Il sistema di governo
Il governo d’impresa è il tetto sotto il quale l’impresa prospera, è l’insieme delle logiche
volte ad amministrare tutte le risorse impegnate per il suo funzionamento e disciplinare
la direzione e la gestione, coinvolgendo approcci di natura deliberata (razionale) ed
emergente (esperienziale e creativa, basata sull’adattamento).
Governare l’impresa significa avere un quadro di riferimento grazie al quale operare, in
questo caso il quadro di riferimento è proprio il governo di impresa.
17\09
Le finalità dell’impresa
Secondo le teorie classiche e neoclassiche l’impresa persegue la massimizzazione del profitto,
opera, cioè, in un mercato di concorrenza perfetto e compie scelte razionali, postulano
l’assenza di concorrenza, l’assenza di barriere all’entrata e all’uscita, che il prezzo costituisca
un dato e che le imprese, numerose, offrano prodotti omogenei. Tuttavia ciò non basta a
cogliere la complessità della realtà moderna.
Secondo la teoria della sopravvivenza, proposta da Caselli, l’impresa tende a diversificarsi,
innovare, cercare alleanze ed aumentare le proprie dimensioni adattandosi anche alla realtà
cui appartiene proprio secondo la sua volontà di sopravvivenza nel tempo.
La sopravvivenza, poi, può essere declinata a seconda dell’orizzonte temporale secondo il
quale le scelte vengono orientate:
-medio termine
-lungo termine.
La teoria della creazione del valore diventa un presupposto affinché l’impresa possa svolgere
la propria missione di creare ricchezza e della sua distribuzione a tutti quei soggetti che
apportano risorse all’impresa stessa. Quindi la creazione di ricchezza sposa l’idea di
massimizzazione del profitto, ma più che altro persegue la realizzazione di risposte utili ai
bisogni espressi dal mercato attraverso l’utilizzo appropriato e conveniente delle risorse. Il
valore creato consiste nell’utilità per il beneficiario, ottenuta attraverso l’uso economico delle
risorse. Il beneficiario viene suddiviso in due categorie di cui una include l’altra: stakeholder
(portatori di interessi dell’impresa) e shareholder (hanno azioni all’interno dell’impresa) gli
stakeholder includono gli shareholder. A riguardo la stakeholder view sostiene che nella
distribuzione del valore debba essere assegnata una priorità ai portatori di interesse
dell’impresa per il loro contributo apportato al successo della stessa, mentre la shareholder
view sostiene che la creazione del valore deve porsi come obiettivo quello di soddisfare le
aspettative degli azionisti.
Gli stakeholder sono residual claimers, cioè il loro diritto di proprietà in quanto azionisti ha
natura residuale, la loro remunerazione, cioè, si manifesterà dopo aver remunerato tutti i
fattori della produzione.
Diverse teorie spiegano le finalità dei comportamenti imprenditoriali e quindi le scelte di
governo, per esempio la teoria manageriale dello sviluppo dimensionale: i manager sono
maggiormente interessati all’espansione dell’impresa perché quest’ultima dovrebbe tradursi
in un irrobustimento dell’organizzazione, nell’assunzione di una maggiore forza nei confronti
della concorrenza, nell’incremento di retribuzioni ai livelli più elevati di direzione, nel
miglioramento delle relazioni con banche, fornitori e personale.
Strategie d’impresa
Michael Porter, economista, professore e manager di impresa americano è considerato il
padre della definizione di strategia di impresa ed afferma che la vera strategia dell’impresa è
la posizione di vantaggio che ci si pone di raggiungere e non gli step da seguire per
raggiungerla. Secondo Porter un’impresa che attui tutte le strategie di base senza riuscire a
realizzarne una è “bloccata a metà del guado” cioè non possiede alcun vantaggio competitivo
bensì si troverà svantaggiata rispetto alla concorrenza.
Quindi la strategia è un comportamento imprenditoriale di tempo lungo finalizzato al
raggiungimento di obiettivi di primaria gestione. Tre elementi sono caratterizzanti:
-formulazione ad livello alto-direzionale
-proiezione a lunga scadenza
-priorità dei traguardi da raggiungere.
La strategia competitiva deve nascere da una conoscenza approfondita delle regole della
concorrenza che determinano l’attrattività di un settore industriale. Lo scopo finale di una
strategia competitiva è quella di essere in sintonia con tali regole ed, idealmente, arrivare a
cambiarle in favore dell’impresa.
Vantaggio competitivo
Consiste nel vantaggio differenziale che un’impresa ottiene rispetto ai suoi concorrenti
attraverso il perseguimento di una determinata strategia. Deriva dal valore che l’impresa è in
grado di creare per i suoi clienti e si concretizza in un maggior livello di redditività e\o quota di
mercato superiore.
Esso in ottica tradizionale dipende:
-dall’ampiezza dell’ambito concorrenziale d’impresa
-dalla strategia che essa persegue
Tipologie di scelte strategiche
Dimensione esterna:
-forze del macroambiente e del microambiente
-concorrenti effettivi e di prodotti sostitutivi
-barriere all’entrata
-fornitori
-clienti
Dimensione interna:
-tecnologiche
-di mercato
-organizzative
-finanziarie
-general managment
La catena del valore consente di analizzare l’ambiente interno esaminando le sue attività
fondamentali e, quindi, di evidenziare il modo in cui effettivamente opera l’impresa, a livello
di singole attività elementari ed in funzione dei collegamenti esistenti tra esse e tra i diversi
processi aziendali. Può, inoltre, illustrare la sequenza di attività generatrici di valore che
costituiscono le unità fisicamente, tecnologicamente e soprattutto, strategicamente distinte
nelle quali un’impresa può essere suddivisa. Permette, ancora, come strumento analitico, di
individuare i punti di forza e debolezza interni e confrontarsi con i competitor (ed in ottica
sistemica, i rapporti impresa ambiente).
E’ funzionale sia in fase di analisi sia di attuazione ed è uno strumento descrittivo, di
pianificazione strategica e di valutazione delle strategie. Tuttavia, preferibilmente usabile ex
post (più che ex ante perché i legami individuabili sono generici).
L’analisi della catena del valore descritta da Porter può essere utilizzata come strumento:
-descrittivo perché permette di fotografare l’impresa individuando le attività strategicamente
rilevanti sulle quali il manager può intervenire per raggiungere determinati obiettivi
-di pianificazione strategica perché l’individuazione del contributo al margine di ogni singola
attività può guidare il manager nella scelta delle aree sulle quali intervenire per ottenere il
vantaggio competitivo
-di valutazione delle strategie perché l’adozione di una determinata strategia può consentire
al manager di valutare se la strategia adottata ha contribuito ad incrementare o meno il valore
per l’impresa.
Ogni attività generatrice di valore si serve di input e di risorse umane e finanziarie. Le attività
primarie descrivono momenti definiti nel processo di acquisizione degli input, di
trasformazione, distribuzione e assistenza post vendita. Le attività di supporto identificano
l’attività del management finalizzata allo sviluppo delle risorse più complesse e fungono da
meccanismi di collegamento con le attività primarie.
Le attività primarie sono distinte in:
• Logistica in entrata e logistica in uscita
-Ricevimento\raccolta
-Magazzinaggio
-Movimentazione interna\distribuzione degli input e output
Costi connessi alla logistica in entrata ed uscita:
1. Costi gestione depositi
-Fitti passivi dei magazzini\ quote di ammortamento
-Spese di manutenzione e riparazione (al netto dei ricavi per fitto dei locali a terzi)
2. Costi gestione ordini e sistemi informativi
-Gestione ordini
-Layout di magazzino
-Programmazione
3. Costo mantenimento scorte
4. Costi di trasporto e distribuzione
-Ammortamento\fitti passivi automezzi
-Spese di riparazione e di manutenzione (al netto dei ricavi per trasporto c\terzi)
5. Costo del personale
• Attività operative (operations)
Trasformazione di input in output (attività di fabbricazione di prodotti, collaudo e controlli
qualità)
Costi connessi alle attività operative:
1. Costi di produzione
-Ammortamenti e fitti passivi impianti per la fabbricazione
2. Costi variabili di produzione
-Energia
-Materie prime
-Semilavorati
3. Costi di collaudo e di controllo qualità
-Personale
-Materiali
-Procedure informatiche
-Servizi acquisiti da terzi
4.Costi di gestione e manutenzione impianti
-Licenze
-Brevetti
5.Costo del personale
• Marketing e vendite
Tutte le attività connesse al marketing operativo, si parla delle 4 leve del marketing mix, dette
4P:
-product , cioè i requisiti che il prodotto deve avere per soddisfare i bisogni del cliente carpiti
tramite gli studi di marketing
-price, cioè i ricavi che derivano dalla disponibilità dei clienti di pagare i prodotti realizzati,
quindi dalla loro attitudine all’acquisto, sempre frutto dello studio di marketing
-place, cioè la distribuzione dei prodotti, come e-commerce, show room, ecc.
-promotion, cioè la pubblicità.
24\09
Ogni impresa occupa una posizione all’interno del sistema del valore: i fornitori creano e
consegnano gli input alle imprese clienti; le imprese produttrici, trasformando gli input,
aggiungono ad essi valore, l’output delle imprese produttrici si dirige verso i compratori
passando attraverso le catene del valore dei canali di distribuzione che, a loro volta,
aggiungono valore ai beni ricevuti dai produttori.
Per Normann e Ramirezz il valore non si verifica in catene sequenziali, ma in costellazioni
complesse e l’obbiettivo di questa nuova logica di valore porta l’impresa a coinvolgere clienti,
fornitori, alleati e partner per coprodurre offerte sempre più complesse e variegate. La
cocreazione di valore è un processo dinamico ed interattivo all’esterno dell’impresa.
La diffusione della conoscenza può permettere alle unità della rete di reagire più rapidamente
ai cambiamenti che avvengono nell’ambiente esterno. Per la sopravvivenza delle reti è
necessario che ciascun attore accetti alcune situazioni di compromesso, quali la capacità di
sacrificare la propria autonomia e gli obiettivi individuali a favore della collaborazione e
dell’interesse comune. Il compito principale dell’impresa diventa, dunque, quello di
riconfigurare le proprie relazioni all’interno della rete.
29\09
CAPITOLO 3
La logistica
30\09
Lo stoccaggio
Per le operazioni di stoccaggio, le soluzioni più evolute forniscono agli addetti le
informazioni necessarie per individuare la migliore allocazione disponibile per un dato
materiale. Occorre inserire una mappa del magazzino per ottimizzare l’allocazione, in cui
si abbia una suddivisione delle aree di stoccaggio e alle caratteristiche delle strutture di
stoccaggio si associano gli elementi peculiari del materiale da stoccare (peso dell’unità di
carico, esigenze di climatizzazione\refriggerazione). La mappa prevede, poi, una
classificazione su più livelli in cui si identificano:
-Il tipo di magazzino, che è la struttura fisica o una parte di essa che si caratterizza per il
sistema di stoccaggio adottato (unità di carico (UdC) –insieme di colli separati che
possono essere trasportati insieme come un’unica entità –come palletto contenitori) o la
specifica funzione assolta (es. climatizzazione)
-l’area, cioè il raggruppamento celle con uguali caratteristiche
-la cella che rappresenta l’unità di spazio più piccola accessibile in un tipo di magazzino.
Con essa si definisce il luogo preciso all’interno del quale il materiale può essere
immagazzinato.
Le opzioni di picking
Per la movimentazione interna vi è una gestione dei magazzini che consente di
razionalizzare i flussi di prelievo, frazionando gli stessi attraverso la produzione di
specifici documenti denominati pickinglist. Le operazioni di picking più diffuse sono:
• picking per ordine: da ogni cella viene prelevato il numero di pezzi richiesto da ogni
singolo ordine (ordini evasi in sequenza; probabilità di rifare gli stessi percorsi più volte)
• picking per lotti: da ogni cella viene prelevato il numero di pezzi corrispondente alla
quantità richiesta da un insieme di ordini (minor numero di percorsi, prevedere a valle
del prelievo un’operazione per assegnare a ogni singolo ordine i pezzi corrispondenti)
• picking a zone: l’ordine viene suddiviso per zone di prelievo e le singole frazioni
d’ordine vengono riunite prima della spedizione.
• Sistemi digitali per il picking: presenti nelle realtà più evolute. La lista cartacea è stata
sostituita da segnalatori luminosi e display che indicano direttamente le voci da
prelevare. (pick-to-light; voice picking, etc.)
Nel caso in cui l’ausilio dei sistemi di automazione è circoscritto alla movimentazione di
grossi volumi, il prelievo avviene “operatore verso materiale”. Nel caso di magazzini
automatici, i contenitori vengono di volta in volta richiesti alla postazione fissa
dell’operatore e la movimentazione avviene “materiale verso operatore”.
Ad intervallo fisso
Vale per i prodotti con domanda sufficientemente prevedibile e regolare nel tempo.
Secondo tale modello ogni articolo viene riordinato ad intervalli prefissati costanti di
tempo in quantitativi variabili, tenendo conto del trade-off esistente tra costo di
emissione di una riga d’ordine che spingerebbe verso un intervallo di riordino più
lungo e il costo di mantenimento delle scorte che spingerebbe verso un intervallo di
riordino più ridotto.
L’intervallo di riordino T viene espresso dalla formula seguente:
T = [ √(2 x Ce) ] / [√(p x Cp x Dpr) ]
Dove:
-Dpr = vendite annue previste
-Ce = costo di emissione di una riga d’ordine
-p = prezzo unitario annuo di acquisto dell’articolo
-Cp = costo percentuale (annuo) di mantenimento delle scorte.
Trascorso l’intervallo di riordino T dall’ultima ordinazione, viene riordinato un
quantitativo di merce Q necessario a riportare la scorta disponibile (Sd) ad un livello
di scorta massimo desiderato (Smax) che consente di coprire gli ordini previsti sia
nel corso di intervallo di riordino sia nel tempo di reintegro del fornitore. Quindi.
