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Fini societari
— a scopo lucrativo (art. 2247 c.c.), cioè allo scopo di dividerne gli utili;
— a scopo mutualistico (art. 2511 c.c.), cioè allo scopo di fornire beni o servizi od occasioni di lavoro ai
contraenti a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato;
— a scopo consortile (art. 2602 c.c. e 2615ter c.c.), cioè allo scopo di coordinare le medesime o affini
attività economiche di più imprenditori, o lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese.
i conferimenti, che consistono nelle prestazioni di dare o fare cui le parti del contratto di società si
obbligano. Possono costituire oggetto di conferimento sia beni (danaro, beni mobili o immobili),
sia servizi (attività lavorativa o apporti d’opera del socio).
Di norma, l’ammontare del conferimento a cui sono obbligati i soci è indicato nell’atto costitutivo ed è
determinato dalla quota di capitale sociale sottoscritta;
l’esercizio in comune di un’attività economica, che deve essere produttiva, cioè finalizzata alla
produzione o allo scambio di beni o servizi e deve essere esercitata in comune. La specifica
attività economica per il cui esercizio le parti si impegnano ai conferimenti rappresenta l’oggetto
sociale (questo deve essere possibile, lecito e determinato);
la divisione degli utili, che non deve essere necessariamente proporzionale al conferimento
eseguito e può essere variamente regolamentata, salvo il rispetto del divieto del c.d. patto leonino,
ossia del patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle
perdite.
— società mutualistiche, caratterizzate dallo scopo mutualistico (e non lucrativo) perseguito dai soci
(società cooperativa a mutualità prevalente e non a mutualità prevalente, società di mutua assicurazione).
In pratica, il vantaggio che riceve il socio sta, nelle società lucrative, negli utili che si conseguiranno con
l’attività sociale; invece, nelle società mutualistiche, nella possibilità di procurarsi beni o servizi forniti
dalla società ad un prezzo minore di quello del mercato o possibilità di lavoro a condizioni agevolate.
società di persone, che sono quelle (società semplice, società in nome collettivo, società in
accomandita semplice) in cui l’elemento personale (il complesso dei soci) è prevalente rispetto a
quello patrimoniale;
società di capitali, che sono quelle (società per azioni, società in accomandita per azioni, società a
responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione) in cui l’elemento
patrimoniale è prevalente rispetto a quello personale.
La scelta del tipo di società è essenzialmente rimessa alla volontà delle parti salvo il divieto per le società
semplici di svolgere un’attività commerciale e l’imposizione di un tipo sociale determinato per l’esercizio
di alcune attività commerciali particolarmente rilevanti.
Il patrimonio personale dei soci e il patrimonio della società sono due entità distinte, per cui il patrimonio
della società è insensibile alle vicende che riguardano i singoli soci; il patrimonio dei singoli soci è
insensibile alle vicende che riguardano il patrimonio della società. Si parla, a tal proposito, di autonomia
patrimoniale, la quale può essere più o meno intensa a seconda del tipo di società.
L’autonomia patrimoniale imperfetta caratterizza le società di persone, nelle quali i singoli soci
rispondono personalmente degli obblighi assunti dalla società della quale fanno parte.
L’autonomia patrimoniale perfetta caratterizza le società di capitali, nelle quali il patrimonio della
società e quello dei singoli soci sono nettamente separati e delle obbligazioni sociali risponde soltanto la
società con il suo patrimonio.
Ai sensi dell'art. 2082 è «imprenditore» chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
«L'attività d'impresa» consiste in «una serie di atti coordinati al conseguimento di uno stesso fine»
consistente nella creazione di una nuova ricchezza destinata al «mercato», ossia a soddisfare bisogni altrui
o, come dice il legislatore, nella «produzione o scambio di beni o servizi».
Requisito essenziale per l'esercizio dell'attività di impresa è, altresì, quello della professionalità.
Per «professionale» deve intendersi un'attività abituale (ossia non occasionale), stabile (non
necessariamente esclusiva) e preordinata (alla produzione o allo scambio di beni o servizi). Non occorre,
però, che l'attività sia ininterrotta, così anche quella stagionale dà luogo all'impresa (es.:
L'attività dell'imprenditore è destinata al mercato e generalmente tende a perseguire un fine di lucro, che
può consistere nella realizzazione di un guadagno o, quanto meno, nella copertura dei costi con i ricavi
(lucro oggettivo).
