i gruppi di società, ossia
l’insieme di società tra cui intercorrono rapporti di controllo o di collegamento.
A seguito della riforma fiscale del 2003, in alternativa alla tassazione distinta di ciascuna società, i gruppi
possono optare per il consolidato.

18.Il regime di trasparenza. La fattispecie.


Le società di capitali, che hanno come soci altre società di capitali, e le piccole società a responsabilità
limitata non sono soggette all’Ires se optano per il regime della trasparenza fiscale. L’essenza del regime
della trasparenza consiste nella detassazione della società partecipata (trasparente), i cui risultati fiscali
sono imputati ai soci. I redditi prodotti dalla società trasparente sono dunque tassati come redditi dei soci;
lo stesso criterio vale per le perdite. Questo sistema elimina la doppia imposizione dei redditi societari.
Il regime di trasparenza può essere adottato solo di società di capitali alle quali partecipino altre società di
capitali con una percentuale non inferiore al 10% e non superiore al 50%.
L’opzione per il regime di trasparenza deve essere espressa sia dalla società partecipata, sia dalle
partecipanti. L’opzione è irrevocabile per 3 esercizi.
L’opzione è permessa, di regola, alle società di capitali residenti, che siano partecipate da società di capitali
pure residenti. Se vi sono soci non residenti, i redditi ad essi imputabili in base al principio di trasparenza
sono redditi prodotti e tassabili in Italia: ciò comporta che l’opzione può essere esercitata solamente se il
socio, non residente in Italia, è una società residente nell’UE.
L’esercizio dell’opzione non è consentito in due ipotesi: quando i soci partecipanti fruiscono di un’aliquota
Ires ridotta e quando la società partecipata abbia già optato per il consolidato nazionale o mondiale.

18.1.La disciplina e gli effetti.


Il regime di trasparenza delle società di capitali comporta che il reddito prodotto dalla società partecipata è
imputato a ciascun socio, indipendentemente dall’effettiva percezione degli utili.
La società partecipata è obbligata in solido con i soci; essa garantisce con il proprio patrimonio
l’adempimento degli obblighi tributari da parte dei soci.

18.2.La trasparenza delle s.r.l. a ristretta base proprietaria.


Il regime di trasparenza può essere adottato anche dalle piccole società a responsabilità limitata, composte
esclusivamente da persone fisiche. Queste società operano una scelta fra tassazione Ires, come società, e la
tassazione Irpef a carico dei soci.
L’opzione per la trasparenza può essere esercitata dalle società a responsabilità limitata se sussistono 3
condizioni: a) il volume dei ricavi non deve superare le soglie previste per l’applicazione degli studi di
settore; b)la compagine sociale deve essere composta esclusivamente da persone fisiche, in numero non
superiore a 10 (20 se società cooperativa a responsabilità limitata); c)la società non deve essere
assoggettata a procedure concorsuali.

127
19. Consolidato nazionale.
Nel consolidato fiscale, ferma restando la rilevanza dei rapporti di gruppo, si sommano algebricamente i
risultati fiscali conseguiti da ciascuna società. Si calcola il reddito di ciascuna società, compresa la
capogruppo. Si ottiene così il reddito complessivo globale.
Sul piano procedurale, ciascuna società deve dunque redigere la propria dichiarazione dei redditi, da
presentare, oltre che al fisco, alla capogruppo, che, dopo aver redatto la propria dichiarazione, deve
redigere e presentare al fisco la dichiarazione di gruppo.
Alla controllante è dunque riferito il risultato globale, positivo o negativo, del gruppo. Dal risultato positivo
scaturisce un unico debito, di cui è responsabile, per l’intero importo, la controllante. Le società controllate
sono invece responsabili solo per la parte del debito globale che è da collegare al loro reddito individuale.
L’opzione per il consolidato può essere esercitata dalle società tra cui intercorre un rapporto di controllo di
diritto, ossia quando una società o un ente dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea
ordinaria di una società.
Le società non residenti possono esercitare l’opzione per il consolidato solo in qualità di controllanti e a
condizione di essere residenti in paesi con i quali è in vigore una convenzione contro la doppia imposizione,
e di esercitare nel territorio dello stato un’attività d’impresa mediante una stabile organizzazione.

19.1. L’opzione per il consolidato.


L’applicazione del regime fiscale del consolidato dipende da una libera scelta delle società del gruppo. È
necessaria l’opzione di una capogruppo; le società controllate sono libere di optare o no.
L’opzione per il consolidato ha efficacia per 3 esercizi sociali ed è irrevocabile, ma cessa prima del triennio
se viene meno il controllo.

19.2. Gli obblighi delle consolidate.


Ciascuna società consolidata deve determinare il proprio reddito applicando le regole ordinarie in materia
di reddito d’impresa, come se non vigesse il consolidato.
Non hanno rilievo reddituale le somme ricevute o versate tra società del gruppo in contropartita dei
vantaggi fiscali attribuiti o ricevuti nell’ambito del gruppo.
Ciascuna società deve redigere la dichiarazione dei redditi, da inviare sia all’Agenzia delle entrate sia alla
controllante.

19.3.Gli obblighi della capogruppo.


La società controllante, dopo aver calcolato il proprio reddito complessivo, secondo le norme ordinarie,
effettua la somma algebrica dei risultati fiscali delle dichiarazioni delle società consolidate. Il consolidato
infatti comporta la tassazione del reddito complessivo globale, corrispondente alla somma algebrica dei
redditi complessivi netti delle società consolidate.
Alla somma algebrica così calcolata deve essere apportata la rettifica di consolidamento: si ottiene cos’ il
risultato complessivo globale del gruppo e da esso si deducono le eventuali perdite di gruppo di esercizi
precedenti e si ottiene il reddito imponibile.

19.4.La rettifica di consolidamento.


Il regime fiscale del consolidato non comporta soltanto l’unificazione dei risultati reddituali delle società del
gruppo, ma anche altri effetti fiscali, tra cui la rettifica del consolidamento.
Più precisamente, il reddito di gruppo può essere rettificato in diminuzione per un importo corrispondente
all’eccedenza di interessi passivi e oneri assimilati indeducibili prodotti da una società consolidata, a
condizione che, nello stesso periodo, altre società consolidate presentino una capienza di ROL non utilizzata
per la deduzione di propri interessi passivi; la rettifica va effettuata nei limiti di tale capienza.

19.5. Responsabilità della capogruppo e delle consolidate.


Il consolidato comporta la determinazione di un reddito complessivo globale, imputabile alla capogruppo,
ed un unico debito d’imposta, che deve essere dichiarato dalla capogruppo, e di cui è soggetto passivo, per
l’intero importo, la stessa capogruppo.

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Le società controllate rispondono, nei confronti del fisco, solo per la parte del debito fiscale che è da
collegare al loro reddito complessivo.
Ciascuna società controllata deve corrispondere alla capogruppo, per la quota parte del debito unitario che
corrisponde al suo reddito, i mezzi finanziari per assolvere il tributo; se non vengono forniti
anticipatamente, la controllante ha diritto di rivalersi.
L’onere economico delle sanzioni dovrà essere sopportato dalla società cui è imputabile la violazione.

19.6. Cessazione del consolidato.


Può accadere che, nel corso del triennio, venga meno il rapporto di controllo e si interrompa la tassazione
di gruppo, oppure che non venga rinnovata l’opzione per il consolidato.
Entro 30 gg dalla cessazione del rapporto di controllo, la controllante e ciascuna controllata devono
integrare i versamenti d’acconto già effettuati; e la controllante, che conserva il diritto di utilizzare le
perdite fiscali, i crediti e le eccedenze del gruppo, potrà attribuire, in tutto o in parte, le eccedenza dei
pagamenti alle società nei cui confronti è venuto meno il controllo.
Nel caso in cui, al termine del triennio, non siano rinnovate le opzioni, o una delle società non rinnovi
l’opzione, le perdite fiscali di gruppo non ancora utilizzate possono rimanere nella disponibilità della
consolidante o essere attribuite alle società che le hanno prodotte; invece, i crediti chiesti a rimborso e le
eccedenze riportate a nuovo, risultanti dalla dichiarazione consolidata, competono alla controllante.

Capitolo Ventesimo. FISCALITA' TRASNAZIONALE

1.La localizzazione dei redditi.


I residenti sono tassati per i redditi ovunque prodotti, i non residenti sono tassati in Italia solo per i redditi
prodotti nel territorio dello Stato italiano.
I criteri di localizzazione sono:
 per i redditi di origine patrimoniale rileva il luogo della fonte reddituale: per i redditi fondiari
vale il luogo dell'immobile, per i redditi di capitale rileva la residenza di chi li corrisponde;
 per i redditi derivati dallo svolgimento di un'attività rileva il luogo in cui questa è svolta: i redditi di
lavoro sono prodotti in Italia se derivano da attività svolte in Italia, i redditi di impresa sono prodotti in
Italia se derivano da attività svolte con una stabile organizzazione in Italia;
 sono prodotti in Italia i redditi diversi che derivano da beni situati nello Stato e da
plusvalenze relative a partecipazioni in società residenti, i redditi delle società di persone e i redditi delle
società di capitali che hanno optato per la trasparenza fiscale, aventi sede in Italia, imputabili a soggetti
non residenti;
 si considerano inoltre prodotti in Italia, quando siano corrisposti da soggetti residenti:
– le pensioni e le indennità di fine rapporto;
– i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente;
– i compensi per l'utilizzazione di opere d'ingegno e brevetti;
– i compensi conseguiti da imprese non residenti per prestazioni artistiche e professionali effettuate in Italia
per conto di un residente.

2.La tassazione delle persone fisiche non residenti


Tutti i redditi delle persone fisiche residenti sono tassati illimitatamente, ovunque prodotti.
La tassazione dei redditi delle persone fisiche non residenti è limitata ai redditi prodotti in Italia.
La residenza fiscale deriva dall'iscrizione anagrafica, dal domicilio (centro degli affari e interessi), o dalla
residenza (dimora abituale) di durata superiore a 183 giorni l'anno, anche non continuativi.
La residenza fiscale è un criterio di collegamento tra il contribuente e l'ordinamento fiscale, riguarda

129
qualsiasi tipo di reddito.
Il non residente è soggetto ad imposta in ragione del collegamento reale dei singoli redditi con il territorio
dello Stato.
I redditi di lavoro autonomo e di capitale prodotti in Italia da persone fisiche non residenti sono tassati
con ritenuta a titolo d'imposta.
I redditi che non sono tassati alla fonte a titolo definitivo, devono essere dichiarati dai non residenti.
L'imposta si applica sulla somma dei singoli redditi prodotti in Italia, ma non ha natura di imposta
personale: i non residenti sottraggono dal reddito complessivo soltanto alcuni degli oneri deducibili, e
dall'imposta lorda solo alcune delle detrazioni.

3.La tassazione delle società ed enti commerciali non residenti


Sono società ed enti residenti quelli che, per la maggior parte del periodo d'imposta, hanno sede legale,
sede dell'amministrazione o l'oggetto principale dell'attività nel territorio dello Stato. Non rileva la forma
o struttura giuridica.
Per determinare la base imponibile dell'imposta (ossia il reddito complessivo imponibile) delle società ed
enti non residenti bisogna:
 individuare i redditi prodotti in Italia secondo i criteri di localizzazione;
 considerare se abbiano o meno una stabile organizzazione nello Stato:
– se c'è stabile organizzazione, si applicano le regole nazionali in materia di reddito d'impresa: i singoli
redditi diventano redditi d'impresa della stabile organizzazione, la determinazione del reddito partirà dal
risultato del conto economico della stabile organizzazione;
– se non c'è stabile organizzazione, i redditi non sono attratti nel reddito d'impresa ma conservano la
qualifica di redditi della loro categoria: l'imponibile è il risultato della loro somma (principio del
trattamento isolato dei redditi).

3.1.La stabile organizzazione.


Gli imprenditori (persone fisiche, società ed enti commerciali) non residenti producono reddito d'impresa
imponibile in Italia solo se operano per mezzo di una stabile organizzazione, cioè una sede fissa di affari
per mezzo della quale l'impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello
Stato.
L’espressione stabile organizzazione comprende, in particolare (esemplificazione positiva): a) una sede di
direzione; b) una succursale; c) un ufficio; d) un officina; e) un laboratorio; f) una miniera, un giacimento
petrolifero o di gas naturale. Inoltre anche un cantiere può assumere il rilievo di stabile organizzazione se la
sua durata supera i 3 mesi.
La sede fissa di affari non è una stabile organizzazione quando
 viene utilizzata una installazione ai soli fini di deposito, esposizione o consegna di beni o merci
appartenenti all'impresa;
 i beni o le merci appartenenti all'impresa sono immagazzinati ai soli fini di deposito,
esposizione o consegna;
 i beni o le merci appartenenti all'impresa sono immagazzinati solo per la trasformazione da parte di
un'altra impresa;
 è utilizzata solo per acquistare beni o merci o raccogliere informazioni per l'impresa;
 è utilizzata solo per svolgere altra attività che abbia carattere preparatorio o ausiliario.
Si può avere una stabile organizzazione personale, quando il ruolo di stabile organizzazione di impresa
non residente è svolto da una persona fisica o giuridica, distinta dall'impresa non residente: un agente
dipendente, dotato di poteri di rappresentanza dell'impresa non residente, che agisce abitualmente
130
concludendo contratti in nome e per conto dell'impresa non residente.
La stabile organizzazione non è un autonomo soggetto giuridico, distinto dalla società residente.
Il reddito complessivo degli enti che hanno una stabile organizzazione è determinato dal reddito d'impresa:
ogni reddito prodotto in Italia è attratto al reddito d'impresa. Il non residente ha l'obbligo di redigere un
apposito conto economico, relativo alla gestione della stabile organizzazione. Dal reddito della stabile
organizzazione può essere dedotta una frazione dei costi sostenuti dalla casa madre nell'interesse di tutto
il gruppo, da calcolare proporzionalmente al rapporto tra il volume di affari della stabile organizzazione e
quello della casa madre.

4.Gli enti non commerciali non residenti


Gli enti non commerciali non residenti sono tassati solo sui redditi prodotti in Italia; il loro reddito imponibile
si determina applicando le regole dei redditi delle persone fisiche residenti: redditi diversi, oneri
deducibili dall'imponibile e detrazioni d'imposta.
Possono essere titolari di redditi d'impresa se esercita, in via secondaria, un'attività commerciale in Italia
con una stabile organizzazione.

5.Il rappresentante fiscale degli enti non residenti.


