FONDAMENTI DI ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE (S. SCIARELLI)
CAPITOLO 1: Il sistema dimpresa quale sistema complesso Definizione di impresa: Organizzazione economica che, mediante limpiego di un complesso differenziato di risorse, svolge processi di acquisizione e di produzione di beni o servizi, da scambiare con entit esterne al fine di conseguire un reddito. I 4 elementi distintivi dellimpresa: da questa definizione si ricavano i 4 elementi distintivi dellimpresa: - organizzazione - processi di produzione - relazioni di scambio con entit esterne - finalit imprenditoriali del reddito
Il principale connotato il CONTENUTO ECONOMICO dellattivit e degli obiettivi che essa si prefigge di raggiungere: infatti limpresa, mediante limpiego di un complesso differenziato di risorse (uomini, capitali, impianti, materiali) svolge processi di produzione, cio CREA RICCHEZZA: - operando una trasformazione delle risorse impiegate, limpresa ottiene dei beni di maggior valore. Questi beni sono destinati ad essere scambiati con entit esterne (consumatori) allo scopo di far scaturire dallo scambio un utile - limpresa ha, infatti, bisogno di conseguire un reddito, cio un divario positivo fra il ricavo ottenuto dai beni ceduti e il costo delle risorse impiegate nella produzione, per poter soddisfare chi ha investito i suoi capitali in unattivit a rischio, gli altri partecipanti allorganizzazione e per potersi sviluppare in conformit allevoluzione del mercato in cui opera. - Per far ci ha bisogno di una organizzazione = struttura altamente specializzata e coordinata, in grado di svolgere profittevolmente i processi di trasformazione e di scambio.
Profilo strutturale: IMPRESA COME SISTEMA SOCIO- TECNICO DI TIPO APERTO Un sistema si caratterizza per: - la molteplicit di parti componenti, - linterrelazione delle parti rispetto ad un obiettivo comune da raggiungere - il legame con lambiente esterno - il dinamismo, che deve contraddistinguere il suo funzionamento proprio a causa della relazione con una realt esterna in continuo cambiamento. In base a questa definizione di sistema limpresa pu essere classificata come un sistema socio- tecnico di tipo aperto: limpresa infatti un SISTEMA perch costituita da un insieme di parti o organi, ciascuno dei quali incaricato a svolgere una determinata funzione per il raggiungimento di un risultato comune. Limpresa un sistema di tipo APERTO, poich per vivere deve intrattenere continue relazioni di scambio con altri sistemi o entit esterne (approvvigionamento e cessione di beni e/o servizi) Si tratta inoltre di un sistema SOCIALE, poich il funzionamento dellazienda legato alloperare coordinato di una molteplicit di gruppi interni ed esterni allorganizzazione, tra i quali si sviluppano rapporti di collaborazione e di contrasto. Il concetto di sistema socio-tecnico pone in evidenza che nellazienda occorre unORGANIZZAZIONE TECNICA costituita da impianti, attrezzature, tecnologie produttive.
3 Profilo dinamico: IMPRESA QUALE SISTEMA COGNITIVO Secondo la teoria aziendalistica dellultimo decennio la vera ricchezza di unimpresa non sarebbe costituita dal suo patrimonio materiale o tangibile, ma dalle sue RISORSE IMMATERIALI O INTANGIBILI (limmagine positiva dellazienda nei confronti dellambiente, lavviamento di mercato, la capacit di produrre innovazioni, ecc.) Si tende dunque a definire laziende quale SISTEMA COGNITIVO: sistema di conoscenze atto a produrre nuova conoscenza. A rappresentare la vera essenza dellimpresa sono quindi: - limmagine dellimpresa verso lesterno e verso linterno, - i corretti valori di gestione diffusi nella struttura organizzativa - Il know-how (= bagaglio di esperienze posseduto per realizzare dati scopi) accumulato nel tempo, conseguente alla possibilit di apprendere lavorando (learning by doing). Limpresa rimane dunque un sistema complesso allinterno del quale si intrecciano elementi tangibili ed intangibili, immobilizzazioni materiali e immateriali, mezzi tecnici ed intelligenze, risorse finanziarie ed umane, secondo un disegno finalizzato, in ogni caso, alla produzione e diffusione di valore.
CLASSIFICAZIONE DELLE IMPRESE Al fine della descrizione di una azienda le caratteristiche + significative sono rappresentate da: - IL TIPO DI ATTIVITA ESERCITATA (agricola, industriale, commerciale) - LA DIMENSIONE (piccolo, medie, grandi imprese) - IL MERCATO SERVITO (imprese locali, nazionali, multinazionali) - LA NATURA DELLA PROPRIETA (imprese private, pubbliche o miste)
Tra essi laspetto di maggior rilevanza la DIMENSIONE. Parametri per valutarla: ECONOMICI TECNICI PATRIMONIALI ORGANIZZATIVI I parametri economici si riferiscono al fatturato oppure al valore aggiunto. - Il fatturato, che corrisponde al volume daffari dellazienda, pu essere scarsamente significativo nel caso di una forte discrepanza fra quantit producibile e quantit venduta, dato che la dimensione equivale non al risultato dellattivit aziendale, ma alla potenzialit dellorganizzazione. - Il valore aggiunto creato dallimpresa la differenza tra il valore finale della produzione e il costo delle materie impiegate per ottenerla. Un maggiore valore aggiunto dovrebbe derivare da un pi elevato impiego di capitali e di lavoro umano, ossia da una maggiore dimensione. I parametri tecnici si riferiscono al processo produttivo e mirano a misurare la potenzialit di produzione di beni o servizi (per una impresa manifatturiera la capacit massima di produzione degli impianti, per unimpresa commerciale sono i metri quadrati di superficie di vendita o di esposizione). I parametri patrimoniali riguardano le varie figure di capitale a disposizione dellazienda (capitale di funzionamento, proprio, ecc.). I valori + spesso prescelti sono il capitale di funzionamento, ovvero il totale dellattivo patrimoniale, che misura lentit dei mezzi impiegati nellattivit aziendale, e il totale delle immobilizzazioni. Infatti meno importante considerato il capitale sociale, la cui grandezza quasi sempre scarsamente correlata alleffettiva dimensione. I parametri organizzativi attengono al fattore personale impiegato nellimpresa.
IL CONCETTO DI PICCOLA, MEDIA, GRANDE IMPRESA: Tale distinzione pu essere fatta in base alla posizione dellazienda nel mercato in cui opera: 4 - una grande impresa quella che in grado di esercitare un elevato grado di controllo del mercato in cui opera, che cio con le sue politiche riesce ad influenzare il comportamento delle altre imprese ed ad indirizzare la domanda dei consumatori dei suoi prodotti. - Al contrario le piccole imprese sono quelle che non riescono ad influenzare le variabili di mercato e che sono quindi esposte al mutamento sia della domanda che dellofferta. Nel concreto per, per esprimere il concetto dimensionale si tende pi frequentemente ad utilizzare il parametro degli addetti e del fatturato.
CAPITOLO 2: I rapporti tra impresa, ambiente e mercato
1. AMBIENTE: Contesto generale allinterno del quale limpresa chiamata a svolgere le sue funzioni. Questo contesto definito da una serie di condizioni politiche, legislative, sociali, culturali ed economiche, che determinano il sistema di vincoli-opportunit entro cui dovr trovare sviluppo lattivit aziendale. Lambiente, sul piano teorico, pu essere scomposto in 4 subsistemi generali: lambiente politico-istituzionale lambiente culturale-tecnologico lambiente demografico-sociale lambiente economico Lambiente politico istituzionale definito dalla forma di governo e dallordinamento legislativo prevalenti nel territorio considerato. Esso proietta delle influenze di primaria importanza sulla vita dellimpresa, il cui ruolo e le cui alternative possono essere fortemente vincolate dalle leggi, dagli interventi e dai controlli dei poteri pubblici. (Si pensi alla differenza tra leconomia di paesi a regime liberista e regime socialista, limportanza dei rapporti internazionali che possono prevedere liberismo o autarchia, limposizione fiscale, le norme a tutela del lavoro, ecc) Lambiente culturale-tecnologico si compone di una serie di elementi (tradizioni, costumi, arte, tecnologia) ciascuno dei quali concorre ad influenzare il sistema di valori del singolo individuo e della societ nel suo complesso. La cultura partecipa direttamente ad ogni manifestazione della vita, modellando il comportamento delluomo quale cittadino, prestatore di lavoro, consumatore. Essa influenza dunque sia coloro che operano allinterno dellimpresa (imprenditore, dirigenti, operai) sia i gruppi esterni (consumatori, fornitori). Gli effetti della cultura si hanno non solo sul sistema di valori della societ, ma anche sullavanzamento delle conoscenze e sul miglior uso delle risorse disponibili. Scienza e tecnologia rappresentano infatti un prodotto della cultura. Lambiente demografico-sociale condizionato dalla struttura della popolazione residente e dalle relazioni tra gli individui e i gruppi che la compongono. Limpresa non pu non essere influenzata dalla ripartizione della popolazione per classi di et, per livello socio-economico, per condizione professionale, dalla suddivisione per strati sociali, tali fattori infatti hanno ripercussioni sui modelli di consumo e quindi sulla domanda. Lambiente economico rappresenta il complesso delle microvariabili (produzione agricola, industriale, ecc.; prezzi e moneta; credito e investimenti) che compongono lordinamento economico prevalente in un certo ambito territoriale. Lambiente economico pu differenziarsi sotto molteplici profili, fra i quali i pi importanti concernono il meccanismo i regolazione della vita economica (che fa si che si possa distinguere tra economie di mercato ed economie di piano) e la propriet dei mezzi di produzione (secondo la quale si pu distinguere tra economie liberiste e collettiviste).
2. AMBIENTE TRANSAZIONALE E AMBIENTE COMPETITIVO Ogni impresa tende a ritagliarsi nellambito del macro-ambiente, descritto in precedenza, un ambiente o contesto pi specifico in funzione dei rapporti di scambio che andr ad attivare. Nel 5 micro-ambiente, che limpresa andr quindi a crearsi, si formeranno due settori: lambiente transazionale e ambiente competitivo. Ambiente transazionale: limpresa legata a questo ambiente per lacquisizione delle risorse. Il tipo di risorse per le quali ricorrer al mercato, attivando delle transazioni, dipender dalle comparazioni di convenienza tra il produrre allinterno dellimpresa stessa i materiali, le parti, i componenti da utilizzare per la produzione dei beni e il procedere al loro acquisto allesterno. Pi si far ricorso al mercato, pi si amplier lambiente transazionale con il quale limpresa dovr intessere le sue relazioni di scambio. Pi si sceglier di produrre internamente il necessario pi crescer il suo grado di autonomia dal mercato delle forniture. Ambiente competitivo: limpresa legata a questo ambiente per la cessione dei beni e/o servizi prodotti. Lambiente competitivo con cui limpresa dovr intessere relazione dipender dalla scelta delle porzioni di mercato da soddisfare. Anche in questo caso sar, quindi, limpresa con le sue decisioni a definire lambiente competitivo di riferimento.
Allinterno di questo micro-ambiente cos creato vi saranno dunque degli interlocutori (stakeholder) con cui limpresa dovr collegarsi per attingere delle risorse o cedere dei prodotti. Questi soggetti o istituzioni, a loro volta, si raggrupperanno in categorie, originando dei distinti mercati con i quali limpresa dovr attivare un sistema di scambi. MERCATO: si ha un mercato in tutti i casi in cui vi siano due o pi contraenti disposti a scambiare fra di loro i beni rispettivamente posseduti. Ogni impresa dunque si collegher con: - il mercato del lavoro (costituito dallofferta di forza-lavoro) - il mercato della produzione (materie prime, semilavorati, impianti e macchinari, servizi) - il mercato finanziario (Borse Valori, intermediari finanziari, prestatori di capitale) - il mercato di vendita (acquirenti) Nonostante questo prevalente rapporto di dipendenza dellimpresa nei confronti dellambiente, sono indubbie le influenze che le stesse imprese possono esercitare verso lambiente in cui vivono. intuibile, infatti, che i maggiori centri economici detengono, di fatto, un rilevante potere politico, possono agire sulla sfera culturale, assumono un ruolo preminente nello sviluppo delle tecnologie e influenzano le forme e lintensit del controllo pubblico sulleconomia. Questo potere extramercato finisce cio per incidere su tutte le variabili ambientali, secondo uno schema di interrelazione piuttosto che di mera dipendenza.
3. LA DIFFERENZIAZIONE DEI PRODOTTI E LE FORME DI MERCATO Differenziazione dei prodotti: oggi possibile differenziare il prodotto sotto il profilo fisico, tecnico, estetico o psicologico (creazione di unimmagine della marca). I vantaggi della differenziazione per le aziende possono essere annullati: - da una forte politica concorrenziale attuata da altre aziende (prezzo, condizioni di pagamento..) - perch i migliori requisiti di qualit o di prestazioni del prodotto potrebbero essere imitati da parte di concorrenti. Impossibilit della concorrenza perfetta: La differenziazione dei prodotti ha fatto s che cadesse uno dei presupposti essenziali della concorrenza perfetta. Questa , infatti, legata alla condizione di omogeneit dei prodotti offerti sul mercato, cio allimpossibilit di differenziarli e individuarli a seconda del produttore, della zona, dellepoca di produzione e di altri caratteri distintivi della qualit. Solo quando tutti i prodotti appaiono uguali agli occhi dei compratori lunico elemento di scelta il prezzo. Submercati: La differenziazione comporta il frazionamento del mercato in tanti sub-mercati, ciascuno dei quali in certi limiti separato dagli altri. Il concetto di sub-mercato caratterizzato dallesistenza di una 6 domanda che, essendo attratta da certi elementi distintivi del prodotto, si rivolger preferibilmente ad alcune imprese in grado di offrirli. Obiettivo delle imprese sar, pertanto, quello di scavarsi una nicchia nel mercato, cio di disporre di un sub-mercato nel quale possa muoversi in posizione quasi monopolistica. Concorrenza monopolistica e oligopolio differenziato: La sempre maggiore diffusione, attraverso la politica della marca e della pubblicit, della differenziazione dei prodotti ha indotto gli economisti a individuare nella concorrenza monopolistica e nelloligopolio differenziato i regimi prevalenti di mercato. La dizione concorrenza monopolistica tende a porre in rilievo come nello stesso mercato sono presenti elementi concorrenziali e di monopolio: i primi connessi al frazionamento dellofferta tra una pluralit di produttori e i secondi con la formazione di tanti sub-mercati distinti, in ciascuno dei quali uno dei produttori pu acquistare di fatto una posizione monopolistica. Si ha invece un oligopolio differenziato se la differenziazione attuata in un mercato controllato da pochi imprenditori. possibile quindi distinguere tre tipi di oligopolio: differenziato, misto e concentrato. Loligopolio concentrato o omogeneo un oligopolio in cui manca differenziazione produttiva (mercato delle materie prime chimiche, cemento..). Quello medio rappresenta una situazione intermedia in cui coesistono differenziazione e concentrazione.
4. LE BARRIERE ALLA CONCORRENZA Oltre alla concentrazione e alla differenziazione, altro elemento che caratterizza la struttura di un mercato rappresentato dalle cosiddette barriere alla concorrenza. Esse si distinguono in barriere allentrata, barriere alluscita e barriere interne o di mobilit. Le barriere allentrata si collegano: - alla disponibilit di brevetti o know-how, - alla scarsezza dei fattori produttivi essenziali, - alle economie ottenibili nella gestione (eventuali economie di scala, di apprendimento, di scopo e di relazioni) Le barriere alluscita vincolano le imprese a permanere nel mercato: - vincoli economici (difficolt del disinvestimento) - vincoli sociali al fallimento o liquidazione (per salvaguardare loccupazione) Le barriere alla mobilit ostacolano lo spostamento nellambito dello stesso mercato: - la differenziazione dei prodotti.
