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FONDAMENTI DI ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE (S. SCIARELLI)



CAPITOLO 1: Il sistema dimpresa quale sistema complesso
Definizione di impresa:
Organizzazione economica che, mediante limpiego di un complesso differenziato di risorse, svolge
processi di acquisizione e di produzione di beni o servizi, da scambiare con entit esterne al fine di
conseguire un reddito.
I 4 elementi distintivi dellimpresa: da questa definizione si ricavano i 4 elementi distintivi
dellimpresa:
- organizzazione
- processi di produzione
- relazioni di scambio con entit esterne
- finalit imprenditoriali del reddito

Il principale connotato il CONTENUTO ECONOMICO dellattivit e degli obiettivi che essa si
prefigge di raggiungere: infatti limpresa, mediante limpiego di un complesso differenziato di
risorse (uomini, capitali, impianti, materiali) svolge processi di produzione, cio CREA
RICCHEZZA:
- operando una trasformazione delle risorse impiegate, limpresa ottiene dei beni di maggior
valore. Questi beni sono destinati ad essere scambiati con entit esterne (consumatori) allo
scopo di far scaturire dallo scambio un utile
- limpresa ha, infatti, bisogno di conseguire un reddito, cio un divario positivo fra il ricavo
ottenuto dai beni ceduti e il costo delle risorse impiegate nella produzione, per poter
soddisfare chi ha investito i suoi capitali in unattivit a rischio, gli altri partecipanti
allorganizzazione e per potersi sviluppare in conformit allevoluzione del mercato in cui
opera.
- Per far ci ha bisogno di una organizzazione = struttura altamente specializzata e coordinata,
in grado di svolgere profittevolmente i processi di trasformazione e di scambio.

Profilo strutturale: IMPRESA COME SISTEMA SOCIO- TECNICO DI TIPO APERTO
Un sistema si caratterizza per:
- la molteplicit di parti componenti,
- linterrelazione delle parti rispetto ad un obiettivo comune da raggiungere
- il legame con lambiente esterno
- il dinamismo, che deve contraddistinguere il suo funzionamento proprio a causa della
relazione con una realt esterna in continuo cambiamento.
In base a questa definizione di sistema limpresa pu essere classificata come un sistema socio-
tecnico di tipo aperto:
limpresa infatti un SISTEMA perch costituita da un insieme di parti o organi, ciascuno
dei quali incaricato a svolgere una determinata funzione per il raggiungimento di un risultato
comune.
Limpresa un sistema di tipo APERTO, poich per vivere deve intrattenere continue
relazioni di scambio con altri sistemi o entit esterne (approvvigionamento e cessione di
beni e/o servizi)
Si tratta inoltre di un sistema SOCIALE, poich il funzionamento dellazienda legato
alloperare coordinato di una molteplicit di gruppi interni ed esterni allorganizzazione, tra
i quali si sviluppano rapporti di collaborazione e di contrasto.
Il concetto di sistema socio-tecnico pone in evidenza che nellazienda occorre
unORGANIZZAZIONE TECNICA costituita da impianti, attrezzature, tecnologie
produttive.

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Profilo dinamico: IMPRESA QUALE SISTEMA COGNITIVO
Secondo la teoria aziendalistica dellultimo decennio la vera ricchezza di unimpresa non sarebbe
costituita dal suo patrimonio materiale o tangibile, ma dalle sue RISORSE IMMATERIALI O
INTANGIBILI (limmagine positiva dellazienda nei confronti dellambiente, lavviamento di
mercato, la capacit di produrre innovazioni, ecc.)
Si tende dunque a definire laziende quale SISTEMA COGNITIVO: sistema di conoscenze atto a
produrre nuova conoscenza.
A rappresentare la vera essenza dellimpresa sono quindi:
- limmagine dellimpresa verso lesterno e verso linterno,
- i corretti valori di gestione diffusi nella struttura organizzativa
- Il know-how (= bagaglio di esperienze posseduto per realizzare dati scopi) accumulato nel
tempo, conseguente alla possibilit di apprendere lavorando (learning by doing).
Limpresa rimane dunque un sistema complesso allinterno del quale si intrecciano elementi
tangibili ed intangibili, immobilizzazioni materiali e immateriali, mezzi tecnici ed intelligenze,
risorse finanziarie ed umane, secondo un disegno finalizzato, in ogni caso, alla produzione e
diffusione di valore.

CLASSIFICAZIONE DELLE IMPRESE
Al fine della descrizione di una azienda le caratteristiche + significative sono rappresentate da:
- IL TIPO DI ATTIVITA ESERCITATA (agricola, industriale, commerciale)
- LA DIMENSIONE (piccolo, medie, grandi imprese)
- IL MERCATO SERVITO (imprese locali, nazionali, multinazionali)
- LA NATURA DELLA PROPRIETA (imprese private, pubbliche o miste)

Tra essi laspetto di maggior rilevanza la DIMENSIONE. Parametri per valutarla:
ECONOMICI
TECNICI
PATRIMONIALI
ORGANIZZATIVI
I parametri economici si riferiscono al fatturato oppure al valore aggiunto.
- Il fatturato, che corrisponde al volume daffari dellazienda, pu essere scarsamente significativo
nel caso di una forte discrepanza fra quantit producibile e quantit venduta, dato che la dimensione
equivale non al risultato dellattivit aziendale, ma alla potenzialit dellorganizzazione.
- Il valore aggiunto creato dallimpresa la differenza tra il valore finale della produzione e il costo
delle materie impiegate per ottenerla. Un maggiore valore aggiunto dovrebbe derivare da un pi
elevato impiego di capitali e di lavoro umano, ossia da una maggiore dimensione.
I parametri tecnici si riferiscono al processo produttivo e mirano a misurare la potenzialit di
produzione di beni o servizi (per una impresa manifatturiera la capacit massima di produzione
degli impianti, per unimpresa commerciale sono i metri quadrati di superficie di vendita o di
esposizione).
I parametri patrimoniali riguardano le varie figure di capitale a disposizione dellazienda (capitale
di funzionamento, proprio, ecc.). I valori + spesso prescelti sono il capitale di funzionamento,
ovvero il totale dellattivo patrimoniale, che misura lentit dei mezzi impiegati nellattivit
aziendale, e il totale delle immobilizzazioni. Infatti meno importante considerato il capitale
sociale, la cui grandezza quasi sempre scarsamente correlata alleffettiva dimensione.
I parametri organizzativi attengono al fattore personale impiegato nellimpresa.

IL CONCETTO DI PICCOLA, MEDIA, GRANDE IMPRESA:
Tale distinzione pu essere fatta in base alla posizione dellazienda nel mercato in cui opera:
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- una grande impresa quella che in grado di esercitare un elevato grado di controllo del
mercato in cui opera, che cio con le sue politiche riesce ad influenzare il comportamento
delle altre imprese ed ad indirizzare la domanda dei consumatori dei suoi prodotti.
- Al contrario le piccole imprese sono quelle che non riescono ad influenzare le variabili di
mercato e che sono quindi esposte al mutamento sia della domanda che dellofferta.
Nel concreto per, per esprimere il concetto dimensionale si tende pi frequentemente ad utilizzare
il parametro degli addetti e del fatturato.


CAPITOLO 2: I rapporti tra impresa, ambiente e mercato

1. AMBIENTE:
Contesto generale allinterno del quale limpresa chiamata a svolgere le sue funzioni. Questo
contesto definito da una serie di condizioni politiche, legislative, sociali, culturali ed economiche,
che determinano il sistema di vincoli-opportunit entro cui dovr trovare sviluppo lattivit
aziendale.
Lambiente, sul piano teorico, pu essere scomposto in 4 subsistemi generali:
lambiente politico-istituzionale
lambiente culturale-tecnologico
lambiente demografico-sociale
lambiente economico
Lambiente politico istituzionale definito dalla forma di governo e dallordinamento legislativo
prevalenti nel territorio considerato. Esso proietta delle influenze di primaria importanza sulla vita
dellimpresa, il cui ruolo e le cui alternative possono essere fortemente vincolate dalle leggi, dagli
interventi e dai controlli dei poteri pubblici. (Si pensi alla differenza tra leconomia di paesi a
regime liberista e regime socialista, limportanza dei rapporti internazionali che possono prevedere
liberismo o autarchia, limposizione fiscale, le norme a tutela del lavoro, ecc)
Lambiente culturale-tecnologico si compone di una serie di elementi (tradizioni, costumi, arte,
tecnologia) ciascuno dei quali concorre ad influenzare il sistema di valori del singolo individuo e
della societ nel suo complesso. La cultura partecipa direttamente ad ogni manifestazione della vita,
modellando il comportamento delluomo quale cittadino, prestatore di lavoro, consumatore. Essa
influenza dunque sia coloro che operano allinterno dellimpresa (imprenditore, dirigenti, operai)
sia i gruppi esterni (consumatori, fornitori). Gli effetti della cultura si hanno non solo sul sistema di
valori della societ, ma anche sullavanzamento delle conoscenze e sul miglior uso delle risorse
disponibili. Scienza e tecnologia rappresentano infatti un prodotto della cultura.
Lambiente demografico-sociale condizionato dalla struttura della popolazione residente e dalle
relazioni tra gli individui e i gruppi che la compongono. Limpresa non pu non essere influenzata
dalla ripartizione della popolazione per classi di et, per livello socio-economico, per condizione
professionale, dalla suddivisione per strati sociali, tali fattori infatti hanno ripercussioni sui modelli
di consumo e quindi sulla domanda.
Lambiente economico rappresenta il complesso delle microvariabili (produzione agricola,
industriale, ecc.; prezzi e moneta; credito e investimenti) che compongono lordinamento
economico prevalente in un certo ambito territoriale. Lambiente economico pu differenziarsi sotto
molteplici profili, fra i quali i pi importanti concernono il meccanismo i regolazione della vita
economica (che fa si che si possa distinguere tra economie di mercato ed economie di piano) e la
propriet dei mezzi di produzione (secondo la quale si pu distinguere tra economie liberiste e
collettiviste).

2. AMBIENTE TRANSAZIONALE E AMBIENTE COMPETITIVO
Ogni impresa tende a ritagliarsi nellambito del macro-ambiente, descritto in precedenza, un
ambiente o contesto pi specifico in funzione dei rapporti di scambio che andr ad attivare. Nel
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micro-ambiente, che limpresa andr quindi a crearsi, si formeranno due settori: lambiente
transazionale e ambiente competitivo.
Ambiente transazionale: limpresa legata a questo ambiente per lacquisizione delle risorse. Il
tipo di risorse per le quali ricorrer al mercato, attivando delle transazioni, dipender dalle
comparazioni di convenienza tra il produrre allinterno dellimpresa stessa i materiali, le parti, i
componenti da utilizzare per la produzione dei beni e il procedere al loro acquisto allesterno. Pi si
far ricorso al mercato, pi si amplier lambiente transazionale con il quale limpresa dovr
intessere le sue relazioni di scambio. Pi si sceglier di produrre internamente il necessario pi
crescer il suo grado di autonomia dal mercato delle forniture.
Ambiente competitivo: limpresa legata a questo ambiente per la cessione dei beni e/o servizi
prodotti. Lambiente competitivo con cui limpresa dovr intessere relazione dipender dalla scelta
delle porzioni di mercato da soddisfare. Anche in questo caso sar, quindi, limpresa con le sue
decisioni a definire lambiente competitivo di riferimento.

Allinterno di questo micro-ambiente cos creato vi saranno dunque degli interlocutori (stakeholder)
con cui limpresa dovr collegarsi per attingere delle risorse o cedere dei prodotti. Questi soggetti o
istituzioni, a loro volta, si raggrupperanno in categorie, originando dei distinti mercati con i quali
limpresa dovr attivare un sistema di scambi.
MERCATO: si ha un mercato in tutti i casi in cui vi siano due o pi contraenti disposti a
scambiare fra di loro i beni rispettivamente posseduti.
Ogni impresa dunque si collegher con:
- il mercato del lavoro (costituito dallofferta di forza-lavoro)
- il mercato della produzione (materie prime, semilavorati, impianti e macchinari, servizi)
- il mercato finanziario (Borse Valori, intermediari finanziari, prestatori di capitale)
- il mercato di vendita (acquirenti)
Nonostante questo prevalente rapporto di dipendenza dellimpresa nei confronti dellambiente, sono
indubbie le influenze che le stesse imprese possono esercitare verso lambiente in cui vivono.
intuibile, infatti, che i maggiori centri economici detengono, di fatto, un rilevante potere politico,
possono agire sulla sfera culturale, assumono un ruolo preminente nello sviluppo delle tecnologie e
influenzano le forme e lintensit del controllo pubblico sulleconomia. Questo potere extramercato
finisce cio per incidere su tutte le variabili ambientali, secondo uno schema di interrelazione
piuttosto che di mera dipendenza.

3. LA DIFFERENZIAZIONE DEI PRODOTTI E LE FORME DI MERCATO
Differenziazione dei prodotti:
oggi possibile differenziare il prodotto sotto il profilo fisico, tecnico, estetico o psicologico
(creazione di unimmagine della marca).
I vantaggi della differenziazione per le aziende possono essere annullati:
- da una forte politica concorrenziale attuata da altre aziende (prezzo, condizioni di
pagamento..)
- perch i migliori requisiti di qualit o di prestazioni del prodotto potrebbero essere imitati da
parte di concorrenti.
Impossibilit della concorrenza perfetta:
La differenziazione dei prodotti ha fatto s che cadesse uno dei presupposti essenziali della
concorrenza perfetta. Questa , infatti, legata alla condizione di omogeneit dei prodotti offerti sul
mercato, cio allimpossibilit di differenziarli e individuarli a seconda del produttore, della zona,
dellepoca di produzione e di altri caratteri distintivi della qualit. Solo quando tutti i prodotti
appaiono uguali agli occhi dei compratori lunico elemento di scelta il prezzo.
Submercati:
La differenziazione comporta il frazionamento del mercato in tanti sub-mercati, ciascuno dei quali
in certi limiti separato dagli altri. Il concetto di sub-mercato caratterizzato dallesistenza di una
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domanda che, essendo attratta da certi elementi distintivi del prodotto, si rivolger preferibilmente
ad alcune imprese in grado di offrirli. Obiettivo delle imprese sar, pertanto, quello di scavarsi una
nicchia nel mercato, cio di disporre di un sub-mercato nel quale possa muoversi in posizione
quasi monopolistica.
Concorrenza monopolistica e oligopolio differenziato:
La sempre maggiore diffusione, attraverso la politica della marca e della pubblicit, della
differenziazione dei prodotti ha indotto gli economisti a individuare nella concorrenza
monopolistica e nelloligopolio differenziato i regimi prevalenti di mercato.
La dizione concorrenza monopolistica tende a porre in rilievo come nello stesso mercato
sono presenti elementi concorrenziali e di monopolio: i primi connessi al frazionamento
dellofferta tra una pluralit di produttori e i secondi con la formazione di tanti sub-mercati
distinti, in ciascuno dei quali uno dei produttori pu acquistare di fatto una posizione
monopolistica.
Si ha invece un oligopolio differenziato se la differenziazione attuata in un mercato
controllato da pochi imprenditori.
possibile quindi distinguere tre tipi di oligopolio: differenziato, misto e concentrato. Loligopolio
concentrato o omogeneo un oligopolio in cui manca differenziazione produttiva (mercato delle
materie prime chimiche, cemento..). Quello medio rappresenta una situazione intermedia in cui
coesistono differenziazione e concentrazione.

4. LE BARRIERE ALLA CONCORRENZA
Oltre alla concentrazione e alla differenziazione, altro elemento che caratterizza la struttura di un
mercato rappresentato dalle cosiddette barriere alla concorrenza.
Esse si distinguono in barriere allentrata, barriere alluscita e barriere interne o di mobilit.
Le barriere allentrata si collegano:
- alla disponibilit di brevetti o know-how,
- alla scarsezza dei fattori produttivi essenziali,
- alle economie ottenibili nella gestione (eventuali economie di scala, di apprendimento, di
scopo e di relazioni)
Le barriere alluscita vincolano le imprese a permanere nel mercato:
- vincoli economici (difficolt del disinvestimento)
- vincoli sociali al fallimento o liquidazione (per salvaguardare loccupazione)
Le barriere alla mobilit ostacolano lo spostamento nellambito dello stesso mercato:
- la differenziazione dei prodotti.

5. LEQUILIBRIO FRA LA DOMANDA E LOFFERTA
difficile ipotizzare il caso in cui fra domanda e offerta si abbia un perfetto equilibrio, nel senso
che la prima sia in grado di assorbire completamente la seconda o che questultima sia idonea a
soddisfare del tutto le richiesta degli acquirenti.
Ma ai fini del funzionamento del mercato non importante lequilibrio in termini di risultati tra
domanda e offerta, quanto quello tra potenzialit di produzione e capacit di assorbimento. Quando
questo equilibrio non si realizza il mercato pende a vantaggio del produttore o del consumatore:
Mercato del venditore: Se la domanda tender a superare la capacit di produzione esistente nel
mercato, i produttori assumeranno una chiara posizione di vantaggio, in quanto non solo non
sopporteranno rischi di vendita dei loro prodotti, ma potranno godere di una situazione di
concorrenza fra gli acquirenti, che dovranno competere uno contro laltro per entrare in possesso
della limitata quantit di beni disponibili. In tal caso il venditore avr in pugno il mercato e potr
stabilire le condizioni di contrattazione dei beni, si avr cio un mercato del venditore.
Mercato del compratore: Situazione del tutto opposta si avr, invece, nel caso di una eccedenza
dellofferta, in quanto i produttori dovranno competere fra di loro per acquisire la domanda
disponibile. In unipotesi del genere arbitri del mercato sono quindi i compratori, le cui opzioni di
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acquisto decreteranno il successo o linsuccesso delle singole imprese produttrici. Si parla quindi di
mercato del compratore

6.1 INFLUENZE TRA STRUTTURA DI MERCATO E COMPORTAMENDO AZIENDALE
Secondo gli studiosi cosiddetti strutturalisti, la struttura del mercato incide sul comportamento
delle imprese e questultimo, a sua volta, influenza il risultato della gestione aziendale:
<< STRUTTURA - CONDOTTA - PERFORMANCE >>
Questo paradigma viene per criticato da coloro che ritengono che sia invece il comportamento
delle imprese a determinare la struttura del mercato e che, quindi, sostituiscono il vecchio
paradigma con:
<< CONDOTTA STRUTTURA PERFORMANCE >>
Limpresa secondo la nuova economia industriale vista, difatti, come elemento che influenza
lambiente, che produce degli output che finiscono per modificare il settore in cui opera e non come
elemento che risente dellambiente e che deve adattarsi ad esso.
INTERDIPENDENZA: Resta il fatto che il rapporto di cui si discorre sempre un rapporto di
interdipendenza perch raro poter rinvenire unimpresa del tutto libera da condizionamenti esterni
nella formulazione dei suoi comportamenti di mercato, cos come lontano dalla realt immaginare
unimpresa piccola o grande che sia, incapace di influenzare almeno le condizioni del mercato
specifico in cui ha scelto di operare.

6.2 LA TEORIA DEI COSTI DI TRANSAZIONE
Nella distribuzione delle funzioni da svolgere ogni impresa pu decidere quali attuare allinterno
dellorganizzazione e quali fare compiere da terzi (fornitori). possibile compiere tale scelta
comparando i vantaggi offerti dalla produzione interna e quelli connessi con lapprovvigionamento
sul mercato. Per una scelta razionale necessario confrontare i costi di transazione (e non
esclusivamente i prezzi) da sostenere nel caso in cui limpresa scegliesse di rivolgersi a terzi, e i
costi di produzione, da sostenere nel caso in cui limpresa scegliesse di produrre internamente il
necessario.
Il costo di transazione pi ampio del costo di scambio, ossia del prezzo, perch comprende lo
sforzo sostenuto dallacquirente e dallo stesso venditore per ricercare le informazioni utili a
perfezionare la contrattazione.
I costi di transazioni comprendono, quindi, tutti i costi necessari per progettare, negoziare e tutelare
in accordo di scambio.

6.3 I FATTORI DI COMPETITIVITA DEL MERCATO
Quando si parla di efficienza di unimpresa possibile distinguere una efficienza dinamica e una
efficienza statica.
Efficienza dinamica: per conservare vantaggio competitivo limpresa deve innovare, cio deve
modificare la sua strategia, la sua struttura, i suoi processi operativi. Lefficienza dinamica quindi
quella capacit di creare e ricreare nel tempo combinazioni sempre diverse di risorse sulla base
delle competenze che, nel fare, si arricchiscono e si potenziano ulteriormente.
Efficienza statica: lefficienza statica riguarda invece lottimale combinazione delle risorse
disponibile, quindi la capacit di creare una routine per standardizzare le procedure operative.

7. LA COMPLESSITA DELLAMBIENTE E LA FLESSIBILITA DELLIMPRESA
La complessit dellambiente di oggigiorno figlia soprattutto del mutamento di valori e della
velocit di cambiamenti strutturali rapidi e, in certa misura, improvvisi.
proprio questa turbolenza ambientale che porta al successo un nuovo tipo di azienda,
contraddistinta dalla felice combinazione di flessibilit ed efficienza.
La maggiore complessit dellambiente discesa soprattutto dai processi di internazionalizzazione
delleconomia e di globalizzazione dei mercati.
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Internazionalizzazione delleconomia: lo sviluppo mondiale degli scambi, la diffusione sul piano
internazionale delle informazioni, linterdipendenza delle economie hanno imposto a tutte le
imprese un respiro internazionale. Non solo dunque la grande impresa, abituata a muoversi al di
fuori del mercato domestico, ma anche le piccole e medie imprese hanno dovuto imparare a
proteggersi dalla concorrenza sempre + agguerrita delle imprese straniere, per poter concorrere su
scala internazionale allacquisizione delle risorse e al collocamento delle produzioni realizzate.
La globalizzazione: processo di convergenza degli aspetti culturali, politici ed economici della vita.
Nel nostro caso, ovvero sotto il profilo delleconomia dellimpresa, il concetto deve per essere
circoscritto a due aspetti: quello dellinterrelazione su scala mondiale di certi mercati, che amplia la
concorrenza a livello internazionale, e quello dellomogeneit della domanda, che rende possibile la
standardizzazione delle politiche aziendali. La globalizzazione, dunque, pu essere intesa come
superamento delle barriere geografiche, per effetto del quale il mercato aziendale finisce per essere
rappresentato da tutti i gruppi di consumatori caratterizzati da comportamenti di acquisto simili a
prescindere dai Paesi in cui risiedono.


CAPITOLO 3: Le funzioni di unimpresa e le finalit imprenditoriali

1. LE FUNZIONI DELLIMPRESA
Limpresa ha tre funzioni, diversi a seconda di come intendiamo limpresa stessa:
- Organizzazione economica: in quanto organizzazione economica il suo scopo soddisfare
i bisogni umani mediante la messa a frutto di risorse rinvenibili in natura in misura limitata.
In tal senso limpresa una ricchezza per tutta la collettivit.
- Sistema sociale: limpresa un sistema sociale aperto infatti per operare ha bisogno di forza
lavoro, denaro, materie prime macchinari, servizi, deve cio rivolgersi a lavoratori,
finanziatori, fornitori, ecc. Limpresa, in quanto sistema sociale, ha quindi il compito di
creare e distribuire valore, soprattutto a coloro che operano al suo interno.
- Struttura patrimoniale: limpresa pu essere, poi, vista come una struttura patrimoniale,
ossia come quel complesso di beni organizzato per lo svolgimento di processi produttivi la
cui finalit produrre reddito. Limpresa lemanazione di uno o + imprenditori , cio di
persone che impegnano le proprie sostanze e la proprie abilit professionale in un progetto,
assumendosi un rischio. Proprio per questo motivo limpresa deve assumersi unaltra
funzione: produrre reddito. Solo la produzione di reddito ripagher limprenditore dello
sforzo compiuto.
COMPLEMENTARIETA DELLE FUNZIONI:
Le funzioni sono fortemente complementari, infatti ciascuna di esse essenziale per lespletamento
delle altre: unazienda che non sia in grado di soddisfare i bisogni della collettivit un
organizzazione inutile, destinata a fallire. Cos unorganizzazione che non assicuri il dovuto
corrispettivo a quanti in essa operano destinata a disgregarsi. Unazienda che non in grado di
generare un profitto di gestione non pu riuscire ad alimentare i suoi processi di rinnovamento e
sviluppo e, in tempi pi o meno lunghi, vede fuggire il capitale in essa investito, attratto da pi
fruttuose opportunit di impiego.
ANTAGONISMO DELLE FUNZIONI:
Ma tra le funzioni intercorrono anche rapporti antagonistici, nel senso che il privilegiarne una,
comporta necessariamente una subordinazione delle altre. infatti possibile stabilire un ordine di
priorit tra le funzioni, ma evidente che ciascun ordine tende a variare a seconda del punto di
osservazione, che sia quello della collettivit, quello dei partecipanti allorganizzazione o quello
dellimprenditore.



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2. LE FINALITA DEI COMPORTAMENTI IMPRENDITORIALI
Unazienda lespressione di una volont imprenditoriale, tesa allottenimento di determinate
finalit. Prima di analizzare quali sono le finalit del gruppo imprenditoriale, bisogna per
soffermarsi sul fenomeno di dissociazione fra gli organi di propriet e di governo dellimpresa.
Questo fenomeno ha fatto si che si distinguesse tra:
- imprenditore di tipo classico (che sia proprietario che gestore)
- imprenditore delegato (manager)
Le teorie sui fini dellimprenditore sono diverse. Proprio a causa di questo fenomeno, che ha creato
due diverse figure di imprenditore, possibile dividerle in due grandi gruppi:
FINALITA SECONDO LIMPRENDITORE-GESTORE:
- La teoria del massimo profitto nel lungo periodo
- La teoria dei limiti sociali alla massimizzazione del profitto
- La teoria del successo sociale
FINALITA SECONDO LIMPRENDITORE DELEGATO:
- La teoria della sopravvivenza dellazienda
- La teoria dello sviluppo dimensionale
- La teoria della mobilit
FINALITA COMUNE:
- La teoria della creazione e della diffusione del valore


La teoria della massimizzazione del profitto
Secondo le varie correnti di pensiero il profitto pu essere inteso come:
- il compenso che spetta allimprenditore per lorganizzazione dei fattori produttivi (secondo
la teoria economica classica).
- il corrispettivo destinato a ripagare il rischio corso nellattivit aziendale, cio un ero
proprio premio di assicurazione per linvestimento del capitale.
- Il premio che spetta a colui che promuove innovazione (secondo Schumpeter). Schumpeter
sosteneva che il profitto, in quanto frutto dellabilit innovativa di chi governa limpresa,
non rappresenta una categoria stabile nella vita aziendale, ma si lega a particolari circostanze
di mutamento dei prodotti, delle strutture, delle tecnologie, tali da assicurare una condizione
di vantaggio nei confronti della concorrenza.
- Unimperfezione del mercato, cio il risultato dellacquisizione di posizioni monopolistiche
rispetto agli altri produttori. Nellipotesi di mercati perfetti, infatti, il profitto finirebbe con
lo sparire.
Secondo la costruzione teorica classica, finalit del gruppo imprenditoriale conseguire il maggior
profitto, ossia il + ampio divario positivo tra i ricavi e i costi di gestione. Tuttavia tale obiettivo
fortemente condizionato da due fattori: il tempo e il rischio.
Tempo (time-preference): limprenditore tende a massimizzare non il risultato di una certa
operazione o delle operazioni condotte in un limitato periodo di tempo (ad es. lesercizio annuale)
ma quello della gestione nel lungo periodo, considerando lintera vita dellimpresa. Lobbiettivo di
massimizzazione del profitto pu quindi anche essere sacrificato nel breve periodo ad altri scopi,
con lintento per di pervenirvi pi agevolmente nel lungo (sotto questo profilo si pu comprendere
una iniziale politica di vendita a prezzo di costo intesa a far conquistare unampia porzione di
mercato).
Rischio (uncertainly conditions): limprenditore tende a condizionare le sue aspirazioni reddituali
ad un determinato grado di rischiosit globale della gestione (sotto questo profilo lespansioni in
altri settori produttivi o in mercati esteri potrebbe rispondere non tanto al fine di massimizzare il
profitto quanto piuttosto a quello di diversificare e compensare merceologicamente e
geograficamente i rischi di gestione).

