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Diritto Commerciale 1 parte

Diritto Commerciale 1^ Parte (Università degli Studi di Pavia)

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DIRITTO COMMERCIALE
CAPITOLO 1: LE SOCIETA’.

Il sistema legislativo.

Le società sono organizzazioni di persone e di mezzi create dall’autonomia privata per


l’esercizio in comune di un’attività produttiva. Sono le strutture organizzative tipiche previste
dall’ordinamento per l’esercizio in forma associata dell’attività di impresa (impresa
collettiva).
La società rappresenta l’espressione della tendenza degli individui ad associarsi per
perseguire scopi che individualmente sarebbe difficile raggiungere.
Largamente diffusa è l’utilizzazione della forma societaria anche da parte dell’iniziativa
economica pubblica.
Il nostro ordinamento prevede una pluralità di tipi societari a disposizione dell’autonomia
privata, fra i quali le parti possono liberamente scegliere, in modo da dotarsi dell’assetto
organizzativo meglio rispondente alle loro specifiche esigente operative.
I modelli esistenti sono 8:
- SOCIETA’ DI PERSONE
• la società semplice (2251-2290);
• la società in nome collettivo (2291-2312);
• la società in accomandita semplice (2313-2324);
- SOCIETA’ DI CAPITALI
• la società per azioni (2325-2451);
• la società in accomandita per azioni (2452-2461);
• la società a responsabilità limitata (2462-2483);
- la società cooperativa (2511-2545);
- le mutue assicuratrici (2546-2548).
Di recente a questi modelli si sono affiancati altri due tipi societari, quali la società europea
e la società cooperativa europea.

LA NOZIONE DI SOCIETA’

Il contratto di società.

Nonostante i diversi tipi societari, l’art.2247 cc prevede un’unica nozione legislativa: “con il
contratto di società due o più perone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di
un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”.
Il codice del 1942 non prevedeva la possibilità di costituzione di una società mediante atto
unilaterale (ossia una società composta da una sola persona).
Dal 1993 questa possibilità è stata prevista dapprima per le SRL e più di recente per le SPA.

I conferimenti.

Le società sono enti associativi che i caratterizzano per la contemporanea presenza di tre
elementi:
- i conferimenti dei soci
- l’esercizio in comune di un’attività economica (scopo-mezzo)
- lo scopo di divisione degli utili (scopo-fine)

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I conferimenti costituiscono i contributi dei soci alla formazione del patrimonio iniziale della
società. La loro funzione è quella di dotare la società del capitale di rischio iniziale per lo
svolgimento dell’attività di impresa. Col conferimento ciascun socio destina in modo stabile
(per tutta la durata della società) parte della propria ricchezza personale, correndo il rischio
di perdere tutto o in part il valore del conferimento.
Quanto all’oggetto del conferimento, l’art.2247 stabilisce che possono essere costituiti da
beni e servizi, ossia ogni entità suscettibile di valutazione economica che le parti ritengono
utile o necessaria per lo svolgimento dell’attività (tuttavia nelle SPA non sono concessi
conferimenti sotto forma di prestazioni d’opera o di servizi).

Il patrimonio sociale e capitale sociale.

Il patrimonio sociale è il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo alla
società.
Esso è inizialmente costituito dai conferimenti eseguiti o promessi dai soci, successivamente
subisce continue variazioni qualitative e quantitative in relazione alle vicende economiche
della società.
La consistenza del patrimonio sociale è accertata periodicamente attraverso la redazione
annuale del bilancio d’esercizio. Viene definita come patrimonio netto la differenza positiva
fra attività e passività. Il patrimonio sociale costituisce la garanzia generica dei creditori della
società, può essere:
- PRINCIPALE, se per le obbligazioni della società rispondono anche i soci col proprio
patrimonio;
- ESCLUSIVA, se si tratta di un tipo di società nel quale per le obbligazioni risponde solo la
società.
PATRIMONIO SOCIALE ≠ CAPITALE SOCIALE
Il capitale sociale nominale è un’entità numerica: è una cifra che esprime il valore in denaro
dei conferimenti quale risulta dalla valutazione compiuta nell’atto costitutivo della società.
Tale capitale rimane immutato nel corso della vita della società fino a quando, con modifica
dell’atto costitutivo non se ne decide l’aumento o la riduzione.
È quindi considerato un valore storico. Riveste una funzione vincolistica ed una funzione
organizzativa. Il capitale sociale indica quindi l’ammontare dei conferimenti dei soci.
Essi potranno ripartirsi durante la vita della società solo la parte del patrimonio netto (attività
meno passività) che supera l’ammontare del capitale sociale (intoccabile).
Il capitale sociale nominale svolge anche un ruolo organizzativo nelle società di capitali, in
quanto funge da base di misurazione di alcune fondamentali situazioni soggettive dei soci,
sia di carattere amministrativo (diritto di voto) che di carattere patrimoniale (diritto agli utili
ed alla quota di liquidazione).
Tali diritti sono proporzionali alla quota del capitale sociale sottoscritto da ciascun socio.

L’esercizio in comune di attività economica.

L’esercizio in comune di attività economica è il c.d. scopo-mezzo del contratto di società ed


oggetto sociale si definisce la specifica attività economica che i soci si propongono di
svolgere.
Tale attività deve essere indicata nell’atto costitutivo ed è modificabile nel corso della vita
della stessa società.
L’attività economica deve essere un’attività finalizzata alla produzione o allo scambio di beni
e servizi. Inoltre tale attività deve essere esercitata in comune.

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Fissare i caratteri minimi costanti non è facile, in quanto ogni società può essere gestita in
modo diverso, tuttavia la giurisprudenza ha cercato di fissare dei caratteri sotto il profilo
oggettivo.
Perché un attività economica possa definirsi comune a più soggetti è necessario che essa sia
preordinata alla realizzazione di un risultato unitario e comune, ossia ad un risultato
imputabile al gruppo stesso, in modo che tutti ne siano partecipi sia che il risultato sia
positivo o negativo.

Società e impresa. Le società occasionali.

L’attività della società presenta di regola tutti i caratteri propri dell’attività di impresa: è
attività produttiva ed è attività che almeno normalmente è esercitata in modo professionale
ed organizzato.
Le società quindi di regola sono titolari di un’impresa collettiva e ad esse è applicabile tale
disciplina. Tuttavia le società possono essere utilizzate anche per l’esercizio di attività
produttiva a carattere non imprenditoriale.
È quindi ammessa la figura della società senza impresa, che si ha nel caso di SOCIETÀ
OCCASIONALI e di SOCIETÀ FRA PROFESSIONISTI.
Per quanto riguarda le società occasionali, l’art. 2247 richiede solamente che l’attività delle
società abbia carattere produttivo, senza far cenno alla professionalità, richiesta invece per
l’attività imprenditoriale.
Non si ha né società né impresa quando due persone realizzano insieme un affare che si
risolve nel compimento di un solo atto economico o anche di più atti non coordinati da un
disegno unitario.
Si ha sia società sia impresa quando due persone decidono di compiere insieme un singolo
affare complesso: un affare cioè che per sua natura implica il compimento di operazioni
numerose e l’utilizzo di un apparato produttivo idoneo ad escludere il carattere occasionale
e non coordinato dei singoli atti economici.

Le società fra professionisti.

L’attività dei professionisti intellettuali è un’attività economica (produttiva di servizi


intellettuali), ma, non è legislativamente considerata attività di impresa.
Una società fra professionisti per l’esercizio in comune della loro attività dà perciò vita a una
società senza impresa.
La società fra professionisti non va confusa con il fenomeno largamente diffuso dell’incarico
congiunto, o della società di mezzi fra professionisti, che si ha quando la costituzioni è fatta
per l’acquisto e la gestione in comune di beni strumentali all’esercizio individuale delle
rispettive professioni. Ancora diverse sono le società di servizi imprenditoriali tra le più
diffuse le società di ingegneria), che svolgono una funzione di assistenza e una serie di
prestazioni in appoggio all’attività del vero e proprio professionista.
Chi esercita una professione non protetta potrà scegliere qualsiasi forma societaria, non
essendo vincolato al rispetto dell’art. 2232. Ma così facendo, vengono posti fuori dalla
categoria dei professionisti intellettuali e l’attività da loro svolta non sarà qualificata come
esercizio di una professione intellettuale. Si avrà una comune società per l’esercizio di
attività imprenditoriale, che è una società commerciale.
In conclusione, nelle professioni non protette si avrà una società senza impresa.
Per le professioni protette (per il loro esercizio serve l’iscrizione in appositi albi professionali)
quando non si esclude la possibilità del loro esercizio in forma societaria, si tende per lo più
ad ammettere solo l’utilizzo delle società di persone, in rispetto alle condizioni fissate

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dall’art. 1 della legge 1815/1939, visto che tale strutture societarie non compromettono la
personalità della prestazione professionale.
La giurisprudenza invece nega la liceità di tali società, qualunque sia il tipo societario scelto,
in quanto è in contrasto sia con la legge 1815/1939, sia con il codice civile, sempre al fine di
tutelare il carattere personale delle prestazioni professionali, il cui rispetto resta precluso
dall’esercizio in comune di tali attività.
L’unica deroga al divieto di costituzione di società fra professionisti è la società tra avvocati.

La società tra avvocati.

La società tra avvocati è stata introdotta nel 2001, con l’intento di facilitare il libero esercizio
della professione di avvocato nell’ambito dell’UE.
La società tra avvocati ha per oggetto esclusivo l’esercizio in comune dell’attività
professionale dei propri soci, ossia vale dire l’attività di rappresentanza, assistenza e difesa in
giudizio, nonché le altre attività professionali proprie della professione.
La società inoltre può acquistare beni o diritti strumentali all’esercizio della professione e
compiere qualsiasi attività diretta a tale scopo.
È regolata dalle norme della società in nome collettivo ove non diversamente disposto. Tutti i
soci devono essere in possesso del titolo di avvocato e che non è consentita la
partecipazione ad altra società di avvocati.
Il socio cancellato o radiato dall’albo è escluso di diritto dalla società. La ragione sociale
deve contenere l’indicazione “società tra avvocati”.
Le cause di invalidità della società tra professionisti sono quelle previste dalla disciplina
generale dei contratti, mentre per gli effetti è dettata una disciplina speciale, che è più vicina
alla disciplina delle S.p.A.. Infatti:
- La dichiarazione di nullità o la pronuncia di annullamento non pregiudica l’efficacia degli
atti compiuti in nome della società.
- Resta ferma la responsabilità personale dei soci per le obbligazioni anteriori.
- La sentenza di nullità o di annullamento nomina uno o più liquidatori, dando avvio al
procedimento di liquidazione della società che porterà all’estinzione della società dopo
aver soddisfatto i creditori sociali e ripartito fra i soci l’eventuale residuo attivo di
liquidazione.
- L’invalidità non può essere pronunciata se la causa di essa è stata eliminata per effetto di
una modifica dell’atto costitutivo iscritta nel registro delle imprese.
La società fra avvocati non è soggetta a fallimento in quanto non svolge attività di impresa.
La società fra avvocati è assoggettata ad una peculiare disciplina volta a conciliare l’esercizio
in forma societaria della professione forense con il rispetto del principio della personalità
della prestazione e di quello della diretta responsabilità del professionista nei confronti del
cliente.
Infatti, l’amministrazione della società non può essere affidata a terzi, art. 23, e l’incarico
professionale conferito alla società può essere eseguito solo da uno o più soci in possesso
degli specifici requisiti prescritti per l’esercizio della professione richiesta, art. 24.
Inoltre, è riconosciuto e tutelato il diritto del cliente di scegliere il proprio difensore.
In difetto di scelta, la società deve comunicare per iscritto al cliente il nome del socio o di
soci incaricati, prima dell’inizio dell’esecuzione del mandato.
Per le obbligazioni sociali non derivanti dall’attività professionale si applica la disciplina
della SNC.
Delle obbligazioni derivanti dall’attività professionale svolta da uno o più soci sono
responsabili illimitatamente e solidalmente tutti i soci qualora la società ometta di
comunicare il nome dell’avvocato incaricato, prima dell’esecuzione del mandato.

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Mentre è dettata una disciplina specifica per la responsabilità professionale, art. 26. Infatti,
solo il socio o i soci incaricati sono personalmente e illimitatamente responsabili per l’attività
professionale svolta in esecuzione dell’incarico.

Lo scopo-fine delle società.

Lo scopo-fine delle società è costituito dallo scopo perseguito dalle parti.


Il più diffuso è lo scopo lucrativo, ossia quello di maturare utili da dividere tra i soci.
Tuttavia ci sono anche società cooperative che devono, per legge, perseguire uno scopo
mutualistico, ossia di fornire direttamente ai soci beni, servizi od occasioni di lavoro a
condizioni più vantaggiose di quelle che i soci stessi otterrebbero sul mercato.
Lo scopo istituzionale delle cooperative non è perciò quello di produrre utili da dividere,
bensì è quello di procurare ai soci un vantaggio patrimoniale diretto, che potrà consistere, a
seconda del campo di attività della cooperativa, in un risparmio di spesa o in una maggiore
remunerazione del lavoro prestato dai soci.
È quindi considerata una società che deve operare con metodo economico e per la
realizzazione di uno scopo economico dei soci, ma non istituzionalmente preordinata per la
realizzazione di uno scopo di lucro in senso proprio.
Infine una società (tutti i tipi, tranne la società semplice) può perseguire uno scopo
consortile. Una società consortile è tenuta ad operare con metodo economico e per la
realizzazione di uno scopo economico dei soci, consistente in un particolare vantaggio
patrimoniale degli imprenditori consorziati, come la sopportazione di minori costi o la
realizzazione di maggiori guadagni nelle rispettive imprese.
Le società consortile non devono necessariamente perseguire uno scopo di lucro. Salve le
eccezioni previste da leggi speciali, le società sono enti associativi che operano con metodo
economico e per la realizzazione di un risultato economico a favore esclusivo dei soci.
La società si caratterizza per l’istituzionale destinazione ai suoi membri (auto-destinazione)
dei variabili benefici patrimoniali conseguibili attraverso l’esercizio della comune attività di
impresa.

Società ed associazioni. L’impresa sociale.

Le differenza fra società ed associazioni risiedono nella natura dell’attività esercitatile e nello
scopo-fine perseguibile.
Diversamente dalle associazioni, l’attività delle società è un’attività produttiva condotta con
metodo lucrativo o quanto meno economico.
Lo scopo-fine della società è uno scopo economico (lucrativo, consortile, mutualistico), e i
benefici sono destinati ai propri membri e non a terzi, mentre le associazioni sono enti con
scopo ideale o altruistico.
Ne consegue che un gruppo associativo è da qualificare come associazione e non come
società quando svolge attività produttiva con metodo economico, cioè quando produce beni
o servizi che vengono erogati gratuitamente o a prezzo politico, oppure quando l’attività
produttiva è condotta con metodo economico ma gli utili conseguiti sono istituzionalmente
destinati a scopi di beneficenza o altruistici.
In breve, la linea di confine fra società ed associazioni risiede nell’auto-destinazione ai
membri del gruppo per le società, o nell’etero-destinazione (scopo ideale) dei risultati
economici dell’attività nelle associazioni.
Oggi, è forte la tendenza dei gruppi associativi con scopo ideale a servirsi del più comodo
ed agibile strumento della società per azioni, ricorrendo all’espediente di dichiarare nell’atto
costitutivo un’attività economica ed uno scopo lucrativo che poi in fatto non vengono
perseguiti.

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Queste forme di utilizzazione anomala dell’istituto societario non possono essere


considerate legittime se non nei casi espressamente previsti dalla legge.
Una parte della dottrina sostiene che le società di capitali sarebbero diventate delle strutture
organizzative casualmente neutre e quindi legittimamente utilizzabili dall’ autonomia privata
per la realizzazione di un qualsiasi scopo lecito: lucrativo, economico ed ideale.
Ma tale tesi non è condivisibile. Infatti, il sistema del codice civile non offre dati che
consentono di affermare la derogabilità statutaria dello scopo di lucro o economico, per le
società di capitali. Non decisiva è la circostanza che l’art. 2332 non elenca fra le cause di
nullità della società per azioni la mancanza dello scopo di lucro.
Inoltre, l’espresso riconoscimento legislativo delle società consortile se dimostra che le
società di capitali possono essere utilizzate anche per uno scopo economico non lucrativo,
non dimostra che si possono usare tale società per scopi non economici, ideali.
Nella legislazione speciale si rinvengono numerosi casi di società istituzionalmente senza
scopo di lucro oggettivo e/o soggettivo.
In passato infatti vi erano molte S.p.A., a partecipazione pubblica, che per legge dovevano
perseguire scopi esclusivamente pubblici e incompatibili con la causa lucrativa o
economica.
Anche se oggi tale fenomeno si è ridimensionato nella legislazione speciale non mancano
casi di società per azioni che per legge non devono perseguire o possono non perseguire uno
scopo di lucro. Esempi ne sono le S.p.A. per la gestione dei fondi mutualistici per la
promozione o lo sviluppo della cooperazione, S.p.A. per la gestione di mercati regolamentati
di strumenti finanziari.
È in dubbio se fra le società di diritto speciale senza scopo di lucro possono ricomprendervi
anche le società sportive professionistiche regolate dalla legge n. 91 del 23/03/1981. Tale
legge imponeva e impone ai gruppi associativi che operano nel settore dello sport
professionistico di adottare la forma della S.p.A. o della srl.
Al fine di incentivare la raccolta di capitale di rischio fra il pubblico è stata abrogata la
norma che vietava la distribuzione di utili fra i soci, anche se l’attuale disciplina si limita a
stabilire che l’atto costitutivo deve prevedere che una quota parte degli utili, non inferiore al
10%, sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnica-sportiva, art.
10.3.
Una vistosa deroga al principio di “lucratività” delle società è prevista dalla nuova disciplina
sull’impresa sociale, emanata in attuazione della legge delega n.118/2005.
Si definiscono imprese sociali, tutte le organizzazioni private che esercitano senza scopo di
lucro e in via stabile e principale attività di impresa al fine della produzione o dello scambio
di beni o servizi di utilità sociale. Tali sono i beni o servizi che ricadono in alcuni settori
tassativamente fissati dalla legge: assistenza sociale, sanitaria e socio-sanitaria, educazione,
istruzione e formazione, anche extra-scolastica, tutela dell’ambiente e turismo sociale,
ricerca e cultura, ecc. L
e finalità di interesse generale realizzate dalle imprese sociali vengono favorite dal legislatore
da due privilegi sul piano civilistico:
- quello di potersi organizzare non solo in forma di associazione, bensì di poter usufruire di
qualsiasi forma di organizzazione privata. Può essere usato qualsiasi tipo societario, ma se
viene usato il tipo societario è fatto divieto di distribuire utili;
- quello di limitare a certe condizioni la responsabilità patrimoniale dei soci anche quando
il tipo societario prescelto dovesse prevedere la responsabilità personale ed illimitata di
costoro per i debiti sociali, come nella S.n.c..
Le imprese sociali sono soggette alla vigilanza del Ministero del Lavoro, che può revocare la
qualifica di impresa sociale se vengono meno le condizioni per il riconoscimento o se vi
sono violazioni della relativa disciplina.
Ne consegue la cancellazione dell’impresa dal registro e l’obbligo di devolvere il patrimonio
ad enti non lucrativi determinati nello statuto. Il che rende manifesto il carattere eccezionale
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della disciplina dell’impresa sociale. Comunque, resta vero che non sono poche le società di
diritto sociale senza scopo di lucro, ma esse non avvalorano l’idea del tramonto dello scopo
lucrativo.
Le relative previsioni legislative devono essere considerate come norme eccezionali ed in
quanto tali da esse non è consentito desumere che sia legittima la costituzione di società di
capitali dichiaratamente senza scopo di lucro, al di fuori dei casi previsti per legge.
In conclusione: le società, perciò, sono e restano strutture associative fruibili solo per il
perseguimento di uno scopo di lucro o quanto meno economico, ma non per il
perseguimento di scopi ideali.

Società e comunione.

Dopo aver enunciato la nozione di società, l’art. 2248 stabilisce che: “la comunione
costituita o mantenuta al solo scopo di godimento di una o più cose è regolata dalle norme
del titolo VII del libro III, cioè dalle norme in tema di comunione non da quelle sulle
società”.
La società è un contratto che ha per oggetto l’esercizio in comune di un’attività economica,
produttiva.
La comunione, invece, è una situazione giuridica che sorge quando la proprietà o altro
diritto reale spetta in comunione a più persone, art. 1100.
Ed è una situazione giuridica che, anche se ha origine contrattuale, ha per oggetto il
semplice godimento della cosa comune, secondo la sua normale e naturale destinazione
economica.
Nei due istituti sono diversi sia il rapporto beni-attività sia i poteri di cui l’organizzazione di
gruppo è investita.
Nella società i beni comuni, cioè il patrimonio sociale, hanno funzione servente rispetto
all’attività di impresa, in quanto sono un mezzo per lo svolgimento dell’attività.
Nella comunione, invece, il rapporto beni-attività si inverte, in quanto è l’attività che svolge
funzione servente rispetto ai beni.
L’attività è un mezzo per assicurare la conservazione della cosa comune e consentirne il
migliore godimento individuale da parte dei comproprietari. Ed entro tali limiti sono
rigorosamente circoscritti i poteri dell’organizzazione dei comproprietari.
Il diverso rapporto beni-attività ha come conseguenza un diverso regime patrimoniale dei
beni in società rispetto a quello dei beni in comunione.
I beni facenti parte di un patrimonio sociale sono affetti da un vincolo di stabile
destinazione, per la durata della società, allo svolgimento dell’attività di impresa; vincolo
che opera sia nei rapporti fra i soci che nei confronti dei terzi.
Tale vincolo nella comunione è assente. Per realizzare tale vincolo di destinazione il
legislatore ha usato diverse tecniche nelle società di persone e nelle società di capitali, ma vi
sono dei principi comuni:
- il singolo socio non può liberamente servirsi delle cose appartenenti al patrimonio sociale
per fini estranei allo svolgimento dell’attività di impresa programmata, ex art. 2256;
- il singolo socio non può provocare a sua discrezione lo scioglimento anticipato della
società e la conseguente divisione del patrimonio sociale, ex art. 2272 e 2484;
- i creditori personali dei soci non possono soddisfarsi direttamente sul patrimonio della
società, art. 2270; esso è aggredibile solo dai creditori sociali, cioè la società gode di
autonomia patrimoniale.
Nella comunione, invece:
- ciascun comproprietario può liberamente servirsi della cosa comune, purché non ne alteri
la naturale destinazione e non impedisca agli altri comproprietari di farne parimenti uso
secondo il loro diritto, art. 1102;

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- ciascun comproprietario può in ogni momento chiedere lo scioglimento della comunione,


art. 1111, ponendo fine alla comunione;
- i creditori personali dei singoli comproprietari possono liberamente aggredire anche la
cosa comune per soddisfare il proprio credito, art. 599.
Quindi, nella comunione manca un vincolo di destinazione sia nei rapporti interni che nei
rapporti esterni. La comunione non gode di autonomia patrimoniale.
L’esigenza di assicurare stabilità e solidità patrimoniale all’attività di impresa esercitata in
forma societaria legittima la profonda alterazione del regime patrimoniale della comunione
che si riscontra nelle società. S
tabilendo che la comunione costituita o mantenuta al solo scopo di godimento è regolata
dalle norme della comunione e non da quelle delle società, il legislatore ha voluto fissare il
principio che il regime patrimoniale delle società è applicabile solo quando i beni sono
destinati allo svolgimento di un’attività di impresa.
Solo tale destinazione legittima la formazione di un patrimonio comune, indivisibile su
iniziativa unilaterale (vincolo di destinazione) ed insensibile alle pretese dei rispettivi
creditori personali (autonomia patrimoniale).
Quando invece, lo scopo perseguito è solo quello di godere i beni messi in comune, la
disciplina applicabile è quella della comunione.
In base a questa distinzione, l’art. 2248 deve essere letto nel senso che sono vietate le società
di mero godimento. Esse sono un abuso dell’istituto societario ed un abuso a danno dei
creditori personali dei comproprietari.

Società e “comunione di impresa”.

Perché una comunione si trasformi in società è necessario e sufficiente che i comproprietari


si servano dei beni per l’esercizio di una comune attività di impresa.
Ma, per dar vita ad una società l’art. 2247 richiede un accordo delle parti anche in merito ai
conferimenti e, tale accordo, non c’è qualora i comproprietari si limitino ad utilizzare
l’azienda comune in una comune attività di impresa.
Tale obiezione porterebbe ad ammettere che è possibile l’esercizio di un’impresa collettiva,
fermo restando l’applicazione del regime patrimoniale della comunione per i beni utilizzati,
cioè è ammissibile una impresa collettiva priva di autonomia patrimoniale.
Tale fenomeno è detto comunione di impresa. E di comunione di impresa e non di società
bisogna parlare ogni volta che un’azienda in comunione venga utilizzata dai comproprietari
per l’esercizio in comune di attività di impresa, senza precisi accordi in merito al
conferimento in società dei relativi beni.
Ma tale obiezione sono prive di fondamento, perché una società può essere conclusa anche
con fatti concludenti, detta società di fatto, e per fatti concludenti può avvenire anche il
conferimento, quando un atto scritto non sia richiesto dalla natura dei beni conferiti.
Non vi è dubbio che l’effettivo esercizio di attività di impresa da parte dei comproprietari di
un’azienda è oggettivamente apprezzabile come non equivoco atto di destinazione
societaria dei relativi beni.
Quindi, i comproprietari hanno voluto, per fatti concludenti, modificare la condizione
giuridica dei beni comuni passando dalla comunione (mancanza di autonomia patrimoniale)
alla società di fatto (formazione di un patrimonio autonomo).

L’impresa coniugale.

Una figura speciale di comunione di impresa, cioè un’impresa collettiva senza autonomia
patrimoniale, è stata per legge introdotta dalla riforma di famiglia del 1975.

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In base all’art. 177, formano oggetto della comunione legale fra coniugi anche le aziende
gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, detta azienda o impresa
coniugale.
L’impresa coniugale è un’impresa collettiva e nulla vieta ai coniugi di costituire una società
per il relativo esercizio.
Nel silenzio è applicabile il regime della comunione familiare, sia per quanto riguarda la
gestione dell’impresa comune, sia per quanto riguarda il regime patrimoniale. L’applicazione
della disciplina della comunione familiare comporta che i creditori di impresa potranno
soddisfarsi 11 su tutti i beni della comunione, ma alla pari con gli altri creditori della
comunione e senza avere alcun diritto di preferenza rispetto ai creditori della comunione sui
beni aziendali, art. 186.
Inoltre, i creditori d’impresa possono aggredire il patrimonio personale di ciascun coniuge,
ma solo se i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti gravanti sulla
stessa, art. 190.
I creditori personali del singolo coniuge possono soddisfarsi direttamente anche sui beni
della comunione legale e, quindi, anche sui beni aziendali.
Tale diritto è però loro riconosciuto solo fino al valore corrispondente alla quota del coniuge
loro debitore e purché i beni personali di questo non siano sufficienti a soddisfarli, art. 189,
2° comma. Infine, è prevista una disciplina speciale per lo scioglimento della comunione
aziendale, art. 191, diversa da quella della società.
Nel caso di impresa coniugale si è in presenza di un’impresa collettiva il cui esercizio non
dà vita alla formazione di un patrimonio autonomo e il cui regime non è quello né della
comunione, né quello della società di fatto.

I TIPI DI SOCIETÀ.

Nozione. Classificazioni.

L’attività delle società, come l’attività di ogni gruppo associativo, solleva dei problemi di
disciplina riguardo:
- All’ordinamento interno della società;
- Ai rapporti tra società e terzi.
Il legislatore ha risolto questi problemi prevedendo vari tipi di società, che possono essere
tuttavia aggregati in categorie omogenee sulla base di alcuni criteri.
Una prima distinzione è quella basata sullo scopo istituzionale perseguibile, che divide le
società in:
- Società cooperative e Società mutualistiche;
- Società lucrative.
Una seconda distinzione, nell’ambito delle società lucrative, è quella basata sulla natura
dell’attività esercitatile:
- la società semplice, art. 2249, che può esercitare solo attività non commerciale; per esse
solo di recente all’ iscrizione nel registro delle imprese è stata attribuita funzione di
pubblicità legale, art. 2 dlgs. 228/2001;
- le altre società possono svolgere sia attività commerciale che attività non commerciale e
indipendentemente dall’attività svolta, sono soggette all’iscrizione nel registro delle
imprese con effetti di pubblicità legale. Esse sono dette società commerciali.
Altra distinzione è quella fra:
- società con personalità giuridica, sono le società di capitali e le società cooperative;
- società senza personalità giuridica, sono le società di persone.
Nelle società di capitali, che ha personalità giuridica:

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- è prevista, ed è inderogabile, un’organizzazione di tipo corporativo, cioè


un’organizzazione basata sulla necessaria presenza di una pluralità di organi, assemblea,
organo di gestione e organo di controllo), ciascuno con proprie funzioni e competenze;
- il funzionamento degli organi sociali è dominato dal principio maggioritario. In
particolare, l’assemblea delibera a maggioranza anche le modifiche dell’atto costitutivo e
le maggioranze assembleari sono calcolate in base alla partecipazione al capitale sociale e
non per teste;
- il singolo socio in quanto tale non ha alcun potere diretto di amministrazione e di
controllo; ha solo il diritto di voto, proporzionato alla quota di capitale sociale sottoscritto.
Ciò dà rilievo ai mezzi apportati e non alle persone, perciò la partecipazione sociale è di
regola liberamente trasferibile.
Nelle società di persone, che non hanno personalità giuridica:
- non è prevista un’organizzazione di tipo corporativo basata sulla presenza di una pluralità
di organi;
- l’attività della società si fonda su un modello organizzativo che riconosce ad ogni socio a
responsabilità illimitata il potere di amministrare la società, art. 2257, e richiede il
consenso di tutti i soci per le modificazioni dell’atto costitutivo, art. 2252;
- il singolo socio a responsabilità illimitata è investito del potere di amministrazione e di
rappresentanza della società e ciò indipendentemente dall’ammontare del capitale
conferito e dalla consistenza del suo patrimonio personale. Ne consegue che la
partecipazione sociale è di regola trasferibile solo col consenso degli altri soci.
Ultimo criterio di distinzione è quello basato sul regime di responsabilità per le obbligazioni
sociali. Sotto tale profilo, vi sono:
- società in cui per le obbligazioni sociali rispondono sia il patrimonio sociale sia i singoli
soci personalmente ed illimitatamente, in modo inderogabile per le S.n.c., o con
possibilità di deroga pattizia per i soli soci non amministratori per la ss;
- società nelle quali coesistono istituzionalmente soci a responsabilità illimitata e soci a
responsabilità limitata, come nelle S.a.s. e S.a.p.a.;
- società nelle quali per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo
patrimonio, S.p.A., srl, società cooperative.

La soggettività delle società di persone.

Alle società di persone, il legislatore ha negato la personalità giuridica, ma ha soddisfatto le


esigenze di tutela dei creditori sociali e di incentivazione dei soci con specifiche disposizioni
che rendono il patrimonio delle società autonomo rispetto a quello dei soci.
Infatti, nelle società di persone:
- i creditori personali dei soci non possono aggredire il patrimonio della società per
soddisfarsi. Finché dura la società, possono far valere i loro crediti solo sugli utili spettanti
al loro socio debitore e compiere atti conservativi sulla quota che spetta al socio in sede di
liquidazione della società, art. 2270;
- i creditori della società non possono aggredire direttamente il patrimonio personale dei
soci illimitatamente responsabili. Prima è necessario che tentino di soddisfarsi sul
patrimonio sociale e solo dopo aver infruttuosamente escusso (beneficio di escussione) il
patrimonio sociale potranno agire nei confronti dei soci.
Poiché alle società di persone non è stata riconosciuta la personalità giuridica si sostiene che
nelle stesse i beni sociali devono essere considerati beni in comproprietà, sia pure speciale e
modificata, dei soci.
Inoltre si ritiene che, le obbligazioni sociali devono essere qualificate come obbligazioni
proprie dei soci e che la responsabilità personale ed illimitata degli stessi si atteggia come
responsabilità per debito proprio.

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Infine, i soci sono dei co-imprenditori in quanto ad essi è direttamente imputabile l’attività di
impresa, e quindi sono esposti al fallimento personale in caso di fallimento della società, art.
147 legge fallimentare.
Sul piano sostanziale è così, dato che tutte le società e non solo quelle di persone si
risolvono sostanzialmente nelle persone dei soci.
Sul piano giuridico-formale numerosi dati legislativi testimoniano che un fenomeno di
unificazione soggettiva è presente anche nelle società di persone.
Infatti, l’art. 2266 stabilisce che la società acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo
dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi.
Quindi, è la società che diventa titolare dei diritti e delle obbligazioni relative, al pari di
qualsiasi altro soggetto di diritto. A rafforzare questa tesi vi è l’art. 2659 che stabilisce che la
trascrizione degli acquisti immobiliari è effettuata, anche per le società di persone, al nome
della società. Lo stesso vale per l’iscrizione di ipoteca.
Quindi:
- anche nelle società di persone i beni sociali non sono beni in comproprietà speciale fra i
soci, ma in proprietà della società;
- le obbligazioni sociali non sono obbligazioni personali dei soci ma obbligazioni della
società, cui si aggiunge a titolo di garanzia la responsabilità di tutti o di alcuni di essi;
- la responsabilità personale dei soci non è qualificabile come responsabilità per debito
proprio;
- imprenditore è la società non il gruppo di soci, co-imprenditori, anche se il fallimento
della società determina automaticamente il fallimento dei soci illimitatamente
responsabili.

Tipi di società ed autonomia privata.

I soggetti che costituiscono una società possono liberamente scegliere:


- fra tutti i tipi di società previsti se l’attività da esercitare non è commerciale;
- fra tutti i tipi di società, tranne la società semplice se l’attività è commerciale.
Altre leggi speciali prevedono altri limiti nella scelta del tipo di società per particolari
categorie di imprese commerciali.
La scelta di un determinato tipo non è tuttavia condizione essenziale per la valida
costituzione di una società. Infatti, l’art. 2249, 2° comma, stabilisce che nel caso di attività
non commerciale, si applica la disciplina della SS, a meno che i soci abbiano voluto
costituire la società secondo un altro tipo.
Quindi, se l’attività non è commerciale la scelta del tipo è necessaria solo se i soci vogliono
scegliere un tipo di società diverso dalla società semplice.
Anche quando l’attività è commerciale non è necessaria un’esplicita scelta del tipo.
Infatti, il silenzio delle parti si interpreta, per esclusione, come implicita opzione per il
regime della SNC.
Infatti, accertato che sussiste l’accordo delle parti sui requisiti fissati dall’art. 2247, il
contratto di società è perfetto. 14 E se l’attività è commerciale, la disciplina applicabile non
può essere che quella della SNC, in quanto solo per tale tipo di società commerciale non
sono richieste ulteriori specificazioni contrattuali, come richiesto per la sas e per le società di
capitali. La SS si esclude visto che l’attività è commerciale.
La SS e la SNC sono i regimi residuali dell’attività commerciale, rispettivamente per l’attività
non commerciale e l’attività commerciale, se i soci non hanno manifestato una diversa
scelta.
Una volta scelto il tipo di società, le parti con apposite clausole contrattuali, possono
disegnare un assetto organizzativo della loro società parzialmente diverso da quello
risultante dalla disciplina legale del tipo prescelto. Infatti, i modelli organizzativi fissati dal

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legislatore per i singoli tipi di società non sono rigidi e consentono un parziale adattamento
alle esigenze del caso concreto.
Ma, è necessario che le clausole a tal fine introdotte nell’atto costitutivo, dette clausole
atipiche, non siano incompatibili con la disciplina del tipo di società prescelto, cioè non
contengano pattuizioni che violino aspetti della disciplina legale inderogabili.
I limiti che l’autonomia privata incontra nell’inserimento di clausole atipiche non sono
sempre agevoli da definire. In via generale, non sono derogabili i regimi di responsabilità per
le obbligazioni sociali, visto che coinvolgono terzi soggetti. Più spazio è riconosciuto nelle
società di persone per quanto riguarda l’ordinamento interno della società, mentre è rigido il
regime delle S.p.A..
Se una clausola è incompatibile col tipo societario prescelto, la sanzione sarà di regola la
nullità della clausola stessa, in applicazione dell’art. 1419, e non la nullità dell’intero
contratto di società (nullità parziaria).
La nullità della clausola atipica comporterà l’automatica applicazione della corrispondente
disciplina legale derogata. È inammissibile la creazione di un tipo societario del tutto
inconsueto e stravagante, che non corrisponde a uno dei modelli legislativamente previsti,
dette società atipiche.
Tale principio si desume dall’art. 2249, e trova giustificazione nel fatto che il contratto di
società è destinato a produrre effetti non solo fra le parti ma anche nei confronti dei terzi.
La sanzione per chi contravviene sarà la nullità della società atipica e la sua eliminazione dal
mercato.
Dalle clausole atipiche si distinguono i patti para-sociali, cioè quegli accordi fra i soci,
stipulati al di fuori dell’atto costitutivo destinati a regolare il loro comportamento nella
società o verso la società.
A differenza delle clausole dell’atto costitutivo, che vincolano tutti i soci presenti e futuri, i
patti para-sociali hanno di regola efficacia meramente obbligatoria, cioè vincolano solo gli
attuali soci contraenti e non anche i soci futuri, a meno che questi vi aderiscano
espressamente.
Inoltre, la loro eventuale invalidità non incide sulla validità della società e degli atti societari
su cui si riflettono. Infine, la loro violazione espone solo all’obbligo del risarcimento del
danno nei confronti degli altri soci e non coinvolge anche la posizione nella società degli
inadempienti.

Contratto di società ed organizzazione.

La società è un contratto, ma è anche una forma di organizzazione giuridica di una futura


attività economica.
Da un atto di autonomia privata che dà vita ad una società (società - contratto) nasce
un’organizzazione di persone e di mezzi (società – organizzazione) destinata a dare
attuazione al contratto di società, attraverso la produzione di una serie indefinita di nuovi atti
giuridici in cui si concretizza l’esercizio della comune attività.
Il contratto di società dà luogo a situazioni di carattere strumentale, in quanto finalizzate
all’esercizio della comune attività programmata ed alla partecipazione ai risultati economici
della stessa.
Con la stipula del contratto di società le parti contraenti diventano membri della struttura
organizzativa creata, acquistano la qualità di soci e diventano titolari di una serie di
situazioni soggettive attive e passive, di diversa natura, distinguibili in due categorie:
- situazioni di natura amministrativa, aventi ad oggetto la partecipazione individuale
all’attività comune (diritto di voto, potere di amministrazione);
- situazioni di natura patrimoniale, aventi ad oggetto la partecipazione individuale ai
risultati dell’attività comune, durante la vita della società ed al momento dello

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scioglimento della stessa (diritto agli utili e alla quota di liquidazione, partecipazione alle
perdite).
I diritti di cui ciascun socio gode, detti diritti sociali, vanno inseriti e valutati nell’ambito
dell’organizzazione creata con il contratto di società.
L’inserimento del singolo in un gruppo organizzato giustifica la subordinazione degli
interessi individuali al comune interesse di gruppo, nei punti in cui l’ordinamento rimette
alla maggioranza dei soci la definizione delle scelte relative all’attuazione del contratto
sociale.
Ma, la subordinazione del singolo alle decisioni del gruppo non è senza limiti, in quanto
l’organizzazione societaria è pur sempre un’organizzazione strumentale per la migliore
attuazione del contratto di società, in cui si fissano le basi della partecipazione di ciascun
socio all’attività comune ed ai risultati della stessa.
Ne consegue che il sacrificio delle posizioni individuali deve sempre trovare fondamento e
giustificazione nell’esigenza di una migliore realizzazione del risultato finale di comune
interesse. In ogni caso, il potere della maggioranza non può legittimamente alterare le
reciproche posizioni individuali dei soci fissate nel contratto stesso.
È legittimo i sacrificio del singolo socio per l’interesse di tutti.
L’espressa qualificazione legislativa della società come contratto giustifica ed impone
l’applicazione di alcuni principi come argine ai possibili comportamenti abusivi della
maggioranza in tutte le società:
- principio dell’esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede;
- principio parità trattamento fra i soci.

CAPITOLO 2: LA SOCIETA’ SEMPLICE. LA SOCIETA’ IN NOME COLLETTIVO.

Le società di persone.

La categoria delle società di persone è composta dalla Società semplice (SS), dalla società in
nome collettivo (SNC) e dalla società in accomandita semplice (SAS).
La società semplice è un tipo di società che può esercitare solo attività non commerciale.
Costituisce il prototipo normativo delle società di persone. Tuttavia non ha una significativa
diffusione, data la sua circoscrizione nel settore delle attività non commerciali, che
includono solo le imprese agricole.
Negli ultimi tempi si è cercato di utilizzare le SS anche per la costituzione di società fra
professionisti, ma con scarsi risultati.
La società in nome collettivo è un tipo di società che può essere utilizzato sia per l’esercizio
di attività commerciale, sia per l’esercizio di attività non commerciale.
Nella SNC tutti i soci rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali
e non è ammesso patto contrario.
La società in accomandita semplice è una società di persone che si caratterizza rispetto alla
SNC per la presenza istituzionale di due categorie di soci:
- i soci accomandatari che rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni
sociali;
- i soci accomandanti che rispondono limitatamente alla quota conferita.

LA COSTITUZIONE DELLA SOCIETÀ.


L’atto costitutivo. Forma e contenuto.

Secondo l’art. 2251, nella società semplice: “il contratto non è soggetto a forme speciali,
salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti”.

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Inoltre, non sono dettate disposizioni specifiche per quanto riguarda il contenuto dell’atto
costitutivo. In base al codice del 1942 la SS non era assoggettata all’iscrizione nel registro
delle imprese, ma con la riforma del 1993 è stata introdotta anche per le SS.
L’iscrizione avviene nella sezione speciale ed in origine aveva solo funzione di certificazione
anagrafica e di pubblicità notizia, mentre oggi l’art. 2 d.lgs 228/2001 ha attribuito
all’iscrizione delle attività agricole, funzione di pubblicità legale con efficacia dichiarativa ex
art. 2193. Quindi, tutte le SS sono soggette all’iscrizione nel registro delle imprese con effetti
di pubblicità legale.
La costituzione della SS resta improntata alla massima semplicità formale e sostanziale,
anche perché la registrazione non incide né sull’esistenza né sulla disciplina della società.
Il contratto di SS può essere concluso anche verbalmente o può risultare da comportamenti
concludenti (società di fatto). Invece, per l’atto costitutivo della SNC sono dettate regole di
forma, art. 2296 e regole di contenuto, art. 2295.
Entrambe sono prescritte solo ai fini dell’iscrizione della società nel registro delle imprese,
iscrizione che è condizione di regolarità della società, ma non è condizione di esistenza
della stessa. Infatti, l’omessa iscrizione incide solo sulla disciplina della SNC. Ciò comporta
che i rapporti tra società e terzi sotto alcuni aspetti sono regolati dalla disciplina della SS, art.
2297. Da qui la distinzione fra SNC regolare e SNC irregolare.
È regolare la SNC che è iscritta nel registro delle imprese ed è integralmente disciplinata
dalle norme della SNC.
È irregolare la SNC non iscritta nel registro delle imprese, perché le parti non hanno
provveduto a redigere l’atto costitutivo (società di fatto) o perché, pur avendolo redatto, non
hanno provveduto alla registrazione dello stesso. In entrambi i casi la disciplina applicabile è
quella della collettiva irregolare.
Perciò, solo ai fini della registrazione e della regolarità della società, l’atto costitutivo della
SNC deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.
Inoltre, deve contenere:
- il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita, il domicilio, la cittadinanza dei soci;
- la ragione sociale, costituita dal nome di uno o più soci con l’indicazione del rapporto
sociale, art. 2292.1;
- i soci che hanno l'amministrazione e la rappresentanza della società;
- la sede della società e le eventuali sedi secondarie;
- l'oggetto sociale;
- i conferimenti di ciascun socio, il valore ad essi attribuito e il modo di valutazione;
- le prestazioni a cui sono obbligati i soci di opera;
- le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio negli
utili e nelle perdite;
- la durata della società.
La libertà di forma per la costituzione della società di persone incontra un limite quando
sono richieste forme speciali dalla natura dei beni conferiti, art. 2251.
Quando il conferimento ha per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari è richiesta la
forma scritta a pena di nullità, art. 1350.
È tuttavia opinione diffusa che la forma scritta è richiesta solo per la validità del conferimento
immobiliare e non per la validità del contratto di società. In mancanza, perciò, sarà nullo
solo il vincolo del socio conferente e nullità della società si avrà solo se la partecipazione di
quel socio è essenziale, art. 1420.

Società di fatto. Società occulta.

Per la costituzione di una società di persone non è necessario l’atto scritto, infatti il contratto
di società può perfezionarsi anche con fatti concludenti. In tal caso si parla di società di

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fatto. Essa è regolata dalle norme della SS se l’attività esercitata è non commerciale, o dalle
norme della SNC irregolare se l’attività è commerciale, con la conseguenza che tutti i soci
risponderanno personalmente ed illimitatamente delle obbligazioni sociali.
Una società di fatto che esercita attività commerciale è esposta al fallimento come ogni altro
imprenditore. Di conseguenza falliranno anche tutti i soci, palesi ed occulti, art 147 legge
fallimentare, non essendo necessaria l’esteriorizzazione della qualità di socio ai terzi.
Dalla società di fatto va distinta la società occulta, cioè la società costituita con l’espressa e
concorde volontà dei soci di non rilevarne l’esistenza all’esterno.
Essa può essere una società di fatto, ma può risultare anche da un atto scritto tenuto segreto
dai soci. Ciò che la caratterizza è il dato che, per comune accordo, l’attività di impresa deve
essere svolta ed è svolta per conto della società, ma senza spenderne il nome.
La società esiste nei rapporti interni fra i soci, ma non viene esteriorizzata.
Nei rapporti esterni l’impresa si presenta come impresa individuale di uno dei soci o di un
terzo, che operano spendendo il proprio nome.
Lo scopo per cui non viene esteriorizzata la società è quello di limitare la responsabilità nei
confronti dei terzi al patrimonio del solo gestore, evitando che ne rispondano anche la
società e gli altri soci.
Tramite la società occulta i soci mirano a conseguire tali benefici segretamente e pertanto al
di fuori di ogni regola e controllo.
La giurisprudenza prima e la riforma del diritto fallimentare del 2005, d.lgs 5/2006, ha
disposto che qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale
risulti che l'impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente
responsabile, si applica agli altri soci illimitatamente responsabili la regola del fallimento del
socio occulto.
In breve, la legge tratta allo stesso modo il socio occulto di società palese e la società
occulta. In entrambi i casi ritiene non necessaria l’esteriorizzazione e sufficiente la prova
dell’esistenza del contratto di società nei rapporti interni.
Ma socio occulto di società palese e società occulta sono fattispecie fra loro diverse: nella
fattispecie socio occulto di società palese l’attività di impresa è svolta in nome della società e
ad essa è imputabile in tutti i suoi effetti. La responsabilità di impresa della società è fuori
contestazione e la partecipazione alla società è titolo sufficiente a fondare la responsabilità
ed il fallimento sia dei soci palesi sia di quelli occulti.
Nella fattispecie società occulta, invece, l’attività di impresa non è svolta in nome della
società, e quindi gli atti di impresa non sono ad essa formalmente imputabili. Chi opera con i
terzi agisce in nome proprio, sia pur negli interessi e per conto di una società di cui è socio,
quindi agisce come mandatario senza rappresentanza della società occulta. Quindi gli atti
sono a lui imputabili, art. 1705.

La società apparente.

Secondo la giurisprudenza, una società, ancorché non esistente nei rapporti tra i presunti
soci, deve considerarsi esistente all’esterno quando due o più persone operino in modo da
ingenerare nei terzi la ragionevole opinione che essi agiscono come soci e quindi da
determinare in essi l’incolpevole affidamento circa l’esistenza effettiva della società.
Questa società è detta società apparente.
Quindi i soci apparenti non possono eccepire l’inesistenza della società e la società
apparente è assoggettata a fallimento come una società di fatto realmente esistente. Ma
questa forma di società ha suscitato vivaci reazioni critiche in dottrina. I
l principio dell’apparenza può determinare la responsabilità dell’apparente socio nei
confronti dei terzi di buona fede che hanno fatto ragionevole affidamento sui suoi
comportamenti esterni. Non mai il fallimento della società apparente, dato che al fallimento

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partecipano tutti i creditori, anche quelli che con il presunto socio non hanno trattato e che
perciò non possono aver fatto affidamento alcuno sulla sua responsabilità.

La partecipazione degli incapaci.

La partecipazione ad una società di persone richiede la capacità di agire ed è atto eccedente


l’ordinaria amministrazione.
La partecipazione degli incapaci ad una SNC è equiparata all’esercizio individuale di
un’impresa commerciale. Infatti, in base all’art. 2294, la partecipazione di un incapace alla
società in nome collettivo è subordinata in ogni caso all'osservanza delle disposizioni degli
artt. 320, 371, 397, 424 e 425.
Perciò:
- il minore, l’interdetto e l’inabilitato non possono partecipare ex novo ad una SNC, con
l’autorizzazione del tribunale possono solo conservare la partecipazione che ad essi
provenga per donazione o successione. In caso di interdizione o di inabilitazione
sopravvenuta, il tribunale può solo autorizzare la continuazione della partecipazione,
sempre che gli altri soci non deliberi l’esclusione del socio interdetto o inabilitato, art.
2286;
- il minore emancipato può anche partecipare alla costituzione di una SNC o aderirvi
successivamente, con l’autorizzazione del tribunale;
- il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può partecipare alla costituzione di una
SNC o aderirvi successivamente senza autorizzazione, salvo che sia disposto diversamente
nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno o con successivo decreto del
giudice tutelare.
Tale disciplina trova applicazione anche per la SNC che non esercita attività commerciale.
Ma non si applica per analogia alla partecipazione di incapaci alla SS dato che le norme in
tema di imprenditore individuale richiamate sono riferite solo agli imprenditori commerciali.

Partecipazione di società in società di persone.

Una società di capitali può partecipare alla costituzione di una società di persone o
diventarne socio, ma con alcune cautele, stabilite dall’art. 2361:
- l’assunzione di partecipazioni comportanti responsabilità illimitata deve essere deliberata
dall’assemblea;
- gli amministratori devono dare specifiche informazioni nella nota integrativa del bilancio
su tali partecipazioni;
- se tutti i soci illimitatamente responsabili di una SNC oppure di una sas sono società di
capitali, il bilancio della società di persone deve essere redatto secondo le norme della
società per azioni e, secondo tali presupposti deve redigersi anche il bilancio consolidato.
Inoltre, la nuova disciplina ammette anche che una società di capitali sia amministratore di
una società di persone.
Una società di persone può partecipare alla costituzione di una società di persone o
diventarne socio sia a responsabilità illimitata, sia come socio a responsabilità limitata (nella
SAS).

L’invalidità della società.

Il codice non detta alcuna disposizione specifica per quanto riguarda l’invalidità del
contratto costitutivo di una società di perone. Perciò, valgono le cause di nullità, e le cause
di annullabilità, previste dalla disciplina generale dei contratti.
Quindi, si avrà nullità, art. 1418, quando il contratto è:

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- contrario a norme imperative;


- quando l’oggetto è impossibile o illecito;
- quando è illecito il motivo comune determinante.
Si avrà annullabilità, art. 1425, in caso di incapacità delle parti o di consenso viziato per
errore, violenza o dolo.
Bisogna distinguere fra:
- cause di invalidità che colpiscono direttamente solo la singola partecipazione. L’invalidità
della singola partecipazione determinerà invalidità dell’intero contratto di società solo
quando la partecipazione viziata è essenziale per il conseguimento dell’oggetto sociale. In
caso contrario, il contratto resta valido e produttivo di effetti per gli altri soci;
- cause di invalidità che colpiscono originariamente ed immediatamente l’intero contratto di
società.
La dichiarazione di nullità o di annullamento non solleva problemi particolari se l’attività
della società non è ancora iniziata, basterà solo definire i rapporti fra le parti contraenti. In
particolare, la sentenza che accerta la nullità produrrà effetto ex tunc: le parti sono liberate
dall’obbligo di eseguire i conferimenti promessi ed hanno diritto alla restituzione di quelli
eventualmente eseguiti.
Per le società di capitali, art. 2332, la dichiarazione di nullità di una S.p.A. non pregiudica
l’efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l’iscrizione nel registro delle
imprese. Inoltre, non libera i soci dall’obbligo di eseguire i conferimenti ancora dovuti. Ma,
la nullità non può essere più dichiarata se la causa di essa è stata eliminata per effetto di una
modificazione dell’atto costitutivo.
È opinione diffusa che tale disciplina però non si applica alle società di persone, visto che
l’art. 2332 trova fondamento nella personalità giuridica delle società di capitali e nell’effetto
costitutivo dell’iscrizione nel registro delle imprese.
Ma, l’art. 2332 è una norma eccezionale rispetto alla disciplina della nullità dei contratti.
Ciò non toglie che tuttavia esso possa essere considerato espressione di un principio
contrapposto e cioè, le cause di invalidità di una società che ha iniziato la propria attività,
legittimano l’eliminazione della stessa per il futuro, ma non rendono improduttiva di effetti,
fra le parti e per i terzi, l’attività in fatto svolta prima dell’accertamento giudiziale
dell’invalidità.
Tale principio vale per tutti i gruppi associativi con attività esterna. In breve, la retroattività
della nullità del contratto cede il posto ad altro principio generale quando dal contratto
nasce una struttura organizzativa destinata ad operare con i terzi e che ha in effetti operato
con i terzi.
Quindi, l’art. 2332 è applicabile anche alle società di persone. Fermo restando che le cause
di invalidità delle società di persone sono quelle previste dalla disciplina generale dei
contratti, la sentenza di nullità intervenuta dopo l’inizio dell’attività opererà come semplice
causa di scioglimento della società.
Perciò:
- restano in vita tutti gli atti precedentemente posti in essere in nome della società;
- i soci non sono liberati dall’obbligo di eseguire i conferimenti promessi;
- resta ferma l’autonomia patrimoniale della società e la responsabilità personale dei soci
per le obbligazioni sociali;
- con la sentenza di nullità si apre il procedimento di liquidazione della società, che porterà
all’estinzione della stessa dopo aver soddisfatto i creditori sociali e ripartito fra i soci
l’eventuale residuo attivo di liquidazione.
Infine, l’art. 2332.5 prevede la sanatoria della nullità, attraverso l’eliminazione della causa di
nullità con una modificazione dell’atto costitutivo. La relativa deliberazione dovrà essere
adottata col consenso di tutti i soci.

L’ORDINAMENTO PATRIMONIALE
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I conferimenti.

L’obbligo di conferimento è essenziale per l’acquisto della qualità di socio.


“Il socio è obbligato a eseguire i conferimenti determinati nel contratto sociale” art.2253.
All’eventuale silenzio in merito all’atto costitutivo supplice la legge con norme dispositive
suscettibili di prova contraria. Infatti, nel silenzio del contratto si presume che tutti i
conferimenti devono essere eseguiti in danaro, e se i conferimenti non sono determinati si
presume che i soci siano obbligati a conferire, in parti uguali, quanto necessario per il
conseguimento dell’oggetto sociale.
Diversamente dalle società per azioni, nelle società di persone può essere conferita ogni
entità (bene o servizio) suscettibile di valutazione economica ed utile per il conseguimento
dell’oggetto sociale.

La disciplina dei conferimenti.


Il codice detta una specifica disciplina per alcuni tipi di conferimenti diversi dal danaro:
- per il conferimento di beni in proprietà, l’art. 2254 prevede che la garanzia dovuta dal
socio e il passaggio dei rischi sono regolati dalle norme sulla vendita; quindi, il socio è
tenuto alla garanzia per evizione e per vizi. Su di esso grava il rischio del perimento per
caso fortuito della cosa conferita fin quando la proprietà non sia passata alla società, è
cioè fino alla stipulazione del contratto di società; l’eventuale perimento della cosa, prima
del passaggio di proprietà alla società, può essere causa di esclusione del socio;
- per il conferimento di beni in godimento, il rischio resta a carico del socio che le ha
conferite. Questi, potrà essere escluso dalla società qualora la cosa perisca o il godimento
diventi impossibile per causa non imputabile agli amministratori. Il rischio del caso
fortuito incombe sul conferente. La garanzia per il godimento è poi regolata con rinvio alle
norme sulla locazione. Il bene conferito in godimento resta di proprietà del socio e la
società potrà goderne ma non disporne. Il socio avrà diritto alla restituzione del bene al
termine della società nello stato in cui si trova. Tuttavia, se il bene è perito o è stato
deteriorato per causa non imputabile alla società, il socio ha diritto al risarcimento dei
danni a carico del patrimonio sociale, salva l’azione contro gli amministratori;
- per il conferimento di crediti, l’art. 2255 dispone che il socio che ha conferito un credito
risponde della insolvenza del debitore, nei limiti indicati dall'art. 1267 per il caso di
assunzione convenzionale della garanzia. Perciò, in caso di insolvenza del debitore
ceduto, il socio risponderà ex leges nei confronti della società nei limiti del valore
assegnato al suo conferimento e dovrà rimborsare le spese e gli interessi. In caso contrario,
potrà essere escluso dalla società.

Il socio d’opera.

Nelle società di persone il conferimento può essere costituito anche dall’obbligo del socio di
prestare la propria attività lavorativa a favore della società. Esso è chiamato socio d’opera o
di industria.
Il socio d’opera non è un lavoratore subordinato e non ha diritto al trattamento salariale e
previdenziale come i lavoratori subordinati. Il compenso per il suo lavoro è rappresentato
dalla partecipazione ai guadagni della società. Il socio d’opera corre il rischio di lavorare
invano se l’esercizio dell’attività si chiude senza utili, così come il socio che ha apportato
capitale rischia di non ricevere utili per l’uso sociale del suo denaro. In sede di liquidazione
il socio d’opera parteciperà solo alla ripartizione dell’eventuale attivo che residua dopo il
rimborso del valore nominale del conferimento ai soci che hanno apportato capitali. Non ha
diritto, però, salvo diversa pattuizione, al rimborso del valore del suo apporto.