Q = Smax – Sd
Dove:
Sd = scorta in mano + scorta ordinata – scorta impegnata
Punti di forza
• Ordini proporzionali alle vendite previste
• Scorta di sicurezza variabile anche in funzione della domanda
• Possibilità di raggruppare gli ordini provenienti da uno stesso fornitore
• Possibilità di programmare gli ordini/gli arrivi (attesi)
Punti di debolezza
• Più alto livello medio delle scorte
-Riduzione del n. d’ordini complessivamente emessi
-Migliore organizzazione delle attività di acquisto e ricevimento merci.
• Minore reattività a improvvise variazioni della domanda.
Quanto più costa mantenere le giacenze in magazzino, tanto più si preferisce un lotto
basso, ecco perché Cp si trova al denominatore, mentre il costo di lancio ordine si trova al
numeratore perché più è alto e più conviene avere un lotto alto, dunque il rapporto tra
questi due con radice quadrata e 2 dà luogo al lotto ottimo di acquisto.
Il valore del punto d’ordine viene determinato in modo da coprire, senza l’uso delle
scorte di sicurezza, la domanda prevista durante il tempo di riordino:
So = Dpr(t) + Ss
Modello a ripristino
Per prodotti con domanda irregolare e\o estremamente contenuta le aziende utilizzano il
modello a ripristino. Tale modello prevede l’ordinazione di un lotto (minimo) di acquisto
costante ogni volta che la scorta disponibile ha raggiunto un livello minimo prefissato. Il
modello definisce i seguenti aspetti:
-il punto d’ordine estremamente contenuto (in genere 0) e viene fissato senza tener
conto della domanda nel tempo di riordino, ma con il semplice obiettivo di ridurre
quanto più possibile il livello di scorte
-il lotto economico, a causa del livello estremamente contenuto della domanda
coprirebbe spesso periodi di tempo troppo lunghi e viene quindi sostituito con il lotto
minimo d’acquisto imposto dal fornitore.
La produzione
Per quanto riguarda, invece, i significati assunti dal concetto di capacità produttiva,
questi sono:
-capacità teorico-nominale: massimo flusso di beni o servizi ottenibili in un dato
intervallo di tempo dichiarato dal produttore dell’apparecchiatura (OEM, Original
Equipment Manifacturer)
-capacità teorico-effettiva: massimo flusso di beni o servizi ottenibili in un dato
intervallo di tempo in condizioni normali se l’impianto viene spinto al massimo
(CTE). Tale capacità risulta inferiore a livelli “nominali” di quella teorico-nominale
-capacità ottimale o economica: flusso di beni o servizi ottenibili in un dato
intervallo di tempo al costo unitario più basso possibile (CE).
Risulta evidente che il rapporto CF\q diminuisce per l’aumentare del denominatore
fino a raggiungere il valore CF\CTE, il cvu è il valore costante pari alla tangente
dell’angolo alfa sotteso ai costi variabili. La somma dei valori decrescenti fino al
valore di q = CTE e dell’addendo costante CV\q è anch’essa decrescente e presenta il
minimo in corrispondenza della capacità teorico effettiva CTE.
L’andamento dei costi variabili nei casi reali è legato essenzialmente all’effetto
learning, ovvero allo svilupparsi di economie di apprendimento e di funzionamento
dell’impianto. Il punto di minimo dei costi unitari di produzione non coincide con
quello relativo alla capacità produttiva effettiva, ma si colloca generalmente ad un
valore tra il 60% e l’80% di essa, in corrispondenza di CE.
La realizzazione di nuovi impianti ed il correlato aumento della capacità produttiva
può essere rappresentata graficamente, in particolare si supponga che un’impresa
raddoppi le dimensioni dei propri impianti sostituendo l’impianto A con quello B
avente capacità produttiva doppia rispetto ad A (CTEb = 2CTEa).
I costi fissi assumono un andamento a scalino. Nel passaggio dall’impianto A
all’impianto B di dimensioni doppie, tali costi risulteranno più alti, ma per l’insorgere
delle economie di scala, essi non saranno pari al doppio di quelli corrispondenti
all’impianto A. Si determina uno spostamento delle singole curve di costo medio
unitario verso destra nonché verso il basso per il dispiegarsi delle descritte
economie di scala.
Pertanto il costo di realizzazione dell’impianto decresce all’aumentare della
dimensione.
La curva teorica unisce i punti di minimo dei costi medi unitari al variare di ciascuna
dimensione dell’impianto rappresenta la tendenza di lungo periodo dell’impresa a
variare le combinazioni produttive verso quelle a maggiore dimensione, tale curva
prende il nome di curva dei costi unitari di lungo periodo.
Esaminando tale curva si può si può notare la presenza di un tratto parallelo all’asse
delle ascisse, si può, cioè, riscontrare l’esistenza di impianti di dimensioni diverse
che tuttavia presentano uguali valori minimi dei costi unitari. Tali punti vengono
definiti rispettivamente DOM e DEM e coincidono quando si ha un unico punto di
minimo del costo medio unitario di lungo periodo (curva ad U e non ad L).
Il concetto di Dimensione Ottima Minima (DOM) costituisce la capacità produttiva
“ottima” dell’impianto industriale, in quanto questa dimensione permette di
produrre, in una prospettiva di lungo periodo, al minimo costo unitario. Il
superamento di tale soglia esprime un volume di produzione oltre il quale i
rendimenti di scala cominciano a decrescere generando “diseconomie di scala”. Le
cause possono essere soprattutto che il tasso di sviluppo dimensionale dell’impianto
trova i suoi limiti nella dimensione della domanda.
La Dimensione Efficiente Massima (DEM) rappresenta il livello di produzione oltre il
quale la curva dei costi di lungo periodo tende ad aumentare per l’insorgere delle
diseconomie di scala, indica che non si è più efficienti a livello.
Le cause di tali diseconomie possono essere maggiori costi di gestione del
magazzino.
Tutto ciò, sempre che
-sia possibile stimare domanda, che sia stabile ed omogenea (produzione di di
grandi volumi)
-ci sia un mercato per una domanda elevata
-sia tecnicamente fattibile aumentare la capacità
-ci si occupi di beni più che di servizi.
La tendenza delle imprese a raggiungere una dimensione tecnico produttiva ottima
minima è riscontrabile in condizioni di mercato connotate da una domanda in grado
di assorbire l’intera offerta. Tuttavia anche in condizioni di mercato favorevole per
l’impresa ci sono ostacoli, l’impresa di navigazione marittima, ad esempio, non può
aumentare le dimensioni dei propri fattori produttivi, cioè le navi, oltre determinate
dimensioni per il vincolo imposto dal pescaggio dei terminali portuali toccati o da
quello portato attraverso l’attraversamento dei canali. La tendenza dell’impresa a
oltrepassare una determinata dimensione deriva da:
-il vincolo imposto dal mercato: l’impresa deve valutare il tasso di crescita della
domanda
-il vincolo tecnico-economico che impone di non superare una determinata soglia
dimensionale.
Dove:
DeltaRO = ROt+1 – ROt e DeltaR = Rt+1 – Rt
Scelte della tipologia di processo produttivo
Per selezione di processo si intende la decisione strategica relativa alla scelta della
tipologia dei processi produttivi da impiegare nella realizzazione di un prodotto o
nell’organizzazione di un servizio.
Il marketing
Le scelte legate al canale distributivo riguardano, nella catena del valore, soprattutto
le attività primarie di logistica in uscita e tale processo di creazione del valore in
alcuni casi costituisce un momento critico per lo sviluppo di vantaggi competitivi;
basti pensare alle imprese di prodotti alimentari freschi, la cui consegna ai punti
vendita è collegata fortemente alla soddisfazione del cliente.
Le decisioni inerenti la distribuzione dell’impresa industriale implicano anche la
definizione del livello di utilizzo dei servizi di intermediazione commerciali offerti
dalle imprese specializzate. Il canale distributivo è costituito dalla successione dei
passaggi dall’industria al mercato di sbocco.
La diversa configurazione di tale sequenza, in termini di numerosità di intermediari
utilizzati, dipende da:
-caratteristiche del prodotto in termini di deperibilità, complessità, prezzo, valore
simbolico, ecc.
-risorse disponibili tra cui umane, finanziarie, di punti vendita sul territorio
-struttura dei costi di produzione e di “uso” della rete distributiva
-comportamento dei concorrenti.
La lunghezza da assegnare al canale rappresenta la prima scelta da compiere e si
tratta di definire un numero di livelli di intermediazione da porre tra impresa di
produzione ed il mercato finale.
1. Una prima configurazione prevede l’utilizzo intensivo di intermediari ai livelli di
ingrosso e dettaglio. In questo caso vi è un canale indiretto lungo e la componente
di costo riguarda il margine concesso ad ogni fase di intermediazione.
2. Una seconda alternativa, sempre indiretta, prevede l’uso diretto
dell’intermediazione del dettagliante. In questo caso l’impresa dovrà raggiungere
direttamente i punti di vendita in cui includere la propria offerta ed in questo caso il
costo, oltre al margine al distributore, comprende anche una componente fissa per
l’utilizzo di una struttura logistica.
3. Il canale indiretto breve è utilizzato per beni deperibili e per i beni di tipo
shopping.
4. L’ultima modalità di estensione del canale distributivo è quella diretta (B2B). In tal
caso l’impresa non usufruisce del servizio di intermediazione commerciale,
occupandosi direttamente della consegna del valore al mercato di sbocco. Tale
utilizzo è favorito dall’uso di internet (e-commerce che in tal caso è definito
disintermedio) quale strumento di contatto diretto con il mercato finale.
La seconda categoria di decisioni nell’ambito distributivo è rappresentata
dall’intensità o pressione distributiva, il cui obiettivo è definire il numero di punti
vendita che trattano la stessa categoria di prodotto con cui l’impresa vuole essere
presente, parametro che vale solo per le configurazioni indirette. Le alternative di
pressione distributiva sono tre: intensiva, selettiva ed esclusiva.
1. La distribuzione è intensiva quando l’impresa si prefigge l’obiettivo di garantire
un’elevatissima copertura di mercato ed è la situazione dei beni convenience e
preference.
2. L’intensità selettiva consiste nel selezionare un numero limitato di punti vendita
in modo da poter esercitare un maggior livello di controllo sul canale. I beni
shopping sono distribuiti utilizzando tale livello di pressione.
3. L’ultima modalità di pressione possibile è la distribuzione esclusiva. In questo
caso l’impresa industriale assegna a pochi punti vendita un’esclusiva territoriale per
la vendita del prodotto. Il sistema distributivo del settore automobilistico e qualsiasi
rete di franchising riflettono tale modalità.
Nelle transazioni tra impresa e mercato, oltre al flusso di beni, servizi e risorse
finanziarie, un ruolo primario è volto dal flusso informativo.
La comunicazione commerciale si occupa di offrire ai segmenti target una serie di
informazioni inerenti la differenziazione della propria offerta. In tal modo l’impresa
cerca di convincere il mercato della superiorità del proprio prodotto.
La leva di comunicazione svolge un ruolo essenziale per il perseguimento delle
politiche di posizionamento, in quanto contribuisce a definire e rafforzare
l’immagine di una marca.
-Gli strumenti a disposizione dell’impresa nell’attività di comunicazione commerciale
sono vari, il più noto dei quali è la pubblicità, ma in questi anni le imprese hanno
incrementato anche l’uso di strumenti quali direct market, pubbliche relazioni,
sponsorizzazioni e promozioni.
-Gli obiettivi sono rappresentati dal modello AIDA (Attenzione, Interesse, Desiderio,
Azione) consente di definire una sequenza gerarchica delle reazioni del mercato
ricercate dall’impresa.
Al primo livello, l’attenzione, gli individui devono conoscere l’esistenza di un
prodotto o di alcune sue caratteristiche e ricordarne alcuni suoi aspetti
fondamentali.
Il secondo livello prevede la manifestazione da parte degli individui di un interesse
verso il prodotto e capacità corrispondenti di soddisfare il fabbisogno.
Il terzo consiste nel far desiderare il prodotto al mercato, stimolando la formazione
di un’intenzione di acquisto.
L’ultimo livello è l’azione, cioè la volontà di indurre lì individuo ad acquistare il
prodotto.
L’obiettivo da perseguire cambia in funzione del livello di novità del prodotto e della
marca, della situazione competitiva e delle caratteristiche del segmento di mercato.
L’approvvigionamento
La programmazione dell’approvvigionamento
Il processo di programmazione degli acquisti tiene conto degli ordini e le previsioni,
delle risorse disponibili e delle scorte ed inizia con la formulazione di una previsione
di tipo aggregato degli ordini di vendita sulla base della quale viene sviluppato un
lungo programma aggregato di produzione. Esso definisce per ciascuna linea o
famiglia di prodotti cosa si prevede di vendere, cosa dovranno produrre i singoli
stabilimenti e quale dovrà essere il livello di scorte di prodotti finiti. Coerentemente
con l’input previsionale, il programma aggregato di produzione è sviluppato a livello
mensile ed interessa un orizzonte temporale di uno o due anni. Un altro input è il
livello di capacità produttiva relativo alle singole famiglie di prodotto. Il processo di
programmazione aggregata si concretizza con i seguenti piani:
-le quantità da produrre e vendere per ciascuna famiglia di prodotto e per ciascun
periodo dell’orizzonte di programmazione
-i livelli di capacità produttiva richiesti e le azioni da mettere in atto per garantire la
disponibilità del livello di capacità produttiva nei diversi periodi
-gli acquisti di materie prime e parti componenti da approvvigionare all’esterno
dell’azienda
-le azioni commerciali da mettere in atto per influenzare l’andamento della
domanda (campagne pubblicitarie)
-l’andamento della redditività economica dell’azienda sull’orizzonte temporale del
programma aggregato.