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La teoria dei limiti sociali alla massimizzazione del profitto
1. Conflitti dinteresse (profitto condizionato): Ogni impresa rappresenta unorganizzazione
cooperativa, la cui vita contrassegnata, per, da situazioni potenziali di conflitto di interessi. Le
occasioni di contrapposizione possono crearsi nei confronti di forze esterne o tra gruppi interni,
infatti limpresa a contatto con diversi gruppi sociali:
- ESTERNI: consumatori, concorrenti, fornitori, finanziatori, distributori commerciali, organi
della pubblica amministrazione,
- INTERNI: conferenti il capitale di propriet dellimpresa, dirigenti, forza lavoro addetta.
Limprenditore nel tentativo di massimizzare il risultato economico della gestione incontra
lopposizione proprio di questi gruppi:
- per aumentare i ricavi dovrebbe aumentare il prezzo e/o la quantit venduta. Ma un rialzo
dei prezzi incontra lopposizione dei consumatori, che possono ridurre la domanda o
rivolgersi ad un altro fornitore (ci chiaramente dipende dallelasticit della domanda e dalla
pressione concorrenziale). Daltro canto la manovra di allargamento della quota di mercato
potr indurre delle reazioni da parte delle aziende concorrenti, le cui contromisure
potrebbero portare anche ad una riduzione dei ricavi complessivi delle nostra impresa.
- Per ridurre i costi limprenditore potrebbe percorrere due vie: labbassamento del costo
unitario o limpiego di una minore quantit di risorse. Sotto il primo aspetto si tratta di
ridurre le remunerazioni del lavoro, i prezzi pagati ai fornitori, gli interessi corrisposti ai
finanziatori, i margini concessi ai distributori. Nessuna variazione ovviamente possibile
per le aliquote impositive fissate dalle pubbliche autorit. Relativamente alla riduzione della
quantit impiegata di ciascun fattore, si potrebbero ridurre la forza lavoro (con tutte le
difficolt legali del caso), gli approvvigionamenti, i finanziamenti, ma non gli oneri sociali.
E comunque questo porterebbe, quasi sicuramente, alla riduzione della quantit prodotta e
venduta, e quindi ad una riduzione dei ricavi.
Da ci appare chiaro che le possibilit di manovra dellimprenditore sono molto limitate. Il reddito
sar quindi un risultato che deriva da accordi di cooperazione o dalla composizione di conflitti
interni ed esterni, la sua misura non mai liberamente determinabile dallimprenditore. Il fine del
massimo profitto diviene cos il fine del massimo profitto condizionato.
2. Limiti di conoscenza (profitto soddisfacente): Un altro elemento che limita le possibilit di
massimizzazione del profitto da parte dellimprenditore limpossibilit di avere una piena
conoscenza del mondo economico, dovuti allevoluzione dellambiente e del mercato. Secondo
Simon allora limprenditore tenderebbe ad un profitto soddisfacente pi che massimo.
Uneventuale massimizzazione del profitto incontrerebbe infatti dei limiti insuperabili nelle
condizioni di ridotta conoscenza in cui sono costretti ad operare gli amministratori aziendali. Per
questo motivo lobiettivo delle singole scelte sarebbe quello di individuare le alternative
soddisfacenti piuttosto che quelle ottimali.

La teoria del successo sociale
Limprenditore non mosso soltanto da interessi economici ma, come tutti gli individui, tende a
raggiungere anche altri traguardi appartenenti alla sfera sociale. Le finalit dellimprenditore
appaiono, in ordine crescente dimportanza:
- assicurare la sopravvivenza dellimpresa (mediante il perseguimento del profitto),
- affermarsi nella classe sociale di appartenenza (ammirazione e rispetto nella cerchia
competitiva pi ristretta in cui opera)
- assumere posizioni di preminenza nellambito dellintera comunit
Questa combinazione delle tre P (Profitto-Potere-Prestigio) sarebbe cos rappresentativa del
successo sociale ottenuto dallimprenditore mediante il successo della sua impresa, imprese in cui
limprenditore traspone gran parte di s, e che in qualche modo lo rappresenta.
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Lo stimolo economico non rappresenta sempre n il solo n il pi importante richiamo della
funzione imprenditoriale: il fine economico si trasforma spesso in un mezzo per il raggiungimento
anche di obiettivi morali e sociali.
La possibilit di scalata dellimprenditore si costruisce dunque su una corretta applicazione di
valori nel governo dellimpresa e, cio, combinando in modo opportuno valori economici e valori
etici. Il successo aziendale, difatti, per essere costruito in modo solido e per giovare allo status
sociale dellimprenditore deve poggiare sul rispetto di equilibri economici e di valori morali.

La teoria della mobilit
Nel caso di un imprenditore delegato, ossia di un manager, non essendoci di fatto lo stesso grado di
immedesimazione tra limpresa e il manager, il successo potrebbe essere visto come finalit
intermedia o strumentale. Non ci sarebbe, cio, la necessaria persistenza del rapporto con limpresa
e, quindi, lo stesso grado dintegrazione tra successo aziendale e successo personale.
Tuttavia il raggiungimento di risultati particolarmente brillanti in campo economico e sociale
potrebbe essere il mezzo per il passaggio ad aziende di maggiore importanza. Nella teoria delle
finalit imprenditoriali sinserirebbe cos laspirazione alla mobilit quale via per riuscire a
conquistare + rapidamente livelli superiori di prestigio (questo vale soprattutto per manager
operanti in imprese di + piccole dimensioni).

La teoria della sopravvivenza aziendale (Drucker)
Secondo gli economisti sociali, la teoria della massimizzazione del profitto non regge pi a causa
dellormai avvenuta separazione fra il livello di propriet e di governo dellimpresa . il fatto che la
gestione sia attuata da dirigenti e tecnocratici comporta un mutamento dei fini della gestione stessa.
Mentre, infatti, i proprietari potevano essere interessati ad ottenere il massimo profitto dallimpresa,
i dirigenti sono preoccupati in primo luogo della sopravvivenza dellorganizzazione.
Secondo la teoria della sopravvivenza, il fine del gruppo imprenditoriale soprattutto quello di
assicurare la continuit dellorganismo aziendale. Ci si traduce, da un lato, nel puntare al profitto
come mezzo per irrobustire la struttura patrimoniale dellimpresa e, dallaltro, nel rifiutare attivit
gestionali con coefficienti di rischio che possono porre in pericolo la vita dellorganizzazione. In
altri termini tale teoria assegna al profitto un ruolo strumentale nei confronti dello scopo ultimo, che
quello di non pregiudicare la continuit di funzionamento dellimpresa.

La teoria dello sviluppo dimensionale (Baumol)
Secondo tale teoria i manager sono interessati allespansione dellimpresa perch questultima si
traduce quasi sempre in un irrobustimento dellorganizzazione (garanzia di sopravvivenza),
nellassunzione di una maggior forza nei confronti della concorrenza (garanzia di redditivit
aziendale) e sovente, nellincremento delle retribuzioni ai livelli pi elevati di direzione. Di
conseguenza con lo sviluppo dimensionale si riescono ad ottenere simultaneamente obiettivi di
stabilit, di prestigio e di miglioramento economico.
Pertanto al posto della crescita del profitto si sostituisce la crescita dimensionale, ossia la crescita
del fatturato, quale obiettivo primario della conduzione aziendale. Massimizzare il fatturato
consente di migliorare gli sviluppi di carriera di tutti i dirigenti, facilitare i rapporti con le banche, i
fornitori, il personale dellimpresa, ecc.

La teoria della creazione e diffusione del valore
La finalit della creazione di del valore risponde agli obiettivi di tutti i partecipanti allimpresa e
non soltanto a quelli dellimprenditore proprietario o del manager.
La teoria del valore sostiene che la finalit da assegnare alla gestione quella di far crescere il
valore economico dellimpresa. Con essa la visione dei risultati aziendali orientata al futuro,
perch ci che conta non il profitto, ma le potenzialit di produrre risultati sempre migliori.
12
Legata alla teoria del valore sicuramente la filosofia delle qualit totale, che porta a sottoporre a
stretto controllo e ad intervenire su tutti i processi attuati dallimpresa per mirare al loro
miglioramento qualitativo e, quindi, per poter costruire una pi favorevole immagine aziendale.
Importanti diventano quindi gli investimenti in immobilizzazioni immateriali quale via obbligata
per far crescere il valore economico dellimpresa.
La teoria della creazione del valore azionario: La teoria della creazione del valore ben diversa
dalla teoria della creazione del valore azionario, che mira invece soprattutto a migliorare il corso
delle azioni nel breve periodo, perch in tal modo limpresa diventerebbe pi appetibile, pi
affidabile, conferirebbe maggiore prestigio e assicurerebbe, quasi sempre, migliori retribuzioni a chi
le governa.
Questa teoria non generale come quella della creazione del valore, perch pu riferirsi
esclusivamente alle public company quotate in borsa, e non alle molto pi frequenti imprese non
quotate. Limprenditore si preoccuper generalmente della redditivit di lungo periodo e non della
massimizzazione dei vantaggi per gli azionisti.


CAPITOLO 4: Il ruolo degli stakeholder nel sistema aziendale

1. LA VISIONE SOCIALE DELLIMPRESA
Unimpresa per le funzioni che chiamata a svolgere, per le risorse che attinge dallambiente, per
limpatto che pu esercitare sul clima sociale della comunit e, pi in generale, sulla qualit della
vita, non pu essere pi vista come uniniziativa imprenditoriale rivolta soltanto alle finalit
economiche dellimprenditore. Essa deve essere considerata come un sistema economico e sociale,
a cui prende parte una pluralit di attori, che deve essere guidato in funzione di un giusto equilibrio
tra obiettivi economici e responsabilit sociali.
La rilevanza sociale dellimpresa cresce in rapporto alle ricadute esercitate sul contesto in cui opera
(ricadute occupazionali, dinvestimento, di mercato, di partecipazione alla vita della comunit, di
effetti inquinanti, ecc.), mentre la rilevanza economica si lega alla ricchezza creata con la sua
attivit.
2. GLI INTERLOCUTORI DELLIMPRESA
Limpresa si pone dunque al centro di una serie di rapporti con differenti gruppi sociali, rispetto ai
quali attiva relazioni di scambio, di informazione, di rappresentanza. Questi gruppi finiscono per
divenire dei veri interlocutori dellimpresa, dei portatori di interesse (STAKEHOLDER) che
influenzano e sono influenzati dallattivit dellimpresa.
possibile distinguere tra:
stakeholder primari: destinati ad esercitare una pressione pi immediata sulla gestione
aziendale (proprietari, dipendenti, fornitori, clienti, concorrenti, istituzioni finanziarie)
stakeholder secondari: in grado di influenzare i comportamenti di lungo termine, potendo
incidere soprattutto sul clima sociale delle relazioni aziendali (comunit locale, societ
civile, gruppi di opinione, gruppi di consumatori, gruppi ambientalisti, sindacati, media)
Nuova definizione di impresa in base alla teoria degli stakeholder:
organizzazione economica, legata ad un complesso dinterlocutori interni ed esterni, che mediante
la combinazione di risorse differenziate svolge processi di acquisizione e di produzione di beni e
servizi allo scopo di creare e distribuire valore tra tutti i suoi partecipanti.

3. CLASSIFICAZIONE DEGLI STAKEHOLDER
Per lindividuazione degli stakeholder e per la loro classificazione ci si serve di tre criteri:
- la forza (ovvero il potere da essi detenuto in virt del ruolo ricoperto nella societ)
- la legittimazione (ossia il riconoscimento della funzione di rappresentanza di particolari
interessi o di soggetti economici, sociali e politici)
13
- lattualit dellinteresse difeso (ovvero lurgenza della risposta attesa da parte dellazienda e
la criticit che tale risposta assume nelle particolari contingenze)
Sotto il profilo delle possibilit di minaccia o collaborazione provenienti dagli stakeholder questi
possono essere classificati in quattro gruppi:
1. STAKEHOLDER AMICHEVOLI, dai quali si pu ottenere un sostegno decisivo per
lattivit dellimpresa,
2. STAKEHOLDER AVVERSARI, dai quali si generano difficolt sostanziali per lattivit
aziendali,
3. STAKEHOLDER NON ORIENTATI, da cui si potr avere a seconda dei casi un sostegno o
un atteggiamento negativo,
4. STAKEHOLDER MARGINALI, il cui peso nei confronti dellimpresa risulta del tutto
modesto.
Rapporti strategici con gli stakeholder: obiettivo dellindividuazione degli stakeholder stabilire
come gestire i relativi rapporti.
1. COINVOLGIMENTO (per gli s. amichevoli)
2. DIFESA (per gli s. avversari)
3. COLLABORAZIONE (per gli s. non orientati)
4. MONITORAGGIO (per gli s. marginali)
Naturalmente gestire unimpresa secondo la visione allargata a tutti gli stakeholder certamente
compito pi complesso rispetto al governo in funzione delle sole finalit imprenditoriali, ma
indubbiamente pi produttivo nel lungo periodo. Nella teoria degli stakeholder il ruolo centrale
rimane sempre quello dellimprenditore: questi infatti che deve gestire il rapporto con tutti gli
interlocutori ed sempre questi che deve creare e ricreare lequilibrio generale che consente
allimpresa di continuare a produrre e distribuire ricchezza.

5. LA TEORIA DELLAGENZIA
Nella teoria degli stakeholder un punto problematico concerne il ruolo della propriet. Pu
accadere, difatti, che questultima detenga nelle sue mani il governo dellimpresa oppure che si
vengano a costituire due soggetti distinti: la propriet investitrice, da un lato, e il management,
dallaltro:
5. nel primo caso limprenditore, rappresentando limpresa, colui che deve curare il rapporto
con gli stakeholder e quindi non figura tra questi ultimi,
6. nel secondo, invece, limprenditore rappresentato dal management a cui stata confidata
lamministrazione dellimpresa, e la propriet risulta ricompressa tra gli stakeholder perch
costituisce uno degli interlocutori primari del management stesso.
Il ruolo della propriet: La teoria dellagenzia richiama proprio questa seconda situazione,
situazione in cui il potere di amministrazione aziendale esercitato da un agente (agent) su mandato
ricevuto dalla propriet (principal). Per effetto del mandato fiduciario, in base al quale un delegato
amministra per conto del delegante, si viene a creare una relazione singolare che tende a ridurre se
non annullare il rischio della mancata remunerazione della propriet. Questultima, infatti,
incentiver lagente a massimizzare la ricompensa per la propriet sotto forma di dividendi azionari,
pena labbandono della societ (disinvestimento) o la rimozione dellagente dal suo incarico
(risoluzione del mandato fiduciario).
Una situazione del genere indurr, quindi, lagente ad assicurare comunque una cogrua
remunerazione alla propriet, dopo avere ugualmente soddisfatto gli altri stakeholder, distribuendo,
qualora necessario, la ricchezza accumulata anzich quella creata. Ci potr avvenire sacrificando
gli obiettivi di lungo periodo (investimenti di sviluppo) o addirittura distribuendo quote del
patrimonio aziendale.



14
CAPITOLO 5: Cenni introduttivi sui profili di gestione e sui ruoli di governo dellimpresa

1. DEFINIZIONE DI GESTIONE:
7. governare limpresa, cio amministrare i vari fattori di produzione impiegati per il suo
funzionamento e, soprattutto, assicurarle lo sviluppo mediante la creazione e il
mantenimento di equilibri economici, patrimoniali e finanziari.
8. Il termine gestione, per si presta ad essere inteso anche in un altro senso ovvero quale
complesso di attivit svolte dallimpresa per raggiungere le finalit dei soggetti coinvolti
appunto nella sua operativit. Questa una definizione + oggettiva, in quanto riguarda, pi
che le azioni di governo del sistema attuate dai soggetti di comando, i contenuti delle
funzioni poste in essere (produzione, vendita, finanza, ecc).

2. I PROFILI DELLA GESTIONE AZIENDALE
Analizzando lattivit di gestione in funzione del ciclo completo di atti da porre in essere, si pu,
dunque, pervenire alla distinzione tra gestione strategica e operativa:
GESTIONE STRATEGICA
La strategia definisce i rapporti con lambiente, cio con il contesto generale entro cui opera
limpresa che comprende il sistema politico-istituzionale, economico, culturale e socio-
demografico. La strategia risponde allobiettivo + specifico di scegliere lambiente transazionale
e competitivo di riferimento dellazienda, in tal senso la strategia definisce con quale o con quali
contesti specifici lazienda entrer in contatto.
La gestione strategica si riferir allora agli atti di decisione attinenti fondamentalmente allo
sviluppo aziendale.
In ogni impresa possibile delineare una gerarchia di scelte strategiche:
9. Strategie complessive: scelta delle aree daffari.
10. Strategie competitive: scelta delle modalit di competizione in ciascuna area daffari.
11. Strategie funzionali: scelte relative alla produzione alla produzione, al marketing, alla
finanza, al personale, alla ricerca e sviluppo.
GESTIONE OPERATIVA
Lattivit dellimpresa si suddivide, a livello operativo, per ree o funzioni aziendali secondo il
principio della specializzazione operativa. La gestione, dunque si articola per gruppi di
responsabilit e di compiti, che richiedono limpiego di risorse specifiche di diversa professionalit.
Per gestione operativa allora intendiamo proprio gli atti di decisione, controllo ed esecuzione
relativi allattuazione dei processi operativi.
quindi possibile dividere la gestione operativa in:
12. Ciclo di produzione
13. Ciclo di vendita
14. Ciclo finanziario
15. Ciclo logistico
16. Ciclo di ricerca e sviluppo

3. I RUOLI DI GOVERNO DELLIMPRESA
IMPRENDITORIALITA: attitudine ad assumere decisioni rischiose finalizzate allinnovazione dei
comportamenti aziendali.
MANAGERIALITA: capacit di sviluppare le decisioni prese dallimprenditore e di attuarle in
modo razionale.
La dottrina anglosassone distingue la figura imprenditoriale da quella amministrativa attribuendo
alla prima il fine di creare valore e alla seconda quello di impedire le perdite. In altri termini,
limprenditore colui che programma le operazioni intese ad accrescere il valore dellimpresa,
mentre lamministratore colui che, nel raggiungimento delle finalit imprenditoriali, deve
razionalizzare luso delle risorse ed evitare le inefficienze.
15
Efficacia strategica ed efficienza operativa: La complementarit di questi ruoli, che in molte
imprese, possono combinarsi nello stesso soggetto, appare dunque molto chiara, perch il successo
di unimpresa sempre il risultato della combinazione di efficacia strategica (bont delle decisioni)
ed efficienza operativa (rendimento delluso delle risorse). Lefficacia il valore pi proprio
dellimprenditorialit, cio dellintuizione decisionale di chi governa a livello pi elevato il sistema
aziendale, lefficienza lattributo perseguito in fase di attuazione dei processi operativi ed ,
quindi, pi proprio della managerialit, intesa quale attitudine a realizzare il massimo risultato
nellattuazione delle scelte aziendali.

5. I SOGGETTI DELIBERANTI ALLINTERNO DELLA STUTTURA AZIENDALE
La struttura organizzativa di qualsiasi tipo di azienda caratterizzata dal fatto di essere costituita da
un gruppo relativamente ristretto di organi, cui istituzionalmente demandato il potere di deliberare
circa gli obiettivi generali e le politiche fondamentali della gestione, e da una schiera molto pi
folta di altri organi, cui tocca invece il compito di porre in attuazione e di controllare il
raggiungimento di quegli obiettivi e politiche.
Questi organi generalmente si distinguono in tre gruppi:
17. Organi di propriet
18. Organi di amministrazione
19. Organi di direzione
Non sempre per i protagonisti dei vari momenti della gestione sono gli organi ufficialmente
addetti. Infatti per operare non sufficiente lAUTORITA FORMALE, ossia la carica riconosciuta
ricoperta nellorganizzazione, ad essa deve accompagnarsi lAUTORITA SOSTANZIALE
(lautorevolezza) caratterizzata da tre elementi:
20. abilit professionale,
21. disponibilit delle informazioni
22. capacit di controllo delle decisioni assunte.


CAPITOLO 6: Lorientamento strategico della gestione

1. LA STRATEGIA E LA POLITICA DI GESTIONE
Nei confronti dellevoluzione dellambiente esterno, limprenditore pu adottare tre differenti tipi di
atteggiamenti:
1. un atteggiamento di attesa, che consiste nellaspettare il verificarsi di fenomeni evolutivi
nel mercato o nel + vasto contesto (macro-ambiente) in cui questo compreso, per
promuovere soltanto dopo che essi si sono chiaramente affermati gli opportuni
adattamenti della gestione. Questo atteggiamento configura uno schema di comportamento
quasi esclusivamente ripetitivo, in cui le azioni di adattamento sono una conseguenza delle
variazioni ambientali.
2. un atteggiamento anticipatorio, che si traduce nellattuazione di uno sforzo costante di
previsione dei mutamenti ambientali, allo scopo di poter realizzare, in modo anticipato e
tempestivo, le necessarie modifiche nei comportamenti di gestione. Questo atteggiamento
configura uno schema difensivo, in cui le decisioni di mutamento rappresentano una risposta
anticipata alle presumibili modificazioni del contesto esterno.
3. un atteggiamento attivo, che si concreta nella promozione di azioni tendenti ad influenzare
lambiente (macro e micro-ambiente) nel senso pi favorevole alle prospettive di sviluppo
aziendale. Questo atteggiamento si caratterizza come un modello di sviluppo fondato
sullinnovazione quale sforzo autonomo, promosso dallimpresa in vista del conseguimento
di obiettivi strategici di mutamento dei rapporti con lambiente.
Detto ci evidente che lelemento, che pi di ogni altro, denota il grado di avanzamento del
processo di gestione aziendale rappresentato dalla strategia.
16
STRATEGIA:
23. un disegno elaborato dallimprenditore, che individua le direttrici da seguire per raggiungere
determinate mete (obiettivi),
24. il mezzo per conseguire traguardi di tempo non breve, definiti in funzione dellevoluzione
del rapporto tra limpresa e lambiente nel quale questa opera.
Il concetto di strategia si caratterizza per tre elementi fondamentali:
1. la formulazione a livello alto-discrezionale,
2. la proiezione a lunga scadenza
3. la priorit dei traguardi da raggiungere.
GERARCHIA DELLE STRATEGIE: Le strategie aziendali si ordinano secondo una precisa
gerarchia, che vede:
al vertice le strategie complessive (scegliere i campi o le aree di affari in cui operare
secondo una strategia complessiva, che pu essere di sviluppo o di mantenimento delle sue
posizioni)
al centro le strategie competitive (stabilire i comportamenti da assumere nei confronti della
concorrenza in ciascuna delle aree di affari)
alla base le strategie funzionali (strategie di produzione, di vendita, di finanza, ecc., che
debbono essere strumentali rispetto alle strategie competitive prescelte e che riguardano le
modalit di attuazione delle funzioni di gestione).
Le strategie complessive e competitive sono strettamente legate: lallocazione di risorse tra i vari
business (strategie complessive) sar infatti fortemente influenzata dalle possibilit di competere
con successo (strategia competitive) nei business prescelti.
MODELLI NELLANALISI STRATEGICA:
25. Razionale-sinottico (strategia come processo logico, ordinato, razionale, di formulazione e
successiva implementazione)
26. Processuale (strategia come processo di apprendimento con il fare, in cui si fondono
pensiero e azione)
27. Imprenditoriale (strategia nella mente del leader, visione sul futuro dellorganizzazione,
basata su intuizioni, abilit ed esperienza).

2. DIFFERENZE TRA IL CONCETTO DI STRATEGIA E QUELLO DI TATTICA
Decisioni strategiche:
28. disegno generale globale che individua le direttrici da seguire per raggiungere determinate
mete,
29. decisioni che si riflettano direttamente e decisamente sugli obiettivi prioritari dellazienda,
30. difficilmente modificabili, una volta poste in attuazione, senza contraccolpi significativi
sulla gestione e sullimmagine aziendale.
Tattiche:
31. scelte funzionali in rapporto al disegno strategico
32. si riferiscono ad obiettivi generalmente inferiori, e comunque di tempo breve, che appaiono
modificabili senza ripercussioni particolarmente sfavorevoli per lazienda,
33. le scelte tattiche sono la traduzione sul piano operativo della strategia.

3. STRATEGIE COMPLESSIVE: GLI OBIETTIVI STRATEGICI DI GESTIONE
I comportamenti imprenditoriali di tempo lungo dovranno essere definiti secondo un percorso che
prevede quattro fasi rappresentati dalla:
34. formulazione delle previsioni,
- individuazione degli obiettivi,
- definizione della strategia,
- adattamento della struttura organizzativa.
Gli obiettivi strategici di gestione sono raggruppabili nei seguenti sei:
17
sviluppo dimensionale (crescita del volume daffari)
riequilibrio gestionale (risposta alla crisi)
riduzione del rischio (continuit aziendale)
mantenimento delle posizioni (difesa del mercato)
disinvestimento parziale (ridimensionamento)
uscita dal mercato (cessione o liquidazione).

4. LO SVILUPPO DIMENSIONALE
Classificazione delle strategie di sviluppo dimensionale:
1. sviluppo monosettoriale: integrazione orizzontale o verticale.
2. sviluppo polisettoriale: diversificazione laterale o conglomerale.
3. sviluppo internazionale: sviluppo internazionale del mercato o sviluppo
multinazionale della gestione.
INTEGRAZIONE ORIZZONTALE: con lintegrazione orizzontale limpresa punta a conseguire
una maggiore forza nel settore in cui opera mediante la crescita della propria capacit produttiva e/o
mediante lacquisizione di imprese concorrenti.
INTEGRAZIONE VERTICALE: lintegrazione verticale, che si concretizza in unespansione a
monte e a valle rispetto allambito di attivit occupato, ha come obiettivo principale il controllo
diretto di stadi recedenti delle lavorazioni svolte (ovvero linternalizzazione di produzioni prima
acquistate allesterno) o di stadi successivi con linserimento diretto in lavorazioni a valle di quelle
poste in essere oppure con lingresso nel circuito distributivo.
Lintegrazione verticale comportando un aumento del valore aggiunto (che dato dalla differenza
tra il valore dei prodotti realizzati e quello delle materie prime, ausiliarie e dei servizi acquistati
allesterno), ha come conseguenza una riduzione dellesposizione al rischio globale di gestione e, a
seconda dei casi, potrebbe condurre ad una riduzione dei rischi di approvvigionamento o di
collocamento dei prodotti finiti.
Non detto, invece, che essa porti sempre ad un incremento dei profitti, che dipender dalla
capacit dellimpresa, che si integra verticalmente, di svolgere in maniera + economica, al suo
interno, le attivit precedentemente acquistate allesterno.
DIVERSIFICAZIONE LATERALE: si concreta nellespansione verso nuove aree di affari
rispetto alle quali sussistono, per, dei collegamenti tecnologici o di marketing (es. unimpresa
produttrice di pasta alimentare che si diversifica inserendosi nella produzione di biscotti)
DIVERSIFICAZIONE CONGLOMERALE: si realizza allorch tra attivit vecchie e nuove non
intercorre nessun collegamento n di tecnologia n di mercato (es. unimpresa che produce
abbigliamento che si inserisce nel business dei trasporti)
SVILUPPO INTERNAZIONALE: Lo sviluppo internazionale pu concretarsi:
nellespansione allestero della propria sfera di attivit (ampliamento internazionale del
mercato di sbocco),
oppure nella multinazionalizzazione ossia nellallargamento dellintera gestione aziendale
sul piano mondiale (vedi i casi IBM, Coca Cola, ecc).
Lo sviluppo internazionale pu realizzarsi in diversi modi:
- esportazione (vendita sistematica dei prodotti allestero)
- produzione indiretta (concessione di licenze di fabbricazione a produttori esteri)
- vendita diretta (creazione di reti di vendita allestero)
- produzione e vendita diretta (allestimento di impianti di produzione e distribuzione
allestero)
- costituzione di unimpresa allestero (fondazione di una societ allestero)
- organizzazione multinazionale (coordinamento della gestione sul piano multinazionale)

Effetti, limiti e cause del processo di sviluppo dimensionale dellimpresa
EFFETTI:
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- Vantaggi: aumento dei ricavi (maggiori volumi, prezzi pi favorevoli) e riduzione dei costi
(economie di scala, economie di apprendimento)
- Svantaggi: diseconomie di scala, rigidit, perdita di controllo, visibilit di mercato.
LIMITI:
- interni: risorse manageriali, struttura organizzativa, capacit finanziaria,
- esterni: sviluppo della domanda, pressione della concorrenza.
CAUSE:
- interne: risorse aziendali parzialmente sfruttate,
- esterne: occasioni di business.
Modalit di realizzazione della strategia di sviluppo dimensionale
- Sviluppo interno: crescita organizzativa.
- Acquisizioni aziendali: rilevamenti (takeover) e fusioni.
- Accordi tra imprese: joint venture e alleanze strategiche.

