Sei sulla pagina 1di 142

CAPITOLO 1

Il sistema di governo

Il governo d’impresa è il tetto sotto il quale l’impresa prospera, è l’insieme delle logiche
volte ad amministrare tutte le risorse impegnate per il suo funzionamento e disciplinare
la direzione e la gestione, coinvolgendo approcci di natura deliberata (razionale) ed
emergente (esperienziale e creativa, basata sull’adattamento).
Governare l’impresa significa avere un quadro di riferimento grazie al quale operare, in
questo caso il quadro di riferimento è proprio il governo di impresa.

*ORGANIZZAZIONE: organizzare il modo secondo cui le risorse sono relazionate e con


quali logiche devono svolgere le attività
PROGRAMMAZIONE: si inquadrano le azioni pratiche affinché i piani vengano realizzati*

Gli orientamenti al governo che si sono succeduti nell’ultimo secolo:


-Anni ’30: PIANIFICAZIONE FINANZIARIA= a seguito degli anni di crisi, c’è stato un
approccio razionale basato sul principio di stazionarietà dell’ambiente. Il management
aveva il compito di misurare gli scostamenti tra performance e target di budget, dove il
focus è incentrato sul breve, cioè di volta in volta vengono fissati degli obiettivi con lo
scopo di avere un profitto e dunque l’approccio per raggiungerlo è quantitativo, ovvero
consiste nel definire la quantità di vendite e ricavi, nel calcolare costi ed entrate cercando
di mantenere l’equilibrio finanziario.
Il processo di pianificazione concerne l’attività di budgeting, quindi in riguardo ai flussi di
cassa, c’è una previsione dei costi e ricavi per migliorare la gestione di cassa.
-Anni ’50: PIANIFAZIONE A LUNGO TERMINE= un approccio più dinamico, soprattutto da
parte delle grandi aziende americane ed inglesi, ha sostituito quello sul breve degli
anni ’30, negli anni ’50, infatti, c’è stato una pianificazione a lungo termine (long range
planning), basata sullo studio della determinazione dei trend del passato, quindi le
decisioni venivano prese a partire dall’estrapolazione dell’esperienza del passato. La
crescita delle imprese in questi anni si riteneva fosse connessa linearmente
all’espansione delle risorse interne (se ci sono numeri più elevati di stabilimenti, si ha un
fatturato più consistente).
-Anni ’60: PIANIFICAZIONE STRATEGICA= Ci fu un aumento della complessità decisionale.
Il numero di variabili da prendere in considerazione crebbe in maniera esponenziale.
Veniva utilizzato lo SWOT analisys di Andrews, che analizzava le risorse disponibili per
comprendere i punti di forza e debolezza, l’ambiente per individuare opportunità e
minacce ed, infine, individuava le alternative strategiche tra cui scegliere.
Si passa dal focus sull’ambiente domestico ad un focus sulla diversificazione dei prodotti,
che è conglomerale ed ha portato le imprese ad espandersi in un gran numero di settori
eterogenei, tutto ciò sotto la spinta della grande corporation statunitense coinvolta in
processi proprio di diversificazione e multinazionalizzazione.
-Anni ’70: MANAGMENT STRATEGICO= La concezione era che il mercato e l’ambiente
sono turbolenti, questo a causa della crisi degli anni ’70. Mintzberg definisce l’ambiente
turbolento come caratterizzato da pittfalls e fallacies, tranelli ed inganni, i pittfalls sono
problemi strutturali che ha l’impresa nell’opporre resistenza all’attuazione della
pianificazione, siccome rimaneva basata su un management fondato sul calcolo piuttosto
che sull’impiego dei manager, i fallacies, inganni legati all’attendibilità delle previsioni,
secondo i quali non ci si può basare solo su metodi razionali e quantitativi.
Vengono abbandonati schemi rigidi procedurali, coinvolgendo, invece, il pensiero umano
e privilegiando la creatività e l’intuito. La razionalità infatti deve sempre essere
equilibrata dall’apertura verso l’apprendimento derivante dall’esperienza, affinché il
governo d’impresa sia efficace.

L’impresa come sistema complesso


Per comprende l’azienda, poi, ci sono due approcci, quello razionalista e quello sintetico.
L’approccio razionalista è di tipo analitico, quello sintetico si sostanzia nell’osservazione
dell’insieme dei fenomeni e non del singolo componente.
L’approccio razionalista, quindi, cerca di comprendere i sistemi, come quello pinguino
scomponendo i singoli componenti che ne fanno parte.
Pensare per sistemi significa avere l’abilità di vedere le sinergie nella totalità,
complessive, piuttosto che elementi separati del sistema ed imparare come
eventualmente ripararlo e questo offre una visione globale.
Un sistema, infatti, identifica un insieme di componenti interagenti e indipendenti che
forma una totalità, ciascun elemento ha uno specifico compito e sono orientati verso una
comune finalità.
L’impresa si definisce sistema in quanto identifica un insieme coordinato di parti e
relazioni che tendono naturalmente o in maniera programmata al raggiungimento di una
comune finalità.
• L’impresa è costituita da un insieme di risorse di diversa natura, materiale ed
immateriale (risorse umane, mezzi tecnici e tecnologici, finanziari, conoscenza,
competenze e valori)
• Ciascun elemento comunica ed interagisce con gli altri elementi
• L’impresa può essere considerata parte di un sistema più ampio che è l’ambiente nel
quale è inserita e può essere scomposta in una serie di sub-sistemi, questi “sistemi di
minore ampiezza” possono essere, poi, legati ad obiettivi intermedi che devono, però,
essere coerenti con le finalità generali del sistema di cui fanno parte
• Il valore dell’impresa così considerata nella sua complessità, risulta essere superiore al
valore delle singole parti che compongono il sistema stesso, quindi superiore alla somma
degli elementi che la compongono.
L’approccio sistemico consente di comprendere a fondo le relazioni, i collegamenti e le
interdipendenze tra i diversi elementi che caratterizzano un fenomeno.

Le qualificazioni sistemiche dell’impresa


Le qualità principali dell’impresa come sistema complesso sono:
-APERTO: è in continuo contatto con l’ambiente esterno ad esempio per
l’approvvigionamento dei fattori produttivi e l’erogazione di output
-SOCIALE: in quanto è fortemente influenzato dalle idee ed i credi degli individui con cui
interagisce
-RELAZIONALE: c’è una componente tecnica ed una componente sociale (sistema socio-
tecnico)
-COGNITIVO: genera conoscenza, si focalizza sull’apprendimento inteso come processo
produttivo durante il quale rielabora informazioni e conoscenze, talvolta trasformandole
-VITALE: è un sistema in grado di nascere, crescere e sopravvivere. La sua vitalità è
determinata dalla capacità dell’impresa, nel tempo, di sviluppare azioni armoniche con i
sub-sistemi e sopra-sistemi
-MECCANICO: prima l’impresa veniva vista come sistema meccanico, caratterizzato da
comportamenti che seguivano schemi rigidamente definiti. Tale accezione rappresenta
l’impresa tramite relazioni lineari.

17\09

Le finalità dell’impresa
Secondo le teorie classiche e neoclassiche l’impresa persegue la massimizzazione del profitto,
opera, cioè, in un mercato di concorrenza perfetto e compie scelte razionali, postulano
l’assenza di concorrenza, l’assenza di barriere all’entrata e all’uscita, che il prezzo costituisca
un dato e che le imprese, numerose, offrano prodotti omogenei. Tuttavia ciò non basta a
cogliere la complessità della realtà moderna.
Secondo la teoria della sopravvivenza, proposta da Caselli, l’impresa tende a diversificarsi,
innovare, cercare alleanze ed aumentare le proprie dimensioni adattandosi anche alla realtà
cui appartiene proprio secondo la sua volontà di sopravvivenza nel tempo.
La sopravvivenza, poi, può essere declinata a seconda dell’orizzonte temporale secondo il
quale le scelte vengono orientate:
-medio termine
-lungo termine.
La teoria della creazione del valore diventa un presupposto affinché l’impresa possa svolgere
la propria missione di creare ricchezza e della sua distribuzione a tutti quei soggetti che
apportano risorse all’impresa stessa. Quindi la creazione di ricchezza sposa l’idea di
massimizzazione del profitto, ma più che altro persegue la realizzazione di risposte utili ai
bisogni espressi dal mercato attraverso l’utilizzo appropriato e conveniente delle risorse. Il
valore creato consiste nell’utilità per il beneficiario, ottenuta attraverso l’uso economico delle
risorse. Il beneficiario viene suddiviso in due categorie di cui una include l’altra: stakeholder
(portatori di interessi dell’impresa) e shareholder (hanno azioni all’interno dell’impresa) gli
stakeholder includono gli shareholder. A riguardo la stakeholder view sostiene che nella
distribuzione del valore debba essere assegnata una priorità ai portatori di interesse
dell’impresa per il loro contributo apportato al successo della stessa, mentre la shareholder
view sostiene che la creazione del valore deve porsi come obiettivo quello di soddisfare le
aspettative degli azionisti.
Gli stakeholder sono residual claimers, cioè il loro diritto di proprietà in quanto azionisti ha
natura residuale, la loro remunerazione, cioè, si manifesterà dopo aver remunerato tutti i
fattori della produzione.
Diverse teorie spiegano le finalità dei comportamenti imprenditoriali e quindi le scelte di
governo, per esempio la teoria manageriale dello sviluppo dimensionale: i manager sono
maggiormente interessati all’espansione dell’impresa perché quest’ultima dovrebbe tradursi
in un irrobustimento dell’organizzazione, nell’assunzione di una maggiore forza nei confronti
della concorrenza, nell’incremento di retribuzioni ai livelli più elevati di direzione, nel
miglioramento delle relazioni con banche, fornitori e personale.

Le scelte di governo tra decisioni strategiche ed operative


Nelle imprese vengono assunte decisioni aventi caratteristiche diverse sotto il profilo
dell’importanza della scelta, dei contenuti e della collocazione della responsabilità a livello
organizzativo. Esse possono essere classificate in due livelli ordinati gerarchicamente:
-Decisioni strategiche:
1. sono centralizzate, cioè vengono assunte da un numero circoscritto di attori
2. prese in condizioni di incertezza, in quanto sono volte a cogliere i segnali deboli
dell’ambiente di riferimento
3. finalizzate al raggiungimento di obiettivi di lungo periodo e a determinare la direzione, il
verso e l’intensità del vettore di crescita dell’impresa, a formulare piani e priorità di
allocazione delle risorse (rispondono/inducono cambiamenti ambientali)
4. non sono ripetitive, quindi non confrontabili con decisioni del passato
5. richiedono il giusto trade-off tra razionalità del ragionamento scientifico e l’intuizione
propria della creatività manageriale.
-Decisioni operative:
1. sono finalizzate ad implementare le decisioni strategiche attraverso un uso ottimale delle
risorse disponibili ed acquisibili
2. gli effetti di queste decisioni si manifestano nel breve periodo
3. possono tradursi in routine, non incidono in modo significativo su rapporto
impresa/ambiente ed attenuano continue variazioni, in quanto pongono un freno ai continui
cambiamenti di obiettivi.
Si può affermare che la sopravvivenza dell’impresa discende dalla capacità manageriale di
creare le giuste connessioni tra le gestione strategica ed operativa in assenza di un unico
framework teorico di riferimento.
22\09

Strategie d’impresa
Michael Porter, economista, professore e manager di impresa americano è considerato il
padre della definizione di strategia di impresa ed afferma che la vera strategia dell’impresa è
la posizione di vantaggio che ci si pone di raggiungere e non gli step da seguire per
raggiungerla. Secondo Porter un’impresa che attui tutte le strategie di base senza riuscire a
realizzarne una è “bloccata a metà del guado” cioè non possiede alcun vantaggio competitivo
bensì si troverà svantaggiata rispetto alla concorrenza.
Quindi la strategia è un comportamento imprenditoriale di tempo lungo finalizzato al
raggiungimento di obiettivi di primaria gestione. Tre elementi sono caratterizzanti:
-formulazione ad livello alto-direzionale
-proiezione a lunga scadenza
-priorità dei traguardi da raggiungere.
La strategia competitiva deve nascere da una conoscenza approfondita delle regole della
concorrenza che determinano l’attrattività di un settore industriale. Lo scopo finale di una
strategia competitiva è quella di essere in sintonia con tali regole ed, idealmente, arrivare a
cambiarle in favore dell’impresa.
Vantaggio competitivo
Consiste nel vantaggio differenziale che un’impresa ottiene rispetto ai suoi concorrenti
attraverso il perseguimento di una determinata strategia. Deriva dal valore che l’impresa è in
grado di creare per i suoi clienti e si concretizza in un maggior livello di redditività e\o quota di
mercato superiore.
Esso in ottica tradizionale dipende:
-dall’ampiezza dell’ambito concorrenziale d’impresa
-dalla strategia che essa persegue
Tipologie di scelte strategiche

Le strategie principali che un’impresa può adottare sono:


1. STRATEGIE DI SVILUPPO:
-sviluppo dimensionale
-sviluppo del mercato
-diversificazione che può essere concentrica se l’impresa entra in business correlati
rispetto a quelli consolidati, conglomerale se l’impresa entra in business che non
presentano affinità con quelli precedentemente consolidati e ciò richiede l’acquisizione di
uno specifico know how che comporta anche l’instaurarsi di relazioni con nuovi fornitori.
Lo sviluppo, poi, può avvenire in maniera verticale se l’impresa cresce internalizzando le
fasi della filiera produttiva a monte o a valle rispetto alle fasi precedentemente svolte da
essa ed orizzontale se l’impresa acquisisce concorrenti che operano lungo le stesse fasi
della filiera. Infine c’è la strategia di ricentraggio quando cioè l’impresa elimina le attività
di business poco attrattive.
2. STRATEGIE COMPETITIVE:
-leadership di costo attraverso la quale un’impresa si propone di diventare il produttore
a più basso costo nel proprio settore industriale, sfruttando le fonti del vantaggio di costo
(accesso preferenziale alle materie prime)
-differenziazione che induce l’impresa a differenziarsi rispetto ai propri competitor con
un prodotto notevolmente differente. Tale unicità viene compensata con prezzi superiori
rispetto alla media dei prezzi praticati dai concorrenti (riguarda caratteristiche del
prodotto, approccio al marketing, ecc.)
-focalizzazione che si basa sulla scelta di un’area ristretta di competizione all’interno di
un settore industriale scegliendo un segmento nel settore per cui adattare la propria
strategia vincendo la concorrenza. La strategia di focalizzazione ha, poi, due varianti:
focalizzazione sui costi nei casi in sui l’impresa persegua un vantaggio di costo nel
segmento prescelto e focalizzazione sulla differenziazione nei casi in cui l’impresa
persegua la differenziazione nel segmento prescelto.
3. STRATEGIE OCEANO BLU: sono strategie di nuovo approccio elaborate da Kim e
Mauborgne che permettono di ottenere migliori ritorni se le scelte strategiche sono
indirizzate verso nuovi mercati nei quali non esiste ancora una concorrenza, non ci sono
competitors. Le chiavi del successo risiedono nelle abilità dei managers di creare un
nuovo mercato attraverso un valore innovativo che crei nuova domanda. Le innovazioni
devono essere corpose e difficilmente imitabili tali da permettere il mantenimento nel
lungo periodo del vantaggio competitivo acquisito come first movers.

Il rapporto impresa ambiente


In un ambiente complesso ed in continua evoluzione dove i mercati sono “contestable
market”, cioè mercati contendibili, il vantaggio competitivo delle imprese dipende, non
solo dalle scelte strategiche che l’impresa realizza per cogliere le opportunità del mercato
o per difendersi dalle minacce della concorrenza, ma anche dalla capacità manageriale di
creare relazioni competitive e collaborative con i fornitori dei fattori e delle tecnologie.
La formulazione della strategia deve basarsi sia sull’analisi strategica dell’ambiente sia
sulla capacità dei manager di utilizzare e combinare le risorse, quindi le loro competenze.
Se l’impresa possiede quelle particolari competenze in grado di renderla “unica” nel suo
mercato, le cosiddette core competence, allora essa possiede vantaggi firm-specific
difficilmente appropriabili da parte dei competitors. Tutto ciò prevede un esame del
rapporto “ambiente esterno-risorse interne”.

Dimensione esterna:
-forze del macroambiente e del microambiente
-concorrenti effettivi e di prodotti sostitutivi
-barriere all’entrata
-fornitori
-clienti
Dimensione interna:
-tecnologiche
-di mercato
-organizzative
-finanziarie
-general managment

L’analisi dell’ambiente interno


L’impresa è vista come insieme eterogeneo di risorse e competenze che rappresentano la
base per la realizzazione di un vantaggio competitivo.
RISORSE: fisiche, finanziarie, tecnologiche, organizzative, umane. Sono gli assets specifici
di un’impresa composti di qualsiasi cosa un’impresa utilizzi al fine di creare, produrre ed
offrire i suoi prodotti sul mercato.
COMPETENZE: Capacità delle imprese di utilizzare e cambiare le risorse possedute. Sono
un prodotto interno e caratteristico di ciascuna impresa ed emergono nel tempo
attraverso il processo organizzativo dell’accumulo e dell’apprendimento. Quando tali
competenze permettono all’impresa di raggiungere un vantaggio sostenibile nei
confronti dei concorrenti, sono competenze distintive, che si suddividono in cinque
tipologie: tecnologiche, di mercato, organizzative, finanziarie, di general managment.
CAPITOLO 2

La catena del valore


La catena del valore è uno strumento concettuale per l’analisi dell’ambiente interno che
consente di rappresentare l’impresa suddividendola in attività (primarie e di supporto).
Le attività sono i “blocchi costitutivi con i quali l’impresa crea un prodotto valido per i
suoi compratori” (Porter) costruendo il vantaggio competitivo.

La catena del valore consente di analizzare l’ambiente interno esaminando le sue attività
fondamentali e, quindi, di evidenziare il modo in cui effettivamente opera l’impresa, a livello
di singole attività elementari ed in funzione dei collegamenti esistenti tra esse e tra i diversi
processi aziendali. Può, inoltre, illustrare la sequenza di attività generatrici di valore che
costituiscono le unità fisicamente, tecnologicamente e soprattutto, strategicamente distinte
nelle quali un’impresa può essere suddivisa. Permette, ancora, come strumento analitico, di
individuare i punti di forza e debolezza interni e confrontarsi con i competitor (ed in ottica
sistemica, i rapporti impresa ambiente).
E’ funzionale sia in fase di analisi sia di attuazione ed è uno strumento descrittivo, di
pianificazione strategica e di valutazione delle strategie. Tuttavia, preferibilmente usabile ex
post (più che ex ante perché i legami individuabili sono generici).
L’analisi della catena del valore descritta da Porter può essere utilizzata come strumento:
-descrittivo perché permette di fotografare l’impresa individuando le attività strategicamente
rilevanti sulle quali il manager può intervenire per raggiungere determinati obiettivi
-di pianificazione strategica perché l’individuazione del contributo al margine di ogni singola
attività può guidare il manager nella scelta delle aree sulle quali intervenire per ottenere il
vantaggio competitivo
-di valutazione delle strategie perché l’adozione di una determinata strategia può consentire
al manager di valutare se la strategia adottata ha contribuito ad incrementare o meno il valore
per l’impresa.

Le attività primarie e di supporto

Ogni attività generatrice di valore si serve di input e di risorse umane e finanziarie. Le attività
primarie descrivono momenti definiti nel processo di acquisizione degli input, di
trasformazione, distribuzione e assistenza post vendita. Le attività di supporto identificano
l’attività del management finalizzata allo sviluppo delle risorse più complesse e fungono da
meccanismi di collegamento con le attività primarie.
Le attività primarie sono distinte in:
• Logistica in entrata e logistica in uscita
-Ricevimento\raccolta
-Magazzinaggio
-Movimentazione interna\distribuzione degli input e output
Costi connessi alla logistica in entrata ed uscita:
1. Costi gestione depositi
-Fitti passivi dei magazzini\ quote di ammortamento
-Spese di manutenzione e riparazione (al netto dei ricavi per fitto dei locali a terzi)
2. Costi gestione ordini e sistemi informativi
-Gestione ordini
-Layout di magazzino
-Programmazione
3. Costo mantenimento scorte
4. Costi di trasporto e distribuzione
-Ammortamento\fitti passivi automezzi
-Spese di riparazione e di manutenzione (al netto dei ricavi per trasporto c\terzi)
5. Costo del personale
• Attività operative (operations)
Trasformazione di input in output (attività di fabbricazione di prodotti, collaudo e controlli
qualità)
Costi connessi alle attività operative:
1. Costi di produzione
-Ammortamenti e fitti passivi impianti per la fabbricazione
2. Costi variabili di produzione
-Energia
-Materie prime
-Semilavorati
3. Costi di collaudo e di controllo qualità
-Personale
-Materiali
-Procedure informatiche
-Servizi acquisiti da terzi
4.Costi di gestione e manutenzione impianti
-Licenze
-Brevetti
5.Costo del personale
• Marketing e vendite
Tutte le attività connesse al marketing operativo, si parla delle 4 leve del marketing mix, dette
4P:
-product , cioè i requisiti che il prodotto deve avere per soddisfare i bisogni del cliente carpiti
tramite gli studi di marketing
-price, cioè i ricavi che derivano dalla disponibilità dei clienti di pagare i prodotti realizzati,
quindi dalla loro attitudine all’acquisto, sempre frutto dello studio di marketing
-place, cioè la distribuzione dei prodotti, come e-commerce, show room, ecc.
-promotion, cioè la pubblicità.

Costi connessi all’attività di marketing:


1. Costi del personale
2. Costi per effettuare vendite
3. Costi per la gestione delle leve del marketing mix
-Costi relativi alla gestione delle forme distributive
• Servizi di assistenza post vendita
Tutte le attività finalizzate a migliorare o mantenere il valore dei prodotti.
Costi dell’attività di assistenza post vendita:
1. Costi di installazioni e riparazioni
2. Costo del personale
3. Costi di gestione scorte dei pezzi di ricambio
-Al netto dei ricavi conseguibili dall’assistenza post vendita e dalle riparazioni effettuate.
Nelle imprese mono-unità ed in quelle che utilizzano stessi impianti e stesso personale per la
gestione dei materiali in entrata e dei prodotti in uscita, la logistica in entrata ed in uscita si
sovrappongono. Mentre nelle imprese nelle quali sono simultanei i processi di produzione,
distribuzione e consumo, alcune attività primarie possono essere assenti o sovrapposte.
Le attività di supporto si distinguono in:
• Attività infrastrutturali
Le attività che vengono poste in essere dai policy maker e dagli organi tecnico-amministrativi
nelle aree della programmazione, della finanza, dei sistemi informativi e dei servizi legali.
Costi delle attività infrastrutturali:
1. Costi per la gestione degli uffici
-Amministrativi
-Finanziari
-Legali
-Costi della pianificazione
-Costi della direzione generale
• Gestione delle risorse umane
L’insieme di politiche e pratiche di reclutamento, selezione, addestramento e formazione del
personale impiegato all’interno dell’organizzazione.
Costi dell’attività di gestione delle risorse umane:
1. Costi per selezione, assunzione e addestramento del personale
2. Costi delle ricerche sullo sviluppo delle carriere sulla mobilità
• Sviluppo della tecnologia
Consiste in tutte le attività finalizzate al cambiamento innovativo di prodotti, processi e
funzioni aziendali.
Costi dell’attività di sviluppo della tecnologia:
1. Costi per materiali, attrezzatura e impianti dei laboratori
2. Spese per consulenze esterne di R&S (Ricerca e Sviluppo)
3. Costo del personale addetto alla R&S (al netto dei ricavi di vendita a terzi di know-how
sviluppato all’interno -brevetti e licenze-)
• Approvvigionamenti
Consiste nell’individuazione e quantificazione dei flussi di materie prime e di semilavorati da
introdurre nel processo produttivo.
Costi dell’attività di approvvigionamento:
1. Costi per ricerche di mercato
2. Spese relative ai contatti con i fornitori (di beni, servizi e tecnologie)
3.Costo del personale
Nelle imprese possono essere presenti tutte le attività di supporto.

La catena del valore della Levi Strauss Corporation


La mission dell’impresa moderna è la soddisfazione delle esigenze di tutti gli stakeholders, cioè
l’adozione di un comportamento socialmente responsabile. Affinché questo avvenga l’impresa
deve intervenire su tutte le attività strategicamente rilevanti definendo il proprio
comportamento nei confronti degli stakeholders con i quali si confronta. La LSC è stata citata
come esempio di impresa socialmente responsabile proprio perché è riuscita ad agire in
questo senso su tutte le attività generatrici di valore. (San Francisco, 1853, da un immigrato
bavarese che produceva abbigliamento in tessuto jeans. Nel 1980 entrata nel mercato dei
Docker Casual Pant divenne prodotto d’abbigliamento più venduto in USA e poi nel mondo).

24\09

L’outsourcing delle attività della catena del valore


Tutte le attività della catena del valore devono essere svolte direttamente dall’impresa ?
L’outsourcing consiste nella decisione dell’impresa di far realizzare a terzisti alcune attività
della catena del valore, quindi comporta lo spostamento di un’attività della catena del valore o
di un processo attraverso i confini dell’impresa (senza trascurare costi di coordinamento e
controllo). Lo spostamento è alla base di una decisione di “make or buy” che fa parte della
teoria dei costi transazionali di Williamson, secondo la quale vi è una matrice delle decisioni
di internalizzazione (make) in alternativa ad una matrice di esternalizzazione (buy), dove la
finalità è la ricerca dell’efficienza (economizing).
Negli anni sono cambiate le tipologie di attività che vengono esternalizzate:
-Riduzione immobilizzazioni
-Focalizzazione sulle attività a maggior valore
-Uso di mercati emergenti (tecnologia diffusa costo di lavoro più basso)
-Attività infrastrutturali e R&D (Research and Development).
Oggi il modello venditore\compratore e la creazione di rapporti di sub-fornitura che ne
derivano sono sostituiti da modelli di partnership.
Ogni scelta di outsourcing può influire nella creazione di valore lungo la catena del valore:
-costi delle attività acquisite all’esterno quando l’impresa decide di rivolgersi al mercato
-costi per le risorse materiali ed immateriali acquisite dall’impresa per sviluppare
internamente le attività.
L’outsourcing, che è un fenomeno risalente già agli anni ’80, si è molto accelerato a seguito
della globalizzazione e l’inasprimento della concorrenza, infatti l’impresa per ridurre i costi e
cercare di crescere nella competitività, ha abbandonato progressivamente la gestione diretta
delle attività costose e strategicamente non rilevanti.
Affinché l’esternalizzazione si sviluppi con successo è necessario che esistano produttori in
grado di garantire il mantenimento nel tempo degli standard qualitativi richiesti dal
committente a costi marginali e non crescenti. Solo così potranno essere rispettati i parametri
di efficienza che hanno guidato la scelta di outsourcing e limitati i rischi di underperforming.
Inoltre vanno calcolati ulteriori costi legati alle attività da esternalizzare come in presenza di
fattori country specific che possono ostacolare lo sviluppo delle relazioni con gli attori locali e
fattori firm specific come risorse manageriali legati alla casa madre. Questi maggiori costi
hanno dato luogo a fenomeni quali il Reshoring che consiste nell’abbandono dei paesi per la
ricerca di mercati maggiormente attrattivi e di Back Reshoring, cioè le decisioni di riportare nel
paese di origine tutte o parte delle attività di produzione che era stata precedentemente
esternalizzata in paesi esteri.

Le criticità della catena del valore


Come strumento descrittivo non coglie la complessità del sistema impresa, trascura l’impatto
che la tecnologia ha sulle diverse attività e sul sistema impresa. Evidenzia solo gli aspetti
operativi del marketing, trascurandone il ruolo strategico. Si focalizza sulla trasformazione
fisica, per cui sembra non allontanarsi dal concetto di filiera produttiva. Si focalizza sui core
asset, non considera gli asset complementari (competenze complementari). Solo con essi
l’impresa può difendersi dall’appropriazione da parte degli imitatori di una competenza firm
specific. Non è sufficiente se l’attività dell’impresa fa parte di un più vasto flusso di attività
chiamato “sistema del valore”. Le imprese di successo non aggiungono solo valore, lo
reinventano e le strategie devono essere rivolte a riconfigurare i ruoli e le relazioni tra una
costellazione di attori per la coproduzione di valore.
Le costellazioni di valore
Le imprese possono fare leva sulle risorse della rete (mobilizzandole e configurandosi) per
essere accessibili ed adattarsi nella cocreazione di valore con altri attori. La densità è la misura
della quantità di risorse disponibili ad un attore per cocreare valore.
Si può comunque utilizzare la catena del valore ex-ante, cioè prima di una riconfigurazione dei
ruoli, per mapparli ed ex-post, cioè dopo una riconfigurazione, per valutare le azioni
intraprese.

Ogni impresa occupa una posizione all’interno del sistema del valore: i fornitori creano e
consegnano gli input alle imprese clienti; le imprese produttrici, trasformando gli input,
aggiungono ad essi valore, l’output delle imprese produttrici si dirige verso i compratori
passando attraverso le catene del valore dei canali di distribuzione che, a loro volta,
aggiungono valore ai beni ricevuti dai produttori.
Per Normann e Ramirezz il valore non si verifica in catene sequenziali, ma in costellazioni
complesse e l’obbiettivo di questa nuova logica di valore porta l’impresa a coinvolgere clienti,
fornitori, alleati e partner per coprodurre offerte sempre più complesse e variegate. La
cocreazione di valore è un processo dinamico ed interattivo all’esterno dell’impresa.
La diffusione della conoscenza può permettere alle unità della rete di reagire più rapidamente
ai cambiamenti che avvengono nell’ambiente esterno. Per la sopravvivenza delle reti è
necessario che ciascun attore accetti alcune situazioni di compromesso, quali la capacità di
sacrificare la propria autonomia e gli obiettivi individuali a favore della collaborazione e
dell’interesse comune. Il compito principale dell’impresa diventa, dunque, quello di
riconfigurare le proprie relazioni all’interno della rete.

29\09
CAPITOLO 3

La logistica

I contenuti dell’attività logistica


La logistica in entrata e uscita implementa, cotrolla e gestisce il flusso e lo stoccaggio di
materie prime, semilavorati e prodotti finiti, nonché i flussi informativi connessi alle attività da
svolgere. Essa si distingue strumentalmente in attività poste a monte dell’attività di
produzione ed attvità poste a valle.