Per sviluppare, invece, il programma di dettaglio della produzione, che varia da tre a
sei mesi, occorre disaggregare le previsioni di vendita, da famiglia di prodotto a
singolo codice unitamente agli ordini già acquisiti dall’azienda. Esso tiene conto del
programma di produzione sui turni di lavoro, degli imprevisti, delle sequenze di
lavorazione (considerata la numerosità dei lotti, i tempi di set up, le deadline, cc.) e
del controllo avanzamento. Quanto alla programmazione degli acquisti, le modalità
di programmazione possono variare in funzione delle caratteristiche del mercato in
cui essa si trova ad operare e delle tecnologie e prodotti utilizzati. Esse possono
essere raggruppate in:
1. programmazione per scorta (make to stock)
2. programmazione su ordine (make to order)
3. assemblaggio su ordine (assemble to order)
1. La programmazione per scorta o per magazzino prevede che la fabbricazione del
prodotto avvenga sulla base di una previsione di vendita: la produzione è finalizzata
al reintegro di una scorta di prodotto finito da cui sono evasi gli ordini dei clienti. La
caratteristica fondamentale di tale modalità di programmazione è che questa
riguarda sistemi produttivi a grandi o piccoli lotti di prodotto finito e l’evasione
dell’ordine viene effettuata prelevando i prodotti dalle scorte e l’ordine del cliente,
che è piuttosto esigente, non interviene nel processo di programmazione della
produzione ed il tempo di evasione dell’ordine dipende dalla spedizione e consegna
del prodotto.
2. La programmazione su ordine è tipica delle imprese che producono vetture di
nicchia che pur offrendo un prodotto standard, imposta l’attività di produzione dei
componenti e dei prodotti finiti sulla base degli ordini dei clienti, non esistono,
perciò, scorte di componenti e prodotti finiti, ma solo di materie prime. Occorre che
il mercato o il cliente siano, però, disposti ad attendere il prodotto per il tempo che
è necessario all’azienda per sviluppare le attività relative al suo processo industriale
di approvvigionamento e fabbricazione.
3. L’assemblaggio su ordine è una modalità intermedia tra i due estremi della
programmazione per scorta e su ordine e prevede che sulla base delle previsioni
delle vendite si effettui l’approvvigionamento dei materiali e la fabbricazione di
alcuni sottogruppi mentre gli ultimi stadi del ciclo di fabbricazione e l’assemblaggio
finale del prodotto sono effettuati solo sulla base dell’ordine del cliente. Una tale
modalità riduce o annulla l’investimento in scorte di prodotti finiti rispetto alla
prima modalità ed in riferimento alla seconda, riduce il tempo di consegna del
prodotto al cliente in quanto esso sarà condizionato solo dal tempo necessario per
effettuare le operazioni finali del ciclo di fabbricazione del prodotto.
Il make to stock è la modalità più rischiosa in termini di investimenti per produrre,
confezionare ed inviare il prodotto al cliente.
Un sistema informatico di supporto alla gestione dei flussi di materiale che genera
una gestione centralizzata delle informazioni è il sistema MRP (Material
Requirement Planning) una tecnica informatica deterministica (algoritmo) che
consente di calcolare i fabbisogni netti di materiali e componenti necessari a
soddisfare il Piano Principale di Produzione (input dell’MRP). Il sistema, che è
l’output della programmazione aggregata, ha come obbiettivo la minimizzazione
delle scorte facendo coincidere la disponibilità dei materiali con il momento della
loro utilizzazione. L’MRP consente di rendere disponibili le materie prime ed i
semilavorati prima del loro effettivo impiego nelle varie fasi del processo produttivo.
Questo è un sistema di tipo push in quanto spinge i centri di lavoro a produrre le
parti richieste e tale metodo svolge le seguenti funzioni:
-pianificare gli ordini
-ordinare la parte giusta
-ordinare la quantità giusta
-ordinare al tempo giusto
-pianificare le priorità
-ordinare con la giusta data di scadenza
-mantenere la data di scadenza valida attraverso le successive ripianificazioni
-pianificare la capacità produttiva necessaria.
I principali input all’MRP sono il programma di produzione definite per i periodi
futuri, l’archivio della distinta base dei componenti costituenti il prodotto da
fabbricare e l’archivio della situazione scorte dei singoli componenti.
L’output è rappresentato dal programma degli ordini di riferimento pianificati nel
tempo.
Questo sistema è adatto per prodotti costituiti da molti componenti e la filosofia alla
sua base è la flow control o look ahead che si basa su ordini e previsioni e non sullo
storico e pone l’enfasi sulla pianificazione del flusso di materiali che attraversa i vari
stadi di approvvigionamento, produzione e distribuzione all’interno della supply
chain. Nel flow control l’eventuale formazione di stock lungo la catena logistica deve
essere considerata come il risultato di vincoli di rigidità intrinseci al sistema stesso,
non certo come il presupposto della logica di gestione sottostante, come avviene
nello stock control, in astratto nel flow control non dovrebbero esistere scorte di
materiale, tranne quelle di transito.
Tipologie di innovazioni
Nell’ambito dell’innovazione tecnologica si individua la dicotomia tra innovazione di
prodotto e di processo.
-Innovazione di processo: riguarda gli interventi finalizzati ai miglioramenti dei
processi produttivi, della gestione, della logistica, dei flussi produttivi,
all’introduzione dei sistemi informativi.
-Innovazione di prodotto: riguarda il lancio sul mercato di prodotti completamente
nuovi o interventi finalizzati ad incrementare la gamma dei prodotti esistenti. Studi
hanno messo in evidenza la complementarietà di tale dicotomia.
Utterback e Abernathy costruiscono un modello al fine di spiegare le dinamiche
dell’innovazione nell’industria e distinguono un momento iniziale nel quale un ruolo
fondamentale è svolto dalle innovazioni di prodotto, necessarie per conquistare
ampie fette di mercato con prodotti innovativi ed in questa fase, detta di
performance maximizing, stimoli all’innovazione sono dati da informazioni circa i
bisogni degli users e gli input tecnici degli stessi con l’obiettivo di un cambiamento
radicale del prodotto per ottenere un vantaggio competitivo. Nella seconda fase,
detta sales maxmizing, stimoli all’innovazione sono ricercati nelle opportunità
generate dall’evoluzione delle competenze interne ed essa viene applicata
soprattutto per migliorare le caratteristiche funzionali del prodotto al fine di una
maggiore varietà del prodotto stesso. Nella terza fase, detta cost minimizing, la
pressione alla riduzione dei costi di produzione spinge allo sviluppo di innovazioni
per cui è necessaria l’applicazione di innovazioni di processo affinché si riducano i
costi di produzione.
Dalla scelta della tecnologia dipende la scelta del target e del modo di competere. Il
management della R&S ha come obiettivi principali la scelta delle tecnologie che più
di altre possono dare vantaggi competitivi sui rivali. In particolare si possono
distinguere due aree applicative della R&S: la R&S di prodotto e la R&S di processo.
Mentre la prima mira ad assicurare innovazioni nell’offerta di mercato, la seconda
punta all’efficienza quindi alla riduzione dei costi, alla qualità ed alla migliore
utilizzazione dei fattori produttivi. Queste due tipologie hanno un peso relativo
diverso secondo le fasi del ciclo di vita del prodotto, in genere la prima domina le
fasi iniziali, mentre la seconda prevale nelle fasi di maturità, quando costi e qualità
divengono fattori determinanti.
Freeman individua cinque categorie:
1. Innovazioni incrementali PIU’ IMPORTANTE
2. Innovazioni radicali PIU’ IMPORTANTE
3. Innovazioni maggiori
4. Nuovi sistemi tecnologici
5. Rivoluzioni tecnologiche
1. Le innovazioni incrementali rappresentano i miglioramenti apportati al prodotto
o a processi produttivi, si manifestano con una successione costante nel tempo e
secondo Freeman sono le innovazioni stimolate dalla domanda e dalla
collaborazione tra impresa ed utilizzatori, mentre altri studiosi le hanno definite
come “frutto di una condotta manageriale creativa e non volta a modificare gli
assetti esistenti”. Tali innovazioni richiedono l’acquisizione da parte dell’impresa di
conoscenze e competenze non diverse da quelle che fanno parte del patrimonio
cognitivo già acquisito.
2. Le innovazioni radicali, invece, si distribuiscono in modo discontinuo nel tempo e
tendono a diffondersi in tutte le imprese appartenenti al settore e a spostarsi
rapidamente da un settore all’altro. Sono rappresentate da eventi di grande portata
tesi a sostituire o quanto meno a relegare tecnologie e filosofie manageriali esistenti
ad un ruolo di secondaria importanza. La forza de cambiamento da esse apportato è
tale da creare nuovi business o distruggere gli esistenti (ibidem). Riecheggia, così, il
tema della “tempesta creatrice” di matrice shumpeteriana secondo la quale l’impeto
dell’innovazione si impone con forza sul mercato riducendo in polvere chi non
innova. Le innovazione radicale ed incrementali sono complementari.
Pisano classifica le tipologie di innovazioni in funzione dell’adattamento della nuova
tecnologia alle competenze di mercato e tecnologiche già possedute dall’impresa.
Sono quattro tipologie di innovazione:
-le routines innovations che si basano sulle competenze già possedute dall’impresa
sia di mercato che tecnologiche. Ne fanno parte quelle incrementali come il lancio di
un nuovo smartphone
-le distruptives innovations che si basano sulle competenze tecnologiche esistenti
dell’impresa, ma che richiedono l’implementazione di nuove logiche di mercato
perché si rivolgono a nuovi gruppi di consumatori o soddisfano bisogni diversi di
consumatori già in essere come la TV on demand
-le radical innovations che prevedono l’implementazione di nuove tecnologie non
possedute dall’impresa per creare prodotti che si rivolgono alla stessa base di
consumatori , l’auto elettrica ne è un esempio
-le architectural innovations che prevedono lo sviluppo di nuove conoscenze di
mercato e nuove competenze tecnologiche e sono le innovazioni più complesse.
Un esempio di architectural innovations è dato dalla Tesla Inc. che è un’azienda che
nasce come produttrice di auto elettriche, ma che ha dovuto implementare una
nuova tecnologia per poter sviluppare un progetto ed un modello di business che
soddisfacesse un bisogno diverso di consumatori rispetto a quello relativo alle
automobili. In particolare l’azienda, nata nel 2003 a San Carlos in California e
specializzata nella produzione di veicoli elettrici ad alte prestazioni orientati al
mercato di massa e pannelli fotovoltaici, ha lanciato recentemente nuove tegole
fotovoltaiche che sono uguali a quelle precedenti esteticamente, ma la cui
particolarità risiede nella loro commercializzazione distribuita in quattro varianti a
seconda della tipologia dell’abitazione nelle quali saranno istallate.
-L’invenzione
E’ il risultato dell’uso creativo della conoscenza ed è relativa alla produzione di idee
innovative ed è strettamente collegata al concetto di creatività. In questa fase
l’impresa deve cercare di sviluppare il maggior numero di idee possibili e si può
attingere a fonti di conoscenza interne ed esterne all’organizzazione.
Le innovazioni nascono da menti geniali dei singoli ed un esempio sono Steve Jobs o
Ferrero e tali soggetti sono accomunati caratteri creativi, forte passione,
perseveranza e propensione al rischio. Le idee innovative possono essere messe in
atto anche dai dipendenti e l’esempio è quello di IKEA nella cui impresa un
dipendente decise di smontare un mobile per portarlo a casa. Altre idee possono
nascere dai clienti.
Già negli anni ’80 Von Hippel individuò più fonti di innovazione ed enfatizzava il
ruolo degli utilizzatori, definiti lead users. A tal proposito Riggs effettuò uno studio
prendendo in esame, nel settore degli strumenti scientifici, 62 innovazioni per
l’analisi spettroscopica. Dall’analisi dei dati risultano evidenti le differenze tra le
innovazioni sviluppate dalle aziende produttrici e dagli utilizzatori, infatti, le aziende
mirano all’impatto commerciale, gli utilizzatori curano l’aspetto scientifico ed è solo
una particolare categoria di utilizzatori, quelli più sofisticati, ad essere di supporto
all’azienda. Quanto più è sofisticato l’utilizzatore tanto più sarà capace di offrire
nuove idee. Questo è un modello di collaborazione utilizzatore\produttore in cui le
fasi iniziali, generazione dell’idea ed identificazione di soluzioni preliminari sono
trasferite direttamente all’utilizzatore, mentre le fasi successive di ingegnerizzazione
e definizione del prototipo sono svolte dai produttori. Oggi molte imprese che
abbracciano il paradigma dell’open innovation si affidano a idee dei clienti ed il
compito dei manager è di selezionare quelle con maggiori potenzialità che poi
concorreranno alla fase di sviluppo per la quale i ricercatori americani hanno coniato
il termine “kissing the frog” per intendere che l’apparenza inganna e che le idee
meno attraenti sono quelle vincenti e che c’è bisogno di effettuare vari tentativi
prima di raggiungere l’idea giusta.
-L’innovazione
Lo sviluppo di un’invenzione può non richiedere la profusione di grandi risorse e non
sempre si tramuta in innovazione, la quale, invece può richiedere l’investimento di
ingenti risorse umane. Molto importante in tale ambito è la sperimentazione dei
nuovi prodotti definita da Thomke enlightened experimentation che è frutto di un
determinato processo che segue la regola di velocità nell’effettuare i test di
controllo e l’importanza che si assegna agli errori che sono alla base di un
miglioramento.
-La diffusone
La diffusione dell’innovazione è un fenomeno sociale. Per tale processo si tiene
conto di fattori quali le caratteristiche dei potenziali adottanti, il comportamento dei
principali competitors e gli effetti delle esternalità di rete. Gli studiosi però si
interrogano sulla diffusione più facile di un fenomeno rispetto ad un altro e si
concentrano su delle caratteristiche che sono la natura della tecnologia, le
caratteristiche dell’adottante e del network, questi classificati in tre categorie:
1. Fattori relative alle caratteristiche dell’adottante: Gerosky sottolinea come la
probabilità che un’innovazione venga adottata da un soggetto dipende dall’intensità
di tre categorie di costi: searching costs che sono connessi alle difficoltà di acquisire
le informazioni relative ai benefici connessi all’utilizzo della nuova tecnologia,
switching costs sono i costi che il potenziale adottante deve sostenere per
riorganizzare i processi produttivi in seguito all’adozione di una nuova tecnologia e
gli opportunity costs che sono connessi alla possibilità che la scelta di investire
risorse in una nuova tecnologia sia meno conveniente che impiegarle in tecnologie
alternative o già impiegate.