5. CLASSIFICAZIONE DELLE STRATEGIE COMPETITIVE
LEADERSHIP DI COSTO: strategia competitiva attraverso la quale le imprese tentano di ottenere
un vantaggio competitivo attraverso la riduzione dei costi rispetto ai concorrenti (si pensi alle
compagnie aeree low-cost).
DIFFERENZIAZIONE: strategia competitiva attraverso la quale le imprese tentano di ottenere un
vantaggio competitivo incrementando il valore percepito dei prodotti o dei servizi rispetto a quelli
di altre aziende (si pensi allAlitalia).
FOCALIZZAZIONE: strategia competitiva attraverso la quale le imprese si posizionano in nicchie
di mercato, meno attrattive per altri concorrenti, in cui riescono ad ottenere vantaggi competitivi (si
pensi ad una piccola compagnia aerea delle Seychelles).

6. PROGRAMMAZIONE ED OCCASIONALITA DELLA STRATEGIA
Mintzberg ha osservato che la scelta di una strategia sovente il risultato di un evento occasionale
pi che di un processo esplicito di pianificazione. Secondo M., nessuna strategia sarebbe il frutto
del solo caso ma nessuna strategia anche il frutto di sola programmazione, per cui sussisterebbe
quasi sempre una combinazione di strategie spontanee e programmate.
Lorientamento strategico di fondo: Tuttavia le singole scelte appaiono sempre legate da un
orientamento comune incentrato su valori di fondo condivisi dal vertice aziendale, per cui sembra
possibile sostenere che in ogni impresa si fonda un orientamento strategico di fondo, quale
elemento decisivo di indirizzo dei comportamenti imprenditoriali.
Tale orientamento rappresentato dal complesso dei valori posti alla base della vita aziendale.
Ciascuna azienda, infatti, pu perseguire dei valori di fondo particolari connessi con il ruolo da
rivestire nella societ, con i bisogni sostanziali da soddisfare, con i principi etici da diffondere e far
applicare allinterno dellorganizzazione.
Lorientamento strategico, insomma, si lega alla vision dellattivit aziendale e allimmagine che
sintende proiettare allesterno.


CAPITOLO 7: Il processo di governo dellimpresa

1. IL PROCESSO DI DIREZIONE AZIENDALE
Ogni impresa caratterizzata da un vero e proprio CICLO DI DIREZIONE composto da 4 fasi:
- PROGRAMMAZIONE (atti di decisione)
- ORGANIZZAZIONE (atti di disposizione)
- CONDUZIONE (atti di guida)
- CONTROLLO (atti di valutazione)
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Ogni attivit va infatti programmata, stabilendo in anticipo gli obiettivi da raggiungere, le decisioni
e le modalit di svolgimento da rispettare e le risorse da impiegare; organizzata individuando chi e
con quali responsabilit dovr curarne la realizzazione; guidata fornendo le direttive e motivando
gli organi operativi, controllata valutando i risultati raggiunti rispetto a quelli programmati.
Continuit del ciclo: Il controllo conclude il processo e, allo stesso tempo, avvia un nuovo ciclo di
direzione perch i dati, con esso rilevati, occorrono a far assumere nuove decisioni nellambito della
funzione di programmazione.
Ciclo informativo: Ogni ciclo si svolge, nei suoi vari momenti, mediante le informazioni che
fluiscono allinterno dellimpresa e che debbono essere integrate con quelle provenienti
dallambiente esterno. Sotto questo profilo, si ha cio un vero e proprio ciclo informativo, perch il
controllo produce informazioni, la programmazione richiede lintegrazione dei dati cos ottenuti con
quelli relativi al contesto esterno, la conduzione comporta il trasferimento di informazioni da chi
dirige a chi esegue e, infine, chi esegue deve trasmettere i risultati della propria attivit agli organi
di controllo.

2. LA PROGRAMMAZIONE
Il termine programma deriva dalla lingua greca e significa, in senso letterale, scrivere prima. La
traduzione rende bene il contenuto della programmazione, che deve essere concepita quale processo
di predeterminazione degli obiettivi, delle politiche e delle attivit da compiere entro un determinato
periodo di tempo. Nellazienda programmare significa dunque assumere in anticipo il complesso di
decisioni attinenti alla gestione futura.
Gli elementi di un piano di gestione: un piano risulta costituito da quattro elementi:
- obiettivi: traguardi cui dovr tendere lorganizzazione,
- politiche: linee generali di azione
- attivit: flussi di operazioni da attuare durante la gestione
- risorse: vincoli-opportunit da rispettare nello svolgimento delle operazioni.
Vincoli per lo sviluppo dellimpresa: al momento di stabilire la programmazione dellimpresa il
management non pu non tener conto i alcuni vincoli che ineriscono alla struttura interna
dellorganizzazione e allambiente socio economico:
VINCOLI INTERNI:
- Potenzialit produttiva
- Potenzialit organizzativa
- Potenzialit finanziaria
- Potenzialit economico-strutturale
VINCOLI ESTERNI:
- Crescita della domanda
- Pressione della concorrenza
- Progresso tecnologico
- Regolamentazione pubblica
I requisiti di una buona programmazione aziendale:
FORMALIZZAZIONE: importante sottolineare il carattere formale assunto dal processo di
programmazione, che si sostanzia nello svolgimento di una procedura codificata che porta alla
materiale redazione di un piano (o meglio di un sistema di piani dazione), in cui sono
specificati gli obiettivi da perseguire, i mezzi da impiegare e le operazioni da compiere entro
certi periodi di tempo. I piani vengono resi noti ed accettati da parte di tutti i responsabili delle
attivit aziendali.
INTEGRAZIONE: il processo di programmazione, in senso pieno, deve consentire di pervenire
alla costruzione di un sistema di piani che abbracci integralmente le varie attivit di gestione. La
programmazione pu infatti attuarsi per singoli settori oppure in modo integrale per tutta la
gestione aziendale. Nel primo caso si hanno solo dei piani settoriali, che regolano la
realizzazione di particolari attivit (piani di vendita, piani di produzione), nel secondo invece la
20
costruzione di questi piani di settore integrata e coordinata mediante la definizione di un
programma generale, che disciplina simultaneamente gli aspetti commerciali, tecnici, finanziari
e organizzativi di tutta lattivit aziendale. evidente che la programmazione consegue la
massima efficacia quando pi si proceda allintegrazione delle funzioni.
PLURIENNALITA: la programmazione deve essere lungimirante, perch solo nel lungo
termine possibile modificare il sistema di vincoli entro cui limpresa opera. La
programmazione nel breve termine pu solo adattare lattivit corrente ai vincoli interni ed
esterni alla gestione aziendale. Questo tipo di programmazione viene perci detto di
adattamento perch, come abbiamo detto, la modificazione di certi vincoli (impianti,
organizzazione, ecc) comporta tempi non brevi e fa si che il patrimonio di risorse dellimpresa
appaia come vincolo di partenza per la realizzazione delle operazioni di gestione. Con una
programmazione di lungo termine invece limpresa tenta di massimizzare i risultati di gestione
sapendo di poter, nei limiti del possibile, modificare alcuni vincoli.
QUANTIFICAZIONE: per quanto concerne la valutazione e limpiego delle risorse, acquista
una segnata importanza un altro documento che scaturisce dal processo di programmazione: il
budget economico o bilancio preventivo. Questo un documento contabile che traduce, in
termini di costi e ricavi, le scelte e le operazioni stabilite nel piano. Il budget definito come un
conto profitti e perdite anticipato perch tende a predeterminare il risultato della futura gestione,
la sua utilit rilevante sotto il duplice profilo decisionale e di controllo, con esso, infatti, si
riescono a quantificare economicamente le decisioni programmate e a valutare, quindi,
lopportunit di attuarle o modificarle prima dellapprovazione, inoltre larticolazione del
budget economico per singole unit della struttura organizzativa (direzioni, reparti, uffici, filiali,
ecc.) consente di esercitare un valido controllo sugli obiettivi via via raggiunti. Al budget
economico si collega un budget finanziario (che considera gli usi e le fonti di capitale, in modo
da predeterminare il saldo finanziario dellesercizio) e un budget di cassa (per governare il
flusso monetario delle entrate e delle uscite).

3.1 LORGANIZZAZIONE
Lo scopo della funzione organizzativa lottenimento di condizioni di massima efficienza operativa
mediante la suddivisione e specializzazione delle attivit e lopportuna loro coordinazione in un
sistema integrato di obiettivi, poteri e responsabilit.
In altri termini il suo contributo si estrinseca nel conseguimento di una maggiore produttivit del
lavoro , il che significa far raggiungere un miglior risultato a parit di sforo sostenuto.
Con ci si richiama leffetto sinergico del processo organizzativo, che rivolto a stabilire una
situazione di collaborazione fra le varie parti in cui si articola la struttura aziendale. A causa di esso,
il risultato dellattivit di un gruppo di persone risulta superiore alla somma di risultati ottenibili da
ciascuno dei membri del gruppo stesso operanti isolatamente.
Aspetto strutturale: Ordinamento di compiti e responsabilit. Nella realt ci si pu imbattere in
due tipi di struttura de tutto opposte:
STRUTTURA SPONTANEA: quella solitamente delle aziende pi piccole in cui, a causa
della semplicit dei processi di gestione e del ridotto organico di personale, in questo caso
non esiste una ripartizione formale di compiti e responsabilit n una definizione dei circuiti
di comunicazione. Tale struttura fondata sui rapporti interpersonali creatisi allinterno
dellimpresa. Si vengono cos a intessere relazioni informali che si traducono nella
spontanea accettazione di determinati ruoli allinterno dellorganizzazione.
STRUTTURA DI PIANO: quella, pi comune al di l di una certa dimensione dellimpresa,
definita formalmente dal management aziendale al fine di preservare il coordinamento
generale dellorganizzazione. In questo caso sia la ripartizione dei compiti e delle
responsabilit sia la definizione di un circuito di comunicazione trovano un ordinamento
ufficiale e durevole in un apposito piano organizzativo.
21
Progettazione dellorganizzazione: la programmazione comporta lordinamento di tre sistemi
endo-aziendali, ciascuno dei quali riguarda un aspetto dellorganizzazione:
- SISTEMA DI POTERI-RESPONSABILITA: concerne la ripartizione dei poteri e delle
responsabilit decisionali inerenti alla gestione.
- SISTEMA DI RELAZIONI: complesso di collegamenti tale da porre la struttura in grado di
funzionare in modo coordinato.
- SISTEMA DI COMUNICAZIONI: lesistenza di una efficiente rete di comunicazioni
costituisce la conditio sine qua non per ottenere la coordinazione delle funzioni dimpresa.
Obiettivo una struttura CODIFICATA: progettare la struttura organizzativa significa, quindi,
pervenire in modo formale allordinamento della gamma di rapporti di autorit, di cooperazione e di
competenza intorno ai quali si sviluppa la vita dellimpresa, risolvendo congiuntamente problemi di
suddivisione di compiti e responsabilit e di creazione della rete di relazioni per il passaggio delle
informazioni tra i molteplici organi aziendali.

3.2 I MODELLI DI STRUTTURA ORGANIZZATIVA
I modelli principali di struttura organizzativa sono la:
STRUTTURA SEMPLICE: un modello poco formalizzato, che si basa sul rapporto
interpersonale e che adatto soltanto ad imprese di piccolissime dimensioni. il caso tipico
di complessi composti da poche unit di personale e governai, mediante lassidua presenza,
dallimprenditore proprietario.
STRUTTURA FUNZIONALE: si costituisce dividendo la gestione in funzioni ovvero
gruppi di compiti che, data la loro omogeneit interna e la differenziazione da altri gruppi di
compiti, richiedono il presidio di competenze specialistiche. Lorganizzazione si articoler,
dunque, in tante funzioni per quante sono le aree di responsabilit da affidare a manager
dotati di competenze specifiche.
STRUTTURA DIVISIONALE: tende a separare i diversi centri di profitto, operando una
distinzione soprattutto per famiglie di prodotto o per aree geografiche, in un modello
costituito sulla specializzazione delle funzioni che richiedono competenze ad hoc e sulla
centralizzazione di funzioni che possono essere pi efficacemente gestite a livello della
Direzione generale (come ad esempio il personale e la finanza). La struttura divisionale ha
lo scopo di stimolare la competitivit tra le varie unit divisionali e di accrescere il livello di
specializzazione sul piano operativo.
STRUTTURA A MATRICE (O A PROGETTO): tende a favorire linnovativit mediante lo
sfruttamento di un doppio criterio di specializzazione (per divisione e per progetto) di tipo
permanente (struttura a matrice) o temporaneo (struttura a progetto). Questo modello
presenta, ovviamente, dei complessi problemi di coordinamento perch sono costruiti sulla
base di un doppio rapporto di responsabilit e dipendenza gerarchica e si giustificano quindi
soltanto in imprese caratterizzate da un tasso particolarmente elevato di innovativit nei
prodotti e nei processi operativi.

4. LA CONDUZIONE
Lo scopo: La funzione di conduzione del fattore umano ha per obiettivo lottenimento del miglior
rendimento dellorganizzazione e riguarda i problemi dimpiego e di guida delle risorse umane
presenti in azienda. Dirigere, nel suo significato pi tradizionale, significa far s che altri realizzino
certe azioni e labilit direttiva si misura, sotto tale profilo, non solo in funzione dei risultati
operativi conseguiti, ma anche in rapporto al clima delle relazioni di lavoro creato nellazienda.
comprensibile infatti che, nel rapporto di scambio tra il lavoratore e limpresa, si creino interessi
diversi e logicamente in conflitto: sotto il profilo esclusivamente economico, limprenditore
richiede il massimo rendimento rispetto ai costi (salari e stipendi) che sostiene, e il lavoratore
desidera il massimo risultato (reddito da lavoro) rispetto alla quantit ed alle condizioni delle
prestazioni che deve rendere. Questi conflitti si possono presentare in due momenti: quello
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contrattuale, in cui le parti devono disciplinare il loro rapporto sul piano normativo, e quello
successivo di carattere operativo, in cui il rapporto deve essere gestito.
DIREZIONE AUTOCRATICA E PARTECIPATIVA: Una differente visione del fattore umano
ha fatto s che cambiasse lo stile della conduzione. Si passati, infatti, da una direzione tradizionale
di tipo autocratico, fondata sul principio dellautorit, ad una direzione partecipativa, basata sul
consenso: la prima attuata prevalentemente mediante la gerarchia del comando, la seconda mediante
la creazione della motivazione. In altri termini, lo stile partecipativo si basa sul controllo legato alla
motivazione e, quindi, sullautocontrollo, quello autoritario, invece, si impernia sul controllo
esterno o supervisorio.
Mc Gregor, noto studioso di organizzazione aziendale, pose in luce che al fondo di questi due stili
di direzione vi sono differenti premesse circa la natura ed il comportamento del fattore umano:
TEORIA X:
- luomo in generale detesta il lavoro,
- gli unici mezzi per ottenere che egli lavori sono i controlli e la minaccia di punizioni
- lobiettivo che si pone quello della sicurezza, per cui evita il rischio di accollarsi
responsabilit preferendo essere diretto piuttosto che assumere posizioni di leadreship.
Da queste premesse non pu che derivare una conduzione di tipo autocratico.
TEORIA Y:
- il lavoro accettato dalluomo come fatto naturale, quanto lo svago o il riposo,
- luomo pu esercitare lautodisciplina e, quindi, per lavorare non deve essere n controllato
n minacciato di sanzioni,
- luomo disposto ad accettare responsabilit per salire nella scala dei bisogni,
- la capacit innovativa, limmaginazione e la fantasia creativa sono ampiamente diffuse tra i
lavoratori e possono essere utilmente sfruttate per risolvere i problemi organizzativi,
- le potenzialit medie dei lavoratori sono solo parzialmente messe a frutto nelle attuali
condizioni aziendali.
Da queste premesse si evince che luomo visto non solo come essere da motivare, ma anche come
individualit da valorizzare e coinvolgere nel processo decisionale aziendale. Non pu che
derivarne una conduzione di tipo partecipativa.
Teorie organizzative: storicamente possibile individuare tre fasi di sviluppo della disciplina della
conduzione aziendale, fasi caratterizzate soprattutto da una evoluzione del concetto di uomo:
ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DEL LAVORO: partita da una visione meccanicistica
del ruolo delluomo nellorganizzazione, che stato visto pi come strumento o
meccanismo da far funzionare allinterno della machina aziendale, che come individuo da
motivare o far partecipare alle scelte aziendali.
SCUOLA DELLE RELAZIONI UMANE: Luomo non pi visto come una macchina da
lavoro ma come un individuo da motivare.
SCUOLA SISTEMICA: in ultimo si comprende che per ottenere il pi elevato rendimento
possibile dal fattore umano necessario risolvere il problema dellintegrazione tra gli
obiettivi individuali e quelli dellorganizzazione.
La motivazione: Il processo motivazionale si realizza quando alcuni degli obiettivi del lavoratore
divengono anche obiettivi del lavoratore che si sente integrato nellorganizzazione. Allorquando si
realizzer questo processo di fusione non si avr pi un problema di conduzione degli uomini, i
quali saranno naturalmente motivati a fornire il loro migliore contributo allazienda.
Il problema motivazionale pu essere scomposto in due parti:
- motivazione a partecipare che induce lindividuo ad accettare linserimento nellorganizzazione
- motivazione a produrre che spinge ad assicurare la produttivit richiesta dallorganizzazione
stessa.
Oggi lincentivazione pi motivante, soprattutto ai livelli elevati dellorganizzazione, quella che
prevede una qualche forma di compartecipazione ai risultati aziendali. Il principio di una
ricompensa mista formata in parte da una retribuzione fissa e in unaltra parte da un corrispettivo
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legato allesito della gestione contribuisce a far sviluppare lo spirito di gruppo e ad innalzare la
produttivit media.

LA SCALA DEI BISOGNI DI MASLOW:
Secondo Maslow lindividuo tenderebbe alla soddisfazione di una serie di bisogni, che si ordinano
lungo una scala crescente di importanza. I tipi di bisogni individuati e posizionati sui vari gradini
della scala maslowiana sono:
1. bisogni primari: bisogni di sopravvivenza rappresentati dalle necessit fondamentali da
soddisfare (nutrizione, abbigliamento, abitazione, ecc.)
2. bisogni di sicurezza: costituiti dalle esigenze di protezione della propria persona, del
patrimonio, della propria posizione lavorativa,
3. bisogni di socialit, rappresentati dalla necessit di sentirsi parte di un gruppo, legati cio ad
altri individui da interessi, sentimenti, credenze comuni,
4. bisogni daffermazione, costituiti dallaspirazione a riscuotere la stima di altri a collocarsi in
posizioni di preminenza nella classe sociale di appartenenza,
5. bisogni di auto-realizzazione, rappresentati dalla convinzione di avere realizzato a pieno le
proprie capacit professionali e morali, ossia di aver raggiunto il migliore risultato possibile
sulla base dei requisiti personali posseduti.
La scala Maslow fornisce, cos, uno schema prezioso di riferimento per orientare le soluzioni del
problema motivazionale. Non sempre, infatti, si pu indurre a lavorare pagando di pi o stabilendo
dei premi di produttivit perch la retribuzione rappresenta uno degli elementi del rapporto di
lavoro e, anche se importante, non in tutti i casi sufficiente a far migliorare il rendito dei
dipendenti e a rendere pi agevole la funzione di conduzione del personale.
LA TEORIA DI HERZBERG:
Al contrario di Maslow, Herzberg ha distinto i bisogni dei lavoratori in due sole grandi categorie:
- bisogni soddisfattivi, cio quelli che una volta appagati producono gratificazione e quindi
stimolano allazione,
- bisogni insoddisfattivi, cio quelli che se non soddisfatti generano frustrazione e determinano
linazione.
Tra i primi Herzberg ha incluso tutti i fattori motivazionali, quali il successo e il suo
riconoscimento, linteresse verso il lavoro svolto e le responsabilit assunte, le occasioni di crescita
professionale presenti nei compiti assegnati, la possibilit di promozione e di avanzamento; tra i
secondi ha compreso i cosiddetti fattori igienici legati alla politica dellazienda e alla sua
organizzazione, alla supervisione, alle relazioni interpersonali, alle condizioni di lavoro, alla
retribuzione, allo status e alla sicurezza.

Tecniche di incentivazione del personale:
Lincentivazione pu assumere diverse forme e produrre diversi effetti in funzione
dellorientamento allindividuo o al gruppo e della proiezione nel breve o lungo periodo. In base a
questi due fattori si pu costruire una matrice:

Breve periodo Lungo periodo
Performance individuale AUMENTI SALARIALI PIANO DI INCENTIVI
Performance di gruppo GRATIFICHE STOCK OPTION

La stock option costituisce un accordo finanziario in base al quale ai dirigenti viene offerto il diritto
di acquistare delle azioni delle societ in cui lavorano a una data futura e ad un prezzo concordato
nel momento in cui viene fornita lopzione, di solito il prezzo di mercato corrente o una cifra
leggermente inferiore.
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Questa forma di retribuzione risponde al principio di imprenditorializzazione diffusa del rischio,
si tende cio a sviluppare una imprenditorialit collettiva, che consente allimpresa di rinnovarsi
continuamente attraverso le innovazioni, le decisioni e la capacit di adattamento di tutti i membri
dellorganizzazione che operano in collaborazione.

5. IL CONTROLLO
Il controllo necessario per assicurare lordinato svolgimento dellattivit aziendale,
rappresentando una funzione che, quantunque si concentri maggiormente nellambito della struttura
direzionale, si diffonde a qualsiasi livello della struttura organizzativa. Al vertice amministrativo
riguarder, infatti, la gestione nel suo complesso, al livello della direzione operativa concerner
singoli settori, a quello supervisorio interesser le prestazioni di gruppi di lavoro elementari o di
singoli operatori.
Strumento di indirizzo: nel tempo il controllo si trasformato da strumento di costrizione in
strumento di indirizzo dellattivit gestionale. Anzich essere visto come elemento necessario a
disciplinare e vincolare lazione degli uomini inseriti nellorganizzazione, inteso come mezzo di
guida del lavoro e delle funzioni svolte a qualsiasi piano della struttura. In altri termini ad una
concezione tradizionale, secondo cui la sua attuazione doveva servire a valutare lefficienza,
lonest e la diligenza dei dipendenti, si sostituita una visione avanzata in base alla quale la
funzione di controllo intesa in senso attivo, cio come il mezzo per individuare le eventuali
insufficiente dellazione, allo scopo di stimolare automaticamente gli interventi di correzione e
favorire lo spirito di iniziativa.
I 4 momenti del controllo:
- in via antecedente: serve a valutare preventivatamene la bont di certe scelte e, si potrebbe dire,
trova sostanza nello stesso processo di programmazione, visto sotto questo aspetto come
controllo anticipato delle future linee di gestione.
- in via concomitante: si lega alla programmazione poich ha lo scopo di guidare, a tutti i livelli
dellorganizzazione, lattuazione dei piani formulati.
- in via susseguente: valutazione dellefficienza e dellefficacia della gestione, quindi uno
strumento dindirizzo per la formulazione di decisioni future.
- in via prospettica: mezzo per verificare la bont delle scelte strategiche e organizzative in
essere.
Il controllo direzionale, quindi, comprende il controllo operativo (finalizzato alla verifica del
raggiungimento dei risultati di gestione, che quindi comprende il controllo antecedente e quello
concomitante), le valutazioni di rendimento (ossia il controllo susseguente allo svolgimento delle
prestazioni, che si concreta nella misurazione di efficacia e efficienza delle politiche e delle risorse
impiegate nellazienda)e il controllo strategico (che il controllo prospettico della strategia e della
struttura aziendale).

ANTECEDENTE CONTROLLO
OPERATIVO

CONCOMITANTE
VALUTAZIONI DI
RENDIMENTO

SUSSEGUENTE
(Misurazione di efficacia e di
efficienza)



CONTROLLO
DI
DIREZIONE
CONTROLLO
STRATEGICO
PROSPETTICO
(Analisi strategica e
organizzativa)

Schema di controllo concomitante: il controllo concomitante si compone di 4 fasi:
- determinazione degli obiettivi: stabiliti in fase di programmazione ( importante per le fasi
successive che tali obiettivi siano realistici e ben determinati).
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- rilevazione periodica dei risultati: bisogner creare un sistema di reporting, in grado di far
giungere con regolarit i dati sui risultati di gestione ai dirigenti interessati.
- analisi causale degli eventuali scostamenti: momento di grande importanza perch fornisce
elementi preziosi sulla genesi delle deviazioni. Unanalisi non corretta pu orientare in modo
sbagliato gli interventi di gestione.
- interventi correttivi: possono andare a correggere le deviazioni, riducendo il livello delle
prestazioni ottenibili nellorganizzazione, o direttamente i piani, adeguando le strategie alle
condizioni interne ed esterne allimpresa verificate durante il controllo.
Controllo susseguente: il controllo susseguente si occupa della valutazione dellefficacia e
dellefficienza della gestione aziendale:
- efficacia: grado secondo cui lazienda raggiunge i suoi obiettivi. misurata dal rapporto tra gli
obiettivi ottenuti e quelli che si sarebbero dovuti conseguire.
- efficienza: capacit di rendimento o attitudine a svolgere una certa funzione. misurata dal
rapporto tra i risultati conseguiti e le risorse impiegate.
Controllo prospettico: i suoi obiettivi peculiari sono la verifica della:
- congruenza esterna: valutare se il quadro strategico messo a punto sia coerente con le tendenze
del contesto esterno allazienda stessa.
- congruenza organizzativa: verificare il rapporto di idoneit strumentale tra la strategia e le
struttura organizzativa.
- efficienza funzionale della direzione: verifica dellidoneit del management.


CAPITOLO 8: La gestione commerciale

1. CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI DI GESTIONE
FUNZIONI OPERATIVE PRIMARIE:
- produzione
- vendita
- finanza
FUNZIONI DI SUPPORTO:
- approvvigionamenti (logistica)
- personale
- ricerca e sviluppo
- contabilit
FUNZIONI AUSILIARIE:
- trasporti
- distribuzione
- manutenzione impianti
- pubblicit
Le funzioni operative primarie e quelle di supporto si collocano chiaramente su piani di importanza
diversi, tuttavia entrambe rappresentano gruppi di attivit da svolgere prevalentemente, se non
necessariamente, allinterno dellimpresa. Viceversa tra le funzioni ausiliarie si collocano tutte
quelle attivit che, per motivi organizzativi ed economici, lazienda pu con minore difficolt
esternalizzare, decentrandole ad altre organizzazioni.

2. LORIENTAMENTO DELLIMPRESA NEI CONFRONTI DEL MERCATO
In passato si tendeva a distinguere due tipi di comportamento dellimpresa nei confronti del
mercato, lorientamento al prodotto e lorientamento al mercato, oggi limpresa invece orientata al
business.
ORIENTAMENTO AL PRODOTTO: cura soprattutto dei problemi attinenti al ciclo di produzione
dei beni, per i quali la successiva vendita finiva per costituire unattivit complementare e pressoch
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automatica. Lorientamento al prodotto configurava, infatti, una situazione di mercato facile, nella
quale bastava produrre a prezzi competitivi per poter vendere e conseguire profitti.
ORIENTAMENTO AL MERCATO: preventivo accertamento della vendibilit dei prodotti da
realizzare. Lorientamento al mercato presupponeva quindi la necessit di analizzare la domanda
globale, di valutare la quota massima ottenibile dallazienda e di indirizzare le politiche di
produzione in funzione degli obiettivi di vendita realizzabili.
ORIENTAMENTO AL BUSINESS: si concreta nella ricerca di nuove occasioni di mercato da
aggiungere eventualmente a quelle gi sfruttate nellambito del mix di settori in cui di opera. In tal
caso, lo sguardo di chi governa lazienda proiettato verso lindividuazione di bisogni e desideri dei
consumatori che, in funzione delle risorse aziendali disponibili, possano rappresentare delle nuove
opportunit di business addizionali o, in certi casi, sostitutive di quelle gi soddisfatte in passato.
Il punto centrale della differenza tra orientamento al mercato e al business, dato dallampiezza
dellarea di osservazione da parte dellimpresa: nella prima ipotesi infatti le opportunit vanno
ricercate sostanzialmente nel mercato in cui gi si presenti; mentre nella seconda la ricerca si
estende a tutti i mercati in cui le risorse aziendali possono essere impegnate con successo.
Definizione di marketing: Il marketing si occupa di:
- analisi del mercato,
- programmazione dei profitti,
- promozione della domanda,
- esecuzione della vendita.
Il termine marketing, che appare intraducibile nella nostra lingua, indica il processo mediante cui
lazienda studia il mercato o i mercati che ritiene interessanti, analizza le tendenze della domanda e
la situazione della concorrenza, individua lesistenza di opportunit di business, orienta la
produzione in funzione dei potenziali acquirenti da conquistare, crea la domanda per i nuovi
prodotti e provvede a collocare questi ultimi presso gli sbocchi prescelti.
Alla luce della definizione proposta, il marketing si pone come una particolare filosofia di
gestione, incentrata sul mercato e protesa a trovare il miglior equilibrio tra le potenzialit di offerta
aziendale e le esigenze attuali e prospettiche della domanda, per questo motivo costituisce una
funzione fondamentale nellambito dellorganizzazione aziendale.

