Sei sulla pagina 1di 40

lOMoARcPSD|2605986

KNOWLEDGE MANAGEMENT (PROF. PANICCIA)

1° Capitolo: Conoscenza e impresa: prospettive di analisi, concetti di


base e processi

La conoscenza aziendale è la determinante principale della differenza tra imprese dello stesso
settore.
Nel Consiglio Europeo del 2000 a Lisbona l’obiettivo che i Paesi si erano posto era che l’Europa
diventasse entro il 2010 <<l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del
mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di
lavoro ed una maggiore coesione sociale>>. Obiettivo non raggiunto in molte economie europee.
Nel Consiglio ci si era raccomandato con forza l’investimento nel capitale umano, fondamentale
per lo sviluppo economico.
La grande sfida che si impone di raccogliere alle imprese è saper integrare nel sistema le
dimensioni soggettiva ed oggettiva della conoscenza. Occorre conciliare le esigenze umane con
quelle tecniche in funzione di una buona strategia di adattamento che rapporti l’impresa
all’ambiente.
Nei sistemi d’impresa esistono più forme di conoscenza, in alcuni casi discordanti tra loro ed in altri
complementari. Le imprese infatti autogenerano e/o acquisiscono sul mercato diverse risorse e
competenze, le quali rappresentano la conoscenza che le imprese curano e rigenerano per
migliorare il proprio “saper essere”, cioè la propria capacità di competere in un ambiente
competitivo.
Resource Based View of the Firm (RBV): si afferma negli anni ’80, vede l’impresa come uno
stock di risorse firm specific accumulate nel tempo da presidiare, ovvero difendere dalla possibile
imitazione di altre imprese. Se tali risorse, autogenerate e/o acquisite dall’esterno, sono
sapientemente combinate e protette, diventano fonte di differenziazione e di vantaggio competitivo
per l’impresa. Quindi secondo tale prospettiva ciò che determina il vantaggio competitivo e la sua
durata nel tempo è il contenuto specifico delle risorse accumulate nell’impresa, che riguarda: a)
l’eterogeneità delle risorse, cioè la loro specifica utilità, il loro specifico contributo rispetto agli
obiettivi strategici dell’impresa in questione; b) le modalità d’uso delle risorse, il che implica
capacità. Nelle imprese esistono
differenziare risorse di conoscenza (risorse e competenze aziendali, ossia conoscenza), correlate a
persone, strutture e processi dell’organizzazione. Non tutte incorporano lo stesso contenuto e
livello di conoscenza, e sono distinguibili in:
1) Risorse intese come tradizionali input del processo di trasformazione: MP, semilavorati,
impianti, attrezzature, personale e altri immobilizzi (in generale: terra, capitale, lavoro)
2) Risorse costituite da pura conoscenza: brevetti, informazioni, procedure organizzative, know-
how finanziario o tecnologico, software e altre produzioni dell’intelligenza umana e artificiale
3) Risorse costituite da immagine, marca, reputazione aziendale o di prodotto: fattori che
esprimono una specificazione della conoscenza nel mondo della distribuzione, del mktg, della
comunicazione

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

Le risorse 2) e 3) corrispondono alle competenze, le quali sono risorse con un livello di conoscenza
superiore rispetto a quello dei fattori produttivi 1). Incorporandosi in quest’ultimi, ne elevano le
prestazioni e il valore d’uso; possono anche entrare in un prodotto o in un processo produttivo o in
una fase di trasformazione degli input, elevandone le potenzialità d’uso del processo ed il valore di
scambio del prodotto.
Pregio RBV: aver posto l’accento sulla relazione risorse-modalità di trattamento delle stesse. Oltre
al contenuto specifico delle risorse, contano le capacità di metterle in sinergia (capacità
organizzative e gestionali): capacità che sono manifestazione del “saper fare”, “saper decidere” e
“saper progettare” dei manager dell’impresa. Una volta attivate, queste capacità possono
trasformarsi in competenze aziendali fonte di vantaggio competitivo.
Difetto RBV: questa prospettiva si occupa solo del patrimonio di risorse d’impresa (conoscenza
accumulata), tralasciando l’analisi dei processi che ne favoriscono la formazione e lo sviluppo.
Quindi si ha una visione statica della conoscenza aziendale.

Negli ultimi anni ci si è concentrati su dove e come le risorse di conoscenza si formano e


alimentano. Da un lato si pensa che la relazione impresa-ambiente sia la variabile critica della
dinamica di risorse e competenze, dall’altro c’è chi pensa che le risorse umane e i processi interni
all’impresa (attivati dalle interazioni interpersonali, tra persone, ed interfunzionali, tra persone e
processi) siano gli elementi critici per lo sviluppo delle risorse di conoscenza (prospettiva
dell’apprendimento). Queste 2 prospettive s’intrecciano nell’evoluzione della dottrina sul
Knowledge Management (KM). Sappiamo che in ogni impresa vi sono persone, strutture e processi
(composti in subsistemi, es. uffici, reparti, progetti), in cui al loro interno si accumulano conoscenze
(es. impianti industriali, computer, sapere umano), ed inoltre dalle interazioni interpersonali ed
interfunzionali hanno luogo processi generatori di conoscenza. Quindi ovunque in impresa vi sono
conoscenze, che se ben integrate a livello intra-sistemico e intersistemico, diventano competenze
aziendali utili per competere sui mercati.
In un mondo sempre più complesso e caratterizzato dal boom digitale e globale, è importante
rinnovare le proprie core competences, ossia le risorse di conoscenza fondamentali per competere
in ambienti turbolenti (es. capacità di sviluppare sinergie integrando più risorse, o capacità di
interpretare i contesti in evoluzione usando l’informatica/telematica e preservandone i vantaggi per
l’impresa), ed è altrettanto fondamentale rispondere rapidamente ai cambiamenti ambientali
affinando continuamente le risorse di conoscenza chiave su cui fondare la competitività d’impresa
(capacità dinamiche), sia attraverso la loro integrazione, sia attivando processi di apprendimento
generatori di nuove conoscenze in grado di migliorare costantemente il “saper essere” sistema e la
qualità della manovra strategica.
Dall’esigenza di questo continuo affinamento e rinnovamento di risorse e competenze per
mantenere la competitività nel tempo, emerge la prospettiva Knowledge Based of the Firm

Knowledge Based of the Firm: l’impresa è vista come un insieme di risorse di conoscenza in
continuo cambiamento, e l’apprendimento inter e intra organizzativo è condizione necessaria per lo
sviluppo di nuove competenze collettive ed aziendali. Importanti sono sia la conoscenza
organizzativa sia l’apprendimento, il quale favorisce lo sviluppo dei processi. L’idea è quella di far
leva sulla conoscenza, esperienza e capacità relazionale degli individui, al fine di creare una
learning organization (Senge), cioè un’impresa che cambia per migliorare la sua performance
attraverso processi di apprendimento collettivo, di condivisione delle conoscenze tra tutti i membri

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

dell’organizzazione. Da qui anche l’idea di impresa knowledge creating (Nonaka) che oltre ad
apprendere, crea nuove conoscenze utili per sostenere i propri processi di innovazione in contesti
competitivi turbolenti. Il Knowledge Management nasce per la necessità di continua integrazione
nelle imprese, fondamentale per creare nuove conoscenze (exploration) e valorizzare quelle
accumulate e consolidate (exploitation).

Dalle teorie analizzate e dal relativo pluralismo di visioni, emergono diverse impostazioni:
- Soggettivistica: mette in evidenza l’individuo con le sue personali caratteristiche: schemi mentali,
valori, sentimenti, motivazioni, interessi. Sono essi (singolarmente o in gruppo) che con le loro
dinamiche cognitive generano od ostacolano l’apprendimento organizzativo. L’attenzione è posta
sulla dimensione soggettiva del sapere d’impresa, chiamata conoscenza tacita (es. creatività,
predisposizione al cambiamento, capacità organizzativa e relazionale, capacità di progettazione e di
azione)
- Deterministica: privilegia l’analisi degli aspetti formali dell’organizzazione, quindi la struttura
con i propri vincoli (regole, ruoli, procedure e tecnologie) ed il sistema con i propri obiettivi di
adattamento all’ambiente, influenzano le dinamiche cognitive delle persone, favorendo (o
ostacolando) l’apprendimento organizzativo. L’attenzione è posta sulla dimensione oggettiva del
sapere d’impresa, chiamata conoscenza esplicita o codificata, che esalta il ruolo delle routine (es.
regole, procedure di lavoro, marchio aziendale, brevetti, prodotti, ICT)
- Evolutiva: considera congiuntamente le due prospettive, quindi persone e strutture, per spiegare
le dinamiche cognitive dell’impresa (apprendimento come bilanciamento tra exploring ed
exploiting (creazione di nuova conoscenza e valorizzazione della conoscenza esistente): dà il giusto
risalto sia alle valenze di natura personale (formali ed informali) sia alle valenze di natura
contestuale interne ed esterne all’impresa. Permette di spiegare le dinamiche cognitive
considerando quindi congiuntamente la rilevanza dei processi interni all’impresa e l’influenza
dell’ambiente esterno con cui l’impresa stessa è in costante dialettica. L’attenzione è posta
contemporaneamente sulla dimensione soggettiva e oggettiva del sapere di impresa.

Conoscenza organizzativa sapere d’impresa finalizzato al conseguimento di un risultato


economico positivo per l’impresa e per i suoi stakeholder. Questo sapere trova la sua massima
espressione nel sapere imprenditoriale, cioè di chi governa l’impresa. La trasformazione di risorse
di conoscenza in sapere d’impresa, cioè in senso, in valore economico, richiede decisioni di
governance integrate nel piano strategico dell’impresa. I processi di creazione e valorizzazione del
sapere d’impresa, su cui si concentra il KM, vedono concorrere in maniera dialettica la forza
dell’impresa e la forza dell’ambiente: l’impresa con le sue routine tende all’autonomia, l’ambiente
con la sua forza selettiva tende al cambiamento. Le imprese si evolvono combinando stabilità e
mutamento, che significano sopravvivenza e sviluppo.
Nell’approccio integrato e dinamico di KM, sia la traiettoria di exploration sia la traiettoria di
exploitation implicano decisioni di governance integrate nel piano strategico d’impresa. Condizione
per perseguire tali traiettorie, oltre che il bilanciamento delle stesse, è il continuo bilanciamento tra
aspetti soggettivi ed aspetti deterministici che caratterizzano i sistemi d’impresa e la loro dinamica
evolutiva, sempre dando un occhio di riguardo all’ambiente.
Torniamo alla conoscenza organizzativa. Non esiste un significato assoluto di conoscenza
organizzativa, valido per tutte le imprese, e non si presta ad una interpretazione univoca per tutti gli
individui. Ognuno di essi infatti, sulla base delle proprie caratteristiche cognitive e del proprio
vissuto, “marca” con la propria unicità intellettuale i dati del reale producendo informazioni che si

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

traducono in una conoscenza unica, distintiva. Rispetto alla medesima informazione ogni individuo
si comporta in maniera diversa, nel senso che usa quella informazione producendo una conoscenza
unica e legata alla propria personalità, ai propri valori, alle proprie credenze, e quindi diversa da
quella prodotta da altri individui. Tale conoscenza si genera se si riesce a dare un significato ai dati
del mondo reale condiviso dai membri dell’organizzazione, e ciò è ottenibile sviluppando un
linguaggio comune e delle routine. Una delle definizioni di conoscenza organizzativa è proprio
ricavata dal confronto tra i termini dati, informazioni e conoscenza. Il dato è un simbolo (numero,
lettera, fatto, immagine) privo di significato e simbolo di un fatto oggettivo relativo di un evento
(es. entità della quota di mercato del concorrente leader di un’impresa); il dato si trasforma in
informazione, cioè si dà un significato, un valore, al simbolo, elaborandolo, comprendendone la
rilevanza rispetto ai fini dell’impresa (es. rispetto ad un programmato aumento della quota di
mercato dell’impresa), integrandolo in un determinato contesto di riferimento (es. una funzione
aziendale o un progetto) e organizzandolo in relazione con gli altri dati; la conoscenza è il risultato
dell’apprendimento, cioè del processo di elaborazione cognitiva dell’informazione in funzione delle
credenze, dell’impegno, della dedizione, dell’intenzionalità del soggetto (imprese o singoli
individui). La conoscenza si distingue dall’azione poiché essa è sempre orientata all’azione, ovvero
alla realizzazione di una determinata attività o pratica, ed è legata al contesto in cui si sviluppa. Ha
natura dinamica perché viene sempre rigenerata ed ampliata al fine di mantenere il suo valore, ed è
reticolare poiché discende da una pluralità di relazioni tra soggetti con esperienze passate e presenti.
Polanyi disse per primo che la conoscenza comprende al suo interno 2 dimensioni, quella tacita e
quella esplicita. Quella esplicita è quella che può essere espressa mediante un linguaggio formale e
l’uso di parole e numeri, quindi è trasmissibile attraverso manuali, procedure, norme, codici, etc e
rappresenta la conoscenza tecnica (sapere specialistico, “saper cosa”), che consente al soggetto
l’attivazione del patrimonio di risorse a sua disposizione per l’azione; quella tacita è quella parte di
conoscenza personale, difficilmente codificabile e trasferibile se non attraverso dimostrazione
pratica, poiché è radicata nell’azione del soggetto, e si identifica con il “saper fare” (conoscenza che
si esprime nell’azione, nel fare la cosa giusta in una determinata situazione) e il “saper
essere” (varietà di atteggiamenti/comportamenti assumibili dal soggetto e capacità di impostare i
problemi). Conoscenza tacita e conoscenza esplicita sono interdipendenti, si rinforzano
reciprocamente e costituiscono le capacità e le competenze del soggetto. La tacita crea il terreno per
lo sviluppo e l’interpretazione della esplicita. La cultura è invece l’insieme degli assunti
fondamentali che connotano l’esistenza del soggetto, dotandolo di identità e capacità distintive, e
deriva da processi di apprendimento e disapprendimento e dalle interazioni sociali nel tempo.
La conoscenza organizzativa va distinta da quella personale, considerato che la prima si genera
dando significato ai dati del mondo reale condiviso dai membri dell’organizzazione, sviluppando un
linguaggio comune, facendo in modo da poter trasferire le conoscenze tra gli individui e facendo sì
che vengano memorizzate all’interno di regole organizzative (routine avvengono attraverso
meccanismi di selezione e perfezionamento di procedure consolidate e sono risposte meccaniche a
problemi di gestione operativa e strategica; sono frutto sia di conoscenze esplicite che di
conoscenze tacite). L’osmosi tra conoscenze esplicite e tacite è variabile all’interno di una
organizzazione. Tutte le organizzazioni comunque, per poter funzionare, necessitano di una
piattaforma di conoscenze condivisa, composta da informazioni sulla realtà, strutture e pratiche
formali ed informali, cioè competenze e mappe cognitive (quest’ultime per quanto utili nel rendere
intelligibile la complessità, possono costituire un vincolo al rinnovamento di competenze e
prestazioni organizzative, a fronte di nuovi cambiamenti).
Apprendimento è il processo che conduce il sapere. Da esso si generano nuove conoscenze e
nuove azioni direttamente connesse alle caratteristiche cognitive, alle credenze e ai valori del
soggetto che apprende (singolo o impresa) e alle esperienze da esso vissute.