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Nulla vieta che anche ai soci d’opera sia riconosciuto in modo pattizio il diritto alla
restituzione del valore dell’apporto. In mancanza di pattuizioni, la parte spettante al socio
che ha conferito la propria opera, e fissata dal giudice secondo equità, art. 2263.

Patrimonio sociale e capitale sociale.

I conferimenti dei soci formano il patrimonio iniziale della società, di cui la società ne
diventa proprietaria. Secondo l’art. 2256, i soci non possono servirsi delle cose appartenenti
al patrimonio sociale per fini estranei a quello della società. La violazione di tale divieto
espone il socio al risarcimento del danno ed all’esclusione della società. Il divieto è
derogabile col consenso di tutti gli altri soci.
La nozione di capitale sociale è del tutto assente nella disciplina della SS. Ciò si spiega col
fatto che la SS, in quanto destinata a esercitare un’attività non commerciale, non è obbligata
alla tenuta delle scritture contabili ed alla redazione annuale del bilancio.
Mentre nella SNC vi è una disciplina in merito al patrimonio sociale. L’art. 2295, n.6,
prescrive che l’atto costitutivo indichi non solo i conferimenti dei soci, ma anche il valore ad
essi attribuito e il modo di valutazione. Ciò consente di determinare l’ammontare globale del
capitale sociale nominale. Diversamente da quanto previsto per le società di capitali, non è
dettata alcuna disciplina per la valutazione dei conferimenti diversi dal danaro; valutazione
che perciò è rimessa alla libertà delle parti.
In dottrina è dibattuta la questione se sia obbligatorio sottoporre a valutazione ed imputare a
capitale tutti i conferimenti, oppure se tale esigenza sussista solo per i conferimenti che
attribuiscono al socio il diritto al loro rimborso allo scioglimento della società, detti
conferimenti di capitale, e non per i conferimenti che tale diritto non attribuiscono, detti
conferimenti di patrimonio (conferimento d’opera, beni in godimento). Un’indicazione in
quest’ultimo senso emerge almeno per i conferimenti d’opera, dal fatto che l’art. 2295 n. 7,
ne prevede una separata indicazione nell’atto costitutivo e non prescrive la loro valutazione.
L’art. 2303 vieta la ripartizione fra i soci di utili non realmente conseguiti, cioè di utili fittizi.
Inoltre, se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo alla ripartizione di
utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente.
La riduzione del capitale sociale per perdite consiste nell’adeguare la cifra del capitale
sociale nominale alla consistenza attuale del patrimonio netto ed è sempre facoltativa nella
SNC.
L’art. 2306 vieta agli amministratori di rimborsare ai soci i conferimenti eseguiti o di liberarli
dall’obbligo di ulteriori versamenti in assenza di una specifica deliberazione di riduzione del
capitale sociale, adottata secondo quanto previsto nell’atto costitutivo e iscritto nel registro
delle imprese.
Ma la riduzione del capitale sociale può pregiudicare i diritti dei creditori sociali. Ad essi è
riconosciuto il diritto di opporsi alla riduzione del capitale. Infatti, è stabilito che la delibera
di riduzione può essere eseguita solo dopo che siano decorsi 3 mesi dall’iscrizione nel
registro delle imprese e a condizione che entro tale periodo nessuno dei creditori sociali,
anteriori all’iscrizione, abbia fatto opposizione. Nonostante l’opposizione, il tribunale può
disporre che la riduzione abbia ugualmente luogo, previa prestazione da parte della società
di un’idonea garanzia a favore dei creditori opponenti.

La partecipazione dei soci agli utili e alle perdite.

Tutti i soci hanno diritto di partecipare agli utili e partecipano alle perdite della gestione
sociale.

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Essi godono tuttavia della massima libertà nella determinazione della parte spettante a
ciascuno, e non è necessario che la ripartizione sia proporzionata ai conferimenti. Unico
limite posto all’autonomia privata è rappresentato dal divieto di patto leonino.
L’art. 2265 stabilisce che “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni
partecipazione agli utili o alle perdite”. Inoltre, sono nulli i criteri di ripartizione congegnati
in modo tale da determinare la sostanziale esclusione di uno o più soci dalla partecipazione
agli utili o alle perdite.
Sono nulli anche i patti para-sociali, cioè quei patti fra i soci che non risultano dall’atto
costitutivo e che violano l’art. 2265. Per annullare tali patti è necessario che essi siano privi
di una propria giustificazione causale fra le parti stipulanti e quindi sono un negozio in frode
alla legge.
In merito alla ripartizione degli utili l’art. 2263 stabilisce che:
- se il contratto nulla dispone, le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si
presumono proporzionali ai conferimenti;
- se il valore dei conferimenti non è stato determinato, le parti si presumono uguali;
- se è determinata soltanto la parte di ciascuno nei guadagni, si presume che esso partecipi
alle perdite nella stessa misura, e viceversa;
- se la parte spettante al socio d’opera non è determinata dal contratto, è fissata dal giudice
secondo equità, art. 2263.
La determinazione della parte di ciascun socio negli utili e nelle perdite può essere anche
demandata ad un terzo, che opererà come arbitratore, art. 2264.
Nella SS il diritto del socio di percepire la sua parte di utili nasce con l’approvazione del
rendiconto, art. 2262.
Nella SNC tale norma va coordinata con l’obbligo di tenere le scritture contabili, art. 2302.
Quindi, il documento destinato all’accertamento degli utili e delle perdite è il bilancio
d’esercizio redatto con l’osservanza dei criteri stabiliti per la SPA.
Il bilancio deve essere predisposto dai soci amministratori e deve essere approvato da tutti i
soci, compresi i soci amministratori che l’hanno predisposto.
Nella società di persone, in mancanza di specifica clausola abilitante dell’atto costitutivo, la
maggioranza dei soci non può legittimamente deliberare la non distribuzione degli utili
accertati ed il conseguente reinvestimento nella società. A tal fine sarà necessario il consenso
di tutti i soci.
Le perdite incidono direttamente sul valore della singola partecipazione sociale riducendolo
proporzionalmente, con la conseguenza che, in sede di liquidazione della società, il socio si
vedrà rimborsare una somma inferiore al valore originario del capitale conferito. D’altro
canto, solo all’atto di scioglimento della società i liquidatori possono richiedere ai soci
illimitatamente responsabili le somme necessarie per il pagamento dei debiti sociali, in
proporzione della parte di ciascuno nelle perdite, art. 2280. Prima dello scioglimento della
società, le perdite accertate hanno un rilevo solo indiretto. Cioè, impediscono la
distribuzione degli utili successivamente conseguiti, fin quando il capitale non sia stato
reintegrato o ridotto in misura corrispondente. Inoltre, possono condurre allo scioglimento
della società per sopravvenuta impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale, art. 2272.

La responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali.

Nella SS e nella SNC, delle obbligazioni sociali risponde, innanzitutto, la società col suo
patrimonio, art. 2267.
Nella SS, la responsabilità personale di tutti i soci è parzialmente derogabile. L’art. 2267
dispone infatti che, nella SS, per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e
solidalmente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto
contrario, gli altri soci. Quindi, per i soci senza rappresentanza, la responsabilità personale

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può essere limitata o esclusa da un apposito patto sociale. Patto che è opponibile ai terzi solo
se portato a loro conoscenza con mezzi idonei. In mancanza, la limitazione della
responsabilità o l’esclusione della solidarietà sono opponibili solo a coloro che ne hanno
avuto effettiva conoscenza. In nessun caso comunque può essere esclusa la responsabilità di
tutti i soci.
Nella SNC, la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci è inderogabile. L’eventuale
patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi, art. 2291.
In entrambe le società la responsabilità per le obbligazioni sociali precedentemente contratte
è estesa anche ai nuovi soci.
Infatti, secondo l’art. 2269, chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli
altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio.
Inoltre, lo scioglimento parziale del rapporto sociale per morte, recesso o esclusione, nonché
per cessione della quota non fa venir meno la responsabilità personale per le obbligazioni
sociali anteriori al verificarsi di tali eventi. Infatti, l’ex socio o gli eredi del socio defunto,
sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali sorte fino al giorno in cui si verifica
lo scioglimento, art. 2290. Il socio uscente non sarà responsabile per le obbligazioni sorte
successivamente allo scioglimento del rapporto sociale.
Nella SS e nella SNC irregolare, sarà però necessario che lo stesso sia stato portato a
conoscenza dei terzi con mezzi idonei, altrimenti lo scioglimento del rapporto non è
opponibile ai terzi che lo hanno senza colpa ignorato. Quindi, verso i terzi che hanno fatto
affidamento incolpevole sulla persistente qualità di socio, l’ex socio risponderà anche per le
obbligazioni sorte dopo lo scioglimento del rapporto sociale.
Nella SNC regolare, l’opponibilità ai terzi delle cause di scioglimento del rapporto sociale
resta soggetta al regime di pubblicità legale delle modificazioni dell’atto costitutivo, art.
2300. Perciò, intervenuta l’iscrizione nel registro delle imprese dello scioglimento del
rapporto, la cessazione della responsabilità personale per le obbligazioni successive sarà
opponibile anche ai terzi che l’abbiano in fatto ignorato.
Inoltre, dalla data di iscrizione decorre il termine annuale entro cui l’ex socio può essere
dichiarato fallito a seguito del fallimento della società, art. 147, legge fallimentare.

Responsabilità della società e responsabilità dei soci.

Nella SS e nella SNC, i creditori sociali possono soddisfarsi su più patrimoni: il patrimonio
sociale ed il patrimonio dei singoli soci illimitatamente responsabili. Ma, i soci sono
responsabili in via sussidiaria rispetto alla società in quanto godono del beneficio di
preventiva escussione del patrimonio sociale, art. 2268 e art. 2304. I creditori sociali sono
tenuti a tentare di soddisfarsi sul patrimonio della società prima di poter aggredire il
patrimonio personale dei soci. Ma, il beneficio di preventiva escussione opera in modo
diverso nella SS e nella SNC.
Nella SS, il creditore sociale può rivolgersi direttamente al singolo socio illimitatamente
responsabile e sarà questi a dover invocare la preventiva escussione del patrimonio sociale
indicando, i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi, art. 2268. Il beneficio
di escussione opera quindi in via di eccezione ed il socio sarà tenuto a pagare ove non provi
che nel patrimonio sociale esistono beni non solo sufficienti, ma prontamente ed
agevolmente aggredibili dal creditore istante. Questa disciplina è ispirata dal fatto che nella
SS non esiste un bilancio da cui i creditori possano attingere informazioni sul patrimonio
sociale. Ciò spiega perché essa si applica anche alla SNC irregolare.
Nella SNC regolare, il beneficio di escussione opera automaticamente, anche se la società è
in liquidazione, art. 2304.
Ricorrendo le condizioni di poter agire nei confronti dei soci, il creditore sociale potrà
chiedere a ciascuno di essi il pagamento integrale del proprio credito, dato che i soci sono

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obbligati in solido fra loro. Il socio che ha pagato, potrà a sua volta esercitare azione di
regresso verso gli altri soci, secondo la misura di partecipazione di ciascuno nelle perdite.
Ma, prima dovrà agire nei confronti della società stessa per l’intero debito. Quindi, il fatto
che i soci sono responsabili in via sussidiaria rispetto alla società conferma che sul piano
formale debitore principale è la società, mentre i soci sono giuridicamente trattati come
garanti delle obbligazioni sociali.
Nella pratica, i creditori sociali più forti si fanno rilasciare dai soci specifiche garanzie
personali, per sottrarsi alle lungaggini della preventiva escussione del patrimonio sociale in
caso di inadempimento.

I creditori personali del socio.

Il patrimonio della società è insensibile alle obbligazioni personali dei soci ed intangibile da
parte dei creditori di quest’ultimi. Il creditore personale del socio non può aggredire
direttamente il patrimonio sociale per soddisfarsi. Inoltre, se esso è nel contempo debitore
della società non potrà compensare questo suo debito con il credito che vanta a titolo
personale verso il socio, art. 2271.
Il creditore sociale per soddisfare il proprio credito, sia nella SS che nella SNC, potrà:
- far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al socio suo debitore;
- compiere atti conservativi sulla quota allo stesso spettante nella liquidazione della società,
art. 2270.
Nella SS e nella SNC irregolare, il creditore particolare del socio può chiedere anche la
liquidazione della quota del suo debitore, ma dovrà provare che gli altri beni del debitore
sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti, art. 2270 e art. 2297. La richiesta opera come
causa di esclusione di diritto del socio, art. 2288. La quota dovrà essere liquidata entro 3
mesi dalla domanda, salvo che sia deliberato lo scioglimento anticipato della società. In tal
caso, il creditore istante dovrà attendere il compimento della liquidazione della società per
soddisfarsi sulla quota di liquidazione spettante al suo debitore.
Nella SNC regolare, secondo l’art. 2305, il creditore particolare del socio, finché dura la
società, non può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore, neppure se prova
che gli altri beni dello stesso siano insufficienti a soddisfarlo.
Tale regola vale fino alla scadenza della società fissata nell’atto costitutivo. I soci possono
prorogare la durata della società con una specifica decisione o continuando di fatto l’attività
sociale, ma tale decisione non può pregiudicare i creditori particolari dei soci. L’art. 2307
distingue due ipotesi:
- se la proroga è espressa ed è iscritta nel registro delle imprese, il creditore particolare può
opporsi giudizialmente alla proroga entro 3 mesi dall’iscrizione della delibera. Se
l’opposizione è accolta, la società deve liquidare a suo favore la quota del socio debitore,
entro 3 mesi dalla notifica della sentenza di accoglimento dell’opposizione;
- se la proroga è tacita, si applica la disciplina determinata dall’art. 2270 per la SS: il
creditore personale potrà chiedere in ogni tempo la liquidazione della quota dimostrando
l’insufficienza degli altri beni del socio suo debitore.

L’ATTIVITA’ SOCIALE.

Modello legale e modelli statutari.

La disciplina dell’attività sociale nella SS e nella SNC si caratterizza per l’ampio spazio
lasciato all’autonomia negoziale. Il legislatore prevede un modello di organizzazione,
modello legale, fondato sulla distinzione amministrazione-modificazioni dell’atto costitutivo
e basato su dei principi:

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- ogni socio illimitatamente responsabile è investito del potere di amministrazione, art.


2257, e di rappresentanza, art. 2266, della società;
- per contro, è necessario il consenso di tutti i soci per le modificazioni del contratto
sociale, art. 2252. Tali principi hanno carattere dispositivo e trovano applicazione solo se i
soci non hanno pattuito diversamente nell’atto costitutivo. Infatti, i soci sono liberi di
modellare il funzionamento della società nel modo che ritengono più opportuno, modelli
statutari.

L’amministrazione della società.

L’amministrazione della società è l’attività di gestione dell’impresa sociale.


Il potere di amministrare è il potere di compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto
sociale.
Secondo il modello legale ogni socio illimitatamente responsabile (quindi, nella SNC ogni
socio) è amministratore della società, art. 2257. Tuttavia, l’atto costitutivo può prevedere che
l’amministrazione sia riservata solo ad alcuni soci, distinguendo fra soci amministratori e soci
non amministratori. Quando l’amministrazione della società spetta a più soci ed il contratto
sociale nulla dispone in merito, trova applicazione il modello legale dell’art. 2257,
amministrazione disgiunta. Ciascun socio amministratore è investito del potere di
intraprendere da solo tutte le operazioni che rientrano nell’oggetto sociale, senza essere
tenuto a richiedere il consenso o il parere degli altri soci amministratori, né ad informarli
preventivamente delle operazioni progettate. Tuttavia, il potere di iniziativa individuale è
temperato dal diritto di opposizione riconosciuto a ciascuno degli altri soci amministratori.
L’opposizione deve essere esercitata prima che l’operazione sia stata compiuta e, paralizza il
potere decisorio del singolo amministratore in ordine all’operazione contestata. La soluzione
del conflitto fra i soci amministratori in merito all’operazione contestata è rimessa alla
collettività dei soci, amministratori e non.
Sulla fondatezza dell’opposizione decide la maggioranza dei soci, determinata secondo la
parte attribuita a ciascun socio negli utili. Quindi, è una maggioranza per quote di interesse
e non per teste.
In alternativa, l’atto costitutivo può stabilire che la decisione sul contrasto tra gli
amministratori venga deferita ad uno o più terzi, in qualità di arbitratori, art. 3 d.lgs. 5/2003.
In tal caso, l’atto costitutivo può prevedere che l’arbitratore possa dare indicazioni vincolanti
e che le decisioni rese siano reclamabili davanti ad un collegio, determinandone termini e
modalità. In mancanza, la decisione dell’arbitratore è comunque impugnabile nelle forme
previste per l’arbitraggio secondo l’art. 1349, 2° comma, cioè solo in caso di mala fede
dell’arbitratore.
L’amministrazione disgiunta offre sia dei vantaggi, come la rapidità delle decisioni, che degli
svantaggi, operazioni non proficue. Perciò, il legislatore prevede un modello alternativo di
amministrazione che privilegia l’esigenza di maggiore ponderazione nelle decisioni,
l’amministrazione congiuntiva, art. 2258. L’amministrazione congiuntiva, deve essere
espressamente convenuta dai soci nell’atto costitutivo o con modificazione dello stesso, dato
che nel silenzio delle parti la regola è l’amministrazione disgiunta.
Con l’amministrazione congiuntiva è necessario il consenso di tutti i soci amministratori per
il compimento delle operazioni sociali. L’atto costitutivo può tuttavia prevedere che per
l’amministrazione o per determinati atti sia necessario il consenso della maggioranza dei soci
amministratori. L’amministrazione congiuntiva può atteggiarsi sia come amministrazione
all’unanimità sia come amministrazione a maggioranza, ovvero all’unanimità per determinati
atti e a maggioranza per altri. Tuttavia se i soci non specificano nulla, la regola è quella
dell’unanimità. La rigidità dell’amministrazione congiuntiva è temperata dal riconoscimento
ai singoli amministratori del potere di agire individualmente quando vi sia urgenza di evitare

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un danno alla società, art. 2258. L’amministrazione disgiuntiva e amministrazione


congiuntiva possono essere fra loro combinate.

Amministrazione e rappresentanza.

Fra le funzioni degli amministratori vi è anche quella di rappresentanza della società, detta
potere di firma.
Il potere di rappresentanza è il potere di agire nei confronti dei terzi in nome della società,
dando luogo all’acquisto di diritti e all’assunzione di obbligazioni da parte della stessa, art.
2266. Il potere di rappresentanza riguarda l’attività amministrativa esterna, la fase di
attuazione con i terzi delle operazioni sociali.
Dal potere di rappresentanza, si distingue il potere di gestione, che è il potere di decidere il
compimento degli atti sociali. Esso riguarda l’attività amministrativa interna, la fase decisoria
delle operazioni sociali.
Secondo il modello legale, vi è coincidenza fra potere gestorio e potere di rappresentanza. In
mancanza di diversa disposizione dell’atto costitutivo, la rappresentanza della società spetta
a ciascun socio amministratore, disgiuntamente o congiuntivamente a seconda che in un
modo o nell’altro sia stata conformata l’amministrazione.
Nel caso di amministrazione disgiunta, ogni amministratore può decidere da solo e può
stipulare da solo atti in nome della società, firma disgiunta.
Nel caso di amministrazione congiuntiva, invece, fermo restando che le decisioni possono
essere adottate all’unanimità o a maggioranza, tutti i soci amministratori devono partecipare
alla stipulazione dell’atto, firma congiunta. Inoltre, secondo il modello legale, sia il potere di
gestione che il potere di rappresentanza si estendono a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto
sociale, senza distinzione alcuna fra atti di ordinaria e atti di straordinaria amministrazione.
La rappresentanza inoltre non è solo sostanziale, ma anche processuale, art. 2266: la società
può agire (rappresentanza processuale attiva) e può essere convenuta in giudizio
(rappresentanza processuale passiva) in persona dei soci amministratori che ne hanno la
rappresentanza.
L’atto costitutivo può prevedere una diversa regolamentazione del potere di gestione e del
potere di rappresentanza, modello statutario.
Ad esempio, può riservare la rappresentanza legale della società solo ad alcuni soci
amministratori, dando luogo ad una dissociazione soggettiva fra potere di gestione e potere
di rappresentanza. Può stabilire per la rappresentanza modalità di esercizio diverse da quelle
valevoli per il potere di gestione. Infine, l’atto costitutivo può prevedere limitazioni al potere
di rappresentanza del singolo amministratore. Può prevedere la firma congiunta per alcuni
atti e la firma disgiunta per altri atti.
Le limitazioni al potere di rappresentanza degli amministratori non sono opponibili ai terzi
se non sono iscritte nel registro delle imprese o se non si provi che i terzi ne hanno avuto
effettiva conoscenza, art. 2298.
Nella SNC irregolare l’omessa registrazione fa sì che i patti modificativi del potere di
rappresentanza non sono opponibili ai terzi, a meno che non si provi che questi ne erano a
conoscenza.
Per le SS, la situazione è più complessa. Non essendo previsto un regime di pubblicità legale
l’art. 2266, rinvia alla disciplina di diritto comune, art. 1396.
Bisogna distinguere fra:
- limitazioni originarie, sono sempre opponibili ai terzi, sicché sono i terzi che devono
accertare se il socio che agisce in nome della società ha effettivamente il potere di
rappresentanza;

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- limitazioni successive, e estinzione del potere di rappresentanza, devono essere portate a


conoscenza dei terzi con mezzi idonei ed in mancanza sono loro opponibili solo se la
società prova che le conoscevano.

I soci amministratori.

L’atto costitutivo può riservare l’amministrazione solo ad alcuni soci, dando luogo alla
distinzione fra soci amministratori e soci non amministratori. In tal caso, i soci investiti
dell’amministrazione possono essere nominati direttamente nell’atto costitutivo, oppure,
nell’atto costitutivo, si può rinviare la nomina degli amministratori con atto separato. La
distinzione fra amministratori nominati nell’atto costitutivo e amministratori nominati con
atto separato acquista rilievo ai fini della revoca della facoltà di amministrare, art. 2259.
La revoca dell’amministratore nominato nel contratto sociale comporta una modifica dello
stesso.
Perciò, deve essere decisa dagli altri soci all’unanimità, se non convenuto diversamente, art.
2252. Inoltre, se l’amministratore è nominato nell’atto, la revoca non ha effetto se non ricorre
una giusta causa. Invece, se è nominato con atto separato, l’amministratore è revocabile
secondo le norme del mandato.
Quindi, è revocabile anche senza giusta causa, salvo il diritto al risarcimento dei danni, art.
1725.
La revoca potrà essere chiesta giudizialmente da ciascun socio. Il rapporto di
amministrazione costituisce rapporto autonomo e distinto dal rapporto sociale, come emerge
dal fatto che si può essere soci senza essere amministratori e si può cessare di essere
amministratori pur conservando la qualità di socio. Per quanto riguarda i diritti e gli obblighi
degli amministratori, l’art. 2260 stabilisce che essi sono regolati dalle norme sul mandato.
Ma, il rapporto di amministrazione non è un rapporto di mandato, perciò agli amministratori
non è applicabile direttamente tutta la disciplina del mandato, non essendo l’amministratore
un imprenditore. Dai poteri degli amministratori, cioè poter compiere tutti gli atti che
rientrano nell’oggetto sociale, restano esclusi solo gli atti che comportano modificazione del
contratto sociale. Numerosi ed articolati sono poi i doveri specifici degli amministratori.
Nella SNC, essi devono:
- tenere le scritture contabili e redigere il bilancio di esercizio, art. 2302;
- provvedere agli adempimenti pubblicitari connessi all’iscrizione nel registro delle imprese.
Infine, sono previste delle sanzioni penali, anche in caso di fallimento della società.
I numerosi obblighi sono sintetizzabili nel dovere generale di amministrare la società con la
diligenza del mandatario. Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società,
con conseguente obbligo di risarcire i danni arrecati alla stessa. Tuttavia, la responsabilità
non si estende a quegli amministratori che dimostrino di essere esenti da colpa, art. 2260.
Nel contempo, l’amministratore incorre in responsabilità anche nei confronti dei singoli soci,
per i danni arrecati agli stessi in via diretta ed immediata. Quindi, il rapporto di
amministrazione non è risolvibile nel rapporto di mandato. I soci amministratori avranno
diritto ad un compenso per il loro ufficio, sia se nominati nell’atto costitutivo, sia se nominati
con atto separato.
I soci non amministratori
Quando l’amministrazione della società è riservata soltanto ad alcuni soci, il legislatore
riconosce ai soci esclusi dall’amministrazione ampi poteri di informazione e di controllo, art.
2261.
Ogni socio non amministratore ha:
- il diritto di avere dagli amministratori notizie dello svolgimento degli affari sociali;
- il diritto di consultare i documenti relativi all’amministrazione;

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- il diritto di ottenere il rendiconto degli affari sociali quando gli affari per cui fu costituita la
società sono stati compiuti, ovvero, se la società dura più di un anno, al termine di ogni
anno, salvo che il contratto stabilisca un termine diverso.
È questione controversa se i soci non amministratori possono impartire direttive vincolanti ai
soci amministratori in merito alla condotta degli affari sociali. Secondo l’art. 2257, i soci non
amministratori non possono opporsi alle iniziative dei soci amministratori, quindi essi non
potranno nemmeno impartire direttive vincolanti, tranne nel caso vi sia un unico socio
amministratore nominato con atto separato (e quindi revocabile senza giusta causa).

Il problema dell’amministratore estraneo.

Per la SAS non è possibile che amministratore della società sia un terzo non socio, art. 2318.
La figura dell’amministratore estraneo si ammette per la SNC, con eccezione per la società
fra avvocati. Infatti, nella SNC tutti i soci (amministratori e non) sono sempre e comunque
illimitatamente e personalmente responsabili nei confronti dei creditori sociali, quindi la
posizione dei terzi creditori della società non è compromessa dalla clausola statutaria che
riservi l’amministrazione ad un terzo estraneo.
Il terzo amministratore gestisce pur sempre l’impresa sociale nell’interesse esclusivo dei soci,
quindi è revocabile anche se designato nell’atto costitutivo ed è tenuto a rispettare le direttive
che provengono dai soci. La posizione del terzo amministratore può essere assimilata a
quella di un mandatario generale o di un institore, sia pure con poteri estesi al compimento
di tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale. La nomina di un amministratore terzo non
priva i soci del potere di direzione, che deve ritenersi legittimo in quanto non altera il
principio della responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali.

Il divieto di concorrenza.

L’art. 2301 stabilisce a carico dei soci di una SNC, ma non per la SS, l’obbligo di non
esercitare per conto proprio o altrui un’attività concorrente con quella della società, ed
inoltre di non partecipare come socio illimitatamente responsabile ad altra società
concorrente.
Il divieto non impedisce però al socio di partecipare come socio limitatamente responsabile
in altra società concorrente. Né gli impedisce lo svolgimento di altra attività di impresa, o
della stessa attività della società, quando debba escludersi l’esistenza di un rapporto
concorrenziale.
La violazione del divieto espone il socio al risarcimento del danno nei confronti della società
e legittima gli altri soci a deciderne l’esclusione. Il divieto può essere rimosso dagli altri soci
ed il consenso si presume se la situazione concorrenziale preesisteva al contratto sociale e
gli altri soci ne erano a conoscenza.

Le modificazioni dell’atto costitutivo.

Nella SS e nella SNC il contratto sociale può essere modificato soltanto con il consenso di
tutti i soci, se non convenuto diversamente, art. 2252.
Fra le modificazioni del contratto sociale rientrano anche i mutamenti nella composizione
dei soci.
Per il rapporto fiduciario, intuitu personae, che intercorre fra i soci, il consenso di tutti gli
altri soci è necessario per il trasferimento della quota sociale sia fra vivi che a causa di morte.
In mancanza, il trasferimento per atto fra vivi ed la costituzione di diritti reali sulla quota
sono improduttivi di effetti per la società e gli altri soci. Il consenso al trasferimento della
quota può essere dato anche preventivamente, attraverso una clausola nell’atto costitutivo
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che stabilisce la libera trasferibilità fra vivi della quota e/o la continuazione della società con
gli eredi del socio defunto.
Oppure, può risultare anche da comportamenti concludenti. Nella SNC le modificazioni
dell’atto costitutivo sono soggette a pubblicità legale e finché non sono state iscritte nel
registro delle imprese non sono opponibili ai terzi, a meno che si provi che questi ne erano a
conoscenza. Ma, la modificazione è perfetta e produttiva di effetti indipendentemente
dall’iscrizione. Nella SNC irregolare, le modificazioni dell’atto costitutivo devono essere
invece portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei e non sono opponibili a coloro che
le abbiano senza colpa ignorate. Per la SS vale lo stesso regime, anche se con la recente
previsione dell’iscrizione nel registro delle imprese con efficacia di pubblicità legale, art. 2
d.lgs. 228/2001, porta a ritenere che per la SS vale il regime della SNC. Se la regola per le
modifiche dell’atto costitutivo è l’unanimità, l’art. 2252 consente che possa essere convenuto
diversamente. Infatti, è frequente la modificabilità a maggioranza dell’atto costitutivo. In
dottrina, si esclude però che la maggioranza possa modificare le basi essenziali della società.
Inoltre, le modificazioni dell’atto costitutivo rimesse alla maggioranza debbano essere
specificamente determinate, perciò sono invalide le clausole dell’atto costitutivo che rimette
alla maggioranza tali modificazioni. Fine di tale previsione è quello di impedire possibili
abusi della maggioranza, anche se non sono condivisibili, visto che è pur sempre la volontà
di tutti i soci che determina l’assoggettamento del singolo alle decisioni della maggioranza.
Tale rilievo è rafforzato dalla riforma delle società del 2003, con la quale è disposto che,
salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, le decisioni riguardanti la trasformazione, la
fusione e la scissione sono approvate nelle società di persone a maggioranza, calcolata
secondo le quote di partecipazione degli utili, salvo il diritto di recesso del socio
dissenziente. I poteri modificativi della maggioranza trovano però dei limiti nell’obbligo di
esecuzione del contratto secondo buona fede ed il rispetto della parità di trattamento fra i
soci.

Metodo collegiale e principio maggioritario.

Il consenso di tutti i soci è espressamente richiesto dal legislatore per le modifiche dell’atto
costitutivo, art. 2252. Il principio maggioritario è invece enunciato per la soluzione dei
conflitti fra soci amministratori in regime di amministrazione disgiunta: sull’opposizione
decide la maggioranza dei soci calcolata per quote di interesse, art. 2257.
Mentre, l’esclusione di un socio è calcolata per teste, art. 2287. Ma vi sono molte norme che
prevedono una decisone dei soci, ma non specificano se la stessa debba essere adottata a
maggioranza o all’unanimità.
L’art. 2252 esprime il principio che il consenso di tutti i soci è necessario quando la
decisione tocca le basi organizzative della società. Perciò l’unanimità sarà necessaria:
-per la revoca del socio amministratore nominato nell’atto costitutivo (art. 2259),
-per il consenso al singolo socio di usare i beni sociali per fini extra-sociali (art. 2256),
-per l’esonero dall’obbligo di non concorrenza (art. 2301),
-per il cambio del metodo di amministrazione,
- per la trasformazione, tranne il caso previsto dall’art. 2500-ter.
Mentre, la maggioranza troverà applicazione quando si tratta di decisioni che attengono alla
gestione dell’impresa comune: nomina e revoca degli amministratori per atto separato,
approvazione del bilancio, ecc.
La disciplina della società di persone pone un altro problema: se le deliberazioni sociali
debbano essere adottate osservando il metodo collegiale o assembleare, ovvero possano
essere adottate nella più assoluta libertà di forme ove l’atto nulla preveda al riguardo. Il
legislatore non dispone nulla in merito. La dottrina e la giurisprudenza sono dell’opinione
che il metodo assembleare sia superfluo nelle società di persone. Per le decisioni

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all’unanimità basterebbe l’accordo di tutti i soci comunque raggiunto. Per quelle a


maggioranza non sarebbe necessario neppure consultare tutti i soci, sicché le decisioni
potrebbero essere prese dalla maggioranza anche all’insaputa dei soci di minoranza, visto
che le società di persone non hanno personalità giuridica e al fine di agevolare la rapidità
delle decisioni. Ma vi è una parte della dottrina che è contraria a tale opinione, contestando
che nel nostro ordinamento il metodo collegiale è presente in tutti i gruppi associativi di
diritto privato, con o senza personalità giuridica. Inoltre è un metodo che consente decisioni
più ponderate attraverso il confronto delle diverse opinioni. In base all’attuale disciplina del
2003, art. 2479.3, l’atto costitutivo può escludere l’impiego del metodo collegiale, tranne
che per alcune decisioni di particolare rilievo.
Infatti, la disciplina della SRL ribadisce che:
- in mancanza di diversa disposizione dell’atto costitutivo le deliberazioni dei soci vanno
adottate con metodo collegiale;
- ciascun socio ha diritto di partecipare anche alle decisioni assunte con metodo collegiale,
sicché non è consentito alla maggioranza prendere decisioni all’insaputa della minoranza.
Perciò, tutti i soci hanno diritto di essere preventivamente informati delle decisioni da
adottare.
Anche nelle società di persone i soci sono tenuti a rispettare un metodo assembleare, almeno
per le decisioni di maggior rilievo, ovvero per le modificazioni dell’atto costitutivo o con il
compimento di operazioni che modificano l’oggetto sociale.

SCIOGLIMENTO DEL SINGOLO RAPPORTO SOCIALE

Scioglimento del singolo rapporto e scioglimento della società.

Il singolo socio può cessare di far parte della società per morte, recesso o esclusione.
Il venir meno di uno o più soci non determina in alcun caso lo scioglimento della società,
ma solo la necessità di definire i rapporti patrimoniali fra i soci rimasti ed il socio uscente o i
suoi eredi, attraverso la liquidazione della quota sociale.
Poi, sta ai soci superstiti decidere se porre fine alla società o continuarla.
Questa disciplina si ispira al principio di conservazione della società. Tale principio opera
anche quando rimane un solo socio. Infatti, la società si scioglie solo se la pluralità dei soci
non si ricostituisce entro 6 mesi, art. 2272.

La morte del socio.

La morte del socio produce come effetto ex leges lo scioglimento del rapporto fra tale socio e
la società, con il conseguente obbligo per i soci superstiti di liquidare la quota del socio
defunto ai suoi eredi entro 6 mesi, artt. 2284 e 2289. Quindi, i soci superstiti non sono tenuti
a subire il subingresso in società degli eredi del defunto.
L’art. 2284 concede ai soci superstiti altre due possibilità:
- essi possono decidere lo scioglimento anticipato della società. In tal caso gli eredi del
socio defunto non hanno più diritto alla liquidazione della quota entro i 6 mesi, ma
devono attendere la liquidazione della società per partecipare alla divisione dell’attivo che
residua dopo l’estinzione dei debiti sociali;
- essi possono decidere di continuare la società con gli eredi del defunto, ma in tal caso è
necessario il consenso unanime di tutti i soci superstiti e degli eredi.
Tale decisioni devono essere prese entro 6 mesi dai soci superstiti e gli eredi non hanno
alcuno strumento giuridico per rimuovere lo stato di incertezza e costringere i soci ad una
decisione anticipata. L’art. 2284 fa salve le diverse disposizioni del contratto sociale,
lasciando ai soci ampia libertà. Le clausole più diffuse nella pratica sono:
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- la clausola si consolidazione, con la quale si stabilisce che la quota del socio defunto
resterà acquisita agli altri soci, mentre agli eredi sarà liquidato solo il suo valore;
- la clausola di continuazione con gli eredi, con la quale i soci manifestano in via
preventiva il consenso al trasferimento della quota mortis causa; tale clausola si distingue
in tre gruppi:
- la clausola vincola solo i soci superstiti, mentre gli eredi sono liberi di scegliere se aderire
alla società o richiedere la liquidazione della quota, detta clausola di continuazione
facoltativa;
- la clausola prevede anche l’obbligo degli eredi di entrare in società, con la conseguenza
che essi saranno tenuti a risarcire i danni ai soci superstiti ove non prestino il loro
consenso; è detta clausola di continuazione obbligatoria;
- la clausola prevede l’automatico subingresso degli eredi in società; è detta clausola di
successione.
Queste due ultime clausole limitano la libertà di decisione degli eredi.

Il recesso.

Il recesso è lo scioglimento del rapporto sociale per volontà del socio, art. 2285. Se la società
è a tempo indeterminato o è contratta per tutta la vita di uno dei soci, ogni socio può
recedere liberamente.
Il recesso dovrà essere comunicato a tutti gli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi,
art. 2285 ed ha effetto decorso tale termine. Nella SNC, in caso di proroga tacita della
società, il socio ha diritto di recesso, art. 2307. Se la società è a tempo determinato, il
recesso è ammesso per legge solo se sussiste giusta causa, art. 2285.1 comma, cioè se il
recesso è una reazione ad un illegittimo comportamento degli altri soci tale da incrinare la
reciproca fiducia.
Anche la volontà di recedere per giusta causa deve essere portata a conoscenza degli altri
soci, ma in tal caso il recesso ha effetto immediato. Il contratto sociale può prevedere altre
ipotesi di recesso oltre quelle stabilite per legge, specificandone le modalità di esercizio,
detto recesso convenzionale.

L’esclusione.

L’ultima delle cause di scioglimento parziale del rapporto sociale è costituita dall’ esclusione
del socio della società. Essa può aver luogo di diritto oppure è facoltativa, cioè è rimessa alla
decisione degli altri soci.
È escluso di diritto, art. 2288:
- il socio che sia dichiarato fallito; l’esclusione opera dal giorno stesso della dichiarazione
di fallimento;
- il socio il cui creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota, nei casi
consentiti per legge; l’esclusione opera solo quando la liquidazione sia avvenuta
effettivamente.
L’esclusione facoltativa, art. 2286, può avvenire per:
- gravi inadempienze degli obblighi che derivano dalla legge o dal contratto sociale, come
il mancato conferimento di quanto promesso o il comportamento ostruzionistico del
socio;
- interdizione, inabilitazione del socio;
- sopravvenuta impossibilità di esecuzione del conferimento per causa non imputabile agli
amministratori.
L’esclusione è deliberata dalla maggioranza dei soci calcolata per teste, art. 2287. La
deliberazione, motivata, deve essere comunicata al socio escluso ed ha effetto decorsi 30

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giorni dalla data di comunicazione. Entro tale termine il socio può fare opposizione davanti
al tribunale, il quale può sospendere l’esecuzione della delibera.
Se la società è formata da soli due soci, l’esclusione di uno di essi è pronunciata
direttamente dal tribunale su domanda dell’altro, art. 2287, e diventa operante quando la
sentenza sia passata in giudicato.

La liquidazione della quota.

In tutti i casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio, questi o i suoi
eredi hanno diritto alla liquidazione della quota sociale. O meglio, hanno diritto soltanto ad
una somma di danaro che rappresenti il valore della quota, art. 2289. Ciò significa che il
socio non ha diritto alla restituzione dei beni conferiti in proprietà o in godimento finché
dura la società.
Il valore della quota è determinato in base alla situazione patrimoniale della società nel
giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto, tenendo conto delle operazioni in
corso. La situazione patrimoniale della società va determinata attribuendo ai beni il loro
valore effettivo, nonché tenendo conto del valore di avviamento dell’azienda sociale, degli
utili e delle perdite delle operazioni in corso.
Il pagamento della quota spettante al socio deve essere effettuato entro 6 mesi dal giorno in
cui si è verificato lo scioglimento del rapporto, art. 2289, e se richiesto dal creditore
particolare deve essere fatto entro tre mesi dalla richiesta, art. 2270.
Il socio uscente o gli eredi del socio defunto sono responsabili delle obbligazioni sociali
contratte prima dello scioglimento del rapporto.

SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ.

Le cause di scioglimento.

Le cause di scioglimento della SS, valide anche per la SNC, sono fissate dall’art. 2272 e
sono:
- per il decorso del termine fissato nell’atto costitutivo; è tuttavia prevista una proroga della
durata della società, sia espressa, sia tacita. Secondo l’art. 2273, la società è tacitamente
prorogata a tempo indeterminato quando, decorso il tempo per cui fu contratta, i soci
continuano a compiere le operazioni sociali;
- per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di
conseguirlo; fra le cause che rendono impossibile il conseguimento dell’oggetto sociale la
giurisprudenza ricomprende anche gli ostacoli al funzionamento della società determinati
dall’insanabile discordia fra i soci;
- per la volontà di tutti i soci; salvo che l’atto preveda che lo scioglimento possa essere
deliberato a maggioranza;
- quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è
ricostituita;
- per le altre cause previste dal contratto sociale. Nella SNC sono cause specifiche il
fallimento della società e la liquidazione coatta amministrativa, art. 2308. Tutte le cause di
scioglimento operano automaticamente, di diritto, per il solo fatto che si sono verificate.
Ogni socio può agire giudizialmente per il loro accertamento e gli effetti dello scioglimento
decorrono in ogni caso da quando la causa si è verificata, non da quando è accertata.

La società in stato di liquidazione.

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Quando si verifica una causa di scioglimento la società entra automaticamente in stato di


liquidazione e nella SNC tale situazione deve essere espressamente indicata negli atti e nella
corrispondenza, art. 2250. La società però non si estingue immediatamente. Infatti, prima si
deve provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali ed alla distribuzione fra i soci
dell’eventuale residuo attivo. Tuttavia, si producono alcuni effetti preliminari. L’ulteriore
attività della società deve tendere solo alla definizione dei rapporti in corso, perciò i poteri
degli amministratori sono limitati al compimento degli affari urgenti, art. 2274 e i liquidatori
che subentrano non possono intraprendere nuove operazioni e rispondono personalmente e
solidalmente per gli affari intrapresi in violazione ditale divieto, art. 2279. Tuttavia, i soci
possono ratificare o autorizzare gli atti non urgenti compiuti dai soci amministratori o le
nuove operazione intraprese dai liquidatori, rimuovendo i limiti legali posti ai loro poteri. Per
i soci, sorge il diritto alla nomina dei liquidatori, art. 2275 ed il diritto alla liquidazione della
quota, una volta estinti i debiti sociali, art. 2282. Resta fermo l’obbligo dei soci ad eseguire i
conferimenti ancora dovuti, sia pure nei limiti in cui i fondi disponibili risultino insufficienti
per il pagamento dei debiti sociali, art. 2280.
I creditori sociali non possono più ottenere la liquidazione della quota del socio loro
debitore, ma dovranno attendere la liquidazione per rivalersi sulla quota di liquidazione del
loro debitore.
Lo stato di liquidazione può essere revocato dai soci con il conseguente ritorno della società
alla normale attività di gestione. Con la revoca della liquidazione si avrà continuazione della
stessa società e non la costituzione di una nuova società. La decisione di revoca deve essere
adottata all’unanimità.

Il procedimento di liquidazione.

Ferma restando la necessità del procedimento di liquidazione, le modalità dello stesso, oltre
a essere previste dal codice civile, possono essere liberamente determinate dai soci nel
contratto sociale o al momento dello scioglimento, art. 2275. Il procedimento di
liquidazione inizia con la nomina di uno o più liquidatori, e richiede il consenso di tutti i
soci, se non pattuito diversamente nell’atto costitutivo. In caso di disaccordo fra i soci, i
liquidatori sono nominati dal presidente del tribunale.
La revoca dei liquidatori può discendere dalla volontà di tutti i soci ed in ogni caso dal
tribunale per giusta causa, su domanda di uno o più soci, art. 2275. Nella SNC, e oggi anche
nella SS, sia la nomina che la revoca dei liquidatori devono essere iscritte nel registro delle
imprese, art. 2309. Nella SNC irregolare, la nomina e la revoca devono essere portate a
conoscenza dei terzi con mezzi idonei.
Con l’accettazione della nomina, i liquidatori prendono il posto degli amministratori.
Quest’ultimi devono consegnare ai liquidatori i beni e i documenti sociali e presentare loro il
resoconto della gestione del periodo successivo all’ultimo bilancio. Gli amministratori e i
liquidatori devono redigere insieme l’inventario, detto bilancio di apertura della
liquidazione, dal quale risulta l’attivo e il passivo del patrimonio sociale. I compiti dei
liquidatori sono quelli di convertire in danaro i beni sociali, pagare i creditori, ripartire fra i
soci l’eventuale residuo attivo. Quindi, sono investiti del potere di compiere tutti gli atti
necessari per la liquidazione.
Ad essi inoltre compete la rappresentanza legale della società, anche in giudizio, art. 2278.
Sui liquidatori incombono due divieti:
- non possono intraprendere nuove operazioni, cioè operazioni che non sono in rapporto
con l’attività di liquidazione. Se violano tale divieto, essi rispondono personalmente e
solidalmente per gli affari intrapresi, art. 2279, nei confronti dei terzi;
- non possono ripartire fra i soci, neppure parzialmente, i beni sociali finché i creditori
sociali non siano pagati o non siano state accantonate le somme necessarie per pagarli,

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art. 2280. La violazione di questo divieto espone i liquidatori a responsabilità civile nei
confronti dei creditori sociali ed è anche sanzionata penalmente.
Per il resto gli obblighi e le responsabilità dei liquidatori sono regolati dalle norme stabilite
per gli amministratori, art. 2276.
Estinti tutti i debiti sociali la liquidazione si avvia alla fine con la definizione dei rapporti fra i
soci.
I liquidatori devono restituire ai soci i beni conferiti in godimento nello stato in cui si
trovano. E se tali beni sono deteriorati o periti per causa imputabile agli amministratori, i soci
hanno diritto al risarcimento dei danni a carico del patrimonio sociale, salva l’azione di
responsabilità contro gli amministratori. Il saldo attivo di liquidazione è destinato
innanzitutto al rimborso del valore nominale dei conferimenti, determinato secondo la
valutazione fattane in contratto o secondo il valore che essi avevano al momento in cui
furono eseguiti. L’eventuale eccedenza è poi ripartita fra tutti i soci in proporzione della
partecipazione di ciascuno nei guadagni, art. 2282. Nella SS, non è prevista nessuna regola
per la chiusura del procedimento di liquidazione Nella SNC, i liquidatori devono redigere il
bilancio finale di liquidazione ed il piano di riparto.
Il bilancio, sottoscritto dai liquidatori, ed il piano di riparto vanno comunicati ai soci tramite
raccomandata e si intendono approvati se non sono impugnati dai soci entro 2 mesi dalla
comunicazione.
In caso di impugnazione giudiziale i liquidatori possono chiedere che la liquidazione sia
esaminata separatamente dalla divisione, art. 2311. Con l’approvazione del bilancio, i
liquidatori sono liberati di fronte ai soci.

L’estinzione della società.

Nella SNC irregolare, la chiusura del procedimento di liquidazione determina l’estinzione


della società, sempre che la relativa disciplina sia stata rispettata e i creditori sociali siano
soddisfatti. In mancanza, la società è ancora esistente. Nella SNC regolare, e nella SS,
secondo l’art. 2312, approvato il bilancio finale di liquidazione i liquidatori devono chiedere
la cancellazione della società dal registro delle imprese. Inoltre, i liquidatori devono
depositare le scritture contabili e i documenti che non spettano ai singoli soci presso la
persona designata dalla maggioranza, per essere conservati 10 anni.
La cancellazione può anche essere disposta d’ufficio, quando l’ufficio rilevi delle circostanze
sintomatiche dell’assenza di attività sociale, come l’irreperibilità presso la sede legale, il
mancato compimento di atti di gestione per tre anni consecutivi, mancanza del codice
fiscale, mancata ricostituzione della pluralità dei soci entro 6 mesi.
L’atto della cancellazione dal registro delle imprese è condizione necessaria per l’estinzione
della società. I creditori non soddisfatti, secondo l’art. 2312, possono far valere i loro crediti
nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche
nei confronti di questi.

Il fallimento della società estinta.

La versione originaria dell’art. 10 legge fallimentare disponeva che l’imprenditore poteva


essere dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell’impresa. Il termine annuale
decorreva dall’effettiva cessazione dell’attività d’impresa, principio di effettività, e non dalla
cancellazione dal registro.
La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale tale art. 10 legge fallimentare, nella
parte in cui non prevedeva che il termine di un anno per la dichiarazione di fallimento della
società decorresse dalla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese. L’attuale
d.lgs. n. 5/2006 ha adeguato il diritto fallimentare alle indicazioni della Corte Costituzionale.

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Infatti, il nuovo art. 10 dispone che gli imprenditori individuali e collettivi possono essere
dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l'insolvenza
si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo. In caso di impresa
individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà di
dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attività da cui decorre il termine del
primo comma. Il nuovo art. 147.2, estende la regola dell’art. 10 anche al fallimento in
estensione dei soci illimitatamente responsabili. La norma stabilisce infatti che il fallimento
della società non produce anche il fallimento del socio, decorso un anno dallo scioglimento
del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata, anche in caso di
trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai
terzi i fatti indicati. Le nuove regole chiariscono che le società irregolari possono essere
dichiarati fallite senza limiti di tempo dopo la cessazione dell’attività di impresa.

CAPITOLO 3: LA SOCIETÀ IN ACCOMANDITA SEMPLICE

Nozione e caratteri distintivi.

La SAS è una società di persone che si differenzia dalla SNC per la presenza di due categorie
di soci:
- i soci accomandatari, che rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni
sociali; ad essi compete l’amministrazione della società;
- i soci accomandanti, che rispondo limitatamente alla quota conferita e sono esclusi
dall’amministrazione della società. Essi sono obbligati solo nei confronti della società ad
eseguire i conferimenti promessi, mentre i creditori sociali non hanno azione diretta nei
loro confronti, neppure nei limiti del conferimento.
La disciplina della SAS è modellata su quella della SNC, sia pure con gli adattamenti imposti
dalla presenza di due categorie di soci con diversi poteri e con diverse responsabilità per le
obbligazioni sociali. Nell’ambito delle società di persone, la SAS risponde alla specifica
funzione economica di consentire l’aggregazione di soggetti che intendono gestire
personalmente gli affari sociali assumendo responsabilità illimitata e di soggetti che
intendono finanziare l’attività dei primi con rischio e con poteri limitati, pur assumendo la
veste di socio. Quindi, dando vita a un patrimonio comune e ad un’impresa collettiva da
esercitarsi in comune, anche se non in parità. La SAS è l’unico tipo di società di persone che
consente l’esercizio in comune di un’impresa commerciale con limitazione del rischio e non
esposizione a fallimento personale dei soci accomandanti. Quindi, la S.a.s. potrebbe essere
usata, dai soci accomandanti per cumulare vantaggi delle società di persone (esercizio
diretto e personale dell’impresa) e delle società di capitali (beneficio della responsabilità
limitata), servendosi di un socio accomandante compiacente e nullatenente.
La disciplina della SAS deve perciò cercare un punto di equilibrio fra due esigenze:
- l’esigenza dominante di evitare un uso anomalo e distorto di tale tipo di società, con la
previsione di alcuni divieti a carico dei soci accomandanti e alcune sanzioni patrimoniali
per la loro violazione;
- l’esigenza di non estraniare del tutto i soci accomandanti dall’attività della società, sia
pure nei limiti imposti dalla riserva dell’amministrazione agli accomandatari.

La costituzione della società. La ragione sociale.

Per la costituzione della SAS valgono le stesse regole della SNC. L’atto costitutivo dovrà
indicare distintamente quali sono i soci accomandatari e quali sono i soci accomandanti, art.
2316. L’atto costitutivo della SAS è soggetto ad iscrizione nel registro delle imprese, ma
l’omessa registrazione comporta solo l’irregolarità della società.
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A differenza della SNC, la ragione sociale, art. 2314, della S.a.s. deve essere formata col
nome di almeno uno dei soci accomandatari e con l’indicazione del tipo sociale.
Non può essere inserito il nome di uno dei soci accomandanti, al fine di evitare che i terzi
facciano affidamento sulla responsabilità personale di tali soci.
L’accomandante, il quale consente che il suo nome sia compreso nella ragione sociale,
risponde nei confronti dei terzi illimitatamente e solidalmente con i soci accomandatari per
le obbligazioni sociali.
Cioè, il socio accomandante perde il beneficio della responsabilità limitata per tutte le
obbligazioni sociali e nei confronti di qualsiasi creditore sociale. Non diventa però un socio
accomandatario e quindi non acquista il diritto di partecipare all’amministrazione della
società. La partecipazione di incapaci in veste di accomandatari è soggetta alla disciplina
dettata dall’art. 2294 per la SNC. Ma tale disciplina non si applica se l’incapace partecipa in
veste di socio accomandante. Nessuna disposizione specifica è dettata per i conferimenti dei
soci, quindi si applica la stessa disciplina delle altre società di persone.

I soci accomandanti e l’amministrazione della società.

In base all’art. 2315, alle SAS si applica la disciplina della SNC, anche se vi sono delle
differenze per quanto riguarda l’amministrazione della società.
L’art. 2318 pone il principio che i soci accomandatari hanno gli stessi diritti e gli stessi
obblighi dei soci della collettiva e che l’amministrazione della società può essere conferita
soltanto ai soci accomandatari. Dall’amministrazione sono esclusi i soci accomandanti,
anche se ad essi sono riconosciuti per legge, o per contratto, alcuni diritti e poteri di carattere
amministrativo.
I soci accomandanti hanno il diritto di concorrere con gli accomandatari alla nomina e alla
revoca degli amministratori, quando l’atto costitutivo prevede la designazione degli stessi
con atto separato. Infatti, per la nomina e la revoca dell’amministratore è necessario il
consenso di tutti i soci accomandatari e l’approvazione di tanti soci accomandanti che
rappresentino la maggioranza del capitale da essi sottoscritto, art. 2319. Inoltre, anche il
socio accomandante potrà richiedere giudizialmente la revoca per giusta causa degli
amministratori, secondo quanto previsto dall’art. 2259. Questa sarà l’unico modo nel caso in
cui vi sia un solo socio accomandatario e perciò un solo amministratore.

Il divieto di immistione.

Il contenuto del divieto di immistione degli accomandanti nella gestione della società e le
sanzioni per la violazione dello stesso sono fissati dall’art. 2320: i soci accomandanti non
possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della
società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che
contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le
obbligazioni sociali e può essere escluso a norma dell'art. 2286, cioè con decisione a
maggioranza degli altri soci. Quindi, all’accomandante è preclusa sia la partecipazione
all’amministrazione interna della società, sia la possibilità di agire per la società nei rapporti
esterni.
Per quanto riguarda la partecipazione all’attività interna dell’impresa comune, il divieto di
ingerenza nell’amministrazione è temperato dall’art. 2320:
- possono prestare la loro opera, manuale o intellettuale, all’interno della società sotto la
direzione degli amministratori;
- possono, se l’atto costitutivo lo prevede, dare autorizzazioni e pareri per determinate
operazioni, nonché compiere atti di ispezioni e di controllo, nei limiti imposti dal generale
divieto di ingerenza nell’amministrazione.

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Per quanto riguarda i poteri di controllo, gli accomandanti hanno diritto di avere
comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne
l'esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società. Inoltre, hanno diritto di
concorrere all’approvazione del bilancio.
Per quanto riguarda la partecipazione all’attività esterna dei soci accomandanti, essi possono
trattare o concludere affari in nome della società, sia pure in forza di una procura speciale
per singoli affari e quindi in modo tale da restare sempre assoggettati alle direttive degli
amministratori. L’accomandante che viola il divieto di immistione si espone ad una sanzione
patrimoniale particolarmente grave e non proporzionata all’infrazione commessa. Egli infatti
risponde di fronte ai terzi illimitatamente e solidalmente per tutte le obbligazioni sociali,
presente, passate e future, che a qualsiasi titolo siano imputabili alla società. Quindi, in caso
di fallimento della società, anche il socio accomandante sarà automaticamente dichiarato
fallito al pari degli accomandatari. L’accomandante che viola il divieto di immistione perde il
beneficio della responsabilità limitata solo nei confronti dei terzi. Se ne deduce che per le
somme pagate ai creditori sociali, egli avrà azione di regresso per l’intero non solo verso la
società ma anche verso gli accomandatari. Viceversa, gli accomandatari non hanno azione di
regresso verso l’accomandante che ha violato il divieto di immistione, salva l’azione di
risarcimento dei danni arrecati alla società. Rispetto alle obbligazioni nate dall’atto di
immistione di un accomandante, la società resta obbligata solo se l’accomandante ha agito
in base a regolare procura o se il suo operato è stato successivamente ratificato dagli
amministratori. In caso contrario, responsabile verso il terzo sarà l’accomandante che ha
compiuto l’atto, così come previsto per il rappresentante senza poteri, art. 1398.
Ovviamente, l’accomandante non avrà azione di rivalsa né verso al società né verso gli
accomandatari. L’accomandante che ha violato il divieto di immistione è esposto anche
all’ulteriore sanzione dell’esclusione della società, tranne se l’atto di ingerenza sia stato
autorizzato o ratificato dagli amministratori.

Il trasferimento della partecipazione sociale.

Il trasferimento della partecipazione sociale varia a seconda che si tratti di soci


accomandanti o di soci accomandatari. Per i soci accomandatari vale la stessa disciplina
prevista per la SNC. Se l’atto costitutivo non dispone diversamente, il trasferimento per atto
fra vivi della quota degli accomandatari può avvenire solo col consenso di tutti gli altri soci.
Per il trasferimento mortis causa è necessario anche il consenso degli eredi. Per i soci
accomandanti il trasferimento mortis causa della quota è libera, mentre per il trasferimento
per atti fra vivi è necessario il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del
capitale sociale, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo.

Lo scioglimento della società.

La duplice categoria di soci che caratterizza la S.a.s. deve permanere per tutta la vita della
società. Infatti, tale società si scioglie, oltre per le cause previste per la SNC, anche quando
rimangono solo soci accomandanti o solo soci accomandatari, sempreché nel termine di sei
mesi non sia stato sostituito il socio che è venuto meno, art. 2323. Durante i sei mesi,
l’attività continua normalmente se sono venuti meno i soci accomandanti. Se invece, sono
mancati i soci accomandatari, gli accomandanti devono nominare un amministratore
provvisorio, che può essere anche un socio accomandante, i cui poteri sono per legge
limitati al compimento degli atti di ordinaria amministrazione. L’amministratore provvisorio
non assume la qualità di accomandatario e non risponderà illimitatamente per le
obbligazioni sociali salvo che non siano atti di straordinaria amministrazione. Passati i sei
mesi, senza che siano integrati i soci venuti meno e senza che si dia inizio al procedimento

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di liquidazione, la S.a.s. si trasforma in una società collettiva irregolare, sempreché restino


almeno due soci. Per il procedimento di liquidazione e per l’estinzione della società valgono
le stesse regole della SNC. Tuttavia, cancellata la società dal registro delle imprese, i creditori
insoddisfatti potranno far valere i loro crediti nei confronti dei soci accomandanti solo nei
limiti della loro quota di liquidazione, dato che essi non erano illimitatamente responsabili,
art. 2324.