3. LA GESTIONE COMMERCIALE
Nellambito della funzione commerciale si possono individuare due gruppi di compiti:
- funzioni di marketing: analisi e studi di mercato, programmazione nuovi prodotti,
programmazione e controllo di vendita, promozione e sviluppo delle vendite.
- funzioni di vendita: gestione prodotti finiti, amministrazione vendite, gestione vendite (rete di
vendita, distributori, assistenza tecnica).
Le responsabilit di marketing richiedono competenze prevalentemente di studio e una
centralizzazione degli organi a cui esse debbono essere confidate, mentre quelle di vendita
comportano prevalentemente delle azioni da svolgere in diretto contatto con il mercato. Per questo
non possibile ipotizzare un loro accentramento al vertice dellorganizzazione, ma indispensabile
unampia decentralizzazione delle responsabilit nella struttura aziendale.

4. LE POLITICHE DI MARKETING
Le politiche di marketing, nel loro insieme, compongono la combinazione o mix di marketing, cio
la miscela degli strumenti rivolti allottenimento degli obiettivi di mercato fissati di periodo in
periodo.
Queste possono essere raggruppate in quattro politiche fondamentali:
- la politica del prodotto
- la politica del prezzo
- la politica di promozione e sviluppo delle vendite
- la politica di distribuzione commerciale
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Lorientamento delle politiche di marketing:
E possibile rilevare tre tipi di orientamento relativi al marketing:
- CUSTOMER SATISFACTION: soddisfazione della clientela,
- CUSTOMER RETENTION: fidelizzazione della clientela,
- TIME BASED COMPETITION: competizione basata sulla velocit che si divide a sua volta in:
Time to market (tempi dintroduzione e lancio nel mercato di nuovi prodotti e
servizi)
Time to customer (tempi di messa a disposizione di prodotti e servizi per il
cliente)
Flessibilit (tempi di adattamento dei prodotti e servizi alle mutate esigenze della
clientela)

5. IL COMPORTAMENTO DEL CONSUMATORE
Le scelte del consumatore sono tanto pi ampie quanto maggiore la sua discrezionalit nella
destinazione del reddito disponibile. Si parla quindi di:
- reddito impegnato, quando sufficiente a coprire solo i bisogni essenziali o di prima necessit,
- reddito discrezionale, se oltre allappagamento dei bisogni essenziali e possibile soddisfare
bisogni voluttuari (non essenziali)
Il processo di acquisto prevede tre fasi di scelta per il consumatore (scelta del bisogno da
soddisfare, scelta del bene in grado di soddisfare quel bisogno, scelta del produttore ossia della
marca) e quindi tre momenti di competizione per il produttore:
- concorrenza indiretta (tra bisogni)
- concorrenza allargata (tra beni)
- concorrenza diretta (tra marche)
ES. Un consumatore ha una quota di reddito disponibile da destinare a bisogni voluttuari (svago o
cultura), egli dovr innanzi tutto adottare una scelta circa il bisogno da soddisfare (per es. svago),
poi dovr scegliere il bene che riterr idoneo ad appagare il suo bisogno (per es. un viaggio
allestero piuttosto che andare allo stadio) ed infine dovr selezionare una particolare offerta
(scegliere tra le agenzie di viaggio). Il tour operator, su cui cadr la scelta finale del consumatore,
ha vinto tre tipi di competizione: la concorrenza indiretta con la cultura, la concorrenza allargata
con lo stadio, la concorrenza diretta con le altre agenzie di viaggio.
Abitudini dacquisto: il processo di acquisto si realizza in pratica mediante un complesso di scelte
del consumatore. La conoscenza delle abitudini del consumatore permette allazienda di orientare le
sue politiche di marketing, che possono essere rivolte ad assecondare le abitudini esistenti o a creare
nuovi modelli di comportamento.
Secondo uno schema teorico, le motivazioni dacquisto si dividono in tre gruppi:
a) motivazioni razionali (rapporto prezzo-qualit)
b) motivazioni emotive (fattori di gusto, di estetica, di personalit del consumatore)
c) motivazioni di patrocinio (fiducia nel produttore o nel distributore)
Segmentazione del mercato: a causa delleterogeneit dei comportamenti dei consumatori, ogni
mercato si pu frazionare in pi sub-mercati e segmenti di mercato, ciascuno comprendente una
particolare categoria di acquirenti. Allimpresa quindi interesser cogliere le principali uniformit di
comportamento ed isolare classi di clientela che, per omogeneit e dimensione, si prestino ad essere
considerate come un solo sub-mercato, meritevole di essere gestito in modo indipendente.
PARAMETRI PER LA SEGMENTAZIONE DEL MERCATO:
o parametri demografici (et, sesso, razza, nazionalit, ampiezza della famiglia)
o parametri socio-economici (reddito, professione, istruzione)
o parametri ubicazionali (popolazione urbana, suburbana, rurale)
o parametri psicografici (personalit, autonomia, preferenza per linnovazione)
o parametri comportamentali (disposizione allacquisto, grado di fedelt, benefici
desiderati)
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6. STRATEGIE DI MARKETING
Di fronte ad un mercato segmentabile limpresa pu adottare tre differenti atteggiamenti:
- MARKETING INDIFFERENZIATO: considera il mercato come se fosse omogeneo,
prescindendo cio dalla sua segmentabilit.
- MARKETING DIFFERENZIATO: si indirizza verso un gran numero di segmenti di mercato
mediante la formulazione di diversi programmi di marketing.
- MARKETING CONCENTRATO: si indirizza verso uno solo o, al massimo, pochi segmenti di
mercato con un unico programma di marketing.
Il posizionamento: ogni impresa persegue, quindi, la conquista di una o pi nicchie di mercato,
allinterno delle quali essere in grado di soddisfare un determinato gruppo di acquirenti senza subire
attacchi temibili da parte della concorrenza.
Infatti limpresa dopo aver segmentato il mercato e aver scelto i segmenti da soddisfare, deve
decidere quale posizione andare ad occupare nei segmenti prescelti. Poich in ciascun segmento
probabile che vi siano pi concorrenti si pone il problema di scegliere anche con quali competitori
misurarsi in base alleffettiva possibilit di ritagliarsi, in posizione di vantaggio competitivo, una
porzione del segmento servito.
Il posizionamento esprime quindi il modo in cui il prodotto percepito da un gruppo rilevante di
clienti (il target) rispetto ai prodotti con i quali in concorrenza.
Per posizionamento infatti KOTLER intende linsieme di iniziative volte a definire le
caratteristiche del prodotto dellimpresa e ad impostare il marketing-mix pi adatto per attribuire
una certa posizione al prodotto nella mente del consumatore.
Limpresa dovr quindi fissare le caratteristiche del prodotto nei confronti
1) dei consumatori, nel senso che cercher di fare identificare, riconoscere e percepire il
prodotto offerto in una determinata maniera,
2) dei concorrenti, rispetto ai quali tenter di assumere una posizione differenziale (lontana,
occupando i vuoti dofferta e sfruttando spazi non presidiati) o imitativa (vicina).

7. LA POLITICA DEL PRODOTTO
La politica del prodotto presenta degli aspetti prevalentemente di lungo termine, infatti le scelte sui
prodotti presuppongono delle decisioni dinvestimento non modificabili, senza conseguenze
particolarmente negative nel tempo breve.
Aspetti strategici della politica del prodotto:
- ampiezza dellofferta (ovvero la maggiore o minore estensione della gamma di vendita)
- profondit degli assortimenti (ovvero la distinzione interna alla gamma ed esterna rispetto alla
concorrenza)
- innovativit delle produzioni (ossia il tasso di rinnovamento e di ricambio dei prodotti posti in
vendita)
- multiformit delle scelte (ossia la variet degli aspetti secondo cui pu concretarsi la politica del
prodotto prodotto, marca, confezione, ecc.)

AMPIEZZA DELLOFFERTA
Il concetto di ampiezza deve essere inteso in senso orizzontale come molteplicit di tipi di prodotti e
non quale assortimento di modelli diversi (tipi di prodotto sono in unazienda produttrice di mezzi
di trasporto, lauto e la moto, mentre i modelli sono rappresentati dalle auto e moto di diversa
cilindrata, con diverse versioni, ecc.).
Differenze con la politica di diversificazione del prodotto: Un problema di definizione potrebbe
forse intravedersi tra strategia di diversificazione produttiva e politica di gamma. Questo dipende
dalla difficolt, in certi casi, di inquadrare il concetto di settore, perch la diversificazione riguarda
loperativit dellimpresa in pi settori, mentre lampiezza concerne la compresenza di pi tipi di
prodotto appartenenti allo stesso settore.
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Finalit della politica di gamma:
- far crescere il volume complessivo delle vendite,
- conseguire una migliore economici nei processi operativi (x lopportunit di allestire a costi
decrescenti pi ampie tipologie merceologiche),
- pervenire ad un maggiore frazionamento del rischio,
Inoltre bisogna tener conto dei rapporti di complementarit e sostituibilit dei diversi beni prodotti.
A questo proposito si parla di prodotti strategici e prodotti da richiamo.
Prodotti strategici: Allinterno di ogni impresa ci sono i cosiddetti prodotti da reddito, destinati a
generare i maggiori flussi di cassa. I prodotti strategici sono prodotti la cui presenza necessaria per
favorire la vendita dei primi.(per vendere le pellicole fotografiche prodotto da reddito bisogna
vendere anche la macchina fotografica prodotto strategico).
Prodotti da richiamo: beni che, a causa della particolare convenienza di acquisto, possono
richiamare lattenzione dellacquirente sullintera gamma e contribuire cos alla vendita dei prodotti
da reddito.

PROFONDITA DEGLI ASSORTIMENTI
Quasi sempre ogni tipo di prodotto viene portato al mercato in una variet di modelli, versioni o
formati. Si parla in questo caso di profondit dellassortimento. Lassortimento produttivo dovuto
a:
- caratteristiche intrinseche del tipo di prodotto (ad es. abiti confezionati, calzature da adattare a
taglie diverse)
- segmentazione della domanda e posizionamento dellofferta, da differenziare in funzione dei
gruppi di consumatori da servire,
- invecchiamento dei modelli e differente capacit di contribuzione al reddito dimpresa.
La gamma di vendita dunque la risultante di tre tipi di scelte:
1. scelta dei settori di attivit (politica di concentrazione o di diversificazione)
2. scelta delle linee produttive (politica di produzione unica o multipla - ampiezza)
3. scelta dei modelli da produrre (politica degli assortimenti o di differenziazione allinterno
delle linee del prodotto- profondit)

CICLO DI VITA DEL PRODOTTO
Ogni prodotto dal momento dellimmissione nel mercato a quello della sua eliminazione dalla
gamma di vendita attraversa quattro fasi:
- INTRODUZIONE, in cui il prodotto inizia ad affermarsi con una crescita piuttosto debole
delle vendite. Nella fase di introduzione il prodotto, anche se venduto ad un prezzo elevato,
genera perdite, a causa della limitatezza della quantit collocata e degli alti costi distributivi e
promozionali da sopportare per la sua immissione sul mercato (vendite scarse, alto costo per il
cliente, profitti negativi, clienti: innovatori, pochi concorrenti)
- SVILUPPO, in cui lespansione delle vendite avviene ad un ritmo molto rapido, a seguito
dellaffermazione del prodotto nel mercato. Ci consente lottenimento di margini crescenti,
data anche la riduzione dei costi unitari dovuti sia a risparmi assoluti di costi sia alla possibilit
di diffondere i costi totali su una maggiore quantit di produzione, inoltre lazione promozionale
comincia a produrre appieno i suoi frutti e lattivit di collocamento facilitata a causa
dellinteresse suscitato nei distributori (vendite rapidamente crescenti, costo per il cliente medio,
profitti crescenti, clienti: adottanti iniziali, concorrenti in aumento crescente)
- MATURITA, in cui le vendite continuano a svilupparsi, ma ad un tasso meno elevato. Il
prodotto continua a generare profitti elevati per effetto soprattutto dellallargamento del
mercato, ma la situazione competitiva diventa + difficile a cagione sia della concorrenza
sviluppatasi nel mercato sia dalla stazionariet della domanda: il volume delle vendite, infatti, si
stabilizza e comincia ad accusare delle lievi flessioni (picco delle vendite, basso costo per il
cliente, profitti alti, clienti: maggioranza, concorrenti. Numero stabile che inizia a ridursi)
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- DECLINO, in cui il volume delle vendite comincia a ridursi + o meno rapidamente per
lobsolescenza del prodotto, per limmissione di un prodotto sostitutivo o per la saturazione
della domanda. inevitabile che i consumatori perdono progressivamente interesse per il
prodotto, questo fa si che i margini di profitto si comprimono ad un punto tale da consigliare la
radiazione del prodotto dalla gamma. (vendite decrescenti, basso costo per il cliente, profitti
declinanti, clienti: ritardatari, concorrenti in riduzione).
Il ciclo di vita del prodotto come osserva Kotler pu riferirsi:
alla categoria del prodotto (sigarette)
alla versione del prodotto (sigarette con filtro)
alla marca (Marlboro)
Differenziazione nel ciclo di vita del prodotto: Sullampiezza temporale delle varie fasi e quindi
sulla vita utile del prodotto influiscono le particolari condizioni concorrenziali e le scelte assunte
dalla stessa impresa venditrice. Questa infatti pu abbreviare o allungare il ciclo di vita del prodotto
con politiche di invecchiamento precoce o di ringiovanimento: con le prime, mediante limmissione
nel mercato di modelli nuovi, accentua la fase di declino delle vendite, mentre con la seconda pu
anche far iniziare per il prodotto un nuovo ciclo di vita.

MATRICE DELPORTAFOGLIO PRODOTTI
La matrice del portafoglio prodotti valuta la differente partecipazione al reddito aziendale dei
prodotti inseriti nella gamma.
Matrice BCG: La matrice elaborata dal Boston Consulting Group suddivide i prodotti in quattro
gruppi o classi in funzione del cash-flow generato, intendendo con questo termine il divario tra
investimenti e ritorni relativi a ciascun tipo di prodotto. La matrice stabilisce un rapporto diretto tra
cash-flow di prodotto e condizioni interne (quota di mercato) ed esterne (sviluppo della domanda)
in cui esso si trova.
Nella matrice BCG la scelta delle variabili rappresenta il punto di vista del BCG sul fatto che la
crescita della domanda il fatto che + di ogni altro d la misura dellattrattivit del settore e, in
secondo luogo, che la posizione competitiva soprattutto determinata dalla quota di mercato.


ALTO

STELLE
(star prodotti di successo)


ENIGMI
(question marks prodotti rischiosi)

BASSO

VACCHE DA MUNGERE
(cash cow prodotti da reddito)

CANI
(dog - prodotti marginali)


Tasso
annuale
reale di
crescita
del
mercato

ALTA

BASSA

Quota di mercato relativa

PRODOTTO MARGINALE: presenta un flusso di cassa insoddisfacente se non addirittura
negativo, a causa del costo elevato da sostenere per mantenere una posizione competitiva debole. In
un mercato che non cresce ed in cui lazienda detiene una quota modesta vendere sar difficile e
costoso, nel tempo dunque - questo prodotto finir per assorbire pi che produrre reddito.
PRODOTTO RISCHIOSO: ha il cash-flow peggiore perch richiede elevati investimenti per
fronteggiare un mercato in rapido sviluppo, nel quale per la quota detenuta, e quindi i ricavi
lucrati, sono limitati: si tratta, in effetti, di un prodotto che deve diventare di successo oppure va
eliminato dalla gamma.
31
PRODOTTO DI SUCCESSO: presenta un cash-flow positivo anche se, per fronteggiare la
concorrenza in un mercato in rapida espansione, sar necessario continuare ad investire risorse.
PRODOTTO DA REDDITO: quello che dar i ritorni pi soddisfacenti perch lazienda potr
sfruttare, senza grandi sacrifici, la sua posizione di forza (alta quota) in un mercato poco
interessante per la concorrenza (perch non si sviluppa).
Matrice General Electric e Mc Kinsey: questa matrice, messa a punto da queste due societ,
fondata sullattrattivit del mercato e sulla posizione competitiva. In realt queste due variabili
includono gli elementi della matrice BCG (sviluppo della domanda e quota di mercato), ma
ipotizzano nove possibili situazioni per ciascuna impresa e consentono di approfondire lanalisi dei
fattori che determinano queste situazioni.
Lattrattivit di un settore infatti funzione del tasso di crescita della domanda, ma anche da
rapportare ai margini di profitto conseguibili, alla dimensione totale del mercato e ad altri fattori che
possono essere importanti a seconda dei casi. Allo stesso modo la posizione competitiva oltre ad
essere funzione della quota di mercato, pu rapportarsi alla velocit della sua crescita, al grado di
innovativit dei prodotti, ecc.



ATTRATTIVIT
DEL
SETTORE
FORZA COMPETITIVA

AREA DELLINVESTIMENTO: (1,2,4)
- necessit di investire per rafforzare la posizione di mercato detenuta.
AREA DEL DISINVESTIMENTO. (6,8,9)
- posizioni di scarso interesse per le quali necessario disinvestire e realizzare quanto possibile.
AREA INTERMEDIA: (3,5,7)
- le decisioni aziendali dovrebbero essere di mantenimento della posizione occupata in funzione
delle prospettive di evoluzione.

LA PROGRAMMAZIONE DI NUOVI PRODOTTI
Il continuo rinnovamento dellofferta, che consente di mantenere una posizione di privilegio sul
mercato, il risultato della ricerca e dello sviluppo originale di nuove idee da parte di organi e
secondo procedure appositamente formalizzate nellorganizzazione. La realizzazione di nuovi
prodotti richiede, infatti, studi di mercato, valutazioni economico-finanziarie, sperimentazioni di
ordine tecnologico, predisposizione di campagne pubblicitarie.
LE FASI: per valutare lopportunit di mettere in listino un nuovo prodotto sono indispensabili:
- uno studio di fattibilit tecnica (per accertare le possibilit di realizzare il prodotto)
- uno studio di mercato (per stimare la fattibilit commerciale ossia il grado di vendibilit del
prodotto)
- uno studio di costi (per calcolare il margine di redditivit e lentit dellinvestimento necessario)
- uno studio finanziario (per individuare le possibili fonti di finanziamento del progetto)

ALTRE SCELTE CHE RIENTRANO NELLA POLITICA DEL PRODOTTO
La politica della marca:
Alta 1 2 3
Media 4 5 6
Bassa 7 8 9
Elevata Media Debole
32
La marca rappresenta la via per differenziare le produzioni aziendali e per completare, attraverso gli
strumenti promozionali, il messaggio rivolto dallimpresa alla sua clientela.
Limpresa pu scegliere fra ladozione di:
- una marca industriale o commerciale,
- una marca unica per lintera famiglia di prodotti (family brand o firm brand)
- o marche distinte per ciascun prodotto venduto (product brand)
Lassenza di una politica della marca frequente da parte delle piccole unit industriali, che non
hanno la capacit di conferire la necessaria spinta allazione di vendita da sviluppare nel mercato e
che, quindi, preferiscono cedere in bianco il prodotto al distributore (solitamente compreso fra le
imprese del grande dettaglio o fra le industrie maggiori operanti nello stesso mercato). In tal caso
lazione promozionale ricade sullazienda acquirente, che pu sfruttare il proprio marchio e i propri
punti di vendita per collocare il prodotto presso i consumatori (vedi la coop).
La politica della presentazione:
Per certi tipi di beni la confezione assume unimportanza considerevole sotto il profilo
promozionale oltre che sotto quello della migliore conservazione del prodotto. Il tipo di confezione
spesso sfruttato per acquistare un vantaggio differenziale, inducendo il consumatore a preferire
quel tipo di marca rispetto alle altre poste dalla concorrenza.
La politica delle garanzie:
La garanzia di qualit pu essere implicita nel nome del produttore, quando questi abbia acquisito
una posizione di prestigio nel mercato, oppure essere esplicitatamene riconosciuta mediante
lapposizione di marchi di qualit (lana vergine, vero cuoio, ecc.).
La politica dellassistenza post-vendita:
Tale politica si attua attraverso la concessione di garanzie di funzionamento, che si concretano
nellassicurare lassistenza gratuita da parte del produttore, generalmente entro un certo lasso di
tempo dalla data di acquisto del bene. La garanzia di uso uno strumento promozionale di grande
rilevanza in alcuni settori produttivi, in quanto il compratore collega ad essa una migliore qualit
del prodotto.

8. LA POLITICA DEL PREZZO
La politica del prezzo si concreta:
a) nella formulazione del sistema dei prezzi da applicare ai prodotti compresi nella gamma
(problema della determinazione dei prezzi di vendita)
b) nellamministrazione dei listini praticati alla clientela
(problema della discriminazione e del controllo dei prezzi)
LA DETERMINAZIONE DEI PREZZI DI VENDITA:
La determinazione del prezzo avviene, di solito, sulla base delle seguenti premesse generali:
- funzione del prezzo in relazione alla segmentazione del mercato e al posizionamento della
marca,
- equilibrio volumi-margini da conseguire,
- ruolo del particolare prodotto (modello) allinterno della gamma di vendita,
- peso della politica del prezzo nel marketing-mix.
La determinazione dei prezzi si concreta nellindividuazione del possibile margine di manovra del
prezzo. Larea di manovra risulta definita soprattutto da tre elementi:
1. costo del prodotto
2. elasticit della domanda
3. pressione della concorrenza
E quindi evidente che la possibile escursione del prezzo dipende da molti fattori, fra i quali
assumono un maggior peso:
- la concorrenza reale, cio la presenza nel mercato di prodotti con caratteristiche pi o meno
similari a quelle del prodotto considerato,
33
- la concorrenza potenziale, ossia la possibile entrata di altri produttori, una volta superate certe
soglie di prezzo,
- la concorrenza indiretta, cio la minaccia di prodotti sostitutivi,
- il grado di differenziazione del prodotto rispetto alla concorrenza
- la qualit del servizio fornito insiema al prodotto.
Politiche di prezzo:
PENETRAZIONE DEL MERCATO: limpresa mira a raggiungere il numero pi ampio di
consumatori mediante la fissazione di un prezzo minimo (compatibile ovviamente con la soglia di
redditivit fissata per linvestimento) che le consenta di acquisire immediatamente una larga fascia
di clientela e di recuperare, in termini di profitto globale, il minor margine unitario.
La politica di penetrazione consigliabile quando possibile ottenere significative economie di
scala ed allorch la differenziazione del prodotto annullabile in tempi brevi. La minaccia della
concorrenza reale e potenziale e lopportunit di sfruttare delle economie di costo possono
consigliare al produttore, soprattutto se il prodotto si presta ad essere accettato subito dai
consumatori, di scegliere lobiettivo di una conquista rapida della pi ampia quota di mercato.
SCREMATURA DEL MERCATO: limpresa si prefigge la conquista successiva di segmenti di
mercato sempre meno ricchi o, per meglio dire, di classi di consumatori disposte a spendere sempre
meno per acquistare il particolare prodotto. Questo obiettivo di scrematura si collega dunque ad una
politica di prezzi inizialmente elevati e decrescenti nel tempo, il cui fine la massimizzazione del
profitto unitario come via per massimizzare il profitto globale.
La politica di scrematura si fa preferire allorch il prodotto gode di una protezione diffusa nel
tempo, non si presta ad essere accolto immediatamente da larghe fasce di clientela e consente, a
causa della differente elasticit della domanda rispetto al prezzo, di segmentare redditiziamente il
mercato. In questo caso, infatti, linvestimento appare meno rischioso perch il prodotto pu essere
inizialmente immesso in quantit ridotte e, per di +, gli ampi margini unitari di vendita permettono
di autofinanziare, in parte non modesta, linvestimento globale.
Interdipendenza tra i prodotti:
Nella fase di determinazione dei prezzi importante saper valutare se, tra i prodotti posti in vendita,
esistano delle relazioni di interdipendenza e quindi saper stabilire, in caso affermativo, in quale
modo esse debbano essere regolate.
Per valutare linterrelazione fra i prezzi dei prodotti venduti, si pu calcolare lindice di elasticit
incrociata, cio, nellipotesi di bue beni A e B, il rapporto fra la variazione percentuale della
domanda del bene A rispetto a quella del prezzo del bene B.

E a,b = (Va/Va)/(Pb/Pb)
Dove:
Va = domanda del bene A
Pb = prezzo del bene B

Se lelasticit della domanda del bene A rispetto al prezzo del bene B dovesse risultare:
- positiva i beni sarebbero intersostituibili (ad un aumento del prezzo del bene B corrisponde un
aumento delle vendite del bene A)
- negativa i beni sono da considerarsi complementari (ad un aumento del prezzo del bene B
diminuiranno anche le vendite del bene A)
- bassa o nulla, beni non correlati (la domanda del bene A non risente delle variazioni del prezzo
del bene B)
LA DISCRIMINAZIONE E IL CONTROLLO DEI PREZZI DI VENDITA
Dopo una prima determinazione di un prezzo base limpresa trova conveniente determinare, per il
medesimo prodotto, una scala di prezzi, che contribuisca a rendere lofferta pi elastica ed
omogenea alle modalit secondo cui si manifesta la domanda. I fattori che possono contribuire ad
una variazione del prezzo base sono:
34
- i margini commerciali (sul prezzo finale infatti graveranno le detrazioni dei vari intermediari
mercantili),
- le discriminazione tra clienti,
- le variazioni in funzione delle condizioni contrattuali (sconti sui volumi, modalit di pagamento,
tempi di consegna)
- il grado di controllo del mercato finale (i prezzi del produttori infatti possono essere suggeriti,
imposti o liberi)

9. LA POLITICA DI PROMOZIONE E SVILUPPO DELLE VENDITE
La politica promozionale pu essere definita come il complesso di azioni poste in essere
dallimpresa per indurre, preservare o modificare i modelli di comportamento degli operatori di
mercato (consumatori, intermediari, finanziatori, altri produttori, ecc.) allo scopo di ritrarre un
vantaggio competitivo.
Obiettivi:
- la politica promozionale ha come obiettivo non solo laumento delle vendite, ma anche la
creazione di una migliore immagine dellimpresa.
- Lo scopo ultimo e pi specifico della promotion comunque di creare preferenze, dinformare e
di persuadere ad acquistare i beni prodotti dallimpresa.
- Per indurre allacquisto la politica promozionale deve sfruttare le motivazioni che determinano
il comportamento del consumatore.
Processo di formazione delle decisioni di acquisto:
I modelli elaborati dagli psicologi concordano nellindividuazione di tre momenti o fasi successive:
1. il momento cognitivo (stadio conoscitivo), in cui si acquisisce la consapevolezza del bisogno
da soddisfare e sinizia a rivolgere lattenzione ai prodotti idonei a tale scopo,
2. il momento emotivo (stadio affettivo), in cui lattenzione si trasforma prima in interesse e,
poi, nel desiderio di disporre del prodotto,
3. il momento attivo (stadio comportamentale), in cui si passa alla fase materiale dellacquisto
mediante una comparazione delle varie offerte di mercato.
Strumenti: limbuto promozionale
La politica promozionale pu essere realizzata mediante:
- lattivit di relazioni pubbliche,
- la pubblicit,
- la promozione in senso stretto,
- lattivit persuasiva dei compratori.
Queste attivit si collocano diversamente in quello che pu essere definito limbuto promozionale.
PUBBLICHE RELAZIONI: questa attivit consiste nel fare accogliere positivamente le
realizzazioni aziendali. Attraverso conferenze, convegni, istituzione di borse di studio, opere sociali,
beneficenza, ecc.,limpresa riesce infatti a farsi accettare dal pubblico, in modo da ottenere
lappoggio necessario per svolgere pi proficuamente la sua attivit.le relazioni pubbliche nel breve
periodo quindi non si propongono di far vendere dei prodotti ma di far conoscere limpresa, di
creare unimmagine. Per questo si trovano allinizio dellimbuto, dato che hanno lo scopo di
raggiungere il + vasto pubblico possibile (massimo effetto orizzontale o informativo) senza tuttavia
mirare immediatamente a risultati di vendita (minimo effetto verticale o persuasivo).
PUBBLICIT: qualsiasi forma di messaggio impersonale inviato a pagamento da un promotore
individuato a coloro che sono interessati al prodotto:
- media (giornali, radio, tv)
- affissioni (fisse e mobili)
- internet
E di solito attuata mediante apposite campagne in cui prevista lutilizzazione concentrata di +
veicoli pubblicitari. Le campagne possono essere necessarie:
per propagandare un nuovo prodotto (campagne di lancio)
35
per rivitalizzare un prodotto in declino (campagne di urto)
per rafforzare laffermazione della marca (campagne di prestigio)
per sottolineare la continuit di presenza del prodotto nel mercato (campagne di ricordo)
Indici per la scelta dei media: Per la scelta dei media, due utili indici di riferimento sono:
- il costo contatto: costo del messaggio pubblicitario/ audience potenzialmente raggiungibile.
- lindice di penetrazione: audience potenzialmente raggiungibile/popolazione al di sopra dei 15
anni di et.
PROMOZIONE IN SENSO STRETTO: si concreta nel creare, di solito per periodi limitati di
tempo, particolari incentivi per lacquisto dei prodotti aziendali. Si tratta spesso di campagne
speciali di vendita, cio di iniziative prese in determinate occasioni per facilitare laffermazione di
un prodotto nuovo o per rivitalizzare un prodotto in declino, per vivacizzare la domanda in periodi
di bassa richiesta, per smaltire scorte esuberanti.
La promozione commerciale si pu attuare procedendo, per prodotti nuovi, a distribuzione gratuita
di campioni o al suo abbinamento con un altro articolo gi noto, in generale si possono concedere
sconti sugli acquisti, come il 3x2, offerte speciali.
Sovente le campagne promozionali si collegano alla partecipazione a fiere e mostre campionarie o a
particolari ricorrenze aziendali.
VENDITORI: i venditori, sia se distributori autonomi sia se dipendenti aziendali, si trovano a
contatto con la clientela e possono esercitare unazione persuasiva di grande efficacia. Il loro ruolo
di consulenti di acquisto li pone, infatti, in una posizione preminente nellintero processo
promozionale. (ultimo elemento dellimbuto: minore effetto informativo, maggiore forza di
persuasione).