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

L’apprendimento organizzativo è l’insieme dei processi cognitivi mediante i quali l’impresa, con
attività coordinata dei suoi partecipanti, acquisisce, interpreta e ricorda conoscenza utile per
modificare il suo comportamento al fine di perseguire le proprie finalità. Apprendere vuol dire
sviluppare conoscenza per l’azione, e questo costituisce la fonte principale della capacità di
adattamento dell’impresa (e dell’individuo) all’ambiente.
Fiol e Lyles distinguono due dimensioni dell’apprendimento, il contenuto ed il livello gerarchico
dell’impresa. Sul primo, distinguono tra cambiamento cognitivo (l’apprendimento influenza e
trasforma schemi concettuali e regole condivise entro l’organizzazione) e cambiamento
comportamentale (l’apprendimento incide sul comportamento organizzativo e sulle azioni); sul
secondo, distinguono tra apprendimento di livello superiore (coinvolge solo le persone ai livelli più
alti di autorità e potere) e apprendimento di livello inferiore (coinvolge tutti i membri
dell’organizzazione a tutti i livelli della gerarchia).
Mumford invece ritiene esistano diversi livelli di apprendimento secondo un ordine gerarchico che
parte dal singolo individuo e arriva fino ad interessare l’organizzazione nel suo complesso (learning
organization).
Argyris e Schon distinguono tra apprendimento adattivo o a circuito singolo (single loop
learning) ed apprendimento generativo o a circuito doppio (double loop learning).
Il primo può interessare tutti i livelli dell’organizzazione e si esprime nello sviluppo di nuove
conoscenze pratiche (“saper fare”) all’interno degli assunti di base dell’impresa e delle procedure
operative preesistenti ed ormai scontate; è utile per correggere errori di funzionamento nelle attività
e nei comportamenti operativi, intervenendo con adeguamenti sulle routine organizzative e sulla
conoscenza che ne è sottesa. E’ un apprendimento a retroazione doppia, che corregge gli errori
esaminando le politiche ed i valori dell’impresa e modificando il comportamento di routine, che è
incrementale ed adattivo per l’appunto. Opera come una revisione di quella componente del sapere
operativo che governa direttamente il modo di agire. Gli interventi di management in tal caso
cercano di rispondere a problemi di efficienza ed efficacia di processi operativi, gestionali e
decisionali, realizzando adeguamenti incrementali delle routine organizzative (regole condivise) e
della conoscenza sottesa. Vi è quindi una gestione locale della conoscenza all’interno delle strutture
da cui originano le competenze caratterizzanti l’organizzazione, senza disdegnarne comunque
nuove. Questi adeguamenti permettono di rafforzare le competenze organizzative (es. si può
migliorare la vendita di prodotti ottimizzando le interazioni con i clienti attraverso la realizzazione
di call center).
Il secondo interessa maggiormente i livelli organizzativi più elevati e riguarda la creazione di nuova
conoscenza che può portare alla modifica degli assunti di base dell’organizzazione, la sua missione,
le sue capacità, fino a provocare vere innovazioni riguardo l’esperienza vissuta dall’impresa fino a
quel momento. E’ un apprendimento diretto a modificare gli indirizzi strategici d’impresa e le
regole che ne sono alla base, quindi ne modifica la struttura organizzativa ed i processi, e comporta
il superamento dei confini organizzativi preesistenti al fine di generare un vantaggio competitivo. Si
può quindi arrivare a mettere in discussione addirittura il modo di lavorare nell’impresa fino a quel
momento (“saper essere”). Opera attraverso la ridefinizione dell’identità del soggetto (cultura e
saper essere), e attraverso questa, sul comportamento adottato. Gli interventi del management in tal
senso mirano ad assicurare l’esistenza delle condizioni culturali e strutturali affinché ciò possa
attuarsi, favorendo i processi di comunicazione, di interconnessione, di sperimentazione ed
esperienziali. Possono esserci modifiche radicali della tecnologia, della struttura organizzativa e
dei processi: l’organizzazione abbandonerebbe comportamenti ormai obsoleti per generare nuove
competenze in sintonia con i mutamenti di contesto. Lo sviluppo del
sapere essere necessita sempre di un’azione di coordinamento e controllo capace di favorire la
dialettica tra apprendimento e disapprendimento, da cui dipende la forza competitiva dell’impresa.

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

Si può correlare la dicotomia apprendimento reattivo/apprendimento proattivo ai due tipi di


apprendimento sopra trattati. Il primo costituisce una risposta ai problemi emergenti dell’ambiente
attraverso un adattamento di tipo incrementale. Il secondo caratterizza la learning organization di
Senge e porta ad un cambiamento sostanziale all’approccio al problema e al suo meccanismo per
giungere alla soluzione.
L’apprendimento può essere visto come un processo innovativo di continua sperimentazione e
verifica di nuove ipotesi di lavoro in rapporto al continuo processo di cambiamento. Incrociando le
due dimensioni cambiamento-apprendimento in una matrice, s’individuano 4 tipi di apprendimento
delle imprese: scarsa propensione di apprendimento e cambiamento= impresa conservatrice (statica,
mantiene il suo status quo organizzativo e conoscitivo, può sopravvivere solo in contesti stabili);
situazione di alta propensione cambiamento ma scarsa propensione all’apprendimento= programmi
destinati a non incidere sulla sostanza di ciò che fa l’impresa, fallimentari; situazione di alta
propensione all’apprendimento ma scarsa propensione al cambiamento= prevale l’apprendimento
individuale (anche se gli individui apprendono molto, poiché l’impresa non si impegna in progetti
di cambiamento, fa sì che la conoscenza accumulata non circoli non facendo attivare le dinamiche
di apprendimento organizzativo); alta predisposizione a cambiamento ed apprendimento= si parla di
apprendimento organizzativo.
Un mezzo di apprendimento apparentemente agevole per l’organizzazione sarebbe l’inserimento di
nuovi partecipanti dall’esterno, portatori di nuove conoscenze, ma in realtà questo presupporrebbe
lunghe fasi di integrazione di questi all’interno dell’organizzazione. Sicuramente in realtà la
principale fonte di apprendimento è data dall’apprendimento dei singoli all’interno
dell’organizzazione. Tuttavia l’apprendimento organizzativo non è solo il risultato della somma
dell’apprendimento dei suoi partecipanti (e bisogna mettere in conto che non tutti apprendano),
quindi l’apprendimento individuale non è condizione sufficiente, benché necessaria; quanto appreso
a livello individuale può diventare apprendimento organizzativo se viene interiorizzato, condiviso e
trattenuto nel reticolo cognitivo complessivo dell’organizzazione. L’apprendimento collettivo è
frutto dell’interazione e del coordinamento tra persone e strutture. La cultura d’impresa (che poi
vedremo e che abbiamo accennato) svolge un ruolo fondamentale in questo processo perché fa da
collante influenzando tutta l’organizzazione, e fa sì che si creino valori condivisi all’interno grazie
all’integrazione di tutti gli individui. Per avere
apprendimento organizzativo non basta che la conoscenza sia resa disponibile all’interno
dell’impresa (necessario ma non sufficiente): per diventare vero sapere d’impresa, patrimonio
organizzativo, deve diventare un asset indipendente dalla perdita dei soggetti portatori
(licenziamento, dimissioni). Deve rimanere all’interno dell’impresa.

Learning organization (Senge): Importante il pensiero sistemico. Senge riconcettualizza il


fenomeno dell’apprendimento organizzativo in chiave sistemica, sottolineando l’importanza delle
interazioni tra variabili chiave piuttosto che su catene lineari di causa effetto. Questo permette di
capire quali sono le azioni che possono dare risultati in termini di cambiamento del modo di
apprendere ed operare nell’impresa (gli individui ampliano le loro capacità per arrivare ai risultati
che desiderano, e vengono incoraggiati modi di pensare sempre nuovi e creativi per stimolare
l’apprendimento collettivo). Questa prospettiva fa leva sull’impegno delle persone a migliorarsi e
sulla loro capacità di apprendere a tutti i livelli dell’organizzazione. L’idea è quella che nessun
cambiamento può avvenire se non vengono modificati i modi di pensare delle persone
dell’organizzazione e le interrelazioni chiave che ne influenzano il comportamento nel tempo.
Su queste basi, l’autore rappresenta i fattori costitutivi della learning organization in termini di 5
discipline, considerate su 3 livelli diversi: prassi, ovvero ciò che si fa; princìpi, ovvero le idee e le

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

intuizioni guida; essenzialità, ovvero il modo di essere delle persone che padroneggiano la
disciplina. Le 5 discipline sono:
1) Pensiero sistemico: è la pietra angolare dell’organizzazione che apprende, la disciplina che
integra tutte le altre in un sistema coerente di teoria e prassi. Integra quindi tutte le altre 4 discipline
2) Padronanza personale: disciplina volta a chiarire ed approfondire continuamente la propria
visione personale, concentrare le energie, sviluppare la pazienza e vedere la realtà in maniera
obiettiva. Concentrare l’attenzione e vedere la realtà oggettiva
3) Modelli mentali: ipotesi e generalizzazioni radicate in un individuo, che ne influenzano il modo
di vedere e di agire. Comprende anche la capacità di dialogare, cioè di esporre il proprio pensiero
rendendolo disponibile all’influenza degli altri. Influenzano il modo in cui comprendere
l’interazione con il mondo
4) Costruire una vision condivisa: per Senge è importante per i leader che vogliono stimolare i
dipendenti ad apprendere la capacità di avere e condividere un quadro chiaro della situazione
futura.
5) Apprendimento di gruppo: processo di allineamento e sviluppo delle capacità di un gruppo per
arrivare ai risultati che i membri desiderano. Si basa sulla padronanza personale e sulla vision
condivisa. Le persone devono essere in grado di agire insieme per apprendere più rapidamente ed
avere risultati migliori per l’organizzazione.

DISCIPLINE PRASSI PRINCIPI ESSENZIALITA’


PENSIERO SISTEMICO Archetipi sistemici Struttura (vedere Olismo
simulazione relazioni)
Interconnessione
Effetto leva
PADRONANZA Chiarire la visione Visione Essere
PERSONALE personale
Tensione creativa vs Creatività
Mantenere la tensione tensione emotiva
creativa (concentrarsi sui
risultati e vedere la
realtà)
MODELLI MENTALI Distinzione tra dati e Teoria professata vs Amore della verità
astrazione su dati teoria utilizzata
Apertura mentale
Verifica dei presupposti
VISIONE CONDIVISA Processo visionario Visione condivisa come Comunanza di finalità
(condivisione visioni ologramma
personali, ascoltare gli Partnership
altri, consentire la libertà Impegno contro il
conformismo
di scelta, riconoscere la
realtà corrente)
APPRENDIMENTO DI Tenere in sospeso i Dialogo Integrazione Intelligenza collettiva
GRUPPO presupposti
Dialogo e discussione Allineamento
Comportamento da
colleghi Superamento routines
difensive
Far emergere la propria

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

difensività

Senge pone l’uso ripetuto del dialogo (es. comunicazioni face to face) come principio alla base
dell’apprendimento di gruppo, e ritiene che sia importante la condivisione poiché il trasferimento
delle conoscenze all’interno dell’organizzazione è il nodo cruciale dell’apprendimento
organizzativo.
I temi collegati ad un’impresa learning sono la reinterpretazione dell’innovazione, del vantaggio
competitivo e delle relazioni organizzative. Senge si concentra sul problem solving in chiave di
pensiero sistemico.
Vi sono diversità tra learning organization e l’impresa sense learning oriented, orientata
all’apprendimento di senso. Occorre distinguere i caratteri più sistemici legati alla conoscenza da
quelli più carismatici legati alla generazione di senso che nel loro insieme generano il sapere
d’impresa. I caratteri più sistemici, cioè le attività poste in essere nella learning organization, sono:
il problem solving sistematico (necessario affinché l’impresa adotti un approccio puntuale alla
risoluzione dei problemi), la sperimentazione (apprendere vuol dire acquisire nuove conoscenze),
l’apprendimento delle esperienze pregresse (viene considerata l’esperienza come la fonte di
apprendimento), il trasferimento delle conoscenze (il sapere, per avere impatto sulla gestione di
impresa, dev’essere condiviso; la strada da percorrere è quella della produzione locale e diffusione
globale nella generazione della conoscenza).
L’impresa dovrebbe saper trasformare la conoscenza in generazione di senso dell’esserci e del fare
per generare valore economico. Questa trasformazione della conoscenza in sapere d’impresa
(conoscenza e senso) è possibile se l’imprenditore riesce ad attivare processi interni manageriali ed
organizzativi in grado di combinare in modo creativo saperi, competenze, risorse e bisogni.
Fondamentale è animare lo spirito imprenditoriale di tutta l’organizzazione, facendola diventare
sense learning oriented.

Knowledge creating company (Nonaka): Come Senge, anche Nonaka è interessato ai processi di
apprendimento nelle organizzazioni. Lui pensa però che l’impresa non solo apprende, ma crea
anche nuova conoscenza utile ad innovare costantemente i propri prodotti da offrire a mercati
sempre più competitivi (da qui l’idea di Knowledge creating company= impresa che punta sulla
conoscenza tacita come fonte di vantaggio competitivo). Nonaka propone un modello del processo
di creazione di conoscenza articolato su 2 dimensioni:
1) Dimensione epistemologica: si basa sulla distinzione tra conoscenza tacita e conoscenza
esplicita (Polanyi) e fa riferimento al continuo processo di trasformazione della conoscenza da
tacita ad esplicita e viceversa.
2) Dimensione ontologica: si riferisce al passaggio della conoscenza dal livello individuale al
livello organizzativo e considera i diversi livelli coinvolti nel processo di creazione della
conoscenza (individuale, di gruppo, organizzativo, interorganizzativo). Essenziali qui sono le
interazioni sociali per lo sviluppo di nuove idee (cosa enfatizzata da Senge e rimarcata da Nonaka).
Il problema chiave per l’impresa è coniugare le due esigenze fondamentali: la creazione di una base
di conoscenze comune e condivisa, fondamentale per l’azione collettiva, con la creatività del
singolo individuo, senza la quale non si rigenera la conoscenza e non si realizza l’innovazione.
Tenendo conto di questi 2 dimensioni si può generare una matrice con 4 processi di creazione e
conversione della conoscenza, tra loro interdipendenti. Per Nonaka il processo di creazione della

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

conoscenza parte dall’individuo che attraverso la propria esperienza sviluppa conoscenze tacite.
Affinché possa crearsi conoscenza organizzativa occorre creare le condizioni che favoriscano la
creatività, quindi serve condivisione di conoscenza e un ciclo continuo di conversione della
conoscenza da tacita ad esplicita e viceversa. L’assunto di base è che la conoscenza si genera e si
diffonde grazie alle interazioni sociali tra le due dimensioni di conoscenza, definite
“conversione” (le due dimensioni sono legate, come definito anche da Polanyi).
Le 4 modalità possono essere definite come:
1) Socializzazione: processo che permette di condividere/diffondere la conoscenza tacita (del
singolo) tra più persone, senza modificarne il carattere tacito. Necessaria per acquisire conoscenza
tacita è l’esperienza (difficile poterla spiegare a parole la conoscenza tacita), e ciò può avvenire
mediante l’osservazione sul campo, l’imitazione e l’esercizio pratico, così da poter condividere
questa esperienza tra gli individui. Oltre al “fare insieme” conta anche il “ciò che si fa”.
2) Esternalizzazione: consente la conversione della conoscenza tacita socializzata in conoscenza
esplicita in modo che possa circolare e diffondersi anche all’esterno del gruppo di origine. E’
necessario l’uso di strumenti di comunicazione che oltre a trasferire generano conoscenza,
riuscendo ad aprire le menti umane verso nuove prospettive. Le interazioni sociali solitamente si
traducono in documenti scritti. Quando la conoscenza tacita diventa esplicita viene codificata
(memorizzata), consentendo di condividerla con gli altri e diventare la base per la creazione di
nuove conoscenze.
3) Combinazione: le diverse conoscenze esplicite vengono integrate tra loro e sistemizzate
attraverso attività di formazione, reti di comunicazione computerizzate e database. La conoscenza
esplicita viene dunque raccolta (all’interno e dall’esterno dell’organizzazione), combinata,
modificata ed elaborata per formare nuove conoscenze esplicite, che vengono poi diffuse tra i
membri.
4) Internalizzazione: è il processo che permette di riconvertire le conoscenze esplicite (esterne) in
conoscenze tacite proprie di ogni individuo attraverso processi di sperimentazione per prove ed
errori. E’ “nel fare” (learning by doing) che gli individui interiorizzano la conoscenza combinata
che torna, arricchita, al suo stato tacito.
Per Nonaka: a) condivisione inter ed intra organizzativa della conoscenza ; b) conoscenza muta in
termini sia quantitativi che qualitativi ; c) la spirale della conoscenza rappresenta i processi sociali
da attivare per convertire la conoscenza da tacita ad esplicita e viceversa.
Il maggior pregio dello schema di Nonaka è che i 4 processi risultano interconnessi in un ciclo
ricorsivo mediante il quale da una parte l’esperienza diretta dell’individuo (conoscenza tacita) è
all’origine e alimenta il ciclo cognitivo, e dall’altra il contesto interno all’impresa (base di
conoscenza, strutture, persone e processi) dà forma a questo ciclo, ordinandolo ed orientandolo in
funzione degli obiettivi sistemici da conseguire. In questo modo l’organizzazione crea conoscenza.
DIFFERENZE SENGE-NONAKA: entrambi parlano di processi di apprendimento, ma Nonaka
va anche sulla creazione d’impresa e non solo sull’apprendimento che crea conoscenza. Nonaka
pensa alla creazione guardando all’ambiente, quindi ha una visione legata all’ambiente ed aggiunge
i concetti di innovazione e visione strategica. Per Nonaka è fondamentale quindi creare conoscenza
interagendo con l’ambiente. Senge non parla di ambiente nella sua teoria.

I principali approcci allo studio dell’apprendimento sono:

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

1) APPROCCIO COMPORTAMENTISTA (Behaviourismo): è centrato sul comportamento


umano. Vi è un’analisi del comportamento dell’individuo (detto risposta) in relazione all’ambiente
(detto stimolo), e l’enfasi è posta sull’importanza dell’adattamento individuo-ambiente. Il
comportamento umano è determinato da variabili interne ed esterne all’individuo ed è ritenuto
l’unico elemento sottoponibile a diretta osservazione. Un cambiamento nell’ambiente produce una
modifica nel comportamento dell’individuo. L’apprendimento in tal senso è il risultato
dell’associazione tra stimoli ambientali esterni e risposte adattive. Precursori: Barnard e Simon.
2) APPROCCIO COGNITIVISTA (psicologico): è centrato sulla mente umana, elaboratore di
informazioni provenienti dall’ambiente. Vi è un’analisi dei meccanismi attraverso i quali la realtà
viene filtrata dalla mente umana (processore di informazioni): il soggetto decide facendo una
selezione influenzata dalle proprie convinzioni, motivazioni e credenze. L’apprendimento in tal
senso è visto come un processo conoscitivo di tipo costruttivistico guidato dalle caratteristiche
cognitive interne del soggetto, e nasce dal bisogno implicito nella relazione soggetto-ambiente. Non
esiste una conoscenza assoluta valida per tutti gli individui, ma propria di ogni individuo che
interpreta la realtà attraverso percezioni individuali (conoscenza relativa).
3) APPROCCIO FENOMENOLOGICO (filosofico-umanistico): è centrato sul significato che
gli individui attribuiscono alle proprie azioni in virtù delle proprie percezioni, credenze e valori. I
significati determinano il comportamento dell’individuo. L’apprendimento in questo senso viene
collegato al bisogno di crescita di una personalità che ristruttura sé stessa (il suo saper essere)
nell’atto di apprendere (Maslow).

