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RIASSUNTI DIRITTO

PRIVATO
CAPITOLO
1:
Società
e
diritto

Carattere
essenziale
dell’uomo
è
la
sua
relazionalità,
l’essere
in
rapporto
con
altri
esseri
umani.
La
vita
associata,

dunque,
si
presenta
come
esigenza
e
dimensione
irrinunciabile
per
l’individuo
e
presuppone
delle
regole
che

disciplinino
il
comportamento
dei
singoli
e,
così,
stabiliscano
che
cosa
è
permesso
fare
e
che
cosa
è
vietato,
quale
sia

l’ambito
di
libertà
di
ciascuno
e
quali
i
comportamenti
che
i
consociati
debbono
obbligatoriamente
tenere.

Il
fenomeno
del
diritto
si
presenta
come
l’insieme
delle
regole
di
condotta
e
di
organizzazione
di
una
collettività

umana.


Non
tutte
le
regole
che
rendono
possibile
una
ordinata
convivenza
sociale
sono
anche
norme
‘giuridiche’
(ad
es.
la

religione,
la
morale,
il
costume).


Alcune
regole
sono
al
contempo
precetti
morali
(o
religiosi)
e
giuridici:
si
ha
dunque
una
coincidenza
di
valutazioni.

Può
darsi
poi
indifferenza
reciproca
tra
le
due
sfere
quando
si
hanno
regole
di
grande
rilievo
nella
vita
umana
ma

irrilevanti
per
il
diritto.
Infine
può
aversi
un
conflitto
fra
quanto
prescritto
da
una
norma
etica
o
religiosa
e

l’ordinamento
della
società
politica.


Si
pone
allora
l’esigenza
di
distinguere
le
norme
giuridiche
dalle
altre
regole.
Il
carattere
distintivo
delle
norme

giuridiche
va
individuato
nella
presenza
di
una
sanzione,
cioè
di
una
conseguenza
negativa
prevista
per
il
caso
di

violazione
delle
norme
stesse.
Tale
sanzione
giuridica
è
predeterminata,
viene
necessariamente
irrogata
e
ne
viene
poi

garantita,
da
appositi
organi,
l’esecuzione
coattiva.

Appare
corretta
pertanto
la
definizione
delle
norme
giuridiche
(o
diritto
in
senso
oggettivo)
come
l’insieme
delle

regole
di
condotta
garantite
da
una
organizzazione
sociale.



Si
è
in
presenza
di
un
ordinamento
giuridico
quando,
con
riferimento

a
un
determinato
gruppo
sociale:

1. Sussiste
un
minimo
di
regole
o
norme
fra
loro
coerenti
e
coordinate

2. Sono
previste
specifiche
sanzioni
per
la
loro
violazione

3. Esistono
degli
organi
che
hanno
il
compito
di
applicare
tali
sanzioni
e
di
introdurre
o
modificare
le
regole
di

condotta
per
gli
appartenenti
al
gruppo

Non
esiste
un
solo
ordinamento,
bensì
una
pluralità
di
ordinamenti
giuridici.
In
una
posizione
di
preminenza
sono

l’apparato
e
l’ordinamento
statuali.
Vi
è
una
subordinazione
di
fatto
degli
altri
ordinamenti
al
diritto
dello
Stato.


Il
diritto
naturale
è
il
diritto
ideale
che
riconosce
la
necessità
di
determinati
valori
considerati
imprescindibili
per
la
vita

dell’individuo.
Uno
Stato
è
tanto
più
giusto
e
vicino
ai
cittadini
quanto
più
il
diritto
positivo
si
richiama
a
quello

naturale.


CAPITOLO
2:
Fonti
del
diritto
positivo

Il
diritto
positivo
è
l’insieme
delle
norme
che
compongono
l’ordinamento
giuridico
di
una
data
collettività
in
un
certo

momento
storico:
si
dice
“positivo”
in
quanto
formalmente
posto
dagli
organi
competenti
in
base
a
regole

specificamente
dettate
in
proposito.


Caratteri
tipici
della
norma
giuridica:

‐ La
norma
è
generale
in
quanto
indirizza
il
suo
precetto
non
specificamente
a
un
singolo
individuo,
bensì
a

tutti,
alla
generalità
dei
consociati,
o
almeno
agli
appartenenti
ad
una
determinata
categoria.

‐ La
norma
è
astratta
in
quanto
detta
una
regola
destinata
a
disciplinare
non
questo
o
quel
rapporto
concreto,

bensì
tutti
i
rapporti
e
le
situazioni
suscettibili
di
rientrare
nello
schema
o
modello
prefigurato.

‐ La
norma
è
imperativa,
non
si
limita
a
dare
un
consiglio:
impone
piuttosto
di
attenersi
ad
un
certo

comportamento,
pena
l’irrogazione
di
una
sanzione.


Fonti
del
diritto
sono
i
fatti
dai
quali
traggono
origine
le
norme
giuridiche.
Costituiscono
fonti
del
diritto,
dunque,

alcuni
atti
e
fatti
rigorosamente
individuati
che
si
prestano
ad
essere
distinti
in
fonti
scritte
(le
leggi
e
i
regolamenti)
e

fonti
non
scritte
(gli
usi).

Con
riguardo
alle
fonti
di
produzione
del
diritto,
esse
si
caratterizzano
per
la
diversa
efficacia
o
forza
normativa,
nel

senso
che
alcune
hanno
prevalenza
sulle
altre.
E’
questo
il
principio
della
gerarchia
delle
fonti,
in
virtù
del
quale
le

norme
di
ciascuna
fonte
devono
“cedere”
di
fronte
a
tutte
quelle
di
grado
sovraordinato:
pertanto,
ove
abbiano

contenuto
incompatibile
con
quelle
superiori,
dovranno
“soccombere”
e
saranno
perciò
disapplicate.
Le
norme

promananti
da
una
certa
fonte
possono
essere
abrogate
o
modificate
solo
da
una
fonte
di
pari
grado
o
superiore.


Sono
oggi
fonti
del
diritto,
nell’ordine:
1)
la
Costituzione
e
le
altre
leggi
costituzionali;
2)
i
regolamenti
comunitari;
3)
le

leggi
ordinarie
e
gli
atti
aventi
forza
di
legge;
4)
le
leggi
regionali;
5)
i
regolamenti
governativi;
6)
gli
usi.


1)LA
COSTITUZIONE

La
Costituzione
è
una
legge
approvata
da
un
organo
legislativo
apposito
(l’Assemblea
costituente)
ed
entrata
in
vigore

il
1.1.1948,
che
contiene
le
regole
fondamentali
sull’assetto
politico
e
istituzionale
dello
Stato
italiano.
In
particolare,

essa
contiene
le
principali
norme
organizzative
dei
pubblici
poteri
(Parlamento,
Governo;
Magistratura)
e
i
principi

fondamentali
di
riconoscimento
e
garanzia
dei
diritti
inviolabili
della
persona.
Può
essere
abrogata
o
modificata
solo

da
un’altra
legge
costituzionale.


2)I
REGOLAMENTI
COMUNITARI

I
regolamenti
comunitari
sono
atti
normativi
dell’Unione
Europea
che
hanno
diretta
efficacia
nel
territorio
degli
Stati

membri
e
vincolano
pertanto
i
cittadini
dei
singoli
Stati
al
pari
delle
norme
di
fonte
statuale
(leggi).
Sono
emanati
dal

Consiglio,
composto
da
rappresentanti
degli
Stati
membri
e
mirano
ad
una
progressiva
integrazione
economica
dei

paesi
membri
in
vista
di
una
futura
globale
integrazione
politica.

Le
direttive
e
le
raccomandazioni
non
hanno
di
norma
efficacia
normativa
diretta
ed
immediata
ma
orientano
l’attività

dei
singoli
Stati
al
fine
di
realizzare
una
progressiva
armonizzazione
delle
legislazioni
nazionali
obbligandoli
ad

adeguare
la
loro
normativa
interna
in
termini
stringenti.


3)LE
LEGGI
ORDINARIE

Le
leggi
ordinarie
sono
atti
normativi
emanati
dal
Parlamento
secondo
le
regole
dettate
per
la
loro
formazione.
Ad

esse
sono
equiparati:

‐ i
decreti
legge.
Sono
atti
aventi
forza
di
legge
emanati
dal
Governo
in
“casi
straordinari
di
necessità
e

urgenza”.
Essi
devono
essere
convertiti
in
legge
dal
Parlamento
entro
60
giorni,
pena
la
loro
decadenza.

‐ I
decreti
legislativi
(o
leggi
delegate).
Sono
emanati
dal
Governo
in
forza
di
una
apposita
legge‐delega
delle

Camere,
che
conferisce
il
potere
legislativo
su
materie
determinate,
specificando
principi
e
criteri
direttivi
su

cui
esso
dovrà
attenersi.


4)LE
LEGGI
REGIONALI

Le
leggi
regionali
sono
atti
normativi
emanati
dalle
Regioni
nell’ambito
della
potestà
legislativa
ad
esse
attribuita.


5)I
REGOLAMENTI

Sono
atti
normativi
emanati
dal
Governo
e
da
altre
autorità
amministrative
(‐>potere
esecutivo)
per
disciplinare
la

pratica
applicazione
delle
leggi
o,
in
casi
determinati,
per
dettare
senz’altro
la
disciplina
di
singole
materie.

a)
Regolamenti
esecutivi:
essi
disciplinano
la
pratica
applicazione
della
legge,
determinandone
le
modalità
di
esecuzione
e
i
concreti

adempimenti.


b)
Regolamenti
integrativi
(o
di
attuazione):
essi
sono
diretti
ad
integrare
la
legge,
a
completarla
dettando
una
vera
e
propria

disciplina
sostanziale
della
materia,
anche
abrogando
precedenti
disposizioni
legislative.
Devono
essere
autorizzati
da
un’apposita

legge.

c)
Regolamenti
indipendenti:
essi
sono
emanati
in
materie
non
disciplinate
dalla
legge
o
disciplinate
da
una
legge
che
viene

appositamente
abrogata
per
consentire
una
nuova
disciplina
tramite,
appunto,
tali
regolamenti.

d)
Regolamenti
organizzativi:
disciplinano
l’organizzazione
e
il
funzionamento
degli
uffici
e
l’esercizio
delle
relative
funzioni
(nei

limiti
delle
rispettive
competenze).
Spettano
a
prefetti,
consigli
comunali,
provinciali,
etc.


6)GLI
USI

L’uso,
o
consuetudine,
è
quella
norma
o
regola
non
scritta
che
nasce
spontaneamente
nel
corpo
sociale
per
effetto

della
costante
osservanza,
protratta
nel
tempo,
di
una
certa
condotta.
Il
primo
requisito,
oggettivo,
è
la
uniforme,

ripetuta
osservanza
di
un
certo
comportamento
nell’ambito
di
un
determinato
gruppo
sociale.
Occorre
poi
il
requisito

soggettivo
o
psicologico
cioè
la
convinzione
della
obbligatorietà
di
quel
comportamento
in
quanto
conforme
a
una

regola
giuridica.


Tra
le
fonti
del
diritto
non
è
annoverata
l’equità,
tradizionalmente
intesa
come
giustizia
del
caso
concreto.
La
legge

prevede
che
essa
operi
solo
in
ipotesi
predeterminate,
quale
criterio
di
valutazione
e
di
decisione
delle
controversie.


CAPITOLO
3:
Applicazione
della
legge

L’applicazione
della
legge
consiste
nell’attività
con
cui
si
individua
e
assegna
a
un
caso
concreto
la
disciplina
che
gli

compete.
Consiste
dunque
nella
sussunzione
di
un
caso
concreto
(il
fatto)
in
una
fattispecie
astratta
(norma
di
legge).

La
fattispecie
normativa
deve
essere
il
modello
o
tipo
astratto
più
appropriato
a
inquadrare
il
caso
concreto
in

relazione
ai
tratti
o
elementi
caratteristici
di
esso.

L’applicazione
della
legge
consta
di
due
momenti:

1.
la
individuazione
della
norma
pertinente
tra
le
tante
dell’ordinamento


2.
la
precisazione
del
suo
significato
tramite
l’interpretazione


L’interpretazione
può
definirsi
come
l’attività
volta
a
chiarire
il
significato
delle
disposizioni
normative
e
necessita
di

tali
requisiti:

• Criterio
letterale.
Alla
legge
non
si
può
attribuire
altro
senso
che
quello
fatto
palese
dal
significato
proprio

delle
parole.
Fedeltà
dell’interprete
al
testo
normativo.

• L’interpretazione
deve
essere
globale
dovendosi
intendere
le
parole
non
isolatamente,
bensì
“secondo
la

connessione
di
esse”
di
modo
che
il
loro
insieme
abbia
un
significato
compiuto
e
razionale
nel
contesto
in
cui

si
inserisce.

• L’interpretazione
deve
essere
sistematica,
poiché
nessuna
norma
vive
da
sola,
ma
si
inserisce
in
un
complesso

sistema
col
quale
occorre
coordinarla,
dovendosi
preferire,
nel
dubbio,
il
significato
che
la
renda
coerente

alle
altre.

• Criterio
funzionale.
Vincola
l’interprete
alla
“intenzione
del
legislatore”.
Occorre
cioè
avere
riguardo
agli

interessi
che
la

norma
intende
tutelare
e,
su
tale
base,
determinarne
l’estensione
e
il
significato.

Si
parla
di
interpretazione
estensiva
quando
si
fanno
rientrare
nella
norma
ipotesi
non
previste
ma
sicuramente

coerenti
al
suo
scopo.
Si
ha
interpretazione
restrittiva
quando
si
escludono
ipotesi
che
a
rigor
di
termini

rientrerebbero
nella
previsione,
ma
che
in
realtà
esulano
dalla
“intenzione”
della
norma
stessa.
Si
parla
infine
di

interpretazione
dichiarativa
quando
si
riconosce
alla
disposizione
un
significato
esattamente
corrispondente
al
suo

tenore
letterale.


Analogia

Può
verificarsi
però
il
caso
in
cui
una
controversia
non
può
esser
decisa
con
una
precisa
disposizione.
In
tal
caso
si

applicano
le
disposizioni
che
regolano
casi
simili
o
materie
analoghe
e,
se
il
caso
rimane
ancora
dubbio,
si
decide

secondo
i
principi
generali
dell’ordinamento
giuridico
dello
Stato.
Col
procedimento
analogico,
perciò,
si
provvede
a

disciplinare
i
casi
non
previsti
dalla
legge
sulla
base
del
riconoscimento
di
analogie,
o
somiglianze
sostanziali,
tra
la

fattispecie
espressamente
regolata
e
quella
priva
di
disciplina.


Applicazione
della
legge

nel
tempo

“La
legge
non
dispone
che
per
l’avvenire:
essa
non
ha
effetto
retroattivo.”

Leggi
e
regolamenti
entrano
in
vigore
a
partire
dal
15esimo
giorno
successivo
a
quello
della
loro
pubblicazione

(vacatio
legis).
Le
regole
su
vacatio
legis
e
irretroattività
della
legge
non
sono
assolute,
potendo
darsi
delle
eccezioni

nell’impotesi
che
sia
“altrimenti
disposto”
nei
singoli
testi
normativi.

Applicazione
della
legge

nello
spazio

La
legge
applicabile
si
determina
in
relazione
a

1. cittadinanza
del
soggetto

2. luogo
in
cui
si
trova
la
cosa
o
l’atto
è
compiuto

3. scelta
degli
interessati


CAPITOLO
4:
Il
diritto
privato

E’
diritto
privato
quello
che
disciplina
i
rapporti
sulla
base
di
una
reciproca
posizione
di
eguaglianza
dei
soggetti,
siano

essi
privati
cittadini
o
enti
pubblici.
E’
diritto
pubblico
quello
che
attribuisce
a
uno
dei
soggetti
del
rapporto

(necessariamente
un
ente
pubblico)
una
posizione
di
supremazia
o
autorità
sull’altro,
costretto
a
subire
le
altrui

determinazioni.

Il
primo
è
la
disciplina
comune
di
carattere
generale.


Nell’ambito
del
diritto
privato
di
distinguono
alcune
partizioni
o
materie
caratterizzate
da
regole
peculiari
in
relazione

al
loro
specifico
oggetto.

1) Diritto
civile,
disciplina
i
rapporti
personali
e
familiari,
i
beni,
gli
atti
giuridici.

2) Diritto
commerciale,
disciplina
le
attività
d’impresa,
le
società,
i
titoli
di
credito,
il
fallimento
dell’imprenditore

commerciale

3) Diritto
del
lavoro,
regola
la
prestazione
di
lavoro
subordinato,
l’attività
sindacale,
la
tutela
previdenziale
del

lavoratore

4) Diritto
alla
navigazione,
disciplina
i
rapporti
privati
connessi
all’esercizio
della
navigazione
marittima
e
aerea.


Principio
di
uguaglianza

L’art.
3
della
Costituzione
stabilisce
che
“tutti
i
cittadini
hanno
pari
dignità
sociale
e
sono
eguali
davanti
alla
legge

senza
distinzioni
di
sesso,
di
razza,
di
lingua,
di
religione,
di
opinioni
politiche,
di
condizioni
personali
e
sociali”.
Questo

è
il
principio
di
uguaglianza
formale
ma
rischia
di
rimanere
una
mera
affermazione
astratta
o
di
principio
a
fronte
di

una
realtà
sociale
caratterizzata
invece
da
diseguaglianze
sostanziali:
economiche,
culturali,
sociali.
Il
2°
comma

dell’art.
3
prevede
perciò
che
“è
compito
della
Repubblica
rimuovere
gli
ostacoli
di
ordine
economico
e
sociale
che,

limitando
di
fatto
la
libertà
e
l’eguaglianza
dei
cittadini,
impediscono
il
pieno
sviluppo
della
persona
umana
e

l’effettiva
partecipazione
di
tutti
i
lavoratori
all’organizzazione
politica,
economica
e
sociale
del
paese.”
Questo

dunque
è
il
principio
di
uguaglianza
sostanziale
che
richiede
di
trattare
in
modo
diverso
situazioni
diseguali
al
fine
di

riequilibrare
le
disparità.


Norme
dispositive
e
norme
imperative

Sono
dette
dispositive,
o
derogabili,
le
norme
che
prevedono
una
certa
disciplina
ma
consentono
agli
interessati
di

stabilire
essi
stessi
una
diversa,
specifica
regola
per
il
loro
rapporto.
Sono
invece
imperative,
o
inderogabili
o
cogenti,

le
norme
che
si
impongono
alla
osservanza
dei
destinatari,
i
quali
non
possono
dunque
derogarvi.
Nel
primo
caso
la

legge
ritiene
in
gioco
esclusivamente
interessi
privati
(disponibili
dalle
parti),
nel
secondo
ritiene
invece
coinvolti

anche
interessi
generali
di
cui
i
singoli
non
possono
disporre.


CAPITOLO
5:
Il
rapporto
giuridico
in
generale

E’
rapporto
giuridico
ogni
relazione
fra
gli
uomini
disciplinata
dal
diritto.
Gli
estremi
del
rapporto
giuridico
sono:
i

soggetti,
le
situazioni
giuridiche
(di
diritto
e
di
dovere),
l’oggetto
(o
contenuto)
di
tali
situazioni.

••••••••••

SOGGETTI:

I
soggetti
del
rapporto
giuridico
sono
le
persone
fra
le
quali
intercorre
il
rapporto
giuridico
e
sono
i
titolari
delle

posizioni
giuridiche
(diritti
e
doveri)
in
cui
si
articola
detto
rapporto.

La
qualità
di
soggetto
è
attribuita
anche
a
entità

diverse
dagli
uomini
in
quanto
riconosciute
portatrici
di
interessi
propri
e
autonomo
centro
di
imputazione
di
posizioni

giuridiche.


SITUAZIONI
GIURIDICHE:

Le
situazioni,
o
posizioni
giuridiche
dei
soggetti
del
rapporto
si
distinguono
in:
situazioni
di
pretesa
o
vantaggio

(situazioni
attive)
e
situazioni
di
svantaggio
o
vincolo
(situazioni
passive).

Appartengono
a
situazioni
attive
i
diritti
soggettivi,
le
potestà,
le
facoltà,
le
aspettative,
gli
interessi
legittimi.

Appartengono
invece
a
situazioni
passive
i
doveri,
gli
obblighi
e
gli
oneri.


Il
diritto
soggettivo
è
un
potere
attribuito
a
un
soggetto
per
la
tutela
di
un
suo
interesse
(o
potere
di
agire
per
la

soddisfazione
di
un

proprio
interesse).

La
potestà
è
un
potere
attribuito
ad
un
soggetto
per
la
tutela
di
un
interesse
altrui:
costituisce
perciò
a
un
tempo
un

diritto
e
un
dovere.

L’interesse
legittimo
è
un
potere
attribuito
a
un
soggetto
al
fine
di
tutelare
insieme,
interessi
individuali
e
interessi

della
collettività.

Le
facoltà
non
sono
autonome
posizioni
giuridiche
bensì
semplici
aspetti
o
manifestazioni
del
diritto
soggettivo.

L’aspettativa
è
una
situazione
giuridica
provvisoria
e
strumentale,
tutelata
cioè
temporaneamente
al
fine
di
garantire

la
possibilità
del
(futuro
ed
eventuale)
sorgere
di
un
diritto.


I
diritti
soggettivi
si
prestano
ad
essere
divisi
in
categorie
o
tipi.

•
Si
dicono
assoluti
i
diritti
soggettivi
che
attribuiscono
una
pretesa
(generica)
nei
confronti
di
tutti
i
consociati;
tali

diritti
possono
farsi
valere
nei
confronti
di
tutti.
Sono
assoluti
i
diritti
inviolabili
della
persona
e
i
diritti
reali.
Ad
essi

corrisponde
una
posizione
di
dovere
generico
in
capo
a
tutti
i
consociati.
I
diritti
assoluti
si
sostanziano
in
uno
spazio
di

libertà
lasciato
al
soggetto
e
perciò
la
soddisfazione
dell’interesse
sottostante
si
realizza
direttamente
ad
opera
del

titolare,
senza
bisogno
dell’altrui
collaborazione.

•
Si
dicono
relativi
(o
personali)
quei
diritti
che
attribuiscono
una
pretesa
specifica
nei
confronti
di
un
soggetto

determinato,
ad
es.
i
diritti
di
credito.
Al
diritto
di
credito
corrisponde
una
posizione
di
obbligo
in
capo
al
debitore
(e

più
specificamente
di
obbligazione
se
la
prestazione
ha
carattere
patrimoniale).
Qui
la
soddisfazione
dell’interesse

tutelato
avviene
per
il
tramite
di
altri,
e
cioè
grazie
alla
cooperazione,
alla
attività
del
debitore.

•
Una
posizione
intermedia
occupano
i
diritti
personali
di
godimento:
per
taluni
aspetti
possono
farsi
valere
verso

tutti,
per
altri
aspetti
solo
nei
confronti
dell’obbligato‐concedente,
e
partecipano
in
qualche
modo
dei
caratteri
di

entrambe
le
categorie.

•
I
diritti
potestativi
consistono
nel
potrere
di
produrre
unilateralmente
effetti
nella
sfera
giuridica
di
un
altro,
tenuto

a
subire
tali
conseguenze.
Al
diritto
potestativo
non
corrisponde
perciò
un
obbligo,
un
dovere
di
fare,
bensì
una

posizione
di
mera
soggezione:
so
devono
solo
subire
le
conseguenze
dell’altrui
iniziativa.


Riassunto…


DOVERE
=
DIRITTO
ASSOLUTO

OBBLIGO
=
DIRITTO
RELATIVO
DI
TIPO
PERSONALE
O
FAMILIARE

OBBLIGAZIONE
=
DIRITTO
RELATIVO
DI
CARATTERE
PATRIMONIALE

SOGGEZIONE
=
DIRITTO
POTESTATIVO


ONERE
=
attività
o
comportamento
a
carico
di
un
soggetto
per
la
realizzazione
di
un
suo
interesse.


Con
riguardo
ai
diritti
assoluti
si
distinguono
due
forme
di
tutela.
La
prima
è
la
tutela
reale
o
in
forma
specifica,
la

quale
è
volta
anzitutto
a
inibire
la
violazione
del
diritto
o
a
impedirne
la
prosecuzione.
Vi
è
poi
la
tutela
risarcita
ria
o

per
equivalente
per
il
pregiudizio
subito.
A
differenza
della
tutela
reale,
la
quale
necessita
solamente
del
dato

oggettivo
di
non
rispondenza
tra
situazione
di
fatto
e
di
diritto,
la
tutela
risarcitoria
richiede
quasi
sempre
la
colpa
o
il

dolo
del
soggetto
agente.




L’OGGETTO

Oggetto
del
rapporto
giuridico
è
il
bene,
inteso
in
senso
ampio,
su
cui
cade
l’interesse
tutelato
dalla
legge.
Per
“bene”

si
intende
tutto
ciò
che
è
in
grado
di
soddisfare
un
bisogno
umano,
materiale
o
spirituale
che
sia.
Sono
dunque
beni

sia
cose
materiali,
che
immateriali,
sia
infine
i
servizi.


Il
contenuto
è
invece
l’attività,
il
comportamento
destinato
a
soddisfare
l’interesse
del
soggetto.

••••••••••


Il
rapporto
giuridico
tra
due
soggetti
sorge
e
si
estingue
al
verificarsi
di
determinate
fattispecie.
Tali
eventi
si

designano,
nel
loro
insieme,
come
fatti
giuridici:
essi
pertanto
possono
definirsi
come
gli
accadimenti
al
cui
verificarsi

la
legge
collega
la
nascita,
la
modificazione
o
l’estinzione
di
un
rapporto
giuridico.

La
pubblicità
dei
fatti
giuridici
è
il
sistema
predisposto
dal
nostro
ordinamento
al
fine
di
garantire
e
rendere
agevole
la

conoscenza
di
determinati
fatti
e
atti
giuridici,
assicurando
cosi
le
condizioni
di
sicurezza
del
traffico
giuridico.

Si
distinguono
tre
tipi
di
pubblicità:

‐ La
pubblicità
notificativa,
serve
a
dare
una
semplice
notizia
di
determinati
fatti,
ma
la
sua
omissione
non

tocca
né
la
validità
né
l’efficacia
dei
fatti
stessi.
Si
configura
come
un
obbligo.

‐ La
pubblicità
dichiarativa,
serve
a
rendere
opponibili
a
terzi
determinati
atti,
e
la
sua
omissione
non
tocca
la

validità,
bensì
l’efficacia
dell’atto:
impedisce
che,
nei
confronti
di
alcuni
contro
interessati,
possano
farsi

valere
gli
atti
stessi.
Essa
costituisce
perciò
un
onere.

‐ La
pubblicità
costitutiva,
infine,
condiziona
sia
la
validità
sia
l’efficacia
dell’atto:
in
mancanza
di
essa,

pertanto,
l’atto
non
produrrà
effetti
neppure
fra
le
parti.



Due
peculiari
modi
di
estinzione
dei
diritto
sono
la
prescrizione
e
la
decadenza.


CAPITOLO
6:
I
soggetti
del
rapporto
giuridico

A)Le
persone
giuridiche

Capacità
giuridica

La
capacità
giuridica
è
l’attitudine
a
essere
titolari
di
posizioni
giuridiche
soggettive.
Attitudine,
che
in
concreto
può

essere
più
o
meno
piena.
Esprime
dunque
la
misura
in
cui
un
soggetto
è
ammesso
a
essere
“parte”
di
rapporti

giuridici.
Possono
distinguersi
una
capacità
giuridica
generale
e
una
parziale.


La
capacità
giuridica
generale,
o
senz’altro
capacità
giuridica,
è
attributo
delle
persone
fisiche
(=esseri
umani)
e
delle

“persone
giuridiche”,
e
cioè
degli
enti
giuridici
dotati
di
personalità
giuridica.

La
capacità
giuridica
parziale
è
invece
attributo
di
altri
enti
giuridici
e
dipende
dalla
loro
più
ridotta
attitudine,

secondo
l’ordinamento,
a
essere
portatori
di
interessi
giuridicamente
rilevanti
(e
perciò
delle
relative
posizioni

giuridiche
di
tutela).
Essi
non
hanno
personalità
giuridica.
Hanno
capacità
giuridica
parziale
anche
i
concepiti.


La
capacità
giuridica
generale
si
acquista
al
momento
della
nascita
(col
primo
atto
di
respirazione
polmonare).
Quanto

al
concepito
si
riscontrano
specifiche
forme
di
tutela
dei
suoi
diritti,
personali
e
patrimoniali.
Sono
vietate
le
attività
di

sperimentazione
e
ricerca
non
aventi
fini
terapeutici
per
l’embrione
stesso,
la
clonazione
e
l’ibridazione
e
qualsiasi

forma
di
commercializzazione.
Riguardo
i
suoi
diritti
patrimoniali
il
concepito
ha
capacità
di
succedere
per
causa
di

morte
e
di
ricevere
donazioni.
Può
essere
“riconosciuto”
e
i
genitori
ne
assumono
la
rappresentanza
e
ne

amministrano
i
beni
ancor
prima
della
nascita.
I
concepiti
hanno
inoltre
diritto
al
risarcimento
per
i
danni
subiti
ad

opera
di
terzi
nella
vita
intrauterina.


Il
nascituro
non
concepito
invece
può
essere
contemplato
come
beneficiario
di
una
donazione
o
in
un
testamento:
si

richiede
soltanto
che
il
(futuro)
beneficiario
sia
figlio
di
persona
vivente
al
momento
della
donazione
o
della
morte
del

testatore.


Limitazioni
della
capacità
giuridica.


Sono
oggi
ammissibili
solo
quelle
incapacità
che
risultino
giustificate
o
da
una
esigenza
di
tutela
del
soggetto
stesso,

ovvero
da
un
preminente
interesse
pubblico.
Tali
limitazioni
non
possono
essere
estese
analogicamente
a
ipotesi
non

previste,
e
si
parla
perciò
di
incapacità
speciali,
per
sottolineare
il
carattere
eccezionale
di
tali
previsioni.
Le
incapacità

speciali
sono
determinate
dall’età,
dallo
stato
delle
persone,
dall’ufficio
ricoperto.


La
capacità
di
agire

La
capacità
di
agire
consiste
nella
idoneità
a
disporre
della
propria
sfera
giuridica,
e
perciò
a
esercitare
i
diritti
di
cui
si

sia
titolari
e
ad
assumere
direttamente
obbligazioni.
Essa
si
acquista
al
diciottesimo
anno
d’età.
La
capacità
di
agire

presuppone
la
capacità
giuridica.

Può
accadere
che
una
persona,
pur
essendo
maggiore
d’età,
non
abbia
tuttavia
quella
maturità
che
è
normale

riscontrare
nei
suoi
coetanei.
Entrano
dunque
in
gioco
alcuni
istituti
che
incidono
sulla
capacità
di
agire
del
soggetto,

per
evitare
che
col
suo
esercizio
egli
possa
arrecare
pregiudizio
ai
suoi
interessi.

INCAPACITA’
RELATIVA
DI
AGIRE:

‐ AMMINISTRAZIONE
DI
SOSTEGNO

‐ INABILITAZIONE


‐ EMANCIPAZIONE


INCAPACITA’
GENERALE
DI
AGIRE:

‐ MINORE
D’ETA’

‐ INTERDIZIONE
GIUDIZIALE

‐ INTERDIZIONE
LEGALE

‐ INCAPACITA’
NATURALE


INCAPACITA’
RELATIVA
DI
AGIRE

A) L’amministrazione
di
sostegno

L’amministrazione
di
sostegno
è
l’istituto
generale
diretto
a
provvedere
alle
esigenze
di
protezione
della
persona
che,

per
effetto
di
una
infermità
ovvero
di
una
menomazione
fisica
o
psichica,
si
trova
nella
impossibilità
di
provvedere
ai

propri
interessi.
(es.
malati
di
mente,
tossicodipendenti..).

L’amministratore
di
sostegno
è
nominato
dal
giudice
tutelare
(tra
gli
stretti
congiunti
dell’interessato)
che,
nel
relativo

decreto,
indica
specificamente:
a)
gli
atti
che
il
beneficiario
può
compiere
soltanto
con
l’assistenza

dell’amministratore,
e,
b)
gli
atti
che
l’amministratore
compirà
da
solo
quale
“rappresentante”
del
beneficiario.
La

persona
quindi
conserva
la
capacità
di
agire
sia
per
tutti
gli
atti
che
non
richiedono
la
rappresentanza
esclusiva
o

l’assistenza
necessaria
dell’amministratore,
sia,
e
in
ogni
caso,
per
gli
atti
necessari
a
soddisfare
le
esigenze
della

propria
vita
quotidiana.

L’amministratore
deve
tener
conto
dei
bisogni
e
delle
aspirazioni
del
beneficiario
e
informarlo
preventivamente
circa

gli
atti
da
compiere:
in
caso
di
dissenso
egli
può
ricorrere
al
giudice.
Può
infine
annullare
gli
atti
compiuti
in
violazione

della
legge.


B) L’inabilitazione
e
l’emancipazione

E’
possibile
tuttavia
che
l’amministrazione
di
sostegno
si
riveli
inidonea
ad
assicurare
adeguata
protezione
alla

persona.
Può
farsi
luogo
allora
alla
inabilitazione
dell’incapace,
in
particolare
nelle
ipotesi
in
cui
il
soggetto,
pur
non

avendo
piena
autonomia
o
maturità,
sia
tuttavia
in
grado
di
provvedere
ai
propri
interessi
con
riguardo
alla
sfera

personale,
alla
vita
quotidiana
e
alla
ordinaria
gestione
del
patrimonio.
Possono
essere
inabilitati:
1)
le
persone
affette

da
una
malattia
mentale
non
talmente
grave
da
dar
luogo
all’interdizione;
2)
coloro
che
per
prodigalità
o
abuso
di

bevande
alcoliche
o
di
stupefacenti
espongono
se
stessi
o
la
loro
famiglia
a
gravi
pregiudizi
economici;
3)
il
sordomuto

e
il
cieco
quando
tali
minorazioni
non
siano
compensate
da
una
educazione
sufficiente.

L’inabilitato
gode
di
capacità
di
agire
con
riguardo
agli
atti
di
ordinaria
amministrazione
del
suo
patrimonio,
che
può

compiere
da
solo;
per
gli
atti
patrimoniali
di
straordinaria
amministrazione
è
necessaria
invece
l’assistenza
di
un

curatore,
salvo
quegli
atti
specifici
che
il
giudice
gli
abbia
espressamente
consentito
di
compiere.


L’emancipazione
è
la
condizione
che
consegue
di
diritto
al
matrimonio
contratto
dal
minore
sedicenne.
Da
solo=OA,

assistenza
curatore=SA.
Inoltre
l’emancipato
può
essere
autorizzato
all’esercizio
di
una
impresa
commerciale
senza

assistenza
del
curatore
anche
per
gli
atti
di
SA.
L’inabilitato
invece
può
essere
autorizzato
solo
alla
continuazione
di

una
impresa
commerciale


INCAPACITA’
GENERALE
DI
AGIRE

A) Minore
d’età

Il
minore
d’età
si
trova
in
uno
stato
di
incapacità
generale
di
agire,
nel
senso
che
tutte
le
decisioni
personali
e

patrimoniali
che
lo
riguardano,
e
i
relativi
atti
giuridici,
sono
di
competenza
del
suo
legale
rappresentante
(genitori
o

tutore).
Fanno
eccezione
gli
atti
per
i
quali
sia
stabilita
un’età
diversa.

Si
riconosce
però
al
minore
una
sfera
di
autonomia
e
la
relativa
capacità
di
agire
direttamente.
Per
le
libertà
civili
si

riconosce
al
minore
la
capacità
di
esercitare
tali
diritti
ove
sussista
una
adeguata
maturità,
salvo
solo
ai
genitori
un

potere
di
controllo
(o
veto)
ove
il
minore
si
esponga
a
pericolo
morale
o
fisico.
Per
quanto
concerne
gli
atti
negozioali

della
vita
quotidiana,
il
minore
si
ritiene
agisca
in
qualità
di
rappresentante
volontario
dei
propri
genitori.
Gli
atti

giuridici
non
negozioali
richiedono
soltanto
la
capacità
naturale
di
intendere
e
di
volere
e
saranno
dunque
validi.


B) Interdizione
giudiziale

Può
accadere
che
la
persona,
pur
essendo
maggiore
d’età,
sia
del
tutto
incapace
di
provvedere
ai
propri
interessi.
In

tal
caso,
manca
l’estremo
della
capacità
naturale
dii
intendere
e
di
volere
(presupposto
sostanziale
della
capacità

legale
d’agire).

Tali
persone,
ove
lo
stato
di
infermità
sia
abituale
e
non
risulti
in
concreto
idoneo
o
sufficiente
il
provvedimento

dell’amministrazione
di
sostegno,
sono
interdette
ove
ciò
sia
necessario
per
assicurare
la
loro
adeguata
protezione.

L’interdetto
viene
esaminato
durante
un
processo
che
si
conclude
con
sentenza
di
interdizione.
E’
previsto
che
in
tale

sentenza
possa
stabilirsi
che
alcuni
atti
di
ordinaria
amministrazione
possono
essere
compiuti
dall’interdetto,
con
o

senza
intervento
del
tutore.
Egli
si
trova
nella
stessa
condizione
giuridica
del
minore.
Gli
atti
dell’interdetto
possono

essere
annullati.
(NO
matrimonio)


C) Interdizione
legale

L’interdizione
legale
è
una
pena
accessoria,
che
discende
da
una
condanna
penale
all’ergastolo
o
alla
reclusione
per

un
tempo
non
inferiore
a
5
anni.
Tale
pena
si
connette
automaticamente
alla
condanna
e
si
protrae
nel
tempo
fin

quando
duri
la
condanna
stessa.
Stessa
condizione
dell’interdetto
giudiziale
per
quanto
riguarda
la
disponibilità
e

l’amministrazione
dei
beni.
Egli
rimane
però
libero
di
compiere
gli
atti
che
rientrano
nella
sfera
personale

(matrimonio,
testamento..)


D) Incapacità
naturale

L’incapacità
naturale
è
la
condizione
di
chi,
pur
legalmente
capace,
sia
di
fatto
incapace
di
intendere
o
di
volere:
vuoi

perché
abitualmente
infermo
di
mente
ma
non
(ancora)
interdetto,
vuoi
perché
seppure
ordinariamente
capace
si

trovi
transitoriamente
in
condizioni
di
incapacità
al
momento
in
cui
compie
un
atto.
La
legge
prevede
la
possibilità
di

annullare
l’atto
compiuto
(matrimonio,
testamento
e
donazione)
dando
prova
però
dello
stato
di
alterazione
delle
sue

facoltà
mentali.

Per
gli
altri
atti
la
legge
distingue
due
ipotesi:
a)
gli
atti
unilaterali
sono
annullabili
se
ne
deriva
grave

pregiudizio
al
suo
autore;
b)
i
contratti
sono
annullabili
solo
se
risulta
malafede
dell’altro
contraente.La
macanza
della

capacità
di
intendere
o
di
volere
esclude
l’imputabilità
all’incapace
degli
atti
non
negoziali
(es.
illeciti).


Nei
casi
di
limitazione
della
capacità
di
agire
si
provvede
in
due
modi:
o
attribuendo
a
un
altro
soggetto
il
potere
di

sostituirsi
all’incapace,
e
di
compiere
da
solo
gli
atti
necessari
(cd.
Rappresentanza
legale),
o
affiancando

all’interessato
una
persona
che
lo
assista
nel
compimento
degli
atti
(cd.
Assistenza).
La
prima
è
prevista
per
i
casi
di

incapacità
generale
di
agire;
la
seconda
per
le
ipotesi
di
incapacità
relativa
di
agire.

Veri
e
propri
poteri
di
rappresentanza
sono
la
rappresentanza
legale
e
la
tutela.
Gli
atti
di
maggiore
importanza

devono
venire
preventivamente
autorizzati
dal
giudice.
Il
rappresentante
può
compiere
solo
atti
di
OA
attinenti
a

spese
correnti
e
ordinaria
gestione
del
patrimonio.

Assistono
il
beneficiario
invece
l’amministratore
e
il
curatore,
i
quali
ne
integrano
la
volontà
e
non
possono
compiere

atti
senza
il
loro
consenso.

••••••••••••••••••••••••••••••••


Sede
della
persona

Il
domicilio
è
il
luogo
in
cui
la
persona
ha
stabilito
la
sede
principale
dei
suoi
affari
e
interessi,
sia
personali
sia

patrimoniali.
Il
domicilio
legale
riguarda
i
minori
e
gli
interdetti
e
coincide
con
la
residenza
della
famiglia
o
del
tutore.
Il

domicilio
elettivo
o
speciale
è
frutto
di
una
scelta
particolare
della
persona
e
può
riguardare
determinati
atti
o
affari.

La
residenza
è
il
luogo
ove
la
persona
dimora,
e
cioè
vive
abitualmente.

La
dimora
è
il
luogo
ove
la
persona
abita
transitoriamente,
per
un
periodo
di
tempo
limitato.

Morte
della
persona

La
persona
fisica
cessa
di
esistere
giuridicamente
con
la
morte
(cessazione
del
battito
cardiaco
e
respirazione),
solo

con
essa
viene
meno
la
capacità
giuridica.
Diritti
e

obblighi
patrimoniali
si
devolvono
agli
eredi.
Si
estinguono
invece

diritti
e
interessi
di
carattere
morale
(all’onore,
alla
riservatezza..).

In
caso
di
scomparsa
si
conserva
il
patrimonio
dello
scomparso
nominando
un
curatore.

Trascorsi
due
anni
dal
gg
in
cui
risale
l’ultima
notizia
della
persona
il
tribunale
ne
dichiara
l’assenza.
Si
effettua
una

provvisoria
sistemazione
degli
interessi
della
persona
aprendo
il
testamento.

Trascorsi
dieci
anni
dall’ultima
notizia
(o
2/3
anni
in
scomparsa
in
particolari
circostanze)
è
possibile
dichiarare
la

morte
presunta
in
tribunale.
Ad
essa
conseguono
effetti
analoghi
a
quelli
della
morte
e
si
apre
la
successione

ereditaria
attribuendo
piena
disponibilità
dei
beni
a
colore
che
già
ne
avevano
il
possesso
temporaneo.


B)Gli
enti
giuridici

Gli
enti
morali,
o
enti
giuridici,
sono
organizzazioni
stabili,
di
persone
o
di
beni,
volte
al
perseguimento
di
uno
scopo.
In

tali
figure
si
riscontra
un
vero
e
proprio
centro
di
interessi,
dotato
di
propria
individualità
e
portatore
di
autonome

esigenze
che
non
si
identificano
né
si
esauriscono
in
quelle
dei
suoi
membri.
Tali
enti
hanno
una
autonoma,
distinta

soggettività
giuridica.
Si
distinguono
due
categorie
generali
di
enti:

a) enti
dotati
di
personalità
giuridica:
Stato,
regioni,
comuni,
enti
pubblici
in
genere;
associazioni
riconosciute,

fondazioni,
società
di
capitali,
cooperative;
PIENA
CAPACITA’
GIURIDICA,
PERSONALITA’
GIURIDICA

b) enti
non
personificati:
associazioni
non
riconosciute,
comitati,
società
di
persone.
LIMITATA
CAPACITA’

GIURIDICA,
NO
PERSONALITA’
GIURIDICA

DISTINZIONI
FRA
ENTI
GIURIDICI:

I
primi
sono
persone
giuridiche
in
quanto
dotate
di
autonomia
patrimoniale
perfetta.
Vi
è
una
netta
separazione
fra
il

patrimonio
e
i
debiti
dell’ente
e
quelli
dei
suoi
membri.
Gli
enti
non
personificati,
invece,
sono
dotati
di
autonomia

patrimoniale
imperfetta:
dei
debiti
dell’ente
rispondono
anche
alcuni
soci
e,
talvolta,
la
quota
del
singolo
può
venire

espropriata
dai
suoi
creditori
personali.
La
personalità
giuridica
si
acquista
solo
a
seguito
di
una
formale
attribuzione,

chiamata
“riconoscimento”,
che
può
derivare
direttamente
dalla
legge
o
dall’iscrizione
in
appositi
registri.
Tale

iscrizione
è
garanzia
della
liceità
dello
scopo
e
dell’adeguatezza
del
patrimonio
al
fine
perseguito.


Gli
enti
giuridici
si
distinguono
in
privati
e
pubblici.

Gli
enti
pubblici
possono
poi
essere
territoriali
(Stato,regioni..)
e
non
territoriali
(Inps,
Inail,
Asl,
..)

Gli
enti
privati
si
distinguono
in
enti
associativi
(o
corporativi)
ed
enti
amministrativi.
I
primi
sono
caratterizzati
da
una

pluralità
di
persone
che
si
associano
per
dare
vita
ad
un
organizzazione
che
persegue
uno
scopo
particolare
e
lecito.
Se

sono
a
fini
di
lucro
sono
chiamate
“società”,
diversamente
saranno
“associazioni”.

Gli
enti
amministrativi
sono
invece
caratterizzati
dalla
presenza
di

un
patrimonio
vincolato
ad
uno
scopo
(fondazioni,

comitati).


ATTIVITA’
E
ORGANI
DELLE
PERSONE
GIURIDICHE:

La
nascita
dell’ente
si
ha
con
l’atto
costitutivo.
La
vita
dell’ente
è
regolata
dallo
statuto,
che
è
il
complesso
di
norme

regolamentari
interne.
Essi
devono
contenere
denominazione,
scopo,
patrimonio,
sede
e
regole
per

l’amministrazione.
I
dati
riguardanti
l’ente
devono
risultare
nell’apposito
registro
delle
persone
giuridiche
(pubblicità

dichiarativa).
L’ente
opera
a
mezzo
di
organi
cui
è
affidata
la
specifica
funzione
di
assumere
e
attuare
decisioni
relative

alla
vita
dell’ente
stesso.
Gli
organi
interni
hanno
poteri
di
gestione
e
assunzione
di
decisioni,
quelli
esterni
hanno

potere
di
rappresentanza
esterna
vincolando
l’ente
con
i
terzi.
L’organo
si
identifica
con
l’ente
e
sarà
dunque
l’ente
a

rispondere
dell’operato
del
suo
organo.


Associazioni
riconosciute

L’associazione
riconosciuta
è
un’organizzazione
stabile
di
persone,
munita
di
personalità
giuridica,
che
persegue
un

fine
non
di
lucro.
(culturale,
ricreativo,
assistenziale).
Beneficiari
dell’attività
e
dei
servizi
erogati
possono
essere
i
terzi

o
gli
stessi
soci.
L’atto
costitutivo
consiste
nell’accordo
fra
due
o
più
persone
di
dar
vita
all’associazione
stessa,

richiede
la
forma
dell’atto
pubblico
ed
è
aperto
all’adesione
di
altri.
Vanno
determinati
i
diritti
e
gli
obbligi
degli

associati
e
le
condizioni
della
loro
ammissione.
I
suoi
organi
sono
l’assemblea
dei
soci
(indirizzo
complessivo
e
scelte

fondamentali
sull’attività
da
svolgere)
e
gli
amministratori.
La
prima
è
l’organo
deliberante.
Si
decide
in
base
al

principio
maggioritario.
Gli
amministratori
sono
l’organo
esecutivo
dell’ente,
lo
rappresentano
all’esterno,
lo

gestiscono
e
curano
l’esecuzione
delle
delibere
assembleari.
Sono
nominati
e
revocati
dall’assemblea
e
sono

responsabili
verso
l’ente
per
il
loro
operato.
Sono
cause
di
estinzione
dell’associazione,
oltre
a
quelle
previste
nell’atto

costitutivo
e
nello
statuto,
il
venir
meno
della
pluralità
dei
soci,
il
raggiungimento
o
la
sopravvenuta
impossibilità
dello

scopo,
la
delibera
assembleare.
In
seguito
si
apre
la
fase
di
liquidazione
(pagamento
debiti,
devoluzione
del
residuo

patrimonio)
e
di
estingue
la
persona
giuridica.


Le
associazioni
non
riconosciute

L’associazione
non
riconosciuta
è
un
organizzazione
stabile
di
persone,
priva
di
personalità
giuridica,
diretta
ad
uno

scopo
non
di
lucro.
(partiti,
sindacati,
circoli
culturali
e
ricreativi,
club
sportivi,
gruppi
religiosi).
Il
solo
tratto
peculiare
è

l’autonomia
patrimoniale
imperfetta
di
tali
enti:
dei
debiti
sociali
infatti
rispondono
non
solo
l’associazione
con
il

fondo
comune,
ma
anche
coloro
che
hanno
agito
in
nome
e
per
conto
dell’associazione
stessa.
La
responsabilità

patrimoniale
è
solo
di
chi
contrae
l’obbligazione
sociale.
Finchè
dura
l’associazione
i
singoli
associati
non
possono

chiedere
la
divisione
del
patrimonio
né
pretendere
la
propria
quota
in
caso
di
recesso
o
esclusione.


Fondazioni

La
fondazione
è
una
istituzione,
dotata
di
personalità
giuridica,
caratterizzata
da
un
patrimonio
vincolato
ad
uno

scopo.
(culturale,
assistenziale,
scientifico..)

Essa
si
realizza
al
fine
di
vincolare
permanentemente
un
insieme
di
beni
a
una
certa
finalità,
sottraendo
tale
funzione

alla
mutevole
volontà
di
coloro
che,
nel
tempo,
gestiranno
l’ente.
Il
solo
organo
delle
fondazioni
sono
gli

amministratori,
vincolati
allo
scopo
stabilito
dal
fondatore.
Modificazioni
o
trasformazioni
possono
essere
decise
solo

per
i
casi
di
insufficienza
del
patrimonio,
esaurimento
o
sopravvenuta
impossibilità
dello
scopo.
L’atto
costitutivo
è
un

atto
negoziale
unilaterale,
deve
avere
la
forma
dell’atto
pubblico
e
non
può
essere
più
revocato
in
seguito
al

riconoscimento
e
dunque
all’iniziata
attività.
La
personalità
giuridica
deriva
dal
riconoscimento
con
l’iscrizione

nell’apposito
registro.
La
fondazione
non
ha
mai
fini
lucrativi.


Comitati

Il
comitato
è
un
gruppo
organizzato
per
la
raccolta
di
fondi
destinati
a
un
fine
determinato.
Sono
caratterizzati
da

pluralità
di
persone
e
da
un
patrimonio
vincolato
a
un
fine
determinato.
I
suoi
componenti
sono
semplici
gestori
dei

fondi
raccolti
e
non
possono
decidere
di
mutarne
la
destinazione,
rimanendo
cosi
vincolati
agli
scopi
inizialmente

fissati.
Le
attività
dei
comitati
non
hanno
carattere
permanente,
il
comitato
si
scioglie
una
volta
raggiunto
lo
scopo

transitorio
o
esauriti
i
fondi
raccolti.


CAPITOLO
9:
Vicende
del
rapporto
giuridico.
Fatti,
atti
e
negozi
giuridici

Nella
categoria
generale
del
fatto
giuridico,
si
distinguono:

‐ i
meri
fatti
giuridici
(o
fatti
giuridici
in
senso
stretto),
che
possono
consistere
in
un
accadimento
naturale
o
in

una
azione
umana;

‐ gli
atti
giuridici,
che
sono
atti
umani
consapevoli
e
volontari;

‐ i
negozi
giuridici,
che,
oltre
a
dover
essere
consapevoli
e
volontari,
si
caratterizzano
per
il
fatto
che
l’autore
ne

vuol
gli
effetti.

Meri
fatti
giuridici

Ciò
che
si
richiede
è
solo
la
pure
fenomenicità
di
un
evento,
il
mero
accadere
di
un
fatto.
L’effetto
previsto
si
collega
al

loro
accadere
a
prescindere
dalla
circostanza
che
siano
dovuti
a
forze
della
natura
o
ad
azione
dell’uomo.

Atti
giuridici
in
senso
stretto

Solo
i
comportamenti

umani
e
e
affinchè
si
producano
gli
effetti
si
richiede
la
volontarietà
del
comportamento
e
la

capacità
di
intendere
e
di
volere
definita
come
naturale.
Si
distinguono
atti
illeciti
e
atti
leciti.

Negozi
giuridici

Per
aversi
infine
un
negozio
giuridico
occorre
non
solo
che
l’atto
sia
voluto,
ma
altresì
che
esso
sia
compiuto
da
chi
ha

capacità
legale
di
agire
e
sia
accompagnato
dal
requisito
della
intenzionalità
e
che
quindi
il
soggetto
voglia
anche
gli

effetti
previsti
dalla
legge.
Il
negozio
è
atto
di
autonomia
e
cioè
di
disposizione
della
propria
sfera
giuridica.


Gli
atti
giuridici,
siano
essi
negoziali
o
non
negoziali,
possono
consistere
in
dichiarazioni
ovvero
in
operazioni
materiali

senza
che
ciò
influisca
sulla
natura
giuridica
degli
atti
e
sui
loro
effetti.


NEGOZI
GIURIDICI

Elementi
del
negozio
giuridico

Perché
un
negozio
possa
produrre
gli
effetti
cui
è
diretto
è
necessario
che
in
esso
sussistano
alcuni
elementi
o
requisiti

essenziali.
Sono
elementi
generali
la
dichiarazione
di
volontà
e
la
causa;
sono
elementi
particolari
l’oggetto
e
la
forma.

La
mancanza
o
il
vizio
di
uno
di
essi
rende
invalido
l’atto
stesso.
Si
parla
poi
di
elementi
accidentali
a
proposito
di

alcune
clausole,
quali
condizione,
termine
e
modo
che
le
parti
possono,
se
vogliono,
apporre
al
negozio.


Classificazioni
dei
negozi
giuridici

Si
parla
di
negozio
unilaterale,
bilaterale,
plurilaterale
a
seconda
che
esso
sia
posto
in
essere
da
una
sola,
da
due
o
da

più
parti.

Nell’ambito
delle
dichiarazioni
unilaterali
si
distingue
ulteriormente
fra
atti
collettivi,
collegiali
e
complessi.
Si
ha
un

atto
collettivo
quando
le
singole
dichiarazioni
non
hanno
autonomo
rilievo,
concorrendo
a
formare
la
volontà
di
un

gruppo.
E
analogamente
è
a
dirsi
quando
le
diverse
dichiarazioni
formano
la
volontà
di
un
soggetto
distinto,
come
una

società
per
azioni
(atto
collegiale).
In
tali
ipotesi
la
delibera
sarà
validamente
presa
con
la
maggioranza.
Si
ha
invece
un

atto
complesso
quando
ciascuna
delle
dichiarazioni
ha
un
autonomo
e
distinto
rilievo,
e
perciò
una
diretta
incidenza

sulla
validità
dell’atto.

Si
dicono
a
causa
di
morte
i
negozi
destinati
a
produrre
i
propri
effetti
solo
dopo
la
morte
della
persona.
Si
dicono
tra

vivi
tutti
gli
altri
atti
e
negozi.
Si
parla
poi
di
negozi
familiari
per
quegli
atti
che
trovano
la
loro
causa
nel
perseguimento

di
un
interesse
connesso
ai
rapporti
di
famiglia.
Sono
invece
negozi
patrimoniali
quelli
volti
a
disciplinare
interessi

economici.
Possono
essere
negozi
di
attribuzione
quando
mirano
a
realizzare
l’acquisto
di
un
diritto
e
negozi
di

accertamento,
ove
abbiano
lo
scopo
di
fissare
il
contenuto
di
un
rapporto
giuridico
preesistente.
Nell’ambito
dei

negozi
patrimoniali
si
dicono
a
titolo
oneroso
quelli
in
cui
il
vantaggio
(o
diritto)
attribuito
a
un
soggetto
trova
causa,
o

giustificazione,
in
un
correlativo
sacrificio
economico
a
suo
carico.
Si
dicono
a
titolo
gratuito
i
negozi
in
cui
un
soggetto

dispone
di
un
suo
diritto,
o
si
impegna
a
eseguire
una
prestazione,
senza
un
correlativo
sacrificio
economico
a
carico

del
beneficiario.

•••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••


DIRITTI
ASSOLUTI

A)
I
DIRITTI
INVIOLABILI

CAPITOLO
12:
I
diritti
della
personalità

I
diritti
della
personalità
sono
quei
diritti
che
tutelano
l’individuo
nei
suoi
beni
fondamentali,
come
la
vita,
l’integrità

fisica
e
morale,
il
nome,
etc.
Essi
competono
al
singolo
in
quanto
persona
umana
e
si
acquistano
automaticamente.

Tali
diritti
sono
attributo
inalienabile
di
ogni
essere
umano,
nessuno
ne

è
privo.
Si
tratta
di
una
categoria
aperta,

suscettibile
al
variare
in
funzione
della
coscienza
sociale
e
della
progressiva
emersione
di
nuovi
interessi
ritenuti

meritevoli
di
tutela.
Nella
loro
individuazione,
un
ruolo
importante
svolgono
le
cosiddette
Carte
internazionali
dei

diritti,
testi
normativi
di
fonte
internazionale
o
comunitaria.

Caratteri
dei
diritti
della
personalità
sono
l’assolutezza,
l’indisponibilità
e
l’imprescrittibilità.

•
Sono
diritti
assoluti
in
quanto
possono
farsi
valere
verso
tutti,
tenuti
a
rispettarli
e
ad
astenersi
da
ogni
lesione
o

violazione.

•
Sono
poi
indisponibili,

o
inalienabili,
nel
senso
che
in
linea
di
principio
il
titolare
può
solo
goderne,
non
anche

disporne.
Non
può
trasferirli
ad
altri,
né
può
rinunciarvi.
Si
acquistano
a
titolo
originario,
senza
trasferimenti
da
parte

di
altri.

•
Sono
infine
diritti
imprescrittibili,
nel
senso
che
non
si
estinguono,
come
gli
altri
diritti,
per
effetto
del
mancato

esercizio
protratto
nel
tempo.


Diritto
alla
vita

Il
diritto
alla
vita
tutela
il
bene
dell’esistenza
individuale,
sia
verso
lo
Stato
sia
verso
gli
altri
consociati,
tenuti

essenzialmente
a
un
comportamento
negativo:
astenersi
da
quegli
atti
che
ledano
tale
diritto
o
lo
mettano
in
pericolo.

La
tutela
del
diritto
alla
vita
è
affidata
a
sanzioni
penali
che
puniscono
l’omicidio.

In
casi
di
scriminanti
penali
(legittima
difesa,
stato
di
necessità,
etc.)
viene
esclusa
la
punibilità
dell’agente
e/o
la

responsabilità
civile
conseguente.
Quanto
al
concepito,
la
legge
gli
riconosce
il
diritto
alla
vita
dopo
il
novantesimo

giorno
dal
concepimento,
col
quale
viene
meno
il
diritto
della
gestante
di
abortire.


Integrità
fisica

Il
diritto
alla
integrità
fisica
tutela
il
bene
della
incolumità
personale,
intesa
in
senso
ampio
come
stato
di
salute
fisica
e

psichica.
La
garanzia
opera
sia
verso
i
privati,
tenuti
ad
astenersi
da
ogni
atto
di
lesione,
sia
verso
lo
Stato,
tenuto

altresì
ad
una
positiva
azione
di
salvaguardia
e
promozione
della
salute,
che
la
Costituzione
definisce
“fondamentale

diritto
dell’individuo
e
interesse
della
collettività”.
La
protezione
è
affidata
alle
norme
penali
che
puniscono
lesioni
e

percosse
e
alle
previsioni
civilistiche
sull’obbligo
del
risarcimento
del
danno,
patrimoniale
e
non
patrimoniale.