Gli altri soggetti, che non agiscono tramite stabile organizzazione, devono nominare un
rappresentante dei rapporti tributari; un domiciliatario abilitato a ricevere la notificazione di atti
dell'amministrazione. Non ha poteri rappresentativi se non espressamente conferiti con procura notarile.

6.I prezzi di trasferimento infragruppo (transfer price)


Si applica il transfer price quando
 un'impresa italiana cede beni o presta servizi ad un'impresa estera controllata, di diritto o di fatto,
ed applica prezzi inferiori al valore normale, comprimendo i propri utili a favore della consociata;
 un impresa italiana acquista beni o servizi da una consociata estera, ad un prezzo superiore a quello
normale.
In questi casi i prezzi sono valutati in base al valore normale: ai fini fiscali i prezzi pattuiti non hanno rilievo.
L'impresa italiana che non ha praticato prezzi conformi al valore normale deve operare le rettifiche in
aumento nella dichiarazione dei redditi; se la rettifica non è fatta nella dichiarazione, l'amministrazione
finanziaria può rettificare in aumento i corrispettivi di vendita inferiori al valore normale, o rettificare in
diminuzione i costi superiori al valore normale.
Il valore normale è il prezzo che sarebbe praticato in condizioni di libera concorrenza; in particolare si
applica ai rapporti tra
• imprese italiane e società non residenti che controllano direttamente o indirettamente l'impresa
italiana o ne sono controllate;
 imprese italiane e società estere, entrambi controllati dalla stessa società;
 società non residenti ed imprese italiane, quando queste svolgono per le prime attività di
commercializzazione dei prodotti.

7.Il credito per le imposte assolte all’estero.


Il credito d'imposta è una detrazione che spetta fino a concorrenza della quota di imposta italiana
corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all'estero e reddito complessivo.
E alla formazione della base imponibile concorrono redditi prodotti in più stati esteri, la detrazione si
applica separatamente per ciascuno Stato.
È necessario che il pagamento dell'imposta allo Stato estero sia stato fatto a titolo definitivo, e che i redditi

131
possano considerarsi prodotti all'estero secondo i criteri di localizzazione, e che concorrano alla formazione
del reddito complessivo imponibile.

8.Il consolidato mondiale.


Il consolidato mondiale riguarda la tassazione di un solo soggetto, la controllante residente; comporta
l'imputazione proporzionale alla controllante residente dei redditi e delle perdite di tutte le controllate non
residenti, per un periodo non inferiore a 5 esercizi. È imputabile solo una quota del reddito delle società
estere.
Con il consolidato mondiale si possono compensare le perdite fiscali delle società controllate non residenti
con i redditi imponibili delle società residenti, ma divengono immediatamente tassabili in Italia, per
imputazione alla controllante, gli utili delle controllate non residenti.
L'ente controllante deve essere una società di capitali o un ente commerciale residente in Italia. Può comunque
optare per il consolidato mondiale se
 è una società con titoli quotati in Borsa;
 è controllata dallo Stato.
Si ha controllo quando l'ente residente possiede, direttamente o indirettamente, una quota di
partecipazione nel capitale della società non residente superiore al 50%; questo requisito deve sussistere
al termine dell'esercizio della controllante.
L'opzione del consolidato mondiale può essere esercitata solo dalla società o ente residente di grado più
elevato, ed è efficace se:
 ha per oggetto tutte le controllate non residenti;
 c'è identità dell'esercizio sociale di ciascuna società controllata con quello della controllante;
 c'è revisione dei bilanci di tutte le società del gruppo;
 c'è l'attestazione delle controllate da cui risulti il consenso alla revisione del proprio bilancio e
l'impegno a fornire al soggetto controllante la collaborazione necessaria per la determinazione
dell'imponibile e per adempiere entro un periodo non superiore a 60 giorni dalla loro notifica alle richieste
dell'amministrazione finanziaria;
 è necessario che la controllante interpelli l'Agenzia delle entrate perché si pronunci sulla
sussistenza dei requisiti per il valido esercizio dell'opzione.
Il risultato reddituale dei redditi delle società non residenti, da includere proporzionalmente
nell'imponibile della controllante, deve essere determinato con il metodo extracontabile, cui vendono
poi effettuate alcune rettifiche di consolidamento.
Per evitare la doppia imposizione, sono detraibili le imposte pagate all'estero dalle società controllate,
tenendo conto
 del concorso prioritario dei redditi prodotti all'estero alla formazione del reddito imponibile;
 il computo delle imposte detraibili è effettuato separatamente per ciascuna società estera;
 è riportato nel tempo il credito per imposte pagate all'estero inutilizzato nell'esercizio di
competenza.

9.I rapporti con i paradisi fiscali.


Al contribuente è data la facoltà di dedurre i componenti negativi di reddito derivanti da operazioni concluse
da un'impresa italiana con una estera localizzata in un paradiso fiscale, se fornisce la prova che
 le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva,
 ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le
stesse hanno avuto concreta esecuzione.
Altrimenti si ha indeducibilità dell'intero costo sostenuto.
132
9.1.Le imprese estere controllate e collegate.
Secondo la normativa CFC rules (controlled foreign companies), i redditi delle controllate estere con sede in
paradisi fiscali sono imputati al soggetto residente in Italia a prescindere dalla distribuzione. Si ha
un'imputazione per trasparenza, in base alla quale i soci residenti in Italia non possono omettere la
tassazione degli utili, e quindi la tassazione in Italia non è rinviabile.
Il regime CFC si applica ad ogni soggetto residente in Italia che detenga, in modo diretto o indiretto, il
controllo di un'impresa residente in un paese o territorio a regime fiscale privilegiato.
Vi è controllo se la società dispone della maggioranza dei voti o di un numero di voti sufficiente per
esercitare un'influenza dominante sull'altro soggetto; oppure vi sono particolari vincoli contrattuali.
La normativa CFC non si applica, se il contribuente esperisce con successo, in via preventiva, la procedura
dell'interpello, nei casi in cui
 il soggetto, localizzato nello stato o territorio a regime privilegiato, svolga un'effettiva attività
industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di
insediamento;
 il soggetto residente, che controlla il soggetto estero partecipato, non consegue l'effetto di
localizzare i redditi in stati o territori per usufruire dei trattamenti fiscali privilegiati.
Se l'impresa estera è tassata nel paese a regime fiscale privilegiato, il soggetto residente può detrarre,
dalle imposte dovute in Italia, le imposte pagate nello stato estero, in via definitiva, dall'impresa estera.
Gli utili distribuiti non concorrono alla formazione del reddito imponibile quando siano già stati tassati con
il criterio di imputazione.
Il reddito imputato in base al regime CFC è tassato separatamente.
I redditi delle imprese estere collegate, residenti in stati e territori a regime fiscale privilegiato, sono tassati in
Italia imputando al residente una quota del reddito prodotto dall'impresa estera.
È impresa collegata quella in cui un soggetto residente in Italia detenga, direttamente o
indirettamente, una partecipazione agli utili non inferiore al 10% se è una società quotata in borsa, non
inferiore al 20% se si tratta di impresa non quotata.

Capitolo Ventunesimo. OPERAZIONI STRAORDINARIE

1.Premessa
Le operazioni straordinarie sono taluni eventi organizzativi o riorganizzativi da distinguere secondo che
abbiano per oggetto beni (cessioni o conferimenti di aziende e di partecipazioni) o soggetti (trasformazioni,
fusioni, scissioni di società).

2.Le operazioni sui beni. Le cessioni di azienda


Le plusvalenze realizzate da un imprenditore, per effetto della cessione di un’azienda o di una
partecipazione sociale, sono, in linea di principio, tassate come le altre plusvalenze d’impresa.
Se l’azienda è ceduta ad un prezzo maggiore del valore fiscalmente riconosciuto, il regime fiscale ordinario
della plusvalenza così monetizzata è la tassazione integrale nell’anno di realizzo.
Può non esservi tassazione se la plusvalenza non è monetizzata. In caso di una permuta, non vi è tassazione
se il corrispettivo della cessione è costituito da beni ammortizzabili, ma occorre che i beni ricevuti siano
complessivamente iscritti in bilancio allo stesso valore al quale vi erano iscritti i beni ceduti.
Se è ceduta un’azienda che è stata posseduta per un periodo non inferiore a tre anni, il contribuente ha la
facoltà di scelta tra tassazione immediata nell’esercizio del realizzo e tassazione frazionata in più esercizi.

133
La tassazione immediata della plusvalenza realizzata può essere conveniente quando compensa perdite di
esercizio o perdite pregresse.
Il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non rende tassabili le plusvalenze
dell’azienda, che deve però essere assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del
dante causa.
La tassazione della plusvalenza realizzata con la cessioni di un’azienda può essere evitata conferendo
l’azienda in regime di neutralità fiscale, iscrivendo la partecipazione ricevuta come immobilizzazione e
cedendo poi la partecipazione in regime di participation exemption.

2.1.Le cessioni di partecipazioni immobilizzate


Secondo il regime ordinario, le plusvalenze realizzate con la cessione di partecipazioni sociali iscritte
nell’attivo immobilizzato, che non fruiscono del regime di participation exemption, sono imponibili.
Questo regime non opera, però, in presenza di partecipazioni “strategiche” che fruiscono del regime di
participation exemption.
In tale regime, le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni sono: a) esenti da tassazione nella
misura del 95% se il cedente è un soggetto passivo Ires; b) esenti da imposizione nella misura del 50,28%,
se il cedente è un imprenditore individuale o una società commerciale.

3.I conferimenti in generale


Fiscalmente i conferimenti sono equiparati alle cessioni a titolo oneroso: ciò significa che, di norma, le
plusvalenze dei beni conferiti sono da considerare realizzate come se il bene fosse ceduto verso un
corrispettivo in denaro.
Per effetto del conferimento, il conferente non riceve denaro ma una partecipazione; la plusvalenza insita
nel bene conferito viene scambiata con un altro bene. Sottraendo al valore delle partecipazioni ricevute il
valore fiscale del bene conferito, si ottiene la misura della plusvalenza tassabile.
Se la conferitaria è una società quotata in borsa, il valore normale delle partecipazioni è determinato in
base alle quotazioni. Se la conferitaria non è quotata, si assume che il valore normale delle partecipazioni
sia pari al valore normale dei beni conferiti.

3.1.I conferimenti di azienda


I conferimenti d’azienda sono fiscalmente neutri; questa neutralità è fondata sulla continuità dei valori
fiscali dei beni conferiti, astraendo dai valori contabili.
Il soggetto conferente deve attribuire alla partecipazione ricevuta il valore fiscale dell’azienda conferita, e
che la società conferitaria subentra nelle posizioni della prima relativamente agli elementi dell’attivo e del
passivo dell’azienda.
Può esservi peraltro divergenza tra valori contabili e valori fiscali.
La plusvalenza può essere messa in evidenza in contabilità, perché il conferente attribuisce alla
partecipazione ricevuta un valore superiore al valore fiscale dell’azienda conferita.
La plusvalenza messa così in evidenza non è tassata, ma i divergenti valori contabili e fiscali dei beni devono
essere indicati in un “prospetto di riconciliazione”.
Si avrà tassazione quando il conferente cederà la partecipazione o la società conferitaria cederà l’azienda.
La neutralità fiscale opera anche nel caso in cui l’imprenditore individuale conferisca l’unica azienda di cui è
proprietario. Anche in tale ipotesi, non vi è tassazione immediata.
La successiva cessione della partecipazione (ricevuta in cambio dell’azienda conferita) determinerà una
plusvalenza imponibile quale “reddito diverso”.
La conferitaria può rinunciare al regime ordinario di neutralità fiscale ed ottenere il riconoscimento fiscale
delle plusvalenza se le sottopone ad un tributo sostitutivo.
134
I beni sono gli elementi dell’attivo costituenti immobilizzazioni materiali e immateriali dell’azienda ricevuta.
L’imposta sostitutiva è progressiva per scaglioni di plusvalore complessivo da affrancare. È sostitutiva
dell’Irpef, dell’Ires e dell’Irap. I maggiori valori assoggettati ad imposta sostitutiva si considerano
riconosciuti ai fini dell’ammortamento fiscale a partire dal periodo d’imposta nel corso del quale è
esercitata l’opzione.
Si ha disconoscimento dei maggiori valori in caso di cessione del bene prima del quarto periodo d’imposta
successivo a quello di esercizio dell’opzione. In tale ipotesi, è riconosciuto un credito d’imposta in misura
pari al tributo sostitutivo versato.

3.2.Il conferimento di partecipazioni di controllo o di collegamento


Il conferimento di partecipazioni strategiche (cioè di partecipazioni iscritte fra le immobilizzazioni
finanziarie) determina:
- plusvalenze normalmente imponibili;
- plusvalenze esenti, se la partecipazione integra le condizioni della participation exemption.
Vi è però, per i conferimenti di partecipazioni di controllo o di collegamento uno speciale regime di
neutralità che si applica se il conferente iscrive la partecipazione ricevuta allo stesso valore contabile della
partecipazione di controllo o di collegamento conferita e se, a sua volta, il conferitario iscrive la
partecipazione al valore contabile originario che aveva presso il conferente.
La continuità dei valori contabili impedisce la tassazione della plusvalenza, che resta latente. Se un
differenziale positivo è rilevato da uno dei due soggetti, la plusvalenza cessa di essere latente ed è tassata
se le è dato rilievo contabile.
Questo regime speciale non è applicabile nel caso in cui siano conferite partecipazioni di controllo o di
collegamento prive dei requisiti della participation exmption e si ricevono in cambio partecipazioni che
presentano invece i requisiti della participation exemption.
Se si conferiscono partecipazioni non esenti, ottenendo in cambio partecipazioni esenti, vi è mutamento di
regime fiscale.

3.3.Lo scambio di partecipazioni


La disciplina dello scambio di partecipazioni si applica al caso in cui una società acquista o integra una
partecipazione di controllo di un’altra società, non con il pagamento del prezzo, ma attribuendo al
conferente azioni proprie.
Il legislatore considera fiscalmente neutro lo scambio, a condizione che:
- la conferitaria e il soggetto “acquisito” siano entrambi società o enti commerciali assoggettati ad Ires;
- oggetto dello scambio sia una partecipazione che permetta alla conferitaria di acquisire o integrare il
controllo;
- l’operazione avvenga con continuità dei “valori fiscali” e cioè con attribuzione, alle azioni o quote ricevute,
del valore fiscalmente riconosciuto.
Si ha scambio di partecipazioni anche quando la società che acquista una partecipazione di controllo di
un’altra società, o incrementa la percentuale di controllo, aumenta appositamente il capitale sociale,
attribuendo al conferente le nuove azioni.