5. LEQUILIBRIO FRA LA DOMANDA E LOFFERTA difficile ipotizzare il caso in cui fra domanda e offerta si abbia un perfetto equilibrio, nel senso che la prima sia in grado di assorbire completamente la seconda o che questultima sia idonea a soddisfare del tutto le richiesta degli acquirenti. Ma ai fini del funzionamento del mercato non importante lequilibrio in termini di risultati tra domanda e offerta, quanto quello tra potenzialit di produzione e capacit di assorbimento. Quando questo equilibrio non si realizza il mercato pende a vantaggio del produttore o del consumatore: Mercato del venditore: Se la domanda tender a superare la capacit di produzione esistente nel mercato, i produttori assumeranno una chiara posizione di vantaggio, in quanto non solo non sopporteranno rischi di vendita dei loro prodotti, ma potranno godere di una situazione di concorrenza fra gli acquirenti, che dovranno competere uno contro laltro per entrare in possesso della limitata quantit di beni disponibili. In tal caso il venditore avr in pugno il mercato e potr stabilire le condizioni di contrattazione dei beni, si avr cio un mercato del venditore. Mercato del compratore: Situazione del tutto opposta si avr, invece, nel caso di una eccedenza dellofferta, in quanto i produttori dovranno competere fra di loro per acquisire la domanda disponibile. In unipotesi del genere arbitri del mercato sono quindi i compratori, le cui opzioni di 7 acquisto decreteranno il successo o linsuccesso delle singole imprese produttrici. Si parla quindi di mercato del compratore
6.1 INFLUENZE TRA STRUTTURA DI MERCATO E COMPORTAMENDO AZIENDALE Secondo gli studiosi cosiddetti strutturalisti, la struttura del mercato incide sul comportamento delle imprese e questultimo, a sua volta, influenza il risultato della gestione aziendale: << STRUTTURA - CONDOTTA - PERFORMANCE >> Questo paradigma viene per criticato da coloro che ritengono che sia invece il comportamento delle imprese a determinare la struttura del mercato e che, quindi, sostituiscono il vecchio paradigma con: << CONDOTTA STRUTTURA PERFORMANCE >> Limpresa secondo la nuova economia industriale vista, difatti, come elemento che influenza lambiente, che produce degli output che finiscono per modificare il settore in cui opera e non come elemento che risente dellambiente e che deve adattarsi ad esso. INTERDIPENDENZA: Resta il fatto che il rapporto di cui si discorre sempre un rapporto di interdipendenza perch raro poter rinvenire unimpresa del tutto libera da condizionamenti esterni nella formulazione dei suoi comportamenti di mercato, cos come lontano dalla realt immaginare unimpresa piccola o grande che sia, incapace di influenzare almeno le condizioni del mercato specifico in cui ha scelto di operare.
6.2 LA TEORIA DEI COSTI DI TRANSAZIONE Nella distribuzione delle funzioni da svolgere ogni impresa pu decidere quali attuare allinterno dellorganizzazione e quali fare compiere da terzi (fornitori). possibile compiere tale scelta comparando i vantaggi offerti dalla produzione interna e quelli connessi con lapprovvigionamento sul mercato. Per una scelta razionale necessario confrontare i costi di transazione (e non esclusivamente i prezzi) da sostenere nel caso in cui limpresa scegliesse di rivolgersi a terzi, e i costi di produzione, da sostenere nel caso in cui limpresa scegliesse di produrre internamente il necessario. Il costo di transazione pi ampio del costo di scambio, ossia del prezzo, perch comprende lo sforzo sostenuto dallacquirente e dallo stesso venditore per ricercare le informazioni utili a perfezionare la contrattazione. I costi di transazioni comprendono, quindi, tutti i costi necessari per progettare, negoziare e tutelare in accordo di scambio.
6.3 I FATTORI DI COMPETITIVITA DEL MERCATO Quando si parla di efficienza di unimpresa possibile distinguere una efficienza dinamica e una efficienza statica. Efficienza dinamica: per conservare vantaggio competitivo limpresa deve innovare, cio deve modificare la sua strategia, la sua struttura, i suoi processi operativi. Lefficienza dinamica quindi quella capacit di creare e ricreare nel tempo combinazioni sempre diverse di risorse sulla base delle competenze che, nel fare, si arricchiscono e si potenziano ulteriormente. Efficienza statica: lefficienza statica riguarda invece lottimale combinazione delle risorse disponibile, quindi la capacit di creare una routine per standardizzare le procedure operative.
7. LA COMPLESSITA DELLAMBIENTE E LA FLESSIBILITA DELLIMPRESA La complessit dellambiente di oggigiorno figlia soprattutto del mutamento di valori e della velocit di cambiamenti strutturali rapidi e, in certa misura, improvvisi. proprio questa turbolenza ambientale che porta al successo un nuovo tipo di azienda, contraddistinta dalla felice combinazione di flessibilit ed efficienza. La maggiore complessit dellambiente discesa soprattutto dai processi di internazionalizzazione delleconomia e di globalizzazione dei mercati. 8 Internazionalizzazione delleconomia: lo sviluppo mondiale degli scambi, la diffusione sul piano internazionale delle informazioni, linterdipendenza delle economie hanno imposto a tutte le imprese un respiro internazionale. Non solo dunque la grande impresa, abituata a muoversi al di fuori del mercato domestico, ma anche le piccole e medie imprese hanno dovuto imparare a proteggersi dalla concorrenza sempre + agguerrita delle imprese straniere, per poter concorrere su scala internazionale allacquisizione delle risorse e al collocamento delle produzioni realizzate. La globalizzazione: processo di convergenza degli aspetti culturali, politici ed economici della vita. Nel nostro caso, ovvero sotto il profilo delleconomia dellimpresa, il concetto deve per essere circoscritto a due aspetti: quello dellinterrelazione su scala mondiale di certi mercati, che amplia la concorrenza a livello internazionale, e quello dellomogeneit della domanda, che rende possibile la standardizzazione delle politiche aziendali. La globalizzazione, dunque, pu essere intesa come superamento delle barriere geografiche, per effetto del quale il mercato aziendale finisce per essere rappresentato da tutti i gruppi di consumatori caratterizzati da comportamenti di acquisto simili a prescindere dai Paesi in cui risiedono.
CAPITOLO 3: Le funzioni di unimpresa e le finalit imprenditoriali
1. LE FUNZIONI DELLIMPRESA Limpresa ha tre funzioni, diversi a seconda di come intendiamo limpresa stessa: - Organizzazione economica: in quanto organizzazione economica il suo scopo soddisfare i bisogni umani mediante la messa a frutto di risorse rinvenibili in natura in misura limitata. In tal senso limpresa una ricchezza per tutta la collettivit. - Sistema sociale: limpresa un sistema sociale aperto infatti per operare ha bisogno di forza lavoro, denaro, materie prime macchinari, servizi, deve cio rivolgersi a lavoratori, finanziatori, fornitori, ecc. Limpresa, in quanto sistema sociale, ha quindi il compito di creare e distribuire valore, soprattutto a coloro che operano al suo interno. - Struttura patrimoniale: limpresa pu essere, poi, vista come una struttura patrimoniale, ossia come quel complesso di beni organizzato per lo svolgimento di processi produttivi la cui finalit produrre reddito. Limpresa lemanazione di uno o + imprenditori , cio di persone che impegnano le proprie sostanze e la proprie abilit professionale in un progetto, assumendosi un rischio. Proprio per questo motivo limpresa deve assumersi unaltra funzione: produrre reddito. Solo la produzione di reddito ripagher limprenditore dello sforzo compiuto. COMPLEMENTARIETA DELLE FUNZIONI: Le funzioni sono fortemente complementari, infatti ciascuna di esse essenziale per lespletamento delle altre: unazienda che non sia in grado di soddisfare i bisogni della collettivit un organizzazione inutile, destinata a fallire. Cos unorganizzazione che non assicuri il dovuto corrispettivo a quanti in essa operano destinata a disgregarsi. Unazienda che non in grado di generare un profitto di gestione non pu riuscire ad alimentare i suoi processi di rinnovamento e sviluppo e, in tempi pi o meno lunghi, vede fuggire il capitale in essa investito, attratto da pi fruttuose opportunit di impiego. ANTAGONISMO DELLE FUNZIONI: Ma tra le funzioni intercorrono anche rapporti antagonistici, nel senso che il privilegiarne una, comporta necessariamente una subordinazione delle altre. infatti possibile stabilire un ordine di priorit tra le funzioni, ma evidente che ciascun ordine tende a variare a seconda del punto di osservazione, che sia quello della collettivit, quello dei partecipanti allorganizzazione o quello dellimprenditore.
9 2. LE FINALITA DEI COMPORTAMENTI IMPRENDITORIALI Unazienda lespressione di una volont imprenditoriale, tesa allottenimento di determinate finalit. Prima di analizzare quali sono le finalit del gruppo imprenditoriale, bisogna per soffermarsi sul fenomeno di dissociazione fra gli organi di propriet e di governo dellimpresa. Questo fenomeno ha fatto si che si distinguesse tra: - imprenditore di tipo classico (che sia proprietario che gestore) - imprenditore delegato (manager) Le teorie sui fini dellimprenditore sono diverse. Proprio a causa di questo fenomeno, che ha creato due diverse figure di imprenditore, possibile dividerle in due grandi gruppi: FINALITA SECONDO LIMPRENDITORE-GESTORE: - La teoria del massimo profitto nel lungo periodo - La teoria dei limiti sociali alla massimizzazione del profitto - La teoria del successo sociale FINALITA SECONDO LIMPRENDITORE DELEGATO: - La teoria della sopravvivenza dellazienda - La teoria dello sviluppo dimensionale - La teoria della mobilit FINALITA COMUNE: - La teoria della creazione e della diffusione del valore
La teoria della massimizzazione del profitto Secondo le varie correnti di pensiero il profitto pu essere inteso come: - il compenso che spetta allimprenditore per lorganizzazione dei fattori produttivi (secondo la teoria economica classica). - il corrispettivo destinato a ripagare il rischio corso nellattivit aziendale, cio un ero proprio premio di assicurazione per linvestimento del capitale. - Il premio che spetta a colui che promuove innovazione (secondo Schumpeter). Schumpeter sosteneva che il profitto, in quanto frutto dellabilit innovativa di chi governa limpresa, non rappresenta una categoria stabile nella vita aziendale, ma si lega a particolari circostanze di mutamento dei prodotti, delle strutture, delle tecnologie, tali da assicurare una condizione di vantaggio nei confronti della concorrenza. - Unimperfezione del mercato, cio il risultato dellacquisizione di posizioni monopolistiche rispetto agli altri produttori. Nellipotesi di mercati perfetti, infatti, il profitto finirebbe con lo sparire. Secondo la costruzione teorica classica, finalit del gruppo imprenditoriale conseguire il maggior profitto, ossia il + ampio divario positivo tra i ricavi e i costi di gestione. Tuttavia tale obiettivo fortemente condizionato da due fattori: il tempo e il rischio. Tempo (time-preference): limprenditore tende a massimizzare non il risultato di una certa operazione o delle operazioni condotte in un limitato periodo di tempo (ad es. lesercizio annuale) ma quello della gestione nel lungo periodo, considerando lintera vita dellimpresa. Lobbiettivo di massimizzazione del profitto pu quindi anche essere sacrificato nel breve periodo ad altri scopi, con lintento per di pervenirvi pi agevolmente nel lungo (sotto questo profilo si pu comprendere una iniziale politica di vendita a prezzo di costo intesa a far conquistare unampia porzione di mercato). Rischio (uncertainly conditions): limprenditore tende a condizionare le sue aspirazioni reddituali ad un determinato grado di rischiosit globale della gestione (sotto questo profilo lespansioni in altri settori produttivi o in mercati esteri potrebbe rispondere non tanto al fine di massimizzare il profitto quanto piuttosto a quello di diversificare e compensare merceologicamente e geograficamente i rischi di gestione).
10 La teoria dei limiti sociali alla massimizzazione del profitto 1. Conflitti dinteresse (profitto condizionato): Ogni impresa rappresenta unorganizzazione cooperativa, la cui vita contrassegnata, per, da situazioni potenziali di conflitto di interessi. Le occasioni di contrapposizione possono crearsi nei confronti di forze esterne o tra gruppi interni, infatti limpresa a contatto con diversi gruppi sociali: - ESTERNI: consumatori, concorrenti, fornitori, finanziatori, distributori commerciali, organi della pubblica amministrazione, - INTERNI: conferenti il capitale di propriet dellimpresa, dirigenti, forza lavoro addetta. Limprenditore nel tentativo di massimizzare il risultato economico della gestione incontra lopposizione proprio di questi gruppi: - per aumentare i ricavi dovrebbe aumentare il prezzo e/o la quantit venduta. Ma un rialzo dei prezzi incontra lopposizione dei consumatori, che possono ridurre la domanda o rivolgersi ad un altro fornitore (ci chiaramente dipende dallelasticit della domanda e dalla pressione concorrenziale). Daltro canto la manovra di allargamento della quota di mercato potr indurre delle reazioni da parte delle aziende concorrenti, le cui contromisure potrebbero portare anche ad una riduzione dei ricavi complessivi delle nostra impresa. - Per ridurre i costi limprenditore potrebbe percorrere due vie: labbassamento del costo unitario o limpiego di una minore quantit di risorse. Sotto il primo aspetto si tratta di ridurre le remunerazioni del lavoro, i prezzi pagati ai fornitori, gli interessi corrisposti ai finanziatori, i margini concessi ai distributori. Nessuna variazione ovviamente possibile per le aliquote impositive fissate dalle pubbliche autorit. Relativamente alla riduzione della quantit impiegata di ciascun fattore, si potrebbero ridurre la forza lavoro (con tutte le difficolt legali del caso), gli approvvigionamenti, i finanziamenti, ma non gli oneri sociali. E comunque questo porterebbe, quasi sicuramente, alla riduzione della quantit prodotta e venduta, e quindi ad una riduzione dei ricavi. Da ci appare chiaro che le possibilit di manovra dellimprenditore sono molto limitate. Il reddito sar quindi un risultato che deriva da accordi di cooperazione o dalla composizione di conflitti interni ed esterni, la sua misura non mai liberamente determinabile dallimprenditore. Il fine del massimo profitto diviene cos il fine del massimo profitto condizionato. 2. Limiti di conoscenza (profitto soddisfacente): Un altro elemento che limita le possibilit di massimizzazione del profitto da parte dellimprenditore limpossibilit di avere una piena conoscenza del mondo economico, dovuti allevoluzione dellambiente e del mercato. Secondo Simon allora limprenditore tenderebbe ad un profitto soddisfacente pi che massimo. Uneventuale massimizzazione del profitto incontrerebbe infatti dei limiti insuperabili nelle condizioni di ridotta conoscenza in cui sono costretti ad operare gli amministratori aziendali. Per questo motivo lobiettivo delle singole scelte sarebbe quello di individuare le alternative soddisfacenti piuttosto che quelle ottimali.