CONTRIBUTO DEGLI STUDI CLASSICI DI MANAGEMENT ED ORGANIZZAZIONE

TEORIE CLASSICHE DI ALCUNE TEMATICHE RILEVANTI PER IL


ORGANIZZAZIONE E KNOWLEDGE MANAGEMENT
MANAGEMENT (PRIMA META’
DEL ‘900)
RAZIONALISMO (Taylor, Weber, Organizzazione scientifica del lavoro (ordine, regole, procedure,
Fayol, Urwick) calcolo, coordinamento e controllo sui processi tecnici e sociali)
Professionalità dei manager (saper integrare operazioni, persone
e parti, saper influenzare i comportamenti umani, saper
comunicare e formare)
Scelte di progettazione organizzativa (varietà delle forme di
coordinamento)
COMPORTAMENTISMO (Barnard, Valore e complessità generate dalla persona umana
Simon, Selznick) nell’organizzazione (formalità e informalità, cooperazione nel
progettare e nel fare, leadership, creatività, equilibrio
organizzativo, comportamenti umani e razionalità limitata,
cooptazione come stimolo alla cooperazione)
RELAZIONI UMANE (Mayo, Relazioni tra individui, formazione di gruppi e umanizzazione
Homans, Roethlisberger) del lavoro (non solo integrazione del lavoratore nel sistema di
relazioni aziendali ma umanizzazione del lavoro in sé,
dinamiche dei gruppi umani e organizzazione sociale, legame tra
personalità degli uomini e motivazione al lavoro)

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

2° Capitolo: Gestire la conoscenza

Partendo dai modi di intendere i concetti di organizzazione (soggettivistica o deterministica)


possiamo analizzare gli aspetti salienti del Knowledge Management. Il KM è la disciplina che si
occupa di creare conoscenza organizzativa (tacita ed esplicita) e di valorizzarla, quindi di
trasformarla in sapere d’impresa. Si tratta di un sapere finalizzato, cioè teso al conseguimento di un
risultato economico positivo per l’impresa e per i suoi stakeholder. E’ fondamentale bilanciare la
creazione e la valorizzazione della conoscenza per generare e rigenerare il sapere d’impresa, e tale
bilanciamento è legato alla manovra strategica d’impresa, alle routine organizzative e all’ambiente
esterno. L’apprendimento organizzativo è guidato proprio dalla strategia dell’impresa atta a
mantenere questo equilibrio, dando un senso alla conoscenza organizzativa. E’ il top management
che si occupa dell’apprendimento organizzativo e della strategia, attivando processi, coniugando
risorse e soddisfacendo bisogni. I processi di creazione e valorizzazione, se attivati, portano
cambiamenti nella dimensione cognitiva dell’impresa e sulle competenze aziendali, favorendo od
ostacolando la loro evoluzione o il loro consolidamento.
Per favorire l’equilibrio dei due processi, è fondamentale un approccio integrato e dinamico di
KM. Tale approccio richiede in primis:
1) Attivazione dei 2 processi di exploiting (valorizzazione) ed exploring (creazione) attraverso
decisioni ed azioni di governance consapevolmente integrate ed esplicitate nel piano strategico
2) Bilanciamento tra aspetti soggettivi e deterministici, formali ed informali (persone, strutture e
processi) che caratterizzano i sistemi d’impresa e la loro dinamica evolutiva
3) Tensione alla creazione e valorizzazione del sapere d’impresa, finalizzato a creare valore
economico sia mediante il consolidamento sia mediante l’evoluzione delle competenze chiave per
la competitività dell’impresa
I punti sopra ci mostrano la relazione tra apprendimento organizzativo, innovazione e strategia
aziendale (questa svolta revisionando aspetti contestuali come routine consolidate e creando nuovi
contesti cioè nuove routine). L’apprendimento organizzativo è un prerequisito fondamentale
dell’adattamento impresa-ambiente, tramite processi di conservazione/cambiamento, e sono
fondamentali gli interventi del management volti ad indirizzare il processo di apprendimento,
prevenendo o eliminando eventuali disfunzioni. Nodo cruciale è il rafforzamento
delle competenze d’impresa (exploitation) con creatività e rapidità di pensiero-azione degli
individui, senza le quali non avverrebbe l’evoluzione delle competenze di impresa (exploration).
Concludendo: l’impresa, in quanto sistema sociale finalizzato, apprende, crea e valorizza la
conoscenza tramite processi dinamici complessi che coinvolgono in modo vario, integrato e
finalizzato persone, strutture e processi riconducibili alle interazioni intra-organizzative (tra persone
e persone e tra persone e strutture) e inter-organizzativi (tra organizzazioni ed organizzazioni).
Emerge quindi l’esigenza di far leva sull’integrazione dinamica, considerando il bilanciamento tra

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

soggettivismo e determinismo, al fine di favorire sia il consolidamento sia l’evoluzione nel tempo
delle competenze chiave per la competitività dell’impresa.

Vi sono 2 grandi aree di attenzione del KM:


1) la base di conoscenza (tacita ed esplicita) che richiede appropriati interventi di management per
favorire lo sfruttamento efficiente ed efficace e per facilitarne l’arricchimento
2) l’apprendimento organizzativo (adattivo e generativo) che richiede diverse modalità di
gestione: locale se è di tipo adattivo, radicale se è di tipo generativo
Proprio in queste due aree può intervenire il management per favorire la creazione e la
valorizzazione della conoscenza d’impresa, rendendola competitiva. Vi è un impegnativo lavoro di
integrazione atto ad aprire le menti umane verso nuove prospettive. Occorre integrare le conoscenze
interne ed esterne all’impresa e conciliare il valore economico con valori sociali, ambientali ed etici
puntando sulla crescita del proprio capitale intellettuale (umano, strutturale e relazionale). Il
management quindi, attraverso azioni di coordinamento, controllo e leadership, deve trasformare il
sapere d’impresa in valore. E’ importante che il management individui ed interpreti i momenti
critici dei processi di creazione della conoscenza e dei processi di accumulazione e diffusione della
stessa.
Exploitation: la conoscenza si genera dall’esperienza vissuta dall’impresa, dalle competenze, dalle
esperienze degli individui, ma anche dall’interpretazione dei dati e delle informazioni. Molte
imprese costruiscono un database dove confluiscono dati significativi organizzati in documenti e
supporti multimediali, che sono importanti basi informative utilizzabili da tutti i partecipanti
dell’organizzazione per la soluzione di svariati problemi. Sappiamo che il KM è interessato sia alla
conoscenza tacita che alla conoscenza esplicita; sappiamo che esse sono interdipendenti; sappiamo
che rappresentano elementi costitutivi delle capacità e competenze distintive di un individuo e di
un’impresa; sappiamo che la tacita crea il terreno fertile per lo sviluppo e l’interpretazione della
esplicita. Bisogna dunque cercare forme di integrazione capaci di combinare e ri-combinare
adeguatamente le strutture e le tecnologie necessarie alla conversione della conoscenza, con le
persone, senza le quali non si produrrebbero conoscenze e competenze utili per competere con
successo. Fondamentale il ruolo del management nel passaggio da competenza individuale a
competenza organizzativa, in particolare il loro coordinamento, il loro controllo e la loro leadership.
Exploration: è importante per un’impresa operante in un ambiente particolarmente turbolento la
creazione di nuova conoscenza, utile a modificare la base di conoscenza dell’impresa, a volte anche
in maniera profonda.
Nella gestione della conoscenza, vi sono 2 implicazioni importanti: la prima è il rapporto stretto tra
conoscenza e vantaggio competitivo dell’impresa; la seconda riguarda la distinzione tra identità e
sapere operativo, grazie alla quale si possono individuare diverse modalità di gestione della
conoscenza in impresa, locale e radicale (locale mira allo sviluppo del sapere operativo
dell’organizzazione, riferendosi principalmente all’apprendimento adattivo; radicale presidia lo
sviluppo dell’identità dell’organizzazione, riferendosi principalmente all’apprendimento
generativo). La gestione della conoscenza spetta in primi ai manager intermedi, l’apprendimento al
top management.

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

Le organizzazioni costituiscono propri contesti di apprendimento in cui s’intrecciano strutture


formali preordinate dal management (attraverso i determinismi della tecnologia, la strutturazione
del lavoro con la sua gerarchia dei ruoli e compiti) e strutture informali (frutto di processi
relazionali spontanei tra individui e tra essi e le strutture) dove il management può fare poco.
Strutture formali ed informali si compongono in modo diverso e complesso coinvolgendo persone
e tecnologia, che sono le leve principali di gestione della conoscenza. Su queste leve, l’impresa
pone azioni volte a tradurre la conoscenza in competenze che creano valore. Bisogna coordinare le
azioni su queste leve, integrandole e dando il giusto peso sia agli aspetti soggettivi sia a quelli
contestuali, rimanendo coerenti con la strategia aziendale. Questo affinché si verifichino 2
condizioni:
a) la capacità dell’impresa di rispondere rapidamente a variazioni di contesto (interne ed esterne),
mantenendo la propria posizione competitiva
b) la capacità dell’impresa di creare nuove e diverse alternative di sviluppo da attuare al momento
giusto (nuovi prodotti, nuovi mercati, nuove soluzioni tecniche e tecnologiche)
Entrambe le condizioni, se soddisfatte, generano valore per l’impresa.
Tecnologia: sostiene il processo di razionalizzazione della conoscenza in impresa consentendone il
suo arricchimento. Una volta implementata, costituisce una forma di ordinamento (azioni del
singolo, interazioni tra individui, sentimenti personali di ogni individuo. Homans) e coordinamento
intersoggettivo che struttura tutte le attività e processi d’impresa secondo codici e regole ben
definite. Il management deve fare leva sulla tecnologia garantendo affidabili e flessibili meccanismi
informali di integrazione per poter indirizzare la conoscenza individuale ed il comportamento
umano verso il fine comune. Non è detto che se si hanno tecnologie evolute si ottengono i vantaggi
desiderati, se esse sono disgiunte da altri fattori. Gli interventi chiave
sulla tecnologia sono mirati alla gestione razionale del patrimonio conoscitivo dell’impresa
(valorizzazione conoscenza esistente) e all’accrescimento della base di conoscenze
dell’organizzazione (creazione nuove conoscenze). Questi interventi possono attuarsi mediante
sistemi informativi basati sulle tecnologie dell’informazione e comunicazione applicate alla
gestione della conoscenza organizzativa (KM Systems). Essi permettono di ordinare le conoscenze
favorendone la circolazione, socializzazione e combinazione, così da fortificare e accrescere il
patrimonio conoscitivo dell’impresa, e favorire la capacità di risposta puntuale ai cambiamenti
ambientali. L’implementazione di questi sistemi implica un complesso lavoro di coordinamento dei
partecipanti all’organizzazione, coinvolgendo sia gli aspetti formali (ruoli e compiti di lavoro) sia
gli aspetti informali (esperienze, sentimenti, competenze, rapporti personali). Si tratta di modificare
abitudini, tempi e prassi consolidate.
Persone: gli interventi mirano a favorire il loro sviluppo cognitivo e comportamentale, condizione
necessaria per l’evoluzione delle competenze organizzative utili per il vantaggio competitivo. In
questo ambito sono importanti i comportamenti individuali e di gruppo, le interazioni tra gli
individui, tra i gruppi e tra gli individui e le strutture, e la gerarchia dei ruoli e dei compiti di lavoro.
Bisogna intervenire sui comportamenti degli individui dell’organizzazione, cercando di far sì che li
indirizzino verso obiettivi comuni, puntando alla loro motivazione, alle loro competenze e alla loro
cultura. Ciò può avvenire se il management bilancia gli aspetti formali come i ruoli e la definizione
dei compiti, e gli aspetti informali come la personalità, i sentimenti, le motivazioni, l’etica e le
relazioni degli individui. In primis bisogna motivare le persone a collaborare insieme nel processo
di creazione, condivisione ed impiego della conoscenza, e non è facile. Vi è l’opportunità in tal
senso di adottare sistemi di gestione del personale basati sulle competenze, al fine di valorizzare le
possibilità espresse dagli individui tramite sistemi di valutazione, incentivazione, reclutamento e

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

formazione adeguati allo scopo, e rafforzare la struttura organizzativa sia riconoscendo ruoli a chi
detiene ed usa più conoscenza di altri sia inserendo nuovi ruoli dedicati alla gestione della stessa. E’
importante incoraggiare la formazione di comunità di pratica, cioè gruppi di lavoro che
coinvolgono ruoli e competenze diverse in cui si comunica e apprende in maniera meno
formalizzata (aggregazione informale di relazioni che si stabiliscono tra coloro i quali condividono
la stessa attività pratica o attività simili). Principali caratteristiche: spontaneità, informalità dei
legami, autodefinizione degli obiettivi, confini più flessibili. Solitamente si creano per impegnarsi
in comune in una determinata attività. Costituisce un efficace strumento di circolazione e sviluppo
della conoscenza.

13° Capitolo: L’integrazione tra persone e tecnologia: il caso Geox

Per essere competitive le aziende devono oggi migliorare continuamente la propria organizzazione,
innovarsi e dotarsi di conoscenze uniche. Per far questo, il KM conta su due leve fondamentali, le
persone e la tecnologia, per creare e valorizzare la conoscenza. Geox è un caso
di eccellenza sotto questo aspetto. L’impresa ha saputo creare un vantaggio competitivo attraverso
un prodotto innovativo e attraverso lo sviluppo delle proprie risorse umane.
Geox viene fondata negli anni ’90 da Mario Moretti Polegato. Durante un viaggio in USA per
promuovere l’azienda vinicola di famiglia, passeggiando si accorse che le scarpe che indossava
provocavano un surriscaldamento ai piedi, così bucò la suola con un coltello e farli respirare e
funzionò. Tornato in Italia propose la cosa ad aziende calzaturiere ma nessuno diede fiducia alla sua
idea, così Moretti Polegato decise di sviluppare la propria intuizione per conto proprio nei
laboratori di una piccola azienda di Montebelluna (TV), mettendo a punto una nuova tecnologia per

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

3° Capitolo: Il cambiamento e le difficoltà del cambiamento

Il tempo in cui viviamo sembra suggerire a tutte le organizzazioni spesso di cambiare in fretta, ma
in realtà numerose resistenze rallentano o impediscono il cambiamento. Alcune di queste
resistenze sono ad esempio fattori di natura personale e burocratica, che fanno da ostacolo al rapido
succedersi delle innovazioni strategiche ed organizzative. Nelle imprese tali fattori si annidano nella
struttura, la quale rappresenta da una parte un’arma di combattimento per il management nella lotta
competitiva, e dall’altra ha una propria storia ed una propria esperienza che non si adattano
facilmente all’ambiente ma dettano lo svolgersi della strategia. Le organizzazioni complesse
difficilmente cambiano o addirittura non cambiano, in un’era in cui tutto sembra stimolare il
cambiamento. I
cambiamenti nelle imprese possono verificarsi:
a) in risposta a un cambiamento esterno che modifica le condizioni ambientali in cui l’impresa
opera, e quindi porta l’impresa stessa ad adeguarsi
b) in conseguenza di un cambiamento delle variabili interne, come un’innovazione delle tecnologie
di processo o un’operazione di mktg strategico o un’alterazione dell’equilibrio di potere tra
proprietari e manager o un conflitto interno. Ogni movimento interno può portare cambiamenti
spontanei o per mano del management o della proprietà. Vi possono essere cambiamenti locali se la
variabilità interessa isolate funzioni aziendali (es. risorse umane o produzione), o cambiamenti
generali se la variabilità coinvolge tutte le aree funzionali dell’impresa (es. un’innovazione
tecnologica può provocare cambiamenti negli approvvigionamenti, nel mktg del prodotto, nel modo
in cui l’impresa affronti la concorrenza)
Dobbiamo anche distinguere tra:
a) cambiamento strategico, che investe il rapporto tra impresa e ambiente esterno, riguarda il modo
di competere e porsi dell’impresa verso la concorrenza. Ogni cambiamento di strategia coincide con
un passaggio critico del ciclo di vita aziendale. Ciò avviene ad esempio quando si passa dalla