2. Fattori connessi alle caratteristiche della tecnologia che si diffonde: maggiore è il
suo costo e minore è la probabilità di diffusione. Nello specifico i costi della
tecnologia sono relativi all’acquisto di brevetti e licenze e alle sua configurazione e
istallazione.
2. Fattori connessi alle caratteristiche del network: influenza la diffusione perché si
entra in contatto con soggetti che hanno già adottato la tecnologia e facilitano il
processo di adozione. Ma se si deve modificare il network nel quale l’impresa è
inserita per adottare una nuova tecnologia può ostacolare i processo di diffusione.
Uno dei casi più eclatanti dovuti al fallimento del processo di diffusione è quello del
sistema operativo Windows Phone che pur essendo nato prima del suo rivale
Android, è poi scomparso.
Il settore dei Mobile Operating Systems si caratterizza sia per l’esistenza di sistemi
operativi dominati da regimi radicalmente diversi sia da una netta distinzione tra
adottanti e coloro che operano con minori capacità e risorse limitate. Gli adottanti
comprendono le multinazionali della telefonia che producono con il proprio brand
(Samsung, Nokia) e la seconda categoria è costituita dalle aziende che spesso
operano come fornitori per i grandi player mondiali e che hanno anche iniziato e
realizzare propri mobile device. Si è analizzato a tal proposito il processo di
diffusione dei due principali sistemi operativi per i mobile device e cioè Android
generato dalla Open Handset Alliance guidata da Google e Windows Phone guidata
da Microsoft. Entrambi sono disponibili per una comunità di adottanti, ma Andorid
ha una tecnologia open source e Microsoft ha un tecnologia di tipo proprietario. In
un primo step si è verificata l’adozione dei sistemi operativi da parte delle principali
aziende statunitensi produttrici di mobile device che operano con marchio proprio
(global players) e nel secondo step sono stati identificati gli attori che operavano
come fornitori per le principali aziende produttrici di mobile device (altri produttori)
i quali si sono proposti come produttori in proprio di mobile device destinati a
segmenti low cos. Sono stati identificati 28 global palyers e 13 altri produttori e il
sistema Android è stato adottato da un numero maggiore di aziende rispetto a
Windows Phone, infatti Android è il network con maggiore intensità di relazioni,
adottato da 31 produttori di mobile device contro i 17 di Windows Phone, tra gli altri
produttori di mobile device solo 3 per Windows e 10 per Andorid.
Capitale sociale
Leana e Van Buren definiscono “capitale sociale organizzativo” il surplus di
conoscenza che deriva dall’interazione sociale tra i membri di un’organizzazione e
che si manifesta nelle loro capacità di perseguire obiettivi comuni.
Il management sceglie le risorse umane da impiegare nell’organizzazione in funzione
del business in cui opera e delle scelte strategiche che intende perseguire, tuttavia la
capacità dell’impresa di raggiungere gli obiettivi prefissati dipende fortemente dalle
capacità degli individui di attuare processi strategici.
Un requisito importante affinché le risorse umane si impegnino per il
raggiungimento di tali obiettivi risiede nella condivisione di questi e proprio al fine di
favorire la motivazione e la lealtà dei dipendenti, il management strategico stabilisce
il grado di autonomia delle risorse umane e gestisce i meccanismi di selezione che
ritiene maggiormente in grado di assicurare l’impiego di figure che rispecchino i
credi ed i valori dell’impresa.
E’ anche importante la pianificazione delle retribuzioni spettanti agli individui che
operano ai vari livelli dell’organizzazione e alla base di tali vi scelte vi è la volontà del
management di evitare che i dipendenti possano avvertire atteggiamenti
discriminatori ed, anzi, per favorire la loro motivazione e ridurre il rischio di
atteggiamenti inerziali, viene garantita la possibilità di accedere ai livelli più elevati
di retribuzione o all’ottenimento di maggiori benefit.
All’attività di gestione delle risorse umane vanno imputati i costi di reclutamento del
personale, di selezione di colore che verranno assunti, di formazione e
addestramento di operai e figure manageriali.
Le performance delle attività di selezione e reclutamento possono essere valutate in
considerazione dei tempi di risposta e di copertura e la capacità del servizio di
assumere personale adatto.
Le mansioni possono essere più o meno specialistiche ed i loro parametri di
distinzione sono la varietà che definisce il grado di divisione orizzontale del lavoro ed
attiene al numero dei compiti previsti dalla mansione, l’autonomia che definisce il
grado di divisione verticale del lavoro e la contribuzione cioè la capacità del
lavoratore di identificare il contributo apportato all’organizzazione dal suo lavoro.
Oggi le imprese a causa della crescente sofisticazione della domanda hanno
effettuato delle tecniche di ristrutturazione del lavoro:
-job enlargement che consiste nell’ampliamento dei confini orizzontali della
mansione per intensificarne grado e varietà
-job rotation che consiste nel passaggio periodico dei dipendenti a compiti diversi
per evitare alienazione e demotivazione
-job enrichment che prevede un allargamento orizzontale dei compiti ed un loro
ampliamento verticale con la concessione di maggiori responsabilità al dipendente
-lavoro di gruppo che consiste nell’uso combinato delle tecniche richiamate cui
viene associata una distribuzione mutevole dei compiti fra i membri del gruppo.
Le difficoltà connesse al processo di selezione, i tempi del reclutamento, i costi delle
operazioni, i rischi degli eventuali errori nella selezione e formazione del personale,
spingono molte imprese ad esternalizzare tale attività affidandosi a società private o
organismi pubblici. Analogo discorso per l’attività di formazione.
Il reclutamento e la selezione
Il reclutamento è lo strumento con cui l’impresa esprime la propria domanda di
lavoro e attiva l’offerta lavorativa. Le scelte relative a tale attività dipendono dalle
posizioni da coprire nell’impresa o dalle caratteristiche dell’offerta di lavoro. Gli
strumenti si distinguono interni ed esterni.
1. interni: la tecnica più utilizzata è quella del job posting che prevede che il
management porti a conoscenza di tutti i dipendenti le cariche da ricoprire e le
caratteristiche necessarie all’espletamento dei compiti
2. esterni: di cui fanno parte varie tecniche:
-autocandidature che i soggetti interessati presentano alle società o ad un
intermediario specializzato attraverso l’invio del proprio curriculum, di cui è sempre
più utilizzata la tecnica dell’e-recruiting che si avvale di internet per la ricezione dei
curricula in via diretta o indiretta tramite intermediari
-la ricerca da parte delle imprese di talenti presso scuole, istituti di ricerca ed
università
-il ricorso ad agenzie pubbliche o private che raccolgono i curricula delle persone in
cerca di lavoro
-il rapporto con associazioni professionali e sindacati
La selezione è la fase che attiene alla scelta dei soggetti che entrano a far parte
dell’organizzazione. Essa avviene nell’ambito della rosa dei possibili candidati e
prevede un processo di selezione basato sulla verifica delle conoscenze, attitudini e
capacità di apprendimento degli stessi.
Può essere divisa in sottofasi, in un primo momento l’impresa segue o affida alla
società di selezione uno screening dei curricula ricevuti e la prima selezione avviene
sulla base di parametri generali come il livello di scolarizzazione, competenze
linguistiche ed esperienze lavorative precedenti.
La scelta finale si basa su info più dettagliate relative alla motivazione dei candidati
e alla coerenza tra il loro profilo e le necessità dell’azienda. Se anche queste fasi
sono estrenalizzate, l’impresa procede ad un ulteriore controllo del processo di
selezione sulla base di colloqui diretti con i candidati selezionati, le cui principali
tecniche sono:
-i colloqui finalizzati ad approfondire la domanda di lavoro o verificare le info del
curriculum e le attitudini del candidato
-le prove professionali indirizzate a verificare le abilità specifiche dei candidati
-i test psicologici tra cui rientrano i test di intelligenza, tesi a valutare le capacità di
ragionamento, i test di personalità per valutare la sfera caratteriale, i test psico-
attitudinali che valutano le attitudini di un individuo a ricoprire incarichi che
richiedono particolari abilità ed i test di conoscenza che si avvalgono su metodologie
basate sulle simulazioni, volte a valutare individui per ricoprire posizioni di
responsabilità.
I principali costi di tali operazioni possono essere raggruppati nelle seguenti
categorie:
-costi relativi alla raccolta e diffusione di info nel mercato del lavoro
-costi specifici di reclutamento che sono più elevati quanto più ampi sono i
segmenti del mercato del lavoro in cui avviene la ricerca e quanto più è elevato il
numero di candidati
-costi specifici per la selezione che tendono ad aumentare al crescere del numero di
candidati
-costi di attivazione dei flussi in entrata\uscita per le retribuzioni e l’aggiustamento
tra retribuzione domandata e quella offerta
-costi di conflittualità che insorgono qualora i sindacati intervengano nel processo.
L’addestramento e la formazione
Caratteristiche e qualità delle risorse umane dipendono dalla formazione e
l’addestramento e l’instabilità dell’ambiente ha reso fondamentale la loro capacità
di accrescere il proprio capitale cognitivo e di adattarsi a situazioni nuove.
I successi conseguibili dall’attività di formazione sono legati alla qualità del capitale
umano impiegato nell’impresa e che questo presenti caratteristiche conformi alle
esigenze della stessa.
Lo sviluppo delle specificità professionali necessarie all’impresa richiede un periodo
di formazione delle risorse finalizzato al loro adattamento alle esigenze dell’impresa,
il quale può richiedere una trasformazione generale del capitale quando si richiede
l’acquisizione di caratteristiche professionali che mantengono il proprio valore
anche all’esterno dell’impresa o specifica quando le conoscenze trasferite sono
radicate nell’impresa.
Si definisce addestramento il trasferimento di abilità già definite e controllabili, la
formazione è il processo che mira a sviluppare abilità nuove.
Come tutti gli investimenti, quello del capitale umano comporta dei rischi, relativi al
rendimento del processo di trasferimento delle conoscenze ed alla perdita di queste
da parte dell’impresa, ecco perché spesso i processi di formazione più complessi
sono riservati a colore che ricoprono un ruolo chiave nell’impresa.
La formazione può avvalersi di diverse tecniche:
-la lezione frontale: è utile per il trasferimento di modelli e può richiedere un
atteggiamento passivo dai discenti
-il metodo dei casi: prevede la presentazione ai discenti di un caso scritto relativo ad
una situazione verificatasi in azienda e richiede che i discenti analizzino il caso.
Alcune varianti sono.
a) l’incident che prevede maggiore partecipazione dei discenti che devono pensare
anche alle tipologie di info necessarie a risolvere il caso e a come reperirle
b) il role playing dove è richiesto di recitare il ruolo dei protagonisti per sviluppare
proprie capacità critiche e di analisi
-l’in basket: tecnica di simulazione che prevede che i partecipanti risolvano
situazioni di difficoltà che si verificano nell’arco di una giornata attraverso
comunicazioni scritte, l’obiettivo è di sviluppare capacità decisionali degli individui
-il business game: basato sempre su simulazione e prevede la suddivisione dei
partecipanti in gruppi-imprese che competono in particolari situazioni di mercato,
situazioni che si modificano in base alle decisioni prese ed attuate dai gruppi stessi
-il T-group: i partecipanti devono utilizzare la dinamica delle relazioni interpersonali
all’interno di un gruppo stimolato con il fine di migliorare l’autocontrollo e la
comunicazione
-le learning community: più individui collaborano e si confrontano al fine di
sviluppare la propria capacità di apprendimento
-l’action learning: consiste nella richiesta ai partecipanti di realizzare progetti nuovi
che richiedono conoscenze e competenze diverse rispetto a quelle necessarie a
ricoprire le posizioni occupate fino a questo momento. Molto utilizzato per la
formazione di personale di livello elevato
-il lavoro di gruppo: mira a sviluppare le capacità di apprendimento dei membri del
gruppo sia attraverso l’effetto imitazione sia attraverso il continuo scambio di
informazioni. Questo metodo agevola i processi di socializzazione e favorisce
l’acquisizione di competenze più ampie grazie alla collaborazione tra individui
portatori di conoscenze diverse e l’efficacia del gruppo cresce al crescere della
varietà degli incarichi ricoperti dai suoi membri
-i metodi riflessivi: mirano ad abbattere le barriere mentali difensive degli individui,
fornendo una maggiore apertura verso conoscenze esterne all’organizzazione.
Una componente importante della formazione è ancora l’on the job training cioè
l’esperienza sul campo che permette all’individuo di apprendere attraverso
l’espletamento dei propri compiti e il confronto con gli altri individui.
Riguardo alla valutazione dell’attività di formazione occorre considerare i costi e le
performance ottenute. Fanno parte dei costi:
-costi dei consulenti e docenti
-costo-opportunità derivante dall’impiego di risorse interne nell’attività di
formazione
-costi relativi alla sistemazione logistica
-costi dei materiali didattici
-l’eventuale retribuzione dei partecipanti.
Le performance possono essere valutate attraverso il grado di soddisfazione del
bisogno formativo dei partecipanti, indagando, ad esempio, sul grado di
apprezzamento degli stessi al corso organizzato.
Nelle Pmi l’attività di formazione risulta spesso non formalizzata e si esplica
soprattutto tramite il learning by doing, mentre nelle imprese di maggiori
dimensioni è più frequente la programmazione di percorsi di formazione
formalizzati, basati sulla partecipazione a corsi periodici organizzati in azienda,
prevalentemente per colore che occupano posizioni intermedie.
Le attività infrastrutturali
La funzione finanziaria dell’impresa fa parte delle attività di supporto della catena
del valore e si occupa del reperimento delle risorse finanziarie necessarie a coprire
gli investimenti derivanti dall’attività aziendale.
In relazione a tale attività sono connesse 3 problematiche:
-definizione del volume complessivo e del tasso di sviluppo del capitale investito
nell’impresa
-la scelta degli investimenti e la connessa struttura delle attività patrimoniali
dell’impresa
-la composizione delle fonti di finanziamento utilizzate a copertura delle attività
patrimoniali.