La società in accomandita irregolare.

È irregolare la SAS il cui atto costitutivo non è stato iscritto nel registro delle imprese. Come
per la SNC, l’omessa registrazione non impedisce la nascita della società. Nell’accomandita
irregolare i soci accomandanti rispondono limitatamente alla loro quota, salvo che abbiano
partecipato alle operazioni sociali, art. 2317.
Per quanto riguarda il divieto di immistione nella accomandita irregolare ha carattere
assoluto, infatti nemmeno una procura speciale per singoli affari esonera l’accomandante da
responsabilità illimitata verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali. Per il resto vale la stessa
disciplina della SNC irregolare:
- i creditori sociali possono agire direttamente nei confronti dei soci illimitatamente
responsabili e, come per la SS, su di essi incombe l’onere di chiedere la preventiva
escussione del patrimonio sociale indicando i beni sui quali i creditori possono
agevolmente soddisfarsi, art. 2268. Cioè viene meno il beneficio di escussione, art. 2304;
- i creditori particolari del socio possono chiedere in tempo la liquidazione della quota del
loro debitore, provando che gli altri beni di questi siano insufficienti a soddisfarli, art.
2270. Questa possibilità è preclusa quando la società è regolare, art. 2307;
- ciascun socio che agisce per la società abbia la rappresentanza sociale anche in giudizio,
art. 2297.

CAPITOLO 4: LA SOCIETÀ PER AZIONI

Nozione e caratteri essenziali.

La società per azioni forma con la società in accomandita per azioni e con la società a
responsabilità limitata la categoria della società di capitali.
Ed è una società di capitali nella quale:
per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società col suo patrimonio
la partecipazione sociale è rappresentata da azioni.
Il primo dato differenzia la società per azioni dalla società in accomandita per azioni, nella
quale vi è una categoria di soci responsabili solidamente e illimitatamente per le
obbligazioni sociali, anche se le quote di partecipazione sociale sono rappresentate da
azioni.
Il secondo dato differenza la società per azioni dalla società a responsabilità limitata, in cui
le quote di partecipazione non sono rappresentate da azioni.
La società per azioni è la società più importante per la sua ampia diffusione, e perché è la
forma prescelta dalle imprese di media e grande dimensione a capitale sia privato sia
pubblico.
I suoi caratteri essenziali sono:
- PERSONALITÀ GIURIDICA. La società per azioni, in quanto società dotata di personalità
giuridica, è dotata di piena e perfetta autonomia patrimoniale.
- RESPONSABILITÀ LIMITATA DEI SOCI. I soci e tutti i soci non assumono alcuna
responsabilità personale per le obbligazioni sociali; di queste risponde soltanto la società
col suo patrimonio (art. 2325, 1 comma). I creditori della società per azioni possono
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quindi fare affidamento solo sul patrimonio sociale per soddisfarsi. Tuttavia il legislatore
predispone alcune forme di tutela: un capitale sociale minimo per la costituzione della
società e una disciplina specifica per la riduzione del capitale sociale.
- ORGANIZZAZIONE CORPORATIVA. La responsabilità illimitata dei soci trova
contrappeso nell'organizzazione di tipo corporativo della società per azioni: cioè in
un’organizzazione basata sulla necessaria presenza di tre distinti organi: assemblea,
amministratori e collegio sindacale. Il singolo socio in quanto tale non ha alcun potere
diretto di amministrazione e di controllo; ha solo il diritto di voto. Il funzionamento
dell'assemblea è poi dominato dal principio maggioritario e il peso di ogni socio in
assemblea è proporzionato alla quota di capitale sottoscritto ed al numero di azioni
possedute.
- QUOTE DI PARTECIPAZIONE RAPPRESENTATE DA AZIONI. Dato caratterizzante è che le
quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da partecipazioni- tipo omogenee e
standardizzate.
Infatti, le azioni sono partecipazioni sociali di uguale valore e conferiscono ai loro possessori
uguali diritti.

Società per azioni e tipologia della realtà.

La società per azioni è la tipologia più diffusa in quanto c’è una limitazione del rischio
individuale dei soci (assicurata dalla responsabilità limitata) e la possibilità di pronta
mobilitazione dell’investimento (assicurata dai titoli azionari). Questo favorisce
l’investimento in azioni di massa dei piccoli risparmiatori. Si rende così possibile la
compartecipazione di un ristretto numero di soci che assumo l’iniziativa economica e sono
animati da spirito imprenditoriale (c.d. azionisti imprenditori), con una gran massa di piccoli
azionisti animati dal solo intento di investire fruttuosamente i propri risparmi (c.d. azionisti
risparmiatori).
Tuttavia la SPA può anche non essere di grandi dimensioni con azioni diffuse fra il pubblico.
Esistono molte società per azioni composte da un numero non elevato di soci e costituite per
la gestione di imprese di dimensioni modeste. Si tratta spesso, di vere e proprie società a
carattere familiare, con base azionaria stabile ed omogenea, nelle quali l’appello al pubblico
risparmio per la raccolta di capitale di rischio è marginale o del tutto assente.
L’utilizzazione della SPA per esigenze economiche così diverse finisce col sollevare problemi
di disciplina.
Nelle società a ristretta base azionaria, i problemi sono quelli tradizionali che riguardano la
tutela dei soci di minoranza e dei creditori, poiché, chi più ha conferito e più rischia, ha più
potere.
La situazione risulta diversa in quelle società che fanno istituzionalmente appello al pubblico
risparmio: la presenza accanto a pochi azionisti imprenditori, attivi e competenti, di una
massa di azionisti investitori, del tutto inesperti e incompetenti, con partecipazioni
individuali microscopiche (ma che nel complesso costituiscono la maggioranza del capitale),
altera profondamente i meccanismi di funzionamento della SPA. Tuttavia il disinteresse dei
soci risparmiatori, permette ai soci imprenditori, nonostante rappresentino la minoranza, di
gestire la società.
La situazione è ancora diversa quando si tratta di SPA quotate in borsa: emerge l’esigenza di
garantire il corretto funzionamento dell’intero mercato azionario e di tutelare il pubblico
indifferenziato dai potenziali investitori.
Occorre tenere presente anche il fenomeno dei gruppi di società, ossia più società
formalmente autonome ed indipendenti l’una dall’altra, ma tutte nel contempo partecipi di
un unitario disegno economico in quanto tutte sono sotto l’influenza dominante di un’unica
società (c.d. società capogruppo), che direttamente o indirettamente le controlla disponendo

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della maggioranza delle loro azioni. Perciò unico ed unitario risulta essere il centro
decisionale e l’interesse perseguito da tutte le società.

L’evoluzione della disciplina.

La disciplina della società per azioni ha subito dal 1942 numerosi interventi legislativi sotto
la spinta di una duplice esigenza:
- quella di dare risposta ai problemi che il codice del 1942 non aveva saputo, voluto o
potuto risolvere;
- quella di dare attuazione alle numerose direttive emanate dalla comunità economiche
europea per l'armonizzazione della disciplina azionaria delle società di capitali.
Il movimento di riforma è iniziato nel 1974 e poi è proseguito fino a sfociare nel 1998
successivamente nel 2003 nella riforma della disciplina delle società di capitali non quotate
e nel 2005 nella legge sulla tutela del risparmio.
Le novità sono:
- è stato posto un freno al proliferare di mini-società per azioni con capitale del tutto
irrisorio. Fenomeno questo determinato dal fatto che il codice del 1942 fissava in un
milione di lire il capitale sociale minimo richiesto per la costituzione e l'inflazione
monetaria aveva reso del tutto irrisoria tale somma. Il capitale sociale minimo per la
costruzione della società per azioni è stato portato a 200 milioni di lire nel 1977 ed
elevato oggi a 120 mila euro. (Diecimila euro per le srl).
- si è preso atto che la disciplina dettata dal codice del 1942 è inidonea ad assicurare il
corretto funzionamento delle società per azioni che fanno appello sistematico al pubblico
risparmio. E con una serie di interventi legislativi si è dettata una specifica disciplina per le
società con azioni quotate in borsa.
Un primo intervento si è avuto nel 1974: vi è stata la possibilità di emettere una particolare
categoria di azioni (le azioni di risparmio) prive del diritto di voto e privilegiate sotto il
profilo patrimoniale; certificazione dei bilanci da parte di un'autonoma società di revisione;
e istituzione di un organo pubblico di controllo diretto a garantire la completezza e la
veridicità dell'informazione societaria, la Consob.
Un secondo intervento riformatore si è poi avuto nel 1998: l'obiettivo di incentivare l'afflusso
del risparmio gestito verso le società quotate, nonché di valorizzare il ruolo attivo degli
investitori istituzionali come correttivo del prepotere dei gruppi di comando minoritaria,
costituisce il motivo ispiratore di fondo della riforma culminata nel testo unico delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (Tuf) emanato con il d.lgs. 24-2-1998,
n. 58, che ha mandato in pensione la previgente normativa in materia.
- l'esigenza di modernizzare la disciplina delle società per azioni non quotate e delle altre
società di capitali ha portato da ultimo ad una riforma organica del disciplina generale
delle società di capitali. Obiettivo di fondo della riforma è quello di semplificare la
disciplina delle società di capitali e di ampliare lo spazio riconosciuto l'autonomia
statuaria al fine di favorire la crescita e la competitività delle imprese italiane anche su
mercati internazionali dei capitali.

Società per azioni e modelli societari.

La disciplina delle società per azioni oggi si compone di:


- regole valide per tutte le società per azioni.
- disposizioni riferite alle sole società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischi
(società chiuse).

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- norme applicabili alle sole società che fanno ricordo al mercato del capitale di rischio, e
quindi applicabili sia alle società non quotate con azionatario diffuso, sia alle società
quotate, se la legge non prevede una disciplina specifica per queste ultime.
- previsioni destinate, alle sole società quotate.
Ne consegue che all’interno del tipo “società per azioni”, l’evoluzione legislativa ha
articolato tre modelli: società chiuse, società che fa appello al mercato del capitale di rischio
e società quotata.
In questo arco di tempo si è inoltre accentuata la tendenza ad introdurre statuti speciali per
le società operanti in settori di particolare rilievo economico e sociali e per le quali
l’adozione della forma della società per azioni è spesso imposta per legge: società bancarie,
società assicurative, società editoriali, società di intermediazione mobiliare, società di
gestione del risparmio, società di investimento a capitale variabile e così via. Inoltre si è
introdotta una disciplina più articolata per i gruppi di società, con la previsione della
responsabilità a carico del capogruppo per abuso del potere di direzione unitaria e con
l’introduzione di specifici obblighi a carico delle società di gruppo volti ad assicurare
maggiore trasparenza sulla composizione del gruppo e sulle operazioni intra-gruppo.

LA COSTITUZIONE

Il procedimento.

La costituzione della società per azioni si articola attualmente in due fasi essenziali:
- stipulazione dell'atto costitutivo per atto pubblico;
- iscrizione dell'atto costitutivo nel registro delle imprese. Solo con l'iscrizione nel registro
delle imprese la società per azioni acquista la personalità giuridica (art. 2331, 1) e viene
ad esistenza.
È stata soppressa la fase intermediaria dell’omologazione dell’atto costitutivo da parte
dell’autorità giudiziaria, controlli oggi svolti dal notaio che redige l’atto costitutivo.

La stipulazione dell’atto costitutivo.

La stipulazione dell'atto costitutivo può a sua volta avvenire secondo due diversi
procedimenti:
- stipulazione (o costituzione) simultanea, dove l'atto costitutivo è stipulato
immediatamente da coloro che assumono l’iniziativa per la costituzione della società (soci
fondatori). E tali soci sottoscrivono integralmente il capitale sociale iniziale.
- stipulazione (o costituzione) per pubblica sottoscrizione (artt.2333-2336), dove si arriva
alla stipulazione dell'atto costitutivo al termine di una complesso procedimento che
consente la raccolta fra il pubblico del capitale iniziale sulla base di un programma
predisposto da coloro che assumono l'iniziativa (promotori).
La costituzione per pubblica costituzione si articola in quattro fasi:
1. i promotori predispongono un programma della costituenda società, il quale deve
indicare l’oggetto e il capitale, le principali disposizioni dell’atto costitutivo, l’eventuale
partecipazione dei promotori agli utili e il termine in cui l’atto costitutivo deve essere
stipulato. Il programma, con le firme autenticate dei promotori, deve essere depositato
presso un notaio prima di essere reso pubblico;
2. si apre la fase delle adesioni al programma con le sottoscrizioni delle azioni, che deve
risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata. Una volta sottoscritto
integralmente il capitale sociale, i promotori assegnano un termine ai sottoscrittori, non
superiore ai 30 giorni, per il versamento del 25% del capitale sottoscritto.

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3. completato il versamento del 25 % del capitale sottoscritto, i promotori convocano


l’assemblea dei sottoscrittori che:
- accerta l’esistenza delle condizioni richieste per la costituzione della società;
- delibera sul contenuto dell’atto costitutivo e dello statuto, che non sia già stato fissato nel
programma;
- delibera sulla riserva agli utili fatta a favore dei promotori, che non deve superare il 10% e
per un periodo non superiore ai 5 anni;
- nomina i primi amministratori e i primi sindaci. L’assemblea è validamente costituita con
la presenza di metà dei sottoscrittori e ciascun sottoscrittore ha diritto ad un solo voto
quale che sia l’ammontare del capitale sottoscritto. Le delibere sono valide se votate dalla
maggioranza dei presenti e per modificare le condizioni stabilite dal programma, è
necessario il consenso di tutti i sottoscrittori.
4. infine, si arriva alla stipulazione dell’atto costitutivo, a cui provvedono i partecipanti
all’assemblea, anche in rappresentanza degli assenti.
I promotori sono solidalmente responsabili verso i terzi per le obbligazioni assunte per la
costituzione della società. Obbligazioni che essi potranno riversare sulla società solo se sono
state necessarie per la costituzione o siano state approvate dall’assemblea. Sui promotori
incombe il rischi dell’insuccesso dell’operazione.
Sia i promotori sia coloro per conto dei quali essi hanno eventualmente agito, sono
responsabili verso la società e verso i terzi:
- per l’integrale sottoscrizione del capitale sociale e per i versamenti richiesti per la
costituzione della società;
- per l’esistenza dei conferimenti in natura;
- per la veridicità delle comunicazioni da essi fatte al pubblico per la costituzione della
società. Infine è consentito ai promotori di riservarsi una partecipazione agli utili della
società, indipendentemente dalla loro qualità di soci.

L’atto costitutivo. Forma e contenuto.

La società per azioni può essere costituita per contratto o per atto unilaterale (art. 2328), nel
caso in cui si abbia un solo socio fondatore. L'atto costitutivo deve essere redatto per atto
pubblico a pena di nullità della società. L'atto costitutivo deve indicare (art. 2328):
1. le generalità dei soci e degli eventuali promotori, nonché il numero delle azioni
assegnate a ciascuno di essi;
2. la denominazione e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi
secondarie. La sede sociale è luogo dove risiedono l'organo amministrativo degli uffici
direttivi della società;
3. l'oggetto sociale, vale a dire il tipo di attività economica che la società si propone di
svolgere.
4. l'ammontare del capitale sottoscritto e versato;
5. il numero e l'eventuale valore nominale delle azioni, le loro caratteristiche e le modalità
di emissione e circolazione;
6. il valore attribuito ai crediti e beni conferiti in natura, sempre che vi siano conferimenti di
tale tipo;
7. le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti;
8. i benefici eventualmente accordati ai promotori o soci fondatori. Per i promotori l'unico
beneficio può essere costituito da una partecipazione agli utili che non può superare
complessivamente il 10% degli utili netti risultanti dal bilancio e non può avere una
durata superiore a cinque anni (art. 2340). I soci fondatori possono invece riservarsi
anche altri benefici (art. 2341);

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9. il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri,


indicando quali tra essi hanno la rappresentanza della società;
10. il numero dei componenti del collegio sindacale;
11. la nomina dei primi amministratori e sindaci e, quando previsto, del soggetto che dovrà
esercitare il controllo contabile;
12. l'importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a carico
della società. Ad esempio: spese notarili;
13. la durata della società. Si può stabilire che la società sia a tempo indeterminato; in tal
caso, se le azioni non sono quotate, i soci possono recedere decorso un periodo di
tempo, massimo un anno, e con un preavviso di 180 giorni.
L'omissione di una o più di tali indicazioni legittima il rifiuto del notaio di stipulare l'atto
costitutivo.
Di solito si procede alla redazione di due documenti: l’atto costitutivo e lo statuto. L’atto
costitutivo contiene la manifestazione di volontà di costituire la società ed i dati
fondamentali della struttura organizzativa. Lo statuto, contiene le norme legali e
convenzionali di funzionamento della società.
Anche se forma oggetto di atto separato, lo statuto si considera parte integrante dell'atto
costitutivo (art. 2328). Ne consegue che anche lo statuto deve essere redatto per atto
pubblico a pena di nullità. I dati richiesti dall’art. 2328, possono essere indicati
indistintamente nell’uno o nell’altro.

Le condizioni per la costituzione.

A partire dal primo gennaio 2004 la società per azioni deve costituirsi con capitale non
inferiore a 120 mila euro (art. 2327), salvo i casi in cui leggi speciali impongono un capitale
minimo più elevato. Ad esempio: società bancarie e finanziarie.
Per procedere alla costituzione della società per azioni è poi necessario (art. 2329):
- che sia sottoscritto per intero il capitale sociale;
- che siano rispettate le disposizioni relative ai conferimenti; ed in particolare che sia
versato presso la banca il 25% dei conferimenti in denaro o, nel caso di costituzione per
atto unilaterale, il loro intero ammontare;
- che sussistano le autorizzazioni e le altre condizioni richieste delle leggi speciali per la
costituzione della società.
I conferimenti in denaro devono essere versati prima della stipula dell'atto costitutivo. Tutte
le condizioni per la costituzione devono preesistere alla redazione dell’atto costitutivo da
parte del notaio. Fanno eccezione alcune autorizzazioni che per legge devono essere
rilasciate successivamente alla stipula dell’atto costitutivo.

Gli effetti della stipulazione dell’atto costitutivo.

La stipulazione dell’atto costitutivo non è di per sé sufficiente per la costituzione della


società per azioni. Produce tuttavia una serie di effetti immediati e preliminari.
I contraenti restano vincolati dalla dichiarazione di costituire la società e non possono ritirare
il loro consenso, se validamente espresso, fin quando non risulti che alla costituzione della
società non si può addivenire per fatti estranei alla loro volontà.
I sottoscrittori hanno diritto di rientrare in possesso delle somme versate se la società non è
iscritta nel registro delle imprese, entro 90 giorni dalla stipulazione dell’atto costitutivo o dal
successivo rilascio delle prescritte autorizzazioni. Decorso tale termine l’atto costitutivo
perde la sua efficacia. Con la stipulazione dell’atto sorge l’obbligo per il notaio che l’ha
ricevuto di depositarlo presso l’ufficio del registro delle imprese.

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Il controllo notarile.

Con il deposito dell’atto costitutivo comincia la seconda fase del procedimento di


costituzione: il giudizio di omologazione da parte del tribunale, al quale spetta il compito di
verificare “l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge per la costituzione della
società” (Controllo di legalità, ossia non solo formale ma anche sostanziale). Il controllo da
parte del tribunale è stato sospeso nel novembre del 2000, per motivi di semplificazione, ed
è stato affidato al notaio in sede di costituzione dell’atto.

Iscrizione nel registro delle imprese.

Se ritiene che sussistano le condizioni di legge, il notaio redige l’atto costitutivo e,


contestualmente al deposito dello stesso e degli allegati, richiede l’iscrizione della società
nel registro delle imprese entro 20 giorni. L’ufficio del registro delle imprese, a sua volta,
prima di procedere all’iscrizione può e deve verificare solo la regolarità formale della
documentazione ricevuta. L’iscrizione nel registro delle imprese determina il completamento
della fattispecie costitutiva della società per azioni. Con l’iscrizione si acquista la personalità
giuridica, e la società viene ad esistenza.

Le operazioni compiute prima dell’iscrizione.

Può verificarsi che fra la stipulazione dell’atto costitutivo e l’iscrizione nel registro delle
imprese, vengano compiute operazione in nome della costituenda società, perché rese
necessarie dallo stesso procedimento di costituzione (es. spese notarili), o per dare sollecito
all’avvio dell’attività di impresa. È innanzitutto stabilito che “per le operazioni compiute in
nome della società prima dell’iscrizione sono illimitatamente e solidalmente responsabili
verso i terzi coloro che hanno agito” (art.2331). L’emissione delle azioni prima dell’iscrizione
è vietata.
Sufficientemente delineata è anche la posizione della società rispetto alle obbligazioni
assunto in suo nome, una volta perfezionatosi il procedimento di costituzione. La società
resta automaticamente vincolata solo se le operazioni compiute in suo nome erano
necessarie per la costituzione, e purché l’atto costitutivo l’abbia espressamente previsto. La
società è invece libera di accollarsi o meno le obbligazioni derivanti da operazioni non
necessarie per la costituzione.
Può verificarsi che il procedimento di costituzione non giunga a compimento perché
l’iscrizione viene rifiutata. In tal caso i promotori non hanno alcuna rivalsa verso i
sottoscrittori delle azioni per le spese sostenute per la costituzione.

La nullità della società per azioni.

Il procedimento di costituzione della società per azioni ed in particolare l'atto costitutivo


possono presentare vizi e anomalie. Prima della registrazione vi è solo contratto di società:
un atto di autonomia privata che per il momento è destinato a produrre effetti solo fra le parti
contraenti.
Tale contratto può essere dichiarato nullo o annullato nei casi e con gli effetti previsti dalla
disciplina generale dei contratti (art. 1418 ss).
La situazione muta invece radicalmente dopo l'iscrizione della società nel registro delle
imprese.
Se prima esisteva solo contratto invalido o procedimento viziato, dopo esiste invece una
società, sia pure invalidamente riconosciuta.

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Cause di nullità: intervenuta l'iscrizione nel registro delle imprese, la società per azioni può
essere dichiarata nulla solo in tre casi tassativamente elencati:
- mancata stipulazione dell'atto costitutivo nella forma dell'atto pubblico;
- illiceità dell'oggetto sociale, in base all’attività specificata nell’atto costitutivo e non
sull’attività realmente svolta dalla società;
- mancanza dell'atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della
società, o i conferimenti, l'ammontare del capitale sociale o l'oggetto sociale.
Non costituiscono più cause di nullità della società: la mancanza dell'atto costitutivo;
l'incapacità di tutti i soggetti fondatori; la mancanza della pluralità dei fondatori; il mancato
versamento iniziale dei conferimenti in danaro.
La dichiarazione di nullità di un contratto ha effetto retroattivo e travolge in linea di principio
tutti gli effetti prodotti. Invece, la dichiarazione di nullità della società per azioni "non
pregiudica l'efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l'iscrizione nel registro
delle imprese" (art. 2332). La dichiarazione di nullità non tocca minimamente l'attività
svolta. Opera solo per il futuro ed opera come semplice causa di scioglimento della società,
che si differenzia dalle caso di scioglimento della società valida solo perché i liquidatori
sono nominati direttamente dal tribunale con la sentenza che dichiara la nullità (art. 2332)
ed il cui dispositivo deve essere iscritto nel registro delle imprese. Per il resto trova
applicazione il normale procedimento di liquidazione della società per azioni. Mentre la
nullità di un contratto è insanabile (art. 1423), la nullità della società iscritta "non può essere
dichiarata quando la causa di essa è stata eliminata e di tale eliminazione è stata data
pubblicità con iscrizione nel registro delle imprese" (art. 2332), prima che sia intervenuta la
sentenza dichiarativa della nullità. Quindi, la nullità della società è sanabile con una
semplice modifica dell’atto costitutivo deliberata a maggioranza dall’assemblea straordinaria
per sanare l’illiceità dell’oggetto sociale. L'azione di nullità è imprescrittibile (art. 1422). La
nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio
dal giudice (art. 1421).

LA SOCIETA’ PER AZIONI UNIPERSONALE. I PATRIMONI DESTINATI.

La società per azioni unipersonale.

Il codice del 1942 vietava la costituzione di una società per azioni da parte di una singola
persona e sanciva la nullità della società in mancanza di pluralità di soci fondatori. Stabiliva
inoltre la responsabilità illimitata del socio nelle cui mani si concentravano tutte le azioni nel
corso della vita della società, in caso di insolvenza di quest'ultima (art. 2362). Identici
principi erano dettati anche per le società a responsabilità limitata (SRL).
La riforma del 2003 ha provveduto a ridefinire anche la disciplina della SRL unipersonale.
Infatti, in base all'attuale disciplina:
- è consentita la costituzione della società per azioni con atto unilaterale di un unico socio
fondatore (art. 2328);
- anche nella società per azioni unipersonale per le obbligazioni sociali di regola risponde
solo la società col proprio patrimonio, salvo altri casi eccezionali.
L'unico socio fondatore risponde in solido con coloro che hanno agito, per le operazioni
compiute in nome della società prima dell'iscrizione nel registro delle imprese (art.2331).
Sia in sede di costituzione della società, sia in sede di aumento del capitale sociale, l'unico
socio è tenuto infatti a versare integralmente, al momento della sottoscrizione, i conferimenti
in danaro. Se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere
effettuati entro 90 giorni (art. 2342).
Per consentire ai terzi di conoscere agevolmente se la società è unipersonale, negli atti e
nella corrispondenza della società deve essere indicato se questa ha unico socio. Per

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consentire l'agevole identificazione dell'unico socio, i dati anagrafici dello stesso, devono
essere iscritti nel registro delle imprese a cura degli amministratori (art. 2362).
L’omissione di tale pubblicità impedisce che operi per l’unico socio il beneficio della
responsabilità limitata.
Una particolare disciplina è stata introdotta per assicurare maggiore trasparenza ai rapporti
che intercorrono fra società ed unico socio. Si stabilisce infatti che i contratti fra società ed
unico socio e operazioni a favore dello stesso sono opponibili ai creditori della società solo
se risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o
da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento (art. 2362). Per quanto riguarda il
regime di responsabilità per le obbligazioni sociali, oggi per la società per azioni
unipersonale vale la regola opposta rispetto a quella dettata dal codice del 1942: l'unico
socio non incorre in responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali. Sono tuttavia previste
due eccezioni ( art. 2325) che comportano, in caso di insolvenza della società, la
responsabilità illimitata dell'unico socio per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui
tutte le azioni sono allo stesso appartenute:
- l'unico socio risponde illimitatamente quando non sia osservata la disciplina dell'integrale
liberazione dei conferimenti;
- l'unico socio risponde inoltre fino a quando non sia stata attuata la specifica pubblicità
dettata per la SPA unipersonale dall'art. 2362. In entrambi i casi la responsabilità illimitata
dell’unico azionista ha carattere sussidiario, in quanto può essere fatta valere dai creditori
solo in caso di insolvenza della società.
La responsabilità illimitata viene meno per le obbligazioni sociali sorte dopo che i
conferimenti sono stati eseguiti o dopo che la pubblicità è stata effettuata. Con la riforma del
2003 sono stati soppressi gli altri due casi di perdita del beneficio della responsabilità
limitata previsti dalla disciplina del 1993: unico socio che sia una persona giuridica ed unico
socio che sia socio unico di altra società di capitali.

I patrimoni destinati.

La creazione di società unipersonali consente di limitare il rischio di impresa attraverso la


moltiplicazione formale dei soggetti cui i relativi diritti e le relative obbligazioni sono
imputabili. La riforma del 2003 offre alle società per azioni una nuova tecnica per limitare il
rischio di impresa: quella dei patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447).
Una tecnica che consente di evitare la moltiplicazione formale delle società e relativi costi; e
permette di raggiungere risultati sostanzialmente identici operando direttamente sul
patrimonio dell'impresa societaria. L'attuale disciplina offre due modelli di patrimoni
destinati:
-la società per azioni può costituire uno più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via
esclusiva ad uno specifico affare, sia pure entro i limiti del 10% del proprio patrimonio netto
e purché non si tratti di affari attinenti ad attività riservate in base leggi speciali, detti
patrimoni destinati operativi;
-la società può inoltre stipulare con terzi un contratto di finanziamento di uno specifico
affare, pattuendo che al rimborso totale o parziale del finanziamento siano destinati i
provenienti dell'affare stesso o parte di essi, finanziamento destinato.

Patrimoni destinati c.d. operativi.

La costituzione di un patrimonio destinato avviene con apposita deliberazione adottata


dall’organo amministrativo. La delibera costitutiva deve contenere le indicazioni fissate
dall’art. 2447, cioè:
- l’affare al quale è destinato il patrimonio
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- i beni e i rapporti giuridici compresi nel patrimonio separato


- il patrimonio separato può essere incrementato da apporti di terzi: in questo caso la
delibera costitutiva deve indicare le modalità di controllo sulla gestione e di
partecipazione ai risultati dell’affare
- infine la delibera di costituzione deve indicare le regole di rendicontazione dello specifico
affare, e deve nominare un revisore legale per la revisione dei conti dell’affare, sempreché
la società non sia già assoggettata alla revisione legale.
La deliberazione deve essere verbalizzata da un notaio ed è soggetta ad iscrizione nel
registro delle imprese. Su di essa si effettua il controllo notarile con le modalità previste per
la modificazione dell’atto costitutivo. Diventa però produttiva di effetti solo dopo che siano
decorsi due mesi dall'iscrizione. Decorso tale termine si producono gli effetti della
separazione patrimoniale (art. 2447). Perché la separazione patrimoniale operi è necessario
che gli atti compiuti in relazione allo specifico affare rechino espressa menzione del vincolo
di destinazione. In mancanza ne risponde la società con il suo patrimonio generale. Il
vincolo di destinazione riguardante beni immobili o mobili registrati deve essere trascritto
nei rispettivi registri. Per i patrimoni destinati devono essere tenuti libri e scritture contabili
separati e, nel bilancio della società dovranno essere distintamente indicati beni e rapporti di
ciascun patrimonio. Realizzato l’affare gli amministratori redigono un rendiconto finale che
deve essere depositato presso ufficio del registro delle imprese. Se permangono creditori
insoddisfatti questi possono chiedere la liquidazione del patrimonio destinato. Se, invece,
non vi sono creditori che chiedono la liquidazione, cessa il vincolo di destinazione e i beni e
i rapporti del patrimonio destinato confluiscono in quello generale.

I finanziamenti destinati.

Il contratto di finanziamento di uno specifico affare deve indicare gli elementi essenziali
dell'operazione, che consentono di individuarne lo specifico oggetto, le modalità ed i tempi
di realizzazione, nonché i costi e i ricavi previsti. Inoltre, deve specificare i beni strumentali
necessari per la realizzazione e il relativo piano finanziario indicando la parte coperta dal
finanziamento e quella a carico della società. Dovrà indicare anche le eventuali garanzie
che quest'ultima offre per il rimborso, però solo di una parte, del finanziamento. È necessario
tuttavia che copia del contratto sia stata iscritta nel registro delle imprese. Il finanziamento
viene rimborsato dai proventi generati dall’affare nel tempo massimo indicato dal contratto.
Decorso tale periodo, nulla più è dovuto al finanziatore. Il patrimonio separato è formato dai
proventi dell’affare, dai relativi frutti e dagli investimenti. Adempiuti i requisiti pubblicitari e
contabili, i creditori della società non possono più esercitare azioni sui beni oggetto di
separazione patrimoniale. Quindi, possono solo esercitare sugli stessi azioni conservative
sino al rimborso del finanziamento o alla scadenza del termine massimo fissato in contratto.

I CONFERIMENTI.

Conferimenti e capitale sociale.

I conferimenti costituiscono i contributi dei soci alla formazione del patrimonio iniziale della
società; la loro funzione essenziale è quella di dotare la società del capitale di rischio
iniziale per lo svolgimento dell'attività di impresa (c.d. funzione produttiva dei conferimenti).
Il valore in danaro del complesso dei conferimenti promossi dai soci costituisce il capitale
sociale nominale da società. La disciplina è ispirata da una duplice finalità:
- quella di garantire che i conferimenti promossi dei soci vengano effettivamente acquisiti
dalla società;
- quella ulteriore di garantire che il valore assegnato dei soci conferimenti sia veritiero.
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Ne consegue che ai soci debba essere assegnato un numero di azioni proporzionale alla
quota del capitale sottoscritto e per un valore non superiore a quello del suo conferimento.
Ciò che è necessario e sufficiente è che il valore globale delle azioni non sia inferiore al
capitale sottoscritto, ma non è necessario che la ripartizione delle azioni tra i soci sia
proporzionale al conferimento di ciascuno.

I conferimenti in danaro.

Nella società per azioni i conferimenti devono essere effettuati in danaro se nell'atto
costitutivo non è stabilito diversamente (art. 2342). E' disposto l'obbligo di versamento
immediato presso una banca di almeno il 25% dei conferimenti in denaro o dell'intero
ammontare se si tratta di società unipersonale (art. 2342).
Costituita la società, gli amministratori sono liberi di chiedere in ogni momento ai soci i
versamenti ancora dovuti. Né sono tenuti a rispettare eventuali termini stabiliti nell'atto
costitutivo. Le azioni non interamente liberate sono trasferibili, ma devono essere
necessariamente nominative e dal titolo deve risultare i versamenti ancora dovuti. In caso di
trasferimento delle azioni l’obbligo di versamento dei conferimenti residui grava sia sul socio
attuale che sul socio alienante. La responsabilità dell'alienante è però limitata nel tempo ed
ha carattere sussidiario. Permane infatti solo per il periodo di tre anni dall'iscrizione del
trasferimento del libro dei soci. Il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di
voto. La società può avvalersi di una procedura di vendita coattiva delle azioni del socio
moroso, previa pubblicazione di una diffida sulla Gazzetta Ufficiale. Se la vendita coattiva
non ha esito, gli amministratori possono escludere il socio della società, trattenendo i
conferimenti già versati e salvo il risarcimento dei maggiori danni. Le azioni del socio
escluso entrano a far parte del patrimonio della società e questa può ancora tentare di
rimetterle in circolazione entro l'esercizio. Se anche questa possibilità è vana, la società deve
annullare le azioni rimaste invendute e ridurre il capitale sociale.

I conferimenti diversi dal danaro.

Non ogni entità economica diversa dal denaro può essere conferita in società per azioni o
può formare oggetto di conferimento imputabile al capitale sociale. È espressamente stabilito
"che non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi" (art.
2342), in quanto è difficile dare una valutazione oggettiva ed attendibile di tali prestazioni.
Perciò, le prestazioni d’opera possono formare oggetto solo di prestazioni accessorie distinte
dai conferimenti. Limitazioni sono poi state introdotte anche per quanto riguarda i
conferimenti dei beni in natura e dei crediti, ai quali si applicano comunque principi già
esposti per le società di persone quanto alla garanzia cui è tenuto il socio conferente ed al
passaggio dei rischi. Il terzo comma dell'attuale art. 2342 dispone che " le azioni
corrispondenti a tali conferimenti devono essere interamente liberate al momento della
sottoscrizione". Il socio deve porre in essere tutti gli atti necessari affinché la società acquisti
la titolarità e la piena disponibilità del bene conferito, una volta che sia venuta ad esistenza
con il completamento del procedimento di costituzione. È invece da ritenersi ammissibile il
conferimento di diritti di godimento, dato che la società acquista col consenso del
conferente l'effettiva disponibilità del bene ed è in grado di trarne tutte le utilità. Funzione
primaria dei conferimenti è quella di dotare la società dei mezzi utili per lo svolgimento
dell'attività produttiva, non invece anche quella di formare un patrimonio aggredibile dai
creditori (c.d. funzione di garanzia).

La valutazione.

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I conferimenti diversi dal denaro devono formare oggetto di uno specifico procedimento di
valutazione regolato dall'art. 2343 (parzialmente modificato della riforma del 2003), per
garantire una valutazione oggettiva e veritiera di tali conferimenti e per evitare che agli stessi
venga attribuito un valore nominale superiore a quella reale.
Il procedimento di valutazione si articola in più fasi. Chi conferisce beni in natura o crediti
deve presentare una relazione giurata di stima di un esperto designato dal tribunale. La stima
deve contenere una serie di indicazioni e in particolare deve attestare che " il loro valore è
almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e
dell'eventuale sovrapprezzo". La relazione deve essere legata all'atto costitutivo e depositata
presso l'ufficio del registro delle imprese.
Il valore assegnato in base alla relazione di stima ha carattere provvisorio. Entro sei mesi
dalla costruzione della società, gli amministratori devono controllare le valutazioni
contenute nella relazione di stima e devono, eventualmente, procedere alla revisione della
stima. Nel frattempo le azioni corrispondenti sono inalienabili. Se dalla revisione risulta che
il valore dei beni o dei crediti conferiti è inferiore di oltre un quinto rispetto a quello per cui
avvenne il conferimento, la società deve ridurre proporzionalmente il capitale sociale e
annullare le azioni scoperte. Il socio, per non vedere ridurre la propria partecipazione, potrà
versare la differenza in danaro oppure potrà recedere dalla società. In caso di recesso, il
socio avrà diritto alla restituzione del bene in natura, qualora sia possibile. I risultati della
revisione devono essere comunicati al socio.

Gli acquisti potenzialmente pericolosi.

L'obbligo di assoggettare a stima i conferimenti in natura poteva essere in passato eluso


attraverso un semplice espediente. Chi intendeva conferire un bene in natura figura nell'atto
costitutivo con un socio che si era obbligato a conferire denaro; appena costituita la società
vendeva alla stessa il bene, per un importo corrispondente alla somma dovuta a titolo di
conferimento, con la conseguenza che il suo debito di apporto si estingueva per
compensazione. Questo pericolo è però oggi neutralizzato dall'art.2343. In base a tale
disposizione, l'acquisto da parte della società di beni o crediti dai promotori, dai fondatori,
dei soci attuali o dagli amministratori necessitano della preventiva autorizzazione
dell'assemblea ordinaria e l'alienante deve presentare una relazione giurata di stima di un
esperto designato dal tribunale quando:
- il corrispettivo pattuito è pari o superiore al decimo del capitale sociale;
- l'acquisto è compiuto nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle imprese.
Sono tuttavia esenti da tale disciplina "gli acquisti che siano effettuati in condizioni
normali nell'ambito delle operazioni correnti della società".

Le prestazioni accessorie.

Oltre all'obbligo di conferimenti, l'atto costitutivo può prevedere l'obbligo dei soci di
eseguire prestazioni accessorie non consistenti, determinandone anche contenuto, durata,
modalità e compenso (art. 2345). Le prestazioni accessorie costituiscono un utile strumento
per vincolare stabilmente soci ad effettuare a favore della società prestazioni che non
possono formare oggetto di conferimento. Le azioni con prestazioni accessorie devono
essere nominate e non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori, dato che il
trasferimento delle azioni comporta anche il trasferimento in testa all'acquirente dell'obbligo
di esecuzione delle prestazioni accessorie. Salvo diversa clausola statuarie, tali obblighi
possono essere modificati con il consenso di tutti soci.

CAPITOLO 5: LE AZIONI
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Nozioni e caratteri.

Le azioni sono le quote di partecipazione dei soci nella società per azioni. Sono quote di
partecipazione omogenee e standardizzate, liberamente trasferibili e di regola rappresentate
da documenti (titoli azionari) che circolano secondo la disciplina dei titoli di credito. Nella
società per azioni il capitale sociale sottoscritto è diviso in un numero predeterminato di
parti di identico ammontare, ciascuna delle quali costituisce un’azione ed attribuisce identici
diritti nella società e verso la società. La singola azione rappresenta l'unità minima di
partecipazione al capitale sociale e l'unità di misura dei diritti sociali. È perciò indivisibile.
Se più soggetti diventano titolari di un’unica azione devono nominare un rappresentante
comune per l'esercizio dei diritti verso la società (art. 2347). Uguaglianza di valore e di
diritti, indivisibilità, autonomia e circolazione in forma cartolare sono i caratteri tipizzati le
azioni.

AZIONI E CAPITALE SOCIALE.

Il valore delle azioni.

Le azioni devono essere tutte di eguale valore (art. 2348); devono cioè tutte rappresentare
una identica frazione del capitale sociale nominale.
E si definisce valore nominale delle azioni la parte del capitale sociale da ciascuna
rappresentata espressa in cifra monetaria. Non è consentito emettere contemporaneamente
azioni con e senza valore nominale (art. 2346).
Nelle azioni senza valore nominale lo statuto deve indicare non solo il capitale sottoscritto
ma anche il valore nominale di ogni azione e il numero complessivo delle azioni emesse,
fermo restando che anche azioni senza valore nominale sono frazioni uguali del capitale
sociale. In tal caso la partecipazione al capitale del singolo azionista sarà espressa in una
percentuale del numero complessivo delle azioni emesse.
Per tutte le azioni (con e senza valore nominale) vale la regola che in nessun caso il valore
complessivo dei conferimenti può essere inferiore all'ammontare globale del capitale sociale
(art. 2346). Le azioni possono essere emesse per somma superiore al valore nominale
(emissione con sovrapprezzo). L'emissione con sovrapprezzo è obbligatoria quando venga
escluso o limitato il diritto di opzione degli azionisti sulle azioni di nuova emissione (art.
2441) e il valore reale delle azioni sia superiore a quello nominale.
Il valore di emissione delle azioni va infatti tenuto distinto dal valore reale delle stesse, che si
ottiene dividendo il patrimonio netto della società per il numero di azioni (c.d. valore di
bilancio).
Diverso ancora è il valore di mercato delle azioni, che risulta giornalmente dei listini ufficiali
quando le azioni sono ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato (borsa valori).
Esso indica il prezzo di scambio delle azioni in quel determinato giorno. L'andamento delle
quotazioni di borsa esprime il valore effettivo delle azioni meglio del valore di bilancio.

L’indivisibilità delle azioni.

L’azione è l’unità minima di partecipazione e ad essa corrisponde un complesso unitario e


non frazionabile di diritti e poteri sociali. Le azioni sono perciò indivisibili (art. 2347).
Se più soggetti diventano titolari di un’unica azione si instaura fra gli stessi una situazione di
comproprietà indivisa. L’art. 2347 stabilisce che i diritti dei comproprietari verso la società
devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato in base agli artt. 1105 e
1106. Se il rappresentante non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte
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dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti. L’esercizio dei
diritti sociali è precluso ove non si provveda alla nomina del rappresentante. In ogni caso, i
comproprietari rispondono solidalmente verso la società delle obbligazioni da essa derivanti
e quindi per il versamento dei conferimenti ancora dovuti.

Frazionamento e raggruppamento di azioni.

Nelle azioni con indicazione del valore nominale l’indivisibilità delle azioni non impedisce
che la società, con delibera di modifica dell’atto costitutivo, possa frazionare le azioni,
riducendone il valore nominale (ad esempio si può deliberare di sostituire ogni azione da
dieci euro con dieci azioni da un euro).
È possibile anche l’operazione inversa, ossia il raggruppamento delle azioni attraverso
l’aumento del loro valore nominale. Il raggruppamento con resti è legittimo quando è
conseguenza di altra operazione necessaria (ad esempio riduzione del capitale sociale per
perdite con discesa del valore nominale a cifra frazionaria) o che sarebbe impedita o
gravemente ostacolata qualora non si desse luogo alla formazione di resti (es. fusione).
Invalidità della delibera si avrà pertanto solo quando il raggruppamento risulta predisposto al
solo fine di pregiudicare i singoli azionisti. Non si pongono questi problemi se la società ha
emesso azioni senza indicazione del valore nominale.

LA PARTECIPAZIONE AZIONARIA.

L’uguaglianza dei diritti.

Ogni azione costituisce una partecipazione sociale ed attribuisce al suo titolare un


complesso unitario di diritti e poteri di natura amministrativa (esempio diritto di voto ed
intervento nelle assemblee), di natura patrimoniale (diritto agli utili), ed anche a contenuto
complesso amministrativo e patrimoniale (diritto d’opzione, recesso).
Due peculiari caratteristiche del rapporto di partecipazione sono: eguaglianza dei diritti e
autonomia delle azioni.
Le azioni, infatti, " conferiscono ai loro possessori uguali diritti" (art. 2348).
Si tratta di uguaglianza relativa e non assoluta e inoltre di eguaglianza oggettiva e non
soggettiva. L' uguaglianza è relativa in quanto è possibile creare " categorie di azioni fornite
di diritti diversi" (art. 2348), ma l’uguaglianza deve essere rispettata nell’ambito della stessa
categoria. L' uguaglianza è poi oggettiva e non soggettiva.
Uguali sono i diritti che ogni azione attribuisce, non i diritti di cui ciascun azionista
globalmente dispone, dovendosi al riguardo tener conto anche del numero delle azioni di
cui ciascuno è titolare.
Dalla posizione soggettiva dell’azione, i diritti sociali possono essere distinti in tre categorie
diverse:
- diritti indipendenti dal numero di azioni possedute (es. diritto di denuncia al collegio
sindacale);
- diritti che competono solo se si possiede una determinata percentuale di capitale sociale
(diritto a chiedere l’assemblea; il diritto di ottenere che il collegio sindacali indaghi sui
fatti denunciati);
- diritti che spettano ad ogni azionista in proporzione del numero delle azioni possedute
(diritto di voto; diritto agli utili ed alla quota di liquidazione).
Ed è proprio con riferimento a questi diritti che si coglie la situazione di disuguaglianza
soggettiva degli azionisti. Disuguaglianze soggettive perfettamente legittime e giuste, perché
su di esse si fonda l'ordinato funzionamento di un organismo economico a base capitalistica.
In esse si esprime infatti l'essenza del principio cardine delle società di capitali: chi ha una

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maggiore partecipazione al capitale e più rischia, ha più potere e può imporre, nel rispetto
della legalità, la propria volontà alla minoranza.
Quando entrano in gioco interessi pubblici di particolare rilevanza, il legislatore introduce (o
consente l’introduzione statutaria di) deroghe al principio capitalistico, con il riconoscimento
allo Stato o ad enti pubblici di poteri societari svincolanti dall’ammontare della
partecipazione azionaria o addirittura dalla qualità stessa di azionista.

Unità ed autonomia delle partecipazioni azionarie.

L’azionista può sottoscrivere od acquistare più azioni ed in tal caso diventa titolare di una
pluralità di partecipazioni azionarie. E’ questo il principio dell’autonomia delle azioni.
L’azionista può, così, disporre in modo autonomo e separato delle azioni possedute (anche
all’interno della società). L’azionista potrà esercitare il voto per alcune azioni e non per altre,
oppure potrà votare con alcune personalmente e con altre tramite rappresentanti.
Voto divergente: voto espresso con alcune azioni a favore ed altre contro la stessa delibera.
Un esercizio necessariamente unitario è invece inevitabile per quei diritti che spettano
all’azionista in quanto tale, indipendentemente dal numero di azioni possedute. E’ da
escludersi che il socio possa intervenire in assemblea solo per una parte delle azioni da lui
posseduto.

Le categorie speciali di azioni.

Sono categorie speciali di azioni quelle fornite di diritti diversi da quelli tipici previsti dalla
disciplina legale. Le azioni speciali si contrappongono perciò alle azioni ordinarie. Esse
possono essere create con lo statuto o con la successiva modificazione dello stesso. Se
esistono diverse categorie di azioni, le deliberazioni dell'assemblea che pregiudicano i diritti
di una di esse devono essere approvate anche dall'assemblea speciale della categoria
interessata. Alle assemblee speciali si applica la disciplina delle assemblee straordinarie (art.
2376). Se, invece, le azioni speciali sono quotate si applica la disciplina dell’organizzazione
degli azionisti di risparmio.
La previsione normativa tutela gli azionisti di categoria come gruppo e non individualmente.
I diritti speciali di categoria si atteggiano come diritti di gruppo e non come diritti
individuali. La valutazione dell'interesse di tutti gli azionisti è quella degli interessi di
categoria prevalgono perciò sulla volontà individuale e rendono legittimo, nell'interesse
comune, il sacrificio dei diritti speciali originariamente attribuiti ad una determinata
categoria di soci. La delibera dell’assemblea di categoria è poi necessaria solo se vengono
pregiudicati i diritti di una determinata categoria di azioni, non quanto con delibera
assembleare vengono pregiudicati i diritti di tutti gli azionisti.
Il contenuto della partecipazione azionaria
Alcune categorie di azioni speciali sono espressamente previste e regolate dal legislatore. La
società gode tuttavia di ampia autonomia nel modellare il contenuto della partecipazione
azionaria, anche se con alcuni limiti.
Fra i limiti espressi permane, dopo la riforma del 2003, il divieto di emettere azioni a voto
plurimo (art. 2351) azioni cioè che attribuiscono ciascuna più di un voto. Con la riforma del
2003 tutte le società possono emettere azioni senza diritto di voto, in passato consentite solo
per le società quotate (azioni di risparmio) a partire dal 1974.
Nel contempo sono scomparse le azioni privilegiate a voto limitato e si consente a tutte le
società:
- la creazione di azioni " con diritto di voto limitato a particolari argomenti" (approvazione
del bilancio);

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- di azioni " con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non
meramente potestative” (azioni senza voto).
L'azione senza voto, a voto limitato e a voto condizionato non possono tuttavia superare
complessivamente la metà del capitale sociale, in modo da evitare una eccessiva
concentrazione di potere nelle mani degli azionisti a voto pieno.
Alle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è inoltre consentita
anche di prevedere che:
- il diritto di voto sia limitato ad una misura massima (ad esempio: fino al 10% del capitale
posseduto ogni azione attribuisce un voto, mentre per l’eccedenza non è riconosciuto
diritto di voto);
- si è introdotto il c.d. voto scalare (fino al 10% del capitale posseduto ogni azione
attribuisce un voto, dal 10 al 20 un voto ogni due azioni ecc..).
Con l'attuale disciplina è caduto per le società non quotate il principio che il voto può essere
escluso o limitato solo se le relative azioni sono assistite da privilegi patrimoniali. Resta
invece fermo il principio che possono essere emesse azioni privilegiate anche senza
limitazione dei diritti amministrativi (art. 2350).
Le azioni privilegiate sono azioni che attribuiscono ai loro titolari un diritto di preferenza
nella distribuzione degli utili e/o nel rimborso del capitale al momento dello scioglimento
della società. Col solo limite del divieto di patto leonino (art. 2265), la società è perciò libera
di articolare come preferisce il contenuto patrimoniale di tali azioni.
È altresì consentita l'emissione di azioni fornite diritti patrimoniali correlati ai risultati
dell’attività sociale di un determinato settore, anche quando non si danno vita a patrimoni
separati destinati solo ad uno specifico affare. Lo statuto deve tuttavia stabilire " i criteri di
individuazione dei costi e ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, i diritti
attribuiti a tali azioni, nonché le eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di
altra categoria" (art. 2350). In ogni caso, ai possessori di azioni correlate non possono essere
corrisposti dividendi in misura superiore agli utili risultanti dal bilancio generale della
società.

Le azioni di risparmio.

Le azioni di risparmio costituiscono, insieme alle azioni privilegiate a voto limitato previste
dalla disciplina previgente, la risposta ad un'esigenza unitaria: quella di incentivare
l'investimento in azioni offrendo ai risparmiatori titoli meglio rispondenti ai loro specifici
interessi. Titoli cioè che tengano conto del disinteresse degli stessi per l'esercizio dei diritti
amministrativi e del preminente rilievo attribuito invece al contenuto patrimoniale e alla
redditività dei titoli azionari. Nelle azioni di risparmio i diritti amministrativi sono
drasticamente ridimensionati, ossia sono prive del diritto di voto. Quindi, devono essere
privilegiate sotto l’aspetto patrimoniale.
A differenza delle altre azioni possono essere emesse al portatore, quindi essere anonime.
Le azioni di risparmio possono essere emesse solo da società le cui azioni ordinarie sono
quotati in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell'unione europea.
Le azioni risparmio sono prive del diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie.
Di esse perciò non si tiene conto per il calcolo dei relativi quorum costitutivi o deliberativi.
È da escludersi oggi che agli azionisti di risparmio possa essere riconosciuto il diritto di
intervento in assemblea e il diritto di impugnare le delibere assembleari invalide.
Le azioni di risparmio erano azioni privilegiate sotto il profilo patrimoniale, ma con la
riforma del 1998 è infatti stato cancellato la rigida disciplina legislativa dei privilegi
patrimoniali. L'attuale disciplina si limita infatti a stabilire che le azioni di risparmio sono
"dotate di particolari privilegi di natura patrimoniale" e che l'atto costitutivo "determina il
contenuto del privilegio, le condizioni, i limiti, le modalità e i termini per il suo

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esercizio" (art. 145). La disciplina delle azioni di risparmio è poi completata dalla previsione
di un’organizzazione di gruppo per la tutela degli interessi comuni.
Diritto d’opzione: in caso di aumento del capitale sociale a pagamento, i possessori di azioni
di risparmio hanno diritto di ricevere azioni di risparmio della stessa categoria ovvero, in
mancanza o per la differenza, nell’ordine, azioni di risparmio di altra categoria, azioni
privilegiate o azioni ordinarie. L'organizzazione si articola nell'assemblea speciale e nel
rappresentante comune.
L'assemblea delibera sugli oggetti di interesse comune e in particolare sull'approvazione
delle delibere dell'assemblea della società che pregiudicano i diritti degli azionisti di
risparmio e sulla transazione delle controversie con la società. Delibera, inoltre, sulla
nomina e sulla revoca del rappresentante comune e sull’azione di responsabilità nei suoi
confronti e infine, sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei
comuni interessi e sul relativo rendiconto.
Il rappresentante comune provvede all’esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea e tutela
gli interessi comuni degli azionisti di risparmio nei confronti della società. Gli è riconosciuto
il diritto di visionare il libro soci, il libro delle adunanze dell’assemblea generale, il diritto di
assistere alle assemblea della società e di impugnare le delibere. In ogni caso, il
rappresentante comune deve essere informato sulle operazioni societarie che possono
influenzare l’andamento delle quotazioni delle azioni di risparmio.

Le azioni a favore dei prestatori di lavoro.

L’interessamento dei lavoratori alla gestione e risultati della società è favorito sotto più profili
dal legislatore. L'art. 2349 consente l'assegnazione straordinaria di utili ai dipendenti delle
società o di società controllate da attuarsi mediante un articolato procedimento: gli utili sono
imputati a capitale e la società emette speciali categorie di azioni che vengono assegnate
gratuitamente ai prestatori di lavoro. Per tali azioni la società può stabilire " norme particolari
riguardo alla forma, al modo di trasferimento e ai diritti spettanti agli azionisti.
La società può poi escludere o limitare il diritto di opzioni degli azionisti sulle azioni a
pagamento di nuova emissione, per offrire le stesse in sottoscrizione ai dipendenti della
società o di società controllate o controllanti.
La società può infine assegnare, con delibera dell’assemblea straordinaria, ai propri
dipendenti o ai dipendenti di società controllate strumenti finanziari partecipativi diversi
dalle azioni. Nelle società ad azionariato diffuso si stanno affermando i piani di compensi
basati su azioni o strumenti finanziari a favore di amministratori e altri dirigenti. Le nuove
norme impongono che tali piani di compensi siano approvati dall’assemblea straordinaria. I
contenuti del piano devono essere resi pubblici almeno 15 giorni prima della loro
esecuzione e comunicati alla Consob e alle società di gestione del mercato.

Le azioni di godimento.

Le azioni di godimento (2353) costituiscono una categoria di azioni speciali la cui funzione
è quella di assicurare la parità di trattamento degli azionisti in occasione della riduzione
reale del capitale sociale (2445) attuata mediante sorteggio ed annullamento di un certo
numero di azioni dietro rimborso del solo valore nominale delle azioni stesse. Poiché il
valore reale delle azioni può essere notevolmente superiore a quello nominale, agli azionisti
rimborsati vengono rilasciati speciali titoli detti azioni di godimento. I titolari di tali azioni
partecipano alla ripartizione degli utili solo dopo che sia stato corrisposto alle altre azioni un
dividendo pari all’interesse legale sul valore nominale. Inoltre, partecipano alla liquidazione
dell’attivo solo dopo che le altre azioni siano state rimborsate nel loro valore nominale. Le

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azioni di godimento non danno diritto di voto, diritto di intervento nell’assemblea e di


impugnare le delibere assembleari invalide.

Azioni e strumenti finanziari partecipativi.

L'emissione degli strumenti finanziari partecipativi è stata prevista dalla riforma del 2003,
anche al fine di consentire l'acquisizione da parte di soci o di terzi di apporti patrimoniali
che non possono formare oggetto di conferimento e che perciò non sono imputabili al
capitale sociale, quali le prestazione di opera o di servizi (art. 2346), nonché come
alternativa alle azioni a favore dei prestatori di lavoro (art. 2349). A differenza delle azioni,
gli strumenti finanziari partecipativi non sono parti del capitale sociale.
Gli strumenti finanziari partecipativi non attribuiscono perciò la qualità di azionista e
presentano ampia elasticità per quanto riguarda i diritti propri delle azioni che possono
essere loro riconosciuti. Essi possono essere forniti solo di diritti patrimoniali o dei diritti
amministrativi, con esclusione però del diritto di voto nell'assemblea generale degli azionisti.
Lo statuto disciplina " modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le
sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di
circolazione".

LA CIRCOLAZIONE DELLE AZIONI.

I titoli azionari.