Il fondamento del concetto di logistica in entrata è rappresentato dalla


minimizzazione del costo totale delle attività logistiche (efficienza delle attività),
dato un obbiettivo di livello di servizio da garantire (efficacia delle attività). Il livello
di servizio è dato dal rapporto tra gli ordini evasi e quelli pervenuti, più soddisfo i
clienti con ordini evasi, più è maggiore il livello di servizio.
E’ possibile suddividere i costi logistici in 5 gruppi:
-costi di mantenimento delle scorte
-costi di magazzinaggio
-costi di trasporto e distribuzione
-costi inerenti ai lotti
-costi di gestione ordini e dei sistemi informativi
La logistica è, quindi, il collegamento tra il mercato e l’ambiente operativo
dell’azienda.
Il ruolo del magazzino
Negli anni il ruolo del magazzino è mutato, da uno dei tanti anelli della catena a
snodo fondamentale per il sistema logistico. I magazzini svolgono la funzione di
“contenitori” delle merci stoccate e quella di “trasformatori” dei flussi in uscita.
I transit point possno essere visti come centri di distribuzione (CEDI) in cui viene meno la
funzione di stoccaggio e rimane smistamento e distribuzione.

-Push: sistemi “product oriented”. Le aziende riforniscono un bacino di punti vendita e


distribuiscono i prodotti sul territorio.
-Pull: informazioni risalgono a ritroso nel sistema distributivo. I punti vendita emettono
gli ordini ai pochi depositi periferici o ai CEDI.
Le operazioni di magazzino
Le operazioni di magazzino sono molteplici, tutte orientate alla migliore funzione delle
merci in un’ottica di massimizzazione dell’efficienza.
1. Ricevimento delle merci: verifica della rispondenza qualitativa tra quanto richiesto e
quanto rilasciato
2. Stoccaggio: posizionamento dei materiali all’interno di specifiche strutture, poste in
una data area del magazzino
3. Movimentazione interna: intenso impiego di applicazioni software ed adeguato
investimento infrastrutturale (picking)
4. Spedizione: “estinzione” dei materiali all’interno del sistema logistico

30\09

Lo stoccaggio
Per le operazioni di stoccaggio, le soluzioni più evolute forniscono agli addetti le
informazioni necessarie per individuare la migliore allocazione disponibile per un dato
materiale. Occorre inserire una mappa del magazzino per ottimizzare l’allocazione, in cui
si abbia una suddivisione delle aree di stoccaggio e alle caratteristiche delle strutture di
stoccaggio si associano gli elementi peculiari del materiale da stoccare (peso dell’unità di
carico, esigenze di climatizzazione\refriggerazione). La mappa prevede, poi, una
classificazione su più livelli in cui si identificano:
-Il tipo di magazzino, che è la struttura fisica o una parte di essa che si caratterizza per il
sistema di stoccaggio adottato (unità di carico (UdC) –insieme di colli separati che
possono essere trasportati insieme come un’unica entità –come palletto contenitori) o la
specifica funzione assolta (es. climatizzazione)
-l’area, cioè il raggruppamento celle con uguali caratteristiche
-la cella che rappresenta l’unità di spazio più piccola accessibile in un tipo di magazzino.
Con essa si definisce il luogo preciso all’interno del quale il materiale può essere
immagazzinato.

I criteri di allocazione delle celle


• allocazione dedicata a ogni singolo articolo -dedicated storage: ogni cella del
magazzino è assegnata in via esclusiva a uno specifico codice
• allocazione per classi di prodotti -class-based storage: prevede l’assegnazione delle
zone del magazzino più accessibili alle classi con indice di rotazione maggiore
• allocazione casuale -random storage: massimi vantaggi con riferimento alla riduzione
della potenzialità ricettiva necessaria, ma risultati molto meno validi in termini di tempi di
accesso alle celle
Per valutare il grado di sfruttamento degli spazi disponibili, si definiscono i seguenti indici
caratteristici:
• Indice di saturazione superficiale: esprime il rapporto tra la superficie coperta dalle
merci immagazzinate/superficie totale del magazzino
• Indice di saturazione volumetrica (o rendimento volumentrico): volume occupato dalle
merci immagazzinate/volume totale del magazzino
• Indice di selettività: rapporto tra movimenti utili/numero totale dei movimenti
necessari per prelevare un codice.

Le opzioni di picking
Per la movimentazione interna vi è una gestione dei magazzini che consente di
razionalizzare i flussi di prelievo, frazionando gli stessi attraverso la produzione di
specifici documenti denominati pickinglist. Le operazioni di picking più diffuse sono:
• picking per ordine: da ogni cella viene prelevato il numero di pezzi richiesto da ogni
singolo ordine (ordini evasi in sequenza; probabilità di rifare gli stessi percorsi più volte)
• picking per lotti: da ogni cella viene prelevato il numero di pezzi corrispondente alla
quantità richiesta da un insieme di ordini (minor numero di percorsi, prevedere a valle
del prelievo un’operazione per assegnare a ogni singolo ordine i pezzi corrispondenti)
• picking a zone: l’ordine viene suddiviso per zone di prelievo e le singole frazioni
d’ordine vengono riunite prima della spedizione.
• Sistemi digitali per il picking: presenti nelle realtà più evolute. La lista cartacea è stata
sostituita da segnalatori luminosi e display che indicano direttamente le voci da
prelevare. (pick-to-light; voice picking, etc.)
Nel caso in cui l’ausilio dei sistemi di automazione è circoscritto alla movimentazione di
grossi volumi, il prelievo avviene “operatore verso materiale”. Nel caso di magazzini
automatici, i contenitori vengono di volta in volta richiesti alla postazione fissa
dell’operatore e la movimentazione avviene “materiale verso operatore”.

La gestione delle scorte


Tra i compiti più importanti della logistica industriale all’interno del contesto aziendale,
quello fondamentale è di stabilire i livelli di materiali a magazzino in modo da soddisfare
la domanda prevista in maniera efficiente. Le scorte rappresentano una parte consistente
del capitale circolante ed assumono un ruolo cruciale nella gestione della supply chain
(catena di fornitura che comprende tutti gli attori a monte e a valle dell’impresa) poiché
permettono di regolare lo svolgimento dei processi di acquisto, di trasformazione e di
distribuzione delle produzioni realizzate.
Le scorte possono essere definite come un insieme di materie prime [MP], semilavorati
[SL] e prodotti finiti [PF] che in un determinato momento sono in attesa di partecipare a
un processo di trasformazione o distribuzione.
Ma perché detenere delle scorte ? I motivi che portano a gestire uno stock sono:
• Contenere i costi di acquisto (anche fluttuazioni e speculazioni) MP -> trarre vantaggio
dagli sconti di qualità
• Tenere conto della variabilità dei tempi di riapprovvigionamento MP
• Alimentare le lavorazioni in corso (saturare la capacità produttiva risorse) MP/SL
-> mantenere basso il costo di produzione e ridurre al minimo i ritardi di produzione per
mancanza di pezzi di ricambio
• Isolare i centri di lavoro rispetto alle fasi a monte e a valle MP/SL
• Far fronte alla variabilità della domanda PF -> Tenere conto delle variazioni stagionali.
Si deve arrivare ad una certa quantità di magazzino per far partire l’ordine e far arrivare
altre cose.

Gestione delle scorte centralizzate


Le imprese utilizzano la medesima politica di gestione delle scorte in riferimento agli
stock di prodotti finiti di produzione interna. Alcune differenze avvengono in
relazione alla domanda in termini di:
• prevedibilità
• regolarità nel tempo
Tale differenziazione prevede l’adozione di tre diversi modelli di gestione delle
scorte:
-ad intervallo fisso
-a punto di riordino
-a ripristino

Ad intervallo fisso
Vale per i prodotti con domanda sufficientemente prevedibile e regolare nel tempo.
Secondo tale modello ogni articolo viene riordinato ad intervalli prefissati costanti di
tempo in quantitativi variabili, tenendo conto del trade-off esistente tra costo di
emissione di una riga d’ordine che spingerebbe verso un intervallo di riordino più
lungo e il costo di mantenimento delle scorte che spingerebbe verso un intervallo di
riordino più ridotto.
L’intervallo di riordino T viene espresso dalla formula seguente:
T = [ √(2 x Ce) ] / [√(p x Cp x Dpr) ]
Dove:
-Dpr = vendite annue previste
-Ce = costo di emissione di una riga d’ordine
-p = prezzo unitario annuo di acquisto dell’articolo
-Cp = costo percentuale (annuo) di mantenimento delle scorte.
Trascorso l’intervallo di riordino T dall’ultima ordinazione, viene riordinato un
quantitativo di merce Q necessario a riportare la scorta disponibile (Sd) ad un livello
di scorta massimo desiderato (Smax) che consente di coprire gli ordini previsti sia
nel corso di intervallo di riordino sia nel tempo di reintegro del fornitore. Quindi.
Q = Smax – Sd
Dove:
Sd = scorta in mano + scorta ordinata – scorta impegnata

Occorre poi distinguere:


-scorta in mano: scorta fisicamente presente ed immediatamente utilizzabile
-scorta ordinata: quantità già ordinata, ma non presente fisicamente e non
utilizzabile
-scorta impegnata: quantità già ordinata ed attribuita ad un cliente, ma fisicamente
non presente.
La scorta massima, oltre alla domanda futura Dpr prevista durante l’intervallo di
riordino T ed il tempo di reintegro t, prevede un quantitativo a titolo di scorta di
sicurezza (Ss)
Smax = Dpr (T + t) + Ss
Dove :
Dpr (T +t) = vendite previste nel corso dei tempi di riordino e reintegro
Ss = k x e (T + t)
Dove:
e (T + t) = errore previsionale mediamente commesso dal programma di previsione
vendite in riferimento al tempo di riordino
k= coefficiente di sicurezza
K è il livello di servizio che si vuole offrire al cliente in termini di disponibilità a scorta
degli articoli ordinati, un livello di k, infatti, aumenterà le scorte di sicurezza e
ridurrà il rischio che l’articolo ordinato risulti fuori scorta o in rottura di stock.

Punti di forza
• Ordini proporzionali alle vendite previste
• Scorta di sicurezza variabile anche in funzione della domanda
• Possibilità di raggruppare gli ordini provenienti da uno stesso fornitore
• Possibilità di programmare gli ordini/gli arrivi (attesi)

Punti di debolezza
• Più alto livello medio delle scorte
-Riduzione del n. d’ordini complessivamente emessi
-Migliore organizzazione delle attività di acquisto e ricevimento merci.
• Minore reattività a improvvise variazioni della domanda.

Modello a punto di riordino


Per prodotti con domanda sufficientemente ma non troppo regolare nel tempo le
aziende utilizzano il modello a punto di riordino con il quale viene determinato uno
specifico livello di stock e si riordina una quantità costante (lotto ottimo) ogni volta che la
giacenza scende a quel livello e varia l’intervallo di tempo fra un ordine e l’altro. Dunque
ogni articolo viene riordinato in quantità costanti ogni volta che la scorta disponibile
raggiunge un livello prefissato, detto punto d’ordine.
La quantità ottimale da ordinare Q viene calcolata bilanciando il costo di mantenimento
dello stock con quello dell’emissione dell’ordine. La quantità di riordino influisce sul costo
di mantenimento dello stock perché quanto più è elevata la quantità ordinata tanto più
lunga sarà la sua permanenza in deposito e più elevato il costo di stoccaggio.
La quantità EOQ (Economic Order Quantity), detta lotto economico di acquisto, rende
minimo il costo totale di approvvigionamento, ed è il punto minimo della curva del costo
totale di approvvigionamento

EOQ = [ √(2Dpr x Ce) ] / [ √(p x Cp) ]

Quanto più costa mantenere le giacenze in magazzino, tanto più si preferisce un lotto
basso, ecco perché Cp si trova al denominatore, mentre il costo di lancio ordine si trova al
numeratore perché più è alto e più conviene avere un lotto alto, dunque il rapporto tra
questi due con radice quadrata e 2 dà luogo al lotto ottimo di acquisto.
Il valore del punto d’ordine viene determinato in modo da coprire, senza l’uso delle
scorte di sicurezza, la domanda prevista durante il tempo di riordino:

So = Dpr(t) + Ss

Con: SS= k e(t)


Dove: e(t) = errore previsionale mediamente commesso dal programma di
previsione vendite in riferimento al tempo di riordino
t= tempo di riordino (reintegro)
k= coefficiente di sicurezza
Le spese di mantenimento sono proporzionali al prezzo unitario dell’articolo e al
costo di mantenimento delle scorte.
Il livello di riordino può essere calcolato come tasso di inclinazione della domanda
unitaria per il tempo di riordino. La scorta viaggiante è scorta che ordino al
momento in cui arrivo a livello di riordino.
Punti di forza
• Ordini proporzionali alle vendite previste
• Scorta di sicurezza variabile anche in funzione della domanda
Punti di debolezza
• Impossibilità di giungere ad una efficace programmazione dei vari articoli
• Richiede un controllo continuo del livello delle scorte.
Modello di gestione delle scorte particolarmente adatto ad articoli che presentano
volumi di vendita abbastanza consistenti seppure a fronte di una variabilità piuttosto
elevata.

Modello a ripristino
Per prodotti con domanda irregolare e\o estremamente contenuta le aziende utilizzano il
modello a ripristino. Tale modello prevede l’ordinazione di un lotto (minimo) di acquisto
costante ogni volta che la scorta disponibile ha raggiunto un livello minimo prefissato. Il
modello definisce i seguenti aspetti:
-il punto d’ordine estremamente contenuto (in genere 0) e viene fissato senza tener
conto della domanda nel tempo di riordino, ma con il semplice obiettivo di ridurre
quanto più possibile il livello di scorte
-il lotto economico, a causa del livello estremamente contenuto della domanda
coprirebbe spesso periodi di tempo troppo lunghi e viene quindi sostituito con il lotto
minimo d’acquisto imposto dal fornitore.

Gestione delle scorte periferiche

La distribuzione delle scorte periferiche ai singoli depositi segue il Piano di reintegro


scorte depositi che prevede che venga assegnato ad ogni deposito un livello di stock
per articolo in funzione di tali impegni o scarichi di scorte e in funzione del venduto
previsto. Di solito, le previsioni di vendita sono mensili e si basano sul venduto
storico degli ultimi 12 mesi. Per dare maggior rilevanza al trend delle vendite viene
utilizzato il modello exponential smoothing (smorzamento esponenziale) che
assegna pesi relativi maggiori alle vendite dei mesi più recenti.
Per calcolare la quantità di ogni singolo articolo da assegnare a ogni deposito :

Reintegro scorte a depositi = Reintegro teorico – scorte disponibili presso deposito

Il reintegro teorico corrisponde alle vendite previste in riferimento ad un periodo di


tempo composto dall’intervallo di reintegro ai depositi e dai giorni di copertura delle
scorte di sicurezza.
In contrapposizione a questo modello si pone il «modello giapponese» del Just in
Time (segue la logica pull) che prevede la riduzione delle scorte. Ma:
-i fornitori devono essere in termini assoluti affidabili, precisi, di grande qualità
poiché la produzione non si deve mai fermare
-qualsiasi malfunzionamento di impianti e macchinari potrebbe impattare in
maniera significativa
-per lavorare senza scorte è necessario il numero degli item da gestire sia piccolo
-si rende necessaria la partecipazione attiva degli addetti
-il layout di stabilimento deve rispettare le caratteristiche di «produzione a flusso»
che stanno alla base della gestione a scorte zero.
CAPITOLO 4

La produzione

La fabbrica riassume il concetto di produzione e per anni ha rappresentato


l’immagine più efficace della rivoluzione industriale, era, cioè, l’infrastruttura fisica
ed organizzativa in grado di convertire produzioni artigianali nella produzione
industriale di serie. Nella concezione moderna, grazie alle tecnologie moderne, il
valore dell’impresa ha assunto un valore immateriale, essa è viva nel suo ruolo di
metafora, non c’è bisogno che se ne giustifichi l’esistenza.
Nel passato l’impresa aveva due scopi fondamentali:
-assicurare una produzione lineare di prodotti finiti da collocare sul mercato tramite
azioni competitive
-assicurare un valore agli investitori
Ha quindi avuto un valore in sé che andava oltre la sua gestione e l’esaurimento di
questo ha portato ad un ripensamento nei confronti della nuova fabbrica che ora
non si vede e diventa un nodo di rete: relazioni, flussi, informazioni, di interessi
convergenti. E’ un grande contenitore di idee e di logiche per svilupparle e può
essere considerata come luogo diffuso: vive nel bisogno del consumatore,
nell’intuizione di un imprenditore e nella competenza di un operatore. Assume
quindi un significato che va oltre la sua localizzazione fisica.

Il ruolo delle operations


Le operations o attività operative sono tutte quelle relative alla produzione di beni o
erogazione di servizi all’interno di un’impresa. Tutte le imprese, siano esse
produttrici di beni o servizi, svolgono, al centro del loro percorso di creazione del
valore, un’attività di trasformazione di risorse che costituiscono gli input del
processo produttivo in altre risorse, cioè output, aventi diverse caratteristiche e
funzionalità con la finalità di soddisfare le richieste della domanda.
Le decisioni in ambito delle operations hanno un forte ruolo strategico. Negli studi
manageriali, infatti, si fa sempre più spazio al concetto di operations strategy, inteso
come il percorso di decisioni che condizionano e plasmano le capabilities e
forniscono il loro contributo alla strategia complessiva di lungo periodo. La gestione
delle operations è importante perché coinvolge gran parte delle risorse e delle
attività della catena del valore e la sua gestione, quotidiana e tattica, è funzionale
per la realizzazione di obiettivi strategici di lungo periodo. Il rapporto tra la strategia
dell’organizzazione e le sue operations è determinante per il successo dell’impresa.
E’ possibile che si dia luogo, però, a dei conflitti causati da obiettivi discordanti,
esempi ne sono i conflitti tra le operations e le attività di marketing sono centrati sul
desiderio probabile dei manager di garantire che le operazioni si focalizzino sul
soddisfacimento del cliente.
I conflitti tra attività produttive e contabilità e finanza sono incentrati
sull’orientamento di quest’ultima su una gestione più efficiente.
Così come i conflitti con le risorse umane che riguardano le assunzioni, la
formazione, ecc.
Scelte della produzione, le economie di scala
Nello svolgimento della propria attività l’impresa industriale è condizionata dalla
struttura esistente, infatti, una delle principali scelte in ambito produttivo è la
definizione dell’assetto dimensionale della struttura produttiva.
La determinazione della struttura e dunque della capacità produttiva è una delle
scelte più importanti per l’impresa.
Le scelte della produzione riguardano l’assetto infrastrutturale, dunque, la
dimensione e la capacità produttiva.
La capacità produttiva nel breve periodo, è un dato strutturale ed indica il livello
potenziale di output realizzabile (o di input disponibili) grazie all’impiego dei fattori
produttivi in un intervallo di tempo.
Mentre il dimensionamento della capacità produttiva indica la definizione della
dotazione (numero/tipo) di fattori produttivi per lo svolgimento delle attività.
Funzionale al concetto di dimensionamento produttivo è la possibilità per l’impresa
di sfruttare eventuali economie di scala e di varietà.
Le economie di scala, quindi, posso essere definite come la riduzione del costo
medio unitario del prodotto o servizio derivante dall’aumento del volume di
produzione e costituiscono un modello statico.
L’ottenimento delle economie di scala rappresenta un risparmio di risorse che si
realizza per effetto dell’aumento della capacità produttiva.
Alla base del fenomeno ci sono numerose determinanti:
-La prima fa riferimento alla possibilità che determinate combinazioni di fattori
produttivi consentono di variare il complesso degli input a fronte di cambiamenti
meno che proporzionali dell’output, dando luogo a redimenti crescenti o
decrescenti secondo la legge dei rendimenti non proporzionali.
L’indivisibilità dei fattori incide sull’ottenimento di economie di scala in quanto
spesso i macchinari non possono essere frazionati sotto una certa soglia.
Per ciò che concerne le economie di scala “tecnologiche” le fonti del risparmio di
costo possono essere molteplici in funzione dell’utilizzo dei diversi macchinari, ma
anche di risorse umane.
Si ottengono economie di scala anche dall’accumulo delle conoscenze e
dell’apprendimento acquisito dal personale al crescere del volume di produzione, il
cosiddetto learning by doing consente di incrementare l’efficienza del personale che
per ogni mansione, grazie all’effetto dell’esperienza, migliora i metodi, riduce gli
errori ed aumenta la produttività.
-L’altra determinante alle economie di scala è da rinviare nel livello di
specializzazione, ovvero la riduzione dei costi conseguente alla scomposizione dei
processi produttivi in fasi elementari. Le economie di specializzazione consentono la
standardizzazione produttiva e sono una fonte per le economie di scala perché la
replicabilità delle operazioni riduce il costo medio unitario di produzione.

Per quanto riguarda, invece, i significati assunti dal concetto di capacità produttiva,
questi sono:
-capacità teorico-nominale: massimo flusso di beni o servizi ottenibili in un dato
intervallo di tempo dichiarato dal produttore dell’apparecchiatura (OEM, Original
Equipment Manifacturer)
-capacità teorico-effettiva: massimo flusso di beni o servizi ottenibili in un dato
intervallo di tempo in condizioni normali se l’impianto viene spinto al massimo
(CTE). Tale capacità risulta inferiore a livelli “nominali” di quella teorico-nominale
-capacità ottimale o economica: flusso di beni o servizi ottenibili in un dato
intervallo di tempo al costo unitario più basso possibile (CE).

Mentre la capacità produttiva è un valore che rende conto alla dimensione


dell’impianto, la produttività è invece un valore variabile tra 0 e la capacità
produttiva teorico-effettiva e dipende dal grado di utilizzo dell’impianto stesso,
quindi è il flusso fisico di beni o servizi che si raggiunge o si intende raggiungere in
un dato intervallo di tempo.
Alla capacità produttiva è legata, nelle imprese industriali, la preponderante parte
dei costi fissi. Questi sono costituiti principalmente dalle quote di ammortamento
dei terreni, fabbricati, macchinari, ecc. I costi variabili sono, invece, quelli derivanti
dall’utilizzo dei fattori di flusso della produzione e variano al variare del grado di
utilizzo dell’impianto mentre risultano pari a zero in assenza di produzione. I costi
totali sono dati dalla somma dei costi fissi e dei costi variabili.
Costruendo un grafico riferito all’intervallo di tempo considerato che riporta
sull’asse delle ascisse la quantità prodotta e su quello delle ordinate il costo
corrispondente, i costi fissi sono rappresentati dalla semiretta CF, i costi variabili
della semiretta CV, i costi totali della semiretta CT.
La semiretta cte avente origine nel punto CTE corrispondente al valore della capacità
teorico-effettiva ex-ante rappresenta il limite delle curve di costo. All’aumentare del
grado di utilizzo dell’impianto (q\cte) fino a raggiungere il livello della capacità
produttiva teorico effettiva CTE, il costo di una unità di prodotto (costo unitario, cu)
segue l’andamento descritto dalla seguente equazione:
cu = CF\q + CV\q

Risulta evidente che il rapporto CF\q diminuisce per l’aumentare del denominatore
fino a raggiungere il valore CF\CTE, il cvu è il valore costante pari alla tangente
dell’angolo alfa sotteso ai costi variabili. La somma dei valori decrescenti fino al
valore di q = CTE e dell’addendo costante CV\q è anch’essa decrescente e presenta il
minimo in corrispondenza della capacità teorico effettiva CTE.

Andamento dei costi in funzione del grado di utilizzo dell’impianto:

Quindi costruisco una retta parallela, ma sfalsata verso l’alto.

Considerare un costo unitario costante traduce la circostanza per la quale ciascuna


unità di prodotto ha lo stesso costo della precedente.
Nella realtà operativa, risultano ben rari i casi in cui il costo variabile unitario sia
fisso.

L’andamento dei costi variabili nei casi reali è legato essenzialmente all’effetto
learning, ovvero allo svilupparsi di economie di apprendimento e di funzionamento
dell’impianto. Il punto di minimo dei costi unitari di produzione non coincide con
quello relativo alla capacità produttiva effettiva, ma si colloca generalmente ad un
valore tra il 60% e l’80% di essa, in corrispondenza di CE.
La realizzazione di nuovi impianti ed il correlato aumento della capacità produttiva
può essere rappresentata graficamente, in particolare si supponga che un’impresa
raddoppi le dimensioni dei propri impianti sostituendo l’impianto A con quello B
avente capacità produttiva doppia rispetto ad A (CTEb = 2CTEa).
I costi fissi assumono un andamento a scalino. Nel passaggio dall’impianto A
all’impianto B di dimensioni doppie, tali costi risulteranno più alti, ma per l’insorgere
delle economie di scala, essi non saranno pari al doppio di quelli corrispondenti
all’impianto A. Si determina uno spostamento delle singole curve di costo medio
unitario verso destra nonché verso il basso per il dispiegarsi delle descritte
economie di scala.
Pertanto il costo di realizzazione dell’impianto decresce all’aumentare della
dimensione.

La curva teorica unisce i punti di minimo dei costi medi unitari al variare di ciascuna
dimensione dell’impianto rappresenta la tendenza di lungo periodo dell’impresa a
variare le combinazioni produttive verso quelle a maggiore dimensione, tale curva
prende il nome di curva dei costi unitari di lungo periodo.
Esaminando tale curva si può si può notare la presenza di un tratto parallelo all’asse
delle ascisse, si può, cioè, riscontrare l’esistenza di impianti di dimensioni diverse
che tuttavia presentano uguali valori minimi dei costi unitari. Tali punti vengono
definiti rispettivamente DOM e DEM e coincidono quando si ha un unico punto di
minimo del costo medio unitario di lungo periodo (curva ad U e non ad L).
Il concetto di Dimensione Ottima Minima (DOM) costituisce la capacità produttiva
“ottima” dell’impianto industriale, in quanto questa dimensione permette di
produrre, in una prospettiva di lungo periodo, al minimo costo unitario. Il
superamento di tale soglia esprime un volume di produzione oltre il quale i
rendimenti di scala cominciano a decrescere generando “diseconomie di scala”. Le
cause possono essere soprattutto che il tasso di sviluppo dimensionale dell’impianto
trova i suoi limiti nella dimensione della domanda.
La Dimensione Efficiente Massima (DEM) rappresenta il livello di produzione oltre il
quale la curva dei costi di lungo periodo tende ad aumentare per l’insorgere delle
diseconomie di scala, indica che non si è più efficienti a livello.
Le cause di tali diseconomie possono essere maggiori costi di gestione del
magazzino.
Tutto ciò, sempre che
-sia possibile stimare domanda, che sia stabile ed omogenea (produzione di di
grandi volumi)
-ci sia un mercato per una domanda elevata
-sia tecnicamente fattibile aumentare la capacità
-ci si occupi di beni più che di servizi.
La tendenza delle imprese a raggiungere una dimensione tecnico produttiva ottima
minima è riscontrabile in condizioni di mercato connotate da una domanda in grado
di assorbire l’intera offerta. Tuttavia anche in condizioni di mercato favorevole per
l’impresa ci sono ostacoli, l’impresa di navigazione marittima, ad esempio, non può
aumentare le dimensioni dei propri fattori produttivi, cioè le navi, oltre determinate
dimensioni per il vincolo imposto dal pescaggio dei terminali portuali toccati o da
quello portato attraverso l’attraversamento dei canali. La tendenza dell’impresa a
oltrepassare una determinata dimensione deriva da:
-il vincolo imposto dal mercato: l’impresa deve valutare il tasso di crescita della
domanda
-il vincolo tecnico-economico che impone di non superare una determinata soglia
dimensionale.

Le economie di scopo e varietà


Si definiscono tali le economie volte al raggiungimento di un vantaggio di costo
derivante dalla produzione di diverse tipologie di output mediante l’impiego di un
medesimo impianto. Sono spesso denominate «di portata», «di finalizzazione», «di
ampiezza», «di raggio d’azione» o «di flessibilità».
Le economie di scopo sono misurabili tramite la differenza tra il costo di produzione
di due prodotti con due impianti diversi e il medesimo costo di produzione con
l’utilizzo di un unico impianto. La relazione può essere rappresentata dalla seguente
equazione:
C(x+y) < C(x) + C(y)

Oltre alle economie di scopo produttive è possibile ottenere dei vantaggi di


ampiezza anche in attività non direttamente collegate con il processo produttivo,
come la R&S (Ricerca e Sviluppo), il marketing, il trasporto e le spese generali.
Negli anni si è preso in considerazione anche il ruolo delle risorse immateriali nella
creazione di economie di raggio d’azione. A titolo esemplificativo si parla di
Umbrella branding quando avviene l’utilizzo condiviso dello stesso marchio,
simultaneamente impiegato per promuovere diversi prodotti.
La presenza di economie di scopo sottende l’esistenza di:
• capacità produttive non completamente utilizzate
• fattori della produzione con capacità produttiva illimitata (know how).
Le economie di varietà comportano la diminuzione di costo (della varietà o della
variabilità di gamma produttiva) derivante dalla possibilità di usare sistemi flessibili
di produzione.
I pericoli dell’overcapacity
La dimensione e sofisticazione della domanda hanno condizionato in modo rilevante
la progettazione e lo svolgimento delle attività produttive, con un conseguente
squilibrio tra domanda ed offerta.
Una delle implicazioni principali è la presenza di capacità produttiva in eccesso,
tipica dei settori capital intensive, dove la capacità produttiva non è utilizzata
interamente per la produzione. L’overcapacity rappresenta un forte vincolo per le
imprese che nella ricerca di economie di scala e di esperienza si trovano a gestire
elevati costi fissi ed una domanda ridotta.
Mentre nel breve periodo questo fenomeno è facilmente gestibile per le fluttuazioni
della domanda, nel lungo periodo può essere pericoloso a causa dei
sovrainvestimenti che possono minacciare il livello di profittabilità, a causa del
mancato raggiungimento da parte dell’impresa del break even point (punto di
pareggio).
Una risposta possibile può trovarsi:
• attività di marketing configuratasi come reparto di «produzione di clienti», così
l’impresa può collocare il proprio eccesso di offerta sul mercato senza perdere
eventuali guadagni
• modularità dei prodotti e si parla di mass customization in riferimento al tentativo
di ottenere contemporaneamente vantaggi di scala e soddisfazione dei bisogni
individuali del cliente
• bilanciamento sistemi push-pull.
Il diagramma di redditività
La pianificazione delle attività produttive dell’azienda passa attraverso una fase di
valutazione delle scelte di investimento. In questo ambito la break even analisys
permette di focalizzare l’attenzione sulle relazioni costi-volumi-risultati indicando la
quantità di produzione a partire dalla quale l’impresa dovrebbe iniziare a produrre
utili. Dallo studio del punto di pareggio è quindi possibile individuare quello che
Sciarelli chiama “potenzialità economico strutturale” dell’azienda, che delimita
l’ampiezza dimensionale dell’area delle perdite e dei profitti.
La proiezione sull’asse delle ascisse del punto di incontro di RT e CT indica il QBEP,
quel volume produttivo o di vendita che consente di eguagliare i costi e i ricavi,
dunque un profitto pari a zero. Se la quantità prodotta\venduta è pari a Q1 l’azienda
subisce una perdita pari a alla distanza che intercorre tra la curva dei costi totali e
dei ricavi totali, se l’azienda produce\vende una quantità pari a Q2 consegue un
profitto pari alla differenza tra ricavi e costi totali.