La teoria del successo sociale Limprenditore non mosso soltanto da interessi economici ma, come tutti gli individui, tende a raggiungere anche altri traguardi appartenenti alla sfera sociale. Le finalit dellimprenditore appaiono, in ordine crescente dimportanza: - assicurare la sopravvivenza dellimpresa (mediante il perseguimento del profitto), - affermarsi nella classe sociale di appartenenza (ammirazione e rispetto nella cerchia competitiva pi ristretta in cui opera) - assumere posizioni di preminenza nellambito dellintera comunit Questa combinazione delle tre P (Profitto-Potere-Prestigio) sarebbe cos rappresentativa del successo sociale ottenuto dallimprenditore mediante il successo della sua impresa, imprese in cui limprenditore traspone gran parte di s, e che in qualche modo lo rappresenta. 11 Lo stimolo economico non rappresenta sempre n il solo n il pi importante richiamo della funzione imprenditoriale: il fine economico si trasforma spesso in un mezzo per il raggiungimento anche di obiettivi morali e sociali. La possibilit di scalata dellimprenditore si costruisce dunque su una corretta applicazione di valori nel governo dellimpresa e, cio, combinando in modo opportuno valori economici e valori etici. Il successo aziendale, difatti, per essere costruito in modo solido e per giovare allo status sociale dellimprenditore deve poggiare sul rispetto di equilibri economici e di valori morali.
La teoria della mobilit Nel caso di un imprenditore delegato, ossia di un manager, non essendoci di fatto lo stesso grado di immedesimazione tra limpresa e il manager, il successo potrebbe essere visto come finalit intermedia o strumentale. Non ci sarebbe, cio, la necessaria persistenza del rapporto con limpresa e, quindi, lo stesso grado dintegrazione tra successo aziendale e successo personale. Tuttavia il raggiungimento di risultati particolarmente brillanti in campo economico e sociale potrebbe essere il mezzo per il passaggio ad aziende di maggiore importanza. Nella teoria delle finalit imprenditoriali sinserirebbe cos laspirazione alla mobilit quale via per riuscire a conquistare + rapidamente livelli superiori di prestigio (questo vale soprattutto per manager operanti in imprese di + piccole dimensioni).
La teoria della sopravvivenza aziendale (Drucker) Secondo gli economisti sociali, la teoria della massimizzazione del profitto non regge pi a causa dellormai avvenuta separazione fra il livello di propriet e di governo dellimpresa . il fatto che la gestione sia attuata da dirigenti e tecnocratici comporta un mutamento dei fini della gestione stessa. Mentre, infatti, i proprietari potevano essere interessati ad ottenere il massimo profitto dallimpresa, i dirigenti sono preoccupati in primo luogo della sopravvivenza dellorganizzazione. Secondo la teoria della sopravvivenza, il fine del gruppo imprenditoriale soprattutto quello di assicurare la continuit dellorganismo aziendale. Ci si traduce, da un lato, nel puntare al profitto come mezzo per irrobustire la struttura patrimoniale dellimpresa e, dallaltro, nel rifiutare attivit gestionali con coefficienti di rischio che possono porre in pericolo la vita dellorganizzazione. In altri termini tale teoria assegna al profitto un ruolo strumentale nei confronti dello scopo ultimo, che quello di non pregiudicare la continuit di funzionamento dellimpresa.
La teoria dello sviluppo dimensionale (Baumol) Secondo tale teoria i manager sono interessati allespansione dellimpresa perch questultima si traduce quasi sempre in un irrobustimento dellorganizzazione (garanzia di sopravvivenza), nellassunzione di una maggior forza nei confronti della concorrenza (garanzia di redditivit aziendale) e sovente, nellincremento delle retribuzioni ai livelli pi elevati di direzione. Di conseguenza con lo sviluppo dimensionale si riescono ad ottenere simultaneamente obiettivi di stabilit, di prestigio e di miglioramento economico. Pertanto al posto della crescita del profitto si sostituisce la crescita dimensionale, ossia la crescita del fatturato, quale obiettivo primario della conduzione aziendale. Massimizzare il fatturato consente di migliorare gli sviluppi di carriera di tutti i dirigenti, facilitare i rapporti con le banche, i fornitori, il personale dellimpresa, ecc.
La teoria della creazione e diffusione del valore La finalit della creazione di del valore risponde agli obiettivi di tutti i partecipanti allimpresa e non soltanto a quelli dellimprenditore proprietario o del manager. La teoria del valore sostiene che la finalit da assegnare alla gestione quella di far crescere il valore economico dellimpresa. Con essa la visione dei risultati aziendali orientata al futuro, perch ci che conta non il profitto, ma le potenzialit di produrre risultati sempre migliori. 12 Legata alla teoria del valore sicuramente la filosofia delle qualit totale, che porta a sottoporre a stretto controllo e ad intervenire su tutti i processi attuati dallimpresa per mirare al loro miglioramento qualitativo e, quindi, per poter costruire una pi favorevole immagine aziendale. Importanti diventano quindi gli investimenti in immobilizzazioni immateriali quale via obbligata per far crescere il valore economico dellimpresa. La teoria della creazione del valore azionario: La teoria della creazione del valore ben diversa dalla teoria della creazione del valore azionario, che mira invece soprattutto a migliorare il corso delle azioni nel breve periodo, perch in tal modo limpresa diventerebbe pi appetibile, pi affidabile, conferirebbe maggiore prestigio e assicurerebbe, quasi sempre, migliori retribuzioni a chi le governa. Questa teoria non generale come quella della creazione del valore, perch pu riferirsi esclusivamente alle public company quotate in borsa, e non alle molto pi frequenti imprese non quotate. Limprenditore si preoccuper generalmente della redditivit di lungo periodo e non della massimizzazione dei vantaggi per gli azionisti.
CAPITOLO 4: Il ruolo degli stakeholder nel sistema aziendale
1. LA VISIONE SOCIALE DELLIMPRESA Unimpresa per le funzioni che chiamata a svolgere, per le risorse che attinge dallambiente, per limpatto che pu esercitare sul clima sociale della comunit e, pi in generale, sulla qualit della vita, non pu essere pi vista come uniniziativa imprenditoriale rivolta soltanto alle finalit economiche dellimprenditore. Essa deve essere considerata come un sistema economico e sociale, a cui prende parte una pluralit di attori, che deve essere guidato in funzione di un giusto equilibrio tra obiettivi economici e responsabilit sociali. La rilevanza sociale dellimpresa cresce in rapporto alle ricadute esercitate sul contesto in cui opera (ricadute occupazionali, dinvestimento, di mercato, di partecipazione alla vita della comunit, di effetti inquinanti, ecc.), mentre la rilevanza economica si lega alla ricchezza creata con la sua attivit. 2. GLI INTERLOCUTORI DELLIMPRESA Limpresa si pone dunque al centro di una serie di rapporti con differenti gruppi sociali, rispetto ai quali attiva relazioni di scambio, di informazione, di rappresentanza. Questi gruppi finiscono per divenire dei veri interlocutori dellimpresa, dei portatori di interesse (STAKEHOLDER) che influenzano e sono influenzati dallattivit dellimpresa. possibile distinguere tra: stakeholder primari: destinati ad esercitare una pressione pi immediata sulla gestione aziendale (proprietari, dipendenti, fornitori, clienti, concorrenti, istituzioni finanziarie) stakeholder secondari: in grado di influenzare i comportamenti di lungo termine, potendo incidere soprattutto sul clima sociale delle relazioni aziendali (comunit locale, societ civile, gruppi di opinione, gruppi di consumatori, gruppi ambientalisti, sindacati, media) Nuova definizione di impresa in base alla teoria degli stakeholder: organizzazione economica, legata ad un complesso dinterlocutori interni ed esterni, che mediante la combinazione di risorse differenziate svolge processi di acquisizione e di produzione di beni e servizi allo scopo di creare e distribuire valore tra tutti i suoi partecipanti.
3. CLASSIFICAZIONE DEGLI STAKEHOLDER Per lindividuazione degli stakeholder e per la loro classificazione ci si serve di tre criteri: - la forza (ovvero il potere da essi detenuto in virt del ruolo ricoperto nella societ) - la legittimazione (ossia il riconoscimento della funzione di rappresentanza di particolari interessi o di soggetti economici, sociali e politici) 13 - lattualit dellinteresse difeso (ovvero lurgenza della risposta attesa da parte dellazienda e la criticit che tale risposta assume nelle particolari contingenze) Sotto il profilo delle possibilit di minaccia o collaborazione provenienti dagli stakeholder questi possono essere classificati in quattro gruppi: 1. STAKEHOLDER AMICHEVOLI, dai quali si pu ottenere un sostegno decisivo per lattivit dellimpresa, 2. STAKEHOLDER AVVERSARI, dai quali si generano difficolt sostanziali per lattivit aziendali, 3. STAKEHOLDER NON ORIENTATI, da cui si potr avere a seconda dei casi un sostegno o un atteggiamento negativo, 4. STAKEHOLDER MARGINALI, il cui peso nei confronti dellimpresa risulta del tutto modesto. Rapporti strategici con gli stakeholder: obiettivo dellindividuazione degli stakeholder stabilire come gestire i relativi rapporti. 1. COINVOLGIMENTO (per gli s. amichevoli) 2. DIFESA (per gli s. avversari) 3. COLLABORAZIONE (per gli s. non orientati) 4. MONITORAGGIO (per gli s. marginali) Naturalmente gestire unimpresa secondo la visione allargata a tutti gli stakeholder certamente compito pi complesso rispetto al governo in funzione delle sole finalit imprenditoriali, ma indubbiamente pi produttivo nel lungo periodo. Nella teoria degli stakeholder il ruolo centrale rimane sempre quello dellimprenditore: questi infatti che deve gestire il rapporto con tutti gli interlocutori ed sempre questi che deve creare e ricreare lequilibrio generale che consente allimpresa di continuare a produrre e distribuire ricchezza.
5. LA TEORIA DELLAGENZIA Nella teoria degli stakeholder un punto problematico concerne il ruolo della propriet. Pu accadere, difatti, che questultima detenga nelle sue mani il governo dellimpresa oppure che si vengano a costituire due soggetti distinti: la propriet investitrice, da un lato, e il management, dallaltro: 5. nel primo caso limprenditore, rappresentando limpresa, colui che deve curare il rapporto con gli stakeholder e quindi non figura tra questi ultimi, 6. nel secondo, invece, limprenditore rappresentato dal management a cui stata confidata lamministrazione dellimpresa, e la propriet risulta ricompressa tra gli stakeholder perch costituisce uno degli interlocutori primari del management stesso. Il ruolo della propriet: La teoria dellagenzia richiama proprio questa seconda situazione, situazione in cui il potere di amministrazione aziendale esercitato da un agente (agent) su mandato ricevuto dalla propriet (principal). Per effetto del mandato fiduciario, in base al quale un delegato amministra per conto del delegante, si viene a creare una relazione singolare che tende a ridurre se non annullare il rischio della mancata remunerazione della propriet. Questultima, infatti, incentiver lagente a massimizzare la ricompensa per la propriet sotto forma di dividendi azionari, pena labbandono della societ (disinvestimento) o la rimozione dellagente dal suo incarico (risoluzione del mandato fiduciario). Una situazione del genere indurr, quindi, lagente ad assicurare comunque una cogrua remunerazione alla propriet, dopo avere ugualmente soddisfatto gli altri stakeholder, distribuendo, qualora necessario, la ricchezza accumulata anzich quella creata. Ci potr avvenire sacrificando gli obiettivi di lungo periodo (investimenti di sviluppo) o addirittura distribuendo quote del patrimonio aziendale.
14 CAPITOLO 5: Cenni introduttivi sui profili di gestione e sui ruoli di governo dellimpresa
1. DEFINIZIONE DI GESTIONE: 7. governare limpresa, cio amministrare i vari fattori di produzione impiegati per il suo funzionamento e, soprattutto, assicurarle lo sviluppo mediante la creazione e il mantenimento di equilibri economici, patrimoniali e finanziari. 8. Il termine gestione, per si presta ad essere inteso anche in un altro senso ovvero quale complesso di attivit svolte dallimpresa per raggiungere le finalit dei soggetti coinvolti appunto nella sua operativit. Questa una definizione + oggettiva, in quanto riguarda, pi che le azioni di governo del sistema attuate dai soggetti di comando, i contenuti delle funzioni poste in essere (produzione, vendita, finanza, ecc).
2. I PROFILI DELLA GESTIONE AZIENDALE Analizzando lattivit di gestione in funzione del ciclo completo di atti da porre in essere, si pu, dunque, pervenire alla distinzione tra gestione strategica e operativa: GESTIONE STRATEGICA La strategia definisce i rapporti con lambiente, cio con il contesto generale entro cui opera limpresa che comprende il sistema politico-istituzionale, economico, culturale e socio- demografico. La strategia risponde allobiettivo + specifico di scegliere lambiente transazionale e competitivo di riferimento dellazienda, in tal senso la strategia definisce con quale o con quali contesti specifici lazienda entrer in contatto. La gestione strategica si riferir allora agli atti di decisione attinenti fondamentalmente allo sviluppo aziendale. In ogni impresa possibile delineare una gerarchia di scelte strategiche: 9. Strategie complessive: scelta delle aree daffari. 10. Strategie competitive: scelta delle modalit di competizione in ciascuna area daffari. 11. Strategie funzionali: scelte relative alla produzione alla produzione, al marketing, alla finanza, al personale, alla ricerca e sviluppo. GESTIONE OPERATIVA Lattivit dellimpresa si suddivide, a livello operativo, per ree o funzioni aziendali secondo il principio della specializzazione operativa. La gestione, dunque si articola per gruppi di responsabilit e di compiti, che richiedono limpiego di risorse specifiche di diversa professionalit. Per gestione operativa allora intendiamo proprio gli atti di decisione, controllo ed esecuzione relativi allattuazione dei processi operativi. quindi possibile dividere la gestione operativa in: 12. Ciclo di produzione 13. Ciclo di vendita 14. Ciclo finanziario 15. Ciclo logistico 16. Ciclo di ricerca e sviluppo
3. I RUOLI DI GOVERNO DELLIMPRESA IMPRENDITORIALITA: attitudine ad assumere decisioni rischiose finalizzate allinnovazione dei comportamenti aziendali. MANAGERIALITA: capacit di sviluppare le decisioni prese dallimprenditore e di attuarle in modo razionale. La dottrina anglosassone distingue la figura imprenditoriale da quella amministrativa attribuendo alla prima il fine di creare valore e alla seconda quello di impedire le perdite. In altri termini, limprenditore colui che programma le operazioni intese ad accrescere il valore dellimpresa, mentre lamministratore colui che, nel raggiungimento delle finalit imprenditoriali, deve razionalizzare luso delle risorse ed evitare le inefficienze. 15 Efficacia strategica ed efficienza operativa: La complementarit di questi ruoli, che in molte imprese, possono combinarsi nello stesso soggetto, appare dunque molto chiara, perch il successo di unimpresa sempre il risultato della combinazione di efficacia strategica (bont delle decisioni) ed efficienza operativa (rendimento delluso delle risorse). Lefficacia il valore pi proprio dellimprenditorialit, cio dellintuizione decisionale di chi governa a livello pi elevato il sistema aziendale, lefficienza lattributo perseguito in fase di attuazione dei processi operativi ed , quindi, pi proprio della managerialit, intesa quale attitudine a realizzare il massimo risultato nellattuazione delle scelte aziendali.