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

strategia di crescita attorno ad un’unica area di specializzazione produttiva (crescita orizzontale)


alla scelta di integrazione verticale, oppure quando si abbandona la strategia di crescita e si passa a
quella delle alleanze strategiche, oppure quando dalla commercializzazione all’estero e
all’esportazione si passa alla multinazionalizzazione dell’attività produttiva. Ogni cambiamento di
strategia richiede cambiamenti di strutture e processi, ma anche cambiamenti nei metodi di
formulazione, implementazione e attuazione della strategia. Se il cambiamento è radicale, può
diventare vera e propria innovazione
b) cambiamento organizzativo, che investe l’interazione tra le variabili interne del sistema
aziendale, riguarda le caratteristiche della differenziazione e dell’integrazione dell’azienda al suo
interno. Internamente il cambiamento può verificarsi:
- con una modifica dei sistemi di personalità e dei comportamenti degli individui che operano nelle
funzioni aziendali. Questo cambiamento porta ad un accrescimento delle conoscenze e delle
capacità di lavoro individuali, ma anche ad un miglioramento della motivazione dei lavoratori a
produrre e partecipare alle finalità generali dell’azienda. Tale risultato positivo passa dalla
creazione di valori e miti dell’azienda
- con una modifica dell’organizzazione del lavoro e/o delle configurazioni della struttura
organizzativa (linee e staff, dipartimentale, divisionale, a progetti, a matrice). Questo cambiamento
della struttura organizzativa porta modifiche di regole, procedure, compiti di lavoro, e a volte di
rapporto tra strategia e struttura. Ad esempio può esserci un passaggio da struttura funzionale a
dipartimenti a struttura multidivisionale, per reggere alla strategia di diversificazione. Tali
cambiamenti possono implicare spostamenti di potere all’interno dell’azienda e quindi una
revisione dei processi decisionali e una ristrutturazione dei sistemi di informazione e
comunicazione. Solitamente questi cambiamenti sono appoggiati da incentivi ai membri
dell’organizzazione (aumento stipendi, avanzamenti di carriera, innalzamento della creatività delle
mansioni, o all’opposto sanzioni pecuniarie e non pecuniarie), al fine di stimolarli a fare in modo
che vengano raggiunti gli obiettivi di efficienza ed efficacia d’azienda
- con una modifica di clima ed atmosfera in cui si svolgono le operazioni aziendali (dipende a sua
volta da un cambiamento direzionale di gestione del personale). Se questo cambiamento avviene in
senso partecipativo, vi è un passaggio da rapporti interpersonali e interfunzionali di tipo verticale a
rapporti di collaborazione basati da ciò che è previsto dal contratto di impiego, dall’organigramma,
ma anche dalla fiducia reciproca tra i membri. I dirigenti ed i suoi subordinati partecipano alla
definizione degli obiettivi, al controllo dei risultati e alla valutazione degli scostamenti di questi
risultati rispetto alle finalità programmate. Con questo cambiamento il top management spera di
elevare il senso di identificazione dei propri subordinati nei fini organizzativi e nella struttura cui
ciascuno appartiene
Il cambiamento organizzativo può avvenire disgiuntamente o congiuntamente ai 3 livelli, e
solitamente è un cambiamento positivo.
Se con il cambiamento si ottiene un innalzamento dell’efficienza aziendale, vuol dire che c’è stato
uno sviluppo organizzativo, il che significa una scientificazione dei processi decisionali:
affinamento dei metodi di direzione del personale, elevazione della qualità dei contributi dei singoli
alla realizzazione della strategia aziendale, erogazione di incentivi che premiano l’efficienza,
maggiore soddisfazione personale. Sviluppo organizzativo significa agilità, non appesantimento
della struttura. Perché si realizzino cambiamento e sviluppo organizzativo, dev’esservi un salto
culturale nella gestione dell’azienda, in particolare nei meccanismi di direzione ed organizzazione
del personale. Cambiamento e sviluppo organizzativo variano in base alla fase del ciclo di vita

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

aziendale. Le relazioni tra cambiamento, sviluppo organizzativo e fasi del ciclo di vita possono
essere delineate così:
Nascita: le imprese appena avviate al mercato e alla competizione sono gestite seguendo i valori
culturali e le preferenze del fondatore, quindi i cambiamenti strutturali seguono le convinzioni
dell’imprenditori o dei suoi soci.
Crescita: se sopravvive alla selezione naturale e alle minacce ambientali, l’impresa deve decidere
se crescere o non crescere dimensionalmente, mantenendo sempre il proprio equilibrio sistemico.
Se decide di crescere, l’imprenditore costruisce una struttura organizzativa appropriata alla strategia
prescelta, e bisognerà sviluppare il personale. La strategia ed i modelli organizzativi possono essere
scelti dal solo imprenditore o dall’imprenditore ed il management. Cambiamento strategico e
sviluppo organizzativo vanno di pari passo, e se nella crescita dimensionale non c’è sviluppo
organizzativo, prima o poi subentra una crisi.
Maturità: in questa fase l’azienda è in fase di stallo a livello di fatturato, la quota di mercato si
stabilizza e si accumulano risorse finanziarie. Questa situazione può consigliare cambiamenti
strategici e strutturali, anche per dare sbocco alle risorse finanziarie autogenerate e per liberare le
competenze tecniche, scientifiche ed organizzative derivate dall’esperienza.
Declino: se dopo le innovazioni strategiche vi è un decremento di fatturato e reddito d’esercizio,
l’impresa va in declino, cui può far fronte solo con ridimensionamenti del personale, ristrutturazioni
delle capacità produttive e riforme organizzative. Se questi provvedimenti migliorano la situazione,
può esserci una vera e propria rinascita dell’impresa.
Estinzione: avviene quando viene a mancare la finalità per cui è nata l’impresa o per l’impossibilità
di far fronte a una crisi o al declino. Solitamente le imprese muoiono tra il 3° e il 4° anno di vita,
quando ancora sono giovanissime, quindi non c’è relazione diretta tra morte e anzianità
dell’impresa. Sopravvivenza o morte dipendono dalla capacità di risposta alle pressioni
competitive: questa è la sfida delle imprese in ogni momento del proprio ciclo di vita.
Il modello dell’evoluzione dell’impresa in queste fasi, dev’essere interpretato in senso non
deterministico, cioè non esiste un percorso di vita a senso unico, virtuoso e privo di contraddizioni.
Infatti:
a) appena nata, l’azienda può entrare in crisi e morire
b) non tutte le imprese scelgono di crescere, anzi specialmente in ambienti turbolenti molte
preferiscono sopravvivere ed ottimizzare il tasso di redditività dell’esercizio
c) crisi di produzione, di domanda o di successione possono avvenire in qualsiasi momento, ma non
tutte portano all’esclusione dell’impresa dal campo competitivo
d) maturità dell’impresa non vuol dire che essa debba scivolare verso il declino, anzi avendo
accumulato risorse finanziarie, conoscenze ed esperienza, se questa è brava a rispondere alle
opportunità ambientali e alle minacce competitive, può tranquillamente sopravvivere

In conclusione, cambiamento organizzativo e cambiamento strategico assumono caratteristiche


diverse fase per fase. In alcune fasi il cambiamento avviene a causa di pressioni ambientali
consapevolmente subite (ad esempio in avvio l’impresa deve adeguarsi alle politiche di prezzo
dell’ambiente in cui opera), in altre avviene a causa di movimenti incontrollati delle variabili
interne (ad esempio la morte dell’unico proprietario può portare al declino), in altre ancora avviene
a causa di decisioni imprenditoriali o manageriali.

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

Cambiamento e sviluppo organizzativo sono generalmente associati a una concezione evolutiva


“ottimistica” dell’impresa. Il cambiamento spesso è invocato ma non sempre avviene. L’impresa
reale non è sempre quella che vorremmo che fosse, flessibile, adattiva ed innovativa.
Vi sono delle difficoltà che possono limitare o bloccare il cambiamento. Vero è che la
sopravvivenza di un’impresa dipende dalla sua capacità di evolversi nei cambiamenti, ma spesso vi
sono forze che si oppongono al cambiamento, ovvero inerzie strutturali (pesantezza e lentezza della
“macchina amministrativa”), razionalità limitata (incapacità imprenditoriali e manageriali),
resistenze personali (propensione alla conservazione di posizioni di comodo o di potere). Non sono
molte le organizzazioni che si sottopongono a radicali processi di cambiamento. I fattori che
limitano o impediscono il cambiamento non sono solo strutturali, ma vi sono anche fattori interni ed
esterni che si oppongono.
I fattori interni sono: a) fissità dell’investimento in impianti e altri strumenti tecnici della
produzione aziendale; b) regole burocratiche e gerarchizzazione del processo decisionale; c)
incrostazioni degli interessi dei partecipanti al sistema aziendale, ciascuno dei quali si crea
cuscinetti di convenienze che mettono profonde radici; d) sedimentazioni culturali della storia
dell’impresa; e) limiti di razionalità dei decision maker aziendali; f) il cumulo di sordità e ignoranza
latente in impresa.
I fattori esterni sono: a) stazionarietà dell’ambiente socio-istituzionale in cui è immersa l’impresa;
b) arretratezza economica del paese di origine dell’impresa; c) barriere tecnologiche, commerciali
o legali all’entrata di nuove imprese; d) opacità ambientale che devia o rende impossibile
l’innovazione tecnico-organizzativa; e) asimmetria informativa che penalizza la raccolta di segnali
di mercato o l’acquisizione dei migliori fattori produttivi.
La determinante presenza di uno di questi fattori crea condizioni ostative del cambiamento.

Struttura organizzativa è la base programmatica dell’inerzia o della resistenza al cambiamento. È


costituita da organi deliberativi, reparti, uffici, ruoli di lavoro, regole, comunicazioni, informazioni,
procedure e meccanismi culturali d’integrazione personale. Per costruirla ci vogliono esperienza e
capacità di progettazione. La struttura è un investimento necessario, consapevolmente programmato
e controllato dall’imprenditore e dai manager suoi collaboratori, in funzione di una ben determinata
strategia che rapporta l’impresa all’ambiente competitivo. L’integrità della struttura (ordine, solidità
e coesione) è fondamentale per proteggere l’impresa e affrontare la competizione: segnala il grado
di sicurezza e confidenza raggiunta, e incorpora i fini ed i valori prevalenti nel sistema sociale. È
progettata inizialmente per controllare le relazioni funzionali e personali interne, e successivamente
è costruita per fronteggiare le minacce competitive. Inoltre, la struttura organizzativa divide compiti
e ruoli in azienda. All’influenza delle forze di mercato, del sindacato, dello Stato e delle altre
variabili ambientali, la struttura organizzativa oppone una cultura del controllo che condiziona
l’adattamento di tutti i subsistemi del sistema aziendale. Edificare una struttura organizzativa
implica costi fissi e variabili, ma è un investimento necessario seppur impegnativo; non può variare
ad ogni cambiamento, proprio perché molto costoso e arduo.
Chandler ha dimostrato che a un cambiamento di struttura segue un cambiamento di strategia. La
struttura ha funzione bivalente rispetto alla strategia: in senso positivo e in senso negativo. In
senso positivo, la struttura supporta il perseguimento dei fini aziendali, nel senso che in essa si
creano conoscenze ed esperienze che combinate con altre risorse garantiscono sicurezza alla
manovra strategica e capacità di risposta alle pressioni ambientali.
In senso negativo, la struttura limita l’efficacia perché essendo costosa non permette il
conseguimento di risultati economici positivi, portando ad un’inefficienza strutturale (spreco o
sottoutilizzo di risorse in alcune aree funzionali, es. eccessiva burocrazia o accentramento
decisionale riducono la creatività del mktg o la funzionalità di ricerca e sviluppo).

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

Più vaste sono le dimensioni d’impresa, più forte è l’impatto positivo o negativo del funzionamento
della struttura sul sistema aziendale. Per
concludere: se è efficiente, la struttura rappresenta una grande arma alla lotta competitiva; se è
inefficiente, limita o soffoca l’efficacia della strategia e può determinare una crisi.

Le organizzazioni partecipano direttamente alla formazione del sapere e del potere sociale, ovvero
alla generazione delle idee, convinzioni e valori nella società. Esse operano per legittimare le norme
di comportamento, i meccanismi di strutturazione, i meccanismi di integrazione: in pratica lavorano
affinché vengano accettare le loro regole di gestione e le loro culture sottostanti (valori e modelli).
Il top management, dopo un po’ di tempo, rinnova il mito d’impresa. Ciò avviene durante riunioni
o anche in circostanze informali. Il tutto si svolge con aspetti cerimoniali e rievocativi, detti riti.
Il mito viene vivificato non solo rievocando i risultati positivi ottenuti dall’impresa, ma anche
raccontando aneddoti sulle operazioni aziendali di maggior successo. Nello stesso tempo si
ricostruisce la vita dei più famosi proprietari e dirigenti, spesso manipolando la storia.
La celebrazione del rito, attraverso il quale si fa il mito della storia aziendale, serve a rafforzare il
senso di appartenenza del personale all’organizzazione.
La lettura mitologica dei successi aziendali e i riti che alimentano questi miti, giustificano
culturalmente la propensione al non cambiamento, sempre latente nella struttura aziendale. Il
ritrovarsi tutti insieme nel rito e nel mito alimenta però una confidenza che può risultare eccessiva
e pericolosa. Il rischio è quello di celebrare solo i successi, dimenticando gli insuccessi. Non
sempre la strategia è comunicata al resto del sistema, anzi spesso è elaborata dal top management e
non è diffusa “verso il basso”. L’abilità innovatrice del leader sta nel fare piccoli accorgimenti.
Nel corso del tempo i valori sociali, i dati culturali, la missione strategica, gli interessi personali, le
tecnologie impiegate, subiscono un’evoluzione che può essere radicale o marginale, ed ha
conseguenze sulla struttura e sulla gestione aziendale. I cambiamenti generali avvengono a “onde
lunghe” nel tempo, quelli locali sono più numerosi ed avvengono a “piccole onde”. I cambiamenti
generali-radicali incidono profondamente sull’equilibrio del sistema aziendale, provocando
variazioni a livello gestionale e funzionale (es. se l’impresa rischia di non essere più competitiva);
sono eventi rari che producono discontinuità netta tra passato e presente. Condizione necessaria al
cambiamento radicale può essere che il costo del mantenimento in vita di struttura e processi
organizzativi così come essi sono (C1), diventa superiore del costo del disinvestimento della
vecchia struttura organizzativa (C2) e del costo della progettazione e costruzione di una nuova
struttura organizzativa (C3).
Quindi: C1 > C2 + C3 è la condizione necessaria del cambiamento radicale.
Il cambiamento passa attraverso la convinzione dei manager e la persuasione di coloro i quali sono
coinvolti nel processo.
Le innovazioni che contano, i cambiamenti radicali, avvengono solo in momenti critici della vita
aziendale e a certe condizioni.
La presenza di routine gestionali fa sì che il management si lamenti dell’eccessiva burocrazia, ma
che non si voglia nemmeno pensare a cambiamenti.
I drammi gestionali possono avere natura personale (morte imprenditore), societaria (passaggio di
proprietà), microeconomica (adozione di una strategia diversa) o macroambientale (cambiamento
del quadro economico, sociale, istituzionale esterni). I drammi si verificano dopo lunghi periodi di
quiete e possono avvenire all’improvviso, senza che sia possibile programmarli.
I cambiamenti radicali avvengono quando c’è il rischio di una crisi, o quando c’è un’opportunità
strategica da sfruttare, o quando c’è lo scopo di rafforzare il controllo proprietario.

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

In sintesi, vi sono 3 aspetti dell’evoluzione aziendale che rendono utile lo studio di cause e
conseguenze del non cambiamento:
1) molte imprese appaiono sorde ai segnali di cambiamento e pur essendo per alcuni esercizi
redditive, scompaiono improvvisamente. Ciò è dovuto a debolezze endogene e per l’azione
incontenibile di fattori esogeni (ambiente). La redditività dell’impresa infatti può essere travolta dai
costi dell’inefficiente struttura.
2) la burocratizzazione domina la scena aziendale, e i drammi possono rappresentare un grande
problema, facendo preferire alle imprese il non cambiamento.
3) il cambiamento ripetutamente cercato è pratica pericolosa perché si possono creare discontinuità
negative che mettono a rischio il consolidato sapere d’impresa.