Dove:
DeltaRO = ROt+1 – ROt e DeltaR = Rt+1 – Rt
Scelte della tipologia di processo produttivo
Per selezione di processo si intende la decisione strategica relativa alla scelta della
tipologia dei processi produttivi da impiegare nella realizzazione di un prodotto o
nell’organizzazione di un servizio.

Per quanto riguarda le due variabili della matrice di Hayes e Wheelwright, il


prodotto ed i processi, in relazione alla prima, è intuitivo che tra il livello di varietà
della produzione e la produttività esista una relazione inversa cioè, che
all’aumentare della varietà, la produttività necessariamente diminuisce. In relazione
alla seconda variabile, la classificazione dei processi è effettuata in funzione della
regolarità e rigidità dei flussi: si muove da un processo flessibile e frammentario ad
un processo automatizzato e rigido, a flusso continuo.
• La principale caratteristica delle produzioni a flusso continuo, che richiedono un
processo regolare e rigido, consiste:
-standardizzazione degli output e input
-condizioni di funzionamento degli impianti
-ottenimento di beni congiunti e sottoprodotti
-necessità di controllo di qualità e di processo e la produzione è tipicamente per il
magazzino.
• Anche le produzioni Job shop e a lotti si riferiscono a volumi di produzione
crescenti e con una discreta varietà, le risorse dedicate a ciascun prodotto non sono
esclusive, ma condivise con altri prodotti. Nel layout funzionale per il job shop i
centri di lavoro sono distribuiti in modo da minimizzare gli spostamenti, nelle
produzioni a lotti, quando è possibile identificare delle famiglie di prodotti, si lavora
a celle, ovvero macchine diverse vengono allocate insieme in una cella per lavorare
su prodotti simili (forma, processo, etc.).
• Le produzioni in linea sono caratterizzate da una standardizzazione vincolante sia
di processo che di prodotto, vi sono alti volumi di produzione ed uno sfruttamento
di economie di scala mediante l’utilizzo dell’impianto in modo ripetitivo e continuo.
Il posizionamento dell’azienda al di sopra o al di sotto della diagonale continua della
matrice, quindi al di fuori della traiettoria dell’area di coerenza, indica condizioni di
lavoro non perfettamente bilanciate.
Un posizionamento al di sopra evidenzia che gli investimenti fissi realizzati sono
limitati o che il sistema produttivo ha una struttura flessibile da consentire variazioni
abbastanza rapide.
Un posizionamento inferiore indica, invece, che gli investimenti sono elevati in
quanto i macchinari istallati sono “specialistici”, su misura per quello specifico
processo.
Sulla base dei diversi processi produttivi è possibile identificare il giusto layout degli
impianti, ovvero la migliore disposizione fisica dei macchinari ed attrezzature. Per
ogni tipologia produttiva esistono almeno due layout alternativi:

Nuovi modelli di produzione indotti dallo sviluppo delle tecnologie


La variabilità della domanda, la globalizzazione dei mercati di sbocco, che richiede
sempre più il gusto mix tra standardizzazione e adattamento, ha portato le imprese
ad abbandonare i tradizionali criteri di gestione, tendendo a soddisfare le esigenze
di mercato attraverso un’organizzazione elastica e flessibile della funzione di
produzione. Inoltre la flessibilità produttiva oggi è assicurata dallo sviluppo delle
strumentazioni digitali come l’integrazione dei sistemi CAD alla nuove tecnologie
strumentali, che ha permesso lo sviluppo della fabbricazione additiva (additive
manufacturing) ovvero l’insieme dei processi di produzione e di fabbricazione
partendo da modelli digitali. Da un modello CAD 3D, suddiviso in strati da un
software integrato nel sistema di controllo dalla macchina o da servizi online, viene
guidata la stampante 3D nella deposizione dei materiali. Le stampanti 3D diventano
essenziali nel contesto produttivo portando vantaggi nella gestione delle operations.
La principale potenzialità della fabbricazione additiva è la libertà di forma
producibile e l’assenza di costi di trasporto.

Il ruolo dell’ICT nelle attività produttive


Le tecnologie dell’ICT hanno profondamente condizionato tutte le attività della
catena del valore. Lo Smart Manufaturing, denominato anche industria 4.0, può
essere considerato come l’impiego congiunto di differenti tecnologie in grado di
promuovere un cambiamento radicale e strategico dei processi produttivi e le
tecnologie abilitanti alla base del suo successo posso essere classificate in due
grandi insiemi:
- Internet of Things, Big Data e Cloud Computing
-Advanced Automation, Advanced HMI (Human Machine Interface) e Additive
Manufacturing.
Le tecnologie IT presentano numerosi impieghi nei processi produttivi, ad esempio
per la monitorizzazione e misurazione dei processi, migliorando i tempi di risposta di
ciascuno di essi.
Rimangono però dei nodi da sciogliere: risorse, competenze e coordinamento.
CAPITOLO 5

Il marketing

La definizione di marketing dell’AMA (American Marketing Association) è la


seguente: Il marketing è l’attività, l’insieme di istituzioni e processi per la creazione,
comunicazione, consegna e scambio di offerte che hanno valore per i consumatori,
clienti, partner e società ad ampio spettro.
Più che un risultato, è un insieme di attività che individui (marketing managers,
consumatori), organizzazioni (produttori, grossisti, rivenditori, agenzie di pubblicità,
distributori) e imprese che si occupano di marketing research possono svolgere.
Le istituzioni possono, sia individualmente che collettivamente, aiutare a facilitare e
governare queste attività (associazioni di professionisti, norme sociali ed etiche). I
processi, invece, sono quelli che risultano dalle suddette attività (network, canali di
distribuzione, flussi di comunicazione).
Per consumatori si intendono gli acquirenti attuali o prospettici delle offerte, per
clienti si intendono coloro che utilizzano i prodotti, il focus dunque è no profit, i
partner, invece, sono imprese e business associati con l’impresa presa in
considerazione ed infine le società ad ampio spettro sono quelle che non si
approfittano solo delle iniziative, ma si interessano anche alle loro ricadute sociali.
Il valore è il beneficio e l’utilità apportato agli stakeholder.
La “consegna” e la pianificazione e programmazione della co-creazione del valore
costituisce la responsabilità assegnata alle attività di marketing.
Tra le principali leve del marketing è possibile individuare:
• Insieme degli attributi del prodotto/servizio
• Definizione del prezzo di vendita
• Scelta del canale e degli sbocchi distributivi
• Pianificazione delle attività promozionali e di comunicazione commerciale
Nell’ambito della commercializzazione, occorre occuparsi della gestione di:
• forza vendita
• servizi post-vendita
• valutazione della custom satisfaction
Negli attuali contesti competitivi l’orientamento al mercato dell’impresa si prefigura
come una condizione gestionale necessaria per garantire all’impresa stessa una
maggiore probabilità di sopravvivenza.
Nella catena del valore le attività primarie di marketing e vendite e servizi post-
vendita coincidono con l’implementazione delle politiche del marketing mix
(marketing operativo).
Le fasi analitica e strategica non rientrano nelle attività primarie ma sono da
includere nelle attività infrastrutturali. L’attività di marketing deve avere un
orientamento strategico.
Le informazioni generate dal sistema informativo del marketing contribuiscono alla
formazione di strategie competitive nell’ambito di ogni ASA (Area Strategica d’Affari
che riguarda la combinazione di prodotto/mercato, individuata da un insieme di
economie (clienti) servite da specifici prodotti e/o servizi).
Un modello di interpretazione dell’ambiente esterno predisposto nell’ambito delle
attività analitiche del marketing è rappresentato dalla SWOT Analysis ed in tale
modello si procede alla valutazione dell’impatto delle variabili ambientali, che
determinano le opportunità e le minacce sulla situazione competitiva e sulla
struttura d’impresa.
Nella fase strategica sono compresi anche la definizione del mercato (ASA), la
segmentazione del mercato, la scelta del target e la selezione del posizionamento.
La segmentazione del mercato
La segmentazione del mercato rappresenta la suddivisione degli
acquirenti\consumatori di un’area prodotto\mercato in gruppi e consente di
identificare i gruppi distinti di consumatori ed acquirenti che evidenziano bisogni
relativamente omogenei al loro interno.
L’obiettivo della segmentazione del mercato è quello di identificare delle dimensioni
critiche rispetto alle quali gli acquirenti si differenziano tra loro e fornire ai decisori
di marketing i profili e le caratteristiche dei gruppi individuati. Tra tali gruppi,
l’impresa procederà alla selezione del segmento di mercato in cui intende
competere soddisfacendo un bisogno specifico mediante la definizione di uno o più
programmi di marketing, il piano di marketing segue sempre un approccio di tipo
processuale e sequenziale.
L’analisi del mercato è un processo soggettivo compiuto dalle imprese in funzione di
strumenti e variabili d’analisi utilizzate.
I livelli di segmentazione sono la macrosegmentazione e la microsegmentazione.
La macrosegmentazione consiste nella scomposizione del mercato di riferimento in
prodotti-mercati (o business units) con tre fattori: bisogni-acquirenti-tecnologie.
La microsegmentazione, invece, consiste nella scomposizione dei prodotti-mercati e
analisi della diversità dei bisogni all’interno dei prodotti-mercati identificati, si può
puntare al One Mass Market oppure ad una nicchia.
I criteri utilizzati per l’identificazione dei segmenti di mercato sono vari:
-Quelli di tipo descrittivo sono rappresentati dalle caratteristiche socio-
demografiche, economiche, geografiche o psicografiche, quali ad esempio sesso,
età, livello di istruzione
-La conoscenza del comportamento d’acquisto e di consumo degli acquirenti
-Un ulteriore categoria è del “beneficiario ricercato” da parte del consumatore
attraverso la quale l’impresa cerca di individuare le motivazioni di scelta di una
determinata alternativa d’offerta in funzione della valutazione da essi condotta sui
benefici primari e secondari conseguibili. La benefit segmentation è utilizzata nei
beni di consumo quali i detergenti ed i dentifrici.
-Ancora vi è una segmentazione comportamentale ed
-una segmentazione socio-culturale o per stili di vita.
La microsegmentazione del mercato, dunque:
• Consente di suddividere il mercato di riferimento in micro-mercati più omogenei.
• Consente di adeguare i sistemi d’offerta dell’impresa ai bisogni/aspettative di
ciascun segmento di clienti obiettivo.
• Consente di implementare le strategie di marketing d’impresa nella prospettiva
della varietà/variabilità delle esigenze del mercato (customer-drive management)
• Processo di management per identificare uno o più segmenti target prioritari sui
quali concentrare gli sforzi di marketing per ottenere una posizione competitiva
sostenibile. Una volta segmentato il mercato, si procede alla scelta del target cui
riferirsi.
A partire dalla mappa di segmentazione sarà possibile individuare i segmenti
attrattivi (per esempio per dimensione, potenziale di crescita, accessibilità)
combinando i dati sui segmenti con le risorse e competenze dell’impresa. Si potrà
dunque individuare il/i segmento/i target cui indirizzare le offerte dell’impresa (con
cui co-creare valore).
Il posizionamento del prodotto
Il processo di posizionamento mira a soddisfare tre condizioni:
a) Creare un sistema d’offerta che sia una fonte di valore d’uso (beneficio) per il
segmento target
b) Creare una proposta di valore differente rispetto a quella dei concorrenti
c) Creare un’immagine della proposta di valore riconoscibile e memorizzabile.
Il posizionamento si riferisce alla «posizione» nella mente del consumatore rispetto
all’insieme delle scelte inerenti l’immagine desiderata, gli attributi del prodotto, la
comunicazione, la distribuzione ed il prezzo.
Non tenere conto delle preferenze del mercato vuol dire cadere nella «trappola
strategica» (Marketing miopia, Levitt) di adottare un processo decisionale
autoreferenziale.
Le finalità del posizionamento sono definire e far percepire gli attributi tangibili ed
intangibili del prodotto in funzione dei benefici attesi rilevanti stabiliti dal
consumatore potenziale nel processo d’acquisto e l’obiettivo è la creazione di una
preferenza stabile per la marca.
Con il posizionamento si chiude la fase analitico-strategica delle attività di
marketing.
Le variabili del marketing mix

1 LEVA : La politica del prodotto

Nell’ottica commerciale la definizione di “prodotto” si riferisce alle sue


caratteristiche ed attributi che generano utilità per l’acquirente. Nei beni alimentari,
ad esempio, il packaging può rappresentare un importante elemento di
differenziazione dell’offerta dell’impresa.
Le scelte della combinazione delle caratteristiche del prodotto\servzio devono
essere effettuate considerando le preferenze di mercato e in secondo luogo le
interpretazioni soggettive del marketing (per non incappare nella marketing miopia).
Le caratteristiche del prodotto\servizio incidono in maniera rilevante sui processi
d’acquisto dell’acquirente.
Le categorie di beni possono essere individuate in funzione del livello di
informazione richiesto dall’acquirente nel processo d’acquisto e dal rischio che
percepisce nella decisione. Il fattore rischio può essere ricondotto alla componente
prezzo del prodotto\servizio prescelto.
Ci sono 4 cluster di prodotti in tal senso proposti dall’American Marketing
Association:
-Le prime due categorie sono date dai prodotti convenience and preference ,
prodotti di largo consumo, di prezzo ridotto ed acquisto frequente, sono distribuiti
in modo capillare sul territorio per rispondere alla necessità di compensare una
scarsa predisposizione informativa da parte del cliente. La diversità dei prodotti
risiede nella marca, per quelli preference, infatti, l’impresa cerca di creare
un’immagine di marca unica per il cliente ed hanno per l’appunto generalmente
prezzi più alti
-Ci sono poi i beni di tipo shopping dove rientrano prodotti e servizi di acquisto
sporadico, con prezzo sensibilmente superiore e per tali tipologie il cliente è
disposto ad una maggiore ricerca di informazioni e comparazione, si trovano in
meno punti vendita
-Infine ci sono i beni speciality dove il rischio percepito e lo sforzo per la ricerca delle
informazioni sono massimi. Ne fanno parte i beni di lusso e gli investimenti legati
alle abitazioni. Sono beni per i quali i consumatori sono disposti a pagare di più e
riluttanti nell’accettare sostituti.
-Unsought produt: sono prodotti sconosciuti al potenziale acquirente e che non
vengono a sua conoscenza fin quando il cliente non ne sente il bisogno.
2 LEVA: Le scelte di prezzo

Partendo dall’osservazione che il prezzo costituisce l’unica decisione di impresa che


determina direttamente i ricavi, eventuali errori nella sua definizione potrebbero
minare il successo di un determinato prodotto\servizio.
-Nel processo d’acquisto dell’acquirente, il prezzo costituisce un parametro di
riferimento primario sia per inferire il livello qualitativo del prodotto\servizio, sia per
confrontare tra loro le varie alternative disponibili. A prezzi più elevati si assegna,
normalmente, un livello qualitativo superiore del prodotto corrispondente.
-Il prezzo costituisce la quantificazione monetaria del valore assegnato al bene. Tale
valore rappresenta l’estremo superiore nella sua fissazione, mentre quello inferiore
è costituito dall’insieme di costi imputabili direttamente ed indirettamente al
prodotto. Tale problematica diviene critica per i beni speciality dove il beneficio
ricercato coincide con quello simbolico. Mentre per i beni convenience il prezzo ha
una valenza esattamente opposta, nel senso che il prezzo diviene un elemento di
valutazione e di scelta rilevante “verso il basso”.
Un momento critico per il management di marketing è rappresentato dalla
fissazione del prezzo del prodotto nella fase della sua introduzione nel mercato.
Le opzioni competition-based pricing a disposizione dell’impresa sono
fondamentalmente due:
-vendere il prodotto ad un prezzo elevato ad una parte limitata del mercato
-ricercare la massimizzazione dei volumi di vendita
La prima opzione, detta di “scrematura” (skimming) si utilizza per garantire una
copertura del mercato graduale. La proposta di valore è offerta ai segmenti più alti
del mercato e con elevate disponibilità di reddito. Nel tempo viene ridotto il prezzo
perché aumenta la capacità produttiva e di soddisfazione dei clienti.
All’opposto la “penetrazione del mercato” (penetration) evidenzia l’orientamento
dell’impresa di sviluppare le quantità vendute nel minor tempo possibile in modo da
ridurre i costi unitari.

3 LEVA: La configurazione del canale distributivo

Le scelte legate al canale distributivo riguardano, nella catena del valore, soprattutto
le attività primarie di logistica in uscita e tale processo di creazione del valore in
alcuni casi costituisce un momento critico per lo sviluppo di vantaggi competitivi;
basti pensare alle imprese di prodotti alimentari freschi, la cui consegna ai punti
vendita è collegata fortemente alla soddisfazione del cliente.
Le decisioni inerenti la distribuzione dell’impresa industriale implicano anche la
definizione del livello di utilizzo dei servizi di intermediazione commerciali offerti
dalle imprese specializzate. Il canale distributivo è costituito dalla successione dei
passaggi dall’industria al mercato di sbocco.
La diversa configurazione di tale sequenza, in termini di numerosità di intermediari
utilizzati, dipende da:
-caratteristiche del prodotto in termini di deperibilità, complessità, prezzo, valore
simbolico, ecc.
-risorse disponibili tra cui umane, finanziarie, di punti vendita sul territorio
-struttura dei costi di produzione e di “uso” della rete distributiva
-comportamento dei concorrenti.
La lunghezza da assegnare al canale rappresenta la prima scelta da compiere e si
tratta di definire un numero di livelli di intermediazione da porre tra impresa di
produzione ed il mercato finale.
1. Una prima configurazione prevede l’utilizzo intensivo di intermediari ai livelli di
ingrosso e dettaglio. In questo caso vi è un canale indiretto lungo e la componente
di costo riguarda il margine concesso ad ogni fase di intermediazione.
2. Una seconda alternativa, sempre indiretta, prevede l’uso diretto
dell’intermediazione del dettagliante. In questo caso l’impresa dovrà raggiungere
direttamente i punti di vendita in cui includere la propria offerta ed in questo caso il
costo, oltre al margine al distributore, comprende anche una componente fissa per
l’utilizzo di una struttura logistica.
3. Il canale indiretto breve è utilizzato per beni deperibili e per i beni di tipo
shopping.
4. L’ultima modalità di estensione del canale distributivo è quella diretta (B2B). In tal
caso l’impresa non usufruisce del servizio di intermediazione commerciale,
occupandosi direttamente della consegna del valore al mercato di sbocco. Tale
utilizzo è favorito dall’uso di internet (e-commerce che in tal caso è definito
disintermedio) quale strumento di contatto diretto con il mercato finale.
La seconda categoria di decisioni nell’ambito distributivo è rappresentata
dall’intensità o pressione distributiva, il cui obiettivo è definire il numero di punti
vendita che trattano la stessa categoria di prodotto con cui l’impresa vuole essere
presente, parametro che vale solo per le configurazioni indirette. Le alternative di
pressione distributiva sono tre: intensiva, selettiva ed esclusiva.
1. La distribuzione è intensiva quando l’impresa si prefigge l’obiettivo di garantire
un’elevatissima copertura di mercato ed è la situazione dei beni convenience e
preference.
2. L’intensità selettiva consiste nel selezionare un numero limitato di punti vendita
in modo da poter esercitare un maggior livello di controllo sul canale. I beni
shopping sono distribuiti utilizzando tale livello di pressione.
3. L’ultima modalità di pressione possibile è la distribuzione esclusiva. In questo
caso l’impresa industriale assegna a pochi punti vendita un’esclusiva territoriale per
la vendita del prodotto. Il sistema distributivo del settore automobilistico e qualsiasi
rete di franchising riflettono tale modalità.

4 LEVA: La comunicazione commerciale

Nelle transazioni tra impresa e mercato, oltre al flusso di beni, servizi e risorse
finanziarie, un ruolo primario è volto dal flusso informativo.
La comunicazione commerciale si occupa di offrire ai segmenti target una serie di
informazioni inerenti la differenziazione della propria offerta. In tal modo l’impresa
cerca di convincere il mercato della superiorità del proprio prodotto.
La leva di comunicazione svolge un ruolo essenziale per il perseguimento delle
politiche di posizionamento, in quanto contribuisce a definire e rafforzare
l’immagine di una marca.
-Gli strumenti a disposizione dell’impresa nell’attività di comunicazione commerciale
sono vari, il più noto dei quali è la pubblicità, ma in questi anni le imprese hanno
incrementato anche l’uso di strumenti quali direct market, pubbliche relazioni,
sponsorizzazioni e promozioni.
-Gli obiettivi sono rappresentati dal modello AIDA (Attenzione, Interesse, Desiderio,
Azione) consente di definire una sequenza gerarchica delle reazioni del mercato
ricercate dall’impresa.
Al primo livello, l’attenzione, gli individui devono conoscere l’esistenza di un
prodotto o di alcune sue caratteristiche e ricordarne alcuni suoi aspetti
fondamentali.
Il secondo livello prevede la manifestazione da parte degli individui di un interesse
verso il prodotto e capacità corrispondenti di soddisfare il fabbisogno.
Il terzo consiste nel far desiderare il prodotto al mercato, stimolando la formazione
di un’intenzione di acquisto.
L’ultimo livello è l’azione, cioè la volontà di indurre lì individuo ad acquistare il
prodotto.
L’obiettivo da perseguire cambia in funzione del livello di novità del prodotto e della
marca, della situazione competitiva e delle caratteristiche del segmento di mercato.

I servizi post vendita


I servizi supplementari aggiungono valore al prodotto che diviene così un prodotto
“ampliato”. Il profilo sempre più esigente di un cliente esperto richiede il continuo
sforzo da parte delle imprese ad elevare lo standard dei propri prodotti e servizi
correlati pre e post vendita.
Le determinanti sottese sono la contrazione della domanda, la dilatazione
dell’offerta e la difficoltà di mantenere vantaggi competitivi.
Ogni bene commercializzato\acquistato ha in sé un valore funzionale (servizio di
base) uno aggiunto (servizi supplementari) che fortifica e arricchisce il servizio di
base del bene stesso.
I servizi supplementari, in cui rientra il servizio post vendita, consentono all’impresa
di affiancare il cliente durante tutto il tempo di utilizzo del prodotto, intervenendo
per risolvere i problemi e migliorare la fidelizzazione. Tali servizi successivi
all’acquisto riguardano l’assistenza tecnica, come la manutenzione, la riparazione,
l’addestramento, ecc.
L’assistenza tecnica, definita anche service, rappresenta una dalle attività di
supporto della vendita dei prodotti e si qualifica come il complesso delle attività di
servizio rivolte al consumatore il cui scopo è garantire un buon livello di servizio al
cliente. Il malfunzionamento di un prodotto, in quest’ottica, è un modo per
ripristinare il dialogo con il cliente. Il service ha una valenza strategica:
-leva per la fidelizzazione del cliente
-fonte del vantaggio competitivo
-business autonomo ad alta redditività.
In generale i benefici per il product sono l’arricchimento del sistema, infatti grazie al
service, il sistema prodotto si arricchisce con componenti di corredo tangibili ed
intangibili. Il place che si sostanzia di strutture di vendita dirette ed indirette, si
avvale della presenza del marchio sul territorio grazie ai centri assistenza. La
promotion trova nel post vendita un veicolo di comunicazione diretta tra impresa e
cliente. Infine il price attraverso il service riscopre un costo che consente di
recuperare o proiettare nel futuro margini di remunerazione integrativi.
CAPITOLO 6

L’approvvigionamento

L’approvvigionamento coinvolge l’impresa nelle sue attività di acquisto, produzione,


stoccaggio e distribuzione fisica dei prodotti ed ha il compito di quantificare e
procurare i flussi di materie prime e semilavorati da introdurre nel processo
produttivo, quindi riguarda i flussi materiali.
Consente di trattare il problema della gestione dei flussi produttivi in un’ottica
integrata e non vettoriale. Se, ad esempio, gli ordini programmati di acquisto
fossero costruiti solo sulle esigenze dell’attività produttiva, senza guardare in
un’ottica integrata, alle istanze del marketing, l’impresa correrebbe il rischio di
sovralimentare la produzione generando scorte di prodotti finiti in eccesso, così
come una gestione prudente degli ordini non può basarsi solo sulle esigenze di
mercato perché potrebbe generare dei fermi macchine.
Se si volesse ragionare sul tema della riduzione dei costi, gli acquisti hanno
un’influenza sulle prestazioni economiche e funzionali dell’organizzazione attraverso
tre fattori:
-il prezzo pagato che contribuisce alla determinazione del costo dei beni e servizi
prodotti
-la qualità in entrata che si riflette sia sulla qualità della produzione sia sul costo
attraverso la resa, gli scarti, le rilavorazioni e la garanzia
-i tempi di attraversamento che influiscono sul time to market della produzione e
determinano i livelli di scorta da mantenere. Non è possibile agire su una sola di
queste leve di costo senza immaginare ripercussioni positive o negative che possono
derivare alle altre.
Il valore aggiunto che l’approvvigionamento offre alla catena del valore consta della
capacità autonoma di ciascuna impresa di supportare il circuito logistico in
combinazione con le altre attività dell’impresa. E’ possibile distinguere
l’approvvigionamento in due sub attività: quantificazione e programmazione degli
ordini e selezione dei fornitori e di gestione della rete di fornitura.

La programmazione dell’approvvigionamento
Il processo di programmazione degli acquisti tiene conto degli ordini e le previsioni,
delle risorse disponibili e delle scorte ed inizia con la formulazione di una previsione
di tipo aggregato degli ordini di vendita sulla base della quale viene sviluppato un
lungo programma aggregato di produzione. Esso definisce per ciascuna linea o
famiglia di prodotti cosa si prevede di vendere, cosa dovranno produrre i singoli
stabilimenti e quale dovrà essere il livello di scorte di prodotti finiti. Coerentemente
con l’input previsionale, il programma aggregato di produzione è sviluppato a livello
mensile ed interessa un orizzonte temporale di uno o due anni. Un altro input è il
livello di capacità produttiva relativo alle singole famiglie di prodotto. Il processo di
programmazione aggregata si concretizza con i seguenti piani:
-le quantità da produrre e vendere per ciascuna famiglia di prodotto e per ciascun
periodo dell’orizzonte di programmazione
-i livelli di capacità produttiva richiesti e le azioni da mettere in atto per garantire la
disponibilità del livello di capacità produttiva nei diversi periodi
-gli acquisti di materie prime e parti componenti da approvvigionare all’esterno
dell’azienda
-le azioni commerciali da mettere in atto per influenzare l’andamento della
domanda (campagne pubblicitarie)
-l’andamento della redditività economica dell’azienda sull’orizzonte temporale del
programma aggregato.
Per sviluppare, invece, il programma di dettaglio della produzione, che varia da tre a
sei mesi, occorre disaggregare le previsioni di vendita, da famiglia di prodotto a
singolo codice unitamente agli ordini già acquisiti dall’azienda. Esso tiene conto del
programma di produzione sui turni di lavoro, degli imprevisti, delle sequenze di
lavorazione (considerata la numerosità dei lotti, i tempi di set up, le deadline, cc.) e
del controllo avanzamento. Quanto alla programmazione degli acquisti, le modalità
di programmazione possono variare in funzione delle caratteristiche del mercato in
cui essa si trova ad operare e delle tecnologie e prodotti utilizzati. Esse possono
essere raggruppate in:
1. programmazione per scorta (make to stock)
2. programmazione su ordine (make to order)
3. assemblaggio su ordine (assemble to order)
1. La programmazione per scorta o per magazzino prevede che la fabbricazione del
prodotto avvenga sulla base di una previsione di vendita: la produzione è finalizzata
al reintegro di una scorta di prodotto finito da cui sono evasi gli ordini dei clienti. La
caratteristica fondamentale di tale modalità di programmazione è che questa
riguarda sistemi produttivi a grandi o piccoli lotti di prodotto finito e l’evasione
dell’ordine viene effettuata prelevando i prodotti dalle scorte e l’ordine del cliente,
che è piuttosto esigente, non interviene nel processo di programmazione della
produzione ed il tempo di evasione dell’ordine dipende dalla spedizione e consegna
del prodotto.
2. La programmazione su ordine è tipica delle imprese che producono vetture di
nicchia che pur offrendo un prodotto standard, imposta l’attività di produzione dei
componenti e dei prodotti finiti sulla base degli ordini dei clienti, non esistono,
perciò, scorte di componenti e prodotti finiti, ma solo di materie prime. Occorre che
il mercato o il cliente siano, però, disposti ad attendere il prodotto per il tempo che
è necessario all’azienda per sviluppare le attività relative al suo processo industriale
di approvvigionamento e fabbricazione.
3. L’assemblaggio su ordine è una modalità intermedia tra i due estremi della
programmazione per scorta e su ordine e prevede che sulla base delle previsioni
delle vendite si effettui l’approvvigionamento dei materiali e la fabbricazione di
alcuni sottogruppi mentre gli ultimi stadi del ciclo di fabbricazione e l’assemblaggio
finale del prodotto sono effettuati solo sulla base dell’ordine del cliente. Una tale
modalità riduce o annulla l’investimento in scorte di prodotti finiti rispetto alla
prima modalità ed in riferimento alla seconda, riduce il tempo di consegna del
prodotto al cliente in quanto esso sarà condizionato solo dal tempo necessario per
effettuare le operazioni finali del ciclo di fabbricazione del prodotto.
Il make to stock è la modalità più rischiosa in termini di investimenti per produrre,
confezionare ed inviare il prodotto al cliente.

Un sistema informatico di supporto alla gestione dei flussi di materiale che genera
una gestione centralizzata delle informazioni è il sistema MRP (Material
Requirement Planning) una tecnica informatica deterministica (algoritmo) che
consente di calcolare i fabbisogni netti di materiali e componenti necessari a
soddisfare il Piano Principale di Produzione (input dell’MRP). Il sistema, che è
l’output della programmazione aggregata, ha come obbiettivo la minimizzazione
delle scorte facendo coincidere la disponibilità dei materiali con il momento della
loro utilizzazione. L’MRP consente di rendere disponibili le materie prime ed i
semilavorati prima del loro effettivo impiego nelle varie fasi del processo produttivo.
Questo è un sistema di tipo push in quanto spinge i centri di lavoro a produrre le
parti richieste e tale metodo svolge le seguenti funzioni:
-pianificare gli ordini
-ordinare la parte giusta
-ordinare la quantità giusta
-ordinare al tempo giusto
-pianificare le priorità
-ordinare con la giusta data di scadenza
-mantenere la data di scadenza valida attraverso le successive ripianificazioni
-pianificare la capacità produttiva necessaria.
I principali input all’MRP sono il programma di produzione definite per i periodi
futuri, l’archivio della distinta base dei componenti costituenti il prodotto da
fabbricare e l’archivio della situazione scorte dei singoli componenti.
L’output è rappresentato dal programma degli ordini di riferimento pianificati nel
tempo.
Questo sistema è adatto per prodotti costituiti da molti componenti e la filosofia alla
sua base è la flow control o look ahead che si basa su ordini e previsioni e non sullo
storico e pone l’enfasi sulla pianificazione del flusso di materiali che attraversa i vari
stadi di approvvigionamento, produzione e distribuzione all’interno della supply
chain. Nel flow control l’eventuale formazione di stock lungo la catena logistica deve
essere considerata come il risultato di vincoli di rigidità intrinseci al sistema stesso,
non certo come il presupposto della logica di gestione sottostante, come avviene
nello stock control, in astratto nel flow control non dovrebbero esistere scorte di
materiale, tranne quelle di transito.