5. I SOGGETTI DELIBERANTI ALLINTERNO DELLA STUTTURA AZIENDALE La struttura organizzativa di qualsiasi tipo di azienda caratterizzata dal fatto di essere costituita da un gruppo relativamente ristretto di organi, cui istituzionalmente demandato il potere di deliberare circa gli obiettivi generali e le politiche fondamentali della gestione, e da una schiera molto pi folta di altri organi, cui tocca invece il compito di porre in attuazione e di controllare il raggiungimento di quegli obiettivi e politiche. Questi organi generalmente si distinguono in tre gruppi: 17. Organi di propriet 18. Organi di amministrazione 19. Organi di direzione Non sempre per i protagonisti dei vari momenti della gestione sono gli organi ufficialmente addetti. Infatti per operare non sufficiente lAUTORITA FORMALE, ossia la carica riconosciuta ricoperta nellorganizzazione, ad essa deve accompagnarsi lAUTORITA SOSTANZIALE (lautorevolezza) caratterizzata da tre elementi: 20. abilit professionale, 21. disponibilit delle informazioni 22. capacit di controllo delle decisioni assunte.
CAPITOLO 6: Lorientamento strategico della gestione
1. LA STRATEGIA E LA POLITICA DI GESTIONE Nei confronti dellevoluzione dellambiente esterno, limprenditore pu adottare tre differenti tipi di atteggiamenti: 1. un atteggiamento di attesa, che consiste nellaspettare il verificarsi di fenomeni evolutivi nel mercato o nel + vasto contesto (macro-ambiente) in cui questo compreso, per promuovere soltanto dopo che essi si sono chiaramente affermati gli opportuni adattamenti della gestione. Questo atteggiamento configura uno schema di comportamento quasi esclusivamente ripetitivo, in cui le azioni di adattamento sono una conseguenza delle variazioni ambientali. 2. un atteggiamento anticipatorio, che si traduce nellattuazione di uno sforzo costante di previsione dei mutamenti ambientali, allo scopo di poter realizzare, in modo anticipato e tempestivo, le necessarie modifiche nei comportamenti di gestione. Questo atteggiamento configura uno schema difensivo, in cui le decisioni di mutamento rappresentano una risposta anticipata alle presumibili modificazioni del contesto esterno. 3. un atteggiamento attivo, che si concreta nella promozione di azioni tendenti ad influenzare lambiente (macro e micro-ambiente) nel senso pi favorevole alle prospettive di sviluppo aziendale. Questo atteggiamento si caratterizza come un modello di sviluppo fondato sullinnovazione quale sforzo autonomo, promosso dallimpresa in vista del conseguimento di obiettivi strategici di mutamento dei rapporti con lambiente. Detto ci evidente che lelemento, che pi di ogni altro, denota il grado di avanzamento del processo di gestione aziendale rappresentato dalla strategia. 16 STRATEGIA: 23. un disegno elaborato dallimprenditore, che individua le direttrici da seguire per raggiungere determinate mete (obiettivi), 24. il mezzo per conseguire traguardi di tempo non breve, definiti in funzione dellevoluzione del rapporto tra limpresa e lambiente nel quale questa opera. Il concetto di strategia si caratterizza per tre elementi fondamentali: 1. la formulazione a livello alto-discrezionale, 2. la proiezione a lunga scadenza 3. la priorit dei traguardi da raggiungere. GERARCHIA DELLE STRATEGIE: Le strategie aziendali si ordinano secondo una precisa gerarchia, che vede: al vertice le strategie complessive (scegliere i campi o le aree di affari in cui operare secondo una strategia complessiva, che pu essere di sviluppo o di mantenimento delle sue posizioni) al centro le strategie competitive (stabilire i comportamenti da assumere nei confronti della concorrenza in ciascuna delle aree di affari) alla base le strategie funzionali (strategie di produzione, di vendita, di finanza, ecc., che debbono essere strumentali rispetto alle strategie competitive prescelte e che riguardano le modalit di attuazione delle funzioni di gestione). Le strategie complessive e competitive sono strettamente legate: lallocazione di risorse tra i vari business (strategie complessive) sar infatti fortemente influenzata dalle possibilit di competere con successo (strategia competitive) nei business prescelti. MODELLI NELLANALISI STRATEGICA: 25. Razionale-sinottico (strategia come processo logico, ordinato, razionale, di formulazione e successiva implementazione) 26. Processuale (strategia come processo di apprendimento con il fare, in cui si fondono pensiero e azione) 27. Imprenditoriale (strategia nella mente del leader, visione sul futuro dellorganizzazione, basata su intuizioni, abilit ed esperienza).
2. DIFFERENZE TRA IL CONCETTO DI STRATEGIA E QUELLO DI TATTICA Decisioni strategiche: 28. disegno generale globale che individua le direttrici da seguire per raggiungere determinate mete, 29. decisioni che si riflettano direttamente e decisamente sugli obiettivi prioritari dellazienda, 30. difficilmente modificabili, una volta poste in attuazione, senza contraccolpi significativi sulla gestione e sullimmagine aziendale. Tattiche: 31. scelte funzionali in rapporto al disegno strategico 32. si riferiscono ad obiettivi generalmente inferiori, e comunque di tempo breve, che appaiono modificabili senza ripercussioni particolarmente sfavorevoli per lazienda, 33. le scelte tattiche sono la traduzione sul piano operativo della strategia.
3. STRATEGIE COMPLESSIVE: GLI OBIETTIVI STRATEGICI DI GESTIONE I comportamenti imprenditoriali di tempo lungo dovranno essere definiti secondo un percorso che prevede quattro fasi rappresentati dalla: 34. formulazione delle previsioni, - individuazione degli obiettivi, - definizione della strategia, - adattamento della struttura organizzativa. Gli obiettivi strategici di gestione sono raggruppabili nei seguenti sei: 17 sviluppo dimensionale (crescita del volume daffari) riequilibrio gestionale (risposta alla crisi) riduzione del rischio (continuit aziendale) mantenimento delle posizioni (difesa del mercato) disinvestimento parziale (ridimensionamento) uscita dal mercato (cessione o liquidazione).
4. LO SVILUPPO DIMENSIONALE Classificazione delle strategie di sviluppo dimensionale: 1. sviluppo monosettoriale: integrazione orizzontale o verticale. 2. sviluppo polisettoriale: diversificazione laterale o conglomerale. 3. sviluppo internazionale: sviluppo internazionale del mercato o sviluppo multinazionale della gestione. INTEGRAZIONE ORIZZONTALE: con lintegrazione orizzontale limpresa punta a conseguire una maggiore forza nel settore in cui opera mediante la crescita della propria capacit produttiva e/o mediante lacquisizione di imprese concorrenti. INTEGRAZIONE VERTICALE: lintegrazione verticale, che si concretizza in unespansione a monte e a valle rispetto allambito di attivit occupato, ha come obiettivo principale il controllo diretto di stadi recedenti delle lavorazioni svolte (ovvero linternalizzazione di produzioni prima acquistate allesterno) o di stadi successivi con linserimento diretto in lavorazioni a valle di quelle poste in essere oppure con lingresso nel circuito distributivo. Lintegrazione verticale comportando un aumento del valore aggiunto (che dato dalla differenza tra il valore dei prodotti realizzati e quello delle materie prime, ausiliarie e dei servizi acquistati allesterno), ha come conseguenza una riduzione dellesposizione al rischio globale di gestione e, a seconda dei casi, potrebbe condurre ad una riduzione dei rischi di approvvigionamento o di collocamento dei prodotti finiti. Non detto, invece, che essa porti sempre ad un incremento dei profitti, che dipender dalla capacit dellimpresa, che si integra verticalmente, di svolgere in maniera + economica, al suo interno, le attivit precedentemente acquistate allesterno. DIVERSIFICAZIONE LATERALE: si concreta nellespansione verso nuove aree di affari rispetto alle quali sussistono, per, dei collegamenti tecnologici o di marketing (es. unimpresa produttrice di pasta alimentare che si diversifica inserendosi nella produzione di biscotti) DIVERSIFICAZIONE CONGLOMERALE: si realizza allorch tra attivit vecchie e nuove non intercorre nessun collegamento n di tecnologia n di mercato (es. unimpresa che produce abbigliamento che si inserisce nel business dei trasporti) SVILUPPO INTERNAZIONALE: Lo sviluppo internazionale pu concretarsi: nellespansione allestero della propria sfera di attivit (ampliamento internazionale del mercato di sbocco), oppure nella multinazionalizzazione ossia nellallargamento dellintera gestione aziendale sul piano mondiale (vedi i casi IBM, Coca Cola, ecc). Lo sviluppo internazionale pu realizzarsi in diversi modi: - esportazione (vendita sistematica dei prodotti allestero) - produzione indiretta (concessione di licenze di fabbricazione a produttori esteri) - vendita diretta (creazione di reti di vendita allestero) - produzione e vendita diretta (allestimento di impianti di produzione e distribuzione allestero) - costituzione di unimpresa allestero (fondazione di una societ allestero) - organizzazione multinazionale (coordinamento della gestione sul piano multinazionale)
Effetti, limiti e cause del processo di sviluppo dimensionale dellimpresa EFFETTI: 18 - Vantaggi: aumento dei ricavi (maggiori volumi, prezzi pi favorevoli) e riduzione dei costi (economie di scala, economie di apprendimento) - Svantaggi: diseconomie di scala, rigidit, perdita di controllo, visibilit di mercato. LIMITI: - interni: risorse manageriali, struttura organizzativa, capacit finanziaria, - esterni: sviluppo della domanda, pressione della concorrenza. CAUSE: - interne: risorse aziendali parzialmente sfruttate, - esterne: occasioni di business. Modalit di realizzazione della strategia di sviluppo dimensionale - Sviluppo interno: crescita organizzativa. - Acquisizioni aziendali: rilevamenti (takeover) e fusioni. - Accordi tra imprese: joint venture e alleanze strategiche.
5. CLASSIFICAZIONE DELLE STRATEGIE COMPETITIVE LEADERSHIP DI COSTO: strategia competitiva attraverso la quale le imprese tentano di ottenere un vantaggio competitivo attraverso la riduzione dei costi rispetto ai concorrenti (si pensi alle compagnie aeree low-cost). DIFFERENZIAZIONE: strategia competitiva attraverso la quale le imprese tentano di ottenere un vantaggio competitivo incrementando il valore percepito dei prodotti o dei servizi rispetto a quelli di altre aziende (si pensi allAlitalia). FOCALIZZAZIONE: strategia competitiva attraverso la quale le imprese si posizionano in nicchie di mercato, meno attrattive per altri concorrenti, in cui riescono ad ottenere vantaggi competitivi (si pensi ad una piccola compagnia aerea delle Seychelles).
6. PROGRAMMAZIONE ED OCCASIONALITA DELLA STRATEGIA Mintzberg ha osservato che la scelta di una strategia sovente il risultato di un evento occasionale pi che di un processo esplicito di pianificazione. Secondo M., nessuna strategia sarebbe il frutto del solo caso ma nessuna strategia anche il frutto di sola programmazione, per cui sussisterebbe quasi sempre una combinazione di strategie spontanee e programmate. Lorientamento strategico di fondo: Tuttavia le singole scelte appaiono sempre legate da un orientamento comune incentrato su valori di fondo condivisi dal vertice aziendale, per cui sembra possibile sostenere che in ogni impresa si fonda un orientamento strategico di fondo, quale elemento decisivo di indirizzo dei comportamenti imprenditoriali. Tale orientamento rappresentato dal complesso dei valori posti alla base della vita aziendale. Ciascuna azienda, infatti, pu perseguire dei valori di fondo particolari connessi con il ruolo da rivestire nella societ, con i bisogni sostanziali da soddisfare, con i principi etici da diffondere e far applicare allinterno dellorganizzazione. Lorientamento strategico, insomma, si lega alla vision dellattivit aziendale e allimmagine che sintende proiettare allesterno.
CAPITOLO 7: Il processo di governo dellimpresa
1. IL PROCESSO DI DIREZIONE AZIENDALE Ogni impresa caratterizzata da un vero e proprio CICLO DI DIREZIONE composto da 4 fasi: - PROGRAMMAZIONE (atti di decisione) - ORGANIZZAZIONE (atti di disposizione) - CONDUZIONE (atti di guida) - CONTROLLO (atti di valutazione) 19 Ogni attivit va infatti programmata, stabilendo in anticipo gli obiettivi da raggiungere, le decisioni e le modalit di svolgimento da rispettare e le risorse da impiegare; organizzata individuando chi e con quali responsabilit dovr curarne la realizzazione; guidata fornendo le direttive e motivando gli organi operativi, controllata valutando i risultati raggiunti rispetto a quelli programmati. Continuit del ciclo: Il controllo conclude il processo e, allo stesso tempo, avvia un nuovo ciclo di direzione perch i dati, con esso rilevati, occorrono a far assumere nuove decisioni nellambito della funzione di programmazione. Ciclo informativo: Ogni ciclo si svolge, nei suoi vari momenti, mediante le informazioni che fluiscono allinterno dellimpresa e che debbono essere integrate con quelle provenienti dallambiente esterno. Sotto questo profilo, si ha cio un vero e proprio ciclo informativo, perch il controllo produce informazioni, la programmazione richiede lintegrazione dei dati cos ottenuti con quelli relativi al contesto esterno, la conduzione comporta il trasferimento di informazioni da chi dirige a chi esegue e, infine, chi esegue deve trasmettere i risultati della propria attivit agli organi di controllo.
2. LA PROGRAMMAZIONE Il termine programma deriva dalla lingua greca e significa, in senso letterale, scrivere prima. La traduzione rende bene il contenuto della programmazione, che deve essere concepita quale processo di predeterminazione degli obiettivi, delle politiche e delle attivit da compiere entro un determinato periodo di tempo. Nellazienda programmare significa dunque assumere in anticipo il complesso di decisioni attinenti alla gestione futura. Gli elementi di un piano di gestione: un piano risulta costituito da quattro elementi: - obiettivi: traguardi cui dovr tendere lorganizzazione, - politiche: linee generali di azione - attivit: flussi di operazioni da attuare durante la gestione - risorse: vincoli-opportunit da rispettare nello svolgimento delle operazioni. Vincoli per lo sviluppo dellimpresa: al momento di stabilire la programmazione dellimpresa il management non pu non tener conto i alcuni vincoli che ineriscono alla struttura interna dellorganizzazione e allambiente socio economico: VINCOLI INTERNI: - Potenzialit produttiva - Potenzialit organizzativa - Potenzialit finanziaria - Potenzialit economico-strutturale VINCOLI ESTERNI: - Crescita della domanda - Pressione della concorrenza - Progresso tecnologico - Regolamentazione pubblica I requisiti di una buona programmazione aziendale: FORMALIZZAZIONE: importante sottolineare il carattere formale assunto dal processo di programmazione, che si sostanzia nello svolgimento di una procedura codificata che porta alla materiale redazione di un piano (o meglio di un sistema di piani dazione), in cui sono specificati gli obiettivi da perseguire, i mezzi da impiegare e le operazioni da compiere entro certi periodi di tempo. I piani vengono resi noti ed accettati da parte di tutti i responsabili delle attivit aziendali. INTEGRAZIONE: il processo di programmazione, in senso pieno, deve consentire di pervenire alla costruzione di un sistema di piani che abbracci integralmente le varie attivit di gestione. La programmazione pu infatti attuarsi per singoli settori oppure in modo integrale per tutta la gestione aziendale. Nel primo caso si hanno solo dei piani settoriali, che regolano la realizzazione di particolari attivit (piani di vendita, piani di produzione), nel secondo invece la 20 costruzione di questi piani di settore integrata e coordinata mediante la definizione di un programma generale, che disciplina simultaneamente gli aspetti commerciali, tecnici, finanziari e organizzativi di tutta lattivit aziendale. evidente che la programmazione consegue la massima efficacia quando pi si proceda allintegrazione delle funzioni. PLURIENNALITA: la programmazione deve essere lungimirante, perch solo nel lungo termine possibile modificare il sistema di vincoli entro cui limpresa opera. La programmazione nel breve termine pu solo adattare lattivit corrente ai vincoli interni ed esterni alla gestione aziendale. Questo tipo di programmazione viene perci detto di adattamento perch, come abbiamo detto, la modificazione di certi vincoli (impianti, organizzazione, ecc) comporta tempi non brevi e fa si che il patrimonio di risorse dellimpresa appaia come vincolo di partenza per la realizzazione delle operazioni di gestione. Con una programmazione di lungo termine invece limpresa tenta di massimizzare i risultati di gestione sapendo di poter, nei limiti del possibile, modificare alcuni vincoli. QUANTIFICAZIONE: per quanto concerne la valutazione e limpiego delle risorse, acquista una segnata importanza un altro documento che scaturisce dal processo di programmazione: il budget economico o bilancio preventivo. Questo un documento contabile che traduce, in termini di costi e ricavi, le scelte e le operazioni stabilite nel piano. Il budget definito come un conto profitti e perdite anticipato perch tende a predeterminare il risultato della futura gestione, la sua utilit rilevante sotto il duplice profilo decisionale e di controllo, con esso, infatti, si riescono a quantificare economicamente le decisioni programmate e a valutare, quindi, lopportunit di attuarle o modificarle prima dellapprovazione, inoltre larticolazione del budget economico per singole unit della struttura organizzativa (direzioni, reparti, uffici, filiali, ecc.) consente di esercitare un valido controllo sugli obiettivi via via raggiunti. Al budget economico si collega un budget finanziario (che considera gli usi e le fonti di capitale, in modo da predeterminare il saldo finanziario dellesercizio) e un budget di cassa (per governare il flusso monetario delle entrate e delle uscite).