4° Capitolo: Il sapere, la cultura e l’apprendimento

Sapere d’impresa è un concetto più ampio di quello di conoscenza organizzativa. Attribuisce un


senso specifico alla conoscenza organizzativa finalizzandola alla generazione di valore economico.
Definisce sia le conoscenze sia il senso consapevole di fare business, è unione di conoscenza e
senso. Le conoscenze sono un insieme di dati, cognizioni, nozioni, informazioni e competenze
ordinate in processi e composte in un sistema di risorse intangibili che costituiscono il DNA ed il
software dei fenomeni operativi. La parte consapevole del senso è il sapere dotato di significati,

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

valori, direzione e verso che orienta le informazioni. Senso e conoscenza possono diventare: Saper
fare (conoscenza-azione, dominio della dimensione operativa dell’esistere, cioè competenze);
Sapere Specialistico (conoscenza tecnica delle leggi, dominio della dimensione cognitiva); Saper
essere (varietà del sapersi comportare, dominio della dimensione progettuale) e Cultura (sapere
che predispone certi comportamenti).
La trasformazione delle risorse di conoscenza in sapere d’impresa richiede decisioni di governance
e management progettate ed integrate nella strategia d’impresa. La creazione e valorizzazione del
sapere vede concorrere due forze: l’impresa che con le sue routine (regole, conoscenze) tende
all’autonomia, e l’ambiente che esercita pressioni al cambiamento per rigenerare il sapere
d’impresa e puntare su nuove mete.
L’imprenditore dev’essere leader e trasformare la conoscenza in sapere, dando un valore unico al
senso di ciò che le persone all’interno dell’impresa conoscono. Egli dà valore economico alla
conoscenza trasformandola in senso, potendo anche falsificare la storia passata e alimentando
quella futura con speranze, aspettative e sfide. L’imprenditore non è l’unico generatore di valori ed
idee, ma è il fulcro. Il sapere d’impresa orienta la strategia dell’impresa, rendendola attiva rispetto
all’ambiente in cui compete.
Sapere e conoscenza possono essere studiate attraverso due processi, l’interpretazione e
l’apprendimento, caratterizzati da ulteriori due processi, estrattivo e accumulativo. Sotto il
profilo estrattivo, l’interpretazione risale da un segno al suo significato e trasforma il dato in
informazione dotata di un suo valore specifico, cioè di un senso. Sotto il profilo accumulativo,
l’apprendimento nelle sue diverse accezioni (generativo, adattivo, proattivo) è centrato sul sapere,
che deriva dalla relazione tra progetto e azione. In tal senso l’apprendimento è un esito cumulativo
e consolidato dell’interpretazione, la quale alimenta la cultura esistente e ne genera di nuova e
diversa. Nodi cruciali del sapere d’impresa sono due: il passaggio da conoscenza a senso
consapevole ed il passaggio da sapere individuale a sapere organizzativo-collettivo.
Il sapere è il fattore iniziale del fattore di governo, da cui sorgono il progetto ed il potere e nel quale
viene compreso il senso dell’azione. Se unito con l’intelligenza e la sagacia di governo, esso
diventa sapienza. Il sapere è dotato di una struttura ben definita: Saper fare, Sapere Specialistico,
Saper essere e Cultura. È possibile articolare il sapere nel modello SVoPA:
- Sapere-sapere: è rappresentato dalla Cultura che è “sapere puro” e si colloca nella dimensione
cognitiva essendo una realtà psicologica. Ordina l’atteggiamento cognitivo e comportamentale del
soggetto “marcando” le altre dimensioni del sapere e rendendole uniche. Natura: cognitiva e attuale.
- Sapere-potere: conoscenza tecnica che consente di attivare il patrimonio di risorse a disposizione
per l’azione. La risorsa è strumento attivato dalla conoscenza, collegato all’esistenza di un
contenuto informativo che la qualifichi in relazione alla sua performatività. La risorsa è tale solo
dopo aver acquisito ed elaborato le conoscenze necessarie al suo uso. La risorsa in termini di sapere
è Sapere Specialistico, perché è la conoscenza del soggetto che permette l’attivazione del suo
patrimonio di risorse a sua disposizione per l’azione. Si manifesta in via comportamentale, nel
senso che è un sapere che dirige l’azione sotto un profilo tecnico e potenziale, precedendo l’azione.
Natura: comportamentale e potenziale.
- Sapere-volere: è l’aspetto cognitivo della progettazione. Rappresenta la dimensione progettuale
del sapere data dal saper essere. Si esprime nell’ordine esistenziale della propria vita,
nell’impostazione dei problemi in cui il soggetto si riconosce. Questa forma di sapere è espressione
della persona e si manifesta dal punto di vista cognitivo, nel senso di atteggiamento nei confronti
del vissuto. Riguarda in pratica il modo di comportarsi del singolo individuo nelle diverse
situazioni. Orienta le conoscenze e competenze aziendali, le ordina per importanza, e crea anche
competenze utili per avere un vantaggio competitivo. Natura: cognitiva e potenziale (riflessiva).

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

- Sapere-azione: è il saper fare, rappresenta sia la dimensione pragmatica del sapere sia la sagacia,
cioè la capacità di fare la cosa giusta in una determinata situazione. È il sapere operativo,
conoscenza che si sviluppa e manifesta nell’azione. Sapere che si compie nell’atto che lo esprime e
nella comportamentalità. Conoscenze pratiche, abilità e capacità applicate a specifici contesti.
Natura: comportamentale, non cognitiva e attuale.
Le componenti sono individuate in riferimento a 2 aspetti:
1) ASPETTO DELL’AGIRE: che si divide in cognitivo (relativo alla percezione della realtà,
all’elaborazione delle informazioni) e in comportamentale (relativo al fare, alla sfera operativa,
all’agire confrontandosi con la realtà)
2) STATO DELL’AGIRE: che si divide in stato in potenza (ciò che deve ancora compiersi) e stato
in atto (tutto ciò che si verifica nel tempo a cui si riferisce l’azione)
Il saper essere orienta la sagacia operativa, impostando i problemi che quest’ultima risolve,
influenzandone i comportamenti dell’agente, determinando cioè gli ambiti in cui si forma il saper
fare. La cultura alimenta il sapere specialistico che è il sapere del soggetto, dato dal suo imprinting
culturale, e insieme a questo concettualizza il reale individuando le trame di senso implicite in esso,
ordinandolo. Il saper essere e la cultura definiscono l’identità dell’agente di governo, ovvero le
conoscenze che gli permettono di definire sé stesso in relazione al contesto entro cui si muove. Il
sapere specialistico e il saper fare invece individuano il sapere operativo, ossia l’insieme di
conoscenze orientate all’azione. La distinzione tra identità e sapere operativo è importante in
relazione all’apprendimento, perché vi sono apprendimenti che presidiano lo sviluppo dell’identità
del soggetto (apprendimento double loop) e apprendimenti che presidiano lo sviluppo del suo
sapere operativo (apprendimento single loop). La cultura risulta non operativa se non esprime le sue
potenzialità attraverso altre forme di sapere: essa marca le varie forme del sapere rendendole uniche
e peculiari del soggetto. Ma da sola non può configurare la creatività, che si realizza con l’azione.
Nell’esposizione semplificata del sapere, il sapere-sapere rimane cultura, il sapere-volere diventa il
modello, il sapere-potere è la risorsa ed il sapere-azione è il saper fare sotto forma di competenza.
Nella linea del sapere è compresa anche l’interpretazione e l’apprendimento componendo il
modello SIA. L’interpretazione trasforma il dato fenomenico in informazione, che è il risultato di
un’attività cognitiva condotta da un soggetto intelligente che organizza i dati attraverso relazioni in
grado di dare ai dati un significato all’interno del sistema (è l’interfaccia tra mente dell’agente e il
suo mondo). L’apprendimento nelle sue varie accezioni è centrato sul sapere che deriva dalla
relazione tra progetto e azione; è un esito positivo dell’interpretazione.

Cultura insieme coerente di assunti fondamentali che connotano l’esistenza del soggetto, dotandola
di identità e capacità distintive. Attribuisce un senso al reale, diminuendo la complessità percepita e
l’incertezza e rendendo possibile l’azione. Svolge un ruolo di contesto per dare senso alla realtà
politica e ambientale al fine non solo di consentire l’azione ma anche di garantire lo sviluppo di
dinamiche di apprendimento organizzativo. Riesce ad avere la duplice funzione verso l’ambiente
esterno ed interno grazie alla sua natura ologrammatica. Affinché vi sia una cultura deve esistere un
gruppo, un insieme di persone che sono state a lungo insieme e hanno condiviso problemi, hanno
avuto l’opportunità di risolverli, hanno visto gli effetti delle loro soluzioni ed hanno acquisito nuovi
membri. La cultura organizzativa è il prodotto delle interazioni che avvengono all’interno
dell’impresa. Si sviluppa attraverso processi di apprendimento e disapprendimento. C’è un modello
di classificazione della cultura chiamato modello dei tipi culturali, che vuole individuare il tipo
culturale cui appartiene un’impresa, tramite l’intersezione tra processi organizzativi (enfasi su

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

flessibilità, spontaneità, individualismo, stabilità, ordine) meccanicistici e organicistici e baricentro


politico (analisi su ambiente interno quindi integrazione tra componenti aziendali o ambiente
esterno quindi posizionamento competitivo e performance) che può essere o mantenimento interno
o posizionamento esterno. Incrociando processi organizzativi e baricentro politico vengono fuori 4
tipi elementari di culture di impresa; un’impresa sarà classificata in una dei 4 quadranti in base ai
propri tratti dominanti. Abbiamo:
1) Mercato (posizionamento esterno + processi meccanicistici): viene posta l’attenzione sulla
competitività ed il raggiungimento degli obiettivi. Le transazioni sono governate dal meccanismo di
mercato e la misura dell’efficacia politica è data dalla produttività raggiunta attraverso di esso.
Segue ordini e regole e controlla ciò che c’è all’esterno dell’azienda.
2) Clan (mantenimento interno + processi organicistici): dà importanza alla coesione, alla
partecipazione e al lavoro di gruppo, considerati più importanti degli obiettivi finanziari e di
mercato. Il focus della strategia è rappresentato dallo sviluppo del capitale umano e in generale su
uno sviluppo di tipo interno, puntando su una forte integrazione delle parti e una ottima capacità di
rispondere agli stimoli provenienti dall’ambiente. Leadership clanicistica.
3) Adhocrazia (posizionamento esterno + processi organicistici): l’attenzione è posta su valori
quali l’intraprendenza, la creatività, l’adattabilità, la flessibilità e la tolleranza delle opinioni
divergenti. L’efficacia operativa è misurata in termini di scoperta di nuovi mercati e nuove direzioni
per la crescita. Organizzazione innovativa. Ci si sacrifica per il bene dell’impresa e si innova.
4) Cultura di gerarchia (mantenimento interno + processi meccanicistici): dà importanza
all’ordine ed alle regole. Le transazioni sono controllate strettamente dall’organizzazione, e
l’efficacia è raggiunta se vengono raggiunti gli obiettivi pianificati. Impresa orientata alla
ripetizione, alla consuetudine operativa, inadatta a sopravvivere in mercati turbolenti o di nicchia.

Contesto è difficile e complesso comprendere il proprio contesto d’impresa. La complicatezza di


un contesto dipende dalla grande quantità di informazioni necessarie a spiegarlo e quindi la sua
comprensione dipende dal costo di tali informazioni, dall’accessibilità e dalla capacità di
computarle. La complessità dipende dalla diversità qualitativa delle logiche presenti nel contesto. Il
contesto è una parte del mondo che deriva dalle relazioni tra il reale e l’interpretante (dell’agente).
Non esiste di per sé: nasce perché è in relazione con chi agisce e come tale è rilevante, anche solo
potenzialmente, per chi lo interpreta in quanto compresente al suo agire. L’interpretazione considera
una marea di atti, accadimenti e relazioni (tutto ciò che costituisce il contesto), ma l’attenzione si
concentra su 3 manifestazioni, che sono la storia, il linguaggio e l’azione.
Meo definisce il contesto in 3 passi, legati tra loro: 1) è il complesso di tutti i fattori che convergono
a costituire una condizione necessaria dell’emissione di un messaggio (verbale o non verbale) e
della sua comprensione-interpretazione e che, in quanto tali, sono strutturalmente connessi con tale
emissione (fondamentale perché indica la composizione ma anche l’utilizzo di un contesto); 2) è
condizione necessaria del conferimento del significato e del rinvio del referente; 3) è condizione
necessaria del costituirsi del testo ed è ciò che si esibisce nel testo e tramite il testo. Vi sono
due dimensioni attraverso le quali si può studiare un contesto, il quale le comprenderà sempre
entrambe: l’in cui, insieme di tutti gli elementi del contesto sui quali l’agente non ha possibilità di
intervento; il con cui, insieme di tutti gli elementi sui quali l’agente può intervenire e modificarli.
Poli del senso imprenditoriale generano le strategie d’impresa e sono centri di gravitazione degli
sforzi di analisi, di fissazione degli obiettivi, di individuazione delle vie, di predisposizione dei
mezzi, di attuazione delle decisioni e delle realizzazione degli esiti, individuati dall’imprenditore. I

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

poli di senso sono: soddisfazione dell’utenza, caratteristiche di mercato, valori economico-


finanziari, consenso degli stakeholders. L’interazione tra i poli genera contesti specifici formando
un diagramma di definizione di aree di interpretazione imprenditoriale, che permette di capire le più
importanti relazioni tra i poli di senso. Partendo da qualsiasi punto si possono vedere le connessioni
di causalità come successioni di poli contigui (es. interessi stakeholder e soddisfazione utenza, che
navigano sul contesto socio ambientale sfruttando risorse naturali terra) e poli non contigui (es.
soddisfazione utenza e valori economico-finanziari, o interessi stakeholder e caratteristiche del
mercato). Per l’imprenditore possono essere importanti anche 3 poli di senso, non solo 2, continui
o non contigui. L’area compresa nel quadrilatero che unisce i punti del diagramma esprime il grado
di autonomia dell’impresa: maggiore è questa, più vasti sono gli orizzonti di sopravvivenza
dell’impresa. Nel contesto sono
individuabili specifici contesti (4) come relazione tra relazioni tra poli contigui e non contigui.
L’area compresa tra i due poli contesto evidenzia un contesto elementare di intervento strategico. I
contesti sono:
1) contesto prodotto-servizio: è posto tra soddisfazione dell’utenza e mercato, individua bisogni e
modalità per la loro soddisfazione. In questo contesto si specifica la missione d’impresa, si sviluppa
la ricerca e sviluppo, si attuano processi di apprendimento e acquisizione di tecnologie (consulenza,
licensing, joint venture), si specificano le modalità d’uso delle risorse. Il prodotto-servizio può
essere interpretato come risposta sintetica alla tipologia di bisogni che l’impresa vuole soddisfare
specificando le modalità d’offerta delle connesse utilità.
2) contesto degli equilibri economico-finanziari: è posto tra valori economico-finanziari e
caratteristiche di mercato, ed è il motore della autopropulsività dell’impresa. La relazione tra questi
due poli può essere letta nel senso che la posizione di mercato genera costi e ricavi per determinare
livelli monetari di attività economica e finanziaria, che a loro volta retroagiscono sulle
caratteristiche di mercato di approvvigionamento e smercio delle produzioni sia in termini di
dimensione dell’impresa, sia di impieghi delle nuove risorse generate.
3) contesto degli interessi socio-economici: è posto tra gli interessi degli stakeholder e i valori
economico-finanziari, ed è il contesto dei rapporti pubblici di impresa portatori di marcati interessi
economici. In quest’area è importante il valore aggiunto, cioè la distribuzione di ricchezza sociale
prodotta tra i partecipanti alla produzione.
4) contesto degli interessi socio-ambientali: è posto tra la soddisfazione dell’utenza e gli interessi
degli stakeholders, ed è l’area della qualità della vita connessa all’attività d’impresa. Importante è
la realizzazione delle funzioni tecnico economiche poste ad oggetto delle attività e necessarie per la
sopravvivenza e lo sviluppo del corpo sociale.
Si possono individuare ulteriori interdipendenze tra poli di senso non contigui: soddisfazione utenza
e valori economico-finanziari= distingue il contesto competitivo da quello sociale; consenso degli
stakeholder e caratteristiche di mercato= separa il contesto di business da quello corporate. Quindi
i contesti sono in totale 8. Le risorse legate sono: terra, lavoro, tecnologiche e capitale.
Poli più importanti per Marchionne: valori economico-finanziari e caratteristiche di mercato
(risorse più importanti: lavoro e capitale; contesti più importanti: equilibrio economico).
Poli più importanti per Jobs: tutti (risorse più importanti: capitale e tecnologiche; contesti più
importanti: competitivo).
Poli più importanti per Lavazza: soddisfazione utenza ed interessi stakeholder (risorse più
importanti: naturali terra; contesti più importanti: socio ambientale).

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

Poli più importanti per Gasbarrino: caratteristiche di mercato, interessi stakeholders e valori
economico-finanziari (sfaccettatura meno evidente. Risorse più importanti: lavoro e capitale;
contesti più importanti: corporate).
VEDERE TABELLA LIBRO!!!

Intelligence di impresa è diretta all’elaborazione, sottrazione e difesa delle risorse immateriali-


informative critiche (innovazione tecnologica, know-how, etc). Distinguiamo business intelligence
e competitive intelligence. La prima è diretta ad acquisire, rielaborare ed interpretare le
informazioni generate direttamente dall’impresa e dalle relazioni con i propri interlocutori
commerciali (clienti e fornitori); esempio è l’uso delle potenzialità generate dagli archivi di vendita
della grande distribuzione (fidelity card, Pos, pagamenti elettronici, etc). La seconda, a cui
appartengono spionaggio e controspionaggio, è un processo di monitoraggio, aggregazione,
selezione e interpretazione di informazioni sui competitor e su altri pubblici ostili, finalizzato
all’acquisizione di conoscenza strategica sui loro piani futuri. Se stabilmente strutturata, la
competitive intelligence forma il Competitive Intelligence System (CIS), che comprende oltre ai
pubblici ostili anche le minacce provenienti dall’ambiente economico e politico. Il CIS si suddivide
in 3 macro-aree: intelligence, counterintelligence e business security. La prima aggrega gli
interventi proattivi e di acquisizione delle risorse. La seconda evidenzia gli elementi reattivi delle
altrui attività di intelligence (offensivi o difensivi). La terza è finalizzata alla salvaguardia
dell’impresa individuando eventuali minacce e sopprimendo illeciti dannosi per l’impresa.
La counterintelligence è reattiva contro interventi ostili, la business security è preventiva.
Inoltre inquadrabile nella business security c’è la difesa fisica degli impianti e delle persone, al fine
di contrastare intrusioni, infrazioni ed intercettazioni da parte dei concorrenti e del pubblico ostile,
il tutto anche installando allarmi, sistemi di sorveglianza, microspie, microcamere, e di evitare
rapimenti, minacce fisiche, attentati.

