Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
La relazione fra strategia di impresa, struttura organizzativa e gestione delle risorse umane può essere
analizzata secondo 3 diversi approcci:
1. lineare o sequenziale
2. interdipendente
3. Evolutivo
Approccio lineare o sequenziale. Deriva dal paradigma strategia-struttura: definita la strategia, sarà
costruita la struttura più adatta e verranno inserite le risorse umane necessarie
Funziona in ambienti stabili e semplici, quando conoscenze e potere decisionale sono concentrati al
vertice
Approccio interdipendente. Strategia di impresa, struttura organizzativa e gestione delle risorse umane si
influenzano reciprocamente e sono esposte alle influenze dell’ambiente, cui cercano di adattarsi
Funziona in ambienti complessi e variabili
Quale strategia?
1. Modello strumentale: le risorse umane sono soggetti passivi sui quali si interviene affinché le loro
caratteristiche e i loro comportamenti rispondano ai bisogni del business
2. Modello costitutivo: le risorse umane sono considerate portatrici di autonoma progettualità,
capacità di innovazione, capacità di sviluppare e gestire il proprio valore; vengono mobilitati gli
invisible assets (sapere tecnologico, immagine aziendale, conoscenze, competenze, cultura
organizzativa)
La funzione di gestione delle risorse umane può assumere in un’organizzazione, in funzione del modello che
la determina, una diversa configurazione, collocandosi in modo differente nell’organigramma
Le 3 principali configurazioni, che sottendono altrettanti orientamenti organizzativi e gestionali, sono:
* l’Amministrazione del Personale
* la Direzione del Personale
* la Direzione e Sviluppo delle Risorse Umane
Una specificazione della configurazione Direzione e Sviluppo delle Risorse Umane è il modello della
direzione multiruolo (Ulrich, 1997. Secondo questo modello i professionisti della gestione delle risorse
umane devono svolgere più ruoli, di natura sia strategica che operativa, con obiettivi sia a breve che a lungo
termine, che possono a volte essere in contraddizione fra lor.
Attraverso l’intersezione di due assi (focus strategico/ orientamento a lungo termine vs focus operativo/
orientamento a breve termine e processi vs persone) vengono rappresentati i 4 ruoli fondamentali
Risorse umane
Inizialmente, dal punto di vista organizzativo, la funzione delle risorse umane è confusa con la direzione
amministrativa, una concezione di tipo contabile – amministrativo, il cui scopo era principalmente quello di
amministrare il rapporto di lavoro. le funzioni si limitavano al pagare, reclutare e regolamentare. Questa
modalità di gestione viene anche chiamata razionale (organizzazione scientifica del lavoro): l’organizzazione
veniva considerata come un’entità, che per raggiungere certi scopi doveva attenersi a certe regole. Era
dunque necessario stabilire un modello formale di gestione per introdurre razionalità e prevedibilità nei
processi organizzativi. Il ruolo del management delle RU era dunque quello di amministrare: dettare regole,
assicurarsi la loro implementazione e soprattutto evitare tutto ciò che poteva minacciare oggettività.
Nel corso degli anni 30, nel panorama della psicologia del lavoro si sono introdotte correnti di pensiero
come quella della scuola delle relazioni umane, mostrando i limiti dell’organizzazione scientifica del lavoro.
questi autori sottolineano l’importanza dei rapporti sociali, determinanti per dare al lavoratore il senso
della propria identità ed un significato intrinseco al lavoro. si sottolinea così la necessità di umanizzare le
relazioni . l’organizzazione viene ora vista come formata da gruppi di persone piuttosto che da individui
isolati. Si delinea così una nuova concezione della gestione delle risorse umane, che prende il nome di
“relazioni umane”. Questa nuova concettualizzazione presenta alcuni punti di vista e valori
precedentemente trascurati, come:
- una nuova concettualizzazione dell’uomo, basata su un’aumentata conoscenza dei suoi complessi e
mutevoli bisogni (che va invece a sostituire una visione semplicistica dell’uomo come “schiaccia pulsante”)
- un nuovo concetto di potere, basato sulla collaborazione (e non più coercizione e minaccia)
- un nuovo concetto di organizzazione, fondato su ideali umanistico – democratici
Negli anni 70, i cambiamenti e i problemi relativi al mercato del lavoro portarono la funzione del personale
ad allargare il proprio campo d’azione, aprendosi ad una maggiore autonomia (specialistica e/o politica) e
ad una migliore integrazione con le strategie dell’impresa. Questo approccio si è delineato meglio nel corso
degli anni 80, prendendo il nome di gestione strategica delle risorse umane. L’organizzazione viene ora
visto come un insieme razionale, aperto al proprio ambiente e dinamico. Per gestire le risorse umane, ora, è
necessario prevedere e mettere in atto delle procedure coerenti con quello che l’organizzazione è in quel
determinato momento, praticando allo stesso tempo una segmentazione tra le varie categorie dei
dipendenti, in quanto se si deve adattare all’esterno, deve sapersi adattare anche al proprio interno,
sapendo trattare in maniera differenziata i vari dipendenti (giovani e meno giovani, commerciali e
amministrativi etc ..)