3.1 LORGANIZZAZIONE Lo scopo della funzione organizzativa lottenimento di condizioni di massima efficienza operativa mediante la suddivisione e specializzazione delle attivit e lopportuna loro coordinazione in un sistema integrato di obiettivi, poteri e responsabilit. In altri termini il suo contributo si estrinseca nel conseguimento di una maggiore produttivit del lavoro , il che significa far raggiungere un miglior risultato a parit di sforo sostenuto. Con ci si richiama leffetto sinergico del processo organizzativo, che rivolto a stabilire una situazione di collaborazione fra le varie parti in cui si articola la struttura aziendale. A causa di esso, il risultato dellattivit di un gruppo di persone risulta superiore alla somma di risultati ottenibili da ciascuno dei membri del gruppo stesso operanti isolatamente. Aspetto strutturale: Ordinamento di compiti e responsabilit. Nella realt ci si pu imbattere in due tipi di struttura de tutto opposte: STRUTTURA SPONTANEA: quella solitamente delle aziende pi piccole in cui, a causa della semplicit dei processi di gestione e del ridotto organico di personale, in questo caso non esiste una ripartizione formale di compiti e responsabilit n una definizione dei circuiti di comunicazione. Tale struttura fondata sui rapporti interpersonali creatisi allinterno dellimpresa. Si vengono cos a intessere relazioni informali che si traducono nella spontanea accettazione di determinati ruoli allinterno dellorganizzazione. STRUTTURA DI PIANO: quella, pi comune al di l di una certa dimensione dellimpresa, definita formalmente dal management aziendale al fine di preservare il coordinamento generale dellorganizzazione. In questo caso sia la ripartizione dei compiti e delle responsabilit sia la definizione di un circuito di comunicazione trovano un ordinamento ufficiale e durevole in un apposito piano organizzativo. 21 Progettazione dellorganizzazione: la programmazione comporta lordinamento di tre sistemi endo-aziendali, ciascuno dei quali riguarda un aspetto dellorganizzazione: - SISTEMA DI POTERI-RESPONSABILITA: concerne la ripartizione dei poteri e delle responsabilit decisionali inerenti alla gestione. - SISTEMA DI RELAZIONI: complesso di collegamenti tale da porre la struttura in grado di funzionare in modo coordinato. - SISTEMA DI COMUNICAZIONI: lesistenza di una efficiente rete di comunicazioni costituisce la conditio sine qua non per ottenere la coordinazione delle funzioni dimpresa. Obiettivo una struttura CODIFICATA: progettare la struttura organizzativa significa, quindi, pervenire in modo formale allordinamento della gamma di rapporti di autorit, di cooperazione e di competenza intorno ai quali si sviluppa la vita dellimpresa, risolvendo congiuntamente problemi di suddivisione di compiti e responsabilit e di creazione della rete di relazioni per il passaggio delle informazioni tra i molteplici organi aziendali.
3.2 I MODELLI DI STRUTTURA ORGANIZZATIVA I modelli principali di struttura organizzativa sono la: STRUTTURA SEMPLICE: un modello poco formalizzato, che si basa sul rapporto interpersonale e che adatto soltanto ad imprese di piccolissime dimensioni. il caso tipico di complessi composti da poche unit di personale e governai, mediante lassidua presenza, dallimprenditore proprietario. STRUTTURA FUNZIONALE: si costituisce dividendo la gestione in funzioni ovvero gruppi di compiti che, data la loro omogeneit interna e la differenziazione da altri gruppi di compiti, richiedono il presidio di competenze specialistiche. Lorganizzazione si articoler, dunque, in tante funzioni per quante sono le aree di responsabilit da affidare a manager dotati di competenze specifiche. STRUTTURA DIVISIONALE: tende a separare i diversi centri di profitto, operando una distinzione soprattutto per famiglie di prodotto o per aree geografiche, in un modello costituito sulla specializzazione delle funzioni che richiedono competenze ad hoc e sulla centralizzazione di funzioni che possono essere pi efficacemente gestite a livello della Direzione generale (come ad esempio il personale e la finanza). La struttura divisionale ha lo scopo di stimolare la competitivit tra le varie unit divisionali e di accrescere il livello di specializzazione sul piano operativo. STRUTTURA A MATRICE (O A PROGETTO): tende a favorire linnovativit mediante lo sfruttamento di un doppio criterio di specializzazione (per divisione e per progetto) di tipo permanente (struttura a matrice) o temporaneo (struttura a progetto). Questo modello presenta, ovviamente, dei complessi problemi di coordinamento perch sono costruiti sulla base di un doppio rapporto di responsabilit e dipendenza gerarchica e si giustificano quindi soltanto in imprese caratterizzate da un tasso particolarmente elevato di innovativit nei prodotti e nei processi operativi.
4. LA CONDUZIONE Lo scopo: La funzione di conduzione del fattore umano ha per obiettivo lottenimento del miglior rendimento dellorganizzazione e riguarda i problemi dimpiego e di guida delle risorse umane presenti in azienda. Dirigere, nel suo significato pi tradizionale, significa far s che altri realizzino certe azioni e labilit direttiva si misura, sotto tale profilo, non solo in funzione dei risultati operativi conseguiti, ma anche in rapporto al clima delle relazioni di lavoro creato nellazienda. comprensibile infatti che, nel rapporto di scambio tra il lavoratore e limpresa, si creino interessi diversi e logicamente in conflitto: sotto il profilo esclusivamente economico, limprenditore richiede il massimo rendimento rispetto ai costi (salari e stipendi) che sostiene, e il lavoratore desidera il massimo risultato (reddito da lavoro) rispetto alla quantit ed alle condizioni delle prestazioni che deve rendere. Questi conflitti si possono presentare in due momenti: quello 22 contrattuale, in cui le parti devono disciplinare il loro rapporto sul piano normativo, e quello successivo di carattere operativo, in cui il rapporto deve essere gestito. DIREZIONE AUTOCRATICA E PARTECIPATIVA: Una differente visione del fattore umano ha fatto s che cambiasse lo stile della conduzione. Si passati, infatti, da una direzione tradizionale di tipo autocratico, fondata sul principio dellautorit, ad una direzione partecipativa, basata sul consenso: la prima attuata prevalentemente mediante la gerarchia del comando, la seconda mediante la creazione della motivazione. In altri termini, lo stile partecipativo si basa sul controllo legato alla motivazione e, quindi, sullautocontrollo, quello autoritario, invece, si impernia sul controllo esterno o supervisorio. Mc Gregor, noto studioso di organizzazione aziendale, pose in luce che al fondo di questi due stili di direzione vi sono differenti premesse circa la natura ed il comportamento del fattore umano: TEORIA X: - luomo in generale detesta il lavoro, - gli unici mezzi per ottenere che egli lavori sono i controlli e la minaccia di punizioni - lobiettivo che si pone quello della sicurezza, per cui evita il rischio di accollarsi responsabilit preferendo essere diretto piuttosto che assumere posizioni di leadreship. Da queste premesse non pu che derivare una conduzione di tipo autocratico. TEORIA Y: - il lavoro accettato dalluomo come fatto naturale, quanto lo svago o il riposo, - luomo pu esercitare lautodisciplina e, quindi, per lavorare non deve essere n controllato n minacciato di sanzioni, - luomo disposto ad accettare responsabilit per salire nella scala dei bisogni, - la capacit innovativa, limmaginazione e la fantasia creativa sono ampiamente diffuse tra i lavoratori e possono essere utilmente sfruttate per risolvere i problemi organizzativi, - le potenzialit medie dei lavoratori sono solo parzialmente messe a frutto nelle attuali condizioni aziendali. Da queste premesse si evince che luomo visto non solo come essere da motivare, ma anche come individualit da valorizzare e coinvolgere nel processo decisionale aziendale. Non pu che derivarne una conduzione di tipo partecipativa. Teorie organizzative: storicamente possibile individuare tre fasi di sviluppo della disciplina della conduzione aziendale, fasi caratterizzate soprattutto da una evoluzione del concetto di uomo: ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DEL LAVORO: partita da una visione meccanicistica del ruolo delluomo nellorganizzazione, che stato visto pi come strumento o meccanismo da far funzionare allinterno della machina aziendale, che come individuo da motivare o far partecipare alle scelte aziendali. SCUOLA DELLE RELAZIONI UMANE: Luomo non pi visto come una macchina da lavoro ma come un individuo da motivare. SCUOLA SISTEMICA: in ultimo si comprende che per ottenere il pi elevato rendimento possibile dal fattore umano necessario risolvere il problema dellintegrazione tra gli obiettivi individuali e quelli dellorganizzazione. La motivazione: Il processo motivazionale si realizza quando alcuni degli obiettivi del lavoratore divengono anche obiettivi del lavoratore che si sente integrato nellorganizzazione. Allorquando si realizzer questo processo di fusione non si avr pi un problema di conduzione degli uomini, i quali saranno naturalmente motivati a fornire il loro migliore contributo allazienda. Il problema motivazionale pu essere scomposto in due parti: - motivazione a partecipare che induce lindividuo ad accettare linserimento nellorganizzazione - motivazione a produrre che spinge ad assicurare la produttivit richiesta dallorganizzazione stessa. Oggi lincentivazione pi motivante, soprattutto ai livelli elevati dellorganizzazione, quella che prevede una qualche forma di compartecipazione ai risultati aziendali. Il principio di una ricompensa mista formata in parte da una retribuzione fissa e in unaltra parte da un corrispettivo 23 legato allesito della gestione contribuisce a far sviluppare lo spirito di gruppo e ad innalzare la produttivit media.
LA SCALA DEI BISOGNI DI MASLOW: Secondo Maslow lindividuo tenderebbe alla soddisfazione di una serie di bisogni, che si ordinano lungo una scala crescente di importanza. I tipi di bisogni individuati e posizionati sui vari gradini della scala maslowiana sono: 1. bisogni primari: bisogni di sopravvivenza rappresentati dalle necessit fondamentali da soddisfare (nutrizione, abbigliamento, abitazione, ecc.) 2. bisogni di sicurezza: costituiti dalle esigenze di protezione della propria persona, del patrimonio, della propria posizione lavorativa, 3. bisogni di socialit, rappresentati dalla necessit di sentirsi parte di un gruppo, legati cio ad altri individui da interessi, sentimenti, credenze comuni, 4. bisogni daffermazione, costituiti dallaspirazione a riscuotere la stima di altri a collocarsi in posizioni di preminenza nella classe sociale di appartenenza, 5. bisogni di auto-realizzazione, rappresentati dalla convinzione di avere realizzato a pieno le proprie capacit professionali e morali, ossia di aver raggiunto il migliore risultato possibile sulla base dei requisiti personali posseduti. La scala Maslow fornisce, cos, uno schema prezioso di riferimento per orientare le soluzioni del problema motivazionale. Non sempre, infatti, si pu indurre a lavorare pagando di pi o stabilendo dei premi di produttivit perch la retribuzione rappresenta uno degli elementi del rapporto di lavoro e, anche se importante, non in tutti i casi sufficiente a far migliorare il rendito dei dipendenti e a rendere pi agevole la funzione di conduzione del personale. LA TEORIA DI HERZBERG: Al contrario di Maslow, Herzberg ha distinto i bisogni dei lavoratori in due sole grandi categorie: - bisogni soddisfattivi, cio quelli che una volta appagati producono gratificazione e quindi stimolano allazione, - bisogni insoddisfattivi, cio quelli che se non soddisfatti generano frustrazione e determinano linazione. Tra i primi Herzberg ha incluso tutti i fattori motivazionali, quali il successo e il suo riconoscimento, linteresse verso il lavoro svolto e le responsabilit assunte, le occasioni di crescita professionale presenti nei compiti assegnati, la possibilit di promozione e di avanzamento; tra i secondi ha compreso i cosiddetti fattori igienici legati alla politica dellazienda e alla sua organizzazione, alla supervisione, alle relazioni interpersonali, alle condizioni di lavoro, alla retribuzione, allo status e alla sicurezza.
Tecniche di incentivazione del personale: Lincentivazione pu assumere diverse forme e produrre diversi effetti in funzione dellorientamento allindividuo o al gruppo e della proiezione nel breve o lungo periodo. In base a questi due fattori si pu costruire una matrice:
Breve periodo Lungo periodo Performance individuale AUMENTI SALARIALI PIANO DI INCENTIVI Performance di gruppo GRATIFICHE STOCK OPTION
La stock option costituisce un accordo finanziario in base al quale ai dirigenti viene offerto il diritto di acquistare delle azioni delle societ in cui lavorano a una data futura e ad un prezzo concordato nel momento in cui viene fornita lopzione, di solito il prezzo di mercato corrente o una cifra leggermente inferiore. 24 Questa forma di retribuzione risponde al principio di imprenditorializzazione diffusa del rischio, si tende cio a sviluppare una imprenditorialit collettiva, che consente allimpresa di rinnovarsi continuamente attraverso le innovazioni, le decisioni e la capacit di adattamento di tutti i membri dellorganizzazione che operano in collaborazione.