Sono problematiche connesse tra loro e riguardano un unico fenomeno: la dinamica
del capitale.
Il manager ha la responsabilità di definire quali investimenti l’impresa dovrebbe
effettuare al fine di creare valore e come procurarsi il denaro necessario.
La finanza appare come il collegamento tra l’impresa e l’ambiente finanziario e ad
essa competono diverse funzioni di supporto alle decisioni aziendali attraverso:
-la trasmissione di regole e strumenti operativi AREA STRATEGICA
-la decisione della struttura finanziaria di copertura ed il recepimento delle fonti di
finanziamento AREA STRATEGICA
-la gestione della tesoreria e gestione delle politiche per la distribuzione dei
dividendi AREA OPERATIVA
-la gestione dei rischi (risk management) AREA OPERATIVA
Capital Budgeting
La metodologia comunemente utilizzata per valutare in via preventiva gli
investimenti in capitale fisso, costituito dalle attività a medio-lungo termine e
circolante, composto dalle attività correnti, in un contesto di risorse finanziarie
scarse, è il Capital Budgeting, che prevede:
-produzione di proposte in di investimento
-quantificazione dei flussi di cassa per ogni proposta
-valutazione dei flussi di cassa attualizzati
-selezione delle proposte sulla base di un criterio di accettazione.
Tecnicamente l’applicazione del capital budgeting richiede:
1. La fissazione dell’orizzonte temporale per ciascuna proposta di investimento
(basata sulla vita economica del bene)
2. Calcolo del rendimento atteso di ciascun progetto di investimento attraverso la
Discounted Cash Flow Analysis (analisi dei flussi di cassa attualizzati).
La stima del costo del capitale proprio rappresenta il passaggio più difficile: per
quanto riguarda l’autofinanziamento e il capitale netto preesistente, si è soliti
utilizzare un costo opportunità, cioè il rendimento delle alternative di investimento
alle quali si rinuncia.
Per quanto riguarda il nuovo capitale richiesto, esso può essere stimato con il
metodo del Capital Asset Pricing Model (CAPM). La stima di tale costo prevede un
premio per il rischio da aggiungere alla remunerazione delle attività risk free (la ratio
è che l’investitore debba essere remunerato di più per questo capitale).
Valutazione degli investimenti
Dopo aver utilizzato il costo del capitale al fine di attualizzare i flussi di cassa
derivanti dagli investimenti, per valutare gli investimenti vengono utilizzati diversi
metodi, il VAN ed il TIR.
Il valore attuale netto (VAN) viene calcolato come differenza tra i flussi di cassa in
entrata ed i flussi di cassa in uscita, attualizzati, generati dall’investimento. Esso è
una misura del valore creato o distrutto da qualsiasi decisione di investimento.
L’investimento è accettabile se il VAN è maggiore di 0, tra due investimenti si
sceglierà quello con il VAN maggiore.
Il metodo del tasso interno del rendimento (TIR) o Internal Rate of Return (IRR)
prevede che venga stimato il tasso che rende uguale a zero il valore attuale netto
dell’investimento. Il TIR rende equivalenti i flussi positivi e negativi di una
determinata operazione di investimento.
L’investimento è accettabile se il TIR è maggiore o uguale al tasso soglia di
accettazione legato al costo del capitale impiegato, tra due investimenti si sceglierà
quello con il TIR più elevato.
I limiti a tali metodi sono:
-per il VAN che considera lo stesso tasso di attualizzazione per flussi derivanti da
periodi di tempo diversi
-per il TIR c’è la possibilità che un investimento presenti più tassi interni di
redditività o non ne presenti alcuno
-entrambi necessitano di previsioni
Ecco perché ad integrazione delle due metodologie di valutazione può essere
utilizzata quella del tempo di recupero, cioè il payback period.
Il payback period prevede la stima del tempo necessario affinché il flusso di cassa
cumulato imputabile al progetto eguagli il valore del capitale investito. Si calcola
come rapporto tra il capitale investito e la media annuale degli incassi e nel caso
questi siano diversi, è necessario sommare gli incassi e poi dividerli per il numero
degli anni in modo da ottenere l’incasso medio annuo.
Struttura funzionale
Dominano i concetti di gerarchia e flussi di comando top-down. La struttura
organizzativa funzionale prevede il raggruppamento, sotto il controllo di uno stesso
manager, di tutte le attività riguardanti una stessa “funzione”. La funzione
imprenditoriale è “razionale invece che intuitiva, meccanicistica invece che organica,
impersonale invece che personale”.
In base alle “funzioni aziendali” le unità possono essere classificate in operative,
funzionali e di servizio:
-operative: sono le unità organizzative che assolvono alle funzioni principali
dell’azienda, ovvero che svolgono le attività gestionali
-funzionali: sono unità che, non necessariamente e direttamente produttive,
attendono alle funzioni aziendali sinergiche all’attività produttiva
-di servizio: svolgono attività di supporto alle altre unità organizzative.
La struttura funzionale può generare conflitti tra i manager funzionali. Accanto ai
vantaggi di efficacia ed efficienza che discendono dal controllo diretto dei manager
sulle attività operative, emergono gli svantaggi legati:
-alla rigidità che caratterizza la struttura funzionale che può ostacolare le risposte
dell’impresa alle variazioni ambientali
-alla spinta burocratizzazione delle attività organizzative e gestionali che può
realizzarsi nelle imprese che applicano in modo eccessivo i principi della
standardizzazione e specializzazione
-alla demotivazione del personale se i manager funzionali esercitano un controllo
troppo rigido delle attività operative.
Quanto alla rigidità insita in una struttura funzionale, è anche poco probabile che la
stessa diventi maggiormente flessibile con la creazione di unità consultive se il
supporto degli staff rimane marginale, mentre se l’attività di staff è vincolante per
quelle di line, le interferenze sulle decisioni dei manager funzionali possono creare
situazioni conflittuali e rallentare il processo decisionale.
Vantaggi
-specializzazione delle risorse con sviluppo di conoscenze (miglioramento di prodotti
e processi)
-efficienza\economicità tecniche (controllo diretto specializzato)
-migliore efficienza della direzione
Svantaggi
-difficoltà di coordinamento (ciascuno potrebbe essere orientato ad ottimizzare i
propri risultati) e comunicazione
-lentezza di risposta ai cambiamenti ambientali a causa della struttura
tendenzialmente rigida, con burocratizzazione spinta (causa specializzazione e
standardizzazione)
-ulteriore complessità se staff specializzato ha funzione non solo consultiva, ma
anche decisionale
Strutture multidivisionali
Dalla seconda metà degli anni ’80, il risultato dei cambiamenti interni ed esterni
all’impresa è stato l’affermazione di strutture organizzative più flessibili, quali le
strutture multidivisionali, caratterizzate da una suddivisione del lavoro in senso
orizzontale a livello dell’alta direzione, con una suddivisione delle responsabilità,
non più per funzione, ma per prodotto, per area geografica o per mercato di sbocco.
Le divisioni diventano dei centri di profitto.
Questa tipologia di struttura prevede 5 livelli.
-direzione generale che attiene ai centri decisionali strategici che hanno il compito
di assegnare risorse ad ogni divisione
-staff centrali caratterizzati da specialisti con funzioni di supporto e\o di consulenza
alla direzione centrale
-divisioni con responsabilità diretta di gestione
-aree funzionali con competenze specializzate di funzione per ciascuna divisione
-unità operative che fanno capo ad ogni divisione e che sono proprie di ogni
segmento funzionale.
Vantaggi
-adeguatezza ai rapidi cambiamenti dell’ambiente esterno
-capacità di gestire e coordinare imprese diversificate
-maggiore responsabilizzazione e motivazione dei dirigenti di divisione
-alto grado di coordinamento tra le funzioni
Svantaggi
-riduzione economie di scala delle unità funzionali
-possibile conflittualità tra i responsabili di divisione
-maggiore difficoltà di coordinamento delle attività delle divisioni
Strutture a matrice
Il coordinamento diviene ancora più complesso. La struttura è decentrata, con centri
di profitto per prodotto e area geografica o mercato, e\o centri di costo per
funzione.
Essa è tipica delle imprese che lavorano per progetti dove accanto alle funzioni
centrali vengono istituite strutture responsabili di uno o più progetti. E’un modello
tipico delle imprese che operano su commessa e dei prodotti con un ciclo breve ed è
una matrice in quanto individua delle righe (progetti) e delle colonne (funzioni).
Nelle strutture a matrice infatti esistono due gruppi di manager:
-responsabili funzionali che curano l’esplicazione efficace ed efficiente di una
funzione indipendentemente dai progetti
-responsabili di progetto (project manager) che coordinano lo specifico progetto.
Vantaggi
-condivisione flessibile delle risorse umane tra progetti
-adatta a decisioni complesse in un ambiente instabile
-maggiori possibilità di “conversione” tra obiettivi\interessi differenti
-opportunità per lo sviluppo di competenze sia funzionali sia di prodotto
Svantaggi
-rischio di duplicazione di funzioni
-conflitti gestionali inevitabili a causa di sovrapposizione tra capi (sforzo nel
bilanciamento del potere)
Le reti intra ed inter-organizzative
L’attuale contesto ambientale ha portato alla creazione di relazioni reticolari intra-
organizzative (casa madre e consociate) ed inter-organizzative (tra imprese
indipendenti) che consentono l’ottimizzazione congiunta dei punti di forza dei
singoli nodi della rete, permettendo alla singola unità di focalizzarsi sulle attività che
sa meglio gestire e di sfruttare le conoscenze e le competenze degli altri nodi.
Pertanto “una struttura reticolare consente all’impresa di perseguire obiettivi
primari, assicurandosi il rafforzamento o la creazione di vantaggi concorrenziali”.
L’acquisizione di vantaggi concorrenziali oggi è diventata ancora più difficile, occorre
pertanto che le imprese focalizzino tutti gli sforzi sull’incremento del patrimonio
conoscitivo, si enfatizza così il ruolo che possono assumere, in una rete intra-
organizzativa, le unità organizzative periferiche che occupano posizioni strategiche.
Esse possono fungere da connettori tra contesti locali e sistema centrale ed una
struttura organizzativa a rete, può facilitare questo processo nella misura in cui le
unità organizzative periferiche, riescono a sviluppare una capacità di trasferire le
conoscenze contest specific alle altre unità organizzative ed al centro.
Nella realtà delle grandi imprese è normale che si verifichi un elevato potere locale
determinato da diversi fattori:
-le maggiori dimensioni del paese nel quale è inserita la filiale
-il controllo di punti di collegamento critici con attori chiave del proprio ambiente
locale ed in particolare del governo del paese ospitante
-la vicinanza ad un dato ambiente locale, con i connessi legami con i clienti, fornitori
ed investitori locali ed una diversa cultura radicata nell’ambiente di appartenenza.
La scelta della localizzazione delle consociate e dei manager da destinare ad esse,
l’individuazione dei meccanismi del coordinamento diventano, pertanto, leve
strategiche che la corporate può utilizzare per l’acquisizione di vantaggi competitivi.
La complessità dell’impresa multinazionale è legata alla sua stessa struttura, che
risulta multiculturale, con una pluralità di mercati e pluri-manageriale in quanto
deve poter gestire per un unico mercato mondiale risorse comuni (capitale,
conoscenze, manager e specialisti). L’attività del manager di cogliere le opportunità
del suo ambiente è cruciale ai fini del successo della singola unità.
L’aumentare della densità delle interazioni che ogni unità decentrata pone in essere
con gli interlocutori fa evolvere il concetto della multinazionale che si configura,
così, come un network organizzativo alla base del quali vi è l’attività di gestione di
un “sistema multinazionale” composto da una rete di unità differenziate e
autonome, la cui interazione è un fattore di successo.
Le reti inter-organizzative permettono di percorrere percorsi di sviluppo flessibili e
intraprendere relazioni clienti, fornitori e concorrenti per co-creare valore, ma i nodi
della rete devono essere ricettivi agli stimoli esterni e capaci di tradurli in un
linguaggio condiviso da tutti i componenti della rete. Da ciò discende un incremento
della complessità gestionale della stessa e la necessità di meccanismi di
coordinamento.
L’ambiente politico-istituzionale
L’analisi dell’ambiente politico-istituzionale si propone di identificare l’insieme delle
politiche adottate dai governi. Esso pone opportunità e minacce in relazione ai
seguenti quesiti:
-Quali sono i più prevedibili cambiamenti nella politica economica del paese ?
-Quali politiche che si sostanziano in provvedimenti fiscali\monetari sono previsti e
in che misura potranno influenzare il comportamento dell’impresa’
-Quale sarà il loro impatto sui singoli settori industriali ?
I fattori politici influenzano la vita delle imprese poiché:
a) il ruolo dello Stato in molti settori produttivi ed in molti paesi è rilevante,
rivestendo il ruolo del cliente, fornitore e soggetto dell’impresa. I fattori politico-
istituzionali fanno riferimento alle regolamentazioni governative, settoriali e legali,
formali ed informali alle quali l’impresa dovrebbe attenersi (leggi ambientali e di
politica fiscale)
b) le organizzazioni della società civile possono esercitare pressione sulla
regolamentazione di determinate attività e quindi sui componenti aziendali.
Esistono settori che risultano esposti a pressioni politiche della società civile. Si pensi
alle attività connesse alla difesa che sono contraddistinte da un elevato
coinvolgimento dello stato (la maggiore attenzione che lo Stato ha riservato a tutti i
settori\business connessi alla produzione\distribuzione dei prodotti alimentari: la
ricerca di una maggiore sicurezza alimentare e del controllo della filiera).
Questi fattori posso influenzare in maniera più o meno accentuata le prospettive di
profitto.
Un fattore che è molto significativo da valutare riguarda l’intervento dello Stato e
degli organismi di vigilanza sulla tutela della concorrenza. Sono molti, infatti, i casi di
progetti di fusione, acquisizione o collaborazione che sono stati ostacolati o
sottoposti a revisione a causa dell’introduzione di normative regolamentatrici della
concorrenza (Antitrust).