Da una concezione simile nasce anche l’approccio della direzione per obbiettivi.
A partire dagli anni 90, si è invece fatta strada l’idea di incrementare e valorizzare il potenziale umano,
dando luogo ad un nuovo periodo della gestione delle risorse umane. Il punto di partenza è stata l’idea che
all’interno delle organizzazioni esistono dei giacimenti di risorse interne sotto sviluppate, detti anche
invisible assets. Tale potenziale umano comprende le risorse fisiche, tecnologiche, finanziarie e umane che
un dipendente può mobilitare, ma anche le capacità, come i saperi e le conoscenze, la partecipazione attiva
etc … non è dunque più sufficiente saper gestire il personale , ma bisogna saper mobilitare le sue energie e
svilupparne il coinvolgimento. È in questo momento che nascono e si consolidano concetti come la vision
aziendale, andando anche a ridefinire il concetto di concorrenza. Si sviluppa ulteriormente anche la
segmentazione del personale, per sui si verifica uno specico marketing interno.
La valutazione
Il processo di valutazione
Gli oggetti:
* prestazione. Si definisce prestazione il contributo concreto, osservabile e registrabile, di una determinata
persona nell’ambito dell’espletamento del proprio ruolo in un arco di tempo predeterminato. La sua
valutazione, dunque, si propone di stabilire quanto la persona abbia contribuito al raggiungimento degli
obbiettivi aziendali. Prevede il confronto tra gli obbiettivi prefissati ed i risultati effettivamente raggiunti. È
solitamente articolata in 4 fasi: colloquio per l’assegnazione degli obbiettivi, verifiche periodiche,
valutazione dei risultati conseguiti e feedback.
* potenziale. Con potenziale si intende l’insieme di capacità, caratteristiche personali e professionali,
utilizzate e manifeste, possedute ma latenti, in via di sviluppo o sviluppabili
Non si tratta solo di capacità e caratteristiche che eccedono in quantità e in qualità quanto richiesto dalla
posizione occupata e che possono consentire di svolgere, a breve e medio termine, mansioni diverse da
quella attuale. La valutazione del potenziale può essere definita come la predizione del contributo fornibile
da un/a dipendente in una posizione «più elevata» di quella occupata attualmente e dovrà tradursi in azioni
concrete.. È utile in questo senso. per percorsi di sviluppo e di formazione. Finalità della valutazione del
potenziale
• Rilevare capacità e caratteristiche personali e professionali, che possono mettere in grado i/le dipendenti
di ricoprire posizioni più elevate e con maggiori responsabilità
• «Fare un censimento» per fasce di potenziale
• Confrontare tali valutazioni con le esigenze organizzative future
• Pianificare le opportune azioni di sviluppo professionale
* competenze. Questa valutazione ha come oggetto il patrimonio di conoscenze, abilità e qualità possedute
dall’individuo e la loro coerenza rispetto agli obbiettivi organizzativi. Le competenze, in quest’ottica,
vengono considerate come una serie di dimensioni individuali necessarie per il successo della prestazione
lavorativa.
La letteratura individua anche gli elementi che possono essere oggetto di valutazione e osservazione: i
tratti, i comportamenti e i risultati.
la valutazione dei tratti si concentra fondamentalmente su ciò che la persona è (personalità, doti,
talenti ..). ad esempio, è stato dimostrato che la coscienziosità è positivamente associata al successo in ruoli
che richiedono abilità di leadership e di gestione dei team. Limiti: non sufficienti per predire il
comportamento, il giudizio è delicato e soggetto a bias.
la valutazione dei comportamenti prende in considerazione comportamenti osservabili, facilmente
identificabili e documentabili con precisione. Limiti: non esaustiva quando un obbiettivo è raggiungibile
attraverso comportamenti diversi .
valutazione dei risultati, ovvero sugli effetti dei comportamenti attuati dalla persona, tenendo
comunque conto delle influenze situazionali e ambientali.
N.B: ciascuno di questi aspetti può essere valutato sia in riferimento alla dimensione individuale, sia alla
dimensione di gruppo (quando ad esempio il lavoro di squadra è molto diffuso e vitale per il
raggiungimento di determinati obbiettivi).
Chi valuta?
Il diretto superiore, il superiore del superiore, un gruppo di valutazione (costituito dal superiore diretto, dal
suo superiore e da un responsabile delle Direzione del Personale)
• Altri dirigenti
• Il valutato stesso (self appraisal)
• Colleghi e dipendenti (valutazione a 360° o multisource feedback)
I metodi
La scelta dei metodi è fondamentale affinché il processo di valutazione sia valido, efficace, affidabile e tenga
conto della mission e degli obbiettivi organizzativi.