5. IL CONTROLLO Il controllo necessario per assicurare lordinato svolgimento dellattivit aziendale, rappresentando una funzione che, quantunque si concentri maggiormente nellambito della struttura direzionale, si diffonde a qualsiasi livello della struttura organizzativa. Al vertice amministrativo riguarder, infatti, la gestione nel suo complesso, al livello della direzione operativa concerner singoli settori, a quello supervisorio interesser le prestazioni di gruppi di lavoro elementari o di singoli operatori. Strumento di indirizzo: nel tempo il controllo si trasformato da strumento di costrizione in strumento di indirizzo dellattivit gestionale. Anzich essere visto come elemento necessario a disciplinare e vincolare lazione degli uomini inseriti nellorganizzazione, inteso come mezzo di guida del lavoro e delle funzioni svolte a qualsiasi piano della struttura. In altri termini ad una concezione tradizionale, secondo cui la sua attuazione doveva servire a valutare lefficienza, lonest e la diligenza dei dipendenti, si sostituita una visione avanzata in base alla quale la funzione di controllo intesa in senso attivo, cio come il mezzo per individuare le eventuali insufficiente dellazione, allo scopo di stimolare automaticamente gli interventi di correzione e favorire lo spirito di iniziativa. I 4 momenti del controllo: - in via antecedente: serve a valutare preventivatamene la bont di certe scelte e, si potrebbe dire, trova sostanza nello stesso processo di programmazione, visto sotto questo aspetto come controllo anticipato delle future linee di gestione. - in via concomitante: si lega alla programmazione poich ha lo scopo di guidare, a tutti i livelli dellorganizzazione, lattuazione dei piani formulati. - in via susseguente: valutazione dellefficienza e dellefficacia della gestione, quindi uno strumento dindirizzo per la formulazione di decisioni future. - in via prospettica: mezzo per verificare la bont delle scelte strategiche e organizzative in essere. Il controllo direzionale, quindi, comprende il controllo operativo (finalizzato alla verifica del raggiungimento dei risultati di gestione, che quindi comprende il controllo antecedente e quello concomitante), le valutazioni di rendimento (ossia il controllo susseguente allo svolgimento delle prestazioni, che si concreta nella misurazione di efficacia e efficienza delle politiche e delle risorse impiegate nellazienda)e il controllo strategico (che il controllo prospettico della strategia e della struttura aziendale).
ANTECEDENTE CONTROLLO OPERATIVO
CONCOMITANTE VALUTAZIONI DI RENDIMENTO
SUSSEGUENTE (Misurazione di efficacia e di efficienza)
CONTROLLO DI DIREZIONE CONTROLLO STRATEGICO PROSPETTICO (Analisi strategica e organizzativa)
Schema di controllo concomitante: il controllo concomitante si compone di 4 fasi: - determinazione degli obiettivi: stabiliti in fase di programmazione ( importante per le fasi successive che tali obiettivi siano realistici e ben determinati). 25 - rilevazione periodica dei risultati: bisogner creare un sistema di reporting, in grado di far giungere con regolarit i dati sui risultati di gestione ai dirigenti interessati. - analisi causale degli eventuali scostamenti: momento di grande importanza perch fornisce elementi preziosi sulla genesi delle deviazioni. Unanalisi non corretta pu orientare in modo sbagliato gli interventi di gestione. - interventi correttivi: possono andare a correggere le deviazioni, riducendo il livello delle prestazioni ottenibili nellorganizzazione, o direttamente i piani, adeguando le strategie alle condizioni interne ed esterne allimpresa verificate durante il controllo. Controllo susseguente: il controllo susseguente si occupa della valutazione dellefficacia e dellefficienza della gestione aziendale: - efficacia: grado secondo cui lazienda raggiunge i suoi obiettivi. misurata dal rapporto tra gli obiettivi ottenuti e quelli che si sarebbero dovuti conseguire. - efficienza: capacit di rendimento o attitudine a svolgere una certa funzione. misurata dal rapporto tra i risultati conseguiti e le risorse impiegate. Controllo prospettico: i suoi obiettivi peculiari sono la verifica della: - congruenza esterna: valutare se il quadro strategico messo a punto sia coerente con le tendenze del contesto esterno allazienda stessa. - congruenza organizzativa: verificare il rapporto di idoneit strumentale tra la strategia e le struttura organizzativa. - efficienza funzionale della direzione: verifica dellidoneit del management.
CAPITOLO 8: La gestione commerciale
1. CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI DI GESTIONE FUNZIONI OPERATIVE PRIMARIE: - produzione - vendita - finanza FUNZIONI DI SUPPORTO: - approvvigionamenti (logistica) - personale - ricerca e sviluppo - contabilit FUNZIONI AUSILIARIE: - trasporti - distribuzione - manutenzione impianti - pubblicit Le funzioni operative primarie e quelle di supporto si collocano chiaramente su piani di importanza diversi, tuttavia entrambe rappresentano gruppi di attivit da svolgere prevalentemente, se non necessariamente, allinterno dellimpresa. Viceversa tra le funzioni ausiliarie si collocano tutte quelle attivit che, per motivi organizzativi ed economici, lazienda pu con minore difficolt esternalizzare, decentrandole ad altre organizzazioni.
2. LORIENTAMENTO DELLIMPRESA NEI CONFRONTI DEL MERCATO In passato si tendeva a distinguere due tipi di comportamento dellimpresa nei confronti del mercato, lorientamento al prodotto e lorientamento al mercato, oggi limpresa invece orientata al business. ORIENTAMENTO AL PRODOTTO: cura soprattutto dei problemi attinenti al ciclo di produzione dei beni, per i quali la successiva vendita finiva per costituire unattivit complementare e pressoch 26 automatica. Lorientamento al prodotto configurava, infatti, una situazione di mercato facile, nella quale bastava produrre a prezzi competitivi per poter vendere e conseguire profitti. ORIENTAMENTO AL MERCATO: preventivo accertamento della vendibilit dei prodotti da realizzare. Lorientamento al mercato presupponeva quindi la necessit di analizzare la domanda globale, di valutare la quota massima ottenibile dallazienda e di indirizzare le politiche di produzione in funzione degli obiettivi di vendita realizzabili. ORIENTAMENTO AL BUSINESS: si concreta nella ricerca di nuove occasioni di mercato da aggiungere eventualmente a quelle gi sfruttate nellambito del mix di settori in cui di opera. In tal caso, lo sguardo di chi governa lazienda proiettato verso lindividuazione di bisogni e desideri dei consumatori che, in funzione delle risorse aziendali disponibili, possano rappresentare delle nuove opportunit di business addizionali o, in certi casi, sostitutive di quelle gi soddisfatte in passato. Il punto centrale della differenza tra orientamento al mercato e al business, dato dallampiezza dellarea di osservazione da parte dellimpresa: nella prima ipotesi infatti le opportunit vanno ricercate sostanzialmente nel mercato in cui gi si presenti; mentre nella seconda la ricerca si estende a tutti i mercati in cui le risorse aziendali possono essere impegnate con successo. Definizione di marketing: Il marketing si occupa di: - analisi del mercato, - programmazione dei profitti, - promozione della domanda, - esecuzione della vendita. Il termine marketing, che appare intraducibile nella nostra lingua, indica il processo mediante cui lazienda studia il mercato o i mercati che ritiene interessanti, analizza le tendenze della domanda e la situazione della concorrenza, individua lesistenza di opportunit di business, orienta la produzione in funzione dei potenziali acquirenti da conquistare, crea la domanda per i nuovi prodotti e provvede a collocare questi ultimi presso gli sbocchi prescelti. Alla luce della definizione proposta, il marketing si pone come una particolare filosofia di gestione, incentrata sul mercato e protesa a trovare il miglior equilibrio tra le potenzialit di offerta aziendale e le esigenze attuali e prospettiche della domanda, per questo motivo costituisce una funzione fondamentale nellambito dellorganizzazione aziendale.
3. LA GESTIONE COMMERCIALE Nellambito della funzione commerciale si possono individuare due gruppi di compiti: - funzioni di marketing: analisi e studi di mercato, programmazione nuovi prodotti, programmazione e controllo di vendita, promozione e sviluppo delle vendite. - funzioni di vendita: gestione prodotti finiti, amministrazione vendite, gestione vendite (rete di vendita, distributori, assistenza tecnica). Le responsabilit di marketing richiedono competenze prevalentemente di studio e una centralizzazione degli organi a cui esse debbono essere confidate, mentre quelle di vendita comportano prevalentemente delle azioni da svolgere in diretto contatto con il mercato. Per questo non possibile ipotizzare un loro accentramento al vertice dellorganizzazione, ma indispensabile unampia decentralizzazione delle responsabilit nella struttura aziendale.
4. LE POLITICHE DI MARKETING Le politiche di marketing, nel loro insieme, compongono la combinazione o mix di marketing, cio la miscela degli strumenti rivolti allottenimento degli obiettivi di mercato fissati di periodo in periodo. Queste possono essere raggruppate in quattro politiche fondamentali: - la politica del prodotto - la politica del prezzo - la politica di promozione e sviluppo delle vendite - la politica di distribuzione commerciale 27 Lorientamento delle politiche di marketing: E possibile rilevare tre tipi di orientamento relativi al marketing: - CUSTOMER SATISFACTION: soddisfazione della clientela, - CUSTOMER RETENTION: fidelizzazione della clientela, - TIME BASED COMPETITION: competizione basata sulla velocit che si divide a sua volta in: Time to market (tempi dintroduzione e lancio nel mercato di nuovi prodotti e servizi) Time to customer (tempi di messa a disposizione di prodotti e servizi per il cliente) Flessibilit (tempi di adattamento dei prodotti e servizi alle mutate esigenze della clientela)
5. IL COMPORTAMENTO DEL CONSUMATORE Le scelte del consumatore sono tanto pi ampie quanto maggiore la sua discrezionalit nella destinazione del reddito disponibile. Si parla quindi di: - reddito impegnato, quando sufficiente a coprire solo i bisogni essenziali o di prima necessit, - reddito discrezionale, se oltre allappagamento dei bisogni essenziali e possibile soddisfare bisogni voluttuari (non essenziali) Il processo di acquisto prevede tre fasi di scelta per il consumatore (scelta del bisogno da soddisfare, scelta del bene in grado di soddisfare quel bisogno, scelta del produttore ossia della marca) e quindi tre momenti di competizione per il produttore: - concorrenza indiretta (tra bisogni) - concorrenza allargata (tra beni) - concorrenza diretta (tra marche) ES. Un consumatore ha una quota di reddito disponibile da destinare a bisogni voluttuari (svago o cultura), egli dovr innanzi tutto adottare una scelta circa il bisogno da soddisfare (per es. svago), poi dovr scegliere il bene che riterr idoneo ad appagare il suo bisogno (per es. un viaggio allestero piuttosto che andare allo stadio) ed infine dovr selezionare una particolare offerta (scegliere tra le agenzie di viaggio). Il tour operator, su cui cadr la scelta finale del consumatore, ha vinto tre tipi di competizione: la concorrenza indiretta con la cultura, la concorrenza allargata con lo stadio, la concorrenza diretta con le altre agenzie di viaggio. Abitudini dacquisto: il processo di acquisto si realizza in pratica mediante un complesso di scelte del consumatore. La conoscenza delle abitudini del consumatore permette allazienda di orientare le sue politiche di marketing, che possono essere rivolte ad assecondare le abitudini esistenti o a creare nuovi modelli di comportamento. Secondo uno schema teorico, le motivazioni dacquisto si dividono in tre gruppi: a) motivazioni razionali (rapporto prezzo-qualit) b) motivazioni emotive (fattori di gusto, di estetica, di personalit del consumatore) c) motivazioni di patrocinio (fiducia nel produttore o nel distributore) Segmentazione del mercato: a causa delleterogeneit dei comportamenti dei consumatori, ogni mercato si pu frazionare in pi sub-mercati e segmenti di mercato, ciascuno comprendente una particolare categoria di acquirenti. Allimpresa quindi interesser cogliere le principali uniformit di comportamento ed isolare classi di clientela che, per omogeneit e dimensione, si prestino ad essere considerate come un solo sub-mercato, meritevole di essere gestito in modo indipendente. PARAMETRI PER LA SEGMENTAZIONE DEL MERCATO: o parametri demografici (et, sesso, razza, nazionalit, ampiezza della famiglia) o parametri socio-economici (reddito, professione, istruzione) o parametri ubicazionali (popolazione urbana, suburbana, rurale) o parametri psicografici (personalit, autonomia, preferenza per linnovazione) o parametri comportamentali (disposizione allacquisto, grado di fedelt, benefici desiderati) 28
6. STRATEGIE DI MARKETING Di fronte ad un mercato segmentabile limpresa pu adottare tre differenti atteggiamenti: - MARKETING INDIFFERENZIATO: considera il mercato come se fosse omogeneo, prescindendo cio dalla sua segmentabilit. - MARKETING DIFFERENZIATO: si indirizza verso un gran numero di segmenti di mercato mediante la formulazione di diversi programmi di marketing. - MARKETING CONCENTRATO: si indirizza verso uno solo o, al massimo, pochi segmenti di mercato con un unico programma di marketing. Il posizionamento: ogni impresa persegue, quindi, la conquista di una o pi nicchie di mercato, allinterno delle quali essere in grado di soddisfare un determinato gruppo di acquirenti senza subire attacchi temibili da parte della concorrenza. Infatti limpresa dopo aver segmentato il mercato e aver scelto i segmenti da soddisfare, deve decidere quale posizione andare ad occupare nei segmenti prescelti. Poich in ciascun segmento probabile che vi siano pi concorrenti si pone il problema di scegliere anche con quali competitori misurarsi in base alleffettiva possibilit di ritagliarsi, in posizione di vantaggio competitivo, una porzione del segmento servito. Il posizionamento esprime quindi il modo in cui il prodotto percepito da un gruppo rilevante di clienti (il target) rispetto ai prodotti con i quali in concorrenza. Per posizionamento infatti KOTLER intende linsieme di iniziative volte a definire le caratteristiche del prodotto dellimpresa e ad impostare il marketing-mix pi adatto per attribuire una certa posizione al prodotto nella mente del consumatore. Limpresa dovr quindi fissare le caratteristiche del prodotto nei confronti 1) dei consumatori, nel senso che cercher di fare identificare, riconoscere e percepire il prodotto offerto in una determinata maniera, 2) dei concorrenti, rispetto ai quali tenter di assumere una posizione differenziale (lontana, occupando i vuoti dofferta e sfruttando spazi non presidiati) o imitativa (vicina).
7. LA POLITICA DEL PRODOTTO La politica del prodotto presenta degli aspetti prevalentemente di lungo termine, infatti le scelte sui prodotti presuppongono delle decisioni dinvestimento non modificabili, senza conseguenze particolarmente negative nel tempo breve. Aspetti strategici della politica del prodotto: - ampiezza dellofferta (ovvero la maggiore o minore estensione della gamma di vendita) - profondit degli assortimenti (ovvero la distinzione interna alla gamma ed esterna rispetto alla concorrenza) - innovativit delle produzioni (ossia il tasso di rinnovamento e di ricambio dei prodotti posti in vendita) - multiformit delle scelte (ossia la variet degli aspetti secondo cui pu concretarsi la politica del prodotto prodotto, marca, confezione, ecc.)
AMPIEZZA DELLOFFERTA Il concetto di ampiezza deve essere inteso in senso orizzontale come molteplicit di tipi di prodotti e non quale assortimento di modelli diversi (tipi di prodotto sono in unazienda produttrice di mezzi di trasporto, lauto e la moto, mentre i modelli sono rappresentati dalle auto e moto di diversa cilindrata, con diverse versioni, ecc.). Differenze con la politica di diversificazione del prodotto: Un problema di definizione potrebbe forse intravedersi tra strategia di diversificazione produttiva e politica di gamma. Questo dipende dalla difficolt, in certi casi, di inquadrare il concetto di settore, perch la diversificazione riguarda loperativit dellimpresa in pi settori, mentre lampiezza concerne la compresenza di pi tipi di prodotto appartenenti allo stesso settore. 29 Finalit della politica di gamma: - far crescere il volume complessivo delle vendite, - conseguire una migliore economici nei processi operativi (x lopportunit di allestire a costi decrescenti pi ampie tipologie merceologiche), - pervenire ad un maggiore frazionamento del rischio, Inoltre bisogna tener conto dei rapporti di complementarit e sostituibilit dei diversi beni prodotti. A questo proposito si parla di prodotti strategici e prodotti da richiamo. Prodotti strategici: Allinterno di ogni impresa ci sono i cosiddetti prodotti da reddito, destinati a generare i maggiori flussi di cassa. I prodotti strategici sono prodotti la cui presenza necessaria per favorire la vendita dei primi.(per vendere le pellicole fotografiche prodotto da reddito bisogna vendere anche la macchina fotografica prodotto strategico). Prodotti da richiamo: beni che, a causa della particolare convenienza di acquisto, possono richiamare lattenzione dellacquirente sullintera gamma e contribuire cos alla vendita dei prodotti da reddito.