I titoli azionari sono i documenti che rappresentano le quote di partecipazione nelle società
per azioni non quotate, né diffuse fra il pubblico, e ne consentono il trasferimento secondo
le regole proprie dei titoli di credito.
La loro emissione nelle società non quotate non è essenziale, infatti lo statuto può escludere
l'emissione dei titoli azionari (art. 2346). In tal caso, la qualità di socio è provata
dall'iscrizione nel libro dei soci, e il trasferimento delle azioni resta assoggettato alla
disciplina della cessione del contratto in quanto applicabile ed ha effetto nei confronti delle
società dal momento dell'iscrizione nel libro dei soci (art. 2355).
Qualora emessi, i certificati azionari devono indicare:
- la denominazione e la sede della società;
- la data dell’atto costitutivo e della sua iscrizione, l’ufficio del registro in cui è depositato;
- il loro valore nominale, il numero complessivo delle azioni emesse, l’ammontare del
capitale sociale;
- l’ammontare dei versamenti parziali sulle azioni non interamente liberate;
- i diritti e gli obblighi ad esse inerenti.
Le azioni devono essere sottoscritte da uno degli amministratori. Le stesse regole seguono gli
eventuali certificati provvisori rilasciati ai soci in attesa dell’emissione dei titoli definitivi. I
certificati provvisori devono essere ritirati dalla società al momento del rilascio dei titoli
definitivi.
Ai titoli azionari è collegato un foglio cedole, costituito da un certo numero di tagliandi
contrassegnati dalla denominazione della società e numerati progressivamente. Le cedole
consentono di esercitare i diritti che maturano durante la vita della società, senza necessità
di esibire il titolo azionario. È sufficiente distaccare e consegnare alla società la cedola. Le
cedole sono di regola al portatore e possono formare oggetto di autonoma circolazione una
volta distaccate dal titolo principale, acquisendo così la natura di titoli di credito.

Azioni e titoli di credito.

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Le azioni non sono espressamente qualificate dal legislatore come titoli di credito, poiché
rientrano nella categoria dei titoli di credito casuali, sono cioè emessi solo in base ad un
determinato rapporto casuale e si caratterizzano, sul piano della disciplina, per la parziale
sensibilità del rapporto documentato dal titolo alle eccezioni desumibili dalla disciplina
legale del rapporto societario. I titoli azionari costituiscono veicolo necessario per il
trasferimento della partecipazione sociale e quindi ai titoli è applicabile il principio
dell’autonomia in sede di circolazione dei titoli di credito, fissato dall’art.1994. Vale a dire:
chi acquista in buona fede il possesso del titolo azionario, secondo le norme che ne regolano
la circolazione, non è soggetto a rivendicazione. Diventa cioè proprietario del titolo e
titolare della partecipazione azionaria nello stesso incorporata, quand’anche tale non fosse il
dante causa. Può perciò vittoriosamente respingere l’azione di rivendicazione del precedente
titolare che ha subito il furto del titolo azionario (funzione di trasferimento).
Il titolo azionario svolge anche una funzione di legittimazione nei rapporti interni
all’organizzazione societaria. Il possessore del titolo azionario, che si legittima nelle forme
previste dalla legge, può esercitare i diritti sociali senza essere tenuto a provare la proprietà
del titolo e la qualità di socio (funzione di legittimazione).
Tuttavia il titolo azionario non attribuisce un diritto letterale, un diritto cioè il cui contenuto è
determinato esclusivamente da quanto è scritto nel documento (letteralità incompleta).
La disciplina generale dei titoli di credito stabilisce che al terzo portatore del titolo non sono
opponibili le eccezioni personali ai precedenti possessori ed in particolare delle fondate sul
rapporto casule che ha dato luogo all’emissione del titolo (c.d. astrattezza del diritto
cartolare o autonomia in sede di emissione). Si ritiene che tale principio non possa trovare
applicazione ai titoli azionari, sacrificando l’esigenza di tutela dell’acquirente delle azioni a
salvaguardia dell’integrità del capitale sociale. Se ne deduce che:
- la società può opporre erga omnes eventuali vizi del procedimento di creazione delle
azioni
- la società può opporre al terzo acquirente l’intervenuto annullamento del titolo azionario
non risultante dal documento, come si verifica nel caso di duplicazione dei titoli per la
stessa partecipazione conseguente alla vendita coattiva
- la società può richiedere al terzo acquirente i versamenti dei conferimenti ancora dovuti,
anche se dal titolo non risulta che le azioni non sono interamente liberate
- la società può opporre le limitazioni statutarie alla circolazione delle azioni non risultanti
dal titolo.

Azioni nominative e azioni al portatore.

Le azioni possono essere nominative o al portatore a scelta dell'azionista (art. 2354, 1


comma). Ciò significa concedere il beneficio dell'anonimato all'investimento azionario,
rendere quest'ultimo fiscalmente competitivo rispetto ad altre forme di investimento. Il
sistema vigente è perciò il seguente: tutte le azioni devono essere nominative, salvo le azioni
di risparmio e quelle emesse dalle Sicav che, purché interamente liberate, possono essere
nominative o al portatore a scelta dell'azionista.

La legge di circolazione delle azioni.

Le azioni al portatore si trasferiscono con la consegna del titolo (art. 2355). Il possessore del
titolo è legittimato all’esercizio dei relativi diritti in base alla semplice presentazione del
titolo alla società.
Per le azioni nominative è invece dettata una specifica disciplina, che in larga parte riprende
e sviluppa la disciplina generale dei titoli di credito nominativi dettata dal codice (artt.
2021-2027). Le azioni nominative devono essere intestate al nome di una persona fisica o

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giuridica e l’intestazione deve risultare anche dal libro dei soci. Per il trasferimento dei titoli
azionari è perciò necessario il mutamento della doppia intestazione sul titolo e sul libro dei
soci e quindi la necessaria cooperazione della società emittente. La doppia annotazione può
avvenire secondo due tipi di procedure:
- il transfer, richiesto sia dall’alienante (il quale deve esibire il titolo e provare la propria
identità nonché la propria capacità di disporre) sia dall’acquirente (il quale deve esibire il
titolo e dimostrare il suo diritto, mediante atto con firma autenticata o atto pubblico), cioè
il cambiamento contestuale delle due intestazioni, sul titolo e sul libro soci, a cura della
società emittente; questa risulta essere più onerosa.
- il trasferimento mediante girata, sul titolo a cura dell’alienante e sul libro soci a cura della
società.
La girata deve contenere la data, il nome del giratario; deve essere sottoscritta dal girante e
dal giratario se si tratta di azioni non liberate. La girata deve essere autenticata da un notaio,
da un agente di cambio, da una banca a ciò autorizzata, o da una sim. La preventiva
annotazione nel libro dei soci non è più necessaria in quanto, Il giratario che si dimostra
possessore in base ad una serie continua di girate è legittimato ad esercitare tutti i diritti
sociali. Resta tuttavia l’obbligo della società di aggiornare il libro soci.
Nel trasferimento tramite girata, l’iscrizione nel libro dei soci non ha più efficacia
legittimante, ma solo informativa. Nel contempo la società è obbligata a comunicare
annualmente all’Agenzia delle entrate i nominativi degli azionisti che hanno riscosso
dividendi o partecipato alle assemblee. Molto più semplice è la circolazione delle azioni al
portatore, esse non sono intestate ad alcuna persona (titoli a legittimazione reale); il
trasferimento avviene mediante semplice consegna del titolo all’acquirente). Il possessore del
titolo è legittimato all’esercizio dei relativi diritti in base alla semplice presentazione del
titolo alla società.

Le azioni dematerializzate.

La circolazione delle azioni si fonda sul trasferimento materiale dei titoli e comporta, per le
azioni nominative, il compimento delle complesse formalità connesse alla duplice
annotazione. Da qui l’esigenza di semplificare il mercato dei titoli quotati in borsa attraverso
l’adozione di meccanismi di circolazione svincolati dal trasferimento materiale del
documento e basati su semplici registrazioni contabili. A tale finalità risponde nel nostro
ordinamento il sistema di gestione accentrata di strumenti finanziari, che ha le seguenti
caratteristiche essenziali:
-il sistema è gestito da apposite S.p.A. a statuto speciale che operano sotto il controllo della
Consob e della Banca d’Italia;
-le categorie di soggetti e gli strumenti finanziari ammessi alla gestione accentrata sono
determinati dalla Consob con proprio regolamento;
-le modalità di funzionamento del sistema di gestione accentrata varia a seconda che gli
strumenti finanziari siano o meno rappresentati da titoli, in base alla dematerializzazione
introdotta dal d.lgs. 213/1998.
Infatti, in base a tale decreto dal 5 ottobre 1998 non possono più essere rappresentati da
titoli e sono immessi nel sistema in regime di dematerializzazione due tipi di strumenti
(DEMATERIALIZZAZIONE OBBLIGATORIA):
-quelli negoziati o destinati alla negoziazione nei mercati regolamentati italiani;
-quelli diffusi fra il pubblico in misura rilevante, secondo i criteri della Consob.
Gli altri strumenti che non hanno tali caratteristiche sono liberi di dematerializzare o meno,
specificandolo nello statuto (DEMATERIALIZZAZIONE VOLONTARIA). Quindi, nel sistema di
gestione accentrata coesistono due sistemi: dematerializzata e non dematerializzata.

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Il sistema di gestione accentrata non dematerializzata si fonda sul deposito dei titoli azionari
presso la società di gestione (Monte Titoli SPA), e l’adesione è facoltativa per ogni azionista.
Questi può depositare i propri titoli presso un intermediario autorizzato con un contratto di
deposito titoli in amministrazione, che autorizza l’intermediario a subdepositarli presso la
società di gestione accentrata. Si determinano due tipi di rapporto di deposito fra loro
collegati.
Il deposito in gestione accentrata consente di sostituire la circolazione documentale dei titoli
depositati con una circolazione fondata su semplice scritture contabili, che producono
l’effetto proprio del trasferimento secondo la disciplina legislativa dei titoli di credito.
L’esercizio dei relativi diritti è svincolato dall’esibizione dei titoli custoditi dalla società di
gestione accentrata. Questa è infatti legittimata a compiere tutte le operazioni inerenti alla
gestione dei titoli, secondo le regole fissate dalla Consob, quali i diritti patrimoniali. Sono
invece riservati ai titolari delle azioni i diritti amministrativi, sulla base di una certificazione
non trasferibile rilasciata dall’intermediario sulla base delle proprie scritture contabili e
contenenti l’indicazione del diritto sociale esercitabile. Le certificazioni hanno la sola
funzione di legittimare all’esercizio dei diritti amministrativi in esse menzionati e sono nulli
gli atti di disposizione delle stesse.
La gestione accentrata di strumenti finanziari rappresentati da titoli, consente di sostituire la
tradizionale circolazione documentale delle azioni con una circolazione fondata su
registrazioni contabili (dematerializzazione della circolazione), ma non comporta la
soppressione materiale dei titoli (dematerializzazione totale).
Una vera e propria dematerializzazione con conseguente soppressione del documento
cartaceo è stata introdotta del d.lgs 213/1998. Oggi le azioni negoziate nei mercati
regolamentati italiani o diffuse fra il pubblico in modo rilevante non possono più essere
rappresentate dai titoli (dematerializzazione obbligatoria). L’emissione ed il trasferimento
delle azione de materializzate avviene esclusivamente attraverso il sistema di gestione
accentrata, con registrazioni contabili poste in essere secondo modalità analoghe a quelle
sopra esposte. Per le nuove emissioni de materializzate l’emittente si limita a comunicare alla
società di gestione accentrata prescelta l’ammontare globale dell’emissione, il suo
frazionamento e gli intermediari ai quali accreditare le azioni emesse. La società di gestione
accentrata apre un conto per ogni emittente.
Il trasferimento delle azioni de materializzate può essere fatto dai soli titolari solo tramite gli
intermediari autorizzati. Una volta concluso il trasferimento con la registrazione da parte
della società di gestione, gli intermediari dovranno a loro volta registrare lo stesso nel conto
del proprio cliente. “Colui che ha ottenuto la registrazione in suo favore, in base a titolo
idoneo e in buona fede, non è soggetto a pretese o azioni da parte dei 56 precedenti titolari”;
ed ha inoltre la legittimazione piena ed esclusiva ad esercitare i relativi diritti. L’intermediario
esercita in nome e per conto del titolare del conto i diritti patrimoniali relativi alle azioni de
materializzate. I diritti amministrativi sono esercitati dal titolare del conto.

I vincoli sulle azioni.

Le azioni possono essere costituite in usufrutto o impegno e possono inoltre formare oggetto
di misure cautelari ed esecutive. La costituzione in usufrutto o in pegno delle azioni
nominative avviene mediante annotazione del relativo vincolo sul titolo e nel libro soci, a
cura della società emittente. Salvo convenzione contraria, il diritto di voto compete al
creditore pignoratizio o all'usufruttuario. Essi dovranno comunque esercitarlo in modo da
non ledere gli interessi del socio, esponendo si altrimenti al risarcimento dei danni nei suoi
confronti. Nel caso di sequestro delle azioni il voto è esercitato dal custode. Gli altri diritti
amministrativi spettano invece disgiuntamente sia al socio sia al creditore pignoratizio o
all'usufruttuario. In caso di sequestro sono invece esercitati dal custode, salvo che dal
provvedimento del giudice non risulti diversamente (art.2352). Il diritto di opzione spetta
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invece al socio è l'attuale disciplina stabilisce che solo ad esso sono attribuite le nuove
azioni sottoscritte. Il socio deve tuttavia provvedere almeno tre giorni prima della scadenza
al versamento delle somme necessarie per l'esercizio del diritto di opzione. In mancanza, gli
altri soci possono offrire di acquistarlo. In caso di aumento gratuito del capitale, il pegno,
l'usufrutto o il sequestro si estendono alle azioni di nuova emissione. In caso di versamento
delle somme dovute sulle azioni non liberate si ha: in caso di pegno, è il socio che deve
provvedere al versamento; in caso di usufrutto è invece l'usufruttuario che deve provvedere
al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione di tale somma al termine dell'usufrutto.

Limiti alla circolazione delle azioni.

Le azioni sono in via di principio liberamente trasferibili. La libera trasferibilità è però esclusa
o limitata per legge nelle seguenti ipotesi:
- le azioni liberate con conferimenti diversi dal danaro non possono essere alienate prima
del controllo della valutazione
- le azioni con prestazioni accessorie e le azioni delle società fiduciarie e di revisione non
sono trasferibili senza il consenso del consiglio di amministrazione
- ulteriori limiti alla circolazione delle azioni sono poi previsti quando il trasferimento
riguardi partecipazioni rilevanti o di controllo
Dai limiti legati alla circolazione delle azioni vanno tenuti distinti i limiti convenzionati,
determinati da accordi intercorsi fra i soci. I limiti convenzionali possono essere statutari,
ossia previsti nell’atto costitutivo (hanno efficacia reale in quanto vincolano tutti i soci, anche
quelli futuri), o parasociali, ossia previsti da accordi esterni all’atto. I limiti parasociali
vengono anche definiti sindacati di blocco, ed hanno la funzione di evitare l’ingresso in
società di terzi non graditi. I sindacati di blocco hanno una durata determinata e vincolano
solo le parti contraenti. La loro violazione comporta solo un risarcimento del danno da parte
dell’inadempiente.
Le limitazioni statutarie possono assumere varie forme, le più diffuse sono:
- le clausole di prelazione: impone al socio che intenda vendere le azioni, di offrirle
preventivamente agli altri soci e di preferirli a terzi a parità di condizioni.
- le clausole di gradimento: possono essere a loro volta distinte in due sottocategorie:
- clausole che richiedono il possesso di determinati requisiti da parte dell’acquirente (ad es.
cittadinanza italiana, appartenenza a date categorie professionali…)
- clausole che subordinano il trasferimento delle azioni al consenso (placet) di un organo
sociale, quasi sempre costituito dal consiglio di amministrazione
- le clausole di riscatto: l'introduzione di clausole statutarie che prevedono potere di riscatto
delle azioni da parte della società o dei soci al verificarsi di determinati eventi (ad es. in
caso di morte dell'azionista al fine di evitare che subentrino gli eredi, di mancata
esecuzione delle prestazioni accessorie cui il socio si è obbligato).
Le clausole statutarie limitative della circolazione possono essere introdotte o rimosse nel
corso della vita della società con delibera dell'assemblea straordinaria. Se lo statuto non
dispone diversamente, è riconosciuto diritto di recesso ai soci che non hanno concorso
all'approvazione della delibera (art. 2437).

LE OPERAZIONI DELLA SOCIETÀ SULLE PROPRIE AZIONI.

L’incorporazione delle partecipazioni azionarie in titoli di credito rende tecnicamente


possibile il compimento da parte di una società di operazioni aventi ad oggetto le proprie
azioni ed in particolare la loro sottoscrizione o compravendita.
Queste operazioni sono però pericolose per l’integrità del capitale sociale (potendo dar
luogo all’elusione dell’obbligo di conferimento o del divieto di restituzione anticipata dei

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conferimenti eseguiti), per il corretto funzionamento dell’organizzazione societaria (per la


massa dei diritti di voto di cui glia amministratori ed il gruppo di comando verrebbero così a
disporre a spese del patrimonio sociale), ed infine pericolose per il mercato dei titoli
(potendo dar luogo a manovre speculative volte ad alterare le quotazioni delle azioni).
Per tutti questi motivi le operazioni della società sulle proprie azioni sono considerate con
estremo sfavore dal legislatore e sono in linea di principio vietate: è questa la linea fissata dal
codice del 1942 e ribadita dalla riforma del 2003. Attualmente sono 3 le situazioni regolate:
sottoscrizione, acquisto delle proprie azioni ed altre operazioni sulle stesse.

La sottoscrizione.

La società non può sottoscrivere le proprie azioni. Il divieto ha carattere assoluto e non soffre
eccezioni. Opera in sede di costituzione della società o in sede di aumento del capitale
sociale. Il divieto colpisce sia la sottoscrizione diretta (compiuta in nome della società), sia la
sottoscrizione indiretta (compiuta da terzi in nome proprio ma per conto della società). La
sanzione per la violazione del divieto di auto-sottoscrizione non è la nullità della
sottoscrizione, ma le azioni si intendono sottoscritte e devono essere liberate dai soggetti che
materialmente hanno violato il divieto. In caso di sottoscrizione diretta, le azioni si
intendono sottoscritte e devono essere liberate dai promotori e dei soci fondatori. Nel caso di
sottoscrizione indiretta, invece è il terzo che ha sottoscritto le azioni ed è lui obbligato ad
eseguire i conferimenti, senza possibilità di rivalsa sulla società.

L’acquisto di azioni proprie.

Anche questa operazione è esposta ai rischi citati in precedenza, in particolare, può dar
luogo ad una riduzione del capitale reale senza l’osservanza della relativa disciplina (art.
2445).
Tuttavia l’acquisto di azione proprie può costituire una proficua forma di investimento delle
eccedenze patrimoniali disponibili della società, inoltre se la società è quotata in borsa,
l’acquisto e la vendita di azioni proprie è un mezzo per stabilizzare le quotazioni.
Eccezion fatta per le Sicav l’acquisto di azioni proprie è consentito dietro il rispetto di quattro
condizioni:
- le somme impiegate nell’acquisto non possono eccedere l’ammontare degli utili
distribuibili e le riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato. In caso
contrario, si viola il vincolo di indisponibilità del patrimonio netto;
- le azioni da acquistare devono essere interamente liberate, e la delibera non può essere
generica, ma deve fissare le modalità di acquisto, indicando in particolare il numero
massimo di azioni da acquistare, la durata non superiore a 18 mesi, il corrispettivo
minimo e il corrispettivo massimo;
- l’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria;
- solo per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio permane infine la
condizione che il valore nominale delle azioni acquistate non può eccedere un decimo
del capitale sociale, tenuto conto delle azioni possedute dalle società controllate.
Le società con azioni quotate in borsa devono inoltre realizzare gli acquisti di azioni proprie
nel rispetto delle modalità fissate dalla consob e dalla normativa comunitaria, allo scopo di
garantire la parità di trattamento degli azionisti e contrastare i reati di manipolazione del
mercato e insider trading.
Gli acquisti compiuti senza l’osservanza di tali condizioni restano validi, ma gli
amministratori sono esposti a sanzioni penali e le azioni devono essere vendute entro un
anno dal loro acquisto. In mancanza, la società deve annullarle con corrispondente
riduzione del capitale sociale.

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Sono previsti alcuni casi speciali di acquisto, ossia:


- quando l’acquisto avviene in esecuzione di una delibera assembleare di riduzione del
capitale sociale, da attuarsi mediante riscatto ed annullamento delle azioni;
- quando l’acquisto è finalizzato al rimborso di un socio recedente e non è stato possibile
collocare le azioni presso gli altri soci o sul mercato;
- quando l’acquisto avviene a titolo gratuito, sempre che si tratti dia azioni interamente
liberate;
- quando l’acquisto avviene per effetto di successione universale, o di fusione, oppure di
scissione;
- quando avviene in occasione di esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito
della società, sempre che si tratti di azioni interamente liberate.
(negli ultimi 3 casi deve essere rispettato il limite della quinta parte del capitale sociale)
I diritti sociali relativi alle azioni proprie sono sterilizzati. Il diritto di voto e gli altri diritti
amministrativi sono sospesi. Il diritto agli utili e il diritto di opzione spettano
proporzionalmente alle altre azioni. Gli amministratori non possono disporre delle azioni
senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea.
L’autorizzazione alla rivendita può essere contestuale all’autorizzazione di acquisto.
Opportune disposizioni assicurano la corretta rilevazione in bilancio delle azioni proprie
possedute ed un’adeguata informazione sulle relative operazioni compiute dalla società.

Altre operazioni.

Alla società è vietato concedere prestiti o fornire garanzie di qualsiasi tipo a favore di soci o
di terzi per la sottoscrizione o l’acquisto di azioni proprie, salvo quelle previamente
autorizzate dall’assemblea straordinaria. La società può concedere assistenza finanziaria
anche per agevolare l’acquisto di azioni proprie che essa stessa ha in portafoglio, a
condizione che l’alienazione sia realizzata ad un giusto prezzo. La società invece non può
accettare azioni proprie in garanzia, ad esempio concedere finanziamenti ai soci garantiti dal
pegno di proprie azioni.
Non è specificata la sanzione in caso di violazione dei divieti posti dall’art. 2358, quindi
trovano applicazione i principi di diritto comune: i relativi contratti saranno nulli.

CAPITOLO 6: LE PARTECIPAZIONI RILEVANTI.

L’informazione sulle partecipazioni rilevanti.

Nel libro dei soci le azioni sono iscritte al nome dell'intestatario formale, sicché i relativi dati
non permettono di conoscere anche i possessi azionari indiretti degli azionisti. Inoltre,
l'iscrizione nel libro dei soci è necessaria solo in occasione dell'esercizio dei diritti sociali,
perciò pare libero non riflettere la reale composizione della compagine azionaria. L'attuale
disciplina prevede l’obbligo di comunicazione alla società partecipata e alla Consob per:
- tutti coloro che partecipano in una società con azioni quotate in misura superiore al 2%
del capitale di questa;
- le sole società per azioni quotate che partecipano, direttamente o indirettamente, in
società con azioni non quotate o in società a responsabilità limitata in misura superiore al
10% del capitale di queste.
Sono invece determinate dalla Consob con proprio regolamento le variazioni delle
partecipazioni rilevanti che comportano l’obbligo di successive comunicazioni. L’attuale
normativa regolamentare differenzia a seconda che si tratti di partecipazioni in società
quotate o partecipazioni detenute da società quotate.

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Le comunicazioni servono anche per reprimere il fenomeno delle partecipazioni incrociate,


ma la funzione principale è quella di rendere note le reali posizioni di potere dei maggiori
azionisti. Per il calcolo delle percentuali si tiene conto solo del capitale rappresentato da
azioni o quote con diritto di voto e solo delle azioni o quote che direttamente o
indirettamente attribuiscono il diritto di voto.
Quindi, non si tiene conto delle azioni di risparmio possedute. La Consob determina
contenuto, modalità e termini per l'inoltro delle comunicazioni, nonché per l'informazione
del pubblico, con regole che oggi sono sensibilmente diverse per le partecipazioni in società
quotate e per quelle in società non quotate.
Diverse sono anche le sanzioni previste per la violazione degli obblighi di comunicazione.
Sono stabilite sanzioni pecuniarie (art. 193 Tuf), mentre è mantenuta ferma per le sole
partecipazioni in società quotate l'ulteriore sanzione della sospensione del voto inerente alle
azioni per le quali sia stata omessa la comunicazione (art. 120, 5 comma). Esonerato dalle
comunicazioni prescritte il Ministero dell’economia per le partecipazioni detenute tramite
società controllate. La Consob può esentare, su richiesta, le società italiane con azioni
quotato solo in mercati regolamentati di altri paesi dell’UE.
Qualora la società ammetta ugualmente il socio a votare, la relativa deliberazione
assembleare è impugnabile a norma dell'art. 2377 c.c., qualora il voto di quel socio sia stato
determinante per la formazione della maggioranza. Una disciplina che ricalca quella dettata
per le partecipazioni in società quotate è prevista attualmente per le partecipazioni rilevanti
da chiunque possedute in:
- società bancarie;
- società di intermediazione mobiliare, società di gestione del risparmio e società di
investimento a capitale variabile;
- società di assicurazione.
In questi casi, oltre alla società partecipata, le partecipazioni vanno comunicate alla Banca
d’Italia e alla Consob. Per le società non quotate vi è l’obbligo di pubblicare annualmente,
mediante iscrizione nel registro delle imprese, l’elenco di tutti i soci alla data di
approvazione del bilancio, con l’indicazione delle azioni possedute, dei soggetti diversi dai
soci titolari di diritti o beneficiari di vincoli sulle azioni, nonché delle annotazioni fatte nel
libro soci a partire dalla data di approvazione del bilancio dell’esercizio precedente.

L’acquisto di partecipazioni rilevanti in società quotate.

Chiunque intenda acquistare una partecipazione di controllo in una società con azioni
quotate deve osservare specifiche regole di comportamento. L'idea ispiratrice della legge del
1992 è che il passaggio di proprietà di pacchetti azionari di controllo di società quotate deve
avvenire con la massima trasparenza e con modalità che consentano a tutti gli azionisti di
partecipare al premio di maggioranza che l'operazione può comportare. Per realizzare tali
obiettivi sono stati introdotti due principi:
- il lancio di una offerta pubblica di acquisto (opa) è obbligatorio quando è trasferito il
pacchetto di controllo di una società quotata;
- l'opa, sia essa obbligatoria o volontaria, deve svolgersi nel rispetto di determinate regole di
comportamento volte a tutelare i destinatari dell'offerta e il regolare funzionamento del
mercato.
La riforma del 1998 ha radicalmente modificato la disciplina dell’opa obbligatoria. L’opa è
obbligatoria in due casi: l’opa successiva totalitaria e l’opa residuale.
L'opa successiva totalitaria consente agli azionisti di minoranza di uscire dalla società
quotata a seguito del mutamento dell'azionista di controllo. È infatti tenuto a promuovere
un'offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni ordinarie ancora in circolazione
chiunque, in seguito ad acquisti a titolo oneroso, venga a detenere, direttamente o

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indirettamente, una partecipazione superiore al 30% delle azioni ordinarie di una società
con azioni quotate che attribuiscono diritto di voto nelle deliberazioni assembleari
riguardanti nomina o revoca o responsabilità degli amministratori o del consiglio di
sorveglianza.
È fissato per legge anche il prezzo minimo che deve essere offerto (media aritmetica fra il
prezzo medio ponderato di mercato degli ultimi dodici mesi e quello più elevato pattuito
nello stesso periodo dall’offerente per acquisti fuori borsa di azioni della medesima
categoria): il prezzo da pagare agli azionisti di minoranza che aderiscono all'opa è quindi
più basso di quello corrisposto per l'acquisto della partecipazione di controllo.
Una partecipazione che non supera il 30% può essere oggi acquistata liberamente, sul
mercato o a trattativa privata, senza esporre l’obbligo di lancia l’opa, anche se idonea ad
assicurare il controllo fatto. Inoltre, l’obbligo di lanciare l’opa per contro sussiste anche
quando la percentuale del 30% è superata sommando gli acquisti effettuati da più soggetti fra
loro legati da determinati rapporti, che lasciano presumere un’azione concertata. Superata la
soglia del 30% questi soggetti sono obbligati solidalmente a lanciare l’opa totalitaria anche
se gli acquisti a titolo oneroso sono stati effettuati da uno solo di essi.
L'opa preventiva può stavolta essere totale o parziale (art.170Tuf; deve avere per oggetto
almeno il 60% delle azioni ordinarie. L'esonero dall'opa successiva totalitaria essere
autorizzato dalla Consob) .
L'opa preventiva diretta a conseguire tutte le azioni ordinarie non è soggetta a condizioni e
l'offerente può fissare liberamente prezzo di acquisto. In questo caso la Consob ha il
compito di definire con proprio regolamento quando sussiste l’obbligo di lanciare l’opa
successiva in alcuni casi particolari:
- acquisto indiretto di una partecipazione superiore al 30% in una società quotata;
- acquisti effettuati da chi deteneva già più del 30%, senza però disporre della maggioranza
dei voti
nell’assemblea ordinaria.
Chi intende acquisire il controllo di una società quotata può sottrarsi dall’obbligo di
promuovere l’opa successiva totalitaria, lanciando una opa preventiva che lo porti a detenere
una partecipazione superiore al 30%. L’opa preventiva può essere totale o parziale. L’opa
preventiva diretta ad acquisire tutte le azioni quotate che attribuiscono diritto di voto nelle
deliberazioni assembleari riguardanti nomina, revoca o responsabilità degli amministratori o
del consiglio di sorveglianza non è soggetta a condizioni e l’offerente può liberamente
determinare il prezzo di acquisto. L’opa preventiva parziale, che deve avere ad oggetto
almeno il 60% delle stesse azioni, ha una disciplina più articolata.
L’esonero dall’opa successiva deve essere autorizzata dalla Consob e richiede che:
- l’offerente non deve aver acquistato nell’anno precedente partecipazioni nella società
bersaglio superiori all’ 1%;
- l’offerta deve essere approvata dagli azionisti di minoranza della società bersaglio,
secondo modalità stabilite dalla Consob.
Comunque l’offerente sarà obbligato a promuovere l’opa successiva se nell’anno successivo
alla chiusura dell’opa preventiva acquisti altre azioni della società bersaglio superiori all’
1%, o nel caso di fusione o scissione. Sarà la Consob a disciplinare eventuali altri casi.
Un altro caso di opa obbligatoria è l'opa residuale ( art. 108 ): la sua funzione è quella di
consentire agli azionisti di minoranza l’uscita dalla società ad un prezzo equo quando la
stessa è ormai saldamente in pugno di un predeterminato gruppo di controllo, sicché il
regolare andamento delle negoziazioni è pregiudicato dalla mancanza di un adeguato
flottante (azioni diffuse tra il pubblico).
È perciò previsto che chiunque venga a detenere più del 90% delle azioni ordinarie è tenuto
a lanciare un'opa sulla totalità delle azioni con diritto di voto ancora in circolazione, al
prezzo fissato dalla Consob, se non ripristina entro 120 giorni un flottante sufficiente ad
assicurare un regolare andamento delle negoziazioni.
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Chi viene a detenere in seguito al lancio di un'opa totalitaria più del 98% delle azioni con
diritto di voto ha diritto di acquistare coattivamente le azioni residue, entro 4 mesi, ad un
prezzo fissato da un esperto nominato dal presidente del tribunale (art. 111). È così tutelato
chi ha conseguito con un'opa il controllo quasi totalitario.
La violazione dell'obbligo di promuovere un'opa è colpita con sanzioni particolarmente
dissuasive (art. 110):
- il diritto di voto inerente all'intera partecipazione detenuta non può essere esercitato;
- le azioni eccedenti le percentuali del 30 e del 90% devono essere alienate entro 12 mesi.
Sono previste anche sanzioni pecuniarie ( art. 192 ).

Le offerte pubbliche di acquisto e di scambio.

È disciplinato anche lo svolgimento delle offerte pubbliche di acquisto e di scambio, al fine


di garantire la massima trasparenza dell'operazione e la parità di trattamento dei destinatari
dell'offerta. L'opa, anche volontaria, è utilizzata quasi esclusivamente per l'acquisto di azioni
quotate. L'offerta pubblica di acquisto o di scambio è una proposta irrevocabile rivolta a
parità di condizioni a tutti i titolari di prodotti finanziari che ne formano oggetto.
Ogni clausola contraria è nulla ( art. 103, 1 comma).
L'offerta può essere aumentata o modificata durante la pendenza dell'operazione; l'offerta si
svolge sotto il costante controllo della Consob. La Consob può inoltre sospendere o
dichiarare decaduta l'offerta in caso di violazione della relativa disciplina legislativa e
regolamentare in tema di opa. L’offerta pubblica si articola in tre fasi:
- La fase preparatoria. I soggetti che intendono lanciare un'offerta pubblica, volontaria o
obbligatoria, devono darne preventiva comunicazione alla Consob allegando la scheda di
adesione e il documento di offerta destinato alla pubblicazione. Tale documento deve
contenere le informazioni necessarie per consentire ai destinatari di pervenire ad un
fondato giudizio sull'offerta. Dopo 15 giorni tale documento di offerta è reso pubblico ed
è trasmesso alla società bersaglio. Quest’ultima è obbligata a diffondere un comunicato
contenente ogni dato utile per l’apprezzamento dell’offerta ed una valutazione motivata
degli amministratori sull’offerta stessa. Il comunicato è preventivamente trasmesso alla
Consob.
- Si apre così la fase delle adesioni all'offerta. Le adesioni sono irrevocabili e possono essere
raccolte, tramite sottoscrizione di un’apposita scheda, dell’offerente, dagli intermediari
indicati nel documento di offerta.
Alla scadenza del termine, l'offerta diventa irrevocabile se è stato raggiunto il quantitativo
minimo specificato nel documento di offerta. L’attuale disciplina fissa il principio secondo
cui le operazioni devono svolgersi con correttezza e trasparenza. Gli amministratori della
società bersaglio devono astenersi dal compiere atti od operazioni che possono contrastare
con gli obiettivi dell’offerta (passività rule).
Fra le tecniche di difesa consentita vi è il lancio di un’opa concorrente da parte di eventuali
alleati della società bersaglio. La disciplina dell’opa concorrente e dei rialzi è demandata
alla Consob, anche se la legge stabilisce che il numero dei rialzi non può essere limitato.
Dopo la pubblicazione di un’opa concorrente o di un rilancio, le adesioni alle altre offerte
sono revocabili.
L’attuale disciplina non prevede nulla per il caso in cui alla scadenza del termine le adesioni
siano inferiori o superiori al quantitativo di titoli richiesto, sicché ogni determinazione è
rimesso al documento di offerta pubblicato dall’offerente.

Limiti all’assunzione di partecipazioni rilevanti.

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L’assunzione di partecipazioni rilevanti in una spa o da parte di una spa è in via di principio
libera, anche se vi sono delle limitazioni. Alcune riguardano l’assunzione di partecipazioni
in società che operano in particolari settori da chiunque detenute. Altre riguardano
l’assunzione di partecipazioni rilevanti da parte di una società di capitali e le partecipazioni
incrociate.
L’acquisizione di azioni o quote di società bancarie o assicurative, da chiunque effettuato
deve essere preventivamente autorizzato dalla Banca d’Italia e dall’Autorità garante della
concorrenza e del mercato, quando comporta una partecipazione superiore al 5% del
capitale con diritto di voto o, comunque, il controllo della banca stessa.
E’ fatto divieto ai soggetti che svolgono in misura rilevante attività d’impresa in settori diversi
da quello bancario e finanziario, di possedere partecipazioni superiori al 15% del capitale
della banca o che, comunque, comportano il controllo della banca stessa. La violazione di
tale disposizione espone a sanzioni penali e comporta la sospensione dal diritto di voto. In
caso di inosservanza, le deliberazioni assembleari sono impugnabili.
L’acquisizione a qualsiasi titolo di azioni da chiunque effettuato deve essere preventivamente
autorizzato dall’Isvap quando comporta una partecipazione, superiore al 5% del capitale
con diritto di voto o ,comunque, il controllo di una società di assicurazione.
Fra i limiti all’assunzione di partecipazioni rilevanti rientrano le clausole statutarie che
fissano limiti massimi agli azionisti, vietando che essi detengano un numero di azioni
superiore ad una determinata percentuale del capitale sociale.
La possibilità di introdurre a maggioranza clausole statutarie che fissano un tetto massimo al
possesso azionario dei soci è comunque espressamente prevista per la società controllate
dallo Stato. Il superamento del massimo statutario, 5% del capitale per le società operanti nel
settore dei servizi pubblici, comporta il divieto di esercitare il diritto di voto.

Le partecipazioni modificative dell’oggetto sociale. Le partecipazioni a


responsabilità illimitata.

Un limite di carattere generale all’assunzione di partecipazioni da parte sella spa e delle


società di capitali è posto dall’art. 2361: “l’assunzione di partecipazioni in altre imprese,
anche se prevista genericamente nello statuto, non è consentita, se per la misura o per
l’oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l’oggetto sociale
determinato nell’atto costitutivo”.
Il divieto riguarda l’assunzione di partecipazioni di qualsiasi tipo e risponde alla finalità di
impedire che l’oggetto sociale fissato nell’atto costitutivo sia modificato dagli amministratori
della società (ovvero modificato senza l’osservanza delle procedure previste) e precludendo
l’esercizio del diritto di recesso dalla società in tal caso riconosciuto ai soci assenti o
dissenzienti.
Tale divieto non è operante quando l’attività principale o esclusiva della società consiste
proprio nell’assunzione di partecipazioni in altre imprese.
Per le altre società (società operative) non vi è un divieto assoluto. E’ consentito l’acquisto di
partecipazioni che per la misura e oggetto non comportino una modifica sostanziale del tipo
di attività stabilito nell’atto costitutivo. L’assunzione di partecipazioni in altre imprese deve
essere deliberato dall’assemblea quando comporta la responsabilità illimitata per le
obbligazioni della partecipata. Gli amministratori che violano il disposto dell’art. 2361 sono
esposti ad azioni di responsabilità è l’atto di assunzione della partecipazione risulta
inefficace.

Le partecipazioni reciproche.

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Le partecipazioni reciproche fra società di capitali danno luogo a pericoli di carattere


patrimoniale o e amministrativo non diversi da quelli visti per la sottoscrizione e l'acquisto di
azioni proprie. Pericoli che diventano particolarmente accentuati quando fra le due società
intercorre un rapporto di controllo.
Questi pericoli sono di tutta evidenza nel caso di sottoscrizione reciproca del capitale. Se
due società si costituiscono o aumentano capitale sociale sottoscrivendo l'una capitale
dell'altra, si ha infatti una moltiplicazione illusoria di ricchezza. Aumenta cioè il capitale
sociale nominale delle due società, senza che si incrementi di una sola lira il rispettivo
capitale reale. In nessun caso la società controllata può sottoscrivere un aumento di capitale
deliberato dalla controllante, sia direttamente, sia avvalendosi di terzi. Identiche sono inoltre
le sanzioni. Le azioni sono imputate agli amministratori della società controllata che non
dimostrino di essere esenti da colpa, ovvero al terzo che ha sottoscritto le azioni in nome
proprio, ma per conto della controllata.
L'attuale disciplina può essere così sintetizzata:
- l'acquisto reciproco di azioni è possibile senza alcun limite quando fra le due società
intercorre un rapporto di controllo e nessuna delle due è quotata in borsa;
- se l'incrocio è realizzato fra società controllante e sue controllate, l'acquisto da parte della
società controllata, anche tramite società fiduciaria o interposta persona, è considerato
come effettuato dalla controllante stessa.
È perciò assoggettato alle seguenti limitazioni:
- le somme impiegate nell'acquisto non possono eccedere l'ammontare degli utili
distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato o della
società controllata;
- possono essere acquistate solo azioni interamente liberate;
- l'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea ordinaria della controllata e deve
contenere le stesse specificazioni richieste per l'acquisto di proprie azioni;
- il valore nominale delle azioni acquistate non può eccedere il 10% del capitale della
società controllante; 63
- la società controllata non può esercitare il diritto di voto nelle assemblee della
controllante.
Le azioni o quote acquistate in violazione di tali condizioni devono essere alienate entro un
anno dal loro acquisto (art. 2359-ter, 1 comma).
La società controllante deve procedere senza indugio al loro annullamento e alla
corrispondente riduzione del capitale sociale. La società controllata ha diritto però al
rimborso del valore delle azioni annullate, determinato secondo i criteri stabiliti nella
disciplina del diritto di recesso.
Diversa da quella fin qui esposta invece la disciplina degli incroci azionari che trova
applicazione quando una o entrambe le società protagoniste dell'incrocio abbiano azioni
quotate in borsa, ma fra le stesse non intercorre rapporto di controllo. In tal caso sono
previsti solo limiti quantitativi agli incroci azionari; limiti che coincidono con le percentuali
che fanno scattare l'obbligo di comunicazione delle partecipazioni rilevanti alla società
partecipata e alla Consob; perciò:
- se entrambe le società sono quotate, l'incrocio non può superare il tetto del 2% del
capitale con diritto di voto;
- se una sola delle società è quotata, la società quotata può arrivare fino al 10% del capitale
della società non quotata, fermo restando il tetto del 2% per quest'ultima.
Qualora la partecipazione incrociata ecceda da entrambi i lati, le percentuali massime
consentite, la società che ha superato il limite successivamente:
- non può esercitare il diritto di voto per le azioni o quote possedute in eccedenza rispetto
alla percentuale consentita;
- deve alienare l'eccedenza entro 12 mesi;

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- in caso di mancata alienazione, la sospensione del diritto di voto si estende all'intera


partecipazione e quindi anche alla parte che può essere legittimamente posseduta.
Qualora il voto venga ugualmente esercitato, la delibera adottata con voto determinante di
tali azioni sono annullabili e l'impugnazione può essere proposta anche dalla Consob.
In sostanza, questa disciplina si preoccupa essenzialmente di frenare gli abusi di carattere
amministrativo degli incroci azionari.

CAPITOLO 7: I GRUPPI DI SOCIETÀ.

Il fenomeno di gruppo. I problemi.


Le società per azioni sono libere di sottoscrivere o acquistare azioni o quote di altre società
di capitali. E l'assunzione di partecipazioni è lo strumento principale attraverso il quale si
realizza il fenomeno del gruppo di società.
Il gruppo di società è una aggregazione di imprese societarie formalmente autonome e
indipendenti l'una dall'altra, ma assoggettate tutte ad una direzione unitaria. Tutte sono
infatti sotto l'influenza dominante di un'unica società. Nei gruppi ad un'unica impresa sotto
il profilo economico corrispondono più imprese sotto il profilo giuridico.
Il gruppo di società è l'assetto organizzativo tipico assunto dalle imprese di grande e
grandissima dimensione per comminare i vantaggi dell'unità economica con quelli offerti
dall'articolazione in più strutture formalmente distinte e autonome.
Tali gruppi si distinguono in:
- gruppi a catena: la società A (capogruppo) controlla e dirige la società B, che a sua volta
controlla dirige la società C e così via.
- gruppi stellari o a raggiera: la capogruppo A controlla e dirige contestualmente tutte le
altre società.
La presenza di aggregazioni societarie sollecita una specifica disciplina diretta a soddisfare
un triplice ordine di esigenze:
• assicurare una adeguata informazione sui collegamenti di gruppo, sui rapporti finanziari e
commerciali fra le società del gruppo;
• evitare che eventuali intrecci di partecipazioni alterino l'integrità patrimoniale delle società
coinvolte ed il corretto funzionamento degli organi decisionali della capogruppo;
• evitare che le scelte operative delle singole società del gruppo pregiudichino le aspettative
di quanti fanno affidamento esclusivamente sulla consistenza patrimoniale e sui risultati
economici di quella determinata società.

Società controllate e direzione unitaria.

È società controllata la società che si trova sotto l'influenza dominante di altra società, che
perciò è in grado di indirizzarne l'attività nel senso da essa voluto (art. 2359 c.c.).
Il controllo societario può assumere diverse forme:
- è controllata la società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti
esercitabili nell'assemblea ordinaria: cioè, dispone di più della metà delle azioni con
diritto di voto nelle assemblee ordinarie;
- è società controllata inoltre la società in cui una società dispone dei voti sufficienti per
esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;
- si considerano controllate, le società che sono sotto l'influenza dominante di una società
in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Ai fini del solo controllo azionario si computano poi anche " i voti spettanti a società
controllate, a società fiduciarie e a persona interposta", con esclusione però " dei voti
spettanti per conto di terzi", quali i voti per delega (art. 2359, 2 comma).

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Il controllo azionario può quindi essere non solo diretto ma anche indiretto: ad esempio, se
A controlla B che a sua volta controlla C, quest'ultima società si considera controllata
indirettamente da A.
Dalle società controllate vanno potuto distinte le società collegate. Si considerano infatti
collegate " le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole", ma non
dominante.

La disciplina dei gruppi.

In presenza di un gruppo di controllo societario si rendono applicabili al fenomeno di


gruppo sia le norme, introdotte prima della riforma del 2003, che regolano i rapporti fra
società controllante e società controllate, sia le ulteriori disposizioni introdotte della riforma
del 2003 dedicate alle società o enti che esercitano attività di direzione e di coordinamento
di altre società. In base all'attuale disciplina è infatti istituita un'apposita sezione del registro
delle imprese nella quale sono iscritti i soggetti che esercitano attività di direzione e
coordinamento e le società alla stessa sottoposte.
Queste ultime sono inoltre tenute ad indicare negli atti e nella corrispondenza la soggezione
all'altrui attività di controllo e coordinamento. In sede di redazione del bilancio di esercizio
scattano specifici obblighi di informazione contabile sia a carico della società controllante
che della società controllata, volti ad evidenziare i reciproci rapporti di partecipazione e gli
effetti dell’attività di direzione e coordinamento sulla società controllata.
La società controllante dovrà allegare al suo bilancio copia del bilancio delle società
controllate e delle società collegate. È stato poi inserito il Bilancio consolidato di gruppo
(artt.25-43 d.lgs 127/1991): consente di conoscere la situazione patrimoniale, finanziaria e
economica del gruppo considerato unitariamente, attraverso l'eliminazione delle operazioni
intercorse fra le società del gruppo. Sistema informativo migliorato e arricchito con la riforma
del 1998, quando la controllante è una società quotata.

La tutela dei soci e dei creditori delle società controllate.

Passi avanti sono stati compiuti con la riforma del 2003 anche per quanto riguarda la tutela
degli azionisti esterni e dei creditori delle società controllate contro possibili abusi della
controllante, che induca le prime al compimento di atti vantaggiosi per il gruppo
unitariamente considerato, ma pregiudizievoli per il proprio patrimonio.
Il gruppo di società non dà vita ad un’attività di impresa giuridicamente unitaria, imputabile
alla società capogruppo o congiuntamente a tutte le società facenti parte del gruppo.
L’indipendenza formale esclude che la capogruppo sia responsabile per le obbligazioni
assunte dalle controllate in attuazione della politica di gruppo.
Con la disciplina della Spa e della Srl unipersonale introdotto dalla riforma del 2003, la
responsabilità diretta della capogruppo per le obbligazioni assunte dalle società figlia resta
esclusa anche quando la prima è unico socio delle seconde.
L'indipendenza formale comporta però che la capogruppo non può legittimamente imporre
alle società figlie il compimento di atti che contrastino con gli interessi delle stesse
separatamente considerate. L'art. 2497-ter stabilisce infatti che " le decisioni delle società
soggette all'attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono
essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la
cui valutazione ha inciso sulla decisione". Una specifica disciplina poi è dettata per i
finanziamenti concessi alle società controllate dalla capogruppo o da altri soggetti alla stessa
sottoposti (art. 2497-quinquies), al fine di evitare che un eccessivo indebitamento danneggi
gli altri territori sociali. Se la società finanziata fallisce entro un anno dal rimborso, la somma
riscossa deve essere restituita. La società capogruppo è tenuta a indennizzare direttamente

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azionisti e creditori delle società controllate per i danni dagli stessi subiti per il fatto che la
propria società si è attenuta alle direttive di gruppo lesive del proprio patrimonio. Le società
o gli enti che violano i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società
soggette alla loro attività di direzione e coordinamento " sono direttamente responsabili nei
confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della
partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata
all'integrità del patrimonio sociale" (art. 2497, 1 comma). L'azione esercitata dai soci e dei
creditori sociali è azione diretta e non surrogatoria di quelle che eventualmente spetta alla
società controllata, sicché il risarcimento dei danni spetta direttamente ai primi e non alla
seconda. Poiché il danno subito dai soci o dei creditori della società controllata è pur sempre
un riflesso del danno subito da quest'ultima, l'azione di risarcimento danni nei confronti
della capogruppo è esperibile solo se essi non sono stati soddisfatti dalla società controllata
(art. 2497, 3 comma). Il danno va valutato considerando il risultato complessivo dell'attività
di direzione e di coordinamento e quindi i vantaggi compensativi che possono derivare
dall'appartenenza ad un gruppo. Ulteriore significativa novità della riforma del 2003 è il
riconoscimento del diritto di recesso ai soci di una società soggetta ad attività di direzione e
di coordinamento in presenza di eventi riguardanti la società capogruppo. Il diritto di recesso
è infatti riconosciuto ai soci di una società non quotata che entra a far parte di gruppo o ne
esce, se " ne deriva una alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento e non venga
promossa un'offerta pubblica di acquisto" che consenta al socio di alienare la propria
partecipazione.

Il gruppo insolvente.

L’attuale disciplina dell’amministrazione straordinaria prevede che, dichiarata insolvente e


sottoposta ad amministrazione straordinaria una società facente parte di un gruppo, alla
stessa procedura siano sottoposte tutte le imprese facenti parte dello stesso gruppo che si
trovino in stato di insolvenza.
Ciò anche se per quest’ultime non ricorrano i requisiti richiesti per l’ammissione
all’amministrazione straordinaria, purché le stesse presentino concrete prospettive di
recupero dell’equilibrio economico o risulti opportuna la gestione unitaria dell’insolvenza
nell’ambito del gruppo.
L’omogeneità delle procedure non incide però sulla reciproca autonomia patrimoniale delle
società del gruppo, anche se ricorre lo stato di insolvenza. È sempre necessario un distinto
accertamento dello stato di insolvenza delle singole società del gruppo.
Inoltre, l’uniformità delle procedure non comporta confusione dei patrimoni; ciascuna
società insolvente risponde solo delle proprie obbligazioni e non vi è responsabilità della
capogruppo nei confronti dei creditori delle società figlie.
Sono però previste delle norme specifiche volte ad assicurare la reintegrazione del
patrimonio delle società figlie ed a consentire il ristoro degli eventuali danni dalle stesse
subite per effetto della politica unitaria di gruppo. In tale direzione è fissato l’allungamento
dei termini per l’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari nei confronti degli atti posti in
essere con altre imprese del gruppo, anche se non insolventi.
Il termine di un anno anteriore alla dichiarazione di insolvenza è portato a cinque anni e
quello di sei mesi è portato a tre anni.
Inoltre, il commissario giudiziale, il commissario straordinario e il curatore di un’impresa del
gruppo dichiarata insolvente possono proporre la denuncia al tribunale per gravi irregolarità
nei confronti degli amministratori e sindaci di altre società del gruppo non assoggettate alla
procedura.Inoltre, in caso di direzione unitaria del gruppo "gli amministratori delle società
che hanno abusato di tale direzione rispondono in solido con gli amministratori della società
dichiarata insolvente dei danni da questi cagionati alla società stessa (art. 90 d.lgs. 270/1999,

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e già l'art. 3, 10 comma, legge 95/1979). Gli amministratori delle società dominanti sono
perciò coinvolti nella responsabilità degli amministratori delle società dominate, per i danni
da questi ultimi cagionati alla prova società per il fatto di aver stupidamente dato attuazione
alle direttive di gruppo.

Le lettere di patronage.

L’autonomia patrimoniale delle società di gruppo comporta che una società capogruppo non
può essere chiamata a rispondere dei debiti contratti dalle controllate.
Se non ricorrono gli estremi dell’abuso di attività di direzione e coordinamento, i creditori
delle società controllate potranno agire nei confronti della capogruppo solo se dispongono di
uno specifico titolo giuridico. Ad es. delle garanzie da parte della capogruppo.
Fra le possibili fonti di responsabilità della capogruppo vanno ricomprese le c.d. lettere di
patronage, che sono delle dichiarazioni della capogruppo, normalmente rilasciate a banche,
per favorire il finanziamento delle società controllate.
Il contenuto di tale lettere non è omogeneo, e il valore giuridico di tale lettere varierà in base
a quello che c’è scritto.
Lettere deboli: formulazione di dichiarazioni generiche in merito alla solvibilità del gruppo.
Lettere forti: contenuto più impegnativo; ad esempio la capogruppo afferma che eserciterà
tutta la sua influenza affinché la controllata faccia onore alle proprie obbligazioni ed
eventualmente si impegna anche a fornire alla stessa i mezzi finanziari necessari.

CAPITOLO 8: L’ASSEMBLEA.

Gli organi della S.p.A.

La società per azioni si caratterizza per la presenza di tre distinti organi:


- l'assemblea dei soci, organo con funzioni esclusivamente deliberative le cui competenze
sono per legge (artt. 2364 - 2365 ) circoscritte alle decisioni di maggior rilievo della vita
sociale;
- l'organo amministrativo, cui è devoluta la gestione dell'impresa sociale e che nello
svolgimento di tale funzione ha per legge ampi poteri decisionali. Gli amministratori
hanno inoltre la rappresentanza legale della società e ad essi spetta il compito di dare
attuazione alle deliberazioni dell'assemblea;
- l'organo di controllo interno, con funzioni di controllo sull'amministrazione della società.
Per quanto riguarda l'amministrazione e il controllo, il codice civile del 1942 prevedeva un
unico sistema basato sulla presenza di due organi:
• l'organo amministrativo;
• il collegio sindacale, che inizialmente svolgeva anche funzioni di controllo contabile.
La riforma del 2003 ha tuttavia affiancato al sistema tradizionale di amministrazione e di
controllo, altri due sistemi alternativi:
- il sistema dualistico, di ispirazione tedesca. Con tale sistema amministrazione e controllo
sono esercitati da un consiglio di sorveglianza, di nomina assembleare, e da un consiglio
di gestione, nominato direttamente dal consiglio di sorveglianza.
- il sistema monistico, di ispirazione anglosassone. Con tale sistema l'amministrazione e il
controllo sono esercitate rispettivamente dal consiglio di amministrazione, nominato
dall'assemblea, ed un comitato per il controllo sulla gestione costituito al suo interno ed i
cui componenti devono essere dotati di particolari requisiti di indipendenza e
professionalità.
Anche per le società che adottano il sistema dualistico o monistico è previsto il controllo
contabile esterno.
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L’assemblea: nozione e distinzioni.

L'assemblea è l'organo composto dai soci; la sua funzione è quella di formare la volontà
della società nelle materie riservate alla sua competenza dalla legge o dall'atto costitutivo.
È un organo collegiale che decide secondo il principio maggioritario.
La volontà espressa dai soci riuniti in assemblea vincola tutti i soci, anche assenti i
dissenzienti.
A seconda dell'oggetto delle deliberazioni, l'assemblea si distingue in ordinaria e
straordinaria.
In seguito alla riforma del 2003, le competenze dell'assemblea ordinaria varia a seconda del
sistema di amministrazione di controllo adottato.
Nelle società che adottano il sistema tradizionale o monistico, l'assemblea in sede ordinaria:
- approva il bilancio;
- nomina e revoca gli amministratori, i sindaci e il presidente del collegio sindacale;
- determina il compenso degli amministratori e dei sindaci;
- delibere sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci;
- delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell'assemblea;
- approva l'eventuale regolamento dei lavori assembleari.
Con l'attuale disciplina sembra invece essere venuta meno la possibilità degli amministratori
di sottoporre, di propria iniziativa, all'assemblea operazioni attinenti alla gestione sociale.
Più ristrette sono le competenze dell'assemblea ordinaria delle società che optano per il
sistema dualistico, dato che in tal caso è il consiglio di sorveglianza che nomina e revoca i
componenti del consiglio di gestione, promuove l'azione di responsabilità nei loro confronti
e approva il bilancio di esercizio.
L'assemblea ordinaria invece:
- nomina e revoca i consiglieri sorveglianza;
- determina il compenso ad essi spettante;
- delibera sulla responsabilità dei consiglieri di sorveglianza;
- delibera sulla distribuzione degli utili;
- nomina il revisore.
L'assemblea in sede straordinaria a sua volta delibera:
- sulle modifiche dello statuto;
- sulla nomina, sulla sostituzione e sui poteri dei liquidatori;
- su ogni altra materia espressamente attribuita dalla legge alla sua competenza (art. 2365, 1
comma).
L'assemblea è unica e generale se la società ha emesso solo azioni ordinarie. E quando
invece sono state emesse diverse categorie di azioni, o strumenti finanziari, all'assemblea
generale si affiancano l'assemblea speciale di categoria.

Il procedimento assembleare.

La convocazione dell'assemblea è di regola decisa dall'organo amministrativo, i quali


possono disporre la stessa ogni qual volta lo ritengano opportuno.
È tuttavia obbligatoria in una serie di casi:
- devono convocare l'assemblea ordinaria almeno una volta all'anno, entro il termine
stabilito dallo statuto, e che comunque non può essere superiore a centoventi giorni dalla
chiusura dell'esercizio.
- devono convocare senza ritardo l'assemblea quando ne sia stata fatta richiesta da tanti
soci che rappresentano almeno il 10% del capitale sociale o la minor percentuale prevista
dallo statuto e nella domanda siano indicati gli argomenti da trattare. Se gli amministratori

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oppure in loro vece i sindaci non provvedono, la convocazione dell'assemblea è ordinata


con decreto dal tribunale.
Tale disciplina ricalca quella del 1998 per le società quotate al fine di rafforzare la posizione
degli azionisti di minoranza attivi. La convocazione dell'assemblea deve poi essere disposta
dal collegio sindacale ogni qualvolta sia obbligatoria e gli amministratori non vi abbiano
provveduto e quando vengono a mancare tutti gli amministratori o l’amministratore unico.
L'assemblea è convocata nel comune dove ha sede la società, se lo statuto non dispone
diversamente (art. 2363).
La convocazione è disposta mediante avviso da pubblicare nella gazzetta ufficiale della
repubblica, almeno 15 giorni prima di quello fissato per l'adunanza. Tale modalità può
essere sostituita dalla pubblicazione su almeno un quotidiano indicato dallo statuto. Lo
statuto di una società non quotata può consentire la convocazione mediante avviso
comunicato ai soci almeno otto giorni prima, con mezzi idonei a comprovare l’avvenuto
ricevimento (fax, raccomandata a.r., e-mail).
L’avviso deve contenere l’indicazione del giorno, ora e luogo dell’adunanza, nonché l’elenco
delle materie da trattare, detto ordine del giorno. Nello stesso avviso può essere stabilito il
giorno della seconda convocazione, che deve essere diverso dal giorno stabilito per la prima
convocazione. In mancanza, la seconda convocazione deve avvenire entro 30 giorni dalla
prima.
L’o.d.g. delimita la competenza dell’assemblea e impedisce che si possa deliberare su
argomenti ulteriori e diversi. Sono tuttavia consentite le delibere strettamente consequenziali
ed accessorie rispetto a quelle indicate nell’o.d.g.
La convocazione preventiva serve per rendere noto a tutti i legittimati ad intervenire e
permette di conoscere gli argomenti che saranno trattati. Pur in assenza di convocazione,
l’assemblea è regolarmente costituita quando è rappresentato l'intero capitale sociale e
partecipa all'assemblea la maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di
controllo.
Agli assenti deve tuttavia essere data tempestiva comunicazione delle deliberazioni assunte:
questa la c.d. assemblea totalitaria. Essa può deliberare su qualsiasi argomento, ma la sua
competenza è instabile e precaria. Infatti, ciascuno degli intervenuti può opporsi alla
discussione degli argomenti sui quali non si ritenga sufficientemente informato, impedendo
così che si arrivi a deliberare su quel punto.