4.Operazioni sui soggetti. Le trasformazioni omogenee


Trasformazione, fusione e scissione sono tre forme di riorganizzazione societaria: nessuna di esse dà luogo,
di per sé, alla tassazione delle plusvalenze latenti.
Con la trasformazione, muta la forma sociale di una società, ma il soggetto rimane il medesimo.
La trasformazione assume particolare rilievo fiscale quando consiste nella trasformazione di una società di
capitali in società di persone, o viceversa.
135
In tali casi, il periodo d’imposta in corso si divide in due: la trasformazione interrompe il periodo d’imposta
in corso: da quel momento inizia un nuovo periodo. Si applica, a ciascuno dei due periodi, le regole cui la
società è soggetta in ragione della sua forma sociale.
Se dunque una società di persone si trasforma in società di capitali, i redditi del periodo che precede la
trasformazione sono tassati con le regole previste per le società di persone, imputando ai soci i redditi della
società.
Le riserve costituite prima della trasformazione conservano il loro originario status fiscale.
Se una società di capitali, cui non si applica il regime di trasparenza, si trasforma in società di persone, le
riserve conservano il loro status fiscale originario di utili tassabili come dividendi presso i soci solo a seguito
di distribuzione.

4.1.Le trasformazioni eterogenee


La trasformazione c.d. “eterogenea” può avvenire:
- o come trasformazione di una società di capitali in consorzio, società cooperativa, etc.;
- o come trasformazione di tali soggetti in società di capitali.
Muta la forma giuridica, non l’identità del soggetto, per cui si ha piena continuità di rapporti giuridici.
Assumono rilievo fiscale due distinte ipotesi:
- trasformazione da società di capitali a soggetto non commerciale;
- trasformazione da soggetto non commerciale a società di capitali.
Nel primo caso, si verifica l’imponibilità dei maggiori valori dei beni del soggetto trasformato, in quanto la
trasformazione determina la destinazione dei beni aziendali a finalità estranee all’esercizio di impresa.
Nel caso di trasformazione da soggetto non commerciale a società di capitali, la trasformazione è
fiscalmente equiparata ad un conferimento. La trasformazione equivale, fiscalmente, ad una cessione. Ecco
perché le plusvalenze insite nel patrimonio dell’ente che, trasformandosi, si commercializza, sono tassate
come le plusvalenze dei beni ceduti e, quindi, come redditi diversi.
Come si quantifica la plusvalenza? Dato per noto il valore di partenza (costo fiscale) del patrimonio
dell’ente che si trasforma, vi è da individuare il valore finale. Normalmente, la plusvalenza è la differenza
tra corrispettivo percepito e valore fiscale del bene; qui però ci sono delle partecipazioni.
Le partecipazioni devono essere valutate in base al valore corrente del patrimonio che si trasforma in bene
d’impresa; e questo valore dev’essere confrontato con il costo storico del patrimonio.
La trasformazione di una società di capitali in società semplice è analoga alla trasformazione di una società
di capitali in ente non commerciale. I beni della società di capitali cessano di essere beni d’impresa, e ciò
comporta la tassazione delle plusvalenze perché la trasformazione realizza una destinazione dei beni
plusvalenti a finalità estranee all’impresa.
Il caso inverso dev’essere trattato come trasformazione di soggetto non commerciale in soggetto
commerciale. Si pone quindi il problema se applicare analogicamente la disposizione secondo cui la
trasformazione equivale a conferimento.

5.Le fusioni
La fusione può avvenire mediante la costituzione di una società nuova (fusione propria), o mediante
l’incorporazione in una società di una o più altre (fusione per incorporazione).
La società che risulta dalla fusione, o la società incorporante, subentra in tutte le situazioni giuridiche che
facevano capo alle società fuse (sia sostanziali che formali).
La fusione è evento fiscalmente neutro.
Nel patrimonio della società fusa o incorporata, possono esservi beni il cui valore reale è diverso da quello
contabile; possono esservi quindi plusvalenze o minusvalenze latenti.

136
Le plusvalenze latenti divengono tassabili, e le minusvalenze divengono deducibili, se si realizzano
determinati eventi (ad esempio, realizzo mediante cessione a titolo oneroso); la fusione non è evento
rilevante a tali fini, perché non conferisce rilievo alle differenze tra valori reali e valori fiscalmente
riconosciuti dei beni delle società che partecipano alla fusione.
I beni ricevuti dalla società incorporante assumono lo stesso valore fiscale che avevano presso
l’incorporata. E i divergenti valori contabili e fiscali devono essere annotati in un prospetto di
riconciliazione, da unire alla dichiarazione dei redditi. In caso di successiva cessione dei beni, si assumerà
come valore di partenza, per il calcolo della plusvalenza, non il valore contabile del bene, ma il valore
fiscalmente riconosciuto.
Le partecipazioni dei soci delle società fuse o incorporate sono annullate e sostituite con partecipazioni
della società risultante dalla fusione o incorporante.
È tassabile solamente il conguaglio in denaro pagato ai soci in occasione del concambio.

5.1.La fusione retroattiva.


È ammesso che l’atto di fusione abbia effetti retroattivi ai fini fiscali, risalendo non oltre la data in cui si è
chiuso l’ultimo esercizio della società incorporata.
La retrodatazione degli effetti della fusione è utile per semplificare gli adempimenti contabili e fiscali
connessi all’operazione. Il periodo d’imposta in corso non viene frazionato e i relativi effetti vengono
imputati per intero, ai fini dell’imposizione sui redditi, all’incorporante.
La retrodatazione implica soltanto che le conseguenze reddituali dei fatti di quel periodo sono imputati alla
incorporante.
Le retroattività dunque è relativa, perché attiene soltanto all’imputazione soggettiva dei fatti reddituali del
periodo considerato.

5.2.Il riporto delle perdite


Tra le situazioni soggettive che vengono acquisite dalla società incorporante vi è il diritto di riportare a
nuovo le perdite fiscali pregresse delle società coinvolte nella fusione.
Il riporto delle perdite fiscali pregresse di una delle società fuse o incorporate da parte della nuova società
non ha nulla di eccepibile quando ha realizzato una razionale riorganizzazione di più apparati produttivi.
L’operazione appare invece strumentale ad un risultato di pura elusione fiscale quando una società viene
incorporata in quanto portatrice di un beneficio fiscale.
Sono tre i limiti al riporto delle perdite:
- le perdite riportabili relative a ciascuna società partecipante alla fusione non possono essere superiori ai
rispettivi patrimoni netti;
- la società incorporata deve aver avuto, nell’ultimo esercizio, un ammontare di ricavi e proventi
dell’attività caratteristica, e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi
contributi, superiore al 40 per cento della media dei due esercizi precedenti;
- nelle fusioni con annullamento, quando la società incorporante abbia svalutato la partecipazione
dell’incorporanda, la legge vieta all’incorporante il riporto delle perdite fino a concorrenza della
svalutazione, nel presupposto che le perdite dell’incorporata abbiano già trovato riconoscimento con la
svalutazione.

5.3.Le riserve in sospensione d’imposta.


Il subentro dell’incorporante nelle situazioni tributarie dell’incorporata riguarda anche le riserve in
sospensione d’imposta: all’incorporante passa il debito fiscale potenziale ad essi collegato.
Vanno però distinte due categorie di riserve: quelle tassabili per qualunque utilizzo; e quelle tassabili solo in
caso di distribuzione.
137
In lenea generale, le riserve devono essere ricostituite e diventano tassabili se la società subentrante non le
ricostituisce nel suo bilancio.
Non occorre ricostituire le riserve quando si tratta di riserve che diventano tassabili solo in caso di
distribuzione ai soci; esse vanno ricostituite nei limiti in cui vi sia un avanzo o un aumento di capitale sociale
superiore alla somma dei capitali delle società partecipanti alla fusione. Si ha tassazione solo se, e quando,
la società risultante dalla fusione o incorporante le distribuisce ai soci.

5.4.Avanzi e disavanzi da annullamento


La fusione è fiscalmente neutra con riguardo alle differenze di fusione, in un duplice senso:
- nella determinazione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante non si tiene conto
dell’avanzo o disavanzo iscritto in bilancio per effetto del rapporto di cambio delle azioni o quote o
dell’annullamento delle azioni o quote di alcuna delle società fuse possedute da altre;
- il disavanzo può essere utilizzato per rivalutare civilisticamente, ma non fiscalmente, i beni della società
fusa o incorporata.
Quando la società incorporante possiede per intero le azioni della società da incorporare, la fusione
comporta l’annullamento della partecipazione nella società incorporata; in luogo di essa, viene iscritto in
bilancio il patrimonio netto della società incorporata.
In simile ipotesi, si ha avanzo di fusione se il patrimonio netto contabile dell’incorporata è superiore al
valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione.
In caso di avanzo, la differenza sarà iscritta come posta del patrimonio netto della incorporante.
Tale differenza deve essere utilizzata per la ricostituzione delle riserve in sospensione d’imposta.
Si ha, invece, disavanzo, quando il valore del patrimonio netto contabile della incorporata è inferiore al
costo della partecipazione.
Tanto l’avanzo quanto il disavanzo non concorrono a formare il reddito della incorporante.
La fusione senza concambio non determina l’emersione di perdite deducibili o di componenti positive
tassabili; avanzo e disavanzo da annullamento sono fiscalmente neutri.
Potranno emergere componenti positivi o negativi di reddito quando avranno rilievo fiscale i valori reali dei
beni della incorporata, acquisiti dalla incorporante.

5.5.Avanzi e disavanzi da rapporti di cambio


Nel caso in cui l’incorporante non possieda l’intero capitale della società da incorporare, i soci della società
incorporanda entrano a far parte della compagine sociale della incorporante, ottenendo, in luogo delle
azioni possedute, azioni della società incorporante.
Fusione con concambio di azioni può aversi, inoltre, in caso di fusione di più società in una terza società, di
nuova costituzione.
La società incorporante aumenta il proprio capitale sociale per assegnare le nuove azioni ai soci della
società incorporata; e le differenze di fusione sono qui date dalle differenze tra misura dell’aumento del
capitale dell’incorporante e valore del patrimonio netto contabile dell’incorporata.
Se l’aumento di capitale dell’incorporante è inferiore al patrimonio netto dell’incorporata, si ha un avanzo:
una quota del patrimonio netto dell’incorporata bilancia l’aumento di capitale, il resto costituirà una posta
passiva dello stato patrimoniale della incorporante.
Anche questo avanzo deve essere utilizzato per la ricostruzione delle riserve in sospensione d’imposta.
Se l’aumento di capitale effettuato dalla incorporante supera il patrimonio netto contabile della
incorporata, si ha un disavanzo. Esso indica che l’incorporante deve compensare i soci della incorporata con
azioni il cui valore nominale complessivo supera il valore netto del patrimonio della incorporata; il
disavanzo ha dunque origine dall’aumento di capitale della incorporante.

138
Il disavanzo figura nello stato patrimoniale della incorporante come posta attiva che ha la funzione di
contropartita di parte del capitale sociale.
I maggiori valori iscritti in bilancio (ad esempio, l’avviamento), non sono fiscalmente rilevanti.
La società incorporante o risultante dalla fusione può tuttavia affrancare tali valori o maggiori valori,
determinandone così il riconoscimento ai fini fiscali, mediante applicazione dell’imposta sostitutiva prevista
per i conferimenti d’azienda.
Il subentro della incorporante nelle situazioni tributarie dell’incorporata riguarda anche le riserve in
sospensione d’imposta: all’incorporante passa il debito fiscale potenziale ad esse collegato.
In linea generale, le riserve in sospensione devono essere ricostruite; se la società subentrante non le
ricostruisce nel suo bilancio, diventano tassabili.
La ricostruzione delle riserve non è necessaria quando si tratta di riserve che diventano tassabili solo in caso
di distribuzione ai soci; esse vanno ricostituite nei limiti in cui vi sia un avanzo o un aumento di capitale
sociale superiore alla somma dei capitali delle società partecipanti alla fusione.
L’incremento di capitale attuato dalla società risultante dalla fusione o dall’incorporante, come l’avanzo,
assorbono il patrimonio netto delle società fuse o incorporate e, di conseguenza, ne conservano la natura
fiscale.

6.La scissione
Fenomeno inverso alla fusione è quello della scissione, che può avvenire in due modi:
- scissione totale: trasferimento dell’intero patrimonio di una società ad altre società beneficiarie, le quali
assegnano proprie azioni ai soci della società scissa;
- scissione parziale: trasferimento di parte del patrimonio di una società, che permane, ad una o più società.
La differenza fondamentale, tra le due forme di scissione, è che nel primo caso la società scissa è destinata
ad estinguersi e le sue posizioni passano direttamente in capo alla società beneficiaria.
Per quel che riguarda le plusvalenze, il trasferimento del patrimonio della società scissa alle società
beneficiarie avviene senza corrispettivo; non vi sono, pertanto, i presupposti per la tassabilità, a carico della
società scissa, delle plusvalenze latenti nei beni trasferiti.
Possono darsi, anche a seguito della scissione, avanzi e disavanzi sia da concambio che da annullamento.
Anche per le differenze di scissione il principio è quello della neutralità: avanzi e disavanzi riflettono, qui,
fenomeni analoghi a quelli visti in materia di fusione con concambio e senza concambio.
Anche alle società beneficiarie è consentito optare per l’affrancamento dei valori o maggiori valori.

7.La liquidazione ordinaria delle società


Quando una società viene messa in liquidazione, si rende necessario separare fiscalmente la gestione
ordinaria dalla liquidazione. Per tale motivo, l’intervallo temporale che va dall’inizio del periodo d’imposta
alla messa in liquidazione costituisce autonomo periodo d’imposta.
Con riguardo alla liquidazione degli imprenditori individuali e delle società di persone, vanno distinte tre
ipotesi:
- se la liquidazione non va oltre il periodo d’imposta in cui inizia, si avrà un bilancio finale di liquidazione, in
base al quale sarà determinato il reddito;
- quando la liquidazione si protrae oltre e dura più di tre esercizi, il periodo della liquidazione costituisce
periodo d’imposta unico;
- se la liquidazione dura più di tre esercizi successivi, i risultati dei singoli esercizi intermedi assumono
carattere di definitività.
Per le società soggette ad Ires, se la liquidazione si protrae oltre l’esercizio in cui ha avuto inizio, il reddito
relativo alla residua frazione di tale esercizio e ciascun successivo esercizio intermedio è determinato in via
provvisoria in base al rispettivo bilancio, liquidando la relativa imposta.
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Se la liquidazione si protrae per più di cinque esercizi successivi, i redditi determinati in via provvisoria si
considerano definitivi e ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche i redditi compresi nelle somme
percepite o nei beni ricevuti dai soci concorrono a formarne il reddito complessivo per i periodi d’imposta
di competenza.