Esistono diverse classificazioni relativamente ai vari metodi utilizzabili. Una prima classificazione fa
riferimento al livello di formalità, distinguendo tra valutazione informale e formale. La prima è considerata
come una valutazione inevitabile prodotto delle costanti interazioni presenti sul luogo di lavoro, mentre la
seconda è caratterizzata dall’applicazione periodica e costante di metodologie stabilite e strumenti
oggettivi per la rilevazione di dimensioni prefissate.
Una seconda classificazione distingue tra metodologie oggettive e soggettive. L’ambito delle misurazioni
oggettive è dato dalla valutazione dei risultati, mentre quelle soggettive hanno come oggetto la valutazione
di comportamenti o tratti dei soggetti.
Possiamo fare riferimenti anche a metodi qualitativi e quantitativi, concentrati sulla qualità o quantità
dell’aspetto valutato, oppure tra metodi relativi e assoluti, in cui ne lprimo caso i soggetti vengono valutati
mediante il confronto con altre persone, mentre nel secondo in maniera isolata.
Conteggio. Questo metodo è adeguato quando l’oggetto di valutazione riguarda gli esiti del
comportamento lavorativo, quantificabili, come ad esempio il numero di unità prodotte, il numero
degli errori commessi, calcolo di ritardi o di giorni di assenza ..
Ranking. Si tratta di una graduatoria, strumento che permette di classificare le persone in base ad
una valutazione globale. È possibile utilizzarne una variante, detta confronto a coppie, quando
siamo alle prese con numeri elevati di soggetti.
Tecniche grafiche di ranking. Queste tecniche prevedono l’utilizzo di una lista generale di
caratteristiche, come ad esempio i tratti di personalità, rispetto al quale si valuta la persona su una
data scala, collocando graficamente il giudizio tra due estremi, come ad esempio “minimo –
massimo”.
Lista di controllo, che consiste in un elenco di frasi scritte in forma descrittiva o interrogativa,
specifiche e rappresentative del tipo di lavoro per cui si sta eseguendo la valutazione, da valutare su
una scala a più punti come ad esempio da quasi mai a quasi sempre.
Descrizioni narrative, che prevedono, da parte del valutatore, la libera descrizione delle
osservazioni e valutazioni effettuate.
Osservazione: consente una registrazione accurata delle attività svolte ma è adeguata solo per
lavori semplici, ripetitivi e a basso contenuto intellettuale, non per quelli complessi
Intervista (individuale o di gruppo): il metodo più tradizionale, più o meno strutturato, per
raccogliere informazioni sulle attività svolte nonché su tempi, frequenza e periodicità delle
operazioni, sul livello di complessità, sul grado di tipicità e di importanza dei compiti
Tecnica degli eventi critici: sviluppata da Flanagan (1954), identifica i fattori critici per il successo
lavorativo attraverso la descrizione di concrete situazioni occorse nello svolgimento dell’attività
lavorativa in cui la prestazione fornita è stata particolarmente positiva o negativa
«Diari» o «registri»: raccolgono le note del titolare della posizione sulle attività svolte in un
determinato periodo di tempo
Questionari: possono essere a domande aperte, oppure check-list semplici o integrate da scale di
misura (esempi: Position Analysis Questionnaire di McCormick, 1979; Occupation Analysis
Inventory, 1983; Job Element Inventory, 1988; Common Metric Questionnaire, 1990)
Analisi della documentazione già esistente all’interno dell’organizzazione
È possibile individuare due principali categorie di fattori in grado di influenzare la valutazione: le distorsioni
percettive e gli elementi del contesto sociale in cui la valutazione viene effettuata.
Le distorsioni percettive, dette anche bias, sono ad esempio:
* indulgenza o severità, manifestazione rispettivamente di eccessiva generosità e severità e durezza.
* effetto alone, espressione di un giudizio globalmente positivo o negativo sulla base di una sola
caratteristica
* tendenza centrale: uso prevalente dei valori medi della scala di valutazione, ignorando gli altri agli estremi
* somiglianza o contrasto: tendenza ad esprimere il giudizio sulla base della somiglianza del candidato al
valutare o a persone lui note
* proiezione, tendenza ad attribuire agli altri le proprie caratteristiche
Ci sono anche altri elementi, appartenenti all’ampio contesto organizzativo, che possono interferire con la
valutazione, come ad esempio la cultura organizzativa, la strategia di gestione delle risorse umane o i fattori
economici esterni. Si è inoltre registrata una maggiore indulgenza quando gli obbiettivi sono di tipo
gestionale piuttosto che di sviluppo.