Non
esiste
un
obbligo
di
curare
se
stessi,
al
fine
di
conservare
o
recuperare
la
salute.
Un
trattamento
sanitario

obbligatorio
può
essere
imposto
solo
per
legge
e
nei
limiti
in
cui
l’omissione
di
cure
metta
in
pericolo
la
salute
di
altre

persone.

Atti
di
disposizione
del
proprio
corpo

Per
atti
di
disposizione
del
proprio
corpo
si
intendono
sia
gli
atti
di
disposizione
materiale,
sia
gli
atti
di
disposizione

giuridica.
L’articolo
5
vieta
entrambi
i
tipi
di
atti
quando
essi
producano
una
menomazione
permanente
dell’integrità

(automutilazione,
prelievi
di
organi
o
parti
del
corpo
fuori
dai
casi
espressamente
consentiti,
sterilizzazione

permanente
e
sperimentazione
clinica
che
non
abbiano
ricadute
terapeutiche
sul
paziente,
attività
sportive
e

spettacoli
con
alti
livelli
di
rischio),
ovvero
quando
siano
altrimenti
contrari
all’ordine
pubblico
o
al
buon
costume

(comportamenti
lesivi
della
dignità
umana,
dell’etica
sessuale,
del
pudore).

Risultano
leciti,
allora,
gli
atti
di
disposizione
che
non
ledono
in
modo
irreversibile
l’integrità
e
in
genere
gli
atti

dispositivi
su
parti
già
staccate
del
proprio
corpo.
Sono
inoltre
leciti
gli
interventi
medici
e
chirurgici
giustificati
dal

principio
della
totalità:
è
lecito
cioè
sacrificare
una
parte
per
salvare
il
tutto
in
cui
si
inserisce.
Gli
interventi
di

modificazione
dei
caratteri
sessuali.
E’
lecito
inoltre
disporre
della
propria
integrità
quando
si
tratti
di
salvare
la
vita
di

un
terzo,
tramite
la
donazione
di
organi
(rene
o
parti
di
fegato)
e
il
prelievo
di
organi
da
cadavere
(salvo
una

precedente
opposizione).


Integrità
morale

Si
parla
di
integrità
morale
per
designare
riassuntivamente
il
bene
dell’onore
e
del
decoro:
essi
sono
tutelati
dal
diritto

all’onore.
La
tutela
è
anzitutto
di
tipo
penale:
costituiscono
reato
sia
l’ingiuria,
e
cioè
l’offesa
all’onore
e
al
decoro
di

persona
presente,
sia
la
diffamazione,
e
cioè
l’offesa
della
reputazione
altrui
realizzata
comunicando
con
altre

persone,
anche
a
mezzo
della
stampa.
Sanzioni
civili
sono
il
risarcimento
dei
danni,
patrimoniali
e
non
patrimoniali
e
il

sequestro
degli
scritti
con
cui
è
stata
commessa
la
violazione.


Identità
personale.


Il
concetto
di
identità
personale
copre
un’ampia
gamma
di
aspetti
della
personalità
riconducibili
all’idea
di
“identità”,

quale
modo
d’essere
o
insieme
di
attributi
che
connotano
e
distinguono
il
singolo
nella
collettività
sociale.

Costituiscono
aspetti
giuridicamente
rilevanti
lo
stato
personale
(di
cittadino,
coniuge,
figlio..),
il
nome,
la
personalità

morale
e
l’identità
sessuale.

Il
diritto
al
nome

Il
diritto
al
nome
tutela
l’interesse
al
proprio
appellativo,
come
segno
distintivo
della
persona
e
mezzo
di

identificazione
personale.
Il
nome
si
compone
del
prenome
e
del
cognome.
Il
diritto
al
nome
è
garantito
sia
verso
lo

Stato,
sia
verso
i
privati,
vietando
che
altri
possa
contestarne
l’uso
al
titolare
e
usurparlo,
e
cioè
appropriarsene,
usarlo

indebitamente.
La
tutela
del
nome
si
concretizza
nella
facoltà
di
chiedere
la
“cessazione
del
fatto
lesivo”,
il

risarcimento
dei
danni,
la
pubblicazione
della
sentenza
su
uno
o
più
giornali.
L’iniziativa
è
consentita
anche
a
chi
abbia

alla
sua
tutela
un
interesse
fondato
su
ragioni
familiari.

Diritto
alla
personalità
morale

Il
diritto
alla
personalità
morale
tutela
l’interesse
alla
stessa
essenza
dell’identità
come
modo
d’essere,
qualità
e

caratteristiche
intrinseche
della
persona.
Garantisce
l’interesse
a
una
esatta
proiezione
sociale,
o
conoscenza

pubblica,
delle
caratteristiche
e
delle
qualità
della
persona
contro
altrui
travisamenti.
Ciascuno

ha
diritto
di
non

vedersi
attribuire
azioni,
opinioni
o
modi
d’essere
non
rispondenti
al
vero.
In
caso
di
notizia
diffusa
a
mezzo
stampa,
la

legge
prevede
la
pubblicazione
di
una
smentita
o
rettifica
che
abbia
lo
stesso
rilievo
tipografico
della
notizia
inesatta.

Resta
fermo
il
diritto
al
risarcimento
degli
eventuali
danni.


Il
diritto
alla
identità
sessuale

Il
diritto
alla
identità
sessuale
si
sostanzia
nel
diritto
alla
rettificazione
delle
risultanze
anagrafiche,
sia
quando
il
sesso

indicato
nell’atto
di
nascita
non
corrisponde
alla
realtà,
per
un
errore
al
momento
della
sua
redazione,
sia
quando

siano
stati
modificati
i
caratteri
sessuali
esterni
tramite
interventi
chirurgici.


Diritto
all’intimità
privata

Il
diritto
all’intimità
privata
tutela
l’interesse
a
mantenere
il
riserbo
sulla
propria
vita
privata,
intesa
come
l’insieme
dei

fatti,
vicende,
immagini
che
concernono
il
singolo
e
la
sua
vita
familiare.
La
protezione
si
indirizza
contro
l’altrui

invadenza:
le
ingerenze
e
le
iniziative
altrui
volte
a
conoscere
e/o
rivelare
ad
altri
tali
aspetti
della
vita
privata
delle

persone.


Il
diritto
all’immagine

Il
diritto
all’immagine
tutela
l’interesse
all’uso
esclusivo
del
proprio
ritratto,
vietando
che
esso
venga
esposto
o

pubblicato
senza
il
consenso
della
persona
o
comunque
fuori
dai
casi
consentiti
dalla
legge
(1.
Quando
vi
è
il
consenso

dell’interessato;
2.
Quando
la
persona
svolga
attività
di
interesse
pubblico;
3.
Quando
vi
sia
un
rilevante
interesse

sociale,
scientifico,
didattico
o
di
giustizia;
4.
Quando
si
tratti
di
immagini
riprese
in
occasione
di
avvenimenti
svoltisi
in

pubblico
o
di
interesse
pubblico).
Rimane
vietata
la
pubblicazione
e
l’esposizione
quando
l’immagine
lede
l’onore,
il

decoro,
il
pudore
della
persona.


Diritto
alla
riservatezza
e
protezione
dei
dati
personali

Il
diritto
alla
riservatezza
tutela,
in
generale,
l’interesse
a
mantenere
il
riserbo
sui
fatti
e
sulle
vicende
della
vita

personale
e
familiare
e,
segnatamente,
protegge
l’interesse
a
evitare
una
divulgazione
pubblica
delle
informazioni
–

attuata
cioè
tramite
mezzi
di
comunicazione
di
massa
–
a
prescindere
dal
carattere
disonorante
di
tali
vicende.
Si

puntualizza
in
due
aspetti
fondamentali:
a)
diritto
al
rispetto
della
vita
privata
e
familiare,
il
divieto
di
violazione
e

divulgazione
della
corrispondenza
e
di
ogni
altra
forma
di
comunicazione;
b)
diritto
alla
protezione
dei
dati
personali,

che
tutela
l’interesse
a
un
appropriato
trattamento
dei
dati
(raccolta,
elaborazione,
conservazione
e
comunicazione

dei
dati
personali).
Come
criterio
generale
dette
attività
devono
svolgersi
nel
rispetto
delle
libertà
fondamentali,
della

dignità
e
dei
diritti
delle
persone.
Quali
garanzie
specifiche
la
legge
fa
riferimento
essenzialmente
a
due
strumenti:
il

controllo
pubblico
esercitato
dal
Garante
per
il
trattamento
dei
dati
personali
e
il
consenso
(privato)
per
scopi
o
fini

previamente
dichiarati.


CAPITOLO
13:
B)
I
DIRITTI
REALI

I
diritti
reali
sono
diritti
che
attribuiscono
un
potere
diretto
e
immediato
su
una
cosa,
che
consente
una
diretta

soddisfazione
dell’interesse
e
può
farsi
valere
verso
tutti.
I
caratteri
salienti
sono:
l’immediatezza
del
potere,

l’inerenza
alle
cose,
la
facoltà
di
seguito
o
sequela,
l’elasticità,
la
tipicità

•
Con
l’immediatezza
s’intende
far
riferimento
al
fatto
che
il
rapporto
fra
l’uomo
e
la
cosa
è
senz’altro
diretto,
non

mediato
da
alcuno.
Il
diritto
si
realizza
direttamente
e
immediatamente
ad
opera
del
titolare.

•
L’inerenza
alla
cosa
consiste
nel
particolare
nesso
o
relazione
tra
il
diritto
e
il
bene,
che
si
traduce
anzitutto
nella

opponibilità
erga
omnes
del
diritto
stesso
e
perciò
nella
possibilità
di
farlo
valere
verso
chiunque.
Vanno
segnalate

l’esclusività
come
facoltà
del
titolare
di
escludere
altri
dal
godimento
e
il
potere
di
agire
per
la
restituzione
contro
chi

lo
possegga.


•
Facoltà
di
seguito
o
sequela:
tali
diritti
possono
farsi
valere
non
solo
nei
confronti
della
generalità
dei
consociati,

ma,
a
certe
condizioni,
anche
nei
confronti
di
chi
venga
ad
acquistare
uno
specifico
diritto
sullo
stesso
bene.

•
L’elasticità
allude
all’idoneità
del
diritto
di
espandersi
su
tutta
la
cosa
quando
essa
si
accresca
o
vengano
meno
i

diritti
altrui
gravanti
su
di
essa.

•
Tipicità:
i
diritti
reali
sono
soltanto
quelli
previsti
e
disciplinati
dalla
legge.
Non
è
consentito
ai
privati
crearne

nuovi.

La
categoria
dei
diritti
reali
si
divide
in
due
grandi
categorie,
a
seconda
che
il
diritto
riguardi
una
cosa
propria
ovvero

una
cosa
altrui.
Nella
prima
rientra
soltanto
la
proprietà.
Si
dicono
diritti
reali
su
cosa
altrui
quei
diritti,
cosiddetti

minori
o
parziari,
che
possono
spettare
a
un
soggetto
su
un
bene
in
proprietà
di
altri.
In
tale
categoria
rientrano

anzitutto
i
diritti
reali
di
godimento
(superficie,
enfiteusi,
usufrutto,
uso,
abitazione,
servitù
prediali)
e
i
diritti
reali
di

garanzia
(pegno,
ipoteca,
privilegio
speciale).


CAPITOLO
14:
I
beni

Concetto
giuridico:
sono
beni
le
cose
che
possono
formare
oggetto
di
diritti.
Si
fa
riferimento
a
una
cosa,
e
cioè
una

porzione
materiale
della
realtà,
che
possa
essere
oggetto
di
diritti,
in
quanto
assoggettabile
al
potere
dell’uomo.

L’aria,
la
luce
del
sole
e
il
vento
sono
cose
comuni
a
tutti
e
dunque
non
sono
beni.
Costituiscono
beni
anche
entità

immateriali
o
incorporali
(onore,
integrità
psicofisica,
creazioni
intellettuali,
marchio).


I
beni
materiali
si
distinguono
in
beni
mobili
e
beni
immobili.
Sono
beni
immobili
il
suolo
(incluse
sorgenti
e
corsi

d’acqua)
e
tutto
ciò
che
naturalmente
o
artificialmente
è
incorporato
al
suolo,
come
alberi
o
costruzioni.
Sono
beni

immobili
inoltre
i
mulini
e
gli
altri
edifici
galleggianti
che
siano
assicurati
alla
riva
in
modo
permanente
per
la
loro

utilizzazione.
Sono
beni
mobili
tutti
gli
altri
beni.
A
differenza
di
questi
ultimi,
per
gli
immobili
vige
un
sistema
basato

sul
carattere
formale
degli
atti
di
trasferimento
(forma
scritta)
e
sulla
pubblicità
degli
atti
stessi
tramite
appositi

registri.

Si
distinguono,
poi,
i
beni
mobili
registrati
e
le
universalità
di
mobili
disciplinate
in
modo
simile
agli
immobili.
Sono

mobili
registrati
alcune
categorie
di
beni
(autoveicoli,
navi
e
aerei)
annotati
in
appositi
registri
sui
quali
va
trascritto,

come
per
gli
immobili,
il
relativo
trasferimento.
Per
il
resto
si
applica
la
disciplina
dei
beni
mobili.

Le
universalità
di
mobili
sono
invece
pluralità
di
cose
che
appartengono
a
una
stessa
persona
e
hanno
una

destinazione
unitaria.
Il
valore
del
complesso
è
di
norma
maggiore
della
somma
dei
componenti.




Combinazioni
di
beni

Altre
distinzioni
di
beni
sono
collegate
al
modo
in
cui
le
cose
si
rapportano
l’una
all’altra.
Una
prima
distinzione
è

quella
tra
cosa
semplice
e
cosa
composta.
Cosa
semplice
è
quella
i
cui
elementi
sono
a
tal
punto
connessi
fra
di
loro

che
una
loro
separazione
distruggerebbe
senz’altro
la
cosa.
Cosa
composta
è
quella
che
risulta
dall’unione
materiale

di
più
cose,
in
sé
distinte
e
suscettibili
di
autonomo
rilievo
economico‐funzionale
ove
vengano
separate.
L’unione
fisica

fra
i
componenti
distingue
la
cosa
composta
dalle
universalità
di
mobili.


Si
dicono
poi
divisibili
i
beni
il
cui
frazionamento
non
altera
la
funzione
economica
delle
parti
risultanti
e
ne
mantiene,

proporzionalmente,
il
valore
(es.
un
fondo,
un
edificio
con
piu
appartamenti..).


Le
pertinenze

Sono
pertinenze
le
cose
destinate
in
modo
durevole
a
servizio
o
ad
ornamento
di
un’altra.
Si
è
in
presenza
di
cose
del

tutto
distinte
e
dotate
di
completa
autonomia
economico‐funzionale,
la
cosa
accessoria
accresce
l’utilità
o
il
valore

della
principale.
Gli
atti
e
i
rapporti
giuridici
che
hanno
per
oggetto
la
cosa
principale
comprendono
anche
le

pertinenze,
se
non
è
diversamente
disposto.
La
destinazione
di
una
cosa
a
pertinenza
di
un’altra
non
comprime,
in

linea
di
principio,
i
diritti
preesistenti
su
di
essa
a
favore
di
terzi.


I
frutti

I
frutti
sono
beni
che
provengono
da
un
altro
bene,
sia
direttamente
sia
in
modo
indiretto.
Si
dicono
frutti
naturali

quelli
che
provengono
direttamente
dalla
cosa,
vi
concorra
o
no
l’opera
dell’uomo.
Essi
appartengono
al
proprietario

della
cosa
fruttifera,
a
meno
che
la
loro
proprietà
non
sia
attribuita
ad
altri.
In
tal
caso
la
proprietà
dei
frutti
si
acquista

al
momento
della
separazione,
e
cioè
col
distacco
dalla
cosa
madre.
Fino
a
tale
momento
essi
sono
una
mera
parte
del

bene
e
le
vicende
relative
alla
cosa
fruttifera
ricomprendono
automaticamente
anche
i
frutti.
Si
dicono
frutti
civili

quelli
che
si
traggono
dalla
cosa
come
corrispettivo
del
godimento
che
altri
ne
abbia
(interessi
sui
capitali,
canone

locazioni..).
Essi
si
acquistano
giorno
per
giorno,
in
ragione
della
durata
del
diritto.


Beni
fungibili
e
beni
infungibili

Si
dicono
fungibili
i
beni
sostituibili
con
altri
dello
stesso
genere
senza
che
l’interesse
dell’utilizzatore
venga
a
soffrirne.

Sono
beni
che
si
fanno
apprezzare
per
la
loro
appartenenza
ad
un
genere.
Lo
sono
prodotti
in
serie
e
quelli
venduti

alla
rinfusa.

Sono
infungibili
i
beni
ch
presentano
caratteristiche
proprie
che
li
distinguono
da
altri
analoghi.
L’infungibilità
può

derivare,
oltre
che
dalla
natura
del
bene,
anche
dalla
volontà
delle
parti.


Cose
consumabili
e
cose
deteriorabili

Le
cose
consumabili
sono
quelle
delle
quali
non
si
può
far
uso
senza
consumarle,
esse
sono
suscettibili
di
esser
usate

una
volta
sola.
I
beni
deteriorabili
sono
beni
che,
senza
consumarsi
in
un
tratto,
si
deteriorano
poco
a
poco.


Beni
pubblici

L’espressione
“beni
pubblici”
descrive
genericamente
il
fenomeno
dell’appartenenza
di
un
bene
a
un
ente
pubblico.

Sono
beni
di
demanio
necessario
(spettando
solo
allo
Stato)
il
demanio
marittimo,
idrico
e
militare
(lido
del
mare,

spiaggia,
porti,
fiumi
e
altre
acque
pubbliche,
opere
destinate
alla
difesa
nazionale).
Fanno
parte
del
demanio

eventuale
(appartengono
a
un
ente
pubblico
territoriale)
strade
e
ferrovie,
aeroporti
e
acquedotti,
immobili
e
raccolte

d’interesse
storico,
archeologico
o
artistico.
Sono
di
demanio
comunale
mercati
e
cimiteri.

Sono
beni
del
patrimonio
indisponibile
(possono
spettare
anche
ad
altri
enti
pubblici)
le
foreste
e
le
miniere,
le
cose

di
interesse
storico,
archeologico
o
artistico
ritrovate
nel
sottosuolo,
gli
edifici
sede
di
uffici
pubblici
con
i
relativi

arredi,
e
altri.

Tutti
gli
altri
beni
pubblici
rientrano
nel
patrimonio
disponibile
e
sono
soggetti
alle
stesse
norme
che
disciplinano
i

beni
privati.



CAPITOLO
15:
La
proprietà

La
proprietà
è
il
primo
e
fondamentale
dei
diritti
reali
ed
è
il
diritto
di
godere
e
disporre
delle
cose
in
modo
pieno

ed
esclusivo,
entro
i
limiti
e
con
l’osservanza
degli
obblighi
stabiliti
dall’ordinamento
giuridico.


•
Il
diritto
di
godere
delle
cose
consiste
nella
facoltà
di
utilizzare
il
bene
perseguendo
fini
e
interessi
liberamente

scelti.

•
Il

diritto
di
disporre
consiste
nella
facoltà
di
alienare
il
bene
o
di
costituire
su
di
esso
diritti
reali
in
favore
di

terzi.

•
La
pienezza
consiste
nel
fatto
che,
in
linea
di
principio,
il
proprietario
può
fare
tutto
ciò
che
non
è

espressamente
vietato

•
L’esclusività
è
un
carattere
che
la
proprietà
condivide
con
gli
altri
diritti
reali
e
consiste
nella
facoltà
di
escludere

tutti
coloro
che
non
abbiano
un
titolo
concorrente
o
poziore
per
esercitare
poteri
o
facoltà
reali
sulla
cosa.

•
Divieto
di
abuso
del
diritto
e
di
atti
emulativi
e
cioè
gli
atti
i
quali
non
abbiano
altro
scopo
che
quello
di
nuocere

o
recare
molestia
ad
altri.





La
proprietà
fondiaria

Estensione
in
linea
verticale:
La
proprietà
si
estende
al
sottosuolo,
con
tutto
ciò
che
vi
si
contiene.
Il
proprietario

non
può
opporsi
ad
attività
di
terzi
svolte
a
tale
altezza
o
a
tale
profondità
che
egli
non
abbia
interesse
ad

escluderle.

Estensione
in
senso
orizzontale:
La
proprietà
è
delimitata
dai
confini
del
fondo,
che
il
titolare
può
chiudere

impedendo
così
l’ingresso
ad
estranei.
In
mancanza
di
recinzione
egli
deve
consentire
l’accesso
a
chi
voglia

esercitarvi
la
caccia,
raccolta
funghi
e
piante,
passeggiate,
scii..
L’ingresso
al
fondo
inoltre
deve
essere
consentito

al
vicino
che
abbia
necessità
di
costruire
o
riparare
il
proprio
muro
e
a
chi
voglia
riprendere
la
cosa
o
l’animale

proprio
che
vi
si
trovi
accidentalmente.

Rapporti
di
vicinato

Sono
rapporti
tra
proprietà
vicine.
I
vincoli
sono
reciproci,
automatici
(nascono
dalla
legge)
e
gratuiti
(no

pagamento
indennità).


Le
immissioni
sono
propagazioni
derivanti
a
un
fondo
dalla
attività
svolta
in
un
altro.
La
regola
generale
è
che
il

proprietario
non
può
impedire
le
propagazioni
derivanti
dal
fondo
vicino
se
non
superano
la
normale
tollerabilità

(soglia
di
normale
sopportabilità
derivante
dalla
condizione
dei
luoghi
e
dal
tipo
di
pregiudizio
arrecato).
Devono

però
essere
indirette
e
involontarie.

Per
quanto
riguarda
le
immissioni
derivanti
da
attività
produttive,
il
giudice
deve
previamente
accertare
se
tali

immissioni
non
siano
riducibili
con
l’adozione
di
idonei
accorgimenti
tecnici.
Diversamente
l’attività
verrà
vietata

in
caso
di
pregiudizio
alla
salute
delle
persone
o
all’ambiente
oppure
verranno
indennizzati
tutti
coloro
costretti
a

sopportare
tali
immissioni.


Il
proprietario
può
costruire
solo
se
e
nei
limiti
in
cui
gli
strumenti
di
pianificazione
urbanistica
prevedano
una

siffatta
destinazione
per
le
singole
zone
e
previo
rilascio
di
un
permesso
di
costruire,
rilasciato
dietro
pagamento

del
cosiddetto
contributo
di
costruzione.

Le
costruzioni
su
fondi
vicini
devono
essere
realizzate
in
aderenza
ovvero
tenute
a
una
distanza
non
inferiore
ai

tre
metri.
Una
distanza
maggiore,
tuttavia,
è
ormai
quasi
ovunque
stabilita
dagli
strumenti
urbanistici.

Le
luci
sono
aperture
che
danno
passaggio
alla
luce
e
all’aria,
ma
non
permettono
di
affacciarsi
sul
fondo
del

vicino
e
possono
essere
aperte
liberamente
anche
nel
muro
contiguo
al
fondo
altrui.

Le
vedute
sono
aperture
che
permettono
di
affacciarsi
e
di
guardare
di
fronte,
obliquamente
o
lateralmente:

presentano
dunque
l’inconveniente
di
esporre
il
vicino
alla
curiosità
altrui
e
la
legge
dispone
che
debbono
essere

tenute
a
una
certa
distanza
dal
confine
(1.50m
per
le
vedute
dirette
e
0.75m
per
laterali
e
oblique).

Tali
limiti
possono
essere
derogati
dai
privati.

Per
il
caso
di
violazione
la
legge
prevede
il
risarcimento
dei
danni
e
per
quanto
riguarda
le
distanze
stabilite
dal

codice
civile,
anche
la
riduzione
in

pristino
e
cioè
la
demolizione
delle
opere.


Modi
d’acquisto
della
proprietà

I
modi
d’acquisto
della
proprietà
sono
i
fatti
e
gli
atti
ai
quali
è
collegato
l’effetto
giuridico
dell’acquisto,
in
capo
a
un

soggetto,
della
proprietà
di
un
bene.


Si
dicono
a
titolo
derivativo
gli
acquisti
che
presuppongono
un
precedente
titolare
del
diritto,
da
cui
è
derivato

l’acquisto
stesso
tramite
un
titolo
che
trasferisce
il
diritto.
La
posizione
giuridica
dell’acquirente
è
derivata
dalla

precedente:
si
realizza
cioè
una
successione
nello
stesso
diritto,
il
quale
si
trasferisce
con
gli
stessi
caratteri
che
aveva

in
capo
al
precedente
titolare.

Si
dicono
a
titolo
originario
gli
acquisti
che
non
trovano
la
loro
base
o
fonte
in
un
precedente
diritto
in
capo
ad
altri

vuoi
perché
si
tratta
di
un
bene
che
non
ha
mai
avuto
un
proprietario
vuoi
perché
l’acquisto
è
comunque

indipendente
sa
una
precedente
titolarità.
La
proprietà
si
acquista
libera
da
diritti
altrui
sulla
cosa
e
si
acquista
come

un
diritto
nuovo.

Modi
d’acquisto
a
titolo
originario
(oltre
all’usucapione
e
al
possesso
titolato)
sono
l’occupazione,
l’invenzione,

l’accessione.

1) L’occupazione
è
la
presa
di
possesso
di
cose
mobili
non
appartenenti
ad
alcuno
(es.
res
nullius
pesci
del
mare

o
cose
abbandonate
dal
proprietario).
Requisiti
sono
il
fatto
oggettivo
dell’impossessamento
e
l’intenzione
di

far
propria
la
cosa.

2) L’invenzione
è
il
ritrovamento
di
cose
mobili
smarrite
(ma
non
abbandonate)
dal
proprietario.
Il
ritrovatore

ne
acquista
la
proprietà
se,
consegnata
la
cosa
al
sindaco
e
data
la
pubblicità
prescritta
al
ritrovamento,
il

proprietario
non
la
reclami
entro
un
anno.
Ove
il
proprietario
si
presenti
recupererà
la
cosa
sua,
ma
dovrà
al

ritrovatore
un
premio
proporzionato
al
valore
della
cosa.
Ipotesi
particolare
è
la
scoperta
del
tesoro
e
cioè
di

una
cosa
mobile
di
pregio,
nascosta
o
sotterrata,
di
cui
nessuno
può
provare
di
essere
proprietario.
Essa

spetta
al
proprietario
del
fondo
e,
ove
sua
stata
trovata
da
un
terzo
per
caso,
spetterà
per
metà
a
costui.


3) L’accessione
è
l’acquisto
della
proprietà
di
un

bene
per
effetto
della
sua
congiunzione
a
un
altro,
riguardato

come
principale.
Quando
una
cosa
(accessoria)
si
unisce
a
un’altra
ch
epossa
riguardarsi
come
principale,
la

res
nova
risultante
viene
ad
acquistarsi
in
capo
al
proprietario
di
questa.
Causa
dell’acquisto
è
il
fatto

materiale
della
congiunzione
fra
le
cose;
titolo
per
l’acquisto
è
la
proprietà
della
cosa
principale.

•
L’accessione
di
mobile
a
immobile
(o
accessione
al
suolo)
si
verifica
per
qualunque
piantagione,
costruzione

o
opera
che
sia
realizzata
sopra
o
sotto
il
suolo:
essa
appartiene
al
proprietario
di
questo.
L’acquisto
è

automatico
e
immediato
e
prescinde
dalla
volontà
del
dominus
soli
e
del
costruttore.
Accessione
invertita:
se

nella
costruzione
di
un
edificio
si
occupa
in
buona
fede
una
porzione
del
fondo
attiguo,
il
giudice,
su
domanda

del
costruttore
e
tenuto
conto
delle
circostanze,
può
attribuirgli
la
proprietà
dell’edificio
e
del
suolo
occupato

previo
pagamento
del
doppio
del
valore
del
suolo
(+
risarcimento
danni).

•
L’accessione
di
mobile
a
mobile

prende
il
nome
di
unione
o
commistione
quando
più
cose
appartenenti
a

diversi
proprietari
sono
state
unite
o
mescolate
in
guisa
da
formare
un
sol
tutto.
In
tal
caso,
se
le
cose
non

sono
separabili
la
proprietà
diventa
comune
in
proporzione
del
valore.
Se
però
una
delle
cose
appare

principale,
o
è
di
molto
superiore
per
valore,
il
proprietario
della
principale
acquista
la
proprietà
del
tutto,

con
l’obbligo
di
pagare
il
valore
della
cosa
unita.
Si
ha
invece
specificazione
quando
taluno
abbia
elaborato

una
materia
altrui
formando
una
nuova
cosa

•
L’accessione
di
immobile
a
immobile
si
ravvisa
in
una
serie
di
ipotesi
denominate
sinteticamente
come

incrementi
fluviali,
caratterizzate
dal
fatto
che,
in
seguito
a
modificazioni
nel
regime
o
nel
corso
delle
acque,

si
verificano
dei
mutamenti
nell’assetto
dei
fondi
confinanti.


Le
azioni
di
difesa
della
proprietà

La
rivendicazione

La
rivendicazione
è
l’azione
fondamentale
concessa
al
proprietario
che
può
rivendicare
la
cosa
da
chiunque
la

possiede
o
detiene.
L’azione
ha
una
duplice
funzione:
di
accertamento
della
titolarità
del
diritto
e
di
restituzione
del

bene.
Legittimato
attivo
è
chi
sostiene
di
essere
proprietario:
egli
dovrà
dimostrare
tale
sua
qualità
provando
un
titolo

originario
di
acquisto.
Legittimato
passivo
è
chiunque
abbia
il
possesso
o
la
detenzione
della
cosa
e
anche
se,

successivamente
alla
domanda
giudiziale,
abbia
cessato,
per
fatto
proprio,
di
possedere
o
detenere.


L’azione
negatoria

L’azione
negatoria
è
concessa
al
proprietario
per
far
dichiarare
l’inesistenza
di
diritti
altrui
sulla
cosa
e
per
far
cessare

le
eventuali
molestie
o
turbative.
E’
diretta
perciò
ad
un
accertamento
negativo
ed
eventualmente
a
una
condanna

alla
cessione
delle
molestie
e
al
risarcimento
del
danno.
Legittimato
attivo
è
il
proprietario
dell’immobile,
legittimato

passivo
è
chi
pretendo
di
avere
diritti
reali
sul
bene
e
sarà
costui
che
dovrà
darne
la
relativa
prova.


L’azione
di
regolamento
di
confini

Suppone
una
incertezza
in
ordine
alla
posizione
del
confine
tra
due
fondi
ed
è
diretta
ad
accertarlo.
In
contestazione
è

l’estensione
materiale
del
fondo.
Nel
caso
di
possesso
promiscuo
di
una
zona
di
confine
e
la
prova
incombe
su

entrambi.


L’azione
per
l’apposizione
di
termini

Presuppone
la
certezza,
o
cmq
la
non
contestazione,
del
confine
ed
ha
lo
scopo
di
far
apporre
o
ristabilire
a
spese

comuni
i
termini.


CAPITOLO
16:
I
diritti
reali
di
godimento


I
diritti
reali
di
godimento
attribuiscono
un
potere
su
una
cosa
altrui:
sono
i
cosiddetti
diritti
reali
minori
o
parziari.

•
Si
dicono
minori
o
parziari,
rispetto
alla
proprietà,
perché
hanno
un
più
ristretto
contenuto,
che
si
riduce

talvolta
ad
una
sola
facoltà.

•
Sono
poi
diritti
su
cosa
altrui
perché
gravano
su
beni
in
proprietà
di
altri,
limitando
le
facoltà
del
proprietario
e
il

contenuto
del
suo
diritto.

Su
uno
stesso
bene
possono
coesistere
più
diritti
reali
minori,
purchè
di
contenuto
diverso.

I
diritti
reali
minori
possono
essere
a
tempo
ovvero
perpetui.
In
ogni
caso,
si
estinguono
per
non
uso
protratto
per

venti
anni.

La
tutela
di
tali
diritti
è
ammessa
erga
omnes,
il
titolare
può
agire
direttamente
contro
chiunque
si
trovi
nel

possesso
del
bene,
o
contesti
il
suo
diritto.
L’azione
di
accertamento
del
diritto
è
chiamato
confessoria
(in
antitesi

alla
negatoria).


I
diritti
reali
di
godimento
sono
la
superficie,
l’enfiteusi,
l’usufrutto,
l’uso,
l’abitazione,
le
servitù.


La
superficie

La
superficie
consiste
nel
diritto
di
fare
(e
mantenere)
una
costruzione
sopra
o
sotto
il
suolo
altrui
ovvero
nella

proprietà
di
una
costruzione
separata
dalla
proprietà
del
suolo.

La
prima
consiste
nel
mero
diritto
di
costruire
sul
suolo
altrui
(acquistando
poi
la
proprietà
dell’opera

eventualmente
costruita).
La
seconda
consiste
invece
in
un
vero
e
proprio
diritto
di
proprietà
sulla
costruzione,

separato
dalla
proprietà
del
suolo.
Tale
diritto
può
derivare:
a)
dalla
edificazione
realizzata
in
conformità
secondo

quanto
s’è
appena
detto;
b)
dalla
alienazione
di
una
preesistente
costruzione
fatta
dal
proprietario
(che
si
riserva

la
proprietà
del
suolo).
La
costituzione
della
superficie
può
avvenire
per
contratto,
per
legge,
per
usucapione.
Il

superficiario
può
liberamente
alienare
il
suo
diritto
e
costituire
diritti
reali
a
favore
di
terzi,
i
quali
si

estingueranno
con
l’estinzione
del
suo
diritto
sulla
cosa.
L’estinzione
della
superficie
può
avvenire
per
scadenza

del
termine
(ove
previsto)
e
per
le
altre
cause
eventualmente
stabilite
nel
titolo
costitutivo,
per
consolidazione
(e

cioè
per
riunione
in
capo
allo
stesso
soggetto
delle
qualità
di
proprietario
del
suolo
e
di
superficiario,
per

prescrizione
del
diritto
di
costruire.
L’estinzione
della
superficie
importa
acquisto
della
costruzione
a
titolo

originario
in
capo
al
dominus
soli.


L’enfiteusi

L’enfiteusi
attribuisce
al
titolare
(enfiteuta)
lo
stesso
potere
di
godimento
che
spetta
al
proprietario,
salvo

l’obbligo
di
migliorare
il
fondo
e
di
pagare
un
canone
periodico.
L’enfiteuta
ha
amplissimi
poteri
di
godimento,

potendo
anche
modificare
la
destinazione
economica
del
fondo,
realizzare
addizioni
e
costruzioni.
L’enfiteusi
si

estingue
per
non
uso.
L’enfiteuta
può
disporre
liberamente
del
suo
diritto
e
può
anche
costituire
diritti
minori
a

favore
di
terzi.
La
durata,
ove
non
sia
perpetua,
non
può
essere
inferiore
ai
20
anni.
L’enfiteuta
ha
diritto

all’affrancazione
del
fondo,
e
cioè
di
divenire
proprietario
a
pieno
titolo
pagando
una
somma
fissata
in
15
volte

l’ammontare
annuo
del
canone.
Il
concedente
ha
diritto
invece
alla
devoluzione,
che
comporta
l’estinzione

dell’enfiteusi
e
la
pienezza
del
dominio,
ove
l’enfiteuta
non
migliori
il
fondo
o
lo
deteriori
ovvero
sia
in
mora
nel

pagamento
di
due
annualità
di
canone.
In
questo
caso
l’enfiteuta
ha
diritto
al
rimborso
di
miglioramenti
e

addizioni
con
diritto
di
ritenzione
del
fondo
stesso
fino
all’effettivo
pagamento.
Egli
può
sempre
però
sanare
la

morosità
o
affrancare.
L’enfiteusi
si
può
inoltre
estinguere
per
decorso
del
termine,
perimento
del
fondo,

prescrizione
estintiva.


Usufrutto

L’usufrutto
è
il
diritto
di
godere
di
una
cosa
entro
i
limiti
segnati
dal
rispetto
della
sua
destinazione
economica.

Attribuisce
perciò
al
titolare
un
ampio
potere
di
usare
e
godere
una
cosa
altrui,
traendone
ogni
utilità
che
questa

può
dare
e
comprimendo
così
la
posizione
dominicale,
ridotta
a
una
nuda
proprietà.
Si
differenzia
dalla
situazione

proprietaria
per
la
durata
temporanea
e
il
limite
rispetto
la
destinazione
economica
(intesa
come
identità
socio

economica)
la
quale
però
è
derogabile.
Oggetto
dell’usufrutto
può
essere
qualunque
specie
di
bene
mobile
e

immobile,
ma
anche
crediti
e
titoli
di
credito,
azioni
e
aziende.
Nel
caso
di
cose
consumabili
l’usufruttuario
può

servirsene
comunque
liberamente
ma
dovrà
pagare
poi
il
valore
di
stima
convenuto
o
restituire
cose
dello
stesso

genere/qualità.
In
questo
caso
si
parla
di
quasi‐usufrutto
perché
la
proprietà
delle
cose
passa
all’usufruttuario.

Nel
caso
invece
di
cose
deteriorabili,
l’usufruttuario
può
servirsene
secondo
l’uso
ordinario,
pur
se
ciò
ne

comporti
l’usura,
restituendole
poi
nello
stato
in
cui
si
trovano.

L’usufruttuario
può
utilizzare
la
cosa
direttamente
o
indirettamente,
traendone
i
frutti
naturali
e
civili,
che

spettano
all’usufruttuario
per
la
durata
del
suo
diritto.
Può
inoltre
realizzare
miglioramenti

(incrementi
qualitativi

che
si
fondono
con
la
cosa
e
ne
aumentano
la
produttività)
e
addizioni
(incrementi
quantitativi
distinti
dalla
cosa).

Per
entrambi
egli
ha
diritto
a
una
indennità
nella
misura
della
minor
somma
tra
lo
speso
e
il
migliorato
al

momento
della
cessazione
dell’usufrutto
salvo
che
il
proprietario
preferisca
non
tenere
le
addizioni.

L’usufruttuario
è
legittimato
alla
tutela
del
suo
diritto
sia
in
vi
possessoria
che
petitoria:
egli
ha
diritto
di

conseguire
il
possesso
della
cosa
e
potrà
esercitare
le
relative
azioni.
Gli
obblighi
dell’usufruttuario
sono

funzionalmente
connessi
all’obbligo
di
restituire
la
cosa
al
termine
dell’usufrutto:
diligenza
del
buon
padre
di

famiglia
nel
godimento,
nella
custodia,
nella
gestione,
inventario
dei
beni,
prestare
garanzia.
Competono

all’usufruttuario
le
spese
di
ordinaria
manutenzione
e
le
imposte
relative
al
reddito,
al
proprietario
le
spese
per

riparazioni
straordinarie
e
le
imposte
dominicali.

L’usufrutto
può
costituirsi
per
legge,
per
volontà
privata
(testamento
o
contratto
oneroso
o
gratuito).
Si
hanno

donazioni
con
riserva
di
usufrutto:
atto
con
cui
una
persona
dona
un
bene
riservandosene
il
godimento.
E’

possibile
anche
che
il
proprietario,
riservandosi
la
nuda
proprietà
alieni
l’usufrutto.
Si
parla
in
tal
caso
di
acquisto

derivativo‐costituitivo
perché
l’acquirente
deriva
da
altri
il
diritto
ma
questo
non
esisteva
come
entità
autonoma

e
perciò
si
costituisce
con
il
contratto.
Sarà
invece
un
acquisto
derivativo‐traslativo
quello
ottenuto
per
cessione

da
chi
sia
già
titolare
dell’usufrutto.
E’
possibile
anche
un
acquisto
per
usucapione.
L’usufruttuario
può
cedere
il

suo
diritto
a
terzi
per
atto
tra
vivi
o
costituire
a
favore
di
terzi
diritti
di
godimento
(tali
diritti
si
estinguono
con

l’estinzione
dell’usufrutto).
L’estinzione
dell’usufrutto
si
verifica
per
scadenza
del
termine,
alla
morte

dell’usufruttuario,
per
prescrizione
ventennale
e
perimento
totale
della
cosa,
abuso
del
diritto
di
usufruttuario,

consolidazione
(proprietario=usufruttuario).


L’uso
e
l’abitazione

L’uso
e
l’abitazione
sono
sottospecie
di
usufrutto
caratterizzate
da
una
facoltà
di
godimento
limitata
ai
bisogni
del

titolare
e
della
sua
famiglia.
Hanno
carattere
personale,
nel
senso
che
non
possono
essere
ceduti.

L’uso
è
il
diritto
di
servirsi
di
una
cosa
e
di
raccoglierne
i
frutti
limitatamente
ai
bisogni
personali
e
familiari,

valutati
secondo
la
condizione
sociale
del
titolare.
Ciò
che
eccede
tale
limite
spetta
al
proprietario
della
cosa.

L’abitazione
è
il
diritto
di
abitare
una
casa
nei
limiti
dei
bisogni
della
famiglia.


Le
servitù

La
servitù
consiste
in
un
peso
imposto
sopra
un
fondo
(detto
servente)
per
l’utilità
di
un
altro
fondo
(detto

dominante),
appartenente
a
diverso
proprietario.
Consente
una
utilizzazione
circoscritta
e
specifica
della
cosa

altrui.
Vi
è
una
oggettiva
relazione
di
servizio
tra
due
fondi,
in
virtù
della
quale
la
limitazione
apposta
al
primo

avvantaggia
il
secondo
(predialità
delle
servitù).
La
servitù
si
caratterizza
per
la
sua
accessorietà
alla
proprietà
di

un
immobile,
è
legata
inscindibilmente
ad
esso
e
si
trasferisce
automaticamente
col
trasferimento
della
proprietà

del
bene.

•
Il
peso
consiste
in
una
limitazione
delle
facoltà
di
godimento
del
fondo,
di
contenuto
vario.
Può
consistere

nell’imposizione
di
non
fare
ovvero
di
un
tollerare
che
altri
faccia.

•
L’utilità
del
fondo
può
consistere
in
un
qualsiasi
vantaggio,
anche
non
economico,
per
la
migliore
utilizzazione

del
bene,
purchè
stabile
e
oggettivo,
nel
senso
che
deve
affierire
al
fondo
e
non
personalmente
al
proprietario.

L’utilità
può
consistere
anche
nella
maggior
comodità
o
amenità
del
fondo
dominante,
inerire
alla
sua

destinazione
industriale
o
anche
riferirsi
a
un
vantaggio
futuro.

•
Diversità
dei
proprietari
dei
due
fondi,
servente
e
dominante.
E’
ammesso
però
che
il
proprietario
del
fondo

servente
sia
comproprietario,
insieme
ad
altri,
del
fondo
dominante
e
viceversa.

Quanto
al
modo
di
costituzione
si
distinguono
servitù
coattive,
che
nascono
in
forza
di
legge,
e
servitù
volontarie,

derivanti
dal
fatto
dell’uomo.
Quanto
al
contenuto,
si
distinguono
servitù
negative,
che
attribuiscono
il
potere
di

vietare
qualcosa
e
servitù
affermative
che
attribuiscono
il
potere
di
fare
qualcosa,
a
loro
volta
distinte
in
continue

e
discontinue.
(continue=per
il
cui
esercizio
non
è
necessario
un
contestuale
fatto
dell’uomo,
la
servitù
è

esercitata
in
continuazione)

Le
servitù
coattive
sono
quelle
che
si
costituiscono
forzosamente,
per
lo
più
con
sentenza
del
giudice,
in
virtù
di

una
previsione
legislativa.
La
sentenza
ha
natura
costituitiva
e
determina
l’indennità
dovuta
e
le
modalità
di

esercizio
della
servitù
stessa
(soddisfazione
bisogno
fdo
dominante
con
il
minor
aggravio
possibile
fdo
servente).

Le
figure
più
importanti
di
servitù
coattive
sono:

a) acquedotto
coattivo,
che
attribuisce
il
diritto
di
collocare
sul
fondo
servente
acquedotti
o
canali
(ad
esso
si

ispirano
quelle
di
scarico,
di
elettrodotto
e
di
linee
telefoniche);

b) somministrazione
d’acqua,
che
attribuisce
il
diritto
di
prelevare
acqua
dal
fondo
servente;

c) passaggio
coattivo,
che
attribuisce
il
diritto
di
passare
sul
fondo
servente
qualora
il
fondo
vicino
sia
intercluso,

non
abbia
cioè
altro
accesso
alla
via
pubblica
o
non
possa
comunque
provvedersi
in
altro
modo
senza

eccessivo
dispendio
o
disagio.
Sono
esenti
da
tale
servitù
case,
cortili
e
giardini.


Si
dicono
volontarie
le
servitù
che
si
costituiscono
per
fatto
dell’uomo,
e
cioè
tramite
atto
negoziale,
per

usucapione
o
per
destinazione
del
padre
di
famiglia.
In
via
negoziale
le
servitù
possono
costituirsi
per
testamenti

e
per
contratto,
che
richiedono
la
forma
scritta
e
danno
luogo
ad
un
acquisto
derivativo‐costitutivo.
Usucapione
e

destinazione
del
padre
di
famiglia
danno
luogo
ad
acquisti
a
titolo
originario.
La
destinazione
del
padre
di
famiglia

è
un
modo
d’acquisto
peculiare
delle
servitù
e
ha
luogo
quando
due
fondi,
attualmente
divisi,
sono
appartenuti

allo
stesso
proprietario
e
questi
ha
realizzato
opere
tali
da
asservire
oggettivamente
un
fondo
all’altro.
Se
tale

proprietà
si
scinde
la
servitù
si
intende
stabilita
attivamente
e
passivamente
a
favore
e
sopra
ciascuno
dei
fondi

separati.

L’esercizio
della
servitù
e
la
sua
stessa
estensione,
o
contenuto
concreto,
sono
regolati
in
primo
luogo
dal
titolo

costitutivo
(sentenza,
contratto,
testamento)
e,
in
mancanza,
dalla
legge.
La
servitù
comprende
tutto
ciò
che
è

necessario
per
usarne,
e
cioè
tutte
le
facoltà
accessorie
al
godimento,
pur
se
non
espressamente
menzionate
nel

titolo.
Il
modo
d’esercizio,
e
cioè
la
modalità
concreta
di
godimento,
deve
ispirarsi
al
criterio
del
minimo
mezzo
o

minor
incomodo.
Specificazioni
concrete
ne
sono
il
divieto
di
aggravare
l’esercizio
della
servitù
e
il
suo
coattivo

trasferimento
in
altro
luogo
ove
risulti
conveniente
a
un
fondo
senza
danneggiare
l’altro.
Le
opere
necessarie
per

l’esercizio
della
servitù
sono
a
carico
del
proprietario
del
fondo
dominante.
La
tutela
delle
servitù
può
avvenire
sia

in
via
petitoria
che
possessoria.
Oltre
che
per
rinuncia,
le
servitù
si
estinguono
per
confusione
(proprietario
fdo

servente=proprietario
fdo
dominante).
Si
estinguono
inoltre
per
prescrizione,
quando
non
se
ne
usi
per
20
anni.


CAPITOLO
17:
La
comunione

La
comunione
è
la
contitolarità
di
un
diritto
reale
da
parte
di
più
persone:
ipotesi
in
cui
la
proprietà
o
altro
diritto
reale

spetta
in
comune
a
più
persone.
Si
tratta
di
uno
stesso
diritto
distribuito
fra
più
persone.
E’
lo
stesso
diritto
in
quanto

ha
eguale
contenuto
e
riguarda
il
medesimo
bene,
ed
è
distribuito
fra
più
persone
non
in
quanto
sia
diviso
fra
esse,

bensì
in
quanto
spetta
contemporaneamente
a
più
soggetti.
Il
diritto
di
ciascuno
dunque
investe
la
totalità
della
cosa

(non
una
sua
frazione
o
parte)
ma
è
al
contempo
limitato
dal
concorrente
diritto
degli
altri.
La
quota
indica
la
misura

di
partecipazione
di
ciascuno
alla
con
titolarità
e
in
caso
di
rinuncia
di
uno
dei
titolari
la
sua
quota
va
ad
accrescere
le

quote
degli
altri
poiché
il
loro
diritto
si
espande.

Tra
interesse
individuale
dei
singoli
e
interesse
collettivo
(esigenze
di
razionale
gestione
e
miglior
godimento
della

cosa)
tendenzialmente
prevale
il
secondo.
Le
decisioni
di
interesse
comune
sono
adottate
a
maggioranza
(calcolata

per
quote)
con
decisione
vincolante
anche
per
i
dissenzienti.
Il
gruppo
però
ha
competenza
solo
per
gli
interessi

comuni,
ma
non
può
ledere
l’interesse
esclusivo
del
singolo,
e
in
particolare
il
suo
diritto
individuale
di
partecipare
al

godimento
della
cosa.


Si
distinguono
comunioni
volontarie
(o
convenzionali),
create
dalle
parti
e
comunioni
incidentali,
create
dalla
legge.

Fra
queste
si
dicono
forzose
le
comunioni
necessarie,
che
ciò
non
è
possibile
sciogliere
per
volontà
unilaterale.

La
comunione
ordinaria

Il
codice
civile
disciplina
la
cosiddetta
comunione
ordinaria
(o
contitolarità
semplice),
e
cioè
l’ipotesi
generale
di

contitolatità
della
proprietà
o
di
altro
diritto
reale,
dettando
una
disciplina
generale
destinata
ad
applicarsi
anche
alle

altre
figure
di
comunione
specificamente
disciplinate
quando
il
titolo
o
la
legge
non
dispone
diversamente.

La
comunione
ordinaria
è
retta
dal
principio
del
concorso:
ciascun
partecipante
può
servirsi
della
cosa
comune,
purchè

non
ne
alteri
la
destinazione
e
non
impedisca
agli
altri
di
fare
parimenti
uso.
La
quota
indica
la
proporzionale

partecipazione
tanto
nei
vantaggi
quanto
nei
pesi.
Le
quote
sono
fissate
nel
titolo
e,
in
mancanza,
si
presumono

uguali.


Fondamentale
principio
è
quello
maggioritario.

•
L’uso
spetta
individualmente
a
ciascuno,
in
proporzione
alla
sua
quota
e
nei
limiti
già
indicati
(criterio
spaziale,

quantitativo
o
temporale).

•
L’amministrazione
spetta
collettivamente
a
tutti,
secondo
il
principio
maggioritario,
per
le
decisioni
di
interesse

comune.
Per
gli
atti
di
OA
basta
la
maggioranza
semplice,
per
gli
atti
di
SA
occorre
una
doppia
maggioranza,
per
capi
e

per
quote:
e
cioè
la
maggioranza
numerica
dei
partecipanti
che
rappresentino
almeno
due
terzi
del
valore
della
cosa.

Delle
obbligazioni
assunte
rispondono
in
solido
tutti
i
partecipanti.
I
dissenzienti
possono
comunque
impugnare

davanti
all’autorità
giudiziaria
le
delibere
ad
essi
pregiudizievoli.

•
La
disposizione
spetta
individualmente
a
ciascuno,
nei
limiti
della
sua
quota.
Ciascuno
cioè
può
vendere
liberamente

a
terzi
la
propria
quota
e
può
in
ogni
momento
domandare
lo
scioglimento
della
comunione.
Per
alienare
l’intero
bene

occorre
il
consenso
unanime
dei
contitolari.




Il
condominio
negli
edifici

Il
condominio
è
una
particolare
comunione
che
si
instaura
negli
edifici:
in
essi
ciascuno
è,
al
contempo,
proprietario

esclusivo
di
un
piano
o
porzione
di
piano
e
comproprietario
di
alcune
parti
comuni.


Qui,
pertanto,
la
comunione
riguarda
solo
alcune
parti
della
cosa
ed
è,
inoltre,
forzosa.
Il
diritto
sulle
cose
comuni
è

segnato
dalla
quota,
espressa
in
millesimi
(cioè
dal
valore
della
proprietà
esclusiva
rispetto
al
valore
dell’edificio)
e
si

trasferisce
automaticamente
con
l’alienazione
della
porzione
in
proprietà
esclusiva.

L’assemblea
dei
condomini
è
l’organo
deliberativo
e
ha
competenza
generale
sulla
gestione
delle
cose
comuni.
Per
la

validità
delle
deliberazioni
si
richiede
la
preventiva
convocazione
di
tutti
gli
aventi
diritto
su
uno
specifico
ordine
del

giorno
e
l’intervento
di
un
numero
minimo
di
condomini
(quorum).
L’approvazione
è
a
maggioranza
semplice
o

qualificata
in
relazione
all’oggetto
della
delibera
stessa.
I
condomini
assenti
o
dissenzienti
possono
impugnare
le

deliberazioni
contrarie
alla
legge
o
al
regolamento
entro
30
giorni
dalla
notizia.

L’amministratore
è
l’organo
esecutivo
e
ha
la
rappresentanza,
anche
processuale,
del
condominio.
La
sua
competenza

è
speciale,
limitata
a
quanto
espressamente
previsto
dalla
legge
e
nel
regolamento.
Ove
i
condomini
siano
più
di
4
la

sua
nomina
è
obbligatoria.

Il
regolamento
è
lo
statuto
del
condominio:
contiene
le
norme
sull’uso
delle
cose
comuni,
l’amministrazione
e
il

decoro
dell’edificio,
la
ripartizione
delle
spese.
La
sua
formazione
è

tramite
delibera
assembleare,
è
obbligatoria

quando
i
condomini
sono
più
di
10
ed
è
approvato
a
maggioranza
semplice.
Ha
natura
di
atto
collettivo
e
vincola

anche
i
successivi
acquirenti.
Può
essere
predisposto
dal
costruttore‐venditore
ed
è
invece
un
atto
negoziale‐
contrattuale.


La
multiproprietà

La
multiproprietà
ha
conosciuto
in
anni
recenti
una
larga
diffusione,
in
particolare
sotto
forma
di
comproprietà
di
case

di
villeggiatura,
caratterizzata
dal
fatto
che
i
condomini
hanno
diritto
al
godimento
esclusivo
di
un
alloggio
in
periodi

prefissati
di
tempo.
Ha
una
particolare
modalità
di
godimento
turnario
(o
ripartito)
in
deroga
alla
regola

dell’uso

promiscuo
di
cosa
comune.
Mediante
contratti
di
multiproprietà
il
consumatore
acquista
un
diritto
di
godimento

periodico
su
un
alloggio.
E’
possibile
disporre
della
propria
quota
alienandola
a
terzi.


CAPITOLO
18:
Il
possesso

Il
possesso
non
è
un
diritto.
Consiste
semplicemente
in
una
situazione
di
fatto,
e
precisamente
nel
fatto
che
un

soggetto
gode
di
un
bene,
a
prescindere
dalla
circostanza
che
tale
soggetto
abbia
o
non
abbia
il
diritto
di
farlo.
Ciò
che

conta
è
che,
di
fatto,
un
soggetto
esercita
i
poteri
che
competono
al
titolare
di
un
diritto
reale
sulla
cosa,
abbia
o
non

abbia
il
diritto
di
farlo.
La
situazione
possessoria
è
tutelata
e
la
tutela
consiste
nel
garantire
temporaneamente
il

mantenimento
della
situazione
di
fatto:
il
possessore
non
deve
giustificare
i
suoi
poteri
sulla
cosa
e,
ove
sia
privato
del

possesso,
può
ottenere
una
immediata
reintegrazione.

Le
ragioni
della
tutela
sono
che,
di
norma,
il
titolare
del
diritto
è
anche
possessore
della
cosa.
Inoltre
la
tutela

possessoria
è
rapida
in
quanto,
limitandosi
a
garantire
la
semplice
situazione
di
fatto
esistente,
non
richiede
che
il

soggetto
di
anche
la
prova,
a
volte
complessa,
del
proprio
diritto.

Nel
caso
in
cui
il
possessore
non
sia
titolare
del
diritto,
il
proprietario
che
si
veda
spogliato
del
suo
bene
può
resistere

alla
altrui
violenza
mentre
essa
è
in
atto
e,
una
volta
cessata,
egli
può
tutelarsi
con
le
azioni
a
difesa
del
perduto

possesso
entro
1
anno.


Ragione
della
tutela
del
possesso
in
capo
a
chi
non
vi
avrebbe
diritto
è
dunque
l’intento
di
premiare
chi,
a
differenza

del
proprietario
assenteista,
utilizza
il
bene
e
lo
mette
a
frutto.

Il
possesso
assicura
tre
vantaggi:

‐ la
posizione
di
convenuto
nell’azione
di
rivendica:
chi
possiede
non
è
tenuto
a
dimostrare
di
avere
un
titolo
a

fondamento
del
possesso
ma
sarà
chi
pretendo
di
avere
un
diritto
poziore
a
doverlo
dimostrare.

‐ La
tutela
giudiziaria,
tramite
l’esperimento
di
azioni
di
reintegrazione
nella
situazione
di
fatto
contro
chi
abbia

sottratto
o
turbato
il
possesso.

‐ Il
diritto
al
rimborso
di
determinate
spese
sostenute
per
la
cosa


Nozione
di
possesso:
Il
possesso
è
il
potere
sulla
cosa
che
si
manifesta
in
un’attività
corrispondente
all’esercizio
della

proprietà
o
di
altro
diritto
reale.
Si
estrinseca
dunque
in
una
serie
di
atti
e
di
comportamenti
che,
stando
alla
legge,

competerebbero
al
titolare
di
un
diritto
reale.

Si
distinguono
diverse
situazioni
possessorie:
1)
il
possesso
vero
e
proprio,
consistente
nell’esercizio
diretto
dei
poteri

sulla
cosa;
2)
il
possesso
mediato,
che
si
ha
quando
i
poteri
sono
esercitati
per
il
tramite
di
un
terzo,
che
ne
ha
3)
la

detenzione,
e
cioè
la
materiale
disponibilità.

Possesso
e
detenzione

Possesso
e
detenzione
sono
entrambe
situazioni
di
fatti
che
consistono
nell’esercitare
un
potere
su
una
cosa.


Per
aversi
possesso,
occorre
che
il
potere
esercitato
corrisponda
al
contenuto
di
un
diritto
reale:
e
dunque,
fra
l’altro,

il
possessore
esercita
il
potere
sempre
nel
proprio
interesse
e
non
per
conto
di
altri.


Per
la
detenzione
è
sufficiente
che
il
potere
sulla
cosa
consista
nell’avere
la
cosa
presso
di
sé.
La
detenzione
implica

sempre
l’obbligo
di
restituire
la
cosa
e
l’obbligo
di
render
conto
al
possessore
dell’uso
fattone.

Se
la
detenzione
sussiste
in
capo
al
possessore,
essa
costituirà
solo
una
modalità
dell’esercizio
del
potere:
potere

diretto
sulla
cosa.
Se
sussiste
in
capo
a
un
soggetto
diverso,
la
detenzione
diviene
una
situazione
distinta
dal
possesso.

Il
detentore,
derivando
il
suo
potere
da
un
altro,
può
farne
esclusivamente
l’uso
consentito
dal
titolo
per
cui
la
cosa
gli

è
stata
consegnata;
e
tuttavia,
tale
titolo
può
contemplare
sia
un
interesse
del
possessore
mediato,
sia
un
interesse

proprio
del
detentore.
In
quest’ultima
ipotesi
la
detenzione
riceverà
tutela
anche
contro
lo
stesso
possessore.