8.La liquidazione concorsuale


In tema di disciplina fiscale del fallimento, occorre distinguere tra:
- periodi d’imposta prefallimentari (interamente trascorsi);
- segmento temporale prefallimentare, che va dall’inizio del periodo d’imposta in corso nel momento della
dichiarazione di fallimento alla data di dichiarazione del fallimento;
- periodo d’imposta fallimentare, che va dall’inizio della proceduta alla chiusura.
La dichiarazione di fallimento interrompe il periodo d’imposta in corso, il cui reddito è determinato in base
al bilancio redatto dal curatore o dal commissario liquidatore.
Il curatore ha l’obbligo di presentare la dichiarazione relativa a tale segmento temporale, entro il decimo
mese dalla nomina.
Il reddito determinato e dichiarato dal curatore concorre a formare il reddito complessivo
dell’imprenditore, dei familiari partecipanti all’impresa e dei soci relativo al periodo d’imposta in corso.
Dall’inizio alla chiusura del fallimento si ha, fiscalmente, un unico periodo d’imposta, ed il relativo reddito è
costituito dalla differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell’impresa o della società all’inizio del
procedimento determinato in base ai valori fiscalmente riconosciuti.
Il curatore, entro dieci mesi dalla chiusura del fallimento, deve presentare la dichiarazione finale, previo
versamento dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche, che fosse in ipotesi dovuta.

Capitolo Ventiduesimo. L’IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO

1.Origine e natura dell’Iva


L’imposta sul valore aggiunto è stata ideata in sede europea ed è stata poi introdotta in tutti gli Stati
membri della Comunità. In Italia è stata istituita nel 1972.
L’Iva appartiene alla categoria delle imposte sui consumi, che possono assumere diverse forme:
- vi sono imposte “monofase” e “plurifase”: le prime sono applicate una sola volta, le seconde a più fasi del
processo produttivo-distributivo;
- le imposte plurifase possono essere cumulative (o “a cascata”), se il tributo dovuto in ciascuna fase si
somma agli altri; o sul valore aggiunto, se i diversi prelievi non si cumulano, ma colpiscono solo il valore che
ciascuna fase aggiunge al bene.
L’imposizione sul valore aggiunto viene ritenuta preferibile a quella “a cascata”, perché l’imposta “a
cascata” non è neutrale rispetto alla tassazione complessiva di una merce. Inoltre, favorisce le aziende
integrate colpendo di più quelle specializzate.
L’Iva, invece, grava sul consumatore in proporzione del prezzo finale del bene, ed è neutrale rispetto al
numero di passaggi.
Il Trattato istitutivo della Comunità europea vieta agli Stati:
- di applicare ai prodotti provenienti da altro Stato membro tributi superiori a quelli che gravano sui
prodotti nazionali;
- di favorire le esportazioni accordando rimborsi dei tributi prelevati nello Stato in misura superiore
all’ammontare effettivamente riscosso.
Entrambi questi princìpi postulano che sia possibile calcolare esattamente l’imposizione che grava su di una
merce.
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Con l’imposta sul valore aggiunto si conosce esattamente il carico fiscale di un bene, per cui è possibile
determinare in modo esatto l’ammontare dell’imposta sulle importazioni e la misura dei rimborsi
all’esportazione.
L’Iva ha sostituito, nel nostro sistema fiscale, l’imposta generale sull’entrata (Ige): quest’ultima era
un’imposta plurifase cumulativa che colpiva (con aliquota del 4%) il valore pieno dei beni e dei servizi
scambiati ad ogni fase del processo produttivo e distributivo.
L’Iva è anch’essa un’imposta plurifase, ma non cumulativa.
La Corte di giustizia ha osservato che le caratteristiche essenziali dell’Iva sono quattro:
- si applica in modo generale alle operazioni aventi ad oggetto beni o servizi;
- è proporzionale al corrispettivo;
- è riscossa in ciascuna fase;
- gli importi pagati in occasione delle precedenti fasi sono detratti dall’imposta dovuta (il peso è tutto a
carico del consumatore finale).

1.2.La neutralità.
L’imposta sul valore aggiunto è un’imposta che, per il suo soggetto passivo, è neutrale. Tale soggetto,
infatti, “recupera” l’imposta che assolve sugli acquisti, acquisendo un credito verso lo Stato; e “recupera”
l’imposta dovuta sulle vendite grazie al diritto di rivalsa verso coloro che acquistano i suoi beni o servizi.
Vi sono quattro situazioni giuridiche soggettive:
- il soggetto passivo (ad esempio, l’imprenditore) che effettua operazioni imponibili diviene debitore verso
lo Stato;
- lo stesso soggetto diviene, contemporaneamente, creditore verso i cessionari;
- il soggetto passivo che effettua acquisti è debitore verso il suo fornitore;
- ma, al tempo stesso, ha il diritto di recuperare l’Iva dovuta sui beni o servizi acquistati.
L’imposta non è neutrale per i cc.dd. consumatori finali. Il diritto di detrazione (o credito d’imposta) è una
situazione giuridica soggettiva che caratterizza l’Iva.
I soggetti passivi sono gravati da una serie di obblighi formali e sostanziali, ma possono detrarre l’imposta
pagata a monte. I non assoggettati, invece, non hanno diritto alla detrazione.
Una ulteriore peculiarità concerne la frode fiscale; nell’Iva può aversi un tipo di frode che non si ha nelle
altre imposte: si tratta dell’esercizio indebito del diritto di detrazione, connesso alla simulazione di acquisti
non effettuati (fenomeno delle c.d. cartiere, che vendono false fatture).

1.3.Giustificazione costituzionale
L’Iva è un’imposta sul consumo. È il consumo il fatto espressivo di capacità contributiva, che giustifica
l’imposta sul piano costituzionale.
Vi è un divario assai netto tra aspetto giuridico-formale del tributo e aspetto economico-sostanziale.
Dal primo punto di vista, il tributo ha come presupposti determinate operazioni poste in essere da
determinati soggetti.
Poiché il tributo colpisce alla fine solo i consumatori finali, è il consumo un fatto espressivo di capacità
contributiva.
Il diritto di detrazione, insieme col diritto di rivalsa, rende neutrale l’imposta per gli operatori economici.

2.Soggetti passivi.
La condizione di “soggetto passivo” è quella degli imprenditori e dei lavoratori autonomi, i quali sono
debitori verso lo Stato dell’imposta dovuta, ma sono altresì titolari del diritto di detrazione connesso all’Iva
dovuta sugli acquisti.

141
Ben diversa è invece la condizione del c.d. consumatore finale, ossia di chi acquista un bene o un servizio,
ma non ha il diritto di “recuperare” l’imposta pagata.
Sono soggetti passivi Iva gli imprenditori e gli esercenti arti o professioni. Sono soggette ad imposta tutte le
attività svolte da soggetti che hanno forma giuridica di società commerciale, o da enti che abbiano per
oggetto principale od esclusivo l’esercizio di attività commerciali od agricole.
Invece, per gli enti non commerciali, si considerano effettuate nell’esercizio d’impresa soltanto le cessioni
di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di imprese commerciali o agricole.
Gli enti pubblici sono soggetti passivi d’imposta quando pongono in essere attività economiche di tipo
commerciale.
Ponendo a confronto la definizione di imprenditore ai fini Iva e quella di imprenditore ai fini delle imposte
sui redditi, si notano delle differenze:
- nei due settori, è imprenditore chiunque svolga un’attività commerciale, ma ai fini Irpef le prestazioni di
servizi a terzi che non rientrano nell’art. 2195 c.c. sono ugualmente attività d’impresa se vi è
l’organizzazione in forma d’impresa;
- solo nella definizione Iva sono compresi gli imprenditori agricoli (mentre la definizione di imprenditore ai
fini reddituali coincide con quella di imprenditore commerciale).
Anche la definizione di esercizio di arte o professione è simile a quella data ai fini delle imposte dirette.

3.Il campo di applicazione. Operazioni rilevanti e operazioni escluse


Perché una operazione economica sia rilevante ai fini dell’Iva, è necessario, da un lato, che sia posta in
essere da un imprenditore o da un lavoratore autonomo, e, dall’altro, che rientri nel campo di applicazione
del tributo.
Le operazioni escluse sono quelle che non hanno alcun rilievo ai fini dell’applicazione dell’imposta (non
comportano obblighi formali e non rilevano ai fini del calcolo del volume d’affari).
Le operazioni che rientrano nel campo di applicazione dell’Iva, a loro volta, si distinguono in:
- operazioni imponibili;
- operazioni non imponibili;
- operazioni esenti.
Le operazioni imponibili comportano il sorgere del debito d’imposta. Le operazioni non imponibili e quelle
esenti non fanno sorgere il debito d’imposta, ma comportano gli stessi adempimenti formali.
L’elemento caratteristico delle operazioni esenti risiede nel fatto che esse limitano il diritto di detrazione.

3.1.Le operazioni imponibili. Le cessioni di beni


Nella categoria delle operazioni imponibili sono comprese quattro specie di operazioni:
- cessioni di beni;
- prestazioni di servizi;
- acquisti intracomunitari;
- importazioni.
Costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ovvero
costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere.
Le cessioni a titolo gratuito non sono sempre escluse da imposta, perché sono imponibili le cessioni gratuite
di beni-merce.
Vi sono operazioni che non presentano uno dei requisiti delle cessioni, ma sono ad esse assimilate.
Costituiscono operazioni assimilate alle cessioni di beni:
- le vendite con riserva di proprietà (prezzo rateizzato e trasferimento con l’ultima rata);
- le locazioni con clausola di trasferimento della proprietà;

142
- i passaggi dal committente al commissionario (e viceversa) di beni venduti o acquistati in esecuzione di
contratti di commissione;
- le cessioni gratuite di beni la cui produzione rientra nell’attività propria dell’impresa;
- la destinazione di beni al consumo personale o familiare dell’imprenditore;
- l’assegnazione delle società ai soci.
Vi sono operazioni che, pur presentando tutti i requisiti delle cessioni, non sono considerate tali, e quindi
sono escluse dal campo di applicazione dell’Iva. Sono esclusi anche i conferimenti di azienda, i passaggi di
beni dipendenti, le cessioni di terreni non edificabili e le cessioni gratuite di campioni di modico valore.

3.2.Le prestazioni di servizi.


Le prestazioni di servizio sono, in generale, le prestazioni che comportano l’obbligo di fare, non fare o
permettere, dietro corrispettivo.
Anche per le prestazioni di servizi è richiesta l’onerosità.
Quando sia di valore superiore a 25,85 euro, è soggetto ad imposta anche il c.d. autoconsumo di servizi, o
l’effettuazione gratuita di servizi per finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
Le ipotesi più significative di fattispecie assimilate alle imponibili sono:
- le concessioni di beni in locazione;
- le cessioni di diritti su beni immateriali;
- le somministrazioni di bevande e alimenti;
- le cessioni di contratto.

3.3.Le operazioni esenti


Le operazioni esenti non comportano il sorgere del debito d’imposta ma sono operazioni rientranti nel
campo di applicazione dell’Iva e non consentono la detrazione dell’Iva a monte. Sono esenti:
- talune operazioni di carattere finanziario;
- la riscossione dei tributi;
- i giochi e le scommesse;
- le operazioni immobiliari;
- talune operazioni socialmente rilevanti, le prestazioni sanitarie, educative e culturali;
- etc.
Alcune operazioni sono esenti per ragioni sociali, altre per ragioni di tecnica tributaria (soggette ad altri
tributi).
Mancando la detraibilità, viene meno la neutralità del tributo, che assume per il soggetto passivo che
effettua operazioni esenti natura economica di costo.
L’esenzione può essere sconveniente, se il costo dell’Iva sugli acquisti non viene trasferito sui prezzi delle
vendite.

3.4.Cessioni e locazioni di immobili


La cessione di immobili è di regola esente da Iva, con alcune eccezioni.
Le cessioni di fabbricati ad uso abitativo sono di regola esenti; una eccezione a questa regola è
rappresentata dalle cessioni di fabbricati ultimati o ristrutturati da non più di quattro anni, ceduti dalle
imprese di costruzione o di ristrutturazione.
Anche per le cessioni di fabbricati strumentali per natura, la regola generale è quella dell’esenzione.
Vi sono però ipotesi di imponibilità:
- le cessioni effettuate entro quattro anni dalle imprese costruttrici che vi abbiano eseguito interventi di
recupero edilizio;

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- le cessioni effettuate nei confronti di cessionari che non agiscano nell’esercizio d’impresa, arti o
professioni (i c.d. consumatori finali);
- le cessioni per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per
l’imposizione.

4.Il momento impositivo


Vi sono nell’Iva regole che stabiliscono il momento in cui un’operazione si considera effettuata (momento
impositivo). In caso di mutamento di aliquote, si applica l’aliquota vigente nel giorno in cui l’operazione si
considera effettuata.
Per esigibilità dell’imposta il diritto comunitario intende il diritto che l’Erario può far valere a norma di
legge, a partire da un determinato momento, presso il debitore, per il pagamento dell’imposta, anche se il
pagamento può essere differito. Nel diritto interno, l’esigibilità è legata al momento in cui una operazione
si considera effettuata; coincide, quindi, con il momento impositivo.
Per le cessioni di beni, la regola fondamentale è che esse si considerano effettuate nel momento della
stipulazione, se riguardano beni immobili; e nel momento della consegna o spedizione, se riguardano beni
mobili.
Se gli effetti sono differiti, conta il momento in cui si producono gli effetti.
Le prestazioni di servizi si considerano effettuate quando è pagato il corrispettivo.
Sia per le cessioni di beni che per la prestazione di servizi, quando la fattura è emessa l’operazione si ha per
effettuata. Lo stesso vale per il pagamento del corrispettivo.
Secondo le norme del reddito di impresa, un ricavo è da computare in base al principio di competenza. È
quindi nell’ordine naturale delle cose che vi possa essere divario fra volume d’affari Iva e ammontare dei
ricavi imponibili ai fini del reddito.