Si aggiungono elementi anche legati alle caratteristiche del valutatore stesso, come l’autostima,
l’autoefficacia, o i tratti di personalità. Per esempio, bassi livelli di autostima o di autoefficacia possono
comportare una maggiore tendenza all’indulgenza, mentre la presenza di un’elevata coscienziosità può
determinare una maggiore tendenza alla severità.
Rimedi: approccio multi rater, osservazione di lungo periodo, numero limitato di soggetti per valutatore,
predisporre istruzione chiare per gli strumenti da utilizzare, formazione specifica per il valutatore.
Criteri
La letteratura mostra come la correttezza delle valutazioni non derivi unicamente dall’evitare le distorsioni
precedentemente citate, ma anche dalla misura in cui vengono soddisfatti alcuni criteri.
criteri psicometrici che considerano l’accuratezza della valutazione dal punto di vista statistico
criteri di utilizzo, come trasparenza e accettabilità dei contenuti
aspetti psicologici e sociali
Sono indicatori positivi di una buona pratica anche effetti positivi nel valutato, come la soddisfazione
espressa per il sistema e sezione valutativa, la percezione di utilità, precisione e giustizia. In particolare, la
percezione di giustizia nella valutazione è fondamentale per sviluppare commitment e una buona relazione
con l ‘organizzazione.
È anche importante che la valutazione si caratterizzi da un buon livello di condivisione. Un altro criterio
importante è la sua integrazione con altre attività rivolte al personale, in particolare collegando gli esiti
della valutazione con le decisioni future (legate ad esempio alla mobilità, alla carriera o alla retribuzione).
Si concentra sugli aspetti positivi del lavoro, inteso come contesto chiave per la crescita e la realizzazione
personale.
Tra le teorie della psicologia positiva, troviamo quella delle characters strenghts (forze del carattere), utile
ai fini della valutazione. Quando gli individui conoscono le forze del carattere e hanno la possibilità di
esprimerle nel contesto organizzativo si sentono più competenti, mostrano maggiore engagement e
motivazione, riescono a raggiungere più facilmente gli obbiettivi lavorativi e hanno una migliore
performance lavorativa.
Abbiamo poi la valutazione della performance basata sui punti positivi, che si pone come alternativa alle
possibili conseguenze negative della valutazione tradizionale. Si basa su sette principi, come ad esempio
l’associazione della felicità alla produttivià, l’equilibrio tra emozioni positive e negative, … A partire da
questi principi, è stato poi delineato un processo di applicazione in 6 step: gli step 1,2,3 e 6 riguardano la
valutazione dei punti di forza individuali, mentre il 4 e il 5 riguardano il riconoscimento collettivo delle forze
organizzative.
Contratto psicologico e coinvolgimento
Insieme di credenze dell’individuo circa gli obblighi reciproci esistenti tra l’individuo stesso e la sua
organizzazione, che ha origine quando la persona inferisce promesse che generano tali credenze (Rousseau,
1989, 1995, 1998)
Guest (1998) sostiene che considerare il contratto psicologico nella sola prospettiva del lavoratore sia
riduttivo in quanto non considera l’elemento tipico della contrattazione, cioè la reciprocità
• Riduce l’incertezza, inserendosi per colmare gli spazi vuoti lasciati dal contratto giuridico, regolando in
modo dinamico i molteplici aspetti della relazione lavoratore – azienda.
• Fornisce un modello di comportamento
• Offre al lavoratore il senso della propria influenza su ciò che accade dentro l’organizzazione, per cui il
lavoratore può sentirsi parte attiva della definizione del rapporto lavorativo.
La teoria dello scambio, inoltre, si è in presenza di un contratto psicologico ben riuscito nel momento in cui
vi è un’elevata reciprocità ed adeguatezza delle richieste. Per quanto riguarda la reciprocità, è da
sottolineare la gratitudine intesa come apprezzamento per la gentilezza ricevuta, che porta con sé il
desiderio e l’intenzione di ricambiare, rafforzando il legame psicologico tra le parti e aumentando i livelli di
fiducia e commitment.
Come si forma?
• Socializzazione prelavorativa: intervengono variabili come il grado di realismo con cui il lavoratore si
rappresenta la vita lavorativa e il grado di congruenza tra i suoi desideri/aspettative e le effettive
opportunità offerte dall’organizzazione
• lo step successivo avviene durante la fase di recruiting e hiring: prima conoscenza tra lavoratore e mondo
economico e valoriale dell’organizzazione. L’organizzazione in questa fase deve fornire una panoramica
realistica e motivante della propria mission, una carta dei valori che la animano, ma soprattutto la
percezione di essere la scelta giusta, la più compatibile con le sue aspettative e i suoi processi per il futuro.
• Prima socializzazione: reperimento di informazioni, attraverso l’interazione con i rappresentanti
dell’organizzazione e la percezione della cultura organizzativa
- Accordo relazionale, basato sulla fiducia e sulla lealtà, al lavoratore è chiesto di svolgere tutto ciò
che la sua mansione può richiedere in cambio di un salario stabile ed un impiego a lungo termine.