Mentre
la
detenzione
può
acquistarsi
solo
in
modo
derivativo,
il
possesso
può
acquistarsi
anche
in
modo
originario,

tramite
impossessamento:

a) nei
casi
di
acquisto
della
proprietà
a
titolo
originario,
che
presuppongono
l’apprensione
materiale
della
cosa;

b) nell’ipotesi
di
“opposizione”
al
possessore.
L’opposizione
consiste
in
una
manifestazione
esterna
da
parte
del

detentore,
che
renda
univoco
il
significato
dei
poteri
esercitati
sulla
cosa
come
possesso.

c) Quando
il
possesso
sia
conseguito
direttamente
con
la
materiale
sottrazione
od
occupazione
del
bene
altrui

(anche
se
abusiva).

Si
ha
invece
un
acquisto
a
titolo
derivativo
quando
il
possesso
venga
trasmesso
dal
precedente
possessore
tramite
la

consegna
della
cosa:
sia
essa
materiale,
sia
essa
simbolica.


Qualificazioni
del
possesso

1) Anzitutto
lo
stato
psicologico
del
soggetto,
al
momento
dell’acquisto,
qualifica
il
possesso
come
di
buona
o
di

mala
fede.
E’
possessore
di
buona
fede
chi
possiede
ignorando
di
ledere
l’altrui
diritto.
Si
richiede
però
che

l’ignoranza
non
dipenda
da
colpa
grave.

2) In
secondo
luogo,
le
modalità
di
acquisto
qualificano
il
possesso
come
viziato
ove
sia
stato
acquistato
in
modo

violento
o
clandestino,
cioè
contro
la
volontà,
anche
presunta,
del
possessore.
Si
ha
violenza
quando
venga

usata
la
minaccia
ovvero
la
forza,
contro
le
persone
o
le
cose
per
farsi
consegnare
il
bene.
Si
ha
clandestinità

quando
l’acquisto
sia
stato
realizzato
in
modo
da
tenerlo
nascosto
alla
pubblica
conoscenza.

3) In
terzo
luogo,
le
modalità
di
esercizio
del
possesso,
lo
qualificano
come
continuo
quando
non
siano

sopravvenute
interruzioni,
civili
o
naturali.
(civile=il
proprietario
reclama
la
cosa
sua
o
il
possessore
riconosce

il
proprio
obbligo
di
restituirla;
naturale=si
perde
il
possesso
per
oltre
un
anno).

4) Infine,
in
ordine
alla
durata
del
possesso,
la
legge
detta
alcune
regole.
Il
possesso
attuale
non
fa
presumete
il

possesso
anteriore.
Tuttavia
il
possessore
che
dimostri
di
aver
posseduto
in
un
tempo
anteriore,
ovvero
abbia

un
titolo
a
fondamento
del
suo
possesso,
si
presume
abbia
posseduto
anche
nel
tempo
intermedio.


Successione
nel
possesso

In
caso
di
successione
a
titolo
universale
(es.
eredità),
si
ritiene
prevalente,
rispetto
al
fatto
in
sé
dell’acquisto,
il
sub

ingresso
dell’erede
nella
stessa
posizione
del
defunto.
Il
possesso
continua
nell’erede
con
effetto
dall’apertura
della

successione.
Non
è
necessaria
l’effettiva
apprensione
materiale
del
bene:
l’erede
diviene
possessore
pur
se
ignori

l’esistenza
del
bene
o
che
questo
sia
compreso
nell’eredità.
Il
possesso
mantiene
i
medesimi
caratteri
e
qualificazioni

che
esso
aveva
presso
l’ereditando.

Ove
si
tratti
di
successione
a
titolo
particolare
(es.
vendita,
donazione),
torna
ad
applicarsi
la
regola
generale
e

pertanto
colui
che
subentra
nel
possesso
sarà
in
buona
o
in
mala
fede
in
dipendenza
della
sua
effettiva
condizione

psicologica
al
momento
dell’acquisto,
senza
essere
pregiudicato
dalla
eventuale
mala
fede
dell’alienante.
Il
suo
è
un

possesso
nuovo.


Diritti
del
possessore
nella
restituzione
della
cosa

In
seguito
al
vittorioso
esperimento
dell’azione
di
rivendicazione
da
parte
del
titolare,
il
possessore
dovrà
restituire
la

cosa.

Il
possessore
di
buona
fede
fa
suoi
i
frutti
percepiti
fino
al
giorno
della
domanda
giudiziale.
Il
possessore
di
mala
fede,

invece
deve
restituire
assieme
alla
cosa
tutti
i
frutti,
percepiti
e
percipiendi,
fin
dal
giorno
dell’inizio
del
suo
possesso.

Il
possessore
tenuto
alla
restituzione
dei
frutti
ha
diritto
al
rimborso
delle
spese
necessarie
per
la
produzione,
alle

spese
per
riparazioni
straordinarie
mentre
quelle
ordinarie
vanno
rimborsate
in
tutti
i
casi
in
cui
si
abbia
diritto
alla

restituzione
dei
frutti.
I
miglioramenti
vanno
rimborsati
nella
misura
dell’aumento
di
valore
della
cosa
se
il
possessore

è
di
buona
fede,
nella
minor
somma
tra
lo
speso
e
il
migliorato
se
il
possessore
è
di
mala
fede.
Al
possessore
di
buona

fede
è
attribuito
il
diritto
di
ritenzione
della
cosa
fino
all’effettivo
pagamento.


Le
azioni
possessorie

A
tutela
delle
situazioni
possessorie
sono
previste
alcune
specifiche
azioni
la
cui
caratteristica
è
quella
di
essere
dirette

a
mantenere
o
ripristinare
lo
stato
di
fatto
alterato
dall’altrui
intromissione.
Reintegrata
la
situazione
di
fatto,
sarà
chi

pretende
di
avere
un
diritto
sulla
cosa
a
dover
agire
in
giudizio
per
farsela
restituire
entro
1
anno.
Trascorso
l’anno,
il

possesso
si
consolida
in
capo
allo
spoliante
e
il
proprietario
per
recuperare
la
cosa
dovrà
agire
con
le
azioni
petitorie.

Le
azioni
a
difesa
del
possesso
sono
l’azione
di
reintegrazione
(o
spoglio),
di
manutenzione,
di
denunzia
di
nuova

opera
e
di
danno
temuto.

L’azione
di
reintegrazione

L’azione
di
reintegrazione
(o
spoglio)
è
concessa
a
chi
sia
stato
spogliato
violentemente
od
occultamente
del
possesso

o
della
detenzione
e
mira
ad
ottenere
la
reintegrazione
nella
situazione
possessoria.
Legittimato
attivo
è
sia
il

possessore
sia
il
detentore,
di
beni
mobili
o
immobili,
e
quale
che
sia
il
titolo
da
cui
deriva
il
potere.
Legittimato

passivo
è
colui
che
abbia
commesso
uno
spoglio
violento
o
clandestino.
L’azione
è
soggetta
al
termine
di
decadenza
di

un
anno
dal
giorno
dello
spoglio
o,
se
clandestino,
da
quello
in
cui
s’è
scoperto
l’autore
dello
spoglio.
La
reintegrazione

deve
essere
ordinata
dal
giudice
sulla
semplice
notorietà
del
fatto,
senza
dilazione.

L’azione
di
manutenzione

L’azione
di
manutenzione
è
concessa
a
chi
sia
stato
molestato
nel
possesso
di
un
immobile
o
di
una
universalità
di

mobili
e
mira
a
ottenere
la
manutenzione
del
possesso
medesimo.
Legittimato
attivo
è
solo
il
possessore
di
diritti
reali

su
beni
immobili
o
universalità
di
mobili:
dunque
l’azione
non
è
concessa
a
tutela
del
possesso
di
cose
mobili
né
a

tutela
della
detenzione.
Requisiti
dell’azione
sono:
possesso
non
viziato
e
continuo,
non
interrotto
da
oltre
un
anno.

Legittimato
passivo
è
chiunque
compia
atti
di
turbativa
o
molestia,
di
fatto
o
di
diritto,
del
possesso
altrui.
L’azione

(anch’essa
soggetta
alla
decadenza
di
un
anno)
mira
a
ottenere
la
cessazione
della
turbativa
e
a
consentire
la

continuazione
del
libero
esercizio
del
potere
sulla
cosa.
L’azione
può
avere
anche
una
funzione
di
recupero
del

perduto
possesso
per
le
ipotesi
di
spoglio
non
violento
né
clandestino.

La
denunzia
di
nuova
opera
e
di
danno
temuto

La
denunzia
di
nuova
opera
e
la
denunzia
di
danno
temuto
più
che
azioni
possessorie
sono
azioni
cautelari:
mirano

cioè
a
preservare
il
bene
da
un
pregiudizio
o
danno
che
possa
derivare
da
una
cosa
del
vicino
o
da
una
nuova
opera
da

lui
intrapresa.
Anch’esse
mirano
a
ottenere,
in
base
a
una
sommaria
cognizione
del
fatto,
dei
provvedimenti
provvisori

idonei
ad
evitare
un
danno.
Legittimati
attivamente
alle
azioni
di
enunciazione
sono
sia
il
possessore
sia
il
titolare
(non

possessore)
di
un
diritto
reale
di
godimento.

La
denunzia
di
nuova
opera
può
essere
esercitata
quando
si
abbia
ragione
di
temere
che
da
una
nuova
opera,
da
altri

intrapresa
da
non
oltre
un
anno,
possa
derivare
un
danno.
Il
giudice
potrà
vietare
o
permettere
la
prosecuzione
delle

opere.

La
denunzia
di
danno
temuto
può
essere
esercitata
quando
si
abbia
ragione
di
temere
un
danno
grave
e
imminente
da

un
edificio,
albero
o
altra
cosa
del
vicino.
Il
giudice
disporrà
le
idonee
cautele.


CAPITOLO
19:
L’Acquisto
dei
diritti
reali
mediante
il
possesso

Tra
gli
effetti
del
possesso
la
legge
inserisce
anche
alcuni
modi
d’acquisto
a
titolo
originario
della
proprietà
e
degli
altri

diritti
reali:
il
possesso
titolato
di
beni
mobili
e
l’usucapione.
L’esercizio
di
fatto
del
possesso
attribuisce
al
possessore,

a
determinate
condizioni,
la
titolarità
del
diritto
pur
se
manca
un
efficace
titolo
d’acquisto.

Tali
istituti
rendono
rapida
e
sicura
la
circolazione
dei
beni:
rapida,
perché
tale
sicurezza
evita
di
appesantire
gli

acquisti
con
lunghe
indagini;
sicura
perché,
alle
condizioni
previste,
si
realizza
un
acquisto
a
titolo
originario
(e
dunque

indipendente
dai
limiti
e
dai
diritti
di
terzi
che
eventualmente
gravavano
sul
bene).


Il
possesso
titolato
di
beni
mobili

Un
peculiare
modo
d’acquisto
della
proprietà
dei
beni
mobili
è
costituito
dal
cosiddetto
possesso
titolato
(“possesso

vale
titolo”).
Chi
acquista
beni
mobili
dal
non
proprietario
ne
consegue
la
proprietà
se
ricorrono
le
seguenti
condizioni:

1) Un
titolo
idoneo
al
trasferimento
del
diritto:
deve
aversi
cioè
un
atto
o
fatto
di
per
sé
in
grado
di
realizzare

una
attribuzione
immediata
all’acquirente
(una
vendita,
una
sentenza
costitutiva,
una
donazione).
Deve

trattarsi
di
un
titolo
astrattamente
idoneo:
un
titolo
cioè
che
sarebbe
in
grado
di
trasferire
il
diritto
se
a
ciò

non
ostasse
la
mancanza
di
titolarità
del
disponente.
(non
è
idoneo
un
contratto
nullo,
col
falso

rappresentante
ecc.)

2) La
buona
fede
al
momento
della
consegna:
qui
buona
fede
significa
ignoranza
dell’altruità
della
cosa.
Non

giova
se
dipende
da
colpa
grave.

3) Il
possesso
della
cosa
derivante
da
una
effettiva
consegna
materiale
da
parte
del
disponente.

La
regola
possesso
vale
titolo
si
applica
anche
quando
il
proprietario,
con
successivi
contratti,
aliena
lo
stesso
bene

mobile
a
più
persone:
la
prima
fra
queste
che
ne
consegue
in
buona
fede
il
possesso
è
preferita
alle
altre,
anche
se
il

suo
acquisto
è
di
data
posteriore.


L’usucapione

L’usucapione
ordinaria
si
compie
in
virtù
del
possesso
continuato
per
venti
anni.
Il
possesso
però
deve
essere

anzitutto
pacifico
e
pubblico
(non
acquistato
né
in
modo
violento
né
clandestino).
Non
si
richiede
la
buona
fede
e
il

possesso
deve
essere
continuo
e
non
interrotto.
Con
l’usucapione
ordinaria
ventennale
si
acquistano
i
diritti
di

proprietà
e
di
godimento
su
tutti
i
beni,
mobili
e
immobili,
universalità
di
mobili
e
mobili
registrati.

L’usucapione
abbreviata

L’usucapione
abbreviata
richiede,
oltre
al
possesso
continuato
per
un
certo
tempo,
ulteriori
requisiti:
un
titolo
idoneo

a
trasferire
il
diritto,
la
buona
fede,
la
trascrizione
del
titolo.
Il
titolo
richiesto
è
anche
qui
un
titolo
astrattamente

idoneo
a
trasferire
il
diritto.
La
trascrizione
del
titolo
è
richiesta
per
i
soli
beni
immobili
e
mobili
registrati,
è
da
tale

momento
che
comincia
a
decorrere
il
possesso
utile
per
l’usucapione.
La
durata
del
possesso
(non
viziato
e

continuato)
varia
in
relazione
ai
beni.


Beni
immobili
e
universalità
di
mobili=
10
anni

Piccola
proprietà
rurale=
5
anni

Mobili
registrati=
3
anni

Mobili=
10
anni
(può
mancare
il
titolo
valido)

••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••


I
DIRITTI
RELATIVI

CAPITOLO
20:
Introduzione

L’altra
grande
categoria
di
diritti
soggettivi
è
quella
dei
diritti
relativi,
che
attribuiscono
una
pretesa
tutelata
in
via

diretta
solo
nei
confronti
di
determinati
soggetti.
Rientrano
essenzialmente
i
diritti
di
credito.

Pretese
di
contenuto
specifico
possono
farsi
valere
solo
nei
confronti
di
chi
sia
obbligato
in
virtù
di
un
apposito
titolo
o

causa.
E’
nei
confronti
di
tale
soggetto
che
si
avrà
una
tutela
diretta
e
specifica,
volta
a
reintegrare
la
posizione

giuridica
violata.

La
tutela
verso
i
terzi
è
solo
indiretta
in
quanto
da
parte
di
costoro
può
venire
una
alterazione
delle
condizioni
esterne

che
rendevano
possibile
la
prestazione.


CAPITOLO
21:
Il
rapporto
obbligatorio

Il
rapporto
obbligatorio
consiste
in
un
vincolo
tra
due
soggetti
in
virtù
del
quale
uno
di
essi,
detto
debitore,
è
tenuto
a

eseguire
una
specifica
prestazione
a
favore
dell’altro,
detto
creditore.
L’una
posizione
si
denomina
credito,
l’altra

debito
o
obbligazione.
La
situazione
passiva
è
speculare
alla
situazione
attiva
e
le
è
funzionale:
è
diretta
a
soddisfare

l’interesse
soggettivo
ad
essa
sottostante.
Il
creditore,
per
soddisfare
il
proprio
interesse,
ha
bisogno
quindi
della

cooperazione
altrui.

Fonti
delle
obbligazioni
sono
il
contratto,
il
fatto
illecito
e
ogni
altro
atto
o
fatto
idoneo
a
produrle
in
conformità

dell’ordinamento
giuridico.
Essi
sono,
cioè,
i
fatti
giuridici
cui
la
legge
attribuisce
idoneità
a
far
sorgere
un
rapporto

obbligatorio.
Mentre
il
contratto
e
l’illecito
sono
figure
o
schemi
generali
atipici,
derivando
da
essi
obbligazioni
in
tutti

i
casi
in
cui
vengano
in
considerazione
interessi
meritevoli
di
tutela,
gli
altri
atti
e
fatti
costituiscono
fattispecie
tipiche,

idonee
a
generare
obbligazioni
solo
nei
casi
determinati
dalla
legge.

L’obbligazione
appartiene
al
novero
delle
situazioni
giuridiche
passive
e,
in
tale
ambito
si
caratterizza
non
solo
per
la

vincolatività
o
obbligatorietà
del
comportamento,
ma
altresì
per
una
peculiare
coercibilità,
che
si
atteggia

diversamente
a
seconda
del
tipo
di
prestazione
dedotta
in
obbligazione.
L’esecuzione
in
forma
specifica
consente
di

ottenere
coattivamente
un
risultato
in
tutto
corrispondente
a
quello
dedotto
in
obbligazione
e
potrà
essere
richiesta

ove
sia
possibile
in
relazione
alla
prestazione
inadempiuta.
Nei
casi
in
cui
l’esecuzione
in
forma
specifica
non
è

praticabile,
si
potrà
chiedere
l’esecuzione
per
equivalente,
è
cioè,
tramite
la
vendita
forzata
dei
beni
del
debitore
e
il

soddisfo
sul
ricavato
di
essa,
un
risultato
economico
equivalente
alla
prestazione
ineseguita.
Viene
in
rilievo
quindi
la

responsabilità
patrimoniale
ossia
il
debitore
risponde
dell’adempimento
delle
obbligazioni
con
tutti
i
suoi
beni,

presenti
e
futuri.
Il
patrimonio
dell’obbligato
costituisce
una
garanzia
per
il
creditore,
che
può
fare
assegnamento
su
di

esso
per
realizzare
una
coattiva
soddisfazione
del
suo
diritto.


(La
legge
definisce
come
obbligazioni
naturali
quegli
obblighi
che
nascono
sul
terreno
dei
doveri
morali
o
sociali.
La

legg
non
concede
azione
per
ottenere
l’adempimento
coattivo
del
debito
ed
esclude
la
loro
restituzione).


GLI
ELEMENTI
DEL
RAPPORTO
OBBLIGATORIO

CAPITOLO
22:
A)
L’oggetto

L’oggetto
del
rapporto
obbligatorio
è
costituito
dalla
prestazione
del
debitore.
Per
prestazione
si
intende

genericamente
il
comportamento
cui
il
debitore
è
tenuto
e,
specificamente:
a)
l’attività
che
egli
è
obbligato
a

svolgere,
ovvero,
b)
il
risultato
che
è
tenuto
a
conseguire
per
soddisfare
l’interesse
creditorio.

La
prestazione
può
consistere
in:

a) dare,
e
cioè
la
consegna
di
un
bene
o
il
trasferimento
di
un
diritto.
Si
distinguono
obbligazioni
generiche
(il

debitore
deve
consegnare
una
certa
quantità
di
cose
appartenenti
a
un
genere
e
non
ancora
individuate)
e

obbligazioni
specifiche
(il
debitore
deve
dare
una
cosa
determinata).









b)
fare,
e
cioè
una
attività
materiale
o
giuridica.
Si
distinguono
obbligazioni
di
mezzi
(attività)
e
obbligazioni
di





risultato
(risultato).
E’
compreso
anche
l’obbligo
di
contrarre,
e
cioè
di
stipulare
un
contratto.
Con
riguardo
alle

obbligazioni
di
fare
si

distingue
fra
prestazioni
fungibili,
nelle
quali
è
indifferente
che
ad
adempiere
sia
il
debitore
o

un
terzo,
e
prestazioni
infungibili,
nelle
quali,
venendo
in
considerazione
qualità
personali
del
debitore,
egli
deve

adempiere
personalmente.










c)
non
fare,
e
cioè
un
comportamento
omissivo.


Carattere
distintivo
della
prestazione
è
la
patrimonialità:
dev’essere
cioè
suscettibile
di
valutazione
economica.
La

prestazione,
inoltre,
deve
corrispondere
a
un
interesse,
anche
non
patrimoniale,
del
creditore.
Non
‘è
necessaria

corrispondenza
tra
carattere
della
prestazione
e
natura
dell’interesse;
quest’ultimo
ben
può
essere
spirituale
o

culturale;
la
prestazione
invece
deve
avere
contenuto
economicamente
valutabile.
Se
l’obbligazione
non
risponde
a

un
interesse
socialmente
apprezzabile,
è
nulla.

La
prestazione
deve
poi
essere
possibile,
lecita.
Determinata
o
determinabile.

•
La
prestazione
è
possibile
quando
l’impiego
della
diligenza
richiesta,
per
legge
o
per
contratto,
consentirebbe

astrattamente,
a
un
qualsiasi
debitore,
di
adempiere.
Non
costituiscono
vera
impossibilità
le
semplici
difficoltà,
né

l’inidoneità
o
incapacità
del
singolo
debitore.
La
possibilità
va
intesa
anche
in
senso
giuridico.

•
La
prestazione
è
lecita
quando
non
urta
contro
norme
imperative,
l’ordine
pubblico
o
il
buon
costume.

•
La
prestazione
è
determinata
quando
è
fissata
nei
suoi
estremi
qualitativi
e
quantitativi.
E’
sufficiente
comunque
che

sia
determinabile:
siano
fissati
cioè
dalle
parti
o
dalla
legge,
i
criteri
o
parametri
per
la
sua
determinazione.


Le
obbligazioni
pecuniarie

Lo
obbligazioni
pecuniarie
sono
obbligazioni
che
hanno
ad
oggetto
una
somma
di
denaro.
L’attitudine
del
denaro
a

costituire
mezzo
di
pagamento,
e
cioè
esatto
adempimento
dell’obbligazione,
è
condizionata
al
suo
potere
di
acquisto,

e
cioè
alla
sua
inalterata
idoneità
ad
acquistare
quella
stessa
quantità
di
beni
che
con
essa
si
poteva
acquistare
nel

momento
in
cui
era
sorta
l’obbligazione.


Nominalismo
valutario:
I
debiti
pecuniari
si
estinguono
con
moneta
avente
corso
legale
nello
Stato
al
tempo
del

pagamento.


Il
debitore
è
tenuto
ad
adempiere
con
moneta
contante
(o
con
moneta
elettronica)
e
non
può,
senza
il
consenso
del

creditore,
adempiere
tramite
titoli
di
credito.

Nominalismo
del
rapporto
obbligatorio:
irrilevanza
delle
variazioni
del
potere
di
acquisto
della
moneta
tra
il

momento
della
nascita
dell’obbligazione
e
quello
della
scadenza.
Il
pagamento
va
quindi
effettuato
per
il
suo
valore

nominale.
Tale
regola
è
derogabile
dalle
parti.
Il
principio
nominalistico
risulta
oneroso
per
il
creditore
nei
casi
di

inflazione
e
inflazione
galoppante.

Si
ha
debito
di
valuta
quando
l’obbligazione
è
determinata
fin
dall’origine
con
riferimento
a
una
certa
quantità
di

denaro
(o
valuta).
Si
ha
debito
di
valore
quando
l’obbligazione,
almeno
in
origine,
è
determinata
con
riferimento
a
un

valore
economico
diverso
dal
denaro
(obbligazioni
indennitorie
e
risarcitarie
dove
oggetto
dell’obbligazione
non
è

direttamente
il
denaro,
bensì
la
reintegrazione
del
patrimonio
altrui,
la
prestazione
è
il
suo
equivalente
economico,
un

valore
rappresentativo).
Tali
debiti
si
sottraggono
al
principio
nominalistico
e
debbono
venir
rivalutati
al
momento

della
liquidazione.


Gli
interessi

Gli
interessi
sono
una
obbligazione
pecuniaria
accessoria
a
una
principale
avente
ad
oggetto
una
somma
di
denaro.

Essi
consistono
in
una
somma
ulteriore,
che
si
aggiunge
al
capitale,
determinata
in
misura
percentuale
e
in
relazione
al

tempo.
In
quanto
obbligazione
accessoria,
essa
segue
le
sorti
della
principale
ma
è
un’obbligazione
distinta
da
essa

pertanto
può
formare
oggetto
di
separati
atti
di
disposizione,
necessita
di
specifica
domanda
giudiziale
e
ha
un

autonomo
termine
di
prescrizione.
Gli
interessi
hanno
due
funzioni:

‐ la
funzione
compensativa
si
ricollega
alla
natura
del
denaro,
che
è
bene
fruttifero
per
eccellenza,
e
indica
che

gli
interessi
rappresentano
il
compenso
dovuto
per
il
godimento
del
denaro.
Tali
interessi
sono
detti

corrispettivi
e
hanno
natura
di
frutti
civili;

‐ la
funzione
risarcitoria,
svolta
dagli
interessi
moratori
serve
a
risarcire
il
danno
per
il
ritardo

nell’adempimento.
In
caso
di
mora
infatti
allo
svantaggio
insito
nel
mancato
godimento
del
denaro
si

aggiunge
una
ulteriore
perdita,
consistente
nel
non
aver
ricevuto
la
somma
a
tempo
debito.
Gli
interessi

moratori
di
norma
assorbono
i
corrispettivi,
in
quanto
sono
dovuti
in
misura
superiore
ad
essi.

Quanto
alla
fone
degli
interessi,
si
distinguono:

a) interessi
convenzionali,
sono
quelli
che
traggono
origine
da
un
apposito
accordo
fra
le
parti,
fermi
restando
i

divieti
di
legge;

b) interessi
legali.
I
crediti
pecuniari
liquidi
ed
esigibili
producono
interessi
di
pieno
diritto.
Sono
liquidi
i
debiti

determinati
nel
loro
ammontare
o
agevolmente
determinabili;
sono
esigibili
i
crediti
non
sottoposti
a
termine

né
condizione
o
il
cui
termine
sia
scaduto.

Negli
altri
casi,
invece,
saranno
dovuti
interessi
solo
in
presenza
di
esplicita
disposizione
di
legge
o
di
usi
normativi.

Quanto
 al
 saggio
 degli
 interessi,
 la
 misura
 è
 stabilita
 dalla
 legge
 o
 dalle
 parti.
 La
 legge
 prevede
 anzitutto
 che
 detta

misura
venga
fissata
annualmente
dal
Ministero
del
Tesoro
e
tale
saggio
si
applica
sia
agli
interessi
convenzionali
che

legali.
 La
 pattuizione
 di
 un
 saggio
 superiore
 richiede
 l’adozione
 della
 forma
 scritta.
 Rimane
 vietata
 la
 pattuizione
 di

interessi
usurari
ossia
gli
interessi
che,
rispetto
al
tasso
medio
praticato
da
banche
e
intermediari
finanziari
autorizzati,

siano
 sproporzionati.
 Diversamente
 si
 andrà
 incontro
 a
 sanzioni
 penali,
 nullità
 della
 pattuizione
 e
 mancanza

dell’obbligo
di
pagare
qualsiasi
interesse.
Sono
vietati
gli
interessi
che
superano
il
tasso‐soglia.

L’anatocismo

L’anatocismo
consiste
nella
produzione
di
interessi
da
altri
interessi,
scaduti
e
non
pagati.
Anch’essi
sono
suscettibili
di

produrre
 a
 loro
 volta
 interessi.
 Venuta
 a
 scadenza
 l’obbligazione
 con
 gli
 interessi
 nel
 frattempo
 maturati,
 questi
 si

sommano
al
capitale
e
sull’ammontare
totale
così
determinato
si
calcoleranno
gli
interessi
fino
alla
nuova
scadenza,
o

comunque,
fino
all’effettivo
pagamento.
Gli
interessi
anatostici
sono
dovuti
solo
dal
giorno
della
domanda
giudiziale
o

per
effetto
di
apposita
convenzione
posteriore
alla
scadenza
dei
primi
interessi.
Occorre
in
entrambi
i
casi
che
si
tratti

di
interessi
dovuti
per
almeno
6
mesi.


Le
obbligazioni
alternative

Si
dicono
alternative
le
obbligazioni
in
cui
sono
dedotte
due
(o
più)
prestazioni,
ma
il
debitore
si
libera
eseguendone

una
sola.
Si
tratta
perciò
di
obbligazione
unica
a
contenuto
(alternativo)
determinabile:
la
determinazione
avviene
con

la
 scelta
 fra
 le
 prestazioni
 preventivamente
 specificate,
 che,
 di
 norma,
 spetta
 al
 debitore.
 Con
 la
 scelta
 si
 attua
 la

concentrazione
dell’obbligazione
che
da
alternativa
diviene
semplice.

Effetto
analogo
ha
l’impossibilità,
originaria
o

sopravvenuta,
 di
 una
 delle
 prestazioni:
 l’obbligazione
 si
 considera
 semplice
 e
 il
 debitore
 deve
 eseguire
 quella
 che
 è

rimasta
possibile.

Da
queste
obbligazioni
si
distinguono
le
obbligazioni
facoltative:
qui
è
dovuta
una
sola
prestazione,
ma
il
debitore
ha

facoltà
di
liberarsi
eseguendone
un’altra.
In
quella
facoltativa
l’obbligazione
è
semplice
fin
dall’inizio
e
una
sola
è
la

prestazione
dovuta:
pertanto
se
essa
diviene
impossibile
il
debitore
è
liberato


CAPITOLO
23:
B)
I
soggetti

Soggetti
del
rapporto
obbligatorio
sono
i
titolari
delle
posizioni
giuridiche
di
debito
e
di
credito,
e
perciò
il
debitore
e
il

creditore.
I
soggetti
devono
essere
almeno
due,
conformemente
alla
articolazione
del
rapporto
in
due
distinte

situazioni,
attiva
e
passiva.
I
soggetti
inoltre
devono
essere
determinati
o
almeno
determinabili
al
momento
in
cui

sorge
l’obbligazione.

E’
possibile
però
che
si
diano
obbligazioni
con
pluralità
di
soggetti,
sia
dal
lato
attivo
che
dal
lato

passivo:
cosiddette
obbligazioni
plurisoggettive
o
soggettivamente
complesse.
Si
dicono
perciò
plurisoggettive
le

obbligazioni
in
cui
più
debitori
sono
obbligati,
o
più
creditori
hanno
diritto,
alla
medesima
prestazione.
Sono

plurisoggettive
le
obbligazioni
solidali,
parziarie
e
indivisibili
caratterizzate
dal
fatto
che
ciascuno
dei
debitori
debba

pagare
(o
ciascuno
dei
debitori
possa
pretendere)
l’intero
debito
o
solo
una
parte
di
esso.


Le
obbligazioni
solidali

Si
dicono
solidali
passive
le
obbligazioni
(plurisoggettive)
in
cui
ciascuno
dei
condebitori
è
obbligato
a
pagare
l’intero
e

l’adempimento
di
uno
libera
anche
gli
altri.
Il
creditore
evita
quindi
di
dover
chiedere
a
ciascuno
la
sua
parte
di
debito

e
di
subire
il
rischio
di
insolvenza
di
qualcuno
di
essi.

Si
dicono
solidali
attive
le
obbligazioni
plurisoggettive
in
cui
ciascuno
dei
concreditori
può
pretendere
il
pagamento

dell’intero
e
l’adempimento
conseguito
da
uno
di
essi
libera
il
debitore
verso
tutti
i
creditori.

Requisiti
perché
si
abbia
un’obbligazione
solidale
sono
la
pluralità
di
soggetti,
l’unicità
della
prestazione
e
l’unicità

della
causa,
o
fonte,
dell’obbligazione.
In
presenza
di
tali
estremi
si
avrà
automaticamente
il
vincolo
solidale
dal
lato

passivo:
cosiddetta
presunzione
di
solidarietà
passiva.
In
mancanza
di
detti
estremi
la
solidarietà
non
si
presuma
ma

deve
essere
prevista
espressamente.

Per
contro,
la
solidarietà
attiva
non
si
presume
e
necessita
di
apposita
previsione.

Una
volta
adempiuto,
il
peso
(o
il
vantaggio)
della
prestazione
va
suddiviso
fra
condebitori
e
concreditori.
Il
debitore

che
ha
pagato
ha
azione
di
regresso
verso
i
condebitori
secondo
il
criterio
dell’interesse.
Se
l’interesse
è
comune

l’obbligazione
si
divide
in
proporzione
alle
rispettive
quote.
Se
invece
l’obbligazione
era
stata
contratta
nell’interesse

esclusivo
di
uno
dei
soggetti,
questi
sarà
tenuto
a
rimborsare
l’intera
somma
a
colui
che
ha
pagato.
In
caso
di

insolvenza
dei
condebitori
la
perdita
si
ripartisce
fra
tutti
gli
altri
secondo
il
medesimo
criterio.
Analoghe
disposizioni

valgono
per
i
creditori.


Le
obbligazioni
parziarie

Le
obbligazioni
parziarie
sono
in
qualche
modo
l’esatto
contrario
delle
obbligazioni
solidali:
ciascuno
dei
debitori
deve,

e
ciascuno
dei
creditori
può
pretendere,
soltanto
la
propria
parte
di
prestazione.


E’
sancita
la
regola
generale
della
parziarietà
attiva:
in
mancanza
di
un
apposito
patto
o
di
una
specifica
previsione

normativa,
l’obbligazione
plurisoggettiva
è
parziaria
dal
lato
attivo
(mentre
è
solidale
dal
lato
passivo).
In
caso
di

prestazione
indivisibile
si
applica
la
regola
sulla
solidarietà.

Il
codice
deriva
tali
obbligazioni
come
indivisibili,
definendole
come
obbligazioni
parziarie
che
hanno
per
oggetto
una

cosa
o
un
fatto
che
non
è
suscettibile
di
divisione,
e
dispone
che
esse
siano
regolate
dalle
norme
relative
alle

obbligazioni
solidali.


CAPITOLO
24:
Adempimento
delle
obbligazioni

L’adempimento
è
l’esatta
realizzazione
della
prestazione
dovuta.
Con
l’adempimento
l’’obbligazione
si
estingue
e
il

debitore
consegue
la
liberazione
dal
vincolo
obbligatorio.
Perché
consegua
l’effetto
liberatorio,
l’adempimento
deve

essere
esatto,
dev’essere
cioè
conforme
ai
criteri
legali
che
definiscono
il
modo
tipico
di
realizzazione
dell’interesse

creditorio.
I
criteri
legali
opereranno
in
mancanza
di
diversa
determinazione
delle
parti.

Criteri
fondamentali
sono
quelli
della
diligenza
e
della
buona
fede;
occorre
poi
l’esattezza
materiale
e
la
regolarità

giuridica
della
prestazione;
la
puntualità
di
tempo
e
di
luogo;
l’idoneità
di
chi
adempie
e
la
legittimazione
di
chi
riceve

il
pagamento.


•Diligenza
e
buona
fede

Diligenza
e
buona
fede
sono
criteri
fondamentali
che
definiscono
il
comportamento
dovuto
dal
debitore.

Si
fa
riferimento
alla
diligenza
media,
a
quel
livello
di
competenza
e
di
cura
che
gli
operatori
di
ciascun
settore
sono

soliti
impiegare
nell’adempiere
le
loro
obbligazioni.
Diligenza
implica
perciò
perizia
(e
cioè
competenza),
prudenza,

attenzione
nell’esecuzione
del
compito.
Implica
inoltre
il
rispetto
di
eventuali
determinazioni
legali
circa
il
contenuto
o

le
modalità
della
prestazione.

L’obbligo
della
buona
fede
impone
a
entrambi
i
soggetti
del
rapporto,
di
comportarsi
secondo
le
regole
della

correttezza.
Questa
è
la
buona
fede
oggettiva,
che
consiste
nell’obbligo
di
cooperare
e
di
salvaguardare
l’altrui

interesse
nei
limiti
in
cui
sia
compatibile
col
proprio
(ove
ciò
non
sacrifichi
il
proprio).
A
differenza
del
dovere
di
buona

fede,
l’obbligo
di
diligenza
può
essere
parzialmente
derogato.


•Esattezza
materiale
e
regolarità
giuridica

Quando
oggetto
della
prestazione
sia
un

bene,
costituiscono
requisiti
per
un
corretto
adempimento
la
sua
esattezza

materiale,
qualitativa
e
quantitativa,
e
la
sua
regolarità
giuridica.

Quanto
all’esattezza
materiale,
nelle
obbligazioni
generiche
si
devono
prestare
cose
di
qualità
non
inferiore
alla

media
e
immuni
da
vizi.
Il
creditore
può
poi
rifiutare
un
adempimento
parziale,
salvo
diverse
previsioni,
e
non
è
tenuto

ad
accettare
una
prestazione
diversa,
anche
se
di
valore
superiore.
Perché
il
debitore
paghi
con
un
bene
diverso

occorre
il
consenso
del
creditore
e
si
ha
in
questo
caso
una
prestazione
in
luogo
dell’adempimento.
La
stessa
regola

vale
quando
il
debitore
offre
in
pagamento
un
credito
che
egli
vanta
verso
terzi
(cessione
solutoria).

Quanto
alla
regolarità
giuridica,
il
debitore
deve
adempiere
con
cose
di
cui
abbia
piena
disponibilità.
E’
perciò
inesatto

il
pagamento
eseguito
con
cose
altrui
o
gravate
da
diritti
di
terzi.


•Tempo
e
luogo
dell’adempimento

In
ordine
al
termine
o
momento
temporale
dell’adempimento,
in
linea
di
principio
le
parti
dispongono
di
ampia
libertà

nella
sua
determinazione.
In
mancanza
di
diverso
accordo,
vigono
le
seguenti
regole:

1) Se
non
è
determinato
il
tempo
in
cui
la
prestazione
deve
essere
eseguita,
il
creditore
può
esigerla

immediatamente.

2) Se
un
termine
è
tuttavia
necessario
per
la
natura
della
prestazione,
esso
è
stabilito
dal
giudice
ove
manchi
un

accordo
delle
parti.

3) Spetta
egualmente
al
giudice,
su
istanza
dell’interessato,
la
fissazione
del
termine
che
sia
rimesso
alla

discrezionalità
del
debitore
o
del
creditore.

4) Quando
il
termine
sia
fissato,
esso
si
presume
a
favore
del
debitore
per
consentirgli
di
prepararsi

all’adempimento.
Il
creditore
non
può
pretendere
un
pagamento
anticipato,
ma
è
in
facoltà
del
debitore

adempiere
prima
della
scadenza.
In
caso
di
termine
fissato
a
favore
del
creditore,
il
debitore
dovrà

necessariamente
attendere
la
scadenza.

5) Il
debitore
decade
dal
beneficio
del
termine
ove
sia
divenuto
insolvente
ovvero
non
abbia
dato
o
mantenuto

le
garanzie
promesse.
Con
l’anticipata
scadenza
il
creditore
può
concorrere
alla
esecuzione
forzata
sui
beni

del
debitore.

Il
luogo
di
adempimento
è
anzitutto
determinato
dal
titolo,
dagli
usi
o
dalla
natura
della
prestazione.
In
mancanza
di

tali
indicazioni,
la
consegna
di
una
cosa
determinata
va
eseguita
nel
luogo
in
cui
si
trovava
la
cosa
quando
è
sorta

l’obbligazione,
l’obbligazione
pecuniaria
va
pagata
al
domicilio
del
creditore,
le
altre
vanno
adempiute
al
domicilio
del

debitore.


•Legittimazione
ad
adempiere

Obbligato
ad
adempiere
è
il
debitore,
ma
legittimato
(=autorizzato)
ad
adempiere
è
anche
qualsiasi
terzo,
e
cioè

qualunque
soggetto
che
ritenga
di
avervi
interesse.
Il
creditore
non
può
rifiutare
tale
adempimento
se
non
ha

interesse
a
che
il
debitore
esegua
personalmente
la
prestazione,
se
cioè
essa
è
fungibile.
Il
debitore
non
potrà
opporsi

a
tale
intervento:
potrà
solo
evitarlo
adempiendo
direttamente.
Soltanto
nel
caso
di
rifiuto
congiunto
di
debitore
e

creditore,
al
terzo
sarà
precluso
l’adempimento.
Il
pagamento
del
terzo
è
distinto
dall’adempimento
per
mezzo
del

terzo.
Il
primo
è
caratterizzato
dalla
spontaneità
dell’intervento:
il
terzo
agisce
cioè
di
propria
iniziativa
e
paga
in
nome

proprio.
Nel
secondo
caso
il
debitore
chiede
al
terzo
di
provvedere
e
questi
adempirà
in
nome
altrui.


Il
debitore,
al
momento
del
pagamento,
deve
avere
una
naturale
capacità
di
intendere
e
di
volere.


•Legittimazione
a
ricevere

Legittimato
a
ricevere
l’adempimento
è
il
creditore.
Legittimati
ad
adempiere
sono
inoltre
il
suo
rappresentante.
Il

creditore
è
privo
di
legittimazione
a
ricevere
quando
sia
legalmente
incapace
e
quando
perde

la
disponibilità
del

credito
(es.
casi
di
fallimento,
sequestro,
pignoramento
del
credito)
e
tanto
più
quando
ne
perde
la
titolarità
(cessione

credito).
Il
debitore
è
comunque
liberato
se
in
buona
fede
paga
al
creditore
apparente
e
cioè
a
chi
appare
legittimato

a
riceverlo
in
base
a
circostanze
univoche.


Effetti
del
pagamento

Effetto
primo
e
fondamentale
dell’esatto
adempimento
è
l’estinzione

dell’obbligazione

e
la
liberazione
del
debitore.

L’adempiente
ha
diritto
di
ottenere
quietanza
liberatoria
e
cioè
ricevuta
nonché
di
dichiarare,
quando
paga,
quale

debito
intende
soddisfare
ove
abbia
più
debiti
verso
il
medesimo
creditore
(imputazione
di
pagamento).
Diversamente

il
pagamento
va
imputato
al
debito
scaduto,
poi
a
quello
meno
garantito
e
infine
al
più
oneroso.
Ove
non
sia
possibile

il
pagamento
va
imputato
proporzionalmente
ai
vari
debiti.

Ulteriori
effetti
dell’adempimento
sono
l’estinzione
delle
garanzie
che
assistevano
il
credito
e
la
liberazione
di
altrii

eventuali
obbligati.


La
surrogazione
nel
credito
pagato

La
surrogazione
nel
credito
è
una
delle
ipotesi
in
cui,
in
presenza
di
particolari
circostanze
(es.
pagamento
da
parte
di

un
soggetto
non
obbligato
o
non
obbligato
a
pagare
l’intero
debito),
l’adempimento
non
estingue
l’(intera)

obbligazione,
determinando
piuttosto
il
sub
ingresso
nel
credito
di
chi
effettua
il
pagamento
o
di
chi
presta
il
denaro

per
tale
adempimento.

Precisamente
la
surrogazione
consiste
nel
sub
ingresso
di
un
terzo,
a
seguito
del
pagamento,
nella
posizione

creditoria,
e
cioè
nel
credito
e
nelle
relative
garanzie
reali
e
personali.

La
surrogazione
può
avvenire:

‐ per
volontà
del
creditore
che,
ricevendo
il
pagamento
da
un
terzo,
lo
surroga
nei
propri
diritti
verso
il

debitore.

‐ Per
volontà
del
debitore
che,
prendendo
a
mutuo
una
somma
di
denaro
per
pagare
il
debito,
surroga
il

mutuante
nei
diritti
del
creditore.

‐ Per
volontà
della
legge.
La
surrogazione
legale
ha
luogo:
1)
a
vantaggio
di
chi,
creditore
del
debitore
o
datore

d’ipoteca
a
suo
favore,
paga
un
altro
creditore
che
ha
diritto
di
essergli
preferito
in
ragione
di
una
causa
di

prelazione;
2)
a
vantaggio
di
chi,
essendo
tenuto
con
altri
o
per
altri
al
pagamento
di
un
debito,
aveva

interesse
a
soddisfarlo;
3)
negli
altri
casi
previsti
dalla
legge.


La
mora
del
creditore
e
la
liberazione
coattiva

L’adempimento,

per
poter
essere
effettuato,
richiede
di
norma
la
cooperazione
del
creditore
che
riceva
la
prestazione

e,
più
in
generale,
faccia
quanto
gli
compete
per
mettere
il
debitore
in
grado
di
adempiere.
Sono
previsti
gli
istituti

della
mora
del
creditore
e
della
liberazione
coattiva
del
debitore.

La
mora
del
creditore
si
verifica
quando
il
creditore,
senza
motivo
legittimo,
rifiuta
l’offerta
formale,
l’offerta
cioè

fatta
dal
debitore
secondo
le
rigorose
formalità
previste.
Sono
possibili
due
tipi
di
offerta
formale:

•
offerta
solenne:
è
effettuata
tramite
pubblico
ufficiale
in
modo
reale,
ovvero
per
intimazione
(invitando
il
creditore
a
ricevere
la

prestazione).


•
offerta
secondo
gli
usi:
è
effettuata
direttamente
dal
debitore
che:
1)
offre
la
prestazione
in
modo
conforme
alla
prassi
e
2)

effettua
il
deposito
o
il
sequestro
delle
cose
dovute.

Effettuata
l’offerta
formale
il
creditore
è
costituito
in
mora:
si
trasferisce
su
di
lui
il
rischio
dell’impossibilità

sopravvenuta
dell’obbligazione
ed
è
tenuto
al
risarcimento
dei
danni.

Con
la
sola
offerta
solenne
però
l’obbligazione
non
risulta
ancora
adempiuta.

Tramite
la
liberazione
coattiva
il
debitore,
adempiendo
nelle
mani
di
un
terzo,
estingue
definitivamente

l’obbligazione.
Deposito
(cose
mobili)
e
sequestro
(cose
immobili)
devono
però
essere
accettati
dal
creditore
o

convalidati
con
sentenza.


CAPITOLO
25:
Inadempimento
delle
obbligazioni

L’inadempimento
è
l’inesatta
esecuzione
della
prestazione
dovuta
e
cioè
una
esecuzione
non
conforme
alle
regole
che

definiscono.
L’inadempimento
si
dice
assoluto
quando
la
prestazione
è
mancata
del
tutto;
è
detto
relativo
quando
una

prestazione
vi
è
stata
ma
risulta
difforme
da
quella
dovuta.
Il
debitore
che
non
esegue
esattamente
la
prestazione

dovuta
è
tenuto
al
risarcimento
del
danno
se
non
prova
che
l’inadempimento
o
il
ritardo
è
stato
determinato
da

impossibilità
della
prestazione
derivante
da
causa
a
lui
non
imputabile.

La
prestazione
è
impossibile
quando
non
può
essere
eseguita
con
l’impiego
della
diligenza
richiesta:
quando
cioè

nessun
debitore,
applicando
lo
sforzo
diligente
dovuto,
sarebbe
in
grado
di
adempiere.
La
diligenza
richiesta
è
sempre

quella
media,
del
buon
padre
di
famiglia
(impossibilità
oggettiva).
La
diligenza
concretamente
dovuta
si
configura
in

maniera
diversa
in
relazione
all’oggetto
e
al
titolo
dell’obbligazione
(impossibilità
relativa).

Per
evitare
la
responsabilità
per
inadempimento
il
debitore
ha
l’onere
di
provare
l’impossibilità
della
prestazione

e,inoltre,
che
essa
è
dovuta
a
una
causa
a
lui
non
imputabile,
e
cioè
che
essa
è
stata
imprevedibile
e
inevitabile.
Ne

sono
un
esempio
il
caso
fortuito
e
la
forza
maggiore,
il
fatto
dell’autorità,
lo
sciopero
generale,
la
morte
e
la
malattia

del
debitore.


Il
ritardo
e
la
mora
del
debitore

Il
ritardo
è
un
tipo
di
inadempimento
relativo.
Si
distinguono
ritardi
semplici
e
ritardi
qualificati.
Il
primo
si
verifica
con

la
scadenza
del
termine
fissato
e
dà
luogo
alle
conseguenze
ordinarie,
attivando
il
diritto
al
risarcimento
dei
danni
e

alle
altre
tutele.
Il
secondo
si
verifica
in
alcune
ipotesi
in
cui,
o
per
le
circostanze
o
per
la
formale
richiesta
del

creditore,
un
(ulteriore)
ritardo
appaia
intollerabile
e
prende
il
nome
tecnico
di
mora.

La
mora
del
debitore
è
allora
un
ritardo
imputabile
e
qualificato.
Essa
richiede
cioè
un
ritardo
imputabile
al
debitore
e

una
circostanza
che
valga
a
qualificare
come
intollerabile
il
ritardo
(o
un
ritardo
ulteriore).
Questa
circostanza
può

essere
costituita
da
un
atto
di
costituzione
in
mora
da
parte
del
creditore,
e
cioè
da
una
intimazione
o
richiesta
di

adempimento
fatta
per
iscritto.
In
altri
casi
si
verifica
automaticamente
quando
1)
è
scaduto
il
termine
e
si
tratti
di

obbligazioni
portabili,
cioè
di
prestazioni
da
eseguire
al
domicilio
del
creditore;
2)
il
debito
deriva
da
fatto
illecito;
3)
il

debitore
ha
dichiarato
per
iscritto
di
non
voler
adempiere;
4)
si
tratti
di
crediti
pecuniari
nascenti
da
contratti
di

subfornitura
o
da
transazioni
commerciali.


La
mora
comporta
un
aggravamento
della
posizione
debitoria,
sia
in
ordine
al
risarcimento
del
danno,
sia
in
ordina
al

rischio
per
le
sopravvenienze;
durante
la
mora,
infatti,
la
sopravvenuta
impossibilità
della
prestazione
è
posta
a
carico

del
debitore
pur
se
derivi
da
causa
a
lui
non
imputabile.
Solo
se
il
debitore
riesce
a
dimostrare
che
l’oggetto
della

prestazione
sarebbe
egualmente
perito
presso
il
creditore
è
esonerato
da
responsabilità.

Il
risarcimento
del
danno

L’inadempimento
imputabile
al
debitore
è
causa
di
responsabilità:
l’inadempiente
è
chiamato
a
rispondere
delle

conseguenze
del
suo
comportamento.
Il
debitore
risponde
anche
dell’operato
degli
ausiliari
di
cui
si
avvale.
Si
tratta

della
responsabilità
detta
contrattuale,
o
per
inadempimento.

L’inadempimento
imputabile
al
debitore
aggiunge
una
nuova
obbligazione:
l’obbligo
di
risarcire
i
danni.
L’obbligazione

risarcitoria
ha
la
funzione
di
reintegrare
il
patrimonio
nella
stessa
situazione
in
cui
si
sarebbe
trovato
se
non
vi
fosse

stato
l’inadempimento,
tramite
una
prestazione
diversa
e
succedanea.

Il
risarcimento
deve
comprendere
la
perdita

subita
dal
creditore
e
il
mancato
guadagno,
in
quanto
ne
siano
conseguenza
immediata
e
diretta.
Il
danno
risarcibile
si

determina
in
funzione
dei
seguenti
elementi:

a) la
perdita
subita
e
il
mancato
guadagno,
comunemente
designati
come
danno
emergente
e
lucro
cessante.
Il

lucro
cessante
è
il
guadagno
che
il
creditore
avrebbe
potuto
realizzare
utilizzando
la
prestazione.


b) Il
nesso
di
causalità
tra
inadempimento
e
danno:
occorre
cioè
che
sussista
un
rapporto
di
derivazione
tra
essi,

e
precisamente
che
l’uni
sia
conseguenza
immediata
e
diretta
dell’altro.
Tale
requisito
risponde
all’esigenza

di
porre
un
limite
alle
conseguenze
di
cui
il
debitore
deve
rispondere.

c) La
prevedibilità
del
danno
al
tempo
in
cui
è
sorta
l’obbligazione:
si
vuol
evitare
di
esporre
il
debitore
per

conseguenze
che
egli
non
poteva
ragionevolmente
preveder
e
che
vanno
perciò
oltre
il
limite
dell’impegno

normalmente
assunto.
Tale
limitazione
non
opera
quando
l’inadempimento
sia
doloso.

d) Il
concorso
del
fatto
colposo
del
creditore.
Nel
caso
in
cui
il
creditore
abbia
contribuito,
col
proprio

comportamento,
a
cagionare
il
danno,
il
risarcimento
è
diminuito
secondo
la
gravità
della
colpa
e
l’entità

delle
conseguenze.
Nel
caso
di
mancata
cooperazione
del
creditore
che
non
si
adopera,
nei
limiti
della

ordinaria
diligenza,
per
evitare
o
limitare
il
danno,
il
risarcimento
non
è
dovuto.


CAPITOLO
26:
Modi
di
estinzione
diversi
dall’adempimento

E’
possibile
tuttavia
che
l’obbligazione
si
estingua
per
altre
vie
o
modi
diversi
dall’adempimento
e
che
la
dottrina

distingue
in
satisfattivi
e
non
satisfattivi
–
a
seconda
che
comportino
il
soddisfacimento
o
no
dell’interesse
dedotto
in

obbligazione.


Compensazione

La
compensazione
è
l’estinzione
dei
reciproci
rapporti
obbligatori
correnti
fra
gli
stessi
soggetti.
Possono
aversi
tre
tipi

di
compensazione:

a) La
compensazione
legale
è
disposta
dalla
legge
e
opera
di
diritto
l’estinzione
dei
debiti
reciproci
che
siano

omogenei
(ad
oggetto
beni
fungibili
dello
stesso
genere),
liquidi
(determinati
nel
loro
ammontare)
ed
esigibili

(no
termini
o
condizioni).


b) La
compensazione
giudiziale
è
pronunciata
dal
giudice,
con
sentenza
costitutiva,
quando
in
giudizio
sia

opposto
in
compensazione
un
credito
omogeneo
ed
esigibile,
ma
non
ancora
liquido
(ma
purchè
sia
di
facile
e

pronta
liquidazione).

c) La
compensazione
volontaria
è
operata
dalle
parti,
con
apposito
accordo,
quando
non
ricorrono
le
condizioni

per
la
compensazione
legale
o
giudiziale.
Costituisce
una
sottospecie
di
essa
la
compensazione
facoltativa,

che
attribuisce
a
una
delle
parti
il
diritto
potestativo
di
determinare,
con
proprio
atto
unilaterale,
la

compensazione
dei
debiti
(o
la
sua
misura).


Confusione

La
confusione
è
un
modo
di
estinzione
delle
obbligazioni
che
si
realizza
quando
le
qualità
di
creditore
e
di
debitore
si

riuniscono
nella
stessa
persona.
Detta
riunione
si
verifica
in
seguito
a
successione
del
debitore
nella
posizione
del

creditore
o
viceversa
sia
a
causa
di
morte
sia
per
atto
tra
vivi.
Tale
confusione
determina
l’estinzione
dell’obbligazione

per
il
venir
meno
della
pluralità
dei
soggetti.


Novazione

La
novazione
è
un
peculiare
modo
di
estinzione
delle

obbligazioni
che
si
verifica
in
base
a
un
espresso
accordo

tra
le

parti.
Precisamente
la
novazione
è
il
contratto
con
cui
le
parti
sostituiscono
all’obbligazione
originaria
una
nuova

obbligazione.
Per
effetto
di
essa,
la
vecchia
obbligazione
si
estingue
e
il
debitore
sarà
tenuto
esclusivamente
ad

adempiere
la
nuova.
La
novazione
si
dice
soggettiva
quando
la
modifica
riguarda
la
persona
del
debitore,
la
novazione

è
invece
oggettiva
quando
la
modifica
concerne
l’oggetto
ovvero
il
titolo
dell’obbligazione.

Gli
elementi
caratterizzanti
sono
la
volontà
di
estinguere
l’obbligazione
che
deve
risultare
in
modo
non
equivoco
e

l’oggetto
o
titolo
diverso
che
caratterizza
la
nuova
obbligazione.


La
vecchia
obbligazione
di
estingue
immediatamente
e
la
nuova
dipende
funzionalmente
da
quella
originaria:
pertanto

se
quest’ultima
non
esisteva
la
novazione
è
senza
effetto.


Remissione

La
remissione
è
la
rinuncia
del
creditore
al
proprio
diritto.
Essa
ha
l’effetto
di
estinguere
il
debito
non
appena
è

comunicata
al
debitore
(recettizia).
La
remissione
è
un
negozio
unilaterale
e
non
abbisogna
di
accettazione
del

debitore.
Egli
tuttavia
può
rifiutare
la
liberazione
entro
un
congruo
termine
togliendo
efficacia
all’estinzione
del

debito.
E’
infine
un
atto
essenzialmente
gratuito
e
non
richiede
alcuna
forma
per
la
sua
validità.


La
remissione
tacita
consiste
nella
restituzione
volontaria
del
titolo
originale
del
credito.
Oggetto
di
remissione

possono
essere
tutti
i
crediti,
salvo
quelli
indisponibili.
Quanto
agli
effetti
la
remissione
libera
il
debitore
e
produce

l’estinzione
delle
garanzie
del
credito.


Impossibilità
sopravvenuta
non
imputabile

Altra
causa
di
estinzione
dell’obbligazione
è
l’impossibilità
sopravvenuta
per
causa
non
imputabile
al
debitore.
La

prestazione
è
impossibile
quando
non
può
essere
eseguita
con
l’impiego
della
diligenza
dovuta.
Se
l’impossibilità
è

solo
temporanea
il
debitore
è
esonerato
da
responsabilità
fin
quando
dura
l’impedimento.
Se
poi
si
tratta
di

impossibilità
parziale,
il
debitore
si
libera
eseguendo
la
parte
di
prestazione
che
è
rimasta
possibile
salvo
che
il

creditore
non
abbia
interessa
a
conseguirla.
L’impossibilitò
dunque
estingue
l’obbligazione,
libera
il
debitore
e
lo

esonera
da
responsabilità,
facendo
ricadere
sul
creditore
la
perdita
economica.
Il
creditore,
comunquem
ha
diritto
di

surrogarsi,
e
cioè
di
sostituirsi,
nei
diritti
che
il
debitore
vanti
verso
terzi
in
dipendenza
del
fatto
che
ha
causato

l’impossibilità.


CAPITOLO
27:
Circolazione
delle
obbligazioni

Possono
circolare,
cioè
trasferirsi
da
un
soggetto
a
un
altro
anche
i
diritti
di
credito,
nel
senso
che
si
trasmettono
le

posizioni
giuridiche
di
debito
e
di
credito.
Anche
qui
sono
possibili
acquisti
a
titolo
originario
e
a
titolo
derivativo.

A)
LE
MODIFICAZIONI
DAL
LATO
ATTIVO

Le
modificazioni
dal
lato
attivo
danno
luogo
a
una
successione
nel
credito,
e
cioè
a
fattispecie
in
cui
al
creditore

originario
subentra
un
nuovo
creditore.
Si
ha
un
sub
ingresso
di
un
soggetto
in
una
situazione
giuridica
il
cui

contenuto,
per
il
resto,
rimane
invariato:
stessi
poteri
e
stessi
limiti.
Tale
effetto
si
realizza
nella
cessione
del
credito

ma
anche
nella
surrogazione
e
nella
delegazione
attiva
e
nel
sub
ingresso
in
più
ampie
situazioni
giuridiche
altrui

(successioni
per
causa
di
morte,
fusioni
tra
società,
cessione
contratti
e
aziende.
Principio
generale
della
successione

nel
lato
attivo
è
quello
per
cui
il
trasferimento
del
credito
non
richiede
il
consenso
del
debitore
ma
la
posizione

debitoria
non
deve
venire
aggravata
dal
mutamento
della
persona
del
creditore.

La
cessione
del
credito

La
cessione
del
credito
consiste
nel
trasferimento
di
un
credito
dal
creditore
originario
(detto
cedente)
a
un
nuovo

creditore
(detto
cessionario).
La
cessione
è
un
possibile
oggetto
di
un
contratto.