Per quanto riguarda il caso italiano, i principali fenomeni legati all’ambiente politico-
istituzionale sono riconducibili
-alle privatizzazioni di imprese pubbliche
-alla deregulation del terziario
-alla devolution e al progressivo federalismo
-all’ingresso dell’Italia nell’UE e all’adozione della moneta unica.
In Italia gran parte dei settori interessati da forme di intervento pubblico sta
attraversando una fase di trasformazione in una direzione che tende a
responsabilizzare le imprese incentivando l’attività privata.
In sintesi l’analisi dell’ambiente p-e dovrebbe permettere all’impresa di capire quali
siano i prevedibili cambiamenti nella politica economica nazionale ed internazionale
e quale sarà il loro impatto sui diversi settori industriali.
I fattori di natura politica esercitano una forte influenza sulle imprese con orizzonte
competitivo internazionale e a tal proposito, uno che in particolare incide sulla
generazione di comportamenti strategici riguarda la costituzione di free trade zone
(FTZ), cioè zone create dal soggetto pubblico per il potenziamento dell’economia
nazionale. Le FTZ consentono il raggiungimento di tre obiettivi:
-l’attrazione di capitali esteri e locali
-lo sviluppo di nuove opportunità di business
-creazione di occupazione.
L’ambiente economico
Pone minacce ed opportunità in relazione ai seguenti quesiti:
-Quali sono le prospettive del sistema economico nazionale ed internazionale ?
-Qual è l’evoluzione degli investimenti e del risparmio delle famiglie ? Come si
distribuisce il reddito per area geografica, età e nucleo familiare ?
-Qual è l’andamento della produzione industriale nazionale ed internazionale ?
-Quali eventi e trend economici possono influenzare la nostra impresa ?
Le forze dell’ambiente economico possono essere individuate mediante indicatori
quali:
-le diverse tipologie di produzione (industriale, agricola, terziaria)
-il reddito disponibile delle famiglie e gli investimenti
-i tassi di cambio e di inflazione nazionali ed internazionali
-il costo del lavoro e del denaro.
I fattori in esame sono in grado di influenzare il posizionamento competitivo
dell’impresa cui si richiede un’attenta analisi del loro andamento attuale e
prospettico.
Elementi quali crescita economica (PIL e PNL) tassi di interesse, di cambio e di
inflazione possono impattare anche sulle scelte organizzative relativamente alle
principali direttrici di sviluppo. Se il PIL cresce, dovrebbero crescere anche i consumi
e gli investimenti e l’incremento dei consumi rappresenta un’opportunità per le
imprese.
L’ambiente socio-demografico
L’analisi del sotto-ambiente socio-demografico si prefigge l’obiettivo di individuare
le variabili che hanno un impatto diretto sull’evoluzione e dimensione della
domanda e sul consumo dei clienti.
Per quanto riguarda i fattori demografici le imprese dovrebbero riuscire a
rispondere alle seguenti domande:
-Quali cambiamenti demografici influenzano le dimensioni della domanda del
business ?
-Quali trend demografici potrebbero avere un impatto sulla forza lavoro ?
-Questi cambiamenti sono opportunità o minacce per le imprese ?
Sono inclusi tutti i fenomeni che incidono sulla struttura e dinamica della
popolazione, in termini di classi d’età, sesso, reddito disponibile e gruppi etnici.
Variabili significative per l’ambiente demografico sono: il tasso di crescita della
popolazione, la sua composizione per età, il numero medio dei componenti per
famiglia, il tasso di natalità e mortalità ed il grado di urbanizzazione.
Con riferimento all’Italia, negli ultimi anni si sono manifestati una serie di trend
relativi alla progressiva riduzione del tasso di crescita della popolazione,
l’incremento del tasso di invecchiamento, la riduzione del numero medio dei
componenti per famiglia e la riduzione dei matrimoni.
Le tendenze indicate rappresentano una minaccia nella misura in cui determinano
una riduzione della domanda per alcune categorie di prodotto o servizio ed
un’opportunità legata alla possibilità di ampliare l’offerta dell’impresa verso nuovi
consumatori. L’invecchiamento della popolazione ha comportato un aumento della
domanda di prodotti e servizi dedicati agli anziani.
Nell’ambito del marketing questo trend ha spinto le imprese ad individuare nuovi
target di consumatori come gli “spending single” soggetti senza figli che lavorano e
con una capacità elevata di spesa e a tal proposito è stato coniato anche un termine
ad hoc di PANK (Professional Aunts No Kids).
Lo sviluppo dell’occupazione femminile e l’aumento della disponibilità di reddito ha
favorito un aumento della motorizzazione che ha facilitato gli spostamenti e ha
determinato un impatto evidente dei modelli di consumo. Allo stesso modo
l’aumento dei flussi migratori dal bacino Mediterraneo, dell’Est Europa asiatico e dal
Sud America ha determinato nuovi segmenti di consumo sul territorio italiano in
risposta ad esigenze multietniche.
Per quanto riguarda i fattori socio-culturali l’analisi del sotto-ambiente dovrebbe
essere orientata a rispondere a tali quesiti.
-Quali sono i trend attuali ed emergenti nella cultura e negli stili di vita dei
consumatori ?
-Perché si verificano ?
-Quali sono le loro implicazioni per la condotta attuale e futura dell’impresa ?
Consiste nell’analisi di fattori quali l’insieme dei valori, dei credi, tradizioni, linguaggi
e stili di vita delle culture. Gli stili di vita sono composti da fattori legati a valori,
atteggiamenti, interessi, opinioni e comportamenti.
Lo studio di questi fattori è importante per le imprese che operano per i B2C quindi
direttamente con i consumatori finali, dato che consente di addentrarsi nell’agire
umano rispetto ai fattori demografici. L’analisi dei trend socio-culturali implica per
l’impresa delle interviste dirette con i consumatori attraverso questionari e l’utilizzo
di analisi multivariate e quindi le imprese trovano un supporto nei centri di ricerca
specializzate nell’analisi dei socio trend. Negli anni recenti il concetto di stile di vita
perde la sua valenza perché il consumatore è definito come nomade, mutevole.
In Italia le tendenze socio-culturali sono riconducibili ad una maggiore attenzione
verso la tutela della natura e dell’ambiente (ecologismo, variabile ambientale come
vincolo per l’uso delle risorse e l’inquinamento e opportunità per lo sviluppo di
prodotti che tutelano l’ambiente) ad un interesse ai problemi nutrizionali
(salutismo, incremento della domanda di prodotti per il fitness, wellness e sport) e
verso la cura della persona (edonismo, incremento della domanda per i prodotti
della cura della persona).
Recentemente i consumatori hanno iniziato a chiedere prodotti sempre più
personalizzati che le imprese cercano di soddisfare tramite la mass customization.
Quindi, in sintesi, l’analisi socio-culturale dovrebbe consentire l’interpretazione dei
trend attuali ed emergenti negli stili di vita di ogni contesto-paese.
L’ambiente tecnologico
L’ambiente tecnologico è inteso come sottosistema costituito dalle tecnologie il cui
impatto si diffonde otre i confini aziendali e dei singoli ambienti competitivi. L’analisi
di tale ambiente dovrebbe rispondere ai quesiti:
-Quali nuove tecnologie tanno emergendo ?
-Quale sarà il loro impatto sulle tecnologie tradizionali ?
-In che fase del ciclo vitale si collocano le tecnologie dominanti il mercato ?
Dunque l’ambiente tecnologico viene analizzato per la sua potenziale incidenza sulle
fonti del vantaggio competitivo e sulle sue possibilità di sconvolgere le relazioni
concorrenziali tra imprese.
L’innovazione tecnologica può incidere su:
1. Barriere all’entrata
2. Livelli di efficienza delle produzioni
3. Scelte di outsourcing.
I fattori tecnologici vanno analizzati con riferimento alle tecnologie di base e quelle
applicative.
E’ da considerare, poi, l’impatto attuale e potenziale delle innovazioni connesse:
-alle biotecnologie impiegate nell’industria alimentare o per la produzione di
prodotti qualitativamente superiori
-ai nuovi materiali che comportano nuove opportunità per le imprese, ad esempio
materiali più leggeri per le imprese automobilistiche
-alle tecnologie dell’informazione e alle loro applicazioni (multimedialità e network).
E’ molto interessante, inoltre, analizzare le possibili opportunità e minacce che si
generano alla luce dall’Industry 4.0 definita anche Quarta Rivoluzione Industriale.
I maggiori cambiamenti riguardano:
1. L’automazione e lo sviluppo dell’ICT
2. Lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni
3. Il generale sistema industriale.
Le innovazioni tecnologiche richiedono un continuo monitoraggio in quanto possono
essere fonte di opportunità come di minacce di mercato che sono accentuate nel
caso in cui l’impresa opera nel settore high tech. Alcuni di questi settori sono l’e-
commerce, l’internet service provision, le software house e le elaborazioni dei dati.
In conclusione l’analisi dell’ambiente tecnologico dovrebbe aiutare le imprese a
valutare in quale fase del ciclo di vita si collocano le tecnologie tradizionali che
dominano il mercato, se stanno emergendo nuove tecnologie e che impatto avranno
sulle scelte strategiche dell’impresa.
L’ambiente naturale
L’analisi dell’ambiente naturale prevede una valutazione delle dotazioni naturali e
dei fattori country specific dell’area-paese in cui l’impresa si colloca.
I quesiti a cui dovrebbe rispondere sono:
-Quali sono le risorse necessarie per le attività dell’impresa che la natura offre ?
-Quale sarà l’impatto delle attività dell’impresa sull’ambiente ?
L’ambiente naturale è definito come “bacino di dotazioni materiali ed immateriali”
indispensabili all’attività dell’impresa.
La variabile geografica impatta sulle attività d’impresa, infatti, la specificità di alcuni
territori possono contribuire all’acquisizione di un vantaggio competitivo da parte
delle imprese che vi si radicano.
Un punto di partenza per lo studio della scelta localizzativa delle attività produttive è
la teoria di Weber secondo cui i costi di trasporto rappresentano il fattore
decisionale in grado di incidere sulla localizzazione delle imprese. La localizzazione
ottimale delle attività produttive è quella in grado di assicurare la minimizzazione
dei costi di produzione, un facile accesso al mercato finale e l’ampliamento della
quota di mercato aziendale.
Altri fattori sono connessi alla manodopera, ad esempio, se la produzione di un
bene è standardizzata, le scelte di localizzazione si possono dirigere verso paesi in
via di sviluppo dove è diffusa la manodopera a basso costo.
Emblematica, poi, appare in Italia l’esperienza maturata dalle imprese nell’ambito
delle agglomerazioni industriali (distretto: sistema produttivo caratterizzato da un
alto numero di imprese geograficamente concatenate e impiegate in diversi stadi
della produzione di un prodotto omogeneo).
Le economie di agglomerazione territoriale (Marshall) sono generate dalla
concentrazione di imprese in un’area geografica e si manifestano in un vantaggio
economico derivante dalla riduzione dei costi dei fattori produttivi e dall’aumento
delle opportunità di crescita e spiegano proprio i fenomeni dei distretti industriali.
Per lungo tempo le imprese sono state orientate ad uno sfruttamento indiscriminato
delle risorse presenti nell’ambiente naturale di riferimento per soddisfare una
numerosità elevata di bisogni, il problema dell’impatto ambientale era considerato,
dunque, un “male necessario”.
Solo di recente la presa di coscienza dell’importanza di azioni indirizzate alla
salvaguardia ambientale hanno portato alla nascita dello sviluppo sostenibile che
soddisfa i bisogni senza compromettere l’uso futuro delle risorse disponibili.
L’approccio della Triple Bottom Line prevede la completa integrazione delle tre
dimensioni della sostenibilità nelle attività aziendali (3P, Profit, People, Planet).
1. Sostenibilità economica intesa come capacità di generare reddito e occupazione
per sostenere la popolazione
2. Sostenibilità sociale intesa come capacità di assicurare sicurezza, istruzione e
salute a tutte le classi e generi
3. Sostenibilità ambientale intesa come la capacità di mantenere la qualità e
riproducibilità delle risorse naturali per garantirle alle generazioni future.
L’intensificarsi, poi, delle politiche mosse dagli stakeholder esterni all’impresa si è
tradotto a livello macro-economico nella predisposizione di incentivi (volti a
modificare le convenienze delle imprese per indurle ad attuare scelte strategiche
coerenti con la tutela ambientale) e vincoli (indirizzati a limitare le attività in grado
di produrre direttamente degli effetti negativi sull’ambiente) all’operato aziendale.
Un esempio di provvedimento vincolistico è rappresentato dai limiti imposti dal
protocollo di Kyoto.
L’ambiente legale-normativo
L’insieme delle regole attinenti al lavoro, all’ambiente, alla tutela del consumatore,
alla concorrenza, al governo societario sono la “concretizzazione” degli orientamenti
politici e dei condizionamenti esercitati dalla società civile. Queste regole possono
essere applicabili la livello nazionale, sovranazionale, locale o regionale.
Le regole, dunque, variano da paese a paese e a tal proposito occorre effettuare una
distinzione tra:
-Common law: i principi si rifanno alla fonte primaria che è la legge (codice civile)
-Civil law: tipicamente anglosassoni, secondo i quali la dottrina si basa su
orientamenti espressi da provvedimenti presi da giudici in sentenze precedenti, su
fattispecie analoghe o identiche a quella in esame.
Le economie sono distinguibili in:
1. Economie di mercato liberali in cui il sistema delle regole promuove la
concorrenza tra imprese (UK, USA, Irlanda)
2. Economie coordinate in cui i vincoli legali e normativi tendono a regolare
l’economia e a privilegiare la creazione di accordi tra gli stakeholder (Giappone,
Italia, Germania)
3. Economie di mercato in via di sviluppo in cui lo stato influenza profondamente
l’economia (Cina, India, Brasile).
-Il settore
Gli studi sul settore hanno la finalità di identificare un insieme omogeneo di imprese
al fine di studiarne i comportamenti competitivi e la capacità di soddisfazione della
domanda.