- Accordo bilanciato, caratterizzato da avanzamento interno e performance dinamiche. Il lavoratore
sviluppa la sua carriera sviluppando capacità spendibili anche nel mercato esterno
- Accordo transazionale, che si fonda su performance definite e tempo determinato. Il lavoratore
svolge solo le mansioni assegnate per cui è pagato ed è stato formato dall’organizzazione.
- Accordo di transizione, caratterizzato dall’incertezza del dipendente verso il futuro lavorativo e una
diffidenza nei confronti dell’organizzazione e viceversa. Visione pessimista sul futuro nell’azienda,
possibili conseguenze negative sulla qualità della vita.
Queste 4 dimensioni possono interagire tra loro nel corso di uno o più rapporti lavorativi. Ha un
natura infatti profondamente dinamica.
viene anche proposto un modello in cui viene proposto come costrutto che si autoregola
secondo alcune fasi: creazione, mantenimento, rinegoziazione, riparazione.
Rottura e violazione
• Rottura (breach): fenomeno di natura cognitiva che consiste nella constatazione, da parte del lavoratore,
del mancato adempimento (ad esempio, per gestione delle risorse umane inadeguata, bassi livelli di
supporto organizzativo, fattori esterni) da parte dell’organizzazione ad alcuni obblighi insiti nel contratto
psicologico (causa)
• Violazione (violation): esperienza prevalentemente affettiva (frustrazione, rabbia, risentimento, …) dovuta
a tale constatazione. Può comportare insoddisfazione lavorativa, minore fiducia nell’organizzazione,
decremento di commitment e performance, assenteismo e turnover (effetto)
La rottura del contratto psicologico può essere descritta come un processo che si realizza in più fasi
(Morrison & Robinson, 1997):
- Percezione di un’incapacità dell’organizzazione di mantenere le promesse per incapacità di controllare i
fattori ambientali o per riduzione delle risorse disponibili (reneging) o di una discrepanza tra le proprie
aspettative e quelle dell’organizzazione (incongruence)
Tale percezione è moderata dal grado di importanza delle promesse e dal livello di vigilanza del
lavoratore nel monitorare l’andamento delle relazioni nel contesto lavorativo
- Segue un momento di ricerca del significato di quanto è accaduto e di riflessione su quanto andava fatto
per mantenere le promesse sia da parte del lavoratore sia da parte dell’organizzazione, giungendo a una
vera e propria percezione di rottura del contratto psicologico
- Alla valutazione di tipo cognitivo può seguire un processo interpretativo sulle cause e sulle modalità della
rottura di natura affettiva e, quindi, alla violazione del contratto psicologico
Non necessariamente alla rottura segue una violazione del contratto psicologico, quando il lavoratore
elabora un’interpretazione emotiva neutra
La prosecuzione del rapporto di lavoro, anche in seguito alla percezione di una violazione del contratto
psicologico, è possibile attraverso un dialogo tra lavoratore e organizzazione volto al ripristino della
reciproca fiducia e alla minimizzazione delle conseguenze negative derivanti dalla violazione stessa.
Alcune azioni organizzative per minimizzare il rischio della rottura del contratto sono:
- fare promesse realistiche durante reclutamento e socializzazione
- monitorare le aspettative dei lavoratori durante le riunioni ordinarie e i processi di valutazione della
prestazione
- fornire continuo supporto ai lavoratori
- comunicare in modo trasparente e coerente
- dedicare spazio ai bisogni e alle preoccupazioni dei lavoratori
3 tipologie:
• Content-oriented (orientata ai contenuti; focus su aspetti specifici, fra i quali ad esempio la sicurezza
lavorativa, la possibilità di acquisire nuove conoscenze, …)
• Featured-oriented (orientata alle caratteristiche; focus sulle configurazioni, fra le quali ad esempio
l’essere esplicito o implicito, stabile o no nel tempo, …)
• Evaluation-oriented (orientata alla valutazione; focus sull’esperienza soggettiva dei lavoratori rispetto al
comportamento dell’organizzazione)
6 tecniche
• Questionari self-report, che rappresentano gli strumenti maggiormente utilizzati. Limite: tendenza ad
esasperare la differenza tra ci che ci si aspettava / ciò che si è ottenuto.
• Metodi basati sul ricorso a scenari, che prevedono ad esempio la lettura di testi che descrivono situazioni
lavorative o storie di vita lavorativa relative ad uno stesso contesto organizzativo (coinvolgendo in tutti i
casi lavoratori fittizi). Nei testi si manipolano alcune variabili e subito dopo averli presentati solitamente si
propone un questionario che va appunto ad indagare tali variabili. Limiti; scenari poco rappresentativi o
possono apparire “forzati”.