E’
possibile
cedere
un
credito
per
estinguere
un
debito
verso
il
cessionario:
si
avrà
allora
un
contratto
solutorio,
cosi

detto
perché
si
intende
pagare,
solvere,
un
debito
tramite
una
prestazione
in
luogo
dell’adempimento.
Non
tutti
i

crediti
sono
cedibili
ad
es.
i
crediti
con
carattere
strettamente
personale
o
dipendente
dalla
qualità
dei
possibili

cessionari
o
dalla
volontà
delle
parti
che
abbiano
escluso
detta
cedibilità.

Concluso
l’accordo
di
cessione,
il
credito
si
trasferisce
al
cessionario
con
effetto
immediato,
unitamente
agli
accessori

del
credito.
La
posizione
debitoria
rimane
immutata
e,
in
particolare,
rimangono
impregiudicate
le
eccezioni
relative
al

credito.
La
cessione
non
richiede
il
consenso
del
debitore
ceduto,
è
necessario
tuttavia
che
egli
ne
sia
informato.
La

cessione
ha
effetto
nei
riguardi
del
ceduto
quando
gli
è
stata
notificata
o
egli
l’abbia
comunque
accettata
o
quando
si

provi
che
egli
ne
aveva
comunque
prova
certa.
Ove
manchi
tale
conoscenza,
il
debitore
rimarrà
liberato
pur
se
abbia

adempiuto
a
chi,
ormai,
non
è
più
titolare
del
credito.
La
notificazione,
inoltre,
serve
a
risolvere
il
conflitto
fra
più

cessionari
di
un
medesimo
credito:
prevale
la
cessione
notificata
o
accettata
per
prima
dal
debitore,
con
atto
di
data

certa,
anche
se
si
tratti
di
cessione
posteriore
nel
tempo.

Se
la
cessione
è
a
titolo
oneroso
il
cedente
deve
garantire,
per
legge,
soltanto
l’esistenza
del
credito,
non
anche
la

solvenza
del
credito
ma
le
parti
possono
pattuire
una
estensione
della
garanzia
anche
alla
solvenza
del
debitore

ceduto
e
tale
significato
hanno
le
clausole
“salvo
buon
fine”
e
“salvo
incasso”.


C)
LE
MODIFICAZIONI
DAL
LATO
PASSIVO

Le
modificazioni
del
lato
passivo
possono
aversi
o
per
successione
in
un
più
ampio
rapporto
ovvero
in
relazione
a

tipiche
figure
negoziali
(delegazione,
espromissione,
accollo)
il
cui
specifico
contenuto
consiste
nel
realizzare
appunto

una
modificazione
nel
lato
passivo
di
una
obbligazione.
Principio
generale
è
quello
per
cui,
senza
il
consenso
del

creditore,
è
possibile
associare
un
nuovo
soggetto
nel
vincolo
obbligatorio,
aggiungere
cioè
un
nuovo
debitore

accanto
al
debitore
originario,
che
non
rimane
liberato
senza
espresso
consenso
del
creditore.

La
delegazione
di
pagamento

La
delegazione
è
l’incarico
che
un
soggetto
(delegante)
dà
a
un
altro
soggetto
(delegato)
di
pagare,
ovvero
di

promettere
un
pagamento,
a
un
terzo
(delegatario).
L’ipotesi
più
frequente
è
quella
in
cui
un
soggetto
A
è

contemporaneamente
creditore
di
B
e
debitore
verso
C.

Con
la
delegazione
di
pagamento
il
delegante
incarica
il

delegato
di
effettuare
un
pagamento
al
delegatario.
Il
delegato
non
è
tenuto
ad
accettare
l’incarico,
ma
se
accetta
e
lo

esegue,
il
suo
adempimento
ha
l’effetto
di
estinguere
contemporaneamente
sia
il
suo
debito
verso
il
delegante,
sia
il

debito
di
questi
verso
il
delegatario.

La
delegazione
di
debito

La
delegazione
di
debito
riprende
lo
schema
già
visto.
Il
delegante
incarica
il
delegato
di
promettere
un
pagamento,
e

cioè
di
assumere
una
obbligazione
verso
il
delegatario.
La
promessa
del
delegato,
pur
se
accettata
dal
delegatario,
non

libera
il
delegante,
e
la
delegazione
perciò
è
di
norma
cumulativa,
salvo
che
il
delegatario
consenta
espressamente
di

liberare
il
delegante.

Effetto
della
delegazione
di
debito
è
quello
di
creare
una
nuova
obbligazione
a
carico
del
delegato,
per
effetto
della

sua
promessa.
Tale
nuova
obbligazione
non
estingue
quella
del
delegante:
essa
rimane
in
vita.
Il
delegatario

accettante
non
può
rivolgersi
al
delegante
se
prima
non
ha
richiesto
al
delegato
l’adempimento.


L’espromissione

L’espromissione
è
un
contratto
fra
il
creditore
e
un
terzo.
In
base
a
tale
accordo
il
terzo,
senza
delegazione
del

debitore,
ne
assume
il
debito
verso
il
creditore.
Caratterizzante
della
figura
è
l’iniziativa
del
terzo
espromittente,
che

interviene
senza
un
previo
incarico
del
debitore
(l’espromesso),
e
,
comunque
,
senza
manifestare
al
creditore

espromissario
l’eventuale
intesa
col
debitore.
L’espromittente
non
paga
immediatamente,
ma
si
limita
a
promettere

in
proprio
il
pagamento
del
debito
altrui.
Il
debitore
estromesso
rimane
dunque
estraneo
al
contratto,
che
intercorre

esclusivamente
tra
terzo
e
creditore
e
non
abbisogna
del
suo
consenso.
L’espromissione
non
libera
automaticamente

il
debitore
originario,
ed
è
perciò
di
norma
cumulativa,
salvo
che
il
creditore
dichiari
espressamente
di
liberarlo.
Il

terzo
subentra
nella
stessa
posizione
del
debitore
e
rimane
coobbligato
in
solido
per
lo
stesso
debito.

L’accollo

E’
possibile
infine
che
l’accordo
per
l’assunzione
di
un
debito
intercorra
fra
un
terzo
e
il
debitore:
è
quanto
si
verifica

nell’accollo,
che
è
il
contratto
fra
un
terzo
(accollante)
e
un
debitore
(accollato)
in
virtù
del
quale
il
primo
ne
assume
il

debito
verso
il
creditore
(accollatario).
Qui
è
il
creditore
a
rimanere
estraneo
al
contratto,
che
non
richiede
perciò
il

suo
consenso.
Si
parla
di
accollo
interno
quando
è
soltanto
verso
il
debitore
accollato
che
il
terzo
si
obbliga
e
il

creditore
nulla
potrà
pretendere
da
lui
in
caso
di
inadempimento.
In
caso
invece
di
accollo
esterno,
il
creditore
ha

diritto
di
pretendere
il
pagamento
anche
dal
terzo
accollante,
ormai
condebitore
solidale.
Il
debitore
originario
non
è

automaticamente
liberato
(accollo
cumulativo):
a
tal
fine
occorre
che
vi
sia
una
espressa
dichiarazione
del
creditore
o

che
la
liberazione
costituisca
condizione
espressa
della
stipulazione.

Per
effetto
dell’accollo
il
terzo
subentra
nella
stessa
posizione
del
debitore:
potrà
opporre
pertanto
al
creditore
tutte

le
eccezioni
che
avrebbe
potuto
opporre
al
debitore
originario.
L’accollante
potrà
opporre
all’accollatario
le
eccezioni

nascenti
dal
contratto
d’accollo.


CAPITOLO
28:
La
garanzia
patrimoniale
generica

Il
debitore
risponde
dell’adempimento
delle
obbligazioni
con
tutti
i
suoi
beni,
presenti
e
futuri:
principio
della

responsabilità
patrimoniale.
Il
debitore
risponde
delle
sue
obbligazioni
con
tutto
il
suo
patrimonio:
l’intero
patrimonio,

in
caso
di
inadempimento,
verrà
espropriato
e
venduto
all’asta
per
soddisfare
i
creditori.
I
beni
del
debitore
quindi

costituiscono
la
garanzia
patrimoniale
dei
creditori.
Non
sono
ammesse
limitazioni
della
responsabilità
al
di
fuori
dei

casi
espressamente
stabiliti
dalla
legge:
beni
e
diritti
strettamente
connessi
alla
persona
e
alle
sue
primarie
esigenze
di

lavoro
o
sostentamento.

Si
parla
di
garanzia
patrimoniale
generica
in
quanto
riguarda
tutti
i
beni
in
generale
(e
non
specificamente
questo
o

quel
bene)
sia
perché
sussiste
soltanto
se,
e
fin
quando,
detti
beni
vi
siano.
Usciti
che
siano
i
beni
dal
patrimonio
del

debitore,
su
di
essi
non
si
potrà
più
fare
affidamento.
A
tale
garanzia
generica
si
contrappongono
le
garanzie

specifiche,
quali
strumenti
che
garantiscono
in
maniera
puntuale
un
creditore
rispetto
ad
altri
creditori
ovvero
un

credito
rispetto
a
tutti
gli
altri
crediti.
Esse
sono
di
due
tipi:
1)
Le
garanzie
personali
consistono
nel
vincolo
personale

di
un
soggetto:
sono
costituite
dall’obbligo
di
una
persona,
diversa
dal
debitore,
di
rispondere
dei
debiti
di

quest’ultimo
(es.
fideiussione).
2)
Le
garanzie
patrimoniali
(o
reali)
specifiche
consistono
invece
in
un
vincolo
che

riguarda
alcuni
beni
particolari,
del
debitore
o
di
terzi.
Esse
si
dicono
specifiche
sia
perché
riguardano
alcuni
beni

determinati
(e
non
genericamente
tutti
i
beni),
sia
perché
nascono
in
virtù
di
un
titolo
specifico,
in
forza
di
una

particolare
previsione,
legale
o
convenzionale.
(privilegi,
pegno,
ipoteca).


Altro
principio
che
caratterizza
la
responsabilità
patrimoniale
è
quello
della
parità
di
trattamento
dei
creditori
(o
par

condicio
credito
rum):
tutti
i
creditori
hanno
eguale
diritto
di
soddisfarsi
sui
beni
del
debitore.
Secondo
la
regola

generale
dunque
tutti
i
creditori
concorrono
a
parità
di
condizioni.
In
caso
di
insufficienza
del
patrimonio,
i
creditori

subiranno
perciò
una
uguale
perdita
proporzionale.
Vi
sono
però
le
cause
legittime
di
prelazione,
e
cioè
i
casi
in
cui
è

sancita
una
preferenza
a
favore
di
uno
dei
creditori:
questi
avrà
diritto
di
soddisfarsi
con
precedenza
sul
ricavato
della

vendita
forzata
dei
beni;
gli
altri
creditori
non
privilegiati
(detti
anche
creditori
chirografari)
potranno
soddisfarsi
solo

sull’eventuale
residuo
(pegno,
ipoteca,
privilegi)
=
garanzie
specifiche.


Mezzi
di
conservazione
della
garanzia
patrimoniale

Il
debitore
è
libero
di
disporre
dei
suoi
beni,
ma
consentendo
al
creditore
di
intervenire
qualora
il
comportamento
del

debitore
metta
effettivamente
in
pericolo
il
soddisfacimento
del
credito.
La
legge
appresta
così
alcuni
mezzi
di

conservazione
della
garanzia
patrimoniale:
l’azione
surrogatoria,
l’azione
revocatoria,
il
sequestro
conservativo.

L’azione
surrogatoria

L’azione
surrogatoria
è
il
potere
di
surrogarsi,
cioè
di
sostituirsi
al
debitore
nell’esercizio
dei
diritti
che
gli
spettano

verso
terzi.
Quando
il
soggetto
che
trascura
di
esercitare
i
propri
diritti
mette
con
ciò
in
pericolo
il
soddisfacimento
dei

creditori,
la
legge
reputa
preminente
l’interesse
di
questi
ultimi,
autorizzandoli
ad
esercitare,
in
sostituzione
del

debitore,
i
diritti
di
questo
verso
i
terzi.
Presupposti
o
condizioni
sono:
a)
l’inerzia
del
debitore
che
trascura
di

esercitare
i
propri
diritti;
b)
il
pregiudizio
del
creditore,
derivante
dal
fatto
che
il
rimanente
patrimonio
non

rappresenta
una
sufficiente
garanzia
di
adempimento;
c)
il
contenuto
patrimoniale
dei
diritti:
i
diritti
che
il
debitore

trascura
devono
essere
anzitutto
diritti
di
credito
o
diritti
potestativi,
avere
contenuto
patrimoniale
e
carattere
non

strettamente

personale.


L’azione
revocatoria


L’azione
revocatoria
è
diretta
a
reagire
contro
un
comportamento
commissivo,
contro
gli
atti
con
cui
il
debitore

deteriora
la
propria
situazione
patrimoniale.
Il
creditore
vede
drasticamente
diminuire
la
garanzia
patrimoniale
poichè

in
caso
di
inadempimento
non
troverà
beni
da
espropriare.
In
conseguenza
di
tali
atti
di
disposizione
del
debitore,
il

rimanente
patrimonio
non
è
più
in
grado
di
svolgere
la
sua
funzione
di
garanzia
patrimoniale.
Il
creditore
potrà
perciò

esercitare
l’azione
revocatoria,
che
è
il
potere
di
far
dichiarare
inefficaci
nei
suoi
confronti
gli
atti
disposizione
con
cui

il
debitore
rechi
pregiudizio
alle
sue
ragioni.
Presupposti
sono
:
a)
l’atto
di
disposizione,
ossia
un
atto
con
cui
il

debitore
modifichi
in
senso
peggiorativo
la
sua
condizione
patrimoniale;
b)
il
pregiudizio
per
il
creditore
consistente

nel
fatto
che
il
rimanente
patrimonio
è
insufficiente
a
garantire
il
pagamento
dei
debiti,
ovvero
nella
circostanza
che
la

sua
diversa
composizione
rende
più
difficile
la
soddisfazione
dei
crediti;
c)
la
conoscenza
del
pregiudizio
arrecato
alle

ragioni
del
creditore
da
parte
del
debitore.

Occorre
però
tutelare
anche
il
terzo
che
abbia
contratto
con
il
debitore.
Se
l’atto
è
a
titolo
oneroso
occorre
che
anche

il
terzo
sia
consapevole
del
pregiudizio
altrui.
Se
invece
si
tratta
si
atto
a
titolo
gratuito
si
prescinde
da
tale
requisito.
I

terzi
che,
a
seguito
della
revoca
dell’atto,
abbiano
subito
evizione
(si
siano
visti
espropriare
il
bene)
hanno
azione
di

risarcimento
verso
il
debitore
e
potranno
far
valere
le
loro
ragioni
anche
sul
ricavato
dell’espropriazione.

Effetto
dell’azione
revocatoria
accolta
dal
giudice
è
la
inefficacia
relativa
dell’atto
revocato:
l’atto
cioè
diviene
in

opponibile
al
creditore
revocante,
ma
per
il
resto
conserva
la
sua
efficacia
sia
tra
le
parti,
sia
rispetto
ai
creditori
che

non
hanno
partecipato
al
giudizio
di
revocazione.
Nonostante
il
bene
non
sia
tornato
nel
patrimonio
del
debitore,
il

revocante
potrà
sottoporlo
a
esecuzione
forzata
come
se
ancora
gli
appartenesse.


L’azione
revocatoria
si
prescrive
in
5
anni.
Il
codice
prevede
anche
la
possibilità
di
revocare
atti
di
disposizione

anteriori
al
sorgere
del
credito.
In
tal
caso
però
si
richiede
la
dolosa
preordinazione,
come
specifica
intenzione
del

debitore
di
sottrarre
i
beni
all’esecuzione
dei
creditori,
e
la
partecipatio
fraudis
del
terzo,
si
richiede
cioè
che
il

debitore
abbia
dolosamente
ordino
una
frode
in
danno
dei
creditori.

Il
sequestro
conservativo

Il
sequestro
conservativo
è
un
provvedimento
preventivo
e
cautelare
emesso
dal
giudice
su
istanza
del
creditore
che

ha
fondato
timore
di
perdere
la
garanzia
del
proprio
credito.
E’
un
mezzo
preventivo,
anteriore
al
compimento
di
atti

pregiudizievoli.
Per
effetto
del
sequestro
sorge
un
vincolo
di
indisponibilità
che
rende
automaticamente
inefficaci

verso
il
creditore
sequestrante
le
alienazioni
e
gli
altri
atti
di
disposizione
dei
beni
sequestrati.


CAPITOLO
29:
Le
garanzie
patrimoniali
specifiche

Le
garanzie
patrimoniali
specifiche
hanno
i
seguenti
caratteri
peculiari:

1) cadono
su
beni
determinati,
del
debitore
o
di
un
terzo,
e
non
genericamente
su
tutto
il
patrimonio

dell’obbligato;

2) non
sono
automaticamente
collegate
per
legge
all’esistenza
di
una
obbligazione,
occorre
piuttosto
un
titolo

apposito
per
la
loro
costituzione;

3) attribuiscono
un
diritto
ulteriore
e
specifico:
il
diritto
di
prelazione,
e
cioè
di
soddisfarsi
con
precedenza
sul

ricavato
della
vendita
forzata
dei
beni.

4) attribuiscono
il
diritto
di
seguito
(o
sequela)
sul
bene:
il
diritto
segue
il
bene
nei
suoi
successivi
trasferimenti,

mantenendo
al
creditore
la
facoltà
di
espropriarlo
anche
nei
confronti
dei
successivi
acquirenti.
Tali
garanzie

pertanto
costituiscono
dei
diritti
reali
caratterizzate
come
sono
dall’inerenza
alla
cosa
e
dall’opponibilità
erga

omnes.

Sono
cause
legittime
di
prelazione
i
privilegi,
il
pegno
e
l’ipoteca.


I
privilegi

Il
privilegio
è
la
prelazione
che
la
legge
accorda
in
considerazione
della
causa
del
credito.
Alcuni
crediti
sono
guardati

con
particolare
favore
dalla
legge
in
vista
dello
scopo
per
il
quale
essi
sono
sorti
e
vengono
perciò
preferiti
ad
altri

nella
distribuzione
del
ricavato
della
vendita
forzata.
Dunque
il
privilegio

non
è
un
autonomo
diritto,
distinto
dal

credito
e
ad
esso
accessorio,
come
il
pegno
e
l’ipoteca,
bensì
un
suo
carattere
o
modo
di
essere:
dunque,
o
il
credito
è

privilegiato
fin
dalla
sua
nascita
oppure
non
potrà
più
esserlo.
Tale
garanzia
può
afferire
solo
ai
beni
del
debitore,
non

anche
di
un
terzo.
Ne
sono
previste
due
tipologie:
generale
e
speciale.

Il
privilegio
generale
cade
su
tutti
i
beni
mobili
del
debitore.
Dà
prelazione,
ma
non
attribuisce
diritto
di
seguito
e

perciò
non
può
esercitarsi
in
pregiudizio
dei
diritti
spettanti
ai
terzi
(crediti
tributari,
derivanti
da
rapporti
di
lavoro,

relativi
a
spese
funerarie,
sanitarie,
alimentari).

Il
privilegio
speciale

cade
su
beni
specifici,
mobili
o
immobili.
Attribuisce
anche
il
diritto
di
seguito
e
può
esercitarsi

anche
in
pregiudizio
dei
diritti
acquistati
dai
terzi
posteriormente
al
sorgere
di
esso.


Quando
si
tratti
di
beni
mobili,
il
principio
cede
alla
regola
sul
possesso
titolato
e
dunque
non
potrà
farsi
valere
contro

chi
in
buona
fede
acquisti,
anche
successivamente
al
suo
sorgere,
la
proprietà,
l’usufrutto
o
il
pegno
della
cosa.

Può
succedere
che
su
uno
stesso
bene
concorrano
più
privilegi.


Beni
mobili
PEGNO
>PRIVILEGIO
SPECIALE

Beni
immobili
PRIVILEGIO
SPECIALE
>
IPOTECA


Pegno
e
ipoteca.
Disposizioni
comuni.

Pegno
e
ipoteca
sono
cause
di
prelazione
che
attribuiscono
a
un
creditore
un
vero
e
proprio
diritto
reale
sul
bene
che

ne
costituisce
oggetto.
Attribuiscono
poteri
specifici
a
tutela
del
credito,
e
precisamente:

a) il
diritto
di
prelazione
nella
distribuzione
del
denaro
ricavato
dalla
vendita
forzata
dei
beni
vincolati

b) il
diritto
di
seguito
o
sequela.

Pegno
e
ipoteca
sono
costituiti,
per
lo
più,
dalla
volontà
dei
privati
e
anche
successivamente
al
sorgere
del
credito.

Necessitano
di
un
proprio
titolo
costitutivo
distinto
da
quello
che
ha
dato
origine
al
credito.
Possono
essere
costituiti

anche
sui
beni
di
un
terzo,
col
suo
consenso,
chiamato
terzo
datore
di
pegno
o
di
ipoteca.
Il
terzo
risponderà
del

debito
altrui
con
vincolo
di
solidarietà
ma
solo
col
bene
offerto
in
garanzia.

Carattere
comune
al
pegno
e
all’ipoteca
è
inoltre
l’accessorietà:
sono
cioè
diritti
accessori
a
un
credito
e
pertanto
ne

seguono
le
vicende.
Si
estinguono
in
caso
di
estinzione
del
credito
garantito.

E’
vietato
il
patto
commissorio,
e
cioè
il
patto
col
quale
si
conviene
che,
in
mancanza
di
pagamento,
la
proprietà
della

cosa
passi
al
creditore.

Il
pegno

Il
pegno
è
un
diritto
reale
che
vincola
un
bene
mobile
a
garanzia
di
un
credito.
Il
diritto
attribuisce
al
creditore

pignoratizio
la
facoltà
di
espropriare
la
cosa
anche
se
essa
sia
stata
alienata
a
terzi
e
di
soddisfarsi
con
prelazione
su
di

essa.
Oggetto
di
pegno
possono
essere
i
beni
mobili,
le
universalità
di
mobili
e
i
crediti,
del
debitore
o
di
un
terzo.

Il
pegno
si
costituisce
con
apposito
contratto
che
ha
natura
di
contratto
reale
in
quanto
si
richiede
la
consegna
della

cosa
al
creditore
o
a
un
terzo
designato
dalle
parti.
Occorre
inoltre
che
la
cosa
rimanda
in
possesso
del
creditore
o
del

terzo,
pena
il
venir
meno
della
garanzia.
Lo
spossessamento
perciò
è
requisito
essenziale
e
svolge
la
funzione
di

pubblicità.
Il
contratto
di
pegno
inoltre
è
di
fatto
un
contratto
formale:
richiede
infatti
la
forma
scritta.
Il
consegnatario

non
può
usare
la
cosa,
né
concederne
ad
altri
il
godimento,
né
darla
a
sua
volta
in
pegno
(divieto
di
subpegno):
egli

deve
piuttosto
custodirla
e
restituirla
poi
una
volta
che
sia
stato
pagato
il
credito
garantito.
L’affidatario
può
usare
la

cosa
solo
se
l’uso
è
necessario
alla
sua
conservazione
o
se
si
tratta
di
cose
fungibili.
Se
il
credito
garantito
non
viene

pagato,
il
creditore
può
far
vendere
la
cosa
ovvero
farsi
assegnare
in
pagamento
la
cosa
o
il
credito
ricevuti
in
pegno.

L’ipoteca

L’ipoteca
è
un
diritto
reale
che
vincola
un
bene
immobile
a
garanzia
di
un
credito.
Essa
attribuisce
al
creditore

ipotecario
il
diritto
di
espropriare
il
bene
anche
in
confronto
del
terzo
acquirente
(diritto
di
seguito)
e
di
soddisfarsi

con
prelazione
sul
ricavato
della
vendita
forzata.
Oggetto
di
ipoteca
possono
essere
i
beni
immobili
(+
pertinenze)
e
i

diritti
reali
di
godimento
sugli
stessi,
i
mobili
registrati
e
le
rendite
dello
Stato,
appartenenti
al
debitore
o
a
un
terzo.

Caratteri
dell’ìpoteca
sono
la
specialità
e
l’indivisibilità.
Essa
può
costituirsi
solo
su
beni
specialmente
indicati
e
per

una
somma
determinata.
L’ipoteca
inoltre
è
indivisibile:
anche
se
il
debito
è
stato
in
parte
pagato,
il
diritto
continua
a

gravare
su
tutti
i
beni
ipotecati;
è
prevista
tuttavia
in
alcune
ipotesi
la
riduzione
dell’ipoteca,
che
si
opera
riducendo
la

somma
per
cui
l’ipoteca
è
iscritta
o
riducendo
i
beni
originariamente
vincolati.

A
costituire
l’ipoteca
concorrono
due
elementi:
il
titolo
e
l’iscrizione
in
pubblici
registri.
L’iscrizione
è
una
particolare

forma
di
pubblicità
costitutiva.
Per
poter
procedere
all’iscrizione,
d’altra
parte,
occorre
uno
specifico
titolo
che

autorizzi
il
creditore.
Su
uno
stesso
bene
sono
possibili
più
ipoteche
successive
per
crediti
diversi:
a
ciascuna
viene

assegnato
un
numero
(grado
di
ipoteca)
che
vale
a
determinare
la
precedenza
tra
i
diversi
creditori
ipotecari.
La

rinnovazione
è
la
ripetizione
della
formalità
dell’iscrizione,
effettuata
dopo
un
certo
tempo.
L’iscrizione
ipotecari

infatti
conserva
la
sua
efficacia
per
20
anni,
dopo
di
che
si
estingue
a
meno
che
il
creditore
non
proceda

tempestivamente
alla
sua
rinnovazione.

Fonti
del
diritto
di
iscrivere
ipoteca
sono
la
legge,
la
sentenza
del
giudice
e
la
volontà
privata.

•
L’ipoteca
legale
nasce
in
forza
di
una
specifica
previsione
di
legge
che
attribuisce
a
determinati
creditori,
se

ricorrono
certe
condizioni,
il
diritto
di
iscrivere
ipoteca.
Hanno
diritto
di
iscrivere
ipoteca
legale:
1)
l’alienante
sugli

immobili
alienati
a
garanzia
del
pagamento
del
prezzo;
2)
i
coeredi,
i
soci
e
gli
altri
condividenti
a
garanzia
del

pagamento
dei
conguagli.
Tali
ipoteche
sono
iscritte
d’ufficio
senza
apposita
richiesta.

•
L’ipoteca
giudiziale
trova
titolo
in
una
sentenza
o
altro
provvedimento
giudiziale
che
comporti
condanna
del

debitore
al
pagamento
di
una
somma
di
denaro
o
all’adempimento
di
altra
obbligazione.
Non
è
perciò
il
giudice
che

ordina
direttamente
l’iscrizione,
bensì
il
creditore
che
presenta
il
provvedimento
di
condanna.

•
L’ipoteca
volontaria
nasce
in
forza
di
un
contratto
o
di
una
dichiarazione
unilaterale.,
redatti
per
atto
pubblico
o

scrittura
privata
autenticata.
Questo
tipo
di
ipoteca
può
gravare
sia
sui
beni
del
debitore
si
sui
beni
di
un
terzo,
sia
su

cose
future.


Il
terzo
acquirente
di
un
bene
ipotecato
può:

1) pagare
egli
stesso
i
creditori
ipotecari
surrogandosi
poi
nel
credito
pagato;

2) effettuare
il
rilascio
dei
beni
ipotecati,
con
apposita
dichiarazione;

3) effettuare
la
cosiddetta
purificazione
delle
ipoteche,
cioè
liberare
i
beni
tramite
un
apposito
procedimento
e

l’offerta
di
una
somma
di
denaro
a
tacitazione
dei
crediti
garantiti.

Il
terzo
datore
di
ipoteca
può
soltanto,
per
evitare
l’espropriazione,
pagare
i
creditori,
rivolgendosi
poi
in
via
di

regresso
contro
il
debitore.


Alcune
cause
di
estinzione
dell’ipoteca
incidono
sul
titolo
e
perciò
travolgono
anche
l’iscrizione.
Così
avviene
per

l’estinzione
del
credito
garantito,
il
perimento
del
bene,
la
rinuncia
all’ipoteca
o
la
vendita
forzata
del
bene
ipotecato.

Altre
cause
di
estinzione,
invece,
incidono
direttamente
sulla
iscrizione
e
perciò
fanno
venir
meno
il
diritto.

L’estinzione
si
verifica
per
il
decorso
del
termine
di
20
anni
dalla
iscrizione.
Una
distinta
causa
di
estinzione

dell’ipoteca
è
prevista
a
favore
del
terzo
acquirente:
decorsi
20
anni
dalla
trascrizione
dell’acquisto
l’ipoteca
si

estingue
per
prescrizione,
anche
se
il
credito
è
ancora
in
vita.

••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••

SINGOLE
FONTI
DI
OBBLIGAZIONE

1. IL
CONTRATTO


CAPITOLO
30:
Il
contratto
come
fonte
di
obbligazioni,
l’autonomia

privata

Il
contratto
è
l’accordo
di
due
o
più
parti
per
costituire,
regolare
o
estinguere
tra
loro
un
rapporto
giuridico

patrimoniale.

Il
contratto
si
configura
come
fonte
di
rapporti
giuridici
e
in
particolare
di
obbligazioni.
Esso
dà
luogo
ad
un
rapporto

contrattuale,
con
i
relativi
diritti
e
obblighi
(=obbligazioni).
E’
lo
strumento
principale
con
cui
si
attua
il
trasferimento

della
proprietà
e
degli
altri
diritti
reali
sui
beni.

Emergono
due
profili
qualificanti
del
contratto:
la
creazione
di
un
rapporto
giuridico
(diritti
e
obblighi)
e
la
sua

derivazione
dall’accordo
e
cioè
da
un
atto
di
volontà
degli
interessati.
L’atto
è
perciò
strumentale
al
rapporto
e
ne
è

presupposto
necessario:
se
l’atto
manca,
o
è
invalido,
non
sorgerà
l’effetto
del
rapporto
o
vincolo
giuridico.
Il

contratto‐atto
consiste
nelle
dichiarazioni
delle
parti
fuse
nell’accordo;
il
contratto‐rapporto
consiste
nella
relazione

giuridica
che,
come
effetto
dell’atto,
si
instaura
fra
le
parti
e
ne
precisa
diritti
e
obblighi.

In
sintesi
il
contratto
consiste
nella
creazione
di
una
regola
di
comportamento
derivante
dalla
volontà
delle
parti,
e
si

conferma
perciò
la
qualificazione
del
contratto
come
negozio.
Il
contratto
è
infatti
lo
strumento
principale
attraverso
il

quale
la
volontà
privata
è
chiamata
a
dare
assetto
ai
rapporti
giuridici,
a
configurarli
nella
maniera
che
ciascuno
ritiene

adeguata
alle
proprie
esigenze
e
interessi.

Per
autonomia
contrattuale
si
intende
la
libertà
delle
parti
di
determinarne
il
contenuto
e,
così,
di
decidere

liberamente
delle
relative
clausole.

a) Primo
e
fondamentale
aspetto
dell’autonomia
contrattuale
è
la
facoltà
di
autodeterminarsi
in
ordine
alla

opportunità
di
concludere
o
no
un
contratto
e,
altresì,
in
ordine
alla
libera
scelta
dell’altro
contraente:

cosiddetta
libertà
contrattuale
in
senso
negativo.
Nessuno
può
essere
vincolato
ad
un
contratto
a
cui
non

abbia
prestato
il
proprio
consenso.

b) In
senso
positivo
l’autonomia
contrattuale
si
specifica
anzitutto
nella
facoltà
delle
parti
di
determinare

liberamente
il
contenuto
del
contratto,
nei
limiti
imposti
dalla
legge.
Le
parti
perciò,
col
loro
accordo,

possono
anche
derogare
alle
norme
dispositive
di
legge.
(NO
imperative)

c) Infine
l’autonomia
contrattuale
attribuisce
ai
singoli
la
facoltà
di
concludere
contratti
che
non
appartengono

ai
tipi
aventi
una
disciplina
particolare:
possono
cioè
stipulare
contratti
innominati
(o
atipici).
E’
però

necessario
che
tale
contratto
atipico
sia
diretto
a
realizzare
interessi
meritevoli
di
tutela
secondo

l’ordinamento
giuridico.

Gli
atti
unilaterali

Gli
atti
unilaterali
sono
caratterizzati
invece
da
tipicità:
sono
ammissibili
solo
quelli
espressamente
previsti
e
con
i
tipici

effetti
previsti
dalla
legge.
Al
singolo
non
è
consentito
incidere
unilateralmente
sulla
sfera
giuridica
altrui.

Agli
atti
unilaterali
si
applicano
le
disposizioni
specificamente
dettate
dalla
legge
per
ciascuno
di
essi
e,
in
quanto

compatibili,
le
norme
che
regolano
i
contratti.
Un
atto
unilaterale
può:

‐ incidere
soltanto
sul
suo
autore:
l’atto
è
ammesso
alla
sola
condizione
che
riguardi
interessi
disponibili
(o

costituisca
legittimo
esercizio
di
quelli
indisponibili);

‐ incidere
favorevolmente
su
altri:
è
ammissibile
quando
l’acquisto
dipende
dall’accettazione
del
beneficiario
o

questi
possa
rifiutare
il
vantaggio
acquisito
con
effetto
retroattivo;

‐ incidere
sfavorevolmente
su
altri:
è
possibile
solo
quando
l’autore
sia
a
ciò
autorizzato
dalla
legge
o
da
un

precedente
accordo
tra
le
parti.


Categorie
di
contratti

Si
dicono
bilaterali
i
contratti
in
cui
intervengono
due
parti,
intese
come
contrapposti
centri
di
interesse
(contratti
di

scambio).
Sono
detti
plurilaterali
invece
quelli
in
cui
vi
sono
due
o
più
parti,
ma
i
relativi
interessi
non
sono

contrapposti
fra
loro
(contratti
con
comunione
di
scopo,
e
cioè
quelli
in
cui
le
parti
tendono
a
realizzare
un
comune

risultato
utile.
Es.
contratti
di
società,
di
associazione..).

Contratti
a
titolo
oneroso
sono
quelli
in
cui
alla
prestazione
di
una
parte
corrisponde
un
sacrificio
economico
a
carico

dell’altra,
mentre
si
dicono
a
titolo
gratuito
quelli
connotati
da
un
sacrificio
economico
unilaterale.

Nell’ambito
dei
contratti
onerosi
si
distinguono
quelli
a
prestazioni
corrispettive:
sono
i
contratti
in
cui
sussiste
un

nesso
di
reciprocità
fra
le
due
prestazioni,
nel
senso
che
ciascuna
di
esse
costituisce
il
compenso
diretto
dell’altra.

Si
distinguono
infine
contratti
aleatori

e
contratti
commutativi
a
seconda
del
ruolo
che
in
essi
giocano
i
rischi
di

evenienze
sfavorevoli.
Il
contratto
è
aleatorio
quando
il
tipo
o
l’entità
di
una
o
entrambe
le
prestazioni
dipende
da
un

evento
casuale
(es.
assicurazione).
Nei
contratti
commutativi,
i
contraenti
assumono
su
di
sé
solo
i
comuni
rischi
di

variazione
nel
valore
delle
prestazioni:
quelle
variazioni
cioè
derivanti
dalle
ordinarie
oscillazioni
di
mercato.


CAPITOLO
31:
La
formazione
del
contratto,
i
rapporti
giuridici

preparatori

Le
trattative

Le
trattative
sono
quella
fase
antecedente
alla
stipulazione
di
un
contratto
in
cui
le
parti
tentano
di
raggiungere

un’intesa
sul
programma
contrattuale,
valutandone
l’opportunità,
la
convenienza
economica
e,
in
genere,
la

possibilità
di
spuntare
condizioni
favorevoli.
Non
è
una
fase
necessaria.
Fin
quando
non
si
sia
raggiunto
un
accordo
su

tutti
i
punti
del
contratto,
il
contratto
non
è
ancora
concluso
e
le
parti
rimangono
libere
di
addivenire
o
no
alla

stipulazione.
Durante
la
fase
delle
trattative
le
parti
devono
comportarsi
secondo
buona
fede,
in
modo
da
mantenere

integre
le
ragioni
della
controparte.
Buona
fede
significa
perciò
correttezza,
solidarietà
e
lealtà.


La
responsabilità
precontrattuale,
allora,
è
la
sanzione
prevista
per
chi
viola
il
dovere
di
buona
fede
nella
fase
delle

trattative,
obbligandolo
a
risarcire
il
danno
arrecato
alla
controparte.
Ipotesi
tipica
di
violazione
della
buona
fede
è

anzitutto
quella
della
rottura
ingiustificata
delle
trattative.
E’
infatti
fonte
di
responsabilità
intraprendere
trattative

senza
avere
seria
intenzione
o
possibilità,
anche
in
relazione
alle
proprie
capacità
economiche
e
professionali,
di

concludere
effettivamente
il
contratto.
La
correttezza
impone
poi
obblighi
di
informazione,
in
modo
da
rendere
note

all’altra
parte
le
circostanze
di
fatto
e
di
diritto
che
incidono
sull’affare,
rendendolo
pregiudizievole
o
addirittura

inutile.
Si
hanno
dunque
obblighi
di
specifica
informazione
su
determinati
aspetti
del
contratto,
trasparenza
delle

condizioni
negoziali
e
chiarezza
nella
redazione
del
testo.
Sarà
responsabile
il
contraente
che
inganni
la
controparte

inducendola
ad
accettare
condizioni
più
onerose
(dolo
incidente).
E’
responsabile
inoltre
la
parte
che,
conoscendo
o

dovendo
conoscere
una
causa
di
invalidità
del
contratto,
non
ne
ha
dato
notizia
all’altra
parte
(casi
di
stipulazione
di

contratti
invalidi
o
inefficaci).
Nessuna
delle
parti
potrà
pretendere
un
risarcimento
ove
sia
a
sua
volta
in
colpa
per

aver
ignorato
una
causa
di
invalidità
che
anch’essa
era
tenuta
a
conoscere.

Il
risarcimento
dei
danni
riguarda
il
cosiddetto
interesse
negativo.
Si
parla
di
interesse
negativo
quando
si
parla
di

interesse
a
non
stipulare
un
contratto
invalido,
a
non
affrontare
spese
inutili,
a
non
farsi
sfuggire
altre
favorevoli

occasioni.
Si
risarciranno
pertanto
le
perdite
subite
e
inoltre
il
mancato
guadagno
per
la
sfumata
realizzazione
di
altri

rapporti
contrattuali
sfuggiti
a
causa
della
contrattazione
intrapresa
e
poi
rivelatasi
inutile.

I
rapporti
giuridici
preparatori

Può
accadere
che
le
parti,
una
volta
concluse
le
trattative
con
esito
positivo,
trovino
utile
garantirsi
la
facoltà
di

concludere
l’affare
(alle
condizioni
già
stabilite)
e
al
contempo
rinviare
la
stipulazione
vera
e
propria
a
un
tempo

successivo.
Le
parti
dunque
non
vogliono
stipulare
subito
il
contratto.
E’
possibile
allora
che
la
stipulazione
sia

preceduta
dalla
creazione
di
speciali
rapporti
giuridici,
strumentali
alla
successiva
conclusione
del
contratto,
che
sono

fonte
i
vincoli
specifici
a
carico
delle
parti:
vincolo
a
stipulare
un
contratto
o
obbligo
di
preferire
un
certo
soggetto
e

possono
designarsi
complessivamente
come
rapporti
giuridici
preparatori.
L’affare
è
bloccato,
il
suo
contenuto
fissato

ma
la
stipula
del
contratto
è
rinviata
a
tempo
successivo.


Lo
strumento
prescelto
può
vincolare
una
sola
o
entrambe
le
parti.
Si
distinguono
gli
obblighi
di
contrarre,
di
preferire

e
di
non
discriminare.



L’obbligo
di
contrarre

a) Gli
obblighi
legali

L’obbligo
legale
di
contrarre
trova
la
sua
fonte
nella
legge.
Esso
è
previsto
in
ipotesi
diverse
e
a
tutela
di
interessi

preminente
rispetto
al
principio
generale
della
libertà
contrattuale.
Ne
è
un
esempio
l’obbligo
di
che
esercita

un’impresa
in
condizione
di
monopolio
legale
di
contrarre
con
chiunque
ne
faccia
richiesta
osservando
la
parità
di

trattamento.

b) Gli
obblighi
negoziali.


Il
contratto
preliminare

Gli
obblighi
negoziali
di
contrarre
trovano
la
loro
fonte
in
una
obbligazione
precedentemente
(e
liberamente)
assunta,

come
quella
nascente
dal
contratto
preliminare
caratterizzato
dal
suo
peculiare
oggetto:
l’obbligo
di
stipulare
un

successivo
contratto.
Il
preliminare
crea
un
vincolo
tra
le
parti,
dei
diritti
e
degli
obblighi
reciproci:
è
un
vincolo

preliminare,
in
quanto
strumentale
all’assetto
finale
dei
loro
rapporti
che
sarà
raggiunto
con
la
stipula
del
contratto

definitivo
(rinviato
a
un
momento
successivo).

Diffuso
è
il
preliminare
della
vendita
immobiliare,
denominato
compromesso.

Stipulato
il
preliminare
,
le
parti
sono
obbligate
a
concludere
il
definitivo,
non
possono
rifiutarsi
se
non
per
giusta

causa.
E’
necessario
che
il
preliminare
sia
fatto
nella
stessa
forma
richiesta
per
il
definitivo
e
che
contenga
la

predeterminazione
di
tutti
gli
elementi
essenziali

del
contratto
da
stipulare.

Per
il
caso
di
inadempimento
del
preliminare,
cioè
di
rifiuto
di
una
delle
parti
di
stipulare
il
definitivo,
su
richiesta

dell’interessato,
il
giudice
emanerà
una
sentenza
che
produca
gli
effetti
del
contratto
non
concluso.

Si
ha
un
preliminare
unilaterale
quando
il
vincolo
grava
su
una
sola
delle
parti
e
l’altra
rimane
libera
di
decidere
se

stipulare
o
no
il
contratto.

Il
contratto
normativo

Le
parti
fissano
previamente
il
contenuto
di
contratti
che
esse
prevedono
di
stipulare
in
futuro:
qui
le
parti
non
sono

obbligate
alla
stipulazione
(che
rimane
libera),
ma
solo
al
suo
contenuto,
che
esse
trovano
conveniente
determinare
in

anticipo,
semplificando
gli
accordi
successivi.
In
ambito
di
contrattazioni
seriali
assume
la
denominazione
di
accordo
o

contratto
quadro
quando
intercorre
tra
gli
stessi
soggetti.



L’obbligo
di
preferire

La
prelazione

Prelazione
significa
preferenza
e
importa
l’obbligo
di
preferire
un
certo
contraente,
a
parità
di
condizioni,
qualora
si

decida
di
stipulare
un
certo
contratto.
Il
soggetto
obbligato
a
preferire
non
è
tenuto
a
stipulare
il
contratto,
ma,
se

deciderà
di
farlo,
a
parità
di
condizioni
dovrà
attribuire
la
precedenza
al
prelazionario.
Fonte
del
diritto
può
essere

l’accordo
delle
parti
(patto
di
prelazione)
o
la
stessa
legge
(prelazione
legale).
Nel
primo
caso,
ove
si
verifiche

inadempimento,
si
potrà
chiedere
solo
il
risarcimento
dei
danni.
Nel
secondo
caso
si
potrà
ottenere
invece
il
retratto

del
bene,
e
cioè
i
trasferimento
coattivo
al
prelazionario
con
conseguente
risoluzione
della
vendite
precedente.


L’obbligo
di
non
discriminare
nella
scelta
del
contraente



Vige
il
divieto
di
discriminazioni
quando
esse
siano
motivate
dalla
appartenenza
razziale,
etnica
o
religiosa,
dal
sesso,

ovvero
dalla
condizione
di
disabilità
dell’altro
contraente.
Viene
qualificato
come
illecito
il
comportamento
di
chi,
in

base
a
tali
motivazioni,
rifiuti
di
fornire
(o
fornisca
a
condizioni
più
onerose)
l’accesso
all’occupazione,
all’alloggio,

all’istruzione.
Quanto
agli
altri
beni
e
servizi,
il
divieto
di
discriminazione
è
limitato
all’ipotesi
in
cui
essi
vengano
offerti

al
pubblico.
Ove
le
discriminazioni
si
verifichino,
il
giudice
può
ordinare
la
cessazione
del
comportamento

pregiudizievole
e
adottare
ogni
altro
provvedimento
idoneo
a
rimuoverne
gli
effetti,
ivi
compreso
il
risarcimento
del

danno
anche
non
patrimoniale.


CAPITOLO
32:
La
stipulazione

Il
contratto
(inteso
come
atto
posto
in
essere
dalle
parti)
deve
presentare
anzitutto
dei
requisiti
o
elementi,

predeterminati
dalla
legge,
perché
esso
sia
valido.
Tali
requisiti
vengono
detti
comunemente
elementi
essenziali.
La

loro
mancanza
importa
la
mancata
perfezione
dell’atto,
che
si
designa
come
invalidità.
Elementi
essenziali
del

contratto
sono
l’accordo
delle
parti,
la
causa,
l’oggetto,
la
forma
(nei
casi
previsti
dalla
legge).

Possono
esservi
poi
altri
possibili
elementi
del
contratto,
detti
accidentali,
che
possono
inserirvisi
o
possono
invece

mancare,
secondo
l’intesa
delle
parti,
senza
che
abbia
a
soffrirne
la
validità
del
contratto
stesso.
Tali
sono
la

condizione,
il
termine,
il
modo
(o
onere).

Le
parti
in
senso
formale
del
contratto
sono
i
soggetti
che
emettono
dichiarazioni
contrattuali
e
formano
il
contratto

atto.
Sono
parti
in
senso
sostanziale
coloro
in
capo
ai
quali
si
producono
gli
effetti
del
nogozio.
Le
due
qualità
possono

non
coincidere.
Parte
sostanziale
può
essere
chiunque
abbia
la
capacità
giuridica.
Parte
formale
solo
chi
abbia
la

capacità
legale
di
agire.
L’incapacità
giuridica
della
parte
sostanziale
rende
nullo
il
contratto,
l’incapacità
di
agire
della

parte
in
senso
formale
rende
l’atto
annullabile.


•••••
L’accordo

Il
primo
dei
requisiti
del
contratto,
dunque,
è
l’accordo
delle
parti
e
cioè
l’intesa
che
essere
raggiungono
in
ordine
a
un

certo
programma
contrattuale.
L’accordo
risulta
dalle
dichiarazioni
di
volontà
delle
parti:
quando
convergono

l’accordo
è
raggiunto
e
il
contratto
è
stipulato
(=perfezionato,
concluso).
L’accordo
si
può
raggiungere
in
modo

espresso
o
tacito.
La
dichiarazione
è
espressa
quando
è
esternata
con
segni
linguistici:
verbalmente,
con
uno
scritto,

con
gesti.
La
manifestazione
è
tacita
quando
è
palesata
tramite
comportamenti
concludenti,
e
cioè
a
mezzo
di
azioni,

socialmente
univoche,
da
cui
si
desume
indirettamente
la
volontà
del
soggetto.
Il
silenzio
non
vale
a
esprimere
un

consenso,
a
meno
che
non
sia
accompagnato
da
circostanze
tali
da
rendere
significativa
tale
condotta:
si
parla
in
tal

caso
di
silenzio
circostanziato.
Ciò
può
verificarsi
per
disposizione
di
legge
che
attribuisce
siffatto
valore
al
silenzio
o

per
effetto
di
un
precedente
accordo
tra
le
parti.

Modi
di
stipulazione
del
contratto

Diverse
possono
essere
le
modalità
concrete
con
cui
detto
accordo
si
raggiunge.

Anzitutto
può
darsi
che
l’accordo
si
raggiunga
tra
persone
compresenti
l’una
all’altra.
Le
dichiarazioni
di
volontà

possono
fondersi
in
un
solo
atto,
ad
es.
ove
vi
sia
un
unico
documento
contrattuale
sottoscritto
da
entrambi
i

contraenti.
Il
contratto
è
concluso
alla
sottoscrizione.
E
analogamente
si
verifica
nei
contratti
stipulati
a
voce
o
per

telefono.

Si
distinguono
poi
diversi
modi
di
stipulazione
del
contratto:
a)
scambio
di
proposta
e
accettazione;
b)
inizio

dell’esecuzione;
c)
mancato
rifiuto
(nei
casi
con
obbligazioni
del
solo
proponente);
d)
contratti
reali;
e)
contratti

standard.

a) Scambio
di
proposta
e
accettazione

E’
utilizzato
soprattutto
nell’ipotesi
di
contratti
stipulati
fra
persone
distanti
l’una
dall’altra.
Il
contratto
è
concluso
nel

momento
e
nel
luogo
in
cui
il
proponente
ha
notizia
dell’accettazione
della
controparte.
Proposta
è
l’atto
unilaterale

con
cui
un
soggetto
(il
proponente)
sottopone
a
un
altro
(oblato)
un
certo
programma
contrattuale.
Accettazione
è

l’atto
unilaterale
con
cui
l’oblato
aderisce
alla
proposta,
concludendo
così
il
contratto.

La
proposta
deve
essere
completa,
deve
cioè
contenere
almeno
l’indicazione
degli
elementi
essenziali
del
contratto
da

stipulare.
L’accettazione,
a
sua
volta,
deve
essere
conforme
alla
proposta,
cioè
esprimere
una
adesione
completa
al

programma
contrattuale
offerto:
la
divergenza
su
alcuni
punti,
anche
non
essenziali,
esclude
l’accordo
e
vale
a

qualificare
l’atto
come
nuova
proposta
che
potrà
essere
eventualmente
accettata
dalla
controparte.

Ulteriore
requisito
dell’accettazione
è
la
tempestività,
dovendo
giungere
al
proponente
nel
termine
da
lui
stabilito
o
in

quello
necessario
secondo
la
natura
dell’affare
o
secondo
gli
usi.

Proposta
e
accettazione
devono
essere
fatte
nella
forma
eventualmente
richiesta
per
il
contratto
che
si
vuole

concludere.
In
quanto
atti
aventi
un
destinatario
determinato,
esse
hanno
entrambe
carattere
recettizio,

e
cioè
la

loro
efficacia
è
subordinata
alla
conoscenza
da
parte
del
destinatario.
Si
presume
conosciuta
la
dichiarazione
quando

essa
giunge
all’indirizzo
del
destinatario.

Proposta
e
accettazione
possono
essere
revocate
fino
a
quando
il
contratto
non
è
concluso.
Il
proponente
può

revocare
l’offerta
purchè
la
revoca
giunga
all’oblato
prima
che
gli
pervenga
l’accettazione
di
questo;
e
analogamente

l’accettazione
potrà
essere
ritirata
purchè
la
revoca
giunga
al
proponente
prima
della
dichiarazione
di
accettazione.

La
revoca
non
da
luogo
a
responsabilità.
E’
previsto
però
che
il
proponente
è
tenuto
a
corrispondere
un
indennizzo

all’accettante
qualora
questi,
fidando
nella
conclusione
del
contratto,
ne
abbia
in
buona
fede
intrapreso
l’esecuzione.

Oltre
alla
revoca,
tolgono
efficacia
a
proposta
e
accettazione
anche
la
morte
e
la
sopravvenuta
incapacità
di
una
delle

parti.

Proposta
irrevocabile
e
opzione

La
proposta
si
dice
irrevocabile
quando
il
proponente
si
è
obbligato
a
mantenerla
ferma
per
un
certo
tempo.
Il

proponente,
cioè,
si
priva
della
facoltà
di
ritirarla
per
il
tempo
indicato
nella
proposta
stessa,
assicurando
cosi
alla

controparte
un
lasso
di
tempo
nel
quale
potrà
verificare
con
tranquillità
la
convenienza
dell’affare.

Tale
utilità
pratica
può
essere
assicurata
tramite
accordo
fra
le
parti:
e
cioè
o
tramite
apposito
contratto
(cosiddetto

contratto
di
opzione)
o
tramite
una
clausola
in
un
contratto
di
più
ampio
contenuto.
Il
patto
di
opzione
ha
lo
stesso

effetto:
esso
si
considera
quale
proposta
irrevocabile
per
gli
effetti
previsti
dall’art.
1329.
Pertanto,
dal
patto
di

opzione
nasce
nell’opzionario
il
diritto
(potestativo)
di
concludere
il
contratto
con
una
dichiarazione
unilaterale
di

accettazione
(e
in
capo
al
concedente
sorge
una
situazione
di
soggezione
all’altrui
iniziativa),
al
pari
di
quanto
si

verifica
con
la
proposta
unilaterale.

Nel’opzione
c’è
una
proposta
(irrevocabile)
e
il
contratto
si
conclude
con
la
sola
dichiarazione
di
volontà

dell’opzionario;
nel
preliminare,
anche
se
unilaterale,
occorrono
pure
sempre
due
dichiarazioni
di
volontà,
sia
della

parte
obbligata
a
stipulare,
sia
di
quella
libera
di
decidere.
Ulteriore
differenza
è
che,
nel
preliminare,

l’inadempimento
corrisponderà
a
responsabilità
contrattuale,
nell’opzione
a
responsabilità
precontrattuale.

Offerta
al
pubblico

Un’ipotesi
particolare
di
proposta
contrattuale
è
l’offerta
al
pubblico,
e
cioè
l’offerta
rivolta
a
una
generalità
di

persone
piuttosto
che
a
un
soggetto
determinato.
Equivale
ad
una
proposta
contrattuale
quando
contiene
gli
estremi

essenziali
del
contratto.
Il
contratto
si
conclude
con
l’accettazione
espressa
o
tacita.
Nell’offerta
al
pubblico,

mancando
un
destinatario
determinato,
la
proposta
non
ha
carattere
recettizio:
essa
pertanto
è
efficace
non
appena

sia
resa
pubblica
e
l’eventuale
revoca
–
se
è
fatta
nella
stessa
forma
in
cui
è
stata
fatta
l’offerta
–
è
valida
anche
nei

confronti
di
chi
non
ne
abbia
avuto
notizia.

Adesione
al
contratto
aperto

I
contratti
plurilaterali
aperti
sono
contratti
già
conclusi
fra
due
o
più
parti
e
aperti
all’adesione
di
altri
soggetti.
Le

adesion
devono
essere
indirizzate
ai
contraenti
originari
o,
se
previsto,
all’organo
costituito
per
l’attuazione
del

contratto.
Il
contratto
sarà
perfezionato,
con
riferimento
alle
nuove
partecipazioni,
nel
momento
in
cui
le
accettazioni

siano
portate
a
conoscenza
dei
contraenti
originari
o
dell’organo
di
cui
si
è
detto.
Quando
però
sia
prevista
una
previa

approvazione
dei
nuovi
aderenti,
l’adesione
non
configura
tecnicamente
una
accettazione,
bensì
una
proposta,
e
sarà

l’atto
di
gradimento
dell’organo
o
degli
originari
contraenti
a
configurare
la
vera
e
propria
accettazione
che
perfezione

il
contratto.


b) Inizio
dell’esecuzione

Il
contratto
in
alcuni
casi
particolari,
si
può
concludere
con
l’inizio
dell’esecuzione
da
parte
dell’oblato
accettante.
Tale

modo
di
conclusione
è
ammesso
quando
su
richiesta
del
proponente
o
per
natura
dell’affare
o
secondo
gli
usi
non

appaia
necessaria
una
preventiva
risposta
dell’accettante:
in
tal
caso
il
contratto
si
perfeziona
nel
tempo
e
nel
luogo
in

cui
ha
avuto
inizio
l’esecuzione.
Si
effettua
generalmente
per
esigenze
di
speditezza.
Il
negozio
si
conclude
prima
che
il

proponente
abbia
notizia
dell’accettazione.
Il
pronto
avviso
dell’iniziata
esecuzione
che
l’accettante
deve
dare
alla

controparte
non
condiziona
la
conclusione
del
contratto.


c) Contratti
con
obbligazioni
del
solo
proponente

Alcuni
particolari
tipi
di
contratto
prevedono
obbligazioni
a
carico
di
una
sola
parte.
I
contratti
da
cui
derivino

obbligazioni
per
il
solo
proponente
si
concludono
col
mancato
rifiuto
dell’oblato.
La
proposta
di
contratto
da
cui

derivano
obbligazioni
per
il
solo
proponente
è
irrevocabile
e
l’oblato
ha
facoltà
di
rifiutare
la
proposta
stessa,
ma
la

mancanza
di
un
tempestivo
rifiuto
equivale
ad
accettazione
e
il
negozio
si
considera
pertanto
concluso.
Si
tratta
di

silenzio
circostanziato.
Rimane
salva
la
possibilità
di
impugnare
il
contratto
per
incapacità
legale
o
per
errore
di
diritto.


d) Contratti
reali

In
alcuni
contratti
il
consenso,
sempre
necessario,
non
è
anche
sufficiente
per
la
conclusione
del
contratto,

occorrendo
un
ulteriore
requisito:
la
consegna
della
cosa.
Così
avviene
per
i
contratti
reali.


e) Contratti
standard

E’
sempre
più
frequente
il
caso
di
contratti
che
vengono
stipulati
senza
una
previa
contrattazione
del
contenuto.
Ad

es.
i
contratti
di
trasporto,
di
assicurazione,
di
fornitura
della
luce
e
dell’acqua:
qui
si
riscontra
piuttosto
una

predisposizione
unilaterale
delle
clausole
contrattuali
(spesso
contenute
in
moduli
o
formulari
prestampati),
che
il

cliente
può
soltanto
accettare
o
rifiutare
in
blocco:
sono
i
cosiddetti
contratti
standard
o
contratti
di
massa.
Ciò

risponde
all’esigenza
economica
dell’impresa
di
regolare
in
modo
uniforme
la
gran
mole
di
contratti
stipulati

quotidianamente.
Si
prospettano
al
riguardo
due
tipi
di
problemi:

1) Con
riguardo
al
consenso,
non
solo
il
cliente
non
discute
le
clausole
del
contratto,
ma
spesso
lo
stipula
senza

neppure
conoscere
le
condizioni
generali
di
contratto
e
cioè
le
clausole
contrattuali
predisposte

unilateralmente
dalla
controparte.
La
legge
riconosce
efficacia
alle
condizioni
generali
di
contratto
quando

l’aderente
le
ha
conosciute
o
avrebbe
dovuto
conoscerle
usando
l’ordinaria
diligenza.
E’
imposto
al

predisponente
l’onere
di
chiarezza;
se
le
clausole
sono
ambigue
si
interpretano
a
favore
dell’aderente.

2) Per
quanto
riguarda
il
contenuto
di
tali
contratti
è
prevista
la
tutela
contro
le
clausole
vessatorie:
quelle

clausole
che
aggravano
sensibilmente
la
posizione
dell’aderente
rispetto
alla
disciplina
legale.
Esse
devono

essere
specificamente
approvate
per
iscritto
con
una
specifica
sottoscrizione.