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

7° Capitolo: Il capitale intellettuale e gli strumenti di misurazione e


comunicazione

Il valore di un’impresa è oggi definito sempre più sulla base degli asset intangibili dell’impresa,
piuttosto che su quelli tangibili. Possiamo quindi definire un’impresa di valore quella che detiene
un elevato capitale intellettuale, e cioè: capacità innovative, conoscenze accumulate nella vita,
know-how (tutto questo= talento dei dipendenti), cultura, strategia, processo, proprietà intellettuale,
immagine di mercato e patrimonio di relazioni instaurate con gli stakeholder. È l’insieme di tutte le
risorse e capacità immateriali possedute da un’impresa. Rappresenta l’elemento critico più
importante per la competitività d’impresa, la capacità di sopravvivenza e la creazione di valore.
È necessario che le imprese gestiscano il proprio capitale intellettuale, quindi servono strumenti che
identificano, misurano, rappresentano e monitorano queste risorse, per verificare la bontà delle
politiche di gestione e avere un miglioramento delle performance.
Come accennato, il capitale intellettuale è intangibile: se da un lato rende difficile l’imitazione da
parte dei concorrenti e quindi garantisce un vantaggio competitivo all’impresa, dall’altro rende
difficile identificare una sua definizione univoca.
Non esiste infatti una definizione universalmente accettata di capitale intellettuale. Le più utilizzate
sono:
a) il capitale intellettuale è strettamente connesso alla gestione delle risorse umane necessarie
all’impresa per favorire lo sviluppo e la crescita futuri (Boudreau e Ramstad)
b) il capitale intellettuale è l’insieme dei “beni di mercato”, degli “asset centrati sull’individuo”, dei
“beni di proprietà intellettuale” e dei “beni infrastrutturali” che, combinandosi con le altre risorse
produttive dell’impresa, portano alla creazione di valore (Brooking)
c) il capitale intellettuale è collegato con la tecnologia, i cambiamenti tecnologici e tutto ciò che
concerne la gestione dei processi IT. Migliore è la capacità dell’impresa di utilizzare la tecnologia
per gestire le informazioni, migliore sarà la capacità della stessa di saper utilizzare il CI (Davenport
e Prusak)
d) il capitale intellettuale non è una cosa oggettiva, ma una questione di relazioni e un elemento che
viene preso in prestito da clienti e dipendenti, capace di rendere maggiormente produttiva
un’impresa (Edvinsson)
e) il capitale intellettuale è un “pacchetto di conoscenze utili” (conoscenze collettive, informazioni,
tecnologie, competenze, esperienze, proprietà, intellettuale, fedeltà dei clienti) che possono essere
utilizzate per creare valore. Il CI è la somma di tutto ciò che sanno gli individui in un’impresa e che
è in grado di conferire un vantaggio competitivo (Stewart)
f) il capitale intellettuale è l’insieme di tutte le risorse non finanziarie e non fisiche utilizzate da e
all’interno di un’impresa. Il CI è la conoscenza che può essere convertita in profitto (Sullivan)
g) il capitale intellettuale è il risultato dello sforzo collaborativo tra capitale umano e sociale
dell’impresa e la gestione della conoscenza (Rastogi)
h) il capitale intellettuale è qualcosa in grado di mobilitare altre “cose” quali dipendenti, dirigenti,
clienti, IT e conoscenza. Il CI non può esistere da solo in quanto esso fornisce semplicemente un
meccanismo attraverso il quale i diversi asset dell’impresa vengono riuniti insieme all’interno del
processo produttivo (Mouritsen et al.)

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

Nonostante le numerose definizioni, le si possono comprendere tutte entro 3 prospettive principali:


1) Prospettiva contabile: il CI viene definito come un insieme di elementi basati sulla conoscenza
e convertibili in profitto al fine di creare valore in grado di garantire il successo di un’impresa,
ovvero come tutte quelle immobilizzazioni non finanziarie che non hanno sostanza fisica e che
permettono all’impresa di creare valore ed avere un vantaggio competitivo (SP: immobilizzazioni
immateriali per vedere il CI dell’impresa).
2) Prospettiva finanziaria: il CI viene definito come la differenza tra il valore di mercato e il suo
valore contabile dell’impresa, derivante dal valore aggiunto creato da tutti gli asset che
contribuiscono alla produzione di un outcome intangibile e che sono così incorporati nello stesso e
quindi vanno valutati insieme (valore contabile= totale attivo – totale passivo SP).
3) Prospettiva economica: il CI è uno dei fattori produttivi impiegati dall’impresa con l’intento di
creare ricchezza (CE: costi della produzione; SP: immobilizzazioni estrapolo i fattori produttivi).
Possono essere fatte ulteriori classificazioni del CI considerando ad esempio il livello di analisi o
l’approccio temporale. Nel primo caso il CI viene considerato o come un elemento individuale,
simile alla conoscenza e alle abilità dei singoli individui (Ulrich pensa che sia costituito
dall’insieme dei dipendenti qualificati in un’impresa ed impegnati nel raggiungimento degli
obiettivi aziendali, quindi il CI è la competenza degli individui moltiplicata per l’impegno che essi
stessi mettono per perseguire gli obiettivi aziendali) o come un elemento collettivo (Rastogi lo
considera come la capacità collettiva dell’impresa di affrontare le sfide e saper cogliere le
opportunità). Nel secondo caso viene considerato o come qualcosa in grado di creare valore per il
futuro, o direttamente come una risorsa di valore.
In generale quindi il CI può essere visto o come un input nel processo di creazione di valore, o
come un processo di creazione di valore in sé, o come l’output dei processi di creazione di valore
dell’impresa.
Non esiste nemmeno una definizione universamente accettata delle componenti del capitale
intellettuale. Le 3 componenti principali sono:
1) Capitale Umano: persone che lavorano all’interno dell’organizzazione, con le loro capacità,
competenze, conoscenze, esperienze e motivazioni. Le qualità delle persone influiscono sulla
qualità della loro prestazione e quindi sui risultati d’impresa.
2) Capitale Strutturale: tutti i “magazzini non umani” della conoscenza disponibili all’interno
dell’organizzazione. Quindi il know-how d’impresa, i sistemi informativi, i database, le proprietà
intellettuali, le capacità d’innovazione, l’efficienza dei processi produttivi e di business e la capacità
strutturale di soddisfare e valorizzare le risorse umane. Il Capitale Strutturale a sua volta si divide
in: capitale tecnologico (combinazione di conoscenze organizzative connesse allo sviluppo delle
attività e delle funzioni del sistema tecnico dell’organizzazione, quindi investimenti in R&S,
infrastrutture tecnologiche, proprietà intellettuali ed industriali) e capitale organizzativo
(combinazione di attività immateriali e coesione tra attività a processi aziendali, quindi cultura,
valori, atteggiamenti, struttura organizzativa).
3) Capitale Relazionale: patrimonio di conoscenze sviluppatosi dalle interazioni dell’impresa con
i suoi stakeholder. Questo capitale, a differenza degli altri due, non fa parte solo dell’impresa ma è
al contempo interno ed esterno ad essa. È legato al concetto di fiducia ed influenzato dal grado di
soddisfazione della clientela, l’immagine aziendale e la forza del marchio.
Prendendo ad esempio l’università di Tor Vergata, dipartimento economia, abbiamo che il Capitale
Umano è formato dagli studenti, i professori, il personale amministrativo; il Capitale Strutturale è

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

formato dall’offerta formativa, il know-how codificato, il Delphi; il Capitale Relazionale è formato


dalle relazioni con aziende partner.
Tali capitali si combinano influendo sulla performance aziendale. Infatti l’insieme delle conoscenze
individuali (Capitale Umano) viene codificato ed istituzionalizzato rendendo esplicite e disponibili
tali conoscenze all’impresa (Capitale Strutturale), e questo contribuisce a rendere fluido lo scambio
di conoscenza con gli stakeholders (Capitale Relazionale).
Una volta identificate le componenti del CI, bisogna valutarle per capire quanto influiscono nel
processo di creazione del valore. Per valutarle bisogna misurarle, e la misurazione risulta
particolarmente complicata poiché i sistemi tradizionali sono inefficienti in quanto in grado di
misurare solo elementi tangibili dell’impresa (es. materie prime). Infatti per gli asset intangibili sia
il metodo del costo storico che quello del costo di sostituzione risultano inefficienti.
Ad oggi sono numerosi gli strumenti per misurare il CI, e le metodologie di misurazione possono
essere classificate in 4 gruppi:
1) Direct Intellectual Capital Methods (DIC). Ne fanno parte tutti i metodi di misurazione che
fanno una valutazione monetaria delle componenti del CI valutandole sia in maniera individuale sia
in modo aggregato.
2) Market Capitalization Methods (MCM). Ne fanno parte tutti i metodi che misurano il CI sulla
base della differenza tra il valore di mercato dell’impresa ed il suo valore contabile.
3) Return on Assets Methods (ROA). Ne fanno parte i metodi che misurano il CI confrontando i
rendimenti specifici sulle attività dell’impresa (ROA della singola impresa, calcolato dividendo
l’utile operativo per il totale delle sue attività) con quelli medi del settore. Questa differenza viene
poi divisa per il costo medio del capitale, al fine di determinare il valore degli asset intangibili.
4) Scorecard Methods (SC). Ne fanno parte tutti i metodi che misurano il CI misurando le diverse
componenti dello stesso e identificando specifici indicatori per ogni componente.
Tutte queste metodologie hanno ovviamente vantaggi e svantaggi. L’MCM ed il ROA sono utili
nelle fusioni ed acquisizioni aziendali, perché possono essere usati per fare analisi comparative tra
imprese operanti nello stesso settore. Il loro svantaggio è che generano informazioni superficiali
perché trasformano ogni grandezza in termini semplicemente monetari. Il DIC e l’SC permettono
invece di avere informazioni più precise delle condizioni di salute dell’impresa e sono facilmente
applicabili a qualsiasi tipo di azienda, e traducibili in report molto comprensibili. Lo svantaggio è
che venendo individuati indicato ad hoc, non è possibile usarli per confrontare organizzazioni anche
appartenente allo stesso settore.
All’interno di queste metodologie vi sono vari strumenti di misurazione del CI. Ad esempio:
a) Balance Scorecard (BS): sviluppata da Kaplan e Norton, è organizzata attorno a 4 aree
distintive di miglioramento, dette prospettive di analisi: finanziaria, cliente, interna,
apprendimento e crescita.
La prospettiva finanziaria riguarda le misure di performance finanziare che hanno il compito di
mostrare se le azioni attivate per il conseguimento dei fini strategici stanno contribuendo a un reale
miglioramento: essa esprime l’attrattività dell’impresa dal punto di vista degli azionisti, ovvero la
sua capacità di creare valore. La
prospettiva cliente riguarda l’identificazione dei clienti e dei segmenti di mercato in cui andrà a
competere l’impresa. Le misure di performance si basano sull’acquisizione, il mantenimento e la
soddisfazione del cliente, e sulla quota di mercato ottenuta nei segmenti di riferimento. La
prospettiva interna riguarda gli obiettivi da conseguire, riferiti ai processi aziendali critici per la

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

soddisfazione dei clienti e degli azionisti.


La prospettiva dell’apprendimento e crescita riguarda l’area più correlata al CI, ed identifica
l’infrastruttura che l’impresa deve saper costruire per realizzare una crescita di lungo periodo ed
uno sviluppo interno. Kaplan e Norton specificano che la gestione di quest’area dev’essere correlata
con le altre, al fine di allineare gli obiettivi strategici del capitale umano, quelli dell’IT ed il clima
aziendale.
Principale vantaggio della BS consiste nella possibilità di unire in un unico report gli elementi di
tutte le categorie (elementi utili sia agli azionisti, sia ai dipendenti, sia ai clienti).
La BS è un sistema di gestione strategico utilizzabile per supportare l’implementazione di una
strategia a lungo termine. Grazie alla BS si può fornire un quadro di riferimento per la definizione
degli obiettivi, per la pianificazione aziendale, per l’allocazione delle risorse, per le iniziative
strategiche e per l’apprendimento.
Tuttavia la BS è uno strumento altamente personalizzato, quindi ogni impresa che decide di
applicarla dovrebbe compilare un proprio insieme di indicatori specifici per il contesto in cui opera.
Inoltre essendo un sistema molto rigido, si corre il rischio di non considerare indicatori
fondamentali solo per il fatto che non sono riconducibili alle aree sopra indicate. Infine, dato che la
BS considera solo la prospettiva dell’apprendimento, essa tende a sottostimare la valorizzazione e
le conoscenze delle risorse umane insite all’interno dell’impresa.
b) Intangible Assets Monitor (IAM): proposta da Sveiby, oggetto del monitoraggio è la capacità
degli elementi tangibili e intangibili di contribuire a creare valore. L’analisi si concentra sugli asset
intangibili con riferimento al loro sviluppo, al grado di innovazione, all’efficienza con cui vengono
utilizzati e al grado di rischio/stabilità legato agli stessi. Sveiby individua 3 categorie di asset
intangibili che devono essere monitorati: competenze individuali dei dipendenti, struttura
interna (processi e tecnologie), struttura esterna (relazioni con clienti e fornitori). All’interno
di ogni categoria ci sono degli indicatori la cui scelta dipende dalla strategia aziendale adottata
dall’impresa e dallo scopo per cui si effettua la misurazione.

GLI ASSET INTANGIBILI SECONDO LO IAM

STRUTTURA STRUTTURA COMPETENZE


ESTERNA INTERNA
CRESCITA - tasso di crescita della - investimenti in IT - competence index
quota di mercato
- investimenti in - crescita media
- tasso di crescita processi di IT dell’esperienza
dovuto ad acquisizioni professionale
- anni di istruzione
- turnover delle
competenze
INNOVAZIONE - numero di clienti che - numero di clienti che - numero di clienti che
migliorano l’immagine migliorano la struttura contribuiscono allo
aziendale interna sviluppo delle
competenze

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

- vendite a nuovi clienti - rapporto tra nuovi


prodotti e servizi - differenza tra i sessi
- nuovi processi - costi di informazione
implementati
EFFICIENZA - profitto - % di staff - % di personale
amministrativo qualificato
- vendite x cliente
- effetto leva
- win/loss index
- valore aggiunto per
dipendente
STABILITA’/ - % di grandi clienti - value/attitude index - anzianità media
RISCHIO
- indice di fedeltà - età aziendale - turnover del personale
qualificato
- frequenza di ordini - turnover personale di
ripetuti supporto

Lo IAM mostra la sua utilità sia a fini gestionali sia come strumento per migliorare la
comunicazione dell’impresa verso l’esterno.
Al contempo però non considera le sinergie che intercorrono tra le categorie di asset identificati,
rendendo impossibile all’impresa la possibilità di identificare le interconnessioni tra le stesse e il
valore aggiunto che tali interconnessioni sono in grado di creare.
c) Skandia Navigator (SKN): nasce per l’esigenza di non riferirsi più solo alle informazioni
finanziarie passate ma anche ad informazioni che permettano di valutare il CI in ottica presente e
futura. È uno strumento sviluppato da una compagnia di assicurazioni svedese, lo Skandia, ed è
stato ripreso da Edvinsson e Malone. Secondo questo strumento, il valore di mercato di un’impresa
è dato dalla somma del capitale finanziario e del capitale intellettuale, che viene scomposto in
capitale umano e capitale strutturale, quest’ultimo a sua volta scomponibile in capitale cliente e
capitale organizzativo, quest’ultimo ancora scomponibile in capitale innovazione (capacità
dell’impresa di innovare processi e prodotti/servizi) e capitale processi (tutto ciò che attiene ai
processi interni dell’impresa). Secondo questo approccio si giunge dunque all’individuazione di 4
macro-categorie di CI: umano, cliente, processi, innovazione. Lo SKN nasce
con l’intento di: identificare e potenziare la visibilità e misurabilità degli asset intangibili; fornire un
metodo per l’acquisizione e distribuzione della conoscenza; capitalizzare e far crescere il valore
delle imprese attraverso il trasferimento ed il riutilizzo di conoscenza, esperienze, competenze ed
abilità. Lo SKN è molto
simile alla BS poiché anch’esso considera diverse aree di attenzione/miglioramento dell’impresa:
finanziaria, clienti, processo, innovazione e sviluppo, risorse umane. Il focus
finanziario e quello innovazione e sviluppo rappresentano, rispettivamente, la performance passata
e gli sviluppi futuri dell’impresa. Il focus
cliente ha come obiettivo l’analisi del rapporto con i clienti attuali e potenziali. Il
focus sui processi monitora come l’impresa utilizza e sfrutta le sue tecnologie.
Il focus risorse umane, posto al centro dello SKN, indica come queste svolgano un ruolo
fondamentale per l’esistenza ed il funzionamento di tutte le altre categorie del CI.
Lo SKN è uno strumento molto utile per gestire il CI poiché gli indicatori contenuti all’interno di
ciascun focus evidenziano la composizione e le caratteristiche qualitative di ogni area, permettendo
al management di identificare precisamente gli aspetti da modificare per massimizzare la
performance di impresa. Anche

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

con questo strumento però le sinergie tra le diverse componenti non vengono considerate nel loro
complesso.