• Tecnica degli incidenti critici, sia individuale che di gruppo. Consiste nella conduzione di un’intervista nella
quale si chiede al lavoratore di selezionare e descrivere concrete situazioni lavorative , particolarmente
positive o negative per il mantenimento del contratto, nelle quali è stato coinvolto.
• Utilizzo di diari giornalieri, che offrono il vantaggio di raccogliere informazioni su eventi, comportamenti
ed emozioni nel momento stesso in cui si presentano, in un modo non intrusivo.
• Interviste in profondità, che risultano utili soprattutto in combinazione con altri metodi, per la
generalizzazione delle informazioni ottenute.
• Studio di singoli casi.
Il conflitto lavoro – famiglia (CLF) può essere definito «una forma di conflitto inter-ruolo in cui le pressioni di
ruolo dal dominio del lavoro e da quello della famiglia sono mutuamente incompatibili. In altri termini, la
partecipazione al ruolo lavorativo (o familiare) è resa più difficile dalla partecipazione al ruolo familiare (o
lavorativo)
Le fonti di pressione possono essere di natura temporale, determinate da vissuti stressanti in entrambi i
domini di vita o da richieste comportamentali incoerenti tra i diversi contesti di vita
Il CLF è bidirezionale (interferenza L → F e interferenza F → L) e può essere asimmetrico (quando ad
esempio una persona percepisce che il L interferisce con la F, ma non viceversa) oppure reciproco (quando
per esempio una persona percepisce che il L interferisce con la F e viceversa)
La ricerca ha evidenziato che le persone dichiarano di percepire generalmente un maggior conflitto nella
direzione L → F rispetto a quello nella direzione F → L
Modelli teorici
Le principali determinanti: personalità e strategie di coping; presenza di persone a carico, supporto sociale
(familiare e organizzativo)
Le principali conseguenze: insoddisfazione lavorativa, assenteismo, intenzione di turnover
I diversi strumenti si propongono di rilevare il grado in cui il lavoro o la famiglia interferisce con specifici
elementi dell’altro dominio
Alla base di questo modello vi è l’idea di una maggiore permeabilità dei confini tra i diversi domini della
vita, una permeabilità che non necessariamente conduce a conseguenze negative
Lo spillover fa riferimento a sentimenti (spillover emotivo), valori, abilità, comportamenti che da un
contesto «scivolano» nell’altro
Altri autori fanno riferimento all’idea di «contagio», distinguendo tra forme di influenzamento che
riguardano il singolo che transita tra due contesti e forme di influenzamento crossover, quando i vissuti di
una persona in un contesto arrivano a influenzare i vissuti di altre persone in un altro contesto (ad esempio
quando lo strain lavorativo di una persona si ripercuote sulla qualità della vita dei familiari)
Più di recente al costrutto di spillover si è associato quello di arricchimento, che ne coglie soprattutto gli
aspetti di influenzamento positivo (Carlson et al., 2006)
Le multiple appartenenze possono aver influenza positiva sul benessere individuale e sulla salute mentale •
Anche l’arricchimento è considerato una variabile bi-direzionale (dal L → F e dalla F → L)
Tra gli strumenti si ricorda lo strumento volto a rilevare le 4 diverse tipologie di spillover (positivo L → F,
positivo F → L, negativo L → F, negativo F → L)
La compensazione e la strumentalità
Una ulteriore proposta teorica fa riferimento all’identità di ruolo: l’identificazione con un particolare ruolo,
tra quelli sostenuti dalla persona, comporta un maggior coinvolgimento proprio in quel ruolo (Rothbard,
2001)
L’importanza attribuita a un ruolo riflette il concetto di sé, contribuisce all’autorealizzazione e predice la
prestazione di ruolo, in termini di investimento di risorse (per esempio il tempo) nel ruolo associato
all’identità con maggiore importanza, con l’obiettivo di mantenere e consolidare la propria autostima
Si parla di engagement in multiple roles, definibile come l’impegno richiesto da ciascun ruolo assunto
(lavorativo e familiare, in termini di attenzione e assorbimento)
L’esito dell’impegno richiesto dall’assunzione dei diversi ruoli può essere un vissuto di «svuotamento»
(scarsità delle risorse e conseguente interferenza negativa) oppure un vissuto di «arricchimento» (le
energie si «espandono» all’altro ruolo) nella duplice direzione: maggior coinvolgimento ed enfasi sugli
aspetti emotivi
I risultati delle ricerche sembrano evidenziare come la gestione della multi-appartenenza abbia un
impatto più forte sulle donne
Tale multi-appartenenza può essere misurata attraverso uno strumento volto a misurare per ciascuno
dei due ruoli, lavorativo e familiare, l’impegno richiesto in termini di attenzione e assorbimento
Sebbene spesso si faccia riferimento al concetto di equilibrio (balance), si evidenzia come esso non
equivalga all’assenza di conflitto, trattandosi di uno stato psicologico significativamente diverso dall’assenza
di CLF
Altri contributi si concentrano sulle strategie di gestione dei confini, tenendo conto delle preferenze dei
singoli, tra integrazione e segmentazione/separazione
Tale prospettiva si concentra sul processo psicologico attivo di scelta che le persone compiono tra
segmentazione e integrazione, per mantenere un confine tra i due domini.