Il settore si configura come “luogo figurato” costituito dall’insieme di imprese con
caratteristiche omogenee che concorrono nello stesso mercato, per identificare il
settore dunque è possibile procedere tramite 2 criteri di omogeneità:
1. Settore merceologico\manifatturiero (omogeneità dei prodotti)
Focus sull’offerta. Identifica appartenenti al settore le imprese che producono lo
stesso prodotto e presentano un’omogeneità di natura merceologica, cioè si
avvalgono delle stesse tecniche di produzione e ricoprono gli stessi mercati
d’acquisto. Esse utilizzano anche gli stessi input produttivi. Al settore viene associato
un processo chiamato processo terminale settoriale che accomuna le imprese che
lo compongono e consente di estendere l’omogeneità proprio alle tecnologie
produttive e agli input. Nell’ambito dell’omogeneità manifatturiera, l’individuazione
di elementi di differenziazione è il punto di partenza per lo sviluppo di conoscenze e
competenze.
2. Settore economico (omogeneità dei bisogni):
Focus sulla domanda. Identifica appartenenti al settore le imprese che producono
prodotti sostitutivi in risposta al soddisfacimento di bisogni analoghi o assimilabili.
L’analisi della sostituibilità tra prodotti può essere effettuata attraverso la misura
dell’elasticità incrociata fra prodotti dell’impresa e quelli delle altre imprese.
La definizione dei confini settoriali può essere effettuata tramite integrazione della
prospettiva della domanda con quella dell’offerta, tale integrazione avviene
considerando l’intersezione di 4 insiemi di imprese omogenee rispetto a:
-tecnologie
-input
-bisogno soddisfatto
-scelte commerciali
-L’ASA
Identifica l’area strategica d’affari che identifica tramite il modello o diagramma
tridimensionale di Abell basato sulle seguenti dimensioni:
-i gruppi di clienti che rappresentano il chi viene servito dall’impresa e sono
identificati in base alle caratteristiche demografiche o agli stili di vita
-le funzioni svolte per i clienti, il come, che identificano le categorie di bisogni che
possono essere soddisfatti da un dato bene
-le tecnologie che esprimono il come, cioè le modalità per la soddisfazione di bisogni
per gruppi di clienti.
L’identificazione dell’ambito competitivo non necessariamente corrisponde ad un
business e nel caso di imprese multibusiness possono essere identificate più ASA e
più contesti competitivi.
2. La concorrenza verticale
Per lo svolgimento della propria attività le imprese devono approvvigionarsi degli
input di cui hanno bisogno e devono individuare un mercato per il proprio output.
Per ogni tipologia di scambio è possibile individuare uno specifico mercato
(approvvigionamento o sbocco) nel quale l’impresa si relaziona con due tipologie di
soggetti: clienti e fornitori.
I clienti ricercando migliori rapporti qualità\prezzo, intensificano la concorrenza tra
le imprese, mentre i fornitori influenzano il loro livello di costi. Esercitano una
pressione competitiva “verticale” sulle imprese, influenzandone le prospettive di
redditività di lungo periodo.
L’intensità della pressione competitiva dei clienti dipende dal potere economico
espresso dalle parti e dal livello della concorrenza orizzontale. Quanto più i clienti
detengono potere contrattuale nelle transazioni con l’impresa, tanto più
tenderanno a chiedere condizioni negoziali a loro favorevoli. Tali condizioni
tenderanno ad aumentare i costi delle imprese del settore.
Il potere contrattuale dei clienti dipende da due fattori critici:
1. la sensibilità al prezzo: risulta particolarmente elevata per i prodotti
standardizzati (più i prodotti\servizi sono standardizzati meno i clienti saranno
disposti a cambiare fornitore sulla base del prezzo). In relazioni B2B la sensibilità al
prezzo aumenta al crescere dell’impatto che il prezzo di un componente ha sul costo
di un prodotto\servizio, diminuisce al crescere della specificità del componente e
dell’importanza che esso ha per la qualità dell’output finale.
2. il potere contrattuale relativo: è determinato dalla capacità di un soggetto di
rifiutare la conclusione della transazione con l’altra parte, legata ai costi che le
diverse parti negoziali devono sostenere se la transazione non si effettua. Il livello di
tali costi dipende dall’importanza che ha la transazione per le parti.
Il potere contrattuale dipende da:
-struttura della domanda: il potere cresce all’aumentare delle dimensioni e
concentrazione dei clienti
-informazioni in possesso degli acquirenti: maggiore è il n. di info possedute dai
clienti, più facile sarà per loro effettuare un confronto tra i diversi fornitori
-la capacità di integrazione verticale dei clienti: se tali soggetti entrano nel business
dove operano i loro fornitori, aumenta il potere dei compratori
-l’entità dei costi di riconversione: costi elevati di riconversione mantengono stabili
le relazioni fornitore-acquirente
-la presenza di prodotti\servizi sostitutivi: in questo caso il potere aumenta in base
allo switch che i clienti possono effettuare da un prodotto\servizio all’altro.
In maniera speculare si può parlare del potere contrattuale dei fornitori (l’impresa in
questo caso è cliente). Il loro potere è maggiore quando il mercato della fornitura è
più concentrato di quello degli acquirenti imprese.
3. La concorrenza potenziale
Ci si riferisce alla minaccia dei nuovi competitor attratti da livelli di redditività
potenziale. Per aggirare tale rischio lo imprese devono innalzare le barriere
all’entrata che si traducono in un differenziale di costo che il nuovo entrante dovrà
sostenere per entrare in un determinato settore competitivo.
Le barriere hanno natura.
-istituzionale: norme e regole che limitano l’attività dei potenziali entranti (brevetti
e copyright)
-strategica: forme di ritorsione adottate dalle imprese nei confronti di nuovi entranti
(abbassamento dei prezzi, azioni legali)
-strutturale: azioni delle imprese per migliorare la propria posizione rispetto ai
competitor. Le principali barriere strutturali si ricollegano a tali fattori:
a) Il fabbisogno di capitale
Se l’entrata nel settore richiede investimenti di capitale elevato, l’entità del
fabbisogno finanziario può costituire un disincentivo all’ingresso.
b) Le economie di scala
Esse permettono alle imprese di raggiungere livelli più elevati di profittabilità e
offrono la possibilità di ridurre i prezzi di vendita senza incorrere in forti riduzioni dei
profitti finali. Costituiscono una barriera all’entrata perché i nuovi competitor sono
obbligati a produrre sulla stessa scala esponendosi ad un rischio di sottoutilizzazione
degli impianti.
c) La differenziazione del prodotto
Questa capacità delle imprese costringe i competitor ad effettuare ingenti
investimenti in pubblicità per affermare il proprio marchio.
d) Il difficile accesso ai canali di distribuzione
Scoraggia i distributori a trattare nuovi prodotti ed i nuovi entranti devono puntare
su prezzi più bassi o devono riconoscere margini più alti ai distributori.
e) Svantaggi di costo assoluti per le imprese che già operano nel settore
Possono derivare:
-dall’accesso privilegiato a MP scarse o ottenute a prezzi bassi rispetto a quelli
attuali
-da scelte di localizzazione favorevoli
-dall’aver sfruttato sovvenzioni pubbliche ora non più disponibili
-dall’effetto delle curve di esperienza ed apprendimento.
f) La diversificazione dell’offerta
Permette all’impresa di fidelizzare i clienti e ridurre gli spazi di manovra dei
potenziali entranti.
4. La concorrenza indiretta
Le imprese che producono beni o servizi sostitutivi costituiscono un’ulteriore forza
riconducibile a quella concorrenziale.
I prodotti e servizi sostitutivi rappresentano prodotti e servizi che, pur avendo
caratteristiche merceologiche diverse, assolvono alla stessa funzione d’uso di quelli
concorrenti nel settore.
I beni\servizi sono sostituibili se presentano un’elevata elasticità incrociata:
all’aumentare del prezzo di uno aumenta la domanda dell’altro.
La presenza di tale forza competitiva incide sulla redditività del business perché il
prezzo che i consumatori saranno disposti a pagare risulta influenzato dalla
possibilità di scegliere altri beni sostitutivi.
Più complessi sono i bisogni dei consumatori maggiori saranno le differenze nella
percezione delle prestazioni dei diversi prodotti e quindi minore la probabilità di
esistenza di prodotti sostitutivi.
Le imprese posso adottare alcune misure per limitare la pressione competitiva di
tale fora concorrenziale:
-differenziazione del prodotto per ridurre la sostituibilità della domanda
-rafforzare i legami con i clienti con la comunicazione
-migliorare il sistema distributivo ed il rapporto Q\P.
I raggruppamenti strategici
Le cinque forze concorrenziali colgono solo in parte e in maniera generale le
condizioni dell’ambiente competitivo e non sono efficaci per rappresentare il campo
dei reali concorrenti di un’impresa e le strategie competitive che essi perseguono. In
questo caso risulta efficace fare riferimento ad un livello più disaggregato: il
raggruppamento strategico che costituisce un insieme di imprese concorrenti che
seguono strategie comuni o simili, riconducibili alle stesse dimensioni strategiche
(variabili su cui si basa il vantaggio competitivo). Tali imprese tendono ad avere
caratteristiche analoghe anche in termini di struttura organizzativa, produttiva e
assetto societario (simili risorse e competenze).
L’adozione nel tempo di comportamenti strategici simili comporta la
sedimentazione di caratteristiche strutturali comuni legate allo sviluppo di uno
stesso patrimonio di risorse e competenze.
I raggruppamenti strategici possono essere “mappati” attraverso l’utilizzo delle
dimensioni strategiche chiave su cui si basa il vantaggio competitivo, ad esempio:
• Ampiezza della gamma prod/serv
• Estensione geografica dell’offerta
• Tipologia di canale distributivo
• Livello di servizio offerto
• Livello di qualità di prodotti o servizi
• Politica di prezzo
• Grado di integrazione verticale
• Tipologia di cliente servito
• Livello di diffusione e identificazione della marca
• Livello di innovazione tecnologica e tipo di tecnologia usata.
Tali mappe vengono solitamente costruite in uno spazio cartesiano a due dimensioni
scegliendo le due variabili che più incidono sulla formazione del vantaggio
competitivo.
Nello spazio cartesiano i raggruppamenti strategici vengono rappresentati con figure
geometriche di dimensioni proporzionali alla quota di mercato cumulata di tutte le
imprese che appartengono allo stesso raggruppamento.
L’analisi dei raggruppamenti strategici presenti all’interno di uno stesso business
risulta preziosa al fine di individuare i concorrenti diretti con cui l’impresa si
confronta.
Le risorse di cui l’impresa dispone sono gli assets specifici dell’impresa, composti di
qualsiasi cosa un’impresa utilizzi al fine di creare, produrre e offrire i suoi prodotti
sul mercato.
Si differenziano dai fattori produttivi che invece sono gli input disponibili in forma
disaggregata come fattori di mercato.
La caratteristica fondamentale delle risorse è la loro capacità di autoalimentazione
e dal processo di continua rigenerazione (dal latino resurgere).
Hofer e Shendler ne identificano 5 tipi.
-finanziarie
-fisiche
-umane
-organizzative
-tecnologiche.
In base alla tangibilità si individuano due macro-categorie cui vengono affiancate le
risorse umane: risorse tangibili (fisiche e finanziarie) caratterizzate dal fatto di
essere supportate da un elemento fisico ed avere un corrispettivo quantitativo nel
patrimonio dell’impresa e risorse intangibili (tecnologiche, conoscitive e di
reputazione) il cui valore dipende da effetti di complementarietà con altri elementi
del sistema aziendale.
La valenza di alcune risorse intangibili può essere tradotta solo in parte in termini
patrimoniali in alcuni asset d’impresa, altre non trovano una precisa collocazione
negli asset del patrimonio dell’impresa e questo è il motivo che ha spinto alcuni
autori ad evidenziare il valore degli asset immateriali aziendali.
La distinzione delle risorse umane sia da quelle materiali che immateriali risulta
giustificata per la loro natura di essere tangibili (fisicità) ed intangibili (portatrici di
competenze e capacità).
Il valore delle risorse non è determinato dalla risorsa in sé bensì dai servizi che esse
possono fornire i quali sono una funzione del modo in cui esse sono utilizzate. La
stessa risorsa se utilizzata a scopi diversi fornisce un diverso servizio. Dunque le
risorse sono un insieme di servizi potenziali e possono essere definite
indipendentemente dal loro uso, mentre i servizi costituiscono una funzione o
un’attività.
Le risorse immateriali
Sono dotate di elevata specificità in quanto derivano dalla storia di ciascuna
impresa e difficilmente possono essere imitate, esse costituiscono anche una
barriera all’entrata. Le risorse immateriali sono:
-accumulabili nell’impresa perché tendono a sedimentarsi con il tempo
-si sviluppano grazie al loro utilizzo ad esempio sottoforma di relazioni tra i clienti e
fornitori o l’efficacia segnaletica del marchio
-tendono a deperire se non vengono gestite dall’impresa a sufficienza ad esempio le
risorse tecnologiche possono essere superate da innovazioni di altre imprese, se non
monitorate continuamente e rinnovate.
Le risorse immateriali sono difficilmente trasferibili da un’impresa ad un’altra e sono
imperfettamente mobili. La caratteristica dell’accumulabilità e della imperfetta
trasferibilità delle risorse intangibili rendono difficile la loro riproduzione per
imitazione da terzi, quindi, il patrimonio di risorse dell’impresa può essere
alimentato grazie a processi di autopoiesi (autocreazione), ma difficilmente
sviluppato per acquisizione.
Esse vengono definite facendo riferimento al concetto di capitale intellettuale che è
costituito dal sapere, dalle informazioni, dall’esperienza e dagli oggetti della
proprietà intellettuale dell’impresa.
Esso può essere distinto in:
-capitale umano: costituito dalle conoscenze possedute dalle persone operanti
nell’impresa, ma non è di proprietà dell’impresa bensì delle persone e spesso è
tacito ed inconsapevole, può essere diffuso grazie alla collaborazione tra i
dipendenti (si vede la valenza fisica e immateriale delle risorse e dell’umane)
-capitale dell’organizzazione: attività e procedure che permettono un
funzionamento ottimale dell’impresa attraverso la comunicazione della conoscenza
e sono in grado di favorire la diffusione del sapere (database e software così come
brevetti e diritti d’autore)
-capitale relazionale: costituito da rapporti attivati dall’impresa con il conteso
esterno, come personale, fornitori e clienti. Alla base delle relazioni dell’impresa con
altri soggetti sta essenzialmente la fiducia che è una risorsa immateriale
dell’impresa.