•••••
La
causa
del
contratto

Per
causa
si
intende
comunemente
la
funzione
economico‐sociale
del
contratto,
e
cioè
lo
scopo,
il
risultato

economico‐giuridico
cui
è
diretto
un
certo
schema
contrattuale.
La
volontà
degli
interessati
deve
essere

accompagnata
e
sostenuta
da
una
sufficiente
giustificazione:
deve
essere
diretta
a
realizzare
interessi
meritevoli
di

tutela
secondo
l’ordinamento
giuridico.
La
causa
deve
essere
espressa
(e
cioè
dichiarata
esplicitamente
nell’atto

negoziale)
soltanto
nei
negozi
formali,
mentre
è
presunta
negli
altri
contratti
tipici
e
nei
negozi
astratti.

I
contratti
tipici

La
legge
ha
provveduto
a
disciplinare,
a
tipizzare
alcuni
schemi
contrattuali,
decidendo
così
in
via
generale
e

preventiva
circa
la
meritevolezza
degli
interessi
perseguiti.
Si
parla
di
contratti
nominati
o
tipici
a
proposito
di
vendita,

locazione,
mutuo,
mandato,
trasporto,appalto,
ecc.
quanti
sono
i
contratti
che
appartengono
ai
tipi
aventi
una

disciplina
particolare
nella
legge.
Essi
si
presentano
anche
come
modelli
astratti
o
schemi
tipici
di
operazioni

economiche
che
le
parti
possono
tranquillamente
adottare
ed
equivale
ad
una
preventiva
valutazione
circa
la

tutelabilità
degli
interessi
perseguiti
e
la
meritevolezza
del
contratto.

Il
contratto
in
frode
alla
legge
è
nullo
per
illiceità
della
causa.
Il
negozio
in
frode
alla
legge
è
un
negozio
che,

rispettando
la
lettera
della
legge,
serve
in
concreto
a
violarne
i
precetti.

I
contratti
atipici

All’autonomia
delle
parti
è
consentito
stipulare
contratti
che
non
appartengono
ai
tipi
aventi
una
disciplina
particolare

nella
legge,
purchè
siano
diretti
a
realizzare
interessi
meritevoli

di
tutela
secondo
l’ordinamento
giuridico:
cosiddetti

contratti
atipici
o
innominati.
Sarà
dunque
nullo
un
accordo
diretto
a
fini
illeciti
o
a
fini
futili
e
indifferenti
per

l’ordinamento
giuridico.
La
disciplina
dei
contratti
atipici
è
anzitutto
quella
dettata
per
i
contratti
in
generale,
quella

derivante
da
norme
imperative
e
dalle
specifiche
pattuizioni
negoziali,
quella,
infine,
desumibile
per
analogia
dalle

disposizioni
che
regolano
casi
simili
e
cioè
i
contratti
tipici
più
vicini
allo
specifico
regolamento
d’interessi
convenuto

fra
le
parti.

I
contratti
misti
invece
sono
quei
contratti
che,
pur
non
rientrando
completamente
in
nessuno
dei
tipi
legali,
hanno

tuttavia
caratteri
che
li
accostano
a
più
di
un
contratto
tipico.
In
alcuni
casi
è
la
legge
stessa
che
indica
la
preferenza

per
una
certa
disciplina.
In
mancanza
di
indicazioni
legislative,
la
giurisprudenza
suole
applicare
il
criterio

dell’assorbimento:
nei
casi
in
cui
appaiano
prevalenti
gli
elementi
di
un
certo
tipo
contrattuale,
al
contratto

innominato
si
applicheranno
esclusivamente
le
norme
dettate
per
tale
contratto
tipico.
Il
criterio
della
combinazione

invece
applica
a
ciascun
aspetto
del
rapporto
la
disciplina
più
analoga
dettata
per
i
tipi
contrattuali.

I
contratti
collegati
sono
contratti
distinti
e

formalmente
autonomi,
ciascuno
dei
quali
ha
una
propria
causa
e

persegue
un
proprio
interesse
immediato.
Tali
interessi
tuttavia
sono
strumentali
a
un
più
ampio
interesse
unitario

conseguito
tramite
l’insieme
dei
contratti,
dai
quali
si
desume
la
causa
complessiva
dell’operazione
economica.

I
negozi
astratti

Un
negozio
astratto
è
un
negozio
che
realizza
gli
effetti
voluti
prescindendo
dalla
causa
e
cioè
facendo
astrazione
dalla

causa.
L’unico
caso
particolare
di
negozio
astratto
ammesso
nel
nostro
ordinamento
è
la
cambiale.
Nei
confronti
del

terzo
giratario
la
cambiale
opera
come
negozio
astratto,
come
titolo
idoneo
a
pretendere
una
prestazione
che
astrae,

che
prescinde
dalla
causa
sottostante.
Non
si
può
dunque
invocare
il
venir
meno
o
la
mancanza
originaria
della
causa

che
aveva
dato
origine
alla
promessa.
Questo
è
un
caso
di
astrazione
sostanziale,
quale
autonomia
del
negozio
dal

requisito
della
causa
(e
perciò
quale
irrilevanza
della
causa
per
la
validità
dell’atto).

Accanto
ad
essa
va
segnalato
il
diverso
fenomeno
della
astrazione
processuale
dalla
causa,
quale
autonomia
della

pretesa
dall’onere
di
provare
la
causa
del
negozio.
Consiste
nell’inversione
dell’onere
della
prova:
chi
agisce
non
è

tenuto
a
dimostrare
l’esistenza
di
una
causa
a
fondamento
dell’obbligazione.
Tali
casi
sono
quelli
della
promessa
di

pagamento
e
della
ricognizione
di
debito.
Qui
la
causa
si
presume
fino
a
prova
contraria
e
sarà
il
debitore,
se
vuole

evitare
di
pagare,
che
dovrà
dimostrare
che
la
causa
non
esiste
ovvero
è
illecita.


I
motivi

La
causa
è
un
profilo
oggettivo
del
contratto
e
costituisce
un
elemento
comune
alle
parti,
poiché
essa
è
unica
per

entrambi
i
contraenti.
Si
distingue
così
dai
motivi,
e
cioè
dalle
finalità
individuali,
dalle
utilità
specifiche
che
ciascuno
si

ripromette
e
che
possono
essere
le
più
varie.
Tutte
tali
finalità
rimangono
giuridicamente
irrilevanti
a
meno
che
non

siano
illeciti
o
erronei.
Perché
acquistino
rilevanza
occorre
che
si
inseriscano
nella
struttura
contrattuale,
ad
es.
con

una
clausola
condizionale.
Il
motivo
illecito
rende
nullo
il
contratto
quando
sia
comune
a
entrambe
le
parti
e

determinante
del
consenso.
E’
comune
quando
ambedue
i
contraenti
traggono
profitto
dalla
finalità
illecita.
E’

determinante
quando
le
parti
hanno
stipulato
il
contratto
esclusivamente
per
tale
motivo.
Il
motivo
erroneo,
o
errore

sui
motivi,
rileva
soltanto
nella
donazione
e
nel
testamento:
l’atto
è
annullabile
se
il
donante
o
il
testatore
si
siano

indotti
a
una
certa
disposizione
esclusivamente
per
una
ragione
erronea
e,
inoltre,
tale
ragione
risulti
dall’atto.

+
presupposizione
???


•••••
L’oggetto
del
contratto

Per
oggetto
può
intendersi,
congiuntamente
o
alternativamente,
la
prestazione
prevista,
che
è
l’oggetto
in
senso

stretto,
ovvero
il
contenuto
del
contratto,
e
cioè
l’insieme
delle
disposizioni
contrattuali,
delle
clausole
in
cui
esso

consiste.
L’oggetto
deve
essere
possibile,
lecito,
determinato
o
determinabile.
Possono
essere
dedotti
in
contratto

anche
beni
futuri.
Per
quanto
riguarda
la
determinatezza,
l’oggetto
del
contratto
può
venir
determinato
dalla
legge,

dalle
parti
o
da
un
terzo.
In
quest’ultimo
caso
ciò
che
si
richiede
è
che
sia
stato
stabilito
il
nucleo
centrale,
gli
aspetti

fondamentali
del
contratto
(e,
in
particolare
la
causa).
Quando
le
parti
si
sono
affidate
all’opera
di
un
terzo
si
parla
di

arbitraggio,
che
è
l’atto
di
determinazione
del
contenuto
del
contratto
effettuato
da
un
arbitratore.
Se
il
terzo
non

effettua
la
determinazione,
ovvero
se
questa
è
manifestamente
iniqua
o
erronea,
la
determinazione
è
fatta
dal

giudice.
E’
possibile
però
che
le
parti,
al
fine
di
evitare
incertezze
e
successive
contestazioni,
si
siano
affidate
al
mero

arbitrio
del
terzo:
in
tale
ipotesi
la
determinazione
è
impugnabile
solo
provando
la
mala
fede
del
terzo,
e
cioè
che
egli

ha
dolosamente
agito
in
danno
di
uno
dei
contraenti.

Nei
limiti
precisati,
l’oggetto
del
contratto
potrebbe
essere
affidato
anche
alla

decisione
di
uno
dei
contraenti:
egli

dovrà
effettuare
la
determinazione
con
equo
apprezzamento,
tenendo
presente
che
il
generale
principio
di

correttezza
impone
in
tal
caso
una
determinazione
equilibrata
dell’oggetto
del
contratto.


•••••
La
forma

La
forma
costituisce
elemento
essenziale
del
contratto
solo
nei
casi
specificamente
previsti
dalla
legge
e
tale
forma

richiesta
è
a
pena
di
nullità.
La
forma
è
il
modo
di
manifestazione
della
volontà
negoziale,
è
la
modalità
con
cui
detta

volontà
è
esternata.


Principio
generale
è
quello
della
libertà
di
forma:
le
parti
possono
adottare
la
forma
che
ritengono
più
opportuna.
E’

ammissibile
sia
una
dichiarazione
espressa
sia
una
manifestazione
tacita,
sia
il
silenzio
circostanziato.

In
alcuni
casi
la
legge
impone
non
solo
che
la
dichiarazione
sia
espressa,
ma
anche
che
essa
sia
resa
secondo
certe

modalità:
cosiddetti
negozi
formali
o
a
forma
vincolata.


Devono
farsi
per
atto
pubblico
(documento
redatto
da
un
notaio
o
altro
pubblico
ufficiale
autorizzato
ad
attribuire

pubblica
fede),
sotto
pena
di
nullità,
la
donazione
e
la
costituzione
di
società
di
capitali,
le
convenzioni
matrimoniali
e

gli
atti
istitutivi
di
fondazioni,
nonché
gli
altri
atti
indicati
dalla
legge.

Devono
farsi
almeno
per
scrittura
privata
(qualsiasi
documento
sottoscritto
dall’interessato
che
fa
proprio
il
contenuto

del
documento
stesso
e
si
impegna
a
quanto
è
in
esso
contenuto),
sotto
pena
di
nullità:

1) i
contratti
di
alienazione
della
proprietà
e
degli
altri
diritti
reali
su
beni
immobili
e,
in
genere,
tutti
gli
atti
che

dispongono
di
tali
diritti;

2) le
locazioni
abitative,
ultranovennalli
e
i
conferimenti
in
società
del
godimento
di
immobili
per
un
tempo

superiore
ai
9
anni;

3) i
contratti
relativi
ai
servizi
bancari
e
finanziari
e
diversi
altri.

A
fini
di
protezione
del
contraente
debole,
le
legislazione
ha
esteso
il
requisito
della
forma
scritta
ad
atti
e
contratti

diversi
da
questi:
finalità
primaria
è
quella
di
favorire
la
trasparenza
e
assicurare
adeguata
informazione
del

contraente,
mettendo
a
sua
disposizione
un
testo
documentale.
E’
il
cosiddetto
neoformalismo
negoziale
o
forma

informativa.


La
necessità
di
una
certa
forma
può
derivare
anche
da
un
precedente
accordo
delle
parti:
è
la
cosiddetta
forma

convenzionale.
In
tale
caso,
la
legge
presume
che
la
forma
sia
voluta
per
la
validità
dell’atto.

Esistono
poi
i
contratti
a
prova
formale
(assicurazione,
transazione,
vendita
di
azienda..):
qui
la
legge
prescrive
sì
la

forma
scritta,
ma
al
fine
limitato
della
prova,
il
contratto
dev’essere
solo
provato
per
iscritto.
Diversamente,
il

contratto
sarà
valido
ma
in
caso
di
contestazione
l’interessato
non
potrà
provarlo
con
gli
ordinari
mezzi
di
prova.

Si
noti
che
l’onere
della
forma
scritta
è
assolto
anche
quando
gli
atti
siano
formati
con
strumenti
elettronici
e

telematici
che
diano
luogo
a
documenti
informatici
conformi
alle
regole
tecniche
previste.
Principio
della

equiparazione
a
tutti
gli
effetti
dei
documenti
informatici
ai
tradizionali
documenti
cartacei,
anche
in
ordine
dalla

sottoscrizione
effettuata
tramite
dirma
digitale
ovvero
tramite
firma
elettronica
qualificata,
che
danno
ampie
garanzie

di
autografia
della
sottoscrizione
stessa,
e
cioè
della
provenienza
o
paternità
del
documento.

I
contratti
telematici
sono
contratti
che
vengono
conclusi
tramite
collegamento
a
siti
internet
dei
fornitori
o

professionisti
e
prevedono
l’obbligo
di
informazioni
chiare,
precise
e
in
equivoche
ai
consumatori.


CAPITOLO
34:
Le
clausole
accidentali
del
contratto

I
contraenti
possono
arricchire
il
contratto
inserendo
particolari
clausole,
anche
in
deroga
a
norme
dispositive
di

legge,
per
soddisfare
specifiche
esigenze
e
interessi.
Criterio
generale
alla
loro
validità
sono
sempre
i
limiti
imposti

dalla
legge
e
la
rispondenza
a
interessi
meritevoli
di
tutela
secondo
l’ordinamento
giuridico.

Condizione,
termine
e
modo
sono
clausole
accessorie
dei
negozi,
denominati
anche
elementi
accidentali.
Essi
fanno

parte
del
contratto
soltanto
se
e
parti
li
abbiano
voluti,
inserendoli
nel
loro
accordo.
Essi,
una
volta
inseriti,
incidono

poi
sull’efficacia:
al
pari
delle
altre
clausole
accessorie
a
un
negozio,
ne
modificano
gli
effetti
giuridici
(in
modo
non

dissimile
rispetto
ai
requisiti).


La
condizione

La
condizione
è
la
clausola
che
subordina
gli
effetti
del
contratto
a
un
avvenimento
futuro
e
incerto.


La
condizione
si
dice
sospensiva
se
sospende
l’efficacia
del
negozio
fino
a
che
l’evento
non
si
sia
verificato
e
dunque

gli
effetti
previsti
non
si
verificano
fino
a
quando
non
si
realizzerà
l’evento
dedotto
in
condizione.

La
condizione
è
risolutiva
se,
al
verificarsi
dell’evento,
essa
fa
venir
meno
gli
effetti
già
prodottisi.
Qui
gli
effetti
si

producono
immediatamente,
ma
se
non
si
verificherà
l’evento
previsto
essi
verranno
meno.

La
clausola
condizionale,
o
condizione
volontaria,
è
il
mezzo
con
cui
i
contraenti
possono
attribuire
rilevanza
giuridica

ai
motivi,
agli
interessi
specifici
e
individuali
che
li
inducono
a
un
determinato
negozio.

E’
consentito
apporre
condizioni
in
tutti
gli
atti
negoziali,
anche
unilaterali,
salvo
i
casi
di
specifico
divieto
normativo

(atti
puri
o
legittimi).

Accanto
alla
condizione
volontaria
si
segnala
la
cosiddetta
condizione
legale:
essa
è
la
condizione
posta
dalla
legge.
Si

parla
anche
di
requisito
legale
di
efficacia,
si
tratta
di
un
elemento
estraneo
alla
struttura
tipica
dell’atto,
che
ne

condiziona
dall’esterno
l’efficacia.

L’evento
dedotto
in
condizione
deve
essere
futuro
e
incerto.
Le
parti
(o
il
giudice)
possono
introdurre
un
limite

temporale
al
periodo
entro
il
quale
dovrà
verificarsi
l’evento,
al
fine
di
non
prolungare
eccessivamente
l’incertezza

sulle
sorti
del
contratto.
Dopo
tale
termine
l’evento
si
considera
come
definitivamente
mancato.

In
ordine
al
tipo
di
evento,
la
condizione
si
distingue
in
casuale,
se
il
suo
avveramento
dipende
dal
caso,
e
potestativa,

quando
il
suo
verificarsi
dipende
dalla
volontà
di
una
delle
parti.
Si
parla
di
condizione
potestativa
semplice
quando

l’evento
è
collegato
a
un
comportamento
bensì
volontario,
ma
che
involge
un
qualche
interesse
della
parte,
sì
che
non

risulti
indifferente
il
compierlo
o
no.
Si
definisce
invece
meramente
potestativa
la
condizione
che
dipende
dall’arbitrio

dell’interessato,
da
una
semplice
dichiarazione
di
volontà.
Essa
rende
nullo
l’atto
se
fa
dipendere
l’alienazione
di
un

diritto
o
l’assunzione
di
un
obbligo
alla
mera
volontà
dell’obbligato.

L’evento
dedotto
in
condizione
deve
essere
estraneo
agli
obblighi
contrattuali,
possibile
e
lecito.
La
condizione

impossibile
rende
nullo
il
contratto
se
è
sospensiva;
se
invece
la
condizione
impossibile
è
risolutiva
è
come
se
non

fosse
stata
mai
apposta
e
gli
effetti
prodotti
dal
negozio
non
verranno
mai
rimossi.
La
condizione
è
illecita
quando
è

contraria
a
norme
imperative,
all’ordine
pubblico
o
al
buon
costume
e
rende
nullo
il
contratto.
Con
riguardo
al

testamento
le
condizioni
illecite
e
impossibili
si
considerano
non
apposte.

In
un
contratto
condizionato,
fin
quando
la
condizione
non
si
è
verificata
le
situazioni
giuridiche
in
esso
disciplinate
si

trovano
in
uno
stato
di
incertezza:
se
la
condizione
è
sospensiva
il
diritto
non
è
ancora
sorto
in
capo
all’acquirente,
ma

potrebbe
nascere
in
futuro;
se
la
condizione
è
risolutiva
il
diritto
è
già
stato
acquisito,
ma
potrebbe
venir
meno
e

ricostituirsi
in
capo
alla
controparte.
Questo
stato
si
denomina
pendenza
della
condizione
ed
è
caratterizzato
dal
fatto

che
la
parte,
il
cui
acquisto
è
condizionato
a
un
certo
evento,
non
ha
un
diritto
pieno
e
completo:
è
titolare
piuttosto

di
una
aspettativa.
La
sua
situazione
è
protetta
in
vista
della
possibilità
dell’acquisto
di
un
diritto.


In
pendenza
della
condizione,
ciascuna
delle
parti
deve
comportarsi
secondo
buona
fede
per
conservare
integre
le

ragioni
dell’altra.
Sia
l’alienante
che
l’acquirente
sotto
condizione
sono
tenuti
a
custodire
il
bene
e
a
non
deteriorarlo,

in
vista
del
possibile
acquisto
(o
riacquisto)
in
capo
alla
controparte,
pena
il
risarcimento
dei
danni.


La
condizione
si
considera
avverata
ove
sia
mancata
per
causa
imputabile
alla
parte
che
aveva
interesse
contrario

all’avvenimento
di
essa.

Il
titolare
del
diritto
può
compiete
atti
dispositivi,
ma
gli
effetti
di
tali
atti
sono
subordinati
alla
sorte
del
primo

contratto.

Si
ha
avveramento
della
condizione
quando
si
verifica
l’evento
contemplato.
L’avveramento
risolve
la
situazione
di

incertezza
e
rende
il
contratto
definitivamente
efficace
o
inefficace.
Essa
ha
effetto
retroattivo:
gli
effetti

retroagiscono
al
tempo
in
cui
è
stato
concluso
il
contratto;
è
come
se
il
contratto
avesse
prodotto
i
propri
effetti
fin

dal
tempo
della
sua
stipulazione
ovvero
non
li
avesse
mai
prodotti.
La
retroattività
può
essere
esclusa
dalla
volontà

delle
paarti
o
dalla
natura
del
rapporto.
La
retroattività
non
pregiudica
la
validità
degli
atti
di
OA
e
in
genere
il

godimento
diretto
del
bene:
i
frutti
percepiti
non
vanno
restituiti
se
non
dal
gg
in
cui
si
è
avverata
la
condizione.


Il
termine

Il
termine
è
il
momento
dal
quale
o
fino
al
quale
si
produrranno
gli
effetti
del
contratto:
cosiddetto
termine
di

efficacia.
E’
stabilito
in
relazione
a
un
evento
futuro
e
certo:
può
consistere
in
una
data
prefissata
(termine

determinato)
o
in
un
qualsiasi
altro
accadimento,
purchè
certo
(termine
indeterminato).
Il
termine
si
caratterizza
per

la
certezza
dell’avvenimento,
anche
se
sia
incerto
quando
si
verificherà.


Iltermne
ha
la
funzione
di
adeguare
gli
effetti
di
un
contratto

agli
specifici
interessi
delle
parti,
in
particolare
in
ordine

alla
durata
del
rapporto
contrattuale.
Non
in
tutti
i
negozi
è
consentito
apporre
un
termine.


Il
termine
non
dà
luogo
a
incertezza
sulle
sorti
del
contratto;
svolge
piuttosto
la
funzione
di
delimitarne
gli
effetti
nel

tempo:
vuoi
in
ordine
al
momento
iniziale
(termine
iniziale),
vuoi
in
ordine
al
momento
finale
(termine
finale).

E’
valido
il
termine
potestativo,
e
cioè
la
clausola
che
rimette
alla
volontà
dell’obbligato
la
determinazione
del

momento
iniziale
o
finale
del
rapporto.

L’eventuale
incertezza
derivante
dall’inutile
decorso
di
un
congruo
lasso
di

tempo,
potrà
essere
eliminata
a
iniziativa
della
controparte
che
chieda
al
giudice
la
fissazione
di
un
termine.
Il
termine

non
ha
effetti
retroattivi.


Il
modo
nei
negozi
gratuiti

Il
modo
è
una
limitazione
apposta
a
una
attribuzione
gratuita.
Il
modo
è
perciò
un
obbligo
giuridico
che
grava
sul

beneficiario
di
una
attribuzione
gratuita
e
che
viene
a
limitare,
a
ridurre
il
valore
del
beneficio.


Anche
la
clausola
modale
costituisce
un
mezzo
col
quale
si
attribuisce
rilevanza
a
particolari
motivi
o
finalità

dell’autore
del
negozio:
la
sua
caratteristica
è
che
può
essere
inserita
solo
nei
negozi
gratuiti.
Il
modo
impossibile
o

illecito
si
considera
non
apposto,
salvo
che
abbia
costituito
il
solo
motivo
determinante
della
disposizione.
L’onere
può

consistere
in
un
dare,
in
un
fare,
in
un
non
fare.
Costituisce
una
vera
e
propria
obbligazione,
giuridicamente

vincolante,
di
cui
può
chiedere
l’adempimento
coattivo
chiunque
vi
abbia
interesse.


La
clausola
penale
e
la
caparra

Clausola
penale
e
caparra
sono
pattuizioni
che
svolgono
la
funzione
di
rafforzare
il
vincolo
contrattuale,
semplificando

la
prova
e
la
liquidazione
dei
danni
per
l’inadempimento
o
il
recesso.

La
clausola
penale
è
una
determinazione
anticipata
e
forfettaria
del
risarcimento
per
il
caso
di
inadempimento
o

ritardo.
Funzione
della
clausola
è
dunque
quella
di
precostituire
un
diritto
al
risarcimento
senza
che
sia
necessario

fornire
la
prova
del
danno
(determinazione
convenzionale
e
anticipata
del
risarcimento).
D’altra
parte
essa
limita

detto
risarcimento
alla
somma
convenuta
(liquidazione
forfettaria).
La
penale
può
essere
equamente
diminuita
dal

giudice
ove
essa
sia
manifestamente
eccessiva.


La
caparra
confirmatoria
è
la
somma
consegnata
a
una
parte,
al
momento
della
conclusione
del
contratto,
a
garanzia

dell’impegno
contrattuale
assunto.
Al
momento
dell’adempimento,
la
caparra
sarà
imputata
alla
prestazione
dovuta

(costituisce
un
acconto
sul
prezzo),
ovvero
restituita
(quando
la
prestazione
consiste
nel
dare
altre
cose
o
in
un
fare)
e

in
tal
senso
costituisce
una
garanzia
del
futuro
adempimento,
che
rafforza
il
vincolo
contrattuale.

In
caso
di
inadempimento
di
chi
ha
dato
la
caparra,
l’altra
parte
può
recedere
dal
contratto
ritenendo
la
caparra
a

titolo
di
risarcimento.
Ove
sia
inadempiente
chi
ha
ricevuto
la
somma,
sarà
la
controparte
a
poter
recedere
dal

contratto
esigendo
il
doppio
della
caparra
data
(funzione
di
anticipata
liquidazione
del
danno
per
il
caso
di

inadempimento).
La
parte
non
inadempiente
conserva
comunque
la
facoltà
di
chiedere
il
risarcimento
secondo
le

regole
generali.


La
caparra
penitenziale
è
la
somma
consegnata
a
una
parte,
al
momento
della
conclusione
del
contratto,
a
titolo
di

corrispettivo
per
il
(futuro,
eventuale
esercizio
del)
diritto
di
recesso
attribuito
alla
controparte.
E’
possibile
quindi
che

le
parti
abbiano
convenuto
a
favore
di
una
di
esse
la
facoltà
di
recedere
dal
contratto,
di
sciogliersi
con
decisione

unilaterale
dal
vincolo
contrattuale.
La
caparra
ha
quindi
funzione
di
corrispettivo
del
recesso.
Il
recedente
perde
la

caparra
data
o
deve
restituire
il
doppio
di
quella
ricevuta.


La
multa
penitenziale,
invece,
è
caratterizzata
dal
fatto
che
la
pattuizione
della
facoltà
di
recesso
non
è
accompagnata

dalla
consegna
immediata
(al
momento
della
conclusione
del
contratto)
della
somma
di
denaro,
bensì
dalla
previsione

dell’obbligo
di
pagare
una
multa
se
e
quando
la
parte
deciderà
di
recedere.
Il
recesso
produce
effetti
solo
quando
la

prestazione
è
eseguita.


CAPITOLO
35:
Invalidità
del
contratto

Quando
l’atto
è
conforme
ai
requisiti
previsti
si
dice
che
esso
è
valido,
e
si
parla
di
validità
del
contratto
per
indicare
la

sua
conformità
alle
regole
dettate
dalla
legge.
Viceversa,
si
avrà
invalidità
del
contratto
quando
esso
non
sia

regolarmente
formato,
quando
manchi
o
sia
illecito
uno
dei
suoi
elementi.
La
legge
colpisce
con
invalidità
anche

ipotesi
diverse,
quando
valuta
l’atto
come
socialmente
inutile
o
addirittura
dannoso:
per
ragioni
dunque
che

rimangono
estranee
al
profilo
strutturale.

L’invalidità
pertanto
è
la
sanzione
che
colpisce
l’atto
giuridicamente
irregolare
e
comporta
l’inidoneità
dell’atto
a

conseguire
gli
effetti
cui
esso
è
diretto.
Si
distinguono
tre
forme
o
specie
di
invalidità:
la
nullità,
l’annullabilità
e
la

rescindibilità.
Il
negozio
nullo
è
fin
dall’inizio
radicalmente
inefficace,
il
negozio
annullabile
e
il
contratto
rescindibile

sono
intanto
efficaci,
ma
la
loro
è
una
efficacia
precaria:
può
venir
meno
a
seguito
dell’annullamento
o
della

rescissione
pronunciata
dal
giudice.


LA
NULLITA’

La
nullità
è
la
forma
generale
e
più
grave
di
invalidità
del
contratto
(e
del
negozio
in
genere)
e
comporta
la
radicale
e

definitiva
inefficacia
dell’atto.
E’
prevista
a
tutela
di
interessi
generali,
non
disponibili
dalle
parti:
nessuna
di
esse
può

rinunziare
a
far
valere
la
nullità
e
il
giudice
deve
anzi
rilevarla
d’ufficio.
La
nullità
inoltre
è
irrimediabile:
non
è

consentito
alle
parti
rimediare
al
vizio.
La
nullità
inoltre
ha
carattere
generale,
in
quanto
il
contratto
è
nullo
in
tutte
le

ipotesi
in
cui
è
contrario
a
norme
imperative,
salvo
che
la
legge
disponga
diversamente.

Si
possono
individuare
tre
gruppi
fondamentali
di
nullità:

1) Nullità
strutturali:
sono
le
invalidità
che
attengono
alla
mancanza
o
irregolarità
di
uno
dei
requisiti
essenziali
dell’atto
e,

pertanto,
hanno
carattere
generale,
riguardando
tutti
i
contratti
e
in
genere
gli
atti
negoziali.

2) Nullità
testuali:
si
tratta
delle
ipotesi
in
cui
è
espressamente
sancita
la
nullità
in
ragione
della
violazione
di
una
previsione

specifica
e
particolare.

3) Nullità
virtuali:
sono
i
casi
in
cui
manca
una
espressa
comminatoria
di
nullità,
ma
essa
viene
desunta
dall’interprete
in

base
al
collegamento
tra
la
violazione
di
una
norma
imperativa
e
il
1°
comma
dell’art.
1418
c.c.

Il
contratto
è
nullo
quando
manca
o
è
illecito
uno
dei
suoi
requisiti
essenziali.

•
Mancanza
dei
requisiti

Il
contratto
è
nullo
quando
manca
uno
dei
suoi
requisiti
o
elementi
essenziali:
causa,
oggetto,
forma
richiesta,
accordo

delle
parti.
Alla
mancanza
vera
e
propria
va
equiparata
la
insufficiente
o
inadeguata
determinazione.


Nei
contratti
tipici
la
causa
potrebbe
mancare
in
concreto,
con
riferimento
al
singolo
affare,
ad
es.
quando
essa
non

può
effettivamente
realizzarsi;
nei
contratti
atipici
la
causa
manca
quando
le
parti
perseguono
interessi
non
meritevoli

di
tutela,
in
quanto
considerati
irrilevanti
dall’ordinamento.


L’oggetto
manca
quando
non
esiste
materialmente
il
bene
ovvero
esso
è
impossibile
o
indeterminato.

La
forma
poi
può
mancare
perché
quella
adottata
non
rispetta
le
prescrizioni
legali.

Può
mancare
l’accordo
delle
parti.

Si
distinguono
due
ipotesi
fondamentali:
mancanza
di
volontà
e
divergenza
tra
volontà
e
dichiarazione.

Una
vera
e
propria
mancanza
di
volontà
si
ha
nei
casi
di
dichiarazione
non
seria,
come
avviene
quando
la
dichiarazione

sia
fatta
per
ischerzo,
a
scopi
didattici,
nel
corso
di
una
rappresentazione
teatrale.
Tutti
comprendono
che
manca
un

reale
intento
negoziale.
La
volontà
manca
inoltre
nel
caso
della
cosiddetta
violenza
fisica.

Si
ha
divergenza
tra
volontà
e
dichiarazione
nei
casi
di
errore
ostativo
e
di
simulazione.
L’errore
ostativo
è
l’errore

commesso
nell’emettere
una
dichiarazione.

Occorre
pur
sempre
che
una
parvenza
di
accordo
contrattuale
vi
sia:
diversamente,
non
si
avrà
un
atto
nullo,
bensì

addirittura
inesistente.

•Illiceità
del
contratto

Il
contratto
è
nullo
quando
è
illecito,
quando
cioè
è
contrario
a
norme
imperative,
all’ordine
pubblico
o
al
buon

costume.


La
nullità
è
una
forma
di
invalidità
insanabile:
non
si
può
rimediare
al
difetto
dell’atto,
che
rimane
definitivamente

viziato
non
essendo
suscettibile
di
sanatoria.
Le
parti,
concordemente,
possono
fare
una
rinnovazione
del
contratto,
e

cioè
stipulare
un
nuovo
negozio
evitando
il
difetto
che
ha
dato
luogo
alla
nullità.
Gli
effetti
prenderanno
vita
dalla

nuova
data
in
cui
esso
sia
compiuto.

Sono
previste
alcune
forme
di
recupero
dell’atto
nullo
fondate
su
un
meccanismo
di
modificazione
legale
dell’atto

viziato.
Ciò
si
verifica
nelle
ipotesi
di
nullità
parziale
e
di
conversione.

La
nullità
parziale
è
la
nullità
che
riguarda
solo
una
parte
o
clausola
del
contratto
(o,
nei
contratti
plurilaterali,
solo
il

vincolo
di
uno
dei
contraenti).
Se
la
clausola
è
stata
determinante
cade
l’intero
contratto.
Se
invece
le
parti
lo

avrebbero
egualmente
concluso
senza
la
parte
colpita
da
nullità,
rimane
caducata
solo
tale
parte
e
il
rimanente

contratto
resta
valido.
Non
occorre
una
dichiarazione
di
volontà
delle
parti
per
conservare
il
contratto
modificato.

Non
si
fa
luogo
a
siffatta
valutazione
dell’importanza
oggettiva
della
clausola
nei
casi
in
cui
opera
la
cosiddetta

inserzione
automatica
di
clausole,
e
cioè
quando
la
legge
prevede
che
le
clausole
nulle
sono
sostituite
di
diritto
da

norme
imperative.
Ne
sono
un
esempio
i
prezzi
d’imperio:
quando
i
prezzi
di
beni
e
servizi
imposti
dalla
legge
sono
di

diritto
inseriti
nel
contratto,
anche
in
sostituzione
delle
clausole
difformi
apposte
dalle
parti.
In
tali
ipotesi
il
contratto

rimane
valido,
sia
pure
con
la
correzione
imposta
dalla
legge.

La
conversione
è
la
trasformazione
legale
del
contratto
nullo
in
un
contratto
diverso
e
valido.
Il
contratto
nullo
può

produrre
gli
effetti
di
un
contratto
diverso,
del
quale
contenga
i
requisiti
di
sostanza
e
di
forma,
qualora
debba

ritenersi
che
le
parti
lo
avrebbero
voluto
se
avessero
conosciuto
la
causa
di
nullità.
La
conversione
opera
di
diritto

sulla
base
di
due
requisiti:
a)
la
sussistenza
dei
requisiti
di
sostanza
e
di
forma
di
un
altro
contratto
e
b)
la
obiettiva

congruità
tra
gli
effetti
del
nuovo
contratto
e
lo
scopo
perseguito
dalle
parti.

La
conversione
non
richiede
alcuna
dichiarazione
di
volontà
attuale
ed
è
indipendente
da
essa.

Non
si
fa
luogo
a
tale
valutazione
di
congruità
nella
cosiddetta
conversione
automatica
o
legale,
disposta

direttamente
dalla
legge
in
alcune
ipotesi
specifiche.

Analogamente
avviene
nella
cosiddetta
conversione
formale:
un
negozio,
nullo
per
difetto
di
forma,
si
converte

automaticamente
in

un
altro
di
tipo
formale
conservando
gli
stessi
effetti
giuridici.
Qui
il
contratto
rimane
invariato

nel
suo
contenuto,
ciò
che
si
modifica
è
solo
il
tipo
formale.


L’azione
di
nullità

La
sanzione
della
nullità
opera
automaticamente
e
il
contratto
nullo
è
inefficace
fin
dall’origine.
Pertanto,
l’azione
di

nullità
è
un’azione
di
mero
accertamento:
il
giudice
dovrà
solo
accertare,
verificare
che
il
contratto
impugnato
sia

effettivamente
nullo
e
la
relativa
pronuncia
sarà
una
sentenza
dichiarativa.
Essa
non
modifica
la
realtà
giuridica

preesistente.
Le
prestazioni
eventualmente
eseguite
in
adempimento
al
contratto
nullo
vanno
restituite.

La
nullità
può
essere
fatta
valere
da
chiunque
vi
abbia
interesse.

Sono
state
introdotte
ipotesi
di
nullità
relativa,
e
cioè
di
nullità
che
può
essere
fatta
valere
solo
da
uno
dei
contraenti,

il
cosiddetto
contraente
debole,
rimettendo
cosi
alla
sua
valutazione
l’opportunità
di
far
dichiarare
l’invalidità.


L’azione
di
nullità
è
imprescrittibile:
può
essere
fatta
valere
senza
limiti
di
tempo.

Le
nullità
di
protezione

Le
nullità
di
protezione
assolvono
alla
funzione
di
tutela
di
interessi
seriali
e
cioè
di
specifiche
categorie
di
contraenti,

e
in
particolare
dei
consumatori
a
fronte
delle
clausole
vessatorie.
Sono
dirette
a
sanzionare
lo
squilibrio
tra
diritti
e

obblighi
delle
parti
operando
a
favore
dei
contraenti
deboli.
La
loro
disciplina
è
caratterizzata
da:

‐ nullità
parziale
necessaria,
nel
senso
che
l’invalidità
delle
singole
clausole
in
nessun
caso
si
estende
all’intero

contratto;

‐ legittimazione
ad
agire
relativa,
riservata
al
contraente
protetto

‐ rilevabilità
d’ufficio
da
parte
del
giudice,
ma
solo
se
la
parte
tutelata
non
manifesti
l’intento
di
mantenere
in

vita
le
clausole;

‐ inefficacia
automatica
e
ab
origine
delle
clausole
vessatorie
e
contro
il
contraente
debole;

‐ integrazione,
legale
o
giudiziale,
delle
lacune
derivanti
dalla
caducazione
della
clausola.


L’ANNULLABILITA’

L’annullabilità
è
una
forma
di
invalidità
meno
grave
della
nullità.
Il
negozio
annullabile
è
provvisoriamente
efficace:
gli

effetti
possono
venir
meno
a
seguito
di
sentenza
di
annullamento,
su
domanda
della
parte
tutelata.
L’annullabilità

tutela
interessi
individuali,
di
uno
dei
contraenti
a
cui
sta
la
valutazione
se
tenere
fermo
l’atto
o
farlo
cadere
con

l’impugnazione
giuridica.

L’annullabilità
è
una
forma
speciale
di
invalidità:
non
ha
cioè
portata
generale
come
la
nullità,
bensì
limitata
alle
sole

ipotesi
specificamente
previste.
L’annullabilità
è
prevista
per
i
casi
di
incapacità
di
agire
e
di
vizi
della
volontà.

Il
rimedio
è
applicabile
a
tutti
gli
atti
negoziali,
anche
unilaterali.

L’incapacità
di
agire

Il
negozio
è
annullabile,
anzitutto,
nei
casi
di
incapacità
di
una
delle
parti,
legale
o

naturale.

In
caso
di
incapacità
legale
di
agire
gli
atti
possono
essere
annullati
su
istanza
dell’incapace
o
del
suo
rappresentante
a

prescindere
dalla
circostanza
che
l’altro
contraente
conoscesse
la
condizione
d’incapacità
legale
della
parte.

L’incapacità
naturale
è
la
condizione
di
chi,
sebbene
non
interdetto
sia
stato
incapace
di
intendere
o
di
volere
al

momento
in
cui
ha
posto
in
essere
un
atto
giuridico.
Qua
viene
tutelato
l’eventuale
affidamento
della
controparte.
In

questo
caso,
in
un
contratto,
occorre
dimostrare
la
mala
fede
dell’altro
contraente
desunta
dal
pregiudizio
che
sia

derivato
o
possa
derivare
al
soggetto
ovvero
dalla
qualità
del
contratto
o
altrimenti.
Per
gli
altri
atti
occorre
invece
che

ne
risulti
un
grave
pregiudizio
all’incapace.

I
vizi
del
consenso

I
vizi
del
consenso
sono
ipotesi
di
alterazione
della
volontà
negoziale
che
si
forma
in
maniera
distorta.
I
vizi
della

volontà
possono
definirsi
come
anomalie
del
processo
formativo
della
volontà,
in
quanto
viziano
il
consenso
a
un

contratto
o
altro
atto
negoziale.
Una
volontà
sussiste
pur
sempre,
anche
se
viziata,
e
il
rimedio
offerto
dalla
legge
è

quello
dell’annullabilità.
Il
codice
civile
considera
vizi
del
consenso

l’errore,
la
violenza
e
il
dolo.

L’errore

L’errore
consiste
in
una
falsa
conoscenza
della
realtà
che
determina
una
delle
parti
a
un
contratto
che,
senza

quell’errore,
non
avrebbe
stipulato.
L’errore
però
deve
essere
essenziale
e
riconoscibile
dall’altro
contraente.
L’errore

è
riconoscibile
quando
una
persona
di
normale
diligenza
avrebbe
potuto
rilevarlo.
L’errore
è
essenziale
quando

riguarda
la
stessa
essenza
del
contratto,
e
cioè
quando
cade
su
un
elemento
obiettivamente
caratterizzante
di
esso
e

che
riveste
una
rilevanza,
tanto
da
risultare
decisivo
per
la
sua
stipulazione.
L’errore
è
essenziale
quando
cade:

a) sulla
natura
o
sull’oggetto
del
contratto;

b) su
una
qualità
della
prestazione
in
concreto
essenziale
per
il
contraente;

c) sull’identità
o
sulle
qualità
dell’altro
contraente,
sempre
che
esse
siano
da
ritenere
determinanti
del

consenso;

d) sulla
quantità
della
prestazione
che
non
soddisfa
neppure
proporzionalmente
l’interesse
del
contraente.
Il

semplice
errore
di
calcolo
però
dà
luogo
a

una
mera
rettifica.

E’
infine
rilevante
l’errore
di
diritto,
purchè
esso
sia
stato
la
ragione
unica
o
principale
del
contratto.
Per
errore
di

diritto
si
intende
l’errore
che
cade
sull’esistenza
o
sul
contenuto
di
una
norma
giuridica.
L’ignoranza
di
una
norma

induce
a
valutare
erroneamente
una
certa
situazione
e,
sulla
base
di
tale
valutazione
erronea,
a
stipulare
il
contratto.

L’errore
di
diritto
deve
cadere
su
un
elemento
interno
al
contratto.

Il
dolo

Il
dolo
è
un
inganno
che
induce
in
errore
l’altro
contraente.
Il
dolo
è
causa
di
annullamento
del
contratto
quando
i

raggiri
sono
stati
tali
che,
senza
di
essi,
l’altro
contraente
non
avrebbe
stipulato.
Il
dolo,
cioè,
deve
essere

determinante
del
consenso
(dolus
malus).
In
caso
di
dolus
bonus,
che
consiste
nella
esagerata
esaltazione
della
qualità

della
merce
o
del
servizio
non
si
ha
né
annullabilità
del
contratto
né
risarcimento
dei
danni.
Si
ha
risarcimento
quando

il
raggiro
influisce
solo
sul
contenuto
del
contratto
ma
esso
non
è
stato
determinante.

Può
aversi
dolo
sia
tramite
artifici
o
raggiri
complessi
sia
con
la
semplice
menzogna.

Quello
di
cui
finora
si
è
parlato
è
il
dolo
commissivo,
perché
suppone
un
atto,
la
commissione
di
una
qualche
azione

atta
ad
ingannare.
Esiste
anche
il
dolo
omissivo,
l’inganno
cioè
realizzato
tramite
una
omissione
nelle
ipotesi
in
cui
la

parte
aveva
uno
specifico
obbligo
di
informazione.

Non
si
richiede
che
l’errore
sia
essenziale
e
ben
può
riguardare
elementi
esterni
al
contratto,
ad
es.
i
motivi.
Il

contratto
è
annullabile
anche
quando
i
raggiri
sono
stati
usati
da
un
terzo,
se
essi
erano
noti
al
contraente
che
ne
ha

tratto
vantaggio.

La
violenza


La
violenza
è
la
minaccia
di
un
male
ingiusto
e
notevole,
alla
persona
o
ai
beni
del
contraente
o
di
terzi,
esercitata
al

fine
di
estorcere
il
consenso
a
un
determinato
contratto
o
negozio.
Caratteristica
della
violenza
è
perciò
la
pressione

psicologica
esercitata
sul
soggetto:
il
minacciato
è
posto
nell’alternativa
tra
il
resistere
alla
pressione,
rischiando
di

subire
il
male,
e
il
cedere
stipulando
il
contratto.
Se
il
minacciato
cede,
e
stipula
il
contratto,
viene
alterato
il
processo

formativo
della
volontà
che,
senza
la
minaccia,
si
sarebbe
orientata
diversamente.


La
sanzione
è
quella
dell’annullabilità.


In
tale
tipo
di
violenza,
chiamata
morale,
non
è
del
tutto
esclusa
la
libertà
del
minacciato.
(Si
distingue
la
violenza

fisica,
quale
costrizione
materiale
che
non
lascia
spazio
di
libertà:
e
la
conseguenza

è
quella
della
nullità
o
inesistenza

del
negozio).

La
minaccia
per
dar
luogo
alla
annullabilità
deve
essere
seria,
dev’essere
cioè
di
tal
natura
da
fare
impressione
sopra

una
persona
sensata,
si
fa
riferimento
a
una
sorta
di
media
emotività.
Sono
quindi
irrilevanti
il
timore
referenziale,
e

cioè
la
condizione
psicologica
di
soggezione
verso
le
persone
autorevoli
o
influenti,
in
campo
professionale,
familiare
o

sociale.
Esso
costituisce
perciò
una
condizione
psicologica
interna
al
soggetto
e
preesistente
all’atto
negoziale.

Quando
tale
soggezione
sia
alimentata
o
ingigantita
dall’esterno
tramite
pressioni
insistenti,
allusioni
o
pressanti

raccomandazioni,
può
arrivarsi
a
una
vera
e
propria
intimidazione.
Tali
pressioni
generano
dall’esterno
un
timore
che,

se
sussistono
gli
altri
requisiti,
costituirà
violenza
morale.

La
serietà
della
minaccia
va
valutata
anche
in
relazione
al
male
minacciato.
Esso
deve
riguardare
la
persona
o
i
beni
del

contraente
o
di
altre
persone
a
lui
vicine.
Deve
inoltre
essere
ingiusto
e
notevole.
E’
notevole
quando
il
danno
è

rilevante,
ingiusto
quando
lede
un
interesse
protetto
dalla
legge.

Anche
la
minaccia
di
far
valere
un
diritto
può
integrare
una
violenza
quando
essa
sia
diretta
a
conseguire
vantaggi

ingiusti.
La
minaccia
è
lecita
quando
è
volta
a
ottenere
un
contratto
che
ha
diretta
attinenza
con
la
soddisfazione
del

proprio
diritto
in
quanto
garanzie
e
prestazioni
richieste
sono
strumentali
alla
soddisfazione
di
tale
interesse.

La
violenza
è
rilevante
anche
se,
provenendo
da
un
terzo,
il
contraente
che
ne
trae
vantaggio
non
ne
era
a

conoscenza.


L’azione
di
annullamento

L’azione
di
annullamento
è
la
domanda
giudiziale
diretta
a
far
annullare
il
contratto.
Essa
spetta
alla
parte
nel
cui

interesse
è
stabilita
dalla
legge.
L’iniziativa
quindi
è
riservata
al
soggetto
tutelato:
incapace
(e
rappresentante
legale)
e

al
contraente
il
cui
consenso
è
viziato
da
errore,
dolo
o
violenza.
L’azione
si
prescrive
in
5
anni,
decorrenti
dal

momento
in
cui
è
cessato
lo
stato
di
incapacità
ovvero
si
è
scoperto
l’errore
o
il
dolo
o
è
cessata
la
violenza.

Effetto
dell’annullamento
è
l’eliminazione
del
contratto
(o
atto
negoziale)
e
la
caducazione
(fin
dall’origine)
del

rapporto
giuridico
sorto
da
esso.
Con
tale
sentenza
il
contratto‐atto
viene
travolto
e,
conseguentemente,
viene
meno,

con
effetto
retroattivo,
il
rapporto
sorto
dal
contratto
medesimo.
Si
dice
perciò
che
la
sentenza
d
annullamento
è
una

sentenza
costitutiva.
Tale
sentenza
quindi
ha
effetto
retroattivo:
è
come
se
il
contratto
non
fosse
mai
stato
stipulato,

non
si
è
tenuti
ad
eseguirlo
e
le
prestazioni
eventualmente
adempiute
vanno
restituite(
non
dovute
o
indebite).

Rispetto
ai
terzi
però
la
retroattività
non
è
assoluta.
L’annullamento
che
non
dipende
da
incapacità
legale
non

pregiudica
i
diritti
acquistati
a
titolo
oneroso
dai
terzi
di
buona
fede.
L’annullamento
del
contratto
da
diritto
al

risarcimento
dei
danni,
sempre
che
vi
sia
colpa
in
capo
all’altro
contraente.


Il
contratto
annullabile
può
essere
sanato:
la
parte
tutelata,
se
vuole
può
convalidare
l’atto.
La
convalida
perciò
è
un

atto
di
conferma
del
contratto
annullabile
proveniente
dal
contraente
al
quale
spetta
l’azione
di
annullamento.

Requisito
di
essa
è
che
il
soggetto
sia
in
condizione
di
stipulare
un
valido
contratto
(cessato
lo
stato
di
incapacità

ovvero
si
è
scoperto
l’errore
o
il
dolo
o
è
cessata
la
violenza).
La
convalida
è
un
atto
negoziale.

La
convalida
espressa
è
una
esplicita
dichiarazione
di
voler
convalidare
il
contratto,
accompagnata
dalla
menzione

dell’atto
e
dalla
causa
che
lo
invalida.

La
convalida
tacita
è
un
comportamento
concludente,
incompatibile
con
la
volontà
di
chiedere
l’annullamento,
da
cui

si
desume
l’intento
di
confermare
l’atto.

Accanto
ad
essa
si
pone
il
rimedio
della
rettifica
in
caso
di
errore.
La
rettifica
consiste
nell’offerta
di
eseguire
il

contratto
in
modo
conforme
alle
aspettative
della
controparte.
La
rettifica
rende
il
contratto
definitivamente
efficace

come
la
convalida.


LA
RESCINDIBILITA’

Il
contratto
può
essere
rescisso
quando
è
stato
concluso
a
condizioni
inique
per
la
condizione
di
alterata
libertà
di

volere
di
uno
dei
contraenti:
può
aversi
rescissione
quando
le
condizioni
inique
sono
state
determinate
dallo
stato
di

bisogno
ovvero
dallo
stato
di
pericolo
in
cui
si
trovava
uno
dei
contraenti.
Tale
situazione
di
bisogno
o
di
pericolo
di

una
delle
parti
non
le
ha
consentito
una
autentica
libertà
di
decisione
e
valuta
il
consenso
al
contratto
come
coartato

dalla
situazione
soggettiva,
piuttosto
che
come
libero.
Il
rimedio
della
rescissione
sanziona
l’abusivo
approfitta
mento

dell’altrui
menomata
libertà
negoziale.
L’azione
di
rescissione
compete
solo
alla
parte
che
si
sia
trovata
nello
stato
di

pericolo
o
di
bisogno.
Si
prescrive
in
un
anno
dalla
conclusione
del
contratto
e
non
è
ammessa
convalida.
E’

ammissibile
solo
la
rettifica,
quale
offerta
di
una
modificazione
del
contratto
sufficiente
per
ricondurlo
a
equità.
La

rescissione
è
pronunciata
dal
giudice
e
ha
effetto
retroattivo
solo
tra
le
parti,
non
anche
verso
i
terzi.

Rescissione
per
stato
di
pericolo

Lo
stato
di
pericolo
è
la
particolare
condizione
del
soggetto
che
contrae
per
la
necessità
di
salvare
sé
o
altri
dal

pericolo
attuale
di
un
danno
grave
alla
persona.
Ne
sono
requisiti
perciò
l’attualità
del
pericolo,
il
fatto
che
il
pericolo

sia
conosciuto
dall’altra
parte,
la
gravità
del
pregiudizio
temuto
a
beni
personali
(vita,
onore..).

L’iniquità
delle

condizioni
contrattuali
è
la
sproporzione
fra
l’entità
delle
due
prestazioni,
secondo
i
valori
di
mercato.

Rescissione
per
stato
di
bisogno

Lo
stato
di
bisogno
è
la
condizione
di
seria
difficoltà
economica
o
finanziaria
in
cui
versa
una
parte.
Oltre
allo
stato
di

bisogno
sono
requisiti
la
lesione
e
l’approfittamento
della
controparte.


La
lesione
è
una
specifica
sproporzione
fra
l’entità
delle
due
prestazioni
superiore
alla
metà.
L’approfittamento
dello

stato
di
bisogno
si
realizza
quando
l’altro
contraente,
consapevole
dell’altrui
difficoltà,
trae
vantaggio
da
tale

situazione.


CAPITOLO
36:
Gli
effetti
del
contratto

L’effetto
fondamentale
del
contratto
consiste
nel
vincolo
che
si
instaura
tra
le
parti
e
che
ben
può
dirsi
generale
in

quanto
consegue
a
tutti
i
contratti.
Si
concretizza
nel
divieto
di
sciogliersi
unilateralmente
dal
rapporto
e
nell’obbligo

di
conservare
integre
le
ragioni
della
controparte
che
si
ritrova
nel
contratto
sottoposto
a
condizione
sospensiva

durante
la
pendenza.
Tale
effetto
fondamentale
ha
carattere
strumentale
rispetto
agli
interessi
specifici
che
hanno

indotto
le
parti
al
contratto.

Accanto
ad
esso,
vi
sono
poi
altre
conseguenze,
dette
effetti
finali,
o
propri
o
tipici,
che
variano
in
relazione
al
tipo
di

contratto
e
che
sono
volti
più
direttamente
a
soddisfare
gli
interessi
specifici
che
le
parti
hanno
inteso
regolare
col

contratto.
Le
parti,
entro
certi
limiti,
possono
disporre
di
tali
effetti
finali
(condizione,
termine..)
mentre
non
possono

disporre
dell’effetto
fondamentale
escludendolo
o
rinviandolo
nel
tempo.

Avuto
riguardo
agli
effetti
finali,
si
distinguono
contratti
a
effetti
obbligatori
e
contratti
a
effetti
reali.
Sono
a
effetti

obbligatori
i
contratti
da
cui
derivano
obbligazioni
in
capo
ai
contraenti:
obbligano
cioè
una
o
entrambe
le
parti
a
una

qualche
attività
o
risultato
necessari
per
la
realizzazione
dell’interesse.

Si
dicono
invece
a
effetti
reali
i
contratti
che
producono
l’immediata
attribuzione
del
diritto
alla
controparte
per

effetto
del
semplice
consenso,
senza
che
sia
necessaria
alcuna
attività.
Nei
contratti
a
effetti
reali
si
producono
di

norma
anche
effetti
obbligatori.
Il
trasferimento
del
diritto
è
immediato
e
automatico
alla
conclusione
del
contratto
e

tali
contratti
ben
si
potrebbero
definire
a
effetto
traslativo
immediato.

Contratti
a
effetti
traslativi
differiti:


Si
può
trasferire
immediatamente
il
diritto
solo
se
il
suo
oggetto
esiste
attualmente,
sia
sufficientemente
individuato

nella
sua
specificità,
sia
nella
titolarità
di
chi
ne
dispone.
Dunque
ha
soltanto
effetti
obbligatori
la
vendita
che
ha
ad

oggetto
cose
generiche,
cose
future,
cose
altrui:
ciò
significa
che
dal
contratto
sorge
l’obbligo
per
il
venditore
di

adoperarsi
per
far
acquistare
all’alienatario
il
diritto
promesso.
Per
quanto
concerne
la
vendita
di
cose
generiche
la

proprietà
si
trasmette
con
la
individuazione:
cioè
con
la
specificazione
di
quali
cose,
fra
le
tante
dello
stesso
genere,

sono
assegnate
al
compratore.
L’individuazione
può
avvenire
o
con
la
separazione
delle
cose
ovvero
mediante
la

consegna
al
vettore
o
allo
spedizioniere
per
cose
che
devono
essere
trasportate.

Negli
altri
casi
indicati
l’effetto
reale
si
produrrà,
rispettivamente,
con
la
venuta
ad
esistenza
del
bene
o
con
l’acquisto

della
proprietà
da
parte
del
venditore.


La
distinzione
tra
contratti
consensuali
e
reali
riguarda
invece
il
momento
della
formazione
e
attiene
al
modo
in
cui
il

contratto
si
conclude.
La
regola
generale
è
quella
che
il
contratto
si
perfeziona
col
semplice
consenso
e
da
esso

sortiranno
poi
gli
effetti
(contratto
consensuale).
In
alcuni
casi
particolari
il
consenso
non
è
sufficiente
alla

conclusione
del
contratto,
occorrendo
anche
un
ulteriore
elemento
o
requisito:
la
consegna
della
cosa
oggetto
della

stipula.
Si
parla
perciò
di
contratti
reali.


Il
contratto
obbliga
le
parti
non
soltanto
a
quanto
è
nel
medesimo
espresso,
ma
anche
a
tutte
le
conseguenze
che
ne

derivano
secondo
la
legge,
gli
usi,
le
equità.

•
Quanto
alla
legge
vengono
qui
in
considerazione
sia
le
norme
dispositive
sia
quelle
cogenti
o
inderogabili.

Le
norme
dispositive
operano
la
cosiddetta
integrazione
suppletiva:
suppliscono
a
una
mancata
previsione
del

contratto.
L’integrazione
cogente
è
operata
invece
dalle
norme
inderogabili
e
determina
il
contenuto
del
rapporto

anche
contro
una
diversa
volontà
delle
parti.
La
contrarietà
a
norme
imperative
può
dar
luogo
alla
inserzione

automatica
di
clausole:
le
disposizioni
legislative
si
sostituiscono
coattivamente
alle
difformi
previsioni
delle
parti.

•Gli
usi
che
integrano
gli
effetti
del
contratto
sono
sia
quelli
normativi
sia
quelli
negoziali.
Gli
usi
normativi
sono
vere
e

proprie
fonti
di
diritto.
Gli
usi
negoziali
sono
invece
le
pratiche
contrattuali
diffuse
nei
diversi
settori
d’affari
e

usualmente
seguite
dagli
operatori
economici:
sono
cioè
le
pattuizioni
ordinariamente
ricorrenti
nei
diversi
tipi
di

contratto,
tanto
che
il
codice
li
denomina
clausole
d’uso.
Nell’ordinario
intendimento
dei
contraenti
è
implicito
che
al

contratto
si
applicheranno
anche
le
clausole
d’uso,
tanto
che
la
legge
presume
che
tali
clausole
siano
volute
dagli

interessati
pure
se
ad
esse
non
abbiano
fatto
riferimento;
precisamente,
la
legge
dispone
che
esse
s’intendono

inserite
nel
contratto,
se
non
risulta
che
non
sono
state
volute
dalle
parti.
Atteso
che
gli
usi
negoziali
si
fondano
sulla

presunta
volotnà
contrattuale
delle
parti,
essi
hanno
la
stessa
efficacia
di
questa
e
sono
perciò
in
grado
di
derogare

alle
norme
dispositive
di
legge.


La
legge
ritiene
di
poter
utilizzare
gli
usi
anche
al
fine
di
interpretare
le
clausole
ambigue
di
un
contratto.

•
L’equità
è
un
criterio
di
giustizia
sostanziale
che,
nell’ambito
dei
contratti,
si
specifica
nell’esigenza
di
fondo
di
un

equilibrio
tra
i
sacrifici
reciproci
e,
più
in
generale,
nell’esigenza
di
contemperamento
dei
contrapposti
interessi.
Nei

contratti
di
scambio
si
mira
a
un
equilibrio
sostanziale
tra
le
prestazioni;
nei
contratti
gratuiti

a
una
sintesi
tra
il

maggior
vantaggio
per
il
beneficiario
e
il
minor
aggravio
per
l’obbligato.