Un più recente contributo introduce il ruolo delle risorse personali (Brummelhuis & Bakker, 2012):
• il conflitto L → F si genera quando le richieste lavorative producono una perdita di risorse personali che a
sua volta produce peggioramenti nella vita familiare
• l’arricchimento L → F si genera quando le risorse lavorative producono un aumento delle risorse personali
che a sua volta produce un miglioramento della vita familiare
• il conflitto F → L si genera quando le richieste familiari producono una diminuzione delle risorse personali
che limita i risultati al lavoro
• l’arricchimento F → L si genera quando le risorse familiari accrescono le risorse personali portando a un
miglioramento dei risultati lavorativi
La socializzazione di genere porta ad enfatizzare il ruolo familiare della donna. Una ricerca più recente ha
però dimostrato che le strategie adottate da uomini e donne per far fronte ai problemi di conciliazione
stanno diventando sempre più simili, anche se sono ancora soprattutto le donne a farsi carico dei problemi
familiari, optando per il partime o lo smartworking. Inoltre, alcune ricerche dimostrano che non sono pochi
i casi in cui sia i conflitti FL e LF sono maggiori per gli uomini. Questo può essere dovuto al fatto che gli
uomini non sono stati socializzati adeguatamente ai compiti di cura e risultano dunque meno preparati a
gestire lo stress ad essi associato. La cornice dei ruoli di genere viene utilizzata anche per spiegare perché le
donne riportano livelli di interferenza FL minore degli uomini: dal momento in cui la famiglia rappresenta
un ruolo tradizionale per la donna, le donne vivono i compiti associati alla cura della casa e dei familiari
meno come un’imposizione (dunque con minore fatica e difficoltà).
Per sostenere la conciliazione può promuovere una cultura family friendly, caratterizzata da una cultura
basata su «assunzioni condivise, credenze e valori relativi alla tendenza dell’organizzazione a sostenere e
valorizzare l’integrazione tra vita lavorativa e familiare delle persone» (Thompson et al., 1999, p. 394)
Dovrà essere effettivamente impegnata a sostenere i/le dipendenti nella gestione delle loro
responsabilità familiari (e non solo formalmente attiva nel dichiarare di farlo), affiancando una attività di
sensibilizzazione del management e della direzione (oltre una logica puramente adempitiva)
Livelli d’intervento:
• Forme di contratto (flessibilità di orario, riduzione di orario, telelavoro, smart working)
• Azioni di sostegno e sviluppo a carattere formativo e/o consulenziale
• Agevolazioni economiche e servizi direttamente offerti all’interno delle strutture aziendali
• Politiche, procedure gestionali e organizzazione del lavoro (lavoro in gruppo, affiancamento per
migliorare il supporto ricevuto, sostegno nel rientro al lavoro dopo la maternità, …) in grado di agire sulla
cultura organizzativa
Il management internazionale
Con l’incremento di globalizzazione dei mercati e la dislocazione del lavoro manufatturiero, la diffusione
delle tecnologie informatiche, i processi di migrazione e immigrazione, l’aumento del livello scolastico e la
migliore qualificazione professionale è aumentato il numero di aziende che operano a livello globale
Si ipotizza che si realizzi un processo che avviene essenzialmente in 4 stadi di sviluppo:
1) domestico → 2) internazionale → 3) multinazionale → 4) globale
I professionisti della Gestione delle Risorse Umane si trovano, così, a dover fronteggiare problemi nuovi
e specifici, che hanno ricadute su selezione, formazione e sviluppo del personale
Cosa si intende per management internazionale? Il «processo di applicazione dei concetti e delle tecniche
del management in un ambiente multinazionale» (Hodgetts & Luthans, 2003)
La gestione delle risorse umane internazionali può dunque essere definita come un «processo che
riguarda la comprensione, la ricerca, l’applicazione e la revisione di tutte le attività di gestione delle risorse
umane all’interno di contesti domestici e internazionali, con lo scopo ultimo di consentire all’organizzazione
di avere successo a livello globale» (Tarique & Schuler, 2010)
Secondo tale prospettiva si modifica il concetto di conoscenza: gli espatriati necessitano di un modello
mentale sul come condividerla nei diversi contesti e vivono un processo di mutuo adattamento, che si
esplica in un insieme di interazioni dinamiche
La cultura si definisce come «l’insieme di idee condivise, implicite e assunte all’interno di un gruppo, che
determina il modo in cui il gruppo stesso percepisce, valuta e reagisce all’ambiente esterno» ed è formata