10. LA POLITICA DI DISTRIBUZIONE COMMERCIALE
Per limpresa industriale, la politica distributiva comporta, in realt, scelte relative:
alla determinazione del livello di contatto con il mercato (fino allo stadio del commercio
allingrosso, del dettaglio o del consumo finale)
allintensit della distribuzione (vendita estensiva, selettiva od esclusiva)
alla scelta del canale e quindi al tipo di operatori cui affidare il collocamento del o dei
prodotti aziendali (venditori aziendali, commercianti, ausiliari mercantili)
In altri termini le scelte distributive riguardano la tipologia degli sbocchi attraverso cui far defluire i
beni posti in vendita, il loro numero e il modo di collegarsi con essi.

1. Livello di contatto: E evidente che appare innanzi tutto opportuno scegliere il livello di
contatto con i consumatori, ossia la tipologia degli sbocchi attraverso cui far defluire i beni posti in
vendita. Diventa quindi importante accertare se, ad esempio, gli acquirenti prediligono una forma di
vendita diretta al consumo o se propendono per lacquisto presso unit dettaglianti di piccole
dimensioni o di grandi dimensioni, e in questo caso se preferiscono trovare il prodotto presso centri
commerciali, ecc. Questo primo accertamento di solito non presenta particolari difficolt perch ci
si trova di fronte ad abitudini di acquisto rilevabili con opportune ricerche.
ASPETTO VERTICALE DELLA DISTRIBUZIONE: Questa scelta va chiaramente a determinare
la lunghezza del circuito (aspetto verticale). Questo aspetto chiaramente concerne il grado di
controllo che si desidera conservare sulla domanda finale.
2. Intensit della distribuzione: Ulteriore scelta quella dellintensit della distribuzione, ossia del
numero di sbocchi per la vendita. Questa opzione riguarda in effetti la decisione tra una vendita
estensiva, cio con la massima copertura dei punti finali di vendita, o selettiva cio attraverso un
numero limitato e selezionato di sbocchi, nel caso limite la distribuzione pu assumere il carattere
di vendita esclusiva. La scelta chiaramente determinata in base alle abitudini di acquisto dei
consumatori, ma anche in base a fattori di politica aziendale (obiettivi di massimizzazione delle
vendite, di prestigio, ecc.)
36
ASPETTO ORIZZONTALE DELLA DISTRIBUZIONE: stabilire un numero di sbocchi significa
quindi determinare lintensit della distribuzione che rappresenta laspetto orizzontale della
distribuzione stessa.
possibile misurare lintensit della distribuzione attraverso il grado di copertura del mercato. Il
grado di copertura funzione non solo del numero di punti di vendita, ma anche del loro peso
relativo, per cui va correttamente misurato sulla base di due indici:
- la quota numerica dei punti di vendita (rapporto tra punti di vendita aziendali e punti di vendita
totali)
- la quota ponderata (rapporto tra il volume di affari realizzato dai punti di vendita toccati
dallazienda e quello ottenuto da tutti i punti di vendita).
3. Scelta del canale: La terza scelta riguarda il modo di collegamento tra gli operatori. La scelta
tra:
- canali diretti (produttore consumatore)
- canali brevi (produttore dettagliante consumatore)
- canali lunghi (produttore grossista dettagliante consumatore)
Distribuzione condizionata dalla strategia di marketing:
la scelta del tipo di distribuzione si collega, innanzi tutto, allorientamento della azione di vendita
da attuare:
per strategie di marketing di spinta (o di push), lazienda deve far ricorso a forme
distributive particolarmente incisive e penetranti nei confronti del mercato ultimo da
raggiungere.
per strategie di marketing di attrazione (o di pull), lazienda deve sfruttare soprattutto lo
strumento pubblicitario, a cui si aggiunger lo sforzo distributivo.

11. LIMPORTANZA DEL CUSTOMER RELATIONSHIP MANAGEMENT (CRM)
Il marketing relazionale si riferisce alla gestione di attivit finalizzate a stabilire, mantenere e
potenziare una relazione con il consumatore che trascende il singolo atto di scambio: lobiettivo
dunque quello di coinvolgere il consumatore in una relazione individuale (one-to-one), di lungo
termine, accrescendone il grado di fedelt.
Lincremento del grado di fedelt del cliente (e quindi lincremento del customer retention
aziendale) genera difatti significativi effetti sulla profittabilit dellimpresa perch:
acquisire un nuovo cliente unattivit che ha un costo che potrebbe non essere
ammortizzato sulla singola transazione, per cui i profitti derivanti dal singolo cliente
aumentano dopo che i costi di acquisizione sono stati totalmente coperti,
se i clienti restano fedeli allazienda il relativo flusso di ricavi aumenta nel corso del tempo
(anche grazie allattivit di cross selling) mentre i costi correlati possono ridursi (se
limpresa riesca ad esempio a valorizzare le economie di apprendimento e ad accresce il suo
grado di efficienza)
i consumatori fidelizzati attivano un processo di passa-parola (word of mouth)
i consumatori fidelizzati percepiscono elevati switching cost nel passaggio verso un nuovo
fornitore (es. compagnia telefonica, carte di credito, banca, ecc.)
Lobiettivo finale del marketing relazionale , dunque, il miglioramento della profittabilit nel
lungo termine e la massimizzazione del Customer Lifetime Value (CLV).
Il CLV definisce il valore che nel lungo termine un cliente pu generare per una determinata
impresa.
CLV =
Valore medio della transazione Frequenza annua di acquisto Ciclo di vita atteso del cliente

Confezione di palline da tennis:
CLV = 10 10 volte lanno 30 anni = 3000

37


CAPITOLO 9: La gestione della produzione

1. IL RUOLO DELLA FUNZIONE DI PRODUZIONE
La funzione di produzione riguarda il processo di trasformazione dei beni, cio il complesso di
operazioni mediante il quale le risorse acquistate dallimpresa (materie prime, ausiliarie,
semilavorati, ecc.) sono tramutate in prodotti finiti da collocare nel mercato.
Il ciclo produttivo si pone, pertanto, al centro del processo di gestione dovendo essere preceduto
dalla fase degli approvvigionamenti e seguito da quella delle vendite.
Collegamenti: La funzione di produzione strettamente collegata alle altre funzioni aziendali:
- il rapporto con la funzione di approvvigionamento necessario per la corretta e tempestiva
alimentazione delle linee di produzione,
- quello con la funzione commerciale di duplice ordine, sia per la necessit dindirizzare la
produzione secondo le tendenze di mercato sia per porre in fase il ciclo di produzione e quello
di vendita,
- il rapporto con la funzione finanziaria molto stretto sotto il profilo della programmazione del
fabbisogno di capitale fisso e circolante,
- e cos il discorso potrebbe proseguire accennando alle relazioni con la funzione di ricerca e
sviluppo, del personale, ecc.
Le scelte che ricadono nellarea della produzione possono essere distinte in tre gruppi:
a) scelte strategiche, il cui obiettivo di concorrere alla creazione del vantaggio competitivo
(gamma di produzione, rapporti qualit-servizio, standardizzazione o differenziazione),
b) scelte strutturali, il cui scopo di costituire il sistema operativo, coordinando le risorse
disponibili. Sono scelte di progettazione soprattutto della tecnologia e dellimpianto e
possono avere riflessi prevalentemente quantitativi (ad es. dimensione dellimpianto) o
qualitativi (ad es. grado di automazione e di flessibilit),
c) scelte di gestione operativa, la cui finalit di razionalizzare loperativit del processo
produttivo mediante la programmazione e il controllo della produzione. Sono intese a
disciplinare lavanzamento del processo di lavorazione, programmato nelle sue
combinazioni quali-quantitative e controllato nei suoi risultati fisici allo scopo di ottimizzare
limpiego di mezzi di produzione.

2. I RAPPORTI TRA STRATEGIA DI PRODUZIONE E STRATEGIA COMPETITIVA
La funzione di produzione direttamente coinvolta nella strategia competitiva, nel senso che la
strategia di produzione devessere centrata sugli aspetti prioritari della strategia competitiva:

OBBIETTVI DELLA STRATEGIA DI
PRODUZIONE
STRATEGIA COMPETITIVA
Abbassamento dei costi di produzione Leadership di costo o focalizzazione omogenea
Recupero di efficienza dei processi operativi Leadership di costo
Innovazione nei prodotti Focalizzazione differenziata
Miglioramento della qualit del prodotto e
del servizio
Differenziazione

Le principale scelte di produzione sul piano strategico riguardano:
la determinazione del mix (tipologia e assortimenti qualitativi) e delle quantit di produzione
la progettazione dellimpianto (dimensione, tecnologia e servizi di supporto)
la logistica (integrazione verticale e decentramento produttivo)

3. LA TIPOLOGIA DEI PROCESSI PRODUTTIVI
38
possibile distinguere quattro diverse tipologie di processi produttivi:
- produzione di beni per unit distinte,
- produzione di massa differenziata
- produzione di massa standardizzata
- produzione omogenea continua
PRODUZIONE DI BENI PER UNITA DISTINTE: la produzione su commessa comporta
unelevata capacit di adattamento alle richieste della clientela, attrezzature meno specializzate e
personale + versatile. Ogni commessa richiede lapposita programmazione dellintero ciclo di
lavoro ed il costante controllo del suo avanzamento. Si tratta di una tipologia di produzione che si
adatta a prodotti di valore considerevole, che impegnano gran parte delle risorse disponibili
nellimpresa (una nave, una diga).
PRODUZIONE OMOGENEA CONTINUA: Allaltro estremo si colloca la produzione continua,
che caratterizzata dalla continuit e dallindifferenziazione dei prodotti posti in essere; il
modello tipico delle lavorazioni petrolchimiche, del cemento e dellacciaio, che si svolgono
secondo processi continui pressoch totalmente automatizzati. Loutput presenta una variet
pressoch nulla e viene prodotto in quantit elevate e commercializzato a peso o con altra opportuna
unit di misura.
In posizione intermedia si situa invece la produzione di massa.
PRODUZIONE DI MASSA STANDARDIZZATA (O RIPETITIVA): una tipologia di
produzione comune nelle situazioni in cui possibile sfruttare a fondo il principio delle economie di
scala. Questo chiaramente possibile quando lomogeneit del mercato consente di fornire agli
acquirenti il medesimo tipo di prodotto, commercializzabile al pezzo.
PRODUZIONE DI MASSA DIFFERENZIATA: Nellipotesi di fronteggiamento di + strati diversi
di consumatori, la produzione assume il carattere delle lavorazioni di massa differenziate, basate su
unelevata standardizzazione delle parti componenti e sulla creazione della differenziazione in fase
di montaggio (per es. un televisore, composto di pezzi del tutto identici, ma dotato di una differente
carrozzeria). Questo tipo di produzione, che in sostanza risponde al principio di standardizzare
soprattutto ci che non visibile e differenziare ci che visibile agli occhi dellacquirente, si
definisce per lotti in quanto si sviluppa nellallestimento di particolari serie di prodotti,
caratterizzate da alcune differenze.
Il confine efficiente: Prioritarie ai fini dellorganizzazione dei cicli della lavorazione sono le
decisioni circa la lavorazione in proprio o lacquisto allesterno di componenti, parti ed accessori
del prodotto. In pratica si pu riconoscere una distinzione fondamentale tra:
- OUTSOURCING: opzione revocabile di ricorso al mercato per certe forniture, equivale
quindi ad una modalit di approvvigionamento.
- DEINTEGRAZIONE: opzione strategica, e per questo irrevocabile, di rinuncia a certe fasi
di lavorazione, prima svolte allinterno dellorganizzazione, equivale dunque ad un
accorciamento della filiera verticale.
Reti di impianti produttivi: Nelle aziende multiplant (ossia aziende che hanno pi stabilimenti) e
inoltre possibile scegliere tra tre diversi modelli di produzione.
un modello di ripetizione degli impianti: ogni centro produttivo lavora fondamentalmente
agli stessi prodotti,
un modello di parcellizzazione: ciascun impianto svolge una certa parte del processo di
fabbricazione, producendo parti o semilavorati da avviare ad alcuni stabilimenti centrali di
montaggio,
un modello di specializzazione: ogni impianto produce un particolare tipo di prodotto
inserito nella gamma aziendale.

4. LA PROGETTAZIONE DELLIMPIANTO
Lay-out: La disposizione fisica delle strutture tecnico-produttive, che compongono lo stabilimento
e, pi in particolare, limpianto, costituisce il cosiddetto lay-out, termine che deve intendersi,
39
dunque, come la disposizione delle strutture edilizie, delle macchine, delle attrezzature e dei posti di
lavoro allinterno della fabbrica. Una disposizione ottimale delle macchine e della forza lavoro deve
contribuire ad ottimizzare limpiego delle quattro M che gli americani includono nellequazione
della produzione: Men, Materials, Machines, Money.
Tipi di lay-out: La sistemazione dei macchinari pu seguire alcuni criteri principali:
- i macchinari possono essere posizionati in sequenza secondo le lavorazioni successive
necessarie per giungere alla realizzazione di un certo prodotto finito (LAY-OUT PER
PRODOTTO),
- i macchinari possono essere accorpati per tipo di operazione/attivit svolta (LAY-OUT
FUNZIONALE),
- in caso di progetti (navi, aerei) lingombro rilevante e le correlate difficolt di spostamento
di semilavorati nelle varie fasi di lavorazione, il prodotto resta fermo e sono le risorse
necessarie alla produzione a ruotare nel suo intorno (LAY-OUT A POSTAZIONI FISSE),
- quando i prodotti vengono accorpati in gruppi caratterizzati da sequenze di lavorazione
simili, ogni gruppo di lavorazioni ad essi destinate viene assegnato ad una cella, in modo da
poter lavorare i prodotti che condividono le lavorazioni in quella particolare cella (LAY-
OUT A CELLE)
Caratteristiche dellimpianto: in relazione alle caratteristiche dellimpianto bisogna distinguere:
a) il grado di flessibilit economica: ovvero la capacit dellimpianto di rimanere competitivo
anche in condizioni di parziale utilizzazione,
b) il grado di flessibilit tecnica, ossia la capacit dellimpianto di adattarsi a produrre beni
differenti senza incorrere in costi non sopportabili sotto il profilo competitivo.

5. IL DIMENSIONAMENTO DELLA PRODUZIONE E DELLIMPIANTO
Il problema del dimensionamento degli impianti presenta implicazioni soprattutto economiche, in
quanto si lega ai concetti di economicit e di rischiosit dellinvestimento. Lobiettivo infatti
quello di individuare la dimensione ottimale definibile teoricamente come quella idonea a
minimizzare il costo unitario di produzione.
Sotto il profilo dimensionale opportuno tener presente due scelte:
- la determinazione della capacit produttiva massima dellimpresa
- la determinazione della potenzialit ottimale degli impianti.
Come determinare il volume globale di produzione: La decisione circa il volume globale di
produzione deriva essenzialmente dalla considerazione di fattori di mercato, cio dalla previsione
delle quote di vendita nei mercati in cui opera limpresa.
evidente che la domanda di mercato avr alti e bassi. Ci significa che se limpresa volesse
adeguarsi agli andamenti della domanda, gli impianti sarebbero caratterizzati da un grado di
utilizzazione che andrebbe diminuendo al diminuire della domanda. La rigidit degli impianti
causerebbe per uno spreco di costi nellipotesi di parziale sfruttamento dellimpianto. Per questo
motivo si ricorre alla manovra delle scorte. Per limpresa si tratter quindi di stabilire la capacit di
produzione intorno al livello medio della domanda, in modo da poter soddisfare, mediante le scorte,
le esigenze del mercato continuando a produrre un quantitativo costante di output.

BREAK-EVEN POINT
La leva operativa: Ogni azienda opera con una certa struttura di costi e ricavi e, quindi, con una
differente leva operativa. La condizione di leva operativa si traduce nellopportunit di
diminuzione dei costi globali unitari di produzione allaumentare del volume prodotto, in funzione
del migliore sfruttamento dei costi fissi. Pi gioca la leva operativa, ossia pi elevata lincidenza
dei costi fissi sul costo totale, pi aumenta il rischio, ma pi cresce il vantaggio generato
dallespansione dellattivit produttiva.
Bep: Dato che in qualsiasi struttura di costo vi sono dei costi indipendenti dal volume di produzione
e di vendita e degli altri che variano in rapporto ai movimenti di tale volume, sempre necessario
40
raggiungere un volume minimo di attivit per recuperare integralmente i costi fissi e variabili.
Questo volume, che caratterizzato dal fatto che i ricavi uguagliano i costi complessivi, quello
corrispondente al c.d. punto di pareggio o break-even point (bep) perch in quella condizione per
limpresa dovrebbe essere indifferente produrre o rimanere inattiva.
Al concetto di punto di pareggio si lega quello del margine di sicurezza rappresentato dalla
differenza (espressa solitamente in percentuale della capacit massima di produzione) tra il previsto
volume di utilizzo dellimpianto e quello a cui corrisponde il punto di pareggio. Se, ad esempio,
lazienda considerata ha un bep al 50% e se prevista la produzione e il collocamento di una
quantit pari al 68% della capacit produttiva massima, essa pu disporre di un margine di sicurezza
pari al 18%. Ci significa che, anche nellipotesi peggiore di contrazione del suo volume daffari,
sino ad un massimo del 18% della capacit produttiva massima, essa non entrer nellarea delle
perdite.







































41
6. PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO DELLE OPERAZIONI DI PRODUZIONE
Unefficace programmazione della produzione deve articolarsi:
a) nel medio-lungo termine per precostituire la capacit produttiva necessaria in
rapporto agli obiettivi strategici dellimpresa (programma aggregato di produzione),
b) nel breve termine per allocare le risorse disponibili, in modo da raggiungere i
traguardi di produzione posti dal programma annuale di vendita (MPS),
c) nel brevissimo termine per organizzare il lavoro dei centri di produzione in funzione
delle quote settimanali, quindicinali o mensili da realizzare (programmazione
operativa).
Programma aggregato di produzione: il programma aggregato di produzione il livello pi
elevato della programmazione ad orizzonte temporale variabile tra i sei e i due anni e
periodizzazione bimestrale o mensile. Loggetto del programma aggregato la produzione
aziendale considerata nel suo complesso: in tale programma si allocano le risorse disponibili allo
scopo di soddisfare la domanda prevista.
MPS: Ad un livello gerarchico inferiore rispetto al programma di produzione, troviamo il Master
Production Schedule (MPS), caratterizzato da un orizzonte temporale + breve (di solito il bimestre)
e da una periodizzazione anche settimanale. Loggetto dellMPS il singolo modello o al limite la
famiglia di prodotti; allinterno dellMPS le decisioni di quantificazione delle risorse necessarie alla
produzione (ad esempio le risorse umane) figuranti nel programma aggregato di produzione,
vengono considerate irreversibili e non + modificabili, si parla di congelamento.
La programmazione operativa: infine, inizialmente ed ogni volta che al ciclo dovranno essere
apportate delle variazioni, bisogner procedere alla programmazione operativa. Esso rappresenta il
livello di maggiore dettaglio del sistema di piani, in cui si organizzano le singole stazioni di lavoro.
La programmazione operativa comporta un processo che, di solito, si sviluppa in quattro fasi:
1. la preparazione del lavoro (routing) con la quale si stabilisce quali articoli mettere in
produzione, con limpiego di quali risorse e con quali modalit esecutive,
2. la costruzione del programma di lavorazione (scheduling) con il quale si distribuisce il
lavoro tra i centri produttivi, si determina il carico macchine, lallestimento delle squadre e
si fissano i tempi di svolgimento del lavoro stesso,
3. lavvio della lavorazione (dispatching) con il quale si d materialmente inizio alla
lavorazione, emettendo ordini e istruzioni affinch tutte le risorse necessarie (materiali,
utensileria, disegni, ecc) siano rese disponibili presso i reparti o centri di lavorazione,
4. il controllo dellesecuzione (follow-up) con il quale, sulla base dei programmi di lavoro
fissati, si sorveglia lavanzamento della produzione e si adottano, se necessario, gli
interventi correttivi suggeriti dallentit degli scostamenti via via rilevati.

7. IL CONTROLLO DI EFFICIENZA DELA PRODUZIONE
Il controllo di produzione riguarda sia il ciclo di svolgimento delle operazioni produttive sia i
prodotti finii da destinare al mercato. Il suo obiettivo quello di prevenire anomalie nel ciclo e nei
prodotti, al duplice scopo di evitare di sopportare costi a vuoto e garantire la qualit al consumatore
per non minare limmagine dellazienda.
Il controllo nellarea della produzione dovrebbe quindi articolarsi nel:
- controllo dei risultati di produzione (prestazioni fisiche in termini di assortimenti posti in essere
e produttivit delle risorse impegnate) questo primo controllo si estrinseca prima di tutto nel
calcolo e nellanalisi di indici di produttivit,
- controllo di qualit dei prodotti (rispondenza dei prodotti alle specifiche tecniche di
progettazione e alle caratteristiche di rendimento garantite allutilizzatore), si tratta di un
controllo operato su campioni di materiali, utilizzando tecniche di tipo statico,
- controllo economico di valore per individuare le aree di risparmio di costi nella funzione
produttiva. Il concetto base che partendo dalle caratteristiche che deve avere il prodotto,
possibile comparare alternative o singole fasi di produzione al fine di individuare quella pi
42
economica. In questo modo si punta ad attuare le stesse attivit in modo + conveniente, cio
ottimizzando limpiego delle risorse ad evitando operazioni superflue.
I fattori di efficienza nel processo produttivo sono rappresentati :
dallo sfruttamento ottimale dellimpianto (massimizzazione delle ore lavorabili con
riduzione dei tempi di fermata e delle operazioni di set-up)
dalla razionalizzazione dei consumi di materie prime mediante riduzione di perdite e cali
di lavorazione,
dalla produttivit dei gruppi di lavoro mediante il miglioramento dellorganizzazione e
la formazione del personale,
dallidoneit dei servizi di supporto alla produzione (magazzino, ricerca, trasporti
interni, ecc.)
Indice: un indice sintetico per valutare il grado complessivo di sfruttamento delle risorse disponibili
dato dal rapporto tra le ore produttive (impegnate) e quelle teoricamente impegnabili. Le ore
produttive sono quelle di attivit effettiva delle macchine e misurano, ovviamente per differenza,
quelle non produttive collegate con tempi di attrezzaggio delle macchine stesse, con i periodi di
manutenzione, con linterruzione del flusso di materiali, scioperi, ecc. chiaro che un impianto o
una macchina ferma comporta una perdita di produzione a fronte del sostenimento comunque di
costi fissi.
Total Quality Management (TQM):
- garanzia del servizio ottimale al cliente, non solo per quanto riguarda la validit del prodotto ma
anche per le modalit e i tempi di consegna, lassistenza prima durante e dopo lacquisto, la
gestione corretta di tutti i termini contrattuali.
Si tratta di un approccio orientato al miglioramento continuo ed alla responsabilizzazione di tutti i
livelli gerarchici presente nellorganizzazione aziendale. Sotto tale profilo il TQM richiede,
dapprima, la costruzione di valori aziendali condivisi congruenti con le finalit da raggiungere e,
poi, lapplicazione di procedure molto rigorose e precise. Limpresa, dunque, deve impegnare
considerevoli sforzi e mezzi finanziari per curare la formazione del personale e per procedere alla
corretta progettazione di sistemi, che debbono risultare efficaci ed economicamente sostenibili. A
tale scopo ormai significativamente diffusa la certificazione della qualit rilasciata da istituzioni
qualificate.


CAPITOLO 10: La gestione finanziaria

La gestione finanziaria comprende il complesso di decisioni e di operazioni volte a reperire e ad
impiegare i fondi aziendali.
La gestione finanziaria deve essere inquadrata non solo sotto il profilo strategico, ma anche sotto il
profilo tattico e operativo:
- mentre nel primo si considerano le decisioni finanziarie di lungo periodo, intese ad ottimizzare
limpiego e la raccolta dei fondi,
- nel secondo si includono i compiti di attuazione e di controllo delle decisioni prese.
Gli equilibri: La gestione finanziaria deve rispettare tre tipi di equilibri, diversi ma interdipendenti
tra loro:
- lequilibrio economico tra ricavi e costi; equilibrio che deve tradursi in un divario positivo per la
formazione del profitto.
- lequilibrio finanziario, vale a dire al bilanciamento tra impieghi di capitale e fonti di provvista
dello stesso;
- lequilibrio monetario tra entrate e uscite di cassa preservando cos la liquidit.
I compiti fondamentali:
1. la programmazione finanziaria a lungo, breve e brevissimo termine,
2. la gestione del piano finanziario,
43
3. il governo della liquidit,
Altri compiti:
4. cura (di concerto con la linea commerciale) i rapporti di credito con la clientela,
5. fissazione (daccordo con lufficio approvvigionamenti) delle condizioni di pagamento con i
fornitori,
6. gestione del patrimonio mobiliare e immobiliare dellazienda,
7. verifica della fattibilit dei progetti di investimento,
8. pareri in tema di fissazione dei prezzi di vendita e dei termini di pagamento da applicare alla
clientela, di operazioni di gestione straordinaria, di operazioni con lestero, ecc.