La gestione dei flussi di materiali: il Supply Chain Management


L’SCM è indirizzato a guidare tutti gli attori coinvolti nella supply chain nella ricerca
di soluzioni innovative finalizzate a creare valore per i clienti.
Nell’ottica della filosofia manageriale l’SCM è un approccio per sistemi, finalizzato a
visualizzare la catena di approvvigionamento come una singola entità piuttosto che
come un insieme di parti frammentate che svolgono specifiche funzioni.
Nella gestione logistica tradizionale si tende all’ottimizzazione dei flussi all’interno
dell’impresa, nell’SCM si punta alla gestione delle relazioni con subfornitori,
fornitori, intermediari e clienti ed alla gestione di MP, SL, PF e dei flussi di
informazioni ed economici, quindi esso si configura come una partizione della
costellazione del valore, cioè un insieme di relazioni che vede ogni attore della
supply chain influire in modo diretto o indiretto sulle prestazioni di tutti gli altri
membri.
Nell’ottica funzionale l’SCM richiede un’integrazione estesa all’intera catena della
fornitura, produzione, commercializzazione e delle attività di marketing.
L’evoluzione della supply chain si è caratterizzata nel corso del tempo come un
processo per fasi. Stevens ne ha identificate quattro nella catena di
approvvigionamento:
1. Nella prima fase la catena di fornitura è un insieme di operazioni frammentate
all’interno della singola impresa, caratterizzata da un accumulo di scorte ed è lo
stadio della completa indipendenza funzionale dove ogni funzione aziendale agisce
in modo completamente indipendente dalle altre
2. Nella seconda fase per il raggiungimento di obiettivi di efficienza, l’attenzione dei
manager aziendali si è focalizzata su una maggiore integrazione e ottimizzazione dei
processi interni e sulla riduzione dei costi
3. Nella terza fase il processo di integrazione si estende ai fornitori ed ai distributori
pur concretizzandosi solo in una maggiore trasparenza nei rapporti. Ha inizio in
questa fase la pianificazione a medio termine e l’uso esteso del supporto elettronico
4. Nell’ l’ultima fase nasce l’SCM e la supply chain supera i confini aziendali, cioè, le
aziende non solo riconoscono la necessità di un maggior grado di integrazione tra le
attività primarie e di supporto della catena del valore, ma estendono il processo di
integrazione ai propri partner, ovvero clienti e fornitori.
L’integrazione interna è finalizzata a migliorare sia l’efficienza (riduzione dei costi)
sia l’efficacia (servizio clienti) e l’integrazione dei rapporti tra gli attori della SC ha
riguardato soprattutto l’integrazione delle informazioni ed il coordinamento.
-L’integrazione delle informazioni fa riferimento alla condivisione delle informazioni
e della conoscenza tra i diversi attori della SC
-Il coordinamento consiste nell’assegnare capacità decisionali e risorse all’anello
della SC che si trova nella migliore posizione per gestirle.

Questa evoluzione della SC è stata guidata dai seguenti fattori:


1. Una crescente e pervasiva focalizzazione sulla creazione di valore per il cliente, i
cui bisogni sono fattori guida nel processo decisionale
2. Un utilizzo più avanzato della tecnologia, i flussi di dati ed informazioni
interessano tutte le fasi della SC
3. La necessità di valutare le performance via via conseguite, infatti in ogni fase della
SC vengono monitorati tempi e costi e valutati rispetto agli obiettivi finali
4. L’esigenza di affrontare la sfida della globalizzazione che crea per l’azienda nuove
possibilità di acquisto di materie prime a basso costo dalle economie emergenti ed
allo stesso tempo nuovi mercati di sbocco.

In particolare l’obiettivo di creazione di valore per i clienti è perseguibile attraverso:


-la diminuzione dei costi di inventario, legando la produzione alla domanda e la
riduzione del capitale circolante che può essere ottenuta con minori scorte e con un
ciclo cash to cash più veloce
-la riduzione dei costi totali di produzione, velocizzando il flusso di merci all’interno
del processo produttivo e migliorando il flusso informativo tra azienda, fornitori e
distributori
-l’efficienza degli investimenti ottenibile effettuando un ridimensionamento dei
magazzini e avendo una maggiore disponibilità di informazioni a supporto del
processo decisionale nell’area della produzione
-il miglioramento della soddisfazione del cliente velocizzando consegna e
personalizzazione del prodotto
-la ricerca di soluzioni innovative per ottimizzare i processi operativi e di
pianificazione delle singole imprese attraverso azioni coordinate.

L’SCM può essere visto attraverso la combinazione di “comprensione” ovvero la


velocità con cui il sistema soddisfa le mutate esigenze del mercato, “agilità” ovvero
il modo in cui il sistema si adatta alle condizioni esterne pur mantenendo costi e
struttura del servizio ottimali ed “affidabilità” cioè ottenere il massimo output dal
minimo input, quindi minimizzazione degli sprechi di tutte le attività.
Ma le principali resistenze che si possono incontrare nel momento in cui si cerca di
integrare la SCM sono:
-vendere il sistema ai fornitori, l’automazione della SCM è difficile perché la sua
complessità va oltre i confini aziendali
-ROI difficile da misurare ed è per questo che è difficile ottenere una
sponsorizzazione da parte della direzione. Un ritorno basato sulla fidelizzazione dei
clienti dà modo di misurare gli effetti positivi dell’SCM
-competitività interna all’azienda perché i progetti di SCM coinvolgono più
dipartimenti come acquisti, pianificazione, produzione, distribuzione e l’IT e nel caso
peggiore può significare competizione interna.
Un conflitto classico è tra l’ufficio marketing che vuole disporre abbondanti scorte in
magazzino di un prodotto molto diffuso e il responsabile di magazzino che, invece,
vuole mantenere il livello delle scorte al minimo.
CAPITOLO 7

Lo sviluppo della tecnologia

Lo sviluppo della tecnologia come attività di supporto


Lo sviluppo della tecnologia riguarda tutta una serie di operazioni finalizzate al
cambiamento e miglioramento dei prodotti e dei processi e vi sono imputati i costi
relativi all’attività di ricerca e sviluppo ed i costi relativi allo sviluppo del know how.
La tecnologia è presente in tutte le attività della catena del valore perché qualsiasi
attività necessita di conoscenze tecnologiche, ma è necessario individuare il “luogo”
all’interno dell’azienda in cui questa viene generata. L’attività di sviluppo della
tecnologia viene inserita tra le attività di supporto sia perché essa deve fornire le
conoscenze a tutte le attività della catena del valore sia perché deve dialogare con
queste ultime per determinare quali sono le innovazioni necessarie all’impresa per il
raggiungimento di un vantaggio competitivo.
L’innovazione segue un modello di sviluppo concatenato che richiede la costante
integrazione tra attività di sviluppo della tecnologia, marketing e produzione. Lo
sviluppo della tecnologia è una competenza di base di ogni impresa ottenuta dalla
combinazione di diversi segmenti di conoscenza.
In vista della realizzazione di un nuovo processo produttivo, di un nuovo prodotto, la
ricerca e sviluppo assume un ruolo primario. Porter parla, a tal scopo, di sviluppo
della tecnologia e non di ricerca e sviluppo, per intendere un qualcosa di più esteso,
la tecnologia è diffusa in tutta l’impresa.
Secondo l’impostazione tradizionale con il termine R&S si indicano le attività
attraverso le quali le imprese studiano e sperimentano la realizzabilità tecnica di
nuovi prodotti (ricerca) e traducono queste conoscenze in una forma standardizzata
ed organizzata che ne consente la realizzazione industriale (sviluppo).

Origini della tecnologia


Secondo Kimura l’attività di R&S nasce nell’industria delle sostanze coloranti in
Germania nella seconda metà del 19esimo secolo, ma l’istituzione dei veri e propri
laboratori di ricerca si è diffusa agli inizi del 20esimo secolo. Questa attività genera
due tipi di conoscenza: una relativa ad uno specifico tipo di prodotto ed una
esternalità positiva spillover di conoscenza che riduce il costo delle innovazioni di
future. Agli inizi degli anni ’50 ’60 i manager iniziarono a valutare l’opportunità di
affidarsi ad enti di ricerca capaci di dar vita a nuovi prodotti, ma le tendenze
dominanti erano basate su modelli di technology push ed era questa la R&S di prima
generazione. Negli anni ’70 iniziano a svilupparsi riflessioni critiche nei confronti
della R&S di prima generazione poiché la ricerca doveva portare allo sviluppo di
tecnologie basate sui bisogni del cliente e questo diede luogo alla seconda
generazioe di R&S. Mentre i concetti della R&S di terza generazione vennero portati
avanti nel corso degli anni ’80 inizio anni ’90, dove il focus era sul business e sulle
esigenze di mercato.
Ma oltre a questa visione aperta e globale della R&S secondo Kimura, è solo negli
anni più recenti che queste attività sono divenute energiche, vitali tanto da parlare
di Dynamic R&D.
Closed innovation VS open innovation
Il ruolo della R&S delle Pmi (piccole e medie imprese) resta ancora oggi marginale.
L’aumento dei costi connessi allo sviluppo e l’accorciarsi del ciclo di vita del prodotto
hanno reso per le imprese più difficile e rischioso sostenere il processo innovativo a
livello economico. Queste dinamiche strutturali hanno indotto gli studiosi a
sviluppare un nuovo modello per l’innovazione che fosse fondato sull’idea
shumpeteriana e chandleriana di grande impresa integrata verticalmente che
sviluppa l’innovazione facendo leva sulla R&S interna, quindi un modello aperto
dove l’impresa allarga i propri confini, utilizzando tecnologie sviluppate da attori
esterni.
Il modello emergente di Open Innovation descritto da Henry Chesbrought nel 2003
si fonda intorno all’idea che la creazione di valore non sia più solo il risultato della
trasformazione di input in output, ma si origini da una combinazione intelligente ed
efficace di risorse interne ed esterne. Egli inoltre sottolinea come per le moderne
imprese l’approccio aperto all’innovazione debba divenire una filosofia di gestione e
che la collaborazione con altri soggetti diventi una necessità. Riprendendo il
contributo di Koschatzky, l’autore afferma che le imprese che non collaborano con
altri attori vedono ridursi il patrimonio di conoscenze e rischiano di pregiudicare la
futura possibilità di intraprendere nuove relazioni
Un’impresa che ha coupled relationships con tutti gli attori coinvolti nel processo
innovativo è un’impresa che applica appieno il paradigma dell’open innovation.

Tipologie di innovazioni
Nell’ambito dell’innovazione tecnologica si individua la dicotomia tra innovazione di
prodotto e di processo.
-Innovazione di processo: riguarda gli interventi finalizzati ai miglioramenti dei
processi produttivi, della gestione, della logistica, dei flussi produttivi,
all’introduzione dei sistemi informativi.
-Innovazione di prodotto: riguarda il lancio sul mercato di prodotti completamente
nuovi o interventi finalizzati ad incrementare la gamma dei prodotti esistenti. Studi
hanno messo in evidenza la complementarietà di tale dicotomia.
Utterback e Abernathy costruiscono un modello al fine di spiegare le dinamiche
dell’innovazione nell’industria e distinguono un momento iniziale nel quale un ruolo
fondamentale è svolto dalle innovazioni di prodotto, necessarie per conquistare
ampie fette di mercato con prodotti innovativi ed in questa fase, detta di
performance maximizing, stimoli all’innovazione sono dati da informazioni circa i
bisogni degli users e gli input tecnici degli stessi con l’obiettivo di un cambiamento
radicale del prodotto per ottenere un vantaggio competitivo. Nella seconda fase,
detta sales maxmizing, stimoli all’innovazione sono ricercati nelle opportunità
generate dall’evoluzione delle competenze interne ed essa viene applicata
soprattutto per migliorare le caratteristiche funzionali del prodotto al fine di una
maggiore varietà del prodotto stesso. Nella terza fase, detta cost minimizing, la
pressione alla riduzione dei costi di produzione spinge allo sviluppo di innovazioni
per cui è necessaria l’applicazione di innovazioni di processo affinché si riducano i
costi di produzione.

Dalla scelta della tecnologia dipende la scelta del target e del modo di competere. Il
management della R&S ha come obiettivi principali la scelta delle tecnologie che più
di altre possono dare vantaggi competitivi sui rivali. In particolare si possono
distinguere due aree applicative della R&S: la R&S di prodotto e la R&S di processo.
Mentre la prima mira ad assicurare innovazioni nell’offerta di mercato, la seconda
punta all’efficienza quindi alla riduzione dei costi, alla qualità ed alla migliore
utilizzazione dei fattori produttivi. Queste due tipologie hanno un peso relativo
diverso secondo le fasi del ciclo di vita del prodotto, in genere la prima domina le
fasi iniziali, mentre la seconda prevale nelle fasi di maturità, quando costi e qualità
divengono fattori determinanti.
Freeman individua cinque categorie:
1. Innovazioni incrementali PIU’ IMPORTANTE
2. Innovazioni radicali PIU’ IMPORTANTE
3. Innovazioni maggiori
4. Nuovi sistemi tecnologici
5. Rivoluzioni tecnologiche
1. Le innovazioni incrementali rappresentano i miglioramenti apportati al prodotto
o a processi produttivi, si manifestano con una successione costante nel tempo e
secondo Freeman sono le innovazioni stimolate dalla domanda e dalla
collaborazione tra impresa ed utilizzatori, mentre altri studiosi le hanno definite
come “frutto di una condotta manageriale creativa e non volta a modificare gli
assetti esistenti”. Tali innovazioni richiedono l’acquisizione da parte dell’impresa di
conoscenze e competenze non diverse da quelle che fanno parte del patrimonio
cognitivo già acquisito.
2. Le innovazioni radicali, invece, si distribuiscono in modo discontinuo nel tempo e
tendono a diffondersi in tutte le imprese appartenenti al settore e a spostarsi
rapidamente da un settore all’altro. Sono rappresentate da eventi di grande portata
tesi a sostituire o quanto meno a relegare tecnologie e filosofie manageriali esistenti
ad un ruolo di secondaria importanza. La forza de cambiamento da esse apportato è
tale da creare nuovi business o distruggere gli esistenti (ibidem). Riecheggia, così, il
tema della “tempesta creatrice” di matrice shumpeteriana secondo la quale l’impeto
dell’innovazione si impone con forza sul mercato riducendo in polvere chi non
innova. Le innovazione radicale ed incrementali sono complementari.
Pisano classifica le tipologie di innovazioni in funzione dell’adattamento della nuova
tecnologia alle competenze di mercato e tecnologiche già possedute dall’impresa.
Sono quattro tipologie di innovazione:
-le routines innovations che si basano sulle competenze già possedute dall’impresa
sia di mercato che tecnologiche. Ne fanno parte quelle incrementali come il lancio di
un nuovo smartphone
-le distruptives innovations che si basano sulle competenze tecnologiche esistenti
dell’impresa, ma che richiedono l’implementazione di nuove logiche di mercato
perché si rivolgono a nuovi gruppi di consumatori o soddisfano bisogni diversi di
consumatori già in essere come la TV on demand
-le radical innovations che prevedono l’implementazione di nuove tecnologie non
possedute dall’impresa per creare prodotti che si rivolgono alla stessa base di
consumatori , l’auto elettrica ne è un esempio
-le architectural innovations che prevedono lo sviluppo di nuove conoscenze di
mercato e nuove competenze tecnologiche e sono le innovazioni più complesse.
Un esempio di architectural innovations è dato dalla Tesla Inc. che è un’azienda che
nasce come produttrice di auto elettriche, ma che ha dovuto implementare una
nuova tecnologia per poter sviluppare un progetto ed un modello di business che
soddisfacesse un bisogno diverso di consumatori rispetto a quello relativo alle
automobili. In particolare l’azienda, nata nel 2003 a San Carlos in California e
specializzata nella produzione di veicoli elettrici ad alte prestazioni orientati al
mercato di massa e pannelli fotovoltaici, ha lanciato recentemente nuove tegole
fotovoltaiche che sono uguali a quelle precedenti esteticamente, ma la cui
particolarità risiede nella loro commercializzazione distribuita in quattro varianti a
seconda della tipologia dell’abitazione nelle quali saranno istallate.

Processo di generazione dell’innovazione tecnologica


Il processo di generazione dell’innovazione si articola in tre momenti quello
dell’invenzione, dell’innovazione e della diffusione. Tale distinzione si rifà a quella di
Shumpeter che distingue una fase inventiva come l’atto di concepire un nuovo
prodotto ed una fase innovativa che comprende le funzioni imprenditoriali ed
inoltre la letteratura individua accanto a queste due fasi quella di diffusione che
prevede la diffusione dell’innovazione sul mercato.

-L’invenzione
E’ il risultato dell’uso creativo della conoscenza ed è relativa alla produzione di idee
innovative ed è strettamente collegata al concetto di creatività. In questa fase
l’impresa deve cercare di sviluppare il maggior numero di idee possibili e si può
attingere a fonti di conoscenza interne ed esterne all’organizzazione.
Le innovazioni nascono da menti geniali dei singoli ed un esempio sono Steve Jobs o
Ferrero e tali soggetti sono accomunati caratteri creativi, forte passione,
perseveranza e propensione al rischio. Le idee innovative possono essere messe in
atto anche dai dipendenti e l’esempio è quello di IKEA nella cui impresa un
dipendente decise di smontare un mobile per portarlo a casa. Altre idee possono
nascere dai clienti.
Già negli anni ’80 Von Hippel individuò più fonti di innovazione ed enfatizzava il
ruolo degli utilizzatori, definiti lead users. A tal proposito Riggs effettuò uno studio
prendendo in esame, nel settore degli strumenti scientifici, 62 innovazioni per
l’analisi spettroscopica. Dall’analisi dei dati risultano evidenti le differenze tra le
innovazioni sviluppate dalle aziende produttrici e dagli utilizzatori, infatti, le aziende
mirano all’impatto commerciale, gli utilizzatori curano l’aspetto scientifico ed è solo
una particolare categoria di utilizzatori, quelli più sofisticati, ad essere di supporto
all’azienda. Quanto più è sofisticato l’utilizzatore tanto più sarà capace di offrire
nuove idee. Questo è un modello di collaborazione utilizzatore\produttore in cui le
fasi iniziali, generazione dell’idea ed identificazione di soluzioni preliminari sono
trasferite direttamente all’utilizzatore, mentre le fasi successive di ingegnerizzazione
e definizione del prototipo sono svolte dai produttori. Oggi molte imprese che
abbracciano il paradigma dell’open innovation si affidano a idee dei clienti ed il
compito dei manager è di selezionare quelle con maggiori potenzialità che poi
concorreranno alla fase di sviluppo per la quale i ricercatori americani hanno coniato
il termine “kissing the frog” per intendere che l’apparenza inganna e che le idee
meno attraenti sono quelle vincenti e che c’è bisogno di effettuare vari tentativi
prima di raggiungere l’idea giusta.

-L’innovazione
Lo sviluppo di un’invenzione può non richiedere la profusione di grandi risorse e non
sempre si tramuta in innovazione, la quale, invece può richiedere l’investimento di
ingenti risorse umane. Molto importante in tale ambito è la sperimentazione dei
nuovi prodotti definita da Thomke enlightened experimentation che è frutto di un
determinato processo che segue la regola di velocità nell’effettuare i test di
controllo e l’importanza che si assegna agli errori che sono alla base di un
miglioramento.

-La diffusone
La diffusione dell’innovazione è un fenomeno sociale. Per tale processo si tiene
conto di fattori quali le caratteristiche dei potenziali adottanti, il comportamento dei
principali competitors e gli effetti delle esternalità di rete. Gli studiosi però si
interrogano sulla diffusione più facile di un fenomeno rispetto ad un altro e si
concentrano su delle caratteristiche che sono la natura della tecnologia, le
caratteristiche dell’adottante e del network, questi classificati in tre categorie:
1. Fattori relative alle caratteristiche dell’adottante: Gerosky sottolinea come la
probabilità che un’innovazione venga adottata da un soggetto dipende dall’intensità
di tre categorie di costi: searching costs che sono connessi alle difficoltà di acquisire
le informazioni relative ai benefici connessi all’utilizzo della nuova tecnologia,
switching costs sono i costi che il potenziale adottante deve sostenere per
riorganizzare i processi produttivi in seguito all’adozione di una nuova tecnologia e
gli opportunity costs che sono connessi alla possibilità che la scelta di investire
risorse in una nuova tecnologia sia meno conveniente che impiegarle in tecnologie
alternative o già impiegate.
2. Fattori connessi alle caratteristiche della tecnologia che si diffonde: maggiore è il
suo costo e minore è la probabilità di diffusione. Nello specifico i costi della
tecnologia sono relativi all’acquisto di brevetti e licenze e alle sua configurazione e
istallazione.
2. Fattori connessi alle caratteristiche del network: influenza la diffusione perché si
entra in contatto con soggetti che hanno già adottato la tecnologia e facilitano il
processo di adozione. Ma se si deve modificare il network nel quale l’impresa è
inserita per adottare una nuova tecnologia può ostacolare i processo di diffusione.
Uno dei casi più eclatanti dovuti al fallimento del processo di diffusione è quello del
sistema operativo Windows Phone che pur essendo nato prima del suo rivale
Android, è poi scomparso.
Il settore dei Mobile Operating Systems si caratterizza sia per l’esistenza di sistemi
operativi dominati da regimi radicalmente diversi sia da una netta distinzione tra
adottanti e coloro che operano con minori capacità e risorse limitate. Gli adottanti
comprendono le multinazionali della telefonia che producono con il proprio brand
(Samsung, Nokia) e la seconda categoria è costituita dalle aziende che spesso
operano come fornitori per i grandi player mondiali e che hanno anche iniziato e
realizzare propri mobile device. Si è analizzato a tal proposito il processo di
diffusione dei due principali sistemi operativi per i mobile device e cioè Android
generato dalla Open Handset Alliance guidata da Google e Windows Phone guidata
da Microsoft. Entrambi sono disponibili per una comunità di adottanti, ma Andorid
ha una tecnologia open source e Microsoft ha un tecnologia di tipo proprietario. In
un primo step si è verificata l’adozione dei sistemi operativi da parte delle principali
aziende statunitensi produttrici di mobile device che operano con marchio proprio
(global players) e nel secondo step sono stati identificati gli attori che operavano
come fornitori per le principali aziende produttrici di mobile device (altri produttori)
i quali si sono proposti come produttori in proprio di mobile device destinati a
segmenti low cos. Sono stati identificati 28 global palyers e 13 altri produttori e il
sistema Android è stato adottato da un numero maggiore di aziende rispetto a
Windows Phone, infatti Android è il network con maggiore intensità di relazioni,
adottato da 31 produttori di mobile device contro i 17 di Windows Phone, tra gli altri
produttori di mobile device solo 3 per Windows e 10 per Andorid.

Le alternative di sviluppo delle tecnologie


Si possono seguire tre tipi di percorso:
1. L’UTILIZZO DI RISORSE INTERNE
Rientrano:
- il processo di trasferimento delle conoscenze tacite, costituite dall’insieme delle
esperienze maturate che consentono all’impresa di ottenere nuovi guadagni
-la realizzazione di un reparto interno di R&S che è una forma di conoscenza più
sofisticata.
Le conoscenze tacite sono incorporate nelle persone impegnate nell’azienda e
costituiscono il suo vantaggio di patrimonio esclusivo e di essere intangibili, quindi
difficilmente imitabili. I meccanismi di trasferimento delle conoscenze tacite più
diffusi sono quelli di job rotation e lavori di gruppo. Un reparto di R&S interno
richiede, invece per l’azienda, un gruppo di lavoro dedicato all’innovazione, i costi
sono elevati ed è rischioso soprattutto per le Pmi. Tra i suoi vantaggi ci sono
detenere il pieno controllo sulle innovazioni e le sue evoluzioni future e la
conoscenza approfondita della tecnologia consente all’impresa di adattarsi
velocemente ai cambiamenti delle richieste di mercato. Inoltre vengono garantiti dei
finanziamenti governativi per lo sviluppo interno (Ministero dell’istruzione in Italia).
Gli svantaggi sono legati ai costi e ai tempi di sviluppo delle innovazioni.
2. L’UTILIZZO DI RISORSE ESTERNE
Ne esistono numerose modalità di attuazione:
-I contratti di licenza: attribuiscono all’azienda contraente il diritto di utilizzare
innovazioni sviluppate dall’azienda che cede il diritto di utilizzo e possono prevedere
forma di licenza esclusiva in termini temporali e\o geografici. Il vantaggio è che
attraverso questa modalità l’azienda ha la possibilità di saltare la fase di sviluppo e
passare all’implementazione della tecnologia, c’è una riduzione dei costi e tempi di
sviluppo e l’impresa può diluire nel tempo il costo legato al contratto, infatti i
contratti di licenza prevedono il pagamento di royalties legate al volume di
fatturato. Gli svantaggi sono che il licenziatario non ha il controllo del know how
dell’innovazione, ha una rendita limitata nel tempo ed il titolare dell’innovazione
può offrire contratti non in esclusiva.
-L’acquisto di tecnologie: rappresenta la forma più immediata per ottenere la
disponibilità di innovazioni. In genere l’azienda acquista un bene che ha una
tecnologia innovativa già incorporata. Si tratta di un approccio che il vantaggio di
essere a basso rischio per l’impresa che consente di ottenere la disponibilità di
innovazioni già sperimentate ed affidabili. Un altro vantaggio è relativo alla
possibilità di contare sul supporto del fornitore nelle fasi di implementazione. Gli
svantaggi sono che chi acquista non ha né il controllo delle conoscenze legate
all’innovazione né il diritto di esclusiva sull’innovazione stessa.
-L’acquisto di aziende con tecnologia propria: L’acquisto di aziende con tecnologia
propria rappresenta una modalità efficace per entrare in possesso del patrimonio di
conoscenze dell’azienda acquisita. L’acquisizione può riguardare il trasferimento del
pacchetto di controllo dell’azienda innovatrice o l’acquisto del 100% delle azioni. Il
vantaggio è che l’azienda che si acquisisce dispone già di una propria tecnologia e
spesso anche di un proprio mercato e ciò consente di essere immediatamente
operativi e con rischi limitati. Se l’azienda in questione possiede tecnologie
intangibili risulta difficile decidere se acquisirla o meno, in questi casi è indicato
prevedere accordi pre-acquisizione durante i quali l’acquirente approfondisce la
conoscenza delle tecnologie di cui il cedente dispone.
-Il reverse engineering: Lo sviluppo avviene cercando di risalire alle tecnologie
incorporate in un prodotto realizzato da un’altra impresa, studiandone le sue
caratteristiche salienti. Il r.e. viene portato avanti da ingegneri esperti che cercano di
risalire ai processi necessari per la sua realizzazione. I vantaggi consistono nel fatto
che si tratta di un percorso poco rischioso rispetto allo sviluppo interno mediante
R&S. Il rischio di fallimento viene sopportato infatti da chi per primo ha sviluppato
l’innovazione e non da chi cerca di risalirvi con il r.e. Altro vantaggio è che il costo
dello sviluppo è inferiore rispetto a chi ha concepito per la prima volta l’idea. Il r.e.
ha anche punti di debolezza, cioè, chi segue questo approccio sceglie di essere un
follower lasciando ad altre imprese il ruolo di leader del mercato. Un altro rischio è
che non è sempre possibile risalire al design dell’impresa innovatrice. Questo
approccio, talvolta, porta alla violazione di brevetti contenuti nei prodotti oggetto di
studio. Una variante del r.e. è rappresentata dallo sviluppo attraverso imitazione
combinata ad una propria attività di R&S ed in questo caso l’imitatore copia
illegalmente le innovazioni sviluppate da imprese terze. Egli si avvantaggia dei
progressi fatti dall’imitato avvalendosi dello staff di ricerca. Il vantaggio è quello di
consentire uno sviluppo veloce e a basso rischio e gli svantaggi sono di tipo legale e
morale.
3. COMBINAZIONE DI RISORSE INTERNE ED ESTERNE
Il trasferimento di tecnologie rappresenta una forma di acquisizione delle
competenze dove d una parte è necessario che un’azienda sia disposta a cedere il
proprio know how e dall’altra parte che l’azienda receiver deve disporre di risorse
nel proprio staff in grado di interpretare le conoscenze sviluppate da terzi
promuovendole nella propria azienda. Questo approccio ha il vantaggio che i costi
siano contenuti perché lo sviluppo è promosso e sostenuto da imprese terze. Gli
svantaggi sono legati al fatto che il know how viene sviluppato esternamente e
quindi è spesso difficile fare accettare innovazioni provenienti dall’esterno, la
cosiddetta sindrome del NIH, Not Invented Here.
-I contratti esterni di Ricerca e Sviluppo: vengono spesso affidati a centri di ricerca
specializzati pubblici e privati o a dipartimenti universitari e si configurano come
delle alleanze transitorie che per loro stessa natura consentono di mantenere
relazioni flessibili tra i partner. Rientrano in questa tipologia gli accordi di ricerca e le
concessioni di licenza incrociata. E’ un approccio diffuso sia nelle Pmi, che vi
ricorrono per acquisire competenze che non hanno, sia nelle grandi imprese, che vi
fanno ricorso per acquisire competenze che non sono disponibili nei propri centri di
ricerca. Molte industrie farmaceutiche multinazionali si sono rivolte a Pmi nate in
seguito a spin off universitari per le ricerche nel campo biotecnologico. Gli svantaggi
sono che l’impresa che ricorre al contratto di ricerca non detiene il controllo delle
tecnologie e l’ente che sviluppa l’innovazione per un cliente può facilmente
proporre ad altre aziende soluzioni simili a quelle sviluppate. I contract research
technology sono una forma di accordi di collaborazione che permettono alle
imprese di accedere a tecnologie complementari e a competenze tecnologiche non
possedute di mantenere un certo controllo sull’attività innovativa. Consentono ad
un’azienda di trasferire i processi di R&S a partner con alta specializzazione di
beneficiare degli investimenti, delle capacità innovative senza dover affrontare
autonomamente investimenti elevati.
-I contratti esterni di Ricerca e Sviluppo con partnership: in questo caso ci sono più
aziende in alleanza a stipulare contratti di ricerca con oggetti esterni e possono
essere tra loro sia concorrenti sia operare in sementi diversi della filiera industriale.
Se concorrono i contratti sono di tipo pre-competitivo. Operano in alleanza quando i
progetti di ricerca sono troppo rischiosi per essere sostenuti individualmente e le
aziende dunque si consorziano. Il vantaggio è che le aziende possono apprendere
forme di conoscenza non solo attraverso l’attività di ricerca, ma anche facendo
benchmarking rispetto ai propri partner, cioè confrontare i propri risultati con quelli
dei partner. Gli svantaggi derivano dalla necessità di condividere con le imprese
partner i risultati della ricerca.
-Joint verture e consorzi: le joint verture rappresentano un modello di acquisizione
delle innovazioni sviluppate da altre imprese e possono essere costituite sottoforma
di società vere e proprie o sottoforma di accordi contrattuali che coinvolgono due o
più imprese, un numero più elevato di queste rappresenta un consorzio. I problemi
delle joint verture sono la condivisione degli obietti strategici dei partner della
nuova unità organizzativa e questi devono diventare obiettivi della joint verture.
L’alleanza per sopravvivere deve avere delle risorse proprie sufficienti al
conseguimento degli obbiettivi prefissati ed è fondamentale che i partner
condividano le informazioni a propria disposizione.

