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LA GESTIONE DELL'IMPRESA

- Tra teoria e pratica aziendale


(Riassunto S. Sciarelli).
Economia e Gestione Delle Imprese
Università degli Studi di Napoli Federico II (UNINA)
21 pag.

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LA GESTIONE DELL’IMPRESA
Parte 1

CAPITOLO 1 - L’IMPRESA E IL SUO RUOLO ECONOMICO E SOCIALE

DEFINIZIONE D’IMPRESA E REQUISITI COMUNI

Un’impresa anche se caratterizzata da strutture e comportamenti differenti in funzione degli obiettivi da


raggiungere, è contraddistinta da requisiti comuni a tutte le imprese:

 contenuto economico dell’attività e degli obiettivi prefissati


 lo svolgimento dei processi di produzione tramite l’impiego di un complesso di risorse dal
quale crea ricchezza
 le relazioni di scambio con entità esterne con lo scopo di far scaturire dallo scambio un utile
o un reddito
 conseguimento di un reddito: divario positivo tra il ricavo ottenuto dei beni ceduti e il costo
delle risorse impiegate nella produzione (per soddisfare chi ha investito i suoi capitali in
un’attività e per potersi sviluppare in conformità dell’evoluzione del mercato in cui opera).

Sulla base di questi requisiti si può definire l’impresa come: “l’organizzazione economica che, mediante
l’impiego di un complesso differenziato di risorse, svolge processi di acquisizione e di produzione di beni e
servizi, da scambiare con entità esterne al fine di conseguire un reddito e soddisfare i bisogni umani“.

L’IMPRESA COME SISTEMA

L’impresa possiede un carattere sistemico, la cui caratteristica principale è quella di essere costituito da un
complesso interrelate di parti, le quali sono interdipendenti rispetto a un obiettivo comune.

Inoltre i sistemi di carattere economico e sociale operano in relazione con un ambiente esterno: da questa
relazione deriva la caratteristica di dinamismo causata dal rapporto con una realtà in continuo
cambiamento —> un sistema si può definire come “ un complesso interrelato di parti per il raggiungimento
di un fine comune che opera in relazione con un ambiente esterno ed è quindi dinamico”.

L’impresa può essere classificata come un sistema sociale, economico, dinamico e aperto:

• sociale: costituita da un insieme di parti/ organi tra loro legati da relazioni di interdipendenza

• dinamico: muta nella dimensione e nella combinazione delle sue risorse

• aperto: per funzionare deve intrattenere relazioni di scambio (input: approvvigionamento di risorse;
output: cessione del prodotto) con altri sistemi o entità esterne.

CONCEZIONI D’IMPRESA

L’impresa come sistema non è assimilabile ad altri tipi di sistemi. Infatti:

— L’impresa quale sistema meccanico: caratterizzata da un automatismo di funzionamento, non


corrisponde alla concezione di organismo operante in relazione con altri sistemi esterni.

— L’impresa quale sistema biologico: paragonabile ad un organismo vivente, a sua differenza


l’impresa è destinato a perdurare nel tempo anche oltre la vita del suo fondatore.

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— L’impresa quale sistema cognitivo: intesa come sistema di conoscenze atto a produrre nuove
conoscenze, non deve essere estremizzata nel senso di poter sostenere il concetto di impresa virtuale priva
di qualsiasi materialità. L’impresa infatti è definibile come un sistema complesso in cui si intrecciano
elementi tangibili ed intangibili, mezzi tecnici e intelligenze secondo un disegno finalizzato alla produzione e
diffusione di valore.

LA VISIONE SOCIALE DELL’IMPRESA

Il concetto economico di impresa non può essere separato da quello sociale: le imprese sono rette da
uomini che operano per soddisfare i bisogni umani e partecipano alla vita dell’ambiente circostante. La sua
funzione quindi deve estendersi al miglioramento della qualità della vita nel contesto in cui opera —>
responsabilità sociale aziendale (corporate social responsability).

L’impresa va considerata come un’istituzione a finalità plurime, il cui compito è di creare valore in senso
ampio: non solo economico ma anche valore sociale.

FUNZIONI DELL’IMPRESA

L’impresa rappresenta una realtà complessa intorno alla quale si sviluppa una rete di rapporti non solo di
scambio, ma anche di collaborazione, di informazioni, di interessi.

Essa presenta tre profili di maggiore rilievo, a ciascuno dei quali si collega un diverso ruolo:

- in quanto organizzazione economica svolge la funzione economico-generale che si concretizza nel


soddisfacimento dei bisogni umani mediante risorse scarse (presenti in natura in misura limitata).

- in quanto sistema sociale adempie la funzione sociale: è uno strumento per distribuire la ricchezza
creata per il soddisfacimento delle necessità soprattutto di che opera al suo interno.

- in quanto struttura patrimoniale, ossia quale complesso di beni organizzato per lo svolgimento di
processi produttivi, svolge la funzione di produzione di reddito.

Tutte queste funzioni sono complementari tra loro: ciascuna è essenziale per la realizzazione delle altre.

AMBIENTALISMO E SOSTENIBILITÀ

Parlando di ambiente viene alla mente quello fisico o naturale (l’insieme di condizioni fisico-chimiche e
biologiche che permettono la vita). Negli ultimi tempi si sono evidenziati i numerosi problemi ambientali
causati dall’inquinamento, i quali spesso sono responsabilità diretta dell’attività di impresa: per finalità
economiche ha depurato le risorse naturali, e la velocità con cui consumiamo queste ultime e così veloce da
non permettere al pianeta di rigenerarle —> si parla di ambientalismo.

Il principio base della sostenibilità si chiama triple bottom line: un approccio basato su tre linee
fondamentali

- sostenibilità economica: capacità delle imprese di creare ricchezza corrente e futura per sè e per
l’ambiente.

- sostenibilità sociale: capacità dell’impresa di garantire condizioni sociali giuste a coloro che
interagiscono con l’impresa

- sostenibilità ambientale: attenzione all’equilibrio ecologico

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CAPITOLO 2 - I RAPPORTI TRA IMPRESA E L’AMBIENTE SOCIO-ECONOMICO

AMBIENTE QUALE CONTESTO GENERALE

L’impresa, quale cellula fondamentale del sistema economico e produttivo, vive all’interno di un ambiente
più vasto con il quale scambia risorse e crea ricchezza. Quest’ambiente può convenzionalmente scomporsi
in:

 MACRO AMBIENTE: dal quale derivano vincoli e condizioni entro cui si possono verificare gli
scambi.

L’ambiente viene considerato non in senso biologico o naturale, ma sotto il profilo economico-sociale —>
ambiente definito come: “il contesto socio economico all’interno del quale l’impresa è chiamata a svolgere
le sue funzioni”.

Tale contesto è regolato da una serie di condizioni politiche, legislative, sociali, culturali ed economiche che
determinano il sistema di vincoli-opportunità entro il quale dovrà sviluppare l’attività aziendale.

L’ambiente può essere scomposto in quattro sub sistemi generali:

— ambiente politico-istituzionale: rappresentato dalla forma di governo e dall’ordinamento legislativo


prevalenti nel territorio considerato. Esso esercita un’influenza sulla vita dell’impresa, il cui ruolo e
alternative di gestione possono essere vincolate dalle leggi, dagli interventi e dei controlli dei poteri
pubblici.

— ambiente culturale-tecnologico: contesto in cui si affermano le manifestazioni della vita materiale,


sociale e spirituale di un popolo. La cultura influenza sia coloro che operano nell’impresa sia i gruppi
esterni, e si riflette sul consumo.

— ambiente demografico-sociale: definito dalla struttura della popolazione residente e dalle relazioni
fra gli individui che la compongono. La ripartizione per razza, religione, età, strato sociale costituiscono i
principali aspetti socio demografici dell’ambiente considerato.