•
A
integrare
il
contratto
concorre
anche
la
buona
fede
in
senso
oggettivo,
come
criterio
di
esecuzione
del
contratto.

La
buona
fede
impone
di
salvaguardare
l’altrui
interesse
nei
limiti
in
cui
sia
compatibile
col
proprio.

L’equità
integra
le
lacune
del
contratto
in
ordine
alle
utilità
che
le
parti
si
devono;
la
buona
fede
concorre
a

determinare
la
nuova
o
diversa
attività
necessaria
per
far
conseguire
le
utilità
dovute.


Lo
scioglimento
del
rapporto
contrattuale.


Instauratosi
il
rapporto
contrattuale
,
esso

può
sciogliersi
solo
per
mutuo
consenso
o
per
causa
ammesse
dalla
legge.

Il
mutuo
dissenso
è
un
vero
e
proprio
accordo
contrattuale
diretto
a
estinguere
il
rapporto
nato
dal
precedente

negozio.
Per
tale
atto
è
necessaria
la
forma
richiesta
per
il
contratto
che
si
vuole
estinguere.

Il
recesso
è
un
atto
unilaterale
col
quale
una
parte
esercita
il
diritto
potestativo
di
determinare
lo
scioglimento
del

rapporto.
Tale
diritto
può
essere
di
fonte
negoziale
o
legale.

‐ Il
contratto,
anzitutto,
può
attribuire
tale
facoltà
a
uno
solo
o
a
entrambi
i
soggetti
e
può
subordinarlo
a
taluni

adempimenti.
Il
recesso
non
può
essere
esercitato
dopo
che
il
contratto
è
stato,
anche
solo
in
parte,

eseguito.

‐ La
legge
d’altra
parte,
consente
in
alcuni
casi
di
recedere
senz’altro
dal
contratto,
liberamente
o
in
presenza

di
alcuni
presupposti.
E’
ammesso
il
recesso
nei
contratti
a
esecuzione
continuata
o
periodica
che
siano
a

tempo
indeterminato.

Lo
scioglimento
del
rapporto
ha
in
linea
di
massima
effetti
retroattivi:
le
prestazioni
già
eseguite
dovranno
essere

restituite,
salvo
che
nei
contratti
a
esecuzione
continuata
o
periodica
in
cui
le
prestazioni
già
effettuate
restano
ferme.

Il
recesso
si
distingue
dalla
revoca,
che
è
l’atto
negoziale
con
cui
si
ritira,
si
priva
di
efficacia
un
precedente
atto

unilaterale.
Essa
è
sempre
consentita
fin
quando
non
abbia
attribuito
ad
altri
un
vero
e
proprio
diritto.

Ulteriore
e
specifica
facoltà
di
recesso
è
oggi
prevista
in
favore
del
consumatore
per
contratti
stipulati
fuori
dei
locali

commerciali,
e
cioè
fuori
dei
luoghi
nei
quali
si
svolge
ordinariamente
l’attività
di
vendita.
Analoga
disciplina
è
dettata

in
materia
di
contratti
a
distanza
(no
presenza
fisica
e
simultanea
delle
parti)
quando
essi
intercorrono
tra
un

consumatore
e
un
fornitore
professionale
di
beni
o
servizi,
e
ulteriore
specifica
regolamentazione
è
prevista
per
il

commercio
elettronico,
concernente
i
servizi
offerti
per
via
telematica.
L’operatore
commerciale
deve
anzitutto

informare
per
iscritto
il
consumatore
sull’esistenza
del
diritto
di
recesso
e
sulle
modalità
e
i
termini
di
esercizio.

Le
funzioni
oggi
svolte
dal
recesso
possono
cosi
riassumersi:

‐ adeguare
il
rapporto
alle
sopravvenute
esigenze
delle
parti
(cd
recesso
determinativo);

‐ consentire
un
ripensamento
circa
l’opportunità
dell’affare
(cd
recesso
di
pentimento);

‐ tutelare
una
parte
contro
altrui
inadempimenti
evitando
contestazioni
giudiziali
(cd
recesso
in
autotutela)

‐ realizzare
una
più
efficace
tutela
del
consumatore
contro
tecniche
di
vendita
aggressive
(cd
recesso
di

protezione).


CAPITOLO
37:
Il
contratto
e
i
terzi

Il
contratto
intercorso
fra
alcuni
non
può
né
avvantaggiare
né
essere
di
pregiudizio
ai
terzi,
e
cioè
a
coloro
che
siano

rimasti
estranei
alla
sua
stipulazione:
principio
della
relatività
degli
effetti

del
contratto.

Rispetto
ai
terzi,
dunque,
il
contratto
produce
effetti
solo
nei
modi
e
nei
casi
previsti
dalla
legge.
V’è
anzitutto
un

effetto
indiretto
o
riflesso
che
consiste
in
ciò:
il
contratto
costituisce
o
modifica
posizioni
giuridiche
e
perciò
incide

sulla
titolarità
di
diritti
(reali
o
di
credito)
con
i
quali
anche
i
terzi
possono
venire
in
contatto
o
in
conflitto
ed
è
pur

sempre
un
fatto
giuridico
che
incide,
se
pur
di
riflesso,
sulla
loro
sfera
giuridica.

Nel
caso
di
conflitto
tra
più
acquirenti
di
uno
stesso
diritto:

a) Se
si
tratta
dell’acquisto
di
diritti
reali
su
universalità
di
mobili,
si
applica
la
regola
generale
della
priorità
nel

tempo.

b) Quando
si
tratta
di
diritti
reali
su
beni
mobili,
il
conflitto
si
risolve
in
base
alla
regola
sul
possesso
titolato:

prevale
colui
che
ha
conseguito
per
primo
il
possesso,
purchè
in
buona
fede
al
momento
dell’acquisto
e

munito
di
un
titolo
valido
anche
se
di
data
posteriore.

c) Trattandosi
di
diritti
reali
su
beni
immobili,
o
su
mobili
registrati,
prevale
colui
che
per
primo
ha
effettuato
la

trascrizione
del
suo
acquisto,
anche
se
di
data
posteriore.

d) Ove
oggetto
del
contratto
sia
un
credito,
prevale
la
cessione
notificata
o
accettata
per
prima
dal
debitore
con

atto
di
data
certa.

e) Se
si
tratta
infine
di
diritti
personali
di
godimento,
su
beni
mobili
o
immobili,
prevale
colui
che
per
primo
ha

conseguito
il
godimento
della
cosa
o,
in
mancanza,
colui
che
ha
un
titolo
di
data
anteriore
certa.

Il
contratto
a
favore
di
terzi

E’
possibile
anche
una
efficacia
diretta
del
contratto
nei
confronti
dei
terzi,
ma
solo
quando
si
tratti
di
effetti
favorevoli

e
il
terzo,
comunque,
ne

voglia
profittare.
E’
questo
il
contratto
a
favore
di
terzo,
nel
quale
i
contraenti
prendono
il

nome,
rispettivamente,
di
stipulante
e
promittente.
Qui
un
soggetto,
estraneo
al
contratto
stesso,
acquista
il
diritto
di

pretendere
una
prestazione
dal
promittente.
Non
è
necessaria
una
sua
dichiarazione
di
accettazione
e
il
beneficiario

rimane
estraneo
al
rapporto:
può
solo
agire
per
ottenere
l’esecuzione
della
prestazione
promessagli.

Il
terzo,
invece,
può
dichiarare
di
voler
profittare
della
stipulazione

ma
tale
dichiarazione
ha
l’effetto
di
rendere

irrevocabile
la
convenzione
a
suo
favore.
Finchè
non
è
accettata
dal
terzo
infatti
la
stipulazione
può
essere
revocata
o

modificata
dallo
stipulante.
Il
promittente
è
tenuto
a
eseguire
le
prestazioni
promesse
e
può
opporre
al
terzo
solo
le

eccezioni
fondate
sul
contratto.


Autoresponsabilità

Regola
generale
è
quella
della
autoresponsabilità:
chi
pone
in
essere
dichiarazioni
negoziali
ne
subisce
le
conseguenze

in
base
al
loro
significato
oggettivo,
ma
solo
nei
limiti
in
cui
abbia
suscitato
nei
terzi
o
nella
controparte
un
ragionevole

affidamento.
I
terzi
cioè
devono
poter
contare
sul
significato
oggettivo
dell’atto,
e
in
tal
senso
sono
tutelati,
ma
nei

limiti
in
cui
vi
farebbe
affidamento
una
persona
di
normale
diligenza.

Apparenza

Agli
stessi
criteri
fa
riferimento
il
principio
della
apparenza:
coloro
che,
senza
colpa,
hanno
fatto
affidamento
su
una

situazione
apparente
mantengono
i
diritti
acquisiti
su
tale
base.


Il
contratto
simulato

Si
ha
simulazione
quando
le
parti
fingono
di
stipulare
un
contratto
ma
in
realtà
non
ne
vogliono
gli
effetti
(simulazione

assoluta)
ovvero
vogliono
gli
effetti
di
un
contratto
diverso
(simulazione
relativa).
Questo
risultato
viene
raggiunto

affiancando
alla
dichiarazione
contrattuale
una
controdichiarazione
(contenuta
in
un
documento
distinto)
nella
quale

si
chiarisce
il
reale
intendimento
delle
parti.
Si
crea
dunque
uno
schermo,
una
realtà
contrattuale
apparente
destinata

a
valere
per
i
terzi,
e
di
un
assetto
contrattuale
effettivo
destinato
a
valere
tra
le
parti.
La
simulazione
è
possibile
sia

nei
contratti,
sia
negli
atti
unilaterali
recettizi,
ove
vi
sia
accordo
tra
dichiarante
e
il
destinatario.

La
legge
non
vieta
la
simulazione,
perché
le
ragioni
che
inducono
le
parti
a
porla
in
essere
possono
essere
lecite.
Se

invece
sono
illecite
tutta
l’operazione
sarà
senz’altro
nulla.
Il
negozio
simulato
lecito
invece
produce
gli
effetti

realmente
voluti.
Pertanto
nella
simulazione
assoluta
non
si
produce
alcun
effeto;
nella
simulazione
relativa
il

contratto
apparente
non
produce
effetti,
ha
effetto
invece
il
contratto
dissimulato
(nascosto,
celato
dietro
quello

apparente)
a
condizione
che
ne
sussistano
i
requisiti
di
sostanza
e
forma.
Occorre
quindi
che
dall’insieme
di

dichiarazione
e
controdichiarazione
emergano
i
requisiti
richiesti
per
il
negozio
realmente
voluto.


Le
parti
possono
agire
in
giudizio
per
far
dichiarare
la
simulazione:
senza
limiti
di
tempo
in
caso
di
simulazione

assoluta,
entro
dieci
anni
in
caso
di
simulazione
relativa.
Si
tratta
di
azione
di
accertamento
volta
a
far
dichiarare
dal

giudice
i
reali
effetti
voluti
dalle
parti.

I
terzi
controinteressati
possono
far
valere
la
simulazione
quando
essa
pregiudica
i
loro
diritti.
Chiunque
vi
abbia

interesse
è
ammesso
a
far
prevalere
la
realtà
sull’apparenza.


La
simulazione
non
può
essere
opposta
ai
terzi
che
in
buona
fede
hanno
acquistato
diritti
dal
titolare
apparente,
cioè

dal
simulato
acquirente.

Quanto
ai
creditori,
sia
del
simulato
alienante
dia
del
simulato
acquirente,
essi
possono
far
valere
la
simulazione
che

pregiudichi
i
loro
diritti.
Per
il
caso
di
conflitto
tra
i
creditori
del
simulato
alienante
e
i
creditori
del
simulato

acquirente,
i
creditori
del
primo
sono
preferiti
ai
creditori
del
secondo
se
il
loro
credito
è
di
data
anteriore
alla

simulazione.
Questo
perché
nel
momento
in
cui
gli
è
stato
fatto
credito,
il
simulato
alienante
risultava
ancora
titolare

dei
beni
poi
fittiziamente
alienati
e
su
questi
potevano
aver
fatto
affidamento
i
suoi
creditori.


Il
contratto
fiduciario

Il
contratto
fiduciario
realizza
una
attribuzione
effettiva
a
un

soggetto,
ma
in
vista
di
uno
scopo
ulteriore.
L’effetto
è

realmente
voluto:
soltanto,
esso
è
strumentale
rispetto
al
raggiungimento
di
un
fine
ulteriore.
Il
negozio
fiduciario

rientra
nel
quadro
dei
negozi
indiretti.
Il
negozio
fiduciario
è
lecito
nei
limiti
in
cui
è
lecito
lo
scopo
per
così
dire
finale

di
tutta
l’operazione.
Se
questo
è
illecito,
tutta
l’operazione
risulterà
illecita
poiché
si
configura
come
un
negozio
in

frode
alla
legge.
L’obbligo
fiduciario
è
un
vero
e
proprio
obbligo
giuridico:
in
caso
di
inadempimento
il
fiduciante
potrà

agire
per
l’esecuzione
coattiva.


CAPITOLO
28:
La
rappresentanza

La
legittimazione,
la
competenza
a
disporre
di
un
diritto
può
non
collimare
con
la
titolarità
del
diritto
stesso.
Lo
stesso

titolare
del
diritto

può
attribuire
ad
altri
il
potere
di
disposizione
o
di
incidere
sulla
propria
sfera
giuridica:
ciò

risponde
a
una
avvertita
esigenza
di
collaborazione.
Egli
può
trovare
conveniente
o
necessario
delegare
ad
altri
il

potere
di
compiere
atti
giuridici
che
lo
riguardano.


Si
ha
dunque
il
fenomeno
in
cui
un
soggetto,
munito
del
relativo
potere,
compie
un
atto
giuridico
destinato
a
incidere

direttamente
sulla
sfera
giuridica
di
altri
e
si
parla,
genericamente,
di
sostituzione
nell’altrui
attività
giuridica.
La
figura

generale
e
più
importante
è
la
rappresentanza,
che
è
il
potere
attribuito
ad
un
soggetto
(detto
rappresentante)
di

compiere
atti
giuridici
che
producono
effetti
nella
sfera
di
un
altro
soggetto
(rappresentato).
Si
distinguono
due
forme

di
rappresentanza:
diretta
e
indiretta.

La
rappresentanza
diretta
(o
rappresentanza
vera
e
propria)
è
il
potere
di
compiere
atti
giuridici
in
nome
e

nell’interesse
del
rappresentato.
Il
rappresentante
è
parte
del
contratto
in
senso
soltanto
formale,
in
quanto
emette
la

dichiarazione
negoziale,
ma
parte
sostanziale
dell’atto
e
destinatario
degli
effetti
è
il
rappresentato,
nella
cui
sfera
si

producono
direttamente
e
immediatamente
le
conseguenze
giuridiche.
Il
rappresentato
assumerà
tutti
i
diritti
e
gli

obblighi
che
nascono
dal
contratto.
Il
rappresentante
non
si
limita
però
a
comunicare
la
volontà
altrui,
bensì
emette

una
propria
dichiarazione
di
volontà
ed
è
lui
che
decide
se
compiere
o
no
l’atto.

La
rappresentanza
è
un
istituto
di
carattere
generale,
ammissibile
sia
nei
contratti,
sia
negli
atti
unilaterali.
E’
esclusa

solo
in
alcuni
atti
a
carattere
strettamente
personale.
Fonte
del
potere
di
rappresentanza
è
sia
la
legge
sia
la
volotà

privata.
La
rappresentanza
legale
è
conferita
dalla
legge,
ad
es.
nelle
ipotesi
di
incapacità
legale
di
agire.

Si
parla
di
rappresentanza
legale
anche
a
proposito
degli
organi
degli
enti
giuridici
seppure
l’organo
si
identifica
con

l’ente
di
cui
è
espressione.


Il
potere
di
rappresentanza
è
conferito
di
regola
al
fine
di
realizzare
l’interesse
del
rappresentato.
Può
accadere

tuttavia
che
la
rappresentanza
sia
attribuita
anche
nell’interesse
del
rappresentante
o
di
terzi.

Si
parla
anche
di
rappresentanza
indiretta
(o
impropria
o
interposizione
gestoria)
per
indicare
una
forma
di

collaborazione
nell’altrui
attività
giuridica.
Essa
è
caratterizzata
dall’agire
di
un
soggetto
nell’interesse
altrui
ma
in

nome
proprio.
Il
rappresentante
diviene
sia
parte
forme
che
sostanziale
del
contratto,
che
produrrà
effetti
in
capo
al

rappresentante
stesso.
Questi
dovrà
poi
riversarli,
con
un
apposito
atto
di
ritrasferimento,
nella
sfera
giuridica

dell’interessato.



La
rappresentanza
volontaria
è
conferita
dall’interessato
con
un
apposito
negozio,
la
procura
(o
delega).
Si
tratta
di

un
atto
unilaterale,
per
la
cui
efficacia
non
si
richiede
l’accettazione
del
procuratore,
e
che
è
destinato
a
operare
sul

lato
esterno
del
rapporto:
serve
cioè
a
far
conoscere
ai
terzi
che
il
delegato
ha
il
potere
di
compiere
atti
giuridici
in

nome
del
delgante.
I
terzi
possono
infatti
pretendere
che
il
rappresentante
giustifichi
i
suoi
poteri
e
dia
loro
copia
del

documento
di
delega.
La
procura
ha
natura
negoziale
e
la
relativa
dichiarazione
può
essere
espressa
o
tacita.
La
delega

può
esser
conferita
per
singoli
affari
determinati
(procura
speciale)
o
generalmente
per
tutti
gli
affari
del

rappresentato
(procura
generale),
ferma
restando
però
l’esclusione
degli
atti
di
straordinaria
amministrazione
non

espressamente
indicati.

Va
tenuto
distinto
il
lato
interno,
la
relazione
tra
un
rappresentante
e
il
suo
rappresentato,
regolata
da
un
distinto

rapporto
(cd
rapporto
di
gestione).

Il
documento
di
delega
deve
essere
restituito
al
rappresentato
una
volta
che
sia
cessato
il
potere.

Il
potere
di
rappresentanza
si
estingue
per
causa
attinenti
sia
alla
procura,
sia
al
rapporto
interno
di
gestione
tra

rappresentante
e
rappresentato.
La
revoca
della
procura
è
sempre
possibile,
trattandosi
di
atto
unilaterale,
salvo
il

caso
che
il
potere
sia
conferito
anche
(o
esclusivamente)
nell’interesse
del
rappresentante.
La
revoca
e
le

modificazioni
della
procura
devono
essere
portate
a
conoscenza
dei
terzi
con
mezzi
idonei.

L’estinzione
del
rapporto
di
gestione
comporta
l’automatico
venir
meno
del
potere
rappresentativo
ma
tale
causa
di

estinzione
del
potere
non
è
opponibile
ai
terzi
che
le
hanno
senza
colpa
ignorate.
La
rappresentanza
si
estingue
inoltre

per
morte,
sopravvenuta
incapacità
o
fallimento,
del
rappresentante
o
del
rappresentato,
scadenza
del
termine,

compimento
dell’affare
per
il
quale
il
potere
è
stato
conferito.


Mentre
nella
rappresentanza
legale
è
il
rappresentante
che
deve
essere
capace
di
agire,
in
quella
volontaria
è

piuttosto
il
rappresentato
che
deve
avere
tale
capacità
mentre
il
rappresentante
è
sufficiente
che
abbia
la
capacità

naturale
di
intendere
e
di
volere
avuto
riguardo
alla
natura
e
al
contenuto
del
contratto.


Se
il
rappresentante
invece
di
perseguire
l’interesse
del
rappresentato
tutela
un
interesse
proprio
o
altrui
l’atto
si
dirà

compiuto
in
conflitto
di
interessi
col
rappresentato.
Se
il
conflitto
di
interessi
era
conosciuto
o
riconoscibile
dall’altro

contraente,
il
contratto
è
annullabile.
Non
occorre
dimostrare
che
l’atto
del
rappresentante
sia
effettivamente

pregiudizievole
o
dannoso
per
il
rappresentato;
è
sufficiente
che
il
rappresentante
si
trovi,
oggettivamente,
in
una

situazione
di
conflitto
di
interessi.
E’
esclusa
l’annullabilità
ad
es.
nel
contratto
con
se
stesso,
il
contratto
in
cui
il

rappresentante
assume
una
doppia
veste,
contrattando
in
proprio
(es.
come
acquirente)
e
nella
qualità
di
procuratore

(
es.
venditore).


La
rappresentanza
senza
potere
è
il
caso
di
chi
contratta
come
procuratore
di
altri
senza
averne
i
poteri
o
eccedendo
i

limiti

delle
facoltà
conferitegli:
cd
falso
rappresentante.
Il
contratto
stipulato
dal
falso
rappresentante
è
inefficace.
Il

falso
rappresentante
è
responsabile
dei
danni
sofferti
dall’altro
contraente
che
abbia
confidato
senza
sua
colpa
nella

validità
del
contratto.
E’
possibile
che
l’interessato
ratifichi,
cioè
approvi
l’atto.
In
tal
caso
la
ratifica
rende
efficace

l’atto
compiuto
dal
falso
rappresentante
con
effetto
retroattivo.
La
ratifica
è
un
negozio
unilaterale
con
cui

l’interessato
si
attribuisce
gli
effetti
dell’atto
e
viene
comunemente
intesa
come
una
procura
successiva:
può
essere

espressa
o
tacita.
Il
terzo
contraente
può
assegnare
all’interessato
un
termine,
invitandolo
a
pronunciarsi
sulla
ratifica,

scaduto
il
quale
la
ratifica
s’intende
negata.


Il
contratto
per
persona
da
nominare

Si
dice
per
persona
da
nominare
il
contratto
nel
quale
una
parte
si
riserva
la
facoltà
di
nominare
successivamente
il

soggetto
nella
cui
sfera
il
contratto
produrrà
i
suoi
effetti.
Se
nel
termine
stabilito
segue
la
dichiarazione
di
nomina,

accompagnata
dall’accettazione
del
nominato,
il
contratto
produrrà
i
suoi
effetti
in
capo
al
designato
fin
dal
momento

in
cui
è
stato
concluso.
Se
il
designato
non
accetta
o
la
nomina
non
è
fatta
il
contratto
produce
effetti
in
capo
a
colui

che
aveva
stipulato.
Il
contratto,
dunque,
può
produrre
effetti
alternativamente
in
capo
alla
parte
formale
del

contratto
o
in
capo
a
un
altro
soggetto,
nominato
successivamente.
Si
tratta
di
una
rappresentanza
eventuale
di

persona
incerta.
La
rappresentanza
è
eventuale
perché
se
manca
la
nomina
o
l’accettazione
del
designato
il
contratto

produce
effetti
tra
le
parti
originaria;
è
incerta
perché,
pur
dichiarando
di
agire
per
altri,
lo
stipulante
non
rivela
subito

il
nome
dell’interessato.
La
dichiarazione
di
nomina
attribuisce
al
designato
la
posizione
di
parte
sostanziale
del

contratto,
con
effetto
retroattivo,
e
deve
essere
fatta
entro
tre
giorni,
salvo
diverso
accordo
delle
parti.
Dichiarazione

di
nomina
e
accettazione
del
designato
sono
entrambi
atti
unilaterali
recettizi,
soggetti
agli
stessi
requisiti
di
forma
e

di
pubblicità
prescritti
per
il
contratto.
L’accettazione
si
configura
come
una
ratifica.


La
cessione
del
contratto

La
cessione
del
contratto
è
il
negozio
con
cui
una
parte,
col
consenso
dell’altra,
sostituisce
a
sé
un
terzo
nei
rapporti

derivanti
da
un
contratto
a
prestazioni
corrispettive.
Si
tratta
di
un
contratto
plurilaterale,
occorrendo
per
la
sua

validità
il
consenso
del
contraente
ceduto,
che
può
essere
dato
anche
preventivamente:
in
tal
caso
la
cessione
sarà

immediatamente
operativa,
occorrendo
solo
la
notifica
al
ceduto.
La
cessione
non
ha
effetto
retroattivo.
I
soggetti
del

negozio
prendono
il
nome
di
cedente
(colui
che
cede
la
propria
posizione
contrattuale
e,
pertanto,
esce
dal
contratto),

ceduto
(il
contraente
originario
che
rimane
vincolato)
e
cessionario
(
il
nuovo
soggetto
al
quale
si
trasferisce
il

rapporto
contrattuale.
Il
cedente
è
tenuto
a
garantire
verso
il
cessionario
la
validità
e
l’efficacia
del
contratto

trasferito.
Se
per
patto
espresso
assume
garanzia
dell’adempimento
risponderà
come
fideiussore
del
ceduto.
Il

cedente
è
liberato
dalle
sue
obbligazioni
verso
il
ceduto;
se
tuttavia
questi
dichiara
di
non
liberarlo,
la
sua
sarà
una

responsabilità
sussidiaria.
Quanto
ai
rapporti
tra
ceduto
e
cessionario,
essi
sono
regolati
anzitutto
dal
contratto
che
è

stato
trasferito
che
rimane
invariato.
Il
ceduto
potrà
opporre
al
cessionario
tutte
e
solo
le
eccezioni
derivanti
dal

contratto.

Accanto
alla
cessione
negoziale
vi
sono
numerose
ipotesi
di
cessione
legale
del
rapporto:
è
la
legge
che
prevede
il

trasferimento
automatico
di
un
rapporto
contrattuale
da
un
soggetto
a
un
altro.


Il
subcontratto

Col
subcontratto
si
dà
vita
a
un
nuovo
contratto,
derivato
da
quello
precedente
che
continua
a
sussistere
tra
le
parti

originarie.
Non
vi
è
un
trasferimento
della
posizione
contrattuale
a
un
altro
soggetto;
accade
piuttosto
che
uno
dei

contraenti
originari,
tenendo
fermo
il
contratto,
utilizza
la
posizione
contrattuale
che
ne
deriva
per
stipulare
un
nuovo

contratto
con
un
terzo.
Rimangono
fermi
pertanto
entrambi
i
contratti,
e
in
linea
di
principio,
ciascuno
risponde


esclusivamente
verso
il
proprio
contraente.


CAPITOLO
39:
L’esecuzione
del
contratto.
La
risoluzione.

Il
contratto
efficace
deve
essere
conseguito:
devono
cioè
adempiersi
le
obbligazioni
in
esso
previste.
Nel
concetto
di

esecuzione
del
contratto
perciò
rientra
tutta
l’attività,
materiale
e
giuridica,
necessaria
per
far
conseguire
alla

controparte
i
risultati
promessi.
Vi
è
l’obbligo
di
buona
fede
nell’esecuzione
del
contratto
che
impone
di
tener
conto

che
le
singole
prestazioni
sono
di
norma
collegate
le
une
alle
altre
e
vanno
perciò
opportunamente
coordinate,
in
vista

dell’interesse
della
controparte.

Nei
contratti
a
prestazioni
corrispettiva,
esse
sono
in
rapporto
di
corrispettività
o
reciprocità
e
tale
nesso
che
lega
le

controprestazioni
prende
il
nome
di
sinallagma
contrattuale.
Ciascuna
prestazione
perciò
è
giustificazione
,
causa

dell’altra
e
la
mancanza
o
il
difetto
dell’una
toglie
ragion
d’essere
all’altra.
Nei
contratti
a
prestazioni
corrispettive

ciascuno
dei
contraenti
può
rifiutarsi
di
adempiere
la
sua
obbligazione
se
l’altro
non
adempie
o
non
offre
di
adempiere

contemporaneamente
la
propria,
salvo
che

siano
previsti
termini
diversi
per
l’adempimento
o
che
il
rifiuto
sia

contrario
a
buona
fede.
E’
questa
la
cd
eccezione
di
inadempimento.
E’
possibile
tuttavia
che
le
parti
escludano

pattiziamente
l
possibilità
di
eccepire
l’altrui
inadempimento
con
la
clausola
solve
et
répete.
Per
effetto
di
tale

clausola
la
parte
vincolata
non
può
opporre
eccezioni
al
fine
di
evitare
o
ritardare
la
prestazione
dovuta:
deve
intanto

eseguire
la
propria
e,
successivamente,
far
valere
le
sue
ragioni.
La
clausola
deve
essere
espressamente
approvata
per

iscritto
e
non
ha
effetto
per
le
eccezioni
di
invalidità
del
contratto.
Tale
clausola
fa
parte
delle
cd
clausole
vessatorie,

con
conseguente
nullità
relativa,
ove
essa
sia
inserita
in
un
contratto
tra
consumatore
e
professionista.

Ciascun
contraente
può
sospendere
l’esecuzione
della
prestazione
se
le
condizioni
patrimoniali
dell’altro
sono

divenute
tali
da
porre
in
pericolo
il
conseguimento
della
controprestazione.

Per
il
caso
di
inadempimento,
se
questo
si
protrae
nel
tempo
il
contraente
fedele
ha
essenzialmente
due
possibilità
di

tutela:
può
chiedere
la
manutenzione
del
contratto
o
la
sua
risoluzione.
La
manutenzione
del
contratto
si
consegue

con
la
domanda
in
giudizio
volta

a
ottenere
la
condanna
all’adempimento:
si
chiederà
cioè
al
giudice
di
condannare
il

contraente
a
eseguire
il
contratto
e
di
disporne,
eventualmente,
l’esecuzione
forzata
in
forma
specifica.
Anche
quando

abbia
richiesto
l’adempimento
tuttavia
il
contraente
conserva
la
facoltà
di
chiedere
successivamente
la
risoluzione
del

contratto.

La
risoluzione

La
risoluzione
del
contratto
è
lo
scioglimento
del
rapporto
contrattuale
per
cause
successive
alla
sua
stipulazione.
La

risoluzione
è
prevista,
nei
contratti
a
prestazioni
corrispettive,
per
causa
di
inadempimento,
impossibilità

sopravvenuta,
eccessiva
onerosità
sopravvenuta.
La
risoluzione
può
operare
di
diritto,
automaticamente
al
verificarsi

di
determinati
presupposti,
ovvero
per
effetto
di
sentenza
costitutiva
del
giudice.
Essa
ha
efficacia
retroattiva

tra
le

parti
ma
non
pregiudica
invece
i
diritti
acquistati
dai
terzi.,
ferma
restando
la
regola
sulla
trascrizione
della
domanda

giudiziale
(la
domanda
sia
stata
trascritta
dopo
il
nuovo
atto
d’acquisto).
Quando
la
risoluzione
è
determinata
da
fatti

imputabili
a
uno
dei
contraenti,
il
contraente
fedele
ha
diritto
inoltre
al
risarcimento
dei
danni.

Risoluzione
per
inadempimento

La
risoluzione
per
inadempimento
è
lo
scioglimento
del
rapporto
determinato
dall’inadempimento
imputabile
di
uno

dei
contraenti.
Una
volta
chiesta
la
risoluzione,
il
contraente
fedele
non
potrà
più
pretendere
l’adempimento
né
il

contraente
in
ritardo
potrà
più
adempiere.
Per
potersi
avere
risoluzione
occorre
che
l’inadempimento
sia
grave
cioè
di

non
scarsa
importanza.
Vi
sono
due
tipi
di
risoluzione
per
inadempimento:

a) risoluzione
giudiziale.
Si
realizza
con
sentenza
del
giudice,
a
seguito
di
domanda
dell’interessato,
e
previa

verifica
della
sussistenza
dei
presupposti
per
la
risoluzione
stessa
e
in
particolare
della
gravità

dell’inadempimento.
La
sentenza
ha
valore
costitutivo.

b) Risoluzione
di
diritto
(o
automatica).
Può
aversi
nei
seguenti
casi:

•
diffida
ad
adempiere:
è
il
caso
in
cui
uno
dei
contraenti
intima
per
iscritto
alla
controparte
di
adempiere
entro

un
certo
termine
(non
meno
di
15
gg),
con
l’avvertenza
che,
in
mancanza,
il
contratto
s’intenderà
senz’altro

risolto
di
diritto.
In
caso
di
contestazione
si
dovrà
ricorrere
al
giudice
mediante
sentenza
dichiarativa
di

accertamento.

•
termine
essenziale:
è
l’ipotesi
in
cui
un
adempimento
tardivo
sarebbe
del
tutto
inutile
per
la
controparte.
Se
la

parte
conserva
interesse
al
contratto
e
vuole
esigerne
l’esecuzione
deve
darne
comunicazione
all’altra,
in

mancanza
il
contratto
è
senz’altro
risolto
di
diritto.

•
clausola
risolutiva
espressa:
è
la
clausola
contrattuale
in
cui
si
prevede
che,
in
caso
di
inadempimento
di
una

determinata
obbligazione,
il
contratto
si
risolverà
automaticamente.
Occorrerà
soltanto
che
la
parte
interessata

emetta
una
dichiarazione
con
cui
comunica
all’altra
che
intende
valersi
della
clausola
risolutiva:
da
quel
momento

il
contratto
è
risolto.
La
clausola,
per
essere
valida,
deve
fare
riferimento
a
una
determinata,
specifica

obbligazione.


Risoluzione
per
impossibilità
sopravvenuta

Nei
contratti
a
prestazioni
corrispettive
l’impossibilità
sopravvenuta
della
prestazione
è
causa
di
risoluzione,

automatica
e
immediata,
del
contratto.
Non
c’è
colpa
del
contraente
debitore,
in
quale
non
può
eseguire
la

prestazione
con
l’impiego
della
diligenza
concretamente
richiesta:
dunque
no
risarcimento
del
danno.
La
parte

liberata
per
la
sopravvenuta
impossibilità
della
prestazione
non
può
chiedere
la
controprestazione
e
deve

restituire
quella
che
abbia
già
ricevuta.

Ove
l’impossibilità
sia
solo
parziale
v’è
diritto
a
una
riduzione
della
controprestazione,
sempre
che,
vi
sia
interesse

a
una
prestazione
ridotta.


Conclusa
la
vendita
o
la
permuta
il
compratore
acquista
subito
la
proprietà
e
subisce
i
rischi
del
perimento

fortuito
della
cosa.
Egli
dovrà
perciò
pagarne
il
prezzo
anche
se
la
cosa
perisca,
per
causa
non
imputabile

all’alienante.


Risoluzione
per
eccessiva
onerosità
sostenuta

E’
prevista
infine
la
possibilità
di
risolvere
il
contratto
quando
eventi
eccezionali
e
imprevedibili
alterino

l’originario
equilibrio
di
valore
pattuito
fra
le
due
prestazioni.
Una
prestazione
cioè
diviene
eccessivamente

onerosa
per
una
parte
e
si
realizza
una
alterazione
funzionale
della
causa.
Il
rimedio
qui
considerato
vuole
ovviare

a
uno
squilibrio
successivo,
a
una
onerosità
sopravvenuta
rispetto
alla
stipula
del
contratto.
La
risoluzione
per

eccessiva
onerosità
può
essere
chiesta
solo
se
ricorrono
le
seguenti
condizioni:

‐ Deve
trattarsi
anzitutto
di
contratti
a
esecuzione
differita
ovvero
a
esecuzione
continuata
o
periodica
e,
in

quest’ultimo
caso,
il
rimedio
può
operare
solo
per
le
prestazioni
future,
non
anche
per
quelle
già
eseguite.
Il

rimedio
non
è
ammesso
se
una
delle
parti
ha
eseguito
anche
solo
in
parte
la
propria
obbligazione.

‐ Occorre
poi
che
l’onerosità
sia
eccessiva:
deve
superare
quell’ordinario
livello
di
rischio
sempre
connesso
a

tutte
le
operazioni
economiche.

‐ L’onerosità
infine
deve
essere
dovuta
a
eventi
straordinari
e
imprevedibili
al
momento
della
stipula.

La
controparte
può
evitare
la
risoluzione
del
contratto
offrendo
di
modificare
equamente
le
condizioni
del
contratto

mediante
riduzione
ad
equità.


3) GLI
ATTI
UNILATERALI

CAPITOLO
40:
Le
promesse
unilaterali

Principio
di
tipicità
degli
atti
unilaterali:
sono
cioè
ammissibili
solo
le
figure
considerate
espressamente
dalla
legge
e

con
gli
effetti
specificamente
previsti.
Quelle
ammesse
dal
codice
civile
sono
la
promessa
di
pagamento,
la

ricognizione
di
debito,
la
promessa
al
pubblico,
i
titoli
di
credito.

Promessa
di
pagamento
e
ricognizione
di
debito

La
promessa
di
pagamento
è
l’impegno
unilaterale
di
effettuare
una
prestazione
a
favore
di
un
determinato
soggetto.

La
ricognizione
di
debito
è
la
dichiarazione
unilaterale
con
cui
un
soggetto
riconosce,
anche
implicitamente,
di
essere

debitore
di
una
certa
somma.
Entrambe
possono
essere
titolate
o
astratte:
possono
cioè
fare
riferimento
al
titolo
o

causa
dell’obbligazione
e
possono
non
fare
riferimento
ad
essi.
Tali
dichiarazioni
non
sono,
per
sé
sole,
idonee
a
far

nascere
obbligazioni.
Occorre
anche
una
causa
lecita
e
meritevole
che
giustifichi
l’obbligo.
Esse
dunque
non
sono

fonte
di
obbligazioni
al
pari
del
contratto
o
del
fatto
illecito,
hanno
un
valore
probatorio:
esse
dispensano
il

destinatario
dall’onere
di
provare
il
rapporto
fondamentale,
la
causa
su
cui
è
fondato
il
debito.
Il
debito
perciò
si

presume
esistente
fino
a
prova
contraria.
Si
realizza
così
una
inversione
dell’onere
della
prova.
Sarà
il
dichiarante,
se

vuole
evitare
di
pagare,
a
dover
provare
che
il
debito
in
realtà
non
esiste.



Promessa
al
pubblico

Vera
e
propria
fonte
di
obbligazioni
è
invece
la
promessa
al
pubblico,
ossia
la
promessa
di
una
prestazione
a
favore
di

chi
si
trovi
in
una
determinata
situazione
o
compia
una
determinata
azione.
La
promessa
è
un
negozio
unilaterale
non

recettizio
ed
è
vincolante
non
appena
sia
resa
pubblica:
ha
efficacia
per
una
anno
e
può
essere
revocata
solo
per

giusta
causa.
(da
non
confondere
con
l’offerta
al
pubblico
revocabile,
vincola
solo
dopo
l’accettazione)


La
promessa
al
pubblico
è
immediatamente
vincolante
e
non
richiede
accettazione.
E’
un
atto
essenzialmente

gratuito.


La
promessa
cambiaria
e
i
titoli
di
credito

I
titoli
di
credito
sono
dei
documenti
che
contengono
la
promessa
di
una
prestazione
a
favore
di
chi
risulti
possessore

del
documento
stesso,
purchè
legittimato
nelle
forme
prescritte
dalla
legge.
La
prestazione
in
essi
indicata
si
incorpora

nel
documento
e
circola
secondo
le
regole
proprie
dei
beni
mobili.
Il
documento
ha
solo
funzione
probatoria.
La

circolazione
diviene
rapida
e
sicura:
diviene
rapida
perché
non
occorre
la
notifica
al
debitore
ceduto
o
la
sua

accettazione;
diviene
sicura
perché
il
debitore
ceduto
non
può
opporre
al
cessionario
tutte
le
eccezioni
opponibili
al

cedente,
bensì
solo
alcune
(fondate
sul
titolo).
Anche
nei
titoli
di
credito
è
presente
la
promessa
unilaterale
di
una

prestazione.
Il
possessore
del
titolo
ha
diritto
alla
prestazione
in
esso
indicata
purchè
sia
legittimato
secondo
la
legge

di
circolazione
del
titolo.
Vi
sono
diversi
titoli
di
credito:

‐ titoli
al
portatore
(es.
buoni
del
tesoro):
qui
il
trasferimento
del
titolo
si
opera
con
la
consegna
e
il
possessore

è
legittimato
all’esercizio
del
credito
in
base
alla
semplice
presentazione
di
esso.;
le
legittimazione
pertanto
è

attribuita
dal
solo
possesso
del
documento;

‐ titoli
all’ordine
(cambiale,
assegno):
si
tratta
di
titoli,
intestati
ad
una
determinata
persona,
il
cui

trasferimento
si
opera
con
la
consegna
del
documento
e
la
sua
girata,
ossia
l’autorizzazione
dell’intestatario
a

pagare
a
un
altro.
Si
distinguono
girata
piena
e
girata
in
bianco.
Qui
la
legittimazione
è
data
dal
possesso
e

dalla
girata;

‐ titoli
nominativi
(es.
obbligazioni
di
una
società):
questi
titoli
hanno
la
caratteristica
di
essere
intestati
a

favore
di
una
persona
non
solo
sul
documento,
ma
anche
nel
registro
dell’emittente.
Il
trasferimento
si
opera

con
la
consegna
e
con
una
doppia
intestazione
a
favore
del
prenditore,
sia
sul
titolo
sia
sul
registro

dell’emittente:
entrambi
perciò
sono
necessari
per
attrbuire
la
legittimazione.



3)I
FATTI
ILLECITI

CAPITOLO
41:
La
responsabilità
per
fatto
illecito

I
fatti
illeciti
sono
gli
atti
o
fatti
che
cagionano
un
danno
ad
altri
e
sono
perciò
illeciti
,
vietati
dalla
legge.

I
fatti
illeciti
sono
fonte
di
obbligazione
risarcitoria
e
l’istituto
prende
il
nome
di
responsabilità
extracontrattuale.
Il

soggetto
è
infatti
chiamato
a
rispondere
delle
conseguenze
delle
sue
azioni.
Ha
funzione
riparatoria
per
ripianare
il

pregiudizio
subito
dal
soggetto
leso
e
funzione
sanzionatoria
per
chi
abbia
tenuto
una
condotta
riprovevole,
e
il

conseguente
effetto
deterrente,
atteso
che
la
previsione
dell’obbligo
risarcitorio
induce
a
comportamenti
più
prudenti

e
rispettosi
nell’altrui
sfera
giuridica.
Assieme
alla
responsabilità
contrattuale,
la
responsabilità
extracontrattuale
si

qualifica
come
responsabilità
civile
(la
quale
si
oppone
alla
penale
in
caso
di
reato,
è
tipico).
L’illecito
civile
è
atipico:
è

sufficiente
che
sia
stato
violato
un
interesse
tutelato
nella
comune
vita
di
relazione
perché
si
abbia
la
responsabilità

civile.


Requisiti
della
responsabilità

Qualunque
fatto
doloso
o
colposo,
che
cagioni
ad
altri
un
danno
ingiusto,
obbliga
colui
che
ha
commesso
il
fatto
a

risarcire
il
danno.

•
Il
fatto

Il
fatto
può
consistere
sia
in
un
fatto
giuridico
in
senso
stretto
sia
in
un
atto
giuridico
(illecito).
Sono
rilevanti
sia
fatti

commissivi,
vere
e
proprie
azioni
o
attività,
sia
fatti
omissivi,
purchè
vi
sia
un
dovere
giuridico
di
agire.

•
Il
danno
ingiusto

Requisito
centrale
della
responsabilità
extracontrattuale
è
che,
in
conseguenza
del
fatto
o
del
comportamento,
si
sia

prodotto
un
danno
ingiusto.
Il
danno
consiste
nella
lesione
di
un
interesse
tutelato
dalla
legge.

Il
danno‐evento
è
l’accadimento
derivante
dalla
condotta
dell’agente,
quel
che
si
verifica
come
effetto
diretto
e
per
lo

più
immediato
del
fatto
illecito.

Il
danno‐conseguenza
è
la
ripercussione
o
ricaduta
dell’evento
nella
sfera
giuridica
della
vittima.
E’
questo
l’oggetto

dell’obbligo
risarcitorio.

Il
danno
deve
inoltre
essere
ingiusto,
e
cioè
deve
concernere
un
diritto
o
un
interesse
tutelato
dalla
legge.

Il
danno
si
dice
patrimoniale
quando
il
pregiudizio
attiene
a
un
bene
economico,
e
cioè
valutabile
a
denaro,
e
più
in

generale
a
un
interesse
patrimoniale
del
soggetto.

Il
danno
si
dice
non
patrimoniale
quando
il
pregiudizio
riguarda
un
bene
della
personalità.
Tipici
danni
non

patrimoniali
sono
le
lesioni
personali,
il
dolore
fisico
e
spirituale,
il
discredito
sociale
conseguente
alla
diffamazione,

ecc..

Per
il
primo
vige
la
regola
generale
della
atipicità,
e
cioè
della
risarcibilità
in
tutti
i
casi
in
cui
esso
costituisca
danno

ingiusto;
per
il
secondo
vige
invece
la
regola
della
tipicità,
che
limita
la
tutela
risarcitoria
ai
casi
determinati
dalla

legge.


Il
danno
non
patrimoniale
risarcibile

Il
danno
non
patrimoniale
risarcibile
viene
oggi
individuato
sia
nei
casi
di
previsione
testuale,
sia
in
via
interpretativa.

1) Tra
i
casi
di
previsione
testuale
va
menzionata
anzitutto
l’ipotesi
in
cui
il
fatto
illecito
costituisca
reato.
Inoltre

è
risarcibile
il
danno
non
patrimoniale
derivante
dalla
violazione
delle
norme
in
materia
di:
illegittima

detenzione,
ragionevole
durata
del
processo,
trattamento
dei
dati
personali,
discriminazioni
contrattuali
per

motivi
razziali,
etnici,
religiosi,
di
salute
o
condizione
psicofisica,
pari
opportunità
tra
uomo
e
donna,
parità
di

trattamento
nel
lavoro,
diritto
d’autore,
proprietà
industriale,
espressioni
offensive
impiegate
in
scritti

difensivi,
danno
da
vacanza
rovinata,
annullamento
del
matrimonio,
licenziamento
ingiurioso,
violazione
dei

doveri
genitoriali
in
caso
di
separazione
personale
dei
coniugi.

2) In
via
interpretativa
ammette
a
risarcimento
la
lesione
dei
diritti
inviolabili
della
persona
costituzionalmente

garantiti.


•
Il
nesso
di
causalità

Ulteriore,
distinto
requisito,
è
l’esistenza
di
un
nesso

o
rapporto
di
causalità
tra
fatto
illecito
e
danno,
inteso
nei
due

significati
sopra
visti.

a) Il
nesso
tra
condotta
e
danno‐evento
è
regolato
dal
cd
rapporto
di
causalità
materiale
o
naturale.
Esso

richiede
che
il
fatto
sia
requisito
o
condizione
necessaria
per
il
prodursi
dell’evento
(che
perciò
non
si
sarebbe

verificato
senza
quel
fatto).
Inoltre
sono
addossati
all’agente
gli
eventi
che
siano
concreta
realizzazione
del

rischio
specifico
creato
dall’illecito.

b) Il
nesso
tra
evento
e
danno‐conseguenza
è
invece
regolato
dal
cd
rapporto
di
causalità
giuridica.
Il

danneggiante
risponderà
dei
danni
che
siano
conseguenza
immediata
e
diretta
della
lesione,
anche
se

imprevedibili.

Se
più
persone
hanno
concorso
a
cagionare
il
danno
sono
tutte
obbligate
al
risarcimento
con
vincolo
di
solidarietà,
pur

se
diverso
sia
stato
il
contributo
di
ciascuno.
Viceversa,
nei
rapporti
interni
fra
i
corresponsabili
la
responsabilità
si

suddivide
in
proporzione
alla
gravità
delle
rispettive
colpe
e
all’entità
delle
conseguenze
che
ne
sono
derivate.
Nel

dubbio
le
singole
colpe
si
presumono
uguali.


•
Il
dolo
o
la
colpa

Il
comportamento
deve
essere
doloso
o
colposo.

Si
ha
dolo
quando
l’evento
è
preveduto
e
voluto
dall’agente
come
conseguenza
della
propria
azione
o
omissione.

L’evento

e
il
pregiudizio
nella
sfera
giuridica
altrui
sono
quindi
lo
scopo
cui
è
diretta
la
condotta
del
soggetto.

Si
ha
colpa
quando
vi
sia
negligenza
o
imprudenza
o
imperizia,
ovvero
inosservanza
di
leggi,
regolamenti,
ordini
o

discipline.
L’importante
è
che
l’evento
dannoso
non
sia
stato
preveduto
e
non
sia
lo
scopo
cui
è
diretta
l’azione.
Ciò

che
si
rimprovera
al
soggetto
è
di
non
aver
osservato
la
diligenza
media,
la
cui
inosservanza
importa
responsabilità
per

danni.


•L’imputabilità
e
le
cause
di
giustificazione

L’atto
dannoso
infine
deve
e
essere
imputabile
al
suo
autore,
e
cioè
deve
essere
commesso
con
coscienza
e
volontà:

l’agente
deve
aver
scelto
coscientemente
e
liberamente
di
tenere
il
comportamento
che
ha
cagionato
il
danno.

L’imputabilità
quindi
può
mancare
per
difetto
di
coscienza
e/o
di
libertà
di
agire
nei
seguenti
casi:


a) non
sarà
responsabile
delle
conseguenze
chi
non
aveva
la
capacita
di
intendere
o
la
capacità
di
volere
al

momento
in
cui
ha
commesso
il
fatto.
Ciò
che
si
richiede
dunque
è
la
capacità
naturale.
Lo
stato
di
incapacità

inoltre
non
deve
dipendere
da
colpa
del
soggetto
(azione
libera
in
causa,
in
cui
il
soggetto
è
pienamente

libero
e
capace
nel
momento
in
cui
si
pone
in
condizioni
di
incapacità,
causa
del
successivo
comportamento

dannoso).
E’
chiamato
a
rispondere
dei
danni
chi
era
tenuto
alla
sorveglianza
dell’incapace.
Se
tuttavia
il

danneggiato
non
ottenga
neanche
in
tal
modo
il
risarcimento,
il
giudice,
avuto
riguardo
alle
condizioni

economiche
delle
parti,
può
condannare
l’incapace
al
pagamento
di
una
equa
indennità.

b) La
responsabilità
è
esclusa
quando
ricorrano
le
cd
cause
di
giustificazione,
e
cioè
circostanze
che
autorizzano

o
addirittura
impongono
la
condotta,
cos’
elidendo
la
stessa
antigiuridicità
del
fatto.
In
questi
casi
o
l’agente

aveva
facoltà
di
tenere
quel
comportamento
ovvero
non
aveva
piena
libertà
di
scelta:
in
entrambi
i
casi
non

sarà
responsabile.
La
responsabilità
è
esclusa
quando
la
condotta
è
giustificata
dall’esercizio
di
un
diritto
o

dall’adempimento
di
un
dovere.
E’
esclusa
inoltre
quando
vi
sia
il
consenso
dell’avente
diritto
e
quando
il

danno
sia
cagionato
per
legittima
difesa
(proporzionata
all’offesa)
di
sé
o
di
altri.
La
responsabilità
invece
è

soltanto
attenuata
nel
cd
stato
di
necessità,
quando
cioè
si
è
agito
per
la
necessità
di
salvare
sé
o
altri
dal

pericolo
attuale
di
un
danno
grave
alla
persona.
In
questo
caso,
al
danneggiato
è
dovuta
una
equa
indennità

determinata
dal
giudice.


La
responsabilità
indiretta

Sono
previste
ipotesi
in
cui
la
responsabilità
incombe
su
soggetti
diversi
da
chi
ha
commesso
il
fatto
(ovvero
anche
su

altri
soggetti
oltre
che
sull’agente).
Si
parla
perciò
di
responsabilità
indiretta
o
per
fatto
altrui.

•Responsabilità
dei
genitori,
dei
tutori,
dei
precettori
per
il
danno
cagionato
dal
fatto
illecito
dei
figli
minori,
delle

persone
soggette
alla
tutela,
degli
allievi
ed
apprendisti
nel
tempo
in
cui
sono
sotto
la
loro
vigilanza.
Infatti
chi
è

tenuto
alla
sorveglianza
o
vigilanza
su
altre
persone
risponde
del
danno
da
queste
cagionato.
Dette
persone
possono

essere
incapaci
di
intendere
o
di
volere
ovvero
capaci,
essendo
in
grado
di
comprendere
il
senso
delle
azioni
che

compiono.
Genitori
e
insegnanti
rispondono
anzitutto
in
via
esclusiva
del
danno
cagionato
dalle
persone
loro
affidate

quando
queste
siano
incapaci
di
intendere
o
di
volere.
Essi
rispondono
in
via
concorrente
(e
solidale)
con
le
persone

loro
affidate
quando
queste
siano
naturalmente
capaci
e
perciò
responsabili
in
proprio.
I
soggetti
tenuti
a
rispondere

dell’operato
altrui
possono
liberarsi
provando
di
non
aver
potuto
impedire
il
fatto.

•Responsabilità
dei
datori
di
lavoro
per
i
danni
arrecati
dai
dipendenti
nell’esercizio
delle
loro
incombenze.
Il

danneggiato
potrà
agire
per
il
risarcimento
sia
verso
l’agente
sia
verso
il
responsabile
indiretto
e
la
loro
responsabilità

sarà
una
responsabilità
solidale;
il
preponente
avrà
poi
azione
di
regresso
verso
il
preposto.


La
responsabilità
oggettiva

La
responsabilità
oggettiva
è
una
sottospecie
di
responsabilità
extracontrattuale
caratterizzata
dal
fatto
che
non
è

richiesto,
nel
comportamento
del
danneggiante,
il
requisito
del
dolo
o
della
colpa.
Il
risarcimento
pertanto
potrà

ottenersi
sulla
base
del

solo
rapporto
di
causalità
tra
un
fatto
illecito
e
un
danno,
senza
necessità
di
provare
la
colpa

dell’agente.
Le
ipotesi
più
importanti
di
responsabilità
oggettiva
sono
le
seguenti:

a) Esercizio
di
attività
pericolosa,
per
sua
natura
o
per
la
natura
dei
mezzi
adoperati.
L’esercente
sarà

responsabile
dei
danni
cagionati
a
terzi
salvo
che
dimostri
di
aver
adottato
tutte
le
misure
idonee
a
evitare
il

danno,
cioè,
tutti
gli
accorgimenti
offerti
dalla
tecnica
per
esercitare
l’attività
in
condizioni
di
assoluta

sicurezza.

b) Circolazione
di
veicoli
senza
guida
di
rotaie.
Il
conducente
è
responsabile
dei
danni
prodotti
dalla
circolazione

del
veicolo
se
non
prova
di
aver
fatto
tutto
il
possibile
per
evitare
il
danno
(danno
per
comportamento
del

danneggiato
o
per
caso
fortuito).
Responsabile
in
solido
con
il
conducente
è
il
proprietario
del
veicolo
se
non

prova
che
la
circolazione
è
avvenuta
contro
la
sua
volontà,
occorre
anche
che
il
veicolo
fosse
chiuso.
Essi

inoltre
rispondono
in
solido
dei
danni
derivati
da
vizi
di
costruzione
o
da
difetti
di
manutenzione
del
veicolo
e

senza
possibilità
di
prova
liberatoria.
Dei
danni
derivati
da
difetti
di
costruzione
o
progettazione
del
veicolo

risponde
anche
il
produttore
e
chi
abbia
risarcito
tali
danni
avrà
azione
di
regresso
nei
suoi
confronti.

c) Cose
o
animali
in
custodia:
la
responsabilità
grava
su
chi
utilizza
o
tiene
comunque
presso
di
sé
cose
o

animali,
pur
in
sé
non
pericolosi,
che
cagionino
danno
ad
altri.
Qui
la
responsabilità
è
esclusa
solo
se
si
provi
il

caso
fortuito
(evento
naturale,
fatto
di
un
terzo
o
dello
stesso
danneggiato).

d) Rovina
di
edificio
o
di
una
sua
parte.
Il
proprietario
è
responsabile
dei
danni
se
non
prova
che
la
rovina
è

dovuta
a
causa
diversa
da
difetto
di
manutenzione
o
vizio
di
costruzione
ma
dal
sopravvenire
di
altro
evento.

e) Prodotti
difettosi.
Il
produttore
(e
in
alcuni
casi
l’importatore
o
il
distributore)
di
prodotti
industriali
o
agricoli

è
responsabile
dei
danni
derivanti
dai
difetti
di
tali
beni:
questi
sono
considerati
difettosi
quando
non
offrono

la
sicurezza
che
ci
si
può
legittimamene
attendere
in
relazione
ad
alcune
circostanze.


Differenze
tra
responsabilità
contrattuale
ed
extracontrattuale

•
La
responsabilità
contrattuale
si
ha
non
solo
in
caso
di
violazione
di
un
contratto,
ma
in
tutti
i
casi
di
inadempimento

di
una
specifica,
preesistente
obbligazione,
a
differenza
di
quella
extracontrattuale

•
Nella
RC
è
sufficiente
che
il
creditore
insoddisfatto
provi
il
suo
credito
e
l’entità
del
danno:
sarà
il
debitore,
se
vuole

evitare
la
condanna,
a
dover
provare
che
l’inadempimento
non
gli
è
imputabile.

•
Nella
RC
colposo
il
risarcimento
è
limitato
ai
danni
prevedibili
al
momento
in
cui
è
nata
l’obbligazione;
nella
RE
non

opera
tale
limite.

•
La
RE
è
soggetta
a
prescrizione
(5
anni)
più
breve
di
quella
prevista
nella
RC
(10
anni).



Atto
illecito
e
atto
dannoso

Ciò
che
è
fonte
di
responsabilità
non
è
tanto
il
fatto
illecito,
cioè
il
fatto
vietato
dalla
legge,
quanto
piuttosto
il
fatto

dannoso,
il
fatto
produttivo
di
danno.
Le
figure
possono
coincidere
e
possono
anche
darsi
indipendentemente
l’una

all’altra.
L’atto
illecito
si
qualifica
oggettivamente
come
tale
e
la
legge
prevede
mezzi
di
tutela
preventiva
e

reintegrativa.
Le
misure
preventive
sono
dirette
a
impedire
il
compimento,
o
l’ulteriore
prosecuzione,
dell’illecito.
E’
la

cd
azione
inibitoria
che
inibisce,
vieta
un
certo
comportamento.
Le
misure
reintegrative
hanno
la
funzione
di

reintegrare
il
soggetto
leso
nella
situazione
giuridica
alterata,
anche
qui
prescindendo
dalla
imputabilità
del
fatto
o

dalla
colpa
dell’agente.


Atti
leciti
dannosi

La
legge
consente
talvolta
alcuni
atti
che
pur
sono
fonte
di
danno
per
altri:
sono
i
cd
atti
leciti
dannosi.
Le
ipotesi

principali
sono
quelle
di
accesso
al
fondo
altrui
per
riparare
o
recuperare
la
cosa
propria,
immissioni
intollerabili
e

tuttavia
consentite,
inseguimento
di
animali
sul
fondo
altrui,
revoca
della
proposta
contrattuale.
La
legge
in
questi
casi

consente
l’attività
dannosa
ma
impone
al
contempo
l’obbligo
di
corrispondere
una
indennità
al
danneggiato.
Si

differenzia
dal
risarcimento
perché
non
deve
comprendere
tutto
il
danno,
ma
costituire
solo
un
equo
ristoro
o

compenso
per
il
pregiudizio.
Si
conferma
allora,
che
un
atto
ben
può
essere
insieme
illecito
e
dannoso
e
tuttavia
la

responsabilità
extracontrattuale
è
volta
a
reagire
in
senso
proprio
contro
il
danno
ingiusto,
piuttosto
che
contro
il

fatto
illecito.