Costituzione dell’assemblea. Validità delle deliberazioni.

Si definisce quorum costitutivo la parte del capitale sociale che deve essere rappresentato in
assemblea perché questa sia regolarmente costituita e possa iniziare i lavori.
Si definisce invece quorum deliberativo la parte del capitale sociale che si deve esprimere a
favore di una determinata deliberazione perché questa sia approvata.
L'attuale disciplina (art. 2368, 3 comma) stabilisce che nel computo del quorum costitutivo
non si tiene conto delle azioni istituzionalmente senza diritto di voto, mentre si tiene conto
delle azioni per le quali il voto sia occasionalmente sospeso.
La disciplina del quorum costitutivo e deliberativo è comunque diversa per l'assemblea
ordinaria e straordinaria:
- l'assemblea ordinaria in prima convocazione è regolarmente costituita con la presenza di
tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale con diritto di voto. Essa
delibera col voto favorevole della metà più una (maggioranza assoluta) delle azioni che
hanno preso parte alla votazione per quella determinata delibera.
Nessun quorum costitutivo è richiesto per l'assemblea ordinaria di seconda convocazione,
che può perciò validamente deliberare qualunque sia la parte del capitale rappresentata in
assemblea.

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La disciplina delle assemblee straordinarie è diversa a seconda che la società faccia o meno
ricorso al mercato del capitale di rischio.
Per l’assemblea straordinaria delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio la disciplina previgente è rimasta immutata per quanto riguarda la prima
convocazione. Non è infatti espressamente previsto un quorum costitutivo. In prima
convocazione l'assemblea straordinaria delibera con voto favorevole di tanti soci che
rappresentano più della metà del capitale.
- per la seconda convocazione, la riforma del 2003 ha introdotto una differenziazione fra
quorum costitutivo e quorum deliberativo. L'assemblea straordinaria di seconda
convocazione è infatti regolarmente costituita con la partecipazione di oltre un terzo del
capitale sociale e delibera con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale
rappresentato in assemblea (art. 2369, 3 comma).
Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio la disciplina dell'assemblea
straordinaria invece è stata più volte modificata a partire dal 1974 e prevede, a partire dal
1998, una differenziazione fra quorum costitutivo e quorum deliberativo, volta a
contemperare la facilità deliberativa del gruppo di comando con la tutela delle minoranze.
In base all'attuale disciplina, il quorum costitutivo minimo è almeno la metà del capitale
sociale in prima convocazione e più di un terzo in seconda convocazione.
Per quanto riguarda i quorum deliberativi invece è stabilito che l'assemblea straordinaria
delibera sia in prima che in seconda convocazione, con il voto favorevole di almeno i due
terzi del capitale rappresentato in assemblea.
Seconda novità è la soppressione a partire dal 1998 di tutte le maggioranze rafforzate in
precedenza e richieste per delibere di particolare importanza, con la sola eccezione
dell'esclusione del diritto di opzione.
Lo statuto può modificare solo in aumento le maggioranze previste per l'assemblea ordinaria
di prima convocazione e quelle dell'assemblea straordinaria, nonché stabilire norme speciali
per la nomina alle cariche sociali. È consentito che lo statuto preveda convocazioni ulteriori
sia dell'assemblea ordinaria che di quella straordinaria; convocazione ai quali si applicano le
disposizioni della seconda convocazione.

Svolgimento dell’assemblea. Verbalizzazione.

L’assemblea è presieduta dalla persona indicata nello statuto o, in mancanza da quella eletta
con il voto della maggioranza dei presenti. Il presidente è assistito da un segretario, designato
allo stesso modo. Tuttavia la presenza del segretario non è necessaria se il verbale è redatto
da un notaio.
La funzione del presidente è quella di dirigere i lavori dell’assemblea, assicurando che la
stessa si svolga in modo ordinato e nel rispetto delle norme che ne regolano l’attività.
Il presidente ha ampi poteri ordinatori e decisori sullo svolgimento dei lavori assembleari.
Egli dichiara aperta e chiusa l’assemblea, pone in discussione gli argomenti dell’o.d.g.,
regola gli interventi e modera il dibattito, mette in votazione le diverse proposte e proclama i
risultati. L’assemblea non potrà sovrapporsi al presidente, ma potrà revocarlo per giusta causa
qualora egli eserciti le proprie funzioni in modo arbitrario e in conflitto di interessi.
Gli amministratori sono tenuti a fornire informazioni ulteriori rispetto a quelle dovute per
legge all’assemblea, solo nei limiti in cui ciò sia necessario per consentire agli azionisti
l’esercizio consapevole del voto.
Non essendo stabilito nulla a proposito, il modo di procedere alla votazione è liberamente
stabilito di volta in volta. Le delibere assembleari devono constare da verbale, sottoscritto dal
presidente e dal segretario o dal notaio. I verbali devono essere trascritti nell’apposito registro
delle adunanze e delle deliberazione dell’assemblea, tenuto a cura degli amministratori. Il
verbale deve indicare la data dell’assemblea, l’identità dei partecipanti e il capitale

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rappresentato da ciascuno; deve indicare le modalità e il risultato delle votazioni e deve


consentire, in allegato, l’identificazione dei soci favorevoli e di quelli contrari o astenuti. La
Consob inoltre prevede ulteriori requisiti in caso di verbali di società quotate. Il verbale deve
essere redatto senza ritardo dall’assemblea, anche se non contestuale.

Il diritto di intervento. Il diritto di voto.

Possono intervenire in assemblea gli azionisti con diritto di voto (art.2370, 1 comma),
nonché i soggetti che pur non essendo soci hanno diritto di voto, come l'usufruttuario o il
creditore pignoratizio (art. 2352).
In base all'attuale disciplina il diritto di intervento non compete invece agli azionisti senza
diritto di voto, eccezion fatta per il socio che ha dato le proprie azioni in pegno o in
usufrutto. È stata anche semplificata la disciplina dell'intervento in assemblea (art.2370): non
è più necessario il preventivo deposito delle azioni presso la sede della società o presso le
banche indicate nell'avviso di convocazione ed è venuto meno il divieto di ritiro dei titoli
prima che l'assemblea abbia avuto luogo.
Preventivo deposito e divieto di ritiro anticipato possono essere però previsti dallo statuto,
che ne fissa anche il termine entro il quale il deposito deve avvenire; termine che per le
società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non può superare i due giorni non
festivi.
Lo statuto può inoltre consentire l'intervento l'assemblea mediante mezzi di
telecomunicazione o l'espressione del voto per corrispondenza. E chi esprime il voto per
corrispondenza si considera intervenuto all'assemblea (art.2370, 4 comma); tale tipo di voto
viene regolato dallo statuto.

La rappresentanza in assemblea.

Gli azionisti possono partecipare all'assemblea sia personalmente sia a mezzo di


rappresentante. La partecipazione a mezzo rappresentante è oggi regolata da due diverse
discipline: una applicabile a tutte le società per azioni (art. 2372 c.c.); l'altra, introdotto nel
1998, applicabile in alternativa alla prima solo alle società con azioni quotate.
L'istituto della rappresentanza in assemblea consente la partecipazione indiretta dei piccoli
azionisti alla vita della società e agevola il raggiungimento delle maggioranze assembleari
nelle società con diffuso assenteismo dei soci.
E' però istituto che può prestarsi ad abusi: attraverso il rastrellamento delle deleghe il gruppo
minoritario di comando della società e/o gli amministratori possono rafforzare le proprie
posizioni di potere a spese dei piccoli azionisti in occasione di assemblee che si
preannunciano particolarmente combattute.
Proprio per evitare ciò il legislatore interviene una prima volta nel 1974, scegliendo la via di
introdurre una serie di limitazioni volte ad ostacolare la raccolta delle deleghe: la delega
deve essere conferita per iscritto e deve contenere il nome del rappresentante che può farsi
sostituire solo da altra persona indicata nella delega stessa.
Le società o di enti possono delegare solo un proprio dipendente o collaboratore. La delega
è sempre revocabile.
Con la riforma del 2003 è stata invece circoscritta alle sole società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio la regola secondo cui la rappresentanza può essere conferita
solo per singole assemblee. Con la riforma del 1998 è stato invece soppresso il divieto di
rappresentanza per le banche (introdotto nel 1974).
Con la riforma del 1974 sono stati infine introdotte limitazioni, tuttora vigenti, anche per
quanto riguarda il numero dei soci: non più di 20, o se si tratta di società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio non più di 50, 100 o 200 soci, a seconda che il capitale della

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società non superi 5 milioni di euro, non superi i 25 milioni o infine superi quest'ultima
cifra.
La riforma del 1998 ha introdotto per le sole società con azioni quotate gli istituti della "
sollecitazione" e della "raccolta delle deleghe": istituti per i quali non operano le limitazioni
soggettive e quantitative. La sollecitazione è la richiesta di conferimento di deleghe di voto
rivolta a tutti gli azionisti da parte di uno o più soggetti (committente), che richiedono
l’adesione a specifiche proposte di voto. Il committente deve già possedere almeno l' 1%
delle azioni con diritto di voto da almeno sei mesi. Inoltre per effettuare la sollecitazione
deve necessariamente rivolgersi ad un intermediario professionale (banche, imprese di
investimento), che effettuerà la sollecitazione per suo conto, mediante la fusione di un
prospetto e di un modulo di delega.
Diversa dalla sollecitazione è la raccolta di deleghe, che risponde allo scopo di agevolare
l'esercizio indiretto del voto da parte di piccoli azionisti già organizzati in associazione per
la difesa dei comuni interessi.
La raccolta di deleghe è infatti la richiesta di conferimento di deleghe effettuata da
associazione di azionisti esclusivamente nei confronti dei propri associati. L’associazione
deve essere formata da almeno 50 persone fisiche, ciascuna delle quali deve possedere una
quantità di azioni non superiore allo 0,1% del capitale sociale rappresentato da azioni con
diritto di voto. L’associazione esercita la raccolta mediante il solo modulo di delega fra gli
associati e non è tenuta a chiedere l’adesione a specifiche proposte di voto. In ogni caso le
informazioni contenute nel prospetto o nel modulo di delega devono essere idonee a
consentire all’azionista di assumere una decisione consapevole.
La delega può essere conferita solo per singole assemblee già convocate e non può essere
rilasciata in bianco ma deve indicare il nome del delegato e la data e la sottoscrizione del
delegatario. Le deleghe di voto rilasciate a seguito di sollecitazione o raccolta devono
contenere le istruzioni di voto e sono revocabili, mediante dichiarazione espressa portata a
conoscenza dell’intermediario o dell’associazione, fino al giorno precedente l’assemblea.
La violazione della disciplina in tema di sollecitazione e di raccolta delle deleghe espone a
sanzioni amministrative pecuniarie. Nella sollecitazione, il voto per delega è esercitato dal
commettente o dall’intermediario che ha effettuato la sollecitazione. Nella raccolta, la delega
è rilasciata ai legali rappresentanti dell’associazioni i quali dovranno attenersi alle
indicazioni espresse da ciascun associato nel modulo di delega.

Limiti all’esercizio di voto. Il conflitto di interessi.

Con l'esercizio del diritto di voto il socio concorre alla formazione della volontà sociale in
proporzione del numero di azioni possedute e la maggioranza esplica il potere di operare le
scelte discrezionali, necessarie o utili per l'attuazione del contratto sociale.
L'esercizio del diritto di voto è in via di principio rimesso all'apprezzamento discrezionale
del socio, il quale deve però esercitarlo in modo da non arrecare un danno al patrimonio
della società. Le deliberazioni assembleari regolarmente adottate sono annullabili solo se la
maggioranza si sia ispirata esclusivamente ad interessi extra sociali, con danno per la società.
Versa in un conflitto di interessi l'azionista che in una determinata delibera ha un interesse
personale contrastante con l'interesse della società. Ad esempio, l'assemblea è chiamata a
deliberare sull'acquisto di un immobile di proprietà del socio, o sul compenso al socio
amministratore, o ancora sulla concessione di fideiussione a favore di altra società composta
dagli stessi soci. In base a tale situazione il socio, art. 2373 , è libero di votare o di astenersi,
ma se vota la delibera approvata con il suo voto determinante è impugnabile a norma
dell'art. 2377 qualora possa recare danno alla società. La delibera adottata col voto del socio
in conflitto di interessi è annullabile se ricorrano due condizioni:
- che il suo voto sia stato determinante ( prova di resistenza);
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- che la delibera possa danneggiare la società ( danno potenziale).


Due ipotesi tipiche di conflitto di interessi sono previste dall'articolo 2373.2:
- vieta ai soci amministratori di votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità;
- vieta, nel sistema dualistico, ai soci componenti del consiglio di gestione di votare nelle
deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca, o la responsabilità dei consiglieri di
sorveglianza.
La disciplina del conflitto di interessi consente di reprimere gli abusi della maggioranza a
danno del patrimonio sociale. Si può verificare il caso in cui una delibera sia adottata dalla
maggioranza per danneggiare non la società, ma i soci di minoranza.
In questo caso l’art. 2373 non è invocabile, dato che la società non subisce alcun danno
patrimoniale ne attuale ne potenziale. Ma, la dottrina e la giurisprudenza tende ad applicare
in materia il principio della correttezza e buona fede nell’attuazione del contratto, art. 1375.
Si perviene così ad affermare l’annullabilità della delibera quando la stessa sia ispirata dal
solo scopo di danneggiare singoli soci. Identici principi saranno validi per i casi in cui sia la
minoranza ad abusare del diritto di voto o altri diritti. In tali casi, però, oltre all’annullamento
della delibera, la società potrà chiedere anche il risarcimento del danno.

I sindacati di voto.

I sindacati di voto sono accordi (patti parasociali) con i quali alcuni soci si impegnano a
concordare preventivamente il modo in cui votare in assemblea.
I sindacati di voto possono avere carattere occasionale o permanente. In questo secondo
caso, possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato, nonché riguardare tutte
le delibere assembleari o soltanto quella di determinato tipo.
Si può stabilire che il modo come votare sarà deciso all'unanimità o a maggioranza dei soci
sindacati.
I vantaggi dei sindacati di voto sono evidenti: essi danno un indirizzo unitario all'azione dei
soci sindacati se questi vengono a costituire il gruppo di comando, il patto di sindacato
consente di dare stabilità di indirizzo alla condotta della società.
L'accordo di sindacato consente una migliore difesa dei comuni interessi quando è stipulato
fra soci di minoranza. I pericoli dei sindacati di voto sono altrettanto evidenti: i sindacati di
comando cristallizzano il gruppo di controllo, soprattutto se stipulati a lungo termine o a
tempo determinato e combinati con un sindacato di blocco delle azioni. Con i sindacati di
comando il procedimento assembleare finisce con l'essere rispettato solo formalmente, dato
che in fatto le decisioni vengono prese prima e fuori dall'assemblea. Se il sindacato decide a
maggioranza, anche il principio maggioritario finisce col ricevere ossequio solo formale. Con
i sindacati di voto formalmente nulla cambia nel funzionamento dell'assemblea;
sostanzialmente invece il procedimento assembleare può essere più o meno gravemente
alterato a seconda di come il sindacato è strutturato.
Il sindacato di voto, come patto parasociale, è produttivo di effetti solo fra le parti e non nei
confronti della società. Perciò il voto dell'assemblea resta valido anche se espresso in
violazione degli accordi di sindacato. La presenza di un sindacato di voto può riflettersi sulla
validità delle delibere solo quando uno o più sindacati versino in conflitto di interesse con la
società.
La presenza di sindacati di voto a maggioranza non altera le regole procedimentali e perciò
strettamente formali di formazione della volontà sociale. È pur sempre l’assemblea che
assume le delibere secondo la legge.
Altro è il profilo su cui incidono i sindacati di voto (a maggioranza o all'unanimità): è quello
dell'esatta individuazione dei reali centri di potere delle società che si concorrono a
determinare, attraverso la concentrazione e l'indirizzo unitario dei voti.

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Nelle società non quotate non solo i sindacati di voto, ma anche gli altri patti stipulati al fine
di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società (ad es. sindacali di blocco), non
possono avere durata superiore a cinque anni, ma sono rinnovabili alla scadenza. Inoltre,
possono essere stipulate anche a tempo determinato, ma in tal caso ciascun contraente può
recedere con un preavviso di sei mesi (art.2341-bis).
Per la società non quotate i limiti di durata non si applicano ai patti strumentali ad accordi di
collaborazione della produzione e dello scambio di beni e servizi a quelli relativi a società
interamente possedute dai partecipanti all'accordo ( art. 2341-bis, 3 comma).
I patti parasociali sono inoltre soggetti ad un particolare regime di pubblicità.
Nelle società non quotate che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio i patti
parasociali devono essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di assemblea. La
dichiarazione deve essere trascritta nel verbale di assemblea che deve essere depositato
presso l'ufficio del registro delle imprese.
L'omessa dichiarazione è sanzionata con la sospensione del diritto di voto delle azioni cui si
riferisce il patto parasociale.
Nelle società quotate, invece, i sindacati di voto e gli altri patti parasociali previsti dall'art.
122 Tuf, devono essere comunicati alla Consob, pubblicati per estratto sulla stampa
quotidiana e depositati presso il registro delle imprese del luogo dove la società ha sede
legale entro i brevi termini fissati per legge. La violazione di tali obblighi comporta la nullità
dei patti e la sospensione del diritto di voto relativo alle azioni sindacate.
Nessuna forma di pubblicità è invece prevista per i patti parasociali riguardanti società non
quotate che non fanno appello al mercato del capitale di rischio.

Le deliberazioni assembleari invalide.

L'invalidità delle delibere assembleari può essere determinata dalla violazione delle norme
che regolano il procedimento assembleare o dei vizi che riguardano il contenuto della
delibera.
Anche per le deliberazioni assembleari opera la distinzione fra nullità e annullabilità proprie
della disciplina dei contratti.
Il codice del 1942 privilegia la stabilità delle delibere assembleari.
La nullità si presentava infatti come sanzione eccezionale prevista solo per le delibere aventi
oggetto impossibile o illecito.
I vizi di procedimento davano vita sempre e soltanto alla annullabilità della delibera e non
ha alla più grave sanzione della nullità.
Decorso il termine di tre mesi concesso per l'impugnativa la delibera non era più
contestabile per vizi procedimentali anche gravi. Questo però era il diritto descritto dal
codice del 1942, ben altro è invece il diritto vivente: non potendosi contestare le cause di
nullità prevista dall'art. 2379, si era girato l'ostacolo introducendo accanto alle delibere
nulle e annullabili una terza categoria del tutto ignorata dal codice del 1942: quella delle
delibere inesistenti. Tali erano considerate le delibere che presentavano vizi di procedimento
talmente gravi da precludere la possibilità stessa di qualificare l'atto come delibera
assembleare. In tal caso si deve parlare di delibera inesistente per mancanza dei requisiti
minimi essenziali di una delibera assembleare. E per una delibera inesistente la sanzione non
poteva essere che la nullità radicale. Si arrivava così ad estendere la sanzione della nullità
anche alle delibere che presentavano solo vizi di procedimento. La riforma del 2003
introduce una disciplina, il cui obiettivo di fondo è quello di porre fine alla categoria
giurisprudenziale delle delibere inesistenti riconducendo le categorie della nullità o
dell'annullabilità a tutti i possibili vizi delle delibere assembleari (c.d. principio di tassatività
delle cause di invalidità).

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Delibere annullabili (artt.2377-2378): l'attuale disciplina ribadisce il principio che


l'annullabilità costituisce la regola per le delibere assembleari invalide. Infatti sono
semplicemente annullabili tutte " le deliberazioni che non sono prese in conformità della
legge o dello statuto " (art.2377, 2 co), mentre la più grave sanzione della nullità scatterà solo
nei tre casi tassativamente indicati nell'art. 2379 c.c.
Possono dar vita solo ad annullabilità della delibera:
- la partecipazione all'assemblea di persone non legittimate, ma solo se tale partecipazione
sia stata determinante per la regolare costituzione dell'assemblea (c.d. prova di resistenza);
- l'invalidità dei singoli voti o il loro errato conteggio, ma solo se determinanti per il
raggiungimento della maggioranza;
- l'incompletezza o inesattezza del verbale, ma solo quando impediscono l'accertamento
del contenuto, degli effetti, e della validità della delibera (art.2377, 4 comma).
Per le delibere annullabili è dettata poi una disciplina specifica profondamente diversa da
quella prevista per le delibere nulle. L'impugnativa può essere infatti proposta solo dai soci
espressamente previsti da legge., e cioè: soci assenti, dissenzienti o astenuti, amministratori,
consiglio di sorveglianza, consiglio sindacale.
Legittimato all'impugnativa è anche il rappresentante comune degli azionisti di risparmio. La
legittimazione di impugnativa non compete quindi i soci che abbiano votato a favore della
delibera, né ai terzi qualificati come creditori sociali.
L'impugnativa o l'adozione di risarcimento danni devono essere proposte entro un breve
termine di decadenza: 90 giorni dalla data della deliberazione o, se questa è soggetta ad
iscrizione o al solo deposito nel registro delle imprese, tre mesi dall'iscrizione dal deposito.
L'azione di annullamento è proposta davanti al tribunale del luogo dove la società ha la
sede. Non è più necessario il deposito nella cancelleria del tribunale di almeno un'azione,
ma i soci impugnati devono dimostrare di essere possessori del prescritto numero di azioni.
Quindi, l’impugnativa è preclusa all’azionista che pur avendo votato contro la delibera, nel
frattempo non è più in possesso delle proprie azioni.
Sono inoltre predisposti accorgimenti al fine di evitare che impugnative pretestuose possano
danneggiare la società. Il tribunale può disporre in ogni momento che i soci opponenti
prestino idonea garanzia per l'eventuale risarcimento danni.
Inoltre, la proposizione dell'azione non sospende di per sé l'esecuzione della delibera. La
sospensione può esser tuttavia disposta su richiesta dell'impugnante, previa comparazione
fra danno alla società e danno del ricorrente, e dopo aver sentito amministratori e sindaci.
L'annullamento ha effetto per tutti i soci e obbliga gli amministratori a prendere
provvedimenti conseguenti sotto la propria responsabilità. Restano però in ogni caso salvi i
diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera.
Infine, l'annullamento non può aver luogo se la delibera è sostituita con altra presa in
conformità alla legge o dell'atto costitutivo o è stata revocata dall'assemblea. Restano salvi i
diritti acquistati dai terzi sulla base della deliberazione sostituita (art. 2377, 8 comma).

Le deliberazioni nulle.

I casi di nullità delle delibere assembleari sono state cresciuti rispetto alla disciplina
previgente, al fine di esorcizzare la categoria giurisprudenziale delle delibere inesistenti
quindi con l'obiettivo ultimo di circoscrivere l'ambito di operatività delle sanzioni rispetto al
previgente diritto vivente. La delibera è nulla solo nei tre casi tassativamente indicati nell'art.
2379. Sono nulle le delibere il cui oggetto è impossibile o illecito; vale a dire contrario a
norme imperative, all'ordine pubblico al buon costume. Ad esempio, si delibera di non
redigere il bilancio di esercizio o di sopprimere il collegio sindacale.
Nullità si ha tuttavia anche quando la delibera ha oggetto lecito ma contenuto illecito. Per
l'attuale disciplina la delibera assembleare è altresì nulla nei casi di:

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- mancata convocazione dell'assemblea. Si precisa però che:


• la convocazione non si considera mancante e non si ha nullità della delibera "nel caso di
irregolarità dell'avviso, se questo proviene da un componente dell'organo amministrativo o
di controllo della società ed è idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire
di essere tempestivamente avvertiti della convocazione e della data dell'assemblea" (art.
2379, 3 comma).
• l'azione di nullità non può essere esercitata da chi, anche successivamente, abbia
dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell'assemblea (art.2379-bis, 1 comma).
- mancanza del verbale. Si precisa che:
• il verbale non si considera mancante " se contiene la data della deliberazione e il suo
oggetto è sottoscritto dal presidente dell'assemblea o dal presidente del consiglio
d'amministrazione o del consiglio di sorveglianza e dal segretario o dal notaio" (art. 2379,
3 comma);
• la nullità per mancanza del verbale sanata con effetto retroattivo mediante verbalizzazione
eseguita prima dell'assemblea successiva.
Resta fermo il principio che la nullità delle delibere assembleari può essere fatta valere da
chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata anche d'ufficio dal giudice.
A differenza dell'azione di nullità di diritto comune, non soggetta a prescrizione o a termini
di decadenza, possono invece essere impugnate senza limiti di tempo solo le delibere che
modificano l'oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili. In tutti gli altri casi è
introdotto un termine di decadenza di tre anni.
Per i casi di nullità delle delibere riguardanti l’aumento o riduzione del capitale sociale,
emissione di obbligazione, l’azione di nullità è soggetta al termine di decadenza di 180
giorni. In mancanza di convocazione, il termine è di 90 giorni dall’approvazione del
bilancio nel corso del quale la delibera è stata eseguita. Specificamente disciplinata è poi
l'invalidità delle delibere di approvazione del bilancio, non più impugnabile dopo
l'approvazione del bilancio successivo e della delibera di trasformazione.

CAPITOLO 9: AMMINISTRAZIONE.

I sistemi di amministrazione e controllo.

La riforma del 2003 ha previsto tre sistemi di amministrazione e controllo:


- il sistema tradizionale, basato sulla presenza di due organi entrambi di nomina
assembleare: l'organo amministrativo e il collegio sindacale;
- il sistema dualistico, prevede la presenza di un consiglio di sorveglianza di nomina
assembleare e di un consiglio di gestione, nominato dal consiglio di sorveglianza;
- il sistema monistico, nel quale l'amministrazione ed il controllo sono esercitate
rispettivamente dal consiglio di amministrazione e da un comitato per il controllo sulla
gestione costituito al suo interno.
Anche per le società che adottano il sistema dualistico o monistico è poi previsto il controllo
contabile esterno.

Struttura e funzioni dell’organo amministrativo.

Nel sistema tradizionale, la società per azioni può avere sia un amministratore unico sia una
pluralità di amministratori, che formano il consiglio di amministrazione.
Inoltre, il consiglio di amministrazione può essere articolato al suo interno con la creazione
di uno o più organi delegati che danno luogo alle figure del comitato esecutivo e degli
amministratori delegati (art. 2381).

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Gli amministratori sono l'organo cui è affidata in via esclusiva la gestione dell'impresa
sociale e ad essi spetta compiere tutte le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto
sociale ( art. 2380-bis). Le loro funzioni sono:
- gli amministratori deliberano su tutti gli argomenti attinenti alla gestione della società che
non siano riservati dalla legge all'assemblea. È questo il c.d. potere gestorio degli
amministratori;
- gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società. Hanno cioè il potere di
manifestare all'esterno la volontà sociale ponendo in essere i singoli atti giuridici in cui si
concretizza l'attività sociale (potere di rappresentanza);
- gli amministratori danno impulso all'attività dell'assemblea: la convocano e ne fissano
l'ordine del giorno. Danno altresì attuazione alle delibere della stessa ed hanno il potere-
dovere di impugnare quelle che violino la legge o l’atto costitutivo.
- gli amministratori devono curare la tenuta dei libri e delle scritture contabili della società,
in particolare devono redigere il progetto di bilancio da sottoporre ad approvazione
dell’assemblea e una volta approvato lo devono iscrivere nel registro delle imprese;
- gli amministratori devono prevenire il compimento di atti pregiudizievoli per la società, o
quanto meno eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
Di tutte queste funzioni gli amministratori sono investiti per legge e non per mandato dei
soci. E si tratta di funzioni che essi esercitano in posizione di formale autonomia rispetto
all'assemblea. Infine, tali funzioni sono inderogabili da parte dell’autonomia privata.

Il rapporto assemblea-amministratori.

Nel sistema tradizionale, la ripartizione di competenze fra assemblea e amministratori in


merito alla gestione dell’impresa sociale risulta dal coordinamento di due disposizioni:
- l’art. 2364, n.5 che dispone: l'assemblea ordinaria delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla
legge alla competenza dell'assemblea, nonché sulle autorizzazioni eventualmente
richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la
responsabilità di questi per gli atti compiuti;
- l’art. 2380-bis che dispone: 2380-bis. (Amministrazione della società). La gestione
dell'impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni
necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale.
La competenza gestoria dell’assemblea ha perciò carattere delimitato e specifico: sussiste
solo per gli atti espressamente previsti dalla legge (nomina e revoca amministratori e sindaci,
approvazione bilancio, distribuzione dividendi, ecc.).
La competenza gestoria degli amministratori ha invece carattere generale: sussiste per tutti gli
atti di impresa che non siano riservati all’assemblea e si pongono come mezzo per il
conseguimento dell’oggetto sociale. Gli amministratori sono quindi investiti, una volta
nominati, di ampi poteri decisionali: poteri propri e non derivati dall’assemblea, esercitabili
in piena autonomia rispetto all’assemblea stessa.
Essi e solo essi sono responsabili civilmente, verso la società e i creditori sociali, dei danni
arrecati al patrimonio sociale in violazione dei doveri di legge.
La posizione degli amministratori, inoltre, non è assimilabile a quella dei mandatari, perciò
essi non sono tenuti a conformarsi alle istruzioni del mandante (assemblea). Perciò né
l’assemblea non può impartire direttive vincolanti agli amministratori circa il compimento di
atti di esercizio dell’impresa sociale, né gli amministratori devono sottoporre alla preventiva
approvazione dell’assemblea le loro iniziative. Lo statuto può prevedere solo che l’assemblea
sia chiamata ad autorizzare atti di gestione di competenza degli amministratori .
L’autorizzazione dell’assemblea non esonera gli amministratori da responsabilità penale e
civile verso i creditori e verso la società stessa.

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Nomina. Cessazione della carica.

I primi amministratori sono nominati nell'atto costitutivo.


Successivamente la loro nomina compete all'assemblea ordinaria. La legge o lo statuto
possono tuttavia riservare la nomina di uno o più amministratori allo stato o ad enti pubblici.
Il numero degli amministratori è fissato nello statuto.
Gli amministratori possono essere soci o non soci (art. 2380).
Gli amministratori di società quotate devono possedere, tutti, a pena di decadenza, i requisiti
di onorabilità fissati per i sindaci con regolamento del Ministero per la Giustizia. Non
possono essere nominati amministratori l'interdetto, l'inabilitato, il fallito o chi è stato
condannato ad una pena che comporta l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici
o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi (art. 2382).
Le cause di incompatibilità comportano solo che l'interessato è tenuto ad optare fra l'uno e
l'altro ufficio; non rendono perciò invalida la delibera di nomina. La nomina degli
amministratori non può essere fatta per un periodo superiore a tre esercizi. Sono cause di
cessazione dall'ufficio prima della scadenza del termine:
- la revoca da parte dell'assemblea, che può essere deliberata liberamente in ogni tempo,
salvo il diritto degli amministratori al risarcimento dei danni se non sussiste una giusta
causa;
- la rinuncia ( dimissioni) da parte degli amministratori;
- la decadenza dall'ufficio, ove sopravvenga una delle cause di ineleggibilità;
- la morte.
La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto solo dal momento in
cui l'organo amministrativo è stato ricostituito.
Gli amministratori scaduti perciò rimangono in carica fino all'accettazione della nomina da
parte dei nuovi amministratori (prorogatio).
Le dimissioni dell'amministratore hanno effetto immediato se rimane in carica la
maggioranza degli amministratori. In caso contrario, le dimissioni hanno effetto solo dal
momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all'accettazione dei
nuovi amministratori.
Nel caso della sostituzione degli amministratori mancanti (art. 2386), sono previste tre
ipotesi:
- se rimane in carica più della metà degli amministratori nominati dall'assemblea, i
superstiti provvedono a sostituire provvisoriamente quelli venuti meno, con delibera
consiliare approvata dal collegio sindacale (c.d. cooptazione);
- se viene a mancare più della metà degli amministratori nominati dall'assemblea non si dà
luogo alla cooptazione. I superstiti devono convocare l'assemblea perché provveda alla
sostituzione dei mancanti ed i nuovi amministratori così nominati scadono con quelli in
carica all'atto della nomina;
- si è infine vengono a cessare tutti gli amministratori o l'amministratore unico, il collegio
sindacale deve convocare con urgenza l'assemblea per la ricostituzione dell'organo
amministrativo.
L'attuale disciplina riconosce la validità delle clausole statutarie che prevedono una
cessazione di tutti gli amministratori e la conseguente ricostruzione dell'intero collegio da
parte dell'assemblea a seguito della cessazione di alcuni amministratori (clausole simul
stabunt simul cadent).
La nomina e la cessazione della carica degli amministratori è soggetta ad iscrizione nel
registro delle imprese. All’iscrizione della nomina devono provvedere i nuovi amministratori
entra 30 giorni dalla notizia della loro nomina.
All’iscrizione della cessazione deve provvedere il consiglio sindacale sempre entro 30 giorni.

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Compenso. Divieti.

Gli amministratori hanno diritto ad un compenso per la loro attività ( art. 2389 ). Questo può
consistere anche in una partecipazione agli utili della società o all'attribuzione del diritto di
sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione (c.d. stock options).
Modalità e misura del compenso sono determinati dall'atto costitutivo o dall'assemblea
all'atto della nomina. Per gli amministratori investiti di particolari cariche, la remunerazione
è invece stabilita dallo stesso consiglio d'amministrazione. Se lo statuto lo prevede,
l'assemblea può fissare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli
amministratori, inclusi quelli investiti di particolare carica.
Per evitare situazioni di antagonismo con la società e di potenziale conflitto di interessi, gli
amministratori di società per azioni non possono assumere la qualità di soci a responsabilità
illimitata in società concorrenti, né essere amministratori e direttori generali in società
concorrenti, salva l'autorizzazione dell'assemblea (art. 2390).
L'inosservanza del divieto espone l'amministratore alla revoca dall'ufficio per giusta causa e
al risarcimento degli eventuali danni arrecati alla società. Specifici obblighi di informazione
sui possessi azionari degli amministratori sono stabiliti per le società con azioni quotate in
borsa. Agli stessi è fatto divieto di acquistare, vendere e compiere altre operazioni su
strumenti finanziari della società, anche per interposta persona, sfruttando informazioni
privilegiate ottenute in ragione del loro ufficio. La violazione di tale divieto espone a
sanzioni penali.

Il consiglio di amministrazione.

La società per azioni può avere sia l'amministratore unico, sia una pluralità di
amministratori. L'amministratore unico riunisce in sé ed esercita individualmente tutte le
funzioni proprie dell’organo amministrativo. Quando invece l'amministrazione è affidata a
più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione, retto da un presidente
scelto dallo stesso consiglio fra i suoi membri, qualora non sia già stato nominato
dall'assemblea (art. 2380-bis, 5 comma). In tal caso l'attività deliberativa è esercitata
collegialmente e le relative decisioni devono essere adottate in apposite riunioni alle quali
devono assistere i sindaci (art. 2405).
La rappresentanza della società è funzione individuale degli amministratori designati
dall’atto costitutivo o dall’assemblea all’atto della nomina. Se ci sono più amministratori con
rappresentanza il relativo potere è esercitato disgiuntamente o congiuntamente e non
collegialmente.
La funzione di vigilanza spetta al consiglio collegialmente e al singolo amministratore.
Cioè ogni amministratore può esaminare e controllare i documenti sociali, può compiere atti
di ispezione, ecc.
Gli amministratori però, che rivelino irregolarità, non possono adottare individualmente gli
eventuali provvedimenti che si rendano necessari, dato che si richiede una delibera
collegiale.
L'attuale disciplina stabilisce che, se lo statuto non prevede diversamente, il consiglio di
amministrazione è convocato dal presidente dello stesso, il quale fissa anche l'ordine del
giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché tutti gli amministratori siano adeguatamente
informati sulle materie iscritte all'ordine del giorno (art. 2381, 1 comma).
Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza
della maggioranza degli amministratori in carica; le deliberazioni sono approvate se
riportano il voto favorevole della maggioranza assoluta dei presenti (voto per teste), sempre
che lo statuto non richieda diversamente. Non è ammesso il voto per rappresentanza. Nulla è
previsto per la verbalizzazione delle delibere consiliari. È solo stabilito che il verbale sia

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redatto per atto pubblico nei casi di delibere su materie di competenza assembleare. È
previsto la tenuta di un apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni del c.d.a.
La riforma del 2003 ha modificato la disciplina dell'invalidità della deliberazione del
consiglio di amministrazione, la cui impugnazione in passato era consentita in un solo caso:
delibera adottata con voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi (ex art.
2391).
L'attuale disciplina ha optato per ampliare la categoria delle delibere consiliari annullabili,
mentre non sono previste cause di nullità delle stesse.
L'art. 2388.4, prevede che possono essere impugnate tutte le delibere del consiglio di
amministrazione che non sono prese in conformità della legge o dello statuto. L'impugnativa
può essere proposta dagli amministratori assenti o dissenzienti e dal consiglio sindacale
entro 90 giorni dalla data della deliberazione.
Quando la delibera consiliare leda direttamente un diritto soggettivo del socio questi avrà
diritto di agire giudizialmente per far annullare la delibera. L'annullamento delle delibere
consiliari non pregiudica i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in
esecuzione delle stesse.

Interessi degli amministratori. Operazioni con parti correlate.

Il conflitto di interessi degli amministratori è disciplinato all'art. 2391: “l'amministratore che


in una determinata operazione ha un interesse non necessariamente in conflitto con quello
della società”:
- deve darne notizia agli amministratori e al collegio sindacale precisandone " la natura, i
termini, l'origine e la portata;
- se si tratta di amministratore delegato, deve inoltre astenersi dal compiere l'operazione
investendo della stessa l'organo collegiale competente;
- in entrambi i casi il consiglio d'amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni
della convenienza per la società dell'operazione.
L’impugnazione può essere proposta entro 90 giorni dalla data della delibera, dal collegio
sindacale, dagli amministratori assenti o dissenzienti nonché dagli stessi amministratori che
hanno votato a favore. I contratti conclusi dall’amministratore unico in conflitto di interessi
sono annullabili su richiesta della società in base alla disciplina generale della
rappresentanza, salva la buona fede del terzo contraente. La società può agire contro
l’amministratore per il risarcimento del danno derivante dalla sua azione o omissione.
L’amministratore risponde anche dei danni derivanti alla società dall’utilizzazione a
vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità d’affari appresi nell’esercizio del
suo incarico. Quindi, l’amministratore non può approfittare della propria posizione per
conseguire vantaggi a danno della società. Maggiore cautele sono previste per le società
quotate.

Comitato esecutivo. Amministratori delegati.

Nelle società per azioni di maggiore dimensione è frequente un'articolazione interna del
consiglio di amministrazione per rendere più razionale ed efficiente la gestione corrente
dell'impresa sociale.
Se l'atto costitutivo o l'assemblea lo consentono, il consiglio d'amministrazione può delegare
le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo ovvero ad uno o più amministratori delegati
(art. 2381).
Il comitato esecutivo è un organo collegiale; le sue decisioni sono adottate in riunioni alle
quali devono assistere i sindaci (art. 2405).
Le relative delibere devono risultare da un apposito libro delle adunanze.

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Gli amministratori delegati sono invece organi unipersonali.


Se vi sono più amministratori delegati, essi agiscono disgiuntamente o congiuntamente, a
seconda di quanto stabilito dallo statuto o dall'atto di nomina.
Agli amministratori delegati è di regola affidata la rappresentanza della società. È poi
possibile la coesistenza di un comitato esecutivo e di uno o più amministratori delegati con
competenze ripartite. I membri del comitato esecutivo e gli amministratori delegati sono
designati dallo stesso consiglio di amministrazione, che determina l'ambito della delega. In
base all'attuale disciplina non possono esser tuttavia delegati:
- la redazione del bilancio di esercizio;
- la facoltà di aumentare il capitale sociale e di emettere obbligazioni convertibili per
delega;
- gli adempimenti posti a carico degli amministratori in caso di riduzione obbligatoria del
capitale sociale per perdite;
- la redazione del progetto di fusione o di scissione.
Con la concessione della delega gran parte della gestione della società è svolta dagli organi
delegati, nelle cui mani si concentra il potere decisionale.
E ciò determina una modifica del regime di responsabilità degli amministratori.
La delega determina una competenza concorrente del consiglio e degli organi delegati.
Infatti, il consiglio può avocare a sé operazioni rientranti nella delega e resta in posizione
sovraordinata rispetto al comitato esecutivo ed agli amministratori delegati.
L'attuale disciplina puntualizza le funzioni proprie degli organi delegati e definisce i rapporti
tra gli stessi e gli altri componenti del consiglio di amministrazione, al fine di favorire la
circolazione delle informazioni sulla gestione fra i diversi componenti del consiglio e la
partecipazione attiva alla gestione anche degli amministratori privi di delega.
Si stabilisce infatti che gli organi delegati:
- curano che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società sia adeguato
alla natura e alle dimensioni dell'impresa;
- riferiscono periodicamente al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale sul
generale andamento della gestione e sulla prevedibile evoluzione, nonché sulle
operazioni di maggiore rilievo.
Per consentire un'effettiva partecipazione di tutti i consiglieri alla gestione della società si
dispone che tutti gli amministratori devono agire informati e che ciascuno può chiedere agli
organi delegati che siano fornite in consiglio informazioni relative alla gestione della società
(art. 2385, 6 comma).
L'attuale disciplina attribuisce al consiglio di amministrazione il potere-dovere di:
- valutare, sulla base delle informazioni ricevute, l'adeguatezza dell'assetto organizzativo,
amministrativo e contabile della società;
- esaminare i piani strategici, industriali e finanziari della società;
- valutare, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della
gestione.

La rappresentanza della società.

Fra le funzioni di cui gli amministratori sono per legge investiti vi è quella di rappresentanza
della società. In presenza di un consiglio di amministrazione, gli amministratori investiti del
potere di rappresentanza devono essere indicati nello statuto o nell’atto di nomina.
Se più sono gli amministratori con rappresentanza, deve essere specificato se essi hanno il
potere di agire disgiuntamente a o congiuntamente. Di regola, la rappresentanza della
società è attribuita, disgiuntamente o congiuntamente, al presidente del consiglio di
amministrazione e/o ad uno o più amministratori delegati. In base all’attuale disciplina il
potere di rappresentanza degli amministratori è generale e non più circoscritto agli atti che

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rientrano nell'oggetto sociale. Essi hanno inoltre la rappresentanza processuale, attiva e


passiva, della società.
Il potere di rappresentanza, che è il potere di agire nei confronti dei terzi in nome della
gestione, va tenuto distinto dal potere di gestione, che riguarda invece la fase dell’attività
amministrativa interna alla società.
La società può avvalersi, oltre che degli amministratori, anche di altri rappresentanti,
nominati dall’assemblea o dagli stessi amministratori. Come ad esempio, i direttori generali
(che fanno parte dell’organizzazione interna della società), sia di procuratori esterni generali
o per singoli affari. In questi casi avremo delle forme di rappresentanza negoziale, rette dai
principi di diritto comune o dalle norme speciali in tema di rappresentanza commerciale.
La rappresentanza organica degli amministratori di spa è retta da due principi cardine:
- è inopponibile ai terzi di buona fede la mancanza di potere rappresentativo dovuta ad
invalidità dell’atto di nomina; infatti, una volta intervenuta l’iscrizione nel registro delle
imprese dell’atto di nomina, le cause di nullità e di annullabilità della nomina degli
amministratori con rappresentanza non sono opponibili ai terzi, salvo che la società provi
che i terzi ne erano a conoscenza. In mancanza, la società resta vincolata dagli atti
compiuti dagli amministratori invalidamente nominati;
- la società inoltre resta vincolata verso i terzi anche se gli amministratori hanno violato
eventuali limitazioni volontarie poste ai loro poteri di rappresentanza.
Le limitazioni al potere che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi
competenti, non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi
abbiano agito intenzionalmente a danno della società (art. 2384, 2 comma).
Con l'attuale disciplina non è stata riprodotta la disposizione che precludeva alla società di
opporre ai terzi di buona fede l'estraneità all'oggetto sociale degli atti compiuti dagli
amministratori in nome della società; degli atti cioè che non rientravano nell'attività di
impresa determinata dallo statuto (c.d. atti ultra vires). Restano invece opponibili ai terzi i
limiti legali del potere di rappresentanza degli amministratori. Ad esempio nel caso in cui
l’amministratore stipuli un contratto in conflitto di interessi con la società. Il contratto sarà
annullabile su richiesta della società, se il conflitto di interessi era conosciuto o riconoscibile
dai terzi (art. 1394).

La responsabilità degli amministratori verso la società.

Gli amministratori sono responsabili civilmente del loro operato in tre direzioni:
- verso la società (artt. 2392-2393);
- verso i creditori sociali (art. 2394);
- verso i singoli soci o terzi (art. 2395).
In base all'attuale disciplina, gli amministratori incorrono in responsabilità verso la società e
sono tenuti al risarcimento dei danni dalla stessa subiti quando non adempiono ai doveri ad
essi imposti dalla legge o dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e
dalle loro specifiche competenze.
Gli amministratori non sono invece responsabili per i risultati negativi della gestione che non
siano imputabile a difetto di normale diligenza della condotta degli affari sociali o
nell'adempimento degli specifici obblighi posti a loro carico. Se gli amministratori sono più,
essi sono responsabili solidalmente. Ciascuno può essere quindi costretto dalla società a
risarcirle l'intero danno subito.
La responsabilità degli amministratori è comunque responsabilità per colpa e non
responsabilità oggettiva. Infatti, la responsabilità per gli atti e le omissione degli
amministratori non si estende a quello tra essi che sia immune da colpa, purché:
- abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle
deliberazioni del consiglio di amministrazione;

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- del suo dissenso dia immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale.
L'esercizio dell'azione di responsabilità contro gli amministratori deve essere deliberato
dall'assemblea ordinaria, anche se la società è in liquidazione, ovvero dal collegio sindacale
a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
La deliberazione dell'azione di responsabilità comporta la revoca automatica dall'ufficio
degli amministratori contro cui è proposta solo se la delibera è approvata con voto favorevole
di almeno un quinto del capitale sociale. Se non si raggiunge tale percentuale del capitale
sociale sarà invece necessario una distinta ed espressa delibera di revoca.
Che l’azione sociale di responsabilità debba essere deliberata dall’assemblea tutela poco le
minoranze azionarie, visto che la relativa decisione è in sostanza nelle mani del gruppo di
comando che ha nominato gli amministratori e che perciò deciderà di agire in giudizio
contro gli stessi solo ove si rompa il relativo rapporto fiduciario.
Nel caso la società cada in dissesto ed è dichiarata fallita o assoggettata a liquidazione coatta
amministrativa o ad amministrazione straordinaria, la legittimazione a promuovere l'azione
sociale di responsabilità compete al curatore fallimentare, al commissario liquidatore, al
commissario straordinario (art. 2394-bis).
Una tutela limitata e indiretta delle minoranze è però prevista anche quando la società è in
bonis. La società infatti può rinunziare all'esercizio dell'azione di responsabilità o pervenire
ad una transazione con gli amministratori. È necessario che entrambe le decisioni siano
deliberate dall’assemblea e non vi sia il voto contrario di una minoranza qualificata. Una
tutela più energica delle minoranze è stata introdotta dalla riforma del 1998 per le sole
società con azioni quotate (art. 129 Tuf) e poi estesa a tutte le spa dalla riforma del 2003.
In base all'art. 2393-bis, l'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori può
essere promossa anche dagli azionisti di minoranza.
L'azione promossa dalla minoranza, tramite un rappresentante comune, è diretta a
reintegrare il patrimonio sociale, e non a risarcire il danno eventualmente subito dai soggetti
agenti. Perciò la società deve essere chiamata in giudizio.

La responsabilità verso i creditori sociali.

Oltre che nei confronti della società, gli amministratori sono responsabili anche verso i
creditori sociali ( art. 2394 ):
- gli amministratori sono responsabili verso i creditori sociali solo "per l'inosservanza degli
obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale";
- l'azione può essere proposta dai creditori solo quando il patrimonio sociale risulta
insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.
Quanto corrisposto dagli amministratori a titolo di risarcimento danni non spetterà alla
società, ma direttamente ai creditori fino alla concorrenza del loro credito.
Fra l'azione sociale di responsabilità e quella concessa ai creditori vi sono comunque
indubbie differenze: infatti, il danno subito dai creditori non è che un effetto riflesso del
danno che gli amministratori hanno arrecato al patrimonio sociale rendendolo insufficiente a
soddisfare i primi. Consegue che se l'azione risarcitoria è stata esperita dalla società e il
relativo patrimonio è stato reintegrato, i creditori non potranno più esercitare l'azione di loro
spettanza dato che gli amministratori sono ovviamente tenuti a risarcire una sola volta il
danno.
Anche la transazione intervenuta con la società paralizza l'azione dei creditori sociali;
invece, la rinuncia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da
parte dei creditori sociali. L’azione dei creditori si prescrive in 5 anni, al pari dell’azione
sociale.
E’ preferibile la tesi dell’azione diretta ed autonoma, poiché:

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- diversamente da quanto previsto per l’azione surrogatoria, i creditori sociali che agiscono
contro gli amministratori non sono tenuti a citare in giudizio anche la società;
- la sospensione della prescrizione dell’azione sociale, finché gli amministratori restano in
carica, non opera per l’azione dei creditori sociali.

La responsabilità verso singoli soci o terzi.

L’azione di responsabilità della società ed i creditori sociali " non pregiudicano il diritto al
risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente
danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori " (art. 2395). Perché il singolo socio
o il terzo possano chiedere agli amministratori il risarcimento dei danni devono ricorre due
presupposti:
- il compimento da parte degli amministratori di un atto illecito nell'esercizio del loro
ufficio;
- la produzione di un danno diretto al patrimonio del singolo socio o del singolo terzo; di
un danno cioè che non sia semplice riflesso del danno eventualmente subito dal
patrimonio sociale.
Caso classico di danno diretto è quello degli amministratori che con un falso bilancio
inducono i soci o terzi a sottoscrivere l'aumento di capitale a prezzo eccessivo.
Il socio o il terzo che agiscono in responsabilità contro gli amministratori devono provare
che esiste un nesso causale diretto fra il danno subito e l’illecito degli amministratori, vale a
dire che solo la condotta illecita di quest’ultimi li ha indotti a compiere l’atto da cui è loro
derivato un danno. Spetterà al socio o al terzo provare anche il dolo o la colpa degli
amministratori.
L’azione può essere esercitata entro 5 anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il
socio o il terzo.

I direttori generali.

I direttori generali sono dirigenti che svolgono attività di alta gestione dell'impresa sociale.
Dirigenti cioè che sono al vertice della gerarchia dei lavoratori subordinati dell'impresa ed
operano in rapporto diretto con gli amministratori.
Essi sono perciò investiti di ampi poteri decisionali nella gestione dell'impresa. Inoltre, se
nominati dall'assemblea o per disposizione dell'atto costitutivo, agli stessi si applicano le
norme che regolano la responsabilità civile degli amministratori, in relazione ai compiti loro
affidati (art. 2396).
Inoltre, i direttori generali sono assimilati agli amministratori in numerose norme penali e
fallimentari. Il codice si astiene dal definire la figura del direttore generale.
La nomina di direttori generali non spoglia gli amministratori dei relativi poteri di gestione e
di rappresentanza ed anzi i direttori sono in posizione subordinata rispetto agli
amministratori.
Nelle società quotate, i direttori generali sono destinatari di specifici obblighi: sono chiamati
ad attestare che gli atti e le comunicazioni della società previste dalla legge o diffuse al
mercato sono conformi al vero. Analoga funzione di certificazione essi svolgono a riguardo
ai documenti contabili.
I direttori generali sono parificati agli amministratori sotto il profilo delle responsabilità
penali. Inoltre, se nominati dall’assemblea o dallo statuto, agli stessi si applicano le norme
che regolano la responsabilità degli amministratori.

Gli amministratori di fatto.

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Amministratore di fatto è il soggetto, privo della veste formale di amministratore per la


mancanza di nomina assembleare, che in fatto si ingerisce nella direzione dell’impresa
sociale.
Gli amministratori di fatto sono equiparati agli amministratori legalmente nominati per
l’applicazione delle norme penali in tema di responsabilità. È invece dubbia l’estensione agli
amministratori di fatto della responsabilità civile dettata per gli amministratori.
La legge dà conferma con riferimento alla srl, quando amministratore di fatto è un socio, ma
solo in presenza di comportamenti dolosi. (art. 2476, 7 comma). Parte della dottrina ritiene
che si applichi anche nella spa, assimilando la figura dell’amministratore di fatto a quella dei
direttori generali.

CAPITOLO 10: I CONTROLLI INTERNI.

Il collegio sindacale.

Premessa.

Il collegio sindacale è l'organo di controllo interno della società per azioni, con funzione di
vigilanza sull'amministrazione della società.
La disciplina del collegio sindacale ha subito profonde modifiche del 1942 ad oggi: con la
riforma del 1974 è stato introdotto per le società quotate un controllo contabile esterno da
parte di una società di revisione, dando però vita ad una sovrapposizione di funzioni col
collegio sindacale che si è rilevata scarsamente funzionale.
Norme volte a migliorare la professionalità e l'efficienza del collegio sindacale sono addotte
dal d.lgs. 27-1-1992, n. 88, che ha istituito un apposito registro dei revisori contabili.
La riforma del 1998 ha modificato la disciplina del collegio sindacale delle società con
azioni quotate e ha affrancato tale organo dalle funzione di controllo contabile, che perciò
sono ora affidate in via esclusiva alla società di revisione. Con una riforma del 2003 anche
nelle altre società per azioni il controllo contabile è stato sottratto al collegio sindacale ed è
stato attribuito ad un revisore contabile o ad una società di revisione.

Composizione. Nomina. Cessazione.

Il collegio sindacale delle società con azioni non quotate si compone di tre o cinque membri
effettivi, soci o non soci, secondo quanto stabilito nello statuto. Devono inoltre essere
nominati due membri supplenti (art. 2397).
Il collegio sindacale delle società non quotate ha una struttura semirigida.
Fermo restando il numero minimo di tre sindaci effettivi e di due supplenti, l'atto costitutivo
delle società quotate può oggi determinare liberamente il numero dei sindaci (art. 148 Tuf). I
primi sindaci sono nominati nell'atto costitutivo; successivamente essi sono nominati
dall'assemblea ordinaria.
I sindaci sono di regola nominati dallo stesso organo che nomina agli amministratori. La
situazione è tuttavia mutata per le sole società quotate con la riforma del 1998.
L'atto costitutivo di tali società deve prevedere che almeno un membro effettivo sia eletto
dalla minoranza.
Nelle società con azioni non quotate, in seguito alla riforma del 2003, almeno un sindaco
effettivo ed uno supplente devono essere scelti fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili.
L’attuale disciplina prevede che tutti i sindaci devono possedere requisiti di professionalità,
anche se la legge consente una composizione diversificata del collegio in modo da avere un
organo in cui siano presenti le necessarie competenze tecniche (contabile, giuridica e
amministrativa) per l’assolvimento della funzione di controllo.
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Per le società quotate i requisiti di onorabilità e di professionalità sono invece fissati con
regolamento del ministro della giustizia, che prevede anche la nomina di sindaci non iscritti
nel registro dei revisori contabili.
Nel registro dei revisori possono iscriversi persone fisiche in possesso di specifici requisiti
professionalità e onorabilità, che abbiano superato un apposito esame di ammissione e,
società di persone o capitali che abbiano per oggetto esclusivo la revisione o
l’organizzazione contabile di imprese e rispondano a certi requisiti. Per assicurare
l'indipendenza dei sindaci sono previste cause di ineleggibilità ulteriori rispetto a quelle
dettate per gli amministratori; secondo l'art. 2399 non possono esser nominati sindaci:
- il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori, nonché degli
amministratori di società facenti parte dello stesso gruppo;
- coloro che sono legati alla società o a società facenti parte dello stesso gruppo " da un
rapporto di lavoro o da una rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera
retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano
l'indipendenza".
Valgono poi per i sindaci le stesse cause di incompatibilità viste per gli amministratori.
Il compenso dei sindaci deve essere predeterminato ed invariabile in corso di carica.
La retribuzione annuale dei sindaci, se non stabilita nello statuto, è determinata
dall’assemblea o dall’atto della nomina per l’intero periodo di carica. I sindaci restano in
carica per tre esercizi e sono rieleggibili.
I sindaci scaduti restano in carica fino alla nomina dei nuovi.
Costituiscono causa di cessazione dell’ufficio prima della scadenza del termine la morte, la
revoca, la rinuncia e la decadenza dall’ufficio. L'assemblea può revocarli solo se sussiste una
giusta causa; la delibera di revoca deve essere approvata dal tribunale (art. 2400), al fine di
verificare se ricorre giusta causa. Costituiscono cause di decadenza dall’ufficio il
sopraggiungere di una delle cause di ineleggibilità, nonché la sospensione o cancellazione
dal registro dei revisori. Decade dall’ufficio il sindaco che, senza giustificato motivo, non
assiste o disserta, durante un esercizio sociale, due riunioni del cda, del comitato esecutivo o
del collegio sindacale.
In caso di morte, di rinuncia o decadenza di un sindaco, subentrano automaticamente i
supplenti in ordine di età. La nomina, cessazione dei sindaci deve essere iscritta, a cura degli
amministratori, nel registro delle imprese entro 30 giorni.