— ambiente economico: caratterizzato dal complesso delle macro variabili che caratterizzano un certo
ambiente territoriale.

Può differenziarsi sotto molteplici profili, tra i quali i più importanti sono il meccanismo di regolazione della
vita economica e la proprietà dei mezzi di produzione. In relazione al primo si distingue fra le forme
dell’economia di mercato e di piano, in relazione al secondo si distingue tra economie liberiste e
collettiviste.

- Nelle economie di mercato prevale il principio della libera iniziativa e quello della proprietà privata
dei mezzi di produzione, per questo si parla di economie liberiste.

- Nelle economie di piano tutto regolato dal piano, anche l’uso dei mezzi di produzione che sono
prevalentemente di proprietà della collettività, per questo si parla di economia collettivista.

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 MICRO AMBIENTE: definito dei mercati con cui l’impresa attiva lo scambio delle risorse; può essere
suddiviso in:

• ambiente transazionale (scambi in entrata): ogni impresa avrà bisogno di attingere certe risorse
dall’esterno. La scelta di ricorrere al mercato dipenderà dalle comparazioni di convenienza tra il produrre
all’interno le risorse o il procedere al loro acquisto all’esterno.

Più tali decisioni saranno orientate per il fare (make) più la dipendenza dall’ambiente sarà minore; più si
ricorrerà al comprare (buy) chiusi più si amplierà l’ambiente transazionale.

• ambiente competitivo (scambi in uscita): dipende dalla scelta dei mercati di collocamento e dalle
specifiche porzioni di mercato cui cedere beni e servizi prodotti.

L’impresa per attingere alle risorse e per cedere i beni prodotti dovrà interagire con una pluralità di
stakeholder, che si raggrupperanno in categorie originando diversi MERCATI—> “si ha un mercato in tutti i
casi in cui vi siano due o più contraenti disposti a scambiare fra di loro i beni rispettivamente posseduti“.

- mercato del lavoro: costituito dalla domanda e dall’offerta di risorse umane/ forza lavoro

- mercato della produzione: composto dai produttori di materie prime, semilavorati, impianti e
macchinari e servizi utilizzabili per l’attività aziendale.

- mercato finanziario: rappresentato dal mercato mobiliare, degli intermediari finanziari e da altri
prestatori di capitale

- mercato di vendita: costituito dai potenziali acquirenti di beni o servizi prodotti

L’impresa non può scegliersi il macro ambiente mentre può definire confini del micro ambiente in cui
operare, per le imprese di grandi dimensioni invece anche il macro ambiente finisce per essere una
variabile più che un vincolo da rispettare (potere extra mercato).

RAPPORTI IMPRESA AMBIENTE

Nell’interpretazione del rapporto tra impresa e ambiente i principali fili conduttori sono:

- Il progresso tecnologico: influenza la struttura di un settore industriale e la posizione competitiva


dell’impresa

- L’equilibrio economico e politico a livello internazionale: incide sulla condizione e sull’evoluzione


del mondo della produzione del consumo

INTERNAZIONALIZZAZIONE E GLOBALIZZAZIONE

Nell’ultimo trentennio si è affermata l’internazionalizzazione —> lo sviluppo mondiale degli scambi, la


diffusione sul piano internazionale delle informazioni, l’interdipendenza delle economie di più paesi hanno
dato all’imprese un aspetto più internazionale.

La globalizzazione si riferisce invece ad un mercato senza confini geografici piuttosto che a un mercato
mondiale omogeneo.

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CAPITOLO 3 – PROTAGONISTI NELLA VITA DELL’IMPRESA (LA TEORIA DEGLI STAKEHOLDER)

IMPRENDITORE E MANAGER

Nell’impresa la figura centrale è quella dell’Imprenditore, che può essere definito come:“Il soggetto
economico che decide di rischiare i propri capitali e di dedicare le sue capacità professionali alla produzione
di beni o servizi da cedere a terzi.”

Joseph Schumpeter, nella “Teoria dello sviluppo economico”, individua le qualità che l’imprenditore deve
possedere in modo superiore:

- La capacità di previsione (“vision”), razionalità consapevole, intuito;


- Lo spirito d’iniziativa, forte volontà, libertà intellettuale;
- L’autorevolezza e capacità di leadership nei confronti dei collaboratori

Si differenzia dal Manager, che non si assume il rischio d’impresa, ma pone in essere le decisioni prese
dall’imprenditore ed è definito come: “Il soggetto che organizza e disciplina l’uso delle risorse aziendali
dando attuazione alle decisioni imprenditoriali.”

Pertanto, la dottrina anglosassone distingue la funzione imprenditoriale (entrepreneural role) alla quale è
attribuito il fine di creare valore, dalla funzione amministrativa (administrative role) alla quale è attribuito il
fine di razionalizzare l’utilizzo delle risorse ed evitare le inefficienze.

Alle figure d’imprenditore e manager sono riconducibili due definizioni importanti:

“L’imprenditorialità è l’attitudine ad assumere decisioni rischiose finalizzate all’innovazione dei


comportamenti aziendali.”

“La managerialità è la capacità di sviluppare le decisioni imprenditoriali e attuarle in modo razionale,


evitando le inefficienze (perdite).”

La complementarità di questi ruoli, che spesso si combinano nello stesso soggetto, appare evidente, perché
il successo di un’impresa è sempre il risultato della combinazione di efficacia (bontà delle decisioni) ed
efficienza (rendimento dell’uso delle risorse). Da ciò deriva che:

 L’efficacia è il valore proprio dell’imprenditorialità, intesa quale intuizione decisionale di chi


governa a livello più elevato il sistema aziendale.
 L’efficienza è il valore proprio della managerialità, intesa quale attitudine a realizzare il
massimo rendimento nell’attuazione delle scelte aziendali.

LE DECISIONI E GLI ORGANI DELL’IMPRESA

L’attività decisoria è posta in essere nell’azienda con il concorso di tutti i componenti dell’organismo
personale. Gli organi aziendali possono essere classificati considerando la predominanza delle funzioni e
degli atti esercitati nel corso dell’attività esplicata. In tal senso si possono suddividere gli organi d’impresa
in:

o Organi deliberanti: si differenziano dagli organi operativi non soltanto per il predominare degli atti
di decisione rispetto agli atti di esecuzione nello svolgimento delle loro funzioni, ma anche e
soprattutto per il più ampio potere discrezionale esercitato nel compimento di tali atti. In una

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struttura societaria di grandi dimensioni si può suddividere in: organi di proprietà (azionisti), organi
di amministrazione e organi di direzione. L’esercizio dei poteri di governo dell’impresa richiede la
compresenza di più requisiti. Seppur necessaria, non è sufficiente solo l’autorità, intesa come il
potere riconosciuto nell’ambito della struttura, ma è fondamentale che ad essa si accompagnino
altri tre elementi: l’abilità professionale, la disponibilità delle informazioni e la capacità di controllo
delle decisioni assunte.
o Organi di controllo: spesso coincidono con gli organi deliberanti, sono coloro che hanno il compito
di verificare l’effettiva realizzazione delle direttive degli organi deliberanti.
o Organi esecutivi: sono tutte quelle persone (operai, impiegati) che svolgono nell'azienda un'attività
materiale o intellettuale, obbedendo a ordini che ricevono da organi superiori. Esercitano
prevalentemente compiti esecutivi ed hanno un potere discrezionale limitato all’attuazione di
specifici compiti.