2. LA SCELTA DEI PROGETTI DI INVESTIMENTO
I vincoli agli investimenti:
I problemi di fondo della gestione finanziaria sono quelli di programmazione degli investimenti e
delle fonti di copertura. Nel processo decisionale lindividuazione degli investimenti dovrebbe
logicamente precedere la ricognizione delle fonti di finanziamento disponibili, anche se intuibile
che queste ultime porranno un limite assoluto al volume dei primi.
Nellassunzione delle scelte dinvestimento quindi la risorsa finanziaria pu rappresentare:
- un vincolo assoluto (che si determina allorch impossibile reperire ulteriori mezzi necessari
per dare attuazione allinvestimento)
- un vincolo relativo (che si configura allorch sussiste un divario sfavorevole tra redditivit
dellinvestimento e costosit del capitale necessario ad attuarlo)
Profitto e rischio:
La scelta degli investimenti, a prescindere da valutazioni di tipo etico, guidata dai parametri
fondamentali di qualsiasi comportamento imprenditoriale: profitto e rischio.
A parit di altre condizioni, sono infatti preferiti i progetti che assicurano margini pi elevati di
profitto entro un prestabilito coefficiente rischio oppure che producono un determinato profitto con
il pi basso grado di rischiosit.
Per condurre queste valutazioni si possono utilizzare delle apposite tecniche di carattere
economico-finanziario atte a:
a) stabilire laccettabilit del progetto rispetto a valori standard prefissati (per es. un
tasso minimo di redditivit, un periodo massimo di recupero del capitale)
b) comparare progetti alternativi, cio determinare una lista di priorit tra pi proposte
di investimento.
Lefficacia dellinvestimento:
Lefficacia dellinvestimento correlata ai suoi ritorni diretti e indiretti, tangibili e intangibili. Il
rendimento di ogni investimento andrebbe pertanto stimato in rapporto:
- al suo ritorno economico (differenza tra ricavi e costi attualizzati)
- ai vantaggi economici prodotti in altre aree dellorganizzazione aziendale (rendimento indiretto)
- ai ritorni non economici o di qualit, in grado di accrescere le risorse intangibili dellimpresa.
Tecniche di valutazione degli investimenti:
IL PERIODO DI RECUPERO (PAYBACK PERIOD):
Il metodo del periodo di recupero tende a valutare il grado di rischiosit di un investimento, in
quanto misura il lasso si tempo entro cui gli incassi (inflow) ottenibili riescono a reintegrare il
capitale impiegato. Esso consente di completare il concetto di redditivit, introducendo nella
valutazione un coefficiente di rischio di ciascun progetto.
Lelemento determinante il tempo di esposizione al rischio piuttosto che il rischio in s: di
conseguenza, il fattore principale di comparazione rappresentato dalla velocit di recupero
dellinvestimento da compiere e dal periodo necessario per ottenere da esso un reddito accettabile.
Questo metodo, per, non fornisce informazioni sulla redditivit quando si vanno a comparare due
diverse ipotesi di investimento.

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LA REDDITIVIT ATTUALIZZATA:
Il metodo del tasso di redditivit attualizzato consente di ovviare agli inconvenienti prima
denunciati, inserendo nelle misurazioni il valore del denaro. Questultimo stabilito
oggettivamente dal mercato, sotto forma del tasso corrente di interesse, e soggettivamente
dallinvestitore in rapporto alla sua preferenza verso disponibilit liquide.
Il valore del denaro tanto minore quanto pi la sua disponibilit si allontana nel tempo (un euro
disponibile oggi vale certo pi di un euro disponibile tra un anno). Con questo metodo si
attualizzano (cio si riducono ad un unico momento temporale) i flussi di cassa futuri derivanti
dallinvestimento, in modo da permettere una migliore comparazione di progetti alternativi. Con
esso si pu valutare anche laccettabilit di ciascun progetto, cio stabilire se la sua redditivit
attualizzata sia superiore al costo del capitale.
Una volta determinati i flussi di cassa in uscita e in entrata attualizzati generati dal progetto, i
metodi a cui si fa generalmente ricorso per lanalisi della redditivit attualizzata sono due:
il tasso interno di rendimento TIR e il valore attuale netto VAN.
TASSO INTERNO DI RENDIMENTO (TIR):
Indicando con E il flusso di introiti con U il flusso di esborsi e con x il tasso di attualizzazione
(TIR) da ricercare si ha:
(Ei Ui) (1 + x)^-i = 0

Una volta trovato questo tasso, la convenienza dellinvestimento potr essere valutata in funzione
alla differenza tra questo tasso e quello corrispondente per il reperimento dei fondi necessari.
VALORE ATTUALE NETTO (VAN):
Per lapplicazione del metodo del valore attuale netto, si opera assumendo un tasso di
attualizzazione pari a quello del costo del capitale (c), in modo da determinare il valore attuale del
progetto. In formula si ha:
VAN = (Ei Ui)(1 + c)^-i

Il progetto risulter tanto pi conveniente quanto pi elevato sar il suo valore attuale netto.
I limiti di questi parametri:
Tuttavia questi parametri, per quanto importanti per lorientamento, hanno dei grossi limiti. Essi
infatti non tengono conto della flessibilit strategica dellinvestimento da valutare. Ogni
investimento dovrebbe infatti essere valutato in funzione delle opzioni reali disponibili in ordine a
possibili cambiamenti o differimenti in fase realizzativa.
Le opzioni strategiche individuate in teoria sono:
a. opzioni di sviluppo, ovvero opportunit di crescita aziendale offerte dallattuazione
dellinvestimento;
b. opzioni di abbandono, legate alla possibilit di interrompere il progetto dinvestimento
allorch ci si renda conto che il ritorno non n potr essere conveniente rispetto
allimmobilizzo di risorse (esempio classico il lancio di un nuovo prodotto su un
mercato di prova);
c. opzioni di differimento, correlate alla possibilit di scelta del tempo dellinvestimento, i
cui effetti non possono essere influenzati da comportamenti pi tempestivi della
concorrenza (es. sfruttamento di un brevetto o di una licenza di fabbricazione);
d. opzioni di flessibilit, legate alla possibilit di modificare linvestimento intrapreso a
seguito del modificarsi dellambiente esterno

3. LA PREVISIONE DEL FABBISOGNO FINANZIARIO
Il fabbisogno finanziario aziendale uguale alla somma del capitale fisso, necessario per acquisire
le immobilizzazioni materiali e immateriali, e del capitale circolante, occorrente per alimentare il
ciclo acquisti-produzione-vendite:
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- il fabbisogno di capitale fisso legato al grado di capitalizzazione dei processi operativi, cio
allesigenza di disporre di maggiori immobilizzazioni per lo svolgimento delle funzioni di
produzione, di commercializzazione, di amministrazione, ecc. pi cresce la presenza degli
impianti e delle attrezzature pi aumenta il fabbisogno di capitale fisso.
- Il fabbisogno di capitale circolante, ossia di mezzi finanziari che si rigenerano al massimo nei
12 mesi dellesercizio gestionale, correlato, invece, al ciclo di reintegro dei ricavi, detto anche
ciclo di reintegro del circolante. A parit di volume di attivit, esso sar tanto minore quanto +
breve questo ciclo, vale a dire quanto + rapidi sono i processi di acquisto-produzione-vendita
e, soprattutto quanto + veloce il corrispondente ciclo monetario che intercorre tra il
sostenimento dei costi e il correlativo incasso dei ricavi. Questultimo dipende dalle condizioni
di riscossione dai clienti e di pagamento ai fornitori.
Il capitale circolante si compone di:
1. lammontare delle scorte necessarie per lalimentazione dei processi di produzione e di
vendita,
2. i crediti commerciali verso i clienti
3. i debiti commerciali verso i fornitori
4. le attivit finanziarie (cassa, banche e altri mezzi monetari) necessarie per assicurare, in ogni
istante, la liquidit aziendale,
5. le altre attivit e passivit correnti (crediti a breve termine, debiti a breve, quota corrente di
debiti a lungo termine, quota imposte, ecc.)
Il capitale circolante netto pari alla differenza tra queste attivit e passivit correnti.
Il capitale circolante commerciale rappresenta invece la somma algebrica del valore delle scorte di
magazzino, dei crediti verso i clienti e dei debiti verso i fornitori.
Fabbisogno finanziario netto:
Obiettivo dellimpresa sar dunque quello di stimare il fabbisogno finanziario netto, in modo da
prevedere tempestivamente lesigenza di reperire nuove fonti di copertura (nellipotesi di un
disavanzo finanziario) oppure di individuare le migliori opportunit di impiego di fonti esuberanti.
In sostanza la gestione finanziaria deve preservare la solvibilit (equilibrio finanziario) e la liquidit
(equilibrio monetario) dellimpresa.

4. LE SCELTE DI STRUTTURA FINANZIARIA
La struttura finanziaria determinata dalla scelta delle fonti di copertura del fabbisogno aziendale.
Da impresa a impresa e da tempo a tempo, essa pu assumere caratteristiche molto differenti in
funzione degli assetti proprietari e delle condizioni del mercato dei capitali.
Il fabbisogno finanziario globale pu essere coperto:
- dalla dotazione di mezzi propri, legati allimpresa con vincolo di capitale,
- dal risultato economico della gestione (autofinanziamento),
- dal finanziamento interno dei soci,
- dal finanziamento esterno attinto presso i risparmiatori, le banche, i clienti, i fornitori e i
dipendenti.
Obiettivi della struttura finanziaria:
OMOGENEITA: una delle prime regole, peraltro sovente disattese, della gestione finanziaria
suggerisce di impiegare capitali omogenei rispetto al tipo di fabbisogno da coprire: ci vuol dire che
nellipotesi del finanziamento di immobilizzazioni, dovrebbero essere attinti mezzi finanziari a
lungo termine, mentre nel caso di fabbisogno di esercizio sarebbe opportuno farvi fronte con mezzi
a breve.
FLESSIBILITA: possibilit di modificare la struttura finanziaria in rapporto allevoluzione del
fabbisogno. La flessibilit della struttura dipende dalla particolare combinazione delle fonti di
finanziamento, ciascuna delle quali presenta un grado diverso di vincolo rispetto alla gestione
aziendale.
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ELASTICITA: opportunit di dilatare larea di manovra delle scelte finanziarie. Una struttura
finanziaria, infatti, tanto + elastica quanto maggiori sono le possibilit di espanderla. Una struttura
finanziaria, dunque, tanto pi flessibile quanto pi in grado di modellarsi in rapporto alle
esigenze della gestione; ed tanto pi elastica quanto + facilmente pu essere espansa.
(Esempio: se aumenta il capitale proprio la struttura finanziaria diviene meno flessibile perch i
mezzi propri si consolidano nella dotazione finanziaria dellimpresa e rimangono vincolati a lungo,
ma pi elastica perch una azienda + capitalizzata ha maggiori possibilit di espandere la sua
struttura finanziaria ricorrendo allindebitamento)
ECONOMICITA: lottimizzazione della struttura finanziaria dipende anche dalla costosit delle
fonti, rapportata chiaramente ai rendimenti degli investimenti.
La minimizzazione del rischio:
evidente quindi che la gestione finanziaria dovrebbe essere orientata alla minimizzazione degli
oneri finanziari e alla minimizzazione del rischio finanziario.
Il rischio finanziario rappresentato dallincapacit di alimentare, sotto il profilo finanziario, i
processi di gestione caratteristica. Esso pu assumere un carattere:
- strutturale (squilibrio delle fonti rispetto agli impieghi) che pu portare allinsolvenza,
- o congiunturale (occasionali carenze di cassa) che pu portare allilliquidit.

Strutturale Rischio di insolvenza Fonti di finanziamento
< impieghi di capitale

RISCHIO
FINANZIARIO Congiunturale Rischio di il liquidit Saldo cassa e banche
< uscite monetarie

5. LA SCELTA DELLE FONTI DI FINANZIAMENTO
La scelta delle fonti di finanziamento deve poggiare sullanalisi del fabbisogno di capitali e sulla
conoscenza del mercato dellofferta dei capitali stessi. Il passo di maggiore importanza
rappresentato dalla previsione del fabbisogno e dallindividuazione delle sue caratteristiche.
Volendo dunque analizzare il fabbisogno di capitali, si potrebbe osservare che nella realt aziendale
esso la risultante di 4 tipi differenti di esigenze:
- un fabbisogno strutturale, permanente nel tempo perch legato alle dimensioni della struttura
dellimpresa,
- un fabbisogno corrente, permanente nel tempo perch correlato al volume di attivit della
gestione corrente,
- un fabbisogno straordinario legato ad esigenze di + lungo periodo, ma presente solo nellarco di
questo periodo,
- un fabbisogno occasionale, collegato a fenomeni congiunturali ed imprevedibili, i cui effetti si
dispiegano solamente nel breve periodo.
Il livello di indebitamento: Una delle scelte fondamentali da assumere riguarda il livello di
indebitamento da accettare per limpresa. Questa scelta deve essere orientata oltre che da fattori
qualitativi concernenti la rischiosit e la rigidit connesse con un appesantimento della situazione
debitoria, anche dal presumibile effetto del fattore leva finanziaria.
Si parla di leva finanziaria per sottolineare la capacit dellindebitamento di ampliare la redditivit
aziendale.

6. LE PRINCIPALI FONTI DI FINANZIAMENTO
Capitale proprio: linvestimento di capitale proprio rappresenta una fonte di finanziamento a lungo
termine perch i mezzi cos immessi nella gestione sono destinati a permanervi durevolmente
Autofinanziamento: reinvestimento dei profitti nellattivit aziendale. In condizioni di normalit,
vale a dire in presenza di una gestione economica e finanziaria equilibrata, parte cospicua dei nuovi
investimenti dovrebbe essere coperta mediante lautofinanziamento, il cui scopo quello di
immobilizzare nellazienda unaliquota dei redditi desercizio.
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Finanziamento soci: nellipotesi di un fabbisogno occasionale di capitali i soci possono far affluire
propri fondi sotto forma di finanziamento diretto. In tal caso, essi concedono delle anticipazioni
allazienda oppure sottoscrivono direttamente un prestito obbligazionario. In entrambe le alternative
i soci si possono riservare il diritto di chiedere la restituzione dellanticipazione o il rimborso delle
obbligazioni in qualsiasi momento, anche se la logica prevalente di queste operazioni finanziarie
quella del medio termine.
Obbligazioni: tra le fonti creditizie bisogna inserire anche i risparmiatori o gli investitori
istituzionali, i fornitori e gli stessi dipendenti dellimpresa. Questultima pu procurarsi mezzi
finanziari emettendo prestiti obbligazionari e carta commerciale (cambiali).
Mercato mobiliare: laccesso al mercato mobiliare, che permette di collocare parte del capitale
sociale direttamente presso i risparmiatori, consente di ampliare significativamente la struttura
finanziaria dellimpresa, in modo da favorire, mediante operazioni di aumento di capitale e
successivo collocamento azionario, la promozione di processi di sviluppo dimensionale.
Credito bancario: la fonte di credito pi frequente il credito bancario che pu essere ottenuto per
lunghi tempi (operazioni di mutuo) o per tempi brevi (aperture di credito, sconto di effetti,
anticipazioni su titoli e merci, ecc.).
Leasing: con il leasing limpresa non costretta a sopportare immediatamente il peso
dellinvestimento perch ottiene il bene di cui abbisogna mediante un contratto di locazione con
diritto di riscatto del bene dopo un certo numero di anni e ad un prezzo prefissato (di solito molto
basso). In tal modo limpresa pu utilizzare immediatamente il bene, pagando un canone periodico
e riservandosi alla fine del contratto di assumere una decisione circa lacquisto delloggetto
delloperazione di leasing. Gli oneri finanziari si scaglionano nel tempo in forma di canoni, che,
secondo la legge fiscale vigente, rappresentano costi deducibili dal reddito desercizio allorch il
contratto abbia una durata non inferiore alla met del periodo di ammortamento fiscale del bene.
Factoring: consiste nellaffidare, ad istituti specializzati la gestione del portafoglio crediti,
delegando i factor ad esperire tutta la procedura per il recupero dei crediti stessi (invio degli estratti
conto, solleciti per lincasso, incasso delle fatture, azioni contro i debitori insolventi, ecc.). per tale
compito al factor spetta una commissione di factoring. Nel contratto pu poi essere previsto
lottenimento di anticipazioni (fino di solito all80% del valore del credito) da parte di colui che
ricorre al factoring e che, per questa operazione finanziaria, tenuto a corrispondere degli interessi.
Forfaiting: vendita pro-soluto (cio con il rischio di insolvenza condiviso tra il debitore e il cedente
del credito stesso) di effetti cambiari che, in rapporto alla loro scadenza e al gardo di rischio di
incasso, vengono ceduti in base al loro valore facciale decurtato in ragione di un tasso di sconto a
forfait. Solitamente i titoli di credito sono tratte emesse da esportatori e accettate dagli
imprenditori esteri o pagher emessi direttamente da questi ultimi. I vantaggi per lesportatore sono
rappresentati dalla rapidit dincasso del credito e dalleliminazione di qualsiasi rischio finanziario
conseguente alloperazione di vendita allestero.

7. GLI STRUMENTI PER LA POGRAMMAZIONE E IL CONTROLLO FINANZIARIO
Lassoluta necessit di salvaguardare la condizione di liquidit nel rispetto della pi generale
situazione di solvibilit dellimpresa esige un controllo costante ed assiduo dei flussi monetari e la
verifica puntuale, nel tempo, del bilanciamento tra impieghi di capitale e corrispondenti fonti di
copertura
La pianificazione finanziaria richiede la formulazione di una serie di preventivi, in base ai quali
limpresa pu indirizzare e tenere sotto controllo le situazioni di solvibilit e di liquidit della
gestione. Ai fini del controllo, i documenti fondamentali da redigere sono:
1. il prospetto delle fonti e degli impieghi
2. il prospetto dei flussi monetari delle operazioni di esercizio
3. il quadro generale dei movimenti monetari
4. il piano di cassa.

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IL PROSPETTO DELLE FONTI E DEGLI IMPIEGHI:
Il prospetto delle fonti e degli impieghi, costruito solitamente per periodi biennali o triennali, riporta
landamento dei flussi finanziari con lindicazione specifica degli usi e delle fonti di capitale. Esso
viene redatto per distinguere i tipi di fonti finanziarie a cui far ricorso, a fronte degli impieghi di
capitale, e per predeterminare il saldo complessivo annuale.
Le fonti sono distinte in tre gruppi:
- fonti della gestione, che rappresentano nel loro complesso il cash-flow aziendale;
- fonti correnti, in cui si fanno rientrare i debiti a breve;
- fonti non correnti, in cui si comprendono, ad esempio, i debiti a medio-lungo termine,
laumento di capitale, le alienazioni patrimoniali, ecc..
Gli usi sono divisi in:
- usi correnti, relativi al finanziamento dellesercizio;
- usi non correnti, inerenti ad esempio a processi di investimento, di rimborso dei debiti verso
i soci e di distribuzione di dividendi.
Il prospetto consente, cos, di determinare tre saldi:
il saldo finanziario, che deriva dalla contrapposizione di usi e fonti non correnti e che
riguarda, dunque, la modificazione della struttura finanziaria dellazienda;
il saldo corrente, che riviene dalla contrapposizione tra fonti ed usi correnti ed attiene ai
tre cicli di produzione, economico e finanziario,
il saldo complessivo, quale somma algebrica tra questi due saldi.
La situazione ottimale si ha quando i tre saldi tendono a zero: in tal caso, oltre a non esservi risorse
in eccesso o deficit finanziari da coprire (saldo complessivo tendente a zero), vi equilibrio tra fonti
ed usi correnti (saldo corrente tendente a zero) e tra fonti ed usi non correnti (saldo finanziario
tendente a zero), con il conseguente rispetto del principio dellomogeneit.
Nel caso in cui il saldo complessivo risultasse positivo sar necessario individuare, in
considerazione del tempo di surplus finanziario stimato, le migliori alternative di investimento per
evitare di detenere liquidit infruttifera.
Viceversa, qualora il saldo complessivo risultasse negativo occorrer anticipatamente provvedere
alla sua copertura o, qualora ci non fosse possibile, al ridimensionamento degli impieghi.






















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Il prospetto delle fonti e degli impieghi
Fonti e usi 2003 2004 2005 2006
Utile netto
Ammortamenti netti
Accantonamenti netti
Fonti della gestione

Investimenti tecnici
Investimenti finanziari
Rimborso finanziamento soci
Rimborso debiti a medio-lungo
Dividendi
- usi non correnti

Aumento capitale
Alienazioni patrimoniali
Nuovi debiti a medio-lungo
Contributi in c/capitale
+ fonti non correnti

SALDO FINANZIARIO
Incremento consistenza magazzini
Aumento crediti a breve
Aumento liquidit
- usi correnti

Aumento debiti fornitori
Aumento debiti finanziari a breve
Aumento altri debiti a breve
+ fonti correnti

SALDO CORRENTE
SALDO COMPLESSIVO

IL PROSPETTO DEI FLUSSI MONETARI DELLE OPERAZIONI DI ESERCIZIO
Nel prospetto dei flussi monetari delle operazioni di esercizio, per ogni partita lentrata o luscita
effettiva data dalla somma algebrica tra lammontare dei crediti/debiti allinizio dellesercizio, gli
incassi e le uscite durante lesercizio e lammontare dei crediti/debiti alla fine dellesercizio. Il
prospetto pu chiudere con un saldo negativo, vale a dire un fabbisogno di esercizio per il quale
occorrer trovare adeguata copertura, oppure con un saldo positivo, ossia delle disponibilit della
gestione. Questo saldo sar successivamente riportato nel quadro generale dei movimenti monetari.

Entrate Crediti
inizio
es.
Partite
delles.
Crediti
di fine
es.
Entrata
effettiva
Uscite Debiti
inizio
es.
Partite
delles.
Debiti
fine es.
Uscite
effettive
Vendite
Iva su vendite
Anticipi da clienti
Interessi attivi
Proventi vari
Acquisti
Iva su acquisti
Salari e stipendi
Oneri contributivi
Oneri finanziari
Oneri tributari
Oneri diversi
Anticipi a fornitori
TOTALE TOTALE
Saldo negativo (fabbisogno desercizio) Saldo positivo (disponibilit nette)

50
IL QUADRO GENERALE DEI MOVIMENTI MONETARI
Allinterno del quadro generale dei movimenti monetari, saranno indicate:
- tutte le uscite (per immobilizzi tecnici e finanziari, per lIVA sugli immobilizzi, per il
rimborso dei debiti, per il fabbisogno di esercizio),
- e tutte le possibili fonti di entrata (fonti esterne rappresentate da mezzi acquisiti con vincolo
di capitale o di finanziamento e fonti interne collegate a processi di alienazione patrimoniale
e al saldo positivo dellesercizio).
Il quadro generale dei movimenti monetari si differenzia per molti aspetti dal prospetto delle fonti e
degli impieghi, tra cui i due principali sono: la considerazione implicita del risultato economico (e
quindi dellautofinanziamento) e il bilanciamento delle partite attraverso le disponibilit monetarie
iniziali e finali.

Il quadro generale dei movimenti monetari
Impieghi parziali totali Fonti Parziali totali
Immobilizzi tecnici
- Immobili
- Impianti e macchinari
- Propriet industriali
- Spese dimpianto
- Attrezzature
- Mobili e arredi
- Altri
Immobilizzi finanziari
- Crediti finanziari
- Partecipazioni
- Titoli a reddito fisso
Totale immobilizzi
IVA su immobilizzi

Rimborso debiti
- Mutui bancari
- Scoperti c/c
- Finanziamento soci
Totale rimborsi

TOTALE IMPIEGHI

Fabbisogno esercizio
Totale fabbisogno

Esistenza finale di disponibilit
monetarie

TOTALE GENERALE
Fonti esterne
- Capitale sociale
- Finanziamento soci
- Contributo in
c/capitale
- Mutuo agevolato
- Altri mutui
- Prestiti obbligazionari
- Aumento fidi bancari
Totali fonti esterne

Fonti interne
- alienazioni
patrimoniali
- disponibilit nette
desercizio
- esistenza monetarie
iniziali
Totale fonti interne










TOTALE GENERALE








51
IL PIANO DI CASSA
Il piano di cassa, denominato anche budget o preventivo di tesoreria, consente, infine, lo sviluppo
analitico dei documenti monetari precedenti, in quanto considera, su base solitamente mensile, il
flusso delle entrate e delle uscite di gestione.
Mediante esso si pu cos determinare il saldo monetario previsto e valutare gli effetti prodotti sulla
consistenza dei mezzi liquidi presenti allinizio del periodo. Ci sia per controllare la possibilit di
coprire, con i mezzi liquidi disponibili, gli eventuali saldi monetari negativi, sia per valutare,
nellipotesi di un loro incremento, pi favorevoli opportunit di impiego a brevissimo termine.
Nel prospetto una funzione centrale rappresentata dalla situazione di liquidit (casse e banche) ad
inizio di periodo e alla fine del periodo. chiaro che questultima rappresenter il saldo da riportare
quale casse e banche ad inizio del periodo successivo.
Nella costruzione del piano di cassa bisogna comprendere tutte le entrate e le uscite
previste, tenendo conto che, per quanto riguarda le entrate, i tempi di verificazione
possono essere certi, molto probabili e probabili, mentre per le uscite bisogner far
attenzione alle uscite fisse di carattere mensile o di periodicit pi lunga e alle uscite
straordinarie di difficile prevedibilit. Il piano di cassa dovr essere tenuto
costantemente sotto controllo perch la variazione delle previsioni (entit e tempi delle
entrate e delle uscite) un fatto del tutto normale nella gestione aziendale.

Il piano di cassa
Voci G F M A M G L A S O N D anno
Entrate
Ricavi di vendita
Incasso crediti
Alienazioni patrimoniali
Prestiti a medio e lungo termine
Finanziamento soci
Proventi finanziari
Rimborsi IVA
Entrate varie

TOTALE ENTRATE
Uscite
Pagamento fornitori
Spese per il personale
Oneri finanziari
Spese generali
Investimenti
Rimborso prestiti
Versamento imposte
Pagamento dividendi
Altre uscite

TOTALE USCITE
Saldo monetario
Cassa e banche allinizio del periodo
Cassa e banche alla fine del periodo






52
CAPITOLO 11: La logistica e la gestione degli approvvigionamenti

1. LA LOGISTICA QUALE PROCESSO
La logistica il sistema di connessione tra lapprovvigionamento di materiali (logistica in entrata),
la trasformazione produttiva e il collocamento dei prodotti realizzati (logistica in uscita).
Le funzioni di acquisto, magazzinaggio, trasporto e distribuzione fisica generano un ammontare
rilevante di costi e consentono, mediante il miglioramento del livello di efficienza, di conseguire
vantaggi significativi in termini di costi di produzione. Daltro canto, la velocit del ciclo di
evasione dellordine del cliente, il rispetto dei tempi di consegna e la salvaguardia delle
caratteristiche di sanit del prodotto contribuiscono in modo decisivo alla customer satisfaction e,
quindi, alla fidelizzazione della clientela.
La logistica si pone cos quale elemento fondamentale della strategia competitiva sia perch riesce a
contenere i costi sia perch contribuisce ad elevare la qualit del servizio.

2. LA FUNZIONE DI APPROVVIGIONAMENTO
La funzione di approvvigionamento ha lobiettivo di assicurare il rifornimento delle materie prime,
ausiliarie, parti, componenti ed accessori da utilizzare nellattivit di gestione.
Il suo scopo quindi assicurare:
- leconomicit della gestione degli acquisti
- e la continuit dei cicli di lavorazione (il rifornimento di materiali deve infatti garantire
lininterrotto svolgimento della produzione, al fine di evitare tempi dozio per limpianto e
conseguenti costi sprecati per lazienda).
Proprio per questo motivo limpostazione del processo di approvvigionamento in effetti legata
soprattutto a due elementi:
la criticit dei materiali da acquistare: limpresa dovr operare con unassoluta garanzia
di rifornimento per quei materiali che possono creare strozzature nel ciclo di
lavorazione, bloccando fasi importanti o impedendo il processo terminale di allestimento
del prodotto finito.
limpatto economico sul costo del prodotto: se lazienda lavora con un basso valore
aggiunto, leconomicit degli approvvigionamenti riveste un carattere fondamentale ai
fini della competitivit aziendale.
Incrociando questi due elementi (criticit e impatto economico) stata costruita una matrice, che
consente di distinguere i vari tipi di acquisti e, di conseguenza, suggerisce i modelli organizzativi
per gestire il relativo processo di approvvigionamento. I comportamenti e le decisioni dacquisto
devono difatti legarsi alla complessit di tale processo, alla criticit dei materiali da acquistare e
allimpatto economico del relativo acquisto. Sotto tale profilo, i prodotti sono suddivisi in:
1. prodotti leva: il cui peso economico, dati gli elevati costi di acquisto e di
magazzinaggio, incide significativamente sul profilo finale dellimpresa,
2. prodotti strategici: il cui ruolo, nellallestimento del bene oggetto di produzione
da parte dellimpresa critico,
3. prodotti colli di bottiglia: caratterizzati dalla difficile reperibilit, ma di un
peso economico modesto,
4. prodotti non critici: facilmente reperibili nel mercato e di incidenza modesta in
rapporto al valore del bene da produrre.