Casi di joint verture sono l’STMicroelectronics, produttore globale di chip e Alenia


Spazio, leader nella produzione di sistemi satellitari che hanno sviluppato
congiuntamente una tecnologia. Nel 2001 la ST è diventata partner del progetto
EuroSkyWay di Alenia Spazio sviluppato nell’ambito di un progetto di ricerca
sostenuto dall’ESA (European Space Agency) per realizzare una nuova generazione
di satelliti per servizi di Internet e TV Interattiva. Ciò è realizzabile grazie
all’esperienza di Alenia Spazio nei sistemi satellitari e alla leadership mondiale della
ST nella tecnologia System-on-Chip e la messa in comune di queste due società dei
rispettivi punti di forza permette di implementare soluzioni innovative.
CAPITOLO 8

La gestione delle risorse umane

L’attività di gestione delle risorse umane comprende l’insieme delle pratiche di


reclutamento, selezione, addestramento e formazione del personale impiegato
all’interno dell’organizzazione a tutti i livelli gerarchici.
Negli ultimi venti anni le tematiche riguardanti la gestione delle risorse umane
hanno assunto una grande importanza per l’influenza che la qualità delle risorse
umane ha sul perseguimento degli obiettivi strategici e per il successo dell’impresa,
infatti esse sono portatrici di conoscenze che sono necessarie a gestire ed
implementare con successo le attività aziendali.

Capitale sociale
Leana e Van Buren definiscono “capitale sociale organizzativo” il surplus di
conoscenza che deriva dall’interazione sociale tra i membri di un’organizzazione e
che si manifesta nelle loro capacità di perseguire obiettivi comuni.
Il management sceglie le risorse umane da impiegare nell’organizzazione in funzione
del business in cui opera e delle scelte strategiche che intende perseguire, tuttavia la
capacità dell’impresa di raggiungere gli obiettivi prefissati dipende fortemente dalle
capacità degli individui di attuare processi strategici.
Un requisito importante affinché le risorse umane si impegnino per il
raggiungimento di tali obiettivi risiede nella condivisione di questi e proprio al fine di
favorire la motivazione e la lealtà dei dipendenti, il management strategico stabilisce
il grado di autonomia delle risorse umane e gestisce i meccanismi di selezione che
ritiene maggiormente in grado di assicurare l’impiego di figure che rispecchino i
credi ed i valori dell’impresa.
E’ anche importante la pianificazione delle retribuzioni spettanti agli individui che
operano ai vari livelli dell’organizzazione e alla base di tali vi scelte vi è la volontà del
management di evitare che i dipendenti possano avvertire atteggiamenti
discriminatori ed, anzi, per favorire la loro motivazione e ridurre il rischio di
atteggiamenti inerziali, viene garantita la possibilità di accedere ai livelli più elevati
di retribuzione o all’ottenimento di maggiori benefit.
All’attività di gestione delle risorse umane vanno imputati i costi di reclutamento del
personale, di selezione di colore che verranno assunti, di formazione e
addestramento di operai e figure manageriali.
Le performance delle attività di selezione e reclutamento possono essere valutate in
considerazione dei tempi di risposta e di copertura e la capacità del servizio di
assumere personale adatto.
Le mansioni possono essere più o meno specialistiche ed i loro parametri di
distinzione sono la varietà che definisce il grado di divisione orizzontale del lavoro ed
attiene al numero dei compiti previsti dalla mansione, l’autonomia che definisce il
grado di divisione verticale del lavoro e la contribuzione cioè la capacità del
lavoratore di identificare il contributo apportato all’organizzazione dal suo lavoro.
Oggi le imprese a causa della crescente sofisticazione della domanda hanno
effettuato delle tecniche di ristrutturazione del lavoro:
-job enlargement che consiste nell’ampliamento dei confini orizzontali della
mansione per intensificarne grado e varietà
-job rotation che consiste nel passaggio periodico dei dipendenti a compiti diversi
per evitare alienazione e demotivazione
-job enrichment che prevede un allargamento orizzontale dei compiti ed un loro
ampliamento verticale con la concessione di maggiori responsabilità al dipendente
-lavoro di gruppo che consiste nell’uso combinato delle tecniche richiamate cui
viene associata una distribuzione mutevole dei compiti fra i membri del gruppo.
Le difficoltà connesse al processo di selezione, i tempi del reclutamento, i costi delle
operazioni, i rischi degli eventuali errori nella selezione e formazione del personale,
spingono molte imprese ad esternalizzare tale attività affidandosi a società private o
organismi pubblici. Analogo discorso per l’attività di formazione.

Il reclutamento e la selezione
Il reclutamento è lo strumento con cui l’impresa esprime la propria domanda di
lavoro e attiva l’offerta lavorativa. Le scelte relative a tale attività dipendono dalle
posizioni da coprire nell’impresa o dalle caratteristiche dell’offerta di lavoro. Gli
strumenti si distinguono interni ed esterni.
1. interni: la tecnica più utilizzata è quella del job posting che prevede che il
management porti a conoscenza di tutti i dipendenti le cariche da ricoprire e le
caratteristiche necessarie all’espletamento dei compiti
2. esterni: di cui fanno parte varie tecniche:
-autocandidature che i soggetti interessati presentano alle società o ad un
intermediario specializzato attraverso l’invio del proprio curriculum, di cui è sempre
più utilizzata la tecnica dell’e-recruiting che si avvale di internet per la ricezione dei
curricula in via diretta o indiretta tramite intermediari
-la ricerca da parte delle imprese di talenti presso scuole, istituti di ricerca ed
università
-il ricorso ad agenzie pubbliche o private che raccolgono i curricula delle persone in
cerca di lavoro
-il rapporto con associazioni professionali e sindacati
La selezione è la fase che attiene alla scelta dei soggetti che entrano a far parte
dell’organizzazione. Essa avviene nell’ambito della rosa dei possibili candidati e
prevede un processo di selezione basato sulla verifica delle conoscenze, attitudini e
capacità di apprendimento degli stessi.
Può essere divisa in sottofasi, in un primo momento l’impresa segue o affida alla
società di selezione uno screening dei curricula ricevuti e la prima selezione avviene
sulla base di parametri generali come il livello di scolarizzazione, competenze
linguistiche ed esperienze lavorative precedenti.
La scelta finale si basa su info più dettagliate relative alla motivazione dei candidati
e alla coerenza tra il loro profilo e le necessità dell’azienda. Se anche queste fasi
sono estrenalizzate, l’impresa procede ad un ulteriore controllo del processo di
selezione sulla base di colloqui diretti con i candidati selezionati, le cui principali
tecniche sono:
-i colloqui finalizzati ad approfondire la domanda di lavoro o verificare le info del
curriculum e le attitudini del candidato
-le prove professionali indirizzate a verificare le abilità specifiche dei candidati
-i test psicologici tra cui rientrano i test di intelligenza, tesi a valutare le capacità di
ragionamento, i test di personalità per valutare la sfera caratteriale, i test psico-
attitudinali che valutano le attitudini di un individuo a ricoprire incarichi che
richiedono particolari abilità ed i test di conoscenza che si avvalgono su metodologie
basate sulle simulazioni, volte a valutare individui per ricoprire posizioni di
responsabilità.
I principali costi di tali operazioni possono essere raggruppati nelle seguenti
categorie:
-costi relativi alla raccolta e diffusione di info nel mercato del lavoro
-costi specifici di reclutamento che sono più elevati quanto più ampi sono i
segmenti del mercato del lavoro in cui avviene la ricerca e quanto più è elevato il
numero di candidati
-costi specifici per la selezione che tendono ad aumentare al crescere del numero di
candidati
-costi di attivazione dei flussi in entrata\uscita per le retribuzioni e l’aggiustamento
tra retribuzione domandata e quella offerta
-costi di conflittualità che insorgono qualora i sindacati intervengano nel processo.

Il reclutamento del personale avviene spesso all’interno dell’impresa, le imprese


quindi ricorrono al mercato interno, definito come un’unità amministrativa dove i
livelli di retribuzione e i criteri di allocazione del lavoro sono stabiliti secondo dei
criteri amministrativi, il beneficio per l’impresa è che i costi correlati al mercato
esterno si riducono e si favorisce maggiore coesione ed integrazione delle risorse
umane. Ma tale scelta impone dei costi relativi alla rigidità dei meccanismi di
amministrazione che devono essere creati e mantenuti in essere dall’impresa. I costi
ed i rischi connessi a tale scelta spingono spesso le imprese a propendere per il
mercato esterno e a preferire scelte di outsourcing anche per la gestione delle
risorse umane, la cui convenienza deriva dalla possibilità per le imprese di ridurre i
costi di reclutamento e selezione e anche quelli dell’addestramento e formazione.
Ma ricorrere all’outsourcing richiede un’attenta ponderazione del management
aziendale che deve considerare tali fattori:
-l’utilizzo di risorse umane impiegate all’interno del’impresa facilita il
coordinamento delle stesse e la loro socializzazione, riducendo i costi di transizione
sostenuti dall’impresa
-il ricorso a lavoratori esterni riduce i costi amministrativi ed innalza il livello di
flessibilità organizzativa dell’impresa.
Per superare tale dubbio in quanto a scelta interna\esterna Lepak e Snell
suggeriscono di scegliere in base all’unicità (grado di idiosincrasia, cioè livello di
specificità e frequenza con cu i vengono utilizzate le risorse all’interno dell’impressa)
e al valore (contributo che possono offrire al vantaggio competitivo) delle risorse
umane. Gli autori sostengono che bisognerebbe sviluppare internamente tali risorse
per stabilizzare il rapporto di lavoro, ridurre il rischio di dispersione delle conoscenze
e accrescere la motivazione. Scelte intermedie dovrebbero essere ponderate nei casi
di valore elevato e bassa unicità (suggerimento: alleanze, cioè impiego personale
esterno, ma selezionato da società partner) o viceversa (suggerimento: acquisire dal
mercato risorse già formate con il vantaggio di utilizzare subito le competenze senza
dover al momento investire).

L’addestramento e la formazione
Caratteristiche e qualità delle risorse umane dipendono dalla formazione e
l’addestramento e l’instabilità dell’ambiente ha reso fondamentale la loro capacità
di accrescere il proprio capitale cognitivo e di adattarsi a situazioni nuove.
I successi conseguibili dall’attività di formazione sono legati alla qualità del capitale
umano impiegato nell’impresa e che questo presenti caratteristiche conformi alle
esigenze della stessa.
Lo sviluppo delle specificità professionali necessarie all’impresa richiede un periodo
di formazione delle risorse finalizzato al loro adattamento alle esigenze dell’impresa,
il quale può richiedere una trasformazione generale del capitale quando si richiede
l’acquisizione di caratteristiche professionali che mantengono il proprio valore
anche all’esterno dell’impresa o specifica quando le conoscenze trasferite sono
radicate nell’impresa.
Si definisce addestramento il trasferimento di abilità già definite e controllabili, la
formazione è il processo che mira a sviluppare abilità nuove.
Come tutti gli investimenti, quello del capitale umano comporta dei rischi, relativi al
rendimento del processo di trasferimento delle conoscenze ed alla perdita di queste
da parte dell’impresa, ecco perché spesso i processi di formazione più complessi
sono riservati a colore che ricoprono un ruolo chiave nell’impresa.
La formazione può avvalersi di diverse tecniche:
-la lezione frontale: è utile per il trasferimento di modelli e può richiedere un
atteggiamento passivo dai discenti
-il metodo dei casi: prevede la presentazione ai discenti di un caso scritto relativo ad
una situazione verificatasi in azienda e richiede che i discenti analizzino il caso.
Alcune varianti sono.
a) l’incident che prevede maggiore partecipazione dei discenti che devono pensare
anche alle tipologie di info necessarie a risolvere il caso e a come reperirle
b) il role playing dove è richiesto di recitare il ruolo dei protagonisti per sviluppare
proprie capacità critiche e di analisi
-l’in basket: tecnica di simulazione che prevede che i partecipanti risolvano
situazioni di difficoltà che si verificano nell’arco di una giornata attraverso
comunicazioni scritte, l’obiettivo è di sviluppare capacità decisionali degli individui
-il business game: basato sempre su simulazione e prevede la suddivisione dei
partecipanti in gruppi-imprese che competono in particolari situazioni di mercato,
situazioni che si modificano in base alle decisioni prese ed attuate dai gruppi stessi
-il T-group: i partecipanti devono utilizzare la dinamica delle relazioni interpersonali
all’interno di un gruppo stimolato con il fine di migliorare l’autocontrollo e la
comunicazione
-le learning community: più individui collaborano e si confrontano al fine di
sviluppare la propria capacità di apprendimento
-l’action learning: consiste nella richiesta ai partecipanti di realizzare progetti nuovi
che richiedono conoscenze e competenze diverse rispetto a quelle necessarie a
ricoprire le posizioni occupate fino a questo momento. Molto utilizzato per la
formazione di personale di livello elevato
-il lavoro di gruppo: mira a sviluppare le capacità di apprendimento dei membri del
gruppo sia attraverso l’effetto imitazione sia attraverso il continuo scambio di
informazioni. Questo metodo agevola i processi di socializzazione e favorisce
l’acquisizione di competenze più ampie grazie alla collaborazione tra individui
portatori di conoscenze diverse e l’efficacia del gruppo cresce al crescere della
varietà degli incarichi ricoperti dai suoi membri
-i metodi riflessivi: mirano ad abbattere le barriere mentali difensive degli individui,
fornendo una maggiore apertura verso conoscenze esterne all’organizzazione.
Una componente importante della formazione è ancora l’on the job training cioè
l’esperienza sul campo che permette all’individuo di apprendere attraverso
l’espletamento dei propri compiti e il confronto con gli altri individui.
Riguardo alla valutazione dell’attività di formazione occorre considerare i costi e le
performance ottenute. Fanno parte dei costi:
-costi dei consulenti e docenti
-costo-opportunità derivante dall’impiego di risorse interne nell’attività di
formazione
-costi relativi alla sistemazione logistica
-costi dei materiali didattici
-l’eventuale retribuzione dei partecipanti.
Le performance possono essere valutate attraverso il grado di soddisfazione del
bisogno formativo dei partecipanti, indagando, ad esempio, sul grado di
apprezzamento degli stessi al corso organizzato.
Nelle Pmi l’attività di formazione risulta spesso non formalizzata e si esplica
soprattutto tramite il learning by doing, mentre nelle imprese di maggiori
dimensioni è più frequente la programmazione di percorsi di formazione
formalizzati, basati sulla partecipazione a corsi periodici organizzati in azienda,
prevalentemente per colore che occupano posizioni intermedie.

Le attività infrastrutturali
La funzione finanziaria dell’impresa fa parte delle attività di supporto della catena
del valore e si occupa del reperimento delle risorse finanziarie necessarie a coprire
gli investimenti derivanti dall’attività aziendale.
In relazione a tale attività sono connesse 3 problematiche:
-definizione del volume complessivo e del tasso di sviluppo del capitale investito
nell’impresa
-la scelta degli investimenti e la connessa struttura delle attività patrimoniali
dell’impresa
-la composizione delle fonti di finanziamento utilizzate a copertura delle attività
patrimoniali.
Sono problematiche connesse tra loro e riguardano un unico fenomeno: la dinamica
del capitale.
Il manager ha la responsabilità di definire quali investimenti l’impresa dovrebbe
effettuare al fine di creare valore e come procurarsi il denaro necessario.
La finanza appare come il collegamento tra l’impresa e l’ambiente finanziario e ad
essa competono diverse funzioni di supporto alle decisioni aziendali attraverso:
-la trasmissione di regole e strumenti operativi AREA STRATEGICA
-la decisione della struttura finanziaria di copertura ed il recepimento delle fonti di
finanziamento AREA STRATEGICA
-la gestione della tesoreria e gestione delle politiche per la distribuzione dei
dividendi AREA OPERATIVA
-la gestione dei rischi (risk management) AREA OPERATIVA

Gli step del ruolo della finanza


1. Finanza subordinata: in particolare all’area amministrativa dell’impresa. Il
tradizionale compito della finanza corrisponde al reperimento dei mezzi di
finanziamento necessari a soddisfare il fabbisogno finanziario
2. Finanza integrata: o allargata, dove vi è l’ampliamento delle funzioni finanziarie
che non corrispondono più solo alle scelte di finanziamento, ma anche alle decisioni
relative all’efficace impiego del capitale per gli investimenti. Assume un carattere
fortemente decisionale valutando la convenienza economica dei progetti di
investimento
3. Finanza strategica: si arricchisce della funzione di supporto alle strategie aziendali
e così scaturisce il modello di creazione del valore secondo il quale ogni decisione
aziendale dovrebbe esse valutata sulla base del valore che essa è capace di creare
per gli azionisti dell’impresa.
Negli ultimi anni la finanza si è arricchita di strumenti e metodologie che le hanno
permesso di diventare un “centro di profitto”, cioè capace di gestire i flussi
finanziari in modo tale da generare profitti, sfruttando le opportunità offerte dal
mercato finanziario.
All’area strategica della finanza, in sintesi, sono ricondotte due attività principali:
-il supporto alle decisioni aziendali
-la definizione della struttura finanziaria di copertura ed il recepimento delle fonti di
finanziamento .

Il supporto dell’attività finanziaria alle decisioni aziendali


La prima attività si sostanzia nella predisposizione delle regole e degli strumenti per
la valutazione degli investimenti e delle strategie da trasmettere al management.
Un investimento può essere visto come un impiego di mezzi finanziari per ottenere
una serie di risultati futuri, distribuiti su un periodo temporale più o meno esteso ed
ha le seguenti caratteristiche:
-riguarda l’acquisizione di immobilizzazioni tecniche funzionali per l’attuazione di
azioni strategiche
-corrisponde un rischio d’impresa (l’uscita monetaria che avviene nel momento
iniziale per l’investimento è certa, il flusso di ritorno no)
-implica un ciclo finanziario (gap temporale tra l’uscita per l’acquisizione e ritorno
dilazionato nel tempo).
-l’insieme degli investimenti determina la posizione competitiva dell’impresa.
Alla domanda 1 euro oggi vale più di 1 euro domani, la risposta è che quello che
possediamo oggi può essere investito in qualche attività e potenzialmente generare
un rendimento a titolo di interesse.
Per valutare una decisione occorre considerare i costi ed i benefici incrementali ad
essa associati (quando i benefici superano i costi, la decisione crea valore), per
confrontare costi e benefici è necessario esprimerli nella stessa misura (convertirli in
tempi monetari) e per confrontare costi e benefici manifestati in tempi differenti
occorre riferirli ad un medesimo istante temporale (se l’istante temporale è oggi si
parla di convertirli in moneta attuale).

Capital Budgeting
La metodologia comunemente utilizzata per valutare in via preventiva gli
investimenti in capitale fisso, costituito dalle attività a medio-lungo termine e
circolante, composto dalle attività correnti, in un contesto di risorse finanziarie
scarse, è il Capital Budgeting, che prevede:
-produzione di proposte in di investimento
-quantificazione dei flussi di cassa per ogni proposta
-valutazione dei flussi di cassa attualizzati
-selezione delle proposte sulla base di un criterio di accettazione.
Tecnicamente l’applicazione del capital budgeting richiede:
1. La fissazione dell’orizzonte temporale per ciascuna proposta di investimento
(basata sulla vita economica del bene)
2. Calcolo del rendimento atteso di ciascun progetto di investimento attraverso la
Discounted Cash Flow Analysis (analisi dei flussi di cassa attualizzati).

Discounted Cash Flow Analysis


Il cash flow consiste nella differenza tra ricavi (entrate) e costi (uscite).
Secondo tale processo tutti i flussi di cassa futuri generati dall’oggetto di
investimento vengono attualizzati al momento dell’effettuazione dell’investimento
attraverso un fattore di attualizzazione che tiene conto del costo dei capitali
impiegati e del grado di rischio della nuova iniziativa. I flussi finanziari da prendere in
considerazione sono quelli futuri e differenziali, cosiddetti incrementali, costituiti da
tutti i flussi di cassa in entrata ed uscita.
I flussi incrementali possono essere:
-flussi generati dall’acquisto dell’oggetto dell’investimento in uscita
-i cash flow generati dalla gestione caratteristica afferenti al ciclo operativo di
produzione\erogazione
-i flussi generati dall’impiego del capitale circolante netto operativo (CCNO) dato
dalla differenza tra crediti più scorte e debiti a breve termine di funzionamento. Un
aumento di CCNO segnala un assorbimento di risorse finanziarie sottratte ad altri
usi, un sua diminuzione rilascia risorse da destinare ad esempio ad investimenti
alternativi
-i flussi ottenibili dal valore residuo dell’oggetto di investimento alla fine della vita
economica. Questo valore è costituito da due componenti: una materiale, fornita dal
ricavato della vendita dell’oggetto dell’investimento ed una immateriale che
consiste nel fatto che l’investimento ha permesso all’impresa di sviluppare delle
competenze che rimarranno nell’impresa anche dopo la vita utile dell’investimento.
Calcolo del costo del capitale
In parallelo viene analizzato il livello di rischio legato ai progetti più convenienti dal
punto di vista della redditività.
Il primo metodo di calcolo è il calcolo del costo medio ponderato del capitale o
WACC (Weight Average Cost of Capital)

L’investimento è accettabile se la redditività dell’investimento è maggiore o uguale


al WACC + il margine di remunerazione per il rischio.

La stima del costo del capitale proprio rappresenta il passaggio più difficile: per
quanto riguarda l’autofinanziamento e il capitale netto preesistente, si è soliti
utilizzare un costo opportunità, cioè il rendimento delle alternative di investimento
alle quali si rinuncia.
Per quanto riguarda il nuovo capitale richiesto, esso può essere stimato con il
metodo del Capital Asset Pricing Model (CAPM). La stima di tale costo prevede un
premio per il rischio da aggiungere alla remunerazione delle attività risk free (la ratio
è che l’investitore debba essere remunerato di più per questo capitale).
Valutazione degli investimenti

Dopo aver utilizzato il costo del capitale al fine di attualizzare i flussi di cassa
derivanti dagli investimenti, per valutare gli investimenti vengono utilizzati diversi
metodi, il VAN ed il TIR.
Il valore attuale netto (VAN) viene calcolato come differenza tra i flussi di cassa in
entrata ed i flussi di cassa in uscita, attualizzati, generati dall’investimento. Esso è
una misura del valore creato o distrutto da qualsiasi decisione di investimento.
L’investimento è accettabile se il VAN è maggiore di 0, tra due investimenti si
sceglierà quello con il VAN maggiore.

Il metodo del tasso interno del rendimento (TIR) o Internal Rate of Return (IRR)
prevede che venga stimato il tasso che rende uguale a zero il valore attuale netto
dell’investimento. Il TIR rende equivalenti i flussi positivi e negativi di una
determinata operazione di investimento.
L’investimento è accettabile se il TIR è maggiore o uguale al tasso soglia di
accettazione legato al costo del capitale impiegato, tra due investimenti si sceglierà
quello con il TIR più elevato.
I limiti a tali metodi sono:
-per il VAN che considera lo stesso tasso di attualizzazione per flussi derivanti da
periodi di tempo diversi
-per il TIR c’è la possibilità che un investimento presenti più tassi interni di
redditività o non ne presenti alcuno
-entrambi necessitano di previsioni
Ecco perché ad integrazione delle due metodologie di valutazione può essere
utilizzata quella del tempo di recupero, cioè il payback period.
Il payback period prevede la stima del tempo necessario affinché il flusso di cassa
cumulato imputabile al progetto eguagli il valore del capitale investito. Si calcola
come rapporto tra il capitale investito e la media annuale degli incassi e nel caso
questi siano diversi, è necessario sommare gli incassi e poi dividerli per il numero
degli anni in modo da ottenere l’incasso medio annuo.

capitale investito\media annuale degli incassi

Tra due investimenti si sceglierà quello con il payback period inferiore.


Anche se questo metodo da solo una stima della redditività, infatti i difetti sono:
-non considera il valore finanziario del tempo
-non fornisce una misura della redditività dell’investimento confrontabile con il
costo del capitale impiegato
-non tiene conto dei flussi finanziari successivi alla scadenza del tempo di recupero.
Il pregio è la semplicità del calcolo.

Questo processo di valutazione degli investimenti ha, però, il difetto di considerare i


singoli investimenti come separati nell’ambito aziendale e non come un insieme
unitario.
Attraverso gli strumenti di valutazione è possibile misurare anche il valore creato
dalle strategie per assicurare un vantaggio competitivo.
Ed in questo senso ogni decisione strategica viene sulla base del contributo che essa
fornisce alla creazione di valore per l’azionista secondo lo shareholder value che
viene calcolato mediante la somma dei dividendi percepiti e del guadagno in conto
capitale per l’aumento del prezzo delle azioni (capital gain).
E’ possibile, poi, calcolare il valore borsistico dell’impresa come valore attualizzato di
tutti i flussi finanziari futuri ed il valore dell’hp strategica come valore atteso
dall’attuazione della strategia meno il valore senza altre condizioni.

La struttura finanziaria e le fonti di finanziamento


Fonti esterne:
-capitale proprio
-capitale di debito
Fonti interne:
-autofinanziamento
-disinvestimenti
La gestione di qualsiasi tipo di impresa comporta una serie di decisioni che generano
fabbisogni finanziari, derivanti dal ritardo temporale che intercorre tra l’uscita
monetaria per l’acquisizione di una certa risorsa ed una o più entrate future
generate da quella stessa risorsa.
Ogni risorsa che fa parte delle immobilizzazioni ha quindi un proprio ciclo
finanziario, caratterizzato dalla distanza temporale (t) intercorrente tra il momento
X in cui l’impresa sostiene l’uscita monetaria ed il momento X+t in cui la risposta
ritorna in forma liquida. In questo senso a seconda del tipo di risorsa, si avranno cicli
finanziari più o meno lunghi.
Il ciclo finanziario più breve (inferiore all’anno) appartiene al capitale circolante
(crediti vs clienti e scorte) e da esso deriva un fabbisogno finanziario temporaneo. In
particolare per i crediti, la durata del ciclo finanziario dipende dalle dilazioni
accordate ai clienti, per le scorte di MP e SL il ciclo finanziario è in genere lungo in
corrispondenza del processo produttivo, per i PF è più breve e dipende dal tempo di
giacenza prima della vendita.
Le immobilizzazioni mat. e immat. hanno un ciclo finanziario pluriennale ed hanno
un ritorno liquido indiretto, le immobilizzazioni finanziarie hanno un ritorno diretto
sottoforma di partecipazioni.
In sintesi le attività dello stato patrimoniale forniscono una prima indicazione del
fabbisogno finanziario dell’impresa. La finanza definisce le fonti di finanziamento
(debiti a breve\a lungo termine) più adeguate dal punto di vista quantitativo e
qualitativo da utilizzare a copertura.
L’equilibrio finanziario richiede all’impresa la capacità di mantenere una sincronia
tra disponibilità di risorse finanziarie e la possibilità di reperirle.
La finanza, dunque, ha il compito di impostare una struttura finanziaria tale per cui
le fonti abbiano un’esigibilità più lenta rispetto ai tempi di ritorno in liquido degli
impieghi. La maggiore lentezza di esigibilità delle fonti rispetto alla rotazione degli
impieghi è ciò che tutela l’impresa dagli imprevisti (margine di sicurezza).
Al fine di sorvegliare l’equilibrio finanziario lo strumento più efficace è il capitale
circolante netto, cioè il margine derivante dalla differenza tra il capitale circolante
lordo e i debiti a breve termine. L’equilibrio si persegue se il margine è maggiore di
0.
Per garantire, invece, un’asimmetria tra le diverse velocità di rotazione occorre che
la parte del fabbisogno complessivo sia coperta con mezzi finanziari durevoli e la
parte fluttuante con finanziamenti a breve termine ed inoltre occorre che una parte
del capitale circolante sia finanziata con debiti a medio-lungo termine.
L’asimmetria tra cicli di ritorno in forma liquida e cicli di esigibilità può essere
garantita dall’hedging secondo la quale ad ogni posta attiva deve contrapporsi una
fonte avente approssimativamente la stessa scadenza e l’impresa dovrebbe
ricorrere a debiti a breve termine per finanziare variazioni di breve periodo
(stagionali) e a debiti a lungo termine o capitale di rischio per finanziare la
componente stabile dell’attivo corrente e le attività fisse.
Gestione della tesoreria e risk management
Rientrano nel contenuto operativo della finanza, invece, la gestione della tesoreria e
dei rischi (risk management).
La gestione della tesoreria è propria anche delle attività più piccole e la gestione
della liquidità significa determinare quanta liquidità deve detenere l’impresa e
scegliere tra il contante e le possibilità di investimento in titoli a breve termine
(BOT). Implica un trade-off tra elevati livelli di liquidità per non perdere gli interessi
e bassi livelli di liquidità per evitare di vendere piccole quantità di titoli per far fronte
ai fabbisogni ed elevate spese amministrative.
L’impresa, poi, dovrà scegliere tra la massimizzazione del rendimento dei titoli ed il
pagamento degli interessi sul capitale prestato.
Per quanto riguarda la gestione dei rischi, questi possono riguardare:
-tassi di interesse
-mercati dei beni reali
-tassi di cambio
-portafoglio dei clienti (per cui lo strumento di copertura più usato è il factoring).
La funzione finanziaria è quella di valutare i rischi cui è soggetta l’impresa e ridurli.
Esistono diverse tipologie utilizzate dalle imprese per coprirsi dai rischi, uno di questi
è l’utilizzo di strumenti derivati che sono costituiti da contratti scambiati sul mercato
non regolamentato come: forward, futures, swaps e le opzioni.
Le scelte di struttura organizzativa
Nell’attività organizzativa si ritrovano:
-azioni di coordinazione, volte a far in modo che “le diverse operazioni della
complessa attività imprenditoriale siano portate avanti tenendo presenti le loro
mutue relazioni”
-azioni di integrazione, finalizzate a “ricomporre il lavoro in modo che le singole
operazioni necessarie alla realizzazione di un progetto siano fra loro
complementari”.
La scelta della struttura organizzativa è finalizzata ad individuare la tipologia di
relazioni che devono connettere le singole componenti dell’organizzazione ed è
influenzata dalla complessità dell’ambiente in cui l’impresa opera.
Deve essere, inoltre, coerente con le strategie intraprese e questo concetto è
consolidato nella letteratura economico-aziendale dagli anni ’60 con la nascita del
paradigma chandleriano che, basandosi sull’imperativo manageriale della crescita
suggeriva uno sviluppo per fasi sequenziali delle imprese:
-concentrazione sul core business da espandere nel mercato domestico
-integrazione verticale
-diversificazione e internazionalizzazione.
Coerentemente doveva evolvere la struttura organizzativa passando da
configurazioni più semplici più complesse.