TEORIA DELL’AGENZIA

Con la dissociazione tra proprietà e governo dell’impresa, prende forma la cosiddetta Teoria dell’agenzia.
Tale teoria si riferisce alla situazione in cui il potere di amministrazione è esercitato da un Manager (agent)
su mandato ricevuto dalla proprietà (principal). Per effetto del mandato fiduciario, in base al quale un
delegato amministra per conto del delegante, si viene così a creare una relazione singolare che tende a
ridurre se non annullare il carattere residuale (e, quindi, in un certo senso il rischio) della remunerazione
della proprietà. Quest’ultima, infatti, incentiverà l’agente a massimizzare la ricompensa per la proprietà
sotto forma di dividendi azionari e valorizzazione della quotazione delle azioni, pena l’uscita dalla società
(disinvestimento) o la rimozione dell’agente dal suo incarico (risoluzione del mandato fiduciario).

TEORIA DEGLI STAKEHOLDER

L’individuazione dei protagonisti della vita dell’impresa può essere estesa dagli organi facenti parte della
sua struttura a quelli esterni nei confronti dei quali, durante la gestione, si sviluppano relazioni d’interesse e
d’influenza.

L’impresa si pone al centro di una serie di rapporti bilaterali con differenti gruppi sociali, rispetto ai quali
attiva relazioni di scambio d’informazione e di rappresentanza. Questi gruppi finiscono per costituire dei
veri e propri interlocutori dell’impresa o portatori d’interessi (detti anche stakeholder), che influenzano e
sono influenzati dall’impresa stessa.

Il concetto di stakeholder, originariamente ristretto solo a coloro che avevano interessi diretti nella vita
dell’impresa, si è ampliato per ricomprendere anche coloro che sono in grado di esercitare un’influenza
sulle decisioni aziendali o, che pur non partecipando alla sua vita possono essere influenzati da esse.
Pertanto, si differenziano:

1. Stakeholder primari: destinati ad esercitare una pressione più diretta e immediata sulla gestione
aziendale. Nello specifico, sono coloro che si collegano con l’impresa mediante contratti e che,
quindi sono interessati alla conclusione e al rispetto dei contratti stessi, dai quali deriva ovviamente
il raggiungimento di un loro specifico interesse (es. lavoratori, fornitori, finanziatori, ecc.).
2. Stakeholder secondari: in grado di influenzare i comportamenti di lungo termine potendo incidere
soprattutto sul clima sociale delle relazioni individuali. In sintesi sono coloro che costituiscono dei
centri di pressione di cui chi governa l’impresa non può non tenerne conto (es. istituzioni,
ambientalisti, associazioni di consumatori, ecc.).

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INDIVIDUAZIONE E CLASSIFICAZIONE DEGLI STAKEHOLDERS

Non in tutte le imprese la composizione e il ruolo degli stakeholder assumono identiche caratteristiche,
infatti, in relazione alle caratteristiche dell’impresa alcuni interlocutori possono rivestire una maggiore o
minore rilevanza e richiedere, quindi, una diversa cura da parte degli organi di governo aziendale.

L’individuazione degli stakeholder e, soprattutto, la valutazione del grado d’importanza e d’influenza


esercitabile sulla gestione d’impresa può essere guidata da alcuni criteri:

 La forza: ovvero il potere da essi detenuto in virtù del ruolo ricoperto nella società (es. il
peso esercitato dagli ambientalisti sulle condizioni di svolgimento dell’attività industriale);
 La legittimazione: ossia il riconoscimento ufficiale della loro funzione di rappresentanza di
particolari interessi o soggetti economici, sociali e politici;
 L’attualità dell’interesse difeso: ovvero l’urgenza della risposta da parte dell’impresa e la
criticità che tale risposta assume nel particolare momento di vita dell’impresa.

Di fatto la classificazione degli stakeholder è continuamente mutevole perché, di tempo in tempo, possono
variare l’attualità degli interessi, la forza dei singoli interlocutori e il loro grado di legittimazione.

Pertanto l’individuazione degli stakeholder compiuta in origine deve consentire di stabilire come gestire i
relativi rapporti, valutando se da ciascuno di essi potrà derivare un atteggiamento collaborativo oppure un
ostacolo, se non addirittura una minaccia. Sotto questo profilo gli interlocutori aziendali sono stati
classificati in quattro gruppi, nei confronti dei quali vengono perseguite differenti strategie:

- Stakeholder amichevoli (supportive), dai quali si può ottenere un sostegno decisivo per l’attività
d’impresa e verso i quali s’intraprende una strategia di coinvolgimento.
- Stakeholder avversari (non supportive), dai quali potrebbero generarsi difficoltà sostanziali per
l’attività aziendale e verso i quali si adotta una strategia di difesa.
- Stakeholder non orientati (mixed blessing), da cui si potrà avere, a seconda delle circostanze, un
sostegno o un atteggiamento negativo e verso i quali si persegue una strategia di collaborazione.
- Stakeholder marginali, il cui peso nei confronti dell’impresa nel particolare momento risulterà del
tutto modesto e che comporterà una strategia di monitoraggio.

Nella teoria degli stakeholder, il ruolo della proprietà rappresenta un punto problematico. Sostanzialmente
e in modo sintetico, si delineano due principali casi:

 Coincidenza tra proprietà e governo dell’impresa: la proprietà in questo caso non figura tra gli
stakeholder dato che è la stessa proprietà/governo (imprenditore) a curare i rapporti con gli
stakeholder.
 Dissociazione tra proprietà e governo: in questo caso invece la proprietà è ricompresa tra gli
stakeholder perché costituisce uno degli interlocutori primari del management stesso.

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CAPITOLO 4 - LE FINALITÀ IMPRENDITORIALI

LE FINALITÀ DEI COMPORTAMENTI AZIENDALI

L’impresa, quale entità economica e sociale, non ha delle finalità da raggiungere, ma delle funzioni da
svolgere —> vi è una distinzione tra l’azienda come fatto oggettivo (come una realtà costituita da un
insieme di risorse o di potenzialità), e la stessa azienda vista come fatto soggettivo, (come emanazione e
strumento di una capacità imprenditoriale finalizzata verso certi risultati).

Il problema dei fini investe gli individui che agiscono nell’impresa, in particolare coloro che ne detengono la
proprietà e il governo.

IL CONCETTO DI PROFITTO

Per comprendere le modalità di gestione dell’impresa, è necessario analizzare l’intreccio d’interessi e di


motivazioni che si sviluppa all’interno ed intorno ad essa.

L’imprenditore dovrebbe essere interessato al profitto, i dirigenti e i lavoratori alla retribuzioni e alla
progressione di carriera, i fornitori a trarre maggiore vantaggio dalle relazioni commerciali, i finanziatori a
tessere rapporti continuativi.

Esistono quattro concezioni di profitto:

- Compenso che spetta all’imprenditore per l’organizzazione dei fattori produttivi

- Quota destinata a ripagare il rischio corso nell’attività aziendale

- Premio che spetta a colui che promuove l’innovazione (Schumpeter)

- Risultato dell’acquisizione di posizioni monopolistiche rispetto agli altri produttori

Queste visioni risultano complementari: “Il profitto è un’entità composita, in cui rientrano il compenso per
il lavoro imprenditoriale, il premio per il rischio, la contropartita dell’innovazione e la rendita connessa con
la posizione monopolistica.”

LE TEORIE CLASSICHE SULLE FINALITÀ IMPRENDITORIALI

LA TEORIA DELLA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO

Secondo la costruzione teorica classica, i comportamenti del gruppo imprenditoriale sarebbero orientati al
conseguimento del maggiore divario positivo tra i ricavi e i costi di gestione.

La logica delle scelte sarebbe quella di massimizzare il risultato reddituale ottenibile dall’attività d’impresa,
cioè di adottare tra le alternative disponibili quella suscettibile di produrre il maggior reddito.