Essenziale, inoltre, è che l'imprenditore eserciti l'impresa in nome proprio, sopportandone il relativo rischio
economico (c.d. rischio imprenditoriale).
- criterio qualitativo, che si basa sulla natura dell'attività esercitata (imprenditore agricolo e commerciale);
criterio quantitativo, che tiene conto delle dimensioni della stessa (piccolo imprenditore e
imprenditore medio-grande);
- criterio personale, che tiene conto del numero dei soggetti e dei rispettivi poteri nell'ambito
dell'organizzazione imprenditoriale (imprenditore individuale, imprenditore collettivo o società).
Dalla qualità di imprenditore derivano particolari diritti, doveri e responsabilità. Sotto questo profilo vanno
segnalate le modifiche apportate dal D.Lgs. 12-1-2019, n. 14 (Codice della crisi d'impresa e
dell'insolvenza). Ai sensi dell'art. 2086 c.c., modificato dall'art. 375 del D.lgs. 14/2019, l'imprenditore è il
capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori.
L'imprenditore quindi esercita il potere gerarchico sui collaboratori subordinati che dipendono da lui.
Sul piano degli obblighi, invece, ad esempio, va segnalato che l'imprenditore individuale deve adottare
misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie
a farvi fronte (art. 3, comma 1 del D.Lgs. 14/2019). Sotto questo profilo, una delle principali novità
apportate dal nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza è rappresentata dall'introduzione di
specifici obblighi organizzativi in capo all'imprenditore: l'art. 3 comma 2 del Codice disciplina la
responsabilizzazione diretta dell'imprenditore in forma collettiva che deve adottare un assetto
organizzativo adeguato «ai fini della tempestiva rilevazione
A tal proposito è stato aggiunto anche un secondo comma all'art. 2086 c.c., in vigore dal 16 marzo
2019, che sancisce che l'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un
assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche
in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale,
nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti
dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.
Infine, si segnala che l'imprenditore inoltre ha l'obbligo di proteggere l'integrità fisica e la personalità
morale dei suoi collaboratori (art. 2087 c.c.).
L'azienda è «il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa» (art. 2555
c.c.). L'azienda costituisce, quindi, l'insieme dei mezzi produttivi (locali, macchinari, attrezzature, materie
prime, merci) con cui l'imprenditore svolge la propria attività di impresa.
La legge considera l'azienda, dunque, un aggregato di beni, nel senso che questi ultimi, pur conservando la
loro individualità fisica, sotto certi aspetti, devono essere considerati unitariamente in conseguenza
dell'unitarietà della loro destinazione economica. Un dato bene si dice aziendale in quanto è destinato
dall'imprenditore all'esercizio della propria impresa.
L'imprenditore, sotto questo profilo, non deve essere necessariamente proprietario dei beni aziendali: è
sufficiente che egli disponga, su ciascun bene, di un titolo giuridico (proprietà, diritti reali di godimento,
diritti personali) che gli permetta di utilizzarlo per l'esercizio dell'impresa.
L'azienda, dunque, è un fattore necessario e determinante dell'impresa, ma resta pur sempre distinta
rispetto ad essa, nei cui confronti si pone in un rapporto di mezzo a fine.
Teorie unitarie: considerano l'azienda come oggetto unitario dal punto di vista giuridico.
Teorie atomistiche: negano l'unificazione giuridica dei beni aziendali e vi ravvisano un complesso di cose
unificato solo economicamente.
Teoria organica dell'«universitas facti»: considera l'azienda come una pluralità di cose mobili che, essendo
collegate fra loro da un nesso economico o materiale, vengono in rilievo unitariamente per il diritto.
• Teoria organica dell'«universitas iuris»: considera l'azienda come una pluralità di rapporti, ridotti ad unità
per volontà della legge, comprendente sia i mobili che gli immobili, sia tutti i diritti relativi ad essi.
• Teoria intermedia: nel nostro sistema, l'azienda si presenta come una figura «sui generis», non facente
parte di alcuna delle categorie dinnanzi considerate.