Il controllo sull’amministrazione.

Funzione primaria del collegio sindacale è quella di controllo.


In base all'attuale disciplina, il controllo del collegio sindacale ha per oggetto
l'amministrazione della società globalmente intesa e si estende a tutte le attività sociale, al
fine di assicurare che la stessa venga svolta nel rispetto della legge.
Il collegio sindacale vigila " sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo
contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento" (art. 2403, 1 comma e
149 Tuf).
Il collegio sindacale non svolge più il controllo contabile sulle società, oggi affidato ad un
revisore contabile o ad una società di revisione.
La vigilanza del collegio sindacale è esercitata nei confronti degli amministratori quanto
organo investito della gestione della società, ma riguarda anche l’attività dell'assemblea e
comunque può estendersi in ogni direzione. Da qui il potere-dovere dei sindaci di
intervenire alle riunioni dell'assemblea, del consiglio di amministrazione e del comitato
esecutivo, nonché di impugnare le relative delibere.
Il controllo del collegio sindacale sull'amministrazione è un controllo di carattere globale e
sintetico, le cui modalità di esercizio sono rimesse alla discrezionalità tecnica del collegio. I

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sindaci hanno il potere-dovere di procedere in qualsiasi momento ad atti di ispezione e di


controllo, nonché di chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a società
controllate, sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari.
Il collegio sindacale può inoltre convocare l'assemblea " qualora nell'espletamento del suo
incarico ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere
" (art. 2406,2 comma).
Il collegio può inoltre promuovere il controllo giudiziario sulla gestione, se ha fondato
sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione.

La revisione legale dei conti. Altre funzioni.

Il collegio sindacale è oggi tenuto a vigilare solo sull'adeguatezza e sull'affidabilità del


sistema amministrativo - contabile.
Lo statuto può prevedere che anche la revisione legale dei conti sia esercitata dal collegio
sindacale. Questa azione non è consentita per:
- società tenute a redigere il bilancio consolidato;
- società qualificate come enti di interesse pubblico;
- società che controllano o sono soggette a controllo con un ente pubblico.
Al collegio sindacale sono devolute per legge altre funzioni di consulenza e di
amministrazione che integrano e completano la principale funzione di controllo.
Il collegio sindacale può svolgere la funzione dell'organismo di vigilanza per i reati dei
propri amministratori e dipendenti.

Il funzionamento del collegio sindacale.

Nelle società non quotate il presidente del collegio sindacale è nominato dall'assemblea (art.
2398).
Nelle società quotate è invece l'atto costitutivo a fissare i criteri di nomina dello stesso.
Il collegio sindacale deve riunirsi almeno ogni 90 giorni e l'attuale disciplina prevede che le
riunioni possono svolgersi anche con mezzi telematici, se lo statuto lo consente (art. 2404, 1
comma).
Il collegio sindacale è regolarmente costituito con la presenza della maggioranza dei sindaci
e delibera a maggioranza assoluta dei presenti. Delle riunioni deve essere redatto processo
verbale, sottoscritto da tutti gli intervenuti, che viene trascritto nel libro delle adunanze e
delle deliberazioni del collegio sindacale. I sindaci possono avvalersi di dipendenti e di
ausiliari per lo svolgimento di specifiche operazioni di ispezione e di controllo.
L'attività di controllo del collegio sindacale può poi essere sollecitata dai soci (art. 2408).
Ogni socio può denunziare al collegio sindacale fatti che ritiene censurabili.
Il collegio sindacale è però obbligato solo a tenerne conto nella relazione annuale
dell'assemblea.
Doveri specifici e più intensi sono invece poste a carico del collegio sindacale quando la
denuncia provenga da tanti soci che rappresentano il 5% del capitale sociale o la minore
percentuale prevista dallo statuto. In tal caso il collegio sindacale " deve indagare senza
ritardo sui fatti denunziati, presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte
all'assemblea", convocando indebitamente la medesima qualora ravvisi fatti censurabili di
rilevante gravità (art. 2408, 2 comma).

La responsabilità dei sindaci.

I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta dalla
natura dell’incarico (art. 2407).
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I sindaci sono responsabili, anche penalmente, della verità delle loro attestazioni e devono
conservare il segreto sui fatti e documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro
ufficio.
L'obbligo di risarcimento dei danni grava esclusivamente sui sindaci e qualora il danno sia
imputabile solo al mancato o negligente adempimento dei loro doveri. Ad esempio, uno più
sindaci hanno violato il segreto d’ufficio.
I sindaci sono responsabili in solido con gli amministratori per i fatti e le omissioni di questi
ultimi, qualora il danno non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato in conformità
degli obblighi della loro carica. L'azione di responsabilità concessa è disciplinata dalle stesse
norme dettate per l'azione di responsabilità contro gli amministratori.

Revisione legale dei conti.

Il sistema.

Con la riforma del 2003 si è completato il processo di separazione del controllo


sull’amministrazione dal controllo contabile, originariamente entrambi affidati al collegio
sindacale.
L'affidamento del controllo contabile ad un revisore esterno è stato avviato nel 1974; a tale
disciplina si è affiancata con la riforma del 2003, quella del controllo contabile applicabile a
tutte le altre società per azioni.
Oggi coesistono tre discipline parzialmente diverse:
- nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il controllo contabile
è esercitato da un revisore contabile che sia persona fisica o da una società di revisione
iscritti in un apposito registro dei revisori contabili;
- nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, diverse dalle società
quotate, il controllo contabile invece può essere esercitato solo da una società di revisione
iscritta nel registro dei revisori contabili;
- nelle società con azioni quotate l’attività di revisione contabile è riservata alle società di
revisione iscritte in un apposito albo speciale, tenuto dalla Consob.

Conferimento e cessazione dell’incarico.

Nelle società non quotate, sottoposte a controllo contabile, il soggetto al quale è demandato
il relativo controllo è nominato per la prima volta nell'atto costitutivo.
Successivamente l'incarico è conferito dall'assemblea, la quale determina il corrispettivo
spettante al revisore o alla società di revisione per l'intera durata dell'incarico ( art. 2409-
quater, 1 comma).
Non possono essere incaricati del controllo contabile, e se incaricati decadono dall'ufficio, i
sindaci della società o di società facenti parte dello stesso gruppo.
Nelle società quotate, l'incarico è conferito, previo parere del collegio sindacale,
dall'assemblea in occasione dell'approvazione del bilancio.
L'incarico di controllo o di revisione contabile ha durata di tre esercizi e nelle società
quotate può essere rinnovato per non più di due volte.
La stabilità dell'incarico e l'indipendenza della società di revisione sono poi garantite anche
dalla disciplina della revoca.
Nelle società assoggettate al controllo contabile, l'incarico può essere revocato
dall'assemblea solo per giusta causa e sentito il parere del collegio sindacale.
Le delibere di conferimento dell'incarico e di revoca sono soggette ad iscrizione nel registro
delle imprese.

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La revisione legale degli enti di interesse pubblico.

L’attività di revisione contabile obbligatoria è riservata alle società di revisione iscritte


nell’albo speciale tenuto a cura della Consob. Queste società di revisione sono società di
persone o di capitali il cui oggetto sociale deve essere limitato all’organizzazione e revisione
contabile di aziende. Esse devono rispondere ad una serie di requisiti volti a garantire la
professionalità della maggioranza dei soci e degli amministratori, nonché l’onorabilità di tutti
gli amministratori. L’iscrizione nell’albo speciale delle società di revisione che rispondono ai
requisiti fissati per legge è effettuata dalla Consob, previo accertamento del requisito di
idoneità tecnica. La Consob vigila sull’attività di tali società e ne verifica periodicamente
l’indipendenza e l’idoneità tecnica. Inoltre, può raccomandare principi e criteri da adottare
per la revisione contabile. Quando accerta gravi irregolarità la Consob può irrogare anche
sanzioni amministrative pecuniarie ed adottare provvedimenti temporanei. La recente riforma
del 2005 sulla tutela del risparmio ha compiuto significativi progressi per meglio tutelare
l’indipendenza e l’oggettività del controllo contabile. Le nuove norme rafforzano l’attività di
vigilanza della Consob. In base all’attuale disciplina è la società obbligata alla revisione che
sceglie la società di revisione, con deliberazione dell’assemblea ordinaria in occasione
dell’approvazione del bilancio, previo parere obbligatorio del collegio sindacale. La
deliberazione deve essere poi trasmessa alla Consob, che entro 20 giorni dal ricevimento
può vietarne l’esecuzione. Si tratta di un vero e proprio controllo di merito, predisposto per
evitare che l’incarico di revisione venga affidato ad una società non idonea a svolgere le
funzioni. Il compenso spettante alla società di revisione è determinato dall’assemblea
contestualmente al conferimento dell’incarico.
La legge 266/2005, art. 160, comma 1-ter, vieta alla società di revisione, e a tutti i soggetti
che fanno parte della sua rete, nonché ai soci, componenti degli organi amministrativi e di
controllo, ai dipendenti della società di revisione, di prestare alla società oggetto di revisione
una serie di servizi indicati dalla legge o fissati dalla Consob con regolamento. Insomma,
sono vietati tutti i principali servizi non audit conosciuti dalla prassi (tenuta dei libri
contabili, gestione del controllo interno, formazione e gestione del personale, consulenza
finanziaria o giuridica, ecc.).
La revisione contabile non può essere esercitata da coloro che sono stati amministratori,
sindaci o direttori generali o dirigenti presso la società che ha conferito l’incarico, se non
sono trascorsi almeno 3 anni dalla cessazione di tali incarichi o rapporti di lavoro. Coloro
che hanno preso parte alla revisione del bilancio di una società, ovvero sono stati soci o
hanno ricoperto cariche sociali nella società di revisione, non possono prestare lavoro
autonomo o subordinato, ricoprire cariche sociali presso la società che ha conferito
l’incarico, se non sono trascorsi almeno 3 anni dalla cessazione del rapporto con la società
di revisione.
La legge fissa che l’incarico di revisione ha la durata di sei esercizi, ed è rinnovabile una sola
volta. In caso di rinnovo la società di revisione deve comunque sostituire il responsabile
della revisione. Al termine del secondo mandato deve essere incaricata una nuova società di
revisione, non potendo quella vecchia essere nuovamente incaricata prima che siano
trascorsi 3 anni (periodo di raffreddamento).
L’assemblea ordinaria della società può revocare l’incarico prima della scadenza del
mandato solo se ricorre giusta causa e previo parere dell’organo di controllo e deve
conferire, contestualmente, l’incarico ad un’altra società di revisione. La revoca deve essere
trasmessa alla Consob che può entro 20 giorni vietarne l’esecuzione qualora rilevi la
mancanza di giusta causa. La stessa Consob può disporre la revoca d’ufficio dall’incarico,
quando rilevi l’esistenza di una causa di incompatibilità o gravi irregolarità nello svolgimento
del loro incarico. Le delibere di conferimento dell’incarico e di revoca dello stesso, nonché i
relativi provvedimenti della Consob, sono depositati presso il registro delle imprese.

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Funzioni e responsabilità del revisore legale dei conti.

L’attività di controllo contabile è regolata dal codice civile, dal tuf secondo i principi comuni.
Funzione principale del revisore è quella di controllare la regolare tenuta delle scritture
contabili e di esprimere un giudizio sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato.
In relazione al giudizio sul bilancio, la società deve esporre analiticamente i motivi della
propria decisione.
Il giudizio espresso dalla società di revisione lascia impregiudicato il potere dell’assemblea
di approvare o meno il bilancio, che potrà essere approvato anche se il giudizio è negativo.
Il revisore ha diritto di ottenere dagli amministratori documenti e notizie utili per la revisione
e può procedere autonomamente ad accertamenti, ispezioni o controlli.
Il revisore contabile documenta l’attività svolta in un apposito libro, tenuto presso al sede
della società o in un luogo diverso stabilito dallo statuto. Il revisore contabile, al pari del
collegio sindacale, deve adempiere i propri doveri con diligenza professionale; è
responsabile della verità delle sue attestazioni e deve conservare il segreti su fatti e
documenti di cui ha conoscenza per ragioni del suo ufficio.
Trova applicazione la disciplina dell’azione di responsabilità dettata per i sindaci.
L’azione si prescrive in 5 anni dalla cessazione dell’incarico.

L’organismo di vigilanza del d.lgs. 231/2001.

Di vigilanza è un organo incaricato di vigilare sul funzionamento, l'osservanza e


l'aggiornamento dei modelli di organizzazione e di gestione predisposti dagli amministratori
al fine di prevenire la commissione di reati dai quali può conseguire la responsabilità
amministrativa della società.
La sua costituzione è sempre facoltativa.
La legge si limita richiedere che l'organismo sia dotato di autonomi poteri di iniziativa e di
controllo.

CAPITOLO 11: I SISTEMI ALTERNATIVI DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO.

Il sistema dualistico.

Due sono i sistemi alternativi introdotti dalla riforma del 2003: sistemi che trovano
applicazione solo se espressamente adottati in sede di costituzione della società o con
modifica dello statuto (art. 2380, 2 comma).
Il sistema dualistico prevede la presenza di un consiglio di gestione e di un consiglio di
sorveglianza.
Il controllo contabile è poi affidato ad un revisore contabile o ad una società di revisione.
Il consiglio di gestione svolge le funzioni proprie del consiglio di amministrazione del
sistema tradizionale.
Al consiglio di sorveglianza sono attribuite sia le funzioni di controllo propri del collegio
sindacale, sia le funzione di indirizzo della gestione che nel sistema tradizionale sono
proprie dell'assemblea dei soci, come la nomina e la revoca dei componenti del consiglio di
gestione. La presenza del consiglio di sorveglianza riduce le competenze dell’assemblea
ordinaria. Infatti, l’assemblea nomina e revoca i componenti del consiglio di sorveglianza,
determina il loro compenso e delibera in ordine all’azione di responsabilità nei loro
confronti e nomina il revisore. Ma, perde la competenza di nomina e revoca degli
amministratori, la competenza per l’approvazione del bilancio. Il sistema dualistico
determina quindi un più accentuato distacco fra azionisti ed organo gestorio della società.
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È un modello adatto per società con azionatario diffuso e privo di uno stabile nucleo di
azionisti imprenditori.
Due sono gli organi in cui si articola tale sistema: il consiglio di sorveglianza; il consiglio di
gestione.

Il consiglio di sorveglianza.

I componenti del consiglio di sorveglianza possono essere soci o non soci. Il loro numero,
non inferiore a 3, è fissata dallo statuto (art. 2409-duodecies). I primi componenti sono
nominati nell'atto costitutivo. Successivamente la loro nomina compete all'assemblea
ordinaria. La legge prevede requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza dei
consiglieri di sorveglianza, estendendo ad essi parte delle regole previste per i sindaci.
Nelle società che non sono quotate:
- almeno un componente effettivo del consiglio di sorveglianza deve essere scelto tra gli
iscritti nel registro dei revisori contabili;
- non possono essere eletti i componenti del consiglio di gestione, né coloro che sono legati
alla società o a società dello stesso gruppo da un rapporto di lavoro, di consulenza o di
prestazione d’opera retribuita che ne compromettano l’indipendenza;
- trovano applicazione le cause di ineleggibilità e decadenza previste dall’art. 2382 per gli
amministratori e sindaci.
Nelle società quotate e in quelle con strumenti finanziari diffusi tra il pubblico, i consiglieri
di sorveglianza devono ulteriormente rispettare i limiti al cumulo di incarichi determinati con
regolamento dalla Consob.
Nelle sole società quotate i consiglieri di sorveglianza devono essere in possesso dei requisiti
di professionalità ed onorabilità (inoltre applicate cause di ineleggibilità dei sindaci art.148).
I componenti del consiglio di sorveglianza restano in carica tre esercizi e sono rieleggibili,
salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo. Il loro compenso è annuale e deve essere
predeterminato ed invariabile in corso di carica, stabilito dall’assemblea. Sono inoltre
revocabili dall’assemblea anche se non ricorre una giusta causa.
La nomina e la cessazione dall’ufficio dei consiglieri di sorveglianza devono essere iscritte, a
cura degli amministratori, nel registro delle imprese entro 30 giorni.

Competenze e funzionamento del consiglio di sorveglianza.

Il consiglio di sorveglianza esercita le funzioni proprie del collegio sindacale nel sistema
tradizionale, con conseguente applicabilità di larga parte della disciplina per quest'ultimo
dettata (art. 2409-quaterdecies).
In particolare presenta la denunzia al tribunale ex art. 2409; riferisce per iscritto almeno una
volta all'anno all'assemblea sull'attività di vigilanza svolta, sulle omissioni e sui fatti
censurabili rilevati.
Al consiglio di sorveglianza è inoltre attribuita larga parte delle funzioni dell'assemblea
ordinaria:
- nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione e ne determina il compenso;
- approva il bilancio di esercizio e il bilancio consolidato;
- promuove l’esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dei componenti del
consiglio di gestione.
Il presidente del consiglio di sorveglianza è eletto dall'assemblea e i suoi poteri sono
determinati dallo statuto (art. 2409-duodecies, 8 e 9 co). I componenti del comitato di
sorveglianza devono adempiere i loro doveri con la diligenza richiesta dalla natura
dell'incarico.

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Sono solidalmente responsabili con i componenti del consiglio di gestione per i fatti e le
omissioni di questi quando i danni non si sarebbero prodotti se essi avessero vigilato in
conformità dei doveri della loro carica.

Il consiglio di gestione.

Le funzioni del consiglio di gestione coincidono con quella del consiglio d'amministrazione
del sistema tradizionale (art. 2409-novies).
Il consiglio di gestione è costituito da un numero di componenti non inferiore a 2.
I primi componenti sono nominati nell'atto costitutivo.
Successivamente la loro nomina compete al consiglio di sorveglianza, che ne determina
anche il numero nei limiti stabiliti dallo statuto. I consiglieri di gestione non possono esser
nominati consiglieri di sorveglianza; essi sono revocabili ad nutum dal consiglio di
sorveglianza.
Come nel sistema tradizionale, i componenti del consiglio di gestione restano in carica per
non più di tre esercizi, ma sono rieleggibili.
Non trova applicazione il meccanismo della cooptazione. Se dunque, nel corso
dell’esercizio vengono a mancare uno o più componenti del consiglio di gestione, il
consiglio di sorveglianza provvede senza indugio alla loro sostituzione.
Il consiglio di gestione può delegare proprie attribuzioni ad uno o più dei suoi componenti.
L’azione di responsabilità nei confronti del consiglio di gestione può essere promossa anche
dal consiglio di sorveglianza.

Il sistema monistico.

Il sistema monistico si caratterizza per la soppressione del collegio sindacale.


L'amministrazione e il controllo sono fatti esercitare dal consiglio di amministrazione e da un
comitato per il controllo della gestione, costituite al suo interno che svolge le funzioni del
collegio sindacale (art. 2409-sexiesdecies).
Il controllo contabile è poi affidato ad un revisore contabile o ad una società di revisione.
I componenti del comitato per il controllo sulla gestione sono infatti nominati dallo stesso
consiglio di amministrazione, fra i consiglieri in possesso dei requisiti di indipendenza,
onorabilità e professionalità.
Si chiede inoltre che essi non siano membri del comitato esecutivo e che non svolgano
funzioni gestorie, neppure in società controllanti o controllate. Almeno uno dei componenti
deve essere scelto fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili.
Il consiglio di amministrazione determina anche il numero dei componenti del comitato per
il controllo della gestione. Il comitato elegge al suo interno il presidente ed opera con
l'osservanza delle norme di funzionamento dettate per il collegio sindacale. In particolare,
deve riunirsi ogni 90 giorni.
Il comitato per il controllo sulla gestione svolge le stesse funzioni del collegio sindacale:
vigila sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo
interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché sull’idoneità a rappresentare
adeguatamente i fatti di gestione.
I suoi componenti devono assistere alle assemblee, alle adunanze del cda e del comitato
esecutivo. Il comitato per il controllo sulla gestione documenta l’attività svolta in un apposito
libro. Il punto debole di questo sistema consiste nel fatto che i controllori sono direttamente
nominati dai controllati, siedono insieme a questi ultimi e votano nel consiglio di
amministrazione. La funzionalità del sistema si gioca tutta sulla effettiva " indipendenza" dei
chiamati alla funzione di controllori.

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CAPITOLO 12: I CONTROLLI ESTERNI.

Il sistema.

Accanto al controllo interno del collegio sindacale ed al controllo contabile affidato ad un


revisore esterno l'ordinamento prevede un articolato sistema di controlli esterni sulle società
per azioni.
Controlli che sono diretti a tutelare anche interessi ulteriori e diversi rispetto a quelli
tradizionali dei soci di minoranza e dei creditori sociali.
Comune a tutte le società per azioni è infatti solo il controllo esterno sulla gestione esercitato
dall'autorità giudiziaria in presenza di situazioni patologiche che ne alterano il corretto
funzionamento.
Controlli esterni di diversa natura sono introdotti per la società che svolgono particolare
attività dalla relativa legislazione speciale. Per esempio, le società quotate in borsa sono
soggette al controllo della Consob, o società bancarie sono soggette al controllo della Banca
d’Italia, ecc.

Il controllo giudiziario sulla gestione. Presupposti e iniziativa.

Il controllo giudiziario sulla gestione delle società per azioni (art. 2409 c.c.) è una forma di
intervento dell'autorità giudiziaria nella vita delle società volta a ripristinare la legalità
dell'amministrazione delle stesse.
La relativa disciplina ha subito significative modifiche con la riforma del '98 e con quella del
2003: ad iniziare dalla situazione societaria che legittima l'intervento del tribunale in
precedenza individuata nel " fondato sospetto di gravi irregolarità nell'adempimento dei
doveri degli amministratori e dei sindaci".
In base all'attuale disciplina invece il procedimento può essere attuato se vi è fondato
sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che
possano arrecare danno alla società.
Le gravi irregolarità possono essere denunziate:
- dai soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale;
- in tutte società l'iniziativa può essere assunta anche dal collegio sindacale o dal
corrispondente organo di controllo nei sistemi alternativi;
- nelle sole società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio l'iniziativa può
essere assunta anche dal pubblico ministero nonché dalla Consob.
Il tribunale non può invece procedere di ufficio. I soggetti legittimati sono tenuti a provare
l’effettiva esistenza delle gravi irregolarità. È sufficiente che essi dimostrino l’esistenza di un
fondato sospetto.
Condizione necessaria e sufficiente affinché il procedimento inizi è che le irregolarità
denunziate sussistano, che siano potenzialmente dannose e non siano rimosse.

Il procedimento.

Il procedimento attivato con la denunzia si articola in due fasi.


Una prima fase, di carattere istruttorio, è diretta ad accertare l'esistenza delle irregolarità e a
individuare i provvedimenti da adottare per rimuoverle.
A tal fine il tribunale deve sentire in camera di consiglio gli amministratori e sindaci.
Può inoltre fare eseguire l'ispezione dell'amministrazione della società da parte di un
consulente nominato dal Tribunale. Le spese relative sono a carico dei soci richiedenti.
Il gruppo di comando della società può evitare l'ispezione ed ottenere dal tribunale la
sospensione del procedimento per un periodo determinato se l'assemblea sostituisce
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amministratori e sindaci con soggetti " di adeguata professionalità, che si attivano senza
indugio per accertare se le violazioni sussistano e per eliminarle". Se questi risultano
insufficienti all’eliminazione delle violazioni denunziate ed accertate dal tribunale, questo
può scegliere fra due strade:
- il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti cautelari per evitare il ripetersi di
irregolarità e nel contempo convocare l’assemblea della società per le deliberazioni
conseguenti. Deliberazioni che l’assemblea è libera di adottare o meno;
- nei casi più gravi, il tribunale revoca gli amministratori, a volte anche i sindaci, e nomina
un amministratore giudiziario.
I poteri e la durata in carica dell'amministratore giudiziario sono determinati dal tribunale
con decreto di nomina.
L’amministratore giudiziario ha la qualifica di pubblico ufficiale per quanto attiene alle sue
funzioni. Il suo compenso, a carico della società, è determinato dal tribunale. Può essere
revocato dal tribunale. Al termine del suo ufficio deve rendere al tribunale il conto della
propria gestione.
L'amministratore giudiziario ha la rappresentanza della società, anche processuale, ma non
può compiere atti eccedenti l'ordinaria amministrazione senza l'autorizzazione del
presidente del tribunale.
Prima della scadenza del suo incarico, l’amministratore giudiziario, deve convocare
l’assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci.
Oppure, può proporre all’assemblea la messa in liquidazione della società o la sua
sottoposizione ad una procedura concorsuale. Ma l’assemblea è libera nel decidere in
proposito.

La Consob.

La Consob (commissione nazionale per le società e la borsa) è un organo pubblico di


vigilanza sul mercato dei capitali; attualmente la Consob è una persona giuridica di diritto
pubblico, che gode di piena autonomia nei limiti stabiliti dalla legge.
Essa ha sede in Roma ed una sede secondaria operativa a Milano.
La commissione ha autonomi poteri normativi e regolamentari nelle materie ad essa riservati
per legge.
Le sue deliberazioni sono adottate collegialmente, salvo i casi di urgenza previsti per legge e,
non è ammessa delega permanente di funzioni ai commissari.
Il presidente sovrintende all’attività istruttoria e cura l’esecuzione delle delibere.
La Consob e le altre autorità di vigilanza del mercato finanziario (Banca d’Italia, Isvap)
collaborano fra loro al fine di agevolare le rispettive funzioni e non possono opporsi
reciprocamente il segreto d’ufficio.
Allo stesso fine, la Consob collabora anche con le autorità europee e dei vari stati membri o
extracomunitari.
Nata come organo di controllo della borsa e delle società che in borsa collocano i propri
titoli, la Consob è progressivamente divenuto organo di controllo dell'intero mercato
mobiliare.
Infatti, la Consob vigila, insieme alla Banca d’Italia, sugli intermediari mobiliari, col fine di
garantire la trasparenza e la correttezza dei comportamenti degli stessi.
Vigila sui mercati regolamentati al fine di assicurare la trasparenza, l’ordinato svolgimento
delle negoziazioni e la tutela degli investitori.
Vigila, infine, su tutti gli emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico avendo riguardo
alla tutela degli investitori, nonché alla efficienza e trasparenza del mercato del controllo
societario e del mercato di capitali.

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Ammissione delle azioni alle quotazioni di borsa.

La privatizzazione della borsa valori realizzata nel 1997, in attuazione al d.lgs. 415/1996, ha
modificato la disciplina in tema di ammissione delle azioni alle quotazioni, sospensione e
revoca. Le relative competenze, in precedenza attribuite alla Consob, sono state trasferite
alla società di gestione della borsa, Borsa italiana spa, sotto la vigilanza della Consob.
In base all’attuale disciplina le condizioni di ammissione, esclusione e sospensione delle
azioni dalle negoziazioni sono determinate dal regolamento di mercato deliberato
dall’assemblea ordinaria della società di gestione della borsa. La Consob, a sua volta,
autorizza l’esercizio dei mercati regolamentati previo accertamento che il regolamento
assicuri la trasparenza del mercato, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela
degli investitori. L’ammissione avviene esclusivamente su domanda della società interessata
previa deliberazione dell’organo competente, cioè dall’assemblea dei soci. La società di
gestione delibera entro due mesi dalla domanda e comunica all’emittente la decisione di
ammissione o rigetto della domanda. Contestualmente comunica alla Consob la propria
decisione.
L’inizio delle negoziazioni deve comunque essere preceduto dalla pubblicazione di un
apposito prospetto di quotazione contenente le informazioni necessarie affinché gli
investitori possano formarsi un giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e
finanziaria dell’attività dell’emittente, nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti.
Contenuto e modalità di pubblicazione del prospetto è determinato dalla Consob con
proprio regolamento.
La società di gestione del mercato dispone anche la sospensione o la revoca della
quotazione, dandone immediata comunicazione alla Consob. La Consob può entro 5 giorni
vietare l’esecuzione dei provvedimenti di esclusione, ovvero ordinare la revoca della
sospensione.
La sospensione è disposta qualora non è temporaneamente garantita la regolarità del mercato
o se lo richiede la tutela degli investitori. La sospensione può durare al massimo 18 mesi,
dopo di che la società di gestione della borsa delibera l’esclusione della sospensione se sono
venuti meno i motivi della sospensione.
La società può chiedere, con deliberazione dell’assemblea straordinaria, l’esclusione dalla
negoziazione se ottiene l’ammissione in altro mercato regolamentato, purché sia garantita
una tutela equivalente degli investitori.

Consob e informazione societaria.

La Consob svolge un ruolo centrale per assicurare una adeguata e veritiera informazione sul
mercato mobiliare sugli eventi di rilievo che riguardano la vita delle società che fanno
appello al pubblico risparmio, in modo da consentire agli investitori scelte più consapevoli.
In base all’attuale disciplina sono assoggettati ad obblighi informativi nei confronti del
pubblico:
- tutti gli emittenti strumenti finanziari quotati e i soggetti che li controllano;
- gli emittenti strumenti finanziari non quotati in mercati italiani, ma diffusi fra il pubblico in
misura
rilevante.
Due sono i principi cardine dell'attuale disciplina:
- tutte le società con azioni e obbligazioni diffuse fra il pubblico devono tempestivamente
informare il pubblico, secondo le modalità stabilite dalla Consob, di qualsiasi fatto,
riguardante anche l'attività delle società controllate, la cui conoscenza può influire
sensibilmente sul prezzo degli strumenti finanziari (art. 114 Tuf);

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- la Consob può richiedere che siano resi pubblici notizie e documenti necessari per
l'informazione del pubblico e provvedervi direttamente.
La Consob ha prescritto specifici obblighi di informazione preventiva del pubblico per una
seria operazione straordinaria: acquisto e cessione di pacchetti azionari, acquisto e vendita
di azioni proprie, fusioni, scissioni.
Ha inoltre prescritto che siano messi tempestivamente a disposizione del pubblico
documenti contabili periodici: bilancio di esercizio e relazione semestrale degli
amministratori.
La Consob è poi investita di ampi poteri di indagine di intervento al fine di vigilare sulla
correttezza dell'informazione fornita al pubblico.

CAPITOLO 13: I LIBRI SOCIALI. IL BILANCIO.

I libri sociali obbligatori.

Oltre i libri e le scritture contabili previsti per l’imprenditore commerciale, la spa deve tenere
anche i libri sociali indicati nell’art. 2421 e destinati a documentare i profili essenziali
dell’organizzazione e della vita sociale.
I libri obbligatori sono:
- il libro soci, in questo libro devono essere indicati il numero delle azioni emesse, il
cognome ed il nome dei relativi possessori delle azioni nominative, i trasferimenti ed i
vincoli ad essi relative, nonché i versamenti eseguiti. Sono inoltre annotati gli
annullamenti dei titoli azionari, l’ammortamento e il rilascio di duplicati;
- il libro delle obbligazioni, in esso sono indicati l’ammontare delle obbligazioni emesse e
di quelle estinte, il cognome e nome dei titolari di obbligazioni nominative, nonché i
trasferimenti e i vincoli ad esse relative;
- il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, nel quale vanno trascritti
anche i verbali redatti per atto pubblico;
- il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione;
- il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale;
- il libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo;
- il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti;
- il libro degli strumenti finanziari di partecipazione ad uno specifico affare.
I soci ed il rappresentante comune degli azionisti di risparmio hanno il diritto di esaminare
solo il libro dei soci e quello delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea e possono
ottenerne degli estratti. È invece precluso l’esame degli altri libri sociali e delle scritture
contabili della società.
Il rappresentante comune degli obbligazionisti ha diritto di esaminare ed ottenere estratti del
libro delle obbligazioni e di quello delle adunanze e deliberazioni dell’assemblea dei soci.
Identico diritto è riconosciuto ai singoli obbligazionisti per il libro delle adunanze e delle
deliberazioni della loro assemblea (2422.2).
Il rappresentante comune dei possessori di strumenti finanziari partecipativi e i singoli
possessori hanno infine
diritto di esaminare ed ottenere estratti solo dell’ultimo libro.

Il bilancio d’esercizio.

La società per azioni deve redigere annualmente il bilancio di esercizio quest’ultimo è il


documento contabile che rappresenta la situazione patrimoniale e finanziaria della società
alla fine di ciascun esercizio, nonché il risultato economico dell'esercizio stesso ( cioè, gli
utili conseguiti o le perdite subite nell'esercizio). Esso è costituito dallo stato patrimoniale,
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dal conto economico e dalla nota integrativa. Deve inoltre essere corredato dalla relazione
sulla gestione degli amministratori, nonché la relazione del collegio sindacale e delle
revisore contabile.
Funzione essenziale del bilancio è quindi quella di accertare periodicamente la situazione
del patrimonio (aspetto statico) e la redditività (aspetto dinamico) della società.
Il bilancio di esercizio costituisce per i soci il solo strumento legale di informazione
contabile sull'andamento degli affari sociali; e costituisce per i creditori sociali il mezzo per
conoscere la consistenza del patrimonio della società.
Il bilancio di esercizio delle società di capitali ha inoltre rilievo anche per l'applicazione
della normativa tributaria in quanto costituisce per il fisco il termine di riferimento per la
tassazione periodica del reddito della società (Ires).
Il Regolamento CE 19-7-2002, n.1606 e il d.lgs 28/2/2005 n.38 hanno disposto che a partire
dal 2005 alcune società siano obbligate, ed altre abbiano la facoltà di redigere i propri
bilanci in base ai principi contabili internazionali.
I principi contabili internazionali divengono giuridicamente vincolanti solo in seguito alla
loro adozione da parte della Commissione europea. L’impiego di tali principi è obbligatorio
per la redazione dei bilanci di esercizio e consolidato delle società con azioni od altri
strumenti finanziari quotati, o diffusi tra il pubblico in misura rilevante. E’ obbligatorio per le
società che esercitano particolari attività: banche, società assicurative, società di
intermediazione finanziari e mobiliare. L’adozione non è invece consentita alle società che
possono redigere il bilancio in forma abbreviata. Per tutte le altre spa l’adozione è
facoltativa.

Principi fondamentali della disciplina del bilancio.

I principi cardine che dominano la redazione del bilancio sono quelli della chiarezza e della
rappresentazione veritiera e corretta: "il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve
rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della
società e il risultato economico dell'esercizio (art. 2423.2).
Analogamente, tali principi cardine sono il fondamento dei libri contabili internazionali.
Perciò è obbligatorio fornire le informazioni ulteriori necessarie, se quelle richieste da
specifiche disposizioni di legge o dei principi contabili internazionali non sono sufficienti a
dare una rappresentazione veritiera e corretta.
Inoltre, le specifiche disposizioni di legge o dei principi contabili internazionali non devono
essere applicate se la loro applicazione è incompatibile con la rappresentazione veritiera e
corretta.
Gli amministratori sono tenuti a motivare le deroghe nella nota integrativa e ad indicarne
l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato
economico
Ulteriori principi sono:
- la valutazione delle voci di bilancio deve essere fatta secondo prudenza e nella
prospettiva di continuazione dell'attività. Si deve altresì tenere conto "della funzione
economica dell'elemento dell'attivo o del passivo considerato" al fine di far prevalere
quest'ultima in caso di contrasto con i criteri formali di iscrizione in bilancio (c.d.
principio di prevalenza della sostanza sulla forma).
- nella redazione del bilancio si deve tener conto delle entrate e delle uscite di competenza
dell'esercizio indipendentemente dalla data dell'incasso del pagamento. Il bilancio di
esercizio è cioè un bilancio di competenza e non di cassa.
- i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all'altro, se non in
casi eccezionali e con l’obbligo degli amministratori di motivare la deroga nella nota
integrativa e di illustrarne l’influenza (continuità).

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La struttura del bilancio redatto secondo la disciplina del codice civile.

Il bilancio di esercizio si articola in tre parti: lo stato patrimoniale, il conto economico e la


nota integrativa.
Deve essere, inoltre, corredato dalla relazione sulla gestione degli amministratori, nonché da
relazioni del collegio sindacale e del revisore contabile. In applicazione del principio di
chiarezza, sono indicate dettagliatamente le voci che devono figurare nello stato
patrimoniale e nel conto economico.
Inoltre, sono dettate alcune regole generali che devono essere applicate nella redazione ti
tali documenti:
- le singole voci devono essere inserite nello stato patrimoniale e nel conto economico
secondo l'ordine tassativo fissato per la legge. Gli amministratori non possono perciò
scegliere liberamente l'ordine di esposizione né modificarlo da un esercizio all'altro;
- le voci sono organizzate in grandi categorie omogenee a loro volta articolate in
sottocategorie, in voci (numeri arabi) ed in alcuni casi anche sottovoci (lettere minuscole);
- per ogni voce dello stato patrimoniale e del conto economico deve essere indicato
l'importo della voce corrispondente dell'esercizio precedente, al fine di consentire il
confronto con i bilanci precedenti;
- è vietato il compenso di partite (art. 2423-ter, 6 comma): cioè la somma algebrica di
attività e passività; ovvero di costi e ricavi, che per legge devono essere iscritti
distintamente.
Il bilancio deve essere redatto in unità di euro, senza cifre decimali.
La nota integrativa non può essere redatta in migliaia di euro.
Alle società che non superano determinate dimensioni è consentita la redazione di un
bilancio in forma abbreviata, nel quale è ridotto il numero delle voci dello stato patrimoniale
e del conto economico, nonché delle indicazioni richieste nella nota integrativa.
Può essere omessa la redazione della relazione sulla gestione, qualora la nota integrativa
contenga le informazioni richieste.
Lo stato patrimoniale rappresenta in modo sintetico la composizione quantitativa e
qualitativa del patrimonio della società e la sua situazione finanziaria nel giorno della
chiusura dell'esercizio.
Consente inoltre l'immediata conoscenza del patrimonio netto della società. Lo stato
patrimoniale deve essere redatto nella forma a colonne (art. 2424).

Le voci dell'attivo sono aggregate in quattro grandi categorie:


A) crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, con separata indicazione della parte già
chiamata;
B) immobilizzazioni, che comprendono gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati
durevolmente dalla società e che in base l'attuale disciplina devono contenere separata
indicazione di quelle concesse in locazione finanziaria;
B-I) immobilizzazioni immateriali (articolate in sette voci), quali i costi di impianto e di
ampliamento (B-I-1), i diritti di brevetto industriale (B-I-3) e l'avviamento (B-I-5) .
B-II) immobilizzazioni materiali (articolate in cinque voci) quali i terreni e i fabbricati (B-
II-1), le attrezzature industriali e commerciali (B-II-3).
B-III) immobilizzazioni finanziarie, che comprendono partecipazioni azionarie e altri titoli e
le azioni proprie.
C) attivo circolante, a sua volta distinto in:
C-I) rimanenze (articolate in cinque voci), quali le rimanenze di materie prime, sussidiarie e
di consumo (C-I-1), di prodotti in corso di lavorazione (C-I-2) e di prodotti finiti e merci (C-
I-4 ter).

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C-II) crediti, che non costituiscono immobilizzazioni, (articolati in 8 voci), quali crediti
tributari ed imposte anticipate.
C-III) attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni, fra le quali vanno inserite
le partecipazioni, le azioni proprie e gli altri titoli di cui si prevede l'alienazione in tempi
brevi.
C-IV) disponibilità liquide (distinte in tre voci), quali i depositi bancari e il denaro in cassa.
D) ratei e risconti (attivi), con separata indicazione del disaggio su prestiti. I ratei attivi sono
provenienti di competenza dell'esercizio esigibili in esercizi successivi. I risconti attivi sono
invece i costi sostenuti nell'esercizio, ma di competenza di esercizi successivi.

Passando al passivo dello stato patrimoniale:


A) patrimonio netto, composto dal capitale sociale nominale (A-I) e dai diversi tipi di riserve,
distinte a seconda della fonte (insieme degli importi del capitale e delle riserve, degli utili
portati a nuovo e degli utili di esercizio risultanti dal conto economico ecc...).
B) fondi per rischi ed oneri. Si tratta di accantonamenti destinati a coprire perdite o debiti
certi e probabili.
C) trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato. L'importo del relativo fondo va
calcolato in base agli anni di servizio maturati (art. 2120) .
D) debiti, distinti oggi in ben 14 voci per consentire una dettagliata informazione
quantitativa e qualitativa sull'inadempimento della società.
E) ratei e risconti (passivi), con separata indicazione dell'aggio sui prestiti. I ratei passivi sono
costi di competenza dell'esercizio che saranno effettivamente sopportati negli esercizi
successivi. I risconti passivi sono invece provenienti percepiti nell'esercizio, ma di
competenza di esercizi successivi.
In calce allo stato patrimoniale devono infine essere iscritti i conti d'ordine: la loro funzione
è quella di informare sull'esistenza di rischi ed impegni futuri, che non incidono attualmente
sulla consistenza del patrimonio sociale. Mentre lo stato patrimoniale rappresenta la
situazione patrimoniale e finanziaria della società al termine dell'esercizio, il conto
economico espone il risultato economico dell'esercizio attraverso la rappresentazione dei
costi e degli oneri sostenuti, nonché dei ricavi e degli altri provenienti conseguiti
nell'esercizio. Il conto economico deve essere redatto in forma espositiva scalare (art. 2425),
con esposizione cioè in unica sequenza prefissata dei componenti positivi e negativi di
reddito.

Il conto economico è articolato in cinque sezioni scalari:


1) valore della produzione, vanno indicati e sommati i ricavi di competenza dell'esercizio
dell'attività produttiva tipica e le variazioni delle relative rimanenze di magazzino. Dal totale
così ottenuto si sottraggono
2) i costi della produzione, fra cui sono compresi gli ammortamenti, le svalutazioni e gli
accantonamenti.
3) vanno iscritti assommati algebricamente i provenienti e oneri finanziari.
4) vanno iscritte sommate algebricamente le rettifiche di valore di attività finanziarie.
5) manoscritti e sommati algebricamente i provvedimenti ed oneri straordinari.
La somma algebrica dei diversi dotali parziali così ottenuti costituisce il risultato globale di
esercizio. Si tiene così l'utile o la perdita di esercizio che va riportato nello stato
patrimoniale.
Oltre lo stato patrimoniale e il conto economico, gli amministratori devono redigere due
ulteriori documenti:
- la nota integrativa (art. 2427), che costituisce parte integrante del bilancio. Essa illustra e
specifica le voci dello stato patrimoniale e del conto economico; fornisce una serie di
informazioni integrative sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sul risultato
economico di esercizio, sulle azioni e sugli strumenti finanziari emessi dalla società e
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sulle operazioni di locazione finanziaria. Nella nota integrativa vanno elencate le


partecipazioni in società controllate e collegate.
- la relazione sulla gestione (art. 2428), è un allegato esterno al bilancio; essa deve illustrare
la situazione della società e l'andamento della gestione "nel suo complesso e nei vari
settori in cui essa ha operato".

La struttura del bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali.

Il bilancio di esercizio redatto secondo i principi contabili internazionali ha struttura più


articolata rispetto a quanto previsto dal cc poiché, oltre allo stato patrimoniale, al conto
economico e alle note di bilancio, esso si compone di altri due documenti: un prospetto
delle variazioni del patrimonio netto ; un rendiconto finanziario.
Viene assegnata una più complessa funzione al bilancio da parte dei principi contabili
internazionali: quella di rappresentare non solo la situazione del patrimonio e della
redditività della società, ma anche i flussi di cassa; ovvero viene accertata di quanta liquidità
ha potuto disporre la società nel corso dell’esercizio, come è stata procurata e come è stata
impiegata.
I principi contabili internazionali non prescrivono rigidi schemi di bilancio, limitandosi ad
elencare le informazioni minime.
Per quanto riguarda lo stato patrimoniale, si debbono indicare:
1) immobili, impianti, macchinari
2) investimenti immobiliari
3) attività immateriali
4) attività finanziare che non rientrano in altre voci specifiche
5) partecipazioni contabilizzate con il metodo del patrimonio netto
6) attività biologiche
7) rimanenze
8) crediti commerciali e altri crediti
9) disponibilità liquide e mezzi equivalenti
10) debiti commerciali e altri debiti
11) accantonamenti
12) passività finanziare e non rientranti in altre voci specifiche
13) crediti e debiti per imposte
14) capitale nominale e riserve
Per quanto concerne il conto economico lo IAS prevede:
a) ricavi;
b) oneri finanziari;
c) oneri fiscali;
d) utili o perdite delle attività operative cessate, al netto delle imposte;
e) utile o perdita.
Nel conto economico devono essere di regola rappresentati tutti gli incrementi e le perdite
patrimoniali verificatisi nell’esercizio.
Allo scopo di evidenziare le modificazioni totali del patrimonio nell’esercizio, i principi
contabili internazionali impongo perciò la redazione di un ulteriore documento: il prospetto
delle variazioni del patrimonio netto. Il prospetto indica l’utile o le perdite imputati
direttamente a singole voci del patrimonio netto; somma gli importi precedenti, ottenendo gli
utili o le perdite totali del periodo. In esso deve poi essere illustrato in che modo tali utili e
perdite abbiano modificato le voci del patrimonio netto nel corso dell’esercizio.
Il prospetto indica, infine, per ciascuna voce del patrimonio netto, le svalutazioni o
rivalutazioni conseguenti a cambiamenti dei principi contabili o a correzioni degli errori
contabili rilevati nei bilanci precedenti.

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Il rendiconto finanziario espone in modo sintetico gli incassi e i pagamenti (cash flows)
effettuati dalla società durante l’esercizio. Tali flussi di cassa devono essere raggruppati in tre
classi:
a) flussi di cassa relativi all’esercizio dell’attività produttiva principale dell’impresa
b) flussi di cassa relativi alla realizzazione o smobilitazione di investimenti
c) flussi di cassa derivanti dalle operazioni con cui la società si procura nuovo capitale o
nuovi finanziamenti. Le note al bilancio assolvono la medesima funzione della nota
integrativa prevista dalla disciplina nazionale.

I criteri di valutazione nel codice civile.

La redazione del bilancio di esercizio comporta per molti cespiti patrimoniali il compimento
di una serie di stime da parte degli amministratori, volte a determinarne il valore da iscrivere
in bilancio, sia perché i valori neri in assoluto spesso non esistono, sia perché il valore di
molti cespiti varia nel tempo in relazione a molteplici fattori.
Il legislatore per un verso fissa principi generali da osservare nella valutazione: quella della
prudenza e quello della continuità dei criteri di valutazione.
Per altro verso determina dettagliatamente (art. 2426) i criteri cui gli amministratori devono
attenersi nelle valutazioni dei diversi cespiti.
Le immobilizzazioni di ogni tipo sono iscritte in bilancio al costo storico: vale a dire al costo
di acquisto o di produzione nel quale vanno computati anche i costi accessori. Il valore delle
immobilizzazioni materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo, deve
essere inoltre sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione alla residua
possibilità di utilizzazione del bene.
Se il costo storico è criterio base di valutazione delle immobilizzazioni, regole particolari
sono tuttavia dettate per alcune di esse:
a) le immobilizzazioni finanziarie costituite da partecipazioni in imprese controllate e
collegate, anziché al costo, possono essere valutate col metodo del patrimonio netto: cioè
iscrivendo in bilancio un importo pari alla corrispondente quota, opportunamente rettificata,
del patrimonio netto della società partecipata risultante dall'ultimo bilancio della stessa (art.
2426, n. 4);
b) i costi di impianto e di ampliamento, di ricerca, di sviluppo e di pubblicità possono essere
iscritti nell'attivo, solo se hanno un utilità pluriennale. Inoltre, devono essere ammortizzati in
un periodo non superiore ai 5 anni;
c) l'avviamento può essere iscritto nell'attivo solo se acquistato a titolo oneroso e nei limiti
del costo per esso sostenuto.
I crediti devono essere sempre valutati secondo il valore di prudente realizzo.
I cespiti dell'attivo circolante diversi dai crediti devono essere iscritti al costo di acquisto o di
produzione ovvero, se minori, al valore realizzato desumibile dall'andamento del mercato.
L'attuale disciplina stabilisce anche i criteri di iscrizione in bilancio delle attività e passività.
Al riguardo sono dettati criteri diversi a seconda che si tratti di attività e passività non
costituenti immobilizzazioni ovvero di attività che costituiscono immobilizzazioni.
Le prime vanno iscritte al tasso di cambio in vigore alla data di chiusura dell'esercizio e la
differenza rispetto al cambio del giorno di compimento dell'operazione darà luogo alla
formazione di utili o perdite su cambi da imputare al conto economico.
Le immobilizzazioni in valuta devono invece essere iscritte al tasso di cambio al momento
del loro acquisto (cambio storico) o a quello inferiore alla chiusura dell'esercizio se la
riduzione è giudicata durevole.
I criteri di valutazione fin qui esposti sono costantemente ispirati dal principio di prudenza e
mirano ad evitare che gli amministratori sopravvalutino i relativi cespiti patrimoniali.

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La rivalutazione monetaria è possibile solo in presenza di leggi speciali, periodicamente


emanate, che ne fissano criteri e modalità.

I criteri di valutazione dei principi contabili internazionali.

I principi contabili internazionali si basano sul fair value cioè valore equo, il corrispettivo al
quale bene potrebbe essere scambiato in una transazione.

Il procedimento di formazione del bilancio.

Il bilancio di esercizio è un atto della società alla cui redazione cooperano nel sistema
tradizionale di amministrazione e controllo tutti e tre gli organi sociali: amministratori,
collegio sindacale e assemblee, nonché il soggetto incaricato del controllo contabile.
Nelle società che adottano il sistema dualistico il bilancio invece è predisposto dal consiglio
di gestione ed è approvato dal consiglio di sorveglianza.
Il procedimento di formazione del bilancio è cadenzato dall'art. 2364, 2 comma.
In base a tale norma, l'assemblea ordinaria deve essere convocata almeno una volta
all'anno, entro il termine stabilito dallo statuto o comunque non superiore a centoventi
giorni dalla chiusura dell'esercizio sociale. Gli amministratori redigono progetto di bilancio e
tale funzione non è delegabile al comitato esecutivo o agli amministratori delegati.
Il progetto di bilancio e relativi allegati deve restare depositato in copia nella sede della
società durante i 15 giorni che precedono l'assemblea e affinché sia approvato. I soci
possono prenderne visione.
La legge non specifica quali poteri abbia l'assemblea in merito al bilancio. Essa può
certamente approvarlo o respingerlo. Approvazione del bilancio non implica comunque
liberazione degli amministratori, direttori generali e sindaci (art. 2434). Entro 30 giorni
dall’approvazione, la copia del bilancio, corredata dalle relazioni e dal verbale
di approvazione dell’assemblea o del consiglio di sorveglianza, deve essere depositata a cura
degli amministratori presso l’ufficio del registro delle imprese o spedita al medesimo ufficio a
mezzo raccomandata.
Nelle società con azioni quotate in borsa gli amministratori devono redigere anche una
relazione semestrale sull’andamento della gestione.

Invalidità della delibera di approvazione.

Il bilancio di esercizio può presentare vizi ed irregolarità che riguardano il procedimento di


formazione dello stesso (es. omesso deposito nella sede sociale). In tal caso la relativa
delibera assembleare di approvazione è di regola annullabile.
E’ nulla in caso di mancanza di convocazione o del verbale. Il bilancio di esercizio può
presentare irregolarità che riguardano il suo contenuto, perché redatto violando i principi di
chiarezza, verità, correttezza.
La delibera di approvazione di un bilancio non chiaro e non preciso ha oggetto illecito, in
quanto adottata in contrasto con norme imperative inderogabili dettate a tutela di un
interesse generale.
Non si ha nullità della delibera quando i vizi di chiarezza sono marginali e non
compromettono la precisa rappresentazione della situazione patrimoniale e del risultato
economico di esercizio.
Le azioni di annullabilità e nullità previste dagli articoli 2377 e 2379 non possono essere più
esercitate dopo che è stato approvato il bilancio dell’esercizio successivo. E’ impedita
l’impugnazione da parte del singolo azionista anche per cause di nullità della delibera di
approvazione del bilancio.
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L’impugnativa per mancata conformità del bilancio alle norme che ne disciplinano i criteri di
redazione può essere infatti proposto in ogni caso anche dalla Consob (Isvap per società
assicurative), nel termine di sei mesi dal deposito del bilancio presso l’ufficio del registro
delle imprese.

Utili. Riserve. Dividendi.

L'assemblea che approva il bilancio delibera sulla distribuzione degli utili ai soci.
Nel sistema dualistico a tal fine provvede l'assemblea convocata dal consiglio di
sorveglianza (art. 2433, 1 comma).
Non tutti gli utili sono però distribuibili fra i soci sotto forma di dividendi. E ciò per la
presenza di alcuni vincoli di destinazione imposti dalla legge. Se negli esercizi precedenti si
è verificata una perdita del capitale sociale, non si possono ripartire gli utili fino a che il
capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente.
Dagli utili netti annuali, non assorbiti da perdite precedenti, deve essere poi dedotta una
somma corrispondente almeno al 5% degli stessi per costituire una riserva (riserva legale). La
riserva legale costituisce un accantonamento contabile di utili imposto per legge a
salvaguardia dell'integrità del capitale sociale; per evitare cioè che eventuali perdite degli
esercizi futuri colpisca direttamente il capitale sociale riducendola. Essa si risolve in una
forma di autofinanziamento obbligatorio della società. Funzione e caratteri non diversi dalla
riserva legale presenta la riserva statutaria. La differenza consiste nel fatto che la sua
costituzione è imposta dallo statuto, che stabilisce anche la quota parte degli utili di
esercizio da destinare alla stessa.
Sono infine riserve facoltative, quelle discrezionalmente disposte dall'assemblea ordinaria
che approva il bilancio. Gli utili di cui l'assemblea che approva il bilancio può disporre a
favore dei soci sono costituiti:
- dagli utili distribuibili di esercizio;
- dagli utili accertati e non distribuiti negli esercizi precedenti.
Diversamente da quanto visto per le società di persone, nella società per azione l'
approvazione del bilancio di esercizio non determina di per sé l'insorgere di un diritto
individuale degli azionisti all'immediata assegnazione della propria parte di utili.
Gli azionisti non sono tuttavia obbligati a restituire dividendi riscossi per utili non realmente
esistenti quando:
- erano in buona fede al momento della riscossione;
- i dividendi sono stati distribuiti in base ad un bilancio regolarmente approvato; C) dal
bilancio risultano utili netti corrispondenti.
Non sono esposti a ripetizione gli azionisti che senza colpa ignoravano il carattere fittizio
degli utili assegnati e riscossi.
La distribuzione di acconti dividendo è consentita solo alle spa il cui bilancio è assoggettato
per legge al controllo da parte di società di revisione iscritte nell’albo speciale.
La distribuzione di acconti dividendo è sottoposta ad una serie di condizioni per evitare che
vengano distribuiti utili solo sperati e difficilmente recuperabili dagli azionisti dopo
l’approvazione del bilancio di esercizio:
- deve essere prevista dallo statuto;
- può essere deliberata dagli amministratori solo dopo un giudizio positivo della società di
revisione;
- non è consentita quando dall’ultimo bilancio approvato risultano perdite;
- la misura dell’acconto non può superare la minor somma fra l’importo degli utili
conseguiti falla chiusura dell’esercizio precedente e quello delle riserve disponibili
risultanti dall’ultimo bilancio approvato.

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La distribuzione deve essere deliberata dagli amministratori sulla base di un prospetto


contabile e di una relazione dai quali risulti che la situazione patrimoniale, economica e
finanziaria della società consente la distribuzione stessa. Su tali documenti va chiesto il
parere del soggetto incaricato del controllo contabile.
Gli acconti dividendo non sono ripetibili se i soci che li hanno riscossi in buona fede, anche
se sia successivamente accertata l'esistenza degli utili di periodo risultanti dal prospetto.

Gli acconti dividendo.

Solo con la chiusura dell’esercizio sociale e con l’approvazione del relativo bilancio è
possibile sapere se vi sono utili distribuibili ai soci sotto forma di dividendi.
La distribuzione di acconti dividendo non è consentita a tutte le spa, ma solo a quelle il cui
bilancio è assoggettato per legge al controllo da parte di società di revisione iscritte nell’albo
speciale.
La distribuzione di acconti dividendo da parte di tali società è sottoposta ad una serie di
condizioni per evitare che vengano distribuiti utili solo sperati e difficilmente recuperabili
dagli azionisti dopo l’approvazione del bilancio di esercizio:
- deve essere prevista dallo statuto può essere deliberata dagli amministratori solo dopo il
rilascio da parte delle società di revisione di un giudizio positivo sul bilancio dell’esercizio
precedente e l’approvazione dello stesso non è consentita quando dall’ultimo bilancio
approvato risultano perdite;
- la misura dell’acconto non po’ superare la minor somma fra l’importo degli utili conseguiti
dalla chiusura dell’esercizio precedente e quello delle riserve disponibili risultanti
dall’ultimo bilancio approvato.
La distribuzione di tali acconti è deliberata dagli amministratori “sulla base di un prospetto
contabile e di una relazione, dai quali risulti che la situazione patrimoniale, economica e
finanziaria della società consente la distribuzione della stessa.
Gli acconti dividendo erogati rispettando queste disposizioni non sono ripetibili se i soci li
hanno riscossi in buona fede, anche se sia successivamente accertata l’inesistenza degli utili
di periodo risultanti dal prospetto. Sanzioni penali sono previste a carico degli amministratori
che violino la disciplina esposta.

Il bilancio consolidato di gruppo.