Tale teoria appare in linea con i principi che guidano le scelte d’investimento, ma sul piano pratico
s’incontrano una serie di limiti: per conferire un valore operativo alla teoria è necessario introdurre il
fattore tempo (time-preference) e il fattore rischiosità (uncertainty conditions):

- Fattore tempo: l’imprenditore tende a massimizzare il risultato nel lungo termine, non il risultato di
una certa operazione o di quelle condotte in un determinato periodo. Sotto questo profilo si può,
ad esempio, giustificare una politica di vendita dei beni/ servizi prodotti a prezzo di costo o inferiori

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al costo, intesa a far conquistare un’ampia porzione di mercato e far recuperare successivamente le
quote di reddito sacrificate.
- Fattore rischio: l’imprenditore tende a condizionare le sue aspirazioni reddituali ad un determinato
grado di rischiosità della gestione. Sotto questo profilo, l’espansione in altri settori produttivi o in
mercati esteri potrebbe, ad esempio, rispondere non tanto al fine di massimizzare il profitto,
quanto a quello di diversificare e compensare i rischi di gestione.

TEORIA DELLO SVILUPPO E DELLA SOPRAVVIVENZA AZIENDALE

Secondo questa teoria il fine del gruppo imprenditoriale è quello di garantire la continuità dell’organismo
aziendale. Ciò significa puntare al profitto per irrobustire la struttura patrimoniale dell’impresa e rifiutare
attività che possano porre in pericolo la vita dell’organizzazione.

Drucker (uno dei maggiori sostenitori di questa teoria) ha proposto di misurare il raggiungimento di tale
finalità sulla base di obiettivi legati a quattro aspetti:

- Posizione occupata nel mercato —> alla posizione occupata nel mercato cioè al rapporto di forza o
debolezza nei confronti della concorrenza.

- Innovazioni —> alla capacità di adeguare le tecnologie utilizzate e i prodotti realizzati.

- Risorse umane e finanziarie —> alla professionalità del personale e alla disponibilità di mezzi da
impiegare nel finanziamento degli investimenti e del capitale circolante

- Redditività dell’impresa —> in quanto fonte dello sviluppo e dell’incremento di patrimonialità


dell’impresa.

TEORIA DELLA CREAZIONE E DIFFUSIONE DI VALORE

La finalità della creazione del valore risponde agli obiettivi di tutti i partecipanti all’impresa e non soltanto a
quelli dell’imprenditore e/o del manager. Tale teoria sostiene infatti che la finalità da assegnare alla
gestione è quella di far crescere il valore economico dell’impresa: la visione dei risultati aziendali è
orientata al futuro (ciò che conta non è il profitto ma le potenzialità di produrre risultati sempre migliori).

Nella pratica nordamericana tale teoria si può definire di creazione del valore azionario e si collega al
concetto patrimoniale dell’impresa vista come un valore reale (rappresentato dalla capitalizzazione in base
al corso dell’azione) piuttosto che come fonte di un futuro valore reddituale —> la strategia del valore
tenderebbe a guidare l’opera dell’imprenditore e/o del manager, inducendolo a preferire le scelte tese a
massimizzare il valore del capitale azionario, perché in tal modo l’impresa diventerebbe più appetibile, più
affidabile e assicurerebbe migliori retribuzioni.

Nel caso invece di imprenditori-proprietari dell’impresa e di imprese non quotate in Borsa, l’interesse sarà
quello della redditività di lungo termine e non la massimizzazione dei vantaggi per gli azionisti.
L’imprenditore-gestore sceglierà quindi la condotta che consentirà di massimizzare le potenzialità reddituali
dell’impresa.

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TEORIA MANAGERIALE DELLO SVILUPPO DIMENSIONALE

Secondo tale teoria, i manager sono interessati all’espansione dell’impresa perché si ottiene: un
irrobustimento dell’organizzazione (garanzia di sopravvivenza); assunzione di una maggiore forza nei
confronti della concorrenza (garanzia di redditività aziendale); incremento delle retribuzioni ai livelli più
elevati di direzione.

Secondo la tesi di Baumol, i comportamenti imprenditoriali sono tesi all’ampliamento del volume d’affari
rispetto a quello dei profitti globali: al posto della crescita del profitto si è sostituita quella del fatturato
quale obiettivo della conduzione aziendale.

La sua ipotesi è che gli oligopolisti cercano di massimizzare il volume della vendita con il vincolo di un livello
minimo di profitto: le imprese mirano a realizzare il flusso di profitti che consente di finanziare il massimo
sviluppo delle vendite nel lungo periodo.

Secondo Baumol, massimizzare le vendite significa massimizzare il fatturato e non necessariamente la


quantità fisica del venduto: l’obiettivo da raggiungere è nella ricerca della combinazione, tra quantità da
vendere e prezzi di vendita, che massimizzi il volume d’affari dell’impresa.

TEORIA DEI LIMITI SOCIALI ALLA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO (o teoria comportamentistica)

Ogni impresa è caratterizzata da situazioni di conflitto di interessi che possono essere sia esterni (es.
riguardano le politiche concorrenziali nei confronti di altri produttori, i prezzi e le condizioni d’acquisto
rispetto ai fornitori, il costo del denaro rispetto ai finanziatori etc), che interni (es. riguardano la modalità di
distribuzione dei ricavi e quelle di prestazione del lavoro).

In linea generale i conflitti esterni sono più facilmente risolvibili rispetto quelli interni.

La contrapposizione d’interessi può essere interpretata in termini di costi e di ricavi —> analizzando
l’equazione del profitto e rilevando quali sono i condizionamenti sociali che si oppongono all’ottenimento,
da parte dell’imprenditore, del massimo reddito: l’imprenditore per massimizzare il profitto può ampliare i
ricavi e/o ridurre i costi, in modo da far accrescere il reddito.

—Per aumentare i ricavi ha due possibilità: aumentare il prezzo o la quantità venduta.

Tuttavia un rialzo del prezzo non verrà accettato dai compratori: diviene controproducente.

Lo stesso discorso può essere fatto per quanto riguarda l’aumento della domanda: se l’impresa si trova ad
operare in un mercato dove la domanda è stabile, per poter ampliare la domanda dovrà erodere la quota di
mercato dei concorrenti, i quali porranno in essere delle azioni che contrastino la strategia del rivale.

—Per ridurre i costi può: abbassare il costo unitario di produzione o impiegare una minore quantità di
risorse. Nel primo caso troverà l’opposizione dei gruppi sociali come i lavoratori, i fornitori, i distributori
ecc. che si vedrebbero ridurre la remunerazione del lavoro, ridurre i prezzi pagati ai fornitori, ecc. Lo stesso
ragionamento deve essere fatto per la riduzione della quantità di risorse.

Quali opportunità ha l’impresa per raggiungere la sua finalità senza scaturire conflitti:

Solo mediante l’innovazione l’imprenditore può aspirare a migliorare/ difendere la propria posizione
reddituale.

I costi dell’innovazione (ovvero i costi di ricerca e sviluppo) sono relativi all’individuazione di nuove
opportunità tecnologiche o di mercato, alla creazione dell’immagine, all’avviamento commerciale. In
corrispondenza di questi costi non vi è un particolare gruppo sociale: sono comprimibili con minore

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difficoltà. Perciò accade che nei periodi di crisi sono gli unici costi (insieme con quelli di pubblicità) ad
essere tagliati.

Questa teoria pone in rilievo come la massimizzazione del profitto incontra due serie di vincoli: i primi sono
sociali, i secondi sono i limiti di conoscenze in ordine all’evoluzione dell’ambiente e dei mercati. Secondo la
teoria di Simon, l’imprenditore tenderebbe a un profitto soddisfacente più che massimo.