PROFONDITA DEGLI ASSORTIMENTI Quasi sempre ogni tipo di prodotto viene portato al mercato in una variet di modelli, versioni o formati. Si parla in questo caso di profondit dellassortimento. Lassortimento produttivo dovuto a: - caratteristiche intrinseche del tipo di prodotto (ad es. abiti confezionati, calzature da adattare a taglie diverse) - segmentazione della domanda e posizionamento dellofferta, da differenziare in funzione dei gruppi di consumatori da servire, - invecchiamento dei modelli e differente capacit di contribuzione al reddito dimpresa. La gamma di vendita dunque la risultante di tre tipi di scelte: 1. scelta dei settori di attivit (politica di concentrazione o di diversificazione) 2. scelta delle linee produttive (politica di produzione unica o multipla - ampiezza) 3. scelta dei modelli da produrre (politica degli assortimenti o di differenziazione allinterno delle linee del prodotto- profondit)
CICLO DI VITA DEL PRODOTTO Ogni prodotto dal momento dellimmissione nel mercato a quello della sua eliminazione dalla gamma di vendita attraversa quattro fasi: - INTRODUZIONE, in cui il prodotto inizia ad affermarsi con una crescita piuttosto debole delle vendite. Nella fase di introduzione il prodotto, anche se venduto ad un prezzo elevato, genera perdite, a causa della limitatezza della quantit collocata e degli alti costi distributivi e promozionali da sopportare per la sua immissione sul mercato (vendite scarse, alto costo per il cliente, profitti negativi, clienti: innovatori, pochi concorrenti) - SVILUPPO, in cui lespansione delle vendite avviene ad un ritmo molto rapido, a seguito dellaffermazione del prodotto nel mercato. Ci consente lottenimento di margini crescenti, data anche la riduzione dei costi unitari dovuti sia a risparmi assoluti di costi sia alla possibilit di diffondere i costi totali su una maggiore quantit di produzione, inoltre lazione promozionale comincia a produrre appieno i suoi frutti e lattivit di collocamento facilitata a causa dellinteresse suscitato nei distributori (vendite rapidamente crescenti, costo per il cliente medio, profitti crescenti, clienti: adottanti iniziali, concorrenti in aumento crescente) - MATURITA, in cui le vendite continuano a svilupparsi, ma ad un tasso meno elevato. Il prodotto continua a generare profitti elevati per effetto soprattutto dellallargamento del mercato, ma la situazione competitiva diventa + difficile a cagione sia della concorrenza sviluppatasi nel mercato sia dalla stazionariet della domanda: il volume delle vendite, infatti, si stabilizza e comincia ad accusare delle lievi flessioni (picco delle vendite, basso costo per il cliente, profitti alti, clienti: maggioranza, concorrenti. Numero stabile che inizia a ridursi) 30 - DECLINO, in cui il volume delle vendite comincia a ridursi + o meno rapidamente per lobsolescenza del prodotto, per limmissione di un prodotto sostitutivo o per la saturazione della domanda. inevitabile che i consumatori perdono progressivamente interesse per il prodotto, questo fa si che i margini di profitto si comprimono ad un punto tale da consigliare la radiazione del prodotto dalla gamma. (vendite decrescenti, basso costo per il cliente, profitti declinanti, clienti: ritardatari, concorrenti in riduzione). Il ciclo di vita del prodotto come osserva Kotler pu riferirsi: alla categoria del prodotto (sigarette) alla versione del prodotto (sigarette con filtro) alla marca (Marlboro) Differenziazione nel ciclo di vita del prodotto: Sullampiezza temporale delle varie fasi e quindi sulla vita utile del prodotto influiscono le particolari condizioni concorrenziali e le scelte assunte dalla stessa impresa venditrice. Questa infatti pu abbreviare o allungare il ciclo di vita del prodotto con politiche di invecchiamento precoce o di ringiovanimento: con le prime, mediante limmissione nel mercato di modelli nuovi, accentua la fase di declino delle vendite, mentre con la seconda pu anche far iniziare per il prodotto un nuovo ciclo di vita.
MATRICE DELPORTAFOGLIO PRODOTTI La matrice del portafoglio prodotti valuta la differente partecipazione al reddito aziendale dei prodotti inseriti nella gamma. Matrice BCG: La matrice elaborata dal Boston Consulting Group suddivide i prodotti in quattro gruppi o classi in funzione del cash-flow generato, intendendo con questo termine il divario tra investimenti e ritorni relativi a ciascun tipo di prodotto. La matrice stabilisce un rapporto diretto tra cash-flow di prodotto e condizioni interne (quota di mercato) ed esterne (sviluppo della domanda) in cui esso si trova. Nella matrice BCG la scelta delle variabili rappresenta il punto di vista del BCG sul fatto che la crescita della domanda il fatto che + di ogni altro d la misura dellattrattivit del settore e, in secondo luogo, che la posizione competitiva soprattutto determinata dalla quota di mercato.
ALTO
STELLE (star prodotti di successo)
ENIGMI (question marks prodotti rischiosi)
BASSO
VACCHE DA MUNGERE (cash cow prodotti da reddito)
CANI (dog - prodotti marginali)
Tasso annuale reale di crescita del mercato
ALTA
BASSA
Quota di mercato relativa
PRODOTTO MARGINALE: presenta un flusso di cassa insoddisfacente se non addirittura negativo, a causa del costo elevato da sostenere per mantenere una posizione competitiva debole. In un mercato che non cresce ed in cui lazienda detiene una quota modesta vendere sar difficile e costoso, nel tempo dunque - questo prodotto finir per assorbire pi che produrre reddito. PRODOTTO RISCHIOSO: ha il cash-flow peggiore perch richiede elevati investimenti per fronteggiare un mercato in rapido sviluppo, nel quale per la quota detenuta, e quindi i ricavi lucrati, sono limitati: si tratta, in effetti, di un prodotto che deve diventare di successo oppure va eliminato dalla gamma. 31 PRODOTTO DI SUCCESSO: presenta un cash-flow positivo anche se, per fronteggiare la concorrenza in un mercato in rapida espansione, sar necessario continuare ad investire risorse. PRODOTTO DA REDDITO: quello che dar i ritorni pi soddisfacenti perch lazienda potr sfruttare, senza grandi sacrifici, la sua posizione di forza (alta quota) in un mercato poco interessante per la concorrenza (perch non si sviluppa). Matrice General Electric e Mc Kinsey: questa matrice, messa a punto da queste due societ, fondata sullattrattivit del mercato e sulla posizione competitiva. In realt queste due variabili includono gli elementi della matrice BCG (sviluppo della domanda e quota di mercato), ma ipotizzano nove possibili situazioni per ciascuna impresa e consentono di approfondire lanalisi dei fattori che determinano queste situazioni. Lattrattivit di un settore infatti funzione del tasso di crescita della domanda, ma anche da rapportare ai margini di profitto conseguibili, alla dimensione totale del mercato e ad altri fattori che possono essere importanti a seconda dei casi. Allo stesso modo la posizione competitiva oltre ad essere funzione della quota di mercato, pu rapportarsi alla velocit della sua crescita, al grado di innovativit dei prodotti, ecc.
ATTRATTIVIT DEL SETTORE FORZA COMPETITIVA
AREA DELLINVESTIMENTO: (1,2,4) - necessit di investire per rafforzare la posizione di mercato detenuta. AREA DEL DISINVESTIMENTO. (6,8,9) - posizioni di scarso interesse per le quali necessario disinvestire e realizzare quanto possibile. AREA INTERMEDIA: (3,5,7) - le decisioni aziendali dovrebbero essere di mantenimento della posizione occupata in funzione delle prospettive di evoluzione.
LA PROGRAMMAZIONE DI NUOVI PRODOTTI Il continuo rinnovamento dellofferta, che consente di mantenere una posizione di privilegio sul mercato, il risultato della ricerca e dello sviluppo originale di nuove idee da parte di organi e secondo procedure appositamente formalizzate nellorganizzazione. La realizzazione di nuovi prodotti richiede, infatti, studi di mercato, valutazioni economico-finanziarie, sperimentazioni di ordine tecnologico, predisposizione di campagne pubblicitarie. LE FASI: per valutare lopportunit di mettere in listino un nuovo prodotto sono indispensabili: - uno studio di fattibilit tecnica (per accertare le possibilit di realizzare il prodotto) - uno studio di mercato (per stimare la fattibilit commerciale ossia il grado di vendibilit del prodotto) - uno studio di costi (per calcolare il margine di redditivit e lentit dellinvestimento necessario) - uno studio finanziario (per individuare le possibili fonti di finanziamento del progetto)
ALTRE SCELTE CHE RIENTRANO NELLA POLITICA DEL PRODOTTO La politica della marca: Alta 1 2 3 Media 4 5 6 Bassa 7 8 9 Elevata Media Debole 32 La marca rappresenta la via per differenziare le produzioni aziendali e per completare, attraverso gli strumenti promozionali, il messaggio rivolto dallimpresa alla sua clientela. Limpresa pu scegliere fra ladozione di: - una marca industriale o commerciale, - una marca unica per lintera famiglia di prodotti (family brand o firm brand) - o marche distinte per ciascun prodotto venduto (product brand) Lassenza di una politica della marca frequente da parte delle piccole unit industriali, che non hanno la capacit di conferire la necessaria spinta allazione di vendita da sviluppare nel mercato e che, quindi, preferiscono cedere in bianco il prodotto al distributore (solitamente compreso fra le imprese del grande dettaglio o fra le industrie maggiori operanti nello stesso mercato). In tal caso lazione promozionale ricade sullazienda acquirente, che pu sfruttare il proprio marchio e i propri punti di vendita per collocare il prodotto presso i consumatori (vedi la coop). La politica della presentazione: Per certi tipi di beni la confezione assume unimportanza considerevole sotto il profilo promozionale oltre che sotto quello della migliore conservazione del prodotto. Il tipo di confezione spesso sfruttato per acquistare un vantaggio differenziale, inducendo il consumatore a preferire quel tipo di marca rispetto alle altre poste dalla concorrenza. La politica delle garanzie: La garanzia di qualit pu essere implicita nel nome del produttore, quando questi abbia acquisito una posizione di prestigio nel mercato, oppure essere esplicitatamene riconosciuta mediante lapposizione di marchi di qualit (lana vergine, vero cuoio, ecc.). La politica dellassistenza post-vendita: Tale politica si attua attraverso la concessione di garanzie di funzionamento, che si concretano nellassicurare lassistenza gratuita da parte del produttore, generalmente entro un certo lasso di tempo dalla data di acquisto del bene. La garanzia di uso uno strumento promozionale di grande rilevanza in alcuni settori produttivi, in quanto il compratore collega ad essa una migliore qualit del prodotto.
8. LA POLITICA DEL PREZZO La politica del prezzo si concreta: a) nella formulazione del sistema dei prezzi da applicare ai prodotti compresi nella gamma (problema della determinazione dei prezzi di vendita) b) nellamministrazione dei listini praticati alla clientela (problema della discriminazione e del controllo dei prezzi) LA DETERMINAZIONE DEI PREZZI DI VENDITA: La determinazione del prezzo avviene, di solito, sulla base delle seguenti premesse generali: - funzione del prezzo in relazione alla segmentazione del mercato e al posizionamento della marca, - equilibrio volumi-margini da conseguire, - ruolo del particolare prodotto (modello) allinterno della gamma di vendita, - peso della politica del prezzo nel marketing-mix. La determinazione dei prezzi si concreta nellindividuazione del possibile margine di manovra del prezzo. Larea di manovra risulta definita soprattutto da tre elementi: 1. costo del prodotto 2. elasticit della domanda 3. pressione della concorrenza E quindi evidente che la possibile escursione del prezzo dipende da molti fattori, fra i quali assumono un maggior peso: - la concorrenza reale, cio la presenza nel mercato di prodotti con caratteristiche pi o meno similari a quelle del prodotto considerato, 33 - la concorrenza potenziale, ossia la possibile entrata di altri produttori, una volta superate certe soglie di prezzo, - la concorrenza indiretta, cio la minaccia di prodotti sostitutivi, - il grado di differenziazione del prodotto rispetto alla concorrenza - la qualit del servizio fornito insiema al prodotto. Politiche di prezzo: PENETRAZIONE DEL MERCATO: limpresa mira a raggiungere il numero pi ampio di consumatori mediante la fissazione di un prezzo minimo (compatibile ovviamente con la soglia di redditivit fissata per linvestimento) che le consenta di acquisire immediatamente una larga fascia di clientela e di recuperare, in termini di profitto globale, il minor margine unitario. La politica di penetrazione consigliabile quando possibile ottenere significative economie di scala ed allorch la differenziazione del prodotto annullabile in tempi brevi. La minaccia della concorrenza reale e potenziale e lopportunit di sfruttare delle economie di costo possono consigliare al produttore, soprattutto se il prodotto si presta ad essere accettato subito dai consumatori, di scegliere lobiettivo di una conquista rapida della pi ampia quota di mercato. SCREMATURA DEL MERCATO: limpresa si prefigge la conquista successiva di segmenti di mercato sempre meno ricchi o, per meglio dire, di classi di consumatori disposte a spendere sempre meno per acquistare il particolare prodotto. Questo obiettivo di scrematura si collega dunque ad una politica di prezzi inizialmente elevati e decrescenti nel tempo, il cui fine la massimizzazione del profitto unitario come via per massimizzare il profitto globale. La politica di scrematura si fa preferire allorch il prodotto gode di una protezione diffusa nel tempo, non si presta ad essere accolto immediatamente da larghe fasce di clientela e consente, a causa della differente elasticit della domanda rispetto al prezzo, di segmentare redditiziamente il mercato. In questo caso, infatti, linvestimento appare meno rischioso perch il prodotto pu essere inizialmente immesso in quantit ridotte e, per di +, gli ampi margini unitari di vendita permettono di autofinanziare, in parte non modesta, linvestimento globale. Interdipendenza tra i prodotti: Nella fase di determinazione dei prezzi importante saper valutare se, tra i prodotti posti in vendita, esistano delle relazioni di interdipendenza e quindi saper stabilire, in caso affermativo, in quale modo esse debbano essere regolate. Per valutare linterrelazione fra i prezzi dei prodotti venduti, si pu calcolare lindice di elasticit incrociata, cio, nellipotesi di bue beni A e B, il rapporto fra la variazione percentuale della domanda del bene A rispetto a quella del prezzo del bene B.