da tre livelli: artefatti, valori dichiarati, assunti di base (Schein, 2010)
Le culture si possono distinguere sulla base di sei dimensioni, secondo i più recenti studi (Hofstede,
1984; 2012):
• distanza dal potere (grado di disparità tra chi lo detiene e chi ne è subordinato)
• controllo dell’incertezza (grado di tolleranza di fronte all’incertezza)
• individualismo – collettivismo (attenzione per il sé – per l’altro)
• mascolinità – femminilità (differenziazione – intercambiabilità dei ruoli)
• orientamento a lungo-breve termine (imprenditoria e business – persona e posizioni lavorative
subordinate)
• edonismo-restrizione (gratificazione vs rigide norme sociali)
Secondo una diversa prospettiva, è possibile evidenziare sette diverse tipologie di cultura, parzialmente
sovrapposte a quelle proposte da Hofstede (Trompenaars & Hampden-Turner, 2000) :
• universalismo-particolarismo
• individualismo-comunitarismo
• cultura neutrale-emozionale
• cultura specifica-diffusa
• status conquistato-acquisito
• sequenzialità-sincronia temporale
• controllo esterno-interno
Il filone di ricerca GLOBE si propone invece di identificare caratteristiche comuni alle diverse culture
nazionali e organizzative al fine di proporre uno stile di leadership «universalmente» condiviso (House et
al., 2002) :
• orientamento alla performance
• assertività
• orientamento al futuro
• orientamento umano
• collettivismo istituzionale
• collettivismo sociale
• eguaglianza di genere
• distanza dal potere
• evitamento dell’incertezza
Gli espatriati
Gestire le persone in questo contesto implica, dunque, la necessità di prendere in considerazione la cultura
del singolo individuo, la cultura della specifica organizzazione e quella del paese di destinazione,
individuando le possibili interazioni
Si definiscono espatriati i «lavoratori di aziende e organizzazioni che vengono assegnati a una succursale
o sede estera, in un paese diverso dal proprio, per compiere un lavoro o raggiungere un obiettivo aziendale,
per un periodo prestabilito (in genere compreso fra i 6 mesi e i 5 anni)»
Per lo più funzionari, dirigenti e professional, con competenze che riflettono la natura complessa dei
compiti loro assegnati, inviati per funzioni di controllo, di abilità tecnica o di contatto/coordinamento,
mostrano un’ampia gamma di vissuti psicologici, che dipendono da vari fattori (ad esempio, la distanza dal
paese d’origine, il sostegno sociale, la volontarietà.
Le possibili difficoltà cui vanno incontro sono dovute al confronto con la nuova cultura, che può condurre a
shock culturale – senso di inadeguatezza dovuto alla mancanza di punti di riferimento, di norme e di regole
sociali in grado di guidare le azioni e di comprendere a fondo il comportamento altrui (Selmer, 1999)
Accanto a fattori individuali e alla distanza culturale percepita (si veda modello proposto da Kim et al.,
2008), le motivazioni familiari sono spesso tra le principali ragioni legate al rifiuto di un incarico
internazionale e del fallimento dell’espatrio e possono influenzare la capacità delle multinazionali di
attrarre e trattenere i talenti migliori
Si può realizzare attraverso diversi percorsi professionali in base alla durata della permanenza nel paese di
destinazione e della successiva decisione di rimpatriare oppure di essere assegnati a un altro paese estero.
• International assignment (incarico con durata a tempo determinato e previsione di rientro in patria)
• Short-term assignment (durata tra 1 mese e 1 anno)
• International commuter assignment (pendolarismo settimanale o con intervalli di circa 2 settimane)
• Frequent flyer assignment (frequenti spostamenti, della durata di qualche giorno e al massimo 3 mesi)
Con lo sviluppo della tecnologia è sempre più diffusa la formula dei global virtual teams, ovvero team
multiculturali composti da lavoratori collocati in aree geograficamente distanti tra loro che operano e
coordinano il proprio lavoro mediante l’utilizzo di ICT • Inoltre, sono presenti forme di remote international
working, che prevedono la gestione presso la casa madre di responsabilità internazionali riguardanti una
parte dell’azienda collocata in un altro paese, attraverso, per esempio videoconferenze
A titolo esemplificativo, si ricordano 5 principali tipologie di programmi formativi (Brislin, 1979), seppure le
evidenze siano contrastanti e richiedono di superare i noti limiti legati a iniziative basate essenzialmente
sulla trasmissione di conoscenze a scapito dell’esperienza: • addestramento all’autoconsapevolezza •
preparazione cognitiva • preparazione attribuzione • modifica del comportamento • apprendimento
esperienziale