“Il reddito è un risultato che deriva da accordi di cooperazione o dalla composizione di conflitti interni ed
esterni e che la sua misura non è mai liberamente determinabile dall’imprenditore. Il fine del massimo
profitto diviene, così, il fine del massimo profilo condizionato.”

TEORIA DEL SUCCESSO SOCIALE

Le finalità che spingono un individuo a promuovere la costituzione di un’impresa possono essere comprese
richiamando la scala dei bisogni di Maslow: le finalità dell’imprenditore appaiono, in ordine crescente
d’importanza:

1. assicurare la sopravvivenza dell’impresa (mediante il perseguimento dell’equilibrio tra costi e ricavi)

2. affermarsi nell’ambito della classe sociale di appartenenza

3. assumere posizioni di preminenza nella comunità

L’imprenditore integra parte di sé nell’impresa e il suo obiettivo fondamentale è quello di avere un’impresa
forte, in grado di svilupparsi e di assicurargli ammirazione

Si possono allora individuare le finalità imprenditoriali in funzione di una combinazione costituita dal
conseguimento del profitto, del potere e del prestigio (teoria delle 3P):

• Il prestigio (leadership sociale): l’assumere posizioni di preminenza nella collettività, è il traguardo con più
valore.

• Il potere di mercato (leadership competitiva): l’affermarsi nella classe sociale di appartenenza all’impresa
di svilupparsi rispetto alla concorrenza.

• Il profitto: assicurerebbe la sopravvivenza dell’impresa mediante l’equilibrio tra costi e ricavi.

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CAPITOLO 5 – L’ORIENTAMENTO STRATEGICO DELLA GESTIONE

IL CONCETTO DI STRATEGIA

Nonostante negli studi economico aziendali e di management si parli esplicitamente di strategia da una
quarantina d’anni, tale concetto non trova ancora condivisione né un’interpretazione univoca, sia perché il
termine strategia rappresenta comunemente l’espressione del particolare angolo visuale con cui le varie
scuole di pensiero analizzano il problema, sia perché il significato attribuito a tale concetto è stato
fortemente influenzato dall’evoluzione delle condizioni ambientali. Esistono, infatti, diverse concezioni di
strategia:

 Chandler (1962): “Definizione degli obiettivi di lungo termine, sviluppo delle attività e
allocazione delle risorse necessarie per raggiungere tali obiettivi.”
 Rumelt (1980): “Un insieme di politiche e piani che, presi nel loro insieme, definiscono gli
obiettivi di un’impresa e il suo approccio alla sopravvivenza e al successo.”
 Andrews (1980): “Il modello di decisioni con il quale un’impresa determina i propri
obiettivi, formula le politiche e i piani per raggiungerli, definisce in quali business operare,
quale organizzazione intende costruire, la natura dei vantaggi economici e non economici
che intende dare ai propri azionisti, ai collaboratori, ai clienti e alle comunità locali.”

Generalmente, si può dire che: “La strategia è la creazione e il mantenimento di un vantaggio competitivo
stabile e duraturo.”

La strategia definisce i rapporti con l’ambiente, cioè con il contesto generale entro cui opera l’impresa, ma
soprattutto risponde all’obiettivo più specifico di scegliere l’ambiente competitivo e transazionale di
riferimento dell’impresa.

Alcuni autori, allontanandosi dal concetto di strategia come insieme di decisioni, affermano la coincidenza
tra strategia e azione dell’impresa. Un Autore italiano che segue questa impostazione è Sergio Sciarelli
secondo il quale la strategia rappresenta «un comportamento imprenditoriale di tempo lungo finalizzato al
raggiungimento di obiettivi primari della gestione. In altri termini, la strategia è il mezzo per conseguire
traguardi di tempo non breve, definiti in funzione dell’evoluzione del rapporto tra l’impresa e l’ambiente
nel quale opera»

LA GESTIONE STRATEGICA

Non sempre le decisioni assunte a livello imprenditoriale danno corpo ad una strategia, intesa quale
comportamento innovativo rivolto al raggiungimento di obiettivi di tempo lungo. In altri termini, le
decisioni imprenditoriali potrebbero confermare il tipo di obiettivi e le politiche attuate in passato,
rispondendo quindi a una logica di ripetizione e di tempo breve. D’altro canto, durante la vita dell’impresa
non sempre viene definito un quadro di sviluppo a lungo termine. Non di rado, infatti, la gestione è
orientata su brevi periodi di tempo e si basa più sulla ripetizione di comportamenti abituali che
sull’innovazione. Ad ogni modo, l’impresa si troverà a dover affrontare l’evoluzione dell’ambiente esterno,
il quale potrà generare delle opportunità ma anche dei problemi che, se non avvertiti in modo tempestivo,
potranno tradursi ni vere e proprie “minacce” per la prosecuzione della gestione. In pratica, nei confronti
dell’ambiente esterno, l’imprenditore o il gruppo imprenditoriale può adottare:

- Atteggiamento d’attesa, operando in risposta al verificarsi di cambiamenti ambientali e adottando


cambiamenti per adeguarsi. L’impresa opera in modo ripetitivo.

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- Atteggiamento anticipatorio, operando in maniera anticipata rispetto ai cambiamenti previsti,
attuando uno sforzo costante di previsione per poter realizzare in modo anticipato e tempestivo gli
opportuni cambiamenti. L’impresa opera in modo difensivo.
- Atteggiamento proattivo, operando in modo da indurre dei cambiamenti nell’ambiente,
promuovendo azioni tese ad influenzare l’ambiente. L’impresa opera in modo innovativo.

GERARCHIA DELLE STRATEGIE DELL’IMPRESA

Le strategie aziendali si ordinano secondo una scala gerarchica, che vede al vertice le strategie complessive
(o corporate), al centro quelle competitive e alla base quelle funzionali.

Gli organi di governo devono scegliere i campi o le aree di affari in cui operare secondo una strategia
complessiva, che può essere di sviluppo o di mantenimento delle posizioni già conquistate, ma debbono
anche stabilire i comportamenti da assumere nei confronti della concorrenza in ciascuna delle aree di affari
prescelte. Le strategie competitive definiscono gli obiettivi e le politiche da adottare per fronteggiare la
concorrenza e acquisire la clientela, puntando sui vantaggi competitivi conseguibili. A livello sottostante si
pongono, poi, le strategie funzionali (strategie di produzione, di vendita, di finanza, ecc.), che debbono
essere strumentali rispetto alle strategie competitive prescelte. Per esse si potrebbe parlare di strategie
operative, visto che riguardano le modalità di attuazione delle funzioni di gestione.

Le tre principali domande della strategia sono:

1. Qual è la situazione attuale dell’impresa?


2. Verso quale direzione deve andare l’impresa?
3. Come fa ad andare nella direzione indicata?

La risposta dell’impresa alla domanda “come faccio ad andare in quella direzione?” è la strategia.

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CAPITOLO 6 – STRATEGIE COMPETITIVE

I PARADIGMA TEORICI PER LA DEFINIZIONE DELLA STRATEGIA COMPETITIVA

La decisione d’ingresso in un mercato (market entry) è legata allo studio delle sue caratteristiche e alla
possibilità di rimanervi e, con le risorse disponibili, poter competere efficacemente: vantaggio competitivo.

Nella determinazione delle scelte strategiche si deve tener conto di fattori legati all’ambiente esterno
(esogeni) e fattori collegati alle risorse che l’impresa possiede/ può acquisire (endogeni) —> il loro rapporto
nello sviluppo dell’impresa può esplicarsi nell’evoluzione dei paradigmi:

1. PARADIGMA STRUTTURALISTA (struttura-condotta-performance: S-C-P)

La struttura del mercato incide sul comportamento delle imprese e questo, a sua volta, determina il
risultato (performance) della gestione aziendale.