5.La base imponibile


La base imponibile è costituita, di regola, dall’ammontare complessivo dei corrispettivi contrattuali.
Solo nel caso in cui non vi è un corrispettivo, o il corrispettivo è in natura, si applica il criterio del valore
normale.
Sono compresi nell’imponibile anche gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione. Non concorrono:
- gli interessi moratori;
- l’importo degli imballaggi da restituire;
- etc.

5.1.Presunzioni di acquisto e di vendita


Si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il
contribuente svolge le proprie operazioni. La presunzione non opera se è dimostrato che i beni:
- sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti;
- sono stati consegnati a terzi (in lavorazione o riparazione).
I beni che si trovano in uno dei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni si presumono
acquistati se il contribuente non dimostra di averli ricevuti in base ad un titolo non traslativo della
proprietà.

6.Le aliquote
Vi è un’aliquota normale (20 per cento); un’aliquota per generi di largo consumo (10 per cento);
un’aliquota ridottissima per i generi di prima necessità (4 per cento).
L’imposta dovuta dal soggetto passivo all’Erario si quantifica applicando, alle operazioni effettuate, le
relative aliquote.
144
7.Il diritto di rivalsa
Il soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile e che perciò è
debitore verso l’Erario, ha il diritto di rivalersi nei confronti del cessionario o del committente. Esercitare il
diritto di rivalsa è obbligatorio.
La rivalsa è quindi, innanzitutto, un diritto di credito: un credito del soggetto passivo dell’Iva, nei confronti
della controparte contrattuale, che si aggiunge, per effetto di legge, al corrispettivo pattuito.
Il soggetto passivo Iva, quando effettua una operazione imponibile, deve emettere fattura addebitando la
relativa imposta, a titolo di rivalsa, a cessionario o committente.
Il soggetto passivo Iva ha l’obbligo di far sorgere il diritto di rivalsa; ha l’obbligo, in altri termini, di costituirsi
creditore.
Nel commercio al minuto non è obbligatoria l’emissione della fattura: il prezzo si intende comprensivo
dell’imposta.
Vi è un interesse fiscale a che sorga il credito di rivalsa; perciò la mancata emissione della fattura e il
mancato addebito dell’Iva in fattura sono sanzionati.
Un risvolto della previsione legislativa dell’obbligo di rivalsa è la nullità di patti che la escludano.
La rivalsa può essere esercitata anche in ritardo, vale a dire dopo che è decorso il termine per la emissione
della fattura.
Ciò che impedisce la rivalsa è l’emissione di un avviso di accertamento.

8.Il diritto di detrazione. Esigibilità e inerenza


Il diritto di detrazione è un diritto dei soggetti passivi, che deriva dall’imposta da essi assolta o dovuta o ad
essi addebitata a titolo di rivalsa.
Nel caso di importazioni, è detraibile l’Iva risultante dalla bolletta doganale; nel caso di acquisto interno, il
soggetto passivo Iva può detrarre l’imposta che gli è stata addebitata nella fattura.
Il diritto di detrazione sorge nel momento in cui l’imposta “a monte” diviene esigibile ed è soggetto a
decadenza. Può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a
quello in cui il diritto alla detrazione è sorto.
L’importo della detrazione spettante risulta quindi dalla somma dell’Iva annotata nel registro degli acquisti.
La detrazione dell’Iva sugli acquisiti richiede che l’acquisto sia inerente all’attività del soggetto passivo. Se
l’acquisto si correla ad altre attività, il diritto alla detrazione è escluso o limitato.

8.1.Esclusioni della detrazione


Non è detraibile l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi ce afferiscono ad
operazioni esenti o comunque non soggette all’imposta.
In caso di acquisti ad uso promiscuo, ossia direttamente riferibili sia ad operazioni attive soggette ad
imposta, sia ad operazioni non soggette, è detraibile la quota di imposta riferibile all’impiego imponibile,
non è detraibile la quota riferibile ad un utilizzo non soggetto ad imposta.

8.2.Il pro-rata
Quando non vi sono legami diretti tra acquisti e specifiche operazioni attive che non sono soggette ad
imposta, ed il soggetto passivo Iva esercita sia attività che danno diritto, sia attività che non danno diritto
alla detrazione, il calcolo della quota di Iva detraibile è fatto con criterio forfetario (il pro-rata).
Il diritto alla detrazione dell’imposta spetta in misura proporzionale alle operazioni che danno diritto alla
detrazione. È quindi pari al risultato della frazione avente al numeratore l’ammontare delle operazioni con
diritto a detrazione, e al denominatore la somma di tutte le operazioni attive effettuate nello stesso
periodo.
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Vi sono operazioni attive che non devono essere considerate nel calcolo della percentuale di detrazione, tra
cui le cessioni di beni ammortizzabili e le operazioni esenti.
Limitano il diritto di detrazione non tutte le esenzioni, ma solo quelle relative all’attività propria
dell’impresa (cioè effettivamente svolta dalla società).

8.3.La rettifica della detrazione


La detrazione può essere fatta al momento dell’acquisto, senza bisogno di attendere l’effettivo utilizzo; ma,
se il bene o servizio è impiegato in modo difforme, la detrazione operata deve essere rettificata, in
aumento o in diminuzione, alla stregua del concreto utilizzo che ne viene fatto.
Per i beni ammortizzabili la detrazione può venire meno, o essere modificata, se negli anni successivi
aumenta la percentuale delle operazioni esenti.
Il legislatore prevede che, di regola, è detraibile l’intero ammontare dell’Iva dovuta sull’acquisto di beni
ammortizzabili, ma tale ammontare viene rettificato nei quattro anni successivi a quello di acquisto se si
verifica una variazione della percentuale di detrazione superiore a dieci punti.

8.4.Indetraibilità dell’Iva non dovuta.


Bisogna distinguere i due gruppi di ipotesi: il caso in cui la fattura è relativa ad operazione inesistente ed i
casi, meno gravi, in cui viene emessa fattura per una operazione non soggetta ad imposta, o con imposta
superiore a quella prevista.
Nei casi in cui la fattura è stata emessa per una operazione inesistente, non vi è simmetria tra chi emette
fattura e il destinatario della fattura.
Negli altri casi, invece, si è discusso se al destinatario della fattura, in cui è esposta una rivalsa non dovuta,
spetti il diritto di detrarre l’imposta di rivalsa versata a chi ha emesso la fattura.
Poiché chi emette la fattura è debitore verso l’Erario anche per l’imposta esposta erroneamente,
simmetricamente dovrebbe essere riconosciuto a chi riceve la fattura il diritto di detrarre l’Iva pagata in via
di rivalsa.
La stessa soluzione dovrebbe valere nel caso in cui la fattura addebita un’imposta superiore a quella
dovuta.
La giurisprudenza, però, sembra orientata nel senso che chi ha emesso la fattura ha diritto di rimborso nei
confronti dell’Erario; chi ha ricevuto una fattura che gli addebita un’imposta non dovuta, non può detrarre
l’imposta indebita e non può chiederne il rimborso all’Erario; può agire solo nei confronti di chi ha emesso
la fattura.

9.Il principio di territorialità


Ai fini di tale principio, rilevano due ambiti territoriali: quello statale e quello nazionale.
Perciò occorre distinguere tra: operazioni nazionali, intracomunitarie ed extracomunitarie.
Dal punto di vista spaziale, il campo di applicazione dell’Iva è il territorio dello Stato: cessioni di beni e
prestazioni di servizi rilevano in quanto sono effettuate nel territorio dello Stato.
Inoltre, le nozioni di importazione ed esportazione presuppongono la nozione di territorio.
Per le cessioni di beni vale il luogo in cui si trovano i beni ceduti. Per le prestazioni di servizi vale, invece, il
criterio del domicilio o residenza nel territorio dello Stato che presta il servizio.

9.1.Le operazioni intracomunitarie


Il regime delle operazioni intracomunitarie è fondato sul principio di tassazione nel paese di destinazione,
per cui le vendite tra operatori economici all’interno della Comunità sono tassate a carico del compratore.
Altro è invece il regime vigente quando uno dei soggetti è un consumatore finale.

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Nel caso di acquisti intracomunitari non vi sono operazioni di sdoganamento; il soggetto Iva di un Paese
comunitario che cede il bene ad un soggetto Iva di altro Paese comunitario deve emettere una fattura su
cui l’operazione deve essere indicata come non imponibile.
L’acquirente deve emettere autofattura e registrare l’operazione sia nel registro delle fatture emesse, sia
nel registro degli acquisti.
Nel caso in cui l’acquirente sia un consumatore finale, l’operazione è imponibile a carico del venditore.
Gli acquisti intracomunitari fatti da enti non commerciali non sono, in linea di principio, acquisti
intracomunitari in senso tecnico, ma lo diventano al di sopra di una data soglia.

9.2.Le operazioni extra-comunitarie. Le importazioni


In materia di scambi con l’estero, le imposte sul valore aggiunto possono rispondere al principio della
tassazione nel paese di destinazione o a quello della tassazione nel paese d’origine.
L’Ue ha adottato il primo principio (tassazione delle importazioni e detassazione delle esportazioni).
Per importazione, dopo l’abbattimento delle barriere doganali, si intende da un paese extracomunitario. I
beni importati sono tassati come quelli prodotti nello Stato, mentre quelli esportati non sono soggetti ad
imposta.
L’Iva all’importazione ha come base imponibile il valore della merce determinato secondo le disposizioni
doganali.
L’Iva all’importazione è accertata, liquidata e riscossa secondo le norme della legislazione doganale.
Le esportazioni sono operazioni non imponibili. Nello specifico abbiamo:
- cessioni all’esportazione;
- operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione;
- servizi internazionali.

9.4. Cessioni interne non imponibili nelle operazioni “triangolari”


L’ultimo passaggio interno di un bene può essere detassato nelle c.d. esportazioni triangolari.
Tale tipo di esportazione richiede l’intervento di tre soggetti (cedente, cessionario residente e acquirente
estero) e si realizza con due passaggi “non imponibili”: il primo dal cedente al cessionario (esportatore) e il
secondo da quest’ultimo all’operatore straniero.
Il cedente emette la fattura nei confronti del cessionario, ma invia direttamente i beni all’estero; il
cessionario, a sua volta, emette la fattura nei confronti dell’acquirente estero.

9.5.Cessioni non imponibili ad esportatori abituali


Il regime di non imponibilità può riguardare anche l’ultimo passaggio interno se il cessionario è un’impresa
che, nell’anno precedente, ha già effettuato esportazioni.
Le imprese che vendono all’estero larga parte della loro produzione sono permanentemente in credito
verso il Fisco. Per attenuare questo fenomeno viene attribuito agli esportatori abituali (coloro che hanno
venduto all’estero, in un dato periodo d’imposta, il 10 per cento dei beni commerciati) il diritto di
acquistare la stessa quantità di beni senza il pagamento dell’Iva.
L’esportatore deve previamente manifestare per iscritto al suo fornitore l’intento di avvalersi della facoltà
di effettuare acquisti senza applicazione dell’imposta mediante un atto formale.
L’esportatore può avvalersi di tale facoltà nei limiti del plafond.

9.6.Depositi fiscali.
I depositi fiscali (che sono diversi dai depositi doganali) sono dei depositi (in senso fisico) che consentono di
sospendere l’applicazione dell’imposta sui beni che vi sono immessi.

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I beni provenienti da altri paesi comunitari, o da paesi extracomunitari, che sono immessi fisicamente nei
depositi, non sono assoggettati temporaneamente ad imposta. Quando si verifica l’estrazione dal deposito,
si applicherà l’imposta adeguata alla destinazione del bene.

10.Le operazioni dei non residenti. La stabile organizzazione


Gli obblighi connessi alle operazioni effettuate in Italia da soggetti Iva non residenti possono essere
adempiuti mediante identificazione diretta (attribuzione di partita Iva), mediante un rappresentante fiscale
(che adempie gli obblighi ed esercita i diritti derivanti dall’applicazione dell’imposta) o mediante una stabile
organizzazione.
Anche se in Italia vi è una stabile organizzazione, il non residente può operare con la identificazione diretta
o con il rappresentante fiscale, per le operazioni direttamente imputabili alla casa madre.
Se vi è una stabile organizzazione, le operazioni compiute dalla stessa sono imputabili ad essa, rispondendo
in proprio. Tali operazioni devono essere effettuate dalla stabile organizzazione mediante rappresentante
fiscale o identificazione diretta.
Per esservi stabile organizzazione si richiede l’esistenza di una struttura dotata di risorse materiali ed
umane deputata alla gestione di una effettiva attività d’impresa.

11.Obblighi dei soggetti passivi. Identificazione


I soggetti che intraprendono l’esercizio di un’impresa, arte o professione devono farne dichiarazione al
Fisco, il quale attribuisce al neo-contribuente un numero di partita Iva.
La dichiarazione di inizio dell’attività deve contenere una serie di elementi, la cui variazione deve essere
denunciata all’Agenzia delle entrate.
Inoltre, deve essere dichiarata anche la cessazione dell’attività.

11.1.Fatturazione e registrazione
I soggetti passivi sono innanzitutto tenuti ad emettere fattura per le operazione imponibili, non imponibili
ed esenti.
La fattura non è obbligatoria per il commercio al minuto. La fattura deve essere datata e numerata in modo
progressivo per anno solare ed indicare:
- ditta, denominazione, residenza o domicilio dei soggetti fra cui avviene l’operazione e, relativamente al
cedente o prestatore, numero di partita Iva. Se non si tratta di imprese, società o enti devono essere
indicati il nome e il cognome;
- natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione;
- corrispettivi;
- aliquote, ammontare dell’imposta e dell’imponibile;
- numero di partita Iva del cessionario del bene o del committente del servizio.
La fattura può essere emessa sia in forma cartacea, sia in forma elettronica.
Nei rapporti tra cedente e cessionario, l’emissione della fattura è necessaria sia ai fini della rivalsa, sia ai fini
della detrazione.
Ogni soggetto passivo deve tenere, ai fini Iva, due registri: uno per le operazioni attive, uno per gli acquisti.
Le fatture attive devono essere annotate nei registri delle vendite entro quindici giorni dalla loro emissione.
Dal libro delle operazioni attive risulta l’Iva a debito, da quello delle operazioni passive l’Iva a credito: ogni
mese (od ogni trimestre) deve essere liquidata la differenza algebrica tra Iva a debito e Iva a credito.