Struttura elementare ed organizzazione line staff


Non ci sono gerarchi ben delineate né dirigenti o supervisori in quanto
l’imprenditore comunica direttamente con il personale. L’organizzazione è
caratterizzata da:
-divisione del lavoro in base alla competenza tecnica ed in ragione dell’omogeneità
funzionale:
1. imprese di ridotte dimensioni
2. processi produttivi essenziali
3. Unica linea di prodotti designata ad un target omogeneo
-articolazione in due livelli organici:
1. Livello sovraordinato in cui sono concentrate le responsabilità di governo
economico e di direzione
2. Livello subordinato in cui sono comprese le unità operative, prive di
responsabilità decisionali, ovvero reparti, uffici o addetti alle vendite.
Le modificazioni della struttura organizzativa hanno visto affermarsi
nell’organizzazione due principi fondamentali:
-principio dell’unità della linea di comando (ogni unità è subordinata ad una sola
unità)
-differenziazione dei compiti tra organi operativi (line) ed organi di supporto (staff).
Le relazioni di supporto o line and staff integrano la struttura di line con unità
collocate orizzontalmente rispetto alle unità di linea. L’unità di supporto ha funzioni
meramente consultive e non esercita alcuna autorità.
Vantaggi
-elevati livelli di flessibilità:
1. Bassi livelli di specializzazione e divisione del lavoro
2. Disponibilità a svolgere, in condizioni di emergenza, una pluralità di compiti
-diffusione di meccanismi di integrazione basati su relazioni personali tra le risorse
umane impiegate
Svantaggi
-scarsa formalizzazione dell’organizzazione
-processi decisionali poco strutturati, ma accentrati in capo ad un unico soggetto
-stile di direzione autoritario e paternalistico.

Struttura funzionale
Dominano i concetti di gerarchia e flussi di comando top-down. La struttura
organizzativa funzionale prevede il raggruppamento, sotto il controllo di uno stesso
manager, di tutte le attività riguardanti una stessa “funzione”. La funzione
imprenditoriale è “razionale invece che intuitiva, meccanicistica invece che organica,
impersonale invece che personale”.
In base alle “funzioni aziendali” le unità possono essere classificate in operative,
funzionali e di servizio:
-operative: sono le unità organizzative che assolvono alle funzioni principali
dell’azienda, ovvero che svolgono le attività gestionali
-funzionali: sono unità che, non necessariamente e direttamente produttive,
attendono alle funzioni aziendali sinergiche all’attività produttiva
-di servizio: svolgono attività di supporto alle altre unità organizzative.
La struttura funzionale può generare conflitti tra i manager funzionali. Accanto ai
vantaggi di efficacia ed efficienza che discendono dal controllo diretto dei manager
sulle attività operative, emergono gli svantaggi legati:
-alla rigidità che caratterizza la struttura funzionale che può ostacolare le risposte
dell’impresa alle variazioni ambientali
-alla spinta burocratizzazione delle attività organizzative e gestionali che può
realizzarsi nelle imprese che applicano in modo eccessivo i principi della
standardizzazione e specializzazione
-alla demotivazione del personale se i manager funzionali esercitano un controllo
troppo rigido delle attività operative.
Quanto alla rigidità insita in una struttura funzionale, è anche poco probabile che la
stessa diventi maggiormente flessibile con la creazione di unità consultive se il
supporto degli staff rimane marginale, mentre se l’attività di staff è vincolante per
quelle di line, le interferenze sulle decisioni dei manager funzionali possono creare
situazioni conflittuali e rallentare il processo decisionale.
Vantaggi
-specializzazione delle risorse con sviluppo di conoscenze (miglioramento di prodotti
e processi)
-efficienza\economicità tecniche (controllo diretto specializzato)
-migliore efficienza della direzione
Svantaggi
-difficoltà di coordinamento (ciascuno potrebbe essere orientato ad ottimizzare i
propri risultati) e comunicazione
-lentezza di risposta ai cambiamenti ambientali a causa della struttura
tendenzialmente rigida, con burocratizzazione spinta (causa specializzazione e
standardizzazione)
-ulteriore complessità se staff specializzato ha funzione non solo consultiva, ma
anche decisionale

Strutture multidivisionali
Dalla seconda metà degli anni ’80, il risultato dei cambiamenti interni ed esterni
all’impresa è stato l’affermazione di strutture organizzative più flessibili, quali le
strutture multidivisionali, caratterizzate da una suddivisione del lavoro in senso
orizzontale a livello dell’alta direzione, con una suddivisione delle responsabilità,
non più per funzione, ma per prodotto, per area geografica o per mercato di sbocco.
Le divisioni diventano dei centri di profitto.
Questa tipologia di struttura prevede 5 livelli.
-direzione generale che attiene ai centri decisionali strategici che hanno il compito
di assegnare risorse ad ogni divisione
-staff centrali caratterizzati da specialisti con funzioni di supporto e\o di consulenza
alla direzione centrale
-divisioni con responsabilità diretta di gestione
-aree funzionali con competenze specializzate di funzione per ciascuna divisione
-unità operative che fanno capo ad ogni divisione e che sono proprie di ogni
segmento funzionale.
Vantaggi
-adeguatezza ai rapidi cambiamenti dell’ambiente esterno
-capacità di gestire e coordinare imprese diversificate
-maggiore responsabilizzazione e motivazione dei dirigenti di divisione
-alto grado di coordinamento tra le funzioni
Svantaggi
-riduzione economie di scala delle unità funzionali
-possibile conflittualità tra i responsabili di divisione
-maggiore difficoltà di coordinamento delle attività delle divisioni

Strutture a matrice
Il coordinamento diviene ancora più complesso. La struttura è decentrata, con centri
di profitto per prodotto e area geografica o mercato, e\o centri di costo per
funzione.
Essa è tipica delle imprese che lavorano per progetti dove accanto alle funzioni
centrali vengono istituite strutture responsabili di uno o più progetti. E’un modello
tipico delle imprese che operano su commessa e dei prodotti con un ciclo breve ed è
una matrice in quanto individua delle righe (progetti) e delle colonne (funzioni).
Nelle strutture a matrice infatti esistono due gruppi di manager:
-responsabili funzionali che curano l’esplicazione efficace ed efficiente di una
funzione indipendentemente dai progetti
-responsabili di progetto (project manager) che coordinano lo specifico progetto.
Vantaggi
-condivisione flessibile delle risorse umane tra progetti
-adatta a decisioni complesse in un ambiente instabile
-maggiori possibilità di “conversione” tra obiettivi\interessi differenti
-opportunità per lo sviluppo di competenze sia funzionali sia di prodotto
Svantaggi
-rischio di duplicazione di funzioni
-conflitti gestionali inevitabili a causa di sovrapposizione tra capi (sforzo nel
bilanciamento del potere)
Le reti intra ed inter-organizzative
L’attuale contesto ambientale ha portato alla creazione di relazioni reticolari intra-
organizzative (casa madre e consociate) ed inter-organizzative (tra imprese
indipendenti) che consentono l’ottimizzazione congiunta dei punti di forza dei
singoli nodi della rete, permettendo alla singola unità di focalizzarsi sulle attività che
sa meglio gestire e di sfruttare le conoscenze e le competenze degli altri nodi.
Pertanto “una struttura reticolare consente all’impresa di perseguire obiettivi
primari, assicurandosi il rafforzamento o la creazione di vantaggi concorrenziali”.
L’acquisizione di vantaggi concorrenziali oggi è diventata ancora più difficile, occorre
pertanto che le imprese focalizzino tutti gli sforzi sull’incremento del patrimonio
conoscitivo, si enfatizza così il ruolo che possono assumere, in una rete intra-
organizzativa, le unità organizzative periferiche che occupano posizioni strategiche.
Esse possono fungere da connettori tra contesti locali e sistema centrale ed una
struttura organizzativa a rete, può facilitare questo processo nella misura in cui le
unità organizzative periferiche, riescono a sviluppare una capacità di trasferire le
conoscenze contest specific alle altre unità organizzative ed al centro.
Nella realtà delle grandi imprese è normale che si verifichi un elevato potere locale
determinato da diversi fattori:
-le maggiori dimensioni del paese nel quale è inserita la filiale
-il controllo di punti di collegamento critici con attori chiave del proprio ambiente
locale ed in particolare del governo del paese ospitante
-la vicinanza ad un dato ambiente locale, con i connessi legami con i clienti, fornitori
ed investitori locali ed una diversa cultura radicata nell’ambiente di appartenenza.
La scelta della localizzazione delle consociate e dei manager da destinare ad esse,
l’individuazione dei meccanismi del coordinamento diventano, pertanto, leve
strategiche che la corporate può utilizzare per l’acquisizione di vantaggi competitivi.
La complessità dell’impresa multinazionale è legata alla sua stessa struttura, che
risulta multiculturale, con una pluralità di mercati e pluri-manageriale in quanto
deve poter gestire per un unico mercato mondiale risorse comuni (capitale,
conoscenze, manager e specialisti). L’attività del manager di cogliere le opportunità
del suo ambiente è cruciale ai fini del successo della singola unità.
L’aumentare della densità delle interazioni che ogni unità decentrata pone in essere
con gli interlocutori fa evolvere il concetto della multinazionale che si configura,
così, come un network organizzativo alla base del quali vi è l’attività di gestione di
un “sistema multinazionale” composto da una rete di unità differenziate e
autonome, la cui interazione è un fattore di successo.
Le reti inter-organizzative permettono di percorrere percorsi di sviluppo flessibili e
intraprendere relazioni clienti, fornitori e concorrenti per co-creare valore, ma i nodi
della rete devono essere ricettivi agli stimoli esterni e capaci di tradurli in un
linguaggio condiviso da tutti i componenti della rete. Da ciò discende un incremento
della complessità gestionale della stessa e la necessità di meccanismi di
coordinamento.

Le problematiche del coordinamento


Via via che i processi di sviluppo delle imprese diventano più complessi e la struttura
organizzativa evolve dalla più elementare alla più complessa (matrice o rete) per i
manager risulta difficile porre in essere attività di coordinamento, attraverso il
quale vengono allineati gli sforzi dei soggetti coinvolti nell’attività aziendale.
I livelli e i meccanismi di coordinamento vanno commisurati all’intensità, reciprocità,
numerosità e variabilità nello spazio e nel tempo delle relazioni sistemiche esistenti
nell’organizzazione.
Il coordinamento è necessario soprattutto nelle imprese multidivisionali che hanno
lasciato autonomia e autosufficienza alle singole divisioni, infatti:
-le divisioni devono interagire per accesso alle risorse finanziarie, informative, ecc.
-nonostante la strategia di globalizzazione, le divisioni vogliono mantenere libertà.
Ciò è più evidente nelle multinazionali dove, a causa della distanza fisica e culturale
tra la consociata e la casa madre, il legame tra proprietà e potere gerarchico è
debole. Per risolvere, poi, situazioni di conflitto tra i manager e le sussidiarie
dovrebbero essere create leadership forti con l’attivazione di contatti e dialoghi
continui con la periferia.
Il coordinamento a volte implica una serie di notevoli costi operativi d’impresa a
seconda dei meccanismi di coordinamento posti in essere.
Per essere efficace il coordinamento deve adeguarsi di volta in volta alla diversa
natura delle relazioni e ai legami di interdipendenza tra i componenti del sistema,
questo ha determinato la rilevanza del coordinamento come fonte di spill over di
conoscenza, intesa come condivisione delle risorse conoscitive all’interno della rete.
Il processo di apprendimento è tanto più accelerato quanto più la conoscenza è
codificabile e non tacita.
La scelta dei meccanismi di coordinamento
Per determinare quali siano i meccanismi di del coordinamento che meglio
sviluppano i processi di apprendimento delle unità organizzative vengono
individuate:
-le routines cioè delle regole cui devono conformarsi le unità dell’organizzazione
nello svolgimento delle loro attività e queste devono essere formulate in modo da
indirizzare le attività dei membri verso itinerari coerenti con quelli delle altre unità
organizzative.
Vantaggi
-aumento dell’efficienza operativa
-riduzione dei poteri del centro e delle unità periferiche
-processi più semplici di decisione e di comunicazione
-minori costi di coordinamento
Svantaggi
-sono efficaci solo se le situazioni da coordinare sono stabili, ricorrenti e in numero
limitato
-hanno limiti di applicabilità se le unità organizzative sono collegate da un
interdipendenza sequenziale input-output.
Se la corporate decentra le attività alle unità periferiche secondo una logica
sequenziale, un’interruzione a livello di un nodo può essere determinante per
l’intera organizzazione quando il nodo assume una posizione critica nella filiera.
-il coordinamento per programma che prevede piani e schemi operativi più flessibili
che nel fissare le direttive di massima, lasciano la possibilità ai coordinatori di
trovare le soluzioni più appropriate per le situazioni contingenti.
Se le strutture organizzative evolvono in soluzioni più complesse, i meccanismi di
coordinamento diventano più sofisticati e richiedono un continuo processo di
feedback oppure potrebbero risultare efficaci “tagli” alla rete di connessione tra
centro e unità periferiche, creando “nodi intermedi”, il nodo supervisore, in tal
caso, funge da interfaccia tra i management centrale e quello periferico.
Le forze del macro-ambiente

Il macro-ambiente o ambiente generale è costituito dall’insieme delle forze,


fenomeni e tendenze di carattere generale che condizionano ed influenzano le
scelte ed i comportamenti dell’impresa e di tutti gli attori del sistema competitivo.
Il macro-ambiente rappresenta, quindi, il contesto istituzionale, economico,
culturale e tecnologico riferito all’area geografica dove opera o intende operare
l’impresa.
E’ infatti una fonte di opportunità e di minacce per l’impresa e, dunque, condiziona
la competitività dell’impresa stessa.
Le variabili che compongono il macro-ambiente non sono à direttamente
controllabili dall’impresa, ma attraverso le proprie azioni essa può condizionarne
l’intensità e modificare la direzione con cui possono verificarsi.
Gli eventi ed i fenomeni del macro-ambiente si ripercuotono su tutte le forze del
micro-ambiente e la sua analisi è contraddistinta da una grande complessità, a tal
proposito si caratterizza come un “costrutto multidimensionale”, cioè un sistema
complesso e difficile da analizzare per la moltitudine delle variabili.
Esso è caratterizzato dalla varietà (elementi eterogenei che devono essere tenuti in
considerazione) e variabilità (fattori che tendono a modificarsi nel tempo
imprevedibilmente).
Dunque le variabili del macro-ambiente vengono studiate facendo ricorso a diversi
modelli di analisi che sono finalizzati a delineare lo stato esistente, attuale (analisi
statica) e l’evoluzione prospettica (analisi dinamica) dell’ambiente in cui opera
l’impresa.
Tra tali modelli, primeggia l’analisi PESTEL e che considera i seguenti sotto-ambienti:
-P: politics (ambiente politico-istituzionale)
-E: economics (ambiente economico)
-S: social (ambiente socio-demografico)
-T: technology (ambiente tecnologico)
-E: environmental (ambiente naturale)
-L: legal (ambiente giuridico-normativo)
L’analisi PESTEL è un’estensione della classica analisi PEST. Alcuni autori hanno
aggiunto a tale modello, poi, delle questioni Etiche.
Le imprese devono pervenire ad una selezione delle variabili che maggiormente
possono configurarsi come minacce o opportunità ed in questo senso può essere
utilizzata la matrice delle priorità che aiuta i decisori aziendali a selezionare le
variabili da analizzare sulla base di due dimensioni:
1. La probabilità che un determinato fenomeno si manifesti in futuro
2. L’impatto che questo può avere sull’impresa.

La rivoluzione microelettronica (sostituzione di dispositivi elettromagnetici con


quelli microelettronici) e la miniaturizzazione sono innovazioni di processo che
hanno reso più complesso l’ambiente, così come la globalizzazione dei mercati.
Un ulteriore fattore è connesso alla maggiore autonomia e auto-propulsività della
domanda: si è infatti assistito il passaggio dall’omogeneizzazione dei comportamenti
di consumo alla varietà degli stili di vita.
Gli studi concordano sui compiti di tale analisi che si deve occupare di:
-monitorare le forze e le tendenze presenti in ciascun sotto-ambiente
-selezionare le variabili strategicamente più rilevanti per la condotta dell’impresa
-individuare i probabili scenari futuri relativi a tali fenomeni
-prevedere i loro impatto sia sulla condotta strategica dell’impresa sia sulla sua
composizione competitiva.
Sotto il profilo “pratico” l’analisi del macro-ambiente viene generalmente realizzata
dalle imprese ricorrendo a fonti “secondarie” ovvero report contenenti statistiche
ufficiali e analisi redatte da enti di ricerca oppure a sondaggi e a focus group
condotti in proprio o attraverso società di consulenza. L’analisi può essere fatta
facendo ricorso ai Big Data, provenienti da piattaforme network (Facebook),
blogging (Twitter), multimedia sharing (YouTube) i siti di domande e risposte
(Yahoo) e i siti di recensione (TripAdvisor).

L’ambiente politico-istituzionale
L’analisi dell’ambiente politico-istituzionale si propone di identificare l’insieme delle
politiche adottate dai governi. Esso pone opportunità e minacce in relazione ai
seguenti quesiti:
-Quali sono i più prevedibili cambiamenti nella politica economica del paese ?
-Quali politiche che si sostanziano in provvedimenti fiscali\monetari sono previsti e
in che misura potranno influenzare il comportamento dell’impresa’
-Quale sarà il loro impatto sui singoli settori industriali ?
I fattori politici influenzano la vita delle imprese poiché:
a) il ruolo dello Stato in molti settori produttivi ed in molti paesi è rilevante,
rivestendo il ruolo del cliente, fornitore e soggetto dell’impresa. I fattori politico-
istituzionali fanno riferimento alle regolamentazioni governative, settoriali e legali,
formali ed informali alle quali l’impresa dovrebbe attenersi (leggi ambientali e di
politica fiscale)
b) le organizzazioni della società civile possono esercitare pressione sulla
regolamentazione di determinate attività e quindi sui componenti aziendali.
Esistono settori che risultano esposti a pressioni politiche della società civile. Si pensi
alle attività connesse alla difesa che sono contraddistinte da un elevato
coinvolgimento dello stato (la maggiore attenzione che lo Stato ha riservato a tutti i
settori\business connessi alla produzione\distribuzione dei prodotti alimentari: la
ricerca di una maggiore sicurezza alimentare e del controllo della filiera).
Questi fattori posso influenzare in maniera più o meno accentuata le prospettive di
profitto.
Un fattore che è molto significativo da valutare riguarda l’intervento dello Stato e
degli organismi di vigilanza sulla tutela della concorrenza. Sono molti, infatti, i casi di
progetti di fusione, acquisizione o collaborazione che sono stati ostacolati o
sottoposti a revisione a causa dell’introduzione di normative regolamentatrici della
concorrenza (Antitrust).
Per quanto riguarda il caso italiano, i principali fenomeni legati all’ambiente politico-
istituzionale sono riconducibili
-alle privatizzazioni di imprese pubbliche
-alla deregulation del terziario
-alla devolution e al progressivo federalismo
-all’ingresso dell’Italia nell’UE e all’adozione della moneta unica.
In Italia gran parte dei settori interessati da forme di intervento pubblico sta
attraversando una fase di trasformazione in una direzione che tende a
responsabilizzare le imprese incentivando l’attività privata.
In sintesi l’analisi dell’ambiente p-e dovrebbe permettere all’impresa di capire quali
siano i prevedibili cambiamenti nella politica economica nazionale ed internazionale
e quale sarà il loro impatto sui diversi settori industriali.
I fattori di natura politica esercitano una forte influenza sulle imprese con orizzonte
competitivo internazionale e a tal proposito, uno che in particolare incide sulla
generazione di comportamenti strategici riguarda la costituzione di free trade zone
(FTZ), cioè zone create dal soggetto pubblico per il potenziamento dell’economia
nazionale. Le FTZ consentono il raggiungimento di tre obiettivi:
-l’attrazione di capitali esteri e locali
-lo sviluppo di nuove opportunità di business
-creazione di occupazione.

L’ambiente economico
Pone minacce ed opportunità in relazione ai seguenti quesiti:
-Quali sono le prospettive del sistema economico nazionale ed internazionale ?
-Qual è l’evoluzione degli investimenti e del risparmio delle famiglie ? Come si
distribuisce il reddito per area geografica, età e nucleo familiare ?
-Qual è l’andamento della produzione industriale nazionale ed internazionale ?
-Quali eventi e trend economici possono influenzare la nostra impresa ?
Le forze dell’ambiente economico possono essere individuate mediante indicatori
quali:
-le diverse tipologie di produzione (industriale, agricola, terziaria)
-il reddito disponibile delle famiglie e gli investimenti
-i tassi di cambio e di inflazione nazionali ed internazionali
-il costo del lavoro e del denaro.
I fattori in esame sono in grado di influenzare il posizionamento competitivo
dell’impresa cui si richiede un’attenta analisi del loro andamento attuale e
prospettico.
Elementi quali crescita economica (PIL e PNL) tassi di interesse, di cambio e di
inflazione possono impattare anche sulle scelte organizzative relativamente alle
principali direttrici di sviluppo. Se il PIL cresce, dovrebbero crescere anche i consumi
e gli investimenti e l’incremento dei consumi rappresenta un’opportunità per le
imprese.

Un elemento molto importante per lo studio dell’ambiente economico è


l’individuazione dello “stato” del ciclo economico, mediante il quale, sulla base
dell’andamento del PIL, nei cicli possono essere individuati le seguenti fasi:
-fase di crescita del PIL
-fase di depressione, in cui il PIL ristagna
-fase di ripresa, in cui il PIL inizia a crescere nuovamente.
I cicli economici sono costituiti da alcuni sotto-cicli, identificati con il nome degli
economisti che li hanno individuati:
-ciclo breve di Kitchin basato sulle variazioni delle scorte avente durata breve, da 2 a
4 anni, si tratta di un ciclo che è guidato dalla necessità delle imprese di ricostruire il
magazzino di MP e SL quando l’economia esce dalla fase di recessione
-ciclo medio di Juglar basato sull’espansione del credito e la riduzione delle riserve
bancarie nelle fasi di ripresa e prosperità e sulle variazioni degli investimenti, di 7 e
10 anni, il ciclo è guidato dall’impennata degli investimenti in beni strumentali
-ciclo di Kuznets o delle infrastrutture che dura in media 25 anni e segue la durata
degli investimenti in infrastrutture
-cicli lunghi di Kondratiev in cui sono inseriti i cicli suddetti, di durata di 50-60 anni
-l’economia globale si sviluppa in 40-60 anni sulla spinta delle innovazioni
tecnologiche.
Un altro elemento da considerare è lo stato dei tassi di cambio soprattutto quando
le imprese si affacciano a mercati internazionali.
La variazione dei tassi di cambio dell’Euro rispetto alle principali valute straniere
influenza i margini di profitto alle imprese internazionalizzate, se la moneta di un
paese si apprezza nei confronti di quella di un altro paese, diminuisce il costo delle
importazioni, ma si riduce anche il livello delle esportazioni che diventano più
costose.
L’analisi dei differenziali dei tassi di inflazione attuali e prospettici nelle diverse aree-
paese può incidere sull’incremento dei prezzi di fornitura a livello internazionale. A
tal proposito occorre evidenziare come i differenziali esistenti nel costo del lavoro e
del denaro nelle diverse aree geografiche abbiano indotto le imprese a delocalizzare
le proprie produzioni in paesi caratterizzati da un minor costo della manodopera o in
cui risulta più conveniente per le stesse l’approvvigionamento di fonti di
finanziamento.
In sintesi l’analisi dell’ambiento economico dovrebbe far capire all’impresa quali
sono le prospettive future del sistema economico nazionale ed internazionale e far
percepire se e in fase di recessione o espansione.

L’ambiente socio-demografico
L’analisi del sotto-ambiente socio-demografico si prefigge l’obiettivo di individuare
le variabili che hanno un impatto diretto sull’evoluzione e dimensione della
domanda e sul consumo dei clienti.
Per quanto riguarda i fattori demografici le imprese dovrebbero riuscire a
rispondere alle seguenti domande:
-Quali cambiamenti demografici influenzano le dimensioni della domanda del
business ?
-Quali trend demografici potrebbero avere un impatto sulla forza lavoro ?
-Questi cambiamenti sono opportunità o minacce per le imprese ?
Sono inclusi tutti i fenomeni che incidono sulla struttura e dinamica della
popolazione, in termini di classi d’età, sesso, reddito disponibile e gruppi etnici.
Variabili significative per l’ambiente demografico sono: il tasso di crescita della
popolazione, la sua composizione per età, il numero medio dei componenti per
famiglia, il tasso di natalità e mortalità ed il grado di urbanizzazione.
Con riferimento all’Italia, negli ultimi anni si sono manifestati una serie di trend
relativi alla progressiva riduzione del tasso di crescita della popolazione,
l’incremento del tasso di invecchiamento, la riduzione del numero medio dei
componenti per famiglia e la riduzione dei matrimoni.
Le tendenze indicate rappresentano una minaccia nella misura in cui determinano
una riduzione della domanda per alcune categorie di prodotto o servizio ed
un’opportunità legata alla possibilità di ampliare l’offerta dell’impresa verso nuovi
consumatori. L’invecchiamento della popolazione ha comportato un aumento della
domanda di prodotti e servizi dedicati agli anziani.
Nell’ambito del marketing questo trend ha spinto le imprese ad individuare nuovi
target di consumatori come gli “spending single” soggetti senza figli che lavorano e
con una capacità elevata di spesa e a tal proposito è stato coniato anche un termine
ad hoc di PANK (Professional Aunts No Kids).
Lo sviluppo dell’occupazione femminile e l’aumento della disponibilità di reddito ha
favorito un aumento della motorizzazione che ha facilitato gli spostamenti e ha
determinato un impatto evidente dei modelli di consumo. Allo stesso modo
l’aumento dei flussi migratori dal bacino Mediterraneo, dell’Est Europa asiatico e dal
Sud America ha determinato nuovi segmenti di consumo sul territorio italiano in
risposta ad esigenze multietniche.
Per quanto riguarda i fattori socio-culturali l’analisi del sotto-ambiente dovrebbe
essere orientata a rispondere a tali quesiti.
-Quali sono i trend attuali ed emergenti nella cultura e negli stili di vita dei
consumatori ?
-Perché si verificano ?
-Quali sono le loro implicazioni per la condotta attuale e futura dell’impresa ?
Consiste nell’analisi di fattori quali l’insieme dei valori, dei credi, tradizioni, linguaggi
e stili di vita delle culture. Gli stili di vita sono composti da fattori legati a valori,
atteggiamenti, interessi, opinioni e comportamenti.
Lo studio di questi fattori è importante per le imprese che operano per i B2C quindi
direttamente con i consumatori finali, dato che consente di addentrarsi nell’agire
umano rispetto ai fattori demografici. L’analisi dei trend socio-culturali implica per
l’impresa delle interviste dirette con i consumatori attraverso questionari e l’utilizzo
di analisi multivariate e quindi le imprese trovano un supporto nei centri di ricerca
specializzate nell’analisi dei socio trend. Negli anni recenti il concetto di stile di vita
perde la sua valenza perché il consumatore è definito come nomade, mutevole.
In Italia le tendenze socio-culturali sono riconducibili ad una maggiore attenzione
verso la tutela della natura e dell’ambiente (ecologismo, variabile ambientale come
vincolo per l’uso delle risorse e l’inquinamento e opportunità per lo sviluppo di
prodotti che tutelano l’ambiente) ad un interesse ai problemi nutrizionali
(salutismo, incremento della domanda di prodotti per il fitness, wellness e sport) e
verso la cura della persona (edonismo, incremento della domanda per i prodotti
della cura della persona).
Recentemente i consumatori hanno iniziato a chiedere prodotti sempre più
personalizzati che le imprese cercano di soddisfare tramite la mass customization.
Quindi, in sintesi, l’analisi socio-culturale dovrebbe consentire l’interpretazione dei
trend attuali ed emergenti negli stili di vita di ogni contesto-paese.

L’ambiente tecnologico
L’ambiente tecnologico è inteso come sottosistema costituito dalle tecnologie il cui
impatto si diffonde otre i confini aziendali e dei singoli ambienti competitivi. L’analisi
di tale ambiente dovrebbe rispondere ai quesiti:
-Quali nuove tecnologie tanno emergendo ?
-Quale sarà il loro impatto sulle tecnologie tradizionali ?
-In che fase del ciclo vitale si collocano le tecnologie dominanti il mercato ?
Dunque l’ambiente tecnologico viene analizzato per la sua potenziale incidenza sulle
fonti del vantaggio competitivo e sulle sue possibilità di sconvolgere le relazioni
concorrenziali tra imprese.
L’innovazione tecnologica può incidere su:
1. Barriere all’entrata
2. Livelli di efficienza delle produzioni
3. Scelte di outsourcing.
I fattori tecnologici vanno analizzati con riferimento alle tecnologie di base e quelle
applicative.
E’ da considerare, poi, l’impatto attuale e potenziale delle innovazioni connesse:
-alle biotecnologie impiegate nell’industria alimentare o per la produzione di
prodotti qualitativamente superiori
-ai nuovi materiali che comportano nuove opportunità per le imprese, ad esempio
materiali più leggeri per le imprese automobilistiche
-alle tecnologie dell’informazione e alle loro applicazioni (multimedialità e network).
E’ molto interessante, inoltre, analizzare le possibili opportunità e minacce che si
generano alla luce dall’Industry 4.0 definita anche Quarta Rivoluzione Industriale.
I maggiori cambiamenti riguardano:
1. L’automazione e lo sviluppo dell’ICT
2. Lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni
3. Il generale sistema industriale.
Le innovazioni tecnologiche richiedono un continuo monitoraggio in quanto possono
essere fonte di opportunità come di minacce di mercato che sono accentuate nel
caso in cui l’impresa opera nel settore high tech. Alcuni di questi settori sono l’e-
commerce, l’internet service provision, le software house e le elaborazioni dei dati.
In conclusione l’analisi dell’ambiente tecnologico dovrebbe aiutare le imprese a
valutare in quale fase del ciclo di vita si collocano le tecnologie tradizionali che
dominano il mercato, se stanno emergendo nuove tecnologie e che impatto avranno
sulle scelte strategiche dell’impresa.