Impatto sulla
redditivit
Complessit dei mercati di rifornimento


Alto Prodotti effetto leva Prodotti strategici
Basso Prodotti non critici Prodotti colli di bottiglia
Ridotta Elevata
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3. LORGANIZZAZIONE DELLA FUNZIONE ACQUISTI
Tipi di organizzazione: Lorganizzazione della funzione acquisti pu essere:
- di tipo semplice e di carattere subordinato (sovente alla funzione di produzione) allorch si
riduce sia la criticit dei materiali da acquistare, sia lincidenza economica sul costo totale di
produzione, in questo caso la gestione si orienta nel tempo breve e si rivolge con
caratteristiche di minore autonomia,
- di tipo complesso e di carattere alto-direzionale allorch non solo elevata la criticit e
leconomicit degli atti di rifornimento, ma assegnata alla funzione anche la responsabilit
di revisione critica dei materiali, per poter trovare fonti o prodotti alternativi, per suggerire
modifiche agli stessi prodotti finiti in funzione di componenti o parti appositamente studiati
allinterno dellazienda o con il concorso di potenziali fornitori.
Requisiti del buyer: evidente che, a prescindere dal tipo di organizzazione considerata, un
approvvigionatore (buyer) deve essere in grado di:
crearsi una rete ampia e differenziata di fornitori,
prevedere landamento congiunturale del mercato per quanto attiene alle quantit
disponibili e ai relativi prezzi dacquisto,
ricorrere a formule contrattuali che riducano i rischi di acquisto,
sapere applicare lanalisi del valore per tutti i materiali che acquista (cio essere in grado
di compiere una revisione critica della tipologia delle forniture),
partecipare alla gestione attiva degli stock.
Relazioni: inoltre il responsabile della funzione di approvvigionamento deve agire di concerto con i
responsabili di altre funzioni aziendali e pi in particolare con:
- il direttore di produzione: per garantire la continuit dei processi di rifornimento e per
concordare le caratteristiche di affidabilit tecnica dei materiali,
- il direttore di marketing: per valutare gli effetti dellapprovvigionamento sulla politica del
prodotto e sulla politica del prezzo,
- il direttore finanziario: per determinare il fabbisogno di capitale circolante,
- il direttore della ricerca e sviluppo: per valutare le possibilit dimpiego di nuovi materiali
utilizzabili in luogo di materiali difficilmente approvvigionabili o pi costosi.

4. LA GESTIONE DELLE SCORTE DI MATERIE
Le scorte di materie prime e prodotti sono indispensabili per bilanciare i diversi ritmi secondo cui si
svolgono i cicli fondamentali di gestione (acquisto, produzione e vendita).
Scopi: Le imprese costituiscono delle scorte per vari motivi:
- per tutelarsi contro eventuali incertezze nel mercato di fornitura ovvero contro possibili
aumenti di prezzo,
- per conseguire delle economie di acquisto attraverso la riduzione dei costi unitari in
relazione ai maggiori volumi ordinati,
- per crearsi degli ammortizzatori nei rapporti con i fornitori in modo da fronteggiare
eventuali errori o disfunzioni nelle consegne,
- per garantire continuit al processo operativo.
Ma la creazione e il mantenimento di giacenze comportano non solo dei costi elevati ma anche dei
rischi di eventuale deperimento od obsolescenza dei prodotti in stock.
I metodi di gestione delle scorte: la gestione delle scorte pu essere attuata secondo due
impostazioni differenti:
STOCK CONTROL: secondo cui laltezza delle scorte da tenere in magazzino dipende
dai tempi di assorbimento dei materiali e dai tempi di riapprovvigionamento degli stessi.
In questo caso si controlla il livello della scorta senza tener conto dellandamento dei
processi di produzione e di vendita.
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FLOW CONTROL: legata allandamento della domanda, da cui deriva lentit e la
cadenza dellapprovvigionamento e dellaccumulo in magazzino. In questo caso le
scorte sono determinate in funzione del flusso di ordini di vendita da evadere.

Le tecniche pi note collegate al flow control sono:
- il MATERIAL REQUIREMENTS PLANNING (MRP): Il MRP si basa sul concetto di far
coincidere le scorte con I fabbisogni di breve periodo, in modo da ridurre al minimo laccumulo di
giacenze. Questo diviene possibile perch si parte dagli ordinativi di vendita o dai lanci di
produzione e, in funzione dei tempi di produzione del mix di prodotti (nelle quantit ordinate) e dei
consumi di materie ad essi associati, si provvede allacquisto dei materiali. Lindividuazione di
questi ultimi deriva dalla costruzione della cosiddetta distinta base, allinterno della quale esposto
il fabbisogno di materie, parti e componenti necessari a pervenire allallestimento del prodotto
finito, da questo documento che si desumono le informazioni sul tasso di consumo dei diversi
materiali necessari per produrre ununit di output.
- il JUST-IN TIME (JIT): il JIT propone sostanzialmente la minimizzazione dei livelli di giacenza
del ciclo produttivo, per generare vantaggi economici (risparmi di costo) ed eliminare il rischio
connesso allimmobilizzo (deterioramento e obsolescenza dei materiali in scorta). Tuttavia non
facile lattuazione perch la gestione con scorta zero comporta unorganizzazione ottimale
dellintero ciclo di gestione. Per poter attuare il just-in time necessario difatti collegarsi in modo
altamente efficiente con la rete dei fornitori. La possibilit di costituire il magazzino presso il
fornitore dipende dalla rapidit e dalla continuit dei rifornimenti. Una soluzione del problema pu
essere quella dellinsediamento dei fornitori nella stessa area dello stabilimento cliente.

Le tecniche collegate allo stock control sono invece:
- la TECNICA DELLE SCORTE SEPARATE: quantit fissa. Con questa tecnica si determina il
quanto ordinare e si ottiene di conseguenza il quando. Essa si fonda, infatti, sul
riapprovvigionamento per quantit costanti allorch la scorta raggiunge un predeterminato valore
minimo (livello di riordino).
Livello di riordino: Il primo problema da risolvere dunque proprio la determinazione del livello
di riordino, cio della quantit al raggiungimento della quale bisogna far partire la procedura di
riapprovvigionamento. Il livello di riordino dipende dal tempo guida, cio dal periodo occorrente
per ottenere la merce ordinata. Il tempo guida deriva in sostanza dalla somma di tre tempi:
1) il tempo necessario per spiccare lordine (avvio della procedura amministrativa,
consultazione dei fornitori, autorizzazione allacquisto, emissione dellordine)
2) il tempo occorrente per larrivo della merce
3) il tempo necessario per la messa a disposizione della merce (atti di ricevimento,
controllo, ecc.)
Il livello di riordino si calcola moltiplicando il tempo guida per il consumo nellunit di tempo.
ES.: la societ Beta utilizza 20 q.li di lamiera alla settimana, il tempo per il riapprovvigionamento
due settimane (tempo guida). Il livello di riordino sar pari a 40 q.li.
Scorta minima di sicurezza: In questo modo per lazienda operer senza una scorta minima di
sicurezza che la proteggerebbe, nellipotesi di aumento del tasso di consumo o di eventuali ritardi
nellapprovvigionamento. Per evitare tale rischio la societ deve quindi determinare con metodi pi
o meno raffinati (calcolo della probabilit) la scorta di protezione da tenere disponibile in qualsiasi
momento.
Nel caso considerato, supponendo che la scorta di sicurezza sia fissata a 40 q.li, il livello di riordino
sar pari a 80 q.li, questo significa che appena lo stock di lamiera toccher questo livello, bisogner
procedere ad un nuovo ordine.
Il lotto economico dacquisto: Una volta determinato il livello di riordino necessaria la
determinazione della quantit da riacquistare di volta in volta. Il calcolo del lotto economico
dacquisto, si pone come obiettivo la ricerca della quantit ottimale da riacquistare nel tempo; per
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quantit ottimale inteso il lotto che consente di minimizzare il costo complessivo di gestione della
scorta. Questo costo dato da due costi parziali:
il costo di mantenimento formato da:
- linteresse sui capitali immobilizzati,
- il costo di funzionamento del servizio magazzino,
- lammontar delle perdite per sciupii, deterioramenti ed eventuali furti,
- le spese di trasporto fra i magazzini
- il costo dellobsolescenza
il costo di ordinazione che include:
- il costo di funzionamento dei servizi dacquisto,
- le spese postali e telefoniche,
- le spese di trasferta degli agenti dacquisto,
- il costo di ricevimento, controllo e analisi dei prodotti.
Il costo di ordinazione non va confuso con quello dacquisto, perch riguarda solo le spese
necessarie per procedere allordinazione della merce.
Come calcolare il lotto economico dacquisto: Detti:
F = fabbisogno complessivo di merce nellunit di tempo,
Q = quantit da acquistare di volta in volta (lotto economico dacquisto)
a = costo di acquisto di una unit di merce,
c = costo unitario di mantenimento (espresso in percentuale del valore medio della giacenza)
K = costo di una ordinazione.
Cm = costo di mantenimento
Co = costo di ordinazione
Analiticamente:
Il costo di mantenimento sar uguale a c Qa/2, dove c il costo unitario e Qa/2 la giacenza
mediamente presente in magazzino. Il costo di ordinazione sar uguale a K F/Q dove K il costo di
unordinazione e F/Q rappresenta il numero delle ordinazioni nellunit di tempo.

Cm = c Q a/2 Co = K F/Q Ct = Cm + Co = c Q a/2 + K F/Q

Il lotto Q corrisponde alla quantit che minimizza il costo totale Ct. Per trovare questa quantita
bisogna calcolare la derivata prima rispetto a Q e azzerarla.
Graficamente:
Il costo di ordinazione rappresentabile graficamente con uniperbole equilatera avente per asintoti
gli assi cartesiani, mentre il costo di mantenimento rappresentabile con una retta uscente
dallorigine degli assi.
Se in un diagramma cartesiano riproduciamo le due funzioni parziali di costo e la funzione somma,
rileviamo che il punto di minimo della funzione Ct si situa in corrispondenza dellintersezione delle
funzioni Cm e Co. Ci significa che il lotto dacquisto Q corrisponde alla quantit per qui si
eguagliano i due costi parziali. Si ha cio:

Cm = Co ovvero c Q a /2 = K F/Q









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- la TECNICA DEL CICLO DI ORDINAZIONE:
Per quanto riguarda la tecnica del ciclo di ordinazione si preferisce parlare di scorta ottimale e non
di lotto economico dacquisto, poich la quantit di volta in volta acquistata varia, mentre rimane
ferma la quantit massima da tenere in stock allinizio di ogni periodo. Tale quantit risulter dalla
somma di tre componenti:
1. lassorbimento previsto durante lintero periodo,
2. lassorbimento previsto nel tempo guida,
3. la scorta di sicurezza.

Classificazione delle scorte secondo il metodo ABC:
Per la conservazione delle scorte le aziende applicano il metodo ABC, vale a dire suddividono gli
articoli in tre classi:
A = materiali che pesano di pi sul valore complessivo delle scorte e che richiedono un
controllo assiduo e penetrante,
B = articoli che pur pesando di meno necessitano un controllo periodico,
C = articoli che possono essere gestiti con procedure pi semplici.
Si pu osservare che per le classi A e B sar + frequente lapplicazione della tecnica delle scorte
separate, mentre per la C sadotter generalmente la tecnica del ciclo di ordinazione.

MISURAZIONE DELLEFFICIENZA DELLA GESTIONE DELLE SCORTE
Lindice che consente di operare delle valutazioni di efficienza sulle scorte il tasso di rotazione.
Questo dato dal rapporto fra il materiale uscito dal magazzino in una certa unit di tempo e l a
giacenza media presente in magazzino nella stessa unit di tempo. Detti:
Ir = indice di rotazione
Ut = uscita di materiali nel tempo t
Gm = giacenza media nel tempo t

Ir = Ut/Gm

ES.: se tale indice risulta pari a 7,3 significa che il magazzino si rinnovato mediamente ogni 50
giorni (365/7.3).
Naturalmente pi elevato questo indice, maggiore lefficacia di gestione delle scorte, perch
laumento del rapporto dovuto ad un + vantaggioso equilibrio fra ciclo di uscita dei materiali dal
magazzino e ciclo di permanenza degli stessi in deposito. Un pi alto tasso pu essere dovuto infatti
o ad un aumento del numeratore (maggiore uscita di materiali durante lanno) oppure ad una
diminuzione del denominatore (giacenza media). In entrambi i casi linvestimento in scorta
diminuito.
Nel caso di prodotti finiti: nellipotesi di scorte prodotti il tasso di rotazione sar uguale al
rapporto tra il volume delle vendite e la giacenza media. In questo caso tuttavia bisogner rendere
omogenei i due termini del rapporto, in quanto il numeratore espresso in prezzi di vendita e il
denominatore in prezzi di acquisto. Conoscendo il ricarico applicato ai prodotti posti in vendita,
bisogner pertanto o aggiungerlo al valore della giacenza media (mark-up) o sottrarlo a quello delle
vendita (mark-down).
Altri indici di economicit:
- COSTI DI MAGAZZINO/COSTI DI PRODUZIONE
Questo rapporto mostra lincidenza dei costi di gestione del magazzino sul costo di produzione.
- COSTI DI MAGAZZINO/GIACENZA MEDIA
Questo rapporto rivela invece lincidenza di tali costi su ogni unit o lira di prodotto tenuto in
scorta.


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5. LA GESTIONE DELLE SCORTE DI PRODOTTI FINITI
Rischi per mancanza di scorte: La carenza di scorte pu far perdere loccasione di vendita e
riflettersi direttamente sul volume daffari dellimpresa. Questo accade tutte le volte che il cliente
non disposto ad attendere per ricevere il prodotto e, a causa della non radicata preferenza per la
specifica marca (scarsa brand-loyality), si rivolge a prodotti della concorrenza.
Rischi per leccesso di scorte: I rischi correlati allaccumulo in magazzino di scorte prodotti
derivano invece dalla possibile deperibilit fisica (senescenza) o tecnica (obsolescenza) del
prodotto.
Obiettivo: Lo sforzo delle imprese sar allora di lavorare quanto pi possibile su commessa.
Lattivazione del processo produttivo avverr solo allorquando sar stato ricevuto lordine
configurando una situazione definita come make to order, che evita la formazione di scorte lungo il
canale distributivo.


CAPITOLO 13: La gestione delle risorse umene

1. LEVOLUIZIONE DELLA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE
Fino a qualche tempo fa, soprattutto a causa della la forte incidenza del costo del lavoro sul costo
complessivo di produzione, la questione principale era di contenerlo o ridurlo mediante la migliore
organizzazione dellattivit di gestione. Il problema dellefficienza si concretava, difatti,
principalmente nella necessit di fare crescere la produttivit del fattore lavoro, sfruttando
opportunamente le possibili combinazioni tra lavoro umano e meccanico (automazione e
meccanicizzazione).
Ma proprio la necessit di ottimizzare la produttivit del lavoro ha portato alla convinzione che
prima di tutto importante far nascere e preservare il miglior clima aziendale, con particolare
riguardo all'ambiente di lavoro, alle esigenze del lavoratore al di fuori della fabbrica, al processo
d'integrazione tra obiettivi individuali e obiettivi dell'organizzazione. In questo senso, il problema di
gestione del fattore umano ha assunto pi spiccate caratteristiche qualitative e si incentrato, in
sostanza, nella ricerca di soluzioni appropriate per la creazione di elevate motivazioni del lavoratore
a partecipare e a produrre.
Con la trasformazione dell'impresa stessa da produttrice di beni in produttrice di conoscenza,
l'addestramento del lavoratore non doveva tradursi soltanto nell'insegnare ad usare una macchina e
nell'apprendimento delle routine relative alla specifica mansione ricoperta, quanto piuttosto
nell'allenare a decidere, a migliorare le routine stesse, a produrre cio nuova conoscenza.
In altri termini, con questo nuovo concetto d'impresa il rendimento del fattore lavoro finiva per
perdere in buona parte i suoi tratti quantitativi (o di rendimento fisico) per assumere, invece, aspetti
soprattutto qualitativi.

2. ATTIVITA E PROCESSI DI PROGRAMMAZIONE DELLE RISORSE UMANE
Caratteristiche del mercato del lavoro: Nelle organizzazioni l'importanza delle risorse umane
da sempre rilevante, poich:
- un fattore non riproducibile per cui, nelle singole individualit, unico in natura.
- un fattore rigido poich generalmente il mercato del lavoro contraddistinto da una
legislazione che, nel proteggere i flussi in uscita rende difficile anche quelli in ingresso.
Contesto italiano: In Italia, l'attuale contesto caratterizzato da tre elementi:
riduzione della natalit (baby bust);
anzianit media crescente della forza lavoro (ageing population)
insufficienza di risorse professionali specializzate (skill shortage).
Obiettivi della programmazione del personale: In fase di programmazione del personale gli
obiettivi sono diversi:
- la determinazione della quantit di personale e dei requisiti e delle capacit richieste,
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- lanalisi delle possibili modifiche della struttura organizzativa, valutando le capacit e le
potenzialit delle risorse interne,
- lindividuazione delle necessit future,
- la predisposizione dei piani di formazione per ladeguamento delle risorse.
Fasi della programmazione del personale: Dal punto di vista operativo lattivit di
programmazione si articola nelle seguenti fasi:
1. previsione del fabbisogno di lavoro in quantit (numero di lavoratori e/o di ore lavoro) e
qualit, tenendo conto degli obiettivi aziendali, della struttura esistente e delle sue possibili
variazioni, dellambiente esterno,
2. analisi della disponibilit del personale interno e della reperibilit sul mercato esterno,
3. pianificazione dei flussi e delle attivit di gestione del personale,
4. analisi dei risultati e adeguamento costante del piano occupazionale.

2.1 IL SUB-SISTEMA INFORMATICO A SUPPORTO DELLA PROGRAMMAZIONE
Le principali informazioni gestite dal sistema di programmazione del personale riguardano:
- la composizione dellorganico (dati anagrafici, scolarit e formazione, anzianit aziendale e
di qualifica, ore lavoro, straordinari, trasferte),
- la sua dimensione economica (fatturato, valore aggiunto e margine lordo per addetto, indici
di produttivit),
- il clima aziendale (assenteismo),
- la dinamica del personale (turnover, carriere, outplacement).
Il sistema di informazioni che sta alla base della programmazione delle risorse umane si serve
anchesso di alcuni indici. Tra i pi importanti il tasso di assenteismo e il tasso di turnover.
Lassenteismo, cio lassenza ingiustificata e non predeterminata del lavoratore, quantificabile
mediante un tasso che pu essere calcolato sulla base di diversi parametri e si misura rapportando le
assenze rilevate alle presenze potenziali.
Il turnover, cio il tasso di rigiro del personale, rappresenta un fatto fisiologico, anzi addirittura
necessario affinch vi sia il costante equilibrio tra esigenze dellimpresa e capacit degli addetti.
altrettanto evidente per che un turnover eccessivo crea, per il personale in entrata, grandi costi di
reclutamento, addestramento, mentre per il personale in uscita, che rappresenta comunque una
risorsa che ha con s delle capacit che potrebbero essere utilizzate dai concorrenti, graver
sullimpresa il pagamento dellindennit di fine rapporto. Il tasso di turnover pu essere calcolato
rapportando le unit entrate e/o uscite allorganico medio, oppure le unit uscite a quelle entrate.


ASSENTEISMO TURNOVER
Tasso di assenteismo (temporale) =
ore (giorni) di assenteismo/ore (giorni) lavorabili
100
Tasso di turnover (complessivo) =
entrati + usciti/organico medio
100
Tasso di assenteismo (in assenti) =
n. assenti (giorno-settimana)/organico medio
100
Tasso di turnover (negativo) =
Usciti/organico medio
100
Rilevanza assenteismo =
n. tot. assenti (n-ore-giorni)/organico medio
100

Tasso di turnover (compensato) =
entrati/usciti
100

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2.2 ACQUISIZIONE DELLE RISORSE UMANE: RECLUTAMENTO E SELEZIONE
Lacquisizione delle risorse umane il processo di adeguamento delle disponibilit di lavoro alle
necessit di lavoro nell'impresa; quindi, gestisce i flussi in entrata ed in uscita dall'impresa nonch i
flussi interni rappresentati dalla mobilit orizzontale e verticale. Lacquisizione del personale
preceduta temporalmente e logicamente dal reclutamento e dalla selezione.
Reclutamento: Il reclutamento rappresenta lo strumento utilizzato dallimpresa per soddisfare la
propria domanda di lavoro. Le fasi in cui si articola il processo di reclutamento sono diverse:
la definizione del fabbisogno del personale necessario,
lanalisi dei mercati - interno ed esterno del lavoro,
lindividuazione dei candidati maggiormente idonei
Mercato interno: Nel caso di reclutamento indirizzato alle risorse interne, si fa ricorso a contatti
informali e interpersonali o, qualora si voglia salvaguardare la trasparenza del mercato interno, a
tecniche di JOB POSTING attraverso la diffusione formale tra tutti i dipendenti della necessit di
ricoprire determinate posizioni con risorse interne, specificandone retribuzione, possibilit di
carriera, requisiti richiesti.
Mercato esterno: Qualora invece limpresa decida di rivolgersi al mercato esterno, gli strumenti
impiegabili nella fase di reclutamento sono vincolati a norme di legge, che hanno lo scopo di evitare
comportamenti discriminatori da parte delle aziende nei confronti dei lavoratori.
Selezione in entrata: la selezione si esplica attraverso un processo di confronto tra la domanda di
lavoro dellimpresa e lofferta circoscritta nella fase di reclutamento. Obiettivo della selezione
lindividuazione dei soggetti lavoratori le cui caratteristiche siano maggiormente consone a quelle
richieste. I criteri di selezione interessano lidoneit del soggetto selezionato e riguardano fattori tra
cui::
capacit (abilit/esperienza),
conoscenza,
comportamento,
potenzialit.
Selezione in uscita: effettuata tanto dal lavoratore che decide di lasciare lazienda selezionando le
opportunit di lavoro, quanto dallimpresa che intende ridimensionare la base occupazionale. Il
lavoratore ovviamente libero di cogliere eventuali opportunit alternative, mentre limpresa
fortemente vincolata nella risoluzione del rapporto di lavoro, per cui pu ottenere questo risultato
favorendo iniziative volontarie da parte degli interessati. Per non incrinare i rapporti con il mercato
del lavoro e difendere la propria immagine sociale, le aziende fanno ricorso a tecniche di
OUTPLACEMENT, che consistono nel mettere a disposizione del lavoratore le risorse necessarie
ad una collocazione sul mercato del lavoro.

2.3 LA FORMAZIONE
La formazione collegata all'apprendimento organizzativo, rappresenta una risorsa invisibile e
rende meno complessa la mobilit interna.
L'investimento in formazione caratterizzato da incertezza (rischio) nei risultati e nei tempi di
ritorno che possono anche essere lunghi; oltretutto, vi pure un'elevata probabilit che i risultati
diventino obsoleti incidendo negativamente sul rendimento dell'investimento stesso.
Le fasi della formazione sono:
- Training (scuole e facolt universitarie per lacquisizione prioritaria di conoscenze teoriche)
- Formazione on the job (per arricchire le professionalit)
- Ulteriori metodi didattici, tra cui i + diffusi sono:
1. LEZIONE: un docente trasmette ai partecipanti informazioni e modelli inerenti una specifica
materia.
2. ESERCITAZIONE: i partecipanti, singolarmente o in gruppo, eseguono un esercizio o dei
compiti secondo istruzioni impartite dal docente.
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3. METODO DEI CASI: i partecipanti analizzano una situazione aziendale concreta (reale o
ipotizzata) per poi elaborare interpretazioni e proposte.
4. INCIDENT: il caso presentato ai partecipanti richiede un loro coinvolgimento nellacquisizione
delle informazioni necessarie per linterpretazione e la soluzione di un problema.
5. ROLE PLAYING: i partecipanti assumono il ruolo di protagonisti della situazione che sono
chiamati a rappresentare in una discussione di gruppo.
6. IN BASKET: viene simulata una situazione operativa in cui i partecipanti devono risolvere
problemi gestionali mediante una comunicazione scritta.
7. BUSINESS GAME: si simula una situazione di mercato che viene influenzata dalle decisioni
prese dai gruppi di partecipanti per il raggiungimento di un obiettivo.
8. T- GROUP: il gruppo di partecipanti, assistiti da un trainer, individua un tema di discussione ed
organizza la sua attivit per promuovere rapporti collaborativi.
9. BRAINSTORMING: si sollecitano i partecipanti a fornire le possibili soluzioni ad un problema
in maniera immediata e spontanea.

2.4 VALUTAZIONE E RETRIBUZIONE DEL LAVORO
L'oggetto della valutazione pu essere diverso secondo gli scopi, per cui si suole distinguere:
- una valutazione delle prestazioni, che considera le capacit professionali dell'individuo in
relazione alle richieste della posizione;
- una valutazione del potenziale, che analizza gli stessi elementi ma nell'ottica di prestazioni
future e tende ad individuare i soggetti che presentano delle capacit di sviluppo necessarie
per ricoprire ruoli definiti in relazione alle scelte strategiche.
La valutazione del personale rappresenta un'attivit propedeutica ad alcune politiche del personale
tra cui quella retributiva
La retribuzione uno tra i pi importanti fattori governati dall'impresa per attrarre, trattenere e
motivare la forza lavoro; altri fattori quali il prestigio dell'impresa e del ruolo assunto dal
lavoratore, l'ambiente di lavoro, le opportunit di carriera, il clima organizzativo, per quanto vadano
assumendo una rilevanza crescente, sono comunque complementari.
La retribuzione monetaria pu avere due forme:
- fissa, determinata in base agli accordi contrattuali,
- e variabile, funzione di accordi tra le parti e collegata al raggiungimento di determinati
risultati. Una tipologia di retribuzione variabile che assume soprattutto il carattere di un
incentivo quella in base alla quale si attribuisce ai lavoratori una quota degli utili realizzati
(profit sharing).
La politica retributiva si articola in:
LIVELLO DELLA RETRIBUZIONE che determinato dalla combinazione del saggio
medio della contrattazione collettiva, del saggio medio del mercato, della capacit
retributiva dellimpresa.
STRUTTURA DELLA RETRIBUZIONE che definisce lammontare della retribuzione
in relazione alle diverse posizioni.
DINAMICA DELLE RETRIBUZIONI che stabilisce le variazioni salariali in relazione
al tempo.
La flessibilit: la rigidit del fattore lavoro si traduce in un costo del lavoro prevalentemente fisso
che condiziona la potenzialit economico strutturale. L'impresa che deve fare fronte ad incrementi
temporanei di domanda, relativamente alla forza lavoro pu fare tre scelte:
a) incrementare in maniera stabile la quantit di lavoro per aumentare la produzione;
b) mantenere invariato l'impiego di lavoro rinunciando all'incremento delle vendite;
c) esternalizzare parte del processo produttivo e/o della produzione.
Gli effetti negativi delle tre scelte ipotizzabili sono facilmente intuibili.
La flessibilit di un impresa dipende da tre fattori:
- la domanda dal mercato,
61
- la tipologia produttiva e le scelte tecnologiche adottate,
- il grado di utilizzo della capacit produttiva.
Strumenti per il fronteggiamento delle esigenze temporanee di lavoro:
LAVORO STRAODINARIO: utilizzato per soddisfare i bisogni di maggior tempo di lavoro, ancora
molto utilizzato pur essendo considerato molto oneroso.
PART TIME: occupazione regolare e volontaria con orario giornaliero o settimanale sensibilmente
ridotto rispetto a quello considerato normale. Il vantaggio per limpresa rappresentato dalla
possibilit di mettere in sintonia la disponibilit di lavoro con le modalit temporali della domanda
e/o i tempi di utilizzo degli impianti. Esso per aumenta la difficolt di coordinamento.
LAVORO INTERINALE: forma di lavoro temporaneo svolto mediante lintermediazione di
unimpresa specializzata, che risulta lunica titolare del contratto di lavoro in virt del quale il
lavoratore si obbliga nei confronti di questultima a svolgere la propria attivit lavorativa sotto
la direzione della c.d. impresa utilizzatrice.
LAVORO A TEMPO DETERMINATO: una forma di lavoro temporaneo che coinvolge, per, i
dirigenti il temporary management, definibile come la collocazione temporanea di manager
altamente qualificati con il compito specifico di garantire continuit allinterno dellorganizzazione
e per accrescere la capacit del management esistente.
JOB SHARING: con questa modalit due lavoratori si dividono ununica prestazione di lavoro di
cui sono, entrambi, responsabili. I lavoratori riescono cos a conciliare gli impegni lavorativi con
quelli personali, e limpresa verosimilmente ottiene un minore assenteismo.
LAVORO INTERMITTENTE (C.D. A CHIAMATA): il contratto collettivo di lavoro pu
prevedere dei casi in cui limpresa ha la possibilit di impiegare un lavoratore per alcune fasi della
produzione o in alcuni momenti (picchi di produzione).
STAFF LEASING: relativo ad un gruppo di lavoro che affittato a tempo determinato o
indeterminate da unimpresa utilizzatrice. destinato a soddisfare lesigenza di gestire delle attivit
esterne lasciando agli addetti interni le attivit core.