Atti
illeciti
dolosi

Residua
comunque
un’area
in
cui
la
responsabilità
richiede
sia
l’estremo
del
danno,
sia
l’illiceità
della
condotta:
sono

le
ipotesi
in
cui
per
l’imputazione
del
fatto
non
basta
la
colpa,
ma
occorre
anche
il
dolo:
ad
es.
false
informazioni,

storno
di
dipendenti,
doppia
alienazione
immobiliare.



Le
funzioni
della
responsabilità
aquiliana

L’obbligazione
risarcitoria
si
giustifica
quale
specifica
forma
di
reazione
alla
violazione
commessa
con
la
lesione

dell’altrui
sfera
giuridica,
la
quale
trova
ragione
nella
concreta
inidoneità
delle
misure
di
prevenzione
e
di

reintegrazione
al
fine
di
rimediare
alla
violenza
suddetta.
La
disciplina
della
responsabilità
aquiliana
svolge
due

fondamentali
funzioni.

La
responsabilità
soggettiva
o
per
colpa
risponde
a
una
concezione
etica
e
ha
funzione
insieme
sanzionatoria
e

deterrente:
sanzionatoria
perché
punisce
chi
ha
colpevolmente
o
dolosamente
violato
il
precetto
di
rispettare
l’altrui

sfera
giuridica
(e
cagionato
un
danno);
deterrente
perché
dissuade
con
la
minaccia
dell’obbligo
risarcitorio
dal
tenere

detta
condotta.

La
responsabilità
oggettiva
viceversa
risponde
a
una
concezione
tecnica
dello
strumento
risarcitorio
e
svolge
una

funzione
in
senso
lato
economico‐assicurativa.
E’
una
mera
tecnica
di
allocazione
o
ridistribuzione
dei
danni:
esulando

una
colpa
dell’agente
è
fuori
luogo
invocare
risvolti
etici
per
una
condotta
che
non
è
riprovevole.;
si
prospetta

piuttosto
un
problema
di
allocazione
delle
perdite
che
va
risolto
come
un
problema
economico‐sociale:
è
bene
che
il

danno
sia
sopportato
da
chi
meglio
è
in
grado
di
sopportarne
le
conseguenze
col
minor
impatto
sociale.
Da
tale
punto

di
vista,
è
l’imprenditore
che
meglio
di
altri
è
in
grado
di
sostenere
l’onere
economico
di
tali
perdite.


4)ALTRI
FATTI
FONTE
DI
OBBLIGAZIONE

CAPITOLO
42:
Le
obbligazioni
nascenti
dalla
legge

L’art
1173
nell’elencare
le
fonti
delle
obbligazioni
accanto
al
contratto,
fatto
illecito
e
atti
unilaterali,
richiama
anche

ogni
altro
fatto
idoneo
a
produrle
in
conformità
dell’ordinamento
giuridico.


Ne
sono
esempi
il
perimento
della
cosa
data
in
garanzia
che
obbliga
il
debitore
a
prestare
altra
garanzia
e

l’impossibilità
nell’obbligazione
alternativa
che
obbliga
a
eseguire
l’altra
prestazione.

I
fatti
qui
considerati
si
configurano
come
atti
o
fatti
giuridici
in
senso
stretto.
Le
figure
specificamente
considerate

sono
la
gestione
d’affari
altrui,
il
pagamento
dell’indebito,
l’arricchimento
senza
causa.


La
gestione
d’affari
altrui

Con
la
gestione
d’affari
altrui
si
considera
l’ipotesi
in
cui
un
soggetto,
senza
esservi
obbligato
e
senza
averne
il
potere,

gestisce
un
affare
altrui.
Può
trattarsi
sia
di
un
comportamento
materiale,
sia
del
compimento
di
atti
giuridici.
Di

regola
tale
immissione
negli
affari
altrui
costituisce
illecito.
Ma
si
consideri
il
caso
in
cui
l’interessato
non
è
in
grado
di

provvedere
perché
si
trova
ammalato
o
all’estero
o,
comunque,
impossibilitato
a
intervenire
tempestivamente.

In
questo
caso,
se
qualcuno
senza
esservi
obbligato,
assume
spontaneamente
la
gestione
di
un
affare
altrui
è
anzitutto

obbligato
a
continuarla
fino
a
quando
l’interessato
non
è
in
grado
di
provvedervi
da
sé.
Il
gestore,
inoltre,
è
tenuto
ad

agire
con
la
diligenza
media,
del
buon
padre
di
famiglia
ed
è
soggetto
alle
obbligazioni
che
deriverebbero
da
un

mandato.
L’interessato,
a
sua
volta,
rimane
vincolato
alle
obbligazioni
assunte
dal
gestore
in
suo
nome
e
deve

rimborsarlo
delle
spese
necessarie
e
utili
che
abbia
assunto
in
nome
proprio.
Condizione
per
tali
obblighi
è
che
la

gestione
sia
stata
utilmente
iniziata,
che
cioè
si
presentasse
vantaggiosa
o
necessaria
al
momento
in
cui
è
iniziata

l’attività.
Non
importa
invece
il
risultato
finale,
che
potrebbe
anche
essere
negativo.
L’istituto
non
si
applica
agli
atti
di

gestione
compiuti
contro
l’espresso
divieto
dell’interessato,
purchè
tale
divieto
non
sia
contrario
alla
legge,
all’ordine

pubblico
o
al
buon
costume.


Il
pagamento
dell’indebito

Si
ha
pagamento
di
indebito
quando
una
persona
esegue
una
prestazione
non
dovuta:
una
prestazione
appunto

indebita.
Ciò
può
verificarsi
per
i
motivi
più
diversi:
può
darsi
che
il
contratto
sia
nullo
oppure
che
esso
sia
stato

annullato
o
risolto.
Può
darsi
il
caso
che
il
debito,
effettivamente
esistente,
sia
ormai
estinto.
La
legge
considera
il

pagamento
dell’indebito
come
fonte
di
una
obbligazione
del
ricevente:
egli
ha
l’obbligo
di
restituire
quanto

indebitamente
ricevuto
e,
correlativamente,
chi
ha
pagato
ha
diritto
di
riavere
la
prestazione
eseguita.
Si
parla
di

ripetizione
dell’indebito:
il
solvens
può
chiedere
indietro
quanto
ha
pagato.
Occorre
distinguere
però
2
ipotesi:

a) L’indebito
si
dice
oggettivo
quando
la
prestazione,
oggettivamente
non
gli
è
dovuta
da
nessuno.
Chi
ha

pagato
ha
senz’altro
diritto
alla
restituzione
e
inoltre
ai
frutti
e
agli
interessi:
dal
giorno
del
pagamento
se
chi

lo
ha
ricevuto
era
in
mala
fede;
dal
giorno
della
domanda
se
chi
lo
ha
ricevuto
era
in
buona
fede.

b) L’indebito
si
dice
soggettivo
quando
la
prestazione
non
gli
è
dovuta
soggettivamente,
non
è
dovuta
cioè
da

chi
effettivamente
ha
pagato,
ma
tuttavia
è
dovuta
da
una
terza
persona.
Chi
ha
pagato
il
debito
altrui
ha

diritto
alla
restituzione
solo
se
il
pagamento
è
avvenuto
per
un
errore
scusabile.
Se
non
c’è
errore
e
dunque
si

è
pagato
volontariamente
il
debito
altrui
si
ha
un’ipotesi
di
adempimento
del
terzo.
Quando
non
è
ammessa

la
ripetizione,
chi
ha
pagato
subentra
nei
diritti
del
creditore
soddisfatto
verso
il
debitore.


Fanno
eccezione
alle
regole
sulla
ripetizione
dell’indebito
le
cd
obbligazioni
naturali,
cioè
quegli
obblighi
che
nascono

sul
terreno
dei
doveri
morali
e
sociali
e
che
non
danno
luogo
a
vere
e
proprie
obbligazioni
(cd
civili)
giuridicamente

vincolanti.
Tali
interessi
non
assurgono
al
rango
di
veri
e
propri
diritti
di
credito
e
non
sono
muniti
di
azione
in
giudizio

per
ottenere
l’adempimento
coattivo.
Si
tratta
di
obbligazioni
sfornite
del
carattere
della
vincolatività
e
della
garanzia

patrimoniale
e
affidate
alla
libera
determinazione
dell’obbligato
in
ordine
al
loro
adempimento:
soltanto
se
detti

doveri
vengono
spontaneamente
adempiuti
non
ne
è
ammessa
la
ripetizione,
non
si
può
cioè
agire
per
ottenere
la

restituzione
di
quanto
pagato.

Non
è
ammessa
la
ripetizione
di
quanto
è
stato
spontaneamente
prestato
in
esecuzione
di
doveri
morali
o
sociali,

salvo
che
la
prestazione
sia
stata
eseguita
da
un
incapace.
Questo
perché,
essendo
un
atto
negoziale
richiede
la

capacità
legale
di
agire.

Deve
esservi
congruità
tra
entità
dell’attribuzione
e
misura
del
dovere,
tenuto
conto
del
patrimonio
del
disponente
e

alla
luce
del
comune
apprezzamento
sociale.

Analoga
previsione
di
irripetibilità
è
sancita
per
le
prestazioni
eseguite
in
vista
di
uno
scopo
contrario
al
buon

costume.
Dunque
per
il
negozio
contrario
al
buon
costume
o
immorale:
le
prestazioni
pattuite,
se
già
eseguite,
non

ammettono
ripetizione
da
parte
di
chi
sia
partecipe
dell’immoralità.
Se
essa
è
bilaterale
nessuno
è
ammesso
alla

ripetizione;
se
invece
essa
è
solo
di
una
parte,
sarà
questa
a
non
poter
chiedere
la
restituzione.


L’arricchimento
senza
causa

Si
ha
arricchimento
senza
causa
quando
un
soggetto
consegue
un
incremento
patrimoniale
in
danno
di
un
altro
senza

che
tale
incremento
abbia
una
adeguata
giustificazione,
o
causa,
alla
stregua
dell’ordinamento
giuridico.
Gli

spostamenti
patrimoniali
da
un
soggetto
a
un
altro,
infatti,
devono
essere
sostenuti
da
una
causa,
lecita
e
meritevole

di
tutela,
che
li
giustifichi
giuridicamente.
Chi
ha
comunque
conseguito
un
arricchimento
ingiustificato
con
correlativa

perdita
in
capo
ad
altri
è
tenuto
a
restituire
l’arricchimento
o,
almeno,
a
indennizzare
l’impoverito.

L’azione
generale
di
arricchimento
senza
causa

Chi
senza
una
giusta
causa,
si
è
arricchito
in
danno
di
un’altra
persona
è
tenuto,
nei
limiti
dell’arricchimento,
a

indennizzare
quest’ultima
della
correlativa
diminuzione
patrimoniale.
Questa
azione:

‐ si
dice
generale
perché
è
concessa
ogni
qualvolta
vi
sia
arricchimento
senza
giusta
causa,
con
correlativo

impoverimento
di
un
altro.

‐ È
residuale
perché
è
concessa
nei
casi
in
cui
il
danneggiato
non
può
esercitare
un’altra
azione
per
farsi

indennizzare
del
pregiudizio.

Le
ipotesi
in
cui
più
frequentemente
può
venire
in
considerazione
l’azione
generale
di
arricchimento
senza
causa
sono

quelle
in
cui
l’arricchimento
deriva
da:

•
atto
dell’arricchito
che,
tuttavia,
non
sia
fonte
di
responsabilità
civile
extracontrattuale.

•
atto
dell’impoverito,
il
quale
esegue
una
prestazione
non
dovuta
per
la
quale
non
sia
in
concreto
esercitabile
la

ripetizione
di
indebito.

L’azione
generale
di
arricchimento,
tuttavia,
è
meno
favorevole
di
altre
specifiche
azioni
previste
per
rimediare
agli

spostamenti
patrimoniali
ingiustificati.
Essa
prevede
un
doppio
limite
quantitativo:
l’arricchimento
dell’uno
e

l’impoverimento
dell’altro.
Non
si
può
chiedere
più
della
propria
perdita
patrimoniale
né
più
dell’effettivo
vantaggio

altrui.

••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••


LA
TUTELA
DEI
DIRITTI

CAPITOLO
43:
La
trascrizione

La
trascrizione
è
una
forma
di
pubblicità
dichiarativa
che
riguarda
(atti
relativi
a)
beni
immobili
e
beni
mobili
registrati.

Essa
si
attua
riportando
su
un
pubblico
registro
gli
atti
che
incidono
sulle
vicende
giuridiche
di
tali
beni,
in
modo
da

consentire
a
tutti
gli
interessati
di
prenderne
conoscenza.

Funzione
della
trascrizione
è
quella,
e
soltanto
quella,
di
risolvere
il
conflitto
tra
più
acquirenti
di
uno
stesso
diritto
(o

di
diritti
incompatibili)
da
un
medesimo
dante
causa:
tra
i
diversi
acquirenti
viene
preferito
quello
che
per
primo
ha

reso
pubblico
il
suo
acquisto
col
mezzo
della
trascrizione,
pur
se
il
suo
acquisto
sia
di
data
posteriore.
(Effetto
della

trascrizione
anteriore
opera
anche
quando
il
secondo
acquirente
e
primo
trascrivente
fosse
in
mala
fede,
fosse
cioè
a

conoscenza
della
vendita
precedente).
Dunque,
tale
forma
di
pubblicità
non
svolge
alcun
ruolo
sostanziale
in
ordine

alla
validità
o
efficacia
del
contratto.
La
trascrizione
non
costituisce
un
obbligo
per
l’acquirente,
bensì
un
onere,
una

formalità
necessaria
per
garantirsi
contro
una
eventuale,
ulteriore
alienazione
ad
altra
persona
che
trascriva
il
proprio

acquisto.
Gli
atti
soggetti
a
trascrizione
sono
i
contratti,
gli
atti
unilaterali
e
le
sentenze
che
trasferiscono,

costituiscono
o
modificano
diritti
reali
(o
diritti
di
godimento
ultranovennale)
su
beni
immobili
e
mobili
registrati.

La
generalità
dei
registri
immobiliari
è
ordinata
su
base
personale:
gli
atti
vengono
trascritti
con
riferimento
alle

persone
che
li
hanno
compiuti,
e
perciò
per
ogni
atto
viene
effettuata
una
doppia
trascrizione:
una
a
favore

dell’acquirente
e
una
contro
l’alienante.
Una
ricerca
scrupolosa
deve
risalire
fino
a
un
acquisto
a
titolo
originario:
se

manca
uno
dei
passaggi
anteriori
le
successive
trascrizioni
non
hanno
effetto,
perché
non
sono
in
grado
di
rendere

note
ai
terzi
tutte
le
vicende
del
bene.
Viene
a
mancare
la
cd
continuità
delle
trascrizioni.
Dunque
la
trascrizione
a

carico
di
un
soggetto
non
produce
effetto
se
non
è
stato
trascritto
l’atto
anteriore
all’acquisto.
Tale
trascrizione

tuttavia
non
è
del
tutto
inutile:
vale
infatti
come
una
sorta
di
prenotazione
per
il
caso
in
cui
sia
poi
trascritto
l’atto
di

acquisto
anteriore.
In
tale
caso
le
successive
trascrizioni
o
iscrizioni
producono
effetto
secondo
il
loro
ordine

rispettivo.

Altre
funzioni
della
trascrizione

La
trascrizione
di
alcuni
atti
(come
le
domande
giudiziali
e
i
contratti
preliminari)
svolge
una
funzione
di
prenotazione,

assicurando
la
possibilità
di
opporre
ai
terzi,
rispettivamente,
la
sentenza
e
il
contratto
definitivo
con
effetto
dalla
data

della
prima
trascrizione.

•
Domande
giudiziali

Qui
la
pubblicità
ha
la
funzione
di
rendere
la
sentenza
opponibile
ai
terzi
che
abbiano
acquistato
il
diritto
controverso

durante
il
processo.
Pertanto
essa
assicura
a
colui
che
agisce
in
giudizio
che,
nel
tempo
necessario
a
far
valere
il
suo

diritto,
la
controparte
non
venda
il
bene
a
terzi,
frustrando
cosi
le
sue
aspettative.
Inoltre
la
trascrizione
della

domanda
serve
a
mettere
sull’avviso
i
terzi
in
quanto,
nel
caso
in
cui
venisse
accolta,
la
sentenza
gli
potrebbe
essere

opposta
travolgendo
il
loro
acquisto.
Per
contro,
in
assenza
di
domande
giudiziali
a
carico
del
venditore,
la
trascrizione

dell’atto
d’acquisto
metterà
il
terzo
a
riparo
dalle
domande
che
dovessero
essere
trascritte
successivamente.

Le
sentenze
che
accolgono
tali
domande
vanno
annotate
a
margine
della
trascrizione
della
domanda
stessa,
pena

l’inefficacia
delle
trascrizioni
successive
a
carico
di
chi
ha
ottenuto
il
provvedimento
favorevole.


L’efficacia
della
trascrizione
della
domanda
giudiziale
è
limitata
a
20
anni
ma
l’interessato
prima
della
scadenza
può

procedere
alla
sua
rinnovazione.
Vanno
trascritte
le
domande
di
risoluzione
e
di
rescissione,
di
esecuzione
forzata

dell’obbligo
di
contrarre
e
di
accertamento
della
simulazione,
di
revoca
degli
atti
fraudolenti,
di
nullità
o
annullamento

dei
contratti.

Una
regola
particolare
vige
per
i
casi
di
nullità
e
annullamento
per
incapacità
legale:
la
sentenza
che
accoglie
la

domanda
infatti
travolge
anche
i
diritti
acquistati
dai
terzi
di
buona
fede
che
pur
abbiano
trascritto
prima
della

trascrizione
della
domanda
giudiziale
(a
meno
che
non
siano
decorsi
cinque
anni
senza
che
sia
stata
trascritta
alcuna

domanda
giudiziale
=
pubblicità
sanante).

•
Contratto
preliminare

E’
prevista
oggi
la
trascrizione
dei
contratti
preliminari
che
abbiano
ad
oggetto
trasferimento,
costituzione
o

modificazione
della
proprietà
o
di
diritti
reali
di
godimento
su
immobili.
Il
promittente
acquirente,
trascrivendo
il

preliminare,
prenota
la
possibilità
di
trascrivere
il
contratto
definitivo,
rendendolo
opponibile
ai
terzi
dalla
data
di

trascrizione
del
preliminare.
La
pubblicità
perde
effetto
se
la
trascrizione
del
contratto
definitivo
(o
della
domanda

giudiziale
di
esecuzione)
non
segue
entro
un
anno
dalla
data
pattuita
per
la
stipula.
La
trascrizione
del
preliminare

perde
efficacia
se
il
definitivo
non
venga
trascritto
entro
3
anni
dalla
trascrizione
del
preliminare.


•
Vi
sono
ipotesi
in
cui
la
trascrizione
ha
efficacia
costitutiva
in
ordine
a
determinati
atti
o
fatti:
così
è
per
gli
atti

interruttivi
dell’usucapione
immobiliare,
per
l’acquisto
dei
diritti
reali
che
si
realizza
nell’usucapione
abbreviata,
per
il

pignoramento
di
immobili.

•
Vi
sono
poi
casi
in
cui
la
trascrizione
ha
mera
funzione
di
pubblicità
notizia:
così
è
per
gli
acquisti
a
causa
di
morte
e

per
le
sentenze
di
accertamento
dell’avvenuta
usucapione
immobiliare.
Tali
fatti
sono
opponibili
a
terzi
anche
se
non

trascritti
e
la
pubblicità
serve
essenzialmente
al
fine
di
realizzare
la
continuità
delle
trascrizioni,
consentendo
così
di

ricostruire
le
vicende
del
bene.


CAPITOLO
45:
Prescrizione
e
decadenza

Prescrizione

La
prescrizione
è
l’estinzione
dei
diritti
dovuta
all’inerzia
del
titolare,
che
non
li
esercita
per
il
tempo
determinato
dalla

legge.
Essa
trova
fondamento
in
una
esigenza
di
certezza
dei
rapporti
giuridici.


La
prescrizione
riguarda,
in
linea
di
principio,
tutti
i
diritti,
assoluti
e
relativi
(eccetto
quelli
indisponibili,
la
proprietà,
le

azioni
volte
a
far
dichiarare
la
nullità
di
un
atto
e
le
facoltà).

La
prescrizione
è
inderogabile:
le
parti
non
possono
escluderla,
né
modificarne
i
termini,
né
rinunciarvi.
Spetta
però

alla
parte
interessata
far
rilevare
in
giudizio
l’avvenuta
prescrizione
del
diritto
altrui:
il
giudice
non
potrebbe
rilevarla

d’ufficio.
Inoltre
il
soggetto
a
favore
del
quale
è
prevista
può
rinunciare
ad
avvalersi
della
prescrizione
(espressamente

o
tacitamente)
dopo
che
essa
si
sia
compiuta,
dopo
che
sia
decorso
cioè
il
relativo
termine.

Ove
però
l’inerzia
venga
meno
o,
comunque,
sia
giustificata,
la
prescrizione
non
può
operare.
Sono
previsti
per
questo

gli
istituti
della
interruzione
e
della
sospensione
che,
rispettivamente,
interrompono
e
sospendono
il
decorso
del

tempo
richiesto
per
la
prescrizione.
L’interruzione
deriva
da
qualunque
atto
di
esercizio
del
diritto
e
la
prescrizione
è

interrotta
e
inizia
a
decorrere
un
nuovo
termine
di
prescrizione:
il
periodo
trascorso
perde
valore
e
non
viene
più

computato.
La
sospensione
si
fonda
invece
sull’esistenza
di
particolari
rapporti
tra
i
soggetti
(es.
coniugi
o
incapace
e

chi
ne
ha
cura),
che
giustificano
l’inerzia
del
titolare
del
diritto.
E’
sospesa
inoltre
in
alcuni
casi
in
cui
la
particolare

condizione
del
soggetto
non
gli
consente
di
esercitare
i
suoi
diritti.
La
sospensione
sospende
il
computo
del
tempo
per

il
periodo
in
cui
perdura
la
relativa
causa,
ma
non
toglie
valore
al
tempo
già
trascorso:
venuta
meno
la
causa
di

sospensione
il
computo
del
tempo
ricomincia,
sommandosi
al
periodo
precedente.

La
prescrizione
inizia
a
decorrere
dal
giorno
in
cui
il
diritto
può
essere
fatto
valere:
pertanto
se
si
tratta
di
diritto

sottoposto
a
termine
o
a
condizione
occorre
che
il
termine
sia
scaduto
o
la
condizione
si
sia
verificata.
La
prescrizione

si
compie
nello
spirare
dell’ultimo
giorno
del
termine
(se
è
giorno
festivo,
il
termine
è
automaticamente
prorogato
a

quello
successivo).
La
prescrizione
a
mesi
si
verifica
nel
giorno
corrispondente
a
quello
del
mese
iniziale
e,
se
manca,

nell’ultimo
giorno
del
mese.


Quanto
alla
durata
si
distinguono
prescrizione
ordinaria
(10
anni
per
tutti
i
diritti
per
cui
non
sia
disposto

diversamente)
e
prescrizioni
brevi.
Queste
ultime
sono
previste
per
ipotesi
specifiche:
5
anni
per
diritto
al

risarcimento
dei
danni
da
fatto
illecito,
prestazioni
periodiche,
rapporti
societari;
si
prescrivono
in
un
termine
minore

gli
altri
rapporti.
Si
prescrivono
invece
in
20
anni
i
diritti
reali
di
godimento
su
beni
altrui.

Prescrizioni
presuntive

Le
prescrizioni
presuntive
partecipano
della
prescrizione
perché
si
basano
sul
decorso
del
tempo;
partecipano
delle

presunzioni
perché
dal
decorso
del
tempo
fanno
discendere
la
presunzione
che
il
debito
sia
estinto.
La
legge
presume

che,
decorso
un
breve
periodo
senza
che
il
creditore
abbia
sollecitato
l’adempimento,
il
debito
sia
stato

effettivamente
pagato
o
sia
comunque
estinto
per
altra
causa.
Al
debitore
pertanto
basterà
invocare
la
prescrizione

presuntiva
per
essere
esonerato
dall’onere
di
provare
l’avvenuto
adempimento
o
estinzione
dell’obbligazione.
La

presunzione
non
è
assoluta.
Il
creditore
può
vincerla
solo
deferendo
alla
controparte
il
giuramento
decisorio
o

ottenendone
una
confessione
(piena
o
indiretta=il
debitore
comunque
ammette
in
giudizio
che
l’obbligazione
non
è

stata
estinta).
In
tal
caso
l’eccezione
va
rigettata,
perché
il
debitore
ha
comunque
ammesso
di
non
aver
pagato,
e

decorrerà
l’ordinaria
prescrizione
decennale.
Le
prescrizioni
presuntive
sono
previste
per
il
diritto
di
osti
e
albergatori,

insegnanti
e
precettori,
commercianti
e
professionisti.


Decadenza

La
legge
impone
in
alcune
ipotesi,
a
chi
voglia
conservare
un
diritto,
un
onere
specifico
(e
talvolta
ulteriore
rispetto
al

vero
e
proprio
esercizio
che
ne
impedisce
la
prescrizione);
impone
in
particolare
il
compimento
di
uno
specifico
atto

che
valga
a
manifestare
l’intenzione
di
avvalersi
del
diritto,
dando
così
certezza
in
tempi
brevi
alle
situazioni
giuridiche.

La
decadenza,
quindi,
è
l’estinzione
del
diritto
dovuta
all’oggettivo
decorso
del
tempo
fissato
perentoriamente
dalla

legge.
A
differenza
della
prescrizione
non
rilevano
le
ragioni
che
hanno
determinato
l’inerzia
del
titolare
(NO

interruzione
e
sospensione).
La
decadenza
può
solo
essere
impedita,
cioè
evitata,
neutralizzata,
e
tale
impedimento
si

verificherà
una
volta
sola:
realizzato
che
sia,
la
decadenza
è
definitivamente
impedita
e
il
diritto
conservato.

L’atto
richiesto
può
consistere
in
un
atto
stragiudiziale
ovvero
nella
vera
e
propria
azione
in
giudizio.
I
termini
di

decadenza
sono
molto
brevi.
Essa
comunque
non
è
istituto
stabilito
al
posto
della
prescrizione
bensì
in
aggiunta
alle

regole
sulla
prescrizione:
una
volta
impedita
la
decadenza
il
diritto
rimane
soggetto
alle
disposizioni
sulla
prescrizione.

Sono
previsti
due
tipi
di
decadenza,
legale
e
convenzionale.

•
La
decadenza
legale
è
quella
prevista
dalla
legge
per
ragioni
di
interesse
generale
o
nell’interesse
di
uno
dei

soggetti.
Nel
primo
caso,
e
cioè
quando
essa
riguardi
diritti
indisponibili,
le
parti
non
possono
né
modificare
la

disciplina
né
rinunciarvi
e
il
giudice
è
tenuto
a
rilevarla
d’ufficio.
Ove
invece
la
decadenza
legale
afferisca
a
diritti

disponibili,
e
altresì
nel
caso
di

•
decadenza
convenzionale,
le
parti
possono
determinarne
la
disciplina,
la
quale
però
non
deve
rendere

eccessivamente
difficile
l’esercizio
del
diritto.

•••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••


I
SINGOLI
CONTRATTI

CAPITOLO
46:
Introduzione

I
singoli
contratti
sono
contratti
tipici
o
nominati,
che
hanno
un
nome
e
una
speciale
considerazione
nella
legge
per
la

loro
rilevanza
socio‐economica,
per
la
frequenza
con
cui,
nella
pratica
degli
affari,
si
ricorre
a
tali
schemi
di

sistemazione
delle
operazioni
economiche.
Sono
dunque
schemi
o
modelli
astratti
di
operazioni
contrattuali
che

corrispondono
al
modo
in
cui
si
atteggiano
concretamente
gli
interessi
dei
contraenti.
E’
necessario
quindi
ricondurre

la
fattispecie
concreta
alla
fattispecie
astratta
più
idonea
a
rispecchiarne
contenuto
o
propositi
(ricondurre
il
singolo

contratto
a
uno
specifico
tipo
negoziale,
individuando
così
la
disciplina
applicabile).
Tale
operazione
prende
il
nome
di

qualificazione
del
contratto,
servendo
a
definirne
la
natura
e
il
contenuto
in
modo
da
ricondurlo
al
tipo
più

appropriato.
La
qualificazione
presuppone
l’interpretazione
del
contratto
che
accerta
la
volontà
delle
parti
e
la
loro

comune
intenzione.
La
concreta
analisi
dell’accordo
contrattuale
potrebbe
escludere
la
riconduzione
a
un
contratto

tipico,
dovendosi
allora
propendere
per
una
figura
atipica
o
un
contratto
misto.

L’interpretazione
del
contratto

L’interpretazione
del
contratto
è
l’operazione
diretta
a
chiarire
il
significato
dell’intesa
contrattuale:è

dall’intendimento
del
suo
contenuto,
infatti,
che
potrà
determinarsi
quali
siano
gli
effetti
che
le
parti
intendevano

conseguire
e,
pertanto,
la
stessa
qualificazione
dell’atto
e
la
sua
riconduzione
al
tipo
normativo
più
appropriato.


Canone
fondamentale
di
interpretazione
del
contratto
è
anzitutto
la

buona
fede,
quale
esigenza
di
salvaguardare

l’affidamento
che
ciascuna
delle
parti
poteva
ragionevolmente
fare
sul
contenuto
dell’accordo.
Si
distinguono
poi

regole
di
interpretazione
soggettiva
e
regole
di
interpretazione
oggettiva.

Le
prime
impongono
di
accertare,
alla
stregua
di
alcuni
criteri,
quale
sia
stata
l’intenzione
dei
contraenti
e,
se
a
mezzo

di
esse
il
significato
rimane
chiarito
a
tale
significato
ci
si
dovrà
attenere.
Criteri
di
interpretazione
soggettiva
sono
il

criterio
letterale
(senso
comune
delle
espressioni
usate),
il
criterio
globale
(valutare
anche
il
comportamento

complessivo
delle
parti,
anteriore
e
posteriore
alla
conclusione
del
contratto)
e
il
criterio
sistematico
(dovendosi

interpretare
le
clausole
le
une
per
mezzo
delle
altre).


Ove,
con
l’applicazione
di
tali
criteri,
il
contratto
rimanga
ancora
oscuro,
soccorrono
i
criteri
di
interpretazione

oggettiva,
diretti
a
ricostruire
il
significato
obiettivo
del
contratto,
nell’ambiente
socio‐economico
in
cui
è
stato

stipulato.
Suoi
canoni
sono
il
principio
di
conservazione
(le
clausole
devono
interpretarsi
nel
senso
in
cui
possono

avere
qualche
effetto,
più
che
non
averne
alcuno)
e
gli
usi
negoziali
(secondo
ciò
che
si
pratica
generalmente
nel
luogo

in
cui
è
stato
concluso).
Le
espressioni
ambigue
vanno
intese
nel
senso
più
conveniente
alla
natura
e
all’oggetto
del

contratto.

Ove
vi
sia
ancora
incertezza,
il
contratto
oneroso
va
inteso
nel
significato
che
realizzi
l’equo
contemperamento
degli

interessi
delle
parti
e
il
contratto
gratuito
nel
senso
meno
gravoso
per
l’obbligato.


Ricostruito
così
il
significato
dell’operazione
contrattuale,
sarà
possibile
poi,
come
accennato,
procedere
alla
sua

qualificazione,
che
a
sua
volta,
individuando
il
modello
appropriato
di
riferimento,
servirà
a
determinare
la
disciplina

applicabile.


CAPITOLO
47:
I
contratti
di
alienazione
di
beni

LA
VENDITA

La
vendita
è
il
contratto
che
ha
per
oggetto
il
trasferimento
della
proprietà
di
una
cosa,
o
il
trasferimento
di
un
altro

diritto,
verso
il
corrispettivo
di
un
prezzo.

Funzione
o
causa
della
compravendita
è
perciò
quella
di
realizzare
l’attribuzione
della
titolarità
di
un
diritto,
tramite

trasferimento
da
un
soggetto
a
un
altro,
a
titolo
oneroso:
la
controprestazione
è
costituita
da
una
somma
di
denaro
o

prezzo.
Oggetto
del
contratto
è
un
diritto,
che
può
essere
sia
reale
sia
di
credito
e
riguardare
qualsiasi
bene,
materiale

o
immateriale,
mobile
o
immobile.

Il
contratto
si
conclude
con
il
semplice
consenso:
è
perciò
un
contratto
consensuale
e
la
consegna
della
cosa
non
è

necessaria
né
per
la
perfezione
del
contratto
né
per
il
trasferimento
della
proprietà,
che
si
realizza
immediatamente

per
effetto
del
consenso
delle
parti
legittimamente
manifestato.
Può
aversi
peraltro
una
vendite
a
effetti
obbligatori:

la
conclusione
del
contratto
non
comporta
l’immediato
trasferimento
della
proprietà,
bensì
l’obbligo
a
carico
del

venditore
di
procurare
l’acquisto
in
capo
al
compratore.

Le
figure
principali
di
vendita
obbligatoria
sono:

1) Vendita
di
cose
future,
e
ciè
di
cose
che
devono
ancora
venire
ad
esistenza.
La
proprietà
si
trasferisce
appena

la
cosa
viene
a
esistenza
e
il
venditore
ha
l’obbligo
di
svolgere
un’attività
diligente
perché
la
cosa
venga
ad

esistenza
(in
mancanza
egli
risponderà
per
inadempimento).
Se,
nonostante
lo
sforzo
diligente,
la
cosa
non

viene
ad
esistenza,
la
vendita
è
nulla.
Se
l’acquirente
si
addossa
il
rischio
(contratto
aleatorio),
egli
resterà

obbligato
a
pagare
il
prezzo
anche
se
la
cosa
non
viene
ad
esistenza.

2) Vendita
di
cosa
altrui:
la
proprietà
non
può
trasferirsi
immediatamente,
ma
il
contratto
non
è
né
invalido
né

inefficace;
semplicemente
obbliga
il
venditore
a
procurare
l’acquisto
al
compratore.
Se
non
ci
riuscirà
sarà

inadempiente
e
dovrà
risarcire
i
danni.
Il
compratore,
se
al
momento
del
contratto
ignorava
l’altruità
della

cosa,
ha
diritto
di
chiedere
la
risoluzione
della
compravendita
e
il
risarcimento,
a
meno
che
nel
frattempo
il

venditore
non
glie
ne
abbia
fatto
acquistare
la
proprietà.

3) Vendita
di
cose
generiche,
e
cioè
di
una
certa
quantità
di
cose
individuate
solo
nel
genere.
L’effetto
reale
del

trasferimento
della
proprietà
si
realizza
solo
con
la
individuazione
fatta
d’accordo
tra
le
parti
o
nei
modi
da

esse
stabiliti
ovvero
mediante
consegna
al
vettore
o
spedizioniere.
L’individuazione
è
un
atto
dovuto
per
il

venditore,
un
atto
giuridico
in
senso
stretto.

4) Vendita
alternativa,
che
ha
ad
oggetto
beni
da
scegliere
tra
quelli
dedotti
in
obbligazione.
Anche
qui
il

trasferimento
si
realizza
solo
con
l’effettuazione
della
scelta.
Tale
scelta
ha
carattere
negoziale.


Le
obbligazioni
del
venditore

Le
obbligazioni
principali
del
venditore
sono:
consegnare
la
cosa
al
compratore,
fargliene
acquistare
la
proprietà
e

garantirlo
contro
l’evizione
di
terzi
e
per
i
vizi
della
cosa.

•
Consegnare
la
cosa
al
compratore

Salvo
diversa
volontà
delle
parti,
la
cosa
va
consegnata
(insieme
con
gli
accessori,
le
pertinenze
e
i
frutti,
nonché
i
titoli

e
i
documenti)
nel
luogo
in
cui
essa
si
trova
al
momento
ovvero,
se
la
cosa
deve
essere
trasportata,
anche
tramite

rimessa
al
vettore
o
allo
spedizioniere.
L’obbligo
di
consegnare
una
cosa
determinata
include
quella
di
custodirla
fino

alla
consegna.

•
Far
acquistare
la
proprietà
della
cosa

E’
obbligazione
che
grava
sul
venditore
se
l’acquisto
non
è
effetto
immediato
o
reale
del
contratto.

•
Garanzia
per
l’evizione

Tale
garanzia
riguarda
l’ipotesi
in
cui
terzi
vantino
diritti
sulla
cosa,
perché
l’obbligo
del
venditore,
propriamente,

concerne
il
trasferimento
della
piena
titolarità
del
diritto.


Si
ha
evizione
totale
nell’ipotesi
in
cui
il
terzo,
dimostrando
di
essere
proprietario
della
cosa,
riesca
a
farsi
restituire
il

bene.
Qui
il
compratore
può
chiedere
la
risoluzione
del
contratto
e
il
risarcimento
del
danno.

Si
ha
evizione
parziale
o
cosa
gravata
da
diritti
di
terzi
nell’ipotesi
in
cui
il
terzo
rivendichi
come
sua
solo
una
parte

della
cosa
ovvero
faccia
valere
altri
diritti
sul
bene.
Il
compratore
ha
diritto
alla
risoluzione
del
contratto
quando
in

relazione
alle
circostanza,
debba
ritenersi
che
non
avrebbe
acquistato
la
cosa
senza
la
parte
evitta
ovvero
gravata
da

diritti
altrui.
Diversamente
potrà
chiedere
solo
una
riduzione
del
prezzo,
salvo
sempre
il
risarcimento
dei
danni.

•
Garanzia
per
i
vizi

Altra
fondamentale
obbligazione
del
venditore
è
la
garanzia
per
i
vizi
della
cosa,
e
cioè
per
i
difetti
strutturali
o

funzionali
del
bene.
Deve
trattarsi
però
di
vizi
di
un
certo
rilievo
i
quali
rendano
la
cosa
inidonea
all’uso
cui
è
destinata

o
tali
da
diminuirne
in
modo
apprezzabile
il
valore:
sono
i
cd
vizi
redibitori,
che
consentono
al
compratore
di
restituire

la
cosa
ottenendo
il
rimborso
del
prezzo
pagato.
Inoltre
tali
vizi
devono
essere
occulti,
e
cioè
non
conosciuti
dal

compratore
al
momento
del
contratto
né
facilmente
riconoscibili.
Il
compratore
che
voglia
avvalersi
della
garanzia
ha

l’onere
di
effettuare
al
venditore
la
denunzia
dei
vizi
entro
otto
giorni:
dalla
consegna
se
si
tratta
di
vizi
apparenti;

dalla
scoperta,
se
si
tratta
di
vizi
occulti.
L’inosservanza
di
tale
onere
comporta
la
decadenza
della
garanzia.
Il
termine

di
prescrizione
decorre
dal
momento
della
consegna
e
si
compie
in
un
anno.

In
sintesi,
il
diritto
del
compratore
alla
garanzia
riguarda
i
vizi
redibitori
e
occulti
e
si
prescrive
in
un
anno
dalla

consegna.
Inoltre,
per
essere
operante,
tale
diritto
prevede
in
alcuni
casi
l’onere
della
denunzia
entro
otto
giorni
(dalla

consegna
o
dalla
scoperta).


La
garanzia
offre
al
compratore
due
alternative,
a
sua
scelta:
o
la
risoluzione
del
contratto,
con
conseguente

restituzione
della
cosa
e
del
prezzo
pagato,
ovvero
la
riduzione
del
prezzo.
In
entrambi
i
casi
il
venditore
è
tenuto
al

risarcimento
dei
danni
se
non
prova
di
aver
ignorato
senza
colpa
i
vizi
della
cosa.
Si
tratta
di
materia
disponibile
e

pertanto
la
garanzia
può
essere
esclusa
sull’accordo
delle
parti.


Dai
vizi
di
cui
s’è
detto
vanno
distinte
altre
due
ipotesi
di
inadempimento
del
venditore.

La
prima
è
l’ipotesi
in
cui
la
cosa
venduta
non
ha
le
qualità
promesse
ovvero
quelle
essenziali
per
l’uso
cui
è
destinata.

Il
compratore
è
sempre
soggetto
all’onere
di
denunzia
a
pena
di
decadenza
e
al
termine
di
prescrizione
di
un
anno,
ma

può
ottenere
lo
scioglimento
del
contratto
secondo
le
regole
generali
sulla
risoluzione
per
inadempimento.

L’altra
figura
,
della
vendita
di
cosa
diversa,
riguarda
l’ipotesi
in
cui
la
cosa
non
presenta
semplici
difetti,
bensì

caratteristiche
tali
da
farne,
secondo
l’usuale
valutazione
economico‐sociale,
un
bene
diverso
da
quello
pattuito.
Al

compratore
è
riconosciuto
il
diritto
di
esperire
l’ordinaria
azione
di
risoluzione
del
contratto
senza
l’osservanza
degli

stretti
termini
di
decadenza
e
prescrizione
previsti
per
la
garanzia
per
i
vizi.


Le
obbligazioni
del
compratore

L’obbligazione
fondamentale
del
compratore
è
il
pagamento
del
prezzo,
che
va
effettuato
nel
luogo
e
nei
termini

fissati
dal
contratto
e,
in
mancanza
nel
momento
e
nel
luogo
di
consegna
della
cosa.
Salva
l’ipotesi
di
prezzi
imposti

per
legge,
il
prezzo
è
liberamente
fissato
dalle
parti.
Il
corrispettivo
per
il
trasferimento
della
proprietà
di
un
bene
oltre

che
da
una
somma
di
denaro
può
essere
costituito
dalla
cessione
di
un
altro
bene,
o
di
altri
diritti.
Non
si
avrà
più
una

vendita,
bensì
una
permuta.


Tipi
particolari
di
vendita

A) Vendita
di
cose
mobili

Nella
vendita
di
cose
mobili
è
prevista
una
particolare
procedura
di
esecuzione
coattiva
in
caso
di
inadempimento:
il

contraente
in
bonis
può
far
vendere
o
comprare
la
cosa
sul
mercato
in
danno
della
controparte,
che
sarà
tenuta
a

rimborsare
la
differenza
di
prezzo
e
a
risarcire
il
danno.


La
risoluzione
di
diritto
si
realizza,
fuori
dal
processo,
tramite
intimazione
unilaterale
fatta
da
una
parte
all’altra.

La
ripresa
delle
cose
non
pagate
è
la
facoltà
del
venditore
di
riprendere
possesso
delle
cose
delle
quali
non
sia
stato

pagato
il
prezzo.
Occorre
che
le
cose
siano
ancora
nella
disponibilità
del
compratore
e
che
la
domanda
in
giudizio
sia

proposta
entro
15
giorni
dalla
consegna.

Particolare
rilievo
assume
la
garanzia
per
le
inesattezze
materiali
della
cosa,
distinguendosi
la
garanzia
dei
beni
di

consumo
e
la
garanzia
di
buon
funzionamento.

Portata
generale
ha
anzitutto
la
garanzia
di
buon
funzionamento,
che
prevede
una
tutela
ulteriore
rispetto
alla

disciplina
per
i
vizi
della
cosa:
mentre
questa
riguarda
i
difetti
presenti
nel
bene
al
momento
della
vendita,
la
garanzia

di
buon
funzionamento
riguarda
i
difetti
sopravvenuti.
Tale
garanzia
ha
fonte
ordinariamente
in
una
apposita
clausola

contrattuale
ed
è
dovuta
anche
in
sua
mancanza
nel
caso
esistano
usi
in
tal
senso.


I
termini
e
il
contenuto
della
garanzia
sono
determinati
dal
contratto.
In
mancanza,
il
compratore
deve
denunziare
il

difetto
di
funzionamento
entro
30
giorni
dalla
scoperta
e
l’azione
si
prescrive
in
sei
mesi.


La
vendita
di
beni
di
consumo
è
stata
introdotta
di
recente
al
fine
di
offrire
una
più
efficace
tutela
ai
consumatori.

Detta
disciplina
riguarda:

‐ i
contratti
tra
consumatore
e
professionista

‐ che
hanno
ad
oggetto
la
fornitura
in
senso
ampio

‐ di
beni
di
consumo

‐ non
conformi
al
contratto

Per
quanto
riguarda
i
difetti
di
conformità
al
contratto
al
momento
della
consegna
del
bene,
le
anomali
rilevanti
non

sono
soltanto
quelle
riscontrabili
rispetto
alla
categoria
o
tipo
di
prodotto,
quanto
piuttosto
le
difformità
che

attengono
alle
specifiche
caratteristiche
indicate
nel
contratto
(o
magari
nelle
comunicazioni
pubblicitarie).
Inoltre
ciò

che
rileva
sono
le
caratteristiche
esistenti
al
momento
della
consegna:
ciò
comporta
che
il
rischio
di
anomalie
e

danneggiamenti
sopravvenuti
alla
stipulazione
(es.
durante
trasporto)
non
sono
come
per
regola
generale
a
carico

dell’acquirente‐
consumatore
bensì
del
venditore‐professionista.
Detti
difetti
si
presumono
esistenti
se
si
palesano

entro
6
mesi
da
tale
data.
La
garanzia
opera
per
le
anomalie
che
si
manifestino
entro
2
anni
(ma
sarà
allora

l’acquirente
a
dover
provare
la
loro
esistenza
alla
consegna
ove
si
manifestino
dopo
i
6
mesi),
a
meno
che
il

consumatore
non
fosse
a
conoscenza
del
difetto
a
avrebbe
potuto
rilevarlo
con
l’impiego
dell’ordinaria
diligenza.
In

breve
la
tutela
prevede
che:

‐ il
consumatore
può
chiedere,
a
sua
scelta,
la
riparazione
o
la
sostituzione
del
bene,
che
devono
avvenire
in
un

congruo
termine
e
senza
spese
per
l’acquirente;

‐ ove
il
venditore
non
abbia
provveduto,
ovvero
se
detti
rimedi
siano
impossibili
o
eccessivamente
onerosi,
il

consumatore
può
chiedere,a
sua
scelta
una
riduzione
del
prezzo
o
la
risoluzione
del
contratto.

L’azione
si
prescrive
in
26
mesi
dalla
consegna
ed
è
nullo
qualsiasi
patto
diretto
ad
escludere
o
limitare
tale
tipo
di

tutela:
sono
ammissibili
perciò
solo
le
garanzie
convenzionali
aggiuntive,
che
offrano
cioè
una
tutela
più
ampia.


B) Vendita
con
riserva
di
proprietà

Le
parti
possono
convenire
che
il
trasferimento
sia
differito
a
un
momento
successivo
o
subordinato
al
verificarsi
di
un

certo
evento.
Nella
vendita
a
rate
il
venditore,
a
garanzia
del
pagamento
integrale
del
prezzo,
si
riserva
la
proprietà

fino
al
pagamento
dell’ultima
rata.
Egli
consegue
due
vantaggi:
potrà
riprendersi
il
bene
in
caso
di
inadempimento

senza
ricorrere
alla
risoluzione
del
contratto
e
senza
subire
poi
il
concorso
degli
altri
creditori;
inoltre
può
contare
sul

fatto
che
una
eventuale
alienazione
costituirebbe
reato.
Il
compratore,
dal
canto
suo,
ottiene
subito
la
consegna
del

bene
e
può
goderne
liberamente,
salvo
il
divieto
di
disporne
a
favore
di
terzi,
ma
per
converso
assume
i
rischi
per
il

perimento
fin
dal
momento
della
consegna.

L’effetto
della
riserva
di
proprietà
consegue
solo
alla
espressa
pattuizione
in
tal
senso.


Il
mancato
pagamento
di
una
sola
rata,
che
non
superi
l’ottava
parte
del
prezzo,
non
dà
luogo
alla
risoluzione
del

contratto
e
non
fa
decadere
il
compratore
dal
beneficio
del
termine
relativamente
alle
rate
successive.
La
risoluzione

poi
non
esclude
il
diritto
del
compratore
alla
restituzione
delle
rate
già
pagate,
salvi
il
diritto
del
venditore
a
un
equo

compenso
per
l’uso
della
cosa
e
il
risarcimento
del
danno.


C) Vendita
di
immobili

La
vendita
di
immobili
si
distingue
in
vendita
a
misura
e
vendita
a
corpo.
Si
ha
la
prima
quando
viene
indicata
la
misura

dell’immobile
(es.
metri
quadrati)
e
il
prezzo
è
fissato
in
ragione
di
un
tanto
per
ogni
unità
di
misura.
Qui
compratore
e

venditore
hanno
diritto
a
una
riduzione
o
a
un
supplemento
di
prezzo
se
la
misura
effettiva
è,
rispettivamente,
minore

o
maggiore
di
quella
indicata
in
contratto.
Si
ha
vendita
a
corpo
quando
il
bene
è
venduto
per
un
prezzo
globale

forfettario.
La
legge
ha
dichiarato
nulli
gli
atti
di
compravendita
in
assenza
di
permesso
di
costruire
o
in
difformità

dallo
stesso.


D) Vendita
con
patto
di
riscatto

Nella
vendita
con
patto
di
riscatto
il
venditore
si
riserva
il
diritto
di
riavere
la
proprietà
della
cosa
venduta
mediante

restituzione
del
prezzo.
E’
perciò
una
vendita
intanto
pienamente
efficace
e
traslativa
della
proprietà,
ma
sottoposta
a

condizione
risolutiva,
costituita
dalla
dichiarazione
unilaterale
del
venditore‐riscattante.

In
seguito
al
riscatto
il
venditore
riacquista
la
proprietà
della
cosa
con
effetto
retroattivo
reale
e
il
riscatto
travolge
i

diritti
eventualmente
acquistati
dai
terzi
(salve
solo
le
regole
sulla
trascrizione
x
immobili
e
possesso
titolato
x
mobili).

Il
riscatto
deve
esercitarsi
entro
un
termine
massimo
di
due
anni
per
i
mobili
e
di
cinque
per
gli
immobili
e
non
può

prevedere
un
prezzo
maggiore
di
quello
stabilito
per
la
vendita
originaria.
Il
riscatto
costituisce
un
diritto
potestativo

rispetto
al
quale
il
compratore
è
in
una
situazione
di
mera
soggezione:
nulla
deve
fare,
né
può
d'altronde
opporsi.
Non

si
richiede
un
suo
consenso.
Il
riscatto
opera
quindi
come
opzione
d’acquisto.


E) Altre
figure
particolari
di
vendita

La
vendita
con
riserva
di
gradimento
è
una
vendita
che
si
perfeziona
solo
quando
il
compratore
comunica
al
venditore

il
gradimento
della
merce.
Prima
di
tale
momento
si
riscontra
piuttosto
una
opzione,
che
vincola
solo
il
venditore,
e
il

contratto
si
conclude
con
la
dichiarazione
unilaterale
dell’acquirente.

La
vendita
a
prova
è
una
vendita
ormai
conclusa,
ma
soggetta
alla
condizione
risolutiva
che
la
cosa
abbia
le
qualità

pattuite
e
sia
idonea
all’uso
cui
è
destinata.

La
vendita
su
campione
è
una
vendita
soggetta
alla
condizione
risolutiva
della
accertata
difformità
tra
il
campione
e
la

merce
consegnata.
Del
tutto
analoga
è
la
vendita
su
tipo
di
campione.


IL
CONTRATTO
ESTIMATORIO

Nel
contratto
estimatorio
una
parte
consegna
una
o
più
cose
mobili
all’altra
e
questa
si
obbliga
a
pagarne
il
prezzo,

salvo
che
restituisca
le
cose
nel
termine
stabilito.
Il
contratto
non
trasferisce
subito
la
proprietà:
attribuisce
piuttosto

al
ricevente
la
disponibilità
materiale
delle
cose
e
il
potere
di
disposizione,
e
cioè
la
facoltà
di
venderle
a
terzi.
Il

tradens
pertanto
perde
il
potere
di
disposizione
sulle
cose
e
sopporta
il
rischio
economico
che
esse
restino
invendute.;

per
contro,
ne
mantiene
la
proprietà
fino
a
quando
il
rivenditore
non
le
abbia
alienate,
e
potrà
perciò
sia
opporsi
a
un

eventuale
pignoramento
dei
creditori
del
ricevente,
sia
rivendicarle
come
proprie
in
caso
di
inadempimento
della

controparte.
Il
ricevente,
per
parte
sua,
ottiene
il
potere
di
disporre
delle
cose,
rivendendole
a
terzi,
ma
sopporta
fin

dalla
consegna
il
rischio
del
perimento
incolpevole
ed
è
obbligato
a
pagarne
il
prezzo,
a
meno
che
non
preferisca

restituirle
nel
termine
stabilito.


LA
SOMMINISTRAZIONE

La
somministrazione
è
il
contratto
con
il
quale
una
parte
si
obbliga
a
eseguire,
a
favore
dell’altra,
prestazioni

periodiche
o
continuative
di
cose
ma
altresì
di
servizi.
Essa
è
caratterizzata
così
da
una
pluralità
di
prestazioni
(che
la

distingue
dalla
vendita
a
consegne
ripartite)
ma
altresì
da
una
funzione
unitaria:
soddisfare
bisogni
periodici
o

continuativi
in
un
soggetto.
E’
un
contratto
quindi
con
causa
unica.
L’entità
della
fornitura
può
essere
variata
nel
corso

del
rapporto
e,
se
il
contratto
è
a
tempo
indeterminato,
ciascuna
parte
può
recedere
previo
congruo
preavviso
ma
il

recesso
non
ha
effetto
per
le
prestazioni
già
eseguite.
La
risoluzione
per
inadempimento
può
chiedersi
solo
se
è
tale

da
menomare
la
fiducia
nell’esattezza
dei
successivi
adempimenti.


CAPITOLO
48:
I
contratti
di
utilizzazione
dei
beni

La
locazione

La
locazione
è
il
contratto
col
quale
una
parte
si
obbliga
a
far
godere
all’altra
una
cosa
mobile
o
immobile
per
un
dato

tempo,
verso
un
corrispettivo.
Si
tratta
di
un
contratto
consensuale
a
effetti
obbligatori:
più
precisamente,
esso

attribuisce
un
diritto
personale
di
godimento
e
il
conduttore
ha
solo
la
detenzione
della
cosa,
non
il
possesso.

Funzione
del
contratto
è
pertanto
quella
di
consentire
a
un
soggetto,
il
conduttore,
l’utilizzazione
di
una
cosa
altrui.
Il

locatore,
per
contro,
ricava
una
utilità
economica
(il
canone)
dalla
concessione
del
godimento
del
bene.
La
durata
(che

non
deve
eccedere
i
30
anni)
della
locazione
può
essere,
in
relazione
dell’accordo
delle
parti:

‐ a
tempo
determinato:
alla
scadenza
fissata
il
contratto
si
scioglie
automaticamente
senza
necessità
di

disdetta,
ma
può
aversi
una
rinnovazione
tacita
per
un
uguale
periodo
se
il
conduttore
rimane
di
fatto
nel

godimento
della
cosa
senza
opposizione
del
locatore;

‐ a
tempo
indeterminato:
le
parti
non
hanno
prefissato
una
scadenza.
In
tal
caso
il
contratto
ha
la
durata

stabilita
dalla
legge,
in
relazione
al
tipo
di
bene
locato,
e
si
rinnova
tacitamente
per
un
uguale
periodo
in

mancanza
di
disdetta.


Quanto
all’oggetto
del
contratto,
esso
può
essere
costituito
da
un
qualsiasi
bene,
mobile
o
immobile.

Le
obbligazioni
del
locatore
sono:

consegnare
la
cosa
in
buono
stato
di
manutenzione,
in
modo
che
essa
sia
idonea
all’uso
pattuito.
Se
la
cosa
è

affetta
da
vizi
che
diminuiscono
apprezzabilmente
tale
idoneità,
il
conduttore
può
chiedere
la
risoluzione
del

contratto
o
una
riduzione
del
canone;

mantenere
la
cosa
in
buono
stato
locativo:
sono
infatti
a
carico
del
locatore
tutte
le
riparazioni
necessarie,

eccettuate
solo
quelle
di
piccola
manutenzione
che
spettano
al
conduttore;

garantire
il
pacifico
godimento
della
cosa
locata

Se
il
conduttore
subisce
molestie
di
fatto,
e
cioè
molestie
da
terzi
che
non
pretendono
di
avere
diritti
sulla
cosa
egli
è

tenuto
a
difendersi
da
solo.
Se
il
conduttore
subisce
invece
molestie
di
diritto,
arrecate
da
terzi
che
pretendono
di

avere
diritti
sulla
cosa,
il
locatore
è
tenuto
a
garantirlo,
e
cioè
a
difenderlo
dalle
pretese
altrui,
assumendo

eventualmente
la
lite
giudiziaria.

Le
obbligazioni
del
conduttore
sono:

prendere
in
consegna
la
cosa
e
utilizzarla
per
l’uso
convenuto.
Il
conduttore
ha
la
facoltà
di
sublocare
la
cosa,

salvo
diverso
accordo.
In
questo
caso,
il
locatore,
in
credito
verso
il
conduttore
per
canoni
non
pagati,
può
agire

direttamente
verso
il
subconduttore
per
esigere
da
lui
quanto
questi
dovrebbe
pagare
al
sublocatore;

pagare
il
canone
alle
scadenze
convenute;

restituire
la
cosa
alla
fine
della
locazione
nello
stato
medesimo
in
cui
l’ha
ricevuta,
salvo
il
deterioramento

ordinario
derivante
dall’uso.
Il
conduttore
risponde
della
perdita
e
del
deterioramento
avvenuti
nel
corso
della

locazione,
salvo
che
riesca
a
dimostrare
una
causa
a
lui
non
imputabile
inoltre
non
ha
diritto
a
indennità
per
le

eventuali
addizioni
e
miglioramenti
apportati
alla
cosa
se
il
locatore
non
li
ha
autorizzati
o
non
voglia
ritenerli.

Le
locazioni
urbane:
le
locazioni
abitative

Le
locazioni
abitative
hanno
ad
oggetto
immobili
destinati
a
ordinarie
e
continuative
esigenze
di
abitazione;
sono

invece
parzialmente
escluse
da
tale
disciplina
le
esigenze
abitative
transitorie,
gli
alloggi
dell’edilizia
pubblica

convenzionata
e
le
case
di
particolare
pregio.


Sono
previste
diverse
tipologie
di
locazioni
abitative:

contratti
liberi,
nel
canone
e
nella
disciplina
del
rapporto,
salvo
che
per
la
durata
minima
pari
a
4
anni;

contratti
convenzionati,
stipulati
sulla
base
di
contratti‐tipo
concordati
dalle
associazioni
dei
locatori
e
dei

conduttori
che
determinano
i
parametri
per
la
determinazione
del
canone,
la
durata
(non
meno
di
3
anni)
e

altre
condizioni
contrattuali;

contratti
di
natura
transitoria,
diretti
a
soddisfare
esigenze
particolari.
Consentono
una
durata
ridotta
del

contratto
e
più
ampia
libertà
di
determinazione
del
canone;

contratti
a
equo
canone.

Tali
contratti
devono
stipularsi
per
iscritto,
pena
la
nullità
del
contratto
ed
è
poi
vietato
pattuire
canoni
o
altri
oneri

superiori
a
quelli
risultanti
dal
contratto
scritto
e
registrato
o
a
quelli
massimi
definiti
nei
contratti
convenzionali.
Il

locatore
è
sempre
tenuto
a
rispettare
la
durata
stabilita
per
la
locazione
mentre
al
conduttore
è
consentito
un
recesso

unilaterale
anche
prima
della
scadenza
ove
ricorrano
gravi
motivi
ma
non
può
né
sublocare
né
cedere
ad
altri
il

contratto
senza
il
consenso
del
locatore.
Sono
stabilite
inoltre
alcune
ipotesi
di
successione
nel
rapporto,
e
cioè
di

cessione
legale
del
contratto,
a
favore
di
persone
legate
al
conduttore
da
vincoli
di
solidarietà
familiare
nei
casi
di

morte
del
conduttore,
divorzio
e
separazione
personale.