Di pari passo con l’importanza crescente assunta dagli asset intangibili, è andata crescendo la
necessità di divulgare le informazioni inerenti al CI e di renderle disponibili a tutti i soggetti
interessati. Urgono quindi strumenti di comunicazione. Il reporting ha funzione interna ed esterna:
la prima riguarda il controllo strategico e la contabilità interna, ed interessa il management
aziendale; la seconda riguarda la contabilità esterna e la relazione con gli altri soggetti, quindi
interessa gli azionisti e gli stakeholder. L’importanza della
comunicazione è stata riconosciuta non solo dalle imprese ma anche dall’UE che ha finanziato il
progetto MERITUM il cui obiettivo era quello di definire le linee guida utili alla misurazione e
classificazione degli elementi intangibili, per migliorare le decisioni di governance. L’interesse nei
confronti degli strumenti di comunicazione è cresciuto a tal punto dal diventare un filone di ricerca
nel mondo accademico, dove si parla di Intellectual Capital Disclosure (ICD). Filone che si riferisce
alla divulgazione di informazioni sul CI attraverso un report ad hoc da accompagnare ai bilanci
tradizionali e teso a soddisfare le esigenze degli stakeholder. La possibilità di riportare fedelmente il
valore aggiunto creato dagli asset intangibili permette di avere una rappresentazione più veritiera
della situazione d’impresa. Trasmettere informazioni sul proprio CI anche all’esterno potrebbe però
avere anche effetti negativi, perché l’impresa in questione perderebbe il vantaggio competitivo e si
abbasserebbe la qualità delle performance. Come gli strumenti di misurazione,
anche quelli di comunicazione sono stati sviluppati in metodi diversi a seconda dei destinatari, cioè
soggetti interni o esterni all’impresa. Uno degli strumenti più utilizzati
è il bilancio degli intangibili, che è la contropartita del bilancio annualmente redatto da ogni
impresa. Questo bilancio permette di determinare in modo più veloce e puntuale gli sviluppi futuri
dell’impresa, e le informazioni insite sono utili sia per gli stakeholder, sia per il management, sia
per il personale d’impresa, poiché permettono di comprendere meglio l’esistenza di una coerenza
tra asset intangibili e strategie adottate. Le finalità principali del bilancio del CI sono:
- individuare e valutare gli elementi intangibili più rilevanti per l’azienda ai fini della creazione del
valore
- riportare in maniera sistematica le informazioni sugli intangibili dell’impresa a fine esercizio, le
loro variazioni rispetto all’esercizio precedente e la misura della creazione o distruzione di valore
del CI
- comunicare con gli stakeholder in maniera trasparente, migliorando immagine e reputazione
aziendale
- cogliere in anticipo le possibili evoluzioni future dell’impresa ed indicare tempestivamente
eventuali segnali di crisi o punti di debolezza

Sulla base del livello di estensione e completezza delle informazioni fornite con la loro
comunicazione esterna, l’AIAF suddivide le società in 3 gruppi, attribuendo a quelle che redigono il
bilancio degli intangibili il livello maggiore sia in termini di estensione sia in termini di
completezza della comunicazione esterna fornita.

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

Il KMMM consente di avere una valutazione obiettiva del livello delle attività di KM in un’impresa
e fornisce preziose informazioni sulle azioni che l’impresa dovrebbe compiere per raggiungere un
livello di maturità superiore. Lo strumento non dà indicazioni sul tempo necessario per passare da
un livello di maturità ad un altro.

5° Capitolo: scambi di conoscenze nei rapporti inter-sistemici

I processi di gestione della conoscenza non si esauriscono all’interno dei confini d’impresa ma
riguardano anche gli scambi cognitivi che la stessa instaura con soggetti appartenenti all’ambiente
esterno.
Il trasferimento di conoscenza tra due entità distinte è un processo intenzionale, dinamico e
orientato all’interazione tra le parti, durante il quale la conoscenza viene trasferita da un’entità ad
un’altra con l’obiettivo di aumentare le competenze e le esperienze delle parti.
Il processo è condotto attraverso fasi temporali ben definite.
Szulanski individua 4 fasi del processo di trasferimento:
1) Start-up. Nella fase d’avvio del trasferimento della conoscenza, le difficoltà sono quelle di
riconoscere le opportunità stesse del trasferimento. Una volta individuate, viene analizzata la loro
fattibilità.
2) Implementazione. Presa la decisione di trasferire le conoscenze, l’attenzione si sposta sullo
scambio di risorse e informazioni tra i soggetti coinvolti. Bisogna pianificare bene per prevenire i
problemi ed eventuali difficoltà nel trasferimento. I problemi in questa fase possono essere ad
esempio la non possibilità di colmare il divario tecnico e comunicativo tra le parti.

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

3) Rump-up. Una volta che il destinatario inizia ad usare le conoscenze trasferite, la


preoccupazione si sposta sulla risoluzione di problemi imprevisti che possono nascere per il diverso
contesto in cui viene inserita la conoscenza. Se i problemi diventano numerosi e gravi, bisogna
attivare meccanismi aggiuntivi di trasferimento di conoscenze.
4) Integrazione. Una volta che il destinatario ottiene risultati soddisfacenti, l’uso delle nuove
conoscenze viene progressivamente istituzionalizzato all’interno dell’impresa. In questa fase tutto
dipende da come si superano le resistente interne al cambiamento.
Il processo di trasferimento oltre a queste fasi presuppone la presenza di determinati elementi quali:
gli attori coinvolti (fonti, destinatari e intermediari), l’oggetto di scambio (la conoscenza), le
modalità di trasmissione della conoscenza ed il contesto di riferimento. Ognuno di questi elementi
è fondamentale nel capire come avverrà lo scambio di conoscenze: essi permettono di analizzare gli
ostacoli al trasferimento della conoscenza, tipo i costi (vischiosità).
Gli attori coinvolti nel processo di trasferimento della conoscenza vengono chiamati fonte e
destinatario. A volte a questi due si aggiunge un intermediario che fa da facilitatore e supporta il
processo di trasferimento.
La fonte è l’attore che ha capacità di trasferire le sue conoscenze, e deve avere adeguate
competenze tecnologiche, organizzative e culturali.
Il destinatario è l’attore alla ricerca di risorse cognitive per risolvere i problemi, e quindi deve
avere elevata capacità di assorbimento ed elevato apprendimento organizzativo. La prima è vista
come un processo di accumulazione di conoscenza ed implica la capacità di conoscere, assimilare
ed utilizzare tali conoscenze al fine di avere un vantaggio competitivo. La seconda si riferisce al
processo che permette all’impresa di acquisire conoscenze e competenze e di trasformarle in routine
organizzative. Affinché fonte e destinatario possano scambiarsi conoscenza tra loro è fondamentale
che occorra una relazione intensa (frequenza dei contatti tra le parti) e duratura (longevità della
relazione in termini di tempo) di fiducia (fattore critico per far funzionare una relazione). Secondo
Roberts esistono due tipologie di fiducia: 1) la hard trust, ovvero la fiducia fondata sui meccanismi
di tipo contrattuale e legata alla presenza di istituzioni che svolgono una funzione di controllo e
garanzia; 2) la soft trust, ossia la fiducia basata su strutture di tipo sociale e culturale e sulle
relazioni interpersonali.
Inoltre nella relazione tra fonte e destinatario possono intercorrere varie “distanze” tra essi, e
all’aumentare di ogni distanza aumenta la difficoltà di trasferimento delle conoscenze. Abbiamo:
a) Distanza organizzativa: si riferisce alle modalità di organizzazione attraverso cui fonte e
destinatario realizzano il trasferimento (es. contratti occasionali, collaborazioni, alleanze
strategiche, acquisizioni). Quando questa distanza è minima (come nel caso di catene, federazioni,
reti) il trasferimento avviene in maniera più efficace.
b) Distanza fisica: legata alla difficoltà, al tempo ed al costo della comunicazione tra le parti.
c) Distanza cognitiva: si riferisce al grado di conoscenze simili di fonte e destinatario. L’efficacia
del trasferimento cognitiva aumenta quando l’oggetto del trasferimento è assimilabile a qualcosa di
già conosciuto dal destinatario.
d) Distanza di interessi: quando c’è dissonanza tra le finalità perseguite da fonte e destinatario.
e) Distanza culturale: influenza il costo di ingresso, ostacola la capacità dell’impresa di trasferire
conoscenze, aumenta le difficoltà operative derivanti dalla non comprensione delle norme e dei
valori condivisi dalle parti.
f) Distanza normativa: misura in cui le parti condividono le stesse norme sociali (regole di
condotta dei membri).

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

L’intermediario è un attore che può essere coinvolto o meno nel processo di trasferimento della
conoscenza e funge da facilitatore tra le parti. Essi possono essere sia individui (consulenti e
agenti), sia organizzazioni (agenzie ed istituzioni) che collegano le parti consentendo il
trasferimento e l’integrazione di nuove conoscenze. In alcuni casi può essere sostituito o affiancato
da una figura interna all’impresa, il gatekeeper, che fa da filtro tra l’interno e l’esterno della stessa.
Con l’avvento di internet si è discusso della possibilità che la figura dell’intermediario sparisca,
essendo possibile tramite il web scambiare le informazioni e le conoscenze: in realtà sono nate
nuove forme di intermediazione come gli informediari (che raccolgono dati relativi agli utilizzatori
di internet) ed i cybermediari (che riproducono servizi di intermediazione sul web).

La conoscenza ha numerose proprietà, le quali possono influenzare il processo di trasferimento


cognitivo:
1) è una risorsa che con l’uso non si consuma ma si accresce (risorsa illimitata)
2) è moltiplicabile mediante il trasferimento (chi la trasferisce la mantiene, chi la riceve la assume)
3) può essere esplicita (più facilmente trasferibile) o tacita (più difficilmente trasferibile)
4) è complessa e la sua complessità aumenta all’aumentare del numero di informazioni, di
esperienze e di interdipendenze che la compongono
5) è specifica, cioè si riferisce al grado con cui una determinata conoscenza è legata a un contesto
specifico
6) ha un’ambiguità causale, è difficile trasferirla se nella stessa è presente una forte componente di
incertezza che emerge come effetto della compresenza di tacitezza, specificità e complessità
7) è osservabile, la si può assumere tramite l’osservazione
8) diventa obsoleta molto velocemente sia a cause di forze esterne (es. nuove scoperte scientifiche)
sia di forze interne (es. introduzione di nuove tecnologie)
Se la conoscenza, con le sue caratteristiche, può essere oggetto di trasferimento tra soggetti, ciò
implica l’esistenza di “mercati della conoscenza” dove lo scambio è simile ad una transazione
economica tra le parti di fonte e destinatario. La conoscenza è trasferibile a pagamento (es. corsi di
formazione, cessioni di licenza) o gratuitamente o tramite contropartita non monetaria. In
generale, le conoscenze possono essere trasferite spostando le persone, le tecnologie o le strutture
della fonte verso il destinatario, oppure attuando un processo di trasformazione delle persone, delle
tecnologie o delle strutture presenti nell’organizzazione che riceve nuova conoscenza (es. attività di
formazione del personale, di sviluppo delle tecnologie, di cambiamento strutturale). I meccanismi
di trasmissione sono tanti e possono riguardare il processo (es. dimostrazioni di laboratorio, visite,
presentazioni aziendali), l’organizzazione (es. consorzi, alleanze strategiche, acquisizioni, o
l’output (es. trasferimento della proprietà intellettuale, brevetti), e possono basarsi sulle tecnologie
(es. forum online, blog, intranet), sull’interazione personale (comunità di pratica, coaching,
tutoraggio) o essere incorporati nei processi di gestione quotidiana dell’impresa.
Gli scambi di conoscenza sono sempre collocati in un contesto di riferimento, le cui caratteristiche
possono influenzarne l’inizio, l’evoluzione ed il successo. Lo stesso trasferimento può svolgersi
efficacemente in un determinato contesto e non efficacemente in altri. Il contesto può condizionare
pure il funzionamento delle operazioni, poiché influenza la volontà e la capacità degli attori di
completare le attività pianificate. Nel caso di trasferimento inter-organizzativo, le considerazioni sul
contesto devono tenere conto di fattori interni ed esterni. Szulanski

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

definisce “contesti fertili” qui contesti organizzativi che facilitano i processi di trasferimento delle
conoscenze e che quindi sono caratterizzati da sistemi formali, fonti di coordinamento e
competenza ed una struttura tale da garantire minori sforzi in fase di avvio e maggiori chance di
successo del trasferimento stesso.
Affinché la circolazione delle informazioni e delle conoscenze tra gli individui avvenga più
facilmente, bisogna prendere in considerazione i diversi meccanismi di coordinamento che possono
essere posti in essere dalle e tra le parti.
Emergono i concetti di mercato, gerarchia e rete.
Il mercato è un efficace meccanismo di coordinamento se si può replicare l’uso della conoscenza
trasferita senza dover stabilire un rapporto continuativo tra fonte e destinatario. Ciò accade quando
la conoscenza è perfettamente esplicita oppure quando la spesa per ottenerla è irrisoria. La
gerarchia è un meccanismo che consente di mantenere il controllo proprietario della conoscenza
oggetto del trasferimento all’interno dell’azienda da parte della fonte, e di coordinare e determinare
l’uso che può farne il destinatario. La rete
è una forma intermedia di coordinamento tra mercato e gerarchia, rappresenta un meccanismo di
coordinamento adatto a favorire forme di condivisione e scambio della conoscenza e può essere
inteso come un sistema attraverso cui la conoscenza si propaga e rigenera. In questo contesto, per
rete s’intendono tutti quei casi in cui s’instaura una relazione di interdipendenza tra soggetti (es.
distretti, filiere, comunità, social network, etc.). Nella rete le parti non sciolgono mai la relazione
ma la gestiscono poiché permette scambi cognitivi agevoli, affidabili e profittevoli. I soggetti che
ne fanno parte diventano più “intelligenti” perché accedono tramite alla rete alle conoscenze altrui.
L’aspetto negativo della rete è legato all’indebolimento da parte del controllo proprietario di
un’impresa immessa nella rete, il che porta a difficoltà nel mantenere il proprio vantaggio
competitivo. Proprio per questo la rete si basa sul concetto di fiducia e presuppone l’assenza di
conflitti di interessi tra le imprese facenti parte. Così
concepite, le reti hanno più chance di diffondersi in contesti territoriali locali dove vi sono rapporti
di fiducia, interessi comuni, pochi costi di transazione, poca asimmetria informativa e minime
distanze tra i soggetti coinvolti. Questo ha portato alla nascita dei concetti di Knowledge
Management territoriale e learning region. Il primo è un sistema di gestione della conoscenza che
mira a valorizzare l’innovazione, la competitività e lo sviluppo economico di reti di imprese,
localizzate in uno specifico territorio, caratterizzate dalla condivisione di informazioni e know-how
attraverso processi di apprendimento interattivo e di facilitazione dell’acquisizione di conoscenza
dall’esterno. Quando si verifica ciò, la regione su cui insistono gli attori della rete è chiamata
learning region, ed è lo sviluppo finale di un distretto industriale in grado di avviare un’evoluzione
continua basata su processi di apprendimento, adattamento ed innovazione.
Una rete non potrà mai comportarsi come un’isola, ma dovrà relazionarsi al suo esterno con altre
reti od altri attori, attivando ulteriori scambi cognitivi inter-sistemici.