L’ambiente naturale
L’analisi dell’ambiente naturale prevede una valutazione delle dotazioni naturali e
dei fattori country specific dell’area-paese in cui l’impresa si colloca.
I quesiti a cui dovrebbe rispondere sono:
-Quali sono le risorse necessarie per le attività dell’impresa che la natura offre ?
-Quale sarà l’impatto delle attività dell’impresa sull’ambiente ?
L’ambiente naturale è definito come “bacino di dotazioni materiali ed immateriali”
indispensabili all’attività dell’impresa.
La variabile geografica impatta sulle attività d’impresa, infatti, la specificità di alcuni
territori possono contribuire all’acquisizione di un vantaggio competitivo da parte
delle imprese che vi si radicano.
Un punto di partenza per lo studio della scelta localizzativa delle attività produttive è
la teoria di Weber secondo cui i costi di trasporto rappresentano il fattore
decisionale in grado di incidere sulla localizzazione delle imprese. La localizzazione
ottimale delle attività produttive è quella in grado di assicurare la minimizzazione
dei costi di produzione, un facile accesso al mercato finale e l’ampliamento della
quota di mercato aziendale.
Altri fattori sono connessi alla manodopera, ad esempio, se la produzione di un
bene è standardizzata, le scelte di localizzazione si possono dirigere verso paesi in
via di sviluppo dove è diffusa la manodopera a basso costo.
Emblematica, poi, appare in Italia l’esperienza maturata dalle imprese nell’ambito
delle agglomerazioni industriali (distretto: sistema produttivo caratterizzato da un
alto numero di imprese geograficamente concatenate e impiegate in diversi stadi
della produzione di un prodotto omogeneo).
Le economie di agglomerazione territoriale (Marshall) sono generate dalla
concentrazione di imprese in un’area geografica e si manifestano in un vantaggio
economico derivante dalla riduzione dei costi dei fattori produttivi e dall’aumento
delle opportunità di crescita e spiegano proprio i fenomeni dei distretti industriali.
Per lungo tempo le imprese sono state orientate ad uno sfruttamento indiscriminato
delle risorse presenti nell’ambiente naturale di riferimento per soddisfare una
numerosità elevata di bisogni, il problema dell’impatto ambientale era considerato,
dunque, un “male necessario”.
Solo di recente la presa di coscienza dell’importanza di azioni indirizzate alla
salvaguardia ambientale hanno portato alla nascita dello sviluppo sostenibile che
soddisfa i bisogni senza compromettere l’uso futuro delle risorse disponibili.
L’approccio della Triple Bottom Line prevede la completa integrazione delle tre
dimensioni della sostenibilità nelle attività aziendali (3P, Profit, People, Planet).
1. Sostenibilità economica intesa come capacità di generare reddito e occupazione
per sostenere la popolazione
2. Sostenibilità sociale intesa come capacità di assicurare sicurezza, istruzione e
salute a tutte le classi e generi
3. Sostenibilità ambientale intesa come la capacità di mantenere la qualità e
riproducibilità delle risorse naturali per garantirle alle generazioni future.
L’intensificarsi, poi, delle politiche mosse dagli stakeholder esterni all’impresa si è
tradotto a livello macro-economico nella predisposizione di incentivi (volti a
modificare le convenienze delle imprese per indurle ad attuare scelte strategiche
coerenti con la tutela ambientale) e vincoli (indirizzati a limitare le attività in grado
di produrre direttamente degli effetti negativi sull’ambiente) all’operato aziendale.
Un esempio di provvedimento vincolistico è rappresentato dai limiti imposti dal
protocollo di Kyoto.

L’ambiente legale-normativo
L’insieme delle regole attinenti al lavoro, all’ambiente, alla tutela del consumatore,
alla concorrenza, al governo societario sono la “concretizzazione” degli orientamenti
politici e dei condizionamenti esercitati dalla società civile. Queste regole possono
essere applicabili la livello nazionale, sovranazionale, locale o regionale.
Le regole, dunque, variano da paese a paese e a tal proposito occorre effettuare una
distinzione tra:
-Common law: i principi si rifanno alla fonte primaria che è la legge (codice civile)
-Civil law: tipicamente anglosassoni, secondo i quali la dottrina si basa su
orientamenti espressi da provvedimenti presi da giudici in sentenze precedenti, su
fattispecie analoghe o identiche a quella in esame.
Le economie sono distinguibili in:
1. Economie di mercato liberali in cui il sistema delle regole promuove la
concorrenza tra imprese (UK, USA, Irlanda)
2. Economie coordinate in cui i vincoli legali e normativi tendono a regolare
l’economia e a privilegiare la creazione di accordi tra gli stakeholder (Giappone,
Italia, Germania)
3. Economie di mercato in via di sviluppo in cui lo stato influenza profondamente
l’economia (Cina, India, Brasile).

Le forze del micro-ambiente: i concetti di settore e ASA

Il micro-ambiente o ambiente competitivo è costituito da tutte le forze, fenomeni ed


attori che operano nel campo di attività dell’impresa, ne influenzano scelte
strategiche e performance, determinano l’intensità della concorrenza ed
influenzano le prospettive di redditività dell’impresa e dei suoi concorrenti.
L’analisi del micro-ambiente mira ad individuare il campo di attività dove l’impresa
intende competere e quindi i soggetti con cui essa deve interagire.
Lo studio prevede 4 momenti fondamentali.
1. Definizione dei confini del campo di indagine, identificando il settore e le aree
strategiche d’affari (ASA)
2. Analisi delle caratteristiche strutturali del campo di indagine e delle dinamiche
competitive che lo caratterizzano
3. Ricostruzione dei principali raggruppamenti strategici
4. Individuazione dei raggruppamenti strategici più importanti dei principali
concorrenti e selezione degli indicatori di monitoraggio.

I concetti di settore e ASA rispondono all’esigenza delle imprese di individuare le


opportunità di business che emergono dalla struttura ed evoluzione dell’ambiente,
ma non tutte le imprese pervengono agli stessi risultati bensì hanno capacità
interpretative ed analitiche diverse in base alle risorse e competenze di cui
dispongono.
Ogni impresa identifica l’ambiente competitivo su cui agiscono le forze che
influenzano la competitività d’impresa e a tale finalità risponde lo strumento di
pianificazione ideato da Porter.

-Il settore
Gli studi sul settore hanno la finalità di identificare un insieme omogeneo di imprese
al fine di studiarne i comportamenti competitivi e la capacità di soddisfazione della
domanda.
Il settore si configura come “luogo figurato” costituito dall’insieme di imprese con
caratteristiche omogenee che concorrono nello stesso mercato, per identificare il
settore dunque è possibile procedere tramite 2 criteri di omogeneità:
1. Settore merceologico\manifatturiero (omogeneità dei prodotti)
Focus sull’offerta. Identifica appartenenti al settore le imprese che producono lo
stesso prodotto e presentano un’omogeneità di natura merceologica, cioè si
avvalgono delle stesse tecniche di produzione e ricoprono gli stessi mercati
d’acquisto. Esse utilizzano anche gli stessi input produttivi. Al settore viene associato
un processo chiamato processo terminale settoriale che accomuna le imprese che
lo compongono e consente di estendere l’omogeneità proprio alle tecnologie
produttive e agli input. Nell’ambito dell’omogeneità manifatturiera, l’individuazione
di elementi di differenziazione è il punto di partenza per lo sviluppo di conoscenze e
competenze.
2. Settore economico (omogeneità dei bisogni):
Focus sulla domanda. Identifica appartenenti al settore le imprese che producono
prodotti sostitutivi in risposta al soddisfacimento di bisogni analoghi o assimilabili.
L’analisi della sostituibilità tra prodotti può essere effettuata attraverso la misura
dell’elasticità incrociata fra prodotti dell’impresa e quelli delle altre imprese.

La definizione dei confini settoriali può essere effettuata tramite integrazione della
prospettiva della domanda con quella dell’offerta, tale integrazione avviene
considerando l’intersezione di 4 insiemi di imprese omogenee rispetto a:
-tecnologie
-input
-bisogno soddisfatto
-scelte commerciali

-L’ASA
Identifica l’area strategica d’affari che identifica tramite il modello o diagramma
tridimensionale di Abell basato sulle seguenti dimensioni:
-i gruppi di clienti che rappresentano il chi viene servito dall’impresa e sono
identificati in base alle caratteristiche demografiche o agli stili di vita
-le funzioni svolte per i clienti, il come, che identificano le categorie di bisogni che
possono essere soddisfatti da un dato bene
-le tecnologie che esprimono il come, cioè le modalità per la soddisfazione di bisogni
per gruppi di clienti.
L’identificazione dell’ambito competitivo non necessariamente corrisponde ad un
business e nel caso di imprese multibusiness possono essere identificate più ASA e
più contesti competitivi.

Uno strumento di lettura dell’ASA: l’ambito competitivo


L’analisi delle caratteristiche strutturali e le dinamiche competitive delle imprese
può essere condotta sulla base del modello della concorrenza allargata di Porter
che propone una pluralità di soggetti che esprimono specifiche forze competitive in
grado di influenzare la redditività e attrattività di un business.
La redditività in un ambito competitivo dipende dall’intensità della concorrenza
all’interno dello stesso e dall’interazione di 5 forse:
1. I concorrenti diretti
2. I concorrenti indiretti
3. I concorrenti potenziali
4. I fornitori
5. I clienti

L’effetto congiunto di queste forze determina il profitto potenziale finale ovvero la


possibilità di remunerazione a lungo termine del capitale investito. L’influenza
esercitata dalle singole forze non è la stessa in tutti i settori.
1. La concorrenza effettiva
Con questo termine ci si riferisce ai concorrenti diretti dell’impresa, cioè l’insieme
delle imprese che producono la stessa tipologia di beni\servizi e che sono in
competizione tra loro.
L’intensità della competizione influenza lo stato della concorrenza, il grado di
redditività e attrattività del business. La rivalità si può esprimere in termini di:
-“guerre del prezzo” che talvolta sono così aggressive da spingere i prezzi al di sotto
dei costi con perdite notevoli
-incrementi degli investimenti in pubblicità, ricerca e sviluppo ed innovazione di
prodotto che fanno lievitare i costi delle imprese riducendone la redditività.
L’intensità della concorrenza può essere valutata attraverso l’osservazione di alcuni
comportamenti delle imprese e tra i fattori di elevata concorrenza troviamo:
-frequenti cambiamenti dei prezzi di prodotti e servizi offerti
-ripetuti lanci di nuovi prodotti o innovazioni radicali ed incrementali di quelli
preesistenti
-aumento degli investimenti in campagne pubblicitarie
-frequenti sforzi per rendere accessibili i propri prodotti.
L’intensità della concorrenza diretta è determinata da numerosi fattori:
a) Il grado di concentrazione del business:
Ci si riferisce al numero ed alla distribuzione per dimensione delle imprese
concorrenti. Il valore della numerosità dei concorrenti deve, però, essere integrato
con indici di concentrazione rappresentativi della distribuzione delle quote di
mercato delle imprese. L’indice di concentrazione più comune è quello della
concentrazione industriale dato dall’insieme delle quote di mercato dei produttori
principali che possono essere calcolate utilizzando parametri quali il numero degli
addetti, il volume di produzione, il fatturato, ecc.
Un indice di concentrazione relativo alle prime 4 imprese che operano in un
business pari al 75% indica una situazione di elevata concentrazione, dove quattro
imprese detengono il 75% del fatturato complessivo del mercato e dominano
l’ambito competitivo.
Al contrario indici di concentrazione molto bassi indicano una concorrenza
frammentata dove le imprese non sono in grado di influenzare le dinamiche
competitive.
L’indice di concentrazione assoluta dovrebbe essere affiancato dalla concentrazione
relativa che considera come si distribuiscono le quote di mercato rispetto al valore
medio.
In linea generale, minore è il grado di concentrazione delle imprese, più aspra sarà la
competizione. Nel caso in cui il business sia caratterizzato da un elevato livello di
concentrazione, le imprese non attueranno strategie di prezzo aggressive.
b) La diversità dei concorrenti:
L’intensità della concorrenza diretta dipende anche dalla somiglianza che le imprese
hanno in termini di origini, obiettivi, costi ed orientamenti strategici. Se le imprese
presentano, dunque, delle similitudini, la rivalità tra esse sarà elevata e la redditività
diminuirà nel lungo periodo.
c) La struttura dei costi:
Se le imprese appartenenti ad un determinato ambito competitivo detengono una
struttura produttiva caratterizzata da un’elevata percentuale quota di costi fissi, la
volontà di sfruttare al massimo la capacità produttiva favorirà una competizione
bassa sul prezzo. Le imprese cercheranno di attrarre il maggior numero di clienti
possibile, in modo da massimizzare i volumi di vendita. Se esiste un eccesso di
offerta rispetto alla domanda, le imprese potrebbero essere indotte a spingere il
livello dei prezzi fino a quando il prezzo di vendita riesca a coprire almeno i costi
variabili.
d) La differenziazione del prodotto\servizio:
Più i prodotti appaiono omogenei più i clienti saranno indotti a sostituirli tra loro in
funzione del prezzo. I prodotti o servizi poco differenziati o indifferenziati
(commodity) risultano sostituibili ed il prezzo costituisce l’unica variabile
competitiva. La differenziazione dei prodotti riduce l’importanza del fattore prezzo
come base per la competizione che si gioca sulle caratteristiche tangibili ed
intangibili dei prodotti, sulla marca. Le imprese che riescono a differenziare i propri
prodotti riescono a fidelizzare maggiorente i clienti.
e) La capacità produttiva in eccesso e le barriere all’entrata:
L’intensità dipende anche dall’esistenza di capacità produttiva in eccesso rispetto
alla domanda e tale eccedenza di offerta può essere sia la risultante di una
contrazione della domanda da parte dei clienti sia un eccesso di investimenti da
parte dell’impresa. Se all’interno di un ambito competitivo è presente capacità
produttiva inutilizzata, le imprese saranno indotte a competere sui prezzi per evitare
di perdere i propri volumi di vendita. La competizione in questi casi è tanto più aspra
quanto più le imprese detengono strutture produttive rigide con elevate percentuali
di costi fissi.
Le barriere all’uscita sono costi che l’impresa sostiene quando intende uscire da un
determinato ambito competitivo. Queste risultano elevate quando:
-l’impresa utilizza impianti altamente specializzati, difficili da convertire per altre
produzioni
-sono alti i costi fissi di uscita, cioè i costi relativi all’interruzione dei contratti di
lavoro
-sono elevate le interdipendenze strategiche tra il business che l’impresa intende
abbandonare e l’attività dell’impresa
-esistono ostacoli da parte di attori istituzionali.
A tali barriere possono aggiungersi quelle emotive legate a ragioni storiche, come la
fondazione dell’impresa che la spinge e non voler abbandonare il business.

f) Il tasso di crescita della domanda:


Un tasso di crescita della domanda, a parità di offerta, comporta una maggiore
rivalità tra i concorrenti esistenti e minori aspettative di redditività di lungo periodo.

2. La concorrenza verticale
Per lo svolgimento della propria attività le imprese devono approvvigionarsi degli
input di cui hanno bisogno e devono individuare un mercato per il proprio output.
Per ogni tipologia di scambio è possibile individuare uno specifico mercato
(approvvigionamento o sbocco) nel quale l’impresa si relaziona con due tipologie di
soggetti: clienti e fornitori.
I clienti ricercando migliori rapporti qualità\prezzo, intensificano la concorrenza tra
le imprese, mentre i fornitori influenzano il loro livello di costi. Esercitano una
pressione competitiva “verticale” sulle imprese, influenzandone le prospettive di
redditività di lungo periodo.
L’intensità della pressione competitiva dei clienti dipende dal potere economico
espresso dalle parti e dal livello della concorrenza orizzontale. Quanto più i clienti
detengono potere contrattuale nelle transazioni con l’impresa, tanto più
tenderanno a chiedere condizioni negoziali a loro favorevoli. Tali condizioni
tenderanno ad aumentare i costi delle imprese del settore.
Il potere contrattuale dei clienti dipende da due fattori critici:
1. la sensibilità al prezzo: risulta particolarmente elevata per i prodotti
standardizzati (più i prodotti\servizi sono standardizzati meno i clienti saranno
disposti a cambiare fornitore sulla base del prezzo). In relazioni B2B la sensibilità al
prezzo aumenta al crescere dell’impatto che il prezzo di un componente ha sul costo
di un prodotto\servizio, diminuisce al crescere della specificità del componente e
dell’importanza che esso ha per la qualità dell’output finale.
2. il potere contrattuale relativo: è determinato dalla capacità di un soggetto di
rifiutare la conclusione della transazione con l’altra parte, legata ai costi che le
diverse parti negoziali devono sostenere se la transazione non si effettua. Il livello di
tali costi dipende dall’importanza che ha la transazione per le parti.
Il potere contrattuale dipende da:
-struttura della domanda: il potere cresce all’aumentare delle dimensioni e
concentrazione dei clienti
-informazioni in possesso degli acquirenti: maggiore è il n. di info possedute dai
clienti, più facile sarà per loro effettuare un confronto tra i diversi fornitori
-la capacità di integrazione verticale dei clienti: se tali soggetti entrano nel business
dove operano i loro fornitori, aumenta il potere dei compratori
-l’entità dei costi di riconversione: costi elevati di riconversione mantengono stabili
le relazioni fornitore-acquirente
-la presenza di prodotti\servizi sostitutivi: in questo caso il potere aumenta in base
allo switch che i clienti possono effettuare da un prodotto\servizio all’altro.
In maniera speculare si può parlare del potere contrattuale dei fornitori (l’impresa in
questo caso è cliente). Il loro potere è maggiore quando il mercato della fornitura è
più concentrato di quello degli acquirenti imprese.

3. La concorrenza potenziale
Ci si riferisce alla minaccia dei nuovi competitor attratti da livelli di redditività
potenziale. Per aggirare tale rischio lo imprese devono innalzare le barriere
all’entrata che si traducono in un differenziale di costo che il nuovo entrante dovrà
sostenere per entrare in un determinato settore competitivo.
Le barriere hanno natura.
-istituzionale: norme e regole che limitano l’attività dei potenziali entranti (brevetti
e copyright)
-strategica: forme di ritorsione adottate dalle imprese nei confronti di nuovi entranti
(abbassamento dei prezzi, azioni legali)
-strutturale: azioni delle imprese per migliorare la propria posizione rispetto ai
competitor. Le principali barriere strutturali si ricollegano a tali fattori:
a) Il fabbisogno di capitale
Se l’entrata nel settore richiede investimenti di capitale elevato, l’entità del
fabbisogno finanziario può costituire un disincentivo all’ingresso.
b) Le economie di scala
Esse permettono alle imprese di raggiungere livelli più elevati di profittabilità e
offrono la possibilità di ridurre i prezzi di vendita senza incorrere in forti riduzioni dei
profitti finali. Costituiscono una barriera all’entrata perché i nuovi competitor sono
obbligati a produrre sulla stessa scala esponendosi ad un rischio di sottoutilizzazione
degli impianti.
c) La differenziazione del prodotto
Questa capacità delle imprese costringe i competitor ad effettuare ingenti
investimenti in pubblicità per affermare il proprio marchio.
d) Il difficile accesso ai canali di distribuzione
Scoraggia i distributori a trattare nuovi prodotti ed i nuovi entranti devono puntare
su prezzi più bassi o devono riconoscere margini più alti ai distributori.
e) Svantaggi di costo assoluti per le imprese che già operano nel settore
Possono derivare:
-dall’accesso privilegiato a MP scarse o ottenute a prezzi bassi rispetto a quelli
attuali
-da scelte di localizzazione favorevoli
-dall’aver sfruttato sovvenzioni pubbliche ora non più disponibili
-dall’effetto delle curve di esperienza ed apprendimento.
f) La diversificazione dell’offerta
Permette all’impresa di fidelizzare i clienti e ridurre gli spazi di manovra dei
potenziali entranti.

4. La concorrenza indiretta
Le imprese che producono beni o servizi sostitutivi costituiscono un’ulteriore forza
riconducibile a quella concorrenziale.
I prodotti e servizi sostitutivi rappresentano prodotti e servizi che, pur avendo
caratteristiche merceologiche diverse, assolvono alla stessa funzione d’uso di quelli
concorrenti nel settore.
I beni\servizi sono sostituibili se presentano un’elevata elasticità incrociata:
all’aumentare del prezzo di uno aumenta la domanda dell’altro.
La presenza di tale forza competitiva incide sulla redditività del business perché il
prezzo che i consumatori saranno disposti a pagare risulta influenzato dalla
possibilità di scegliere altri beni sostitutivi.
Più complessi sono i bisogni dei consumatori maggiori saranno le differenze nella
percezione delle prestazioni dei diversi prodotti e quindi minore la probabilità di
esistenza di prodotti sostitutivi.
Le imprese posso adottare alcune misure per limitare la pressione competitiva di
tale fora concorrenziale:
-differenziazione del prodotto per ridurre la sostituibilità della domanda
-rafforzare i legami con i clienti con la comunicazione
-migliorare il sistema distributivo ed il rapporto Q\P.

I raggruppamenti strategici
Le cinque forze concorrenziali colgono solo in parte e in maniera generale le
condizioni dell’ambiente competitivo e non sono efficaci per rappresentare il campo
dei reali concorrenti di un’impresa e le strategie competitive che essi perseguono. In
questo caso risulta efficace fare riferimento ad un livello più disaggregato: il
raggruppamento strategico che costituisce un insieme di imprese concorrenti che
seguono strategie comuni o simili, riconducibili alle stesse dimensioni strategiche
(variabili su cui si basa il vantaggio competitivo). Tali imprese tendono ad avere
caratteristiche analoghe anche in termini di struttura organizzativa, produttiva e
assetto societario (simili risorse e competenze).
L’adozione nel tempo di comportamenti strategici simili comporta la
sedimentazione di caratteristiche strutturali comuni legate allo sviluppo di uno
stesso patrimonio di risorse e competenze.
I raggruppamenti strategici possono essere “mappati” attraverso l’utilizzo delle
dimensioni strategiche chiave su cui si basa il vantaggio competitivo, ad esempio:
• Ampiezza della gamma prod/serv
• Estensione geografica dell’offerta
• Tipologia di canale distributivo
• Livello di servizio offerto
• Livello di qualità di prodotti o servizi
• Politica di prezzo
• Grado di integrazione verticale
• Tipologia di cliente servito
• Livello di diffusione e identificazione della marca
• Livello di innovazione tecnologica e tipo di tecnologia usata.
Tali mappe vengono solitamente costruite in uno spazio cartesiano a due dimensioni
scegliendo le due variabili che più incidono sulla formazione del vantaggio
competitivo.
Nello spazio cartesiano i raggruppamenti strategici vengono rappresentati con figure
geometriche di dimensioni proporzionali alla quota di mercato cumulata di tutte le
imprese che appartengono allo stesso raggruppamento.
L’analisi dei raggruppamenti strategici presenti all’interno di uno stesso business
risulta preziosa al fine di individuare i concorrenti diretti con cui l’impresa si
confronta.

L’analisi dell’ambiente interno


L’analisi dell’ambiente interno mira a comprendere il legame tra risorse,
competenze e le scelte strategiche dell’impresa e l’ottenimento di vantaggi
competitivi difficilmente replicabili dai concorrenti. Dunque l’impresa viene vista
come un insieme eterogeneo di risorse e competenze che rappresentano la base
per realizzare un vantaggio competitivo.
L’analisi dell’ambiente interno è rimasta a lungo focalizzata sui problemi relativi
all’allocazione delle risorse e alla massimizzazione delle performance delle funzioni
aziendali. Una maggiore attenzione verso l’ambiente interno come elemento di
rilevanza è partita solo dagli anni ’90.
Il successo di un’impresa dipende dal possesso di risorse immateriali, in primis
conoscenze, risorse che per loro natura risultano difficilmente trasferibili in quanto
incorporate negli individui. E’ la capacità del management di utilizzare queste risorse
che permette il raggiungimento di vantaggi competitivi.
Nel perseguimento dei propri obiettivi l’impresa deve puntare proprio su questo
patrimonio di risorse e competenze che permette all’impresa di consolidare i propri
punti di forza e ridurre quelli di debolezza. Dunque deve condurre un’analisi della
concorrenza (ambiente esterno) e un’analisi dei suoi elementi interni per ottenere
vantaggi (ambiente interno).
Il ruolo delle risorse per ottenere il vantaggio competitivo
L’approccio alla strategia fondato sulle risorse, noto come Resource Based View, è
caratterizzato da una valutazione della posizione competitiva dell’impresa basata su
quello che essa è in grado di fare prima che sui bisogni che essa cerca di soddisfare.
Le scelte strategiche dell’impresa dipendono, infatti, sia dalle opportunità e minacce
che emergono nell’ambiente esterno sia dai punti di forza e debolezza propri
dell’impresa: il comportamento delle imprese non deve basarsi solo sulla
predisposizione di azioni necessarie per abbattere la concorrenza, quanto sugli
elementi propri dell’impresa difficilmente imitabili dai competitor.
La competizione diventa una guerra di movimento in cui il successo dipende sulla
capacità di anticipare i mercati e di rispondere ai cambiamenti dei bisogni dei
consumatori. Le risorse, inoltre, rappresentano l’origine della profittabilità
dell’impresa la quale dipende da:
a) l’attrattività del business in cui l’impresa è collocata
b) il raggiungimento di un vantaggio competitivo sui competitor nel business di
riferimento.

Le risorse di cui l’impresa dispone sono gli assets specifici dell’impresa, composti di
qualsiasi cosa un’impresa utilizzi al fine di creare, produrre e offrire i suoi prodotti
sul mercato.
Si differenziano dai fattori produttivi che invece sono gli input disponibili in forma
disaggregata come fattori di mercato.
La caratteristica fondamentale delle risorse è la loro capacità di autoalimentazione
e dal processo di continua rigenerazione (dal latino resurgere).
Hofer e Shendler ne identificano 5 tipi.
-finanziarie
-fisiche
-umane
-organizzative
-tecnologiche.
In base alla tangibilità si individuano due macro-categorie cui vengono affiancate le
risorse umane: risorse tangibili (fisiche e finanziarie) caratterizzate dal fatto di
essere supportate da un elemento fisico ed avere un corrispettivo quantitativo nel
patrimonio dell’impresa e risorse intangibili (tecnologiche, conoscitive e di
reputazione) il cui valore dipende da effetti di complementarietà con altri elementi
del sistema aziendale.
La valenza di alcune risorse intangibili può essere tradotta solo in parte in termini
patrimoniali in alcuni asset d’impresa, altre non trovano una precisa collocazione
negli asset del patrimonio dell’impresa e questo è il motivo che ha spinto alcuni
autori ad evidenziare il valore degli asset immateriali aziendali.
La distinzione delle risorse umane sia da quelle materiali che immateriali risulta
giustificata per la loro natura di essere tangibili (fisicità) ed intangibili (portatrici di
competenze e capacità).
Il valore delle risorse non è determinato dalla risorsa in sé bensì dai servizi che esse
possono fornire i quali sono una funzione del modo in cui esse sono utilizzate. La
stessa risorsa se utilizzata a scopi diversi fornisce un diverso servizio. Dunque le
risorse sono un insieme di servizi potenziali e possono essere definite
indipendentemente dal loro uso, mentre i servizi costituiscono una funzione o
un’attività.

Le risorse immateriali
Sono dotate di elevata specificità in quanto derivano dalla storia di ciascuna
impresa e difficilmente possono essere imitate, esse costituiscono anche una
barriera all’entrata. Le risorse immateriali sono:
-accumulabili nell’impresa perché tendono a sedimentarsi con il tempo
-si sviluppano grazie al loro utilizzo ad esempio sottoforma di relazioni tra i clienti e
fornitori o l’efficacia segnaletica del marchio
-tendono a deperire se non vengono gestite dall’impresa a sufficienza ad esempio le
risorse tecnologiche possono essere superate da innovazioni di altre imprese, se non
monitorate continuamente e rinnovate.
Le risorse immateriali sono difficilmente trasferibili da un’impresa ad un’altra e sono
imperfettamente mobili. La caratteristica dell’accumulabilità e della imperfetta
trasferibilità delle risorse intangibili rendono difficile la loro riproduzione per
imitazione da terzi, quindi, il patrimonio di risorse dell’impresa può essere
alimentato grazie a processi di autopoiesi (autocreazione), ma difficilmente
sviluppato per acquisizione.
Esse vengono definite facendo riferimento al concetto di capitale intellettuale che è
costituito dal sapere, dalle informazioni, dall’esperienza e dagli oggetti della
proprietà intellettuale dell’impresa.
Esso può essere distinto in:
-capitale umano: costituito dalle conoscenze possedute dalle persone operanti
nell’impresa, ma non è di proprietà dell’impresa bensì delle persone e spesso è
tacito ed inconsapevole, può essere diffuso grazie alla collaborazione tra i
dipendenti (si vede la valenza fisica e immateriale delle risorse e dell’umane)
-capitale dell’organizzazione: attività e procedure che permettono un
funzionamento ottimale dell’impresa attraverso la comunicazione della conoscenza
e sono in grado di favorire la diffusione del sapere (database e software così come
brevetti e diritti d’autore)
-capitale relazionale: costituito da rapporti attivati dall’impresa con il conteso
esterno, come personale, fornitori e clienti. Alla base delle relazioni dell’impresa con
altri soggetti sta essenzialmente la fiducia che è una risorsa immateriale
dell’impresa.