Le
locazioni
non
abitative

Le
locazioni
non
abitative
riguardano
i
locali
destinati
ad
attività
industriali,
commerciali,
artigianali
o
alberghiere.

Salva
l’ipotesi
di
attività
transitorie
o
stagionali,
la
durata
del
contratto
non
può
essere
inferiore
ai
6
anni.
Anche
qui
è

prevista
la
facoltà
del
conduttore
di
recedere
per
gravi
motivi
prima
della
scadenza
nonchè
la
tacita
rinnovazione
del

contratto
se
alla
scadenza
nessuna
delle
parti
abbia
dato
disdetta:
il
locatore
però
può
dare
disdetta
solo
per

particolari
motivi.
L’ammontare
del
canone
è
fissato
liberamente
dalle
parti.
Il
conduttore
non
può
né
sublocare
né

cedere
il
contratto
senza
il
consenso
del
locatore.
Il
conduttore
ha
un
diritto
di
prelazione
ve
il
locatore
decida
di

vendere
e
può
riscattare
l’immobile
dal
terzo
acquirente.



Il
leasing

Il
leasing,
o
locazione
finanziaria,
consiste
nel
contratto
col
quale
una
parte
concede
all’altra
il
godimento
di
un
bene

verso
un
canone
periodico
e,
inoltre,
l’opzione
per
l’acquisto
del
bene
alla
fine
del
contratto.
Il
bene
non
è
in
origine
di

proprietà
del
concedente,
ma
viene
da
lui
acquistato
presso
il
fabbricante
o
il
distributore,
su
espressa
indicazione
o

scelta
del
concessionario,
proprio
al
fine
di
darlo
in
leasing
e
dopo
la
stipulazione
del
relativo
contratto.

Il
concessionario‐conduttore
si
obbliga
a
pagare
i
canoni
pattuiti
e
assume
i
rischi
per
la
perdita
e
deterioramento
del

bene.
Alla
scadenza
pattuita
potrà
decidere
se
acquistare
il
bene,
utilizzando
così
l’opzione
prevista
nel
contratto,

oppure,
eventualmente,
prorogare
il
contratto
con
un
canone
più
basso
ovvero
stipularne
uno
nuovo.


Il
comodato

Il
comodato
è
il
contratto
col
quale
il
comodante
consegna
al
comodatario
una
cosa
perchè
se
ne
serva
per
il
tempo
e

l’uso
determinati.
E’
il
cd
prestito
d’uso
gratuito.
Il
comodato
è
essenzialmente
gratuito,
è
possibile
solo
porre
a
carico

del
comodatario
alcuni
oneri
e,
comunque,
le
spese
ordinarie
necessarie
per
l’uso
della
cosa.
Il
contratto
si
conclude

con
la
consegna
della
cosa
ed
è
perciò
un
contratto
reale.
Oggetto
del
comodato
possono
essere
beni
sia
immobili
che

mobili,
purchè
inconsumabili.
Il
comodatario
è
tenuto
a
custodire
la
cosa
con
l’ordinaria
diligenza,
deve
usarla
solo
per

l’uso
determinato
dal
contratto
o
dalla
natura
della
cosa
e
non
può
concederla
in
godimento
a
terzi.
La
restituzione

deve
avvenire
alla
scadenza
pattuita
o,
in
mancanza,
dopo
che
il
comodatario
si
è
servito
della
cosa
in
conformità
al

contratto.
Il
comodante
tuttavia
può
esigere
la
restituzione
anticipata
e
immediata
ove
sopravvenga
un
suo
bisogno

urgente
e
imprevisto.


CAPITOLO
49:
I
contratti
di
prestazione
d’opera

L’appalto

L’appalto
è
il
contratto
col
quale
un
committente
affida
a
un
appaltatore
l’esecuzione
di
un’opera
o
la
prestazione
di

un
servizio
verso
un
corrispettivo
in
denaro.

Caratterizzante
dell’appalto
è
la
qualifica
di
imprenditore
dell’appaltatore,
che
assume
l’incarico
con
organizzazione

dei
mezzi
necessari
e
con
gestione
a
proprio
rischio:
egli
pertanto
assumerà
i
collaboratori
necessari
per
l’esecuzione

dell’opera
o
del
servizio,
fornirà
la
materia
prima,
subirà
il
rischio
di
una
cattiva
organizzazione
o
di
un
scadente

risultato.

E’
posto
a
carico
dell’appaltatore
il
rischio
di
eventi
sopravvenuti
che
impediscono
il
conseguimento
del
risultato

previsto:
se
l’opera
diviene
impossibile
per
cause
non
imputabili
ad
alcuna
delle
parti,
il
committente
è
liberato
da

ogni
obbligazione,
salvo
il
pagamento
della
parte
residua
se
questa
presenti
una
autonoma
utilità.

Oggetto
dell’appalto
è
dunque
un
fare
e
l’obbligazione
si
configura
come
obbligazione
di
risultato.
L’appalto
si

caratterizza
dalla
vendita
(in
cui
il
prodotto
è
realizzato
in
conformità
di
modelli
o
tipi
che
il
fabbricante
ha
comunque

in
animo
di
realizzare)
per
il
fatto
che
la
realizzazione
è
effettuata
su
incarico
del
committente
e
secondo
il
progetto

da
lui
fornito
o
comunque
definito
in
base
alle
sue
esigenze.
Il
committente
ha
diritto
di
apportare
varianti
al
progetto

originario,
purchè
non
eccedano
un
certo
limite
e
venga
corrisposto
un
supplemento
del
prezzo.
Il
contratto
è
basato

sulla
fiducia
nelle
qualità
e
capacità
dell’impresa
appaltatrice
e:

non
è
consentito
il
subappalto

il
committente
resta
libero
di
recedere
dal
contratto
in
qualsiasi
momento,
purchè
tenga
indenne
l’appaltatore

delle
spese
sostenute,
dei
lavori
eseguiti
e
del
mancato
guadagno

il
contratto
può
sciogliersi
in
caso
di
morte
dell’appaltatore
se
la
considerazione
della
sua
persona
è
stata
motivo

determinante
del
contratto.

Durante
l’esecuzione
dell’appalto
il
committente
ha
diritto
di
procedere
a
verifica
dello
svolgimento
dei
lavori
e
dello

stato
di
avanzamento
e,
ove
li
trovi
difformi,
può
assegnare
un
termine
per
l’adeguamento;
in
mancanza
il
contratto
si

risolverà.

Terminata
l’esecuzione
il
committente
può
procedere
al
collaudo,
e
cioè
alla
verifica
finale
dell’opera,
prima
della

consegna.
Se
il
committente
omette
tale
verifica
entro
un
congruo
termine,
ovvero
riceve
senza
riserve
la
consegna

della
cosa,
l’opera
si
considera
accettata
e
l’appaltatore
ha
diritto
al
pagamento
del
corrispettivo.

L’appaltatore
è
tenuto
alla
garanzia
per
le
difformità
e
i
vizi
dell’opera.
Per
l’operatività
di
tale
garanzia
è
necessario

che
l’opera
non
sia
stata
accettata
o
che
non
si
tratti
di
vizi
conosciuti
o
facilmente
riconoscibili
dal
committente,
e
che

questi
ne
faccia
denunzia
entro
60
giorni
dalla
scoperta,
a
pena
di
decadenza.
L’azione
per
far
valere
la
garanzia
di

prescrive
in
2
anni
dalla
consegna:
il
committente
può
chiedere
che
le
difformità
o
i
vizi
siano
eliminati
a
spese

dell’appaltatore
ovvero
che
il
prezzo
sia
proporzionalmente
diminuito.
Se
però
i
difetti
dell’opera
la
rendono
del
tutto

inadatta
alla
sua
destinazione,
il
committente
può
chiedere
la
risoluzione
del
contratto,
salvo
in
entrambi
i
casi
il

diritto
al
risarcimento
dei
danni
in
caso
di
colpa
dell’appaltatore.

Una
tutela
più
ampia
è
prevista
per
l’appalto
che
abbi
ad
oggetto
edifici
o
comunque
immobili
destinati
a
lunga

durata.
Il
corrispettivo
può
essere
stabilito
a
corpo
ovvero
a
misura:
ove
non
sia
stato
fissato
dalle
parti
né
possa

calcolarsi
in
base
alle
tariffe
correnti
o
agli
usi,
verrà
determinato
dal
giudice.

Importante
è
l’istituto
della
revisione
del
prezzo:
trattandosi
del
compimento
di
un’opera
che
può
richiedere
anche
un

notevole
lasso
di
tempo
per
la
sua
realizzazione,
possono
verificarsi
variazioni
nei
prezzi
che
alterano
le
ragioni
dello

scambio
originariamente
pattuito.
La
legge
consente
ad
entrambe
le
parti
di
chiedere
un
aumento
o
una
diminuzione

del
prezzo,
a
condizione
che
tali
variazioni
eccedano
il
10%
del
prezzo
pattuito
e
per
la
sola
misura
eccedente
tale

limite.
Inoltre,
un
aumento
del
prezzo
può
essere
chiesto
dall’appaltatore
quando
nel
corso
dell’opera
si
manifestino

difficoltà
di
esecuzione
non
previste
che
rendano
notevolmente
più
onerosa
la
prestazione.


Il
contratto
d’opera

Il
contratto
d’opera
presenta
due
varianti
in
relazione
al
titolo
di
opera,
o
manuale
o
intellettuale.

Nel
contratto
d’opera
manuale
una
persona,
verso
corrispettivo,
si
obbliga
compiere
un’opera
o
un
servizio
con

lavoro
prevalentemente
proprio
e
senza
vincolo
di
subordinazione.
L’opus
è
realizzato
prevalentemente
con
lavoro

proprio
e
perciò
manca
una
organizzazione
imprenditoriale
ovvero,
se
presente,
questa
è
di
rilievo
modesto
rispetto
al

ruolo
svolto
dal
lavoro.
Il
prestatore
d’opera
pertanto
non
è
un
imprenditore
oppure
è
un
artigiano
e
cioè
un
piccolo

imprenditore.
Il
prestatore
d’opera
si
impegna
a
conseguire
un
risultato.
Ricalca
la
disciplina
dell’appaltatore

in
ordine

all’esecuzione
dell’opera,
al
corrispettivo,
al
recesso
e
al
rischio
per
l’impossibilità
sopravvenuta.
Occorre
solo
la

denunzia
dei
vizi
entro
otto
giorni
e
l’azione
si
prescrive
in
un
anno
dalla
consegna.

Il
contratto
d’opera
intellettuale
si
distingue
anzitutto
per
l’oggetto,
costituito
da
prestazioni
tipiche
di
una

professione
liberale:
medico,
avvocato,
commercialista,
etc.
La
loro
iscrizione
ad
albi
professionali
condiziona
il
diritto

del
professionista
al
compenso.

In
secondo
luogo
si
differenzia
perchè
implica
una
obbligazione
di
mezzi,
non
di
risultato.
Il
professionista
deve
infatti

adempiere
con
la
diligenza
media,
valutata
in
relazione
alla
natura
dell’attività
esercitata
e
non
risponderà
se
non

consegue
il
risultato
sperato.
Se
la
prestazione
implica
la
soluzione
di
problemi

tecnici
di
speciale
difficoltà,
il

prestatore
d’opera
non
risponde
dei
danni
se
non
in
caso
di
dolo
o
colpa
grave.
Il
compenso
è
determinato
dalle
parti

al
momento
del
conferimento
dell’incarico.
Il
cliente
può
sempre
recedere
dal
contratto,
mentre
il
recesso
del

professionista
è
consentito
se
ricorre
una
giusta
causa.
Il
professionista
deve
munirsi
di
una
apposita
polizza

assicurativa
per
il
risarcimento
dei
danni
derivanti
dall’esercizio
dell’attività
ed
eseguire
personalmente
la
prestazione,

essendo
il
contratto
fondato
sull’intuitus
personae:
può
avvalersi
di
sostituti
e
ausiliari,
se
lo
consentono
il
contratto
o

gli
usi
e
non
è
escluso
dal
tipo
di
prestazione,
rimanendo
comunque
responsabile
del
loro
operato.


Il
trasporto

Il
trasporto
è
il
contratto
col
quale
il
vettore
si
obbliga,
verso
corrispettivo,
a
trasferire
persone
o
cose
da
un
luogo
a

un
altro.
L’obbligazione
del
vettore
è
tipica
obbligazione
di
risultato,
dovendo
egli
assicurare
l’arrivo
a
destinazione
di

persone
e
cose
in
condizioni
di
sicurezza
e
integrità.

Nel
trasporto
di
persone,
il
ritardo
o
la
mancata
esecuzione
sono
regolati
dalle
comuni
norme
sulla
responsabilità

contrattuale.
Il
sinistro
che
riguardi
la
persona
del
viaggiatore
e
la
perdita
o
avaria
dei
bagagli
che
egli
porta
con
sé

importano
un
maggior
rigore:
il
vettore
sarà
responsabile
se
non
prova
di
aver
adottato
tutte
le
misure
idonee
a

evitare
il
danno.


Nel
trasporto
di
cose
possono
venire
in
considerazione
3
soggetti:
oltre
al
vettore
e
al
mittente,
altresì
c’è,
se
diverso

da
questo,
il
destinatario.
Il
contratto
si
configura
come
un
contratto
a
favore
di
terzo:
il
mittente
può
chiedere
la

restituzione
delle
cose
o
il
recapito
a
persona
diversa
fin
quando
il
destinatario
non
richieda
la
consegna
con

l’accettazione
della
stipulazione
a
suo
favore.
Il
mittente
consegna
al
vettore
la
lettera
di
vettura,
che
contiene

l’indicazione
del
destinatario
e
della
natura
e
quantità
delle
cose
da
trasportare,
e
ne
riceve
la
ricevuta
di
carico
con
le

stesse
indicazioni.
Se
tali
documenti
sono
rilasciati
con
la
clausola
all’ordine
essi
costituiscono
titoli
di
credito
che

legittimano
all’esercizio
dei
diritti
nascenti
dal
contratto
di
trasporto.
Analoga
funzione
svolgono
nel
trasporto

marittimo
la
polizza
d’imbarco,
la
polizza
di
carico
e
i
buoni
di
consegna.

Il
vettore
si
libera
da
responsabilità
per
perdita
o
avaria
delle
cose
trasportate
solo
se
prova
che
il
sinistro
è
dovuto
ad

alcuni
fatti
specifici:
a
caso
fortuito,
a
vizi
delle
cose
o
dell’imballaggio,
a
fatti
del
mittente
o
del
destinatario.

L’azione
si
prescrive
in
un
anno.


CAPITOLO
50:
I
contratti
di
collaborazione

L’agenzia

L’agenzia
è
il
contratto
col
quale
una
parte
(l’agente)
assume
stabilmente
l’incarico
di
promuovere
la
stipulazione
di

contratti
in
una
determinata
zona
per
conto
dell’altra
(il
preponente).

Il
contratto
risponde
all’esigenza
delle
imprese
produttrici
di
beni
o
servizi
di
realizzare
la
stabile
e
capillare

distribuzione
dei
loro
prodotti
senza
assumere
direttamente
i
costi
di
gestione
e
controllo
dell’attività.
L’agente
è
un

operatore
autonomo
che
assume
in
proprio
le
spese
di
organizzazione
locale
della
vendita
e
della
distribuzione
e

riceverà
un
compenso
determinato
al
volume
di
affari
che
riesce
a
procurare
all’impresa
preponente.

Ordinariamente
le
imprese
si
avvalgono
di
un
agente
senza
rappresentanza:
questi
si
limita
a
promuovere
gli
affari
e

cioè
a
raccogliere
dalla
clientela
gli
ordinativi
che
trasmette
al
preponente,
al
quale
spetta
la
vera
e
propria

stipulazione
dei
contratti
e
la
loro
gestione
dal
punto
di
vista
giuridico.
Può
darsi
tuttavia
che
all’agente
sia
conferita
la

rappresentanza
per
la
conclusione
dei
contratti:
egli
diviene
rappresentante
di
commercio
e
in
tal
caso
sarà
l’agente
a

stipulare
direttamente
i
contratti
in
nome
e
per
conto
del
preponente‐rappresentato.

L’agente
in
quanto
operatore
autonomo,
sopporta
le
spese
di
organizzazione
e
il
rischio
relativo
ma,
svolgendo
la
sua

attività
nell’interesse
del
preponente,
deve
osservarne
le
istruzioni
e
fornirgli
le
informazioni
utili
o
necessarie
per

valutare
la
convenienza
degli
affari
proposti.

L’agenzia
è
un
contratto
di
durata
e
la
legge
favorisce
in
diversi
modi
la
stabilità
del
rapporto.
Alla
fine
del
rapporto

potrà
operare
a
carico
dell’agente
un
divieto
pattizio
di
concorrenza
per
la
medesima
zona,
clientela
e
genere
di
beni

o
servizi,
ma
il
patto
relativo
dev’essere
stipulato
per
iscritto,
non
può
eccedere
la
durata
di
due
anni
e
comporta
il

diritto
a
una
speciale
indennità.

Le
parti
inoltre
hanno
un
reciproco
diritto
di
esclusiva,
nel
senso
che
nella
stessa
zona
e
per
lo
stesso
ramo
di
attività

né
l’agente
può
curare
gli
affari
di
più
imprese
in
concorrenza
tra
loro
(cd
agente
monomanatario),
né
il
preponente

può
valersi
di
più
agenti.

Per
la
sua
attività
l’agente
ha
diritto
a
delle
provvigioni
e
non
è
responsabile
in
caso
di
inadempimento
del
terzo.

L’agente
ha
diritto
poi
a
una
indennità
di
fine
rapporto
commisurata
all’entità
delle
provvigioni
liquidate
nel
corso
del

contratto
in
quanto
l’ordinaria
lunga
durata
del
rapporto
e
il
vincolo
di
esclusiva
mettono
l’agente
in
una
condizione
di

sostanziale
dipendenza
economica
dall’impresa
preponente,
la
quale,
d’altra
parte,
anche
dopo
la
fine
del
rapporto

continuerà
a
conseguire
vantaggi
dallo
sviluppo
della
clientela
o
del
volume
d’affari
realizzato
dall’agente.


La
concessione
di
vendita
e
l’affiliazione
commerciale
(il
franchising)

Sono
contratti
di
collaborazione
nell’altrui
attività.

La
concessione
di
vendita
è
il
contratto
con
cui
un
produttore
di
beni
fornisce
i
propri
prodotti
ad
alcuni
soggetti
(cd

concessionari)
e
questi,
a
loro
volta,
si
impegnano
a
rivenderli
con
la
propria
organizzazione
aziendale
ma,
per
lo
più,

utilizzando
il
marchio
e
l’insegna
del
produttore.
Questi
si
assicura
in
tal
modo
la
presenza
del
marchio
su
vaste
aree

senza
affrontare
le
spese
e
i
rischi
di
una
propria
organizzazione
commerciale;
il
concessionario
utilizza
il
nome
e

l’insegna
del
produttore
come
elemento
di
richiamo
per
la
clientela.

Il
franchising
invece
è
caratterizzato
da
un
più
intenso
controllo
del
produttore‐concedente
(detto
franchisor)
sugli

aspetti
organizzativi
e
aziendali
del
concessionario‐franchisee,
anche
in
ordine
a
pubblicità,
arredamento
dei
locali,

tecniche
di
marketing,
etc.
al
fine
di
realizzare
una
completa
identificazione
con
l’impresa
madre
che
accentua
i

vantaggi
di
immagine
e
il
conseguente
ritorno
pubblicitario.
Il
franchising
è
denominato
anche
affiliazione

commerciale
e
consiste
nella
concessione
di
un
insieme
di
diritti
allo
scopo
di
commercializzare
determinati
beni
o

servizi.
A
garanzia
dell’affiliato,
è
imposta
la
forma
scritta
del
contratto,
la
durata
minima
di
tre
anni
e
l’obbligo
di

fornire
una
serie
di
informazioni,
nel
quadro
di
una
incisiva
affermazione
di
reciproci
obblighi
di
buona
fede
e
di

trasparenza,
la
cui
violazione
è
sanzionata
con
una
espressa
previsione
sulla
annullabilità
del
contratto
per
dolo
in

caso
di
false
informazioni.


La
mediazione

Il
mediatore
è
colui
che
mette
in
relazione
due
o
più
parti
per
la
conclusione
di
un
affare,
senza
essere
legato
ad

alcuna
di
esse
da
rapporti
di
collaborazione,
di
dipendenza
o
di
rappresentanza.
Egli
è
in
una
condizione
di
terzietà

rispetto
alle
parti.
Il
suo
intervento
ben
può
essere
spontaneo
e
non
sollecitato
da
alcuna
delle
parti;
ma
anche

quando
gli
venga
conferito
un
incarico
egli
per
un
verso
non
è
obbligato
a
eseguirlo,
per
l’altro,
anche
quando
trovi
un

possibile
contraente,
non
per
ciò
diviene
rappresentante
di
chi
gli
ha
conferito
l’incarico.
Quest’ultimo,
dal
canto
suo,

non
è
obbligato
a
concludere
l’affare,
pur
se
proposto
nei
termini
da
lui
richiesti,
salvo
solo
l’obbligo
di
rimborsare
le

spese
del
mediatore.

Se
le
parti,
dopo
essere
entrate
in
contratto
grazie
al
mediatore,
concludono
l’affare,
il
mediatore
ha
diritto
al

compenso.
Questi
pertanto
ha
diritto
alla
provvigione
per
il
fatto
che
le
parti
hanno
concluso
il
contratto.
La

provvigione,
in
mancanza
di
intese
pattizie,
si
determina
in
base
alle
tariffe
professionali
o
agli
usi
ovvero
può
essere

determinata
dal
giudice
secondo
equità.
L’attività
è
oggi
riservata
per
legge
agli
iscritti
nell’apposito
ruolo
tenuto
dalla

Camera
di
commercio;
in
mancanza
di
iscrizione
non
si
ha
diritto
alla
provvigione.


CAPITOLO
51:
I
contratti
di
credito
e
di
garanzia

Il
contratto
autonomo
di
garanzia
e
la
lettera
di
patronage

Il
contratto
autonomo
di
garanzia
(o
garanzia
a
prima
richiesta)
è
un
contratto
atipico
nato
nella
pratica
del

commercio
internazionale.
Il
tratto
saliente
è
costituito
dalla
autonomia
delle
garanzie
rispetto
all’obbligazione

garantita.
Il
garante
non
può
sollevare
alcuna
eccezione,
neanche
di
inefficacia
o
invalidità
del
debito,
per
rifiutare
o

ritardare
l’adempimento.
Deve
invece
adempiere
a
prima
richiesta
e,
dopo
il
pagamento,
potrà
soltanto
rivolgersi
in

via
di
regresso
al
debitore
garantito
per
ottenere
il
rimborso
di
quanto
abbia
pagato
nel
suo
interesse.
Sarà
poi
il

debitore
principale,
eventualmente,
ad
agire
contro
il
creditore
per
farsi
restituire
la
prestazione
non
dovuta.
Si

realizza
perciò
una
sorta
di
astrazione
della
garanzia
dal
debito
sottostante.

Molto
più
blanda
è
la
garanzia
offerta
dalla
cd
lettera
di
patronage,
che
consiste
nella
dichiarazione
con
la
quale
una

società
controllante
attesta
alcune
circostanze
e
assume
alcuni
impegni.
La
società
controllante
dichiara:
di
avere
il

pacchetto
azionario
di
controllo
della
società
debitrice,
che
manterrà
detto
controllo
fino
alla
estinzione
del
debito,

che
attiverà
i
mezzi
a
sua
disposizione
perchè
la
controllata
adempia
esattamente
alle
sue
obbligazioni.
Con
la
lettera

di
patronage
la
società
dichiarante
non
diviene
coobbligata
solidale
con
la
debitrice.


L’anticresi

L’anticresi
è
il
contratto
col
quale
il
debitore
o
un
terzo
si
obbliga
a
consegnare
un
immobile
al
creditore
a
garanzia
del

credito,
perchè
il
creditore
ne
percepisca
i
frutti,
imputandoli
agli
interessi
e
al
capitale.
E’
perciò
un
contratto
di

scambio
dove
una
parte
cede
il
godimento
di
un
capitale
e
l’altra
il
godimento
di
un
fondo.
E’
prevista
una
durata

massima
di
10
anni
ed
è
necessaria
la
forma
scritta
per
la
validità
del
contratto
nonchè
la
trascrizione
per
la
sua

opponibilità
a
terzi
acquirenti.


CAPITOLO
52:
I
contratti
aleatori

La
rendita
perpetua
e
la
rendita
vitalizia

Col
contratto
di
rendita
perpetua
una
parte
attribuisce
all’altra
il
diritto
di
esigere
in
perpetuo
una
rendita
o

prestazione
periodica
a
fronte
dell’attribuzione,
onerosa

o
gratuita,
di
un
immobile
o
di
un
capitale.

Se
l’attribuzione
è
a
titolo
oneroso
si
avrà
un
contratto
di
scambio
e
la
rendita
costituisce
il
corrispettivo
della

cessione;
se
è
a
titolo
gratuito
la
rendita
si
configura
come
onere
o
modo
d’attribuzione
gratuita.
In
entrambi
i
casi,

alla
morte
del
beneficiario
la
rendita
passerà
ai
suoi
eredi.
Il
codice
attribuisce
al
debitore
il
diritto
di
riscatto,
e
cioè
di

liberarsi
dal
debito
tramite
il
pagamento
di
una
somma
pari
alla
capitalizzazione
della
rendita
sulla
base
dell’interesse

legale:
tale
facoltà
è
un
diritto
potestativo
di
recesso,
o
scioglimento
unilaterale
del
rapporto,
inderogabile
dalle
parti.

La
rendita
vitalizia
si
differenzia
dalla
perpetua
perché
la
prestazione
periodica
va
pagata
finchè
dura
la
vita
del

beneficiario.
Anche
tale
rendita
può
essere
a
titolo
oneroso
o
gratuito
e
il
beneficiario
della
rendita
può
essere
la

controparte
contrattuale
ovvero
un’altra
persona
(si
ha
contratto
a
favore
di
terzi).
La
rendita
vitalizia
è
aleatoria

essendo
incerta
la
durata
della
vita
della
persona
designata
e
questo
è
elemento
essenziale.
Non
è
ammessa
la

risoluzione
per
eccessiva
onerosità
sopravvenuta
e,
salvo
patto
contrario,
il
debitore
non
può
esercitare
il
riscatto
e

liberarsi
dal
pagamento
della
rendita.

Il
vitalizio
alimentare
o
di
mantenimento
è
caratterizzato
non
solo
da
obblighi
di
dare
ma
anche
da
obblighi
di
fare
e
si

differenzia
per
la
peculiare
modalità
di
determinazione
della
prestazione,
variabile
in
reazione
al
mutare
dei
bisogni

del
vitaliziato.


Il
contratto
di
assicurazione

L’assicurazione
è
il
contratto
col
quale
una
parte
(l’assicuratore),
verso
il
pagamento
di
un
corrispettivo
(il
premio),
si

obbliga
a
pagare
una
indennità
al
verificarsi
di
uno
specifico
evento.
E’
perciò
tipico
contratto
aleatorio.

L’assicurazione
può
essere
di
due
tipi:
contro
i
danni
e
sulla
vita.

Nell’assicurazione
contro
i
danni
l’evento
coperto
da
assicurazione
è
il
danno
prodotto
da
un
sinistro
e,
ove
l’evento
si

verifichi,
l’assicuratore
pagherà
un’indennità
diretta
a
coprire
la
perdita
economica
conseguente.

Nell’assicurazione
sulla
vita
l’evento
contemplato
attiene
alla
vita
umana:
può
consistere
nella
morte
di
una
persona

ovvero
nella
sua
sopravvivenza
a
una
certa
data
e
l’assicuratore
si
obbliga
a
erogare
una
rendita
(o
pensione)
o
a

pagare
un
capitale.
Elemento
comune
è
il
rischio,
inteso
come
probabilità
di
un
evento
sfavorevole,
dalle
cui

conseguenze
il
contratto
è
volto
a
tenere
indenne
l’assicurato.
Funzione
o
causa
dell’assicurazione
è
perciò
il

trasferimento
di
un
rischio
dal
soggetto
esposto
ad
esso
a
un
altro
che
lo
assume
su
di
sé
verso
corrispettivo.

L’assicuratore
è
in
grado
di
far
fronte
a
tali
rischi
basandosi
sulla
“legge
dei
grandi
numeri”
e
sul
calcolo
delle

probabilità.
Per
questo
la
legge
riserva
lo
svolgimento
dell’attività
assicurativa
a
enti
pubblici,
società
per
azioni
e

società
cooperative,
pena
la
nullità
del
contratto.

Nel
rapporto
assicurativo
vi
sono
anzitutto
le
vere
e
proprie
parti
del
contratto:
l’assicuratore,
che
è
l’impresa
che

gestisce
l’assicurazione,
e
il
contraente,
cioè
colui
che
chiede
i
servizi
assicurativi
e
stipula
il
contratto.
Ma
vi
sono

anche
l’assicurato,
che
è
colui
al
quale
si
riferisce
il
rischio
coperto,
e
il
beneficiario,
colui
che
incasserà
l’indennità

assicurativa.
Di
norma
contraente,
beneficiario
e
assicurato
coincidono.
L’assicurazione
è
un
contratto
a
prova

formale:
occorre
cioè
la
forma
scritta
per
poterne
provare
la
stipulazione
e
il
contenuto.
L’onere
è
ordinariamente

adempiuto
tramite
la
sottoscrizione
di
un
modulo
o
formulario,
la
polizza
di
assicurazione,
che
la
compagnia
è
tenuta

a
rilasciare
all’assicurato
e
che
può
circolare
tramite
consegna
o
girata.

•
Se
il
rischio
non
esiste
al
momento
della
stipulazione
il
contratto
è
nullo
per
mancanza
di
causa.

•
Se
il
rischio,
originariamente
esistente,
viene
meno
successivamente
il
contratto
si
risolve.

•
Se
il
rischio
subisce
variazioni
in
aumento
o
in
diminuzione
le
parti
hanno
diritto
a
una
rettifica
del
contratto,
salva

restando
per
un
verso
la
facoltà
dell’assicuratore
di
recedere
dal
contratto
e
la
sua
liberazione
automatica
ed

immediata
se
l’aggravamento
è
tale
che,
ove
l’avesse
conosciuto
fin
dall’inizio,
non
avrebbe
dato
il
suo
consenso.

Le
inesattezze
dovute
a
dolo
o
colpa
grave
del
contraente
sono
causa
di
annullamento
del
contratto:
quelle
dovute
a

semplice
negligenza
danno
diritto
al
recesso
dell’assicuratore.

L’assicurazione
contro
i
danni

L’assicurazione
contro
i
danni
copre
il
rischio
di
perdite
patrimoniali
(perdita
di
un
cespite
patrimoniale,
di
un
profitto

solo
sperato,
di
un
credito
da
riscuotere).
Vi
sono
due
fondamentali
principi:

‐ il
principio
dell’interesse,
per
il
quale
l’assicurato
deve
avere
un
interesse
giuridicamente
tutelato
al

risarcimento
del
danno
e
cioè
a
ripianare
la
perdita
effettiva;

‐ il
principio
indennitario,
per
il
quale
l’assicurato
non
può
conseguire
a
titolo
di
indennizzo
una
somma

superiore
al
danno
emergente
(cioè
al
valore
di
mercato
del
cespite
perduto).

In
caso
di
sovrassicurazione
il
contratto
ha
effetto
fino
al
valore
reale
della
cosa.
In
caso
di
sottoassicurazione
si

applica
la
regola
proporzionale,
per
la
quale
l’assicuratore
risponde
dei
danni
in
proporzione
al
valore
assicurato.


Altro
principio
è
quello
della
surroga
dell’assicuratore
nei
diritti
dell’assicurato
verso
i
terzi
responsabili:
l’assicuratore

che
abbia
pagato
l’indennità
può
rivalersi,
nei
limiti
di
quanto
ha
sborsato,
nei
confronti
di
coloro
che
debbano

rispondere
del
danno
cagionato.

Sottospecie
di
tale
assicurazione
è
l’assicurazione
della
responsabilità
civile,
che
tiene
indenne
l’assicurato
dai

risarcimenti
dovuti
a
terzi
a
titolo
di
responsabilità,
contrattuale
o
extracontrattuale.
La
legge
ha
stabilito
in
alcuni
casi

l’obbligo
di
assicurazione
per
la
responsabilità
civile.
L’ipotesi
più
nota
e
importante
è
quella
relativa
alla

responsabilità
civile
automobilistica
(RCA)
alla
quale
sono
tenuti
i
proprietari
di
veivoli
a
motore
e
di
natanti.

Importante
previsione
è
quella
che
consente
al
danneggiato
una
azione
diretta
contro
l’assicuratore,
per
farsi
risarcire

direttamente
il
danno
senza
dipendere
dall’iniziativa
dell’assicurato.

L’assicurazione
sulla
vita

L’assicurazione
sulla
vita
prevede
l’obbligo
dell’assicuratore
di
pagare
un
capitale
o
una
rendita
al
verificarsi
di
un

evento
attinente
alla
vita
umana,
che
può
consistere
nella
morte
di
un
soggetto
o
nella
sua
sopravvivenza
oltre
una

certa
età.
Tale
contratto
ha
una
funzione
previdenziale,
servendo
a
garantire
prestazioni
che
diano
sicurezza

economica
per
la
vecchiaia
o
in
caso
di
morte
precoce.

L’assicurazione
per
il
caso
di
vita
prevede
il
pagamento
di
un
capitale
o
di
una
rendita
per
il
caso
in
cui
l’assicurato
o

un
terzo
sia
ancora
in
vita
a
una
certa
età.

L’assicurazione
per
il
caso
di
morte
prevede
il
pagamento
di
un
capitale
o
di
una
rendita
al
momento
della
morte
della

persona
indicata.

L’assicurazione
mista
prevede
che
il
pagamento
sia
fatto
all’assicurato
se
questi
è
in
vita
a
una
certa
data
ovvero
a
un

altro
beneficiario
se
l’assicurato
muore
prima
di
quella
data.

Il
beneficiario
acquista
il
diritto
per
effetto
diretto
della
stipulazione
a
suo
favore.
I
creditori
del
contraente
e
i
suoi

eredi
non
possono
far
valere
le
loro
ragioni
sull’indennità
ma,
se
mai,
sui
premi
pagati,
che
rappresentano
l’esborso

economico
del
contraente.
La
designazione
del
beneficiario
è
revocabile
anche
dopo
la
sua
accettazione.


Il
gioco
e
la
scommessa

Gioco
e
scommessa
sono
contratti
aleatori
per
eccellenza.
L’alea
si
basa
sull’esito
di
una
competizione
ovvero

semplicemente
sorte,
sul
puro
caso.
Si
distinguono
tre
tipi
di
giochi
o
scommesse.

•
Vi
sono
anzitutto
i
giochi
vietati,
che
sono
i
giochi
d’azzardo,
puniti
dal
codice
penale
per
il
luogo
in
cui
si
svolgono
e

per
il
ruolo
assorbente
che
vi
svolge
la
sorte.
In
tal
caso
il
contratto
è
nullo
e
pertanto
nessun
diritto
nasce
in
capo
al

vincitore,
tenuto
inoltre
a
restituire
quanto
abbia
ricevuto
in
pagamento
in
base
alle
regole
sulla
ripetizione

d’indebito.
La
nullità
si
estende
ai
contratti
direttamente
collegati
al
gioco.

•
Vi
sono
poi
i
giochi
tollerati,
e
cioè
non
puniti
dalla
legge
penale,
vuoi
per
il
contenuto
del
gioco
non
interamente

dominato
dalla
sorte,
vuoi
per
il
luogo
in
cui
il
gioco
si
svolge.
Per
tali
giochi
e
scommesse
il
vincitore
non
compete

azione
per
il
pagamento
della
vincita,
e
tuttavia
il
perdente
non
può
ripetere
quanto
abbia
spontaneamente
pagato,

se
non
si
tratta
di
incapace
e
non
vi
sia
stata
frode
nel
gioco.


•
Vi
sono
infine
le
scommesse
e
i
giochi
tutelati:
sono
quelli
delle
lotterie
pubbliche
organizzate,
gestite
in
regime
di

monopolio
dallo
Stato
o
da
suoi
concessionari,
e
quelli,
purchè
occasionali
e
intercorrenti
tra
singole
persone,
legati

alle
competizioni
sportive
di
ogni
specie.
In
tal
caso
al
vincitore
compete
un’azione
pienamente
tutelata
per
il

pagamento
della
vincita.


CAPITOLO
53:
I
contratti
di
composizione
delle
liti

La
transazione

La
transazione
è
il
contratto
col
quale
le
parti
pongono
fine
a
una
lite
già
insorta,
o
prevengono
una
lite
che
può

sorgere
tra
di
loro,
facendosi
concessioni
reciproche.
Funzione
del
contratto
è
allora
quella
di
comporre
le

controversie,
evitando
le
incertezze,
le
lungaggini
e
le
spese
di
una
lite
giudiziaria.
Elemento
essenziale
della

transazione
è
la
reciprocità
dei
sacrifici:
ciascuna
delle
parti
deve
rinunciare
a
una
parte
delle
proprie
pretese.
Non

possono
essere
oggetto
di
transazione
i
diritti
indisponibili.
La
transazione
richiede
la
capacità
di
disporre
dei
diritti
in

contestazione
e
la
forma
scritta
ai
fini
della
prova.


Sono
preclusi
alle
pari
l’annullamento
per
errore
di
diritto,
la
rescissione
per
lesione;
mentre
è
ammessibile

l’impugnativa
per
errore
di
fatto
ma
limitata
alle
specifiche
ipotesi
previste.
L’annullamento
può
chiedersi
dalla
parte

caduta
in
errore,
se
l’ignoranza
riguardi:
la
nullità
del
titolo
oggetto
della
transazione,
la
falsità
dei
documenti
assunti
a

base
del
contratto,
l’esistenza
di
una
sentenza
passata
in
giudicato
o
di
documenti
che
provino
la
mancanza
di
diritti
in

capo
all’altra
parte.
Inoltre
la
transazione
è
impugnabile
se
una
parte
era
consapevole
della
temerarietà
della
sua

pretesa,
e
cioè
che
essa
era
totalmente
infondata.


Il
negozio
di
accertamento

I
negozi
di
accertamento
sono
negozi
che
hanno
la
funzione
di
precisare
qual
è
l’assetto
dei
rapporti
esistenti
tra
le

parti,
sostituendo
a
una
situazione
incerta
una
giuridicamente
accertata
e
preclusiva
di
ulteriori
e
diversi

accertamenti.
Il
negozio
quindi
non
ha
la
funzione
di
“costituire,
regolare
o
estinguere
un
rapporto
giuridico”
bensì
di

accertare,
con
effetto
vincolante
per
le
parti,
quale
sia
(fin
dall’origine)
lo
stato
dei
loro
rapporti.
Dunque
il
negozio
di

accertamento
ha
una
efficacia
semplicemente
dichiarativa
di
una
realtà
preesistente,
il
cui
titolo
costitutivo
va

rintracciato
in
altri
precedenti
atti
o
fatti.
Si
limita
a
impedire
successive
contestazioni.
Tra
i
negozi
di
accertamento

rientrano
anche
la
divisione,
la
ricognizione
nell’enfiteusi
e
nella
rendita
perpetua,
la
ricognizione
di
debito.

Si
corrono
però
i
rischi
di
escludere
tali
situazioni
dalla
tutela
giudiziaria
e
il
negozio
di
accertamento

potrebbecostituire
uno
strumento
per
eludere
l’applicazione
di
norme
imperative.

Pertanto,
in
considerazione
di
tali
rischi,
al
negozio
di
accertamento
si
riconosce
efficacia
soltanto
probatoria:
fa

presumere
l’esistenza
e
il
contenuto
del
diritto
come
accertati
nel
negozio,
ma
solo
fino
a
prova
contraria.


La
cessione
dei
beni
ai
creditori

La
cessione
dei
beni
ai
creditori
è
il
contratto
col
quale
un
debitore
incarica
i
creditori
di
liquidare
i
duoi
beni,
o
alcuni

di
essi,
e
di
ripartirne
tra
loro
il
ricavato
a
soddisfazione
dei
loro
crediti.
Funzione
del
contratto
è
allora
quella
di

evitare
il
processo
di
esecuzione
.
La
cessione
richiede
a
pena
di
nullità
la
forma
scritta
e
per
effetto
di
essa
il
debitore‐
cedente
perde
il
potere
di
dispodizione
sui
beni
ceduti
ma
non
la
proprietà:
può
perciò
esercitare
il
controllo
sulla

gestione
e
ha
diritto
a
ottenere
l’eventuale
residuo
della
liquidazione.
Il
contratto
si
configura
come
un
mandato


conferito
anche
nell’interesse
dei
mandatari.
Pertanto
il
debitore‐cedente
non
può
revocare
liberamente
il
mandato:

può
recedere
dal
contratto
solo
se
offre
il
pagamento
del
capitale,
degli
interessi
e
delle
spese.
Salvo
patto
contrario
la

cessione
non
libera
il
creditore:
secondo
le
regole
generali
essa
d’intende
fatta
pro
solvendo
e
non
pro
soluto.


La
crisi
da
sovraindebitamento
e
l’accordo
di
ristrutturazione
dei
debiti

Per
sovraindebitamento
si
intende
una
situazione
di
durevole
squilibrio
tra
le
obbligazioni
assunte
da
un
soggetto
e
il

suo
patrimonio,
tale
che
egli
non
sia
in
grado
di
far
fronte
ai
suoi
obblighi.
In
tal
caso
il
debitore
può
proporre
ai

creditori
un
accordo
di
ristrutturazione
dei
debiti
sulla
base
di
un
piano
che
assicuri
il
pagamento
integrale
dei

creditori
estranei
all’accordo
stesso
e
indichi
le
eventuali
garanzie,
le
scadenze
e
le
modalità
di
pagamento
degli
altri

creditori.
Il
piano
può
prevedere
anche
l’affidamento
del
patrimonio
a
un
fiduciario
per
la
liquidazione
e
la

distribuzione
del
ricavato,
la
cessione
di
crediti
e
redditi
futuri
o
la
stessa
cessione
dei
beni
ai
creditori.

La
proposta
dell’accordo
è
depositata
presso
il
tribunale
e
comunicata
ai
creditori
interessati.
La
proposta
è
trasmessa

all’organismo
di
composizione
della
crisi
(appositamente
previsto
dalla
legge
e
composto
da
enti
pubblici)
che
deve

verificare
e
attestare
la
concreta
fattibilità
del
piano.
Se
ottiene
inoltre
il
consenso
dei
creditori
che
rappresentino

almeno
il
70
%
dei
crediti,
viene
approvata
dal
tribunale:
il
decreto
di
omologazione
dell’accordo
diviene
così
efficace

e
obbligatorio
per
il
debitore
proponente.
L’accordo
può
essere
annullato
dal
tribunale
su
istanza
di
ogni
creditore

quando
sia
stato
dolosamente
aumentato
o
diminuito
l’attivo
o
il
passivo.
Se
il
proponente
non
adempie
agli
obblighi

derivanti
dall’accordo,
o
se
ne
diviene
impossibile
l’esecuzione
per
ragioni
non
imputabili
al
debitore,
ciascun

creditore
può
chiedere
al
tribunale
la
risulozione
dello
stesso


Compromesso

Il
compromesso
è
il
contratto
col
quale
le
parti
si
accordano
per
far
decidere
da
arbitri,
e
cioè
da
giudici
privati,
una

controversia
insorta
tra
di
loro.
L’accordo
compromissorio
può
essere
contenuto
in
un
apposito
contratto
(che

richiede
la
forma
scritta
a
pena
di
nullità)
,
ma
ben
può
prevedersi
tra
le
pattuizioni
accidentali

dei
diversi
contratti

una
clausola
compromissoria,
che
deferisca
ad
arbitri
la
definizione
delle
controversie
che
ne
dovessero
sorgere
e

indichi
il
nome
degli
arbitri
o
i
criteri
per
nominarli.
L’arbitroo
emetterà
la
sua
decisione
con
il
cd
lodo
arbitrale
che
ha

efficacia
di
sentenza.
Il
lodo,
una
volta
dichiarato
esecutivo
con
decreto
del
giudice,
è
suscettibile
di
esecuzione

forzata.

Nel
cosiddetto
arbitrato
irrituale
la
decisione
della
controversia
è
sempre
affidata
a
un
arbitro
privato,
ma
questi

decide
in
modo
informale,
senza
osservare
le
norme
procedurali
e
le
forme
previste
dal
codice
di
procedura
civile.

Detta
decisione
non
acquista
efficacia
di
sentenza:
ha
piuttosto
l’efficacia
propria
degli
atti
di
autonomia
privata,
e

cioè
produce
gli
stessi
effetti
dispositivi
di
un
contratto.


CAPITOLO
54:
Le
donazioni

Sono
cotratti
e
atti
gratuiti

quelli
nei
quali
manca
una
controprestazione
e
che
realizzano
un
arricchimento
unilaterale

della
controparte.
Non
tutti
gli
atti
gratuiti,
se
pure
realizzano
un
arricchimento
del
beneficiario,
costituiscono

donazione.
Importante
distinzione
è
quella
fra
atti
di
liberalità
e
atti
che
non
costiuiscono
liberalità.

•Atti
di
liberalità

Per
atto
di
liberalità,
o
atto
con
causa
liberale,
si
intende
l’atto
diretto
a
realizzare
in
capo
ad
altri
un
arricchimento

disinteressato,
per
pura
benevolenza.
Vi
è
quindi
un
intento
di
arricchire
il
beneficiario
in
modo
spontaneo
e

disinteressato.
Costituiscono
perciò
atti
di
liberalità
in
senso
proprio
non
solo
la
donazione
pura
e
semplice
(non

accompagnata
da
speciali
motivi)
ma
altresì
la
donazione
remuneratoria
e
quella
manuale,
la
donazione
cd
obnuziale

e
le
liberalità
d’uso.

Le
liberalità
possono
attuarsi
direttamente,
tramite
un
contratto
di
donazione,
ovvero
indirettamente,
tramite
atti

diversi
che
realizzano
comunque
detta
finalità
liberale.


•Atti
gratuiti
che
non
costituiscono
liberalità

Alla
base
di
tali
atti
gratuiti
non
si
rinviene
lo
spirito
di
liberalità
o
di
pura
benevolenza:
si
rinviene
piuttosto,
in
tali
atti,

una
ragione
di
semplice
cortesia,
ovvero
l’adeguamento
a
usi
e
convenzioni
sociali
ovvero
anche
un
vero
e
proprio

interesse
economico
del
disponente.
Ciò
vale
in
particolare
per
i
casi
di
comodato,
deposito,
prestazione
professionale

resa
gratuitamente
a
un
amico
o
a
un
parente:
sono
infatti
mere
ragioni
di
amicizia
o
desiderio
di
adeguarsi
a
una

usanza
sociale.


Altri
atti
tipicamente
gratuiti
poi
trovano
in
sé
la
propria
causa
adeguata:
così
è
ad
es
per
l’atto
di
dotazione
di
una

fondazione
(che
trova
causa
nell’esigenza
di
fornire
i
mezzi
economici
necessari
allo
scopo
per
cui
viene
istituita)
e
per

le
convenzioni
matrimoniali
(che
trovanoo
causa
nella
solidarietà
familiare).
Vi
sono
poi
altri
atti
talvolta
gratuiti
come

la
remissione,
il
pagamento
o
l’accolllo
di
un
debito
altrui,
la
rinuncia
a
un
diritto,
il
contratto
a
favore
di
terzo.
Tali
atti

hanno
una
loro
causa
lecita.
Tramite
l’analisi
delle
singole
fattispecie
si
potrà
in
concreto
deporre
per
l’onerosità
o
la

gratuità
dell’atto
ma
,
anch
ein
questo
caso,
non
potrà
presumersi
la
qualifica
di
liberalità
per
la
mera
gratuità

dell’atto.


La
donazione

La
donazione
è
il
contratto
col
quale
una
parte,
per
spirito
di
liberalità,
arricchisce
l’altra
tramite
l’attribuzione
di
un

diritto
ovvero
l’assunzione
di
una
obbligazione.

Funzione
o
causa
del
contratto
è
lo
spirito
di
liberalità.
La
donazione
è
caratterizzata
da
una
singolare
rilevanza
dei

motivi,
i
quali
influiscono
sul
contratto
incidendo
in
vario
modo
sulla
disciplina.
L’errore
sul
motivo,
sia
di
fatto
che
di

diritto,
d°
luogo
all’annullabilità
del
contratto
se
si
tratta
di
motivo
determinante
e,
inoltre,
risulta
dall’atto.
Il
motivo

illecito
rende
nulla
la
donazione
se
è
determinante
e
se
risulta
dall’atto.
Quanto
al
contenuto
della
donazione

l’arricchimento
può
considerarsi
nella
assunzione
di
una
obbligazione,
purchè
di
dare:
sarà
perciò
un
contratto
a

effetti
obbligatori.
Molto
più
frequente
tuttavia
è
l’attribuzione
di
un
diritto.
La
donazione
perciò
avrà
qui
effetti
reali,

immediatamente
traslativi
del
diritto.

Nella
donazione
della
proprietà
di
un
immobile
si
presenta
con
frequenza
la
riserva
di
usufrutto
a
favore
del
donante
o

anche
a
vantaggio
di
un’altra
persona
(ma
non
successivamente).

Non
è
ammessa
la
donazione
di
beni
futuri
e
neanche
di
beni
altrui.
Stipulato
il
contratto,
il
donante
è
tenuto
a

eseguire
la
prestazione
e
sarà
perciò
responsabile
in
caso
di
inadempimento
ma
la
responsabilità
è
limitata
ai
casi
di

dolo
o
colpa
grave.
Analogamente,
la
garanzia
per
i
vizi
della
cosa
è
ristretta
al
caso
di
dolo
e
la
garanzia
per
evizione
è

dovuta
solo
se
il
donante
l’a
espressamente
promessa
ovvero
se
l’evizione
dipende
da
suo
dolo
o
fatto
personale

ovvero
se
si
tratta
di
donazione
modale
o
remuneratoria.


La
donazione
modale

La
donazione
modale
è
la
donazione
gravata
da
un
onere
o
modo
che
il
donatario
è
tenuto
ad
eseguire
(onere
o
modo

è
quell’elemento
accidentale
di
un
negozio).
Il
modo
non
costituisce
corrispettivo
della
donazione
ma
un
peso
o

limitazione
che
ne
riduce
l’arricchimento
sul
piano
economico.
Il
modo
d’altra
parte
è
vera
e
propria
obbligazione

giuridica
e
il
donatario
è
tenuto
all’adempimento,
seppure
entro
i
limiti
del
valore
della
cosa
donata.
Per
conseguire

l’adempimento
del
modo
può
agire
qualsiasi
interessato
mentre
la
risoluzione
per
inadempimento
può
essere
chiesta

dal
donante
e
sai
suoi
eredi
solo
se
prevista
nell’atto
di
donazione.
L’onere
impossibile
o
illecito
si
considera
non

apposto,
salvo
che
abbia
costituito
il
solo
motivo
determinante
della
disposizione.


Forma
dell’atto,
capacità
delle
parti,
invalidità
e
revoca
della
donazione

La
donazione
è
un
contratto
formale:
richiede,
a
pena
di
nullità,
la
forma
dell’atto
pubblico
e
l’assistenza
di
due

testimoni.
Si
richiede
il
consenso
di
donante
e
donatario.
Si
ritiene
inammissibile
il
contratto
preliminare
di
donazione.

Il
carattere
personale
della
donazione
esclude
poi
l’ammissibilità
del
mandato
a
donare
quando
il
mandatario
debba

designare
il
donatario
o
determinare
l’oggetto
della
donazione:
il
rappresentante
potrà
solo
operare
una
scelta
tra
più

beneficiari
indicati
o
tra
più
beni
determinati.
Il
donante
deve
avere
piena
capacità
di
disporre
dei
propri
beni
e
perciò

non
è
ammessa
sostituzione
del
rappresentante
legale
all’incapace.
Quanto
alla
capacità
di
ricevere
per
donazione,

possono
ricevere
(se
rappresentati
e
assistiti
nelle
debite
forme)
anche
i
minori,
gli
interdetti
e
gli
inabilitati,
e
altresì
i

nascituri,
concepiti
e
non
concepiti.
Anche
gli
enti
giuridici
possono
ricevere
liberamente
donazioni.

Costituendo
la
donazione
un
contratto,
ad
essa
si
applicano
le
regole
generali
in
ordine
ai
requisiti
di
validità
ed

efficacia
dei
contratti.
Così,
oltre
che
alla
stregua
delle
regole
generali,
l’annullamento
può
essere
pronunciato
per

incapacità
naturale,
senza
necessità
di
dimostrare
la
malafede
dell’altro
contraente,
e
per
errore
sul
motivo,
di
fatto
o

di
diritto,
che
risulti
dall’atto
e
sia
determinante
nel
consenso.
Oltre
che
dalla
violazione
delle
regole
generali,
la
nullità

della
donazione
può
essere
determinata
dal
fatto
che
essa
ha
ad
oggetto
beni
futuri
o
beni
altrui,
dalla
impossibilità
o

illiceità
del
motivo,
o
dell’onere
ad
esso
collegato,
ove
esso
sia
determinante
dell’atto.


Conferma
delle
donazioni
nulle=gli
eredi
e
gli
aventi
causa
del
donante
che,
conoscendo
la
causa
di
nullità,
hanno

confermato
e
dato
esecuzione
alla
donazione
dopo
la
morte
del
donante
non
possono
far
valere
l’invalidità.

La
donazione
può
essere
a
effetti
reali
o
obbligatori
e
vincola
le
parti.
Il
donante
può
revocare
la
donazione
per
fatti

sopravvenuti.
La
revocazione
per
ingratitudine
può
proporsi
quando
il
donatario
ha
commesso
contro
il
donante
o

suoi
ascendenti
o
discendenti
alcuni
gravi
reati
ovvero
gli
ha
arrecato
ingiuria
grave
o
grave
pregiudizio
o
gli
ha

rifiutato
gli
alimenti.
La
revocazione
per
sopravvenienza
dei
figli
può
chiedersi
dal
donante
quando
questi,
al
tempo

della
donazione,
non
aveva
o
ignorava
di
avere
figli
legittimi
ovvero
quando,
successivamente
alla
donazione,
egli

effettui
il
riconoscimento
di
un
figlio
naturale.

La
revocazione
costituisce
esercizio
di
diritto
potestativo
e
si
differenzia
dalla
revoca
perché
non
opera
con

dichiarazione
unilaterale
ma
occorre
una
sentenza
del
giudice.
La
sentenza
toglie
efficacia
alla
donazione
ma
non

pregiudica
i
terzi
sub
acquirenti
dal
donatario,
salvi
gli
effetti
della
trascrizione
della
domanda.
Altra
causa
di

inefficacia
sopravvenuta
è
costituita
dalla
condizione
di
riversibilità
e
cioè
dalla
clausola
che
prevede
il
ritorno
del

bene
nel
patrimonio
del
donante
in
caso
di
premorienza
del
donatario
e
dei
suoi
eredi.
In
questo
caso
le
alienazioni

nel
frattempo
intervenute
saranno
caducate.


Tipi
particolari
di
donazione

I
motivi
determinano,
in
alcune
ipotesi,
la
configurazione
di
particolari
sottospecie
di
donazione:
remunerato
ria,

obnuziale,
manuale.

•
La
donazione
remuneratoria
è
quella
fatta
per
riconoscenza
ovvero
in
considerazione
dei
meriti
del
donatario

ovvero
per
speciale
remunerazione.
Il
donante
è
tenuto
alla
garanzia
per
l’evizione
e
non
può
revocarla.

•
La
donazione
obnuziale
è
la
liberalità
fatta
in
riguardo
di
un
futuro
matrimonio,
sia
dagli
sposi
tra
loro,
sia
da
altri
a

favore
degli
sposi
o
dei
loro
figli
nascituri.
Gli
effetti
di
tale
donazione
però
sono
condizionati
sospensivamente
alla

celebrazione
del
matrimonio
e
il
suo
eventuale
,
successivo
annullamento
determina
lla
nullità
della
liberalità.
Questa

donazione
non
ha
bisogno
di
accettazione,
perfezionandosi
con
la
sola
dichiarazione
unilaterale
del
donante
e
non

costituisce
perciò
un
contratto;
inoltre
non
è
soggetta
a
revocazione.

•
La
donazione
manuale
è
la
liberalità
cha
ha
ad
oggetto
beni
mobili
ed
è
di
modico
valore,
avuto
anche
riguardo
alla

condizione
economica
del
donante.
Tale
liberalità
si
perfezione
con
la
“tradizione”,
e
cioè
con
la
consegna
materiale

dei
beni:
è
un
contratto
reale
e
non
richiede
la
forma
dell’atto
pubblico.


Rimangono
da
considerare
infine
le
liberalità
d’uso,
e
cioè
quei
donativi
ricorrenti
negli
usi
sociali
in
particolari

circostanze:
esse
però
non
costituiscono
donazione.


Le
donazioni
indirette

Sono
donazioni
indirette
quegli
altri
atti
gratuiti
che
realizzano
un
arricchimento
del
beneficiario,
e
hanno
così
causa

nello
spirito
di
liberalità,
e
tuttavia
non
trovano
attuazione
in
un
contratto
di
donazione
bensì
tramite
atti
diversi.

L’arricchimento
si
realizza
quindi
in
maniera
indiretta,
tramite
atti
e
negozi
che
hanno
un
fine
tipico
diverso
da
quello

di
liberalità.
Ad
es
il
caso
della
remissione
del
debito,
della
rinuncia
all’usufrutto,
dell’adempimento
del
terzo,
della

intestazione
di
un
bene
a
nome
altrui.
Per
tali
ipotesi
quindi
occorre
anzitutto
accertare
se
sussista
la
causa
di

liberalità
e
tali
liberalità
devono
essere
lecite
e
valide
pur
senza
lo
strumento
del
contratto
di
donazione
e
perciò

senza
la
forma
dell’atto
pubblico
e
senza
che
ne
emerga
esplicitamente
la
causa
di
liberalità.
(Facoltà
di
uso
indiretto

dei
negozi)
Realizzando
tali
atti
un
risultato
sostanziale
in
tutto
analogo
alla
donazione,
essi
sono
soggetti
a

revocazione
nonché
alle
regole
sulla
riduzione
delle
donazioni
che
abbiano
leso
la
quota
degli
eredi
legittimari.

La
donazione
mista
è
l’ipotesi
di
chi
vende
scientemente
per
100
ciò
che
vale
200
ovvero
acquista
un
bene
per
un

prezzo
molto
superiore
al
suo
valore
effettivo.
Qui
il
soggetto
conosce
la
sproporzione
tra
i
valori,
ma
tale
differenza
è

appunto
voluta
al
fine
di
realizzare,
nei
limiti
di
tale
differenza,
un
arricchimento
della
controparte,
che
parimenti

conosce
tale
differenza
e
accetta
l’attribuzione.


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