11.2.Inversione dell’obbligo di fatturazione


Vi sono dei casi in cui è debitore dell’imposta il cessionario e il committente, che deve perciò provvedere
alla fatturazione.
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L’autofattura è prevista innanzitutto quando il soggetto che cede un bene o presta un servizio omette di
fatturare la sua prestazione.
Il cessionario o il committente:
- se non riceve la fattura entro quattro mesi dall’effettuazione dell’operazione deve presentare all’Ufficio
un documento sostitutivo della fattura non ricevuta e versare la relativa imposta;
- se riceve una fattura irregolare, deve presentare all’Ufficio un documento che regolarizza quella ricevuta,
e versare l’imposta eventualmente dovuta.
In secondo luogo, l’autofattura deve essere formata quando un’operazione è effettuata nel territorio dello
Stato da un non residente. L’acquirente italiano, se è un soggetto passivo Iva, dovrà registrare l’autofattura
sia tra le vendite, sia tra gli acquisti.
Infine, il cessionario deve ricorrere all’autofattura quando il cedente è un agricoltore con volume d’affari
insignificante.

11.3.Rettifica delle fatture emesse


Dopo che una fattura è stata emessa e registrata può risultare che debba essere apportata una rettifica.
Quando aumenta l’imponibile o l’imposta, il cedente o prestatore deve emettere una nota di variazione in
aumento.
In caso di eliminazione del contratto o riduzione del corrispettivo resta ferma la fattura già emessa, e può
essere emessa una nota di variazione di contenuto uguale e contrario a quello della fattura.
La nota di variazione può essere emessa anche come rimedio all’inadempienza del debitore, assoggettato
ad una procedura concorsuale.
Questa disposizione è utile, ad esempio, all’operatore economico che abbia effettuato una prestazione
imponibile a favore di un imprenditore sottoposto a fallimento. Se il credito viene insinuato nel fallimento,
e resta insoddisfatto, il creditore può rettificare la fattura con una nota di variazione che riduce l’Iva.

11.4.Fatture per operazioni inesistenti.


La fattura ha di per sé valore costitutivo del debito d’imposta per colui che la emette, anche se ha per
oggetto un’operazione inesistente, o se indica un corrispettivo maggiore a quello reale, o un’imposta
superiore a quella prevista. L’imposta è comunque dovuta per l’intero ammontare indicato.

12.Volume d’affari, contribuenti minori e minimi


Il volume d’affari è dato dall’ammontare complessivo delle operazioni effettuate nel corso di un anno
solare, conteggiando tutte le operazioni che devono essere registrate (imponibili, non imponibili ed esenti).
Ora, quando il volume d’affari supera 309.874,14 euro per imprese di servizi e professionisti, e 516.456,90
euro per le altre imprese, si applica un regime semplificato che permette ai contribuenti:
- di adempiere gli obblighi di fatturazione e registrazione mediante tenuta di un bollettario;
- di effettuare liquidazioni e versamenti trimestrali.

12.1.Dichiarazione annuale e opzioni


Anche nell’Iva vi è l’obbligo di presentare una dichiarazione annuale: tale obbligo deve essere sempre
adempiuto da parte di tutti i soggetti passivi del tributo.
Nella dichiarazione devono essere riportati l’ammontare delle operazioni attive e delle operazioni passive;
l’ammontare dell’imposta dovuta e delle detrazioni; i versamenti effettuati nel periodo d’imposta;
l’imposta dovuta a conguaglio o la differenza a credito.
Anche la dichiarazione annuale Iva può contenere delle opzioni:
- in sede di dichiarazione, se il contribuente vanta un credito può scegliere se riportarlo a nuovo o
chiederne il rimborso;
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- in sede di dichiarazione, il contribuente può, in certi casi, decidere se applicare il regime normale oppure
optare per un regime speciale.
L’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da
comportamenti concludenti.

12.2.Versamenti, eccedenze e rimborso


Dobbiamo distinguere tra versamenti periodici (infrannuali) e versamento annuale (a conguaglio). I
versamenti periodici sono quelli da effettuarsi nel corso dell’anno (mensilmente o trimestralmente).
Alla fine dell’anno, poi, deve essere fatto un versamento a titolo d’acconto, in misura pari ad una
percentuale della somma da versare per il mese di dicembre dell’anno precedente.
Il versamento di conguaglio deve essere effettuato entro il termine per la presentazione della dichiarazione.
Vi è eccedenza quando la somma dell’Iva detraibile e dei versamenti effettuati in corso d’anno supera il
debito d’imposta.
L’eccedenza è un credito che può essere compensato con debiti d’imposta, riportato a nuovo o rimborsato.
La compensazione è la regola, mentre il rimborso può essere accordato solo in casi particolari (soggetti che
effettuano operazioni non imponibili per almeno il 25 per cento del totale, chi cessa l’attività, …).
Il rimborso può essere chiesto da qualsiasi soggetto passivo, quando la dichiarazione sia risultata a credito
per due anni di seguito.
Il contribuente deve garantire la restituzione, ove il rimborso si rivelasse indebito.

Capitolo Ventitreesimo. REGISTRO E SUCCESSIONI

SEZIONE PRIMA: IMPOSTA DI REGISTRO

1.Tributi sugli affari e imposta di registro


L’imposta di registro rientra nell’ampia categoria delle imposte sugli affari (come l’Iva e l’imposta di bollo).
L’imposta è solitamente definita come imposta sui trasferimenti; in realtà il suo campo di applicazione va al
di là, in quanto sono soggetti a imposta di registro anche gli atti non traslativi, purché abbiano contenuto
economico.
Esso fa parte dei tributi collegati alla conservazione e la pubblicità degli atti.
La disciplina dell’imposta di registro è contenuta nel Testo unico approvato nel 1986.
L’imposta di registro è legata alla prestazione di un servizio amministrativo ed ha natura di tassa quando è
dovuta in misura fissa e non ha altra giustificazione che la prestazione del servizio.
Vi sono poi casi in cui il tributo è rapportato, in ragione proporzionale, al valore dell’atto: ed in tal caso il
tributo assume natura di imposta.

2.La registrazione
La registrazione avviene a seguito di richiesta di registrazione o d’ufficio. Vanno distinti:
- atti soggetti a registrazione in termine fisso;
- atti soggetti a registrazione in caso d’uso;
- atti non soggetti a registrazione.
Per gli atti soggetti a registrazione in termine fisso, la legge pone a carico di determinati soggetti
(contraenti, notai, …) l’obbligo di richiederne la registrazione entro un dato termine, presentando l’atto
all’Ufficio dell’Agenzia delle entrate, che liquida l’imposta e ne chiede il pagamento.
Per gli atti da registrare in caso d’uso, l’atto può essere usato solo se è stata previamente effettuata la
registrazione.
150
Infine, è previsto che per qualsiasi atto scritto può chiederne la registrazione chiunque vi abbia interesse.
La richiesta di registrazione è fatta su appositi stampati forniti dall’Ufficio.
La registrazione degli atti relativi a diritti sugli immobili deve essere richiesta in via telematica.
Le richieste devono essere precedute dal pagamento dei tributi, auto liquidati dal richiedente.
Gli uffici controllano la regolarità dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte.
Di regola, la registrazione avviene a seguito di richiesta di parte, ma, se non è stato osservato l’obbligo di
richiederla, la registrazione è fatta d’ufficio.
Per gli atti dei notai e dei pubblici ufficiali, la registrazione d’ufficio è possibile solo che si rinvengano, nei
registri o nei repertori, gli estremi di atti non registrati.
Per le scritture private la registrazione d’ufficio è prevista solo quando le scritture siano depositate presso
pubblici uffici, quando l’Amministrazione finanziaria ne sia venuta legittimamente in possesso e in presenza
di contratti verbali sulla base di prove presuntive.
Sono detti atti da registrare in termine fisso gli atti per i quali vi è obbligo di richiedere la registrazione
entro venti giorni dalla redazione.
Vanno distinti quattro gruppi:
- atti scritti indicati nella tariffa;
- contratti verbali;
- operazioni societarie;
- atti formati all’estero.
In linea generale, può dirsi che sono da registrarsi in termine fisso tutti gli atti aventi per oggetto
prestazioni a contenuto patrimoniale, con la duplice eccezione degli atti per i quali vale la regola del caso
d’uso e degli atti per i quali non vi è obbligo di registrazione.
I contratti verbali soggetti a registrazione sono quelli di locazione o affitto di beni immobili e di
trasferimento o affitto di aziende.
Inoltre, devono essere registrati gli atti formati all’estero, che hanno per oggetto il trasferimento della
proprietà di beni immobili, la locazione o l’affitto di beni immobili, etc.
Per uso di un atto si intende l’uso dell’atto a fini amministrativi, ossia la sua produzione in un procedimento
amministrativo.
L’atto, prima di essere depositato presso una pubblica amministrazione, deve essere registrato.
In pratica, non si verifica di frequente che un atto debba essere registrato in vista del suo uso
amministrativo: è però importante avere presenti le ipotesi in cui ciò si verifica, perché ciò significa che non
vi è l’obbligo di registrazione in termine fisso. I casi riguardano i contratti formati mediante corrispondenza
e le scritture private non autenticate relative ad operazioni Iva.
La registrazione consiste nell’annotazione in apposito registro dell’atto o della denuncia e, in mancanza,
della richiesta di registrazione.
Per atti pubblici, scritture private autenticate e atti giudiziari, la registrazione va richiesta all’Ufficio
dell’Agenzia delle entrate; negli altri casi la registrazione può essere richiesta a qualunque Ufficio.
La registrazione attesta l’esistenza degli atti e attribuisce ad essi data certa.
Vi è nella legge del registro un generale divieto di rilascio di atti non registrati da parte di pubblici ufficiali. Il
pagamento dell’imposta di registro, quindi, condiziona l’utilizzo degli atti giuridici.

3.I soggetti passivi


Dobbiamo distinguere tra soggetti obbligati a richiedere la registrazione e soggetti obbligati al pagamento
del tributo.
Per i contratti verbali e per gli atti formati all’estero, le parti dell’atto devono chiedere la registrazione e
pagare l’imposta.

151
Un secondo gruppo di soggetti è costituito dai responsabili d’imposta, che sono obbligati insieme con le
parti degli atti. Per gli atti pubblici e per le scritture private autenticate, l’obbligo di richiedere la
registrazione è a carico dei notai (per la sola imposta principale).
Vi sono infine dei soggetti che sono obbligati a chiedere la registrazione ma non a pagare l’imposta:
- cancellieri e segretari di organi giurisdizionali;
- gli impiegati dell’Amministrazione finanziaria e gli appartenenti alla Guardia di Finanza per gli atti per i
quali è prevista la registrazione d’Ufficio.
In entrambi i casi l’imposta è dovuta dalle parti del giudizio.

4.L’interpretazione degli atti. Gli atti complessi.


L’imposta di registro è qualificata come imposta d’atto.
Norma basilare, in materia, è quella secondo cui l’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli
effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione.
Il legislatore ha espressamente codificato per cui l’imposta di registro è imposta d’atto, che si applica, cioè,
esclusivamente in base a ciò che risulta dall’atto inteso come documento.
L’imposizione si dimensiona sul dato giuridico e si conforma alla tipologia degli effetti giuridici degli atti, ma
il dato formale va assunto come manifestazione di una sottostante vicenda, che dà giustificazione
costituzionale al tributo.
L’esclusivo rilievo dell’atto significa anche che, in sede di interpretazione, non valgono i criteri interpretativi
extra-testuali, come stabilito dal codice civile.
Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per loro natura, le une dalle altre,
ciascuna è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto.
Quando l’atto enuncia atti non registrati, si tassa anche quello enunciato (ad esempio, fallimento di una
società di fatto).
Quando sono unitariamente negoziati beni per i quali sono previste aliquote diverse, si applica l’aliquota
più elevata.
Un atto in parte a titolo oneroso, in parte a titolo gratuito, è soggetto all’imposta di registro per la parte
onerosa, all’imposta sulle donazioni per la parte gratuita.
Simmetrico al criterio ora enunciato è il criterio per cui, se una vicenda giuridica unitaria è realizzata con più
atti, la tassazione è unica.
Secondo la giurisprudenza, per ritenere necessariamente connesse e derivanti l’una dall’altra più
disposizioni contenute nello stesso atto, deve sussistere una oggettiva necessità giuridica e contrattuale di
connessione.
Tale disposizione rispecchia un principio generale dell’imposta di registro, secondo cui, quando un unico
disegno negoziale è realizzato con più atti, su un atto soltanto si applica l’imposta proporzionalmente,
mentre l’altro è tassato in misura fissa. Si collegano a tale criterio i contratti preliminari, gli atti sottoposti a
condizione sospensiva e la stipulazione di un contratto con successiva risoluzione.

5.Nullità dei patti contrari alla legge del registro


I patti contrati alle disposizioni del presente Testo unico, compresi quelli che pongono l’imposta e le
eventuali sanzioni a carico della parte inadempiente, sono nulli anche fra le parti.
È opportuno aggiungere che non è nulla la clausola con cui le parti stabiliscono che l’imposta è a carico di
una di esse: tale clausola non ha alcun effetto nei confronti del Fisco.

6.Atti invalidi e atti dichiarativi della nullità


L’invalidità di un atto non rileva agli effetti dell’imposta, che è dovuta anche se l’atto è invalido.

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Il legislatore accorda la restituzione dell’imposta soltanto quando la nullità o l’annullamento siano sanciti
da una sentenza passata in giudicato e l’atto non sia suscettibile di ratifica, conferma o convalida; non è mai
accordata la restituzione quando l’invalidità sia imputabile alle parti.
Gli atti che accertano la nullità sono tassati in misura fissa. La motivazione effettiva di tale indirizzo
giurisprudenziale è nel sospetto che l’atto dichiarativo dissimuli la retrocessione: nel sospetto, cioè, che le
parti, dopo aver stipulato un atto traslativo valido, concludono poi un nuovo contratto traslativo, e che, per
evitare una seconda tassazione, promuovano un giudizio fraudolento di nullità del primo atto.

6.1.L’alternatività tra Iva e imposta di registro


Imposta di registro e Iva sono tributi alternativi. Un atto scritto, compreso tra quelli soggetti ad imposta
proporzionale, e reca operazioni soggette a Iva, è soggetto a tassa fissa.
Il principio di alternatività riguarda non solo le operazioni imponibili, ma anche quelle non imponibili o
esenti. Ad esempio, un decreto ingiuntivo, con cui un imprenditore intima ad un suo cliente il pagamento di
una merce, è soggetto ad imposta fissa, perché la cessione di merci è soggetta ad Iva.
Il problema dell’alternatività tra Iva e registro si pone sovente nella pratica quando sorge la questione se sia
stata ceduta un’azienda o singoli beni aziendali.