2.5 GLI ITINERARARI DI CARRIERA
Il processo di programmazione delle risorse umane prevede l'attivit di pianificazione delle carriere
del personale dipendente. Questa consiste nell'individuazione dei possibili itinerari di carriera
determinando, per ciascun lavoratore, i tempi di permanenza nella singola posizione.
La programmazione delle promozioni segue un percorso top-down evidenziando tutte le posizioni
disponibili - definendone i tempi - e i diversi possibili candidati; per ciascuno di questi individua le
eventuali esigenze di formazione affinch sia promuovibile.
Motivazione: Gli itinerari di carriera contribuiscono a disciplinare il mercato interno del lavoro e
fanno uso delle leve motivazionali. Infatti, la possibilit di avanzamenti di carriera rappresenta per il
lavoratore un incentivo a fare di meglio per l'impresa in cui opera. Pertanto, la definizione degli
itinerari di carriera ha anche lo scopo di soddisfare le motivazioni allo sviluppo dei singoli e
l'individuazione delle risorse umane impiegabili per soddisfare fabbisogni futuri dell'impresa.
Gli itinerari di carriera si possono classificare in virt degli scopi che si intendono perseguire. Le
direzioni seguite negli itinerari possono essere:
- verticali, se cambia il livello gerarchico;
- orizzontali, se si modifica la posizione funzionale;
- trasversali, in caso in cui variano sia il livello sia la funzione.
Il processo di pianificazione delle carriere comporta anche limpiego delle tavole di rimpiazzo che,
per ciascuna posizione, individuano i possibili soggetti che possono andare a ricoprirla.

3. LAMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE
Accanto alla gestione direzionale del personale, occorre curare anche la parte pi strettamente
amministrativa dei rapporti di lavoro. Questultima quasi sempre attribuita alla struttura che si
occupa pi in generale del processo amministrativo-contabile.
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La normativa in materia richiede il rispetto di un complesso di obblighi verso i lavoratori (ad es. in
ogni impresa deve essere individuato il responsabile della sicurezza del lavoro), inoltre
lamministrazione corrente prevede compiti come lelaborazione delle paghe, il versamento dei
contributi previdenziali e assicurativi, la tenuta dei libri obbligatori (libro paga, libro infortuni, libro
matricola), le pratiche relative a ferie, permessi, malattie, ecc.
Lazienda deve essere inoltre in grado di fornire ai lavoratori servizi come mensa, ambulatorio,
trasporti, ecc.

4. LA FUNZIONE AMMINISTRATIVO-CONTABILE
Per concludere lesame delle funzioni operative di gestione, occorre soffermarsi su un'altra funzione
fondamentale di supporto per la corretta conduzione aziendale. Intendiamo qui riferirci alla
funzione amministrativo-contabile, indispensabile oltre che per rispondere agli obblighi di legge
previsti in tema di contabilit e bilancio sotto il duplice aspetto civilistico e fiscale per fornire, con
continuit e sistematicit, i dati di base per l'assunzione delle decisioni.
La funzione amministrativo-contabile comporta grandi responsabilit e richiede una cura altamente
professionale da parte dei dirigenti aziendali, sovente coadiuvati da consulenti esterni.
Comunemente, alla funzione amministrativa sono assegnate la tenuta della contabilit generale ed
I.V.A., l'analisi dei costi, l'emissione e il pagamento delle fatture, il ruolo paga del personale, il
controllo delle uscite finanziarie.
Il legame alla funzione finanziaria: Questi compiti chiariscono i legami molto stretti con la
funzione finanziaria, alla quale essa pu essere talvolta aggregata. In pratica, laspetto contabile si
caratterizza per il volume rilevante di operazioni da compiere in modo ricorrente o secondo
procedure prefissate, mentre quello finanziario si contraddistingue per il carattere prevalentemente
di programmazione e di controllo della provvista e dellimpiego di fondi nel corso della gestione.


CAPITOLO 14: La valutazione dellefficienza aziendale

1. VALORI E INDICI DI VALUTAZIONE
Si considerano maggiormente significativi, ai fini della valutazione dellefficienza aziendale, il
cash-flow e il reddito operativo.
CASH FLOW (flusso di cassa): rappresenta una misura dellautofinanziamento in quanto esprime
lammontare delle risorse finanziarie generate dalla gestione aziendale, in quanto tale considerato
espressivo al meglio del risultato di gestione.
Il cash-flow dato:
- dalla sommatoria dellutile netto di esercizio e delle quote di ammortamento e di
accantonamento (per il fondo TFR, per la svalutazione di crediti e titoli, per rischi diversi,
ecc.) al netto degli usi (cash-flow finanziario)
- oppure dalla sommatoria dellutile netto di esercizio e delle sole quote di ammortamento al
netto degli usi (cash-flow reddituale).
REDDITO OPERATIVO: rappresenta il risultato della gestione caratteristica dellimpresa ed
uguale alla differenza tra ricavi e costi dellattivit tipica aziendale. Esso pertanto non considera n
il saldo delle partite straordinarie e patrimoniali n quello finanziario ed sempre determinato al
lordo degli oneri fiscali.
In ogni impresa si possono, infatti, separare quattro tipi di attivit o fenomeni di differente matrice
gestionale:
1) la gestione tipica o caratteristica, che costituita da tutte le operazioni destinate a
raggiungere lobiettivo fondamentale per cui limpresa stessa stata create;
2) la gestione finanziaria, che rappresentata dalle operazioni di reperimento e dimpiego dei
fondi occorrenti o prodotti dallattivit aziendale;
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3) la gestione patrimoniale, detta anche accessoria, che costituita dallamministrazione dei
beni non strumentali per lesercizio della gestione tipica (ad es. un immobile dato in
locazione a terzi);
4) la gestione straordinaria, che composta dagli eventi imprevedibili, nel loro verificarsi o
nella misura degli effetti prodotti, destinati ad alterare la situazione reddituale e patrimoniale
dellimpresa.
Ciascun tipo di gestione destinato a produrre dei risultati e questi ultimi andranno a comporre il
risultato globale dellattivit aziendale.
Naturalmente lindice pi significativo appunto il risultato collegato alla gestione operativa, cio
quello relativo allattivit tipica o propria dellimpresa. quindi molto importante determinare
quanta parte del risultato di esercizio scaturisca dalla gestione caratteristica e quanta altra dalla
gestione finanziaria, straordinaria e accessoria.

VALORE DELLA PRODUZIONE
(fatturato, variazione delle scorte, capitalizzazioni)

- Costi di produzione
= Margine lordo industriale

- Costi commerciali, amministrativi e finanziari
= Cash-flow finanziario

- Quote di accantonamento al netto degli usi
= Cash-flow reddituale

- Quote di ammortamento al netto degli usi
= Risultato lordo desercizio

2. INDICI GENERALI DI EFFICIENZA E BENCHMARKING
Il management ha interesse ad approfondire le analisi, in modo da tener distintamente sotto
controllo:
lefficienza organizzativa, che si riflette sul livello di produttivit del lavoro aziendale,
dato che unorganizzazione efficiente contribuisce a migliorare lapporto di tutti coloro
che operano al suo interno e ad elevare gli standard di prestazione per le varie funzioni
realizzate,
lefficienza economica, che si traduce in un equilibrato rapporto strutturale fra costi e
ricavi,
e lefficienza di mercato, che si concreta nel miglioramento della posizione dellazienda
nei confronti della concorrenza e nellampliamento delle opportunit di ricavo.

INDICI DI EFFICIENZA ORGANIZZATIVA:
lefficienza organizzativa riguarda la struttura, le procedure e gli uomini impegnati nel sistema
aziendale. La valutazione di questo tipo di efficienza va dunque condotta sia mediante la
misurazione del rendimento del personale, sia per mezzo di appropriate analisi organizzative:
- il rendimento del personale generalmente valutato sulla base di indici quantitativi e
qualitativi, di cui il pi importante senza dubbio lindice di produttivit, che si costruisce
ponendo a raffronto il risultato conseguito e lo sforzo sostenuto (ad es. per un operaio
addetto allo stampaggio di pezzi di lamiera, il rapporto pu essere impostato ponendo a
raffronto il numero dei pezzi stampati risultato con il tempo impiegato sforzo). La
produttivit, tuttavia, un indice quantitativo di rendimento, che non rivela nulla sulla
qualit delle prestazioni rese. importante quindi affiancare a questindice valutazioni degli
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aspetti qualitativi del lavoro (ad es. quantit di materie impiegate, costi sostenuti per
ottenere il risultato, corretto impiego di macchine e utensili, ecc.)
- lefficienza relativa alla struttura e alle procedure di lavoro, non misurabile mediante
indici, ma bisogna condurre analisi piuttosto complesse attraverso interviste ai responsabili
dei servizi o delle divisioni amministrative, valutazione delle mansioni, ricostruzione delle
procedure mediante diagrammi di lusso, ecc. queste analisi richiedono limpiego di
specialisti in organizzazione aziendale.
INDICI DI EFFICIENZA ECONOMICA:
lefficienza economica pu essere misurata mediante alcuni indici quantitativi. Due sono i tipi di
indici pi frequentemente utilizzati:
- gli indici di economicit, costruiti ponendo al numeratore i costi relativi a singole funzioni o
allintera attivit dellazienda e al denominatore i ricavi della gestione,
- gli indici di redditivit, costruiti ponendo al numeratore grandezze espressive del reddito
lucrato dallimpresa nelle sue varie configurazioni (reddito operativo, reddito ante imposte,
reddito netto) e al denominatore valori rappresentativi del capitale a vario titolo impiegato
nellimpresa (capitale investito, capitale proprio, ecc.)
INDICI DI EFFICIENZA DI MERCATO:
Lindice che pi di ogni altro si presta a fornire delle valutazioni relative allefficienza esterna o di
mercato rappresentato dalla quota di mercato, cio dal rapporto tra le vendite aziendali e le
vendite complessivamente effettuate nel particolare mercato. Per aver, infatti, degli elementi di
giudizio sulla minore o maggiore forza dellazienda nel mercato in cui opera non sufficiente
prendere a base il tasso di sviluppo delle vendite aziendali, in quanto questo non dice nulla circa il
mutamento di posizione rispetto ai diretti concorrenti.
BENCHMARKING: Con il termine benchmarking si vuole definire lattivit sistematica di
controllo della concorrenza mediante il confronto delle performance realizzate. Lo scopo di
individuare le cause del vantaggio competitivo soprattutto delle imprese eccellenti, con lobiettivo
di ridurre le distanze e cercare, quindi, di conseguire gli stessi vantaggi. In effetti con il
benchmarking si estende il controllo dellefficienza dallinterno allesterno, in modo da porre sotto
osservazione le principali differenze tra competitori.

3. IL DIAGRAMMA DI REDDITIVITA
Il diagramma di redditivit lo strumento usato per misurare la potenzialit economico-strutturale.
Questo utilizzato per valutare in via preventiva o consuntiva gli effetti delle scelte aziendali sulle
relazioni costi-volumi-risultati.
Per comporre il grafico necessario rilevare o stimare (a seconda dello scopo di controllo
consuntivo o preventivo che sia) laltezza dei ricavi e dei costi fissi e variabili al livello massimo
della potenzialit produttiva o di vendita dellazienda. Per far ci risulta indispensabile analizzare il
loro comportamento durante un periodo non breve di tempo (cinque-dieci anni).
La costruzione del grafico avviene poi in modo tradizionale, su di un diagramma cartesiano,
ponendo sullasse delle ordinate i costi e i ricavi, espressi in termini monetari o in percentuale del
volume massimo del fatturato, e sullasse delle ascisse la base di riferimento di tali costi, che pu
essere il grado di utilizzazione degli impianti o, come accade + frequentemente, il volume di
produzione o di vendita espresso in termini monetari o di quantit fisiche di prodotti (volume di
attivit).
- I costi fissi vengono rappresentati come una linea parallela allasse delle ascisse, posta ad
una distanza dalla stessa pari allammontare complessivo di tali costi.
- I costi variabili che essendo considerati proporzionali al variare del volume produttivo o di
vendita, si rappresentano con una retta avente una certa inclinazione a seconda del
coefficiente di proporzionalit di questi costi rispetto al volume.
- Se la linea dei costi variabili complessivi si fa partire dallaltezza dei costi fissi complessivi,
si ha direttamente la linea dei costi totali.
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- I ricavi infine si rappresentano con una linea che esce dallorigine degli assi, anchessa con
una certa inclinazione, variando i ricavi proporzionalmente al variare del volume di vendita.



























Lelaborazione del diagramma di redditivit si fonda sullaccettazione di quattro ipotesi
semplificatrici:
1. la costanza dei ricavi unitari di vendita, ossia la diretta proporzionalit dei ricavi complessivi
rispetto al volume venduto;
2. linvariabilit della composizione quali-quantitativa della gamma di produzione realizzata;
3. la proporzionalit dei costi variabili, cio lassunzione di una loro variazione direttamente
proporzionale al variare del volume di produzione o di vendita;
4. la staticit dellambiente di riferimento.
La consapevolezza dei limiti che tali ipotesi implicano permette un uso + corretto di una procedura
valutativa molto utile.

Bep: Le linee dei ricavi complessivi e dei costi complessivi si incontrano in un punto (P). La
proiezione di questo punto sullasse delle ascisse (q) chiamato punto critico o punto di pareggio
(break even point) e segnala la grandezza del volume produttivo e di vendita per la quale costi e
ricavi aziendali si eguagliano, cio il profitto uguale a zero.

Il punto P definisce due triangoli che rappresentano rispettivamente larea delle perdite, cio
linsieme dei volumi produttivi e di vendita per i quali si sostengono dei costi superiori ai ricavi, e
larea dei profitti cio linsieme dei volumi produttivi e di vendita per i quali si conseguono dei
ricavi superiori ai costi complessivi.

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La differenza tra il volume realmente prodotto e venduto ed il volume necessario ad ottenere il
pareggio economico si definisce:
- margine di sicurezza, qualora positivo (contrazione massima che pu subire il volume di
produzione/vendita prima di entrare nellarea delle perdite)
- margine di deficit, nel caso in cui assuma valore negativo (espansione del fatturato
necessaria per ottenere il pareggio tra ricavi e costi complessivi).

Leva operativa: E chiaro che pi il punto di pareggio si trasferisce verso sinistra , + migliora la
potenzialit economico-strutturale, in quanto si amplia larea dei profitti; pi si muove verso destra,
cio si avvicina al punto di massimo sfruttamento degli impianti, minore risulta la potenzialit
economico-strutturale dellazienda, che corre in questa situazione il rischio di trovarsi, anche per
una lieve flessione delle vendite, immediatamente nellarea delle perdite.
Al punto di pareggio in sostanza legato il concetto di leva operativa intesa come il rapporto tra la
variazione percentuale del reddito operativo e quella delle unit vendute. Essa, pu essere definita
come il grado in cui vengono sfruttati i costi fissi nellattivit operativa.

Leva operativa =
Variazione percentuale del reddito operativo / Variazione percentuale delle vendite

Unazienda che ha unelevata proporzione di costi fissi rispetto ai costi totali e ai ricavi ha unalta
leva operativa perch, al crescere della quantit prodotta, vede crescere + rapidamente il suo reddito
operativo rispetto ad unaltra azienda con una leva operativa + bassa. Il concetto di leva operativa si
collega quindi alla struttura dei costi e misura le conseguenze di un miglior sfruttamento dei costi
fissi sul risultato operativo aziendale. chiaro del resto che unimpresa con alti costi fissi sopporta
un rischio + elevato rispetto ad unimpresa con una minore incidenza di tali costi, perch i costi fissi
globali sono teoricamente ritenuti indipendenti dal volume di produzione, mentre lincidenza di
questi costi sulle singole unit prodotte diviene sempre + bassa allaumentare dei volumi prodotti
con le potenzialit di produzione disponibili.

Come calcolare analiticamente il BEP:
La linea dei ricavi espressa da unequazione del tipo:
R = y
dove:
R = ricavi
y = volume produttivo o di vendita
(nellipotesi di una perfetta uguaglianza tra valore del volume di produzione e di vendita e valore
dei ricavi)

La linea dei costi complessivi pu essere espressa da unequazione del tipo:
C = ay + k
dove:
C = costo complessivo
a = coefficiente angolare della linea dei costi variabili (rapporto tra i costi variabili totali e ricavi
complessivi)
k = costi fissi.

Per avere il punto di equilibrio necessario che i ricavi siano uguali ai costi cio:
y = ay + k
da cui si ottiene:
y = k / (1 - a)
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Analiticamente, dunque, il volume di produzione o di vendita dato dal rapporto tra i costi fissi e la
differenza tra i ricavi unitari ed il coefficiente di variabilit dei costi variabili.
Tale differenza (1 a) denominata margine di contribuzione ed indica in quale misura i ricavi di
vendita, sottratti i costi variabili, contribuiscono alla copertura dei costi fissi prima
dellottenimento del pareggio economico o alla generazione del profitto, una volta oltrepassato il
punto di pareggio.

Metodo per produzioni omogenee: nellipotesi di produzioni omogenee la determinazione di tale
punto pu essere ottenuta sulla base di valori totali, partendo dalla cosiddetta equazione del
profitto. Questa si esprime ponendo i ricavi complessivi pari ai costi fissi complessivi + il profitto
lucrato. Cio:
RQx = Cf + CvQx + PQx
Dove:
Qx = volume di produzione o di vendita,
R = ricavo per unit di prodotto
Cf = costi fissi complessivi
Cv = costi variabili per unit di prodotto
P = profitto per unit di prodotto
Il punto di pareggio si ha quando i profitti sono uguali a zero (PQx = 0), quindi lequazione diventa

RQx = Cf + CvQx
da cui si ottiene:
Qx = Cf / (R Cv)


7. I QUOZIENTI DI BILANCIO (RATIO)
Mediante lanalisi del bilancio di esercizio possibile costruire vari rapporti tra le poste dello stato
patrimoniale e/o del conto economico (che prendono la denominazione di ratio) adatti a rivelare
situazioni ed andamenti della gestione nel tempo. In pratica i ratio sono uno strumento di
interpretazione del bilancio di esercizio e costituiscono una base per le valutazioni prospettiche
della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica di unazienda.
REDDITIVITA:
La redditivit si calcola rapportando valori espressivi del reddito aziendale a misure del capitale
impiegato.
ROI (return o investment): La redditivit della gestione operativa solitamente valutata facendo
ricorso al ROI, che si costruisce mettendo a rapporto il reddito operativo e il capitale investito nella
gestione caratteristica.

ROI = Reddito Operativo
Capitale investito

Il valore minimo soddisfacente dovrebbe essere pari al costo medio del denaro. Infatti il Roi
rappresenta la redditivit della gestione caratteristica, che dovrebbe essere almeno uguale al tasso
corrente rappresentativo del costo medio del denaro.

ROS (return on sale): La redditivit della gestione caratteristica si presta, ancora, ad essere misurata
in relazione al volume delle vendita. Lindice ROS si costruisce ponendo al numeratore lutile
operativo e al denominatore il volume dei ricavi di vendita. Esso misura, in effetti, il margine
operativo su ciascuna unit monetaria ed particolarmente utile per valutare lefficienza di
segmenti diversi di vendita (ad es. divisioni di prodotto o territoriali).
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ROS = Reddito Operativo
Ricavi vendita

SCOMPOSIZIONE DEL ROI:
Attraverso il ROS possibile scomporre il ROI nel prodotto tra il ROS stesso e il tasso di rigiro del
capitale (turnover = ricavi di vendita su capitale investito).

ROI = Reddito operativo Ricavi = Reddito Operativo
Ricavi Capitale investito Capitale investito


ROS TURNOVER

La scomposizione del ROI nelle sue determinanti fondamentali, consente di valutare se le variazioni
di tale indice sono dovute ad una modificazione del tasso di redditivit sul venduto oppure ad un
mutamento del tasso di rigiro del capitale e lega le due grandezze fondamentali di questi rapporti
alla relative voci di bilancio.
ROE (return on equity): Il ROE esprime la redditivit dei mezzi propri e si calcola rapportando
lutile netto desercizio al capitale netto dellimpresa.

ROE = Utile netto .
Capitale netto

Il ROE dovrebbe essere almeno pari al tasso free risk (tasso di rendimento dei titoli di debito
pubblico a breve scadenza) maggiorato per il premio del rischio, in considerazione del livello di
rischio operativo e finanziario che si assume limprenditore.
Il ROE si lega al concetto di costo opportunit del capitale, ovvero del rendimento massimo
ottenibile da un altro investimento contrassegnato dal medesimo profilo di rischio e al quale
limprenditore rinuncia per investire nellimpresa.

ECONOMICITA:
Un secondo gruppo di ratio quello che misura leconomicit della gestione, cio il rapporto tra i
ricavi e i costi di gestione.
Lindice di economicit in senso tradizionale (costi su ricavi) va naturalmente costruito per lintera
impresa ed esprime landamento delleconomicit della gestione nel suo complesso. chiaro che
questi ratio denotano valori sempre + positivi al loro decrescere, dato che uneventuale diminuzione
testimonia una minore incidenza del costo rispetto ai ricavi.
I principali indici parziali di economicit pongono a raffronto i costi di lavoro, delle materie
impiegate, di ammortamento e gli oneri finanziari rispetto ai ricavi o ai costi totali (infatti
possibile costruire tali rapporti anche soltanto in termini di costi, cio ponendo a raffronto costi di
specifiche funzioni con i costi complessivi).

SITUAZIONE FINANZIARIA:
Lultimo gruppo di indici comprende gli indici che consentono di valutare la situazione finanziaria
dellimpresa. Gli aspetti da misurare riguardano la solvibilit, la solidit patrimoniale e la liquidit.
MARGINE DI STRUTTURA: Un indicatore di particolare valore, che non un ratio, il c.d.
margine di struttura. Questo infatti un valore differenziale, perch p dato dalla differenza tra i
mezzi propri aziendali e gli impieghi (o immobilizzazioni) fissi.

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Margine di struttura = Mezzi propri - Impieghi fissi

Questindice rivela se positivo uneccedenza delle fonti di finanziamento non soggette ad obblighi
di rimborso, nei confronti del capitale investito in impieghi fissi (cio misura in effetti il grado di
solvibilit aziendale), se negativo, invece, indica una ridotta attitudine dellimpresa a modificare e
riconvertire lapparato produttivo per carenza di fonti finanziarie specifiche.
INDICE DI COPERTURA DEL CAPITALE FISSO: Impostando questo tipo di misurazione in
termini di rapporto, si ha lindice di copertura del capitale fisso, che esprime il grado secondo cui i
mezzi propri hanno finanziato il capitale fisso aziendale.

Indice di copertura del capitale fisso = Mezzi propri
Impieghi fissi

INDICE DI SOLIDITA PATRIMONIALE: Il rapporto tra il capitale netto e il totale dei debiti a
breve, medio e lungo termine, esprime il grado di solidit patrimoniale dellazienda.
Unimpresa si dovrebbe definire solida allorquando lindice di solidit patrimoniale assume un
valore almeno pari allunit, poich ci significherebbe che nellistante considerato il totale dei
mezzi propri idoneo a far fronte dellindebitamento complessivo.

Indice di solidit patrimoniale = Capitale netto
Debiti

GRADO DI INDEBITAMENTO AZIENDALE: il quoziente tra il totale dei debiti ed il capitale
investito, esprimendo il rapporto tra mezzi di terzi ed il totale delle risorse investite nellimpresa,
misura poi il grado dindebitamento aziendale.

Grado di indebitamento aziendale = Totale dei debiti
Capitale investito

GRADO DI CONSOLIDAMENTO DELLA DEBITORIA: Indicativo il rapporto tra il totale dei
debiti a lungo termine ed il totale dei debiti aziendali, che esprime il grado consolidamento della
situazione debitoria dellimpresa. Su questo indice bisogna osservare che, a parit
dellindebitamento globale, una maggiore incidenza dei debiti a medio-lungo termine dovrebbe
essere vantaggiosa sotto due profili:
- costo del denaro + basso,
- possibilit di programmare il rimborso secondo prestabiliti piani di ammortamento.

Grado di consolidamento della debitoria = Debiti a medio/lungo termine
Debitoria totale

INDICE DI RIGIDITA DELLIMPRESA: un indice idoneo a misurare il grado di rigidit
dellimpresa dato dal rapporto tra lattivo immobilizzato e lattivo corrente: pi elevato il peso
dellattivo immobilizzato pi, per limpresa, sar difficile uneventuale riconversione dellattivit
caratteristica nel caso di mutamento strutturale delle tendenze di mercato.

Indice di rigidit = Attivo immobilizzato
Attivo circolante

INDICI DI LIQUIDITA: Il margine di liquidit si costruisce sottraendo dalle attivit correnti le
passivit correnti, intese come valori da cui potranno avere origine entrate ed uscite monetarie
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nellesercizio. Bisogna tuttavia tener presente che tra le attivitcorrenti si rinvengono tre tipi di
valori, caratterizzati da un diverso grado di liquidit (trasformabilit in denaro):
a) attivit liquide (cassa, banche e titoli)
b) attivit a liquidit differita (crediti a breve)
c) attivit liquidabili (scorte di magazzino al netto della scorta di sicurezza che vincolata)
In rapporto a questi differenti tipi di attivit correnti, si costruiscono diversi indici di liquidit.

Indice di liquidit immediata = Cassa + attivit finanziarie facilmente liquidabili
Passivit correnti

Indice di liquidit differita = Cassa + att. finanziarie facilmente liquid. + crediti commerciali
Passivit correnti

Indice di liquidit corrente = Attivit correnti
Passivit correnti

MARGINE DI TESORERIA: sempre ai fini del controllo della liquidit particolarmente
importante sorvegliare costantemente il c.d. margine di tesoreria.

Margine di tesoreria = Attivit liquide + Attivit a liquidit differita Passivit correnti


8. BALANCED SCORECARD (Kaplan e Norton)
La balanced scorecard (Scheda di valutazione bilanciata) un sistema di rilevazione
dellefficienza aziendale alternativo ai tradizionali strumenti esclusivamente quantitativi, grazie
allallargamento dello spettro di prospettive da monitorare per una valutazione complessiva della
performance dimpresa. porre al centro dellattenzione del controllo la vision aziendale;
Si tratta di un insieme bilanciato di indicatori, quantitativi e non quantitativi, legati a fattori critici di
successo della strategia aziendale che, in un sistema integrato, si rinforzano lun laltro,
nellobbiettivo comune di indicare le prospettive future dellazienda.
La ponderazione: Il termine balanced suggerisce la necessit di trovare un equilibrio tra i vari
fattori di misurazione della performance aziendale e di fare in modo che essi siano opportunamente
ponderati alla fine di obiettivi di lungo periodo. I problemi da risolvere nella costruzione della
balanced scorecard sono, dunque, quelli sia di scelta dei parametri di misurazione sia di
determinazione degli indici di perequazione, ossia del peso relativo da attribuire ai vari tipi di
parametri.
I vari indicatori sono poi raggruppati solitamente in quattro prospettive, che rappresentano le
dimensioni principali rispetto alle quali viene creato valore in azienda e che, quindi, sono destinate
a valutare la performance dimpresa:
- la prospettiva economico-finanziaria
- la prospettiva della soddisfazione del cliente
- la prospettiva dei processi aziendali
- la prospettiva dellapprendimento

Vantaggi:
Traduce la strategia in azione e consente un allineamento costante tra le azioni operative e
gli obiettivi di lungo periodo;
La portata informativa va oltre la rilevazione degli scostamenti, indicando le linee giuda per
il miglioramento delle performance future;
Strumento estremamente flessibile..
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Limiti:
Estrema soggettivit che caratterizza la sua costruzione, rendendolo molto utile per
comparazioni temporali, ma pressoch inutilizzabile per quelle spaziali;
Corretta individuazione delle aree di criticit, delle ponderazioni, degli indicatori;
Misurazione degli obiettivi.


Prospettiva
(indici)
Perequazione Risultato di
periodo
Valore a
budget
Variazione % Punteggio
attribuito
ECONOMICO-
FINANZIARIA

SODDISFAZIONE
DEL CLIENTE

PROCESSI
INTERNI

INNOVAZIONE E
APPRENDIMENTO

Punteggio generale

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