Il bilancio consolidato è un bilancio redatto dalla capogruppo in aggiunta al proprio bilancio


di esercizio. In esso è rappresentata la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica del
gruppo considerato nella sua unità.
Il bilancio consolidato costituisce un utile strumento di informazione sulla situazione globale
del gruppo. Non incide invece sulla determinazione dell'utile distribuibile.
L'obbligo di redazione del bilancio consolidato di gruppo è stato introdotto dal d.lgs.
9-4-1991 n. 127 (artt. 25-43).
Il bilancio consolidato deve essere redatto dalla società di capitali che controlla altre imprese
e dalle società cooperative che controllano società di capitali (art. 25).
Le imprese da considerare ai fini del consolidamento sono solo quelle controllate tramite il
possesso di partecipazioni.
Sono esonerati dall'obbligo di redigere il bilancio consolidato i gruppi di minore
dimensione, purché nessuna delle imprese del gruppo sia una società con azioni quotate. Il
bilancio consolidato è redatto dagli amministratori della capogruppo ed ha la stessa struttura
del bilancio di esercizio.
Si articola perciò nello stato patrimoniale, nel conto economico e nella nota integrativa (artt.
38 e 39).

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Deve inoltre essere corredato da una relazione degli amministratori sulla situazione
complessiva delle imprese comprese nel consolidamento (art. 40).
Non sono inserite nel bilancio consolidato:
- le partecipazioni della controllante in imprese incluse nel consolidamento e la
corrispondente frazione del patrimonio netto (capitale e riserve) di queste;
- i crediti e debiti fra le imprese incluse nel consolidamento;
- i provenienti e gli oneri relativi ad operazioni effettuate fra le stesse;
- gli utili e le perdite conseguenti.
Il bilancio consolidato, a differenza di quello di esercizio, non è assoggettato ad
approvazione da parte dell'assemblea.
Esso costituisce perciò, nel sistema tradizionale e monistico, atto degli amministratori.
Nel sistema dualistico invece, il bilancio consolidato è approvato dal consiglio di
sorveglianza.
Perciò nei confronti del bilancio consolidato si applica la disciplina relativa all’invalidità
delle delibere del consiglio di amministrazione.

CAPITOLO 14: LE MODIFICAZIONI DELLO STATUTO.

Nozione.

Costituisce modificazione dello statuto di una società per azioni ogni mutamento del
contenuto oggettivo del contratto sociale; mutamento che può consistere sia nell'inserimento
di nuove clausole, sia nella modificazione o soppressione di clausole preesistenti.
Possono esservi delle modificazioni soggettive o oggettive (statutarie).

Il procedimento.

Le modificazioni statutarie rientrano nella competenza dell'assemblea dei soci in sede


straordinaria (art. 2365).
La delibera è adottata con le maggioranze previste in via generale per l'assemblea
straordinaria o nelle società non quotate, con quelle più elevate stabilite per talune
modifiche di particolare rilievo: cambiamento dell'oggetto sociale, trasformazione,
scioglimento anticipato, emissione di azioni privilegiate.
Per le società quotate sono inoltre previsti specifici obblighi informativi nei confronti della
Consob e del pubblico.
Le delibere modificative dello statuto erano originariamente soggette ad omologazione da
parte del Tribunale.
La soppressione del controllo giudiziario sullo statuto ed il conseguente affidamento al
notaio non hanno fatto venire meno del tutto il controllo giudiziario ma lo hanno reso
facoltativo ed eventuale. Infatti, in base all’attuale disciplina è il notaio che verifica
l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge e, entro 30 giorni, ne richiede
l’iscrizione nel registro delle imprese contestualmente al deposito.
La deliberazione non produce effetti se non dopo l’iscrizione e quindi non può essere
eseguita prima della stessa.
Vi sono casi in sui l’efficacia della delibera è condizionata o differita; es. nel caso della
delibera che pregiudica i diritti speciali riconosciuti a determinate categorie di azioni, la cui
efficacia è subordinata all’approvazione dell’assemblea di categoria.
Per rendere più agevole la conoscenza del contenuto dello statuto dopo ogni modificazione
dello stesso ne deve essere depositato nel registro delle imprese il testo integrale, nella sua
redazione aggiornata.

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Il diritto di recesso.

L'applicazione del principio maggioritario anche per la modificazione dello statuto fa si che
nella società per azioni la minoranza non può impedire modifiche dell'assetto societario. In
presenza di delibere modificative di particolare gravità, la minoranza è inoltre direttamente
tutelata dalla previsione di maggioranze più elevate e dal riconoscimento del diritto di
recesso dalla società (art. 2437 ss. c.c.).
Diritto quest'ultimo la cui disciplina è stata profondamente modificata con la riforma del
2003: sono stati infatti vistosamente ampliati i casi in cui il diritto di recesso è concesso.
Mentre la previgente disciplina prevedeva tre sole clausole di recesso (cambiamento
dell'oggetto sociale, trasformazione e trasferimento della sede sociale all'estero), l'attuale
disciplina amplia notevolmente le stesse (art.2437), che possono essere oggi distinte in cause
di recesso inderogabili, derogabili dallo statuto e cause statutarie.
A queste vanno poi aggiunte specifiche cause di recesso previste per le società che fanno
parte di un gruppo (le società non quotate).
Le cause inderogabili di recesso sono indicate dall’art. 2437, 1° comma.
Il diritto di recesso può essere esercitato dai soci che non hanno concorso alle delibere
riguardanti:
- la modifica dell'oggetto sociale,
- la trasformazione della società,
- il trasferimento della sede sociale all’estero,
- la revoca dello stato di liquidazione,
- l’eliminazione di una o più cause di recesso derogabili o previste dallo statuto,
- la modificazione dei criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso,
- la modificazione dello statuto concernenti il diritto di voto o di partecipazione (diritti
patrimoniali).
In tutti questi casi il diritto di recesso non può essere soppresso dallo statuto, ed è nullo ogni
patto volto ad escluderlo o a rendere più gravoso l’esercizio.
Le cause derogabili di recesso sono previste dall’art. 2347, 2° comma.
Il diritto di recesso spetta ancora, salvo diversa previsione dello statuto, ai soci che non
hanno concorso all’ approvazione delle delibere riguardanti:
- la proroga del termine di durata della società,
- l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni. In questo caso il
recesso non può essere esercitato solo per parte delle azioni.
Un' ultima causa di recesso riguarda le società a tempo indeterminato che non sono quotate
in un mercato regolamentato.
Per evitare che i soci restino prigionieri della società, in tal caso tutti soci possono recedere
liberamente con un preavviso di centottanta giorni, allungabile dallo statuto fino ad un anno
(art. 2437, 3 comma).
Il diritto di recesso deve essere esercitato dal socio mediante comunicazione con lettera
raccomandata alla società entro breve termine: 15 giorni dall'iscrizione nel registro delle
imprese della delibera che lo legittima; termine portato a 30 giorni dalla conoscenza da parte
del socio, se il fatto che legittima il recesso non è una delibera (art. 2437-bis, 1 comma).
Le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono
essere depositate presso la sede della società. Quest’ultima può sottrarsi al rimborso delle
azioni se entro 90 giorni successivi al recesso, revoca la delibera che lo legittima o delibera
lo scioglimento della società.
L'attuale disciplina modifica radicalmente il criterio di determinazione del valore delle
azioni da rimborsare. È infatti abbandonata per le società non quotate la prudenziale
determinazione in proporzione del patrimonio sociale risultante dal bilancio di quest'ultimo
esercizio.

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Nelle società non quotate il valore delle azioni da rimborsare è determinato dagli
amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e il revisore contabile, tenuto conto
della consistenza del patrimonio sociale e delle sue prospettive reddituali, nonché
dell’eventuale valore di mercato delle azioni.
I soci hanno diritto di conoscere la determinazione del valore di rimborso nei 15 giorni
precedenti la data fissata per l'assemblea. In caso di contestazione il valore di liquidazione è
determinato entro 90 giorni dall'esercizio del recesso da un esperto nominato dal tribunale.
Nelle società con azioni quotate il valore di liquidazione delle stesse è invece determinato
facendo esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che
precedono la convocazione dell'assemblea.
L'attuale disciplina detta un'articolata disciplina del procedimento di liquidazione delle
azioni del socio recedente (art. 2437-quater), al fine di evitare che l'ampliamento delle cause
di recesso e la più equa determinazione del valore di rimborso compromettano l'integrità del
capitale sociale e la tutela dei creditori sociali.
Le azioni del socio che recede devono essere innanzitutto offerte in opzione agli altri soci in
proporzione al numero delle azioni possedute. Per la parte non acquistata dai soci possono
essere collocate sul mercato.
In caso di mancato collocamento presso i soci o presso terzi, le azioni vengono rimborsate
mediante acquisto da parte della società, rispettando il limite degli utili distribuibili e delle
riserve disponibili.
In assenza di utili e riserve disponibili deve essere convocata l’assemblea straordinaria per
deliberare la riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della società.

Le modificazioni del capitale sociale.

Una specifica disciplina è dettata per la modificazione dello statuto relativa capitale sociale:
aumento e diminuzione (artt. 2438-2447).
L'aumento del capitale sociale può essere reale (o a pagamento) oppure semplicemente
nominale (o gratuito).
Nel primo caso si ha un aumento del capitale sociale nominale e del patrimonio della
società per effetto di nuovi conferimenti.
Nel secondo caso si incrementa solo il capitale nominale, mentre il patrimonio della società
resta invariato.

L’aumento reale del capitale sociale.

Con l'aumento reale del capitale sociale, la società intende procurarsi nuovi mezzi finanziari
a titolo di capitale di rischio: nuovi conferimenti.
L'aumento reale da perciò luogo all'emissione di nuove azioni a pagamento. Competente a
deliberare l'aumento di capitali è l'assemblea straordinaria dei soci.
Lo statuto o una successiva modifica dello stesso possono però attribuire agli amministratori
la facoltà di aumentare in una o più volte il capitale sociale. Tuttavia:
- deve essere predeterminato l'ammontare massimo entro cui gli amministratori possono
aumentare il capitale sociale;
- la delega può essere concessa per un periodo massimo di cinque anni (art.2443). La
delega è però rinnovabile.
Con la tecnica dell’aumento per delega, la manifestazione di volontà della società di
procedere all’aumento del capitale è costituita dalla delibera del cda. Perciò, il verbale della
delibera del consiglio di amministrazione di aumento del capitale sociale deve essere redatto
da un notaio e la delibera è soggetta al controllo di legalità dello stesso notaio ed
eventualmente ad omologazione del tribunale nonché ad iscrizione nel registro delle

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imprese. Per quanto riguarda la sottoscrizione dell'aumento del capitale sociale, la


deliberazione di aumento deve fissare il termine entro il quale le sottoscrizioni devono essere
raccolte, non inferiore a 30 giorni dalla pubblicazione dell’offerta.
Nel caso in cui l’aumento del capitale non sia integralmente sottoscritto, il capitale sarà
aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se la deliberazione di
aumento lo abbia espressamente previsto.
In mancanza di tale previsione l’aumento di capitale è inscindibile e la sottoscrizione non
vincola né i sottoscrittori né la società.
I sottoscrittori saranno liberati dall’obbligo di conferimento e hanno diritto al rimborso di
quanto versato.
Avvenuta la sottoscrizione delle nuove azioni, entro 30 giorni gli amministratori devono
depositare per l’iscrizione nel registro delle imprese un’attestazione che l’aumento del
capitale è stato eseguito.
Per i conferimenti in sede di aumento di capitale vale la stessa disciplina dei conferimento al
momento di costituzione della società. In particolare vale la regola che i conferimenti dei
sottoscrittori delle nuove azioni non possono essere complessivamente inferiori all’aumento
di capitale deliberato.
Tuttavia il versamento del 25% dei conferimenti in danaro, deve essere effettuato
direttamente alla società.
Se le azioni sono emesse con soprapprezzo, questo deve essere integralmente versato all’atto
della sottoscrizione. Si verifica talvolta che i soci versino alla società somme a titolo di
conferimento, denominate versamenti in conto capitale o a copertura di perdite al fine di
sopperire alle esigenze di capitale di rischio e/o di costituire un fondo destinato a ripianare
eventuali perdite.
Tali apporti incrementano il patrimonio della società senza modificare il capitale sociale
restando sottratti alla disciplina dei conferimenti.
I soci non possono pretendere la restituzione di tali versamenti.

Il diritto d’opzione.

Il diritto di opzione è il diritto dei soci attuali di essere preferiti ai terzi nella sottoscrizione
dell'aumento del capitale sociale a pagamento.
Il diritto di opzione consente di mantenere inalterata la proporzione in cui ciascun socio
partecipa al capitale e al patrimonio sociale. Serve quindi a mantenere inalterata la
proporzione in cui ciascun socio partecipa, a mantenere inalterato il valore reale della
partecipazione azionaria in presenza di riserve accumulate.
Il diritto di opzione ha un proprio valore economico, che l'azionista può monetizzare
cedendolo a terzi qualora non voglia o non possa concorrere all'aumento del capitale
sociale. Il diritto di opzione non è tuttavia un diritto intangibile dell'azionista. Esso può
essere sacrificato quando lo specifico interesse della società esige.
Attualmente il diritto di opzione ha per oggetto le azioni di nuova emissione di qualsiasi
categoria e le obbligazioni convertibili in azioni emesse da società.
Esso è attribuito a ciascun azionista in proporzione del numero di azioni già possedute.
Gli amministratori non sono liberi di collocare a loro piacimento le azioni che siano rimaste
inoptate. Infatti:
- se le azioni non sono quotate in borsa, coloro che hanno esercitato il diritto di opzione
hanno diritto di prelazione nella sottoscrizione delle azioni non optate,
- se le azioni sono quotate sui mercati regolamentati, i diritti di opzione residui devono
essere offerti in borsa dagli amministratori, per conto della società e il ricavato va a
beneficio della società.

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Il diritto di opzione degli azionisti è in tutto o in parte sacrificabile in presenza di situazioni


soggettive rispondenti ad un concreto interesse della società:
- il diritto di opzione è escluso per legge quando le azioni devono essere liberate mediante
conferimenti in natura; l’interesse della società a procurarsi da terzi un bene a titolo di
conferimento è per legge valutato prevalente rispetto all’interesse del singolo socio alla
sottoscrizione dell’aumento;
- il diritto di opzione può essere escluso o limitato con la delibera di aumento del capitale "
quando l’interesse della società lo esige" (art.2441, 5 comma);
- il diritto di opzione può essere escluso, con delibera dell'assemblea straordinaria, quando
le azioni devono essere offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società, anche
dipendenti di società controllanti o controllate.
Nei casi di esclusione del diritto di opzioni di cui ai numeri 1 e 2, è obbligatoria l'emissione
delle nuove azioni con sovrapprezzo.
La delibera di aumento del capitale " determina il prezzo di emissione delle azioni in base al
valore del patrimonio netto, tenendo conto per le azioni quotate in borsa, anche
dell'andamento delle quotazioni nell'ultimo semestre" (art. 2441, 6 co).
Il diritto di opzione non si considera però escluso o limitato quando le azioni di nuova
emissione sono sottoscritte da banche o da altri soggetti autorizzati al collocamento di
strumenti finanziari (ad es. Sim), con obbligo di offrirle successivamente agli azionisti
rispettando la disciplina del diritto di opzione.
La società può ricorrere anche all’emissione di appositi buoni di opzione, detti warrant, che
attribuiscono al titolare il diritto di sottoscrivere le azioni di nuova emissione a condizioni
predeterminate; devono essere emessi rispettando la disciplina del diritto d’opzione.

L’aumento nominale del capitale sociale.

L'aumento nominale (o gratuito) del capitale sociale è operazione che non da luogo a nuovi
conferimenti e non determina perciò alcun incremento del patrimonio sociale.
L'aumento nominale è infatti posta in essere dall'assemblea straordinaria " imputando a
capitale le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili" (art. 2442, 1
comma). L'aumento è quindi realizzato utilizzando valori già esistenti nel patrimonio della
società, come riserve facoltative, riserve statutarie, riserva da sovrapprezzo azioni, fondi
speciali. L'aumento nominale del capitale sociale può essere attuato o aumentando il valore
nominale delle azioni in circolazione o mediante l'emissione di nuove azioni.
L'aumento deve essere attuato in modo da non alterare le preesistenti posizioni reciproche
degli azionisti.

La riduzione del capitale sociale. La riduzione reale.

Anche la riduzione del capitale sociale può essere reale o nominale, a seconda che la
riduzione dia luogo o meno ad un corrispondente rimborso ai soci del valore dei
conferimenti; sia o meno accompagnata da una contestuale riduzione del patrimonio sociale
(art. 2445).
È riduzione reale la riduzione del capitale sociale disciplinata dall’art. 2445. È riduzione
nominale la riduzione del capitale sociale per perdite.
La riduzione reale del capitale è circondata da una serie di cautele sostanziali e
procedimentali (art. 2445), in quanto operazione potenzialmente pericolosa per i creditori
sociali e per i soci di minoranza: riduce la consistenza del patrimonio sociale e può
pregiudicare lo svolgimento dell'attività di impresa ove la riduzione si riveli infondata. Il
capitale sociale non può essere ridotto al di sotto del minimo legale di 120 mila euro. Sono
poi previste particolari cautele procedimentali.

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L' avviso di convocazione dell'assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della


riduzione, in modo che i soci siano informati.
La delibera, adottata con le normali maggioranze previste per la modifica dello statuto, può
essere eseguita solo dopo 90 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese.
Entro tale termine, i creditori sociali possono fare opposizione alla delibera di riduzione,
dato che la riduzione può pregiudicare i loro diritti.
L’opposizione sospende l’esecuzione della delibera fino all’esito del giudizio stesso.
La riduzione reale può aver luogo mediante liberazione dei soci dall'obbligo dei versamenti
ancora dovuti, o mediante rimborso agli stessi del capitale.
La società può anche procedere all' acquisto ed al successivo annullamento di proprie
azioni.
Le modalità di riduzione prescelte devono comunque assicurare la parità di trattamento degli
azionisti (ad esempio: estrazione a sorte ed annullamento di un certo numero di azioni dietro
rimborso del solo valore nominale delle azioni stesse; in questo caso agli azionisti rimborsati
vengono rilasciati speciali titoli denominati azioni di godimento, dato che il valore reale
delle azioni può essere notevolmente superiore a quello nominale).

La riduzione del capitale sociale per perdite.

Il patrimonio netto della società (o capitale reale) può scendere, per effetto di perdite, al di
sotto del capitale sociale nominale. La riduzione del capitale sociale per perdite consiste
nell'adeguare la cifra del capitale sociale nominale all'attuale minor valore del capitale reale.
E' quindi una riduzione puramente nominale.
La società non è obbligata a ridurre il capitale sociale fino a quando la perdita dello stesso
non sia superiore ad un terzo.
Anche se non obbligata, la società può tuttavia ugualmente ridurre il capitale per perdite per
poter distribuire gli utili successivamente conseguiti; distribuzione altrimenti vietata fin
quando le perdite non siano state colmate (art. 2433, 3 comma).
La riduzione facoltativa per perdite segue la disciplina generale della modificazione dell'atto
costitutivo. Se la società ha emesso obbligazioni, tale riduzione può essere disposta solo
rispettando il limite legale all'emissione di obbligazioni (art. 2413, 1 comma). La riduzione
del capitale sociale diventa invece obbligatoria quando il capitale è diminuito di oltre un
terzo in conseguenza di perdite. La disciplina è diversa a seconda che il capitale si sia o
meno ridotto sotto il minimo legale.
Se il minimo legale non è stato intaccato (art. 2446), gli amministratori o nel caso di loro
inerzia il collegio sindacale, devono convocare senza indugio l'assemblea straordinaria e
sottoporle una relazione sulla situazione patrimoniale aggiornata della società.
La situazione patrimoniale e le osservazioni devono restare depositate nella sede della
società durante gli otto giorni che precedono l'assemblea.
L'assemblea così convocata prende gli opportuni provvedimenti. Non è quindi tenuta a
decidere l'immediata riduzione del capitale sociale e può anche limitarsi ad un semplice
rinvio a nuovo delle perdite. Se le azioni emesse dalla società sono senza valore nominale,
lo statuto può prevedere che la riduzione sia deliberata dal consiglio di amministrazione (art.
2446, 3 comma) .
Se il capitale scende sotto il minimo legale, l’assemblea convocata senza indugio dagli
amministratori o dal collegio sindacale, deve necessariamente deliberare o la riduzione del
capitale sociale ed il contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo legale o
la trasformazione della società. Se l’assemblea non adotta tali provvedimenti la società si
scioglie ed entra in stato di liquidazione.
L’art. 2447 è applicabile anche in caso di perdita integrale del capitale sociale. La
maggioranza potrà evitare la messa in liquidazione della società deliberando la riduzione a

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zero del capitale sociale e la contestuale reintegrazione dello stesso, con il riconoscimento
agli azionisti del diritto di opzione.

CAPITOLO 15: LE OBBLIGAZIONI.

Nozione.

La società per azioni può emettere obbligazioni, che costituiscono il tipico e tradizionale
strumento per la raccolta di capitale di prestito fra il pubblico.
Le obbligazioni sono titoli di credito che rappresentano frazioni di uguale valore nominale e
con uguali diritti di un'unitaria operazione di finanziamento a titolo di mutuo.
Mentre l'azione attribuisce la qualità di socio e di compartecipe ai risultati dell'attività di
impresa l'obbligazione attribuisce invece la qualità di creditore della società.
L'obbligazionista, diversamente dall'azionista, ha perciò diritto ad una remunerazione
periodica fissa (interessi); ha inoltre diritto al rimborso del valore nominale del capitale
prestato alla scadenza pattuita.
L'azionista, per contro, ha diritto al rimborso del suo apporto solo in sede di liquidazione
della società. La quota di liquidazione dell'azionista può essere uguale, superiore o inferiore
al valore nominale del conferimento eseguito.
Differenza tra obbligazioni e strumenti finanziari partecipativi; le obbligazioni sono titoli di
massa, in quanto rappresentano frazioni standardizzate di un’unica operazione economica;
attribuiscono il diritto al rimborso di una somma di denaro.
Gli strumenti finanziari rappresentano una categoria residuale atta a ricomprendere tutti gli
strumenti finanziari emessi dalla società non altrimenti qualificati e disciplinati dalla legge.
Gli strumenti finanziari possono condizionare il diritto al rimborso del capitale,
all’andamento della gestione, o escluderlo del tutto.

Tipi speciali di obbligazioni.

Fra i tipi speciali di obbligazioni possono essere ricordate:


- le obbligazioni partecipanti, in cui la remunerazione periodica del capitale è commisurata
agli utili di bilancio della società emittente;
- le obbligazioni indicizzate (o strutturate), la cui emissione da parte della Spa è
espressamente consentita dalla riforma del 2003 (art. 2411). Tali obbligazioni mirano a
neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria e ad adeguare il rendimento dei titoli
all'andamento del mercato finanziario.
- le obbligazioni convertibili in azioni, che attribuiscono all'obbligazionista la facoltà di
trasformare il proprio credito in una partecipazione azionaria della società emittente o di
altra società alla prima collegata;
- le obbligazioni con warrant (o con diritto di opzione su azioni), che attribuiscono
all'obbligazionista il diritto di sottoscrivere o acquistare azioni della società emittente o di
altra società.
- le obbligazioni subordinate, nelle quali il diritto degli obbligazionisti al pagamento degli
interessi e al rimborso del capitale è subordinato all'integrale soddisfacimento degli altri
creditori.

I limiti all’emissione di obbligazioni.

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Il codice civile del 1942 poneva un limite all'emissione di obbligazioni da parte delle società
per azioni, stabilendo che le stesse non potevano essere emesse per somma eccedente il
capitale versato ed esistente risultante dall'ultimo bilancio approvato.
La riforma del 2003 ha abbandonato definitivamente l'idea che il limite all'emissione di
obbligazioni abbia funzione di garanzia e concepisce lo stesso come una tecnica volta ad
evitare che gli azionisti ricorrono al mercato del capitale di credito in misura eccessiva
rispetto al capitale di rischio apportato. In base all'attuale disciplina la società per azioni può
infatti emettere obbligazioni per somma complessivamente non eccedente il doppio del
capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio
approvato. I sindaci attestano il rispetto di tale limite (art. 2412, 1 comma).
La società può emettere obbligazioni per un ammontare superiore al limite fissato in via
generale quando :
- le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate ad essere sottoscritte da investitori
istituzionali soggetti a vigilanza prudenziale;
- le obbligazioni sono garantiti da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della
società, sino a due terzi del valore di questi;
- ricorrono particolari ragioni che interessano l'economia nazionale e la società è
autorizzata con provvedimento dell'autorità governativa a superare il limite.
Per le società con azioni negoziate in mercati regolamentati ogni limite è stato soppresso
dalla riforma del 2003; per le altre società, la legge si preoccupa di garantire che il rapporto
fra capitale più riserve ed obbligazioni, fissato dall'art. 2412, permanga per tutta la durata del
prestito obbligazionario (art. 2413).
La società che ha emesso obbligazioni non può infatti ridurre volontariamente il capitale
sociale o distribuire riserve se il limite del primo comma dell'art. 2412 non risulta più
rispettato per le obbligazioni che restano in circolazione.

Il procedimento di emissione.

Con l'attuale disciplina l'emissione di obbligazioni cessa di essere materia di competenza


dell'assemblea straordinaria; infatti, l'emissione di obbligazioni è deliberata dagli
amministratori (art. 2410).
La delibera di emissione deve tuttavia risultare dal verbale redatto da un notaio, ed è soggetta
a controllo di legalità; essa può essere eseguita solo dopo l'iscrizione (art. 2410, 2 comma).
Alla sottoscrizione secondo il bando di emissione segue il rilascio dei titoli, che possono
essere nominativi o al portatore e devono contenere le indicazioni stabilite dall’art. 2414.
Il prezzo di emissione delle obbligazioni può essere anche inferiore al valore nominale,
salvo che per le obbligazioni convertibili.
L’ammontare delle obbligazioni emesse deve risultare da un apposito libro delle
obbligazioni. In tale libro devono essere annotate anche l’ammontare delle obbligazioni via
via estinte nonché i dati dei titolari di obbligazioni nominative, i trasferimenti ed i relativi
vincoli.

Le obbligazioni convertibili in azioni.

L'art. 2420-bis, regola le obbligazioni convertibili in azioni della stessa società di futura
emissione (procedimento diretto).
Sono queste obbligazioni che attribuiscono il diritto di sottoscrivere azioni della stessa
società utilizzando come riferimento le somme già versate al momento dell'acquisto delle
obbligazioni.
Chi esercita il diritto di conversione cessa perciò di essere obbligazionista e diventa azionista
della società.

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Le obbligazioni convertibili devono essere offerte in opzione agli azionisti e ai possessori di


obbligazioni convertibili precedentemente emesse. A tal fine:
- la delibera di emissione delle obbligazioni convertibili non può essere adottata se il
capitale sociale precedentemente sottoscritto non è stato interamente versato;
- le obbligazioni convertibili non possono essere emesse per somma complessivamente
inferiore al loro valore nominale.
Competente a deliberare l'emissione di obbligazioni convertibili è l'assemblea straordinaria.
La legge si preoccupa di conciliare, durante il periodo concesso per la conversione, la libertà
di decisione della società con l'esigenza di tutelare i possessori di tali obbligazioni di fronte
ad operazioni societarie che possono vistosamente alterare il valore del diritto di
conversione; sono tre al riguardo le regole fissate:
- in caso di aumenti del capitale sociale a pagamento e di nuove emissioni di obbligazioni
convertibili, il diritto di opzione sugli stessi spetta anche ai possessori di obbligazioni
convertibili. Si permette così agli obbligazionisti di mantenere inalterata la proporzione
della loro futura partecipazione azionaria;
- in caso di aumento gratuito del capitale o di riduzione dello stesso per perdite, il rapporto
di cambio è automaticamente modificato in proporzione alla misura dell'aumento o della
riduzione del capitale;
- la società non può deliberare la riduzione volontaria del capitale sociale, la fusione con
altra società, la scissione o la modificazione delle disposizioni dello statuto concernenti la
ripartizione degli utili, fin quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione. Il
divieto non ha però carattere assoluto. Infatti, può essere superato concedendo agli
obbligazionisti la facoltà di conversione anticipata.
Non è disciplinato invece il procedimento indiretto di emissione, che si ha quando le
obbligazioni emesse da una società sono convertibili con le azioni di altra società.

L’organizzazione degli obbligazionisti.

I prestiti obbligazionari emessi da una società per azioni si caratterizzano rispetto a quelli
dello stato e degli enti pubblici per la previsione dell'organizzazione del gruppo degli
obbligazionisti volta a tutelare gli interessi degli stessi verso la società ed è articolata in due
organi: l'assemblea e il rappresentante comune (artt. 2415-2418).
L'assemblea degli obbligazionisti delibera:
- sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune;
- sulle modificazioni delle condizioni del prestito;
- sulle proposte di amministrazione controllata e di concordato preventivo e fallimentare;
- sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul
relativo rendiconto;
- sugli altri oggetti di interesse comune degli obbligazionisti (art. 2415).
L'assemblea è convocata dagli amministratori della società o dal rappresentante comune
degli obbligazionisti.
All'assemblea possono assistere amministratori e sindaci.
La convocazione è obbligatoria quando ne è fatta richiesta da tanti obbligazionisti che
rappresentano un ventesimo dei titoli emessi e non estinti. Per le delibere di modificazione
delle condizioni del prestito è necessario il voto favorevole degli obbligazionisti che
rappresentano la metà delle obbligazioni emesse e non estinte. Le deliberazione
dell’assemblea degli obbligazionisti sono iscritte nel registro delle imprese a cura del notaio
che ha redatto il verbale.
L'art. 2416 estende alle delibere dell'assemblea degli obbligazionisti l'intera disciplina
dettata per le delibere assembleari nulle e annullabili.

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Il rappresentante comune degli obbligazionisti è nominato dall'assemblea degli


obbligazionisti.
Il rappresentante comune dura in carica per un periodo non superiore a tre anni ed è
rieleggibile. Egli tutela gli interessi comuni degli obbligazionisti nei confronti della società e
dei terzi (art. 2418).
In particolare:
- esegue le deliberazioni dell'assemblea degli obbligazionisti;
- assiste alle operazioni per l'estinzione a sorteggio delle obbligazioni;
- ha la rappresentanza processuale degli obbligazionisti;
- ha il diritto di assistere alle assemblee dei soci;
- ha il diritto di esaminare il libro degli obbligazionisti.
L’organizzazione di gruppo non priva il singolo obbligazionista di tutelare i propri diritti nei
confronti della società. Sono precluse solo quelle azioni individuali il cui accoglimento
potrebbero contrastare con le azioni promosse dall’organizzazione per la tutela degli
interessi comuni di gruppo.

CAPITOLO 16: LO SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ PER AZIONI.

Le cause di scioglimento.

Lo scioglimento della società per azioni è disciplinato agli artt. 2484-2496 c.c. La società per
azioni si scioglie ed entra in stato di liquidazione col verificarsi di una delle seguenti cause
(art. 2484):
- il decorso del termine di durata fissato nell'atto costitutivo; termine che può essere
prorogato prima della scadenza con delibera dell’assemblea straordinaria. Per le società
che non fanno appello al mercato del capitale di rischi è richiesta la maggioranza
rafforzata di più di un terzo del capitale sociale anche in seconda convocazione.
- il conseguimento dell'oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo,
sempre che quest'ultima abbia carattere assoluto e definitivo. Tale causa di scioglimento
non opera se l'assemblea delibera le opportune modifiche statutarie;
- l'impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell'assemblea; è necessario che
la paralisi dell’organo assembleare precluda l’adozione di delibere necessarie per il
funzionamento della società.
- la riduzione del capitale (per perdite) al di sotto del minimo legale, salvo che l'assemblea
deliberi la riduzione e il contemporaneo aumento del capitale ad una cifra superiore al
minimo legale, oppure la trasformazione della società;
- la delibera dell'assemblea straordinaria di scioglimento della società in seguito al recesso
di uno o più soci (art. 2437), ovvero all'impossibilità di provvedere al rimborso delle
relative azioni;
- la deliberazione dell'assemblea (straordinaria) di scioglimento anticipato, per la quale
nelle società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio è richiesta la
maggioranza forzata di più di un terzo del capitale sociale anche in seconda
convocazione (art. 2369, 5 comma);
- le altre cause previste dall'atto costitutivo o dallo statuto per le quali lo statuto deve
determinare la competenza a deciderle o accettarle e ad effettuare i prescritti adempimenti
pubblicitari;
- la sentenza che dichiara la nullità della società.
Verificatasi una causa di scioglimento, gli amministratori devono procedere senza indugio al
suo accertamento e all’iscrizione presso il registro delle imprese della relativa dichiarazione
o deliberazione assembleare che dispone lo scioglimento. In caso di omissione da parte degli

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amministratori, il tribunale, su istanza dei soci o dei sindaci, accerta il verificarsi della causa
di scioglimento con decreto soggetto ad iscrizione nel registro delle imprese.
Alla denominazione della società dovrà essere aggiunta l’indicazione che si tratta di società
in liquidazione.
Con la riforma del 2003 gli effetti connessi al verificarsi di una causa di scioglimento
decorrono dall’iscrizione nel registro della dichiarazione di accertamento del cda o della
delibera assembleare che dispone lo scioglimento. In caso di ritardo o di omissione
nell’accertamento e nell’iscrizione, gli amministratori sono personalmente e solidalmente
responsabili per i danni subiti dalla società, dai creditori sociali e dai terzi.

La società in stato di liquidazione.

Il verificarsi di una causa di scioglimento non determina l'immediata estinzione della


società: si deve prima provvedere, attraverso il procedimento di liquidazione, al pagamento
dei creditori sociali e alla ripartizione fra i soci dell'eventuale residuo attivo.
Gli amministratori restano in carica fino alla nomina dei liquidatori ma devono convocare
l'assemblea per le deliberazioni relative alla liquidazione.
Sono inoltre responsabili della conservazione dei beni sociali fin quando li abbiano
consegnati ai liquidatori. Infine, vedono limitati i loro poteri. Infatti, per il semplice verificarsi
di una casa di scioglimento gli amministratori conservano il potere di gestire la società " ai
soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale" (art. 2486, 1
comma) in attesa di farne consegna ai liquidatori. Con la riforma del 2003 è stata infine
espressamente disciplinata la revoca dello stato di liquidazione; la relativa decisione è
circondata da una serie di cautele. La società può in ogni momento revocare lo stato di
liquidazione e tornare ad una fase di normale esercizio, ma nelle società che fanno appello
al mercato del capitale di rischio è richiesta la maggioranza rafforzata di un terzo del
capitale sociale anche in seconda convocazione. Inoltre, ai soci che non hanno concorso
alla deliberazione è riconosciuto il diritto di recesso. Anche i creditori sociali sono tutelati.
La revoca ha effetto solo dopo 60 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese, termine
entro il quale i creditori sociali anteriori all’iscrizione possono proporre opposizione.

Il procedimento di liquidazione.

Il procedimento di liquidazione si apre con la nomina di uno più liquidatori.


I liquidatori sono nominati dall'assemblea straordinaria (art. 2487).
Nell'inerzia dell'assemblea, i liquidatori sono nominati dal tribunale, su istanza dei singoli
soci o amministratori ovvero dei sindaci (art. 2487, 2 comma).
I liquidatori restano in carica per tutta la durata del procedimento di liquidazione.
Essi possono essere revocati dall'assemblea con le maggioranze prescritte dall'assemblea
straordinaria. Se sussiste giusta causa, sono revocabili anche dal tribunale, su istanza dei
soci, dei sindaci o del pubblico ministero.
I provvedimenti di nomina e di revoca dei liquidatori sono soggetti a iscrizione nel registro
delle imprese (art. 2487-bis). Con l'iscrizione della nomina dei liquidatori, gli amministratori
cessano dalla carica e devono consegnare ai liquidatori i libri sociali.
Poteri, doveri e responsabilità dei liquidatori sono modellati su quelli degli amministratori
(art. 2489); pertanto:
- i liquidatori devono adempiere ai loro doveri con la diligenza e la professionalità richieste
dalla natura dell'incarico;
- i liquidatori devono prendere in consegna dagli amministratori i beni e i documenti
sociali, nonché redigere con gli stessi l'inventario del patrimonio sociale;

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- i liquidatori possono compiere " tutti gli atti utili per la liquidazione della società" (art.
2489, 1 comma).
L'attività dei liquidatori deve essere diretta al pagamento dei creditori sociali.
Essi non possono perciò ripartire fra i soci beni della società fin quando non siano pagati tutti
i creditori noti o non siano state accantonate le somme necessarie per pagarli.
La disciplina odierna consente tuttavia la distribuzione ai soci di acconti durante la
liquidazione.
Se i fondi disponibili risultano insufficienti, i liquidatori possono chiedere proporzionalmente
ai soci i versamenti ancora dovuti sulle azioni non interamente liberate. Se la liquidazione si
protrae oltre l’anno i liquidatori devono redigere il bilancio e sottoporlo all’approvazione
dell’assemblea con le scadenze previste per il bilancio di esercizio delle società.
Completata la liquidazione del patrimonio sociale con la conversione in danaro dell'attivo, i
liquidatori devono redigere il bilancio finale di liquidazione ,indicando la parte spettante a
ciascun socio nella divisione dell’attivo (art. 2492).
Il bilancio finale di liquidazione deve essere approvato dai singoli soci e non dalla
assemblea.
Il bilancio, sottoscritto dai liquidatori ed accompagnato dalla relazione dei sindaci e del
soggetto incaricato della revisione contabile, è depositato presso l’ufficio del registro delle
imprese e si intende approvato se, entro 90 giorni dal deposito, nessun socio abbia proposto
reclamo davanti al tribunale in contraddittorio con i liquidatori.
L’approvazione (espressa o tacita) del bilancio finale di liquidazione libera i liquidatori di
fronti ai soci per l’attività svolta. Le somme non riscosse dai soci, entro 3 mesi dall’iscrizione
dell’avvenuto deposito del bilancio sono depositate dai liquidatori presso una banca.
Compiuta la liquidazione, i libri della società sono depositati presso l’ufficio del registro
delle imprese.

L’estinzione della società.

Il procedimento di liquidazione si chiude con la cancellazione della società dal registro delle
imprese.
La cancellazione è disposta di ufficio quando per oltre tre anni consecutivi non viene
depositato il bilancio annuale di liquidazione.
Intervenuta la cancellazione dal registro, i creditori sociali rimasti insoddisfatti possono far
valere i loro diritti:
- nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da queste riscosse in base al
bilancio finale di liquidazione;
- nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.
La cancellazione dal registro delle imprese segna l’estinzione della spa, anche quando vi
siano creditori insoddisfatti. I creditori possono chiedere il fallimento della società entro un
anno dalla cancellazione della stessa dal registro.

CAPITOLO 17: LA SOCIETÀ IN ACCOMANDITA PER AZIONI.

Caratteri distintivi.

La società in accomandita per azioni (artt. 2452-2461) è un tipo di società che, come
l’accomandita semplice, si caratterizza per la presenza di due categorie istituzionale di soci:
- i soci accomandatari, che rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni
sociali e sono per legge amministratori della società;
- i soci accomandanti, che sono obbligati verso la società nei limiti della quota di capitale
sottoscritto.
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Questo tipo di società si caratterizza per il fatto che le quote di partecipazione dei soci sono
rappresentate da azioni.
Alla società in accomandita per azioni sono applicabili le norme relative alla società per
azioni.
Essa è una società per azioni modificata dalla presenza di soci a responsabilità illimitata (gli
accomandatari) i quali sono di diritto amministratori.

L’azionista accomandatario.

L’azionista accomandatario risponde illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni


sociali. Non si può essere soci accomandatari se non si è amministratori e si cessa di essere
accomandatari e responsabili se si cessa di essere amministratori.
Infatti, nell’accomandita per azioni:
- i soci indicati nell'atto costitutivo come accomandatari sono tutti di diritto amministratori
della società (art. 2455);
- il socio accomandatario che cessa dall'ufficio di amministratore non risponde per le
obbligazioni della società sorte posteriormente all'iscrizione nel registro delle imprese
della cessazione dall'ufficio (art. 2461);
- il nuovo amministratore assume la qualità di socio accomandatario dal momento
dell'accettazione della nomina (art. 2457).
Nel accomandita per azioni, diversamente da quanto avviene nell'accomandita semplice, vi
è quindi piena coincidenza fra accomandatari e amministratori e l'accomandatario-
amministratore risponde illimitatamente per le sole obbligazioni sorte nel periodo in cui ha
rivestito la carica di amministratore.

Costituzione. Conferimenti. Azioni.

L' atto costitutivo deve indicare quali sono i soci accomandatari.


E’ invece superflua la nomina nell’atto costitutivo.
La denominazione sociale deve essere costituita dal nome di almeno uno dei soci
accomandatari, con l’indicazione di società per accomandita per azioni.
Nessuna disposizione specifica è dettata per le azioni intestate agli accomandatari.
Sono azioni uguali a tutte le altre, senza nessun diritto speciale.
Chi acquista le azioni da una accomandatario diventa socio, ma non amministratore; perciò
assume la posizione di semplice azionista accomandante.
Le azioni dei soci accomandatari sono liberamente trasferibili e non è necessario il consenso
degli altri accomandatari.
L’acquirente non succede alla carica di amministratore dell’alienante.
Anche le azioni dell’accomandita per azioni possono essere ammesse alle quotazioni di
borsa e troverà in tal caso applicazione la specifica disciplina prevista per le società quotate.

Gli organi sociali.

Come per le spa l’organizzazione interna della sapa si fonda sulla necessaria presenza di tre
organi:
- assemblea,;
- amministratori;
- collegio sindacale.
All’assemblea si applicano le regole di funzionamento dettate per la spa.
Norme particolari valgono tuttavia per l'adozione di talune delibere assembleari:

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- gli accomandatari non hanno diritto di voto nelle deliberazioni di nomina e revoca dei
sindaci;
- le modificazioni dell'atto costitutivo non solo devono essere deliberate dall'assemblea
straordinaria con le consuete maggioranze, ma devono inoltre essere approvate da tutti
soci accomandatari (art. 2460);
- la nomina e la revoca degli amministratori è competenza dell’assemblea straordinaria.
I soci accomandatari, designati nell’atto costitutivo, sono di diritto amministratori ed il loro
ufficio ha carattere permanente, se l’atto costitutivo non dispone diversamente.
Gli accomandatari amministratori non sono tuttavia inamovibili.
Essi possono essere revocati anche se non ricorre giusta causa; la revoca deve essere però
deliberata con le maggioranze prescritte per le deliberazioni dell'assemblea straordinaria (art.
2456).
Gli amministratori sono soggetti agli stessi obblighi degli amministratori della spa.
Essi pertanto, oltre ad essere personalmente e solidalmente responsabili verso i terzi per le
obbligazioni sociali, sono tenuti al risarcimento del danno per violazione degli obblighi a
loro imposti dalla legge o dall’atto costitutivo, verso la società, verso i soci e verso i creditori
sociali o terzi direttamente danneggiati.
Per il collegio sindacale l'unica deviazione dalla disciplina della società per azioni consiste
nel divieto per gli accomandatari di votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina e la
revoca dei sindaci (art. 2459).
Nell’accomandita per azioni quotate in borsa, il divieto è esteso anche al conferimento ed
alla revoca dell’incarico alla società di revisione.

Lo scioglimento della società.

Per la società in accomandita per azioni è prevista una causa di scioglimento tipica ed
ulteriore rispetto a quelle dettate per la società per azioni.
La società si scioglie in caso di cessazione dalla carica di tutti gli amministratori, se nel
termine di sei mesi non si è provveduto alla loro sostituzione ed i sostituti non hanno
accettato la carica.
Per questo periodo il collegio sindacale nomina un amministratore provvisorio, i cui poteri
sono circoscritti agli atti di ordinaria amministrazione.
È quindi causa di scioglimento dell'accomandita per azioni il venir meno di tutti gli
accomandatari e la conseguente impossibilità di funzionamento dell'organo amministrativo
protratta per sei mesi.
Fra le cause di scioglimento non è invece previsto il venir meno di tutti i soci accomandanti.
Per il resto lo scioglimento della sapa segue la disciplina della spa, salvo alcune peculiarità
derivanti dalla presenza di soci a responsabilità illimitata.
Infatti, se il patrimonio sarà insufficiente al pagamento dei creditori, i liquidatori potranno
richiedere agli accomandatari le somme necessarie, nei limiti della loro responsabilità e
della loro partecipazione alle perdite.
Dopo la cancellazione della società, i creditori rimasti insoddisfatti potranno far valere i loro
diritti nei confronti degli accomandatari ed anche dei liquidatori, se il mancato pagamento è
dipeso da loro. Potranno agire nei confronti degli accomandanti solo nei limiti della quota di
liquidazione dagli stessi riscossa.

CAPITOLO 18: LA SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA.

Caratteri distintivi.

La società a responsabilità limitata ( artt. 2462-2483 ) è una società di capitali nella quale:
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- per l'obbligazioni sociali risponde soltanto la società col suo patrimonio (art. 2462, 1
comma);
- le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni e non posso inoltre
costituire oggetto di sollecitazione all'investimento (art. 2468, 1 comma).
Con la riforma del 2003 è sostanzialmente caduto il divieto per le società a responsabilità
limitata di emettere obbligazioni e quindi di emettere titoli di credito di massa anche per la
raccolta di capitale di credito.
L'attuale disciplina consente infatti alle srl di emettere titoli di credito, ma vieta la
collocazione diretta degli stessi presso il pubblico dei risparmiatori.
Nella srl è consentito adottare statutariamente anche soluzioni organizzative proprie delle
società di persone.
L'obiettivo di fondo è quello di accentuare il distacco della srl dalla Spa e di farne un
modello societario particolarmente elastico, che consenta di valorizzare profili di carattere
personale presenti soprattutto nelle piccole e medie imprese.

La costituzione della società. La srl unipersonale.

La costituzione della società a responsabilità limitata è richiamata all'art. 2463, 3 comma:


- non è ammessa la stipulazione per pubblica sottoscrizione;
- il capitale sociale minimo richiesto per la costituzione è di 10 mila euro;
- la denominazione sociale può essere liberamente formata come nella società per azioni,
ma devo ovviamente contenere l'indicazione di società a responsabilità limitata;
- anche la società a responsabilità limitata può essere costituita a tempo indeterminato. In
tal caso, ogni socio può recedere dando un preavviso di 180 giorni, che l’atto costitutivo
può allungare fino a un anno.
Il contenuto dell’atto costitutivo è lo stesso di quello della spa, salvo l’indicazione delle
singole quote invece delle azioni.
Nel 1993 fu introdotta la possibilità per la srl di essere costituita da un singolo socio, con il
mantenimento della responsabilità limitata per le obbligazioni sociali.
Tale disciplina è stata modificata dalla riforma del 2003 ed ora coincide con la disciplina
della spa unipersonale.

I conferimenti. Le altre forme di finanziamento.

L'attuale principio base è quello che anche nella società a responsabilità limitata "possono
essere conferiti tutti gli elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica" (art. 2464,
2 comma).
Il versamento presso la banca del 25% dei conferimenti in danaro e dell'intero sovrapprezzo
può essere sostituita dalla stipula di una polizza di assicurazione o di una fideiussione
bancaria (art. 2464, 4 comma).
È consentito il conferimento di prestazioni d’opera o servizi, vietato nella spa, purché l’intero
valore assegnato a tale conferimento sia garantito da una polizza assicurativa o una
fideiussione bancaria.
Per i conferimenti in natura non è necessario che l’esperto chiamato a fare la valutazione sia
designato dal tribunale, ma è sufficiente che sia un esperto di una società di revisione.
Disciplinata è anche la posizione del socio moroso (art. 2466), con disciplina applicabile
anche quando siano scadute o divengano inefficaci la polizza assicurativa o la fideiussione
bancaria rilasciata dal socio; inoltre, il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei
soci.
La società potrà vendere coattivamente le quote del socio moroso, dandola in opzione prima
agli altri soci. Se non si vendono il capitale sarà diminuito in misura corrispondente.

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Altra significativa novità della riforma del 2003 è l'introduzione di una specifica disciplina
dei finanziamenti dei soci volta a porre un freno delle società sottocapitalizzate che operano
con ingenti finanziamenti a titolo di capitale di prestito da parte dei soci.
L'art. 2467 stabilisce che il rimborso dei finanziamenti dei soci alla società è postergato
rispetto al soddisfacimento degli altri creditori.
Ne consegue che gli amministratori non possono rimborsare i finanziamenti dei soci quando
il rimborso metta a repentaglio il soddisfacimento degli altri creditori. Inoltre, la somma
rimborsata deve essere restituita alla società se il rimborso è avvenuto nell'anno precedente
la dichiarazione di fallimento della stessa.
Identica disciplina è applicabile ai finanziamenti concessi da società capogruppo alle società
controllate.

I titoli di debito.

Con l'attuale disciplina è infine caduto il divieto per le società a responsabilità limitata di
emettere obbligazioni.
O meglio l’atto costitutivo può prevedere l’emissione di titoli di debito, peraltro sottratti alla
disciplina propria delle obbligazioni di spa. L’emissione di titoli di debito è consentita solo se
prevista nell’atto costitutivo.
E’ l’atto costitutivo a stabilire se la competenza ad emettere titoli di debito spetta ai soci o
agli amministrato “determinando gli eventuali limiti, le modalità e le maggioranze
necessarie”.
La decisione di emissione è iscritta nel registro delle imprese. Può anche prevedere che
condizioni e modalità di rimborso possano essere modificate con il consenso della
maggioranza dei possessori dei titoli. Il taglio minimo dei titoli non può tuttavia essere
inferiore ai 50'000 euro.
Ampia è la libertà concessa all’autonomia statutaria nella determinazione del contenuto dei
titoli di debito.
Tali titoli sono emessi a fronte di un apporto a titolo di prestito. L’atto costitutivo prevede
l’emissione come titoli di massa (come frazioni di uguale valore nominale e con uguali diritti
di un’unitaria operazione di finanziamento) e la loro circolazione secondo la disciplina dei
titoli di credito. Potrà essere prevista anche l’emissione come titoli individuali e potrà essere
esclusa la destinazione di titoli alla circolazione.
I titoli di debito non possono essere collocati direttamente presso il pubblico dei
risparmiatori.
Possono essere sottoscritti solo da “investito tir professionali soggetti a vigilanza
prudenziale”; investitori per i quali è prescritto il rispetto di idonei requisiti di solidità
patrimoniale stabiliti dalle competenti autorità di vigilanza.

Le quote sociali.

Nella società per azioni il capitale sociale nominale è diviso in parti omogenee e
standardizzate che prescindono dalle persone dei soci e dal loro numero.
Nella società a responsabilità limitata invece il capitale è diviso secondo un criterio
personale, dato che in tale società le quote di partecipazione dei soci non possono essere
rappresentate da azioni.
Il capitale della società responsabilità limitata è perciò diviso in parti in base al numero dei
soci: il numero iniziale delle quote corrispondente al numero dei soci che partecipano alla
costituzione della società e ciascun socio diventa titolare di un'unica quota di
partecipazione.

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Mentre le azioni sono necessariamente di egual valore, le quote possono essere di diverso
ammontare e lo sono inizialmente, se diverso è l'ammontare del capitale sottoscritto da
ciascun socio. Mentre le azioni attribuiscono uguali i diritti, le quote possono essere anche
sotto tale profilo le una diversa dalle altre. Infatti la regola base è che i diritti sociali spettano
ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta e che le
partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento (art. 2468,
2 comma).
La quota di società a responsabilità limitata resta unica ed esprime in modo unitario la
posizione di quel determinato socio nella società.
L’acquisto di altre quote non rende il socio titolare di più quote distinte; determina solo un
incremento quantitativo dell’originaria ed unica quota.
La quota è divisibile (anche se tale divisione può essere esclusa nell’atto costitutivo).
Se la divisione è vietata o non è possibile e la quota diviene di proprietà comune di più
persone, si applica la disciplina generale dell’amministrazione dei beni in comproprietà.
Ulteriore differenza delle quote rispetto alle azioni, è che le prime non possono essere
rappresentate da titoli di credito né possono costituire oggetto di sollecitazione
all'investimento.
L’eventuale certificato di quota rilascia dalla società costituisce semplice documento
probatorio della qualità di socio e della misura della partecipazione sociale.
Anche la quota ha un proprio valore patrimoniale oggettivo, determinato dalla frazione del
patrimonio sociale rappresentata (viene assimilata ai bene immateriali).

Le vicende e il trasferimento delle quote sociali.

Le quote della società sono per legge liberamente trasferibili, per atto fra vivi e per
successione mortis causa.
L’atto costitutivo può non solo limitare ma anche escludere del tutto il trasferimento delle
quote. Può inoltre subordinare il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di
terzi.
Il trasferimento della quota è valida ed efficace fra le parti per effetto del semplice consenso.
È però produttivo di effetti nei confronti della società solo dal momento in cui è iscritto nel
libro dei soci.
Specifiche disposizioni sono poi dettate per assicurare la trasparenza nella cessione delle
quote e la conoscenza dell'effettiva composizione della compagine societaria al fine di
prevenire e reprimere operazioni di riciclaggio di danaro provenienti da reati.
I trasferimenti per atto fra vivi devono risultare da scrittura privata con sottoscrizione
autenticata da un notaio, il quale entro 30 giorni deve depositarla per l'iscrizione nel registro
delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede della società.
Il trasferimento deve essere annotato nel libro dei soci.
Con la successiva iscrizione nel libro dei soci il trasferimento diventa efficace nei confronti
della società. E se la quota è alienata con successivi contratti a più persone, prevale chi per
primo effettua l’iscrizione nel registro delle imprese purché sia in buona fede. Le stesse
regole valgono per i trasferimenti mortis causa.
Se la quota trasferita non interamente liberata, l’alienante risponde in solido con l’acquirente
per i versamenti ancora dovuti, per il periodo di tre anni dal trasferimento.
La quota può essere oggetto di pegno, usufrutto e sequestro. In tal caso, vale la disciplina
prevista per le spa.
La quota può inoltre formare oggetto di espropriazione da parte dei creditori personali del
socio, con conseguente vendita forzata o assegnazione della stessa al creditore procedente.
Ciò avviene anche in caso di fallimento del socio.

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Qualora però la partecipazione non sia liberamente trasferibile, la vendita è priva di effetto
se la società presenta entro 10 giorni un altro acquirente che offra lo stesso prezzo. Si
consente ai soci di impedire l’ingresso di soggetti non graditi nella compagine societaria.
Alla società a responsabilità limitata è vietato in modo assoluto l’acquisto di proprie quote.
In nessun caso la società può accettare in garanzia proprie quote.

Recesso ed esclusione.

E’ riconosciuta ampia autonomia all’atto costitutivo nello stabilire quando il socio può
recedere e le relative modalità.
Il recesso è inderogabilmente riconosciuto per legge in una serie di casi:
- se la società è a tempo indeterminato ogni socio può recedere con un preavviso di almeno
sei mesi;
- se la società è a tempo determinato possono recedere i soci che non hanno consentito:
• al cambiamento dell'oggetto sociale o del tipo di società,
• alla sua fusione o scissione,
• alla revoca dello stato di liquidazione,
• al trasferimento della sede all’estero,
• all’eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo,
• al compimento di operazioni che comportano una modifica dell’oggetto sociale o una
rilevante modifica dei diritti dei singoli soci,
• il diritto di recesso è riconosciuto al socio contrario all'aumento del capitale sociale con
esclusione del diritto di opzione (art. 2481-bis).
I soci che recedono hanno diritto alla liquidazione della propria partecipazione in
proporzione del patrimonio sociale.
La quota del socio recedente deve essere prima offerta in opzione agli altri soci.
Se non vi sono acquirenti si procede al rimborso attingendo dalle riserve disponibili, o in
mancanza riducendo il capitale sociale.
Se la riduzione non è possibile, perché i creditori si oppongono la società si scioglie.
Come nelle società di persone, nella srl l’atto costitutivo può prevedere specifiche cause di
esclusione del socio per giusta casa.

Gli organi sociali. Le decisioni dei soci.

L'assemblea dei soci è degradata da organo essenziale ad organo solo eventuale per una
serie di decisione dei soci.
L’art. 2479, 2° comma, stabilisce che sono rimesse inderogabilmente alla decisione dei soci:
- l’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili;
- la nomina degli amministratori, se prevista nell’atto costitutivo;
- la nomina dei sindaci, presidente collegio sindacale e revisore;
- modifiche dell’atto costitutivo;
- decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione
dell’oggetto sociale o una rilevante modifica dei diritti dei singoli soci.
L’atto sulla base del consenso espresso per iscritto. In tal caso le decisioni sono adottate col
voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale.
Alcune decisione particolarmente importanti devono comunque essere adottate con il
metodo assembleare.
Esse sono: le modificazioni dell’atto costitutivo, le decisioni che comportano una sostanziale
modifica dell’oggetto sociale o una rilevante modifica dei diritti dei soci, nonché la riduzione
del capitale per perdite obbligatoria. La deliberazione assembleare è necessaria quando ne

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sia fatta richiesta da uno o più amministratori o dai soci che rappresentano almeno un terzo
del capitale sociale.
Se l’atto costitutivo non determina i modi di convocazione, l’assemblea è convocata dagli
amministratori con lettera raccomandata spedita ai soci almeno 8 giorni prima
dell’adunanza.
Possono intervenire in assemblea tutti i soci che risultano iscritti nel libro dei soci, anche se
l’iscrizione è avvenuta il giorno stesso dell’adunanza.
Il voto dei soci vale in misura proporzionale alla partecipazione. L’assemblea è costituita con
la presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitala sociale e delibera a
maggioranza assoluta del capitale intervenuto.
Per le modificazioni dell’atto costitutivo e per le decisioni che comportano una sostanziale
modifica dell’oggetto sociale è necessario il voto favorevole dei soci che rappresentano
almeno la metà del capitale sociale.

L’invalidità delle decisioni dei soci.