9.La tassazione delle sentenze


Quando si conclude un procedimento giudiziario, il fascicolo viene trasmesso dalla cancelleria all’Agenzia
delle entrate, la quale liquida il tributo dovuto sulla sentenza, e su altri atti presenti nel fascicolo.
Il tributo è innanzitutto dovuto e liquidato sulla sentenza di primo grado; la riforma totale o parziale della
prima sentenza non si riflette sul tributo liquidato sulla sentenza riformata, ma fa sorgere un autonomo
diritto al rimborso.
Se la sentenza enuncia un atto non registrato, deve essere tassato anche l’atto enunciato.

10-Base imponibile e giudizio di congruità


La base imponibile è data dal valore dell’atto registrato (valore della prestazione).
Vi sono però prestazioni per le quali, se il prezzo o valore indicato nell’atto non è ritenuto congruo
dall’ufficio delle entrate, si rende necessaria una stima.
Il giudizio di congruità non è ammesso per le cessioni di immobili ad uso abitativo, nei casi in cui
intervengono fra persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, se l’acquirente
richiede che l’imposta sia applicata sul valore catastale.
Le parti, però, hanno l’obbligo di indicare nell’atto l’effettivo corrispettivo pattuito per la cessione.
Se le parti occultino il corrispettivo effettivamente pattuito, viene meno la tassazione sul valore catastale e
la base imponibile sarà costituita dal corrispettivo effettivamente pattuito, con sanzione amministrativa.
Al di fuori del caso indicato, l’imposta non si applica sul valore catastale, ma sul valore venale.
Vale la regola generale, secondo cui l’imposta, in sede di registrazione dell’atto, è applicata al prezzo
pattuito, ma l’ufficio può accertare come dovuta un’imposta complementare, quando il valore normale
dell’immobile è superiore al prezzo.
Vi sono atti per i quali non è ammesso il giudizio di congruità:
- per i contratti costitutivi di obbligazione di fare;
- per le cessioni di contratto;
- per gli atti di garanzia;
- etc.

153
11.Registrazione a debito
La registrazione a debito è quella che viene effettuata senza contemporaneo pagamento delle imposte
dovute. Tale procedura è ammessa in tre casi:
- le sentenze e gli atti dei procedimenti contenziosi in cui sono interessate le amministrazioni dello Stato;
- gli atti relativi alla procedura fallimentare;
- le sentenze che condannano al risarcimento del danno prodotto da reato.
La registrazione a debito concerne situazioni pendenti, e l’imposta sarà richiesta quando sarà cessata la
pendenza; l’imposta sarà così richiesta al soggetto che risulti soccombente.

12.Imposta principale, suppletiva e complementare


Sulla base di ciò che emerge dall’atto da registrare, o di altri elementi appositamente dichiarati ai fini
dell’applicazione del tributo, il fisco procede alla liquidazione ed alla richiesta dell’imposta principale.
L’imposta principale riscossa in sede di registrazione dell’atto.
L’imposta suppletiva è quella richiesta dopo la registrazione, quando sia diretta a correggere errori od
omissioni dell’ufficio.
L’imposta complementare è, residualmente, ogni imposta richiesta dopo la registrazione, che non abbia
carattere suppletivo.
Il caso più frequente di imposta complementare si ha quando l’ufficio rettifica in aumento la base
imponibile dell’imposta.
Si ha poi imposta complementare nelle varie ipotesi in cui la prima applicazione dell’imposta avviene su di
una base imponibile provvisoria.

13.La riscossione
L’imposta principale è dovuta in sede di registrazione. Se vi è ricorso contro l’accertamento di un’imposta
complementare, l’Agenzia può riscuotere, in pendenza del giudizio di primo grado, un terzo della maggiore
imposta accertata.

SEZIONE SECONDA: IMPOSTA SULLE SUCCESSIONI E DONAZIONI

14.Vicende dell’imposta sulle successioni


La rilevanza crescente della ricchezza mobiliare ha sottratto, all’imposta sulle successioni, la sua funzione,
perché essa colpisce, di fatto, quasi soltanto la ricchezza immobiliare.
Prima della riforma del 2000, l’imposta aveva una duplice base imponibile: le singole quote ereditarie
(ripristinata nel 2006) e l’asse ereditario globale.

15.Il presupposto
L’imposta si applica sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e
sulla costituzione di vincoli di destinazione.
L’elenco dettagliato comprende:
- il trasferimento di beni e diritti mortis causa;
- le donazioni e altre liberalità tra vivi;
- la costituzione di vincoli di destinazione;
- etc.
Non sono soggetti all’imposta i trasferimenti gratuiti a favore dei discendenti e del coniuge, aventi ad
oggetto aziende o rami di esse, quote sociali o azioni.

154
È sempre necessario che, in caso di trasferimento di azienda o di un suo ramo, il beneficiario prosegua
l’esercizio dell’attività d’impresa e che, in caso di trasferimento di partecipazioni, detenga il controllo per
un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento.
Per la definizione del presupposto dell’imposta successoria, occorre considerare che la legge fa discendere
obblighi fiscali “limitati” dalla chiamata ereditaria ed obblighi fiscali in senso pieno soltanto
dall’accettazione dell’eredità. Vi sono dunque due tipi di presupposti: la chiamata e la devoluzione
dell’eredità.

I soggetti passivi
I chiamati all’eredità e gli altri soggetti obbligati a presentare la dichiarazione rispondono solidalmente
dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti.
Gli eredi rispondono in solido dell’imposta globalmente dovuta.
Bisogna distinguere tra soggetti obbligati a presentare la dichiarazione e soggetti obbligati a pagare
l’imposta.
I chiamati all’eredità sono obbligati, in ogni caso, a presentare la dichiarazione, e sono obbligati a pagare
l’imposta solo se nel possesso dei beni ereditari e nel limite del valore dei beni posseduti.
I legatari sono obbligati a presentare la dichiarazione ma sono obbligati a pagare soltanto la parte
d’imposta che grava sul legato.

Base imponibile ed attivo ereditario


La base imponibile è costituita dal valore complessivo netto dei beni devoluti a ciascun beneficiario.
Si considerano compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci per
cento del valore globale netto dell’asse ereditario; la presunzione può essere vinta con la formazione di
inventario analitico.
Non sono compresi nell’attivo ereditario i trasferimenti a favore di enti pubblici e di fondazioni o
associazioni legalmente riconosciute, che hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca
scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità, nonché a favore delle ONLUS.

16.Franchigie e aliquote
La franchigia riguarda le singole quote ed è di un milione di euro per il coniuge e per i parenti in linea retta;
è di centomila euro a favore dei fratelli e delle sorelle.
L’imposta è proporzionale, con tre differenti aliquote:
- quattro per cento nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta con una franchigia di un milione di
euro per ciascun beneficiario;
- il sei per cento nei confronti degli altri parenti fino al quarto grado;
- l’otto per cento nei confronti degli altri soggetti;
- etc.
Nel computo della franchigia rilevano soltanto le donazioni pregresse per le quali sia stata riconosciuta una
franchigia d’imposta che abbia assorbito, in tutto o in parte, l’imposta dovuta.

17.L’imposta sulle donazioni


L’imposta si applica alle donazioni e, in generale, ai trasferimenti a titolo gratuito, oltre che alla costituzione
di vincoli di destinazione.
Non si tassa solo il trasferimento di beni e diritti, ma anche la costituzione di vincoli di destinazione. Il
negozio di destinazione può avere struttura unilaterale.

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Capitolo Ventiquattresimo FISCALITÀ LOCALE E REGIONALE

1.L’evoluzione della finanza locale


Con la riforma tributaria del 1971 fu concentrata nello Stato la leva fiscale e gli enti locali furono finanziati
quasi totalmente con trasferimenti statali.
In seguito, si è avuta un’inversione di tendenza. Sono aumentate le entrate proprie e ridotti i trasferimenti.
Il quadro delle principali entrate tributarie comunali è oggi composto, in sintesi, dall’Ici e da una serie di
tributi commutativi, o entrate parafiscali.
L’assetto delle entrate delle province è stato definito nel biennio 1996-97, attribuendo a tali enti il gettito di
alcune imposte (ad esempio, sulle assicurazioni delle auto).
A partire dagli anni ’90 si è rafforzata la spinta verso una più accentuata autonomia impositiva degli enti
locali, indicata come federalismo fiscale.

2.La potestà regolamentare degli enti locali in materia di tributi


Le province e i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, salvo per quanto attiene
alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei
singoli tributi.
I regolamenti sono approvati con deliberazione consiliare e sono comunicati al Ministero dell’Economia e
delle Finanze, che può impugnarli per vizi di legittimità dinanzi al giudice amministrativo.
Le tariffe e le aliquote sono deliberate entro la data fissata dalle norme statali per la deliberazione del
bilancio di previsione ed hanno effetto dal 1° Gennaio dell’anno di riferimento.

3.Accertamento dei tributi locali


Anche i tributi locali devono essere dichiarati dai contribuenti. Gli enti locali possono rettificare le
dichiarazioni incomplete o infedeli e accertare d’ufficio i tributi non dichiarati emettendo avvisi di
accertamento, che devono essere notificati entro il 31 Dicembre del quinto anno successivo a quello della
dichiarazione.
Gli avvisi di accertamento dei tributi locali, come gli avvisi delle imposte erariali, devono essere motivati in
relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati.

3.1.Riscossione e rimborso dei tributi locali


In caso di impugnazione dell’accertamento, è riscuotibile l’intera imposta accertata.
La riscossione coattiva dei tributi locali, se è affidata agli agenti della riscossione, è eseguita con il sistema
dei ruoli.
Invece, se la riscossione è svolta in proprio o dall’ente locale o affidata a soggetti terzi, diversi dall’agente
della riscossione, si applica la procedura dell’ingiunzione fiscale.
Il rimborso delle somme versate e non dovute deve essere richiesto dal contribuente entro il termine di
cinque anni dal giorno del versamento, ovvero da quello in cui è stato accertato il diritto alla restituzione.
L’ente locale deve rimborsare entro centottanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza.

4.L’imposta comunale sugli immobili


In molti Stati, la tassazione immobiliare è tradizionalmente riservata agli enti locali, perché si tratta di una
forma di imposizione di cui è facile individuare e localizzare i presupposti. Anche in Italia, la tassazione
immobiliare di tipo patrimoniale è affidata ai Comuni.
I comuni hanno il potere di fissarne l’aliquota e di disciplinarne, con regolamento, diversi profili.

156
Essi possono dettare regole in materia di presupposto, esenzioni, base imponibile, accertamento e
riscossione. L’aliquota deve essere deliberata in misura non inferiore al quattro per mille né superiore al sei
per mille (sette per mille in caso di esigenze straordinarie di bilancio).
Presupposto del tributo è il possesso di uno dei seguenti tipi di immobili:
- fabbricati;
- aree fabbricabili;
- terreni agricoli.
Dal 2008 è esente l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale.
L’Ici è stata oggetto di forti critiche, non solo di carattere politico, ma anche di natura giuridico-
costituzionale.
Sono soggetti passivi dell’imposta il proprietario dell’immobile o il titolare del diritto di usufrutto, uso,
abitazione, enfiteusi, superficie.
A proposito del diritto di superficie, prima che su di un suolo venga costruito un fabbricato, il soggetto
passivo del tributo è il proprietario del suolo. Dopo che è stato costruito il fabbricato, soggetto passivo è il
titolare del diritto di superficie.
In caso di locazione finanziaria (leasing), il tributo è dovuto dal locatario.
Per gli immobili compresi nel fallimento, il curatore deve versare l’imposta dovuta per il periodo di durata
dell’intera procedura concorsuale entro tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili.
La base imponibile è costituita dal valore dell’immobile, le cui regole di determinazione sono le seguenti:
- per i fabbricati iscritti al catasto, si applica alla rendita catastale il moltiplicatore 100, previsto per
l’imposta di registro;
- per i fabbricati non iscritti al catasto, si tiene conto della rendita attribuita ai fabbricati similari;
- per i fabbricati posseduti da imprese, non iscritti in catasto, si considera il costo d’acquisto e lo si
moltiplica per un coefficiente di rivalutazione;
- per le aree fabbricabili, si tiene conto del valore venale in comune commercio;
- per i terreni agricoli, si moltiplica il reddito dominicale per settantacinque.

5.Altri tributi comunali


La tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ha come presupposto le occupazioni di qualsiasi
natura, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province.
Presupposto della tassa è l’occupazione di un bene pubblico, quale che sia il titolo giuridico
dell’occupazione, ed anche se l’occupazione è abusiva.
L’ente può esigere un canone (di concessione), in quanto proprietario del suolo pubblico dato in
concessione. Soggetto attivo della tassa è il comune o la provincia.
Coloro che realizzano il presupposto della tassa devono presentare una dichiarazione, che, se non vi sono
variazioni, vale anche per gli anni successivi.
Il comune può emettere avvisi di accertamento.
L’effettuazione della pubblicità comporta il pagamento di una imposta, che ha come presupposto la
diffusione di messaggi pubblicitari effettuati attraverso forme di comunicazione visiva o acustica, in luoghi
pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile.
Soggetti passivi dell’imposta sono colui che dispone del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario
viene diffuso e colui che fornisce i servizi pubblicizzati.
Il soggetto che dispone del mezzo è indicato come obbligato in via principale (deve presentare la
dichiarazione). L’impresa di pubblicità ha poi diritto di rivalsa nei confronti del soggetto pubblicizzato.
La tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu) è dovuta da coloro che occupano o detengono
locali o aree scoperte nelle zone del territorio comunale in cui è istituito il servizio di smaltimento dei rifiuti

157
ed è commisurata, da un lato, alla superficie dei locali e, dall’altro, al costo del servizio. La Tarsu può essere
sostituita, con delibera comunale, dalla Tia (tariffa di igiene ambientale).
La legge finanziaria per il 2007 prevede che i comuni possono deliberare l’istruzione di un’imposta di scopo,
destinata esclusivamente alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di opere pubbliche. Per la
disciplina di tale imposta si applicano le disposizioni in materia di imposta comunale sugli immobili.
Il regolamento che istituisce l’imposta determina:
- l’opera pubblica da realizzare;
- l’ammontare della spesa;
- l’aliquota dell’imposta;
- l’applicazione di esenzioni, riduzioni o detrazioni;
- le modalità di versamento.