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

6° Capitolo: L’impresa time-knowledge based

La conoscenza da sola non basta per la competitività delle imprese, così entra in gioco il fattore
tempo. Tempo e conoscenza sono tra loro in rapporto biunivoco e si alimentano reciprocamente di
cultura. Le dinamiche temporali sono importanti per la risoluzione di problemi riguardanti il
governo d’impresa, ed influenzano le dinamiche cognitive ponendosi alla base della strutturazione
dei comportamenti d’impresa sia dal punto di vista strategico sia dal punto di vista operativo.
Il legame tempo-conoscenza è da attenzionare sia per la creazione che per la valorizzazione della
conoscenza. Se ben gestito, questo binomio rafforza la consapevolezza di cosa l’impresa <<sa
fare>>, orientandola verso ciò che <<potrebbe>> fare in rapporto all’evoluzione dell’ambiente e
della società. Da qui l’importanza di una Time Based Competitive Knowledge (conoscenza
competitiva basata sul tempo), in cui velocità e rapidità sono i fattori competitivi.
La coscienza del tempo e la competenza personale consentono di minimizzare i tempi di
apprendimento dal contesto, di essere puntuali nell’apprendimento e di tradurre il sapere
accumulato in progetti innovativi realistici perché attuati al tempo giusto, rispondenti cioè alle
pressioni interne ed esterne organizzative. In questo modo l’impresa crea valore economico.
Quindi c’è un nesso che lega tempo e conoscenza ai fini della creazione di valore economico,
sintetizzabile nel binomio tempo-conoscenza. È un legame che si manifesta nell’apprendimento,
utile per indirizzare l’evoluzione dell’organizzazione in rapporto dialettico sincronizzato con la
variabilità dell’ambiente (coevoluzione impresa-ambiente). Questa impostazione assume
un’interpretazione soggettiva o qualitativa del tempo (considera i caratteri di storicità, socio
culturali; il tempo è considerato come soggettivamente percepito, concezione relativistica
einsteniana; il tempo è un flusso vissuto presente nella mente di chi lo percepisce ed interpreta;
indispensabile per orientare l’evoluzione di impresa) ma anche un’interpretazione oggettiva o
quantitativa (considera il tempo come meccanicistico, carattere fisico-matematico, tempo
oggettivamente dato, concezione newtoniana; il tempo è un flusso oggettivo, lineare a progressione
costante, che segue le regole del moto meccanico ed è percepibile ed interpretabile univocamente;
indispensabile per ordinare le attività ed i processi di impresa). Caratteri socio-culturali e caratteri
meccanicistici s’intrecciano perché il tempo è dato sia da una successione matematica di unità
temporali razionalmente ed univocamente concepita, sia una successione di esperienze alla cui base
è la conoscenza. Nelle discipline d’azienda il tempo è stato finora considerato come oggettivo, e
questa prospettiva è alla base della time base competition. Tuttavia non si può considerare solo la
prospettiva oggettiva poiché essa è limitante per le esigenze dell’impresa, quindi serve affiancarvi
una prospettiva soggettiva, che permette di giungere al nesso che lega tempo e conoscenza.
Unendo il tempo oggettivo e soggettivo alla conoscenza aziendale si giunge al binomio tempo-
conoscenza, detto anche tempo co-evolutivo. Il tempo co-evolutivo è espressione del rapporto
dialettico tra valori culturali diversi all’interno dell’organizzazione; è la conoscenza che si sviluppa
nel tempo e col tempo. Il tempo non si configura più come semplice flusso continuo da usare solo
come unità di misura, ma diventa tempo “vissuto”, che “vive” il cambiamento, tempo
dell’esperienza interiore. In ottica di KM, nell’adattamento dell’impresa

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

all’ambiente il dualismo tra prospettiva oggettiva e soggettiva perde di significato: per esigenze di
ordine, regolarità e rapidità dei processi operativi, prevale la necessità di gestire il tempo nel
quotidiano, affidandosi a schemi culturali meccanicistici per razionalizzare le conoscenze interne
all’impresa. Il tempo co-evolutivo è quindi
un tempo che comprende entrambe le prospettive. Dalla soggettiva scaturisce l’accezione di tempo
socio-culturale, inteso come conoscenza alla base del rapporto dialettico impresa-ambiente, ed
interessa maggiormente l’apprendimento generativo. Dalla oggettiva si ricava l’accezione di tempo
meccanicistico, inteso come forma di ordinamento dei processi operativi, ed interessa
prevalentemente l’apprendimento adattivo. Queste due prospettive devono coesistere.
Il tempo è uno dei più preziosi strumenti di orientamento dell’umanità, e comprende queste due
prospettive che sono inscindibili e sono prodotto del bisogno di socializzazione e razionalizzazione.
Il tempo è utilizzato dagli individui per porsi a sé stessi e nei confronti degli altri.
Il tempo socio-culturale è un regolatore di riferimento per individui, gruppi ed imprese.
I tempi sociali sono connessi al tempo socio-culturale, ed indicano la percezione qualitativa del
tempo degli individui e delle imprese.
Con la espressione “interpretazione del tempo” si indica il processo che conduce individui, gruppi
ed imprese a prendere coscienza del tempo, ovvero come viene percepito e misurato il tempo in
relazione ai problemi da affrontare. Parallelamente, studiare il tempo vuol dire studiare gli uomini
all’interno dei contesti a cui appartengono.
L’impresa, nel percepire ed interpretare i segnali provenienti dal contesto e nel prendere le
conseguenti decisioni su obiettivi di sviluppo, incentra l’attenzione sul percorso d’azione intrapreso
e sulle conoscenze che lo sostengono, rappresentandolo sullo sfondo della sua co-evoluzione con i
molteplici tempi sociali. L’interpretazione del tempo ed i molteplici tempi sociali portano l’impresa
ad una time idea entro quale si muove. L’interpretazione del tempo porta ad una forma di
conoscenza, ossia di scambio di segnali percepiti, che arricchiscono le esperienze
dell’organizzazione. Essa è legata al concetto di indeterminatezza del futuro, cioè d’incertezza.
Per l’impresa dunque interpretare il tempo vuol dire prefigurare le premesse per la definizione dei
corsi d’azione rilevanti e ridurre gli effetti di una perdita di valore inevitabile di dette premesse e di
dette azioni. Le premesse possono riguardare le regole di comportamento, i principi etici, il sistema
di valori ed idee, le alternative di sviluppo di lungo periodo. Tutti aspetti che possono implicare
importanti interventi di management.
La concezione evolutiva di apprendimento organizzativo fa porre l’attenzione sul fatto che
conoscenza, tempestività (velocità di apprendimento) e tempismo (tempo giusto per agire), se
integrati, costituiscono presupposto fondamentale per attuare dinamiche cognitive generatrici di
valore, perché frutto di una costante dialettica con i contesti di riferimento.
In ottica di rapporto tra apprendimento e vantaggio competitivo, la sintesi del legame tra tempo e
conoscenza è costituita dalla time based competitive knowledge, un approccio culturale che
enfatizza la gestione di tempo e conoscenza nella strategia. Tutti gli sforzi in termini di tempo sono
volti a migliorare la capacità di sincronizzazione dell’impresa alla variabilità ambientale per la
creazione di vantaggi competitivi duraturi, capaci di generare valore economico nel tempo. Alla
base di questo approccio è fondamentale il passaggio dalla prospettiva temporale fondata sulla
velocità dell’impresa per la creazione di vantaggi competitivi (time based competition) alla
prospettiva temporale basata sul cambiamento tramite tempestività e tempismo nei processi di
creazione e attuazione delle conoscenze per il vantaggio competitivo (time based competitive
knowledge). Conoscenze adeguate nel tempo e col tempo producono differenziazione e quindi sono
fonte di vantaggio competitivo. Il tempo in questo caso è il fattore che valorizza il patrimonio di
conoscenze dell’impresa: nessuna conoscenza, competenza ed azione vale al di fuori del loro
tempo. Solo combinando tempo e conoscenza derivano azioni sensate in contesti di incertezza. La
valorizzazione del patrimonio di conoscenza delle imprese può risolvere varie problematiche:

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

a) lo sviluppo di nuove conoscenze richiede tempi lunghi


b) l’appropriazione o l’imitazione delle idee altrui richiede tempi lunghi
c) la conoscenza, per condurre ad azioni di successo, dev’essere condivisa all’interno ed all’esterno
dell’impresa, e questo avviene tramite processi non semplici e che richiedono tempi lunghi
d) la conoscenza perde validità col passare del tempo perché il contesto cambia continuamente e
velocemente, quindi dev’essere sfruttata rapidamente dalle organizzazioni
A fronte di tali problemi, il tempo può esplicare la sua funzione valorizzatrice in 4 fasi:
a) quella dello sviluppo tempestivo e al momento giusto di nuove conoscenze o della tempestività
nell’appropriazione di idee altrui
b) quella della condivisione tempestiva della conoscenza per generare nuove capacità ed azioni
c) quella dell’attuazione tempestiva e al tempo giusto (tempo in cui è massima la conoscenza di
ambienti, eventi ed effetti) della conoscenza in azioni concrete
d) quella dell’ottimizzazione del patrimonio di conoscenze dell’impresa attraverso una tempestiva
ricerca che consente di applicare forme di conoscenze alternative
Quindi emerge il concetto che per migliorare il rendimento della conoscenza mediante il tempo non
basta solo la rapidità, ma è necessario apprendere con tempestività (rapidamente) e con tempismo
(al tempo giusto) per agire al tempo giusto (in cui la conoscenza di eventi ed effetti è massima).
Altrimenti si rischia di elaborare progetti anacronistici e non compatibili con la situazione interna
dell’impresa. Quindi la sola velocità senza un’adeguata sincronizzazione alla variabilità ambientale
può addirittura distruggere valore.
L’interazione tempo-conoscenza valorizza la dimensione cognitiva dell’impresa ed influenza la sua
dinamica evolutiva, favorendo (od ostacolando) lo sviluppo e la mobilitazione tempestiva e
tempistica del potenziale di competenze organizzative. Quindi il tempo è un importante
catalizzatore di cambiamenti (li incoraggia), sincronizzati alla variabilità ambientale e combinati
con le dinamiche delle persone e delle strutture. A questa funzione si uniscono le sue potenzialità
co-evolutive (potenziale ruolo nella formazione di un orientamento culturale alla coevoluzione
impresa-ambiente), aspetto fondamentale per la creazione e valorizzazione della conoscenza
organizzativa. La dinamica co-evolutiva si poggia sulla dialettica tra tempi esterni ed interni, la
quale permette di apprendere e sfruttare le conoscenze necessarie per attivare progetti evolutivi.
Fondamentale qui è l’orizzonte temporale entro cui si svolge l’azione. Nella coevoluzione inoltre
tutti i processi di impresa sono irreversibili ed interconnessi tra loro, ma tutto è differenziato a causa
del tempo e tutto cambia per cumulatività. Il tempo si modifica a causa del progresso ed il suo
trascorrere comporta accumulazione di conoscenze determinando l’evoluzione delle organizzazioni.
Le imprese gestendo il tempo determinano ulteriori evoluzioni del modo di intenderlo e appunto
gestirlo. Quindi non solo l’evoluzione dell’organizzazione si svolge nel tempo, ma è il tempo
stesso ad essere oggetto-causa di evoluzione.
Il tempo rispetto all’organizzazione è pervasivo, influenza in modo sistematico, integrato e
sinergico persone, strutture e processi su cui si svolge il suo divenire. La coscienza del tempo
condiziona l’apprendimento organizzativo, provocando accelerazioni, arresti, ritardi, invalidazioni.
L’impresa deve interfacciarsi con dei tempi imposti (es. tempi di attesa dei consumatori, tempi di
operatività dei fornitori, orari di lavoro) e ricercare la miglior sincronizzazione possibile tra loro.
Ne scaturisce il concetto di “condizionamento del tempo”, che richiede al management di risolvere
problemi di coerenza temporale al fine di attuare dinamiche cognitive generatrici di valore. Il

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

condizionamento del tempo si esplica sul fronte interno e sul fronte interno/esterno. Sul fronte
interno, il tempo coinvolge tutte le relazioni tra persone e strutture d’impresa, e ne consegue una
forma di ordinamento e coordinamento intersoggettivo che può portare un indebolimento o
rafforzamento tempestivo e tempistico delle competenze organizzative. Sul fronte interno/esterno, il
tempo coinvolge le reazioni dell’impresa con l’ambiente esterno, e ne consegue una forma di
ordinamento della dinamica evolutiva dell’impresa che fa evolvere le competenze in rapporto
sincronico con la variabilità ambientale. In definitiva, nell’organizzazione tutto è complicato da
situazioni di interdipendenza temporale tra eventi, decisioni, azioni e risultati. Individuate le
influenze possibili del tempo, si passa alle modalità (come) e all’entità (in che misura) con cui il
tempo esercita le proprie influenze. Le modalità si esplicano in virtù delle dinamiche di interazione
tempo-conoscenza, le entità dipendono dagli effetti di tale interazioni e dalle modifiche della
conoscenza organizzativa. L’influenza del
tempo co-evolutivo sul patrimonio di conoscenze si traduce in tempestivi e tempistici processi di
apprendimento dell’impresa. Apprendere vuol dire sviluppare nuove conoscenze nel tempo. Quindi
il tempo è una dimensione intrinseca dell’apprendimento, ma se si considera il tempo co-evolutivo,
esso ha in sé l’apprendimento ma è arricchito dai valori di tempestività e tempismo.
Il tempo può influenzare sia l’apprendimento generativo sia l’apprendimento adattivo.
Nell’apprendimento generativo (che modifica il “saper essere” dell’organizzazione e determina un
riorientamento della strategia), il tempo co-evolutivo influenza le dinamiche generatrici di nuova
conoscenza: è il tempo “vissuto” che attraverso i suoi flussi informativi, orientativi e valorizzativi,
promuove nell’impresa lo sviluppo di nuove conoscenze in rapporto alla variabilità dei contesti
interni ed esterni, e ne favorisce la condivisione all’interno. Quindi fa sì che si sviluppi un sapere
(“saper essere”) che metta l’organizzazione nelle condizioni culturali utili per correggere con
tempismo e tempestività eventuali errori nelle linee guida delle imprese e nella sua evoluzione.
La interazione tempo-apprendimento generativo, se ben governata, può portare ad una evoluzione
tempestiva e tempistica delle competenze organizzative.
Nell’apprendimento adattivo (che modifica il “saper fare” dell’organizzazione), il tempo co-
evolutivo sviluppa un sapere che mette l’organizzazione nella condizione di migliorare
tempestivamente e tempisticamente il proprio assetto conoscitivo adattivo, in risposta o anticipo a
stimoli interni o esterni. Consente di intervenire sulle strutture, sulle persone e sui processi esistenti.
La interazione tempo-apprendimento adattivo porta ad un rafforzamento tempestivo e tempistico
delle competenze organizzative, il che permette di gestire meglio i processi operativi.
Quindi nell’apprendimento generativo è rilevante la prospettiva socio-culturale del tempo, perché
consente di cogliere meglio gli aspetti di indeterminatezza presenti nella ridefinizione della
conoscenza di impresa; nell’apprendimento adattivo prevale l’esigenza di considerare gli aspetti di
determinatezza, in una prospettiva più meccanicistica del tempo. Queste due prospettive creano un
binomio osmotico nella competitività dell’impresa.
Nell’impresa, progettare il tempo vuol dire costruire una prospettiva temporale entro la quale
collocare le sue evoluzioni e l’apprendimento. Prospettiva temporale che è importante nel rapporto
coevolutivo impresa-ambiente, perché oltre a “come” intervenire è importante “quando”
intervenire. Il problema del “quando” è da intendersi come un problema di coscienza del tempo, la
quale favorisce l’apprendimento tempestivo e tempistico consentendo all’impresa di rispondere alla
variabilità ambientale. La prospettiva temporale si forma dunque sulla base dell’apprendimento,
costituisce un “contesto” che favorisce l’apprendimento adeguato nel tempo e col tempo, necessario
per sostenere l’evoluzione dell’impresa. Questa è soggetta a modifiche nel tempo in virtù della
dialettica tra apprendimento e disapprendimento su cui poggia ogni evoluzione d’impresa.
L’interpretazione del tempo è legata all’indeterminatezza del futuro (campo delle possibilità), la
prospettiva temporale è legata alla determinatezza del passato (esperienze vissute) e del presente
(azioni in atto). Quindi apprendere entro una prospettiva temporale vuol dire individuare le

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)


lOMoARcPSD|2605986

soluzioni migliori ai problemi d’impresa. Collocare l’apprendimento entro una prospettiva


temporale spiega come le competenze organizzative utili per il vantaggio competitivo possono
risultare dall’integrazione delle conoscenze interne ed esterne all’impresa. La
prospettiva temporale orienta l’apprendimento organizzativo nel presente partendo dal futuro,
perché permette di percepire la continuità e l’integrazione degli avvenimenti nel tempo. Sulla base
di ciò si possono selezionare idee, conoscenze ed esperienze implementabili nell’impresa. Nel
tempo l’impresa forma un proprio patrimonio di conoscenze che può utilizzare in un determinato
contesto ed in un determinato tempo, orizzonte temporale compatibile con la stabilità degli eventi
ipotizzati. Ne scaturisce che la capacità di apprendere varia da impresa a impresa in funzione della
diversa attenzione posta dalla prospettiva temporale su presente, passato o futuro. È necessario
assumere una prospettiva temporale orientata al futuro e sviluppare una forte competenza
temporale: condizione fondamentale per generare conoscenze traducibili in progetti evolutivi
realistici. In effetti l’organizzazione al presente è legata sia al suo futuro sia al suo passato.
Dall’analisi dei caratteri della prospettiva temporale ne emerge rafforzato il suo ruolo di
orientamento dell’apprendimento organizzativo. Caratteristiche sono:
a) l’atteggiamento verso il tempo, correlato al grado di attivazione comportamentale dei
partecipanti ai progetti di impresa. A seconda del grado di attivazione, l’atteggiamento verso il
tempo può essere attendistico, anticipatorio o propositivo
b) la direzione della prospettiva temporale, ovvero l’orientamento della prospettiva, rivolta al
passato, presente o futuro
c) la densità della prospettiva temporale, derivante dal numero di eventi motivanti in essa presenti
d) l’estensione della prospettiva temporale
e) la coerenza della prospettiva temporale, cioè il grado di organizzazione degli eventi rispetto agli
obiettivi
f) l’integrazione temporale, ovvero la percezione da parte di tutte le persone coinvolte nel progetto
di una relazione tra le loro attività al presente ed i risultati futuri
g) attribuzione interna, che pone l’attenzione sul contributo dei singoli individui ai risultati
raggiunti del progetto

Le principali caratteristiche del tempo dell’esperienza sono:


a) tempo come generatore di valore della conoscenza d’impresa
b) tempo come tempismo nel rapporto conoscenza-azione
c) tempo come variabile del cambiamento e fattore di coevoluzione impresa-ambiente
d) tempo come apprendimento della e nella prospettiva temporale (contesto che favorisce lo
sviluppo delle conoscenze in rapporto alle evoluzioni ambientali)
Se ben gestito, il binomio tempo-conoscenza aiuta a rafforzare la consapevolezza di cosa sa fare
l’impresa, orientandola verso ciò che si potrebbe fare in relazione all’evoluzione dell’ambiente e
della società. Da qui la prospettiva della Time-Based Competitive Knowledge (conoscenza
competitiva basata sul tempo).

Scaricato da Daniele Pannunzi (lioneldani@hotmail.it)

Potrebbero piacerti anche