Il termine struttura fa riferimento alla struttura del settore (numero dei concorrenti, all’eterogeneità dei
prodotti, costi di entrata e di ingresso); la condotta si riferisce a specifiche azioni dell’impresa nel settore
(es. la differenziazione produttiva); la performance fa riferimento sia ai risultati raggiunti dalla singola
impresa, sia ai risultati conseguiti dall’economia nel suo complesso.

Si riallaccia con il modello della concorrenza allargata di porter.

2. PARADIGMA COMPORTAMENTISTA (condotta-struttura-performance: C-S-P)

L’impresa è vista come elemento che influenza l’ambiente: produce degli output che modificano il settore
in cui opera, e non come soggetto che deve adattarsi ad esso (il suo ruolo passa da passivo ad attivo) —> le
trasformazioni ambientali si determinano per effetto dei comportamenti innovativi promossi dalle imprese
(rapporto di dominanza).

3. PARADIGMA FONDATO SULLE RISORSE (risorse-condotta-performance: R-C-P)

Sono le risorse specifiche possedute dall’impresa che possono generare cambiamenti settoriali e che,
modificano le condizioni competitive, migliorando le probabilità di successo aziendale (vantaggio
competitivo).

L’impresa, con i suoi comportamenti innovativi che è in grado di attuare grazie alle risorse specifiche
possedute, sarebbe in grado di mutare l’assetto del settore a cui si rivolge migliorando le probabilità di
successo competitivo.

Questo paradigma collega la performance alla condotta, poiché l’impresa con le sue risorse è in grado di
ridurre l’influenza del settore sulle strategie, amplificando invece il peso dei fattori endogeni.

4. PARADIGMA FONDATO SULLA CONOSCENZA (conoscenza/ knowledge-capacità-performance: K-C-


P)

Sono le conoscenze (prodotto dall’interazione sociale) che si accumulano nell’impresa a produrre capacità
in grado di spirare condotte suscettibili di generare successo competitivo.

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Questo paradigma trae spunto dalla teoria di Nonaka sull’impresa che crea e utilizza conoscenza (impresa
come sistema cognitivo) e dalla considerazione che le capacità (in senso dinamico) sono in grado di ispirare
condotte atte a generare il successo competitivo.

MODELLO DELLA CONCORRENZA ALLARGATA

Il modello della concorrenza allargata o delle cinque forze elaborato da Porter è stato formulato sulla base
del paradigma strutturalista perché parte dall’analisi della struttura per delineare la strategia competitiva,
attraverso cui giungere al posizionamento di mercato. La scelta di un mercato deriva da:

- Posizione competitiva dell’impresa (vantaggio sulla concorrenza: capacità di ottenere un vantaggio


competitivo durevole).

- Attrattività (dalle tendenze espansive della domanda e dai margini lucrativi): valutabile analizzando
le cinque forze competitive: concorrenza reale, concorrenza potenziale diretta, concorrenza potenziale
indiretta, potere contrattuale dei clienti e dei fornitori.

Le cinque forze determinano l’intensità competitiva e condizionano le possibilità di ottenere profitto nel
medio/ lungo termine in un dato settore o mercato:

1. POTERE DEI FORNITORI

Mette in evidenza chi sono i principali fornitori e come possono influire sulla capacità competitiva
dell’impresa. La forza contrattuale del fornitore dipende da:

- Percentuale di acquisti presso un unico fornitore: se l’impresa ha un unico fornitore quest’ultimo


ha un potere elevatissimo

- Esistenza di prodotti sostitutivi: se il bene che il fornitore procura ha delle caratteristiche esclusive,
allora il potere contrattuale dello stesso sarà elevato

- Costi di sostituzione del fornitore: quanto maggiori sono le spese (es. risoluzione di contratti prima
del termine) in caso di interruzione dei rapporti maggiore sarà il suo potere contrattuale

- Possibilità di integrazione verticale: un fornitore di filati può decidere di produrre magliette e capi
d’abbigliamento, oppure può integrarsi con la distribuzione creando “a valle” un proprio canale
distributivo.

2. POTERE DEGLI ACQUIRENTI

Quando più è forte il potere di negoziazione dei compratori, tanto più debole è la posizione dell’impresa. I
compratori hanno un potere di negoziazione elevato alla presenza di:

- Dimensione degli acquisti (volume): pochi compratori acquistano una parte rilevante della
produzione dell’impresa

- Concentrazione della clientela (numero clienti): quanto più basso è il numero di clienti che
l’impresa, tanto maggiore sarà il loro potere contrattuale

- Integrazione verticale a monte: possibilità che ha un cliente di scegliere se comprare un dato


prodotto oppure se produrlo.

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3. MINACCIA POTENZIALI ENTRANTI

Quando una nuova impresa entra in un settore cambia il quadro competitivo: porta nuova capacità
operativa, e contende quote di mercato alle imprese esistenti. I nuovi entranti sono attratti da margini di
profitto elevati e barriere all’entrata basse (quanto più le barriere all’entrata saranno alte tanto più difficile
sarà entrare nel mercato e tanto più protette saranno le imprese presenti in esso).

4. MINACCIA PRODOTTI SOSTITUTIVI

La minaccia esiste se c’è un elevato grado di similitudine tra i prodotti e se i costi di riconversione (che il
consumatore dovrà sostenere nel passare da un prodotto all’altro)

5. INTENSITÀ DELLA CONCORRENZA

Fa riferimento al fatto che in alcuni settori la rivalità è molto forte, mentre in altri è bassa: l’intensità della
concorrenza agisce sui profitti medi di settore e sulle scelte strategiche. La rivalità dipende da una serie di
fattori:

- La concentrazione: numero di imprese in un mercato: è più intensa quando i concorrenti sono molti
e hanno capacità e dimensioni simili

- Diversità strutturale: quanto più le imprese si assomigliano tanto più difficile sarà sottrarsi alla
concorrenza basata solo sul prezzo

- La differenziazione dell’offerta: quanto più i prodotti offerti saranno simili tra le imprese, tanto più il
cliente è disposto a scegliere in base al prezzo

- La capacità produttiva: se c’è eccesso di capacità produttiva, le imprese sono incoraggiate ad


abbassare i prezzi per ricevere più ordini e riuscire a distribuire i costi fissi su un volume di vendite più
ampio

LE BARRIERE ALLA CONCORRENZA

Sono un elemento che caratterizza la struttura del mercato e si dividono in barriere:

1. All’uscita: vincolano le imprese al mercato in cui si trovano, irrigidiscono la concorrenza, rendendo


difficile la loro uscita. Sono create da:

- vincoli sociali (proseguire l’attività per salvaguardare l’occupazione)

- vincoli economici (difficoltà di disinvestimento)

Alte barriere all’uscita finiscono per tramutarsi in elevate barriere all’entrata perché possono dissuadere i
nuovi entranti ad inserirsi in un mercato dal quale risulterà poi difficile l’eventuale uscita.

2. All’entrata: legate alla libertà di ingresso di nuovi competitor, possono assumere forma e
consistenza diversa:

- interne: tutelano la posizione dei produttori dalle azioni espansive dei competitor

- esterne: impediscono l’ingresso ai nuovi concorrenti

Secondo Stigler lsono un costo che deve essere sopportato da un’impresa che volesse entrare in un certo
settore industriale, ma che non è supportato dall’imprese già operanti all’interno di tale settore”.

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Tali barriere si collegano:

- Alle economie ottenibili nelle funzioni di gestione, tra cui: Economie di scala, Economie di
apprendimento, Economie di scopo (interrelazione), Economie di relazioni.