Modello SWOT
Nella sintesi dell’analisi dei diversi ambienti (macro/micro/interno) per formulare
strategie, la più utilizzata è quella del modello SWOT per valutare punti di forza
(Strenghts) debolezze (Weaknesses) dell’impresa, le opportunità (Opportunities) e
minacce (Treats) dell’ambiente esterno.
Si tratta di individuare elementi interni ed esterni che possano influenzare lo
sviluppo del percorso strategico aziendale.
La matrice raccoglie i fattori dell’ambiente esterno e la forza e debolezza
dell’interno emerse durante l’applicazione dei modelli di analisi.
Sulla base dei risultati dell’analisi dell’ambiente interno ed esterno, l’impresa può
formulare strategie che facciano leva sulle forze e pongano rimedio alle debolezze
per sfruttare opportunità e ridurre minacce dall’esterno.
CAP 14
Le strategie per il vantaggio competitivo
Secondo queste logiche, un’impresa potrebbe sviluppare un prodotto ad un prezzo
più contenuto (leadership di costo) o con superiori caratteristiche qualitative
(differenziazione).
La ricerca di un vantaggio competitivo di costo o differenziazione concentrata su una
porzione di mercato limitata dà luogo alla focalizzazione che descrive un’area di
azione circoscritta dell’impresa che si isola.
-La Business Strategy ipotizza che la redditività di un’impresa dipenda
dall’attrattività del settore e dalla posizione dell’azienda nell’ambito competitivo ed
ipotizza che le scelte strategiche della stessa dipendano da fattori esterni, dove le
caratteristiche del mercato restano stabili.
La concorrenza dell’ambiente esterno sconfessa tale ipotesi, di qui la necessità di
comprendere gli elementi che garantiscano un vantaggio duraturo nel tempo e
questi sono risorse e competenze che conferiscono all’impresa una posizione unica.
-In ottica Rsource-based il conseguimento del vantaggio dipende “da ciò che
l’impresa è in grado di fare” cioè formulazione di una strategia che ne riconosca e
sviluppi le caratteristiche distintive.
Dalle risorse e competenze discendono anche il posizionamento e all’ampiezza del
mercato.
-Secondo un’impostazione tradizionale il successo di una strategia dipende dalla
coerenza tra obiettivi strategici prefissati dall’impresa e dalle sue risorse e
competenze. Dunque l’incoerenza tra risorse e obiettivi si concretizza nel fallimento
delle iniziative intraprese.
-In ottica statica o porteriana il principio di coerenza valuta la conformità tra
obiettivi e stock di risorse e competenze possedute dall’impresa in un dato
momento.
-In ottica dinamica le competenze distintive possono evolvere in linea con gli
obiettivi prefissati o allontanarsi per la pressione delle forze del micro e macro
ambiente. I problemi in questo caso sorgono quando l’impresa non riesce a
sviluppare le risorse necessarie per il raggiungimento del vantaggio per tali motivi:
1. L’impresa non è in grado di acquisire dall’ambiente circostante le risorse
necessarie per lo sviluppo di competenze distintive coerenti con obiettivi di costo o
differenziazione (situazione tipica di aree depresse)
2. L’impresa, pur acquisendo nuove risorse, non è in grado di trasformarle da
generiche a specifiche, cioè manca di capacità organizzativa per trasformare le
risorse in competenze (situazione tipica dei consorzi fallimentari)
3. L’impresa, pur sviluppando le competenze, no è in grado di finalizzarle verso un
obiettivo strategico (situazione tipica delle PMI).
La leadership di costo
(ESEMPIO: Ryanair è il vettore irlandese leader nel mercato europeo delle
compagnie aeree low-cost, la cui mission è data da tariffe basse e puntualità nei voli.
Offre voli no-frills cioè a basso costo senza componenti accessorie del servizio non
legate strettamente all’erogazione del trasporto come i pasti a bordo).
La strategia competitiva di leadership di costo si ottiene quando lo sviluppo delle
competenze di un’impresa è in linea con obiettivi di minimizzazione dei costi.
Dunque l’obiettivo è quello di diventare il produttore di beni e servizi a più basso
costo.
Disponendo di un vantaggio competitivo in termini di costo, l’impresa riesce ad
operare in condizioni di costo tali da:
-applicare prezzi in linea con quelli della concorrenza, ottenendo una redditività
superiore alla media dell’ASA
-applicare prezzi inferiori a quelli della concorrenza, ampliando la propria quota di
mercato.
Dunque il prezzo è la principale leva competitiva.
Le fonti del vantaggio di costo sono:
1. Dimensione dell’impresa, si fa riferimento allo sfruttamento di economie di scala
(DOM), di scopo (estensione delle attività dell’impresa) ed economie di
apprendimento (curva dell’esperienza)
2. Le caratteristiche della tecnologia produttiva e della modalità di progettazione
del prodotto
3. Decisioni inerenti la localizzazione produttiva (abbandono dei paesi d’origine
verso zone dove il fattore lavoro è più conveniente) quindi per costi del lavoro, di
approvvigionamento o vicinanza ai mercati di sbocco
4. Potere contrattuale che l’impresa esercita a monte vs fornitori e a valle vs
distributori (minimizzazione costi per acquisto fattori produttivi e costi per uso
canale distributivo).
A parità di valore offerto le imprese in grado di proporre prezzi inferiori, sfruttano
l’elasticità della domanda e si pongono nella condizione di sottrarre quote di
mercato ai competitor.
Meccanismi di difesa
-Con riferimento ai concorrenti diretti l’impresa che adotta una strategia di costo
riesce a tutelarsi da eventuali “guerre di prezzo” realizzando un profitto ad un livello
di prezzo che per i concorrenti è il minimo praticabile
-Essendo il produttore a più basso costo l’impresa si difende dagli aumenti nei costi
di approvvigionamento imposti dai fornitori con elevato potere contrattuale,
usufruendo di un “cuscinetto contro gli aumenti”
-Con riguardo ai clienti riesce a difendersi da loro potere contrattuale che non
riescono ad ottenere un ribasso del prezzo al di sotto di quello praticato dal leader
di costo
-I bassi costi rappresentano, poi, una barriera all’entrata contro l’ingresso di
potenziali entranti ed una buona protezione nei confronti delle imprese che
producono prodotti sostitutivi, eliminando tale minaccia offrendo una convenienza
dei prodotti e servizi.
In un ottica di Resource Based la realizzazione del vantaggio può dipendere da un
miglior utilizzo dell’impresa di risorse e competenze generatrici di valore. In
quest’ottica l’ottenimento del vantaggio dipende dallo sviluppo di competenze
(logistiche, produttive e commerciali) e competenze distintive (general
management, gestione delle ru, sviluppo tecnologia e approvvigionamento)
mediante le quali individuare occasioni di riduzione dei costi.
Ma il fatto che l’impresa abbia competenze produttive per la realizzazione di
economie di scala, non implica che sia il produttore a più basso costo nel mercato, è
necessario che sviluppi competenze trasversali per ottimizzare le differenti
competenze di base.
Effettuare una leadership di costo, non significa abbandonare elementi di
differenziazione, perché se il prodotto offerto non venisse ritenuto paragonabile o
equivalente a quello dei concorrenti, l’impresa sarebbe costretta ad abbassare i
costi fino all’annullamento del vantaggio di costo.
La leadership di costo è un’alternativa strategica per i contesti competitivi con basso
livello di differenziazione (beni commodity, poco differenziabili e standardizzati).
La differenziazione
(ESEMPIO: L’Oreal che comprende marchi come Maybelline, Garnier, Vichy, Ralph
Lauen. La strategia è l’innovazione del prodotto proponendo un’offerta complessa
nella cosmesi, offrendo soluzioni simili a livello di brand. In Italia ci sono 4 ASA:
Customer Retailing, Professional, Luxury e Active Cosmetics e ciascuna ASA
caratterizzata da una serie di brand che assecondano esigenze di mercato definibili
in funzione:
-della tipologia di cliente da servire
-del canale distributivo da utilizzare).
La strategia di differenziazione, in ottica Competence Based, si concretizza quando
nell’impresa vi è uno sviluppo delle competenze distintive in linea con l’obiettivo di
differenziazione.
Tramite tale strategia l’impresa offre ai clienti un prodotto con una o più
caratteristiche di esclusività, che nella percezione del cliente risultano in grado di
soddisfare un determinato bisogno meglio di qualsiasi altro prodotto offerto dalla
concorrenza.
Tali attributi tangibili ed intangibili fanno sì che lo stesso sia disposto a pagare anche
un prezzo più elevato, premium price, pur di ottenere il prodotto.
Esiste dunque un divario tra il valore reale, misurato dagli effetti del prodotto sulle
attività dell’acquirente ed il valore percepito dallo stesso.
La differenziazione conduce a risultati superiori se il vantaggio di prezzo acquisito
dall’impresa supera i costi addizionali che essa ha sostenuto per realizzare un
prodotto “unico”. Questo dipende dall’efficacia dei segnali di valore come la
notorietà dell’impresa o la marca, cui è legata la reputazione dell’impresa, perché ad
esempio soddisfa alcuni bisogni “sociali” legati all’appartenenza ad un gruppo.
Le tipologie di differenziazione, dunque, sono:
-differenze materiali, prestazioni oggettive misurabili
-differenze immateriali, reputazione ed immagine.
La proposta differenziale dell’impresa deve basarsi su elementi distintivi dalla
concorrenza per l’esclusività competitiva e la mission è di far percepire la propria
offerta come unica. Tale obiettivo è possibile solo se gli elementi distintivi fanno
accrescere il valore del prodotto per l’utilizzatore.
La valutazione differenziale di valore deve essere:
1. Conoscenza approfondita delle proprie competenze.
2. L’impresa deve definire politiche di comunicazione commerciale (marca) per
evidenziare il plus di valore della propria offerta. Il valore esclusivo presuppone un
costo più alto per garantire una redditività dell’area di business superiore a quella
dei competitor. Il livello del prezzo deve superare l’incremento del costo
collegabile alla differenziazione.
3. Di qui la necessità dell’impresa di modellare la propria struttura dei costi
(oculata), minimizzando quelli delle attività non rilevanti. Il costo della
differenziazione dipende da specifici vettori di costo, il valore dipende dal giudizio
circa le capacità del prodotto di soddisfare un’esigenza.
L’opportunità di differenziare si basa sullo sfruttamento dell’elasticità della
domanda, perché difficilmente ve ne è una omogenea. I gruppi di acquirenti aventi
le stesse preferenze sono i “segmenti di mercato” che sono possibili da individuare
del settore di ogni ASA.
4. Condotta nella prospettiva soggettiva dell’acquirente, bisogna conoscerne bisogni
e preferenze. Capacità dell’azienda di aggiungere quel plus di valore al pacchetto di
benefici (bandle of benefits) proposto agli acquirenti. Oggi si sta assistendo alla
dematerializzazione della domanda perché vengono aggiunti servizi intangibili al
core benefit rappresentato dal prodotto, mentre nel settore dei servizi la tendenza è
opposta, in quanto si cerca di materializzare l’offerta (si associano prodotti a servizi
e servizi a prodotti). Dunque ogni azione di differenziazione deve essere legata ad un
accurato processo di analisi del mercato, in assenza di tale condotta si incappa nella
marketing myopia.
Meccanismi di difesa
-Rispetto ai concorrenti diretti, la differenziazione riduce la sostituibilità del
prodotto, accresce la fedeltà del cliente, diminuisce la sensibilità al prezzo
-Grazie proprio alla fidelizzazione dei clienti, è più difficile l’ingresso dei nuovi
concorrenti “barriera fedeltà”
-il margine più elevato accresce la capacità dell’impresa di assorbire gli aumenti
imposti da eventuali fornitori dotati di potere contrattuale
-la fedeltà della clientela e le caratteristiche distintive di prodotto sono una difesa
anche dai prodotti sostitutivi.
Le formulazioni ibride
(ESEMPIO: IKEA servizio differenziato a costi sostenuti)
Se l’impresa sviluppa competenze distintive in linea con obiettivi i costo e
differenziazione può configurarsi una strategia ibrida.
Ma l’impostazione porteriana non ammette il successo di tali strategie, infatti
secondo Porter un’impresa che attui tutte le strategie di base senza riuscire a
realizzarne una è “bloccata a metà del guado” cioè non possiede alcun vantaggio
competitivo bensì si troverà svantaggiata rispetto alla concorrenza.
La possibilità che le imprese ottengano simultaneamente vantaggi di costo e
differenziazione può verificarsi solo se:
-anche la concorrenza è bloccata a metà del guado (nessuno dei concorrenti
dell’impresa è abbastanza forte da obbligare l’azienda a scegliere uno tra gli obiettivi
di costo e differenziazione)
-i costi sono condizionati da dalla quota di mercato (se un’organizzazione economica
si assicura una quota di mercato, può avvantaggiarsi delle riduzioni di costo ad essa
connesse, investendo i differenziali in altre attività)
-l’impresa introduce un’innovazione tecnologica (vantaggi di costo e differenziazione
dipendono dalla capacità dell’impresa di porsi come unica detentrice
dell’innovazione).
In contrapposizione, negli anni ’90, Grant ha osservato come la conciliazione tra
bassi costi e differenzazione sia stata una strategia dominante quegli anni,
caratterizzati dalla complessità dell’ambiente e l’introduzione di nuove tecnologie
Leadership di costo e differenziazione non sono una dicotomia, ma devono
coesistere.
Dunque le imprese devono essere in grado di creare valore per il cliente finale
attraverso la differenziazione di prodotti e servizi offerti, mantenendo bassi i costi di
produzione (differenziazione implica costi superiori per il plus, ma deve controllare
costi relativi alla consegna del valore al mercato e la leadership, pur ricercando
standardizzazione, deve essere compatibile con differenziazione dell’offerta).