6.L’imposta regionale sulle attività produttive


L’Irap assume la natura di tributo proprio della regione e, dal 1° Gennaio 2009, è istituita con legge
regionale, ma le regioni non possono modificare le basi imponibili; nei limiti stabiliti dalle leggi statali,
possono modificare l’aliquota, le detrazioni e le deduzioni, nonché introdurre speciali agevolazioni.
L’Irap è un’imposta assai peculiare, perché non ha come presupposto il reddito o il patrimonio, ma lo
svolgimento di un’attività (economica o meno), autonomamente organizzata.
L’aliquota è del 3,9 per cento.
I soggetti passivi devono essere divisi in tre categorie: imprenditori, lavoratori autonomi, pubbliche
amministrazioni.
Sono colpiti tutti coloro che producono reddito d’impresa e coloro che esercitano un’arte o una
professione. Sono infine colpiti anche gli organi e le amministrazioni dello Stato.
Sono esclusi coloro che producono redditi occasionali, gli imprenditori agricoli che producono redditi
minimi, i fondi pensione, etc.
Per quanto riguarda la base imponibile dell’Irap, sono opportune due premesse:
- quando una determinata grandezza è componente dell’imponibile di un soggetto, la stessa grandezza non
è colpita a carico di chi percepisce quel reddito;
- la base imponibile si calcola sottraendo, da una componente positiva di partenza, talune componenti
negative.
Il decreto indica il metodo della sottrazione, che consiste nell’assumere come dato di partenza il valore
complessivo dei compensi percepiti nel periodo d’imposta: da tale valore si sottraggono le spese, ma non le
spese sostenute per i dipendenti e per i collaboratori, e quelle per interessi.
Per gli enti non commerciali e la pubblica amministrazione, la base imponibile è pari alle spese per stipendi.
Per le società e per gli enti commerciali, la base imponibile è data dalla differenza tra il valore e il costo
della produzione e il costo del personale.
Per un’impresa in contabilità ordinaria essa è pari alla differenza tra il valore della produzione e una serie di
costi di produzione, tra cui costi di acquisto delle materie prime, di merci, i costi di ammortamento, etc.
Non sono deducibili i costi del personale dipendente, i compensi corrisposti per le prestazioni coordinate e
continuative, la quota di interessi dei canoni di leasing, l’Ici, etc.
Per le società di persone e per gli imprenditori individuali non sono deducibili le spese per il personale
dipendente e assimilato, la quota interessi dei canoni di locazione finanziaria, le perdite sui crediti, l’Ici.
L’Irap è stata ideata come strumento capace di attribuire alle Regioni un grado molto ampio di autonomia
tributaria.
Resta affidata all’Amministrazione finanziaria dello Stato il potere di accertarla e di riscuoterla.
Il gettito è destinato alle Regioni, ma in forza di un rapporto Stato-regioni al quale il contribuente resta
estraneo.
158
Capitolo venticinquesimo. FISCALITA' DELL'UNIONE EUROPEA

1.Le norme fiscali del TFUE


Dal 2009, il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; non prevede che l'Unione abbia competenza
generale in materia tributaria e che abbia un proprio sistema di imposte: le norme con contenuto o rilevanza
tributaria non procurano entrate ma assicurano che il mercato comune abbia la caratteristica di un
mercato interno e non vi siano distorsioni della concorrenza.
Il Consiglio
 ha il potere di ammortizzare le legislazioni degli Stati membri in materia di imposte indirette;
 può adottare all'unanimità, in ambito della politica per l'energia, misure di natura fiscale. Si ha
poi un'integrazione negativa mediante le sentenze della Corte di giustizia in tema di incompatibilità di
specifiche norme fiscali nazionali con il diritto dell'Unione.
Le norme fiscali degli Stati devono
 rispettare il principio di non discriminazione in base alla nazionalità, assicurando parità di
trattamento ai cittadini e alle imprese dell'Unione; sono vietate discriminazioni espressamente
basate sulla nazionalità ma anche discriminazioni dissimulate o indirette. Non è compatibile con il diritto
dell'Ue ogni discriminazione non giustificata tra residenti e non residenti.
 non essere di ostacolo all'esercizio delle libertà fondamentali.
Nell'Unione non possono esserci dogane e dazi doganali; alle merci provenienti da paesi terzi si applica
una tariffa doganale comune; sono vietate fra gli stati membri le restrizioni quantitative all'importazione e
ogni misura di effetto equivalente.
Gli stati non possono colpire i prodotti provenienti dagli altri Stati membri con disposizioni interne, superiori a
quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari. I prodotti esportati non
possono beneficiare di alcun ristorno di imposizione interne.
Di regola, le legislazioni distinguono tra residenti e non residenti non violano il principio di non
discriminazione: il reddito percepito nel territorio di uno Stato da un non residente costituisce
solitamente solo una parte del suo reddito complessivo.
Quando un lavoratore produce la maggior parte del suo reddito in uno stato in cui non è residente gli
devono essere accordate le stesse attenuazioni del carico fiscale che sono concesse ai residenti, gli è
concesso il trattamento nazionale.
La libertà di stabilimento è
 il diritto di esercitare un'attività economica in uno Stato membro diverso da quello di origine (libertà di
stabilimento primario);
 il diritto di aprire filiali, agenzie o succursali in un altro paese membro (libertà di
stabilimento secondario).
Implica per l'operatore la libertà di scegliere la forma giuridica con cui organizzarsi; le norme fiscali non
devono condizionare tale libertà: lo Stato di origine non deve ostacolare il diritto delle società residenti di
stabilirsi anche in altri Stati.
Caso Borsal: è incompatibile la normativa di uno Stato membro che non ammette la deduzione, da parte
della società madre residente, degli interessi passivi derivanti da prestiti contratti per finanziare
società figlie in altri paesi.
Caso Mark&Spencer: non è compatibile la legislazione in cui risiede la controllante non ammetta la deducibilità
delle perdite della controllante residente in altro Stato membro, neppure nel caso in cui le perdite non
possono essere utilizzate dalla controllata nello Stato in cui risiede.
Il paese ospitante deve assicurare parità di trattamento tra società residenti e stabili organizzazioni.
La libertà di prestazione di servizi riguarda attività svolte in modo non permanente da chi è stabilito in un

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paese diverso da quello in cui il servizio è reso; ha carattere residuale, opera quando non valgono le altre
norme sulla libera circolazione, e riguarda i servizi transfrontalieri. La libertà deve essere assicurata sia a chi
presta il servizio che ai consumatori.
Libera circolazione dei capitali: i paesi membri non devono ostacolare gli investimenti con norme fiscali dagli
effetti restrittivi della circolazione dei capitali, o discriminatori tra investitori residenti e non residenti.
Caso Verkooijen: è incompatibile l'esenzione parziale da imposta per i dividendi distribuiti da società
residenti ma non per i dividendi esteri.
Caso Manninen: parità di trattamento tra dividendi distribuiti da società residenti e dividendi distribuiti
da società non residenti, se il credito d'imposta è accordato ai dividendi interni ma non a quelli provenienti
dall'estero.
Caso Commissione c. Italia: i dividendi in entrata (distribuiti da società non residenti a contribuenti residenti) e
i dividendi in uscita (distribuiti da società residenti a soci non residenti) non devono essere tassati in
modo discriminatorio rispetto ai dividendi domestici (distribuiti da società residenti a contribuenti
residenti).
Sono consentite deroghe alla discriminazione fondata sulla nazionalità per la tutela dell'ordine pubblico,
della moralità e della salute pubblica.
Caso Cassis de Dijon: le leggi nazionali, quando siano necessarie per rispondere ad esigenze imperative
attinenti all'efficacia dei controlli fiscali, alla protezione della salute pubblica, alla lealtà dei negozi
commerciali e alla difesa dei consumatori, sono accettate.
Il Consiglio, deliberando all'unanimità, e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato
economico e sociale, adotta le disposizioni relative all'armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte
sulla cifra d'affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui l'armonizzazione
sia necessaria per assicurare l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno ed evitare le distorsioni
di concorrenza.
L'evasione fiscale è considerata una distorsione della concorrenza.
Per armonizzare le legislazioni fiscali nazionali sugli scambi è stata adottata l'Iva.
Per evitare distorsioni della concorrenza, la base imponibile deve essere uniforme in tutta l'Unione e le
aliquote ravvicinate: si prevede che l'aliquota non possa essere inferiore al 15%; sono ammesse due
aliquote ridotte, applicabili a beni di prima necessità o destinati a fini culturali e sociali.
Si applica la tassazione nel paese di destinazione, tassando le importazioni e detassando le
esportazioni. Questo regime opera nei rapporti tra operatori residenti nell'Unione europea ed operatori
residenti fuori dall'Unione.
Per gli scambi interni all'Unione si ha la tassazione nel paese di origine: le cessioni di merci all'interno tra
Stati dell'Unione costituiranno operazioni imponibili come le cessioni che avvengono all'interno dello stesso
territorio statale. L'imposta sarà pagata nel paese d'origine, ma l'Iva dovrà poi esser percepita dallo Stato di
destinazione: si prevede un sistema di compensazione tra Stati.
Per le accise è stato conservato il principio della tassazione nel paese di consumo del prodotto, i prodotti
possono circolare nel territorio comunitario in regime di sospensione d'imposta.
La Direttiva 335/1969 ha armonizzato la tassazione indiretta della raccolta dei capitali, in modo che questi
possano circolare liberamente nel mercato comune in condizioni di neutralità fiscale; prevede:
 l'istituzione di un'imposta sui conferimenti da applicare una sola volta nello Stato in cui è
situata la direzione effettiva della società;
 l'abolizione delle imposte di bollo sui titoli, azionari e obbligazionari, la soppressione di altri imposte
indirette che hanno caratteristiche dell'imposta sui conferimenti e dell'imposta di bollo;
 vieta che possano essere applicate alla società di capitali imposta indirette diverse da quella
configurata dalla Direttiva.
Il Consiglio deliberando all'unanimità, secondo una procedura legislativa speciale e previa
160
consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, stabilisce direttive volte al
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che
abbiano un'incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato interno. Sono state
adottate:
 la Direttiva 133/2009 sulle fusioni e sulle altre operazioni straordinarie che interessano società
di Stati membri diversi, facilita la nascita di gruppi multinazionali; prevede
– un regime fiscale comune alle operazioni straordinarie transfrontaliere,
– disciplina fusioni, scissioni, conferimenti di attivo e scambi di azioni che concernono società di stati
membri diversi,
– sancisce il principio di neutralità fiscale: tali operazioni non comportano tassazione delle plusvalenze
risultanti dalla differenza tra valori reali e valori fiscali dei beni coinvolti nelle operazioni,
– disciplina il passaggio di fondi in sospensione d'imposta dalla conferente alla beneficiaria, il
passaggio delle perdite, l'avanzo di fusione, i conferimenti di attivo;
 la Direttiva madre-figlia 435/1990 sulla distribuzione di utili tra società madri e figlie di Stati
membri diversi, affronta i problemi fiscali connessi agli utili ed ha per scopo eliminare i fenomeni di doppia
imposizione: essendo la società madre e la società figlia di due Stati diversi, lo stesso reddito rischia di esser
tassato due volte, come utile della società figlia e come dividendo della società madre. Prevede che quando
la società madre riceve utili dalla società figlia, lo Stato della società madre
– si astiene dal sottoporre ad imposta tali utili (metodo dell'esenzione),
– o attribuisce alla società madre un credito d'imposta, consentendogli di dedurre, dall'imposta
dovuta, l'imposta dovuta dalla società figlia (metodo del credito d'imposta indiretto).
Nel nostro ordinamento è stata recepita riconoscendo alla società madre non residente il diritto al
rimborso della ritenuta alla fonte prelevata sui dividendi percepiti o direttamente la non applicazione della
ritenuta da parte della società figlia residente che distribuisce i dividendi.
La Direttiva 123/2003 ha modificato la Direttiva madre-figlia prevedendo:
– riduzione al 10% della quota di partecipazione necessaria per l'attribuzione dello status di società
madre e società figlia;
– ampliamento dell'elenco delle società cui si applica la Direttiva;
– applicabilità della disciplina alle stabili organizzazioni;
– miglioramento delle modalità di eliminazione della doppia imposizione per gli stati membri che
utilizzano ancora il metodo dell'imputazione.
 La Direttiva 49/2003 disciplina il regime fiscale di interessi e canoni corrisposti da una società ad
altre società o stabili organizzazioni di uno stesso gruppo, con sede in stati membri diversi: i rapporti tra
società consociate di Stati membri diversi sono tassati una sola volta in un solo stato, quello percettore;
 Direttiva sul risparmio, instaura un regime fiscale in base al quale i redditi da risparmio, corrisposti
sotto forma di interessi, siano tassati solo nello Stato di residenza del
beneficiario;
 la Convenzione arbitrale, diretta a porre rimedio alle doppie imposizioni che si verificano quando
uno Stato rettifica gli utili di imprese associate residenti in Stati diversi: l'impresa collegata coinvolta nella
stessa transazione ha diritto di ottenere una corrispondente riduzione del proprio imponibile dallo Stato
in cui risiede. Le autorità fiscali dei due stati membri interessati possono avviare tra loro una procedura
amichevole, se non viene raggiunto un accordo si passa all'arbitrato.
Sono incompatibili con il mercato comune gli aiuti concessi dagli Stati che favoriscano alcune impresa o
produzioni, falsando o minacciando di falsare la concorrenza.
Sono aiuti di stato sia le sovvenzioni fiscali sia le norme che escludono o riducono i normali oneri fiscali.
Un aiuto non è compatibile quando:

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 sia selettivo, favorisca alcune imprese o alcune produzioni;
 falsi o minacci di falsare la concorrenza;
 incida sugli scambi tra Stati membri.
Non è un divieto assoluto: sono compatibili gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori
e gli aiuti concessi in occasione di calamità naturali o altri eventi eccezionali.
Sono compatibili:
 gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni dove vi sia una grave forma di
sottoccupazione;
 gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse
europeo oppure a porre rimedio ad un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro;
 gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di alcune attività o alcune regioni economiche;
 gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio;
 alcune categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio su proposta della
Commissione.
Gli Stati, prima di adottare un provvedimento a favore delle imprese, devono comunicarne il progetto
alla Commissione, e non può eseguirlo prima che si sia pronunciata. La Commissione può dare inizio ad una
speciale procedura, al termine del quale può decidere che il progetto non sia compatibile.
Se gli stati concedono aiuti non notificati o non compatibili, la Commissione può disporne la revoca ed
ordinare il recupero dell'aiuto. Le controversie sul recupero degli aiuti sono devolute alla giurisdizione
tributaria.

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