Parzialmente autonoma è anche la disciplina dell’invalidità delle decisioni dei soci (art. 2479
- ter).
Vi sono tre regimi di invalidità:
- una può essere fatta valere solo da alcuni soggetti, entro breve termine, e non opponibile
ai terzi in buona fede (annullabilità);
- un’invalidità conseguente da più gravi vizi sostanziali o procedimentali, che può essere
fatta valere da chiunque vi abbia interesse, ma entro tre anni;
- una sola causa di invalidità che può essere fatta valere da chiunque senza limiti di tempo.
Regola generale: le decisioni prese non in conformità della legge o dell’atto costitutivo
possono essere impugnate dai soci che non vi hanno consentito, anche individualmente,
nonché da ciascun amministratore del collegio sindacale entro 90 giorni dalla loro
trascrizione nel libro delle decisioni dei soci.
Il procedimento d’impugnazione è regolato dalla disciplina prevista per le spa.
L’annullamento della decisione ha effetto nei confronti di tutti i soci ed obbliga gli
amministratori a prendere i conseguenti provvedimenti.
L’annullamento non può aver luogo se la decisione impugnata è sostituita con altra presa in
conformità della legge e dell’atto costitutivo.
La sostituzione sana retroattivamente la decisione invalida e fa salvi i diritti acquistati dai
terzi.
La convalida della decisione è favorita dalla legge anche nel corso del giudizio
d’impugnazione. Con riguardo alle decisioni assunte con metodo assembleare vengono
richiamate le due specifiche forme di convalida per la mancanza di convocazione e di
verbale.
Perciò: la mancata convocazione non può essere fatta valere da chi anche successivamente
abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell’assemblea; la mancanza del verbale
può essere sanata mediante verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva.
Possono invece essere impugnate da chiunque vi abbia interesse, ma nel termine di tre anni,
le decisione aventi oggetto impossibile o illecito e quelle prese “in assenza assoluta
d’informazione”.
Possono essere impugnate senza limiti di tempo le deliberazioni che modificano l’oggetto
sociale prevedendo attività impossibili o illecite.

Amministrazione e controlli.

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L'amministrazione è affidata a uno o più soci, nominati con decisione dei soci, che restano
in carica a tempo indeterminato (art. 2475, 1 comma).
Quando l'amministrazione è affidata a più persone queste costituiscono il collegio di
amministrazione.
L'atto costitutivo può prevedere che gli amministratori operino non già collegialmente, bensì
disgiuntamente o congiuntamente come nelle società di persone.
Profili di accentuata singolarità rispetto alla società per azioni presenta infine la disciplina
della azione di responsabilità (art. 2476):
- è affermata la responsabilità degli amministratori verso la società e verso i singoli soci o
terzi direttamente danneggiati, non si fa menzione della responsabilità verso i creditori
sociali;
- responsabili solidalmente con gli amministratori sono anche "i soci che hanno
eccezionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o
terzi" (art. 2476, 7 comma).
- l'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori può essere promossa anche dal
singolo socio, il quale può altresì chiedere la revoca degli amministratori in caso di gravi
irregolarità nella gestione della società.
- più elevati sono i quorum necessari per approvare o impedire la rinuncia o la transazione
da parte della società, essendo necessario il consenso della maggioranza dei due terzi del
capitale e che non si oppongano tanti soci che rappresentano il 10% del capitale.
L’atto costitutivo può prevedere la nomina di un collegio sindacale o di un revisore
determinandone competenze e poteri.
Nella srl la nomina del collegio sindacale è obbligatoria solo se il capitale sociale non è
inferiore a quello minimo stabilito per la spa (120.000 euro) o se non ricorrono le condizioni
stabilite per la redazione del bilancio di esercizio in forma abbreviata; è lo stesso collegio
sindacale ad eseguire il controllo contabile.
Ogni socio non amministratore ha diritto di avere dagli amministratori notizia dello
svolgimento degli affari sociali, di consultare libri sociali e i documenti relativi
all'amministrazione.

Bilancio. Modificazioni dell’atto costitutivo. Scioglimento.

Il bilancio viene predisposto dall’organo amministrativo, approvato dai soci, ed infine


depositato entro 30 giorni nel registro delle imprese, insieme con l’elenco dei soci e degli
altri titolari di diritti sulle partecipazioni sociali.
La decisione dei soci che approva il bilancio, decide anche sulla distribuzione degli utili.
Le modificazioni dell’atto costitutivo sono di competenza inderogabile dell’assemblea, la
quale deve deliberare con il voto favorevole di tanti soci che rappresentano almeno la metà
del capitale sociale.
Tale modificazione diviene efficace solo a seguito dell’iscrizione della stessa nel registro
delle imprese.
Sono autonomamente disciplinate le variazioni del capitale sociale.
Lo scioglimento della società è oggi disciplinato unitariamente per tutte le società di capitali.

La società a responsabilità limitata semplificata.

Introdotta nel 2012, per stimolare la creazione di nuove imprese e lo sviluppo economico
del paese.
La società può essere costituita con un contratto o atto unilaterale solo da persone fisiche.
Non è più richiesta un'età minima.
Il capitale sociale deve essere almeno un euro ed inferiore a 10.000.

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Sono ammessi soltanto conferimenti in denaro ed il capitale deve essere interamente


sottoscritto interessato nelle mani dell'organo amministrativo.
Deve essere costituita per pubblico ma l'atto costitutivo e l'iscrizione al registro delle
imprese sono esenti da diritti di bollo e di segreteria.

CAPITOLO 19: LE SOCIETA’ COOPERATIVE.

Le società cooperative.

Il sistema legislativo.

In base all'attuale disciplina le società cooperative sono società a capitale variabile che si
caratterizzano per lo specifico scopo perseguito nello svolgimento dell'attività di impresa: lo
scopo mutualistico (art. 2511).
Dispone l'art. 45, 1 comma, della costituzione che "la repubblica riconosce la funzione
sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La
legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli
opportuni controlli, il carattere e le finalità".
La disciplina generale delle società cooperative dettate dal codice civile del 1942 era infatti
integrata e completata in più punti dalla c.d. legge Basevi.
Numerose erano e restano poi le leggi speciali volte ad incentivare particolari manifestazioni
del fenomeno cooperativo: alcune delineano un particolare statuto per le cooperative che
operano in determinati settori produttivi, e questo, ad esempio, il caso delle cooperative di
credito articolate nelle due grandi categorie delle banche di credito cooperativo e delle
banche popolari.
Altre leggi speciali fissano particolari requisiti e riconoscono particolari agevolazioni
creditizie e tributarie per le cooperative che perseguono specifici fini sociali.
La riforma delle cooperative del 2003 introduce la distinzione fra " società cooperative a
mutualità prevalente"e altre società cooperative dando così luogo ad una bipartizione delle
società cooperative.

Le società con scopo mutualistico.

Le società cooperative si distinguono dagli altri tipi società per lo scopo economico
perseguito: identico allo scopo-mezzo delle società cooperative e delle società lucrative:
esercizio in comune di una determinata attività economica.
Diverso è invece lo scopo-fine: nelle società lucrative, la produzione di utili (lucro oggettivo)
da distribuire fra i soci (lucro soggettivo); nelle società cooperative, lo scopo mutualistico.
Lo scopo prevalente dell'attività di impresa delle società cooperative consiste "nel fornire
beni o servizi o occasioni di lavoro direttamente a membri dell'organizzazione a condizioni
più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato".
Nelle cooperative di consumo vi è una tendenziale coincidenza fra i soci e i soggetti che
usufruiscono dei beni o servizi prodotti dall'impresa sociale.
Nelle cooperative di produzione e di lavoro, invece, i fattori produttivi necessari per l'attività
di impresa sono tendenzialmente forniti dagli stessi soci.
Si pensi alle cooperative di trasformazione di vendita dei prodotti agricoli.
L'attività di impresa delle società cooperative si caratterizza per la cosiddetta "gestione di
servizio" a favore dei soci.
Anche i soci di una cooperativa mirano a realizzare un risultato economico ed un proprio
vantaggio patrimoniale, attraverso lo svolgimento di attività di impresa.

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Scopo mutualistico e scopo lucrativo.

Le società cooperative sono caratterizzate da uno scopo prevalentemente ma non


esclusivamente mutualistico.
Esse possono svolgere anche attività con terzi, possono cioè fornire anche a terzi le
medesime prestazioni che formano oggetto della gestione a favore dei soci.
E l'attività con i terzi è di regola finalizzata alla produzione di utili, può essere cioè attività
oggettivamente lucrativa.
Nelle cooperative, lo scopo mutualistico può coesistere con un'attività con terzi produttiva di
utili.
Incompatibile con lo scopo mutualistico è e resta però l'integrale distribuzione ai soci degli
utili prodotti dalla cooperativa.
I dati caratterizzanti lo scopo mutualistico ed il profilo causale delle società cooperative sono
l'esercizio di attività di impresa tendenzialmente orientata verso il soddisfacimento di
preesistenti bisogni economici dei soci e con limitata ripartizione fra i soci stessi degli utili
eventualmente prodotti.

Le cooperative a mutualità prevalente.

L'attuale disciplina generale delle società cooperative si basa sulla distinzione fra società
cooperative a mutualità prevalente e altre società cooperative.
Le prime godono di tutte le agevolazioni previste per le società cooperative, le seconde
invece non godono delle agevolazioni di carattere tributario.
Elementi caratterizzanti le cooperative a mutualità prevalente sono:
- la presenza nello statuto di clausole che limitano la distribuzione di utili e riserve ai soci
cooperatori (art. 2514);
- la circostanza che la loro attività deve essere svolta prevalentemente a favore dei soci
(cooperative di consumo), ovvero deve utilizzare prevalentemente prestazioni lavorative
dei soci (cooperative di lavoro) o beni e servizi dagli stessi apportati (cooperative di
produzione e lavoro).
Perdono la qualifica di cooperative a mutualità prevalente società che per due esercizi non
rispettino tali condizioni (art. 2545-octies).
Le società cooperative a mutualità prevalente sono tenute ad iscriversi nell’apposito albo
delle società cooperative, tenuto a cura del ministero delle attività produttive.
L'atto costitutivo deve stabilire le regole per lo svolgimento dell'attività mutualistica con i
soci e dei relativi rapporti deve essere rispettato il principio di parità di trattamento.
L'atto costitutivo deve inoltre stabilire se la società può svolgere la propria attività anche con
terzi.

I caratteri strutturali.

Non poche sono le novità introdotte col codice del 1942 per orientare l'attività sociale verso
il perseguimento dello scopo mutualistico e per impedire che la stessa sia infatti indirizzata
verso finalità prevalentemente educative e speculative:
- è previsto un numero minimo di soci per la costituzione e la sopravvivenza della società.
Nel contempo si ritiene che i soci cooperatori siano in possesso di specifici requisiti
soggettivi;
- sono fissati limiti massimi alla quota di partecipazione di ciascun socio e alla percentuale
di utili agli stessi distribuibili;
- le variazioni del numero delle persone dei soci e le conseguenti variazioni del capitale
sociale non comportano modificazioni dell'atto costitutivo;
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- ogni socio cooperatore persona fisica ha in assemblea un solo voto, qualunque sia il
valore della sua quota o il numero delle sue azioni. È così capovolta la regola di
funzionamento propri delle società di capitali (numero di voti proporzionato al numero
delle azioni) ed è introdotto il principio "una testa-un voto". Principio che sottolinea il
rilievo della persona dei soci anche nel funzionamento della società e nell'indirizzo
dell'attività comune;
- le società cooperative sono sottoposte a vigilanza dell'autorità governativa al fine di
assicurarne il regolare funzionamento amministrativo e contabile.

La costituzione della società.

Per procedere alla costituzione di una società cooperativa è necessario che i soci siano
almeno 9 (art. 2522, 1 comma).
Sono tuttavia sufficienti tre soci persone fisiche se la società vuole adottare norme della
società a responsabilità limitata.
La società si scioglie e deve essere posta in liquidazione se il numero dei soci scende al di
sotto del minimo e non lo ha reintegrato nel termine massimo di un anno.
La partecipazione ad una società cooperativa è inoltre subordinata al possesso dei requisiti
soggettivi volti ad assicurare che esso svolga attività coerente e/o non incompatibile con
quella che costituisce l'oggetto sociale della cooperativa.
La disciplina attuale fissa come regola generale che non possono in ogni caso essere soci
quanti esercitano in proprio imprese identiche o affini a quella cooperativa (art. 2527, 2
comma).
Tali requisiti però non sono richiesti per i soci sovventori.
Il procedimento di costituzione ricalca quello previsto per la società per azioni.
Le indicazioni dell'atto costitutivo da redigere per atto pubblico, in buona parte coincide con
quelle stabilite per la società di azioni. È tuttavia necessario inserire:
- l'indicazione specifica dell'oggetto sociale, con riferimento ai requisiti e agli interessi dei
soci;
- i requisiti e le condizioni per l'ammissione di nuovi soci e il modo e il tempo in cui
devono essere eseguiti i conferimenti.
- le condizioni per l'eventuale recesso e per l'esclusione dei soci;
- le regole per la ripartizione degli utili e i criteri per la ripartizione dei ristorni.
Per accentuare il profilo mutualistico e assicurare la parità di trattamento dei soci, l'attuale
disciplina prevede infine che lo svolgimento dell'attività mutualistica della società e soci può
essere disciplinato da appositi regolamenti.
Tali regolamenti, quando non costituiscono parte integrante dell'atto costitutivo, sono
predisposti dagli amministratori e approvati dall'assemblea straordinaria (art. 2521.5).
La denominazione sociale della società cooperativa può essere formata liberamente, ma
deve contenere l’indicazione di società cooperativa.
Le cooperative a mutualità prevalente devono indicate negli atti e nella corrispondenza il
numero di iscrizione presso l’apposito albo.
L’atto costitutivo è sottoposto a controllo di legalità da parte del notaio rogante e, su richiesta
dello stesso, è iscritto nel registro delle imprese.
Con l’iscrizione nel registro delle imprese la società cooperativa acquista personalità
giuridica.
Le cooperative che intendono godere dei benefici fiscali e delle altre agevolazioni sono
tenute all’iscrizione nel nuovo Albo delle società cooperative.
Le cause di invalidità delle società cooperative sono quelle previste in via generale dalla
disciplina dei contratti.

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I conferimenti. La responsabilità dei soci.

Per i conferimenti in danaro non è però richiesto, né è necessario, il versamento iniziale del
25% presso un istituto di credito.
Con la riforma del 2003, nelle società cooperative per le obbligazioni sociali risponde solo la
società con il suo patrimonio (2518).
Il socio che non esegue in tutto o in parte i conferimento dovuti può essere escluso dalla
società.
Inoltre, se cessa di far parte della società risponde verso la stessa per una anno dal giorno in
cui il recesso, l’esclusione o la cessione della quota si è verificata.
E se entro un anno dallo scioglimento del rapporto si manifesta l’insolvenza della società, il
socio uscente è tenuto a restituire alla stessa quanto ricevuto per la liquidazione della quota
o per il rimborso delle azioni (2536).

Le quote. Le azioni.

Nelle cooperative la partecipazione sociale può essere rappresentata da quote o da azioni,


secondo quanto stabilito dall'atto costitutivo.
Nessun socio persona fisica può avere una quota superiore a 100 mila euro; nelle
cooperative con più di 500 soci l'atto costitutivo può tuttavia elevare tale limite fino al 2%
del capitale sociale (art. 2525, 3 comma).
Le quote o le azioni dei soci cooperatori non possono essere cedute, con effetto verso la
società, senza l'autorizzazione degli amministratori, il cui provvedimento deve essere
comunicata al socio entro 60 giorni dalla richiesta. Il silenzio vale assenso. Il provvedimento
che nega l’autorizzazione deve essere motivato e contro lo stesso il socio può proporre
opposizione al tribunale.
L'atto costitutivo può anche vietare del tutto la cessione sia delle quote sia delle azioni salvo
in questo caso il diritto del socio di recedere dalla società con preavviso di tre mesi purché
siano decorsi due anni dal suo ingresso in società. L'atto costitutivo può autorizzare gli
amministratori ad acquistare e rimborsare quote o azioni della società con l'osservanza di un
duplice limite. Il rapporto tra patrimonio netto e complessivo indebitamento della società
deve essere superiore ad un quarto; l'acquisto o il rimborso deve essere effettuato nei limiti
degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolamentare
approvato.
Nelle società cooperative non opera il divieto di concedere prestiti o garanzie per la
sottoscrizione o l’acquisto di proprie azioni, né quello di accettare azioni proprie in
garanzia.
Le quote e le azioni dei soci cooperatori non possono essere cedute con effetto verso la
società, senza l’autorizzazione degli amministratori, il cui provvedimento deve essere
comunicato al socio entro 60 giorni dalla richiesta. Il silenzio vale assenso. L’autorizzazione
in ogni caso non potrà essere validamente concessa qualora l’acquirente non possegga i
requisiti soggettivi fissati per legge o dall’atto costitutivo.

Le nuove forme di finanziamento.

La previsione dei limiti massimi alla partecipazione di ciascun socio e di limiti alla libera
circolazione delle azioni, sommati ai limiti posti per la distribuzione degli utili,
frapponevano in passato vistosi ostacoli.
Ostacoli che erano solo in parte superati con il diffuso ricorso a finanziamenti a titolo di
prestito dei soci. Significativa innovazione al riguardo sono state introdotte dalla legge
31-1-1992, n. 59.
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Sono stati elevati limiti massimi della partecipazione di ciascun socio; nel contempo sono
state consentite nuove e più incentivanti forme di raccolta del capitale di rischio con la
previsione della figura dei soci sovventori e delle azioni di partecipazione cooperativa.
La figura dei soci sovventori, in passato prevista solo per le mutue assicuratrici, consente la
raccolta di capitale di rischio anche fra soggetti sprovvisti degli specifici requisiti soggettivi
richiesti per partecipare all'attività mutualistica.
I conferimenti dei soci sovventori sono rappresentate da azioni (o quote) nominative
liberamente trasferibili.
Sono poi introdotte regole volte ad evitare che i soci sovventori prendano il sopravvento
nella gestione della società.
Le azioni di partecipazione cooperativa costituiscono una particolare categoria di azioni.
Possono essere emesse per un ammontare non superiore al valore delle riserve indivisibili o
del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio certificato. Le azioni di partecipazione
cooperativa possono essere emesse al portatore, se interamente liberate. Sono quindi
liberamente trasferibili e godono dell'anonimato.
Esse sono privilegiate sotto il profilo patrimoniale in quanto:
- assicurano ex lege una partecipazione agli utili maggioritaria del 2% rispetto a quella delle
quote o delle azioni dei soci cooperatori;
- hanno diritto di prelazione nel rimborso del capitale per l'intero valore nominale, in sede
di scioglimento della società,
- le perdite incidono sulla stessa solo per la parte che eccede il valore nominale
complessivo delle altre azioni o quote.
Alle società cooperative è stata di recente consentita anche l'emissione di obbligazioni per la
raccolta di capitale di prestito.
La riforma del 2003 ha consentito a tutte le società cooperative l'emissione di strumenti
finanziari secondo la disciplina prevista per le società per azioni (art. 2526).
Le cooperative che hanno optato per la disciplina della Srl possono offrire strumenti
finanziari privi di diritti di amministrazione " solo ad investitori qualificati".

Gli organi sociali. L’assemblea.

Gli organi delle società cooperative sono disciplinate dalle norme della società per azioni e
sono gli stessi della società per azioni ed identico è il riparto di funzioni.
Alcune significative deviazioni sono tuttavia introdotte nella disciplina dell'assemblea (artt.
2538-2540).
Innanzitutto, il voto di ciascun socio operatore l'assemblea è del tutto svincolato
dall'ammontare della partecipazione sociale.
Per i soci persone fisiche trova rigida applicazione il principio " una testa-un voto": ogni
socio persona fisica infatti ha diritto ad un solo voto, qualunque sia il valore della quota e il
numero delle azioni possedute.
Solo ai soci persone giuridiche possono esser attribuiti più voti, ma non oltre a 5.
Ai soci sovventori possono essere invece attribuiti più voti, ma essi non devono superare in
ogni caso un terzo dei voti spettate a tutti i soci.
L'attuale disciplina consente poi che nelle cooperative consortili (nelle quali i soci realizzano
lo scopo mutualistico attraverso l’integrazione delle rispettive imprese o di taluni fasi di esse)
il diritto di voto sia attribuito in ragione della partecipazione allo scambio mutualistico.
Valgono inoltre le seguenti regole:
- hanno diritto di voto solo coloro che risultano iscritti nel libro dei soci da almeno tre mesi;
- il socio può farsi rappresentante nell’assemblea solo da un altro socio;
- il modo può essere dato anche per corrispondenza mediante altri mezzi di
telecomunicazione, se l'atto costitutivo consente.

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Alcune differenze si hanno anche per il procedimento assembleare: i quorum costitutivi e


deliberativi vanno ovviamente calcolati secondo il numero dei voti spettanti per teste ai soci
e non in base all'ammontare della loro partecipazione al capitale.
L'innovazione più significativa è però costituito dalla possibilità di una formazione
progressiva della volontà assembleare attraverso il meccanismo delle assemblee separate.
In base all'attuale disciplina le assemblee separate sono però obbligatorie quando la società
ha più di 3 mila soci e svolge la propria attività in più province.
Le assemblee separate deliberano sulle stesse materie che formeranno oggetto dell'assemblea
generale ed eleggono dei soci-delegati che parteciperanno a quest'ultima.
L'assemblea generale è costituita dai delegati designati dalle assemblee separate e delibera
definitivamente sulle materie all'ordine del giorno.

Amministrazione. Controlli. Collegio dei probiviri.

Se è adottato il sistema dualistico, i possessori di strumenti finanziari non possono eleggere


più di un terzo dei componenti del consiglio di sorveglianza del consiglio di gestione.
Se invece è adottato il sistema monistico, agli amministratori eletti dai possessori di strumenti
finanziari e non possono essere attribuite deleghe operative; negli stessi possono far parte del
comitato esecutivo.
Quanto al sistema tradizionale, con l'attuale disciplina è caduta la regola che tutti gli
amministratori debbano essere soci cooperatori. Oggi è sufficiente che sola maggioranza
degli amministratori sia tra soci cooperatori ovvero tra le persone designate dai soci
cooperatori persone giuridiche (art. 2542).
Quanto poi al collegio sindacale la nomina dello stesso è obbligatoria solo quando la
cooperativa ha un capitale non inferiore a quello minimo della società per azioni, quando
sono superati i limiti per la redazione del bilancio in forma abbreviata e quando la società ha
emesso strumenti finanziari partecipativi (art. 2543).
Per la nomina del collegio sindacale, lo statuto può attribuire il diritto di voto
proporzionalmente alle quote o azioni possedute ovvero in ragione della partecipazione allo
scambio mutualistico.
È prassi consolidata la previsione degli statuti delle cooperative di un ulteriore organo
sociale: il collegio dei probiviri.
A tale organo è affidata la risoluzione di eventuali controversie tra soci o fra soci e società,
riguardanti il rapporto sociale una gestione mutualistica. Si tratta di un organo però che non
sempre da garanzie di imparzialità.
Con l'attuale disciplina anche le società cooperative sono assoggettate al controllo
giudiziario sulla gestione previsto dall'art. 2409 per le società per azioni.

La vigilanza governativa. Il controllo giudiziale.

Le società cooperative sono sottoposte al controllo dell'autorità governativa, al fine di


assicurare il regolare funzionamento amministrativo e contabile delle stesse e il rispetto delle
condizioni richieste per la concessione delle agevolazioni tributarie e creditizie.
Eccezion fatta per alcune categorie di cooperative, la vigilanza spetta al ministro del lavoro
ed esercita tramite ispezioni ordinarie ed ispezioni straordinarie.
Nell'attività di vigilanza il ministero si avvale anche delle "associazioni nazionali di
rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo".
In caso di irregolare funzionamento della società, l'autorità governativa può revocare
amministratori e sindaci ed affidare la gestione della cooperativa ad un commissario
governativo.

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Inoltre l'autorità governativa può disporre lo scioglimento della cooperativa se non è in grado
di raggiungere gli scopi per cui è stata costituita.

Bilancio. Utili. Ristorni.

La formazione del bilancio di esercizio della società cooperative è integralmente assoggettata


alla disciplina dettata per la società per azioni.
Le cooperative di maggior dimensione devono sottoporre il bilancio a revisione obbligatoria
da parte di una società di revisione.
Per rafforzare la consistenza del patrimonio sociale, la percentuale degli utili netti annuali da
destinare a riserva legale è 6 volte più elevata rispetto la società per azioni: il 30%, anziché il
5%.
La legge 59/1992 ha poi introdotto l'obbligo di destinare il 3% degli utili netti annuali ad
appositi "fondi mutualistici per la promozione e sviluppo della cooperazione ".
Si tratta in sostanza di una forma di auto contribuzione obbligatoria, finalizzata alla
promozione e al finanziamento di nuove imprese. Infine sono posti limiti alla distribuzione
fra soci degli utili residui: al riguardo l'attuale disciplina introduce una netta distinzione fra
società cooperativa a mutualità prevalente e altre società cooperative.
Per queste ultime è sufficiente che l'atto costitutivo fissi la percentuale massima dei dividendi
che possono essere ripartiti tra i soci sovventori.
Disciplina più restrittiva è invece prevista per le società cooperative a mutualità prevalente
(art. 2514): in base all'attuale disciplina che sostanzialmente ricalca quella prevista dalla
legge Basevi, gli statuti di tale società devono prevedere:
- il divieto di distribuire dividendi in misura superiore all'interesse massimo dei buoni
fruttiferi postali ;
- il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori
in misura superiore al 132
- 2% rispetto al limite massimo;
- il divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori;
- l'obbligo di devolvere in caso di scioglimento della società l'intero patrimonio sociale ai
fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
In tutte le società cooperative per rafforzare la consistenza patrimoniale della società
possono essere distribuiti dividendi, solo se il rapporto tra patrimonio netto e complessivo
indebitamento della società è superiore ad un quarto.
Dagli utili (in remunerazione del capitale) vanno tenuti distinti i ristorni: questi costituiscono
il rimborso ai soci di parte del prezzo pagato per i beni e servizi acquistati dalla cooperativa
(cooperativa di consumo) a prezzo di mercato, ovvero l'integrazione della retribuzione
corrisposta dalla cooperativa per le prestazioni del socio (cooperative di produzione e di
lavoro).
Costituiscono quindi uno degli strumenti tecnici per attribuire ai soci cooperatori un
vantaggio mutualistico derivante da rapporti di scambio intrattenuti con la cooperativa.
Possono essere distribuiti anche mediante aumento gratuito del capitale sociale ovvero
mediante l'emissione di strumenti finanziari.

Variazione dei soci e del capitale sociale.

Le società cooperative sono società a capitale variabile.


Il capitale sociale non è determinato in un ammontare prestabilito.
La variazione del numero delle persone dei soci non comporta modificazione dell'atto
costitutivo (art. 2524). Il che non esclude però che anche nelle cooperative l'ingresso di
nuovo soci possa avvenire attraverso una modifica dell'atto costitutivo. È estremamente

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semplificato il procedimento per l'ammissione di nuovi soci, non dovendosi di volta


procedere ad una modifica dell'atto costitutivo (c.d. "porta aperta"). L’ammissione è infatti
deliberata dagli amministratori e le delibere di ammissione è annotata dagli stessi
amministratori nel libro dei soci. Il nuovo socio deve alzare, oltre l'importo delle quote o
delle azioni sottoscritte, anche un sovrapprezzo determinato dall'assemblea in sede di
approvazione del bilancio proposto degli amministratori.
Nella società cooperative costituiscono cause di riduzione del numero dei soci e del
capitale, il recesso (art. 2532), l'esclusione (art. 2533) e la morte (art. 2534) del socio.
Il recesso è ammesso per legge:
- quando l'atto costitutivo vieta la cessione delle quote o delle azioni;
- nei casi previsti per la società per azioni.
La dichiarazione di recesso ha effetto per quanto riguarda il rapporto sociale dalla
comunicazione del provvedimento di accoglimento della domanda.
Per quanto riguarda invece i rapporti mutualistici ha effetto con la chiusura dell'esercizio
sociale in corso. Può essere invece disposta dalla società in caso di: mancato pagamento
delle quote o delle azioni, nei casi previsti per la società di persone, per gravi inadempienze
del socio.
Quando non ha luogo di diritto, l'esclusione deve essere deliberata dagli amministratori o
dall'assemblea.
In caso di morte del socio, il rapporto sociale si scioglie, salvo che l'atto costitutivo disponga
la continuazione della società con gli eredi.

Lo scioglimento della società.

Valgono per le società cooperative le cause di scioglimento previste per le società di capitali,
con la sola differenza che solo la perdita totale del capitale è causa di scioglimento (art.
2545-duodecies).
Sono poi cause specifiche di scioglimento:
- la riduzione dei soci al di sotto del numero minimo di 9 (o 3), se questo non è reintegrato
entro un anno;
- la liquidazione coatta amministrativa disposta dall'autorità governativa.
Per il procedimento di liquidazione, l'unica peculiarità è costituita dal fatto che, in caso di
irregolarità o di eccessivo ritardo nello svolgimento dell'eliminazione, l'autorità governativa
può sostituire liquidatori o può chiederne la sostituzione al tribunale.

I consorzi di cooperative.

Essi sono forme di organizzazione collettiva cui le società cooperative ricorrono per
raggiungere un maggior grado di efficienza e di competitività sul mercato. La legge Bavesi ne
prevede diverse categorie:
- Consorzi di cooperative per l’esercizio in comune di attività economica
- Consorzi di cooperative ammissibili ai pubblici appalti.
- Consorzi fra società cooperative per il coordinamento della produzione e degli scambi.
I primi due tipi di consorzi sono vere e proprie società cooperative composte da cooperative.
Il terzo tipo riguarda consorzi fra imprenditori.

Il gruppo cooperativo paritetico.

Anche le società cooperative possono dar vita a organizzazioni di gruppo. È diffuso nella
pratica che il gruppo cooperativo trovi fondamento in un accordo contrattuale, inquadrabile

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nello schema del consorzio fra imprenditori (art. 2602 c.c.), volto a dar vita ad una strategia
imprenditoriale comune e unitario.
La legge fissa il contenuto minimo del relativo contratto richiedendo che siano indicate: la
durata, la cooperativa o le cooperative cui è affidata la direzione del gruppo e dei relativi
poteri nonché "i criteri di compensazione e l'equilibrio nella distribuzione dei vantaggi
derivanti da attività comune ".
Ogni cooperativa può recedere dal contratto senza oneri di alcun tipo qualora le condizioni
dello scambio risultino pregiudizievoli per i propri soci. Il contratto deve essere depositata in
forma scritta presso l'albo delle società cooperative.

Le mutue assicuratrici.

Caratteri distintivi. Disciplina.

Le mutue assicuratrici o società di mutua assicurazione (artt. 2546-2548) sono società


cooperative caratterizzate dalla stretta indipendenza che per legge esiste fra la qualità di
socio e le qualità di assicurato: "non si può acquistare la qualità di socio, se non
assicurandosi presso la società " e viceversa " si perda la qualità di socio con l'estinguersi
dell'assicurazione " (art. 2546, 3 comma).
Questo principio differenzia nettamente le mutue assicuratrici rispetto alle comuni
cooperative di assicurazione.
In queste ultime si può essere assicurati senza diventare soci e il socio ha diritto alle
prestazioni assicurative solo se ed in quanto stipula un distinto autonomo contratto di
assicurazione con la società.
Nelle mutue assicuratrici, le due posizioni socio e assicurato nascono e restano fra loro
strettamente collegate.
Per l'obbligazioni sociali risponde solo la società col proprio patrimonio.
I soci assicurati sono obbligati verso la società al pagamento di " contributi ", che
costituiscono al contempo conferimento e premio di assicurazione.
Il patrimonio sociale, formato con i contributi dei soci assicurati, può essere insufficiente per
l'esercizio dell'attività assicurativa.
Per superare questo ostacolo l'atto costitutivo può prevedere la costituzione di fondi di
garanzia per il pagamento dell'indennità, mediante speciali conferimenti da parte dei soci
assicurati o di terzi.
Nelle mutue assicuratrici possono coesistere due categorie di soci:
- soci assicurati
- soci sovventori: si limitano a conferire il capitale necessario per l'attività della società
senza essere assicurati. Sono nominati amministratori, ma la maggioranza degli
amministratori deve essere costituita da soci assicurati.

CAPITOLO 20: TRASFORMAZIONE. FUSIONE E SCISSIONE.

La trasformazione.

Nozione e limiti.

La riforma del 2003 ha profondamente modificato l'ambito di operatività e la disciplina della


trasformazione: la trasformazione era nel sistema del codice del 1942 un istituto tipicamente
societario.

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Questa linea di tendenza è stata recepita dall'attuale disciplina con la distinzione fra
trasformazione omogenea (fra società) e trasformazione eterogenea (da società di capitali in
altri enti o viceversa).
La trasformazione omogenea è cambiamento del tipo di società; il passaggio da un tipo ad
un altro tipo di società. Ad esempio, una società in nome collettivo assuma la veste giuridica
della società per azioni o viceversa.
Con la trasformazione dell’assetto organizzativo della società non si ha però estinzione della
società preesistente e nascita di una nuova società; è la stessa società che continua a vivere
in una rinnovata veste giuridica e che "conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i
rapporti anche processuali dell'ente che ha effettuato la trasformazione" (art. 2498, 1
comma).
Rientrano nella trasformazione omogenea la trasformazione di società di persone in società
di capitali e viceversa, in breve, il passaggio dall'uno all'altro tipo nell'ambito delle società
lucrative.
Per quanto riguarda ciò che comporta il mutamento dello scopo economico della società era
e resta espressamente vietata la trasformazione di una società cooperativa a mutualità
prevalente in società lucrativa, " anche se tale trasformazione sia deliberata all' unanimità ".
Con la riforma del 2003 è stata invece consentita la trasformazione delle altre società
cooperative in società lucrative o consorzi, la trasformazione di società di capitali (ma non di
persone) in società cooperative.

La trasformazione omogenea: il procedimento di trasformazione.

La trasformazione omogenea deve essere deliberata secondo le modalità previste dell'atto


costitutivo e con l'osservanza delle relative maggioranze.
Al fine di favorire la trasformazione delle società di persone in società di capitali, l’attuale
disciplina non richiede più il consenso di tutti soci.
Se l'atto costitutivo non dispone diversamente, è sufficiente il consenso a maggioranza dei
soci determinata secondo la partecipazione attribuita a ciascuna negli utili.
Al socio che non ha concorso alla decisione è però riconosciuto diritto di recesso.
Per le società di capitali è invece necessaria una delibera dell'assemblea straordinaria da
adottare nelle società per azioni non quotate con la maggioranza forzata.
È comunque richiesto il consenso dei soci che con la trasformazione assumono
responsabilità illimitata.
I soci che non hanno concorso alla deliberazione hanno diritto di recesso. Nella
trasformazione di società cooperative, diverse da quelle a mutualità prevalente, in società di
persone o di capitali è invece richiesto il voto favorevole di almeno la metà dei soci, elevata
due terzi quando i soci sono meno di 50. La delibera di trasformazione fissa le basi
organizzative della società nella nuova veste giuridica.
Deve perciò rispondere ai requisiti di forma e di contenuto previsti per l'atto costitutivo del
tipo di società prescelto.
Devono inoltre essere rispettate le ulteriori regole previste dalla costituzione della società
che risulta dalla trasformazione. Alla delibera di trasformazione deve essere allegata una
relazione giurata di stima del patrimonio sociale.
La delibera di trasformazione in società di capitali è soggetta a controllo di legittimità da
parte del notaio che ha redatto il verbale e ad iscrizione nel registro delle imprese.
Ogni socio ha diritto all'assegnazione di un numero di azioni o quote proporzionali alla sua
partecipazione, mentre regole specifiche sono dettate per l'assegnazione alle socio d'opera
(art. 2500-quater).
Per quanto riguarda infine le società cooperative diverse da quella a mutualità prevalente,
l'attuale disciplina ne consente la trasformazione in società lucrative. Impone però di

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devolvere ai fondi mutualistici per la promozione e sviluppo della cooperazione il valore


effettivo del patrimonio esistente alla data della trasformazione.

La responsabilità dei soci.

La trasformazione può comportare un mutamento del regime di responsabilità dei soci.


Se in seguito alla trasformazione i socio assumono responsabilità illimitata per le
obbligazioni sociali, l'attuale disciplina dispone che è comunque richiesto il consenso dei
soci che assumono responsabilità illimitata.
Per favorire la trasformazione, è però introdotta una disciplina che agevola la liberazione dei
soci.
È infatti stabilito che:
- il consenso dei creditori alla trasformazione vale come consenso alla liberazione di tutti
soci a responsabilità illimitata;
- il consenso alla trasformazione si presume, se ai singoli creditori è stata comunicata per
raccomandata la delibera di trasformazione ed essi non hanno negato espressamente la
loro adesione, nel termine di 60 giorni dal ricevimento della comunicazione. Il silenzio
vale quindi consenso.

La trasformazione eterogenea.

L'attuale disciplina regolante la trasformazione eterogenea e più esattamente la


trasformazione eterogenea da parte di una società di capitali o che da vita ad una società di
capitali.
Non è invece disciplinata la trasformazione eterogenea di società di persone o in società di
persone.
Una società di capitali può trasformarsi in "consorzi, società consortili, società cooperative,
comunione di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni" (art. 2500-septies). Più
articolata è la disciplina della trasformazione eterogenea in società di capitali (art. 2500-
octies) prevista per " i consorzi, le società consortili, le comunioni di aziende, le associazioni
riconosciute e fondazioni " (ma non per le associazioni riconosciute e le cooperative).
Nei consorzi la trasformazione deve essere deliberata a maggioranza assoluta dei
consorziati. Nelle comunioni di azienda da tutti i partecipanti alla comunione. Nelle società
consortili e nelle associazioni con le maggioranze richieste per lo scioglimento anticipato.

La fusione.

Nozione. Distinzioni.

La fusione è l'unificazione di due o più società in una sola.


Essa può essere realizzata in due diversi modi:
- con la costituzione di una nuova società, che prende il posto di tutte le società che si
fondano (fusione in senso stretto);
- mediante assorbimento in una società preesistente di una o più altre società (fusione per
incorporazione).
La disciplina della fusione era stata già radicalmente riformata nel 1991 dando attuazione
alla terza e sesta direttiva Cee in materia societaria, e successivamente nel 2003.
La fusione può aver luogo sia fra società dello stesso tipo (fusione omogenea), sia fra società
di tipo diverso (fusione eterogenea).
La fusione fra società eterogenee comporta anche la trasformazione di una o più delle
società che si fondono.
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Per le fusioni eterogenee valgono perciò gli stessi limiti esposti per la trasformazione. La
partecipazione alla fusione non è consentita alle società che si trovano in stato di
liquidazione, mentre con la riforma del 2003 è caduto il divieto per le società sottoposte a
procedura concorsuale.
La fusione è uno strumento di concentrazione delle imprese societarie che consente di
ampliarne la dimensione e la competitività sul mercato in questa prospettiva è agevolata
sotto diversi profili dalla legislazione tributaria.
La fusione inoltre è un istituto che dà luogo ad una concentrazione giuridica e non solo
economica.
La fusione determina perciò la riduzione ad unità dei patrimoni delle singole società e la
confluenza dei rispettivi soci in unica struttura organizzativa che continua l’attività di tutte le
società preesistenti. La società incorporante o che risulta dalla fusione "assumono diritti e gli
obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche
processuale, anteriori alla fusione".

Il progetto di fusione.

Il procedimento di fusione si articola in tre fasi essenziali: il progetto di fusione, la delibera di


fusione e l'atto di fusione.
Il progetto di fusione deve avere identico contenuto per tutte le società partecipanti alla
fusione e dallo stesso devono risultare, fra le altre, le seguenti indicazioni:
- il tipo, la denominazione o ragione sociale, la sede delle società partecipanti alla fusione;
- l’atto costitutivo della nuova società risultante dalla fusione o di quella incorporante;
- il rapporto di cambio delle azioni o quote; vale a dire il rapporto in base al quale saranno
assegnate ai soci delle società che si estinguono le azioni o quote della società
incorporante o della nuova società.
Il progetto di fusione deve essere iscritto nel registro delle imprese del luogo ove hanno sede
le società partecipanti alla fusione.
La documentazione informativa non si esaurisce però nel progetto di fusione in quanto è
prescritta la redazione preventiva di altri tre documenti:
- la situazione patrimoniale (art. 2501-quater);
- la relazione degli amministratori (art. 2501-quinquies);
- la relazione degli esperti (art. 2501- sexies).
Gli amministratori di ciascuna delle società partecipanti alla fusione devono redigere una
situazione patrimoniale aggiornata della propria società, con l'osservanza delle norme sul
bilancio di esercizio.
Si tratta di un vero e proprio bilancio di esercizio infrannuale (c.d. bilancio di fusione), la cui
funzione prevalente è quella di fornire ai creditori sociali informazione aggiornate per il
consapevole esercizio del diritto di opposizione alla fusione.
Gli amministratori delle società partecipanti alla fusione devono redigere una relazione la
quale illustri e giustifichi il progetto di fusione e in particolare il rapporto di cambio, in modo
da mettere i soci in condizione di verificare i metodi di valutazione utilizzati dagli
amministratori nella determinazione del rapporto di cambio.
È inoltre prescritto che per ciascuna società partecipante alla fusione uno o più esperti
devono redigere una relazione sulla congruità del rapporto di cambio ed esprimere un parere
sull'adeguatezza del metodo o dei metodi seguiti dagli amministratori.
Per le società quotate esperte è scelto fra le società di revisione (art. 2501-sexies).
Il progetto di fusione, le relazioni degli amministratori e degli esperti, le situazioni
patrimoniali di tutte le società partecipanti alla fusione, i bilanci degli ultimi tre esercizi delle
stesse, devono restare depositati in copia nelle sedi di ciascuna delle società partecipanti alla
fusione durante i 30 giorni che precedono l'assemblea e finché la fusione sia deliberata.

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Le fusioni semplificate.

Nel caso in cui una società deve incorporarne un’altra di cui possiede (anche indirettamente)
tutte le quote o azioni, con la recente riforma, la fusione avviene in genere senza emissione
di nuove quote o azioni.
In base all’attuale disciplina, l’atto costitutivo o lo statuto può prevedere che la fusione sia
decisa con deliberazione dei rispettivi organi amministrativi, se non si oppongono i soci
della società incorporante che rappresentino almeno il 5% del capitale.
Vi sono delle regole speciali anche nel caso in cui l’incorporante possiede almeno il 90% del
capitale della società da incorporare. Si consente di omettere la relazione degli esperti
qualora venga concesso agli altri soci della società incorporata il diritto di far acquistare le
loro azioni o quote dalla società incorporante per un corrispettivo determinato alla stregua
dei criteri previsti per il recesso.

La fusione a seguito di acquisizione con indebitamento.

Si tratta delle fusioni realizzate nell’ambito di un c.d. leveraged buy-out, particolare tecnica
per l’acquisto del controllo di una società, di origine statunitense.
Chi intende acquisire il controllo della società costituisce un’apposita spa con modesto
capitale sociale, che ottiene un cospicuo prestito utilizzato nell’acquisto delle azioni della
società bersaglio.
Conseguito il controllo di quest’ultima, viene deliberata la fusione per incorporazione della
stessa nella società acquirente ed il finanziamento da questa ottenuto è rimborsato con gli
utili futuri della società bersaglio incorporata e/o con la vendita di parte delle attività della
stessa.
Nel leveraged buy – out la restituzione del prestito concesso alla società acquirente è
sostanzialmente garantita dal patrimonio della società bersaglio.

La delibera di fusione.

La fusione viene decisa da ciascuna delle società che vi partecipano "mediante


l'approvazione del relativo progetto" (art. 2502).
L'attuale disciplina consente tuttavia che la decisione di fusione possa apportare al progetto
le modifiche che non incidono sui diritti dei soci o dei terzi.
Nelle società di capitali la fusione deve essere invece deliberata dall'assemblea straordinaria
con le normali maggioranze.
Le delibere di fusione delle singole società devono essere iscritte nel registro delle imprese,
previo controllo di legalità da parte del notaio verbalizzante se la società risultante dalla
fusione è una società di capitali.

La tutela dei creditori sociali.

La fusione può essere attuata solo dopo che siano trascorsi 60 giorni dall'iscrizione nel
registro delle imprese dell'ultima delibera delle società che vi partecipano.
Entro tale termine, a ciascun creditore anteriore la pubblicazione del progetto di fusione può
proporre opposizione alla fusione.
L'opposizione sospende l'attuazione della fusione fino all'esito del relativo giudizio.
Se alla fusione partecipano società con soci a responsabilità illimitata e la società risultante
dalla fusione è una società di capitali resta ferma la responsabilità personale dei soci delle
prime per le obbligazioni anteriori alla fusione.
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L’atto di fusione.

Il procedimento di fusione si conclude con la stipulazione dell'atto di fusione (art. 2504).


L'atto di fusione deve essere sempre redatto per atto pubblico, anche se la società
incorporante o la nuova società risultante dalla fusione è una società di persone.
L'atto di fusione deve essere iscritto nel registro delle imprese dei luoghi ove è posta la sede
di tutte le società partecipanti alla fusione e di quello della società risultante dalla fusione.
Dall'ultima iscrizione nel registro delle imprese decorrono gli effetti della fusione.
Si produce perciò l'unificazione soggettiva patrimoniale delle diverse società. La società
risultante dalla fusione assume tutti i diritti e gli obblighi di quelle partecipanti, che si
estinguono.

L’invalidità della fusione.

Il complesso procedimento che porta alla fusione può presentare vizi o anomalie più o meno
gravi, che possono riguardare una o più delle fasi fin qui esposte (es: il progetto di fusione
non contiene le indicazioni minime prescritte per legge o non è stato pubblicato).
Questo problema è risolto oggi dall’articolo 2504-quater.
Una volta eseguite le iscrizioni dell’atto di fusione prescritte per legge (e prodottisi i relativi
effetti), l’invalidità dell’atto di fusione non può essere più pronunciata (e ciò senza eccezione
alcuna).
Resta salvo solo il diritto al risarcimento dei danni eventualmente spettante ai soci o ai terzi
danneggiati dalla fusione, che potranno perciò a tal fine agire nei confronti degli
amministratori delle società partecipanti alla fusione e/o della società risultante dalla stessa.
Anche dopo che la fusione è stata attuata, resta possibile la dichiarazione di nullità della
società, nei casi e con gli effetti a suo tempo esposti.
Il che significa che le conseguenze saranno in ogni caso la messa in liquidazione della
società nulla risultante dalla fusione; non mai un ritorno alla situazione anteriore

La fusione transfrontaliera.

La nostra legge consente anche fusioni fra società con sede in Italia e società con sede in altri
Stati, a condizione che tali operazioni siano poste in essere uniformemente alle leggi degli
Stati interessati. La fusione non è realizzabile se l'ordinamento straniero non consente la
fusione delle sue società con società italiane.
Il diritto comunitario prevede che nelle fasi preliminari del procedimento ciascuna società
partecipante osservi le disposizioni in tema di fusione dello Stato da cui dipende.
Il progetto diffusione è unico per tutte le società che si fondono e deve contenere sia le
informazioni prescritte dalla nostra legge sia quelle richieste dalla legge delle società
straniere.
La fusione transfrontaliera produce i medesimi effetti una fusione nazionale.

La scissione.

Nozione. Forme.

Con la scissione il patrimonio di una società è scomposta ed assegnato in tutto o in parte ad


altre società, con contestuale assegnazione ai soci della prima di azioni o quote delle società
beneficiarie del trasferimento patrimoniale.

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Con la scissione si ha la suddivisione di un unico patrimonio sociale e di un'unica


compagine societaria in più società.
Nella scissione infatti le azioni o quote delle società beneficiarie del trasferimento
patrimoniale sono acquistate direttamente dai soci della società che si scinde. La scissione
non era regolata dal codice del 1942, ma la situazione è però cambiata nel 1991. La
scissione può assumere forme diverse.
Può essere:
- totale, l'intero patrimonio della società che si scinde è trasferita in più società. La prima
società perciò si estingue senza che però si abbia liquidazione della stessa, dato che
l'attività continua tramite le società beneficiarie della scissione che assumono diritti e gli
obblighi corrispondenti alla quota di patrimonio loro trasferita.
- parziale, invece, solo parte del patrimonio della società che si scinde viene trasferito ad
una o più altre società. La società scissa resta perciò in vita sia pure con un patrimonio
ridotto e continua l’attività parallelamente alle società beneficiarie, di cui entrano a far
parte i soci della prima.
Beneficiarie della scissione possono essere:
- società di nuova costituzione, che nascono per gemmazione dalla società che si scinde
(c.d. scissione in senso stretto);
- una o più società preesistenti (c.d. scissione per incorporazione), che vedono nel
contempo incrementati il loro patrimonio e la compagine sociale per l'ingresso dei soci
della società scissa.

Il procedimento.

Il procedimento di scissione ricalca quello dettato per la fusione.


Gli amministratori della società partecipante alla scissione devono redigere un unitario
progetto di scissione, sottoposto alla stessa pubblicità prevista per il progetto di fusione.
Oltre alle indicazioni stabilite per quest'ultimo, il progetto di scissione deve contenere:
- l'esatta descrizione degli elementi patrimoniali;
- i criteri di distribuzione ai soci delle azioni o quote delle società beneficiarie.
Nella scissione totale, le attività di incerta attribuzione sono ripartite fra la società
beneficiarie in proporzione della quota di patrimonio netto trasferita a ciascuna di esse.
Delle passività di dubbia imputazione ne rispondono invece in solido tutte le società
beneficiarie.
Nella scissione parziale, le relative attività restano in testa alla società trasferente.
Delle passività ne rispondono in solido sia questa sia le società beneficiarie.
Per la situazione patrimoniale, la relazione degli amministratori e quella degli esperti, è
integralmente richiamata la disciplina della fusione.
Rinvio alla disciplina della fusione si ha anche per le altre fasi del procedimento di scissione:
delibera di scissione, pubblicità, e opposizione dei creditori e stipula dell'atto di scissione.
La scissione diventa efficace a partire dalla data in cui è stata eseguita l'ultima iscrizione
dell'atto di scissione nel registro delle imprese in cui sono iscritte le società beneficiarie.
A partire da tale momento ciascuna delle società beneficiarie assume diritti e gli obblighi
della società scissa, che le sono state attribuiti nell'atto di scissione.
"Ciascuna società è solidamente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio
netto ad essa assegnato rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società
cui fanno carico "(art. 2506-quater, 3 comma).
Tutte le altre società coinvolte nella scissione sono garanti in via sussidiaria di quella cui il
debito è stato trasferito, sia pure nei limiti specificati dalla norma.

CAPITOLO 21: LE SOCIETÀ EUROPEE.


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Dall’armonizzazione dei diritti societari al diritto societario sovranazionale.

La società europea è un nuovo tipo societario predisposto dall’Unione Europea, insieme alla
società cooperativa europea.
La disciplina base della s.e. è dettata dal regolamento comunitario 8-10-2001 n. 2157,
direttamente applicabile in tutti gli stati membri.
Per le materie non dettate dal regolamento comunitario si fa riferimento alle disposizioni di
ciascun stato ed, in mancanza, delle norme in tema di spa.
La s.e. con sede in Italia è disciplinata dalle norme del regolamento comunitario 8-10-2001
n. 2157, dal d.lgs. n. 188/2005 in materia di lavoratori, dalle norme in tema di spa e dallo
statuto della società.
Tramite la costituzione di una s.e., società di capitali di paesi diversi possono dare vita ad
una impresa di dimensioni comunitarie.
Caratteristica della s.e. è la facilità di trasferimento della sede da uno stato all’altro, senza
bisogno di liquidare la società nel paese di costituzione e poi ricostituirla nel nuovo stato.

La società europea.

La costituzione.

La s.e. è una spa, dotata di personalità giuridica e autonomia patrimoniale.


Il capitale minimo è come per le spa in Italia di 120.000 euro.
La s.e. può essere costituita solo in 5 casi, tassativamente previsti dal legislatore comunitario:
- quando si fondano spa soggette alla legge di stati diversi. È consentita sia la fusione per
incorporazione che la fusione con costituzione di una nuova società. Nella fase
preliminare della fusione ciascuna società partecipante deve osservare la disciplina in
materia dello stato di appartenenza; l’atto di fusione, invece, è stipulato in base alla legge
dello stato in cui la s.e. avrà sede. Il regolamento, tuttavia, fissa alcune regole comuni:
individua il contenuto del progetto di fusione; richiede la relazione sulla congruità del
rapporto di cambio da parte di un esperto; richiede una certificazione redatta da un
organo giurisdizionale o un notaio che attesti il regolare adempimento in ciascun stato
interessato dagli atti e delle formalità preliminari alla fusione.
- quando due o più spa o srl promuovono la costituzione di una s.e. holding al fine di
sottoporsi ad una direzione unitaria. È però necessario che almeno due società promotrici
appartengono a stati diversi.
- quando due o più enti, anche non società, di stati diversi costituiscono una s.e. affiliata,
cioè controllata in comune.
- quando una s.e. affiliata viene costituita per atto unilaterale da parte di un’altra s.e.
- quando nasce dalla trasformazione di una spa costituita secondo le leggi di uno stato
membro, purché quest’ultima controlli da almeno due anni una società soggetta alla legge
di un altro ordinamento
comunitario.
Il procedimento si conclude con l’iscrizione della società in un registro, che per le s.e. con
sede in Italia è il registro delle imprese.
L’iscrizione determina l’acquisto della personalità giuridica da parte della società.
Per le operazioni compiute prima dell’iscrizione a nome della società ne rispondono
solidalmente ed illimitatamente coloro che le hanno poste in essere, salvo patto contrario.
Il regolamento non prevede nulla in merito ai conferimenti, quindi sono disciplinati dagli
ordinamento comunitari.

L’assemblea.
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La struttura interna della s.e. si caratterizza per la necessaria presenza dell’assemblea dei
soci. L’amministrazione può essere organizzata secondo il sistema dualistico o il sistema
monistico.
Il sistema dualistico prevede la presenza di un organo di direzione, che esercita le funzioni
gestorie e un organo di vigilanza che esercita il controllo.
Il sistema monistico prevede solo l’organo di amministrazione.
Competenze, organizzazione, svolgimento e procedure di voto sono regolate dalle norme in
tema di spa dello stato in cui la s.e. ha sede, salvo poche regole previste dal regolamento
comunitario. Quest’ultimo prevede che l’assemblea deve tenersi almeno una volta l’anno
entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio.
La legge nazionale stabilisce a chi spetta convocare l’assemblea, ma il regolamento stabilisce
che l’organo di direzione e di vigilanza o il solo organo di amministrazione possono
convocarla in qualsiasi momento. Riconosce il diritto di convocare l’assemblea o di integrare
l’o.d.g. agli azionisti che rappresentino almeno il 10% del capitale.
Le deliberazioni vengono prese a maggioranza semplice, ma per le modificazioni dello
statuto è necessaria la maggioranza di almeno i due terzi dei voti.

La gestione.

Il sistema dualistico prevede la presenza di un organo di vigilanza e di un organo di


direzione.
I componenti dell’organo di vigilanza sono nominati dall’assemblea generale.
Una parte di essa però può essere nominata dai lavoratori della società, se lo prevedono gli
accordi per il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione.
L’organo di vigilanza esercita il controllo sulla gestione.
A tal fine viene informato almeno ogni tre mesi dall’organo di direzione sull’andamento
degli affari sociali e sugli avvenimenti che possono avere ripercussioni sulla situazione della
s.e.
L’organo di direzione gestisce la società sotto la propria responsabilità. Tuttavia lo statuto può
prevedere che alcune operazioni debbano essere preventivamente autorizzata dall’organo di
vigilanza.
I componenti dell’organo di direzione sono nominati e revocati dall’organo di vigilanza.
Tuttavia la legge dello stato in cui ha sede la s.e. può consentire tale competenza
all’assemblea.
Il sistema monistico prevede solo un organo di amministrazione a cui è attribuita la gestione
della s.e. I suoi componenti sono nominati e revocati dall’assemblea.
Il regolamento non impone la costituzione di un comitato per il controllo della gestione in
caso di sistema monistico.
Ma in Italia sarà necessario costituirlo.
I componenti degli organi restano in carica per il periodo stabilito dallo statuto della s.e. che
non può superare i 6 anni e sono rieleggibili.
Non possono essere nominati i soggetti che la legge dello stato della sede considera non
eleggibili per il corrispondente organo di una spa.
La responsabilità dei componenti gli organi è disciplinata dalle corrispondenti disposizioni in
tema di spa dello stato in cui ha sede la s.e.
La disciplina delle spa è richiamata anche in materia di bilanci, per la sua redazione,
controllo e pubblicità.

Il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione.

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La società europea si caratterizza per la necessaria presenza di forme di coinvolgimento dei


lavoratori nella gestione.
L'obiettivo principale di tale disciplina È impedire che il nuovo tipo societario venga
utilizzato per eludere I diritti di partecipazione alla gestione dell'impresa.
Il coinvolgimento dei lavoratori può essere attuato in forme molto diverse: consultare ed
informare periodicamente un organo di rappresentanza dei dipendenti; arrivare al
riconoscimento del potere di nomina da parte dei lavoratori di alcuni componenti degli
organi di gestione o di controllo della società.
È prevista la costituzione di un organo di rappresentanza dei lavoratori, il quale ha diritto di
essere informato È consultato almeno una volta l'anno.

La società cooperativa europea.

Costituzione.

È una società cooperativa dotata di personalità giuridica, in cui soci rispondono


limitatamente o illimitatamente secondo quanto previsto dallo statuto.
L'oggetto principale deve consistere nel soddisfacimento dei bisogni o promozione delle
attività economiche e sociali dei propri soci.
Devono partecipare alla costituzione della società cooperativa europea almeno cinque soci,
quali devono avere un legame con almeno due ordinamenti nazionali diversi.
Il capitale sottoscritto non può essere inferiore a € 3000.
La costituzione termina con l'iscrizione della società nel registro delle imprese.

Le partecipazioni sociali.

Le partecipazioni sociali dei soci nella società cooperativa europea sono presentate da quote
nominative.
Le quote devono avere tutte lo stesso valore nominale ed attribuire gli stessi diritti.

Gli organi.

La società cooperativa europea può essere organizzata secondo il modello dualistico oppure
monistico.
Ad ogni socio È attribuito il voto detto capitario.
L'assemblea deve riunirsi almeno una volta l'anno, entro sei mesi dalla chiusura
dell'esercizio, per l'approvazione del bilancio E la destinazione degli utili. Il quorum
assembleari sono fissati dallo statuto.

Destinazione degli utili. Scioglimento.

La cooperativa europea può attribuire ristorni ai propri soci in proporzione degli scambi
mutualistici realizzati con ciascuno.
Gli utili vengono accantonati del 30% a riserva legale ed 3% ai fondi mutualistici per la
promozione E lo sviluppo della cooperazione.
La società Deve essere posta in liquidazione quanto risulta costituita in violazione della
legge.

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