- Alla disponibilità di brevetti o know-how: può costituire una barriera all’ingresso laddove il
patrimonio tecnologico si concentri nelle mani di uno/ pochi imprenditori: il possesso di tali diritti
impedisce l’entrata di concorrenti fino a quando non sia possibile sfruttare tali diritti intangibili.

- Alla scarsa disponibilità di fattori produttivi essenziali: può costituire un impedimento all’ingresso
quando tali fattori sono stati acquisiti dalle imprese che operano nel mercato e non resta nessuna
disponibilità per coloro che aspirerebbero ad entrarvi (monopolio dei fattori produttivi essenziali).

- Alla differenziazione dei prodotti: la differenziazione gioca un ruolo interno, in quanto consente a
ciascun produttore di isolarsi rispetto a altri concorrenti (barriere di mobilità).Tale fattore svolge anche un
ruolo esterno, nel senso che l’acquisizione di un vantaggio competitivo nei confronti di imprese già presenti
nel mercato quindi per poter sottrarre delle quote di affari alla concorrenza, sarà necessario accentuare il
carattere di distinzione della propria offerta.

ECONOMIE OTTENIBILI

1. Economie di scala: il fenomeno di abbassamento dei costi di produzione e di vendita all’aumentare


delle quantità prodotte (più cresce la produzione più si riducono i costi).

In determinati mercati se non si raggiungono certi volumi produttivi, non è possibile avere dei costi
competitivi e assumere una sufficiente quota di mercato —> un nuovo competitore incontra delle barriere
all’ingresso per il fatto di dover organizzare la sua attività a un elevato livello dimensionale e ciò è difficile
sia per la maggiore consistenza dell’investimento, sia per la difficoltà di sottrarre ai produttori presenti il
volume di vendita corrispondente all’entità minima delle produzioni da collocare.

Per quanto riguarda le economie di scala legate all’approvvigionamento, nell’ipotesi di un’azienda


organizzata con più stabilimenti è possibile effettuare una distinzione tra:

- Economie di scala d’impianto: processo di produzione dei beni e sono funzione della dimensione
del singolo impianto.

- Economie di scala d’impresa: discendono dalla dimensione globale assunta dall’azienda e


riguardano soprattutto i processi di commercializzazione (acquisti e vendite) e di amministrazione
aziendale.

2. Economie di apprendimento: si sviluppano in funzione del processo di apprendimento, maturato


attraverso l’esperienza acquisita.

Il produttore, che intende inserirsi in un mercato si trova in condizioni di inferiorità rispetto ad altri
produttori già presenti—> questo divario di esperienza rappresenta un ostacolo all’ingresso.

3. Economie di interrelazione (o di scopo): interne all’impresa, si dilatano anche sul piano esterno
per effetto dell’inserimento dell’azienda in reti pluriaziendali.

L’espressione “economie di scopo” deriva dalla traduzione di “economies of scope”, il cui concetto è quello
dei risparmi ottenibili dalle sinergie ovvero dallo svolgimento in comune di più attività (ottimizzazione dei
costi di produzione congiunti)

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4. Economie di relazione: consentono di instaurare dei rapporti di fiducia con clienti e fornitori: rende
più efficace l’azione dell’impresa sia nell’ambiente transazionale sia in quello competitivo. In determinati
mercati la barriera all’ingresso può essere rappresentata dalle alleanze strategiche tra le imprese presenti
(vantaggi contrattuali con gli stakeholder)

RESOURCE BASED THEORY

Nella prospettiva della resource based theory, le barriere all’entrata non sono solo un dato oggettivo ma
dipendono anche dalle condizioni soggettive e dalla dotazione di risorse dell’impresa: pone al centro
dell’analisi competitiva le specificità di ciascuna impresa in termini di risorse, capacità e competenze. Le
risorse aziendali sono definite da Jay Berney come: “Tutte le attività, le capacità, le competenze, i processi
organizzativi, le caratteristiche aziendali, le informazioni, le conoscenze e così via, che sono controllate
dall’azienda e che le permettono di formulare e implementare strategie che ne migliorano l’efficacia e
l’efficienza.”

In base al patrimonio di risorse posseduto ogni impresa può dunque tentare di conquistare un vantaggio
competitivo durevole e assumere una posizione vincente nel mercato.

IL MODELLO TRIDIMENSIONALE DI ABELL

È utilizzato per l’analisi del mercato, in particolare nelle fasi iniziali della costruzione/ definizione dell’area
di business o porzione di mercato in cui s’intende operare: consente di definire le cosiddette ASA —> aree
strategiche di affari (porzione di mercato), e il target che si intende servire (in inglese SBU: strategic
business unit).

Hanno una struttura economica autonoma e sono gestite da una conduzione strategica differenziata. Ad
ogni ASA corrisponde un sistema competitivo specifico.

Per il management è fondamentale avere una visione chiara del business aziendale poiché consente
all’impresa di sviluppare la capacità di generare profitti dagli investimenti.

Secondo Abell l’area di business viene definita attraverso tre elementi:

1. gruppi di consumatori a cui rivolgersi (i portatori dei bisogni a cui l'impresa intende rivolgersi)

2. le funzioni d’uso da soddisfare (i bisogni del cliente)

3. le tecnologie o modalità con cui le funzioni sono assolt

Quindi l’impresa può servire più gruppi di clienti e soddisfare più funzioni d’uso del prodotto utilizzando
tecnologie diverse: superamento della distinzione per settore merceologico.

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FONTI DEL VANTAGGIO COMPETITIVO

IL CONCETTO DI VALORE E LA CATENA DEL VALORE DI PORTER

La formulazione della strategia competitiva, può fondarsi, secondo Porter, sulla catena del valore —>
sostiene che l’azienda crea un valore per il cliente che è misurato dal prezzo che questi paga/ sarebbe
disposto a pagare per il prodotto.

Il valore cerato si distingue in due parti: i costi sopportati per le attività necessarie alla realizzazione e
all’assistenza, e il margine che rimane all’azienda. Il maggior valore (quindi la più ampia differenza tra
prezzo e costi), deriverebbe dalla maggiore efficienza nella prestazione delle attività.

Il concetto di catena del valore serve per comprendere quali sono le fonti del vantaggio competitivo,
distinguendo le funzioni di gestione in due gruppi:

- Attività primarie: rappresentate dalle funzioni di produzione e di vendita e si suddividono nella


logistica interna (gestione specifica di determinate attività), nell’attività di trasformazione, nella logistica
esterna (attività necessarie a portare il prodotto sia all’interno che all’esterno dell’azienda), nel marketing e
vendite, e nei servizi (soprattutto di assistenza post-vendita): riguardano il ciclo produzione-vendita con
terminali a monte nella logistica interna e a valle nei servizi alla clientela.

- Attività di supporto: classificate con criteri di maggiore elasticità e vengono chiamate così perché
intese a fornire le basi per la realizzazione delle attività primarie. Sono costituite dall’approvvigionamento,
dallo sviluppo delle tecnologie, dalla gestione delle risorse umane e dalle attività infrastrutturali
dell’impresa.

Il concetto teorico di catena del valore consente di identificare le cause del vantaggio competitivo, che
possono essere rinvenute nella progettazione (differenziazione) del prodotto, nell’efficienza del sistema di
produzione, nell’economicità delle funzioni di approvvigionamento e nell’efficacia del marketing. Ogni
impresa può sfruttare anche vantaggi (es una buona progettazione e un buon marketing) massimizzando la
sua “dominanza competitiva”.