Dalle risorse alle competenze distintive


Il possesso di risorse concede solo in parte la possibilità di ottenere il vantaggio
competitivo.
Diventa quindi importante il modo in cui queste vengono coordinate ed integrate tra
loro poiché il loro valore deriva da effetti di complementarietà e sinergia derivanti
dalla combinazione con altre risorse.
-Capacità organizzative: consiste nella capacità di integrazione e coordinamento
delle risorse. Talvolta le capacità organizzative integrano risorse appartenenti a
soggetti esterni come per le imprese operanti nel settore dei gruppi di acquisto
(Groupon). Esse derivano dal consolidarsi delle routines organizzative, sequenze di
regole sedimentate con l’esperienza
-Competenze: l’impresa le crea tramite l’integrazione e coordinamento delle risorse
e possono essere definite come “saper fare” o “intelligenza” dell’impresa.
Sono un prodotto interno caratteristico di ogni impresa ed emergono nel tempo
tramite il processo dell’accumulazione e dell’apprendimento di capacità
-Competenze distintive: quando le conoscenze permettono all’impresa di
raggiungere una posizione di vantaggio sostenibile nei confronti dei competitor sono
distintive. Sono quelle competenze con cui l’impresa eccelle rispetto ai concorrenti.
Si possiedono dunque le core competence. Una competenza è definita core
competence nella misura in cui è unica e garantisce un risparmio di costi.
Le compente distintive devono essere orientate a soddisfare i consumatori sono
abilità atte a sostenere coordinati impieghi di risorse nei modi efficaci al
raggiungimento di traguardi strategici:
• crea valore per il consumatore perché eleva i vantaggi percepiti da questo
nell’acquisto del prodotto
• è difficilmente imitabile dai concorrenti almeno nel breve
• fornisce l’accesso ad un’ampia varietà di mercati e costituisce la base per
l’ingresso in nuovi business
• Attiene all’abilità dei manager di saper combinare le risorse disponibili
• Consente di raggiungere una posizione di vantaggio competitivo
• Contribuisce in modo determinante alla creazione di valore per il cliente finale.
Si possono distinguere in:
• tecnologiche
• di mercato
• organizzative
• finanziarie
• di general management
La capacità delle competenze di creare il vantaggio competitivo sostenibile è dato
dal possesso di tali requisiti:
1. Scarse cioè non diffuse in concorrenza
2. Rilevanti cioè che abbiano significatività
La capacità delle competenze di mantenere il vantaggio competitivo sostenibile è
dato dal possesso di tali requisiti:
1. Durevoli nel senso che offrono opportunità che durano nel tempo e non sono
legate allo sfruttamento di situazioni di mercato spot (innovazione)
2. Difficilmente trasferibili nel caso in cui non possono essere acquistate sono firm
specific da integrazione di individui influenzati da credi dell’impresa (innovazioni di
un team affiatato)
3. Difficilmente replicabili cioè difficoltà dei competitor di imitare competenze di
un’impresa e la difficoltà deriva dal fatto che le capacità risultano basate su routines
organizzative complesse create nel tempo.
-Dynamic capabilities
Definite come la capacità di riconfigurare, trasformare e rinnovare le competenze
chiave possedute dall’impresa.
Sottolineano la necessità di rinnovare incessantemente le competenze per far fronte
alle sfide del cambiamento.
Nel momento in cui l’ambiente competitivo cambia significativamente, garantiscono
un’elevata e rapida capacità di risposta e flessibilità innovativa.

Risorse e competenze distintive nella catena del valore


Secondo Vicari, tutte le risorse immateriali aziendali possono essere interpretate in
termini di conoscenza e fiducia.
Tra le risorse immateriali:
• Conoscenza: insieme degli schemi cognitivi sufficientemente stabili e diffusi
all’interno dell’impresa che connotano il comportamento aziendale
Essa consente di co-creare valore e si divide in:
-Conoscenza superficiale (routine, know how dell’impresa)
-Conoscenza profonda (tacita, per trovare soluzioni a problemi nuovi)
La conoscenza rappresenta quella parte delle risorse aziendali più difficilmente
imitabili e replicabili dai concorrenti
• Fiducia: insieme degli schemi cognitivi attraverso cui determinati soggetti interni o
esterni all’impresa danno una rappresentazione dell’impresa sufficientemente
stabile e definita nel tempo. La fiducia è alla base delle relazioni (interne/esterne)
d’impresa.
Tra esse vi è una forte interdipendenza perché la conoscenza alimenta la fiducia dei
consumatori e la fiducia alimenta la conoscenza che si sviluppa nell’impresa.

Individuazione delle competenze


Esistono due metodi funzionali per la loro individuazione:
-approccio funzionale che prevede la distinzione delle funzioni presenti nell’impresa
e si passa alla verifica delle competenze presenti all’interno delle stesse, il limite è il
pericolo di trascurare l’interdipendenza delle funzioni
-approccio basato sulla catena del valore che identifica le competenze attraverso
attività sviluppate dalla stessa. Le competenze infatti possono riguardare tutte le
attività della catena, ma solo alcune sono distintive, quelle distintive saranno quelle
in grado di coordinare le differenti attività per creare maggior valore.
I confini di un’attività, così come l’intende Porter, non sempre corrispondono ai
confini di una specifica competenza. Ciò porta ad una modifica del modello classico:
-riduzione attività primarie che sono sovrapposte da competenze primarie divise in
attività logistiche, produttive e commerciali
-riclassificazione delle attività di supporto rimpiazzate da competenze di supporto
che sono di general management, di innovazione, di gestione RU e di
approvvigionamento. Sono definite anche competenze trasversali perché svolgono il
compito di coordinamento trasversale.
Al modello porteriano si contrappone quello della Resource Based View.
Strumenti per l’analisi dell’ambiente interno
Al fine di formulare una strategia per il vantaggio i manager devono effettuare
un’analisi dei punti di forza e debolezza dell’impresa.
Tra i metodi per analizzare punti di forza e debolezza dell’impresa:
-Analisi della catena del valore in modo comparativo rispetto ai competitor
individuando i punti di forza e debolezza “relativi” al concorrente chiave o alla best
practice nel raggruppamento strategico di riferimento
-Analisi di Benchmarking largamente utilizzata per confrontare un’impresa con le
altre appartenenti spesso alla stessa ASA, ma anche diverse. Può essere svolta in
riferimento al singolo settore di mercato o rispetto ai best in class. L’obiettivo è
confrontarsi ed ottenere le best practice per migliorare le proprie attività.
-Analisi VRIO (discende dal frame work teorico di riferimento delle Resource Based
view) ed è applicato all’impresa, ad un’attività, a una risorsa o competenza

Modello SWOT
Nella sintesi dell’analisi dei diversi ambienti (macro/micro/interno) per formulare
strategie, la più utilizzata è quella del modello SWOT per valutare punti di forza
(Strenghts) debolezze (Weaknesses) dell’impresa, le opportunità (Opportunities) e
minacce (Treats) dell’ambiente esterno.
Si tratta di individuare elementi interni ed esterni che possano influenzare lo
sviluppo del percorso strategico aziendale.
La matrice raccoglie i fattori dell’ambiente esterno e la forza e debolezza
dell’interno emerse durante l’applicazione dei modelli di analisi.
Sulla base dei risultati dell’analisi dell’ambiente interno ed esterno, l’impresa può
formulare strategie che facciano leva sulle forze e pongano rimedio alle debolezze
per sfruttare opportunità e ridurre minacce dall’esterno.

CAP 14
Le strategie per il vantaggio competitivo
Secondo queste logiche, un’impresa potrebbe sviluppare un prodotto ad un prezzo
più contenuto (leadership di costo) o con superiori caratteristiche qualitative
(differenziazione).
La ricerca di un vantaggio competitivo di costo o differenziazione concentrata su una
porzione di mercato limitata dà luogo alla focalizzazione che descrive un’area di
azione circoscritta dell’impresa che si isola.
-La Business Strategy ipotizza che la redditività di un’impresa dipenda
dall’attrattività del settore e dalla posizione dell’azienda nell’ambito competitivo ed
ipotizza che le scelte strategiche della stessa dipendano da fattori esterni, dove le
caratteristiche del mercato restano stabili.
La concorrenza dell’ambiente esterno sconfessa tale ipotesi, di qui la necessità di
comprendere gli elementi che garantiscano un vantaggio duraturo nel tempo e
questi sono risorse e competenze che conferiscono all’impresa una posizione unica.
-In ottica Rsource-based il conseguimento del vantaggio dipende “da ciò che
l’impresa è in grado di fare” cioè formulazione di una strategia che ne riconosca e
sviluppi le caratteristiche distintive.
Dalle risorse e competenze discendono anche il posizionamento e all’ampiezza del
mercato.
-Secondo un’impostazione tradizionale il successo di una strategia dipende dalla
coerenza tra obiettivi strategici prefissati dall’impresa e dalle sue risorse e
competenze. Dunque l’incoerenza tra risorse e obiettivi si concretizza nel fallimento
delle iniziative intraprese.
-In ottica statica o porteriana il principio di coerenza valuta la conformità tra
obiettivi e stock di risorse e competenze possedute dall’impresa in un dato
momento.
-In ottica dinamica le competenze distintive possono evolvere in linea con gli
obiettivi prefissati o allontanarsi per la pressione delle forze del micro e macro
ambiente. I problemi in questo caso sorgono quando l’impresa non riesce a
sviluppare le risorse necessarie per il raggiungimento del vantaggio per tali motivi:
1. L’impresa non è in grado di acquisire dall’ambiente circostante le risorse
necessarie per lo sviluppo di competenze distintive coerenti con obiettivi di costo o
differenziazione (situazione tipica di aree depresse)
2. L’impresa, pur acquisendo nuove risorse, non è in grado di trasformarle da
generiche a specifiche, cioè manca di capacità organizzativa per trasformare le
risorse in competenze (situazione tipica dei consorzi fallimentari)
3. L’impresa, pur sviluppando le competenze, no è in grado di finalizzarle verso un
obiettivo strategico (situazione tipica delle PMI).

La leadership di costo
(ESEMPIO: Ryanair è il vettore irlandese leader nel mercato europeo delle
compagnie aeree low-cost, la cui mission è data da tariffe basse e puntualità nei voli.
Offre voli no-frills cioè a basso costo senza componenti accessorie del servizio non
legate strettamente all’erogazione del trasporto come i pasti a bordo).
La strategia competitiva di leadership di costo si ottiene quando lo sviluppo delle
competenze di un’impresa è in linea con obiettivi di minimizzazione dei costi.
Dunque l’obiettivo è quello di diventare il produttore di beni e servizi a più basso
costo.
Disponendo di un vantaggio competitivo in termini di costo, l’impresa riesce ad
operare in condizioni di costo tali da:
-applicare prezzi in linea con quelli della concorrenza, ottenendo una redditività
superiore alla media dell’ASA
-applicare prezzi inferiori a quelli della concorrenza, ampliando la propria quota di
mercato.
Dunque il prezzo è la principale leva competitiva.
Le fonti del vantaggio di costo sono:
1. Dimensione dell’impresa, si fa riferimento allo sfruttamento di economie di scala
(DOM), di scopo (estensione delle attività dell’impresa) ed economie di
apprendimento (curva dell’esperienza)
2. Le caratteristiche della tecnologia produttiva e della modalità di progettazione
del prodotto
3. Decisioni inerenti la localizzazione produttiva (abbandono dei paesi d’origine
verso zone dove il fattore lavoro è più conveniente) quindi per costi del lavoro, di
approvvigionamento o vicinanza ai mercati di sbocco
4. Potere contrattuale che l’impresa esercita a monte vs fornitori e a valle vs
distributori (minimizzazione costi per acquisto fattori produttivi e costi per uso
canale distributivo).
A parità di valore offerto le imprese in grado di proporre prezzi inferiori, sfruttano
l’elasticità della domanda e si pongono nella condizione di sottrarre quote di
mercato ai competitor.

Meccanismi di difesa
-Con riferimento ai concorrenti diretti l’impresa che adotta una strategia di costo
riesce a tutelarsi da eventuali “guerre di prezzo” realizzando un profitto ad un livello
di prezzo che per i concorrenti è il minimo praticabile
-Essendo il produttore a più basso costo l’impresa si difende dagli aumenti nei costi
di approvvigionamento imposti dai fornitori con elevato potere contrattuale,
usufruendo di un “cuscinetto contro gli aumenti”
-Con riguardo ai clienti riesce a difendersi da loro potere contrattuale che non
riescono ad ottenere un ribasso del prezzo al di sotto di quello praticato dal leader
di costo
-I bassi costi rappresentano, poi, una barriera all’entrata contro l’ingresso di
potenziali entranti ed una buona protezione nei confronti delle imprese che
producono prodotti sostitutivi, eliminando tale minaccia offrendo una convenienza
dei prodotti e servizi.
In un ottica di Resource Based la realizzazione del vantaggio può dipendere da un
miglior utilizzo dell’impresa di risorse e competenze generatrici di valore. In
quest’ottica l’ottenimento del vantaggio dipende dallo sviluppo di competenze
(logistiche, produttive e commerciali) e competenze distintive (general
management, gestione delle ru, sviluppo tecnologia e approvvigionamento)
mediante le quali individuare occasioni di riduzione dei costi.
Ma il fatto che l’impresa abbia competenze produttive per la realizzazione di
economie di scala, non implica che sia il produttore a più basso costo nel mercato, è
necessario che sviluppi competenze trasversali per ottimizzare le differenti
competenze di base.
Effettuare una leadership di costo, non significa abbandonare elementi di
differenziazione, perché se il prodotto offerto non venisse ritenuto paragonabile o
equivalente a quello dei concorrenti, l’impresa sarebbe costretta ad abbassare i
costi fino all’annullamento del vantaggio di costo.
La leadership di costo è un’alternativa strategica per i contesti competitivi con basso
livello di differenziazione (beni commodity, poco differenziabili e standardizzati).

La differenziazione
(ESEMPIO: L’Oreal che comprende marchi come Maybelline, Garnier, Vichy, Ralph
Lauen. La strategia è l’innovazione del prodotto proponendo un’offerta complessa
nella cosmesi, offrendo soluzioni simili a livello di brand. In Italia ci sono 4 ASA:
Customer Retailing, Professional, Luxury e Active Cosmetics e ciascuna ASA
caratterizzata da una serie di brand che assecondano esigenze di mercato definibili
in funzione:
-della tipologia di cliente da servire
-del canale distributivo da utilizzare).
La strategia di differenziazione, in ottica Competence Based, si concretizza quando
nell’impresa vi è uno sviluppo delle competenze distintive in linea con l’obiettivo di
differenziazione.
Tramite tale strategia l’impresa offre ai clienti un prodotto con una o più
caratteristiche di esclusività, che nella percezione del cliente risultano in grado di
soddisfare un determinato bisogno meglio di qualsiasi altro prodotto offerto dalla
concorrenza.
Tali attributi tangibili ed intangibili fanno sì che lo stesso sia disposto a pagare anche
un prezzo più elevato, premium price, pur di ottenere il prodotto.
Esiste dunque un divario tra il valore reale, misurato dagli effetti del prodotto sulle
attività dell’acquirente ed il valore percepito dallo stesso.
La differenziazione conduce a risultati superiori se il vantaggio di prezzo acquisito
dall’impresa supera i costi addizionali che essa ha sostenuto per realizzare un
prodotto “unico”. Questo dipende dall’efficacia dei segnali di valore come la
notorietà dell’impresa o la marca, cui è legata la reputazione dell’impresa, perché ad
esempio soddisfa alcuni bisogni “sociali” legati all’appartenenza ad un gruppo.
Le tipologie di differenziazione, dunque, sono:
-differenze materiali, prestazioni oggettive misurabili
-differenze immateriali, reputazione ed immagine.
La proposta differenziale dell’impresa deve basarsi su elementi distintivi dalla
concorrenza per l’esclusività competitiva e la mission è di far percepire la propria
offerta come unica. Tale obiettivo è possibile solo se gli elementi distintivi fanno
accrescere il valore del prodotto per l’utilizzatore.
La valutazione differenziale di valore deve essere:
1. Conoscenza approfondita delle proprie competenze.
2. L’impresa deve definire politiche di comunicazione commerciale (marca) per
evidenziare il plus di valore della propria offerta. Il valore esclusivo presuppone un
costo più alto per garantire una redditività dell’area di business superiore a quella
dei competitor. Il livello del prezzo deve superare l’incremento del costo
collegabile alla differenziazione.
3. Di qui la necessità dell’impresa di modellare la propria struttura dei costi
(oculata), minimizzando quelli delle attività non rilevanti. Il costo della
differenziazione dipende da specifici vettori di costo, il valore dipende dal giudizio
circa le capacità del prodotto di soddisfare un’esigenza.
L’opportunità di differenziare si basa sullo sfruttamento dell’elasticità della
domanda, perché difficilmente ve ne è una omogenea. I gruppi di acquirenti aventi
le stesse preferenze sono i “segmenti di mercato” che sono possibili da individuare
del settore di ogni ASA.
4. Condotta nella prospettiva soggettiva dell’acquirente, bisogna conoscerne bisogni
e preferenze. Capacità dell’azienda di aggiungere quel plus di valore al pacchetto di
benefici (bandle of benefits) proposto agli acquirenti. Oggi si sta assistendo alla
dematerializzazione della domanda perché vengono aggiunti servizi intangibili al
core benefit rappresentato dal prodotto, mentre nel settore dei servizi la tendenza è
opposta, in quanto si cerca di materializzare l’offerta (si associano prodotti a servizi
e servizi a prodotti). Dunque ogni azione di differenziazione deve essere legata ad un
accurato processo di analisi del mercato, in assenza di tale condotta si incappa nella
marketing myopia.

Meccanismi di difesa
-Rispetto ai concorrenti diretti, la differenziazione riduce la sostituibilità del
prodotto, accresce la fedeltà del cliente, diminuisce la sensibilità al prezzo
-Grazie proprio alla fidelizzazione dei clienti, è più difficile l’ingresso dei nuovi
concorrenti “barriera fedeltà”
-il margine più elevato accresce la capacità dell’impresa di assorbire gli aumenti
imposti da eventuali fornitori dotati di potere contrattuale
-la fedeltà della clientela e le caratteristiche distintive di prodotto sono una difesa
anche dai prodotti sostitutivi.

Le formulazioni ibride
(ESEMPIO: IKEA servizio differenziato a costi sostenuti)
Se l’impresa sviluppa competenze distintive in linea con obiettivi i costo e
differenziazione può configurarsi una strategia ibrida.
Ma l’impostazione porteriana non ammette il successo di tali strategie, infatti
secondo Porter un’impresa che attui tutte le strategie di base senza riuscire a
realizzarne una è “bloccata a metà del guado” cioè non possiede alcun vantaggio
competitivo bensì si troverà svantaggiata rispetto alla concorrenza.
La possibilità che le imprese ottengano simultaneamente vantaggi di costo e
differenziazione può verificarsi solo se:
-anche la concorrenza è bloccata a metà del guado (nessuno dei concorrenti
dell’impresa è abbastanza forte da obbligare l’azienda a scegliere uno tra gli obiettivi
di costo e differenziazione)
-i costi sono condizionati da dalla quota di mercato (se un’organizzazione economica
si assicura una quota di mercato, può avvantaggiarsi delle riduzioni di costo ad essa
connesse, investendo i differenziali in altre attività)
-l’impresa introduce un’innovazione tecnologica (vantaggi di costo e differenziazione
dipendono dalla capacità dell’impresa di porsi come unica detentrice
dell’innovazione).
In contrapposizione, negli anni ’90, Grant ha osservato come la conciliazione tra
bassi costi e differenzazione sia stata una strategia dominante quegli anni,
caratterizzati dalla complessità dell’ambiente e l’introduzione di nuove tecnologie
Leadership di costo e differenziazione non sono una dicotomia, ma devono
coesistere.
Dunque le imprese devono essere in grado di creare valore per il cliente finale
attraverso la differenziazione di prodotti e servizi offerti, mantenendo bassi i costi di
produzione (differenziazione implica costi superiori per il plus, ma deve controllare
costi relativi alla consegna del valore al mercato e la leadership, pur ricercando
standardizzazione, deve essere compatibile con differenziazione dell’offerta).

Le strategie di sviluppo per le competenze distintive


A livello corporate le scelte strategiche dell’impresa puntano in 3 direzioni:
-sviluppo dimensionale dell’impresa (in senso stretto della struttura: tecnica,
patrimoniale \ in termini di mercato: quota, nuovi business). La crescita può essere
concentrica se l’impresa entra in business correlati rispetto a quelli consolidati,
conglomerale se l’impresa entra in business che non presentano affinità con quelli
precedentemente consolidati e ciò richiede l’acquisizione di uno specifico know how
che comporta anche l’instaurarsi di relazioni con nuovi fornitori. Lo sviluppo, poi,
può avvenire in maniera verticale se l’impresa cresce internalizzando le fasi della
filiera produttiva a monte o a valle rispetto alle fasi precedentemente svolte da essa
ed orizzontale se l’impresa acquisisce concorrenti che operano lungo le stesse fasi
della filiera. Infine c’è la strategia di ricentraggio quando cioè l’impresa elimina le
attività di business poco attrattive
-risanamento di situazione di crisi
-rafforzamento o assestamento della propria posizione rispetto alla concorrenza
La formulazione strategica richiede due livelli di analisi:
1. Oggettivo basato su prodotto, mercato e tecnologia, dalla cui combinazione
deriva il concetto di ASA
2. Soggettivo relativo all’analisi di risorse e competenze dell’impresa.
I primi contributi relativi alle strategie di sviluppo delle imprese sono riconducibili
agli studi di Penrose e Ansoff.
La Penrose considera l’impresa come un insieme di risorse produttive fisiche e ed
umane che diversamente combinate danno luogo a servizi da introdurre nei processi
produttivi. Lo sviluppo dipende dalla disponibilità di unused resource, risorse non
pienamente sfruttate per i loro servizi potenziali (questione di conoscenze
dell’impresa) e può avvenire in termini di:
-nuovi prodotti
-nuovi mercati.
Ansoff ha fornito una sistematizzazione delle strategie di sviluppo perseguibili da
un’impresa attraverso due dimensioni:
-prodotti (attuali o nuovi)
-missioni (attuali o nuove, compiti affidali al prodotto verso specifici clienti) note
anche come mercati\benefici da soddisfare.
Dall’incrocio di queste dimensioni si individuano 4 strategie prodotto\mercato alla
base della matrice di Ansoff:
a) Espansione o penetrazione del mercato, l’impresa continua a produrre gli stessi
prodotti cui affida le stesse missioni e cerca di ampliare le proprie quote di mercato.
Si aumenta il potere dell’acquisto medio e della base dei clienti.
Si può distinguere tra:
-espansione in termini assoluti di aumento delle vendite
-espansione in termini relativi di aumento della quota di mercato.
b) Sviluppo del prodotto, l’impresa resta focalizzata sullo stesso mercato dove
introduce nuovi prodotti.
Si ha un approfondimento delle linee esistenti ed un’aggiunta di nuove linee di
prodotti ed un’innovazione di prodotto, sostituzione dei vecchi prodotti con quelli
nuovi.
Prevede l’utilizzo delle seguenti risorse:
-forte presenza presso i clienti chiave
-introduzione nei canali distributivi
-ben introdotta rete di vendita
-forte immagine di marca per brand extension
c) Sviluppo del mercato, l’impresa produce gli stessi prodotti individuando nuove
missioni, colpendo diversi clienti rispetto ai precedenti e ampliando quote mercato.
Si hanno nuovi mercati geografici e nuovi segmenti di clienti, nuovi usi di prodotti
esistenti e prodotti esistenti per nuovi segmenti o mercati geografici.
Consiste in:
-una ripartizione su scala più ampia delle stesse politiche con lievi variazioni
-ricerca di differenti leve commerciali (variazioni di prezzo o canali distributivi)
d) Diversificazione, l’impresa sviluppa nuovi prodotti con nuove missioni ed in nuovi
mercati, quindi prevede l’ingresso in nuove ASA.
La Penrose individua la diversificazione come quella strategia di espansione che
porta le imprese a produrre nuovi beni, senza abbandonare i precedenti. La spinta
dell’espansione deriva proprio dall’interno dell’impresa della presenza di risorse
inutilizzate. La Penrose sostiene che vi è una diversificazione di prodotto ed una di
mercato.
Ansoff invece ha elaborato una sistemazione teorica delle strategie di
diversificazione: i diversi percorsi vengono individuati dall’autore in base alla
tipologia di nuove missioni in base alla tecnologia di nuovi prodotti.
Considerando tali dimensioni si identificano i processi di diversificazione verticale,
orizzontale, concentrica e conglomerale.
Ma i limiti delle strategie di diversificazione individuate da Ansoff presenta dei limiti
in quanto non è chiara la diversificazione orizzontale e concentrica e gli studiosi
hanno ricercato ulteriori criteri di classificazione delle strategie.
-Un concetto particolarmente usato è quello di Strategic Business Unit individuata
come unità operativa o centro di pianificazione adibito alla gestione di una serie ben
definita di prodotti e servizi venduti ad uno specifico gruppo di clienti, in
competizione con un gruppo di concorrenti ben definito.
Alle Sbu viene demandato il compito di promuovere lo sviluppo di una o più ASA o
Sba (Strategic Business Area), ognuna delle quali è un preciso segmento
dell’ambiente in cui opera l’impresa.
In base alla Sbu la diversificazione orizzontale avviene tra gli stessi clienti ed inoltre è
possibile distinguere due tipologie di diversificazione: concentrica (business
correlati, quindi ASA correlate e Sbu che potrebbero essere le stesse) o
conglomerale (business senza affinità, quindi ASA non correlate e Sbu che
potrebbero non essere le stesse).
-Una maggiore chiarezza è fornita dalla concezione secondo la quale le diverse
strategie di sviluppo producono una modificazione nell’ambiente competitivo
dell’impresa, ma anche all’interno di essa.
-Ancora una sistematizzazione diversa delle strategie di sviluppo deriva
dall’approccio che distingue le diverse strategie in funzione dello sviluppo delle
competenze distintive e della variazione del patrimonio cumulato delle stesse.
L’idea di fondo è che se le scelte strategiche modificano l’ambiente competitivo, è
necessario che l’impresa rivisiti i propri comportamenti e sviluppi le competenze
necessarie a competere nel nuovo scenario.
Quindi l’impresa che si propone di entrare in nuovi business deve acquisire
conoscenze specifiche.
Il senso dello sviluppo del patrimonio cumulato delle competenze distintive indica se
le nuove competenze si cumulano o sostituiscono a quelle precedenti.
Si delinea così un circolo virtuoso che alimenta ed accresce le competenze
dell’impresa, aumentando le opzioni strategiche a sua disposizione. Le conoscenze
possedute dall’impresa agiscono come vincolo limitando la sua operatività nel breve
e come opportunità dove il sapere assume carattere pervasivo e viene utilizzato per
entrare in nuovi business.
Si configurano così le strategie in funzione delle competenze distintive.
Un processo di sviluppo delle attività d’impresa può essere considerato come un
processo di diversificazione allorquando si realizza nell’impresa un incremento
discontinuo e a somma positiva dei core factor, vale a dire quando competenze
distintive nuove e significativamente diverse si aggiungono e non si sostituiscono
alle precedenti.
E’ come se l’impresa fosse in grado di vedere una nuova finestra cognitiva di
mercato (window market) grazie alle sue conoscenze.
Tale situazione si configura sia se l’impresa amplia la propria produzione con
prodotti che richiedono una diversa tecnologia di processo (e nuove relazioni con i
fornitori) sia quando decide di affacciarsi in mercati nuovi per le regole del gioco
competitivo.
Secondo tale impostazione le strategie di diversificazione concentrica e
conglomerale si configurano allorquando le nuove e diverse competenze distintive
acquisite in azienda evidenziano sinergie con le risorse immateriali preesistenti
(diversificazione concentrica) o non presentano alcuna connessione con esse
(conglomerale).
Uno stesso sviluppo discontinuo delle competenze distintive, accompagnato da una
variazione a somma zero\negativa del patrimonio cumulato evidenzia la scelta
dell’impresa di una strategia di riconversione, in questo caso l’impresa abbandona
vecchi business (magari problematici o perché c’è una crisi della domanda) per quelli
con più attrattive possibilità di investimento che richiedono nuove conoscenze e
competenze, quindi si abbandona la linea produttiva preesistente per una nuova,
ma possibilmente vicina almeno a livello tecnologico e si ha un vero e proprio
riposizionamento strategico dell’impresa.
Nel caso di uno sviluppo tendenziale delle competenze distintive ed una variazione
a somma positiva del patrimonio cumulato, il percorso sviluppato è quello della
strategia di espansione. Ciò avviene quando l’impresa permane all’interno dello
stesso ambito competitivo e la strategia richiede una riorganizzazione del
patrimonio già consolidato di competenze distintive, quindi maggiore utilizzo e più
efficiente delle risorse disponibili.
Ed una strategia di ricentraggio si concretizza quando l’impresa elimina attività di
business poco attrattive (si tagliano i “rami secchi”) per le quali non possiede le
competenze necessarie per vincere la concorrenza. In questo caso si ha uno sviluppo
tendenziale delle competenze distintive e a somma zero\negativa del patrimonio
cumulato, in quanto l’impresa opera in business già consolidati che non richiedono
nuove competenze.

Focus sulle strategie di integrazione verticale


Vi è un’espansione dell’impresa in altri stadi (echelon) della filiera tecnico-
produttiva.
La crescita dell’impresa si realizza aggiungendo alla linea o alle linee esistenti, nuove
linee produttive e attività precedentemente svolte dai fornitori e si può avere
un’integrazione verticale “a monte” o ascendente o dai clienti e così si ha
un’integrazione verticale “a valle” o discendente.
Le decisioni riguardo l’ampiezza verticale della dimensione aziendale devono
individuare:
-quali fasi della filiera economico-produttiva svolgere all’interno
-come coordinarle tra loro
-quanta parte del proprio fabbisogno soddisfare con una produzione interna
-quante risorse finanziarie destinare alla scelta.
Le tipologie di integrazione verticale:
1. Rispetto al numero delle fasi della filiera in cui l’impresa è presente:
-completa se l’impresa si sviluppa in verticale fino ad occupare tutte le fasi della
filiera
-incompleta se l’impresa è presente solo in alcuni stadi collegati verticalmente
2. Rispetto alla copertura dei fabbisogni:
-con eccedenze se l’impresa si assicura una capacità produttiva dei processi a monte
o a valle sovradimensionata rispetto alle sue esigenze di input o output
-con ricorso al mercato se l’impresa, pur presente in tutti gli stadi della catena
verticale, ricorre anche ad imprese esterne per l’approvvigionamento, la
trasformazione e la distribuzione dei beni o servizi
3. Rispetto alle modalità di integrazione:
-equity: con il controllo del capitale delle aziende posizionate a monte e a valle della
filiera
-quasi integrazione se l’impresa non accresce le sue dimensioni, ma riesce
comunque ad assicurarsi gli input per la produzione ed assorbimento del suo output
assumendo il controllo di fatto delle imprese a monte o a valle della filiera
-contrattuale se l’impresa stipula contratti a lungo per la fornitura dei materiali e\o
per l’assorbimento dei prodotti.

Potrebbero piacerti anche