VANTAGGIO COMPETITIVO E STRATEGIE COMPETITIVE

La formulazione della strategia competitiva

Secondo porter l’impresa può costruire il suo vantaggio competitivo o perché è in grado di realizzare con
maggiore efficienza le attività inserite nella catena del valore (es costo inferiore di quello della concorrenza:
leadership di costo) o perché riesce a differenziare l’offerta così da giustificare un ricarico sul prezzo
(preminum price).

con l’affermazione del concetto di differenziazione dei prodotti è caduto uno dei presupposti essenziali
della concorrenza perfetta, che è legata alla condizione dell’omogeneità dei prodotti offerti, cioè
all’impossibilità di differenziarli.

La differenziazione dei prodotti richiama la disomogeneità dei prodotti offerti e l’esistenza di prodotti
differenziati comporta il frazionamento del mercato in tanti sub-mercati, ciascuno dei quali è separato dagli
altri e costituito da una particolare clientela.

Il concetto di sub-mercato è caratterizzato dall’esistenza di una domanda che si rivolgerà all’offerta di


alcune imprese, le quali godranno di un vantaggio rispetto alle altre nella misura in cui riusciranno a creare
e a rafforzare tali preferenze.

L’obiettivo sarà quello di disporre di un proprio spazio di mercato nel quale potersi muovere in posizione
quasi monopolistica: “concorrenza monopolistica”: pone in rilievo che in uno stesso mercato sono

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compresenti elementi concorrenziali e di monopolio: i primi connessi con il frazionamento dell’offerta tra
una pluralità di produttori e i secondi connessi con la formazione di tanti sub-mercati, in ciascuno dei quali
uno dei produttori può acquisire di fatto una posizione monopolistica.

Tale posizione presenta due limiti: i vantaggi possono essere controbilanciati da altri strumenti
concorrenziali (prezzo, condizioni di pagamento ecc.) e l’imitazione da parte di concorrenti può annullare i
migliori requisiti di qualità o di prestazioni del prodotto.

Si possono individuare quattro tipi di strategie competitive:

1. Leadership di costo: attraverso la quale le imprese tentano di ottenere un vantaggio competitivo


attraverso la riduzione dei costi rispetto ai concorrenti —> concorrenza basata sul prezzo. (es. IKEA)

2. Differenziazione del prodotto: si ricerca il vantaggio competitivo incrementando il valore percepito


dei prodotti o dei servizi offrendo qualcosa di unico da quanto offerto dai rivali —> concorrenza basata sulla
marca. (es. BMW)

3. Focalizzazione: le imprese si posizionano in nicchie di mercato, meno attrattive per altri


concorrenti, in cui riescono ad ottenere vantaggi competitivi —> concorrenza basata sulla specializzazione
di mercato. (es. Rolex)

4. Leadership di servizio: è la strategia che si concreta in un’offerta ricca in termini di servizi al cliente
e la cui finalità è la concorrenza basata sulla completezza dell’offerta.

RISORSE AZIENDALI E MODELO VRIO

Per capire quali risorse possano assicurare un vantaggio durevole è di ausilio lo schema di barney

Le risorse aziendali consentono all’impresa di ottenere un vantaggio competitivo duraturo e una posizione
di leadership nei mercati serviti. Il vantaggio competitivo sarà tanto più saldo, quante più ‘competenze
distintive’ saranno utilizzate ed utilizzabili.

VRIO ANALYSIS —> modello, sviluppato da Barney, che individua le caratteristiche che possono conferire
significatività e importanza alle risorse possedute dall’impresa. Le risorse possono essere classificate in
base:

- Al loro valore: contributo positivo che sono in grado di conferire all’azione competitiva

- Alla loro rarità: alla situazione di scarsa diffusione presso le altre imprese concorrenti

- Alla loro inimitabilità da parte dei concorrenti

- Alla loro organicità: al durare del loro valore nell’ambito dell’organizzazione

Il vantaggio competitivo tende ad essere più duraturo quando le risorse possedute dall’azienda impattano
di più sul valore, sono meno diffuse, difficilmente imitabili e poco sfruttabili da parte di altre organizzazioni.

Ne consegue una sorta di ‘rendita imprenditoriale’, ovvero di una posizione di vantaggio differenziale,
difficilmente erodibile perché la posizione di forza deriva dal possesso di risorse, capacità, competenze e
conoscenze superiori esclusive.

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STRATEGIA E ANALISI SWOT

L’analisi fondamentale per la formulazione della strategia competitiva è basata sul modello “SWOT” che
suggerisce di prendere in considerazione i punti di forza e di debolezza dell’impresa in rapporto alla
possibile evoluzione del mercato e dell’ambiente, da cui potranno derivare opportunità favorevoli o
minacce.

Ciò consentirà di valorizzare i punti di forza (risorse e competenze possedute) e di attenuare l’impatto
negativo dei punti di debolezza e l’impresa riuscirà a formulare una strategia competitiva che le permetterà
di trarre vantaggio dalla dinamica del mercato servito o di quello in cui vorrà inserirsi.

L’analisi interna dei punti di forza e di debolezza conduce all’identificazione delle competenze distintive
dell’impresa, mentre l’analisi dell’ambiente esterno (opportunità e minacce) guida all’identificazione dei
fattori potenziali di successo.

—>Queste due fasi (analisi interna e analisi esterna) sono alla base della tecnica della SWOT analysis, un
acronimo creato dalla prima lettera di ognuno di questi elementi: S (per i punti di forza – strenght), W (per i
punti di debolezza (weaknesses), O (per le opportunità – opportunities) e T (per le minacce – threats).

Le opportunità e le minacce sono fattori esterni (detti PEST: fattori Politici e Legali, Economici, Sociali,
Tecnologici). Questi non sono controllabili dall’azienda e, in quanto tali, possono comportare sia la
creazione che la distruzione del valore.

L’EQUILIBRIO FRA LA DOMANDA E L’OFFERTA

Per comprendere il funzionamento di un dato mercato e le politiche adottate dalle imprese che in esso
operano, non è sufficiente analizzare separatamente la situazione della domanda e dell'offerta, ma è
indispensabile valutare congiuntamente queste due componenti, allo scopo di desumere la posizione
relativa di forza dei produttori e dei consumatori

Il grado di controllo del mercato è legato non solo al peso da ciascuno di essi esercitato, ma anche alla
situazione di equilibrio, o meglio di squilibrio, che può crearsi fra la domanda e l'offerta.

E' difficile ipotizzare il caso in cui fra domanda e offerta si abbia un perfetto equilibrio, nel senso che la
prima sia in grado di assorbire completamente la seconda o che quest'ultima sia idonea a soddisfare del
tutto le richieste degli acquirenti.

E' importante osservare che ai fini del funzionamento di mercato, è fondamentale l'equilibrio in termini di
potenzialità di produzione e capacità di assorbimento, e non equilibrio in termini di risultati tra domanda e
offerta.

Infatti, se la domanda tenderà a superare la capacità di produzione esistente nel mercato, i produttori
assumeranno una chiara posizione di vantaggio, in quanto non solo non sopporteranno rischi di vendita dei
loro prodotti, ma potranno avvantaggiarsi di una situazione di concorrenza fra gli acquirenti, che dovranno
competere l'un contro l'altro per entrare in possesso della limitata quantità di beni disponibili. In tal caso il
venditore potrà stabilire le condizioni di contrattazione dei beni e ci si troverà, dunque, in quello che viene
definito mercato del venditore.

Situazione opposta si avrà nel caso di un’eccedenza dell'offerta, in quanto i produttori dovranno competere
fra di loro per acquisire la domanda disponibile. In un’ipotesi del genere, arbitri del mercato diventeranno i
compratori, le cui opzioni di acquisto decreteranno il successo o l'insuccesso delle singole aziende
produttrici. Si parla pertanto di mercato del compratore.

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