E a,b = (Va/Va)/(Pb/Pb) Dove: Va = domanda del bene A Pb = prezzo del bene B
Se lelasticit della domanda del bene A rispetto al prezzo del bene B dovesse risultare: - positiva i beni sarebbero intersostituibili (ad un aumento del prezzo del bene B corrisponde un aumento delle vendite del bene A) - negativa i beni sono da considerarsi complementari (ad un aumento del prezzo del bene B diminuiranno anche le vendite del bene A) - bassa o nulla, beni non correlati (la domanda del bene A non risente delle variazioni del prezzo del bene B) LA DISCRIMINAZIONE E IL CONTROLLO DEI PREZZI DI VENDITA Dopo una prima determinazione di un prezzo base limpresa trova conveniente determinare, per il medesimo prodotto, una scala di prezzi, che contribuisca a rendere lofferta pi elastica ed omogenea alle modalit secondo cui si manifesta la domanda. I fattori che possono contribuire ad una variazione del prezzo base sono: 34 - i margini commerciali (sul prezzo finale infatti graveranno le detrazioni dei vari intermediari mercantili), - le discriminazione tra clienti, - le variazioni in funzione delle condizioni contrattuali (sconti sui volumi, modalit di pagamento, tempi di consegna) - il grado di controllo del mercato finale (i prezzi del produttori infatti possono essere suggeriti, imposti o liberi)
9. LA POLITICA DI PROMOZIONE E SVILUPPO DELLE VENDITE La politica promozionale pu essere definita come il complesso di azioni poste in essere dallimpresa per indurre, preservare o modificare i modelli di comportamento degli operatori di mercato (consumatori, intermediari, finanziatori, altri produttori, ecc.) allo scopo di ritrarre un vantaggio competitivo. Obiettivi: - la politica promozionale ha come obiettivo non solo laumento delle vendite, ma anche la creazione di una migliore immagine dellimpresa. - Lo scopo ultimo e pi specifico della promotion comunque di creare preferenze, dinformare e di persuadere ad acquistare i beni prodotti dallimpresa. - Per indurre allacquisto la politica promozionale deve sfruttare le motivazioni che determinano il comportamento del consumatore. Processo di formazione delle decisioni di acquisto: I modelli elaborati dagli psicologi concordano nellindividuazione di tre momenti o fasi successive: 1. il momento cognitivo (stadio conoscitivo), in cui si acquisisce la consapevolezza del bisogno da soddisfare e sinizia a rivolgere lattenzione ai prodotti idonei a tale scopo, 2. il momento emotivo (stadio affettivo), in cui lattenzione si trasforma prima in interesse e, poi, nel desiderio di disporre del prodotto, 3. il momento attivo (stadio comportamentale), in cui si passa alla fase materiale dellacquisto mediante una comparazione delle varie offerte di mercato. Strumenti: limbuto promozionale La politica promozionale pu essere realizzata mediante: - lattivit di relazioni pubbliche, - la pubblicit, - la promozione in senso stretto, - lattivit persuasiva dei compratori. Queste attivit si collocano diversamente in quello che pu essere definito limbuto promozionale. PUBBLICHE RELAZIONI: questa attivit consiste nel fare accogliere positivamente le realizzazioni aziendali. Attraverso conferenze, convegni, istituzione di borse di studio, opere sociali, beneficenza, ecc.,limpresa riesce infatti a farsi accettare dal pubblico, in modo da ottenere lappoggio necessario per svolgere pi proficuamente la sua attivit.le relazioni pubbliche nel breve periodo quindi non si propongono di far vendere dei prodotti ma di far conoscere limpresa, di creare unimmagine. Per questo si trovano allinizio dellimbuto, dato che hanno lo scopo di raggiungere il + vasto pubblico possibile (massimo effetto orizzontale o informativo) senza tuttavia mirare immediatamente a risultati di vendita (minimo effetto verticale o persuasivo). PUBBLICIT: qualsiasi forma di messaggio impersonale inviato a pagamento da un promotore individuato a coloro che sono interessati al prodotto: - media (giornali, radio, tv) - affissioni (fisse e mobili) - internet E di solito attuata mediante apposite campagne in cui prevista lutilizzazione concentrata di + veicoli pubblicitari. Le campagne possono essere necessarie: per propagandare un nuovo prodotto (campagne di lancio) 35 per rivitalizzare un prodotto in declino (campagne di urto) per rafforzare laffermazione della marca (campagne di prestigio) per sottolineare la continuit di presenza del prodotto nel mercato (campagne di ricordo) Indici per la scelta dei media: Per la scelta dei media, due utili indici di riferimento sono: - il costo contatto: costo del messaggio pubblicitario/ audience potenzialmente raggiungibile. - lindice di penetrazione: audience potenzialmente raggiungibile/popolazione al di sopra dei 15 anni di et. PROMOZIONE IN SENSO STRETTO: si concreta nel creare, di solito per periodi limitati di tempo, particolari incentivi per lacquisto dei prodotti aziendali. Si tratta spesso di campagne speciali di vendita, cio di iniziative prese in determinate occasioni per facilitare laffermazione di un prodotto nuovo o per rivitalizzare un prodotto in declino, per vivacizzare la domanda in periodi di bassa richiesta, per smaltire scorte esuberanti. La promozione commerciale si pu attuare procedendo, per prodotti nuovi, a distribuzione gratuita di campioni o al suo abbinamento con un altro articolo gi noto, in generale si possono concedere sconti sugli acquisti, come il 3x2, offerte speciali. Sovente le campagne promozionali si collegano alla partecipazione a fiere e mostre campionarie o a particolari ricorrenze aziendali. VENDITORI: i venditori, sia se distributori autonomi sia se dipendenti aziendali, si trovano a contatto con la clientela e possono esercitare unazione persuasiva di grande efficacia. Il loro ruolo di consulenti di acquisto li pone, infatti, in una posizione preminente nellintero processo promozionale. (ultimo elemento dellimbuto: minore effetto informativo, maggiore forza di persuasione).
10. LA POLITICA DI DISTRIBUZIONE COMMERCIALE Per limpresa industriale, la politica distributiva comporta, in realt, scelte relative: alla determinazione del livello di contatto con il mercato (fino allo stadio del commercio allingrosso, del dettaglio o del consumo finale) allintensit della distribuzione (vendita estensiva, selettiva od esclusiva) alla scelta del canale e quindi al tipo di operatori cui affidare il collocamento del o dei prodotti aziendali (venditori aziendali, commercianti, ausiliari mercantili) In altri termini le scelte distributive riguardano la tipologia degli sbocchi attraverso cui far defluire i beni posti in vendita, il loro numero e il modo di collegarsi con essi.
1. Livello di contatto: E evidente che appare innanzi tutto opportuno scegliere il livello di contatto con i consumatori, ossia la tipologia degli sbocchi attraverso cui far defluire i beni posti in vendita. Diventa quindi importante accertare se, ad esempio, gli acquirenti prediligono una forma di vendita diretta al consumo o se propendono per lacquisto presso unit dettaglianti di piccole dimensioni o di grandi dimensioni, e in questo caso se preferiscono trovare il prodotto presso centri commerciali, ecc. Questo primo accertamento di solito non presenta particolari difficolt perch ci si trova di fronte ad abitudini di acquisto rilevabili con opportune ricerche. ASPETTO VERTICALE DELLA DISTRIBUZIONE: Questa scelta va chiaramente a determinare la lunghezza del circuito (aspetto verticale). Questo aspetto chiaramente concerne il grado di controllo che si desidera conservare sulla domanda finale. 2. Intensit della distribuzione: Ulteriore scelta quella dellintensit della distribuzione, ossia del numero di sbocchi per la vendita. Questa opzione riguarda in effetti la decisione tra una vendita estensiva, cio con la massima copertura dei punti finali di vendita, o selettiva cio attraverso un numero limitato e selezionato di sbocchi, nel caso limite la distribuzione pu assumere il carattere di vendita esclusiva. La scelta chiaramente determinata in base alle abitudini di acquisto dei consumatori, ma anche in base a fattori di politica aziendale (obiettivi di massimizzazione delle vendite, di prestigio, ecc.) 36 ASPETTO ORIZZONTALE DELLA DISTRIBUZIONE: stabilire un numero di sbocchi significa quindi determinare lintensit della distribuzione che rappresenta laspetto orizzontale della distribuzione stessa. possibile misurare lintensit della distribuzione attraverso il grado di copertura del mercato. Il grado di copertura funzione non solo del numero di punti di vendita, ma anche del loro peso relativo, per cui va correttamente misurato sulla base di due indici: - la quota numerica dei punti di vendita (rapporto tra punti di vendita aziendali e punti di vendita totali) - la quota ponderata (rapporto tra il volume di affari realizzato dai punti di vendita toccati dallazienda e quello ottenuto da tutti i punti di vendita). 3. Scelta del canale: La terza scelta riguarda il modo di collegamento tra gli operatori. La scelta tra: - canali diretti (produttore consumatore) - canali brevi (produttore dettagliante consumatore) - canali lunghi (produttore grossista dettagliante consumatore) Distribuzione condizionata dalla strategia di marketing: la scelta del tipo di distribuzione si collega, innanzi tutto, allorientamento della azione di vendita da attuare: per strategie di marketing di spinta (o di push), lazienda deve far ricorso a forme distributive particolarmente incisive e penetranti nei confronti del mercato ultimo da raggiungere. per strategie di marketing di attrazione (o di pull), lazienda deve sfruttare soprattutto lo strumento pubblicitario, a cui si aggiunger lo sforzo distributivo.
11. LIMPORTANZA DEL CUSTOMER RELATIONSHIP MANAGEMENT (CRM) Il marketing relazionale si riferisce alla gestione di attivit finalizzate a stabilire, mantenere e potenziare una relazione con il consumatore che trascende il singolo atto di scambio: lobiettivo dunque quello di coinvolgere il consumatore in una relazione individuale (one-to-one), di lungo termine, accrescendone il grado di fedelt. Lincremento del grado di fedelt del cliente (e quindi lincremento del customer retention aziendale) genera difatti significativi effetti sulla profittabilit dellimpresa perch: acquisire un nuovo cliente unattivit che ha un costo che potrebbe non essere ammortizzato sulla singola transazione, per cui i profitti derivanti dal singolo cliente aumentano dopo che i costi di acquisizione sono stati totalmente coperti, se i clienti restano fedeli allazienda il relativo flusso di ricavi aumenta nel corso del tempo (anche grazie allattivit di cross selling) mentre i costi correlati possono ridursi (se limpresa riesca ad esempio a valorizzare le economie di apprendimento e ad accresce il suo grado di efficienza) i consumatori fidelizzati attivano un processo di passa-parola (word of mouth) i consumatori fidelizzati percepiscono elevati switching cost nel passaggio verso un nuovo fornitore (es. compagnia telefonica, carte di credito, banca, ecc.) Lobiettivo finale del marketing relazionale , dunque, il miglioramento della profittabilit nel lungo termine e la massimizzazione del Customer Lifetime Value (CLV). Il CLV definisce il valore che nel lungo termine un cliente pu generare per una determinata impresa. CLV = Valore medio della transazione Frequenza annua di acquisto Ciclo di vita atteso del cliente
Confezione di palline da tennis: CLV = 10 10 volte lanno 30 anni = 3000
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CAPITOLO 9: La gestione della produzione
1. IL RUOLO DELLA FUNZIONE DI PRODUZIONE La funzione di produzione riguarda il processo di trasformazione dei beni, cio il complesso di operazioni mediante il quale le risorse acquistate dallimpresa (materie prime, ausiliarie, semilavorati, ecc.) sono tramutate in prodotti finiti da collocare nel mercato. Il ciclo produttivo si pone, pertanto, al centro del processo di gestione dovendo essere preceduto dalla fase degli approvvigionamenti e seguito da quella delle vendite. Collegamenti: La funzione di produzione strettamente collegata alle altre funzioni aziendali: - il rapporto con la funzione di approvvigionamento necessario per la corretta e tempestiva alimentazione delle linee di produzione, - quello con la funzione commerciale di duplice ordine, sia per la necessit dindirizzare la produzione secondo le tendenze di mercato sia per porre in fase il ciclo di produzione e quello di vendita, - il rapporto con la funzione finanziaria molto stretto sotto il profilo della programmazione del fabbisogno di capitale fisso e circolante, - e cos il discorso potrebbe proseguire accennando alle relazioni con la funzione di ricerca e sviluppo, del personale, ecc. Le scelte che ricadono nellarea della produzione possono essere distinte in tre gruppi: a) scelte strategiche, il cui obiettivo di concorrere alla creazione del vantaggio competitivo (gamma di produzione, rapporti qualit-servizio, standardizzazione o differenziazione), b) scelte strutturali, il cui scopo di costituire il sistema operativo, coordinando le risorse disponibili. Sono scelte di progettazione soprattutto della tecnologia e dellimpianto e possono avere riflessi prevalentemente quantitativi (ad es. dimensione dellimpianto) o qualitativi (ad es. grado di automazione e di flessibilit), c) scelte di gestione operativa, la cui finalit di razionalizzare loperativit del processo produttivo mediante la programmazione e il controllo della produzione. Sono intese a disciplinare lavanzamento del processo di lavorazione, programmato nelle sue combinazioni quali-quantitative e controllato nei suoi risultati fisici allo scopo di ottimizzare limpiego di mezzi di produzione.
2. I RAPPORTI TRA STRATEGIA DI PRODUZIONE E STRATEGIA COMPETITIVA La funzione di produzione direttamente coinvolta nella strategia competitiva, nel senso che la strategia di produzione devessere centrata sugli aspetti prioritari della strategia competitiva:
OBBIETTVI DELLA STRATEGIA DI PRODUZIONE STRATEGIA COMPETITIVA Abbassamento dei costi di produzione Leadership di costo o focalizzazione omogenea Recupero di efficienza dei processi operativi Leadership di costo Innovazione nei prodotti Focalizzazione differenziata Miglioramento della qualit del prodotto e del servizio Differenziazione
Le principale scelte di produzione sul piano strategico riguardano: la determinazione del mix (tipologia e assortimenti qualitativi) e delle quantit di produzione la progettazione dellimpianto (dimensione, tecnologia e servizi di supporto) la logistica (integrazione verticale e decentramento produttivo)
3. LA TIPOLOGIA DEI PROCESSI PRODUTTIVI 38 possibile distinguere quattro diverse tipologie di processi produttivi: - produzione di beni per unit distinte, - produzione di massa differenziata - produzione di massa standardizzata - produzione omogenea continua PRODUZIONE DI BENI PER UNITA DISTINTE: la produzione su commessa comporta unelevata capacit di adattamento alle richieste della clientela, attrezzature meno specializzate e personale + versatile. Ogni commessa richiede lapposita programmazione dellintero ciclo di lavoro ed il costante controllo del suo avanzamento. Si tratta di una tipologia di produzione che si adatta a prodotti di valore considerevole, che impegnano gran parte delle risorse disponibili nellimpresa (una nave, una diga). PRODUZIONE OMOGENEA CONTINUA: Allaltro estremo si colloca la produzione continua, che caratterizzata dalla continuit e dallindifferenziazione dei prodotti posti in essere; il modello tipico delle lavorazioni petrolchimiche, del cemento e dellacciaio, che si svolgono secondo processi continui pressoch totalmente automatizzati. Loutput presenta una variet pressoch nulla e viene prodotto in quantit elevate e commercializzato a peso o con altra opportuna unit di misura. In posizione intermedia si situa invece la produzione di massa. PRODUZIONE DI MASSA STANDARDIZZATA (O RIPETITIVA): una tipologia di produzione comune nelle situazioni in cui possibile sfruttare a fondo il principio delle economie di scala. Questo chiaramente possibile quando lomogeneit del mercato consente di fornire agli acquirenti il medesimo tipo di prodotto, commercializzabile al pezzo. PRODUZIONE DI MASSA DIFFERENZIATA: Nellipotesi di fronteggiamento di + strati diversi di consumatori, la produzione assume il carattere delle lavorazioni di massa differenziate, basate su unelevata standardizzazione delle parti componenti e sulla creazione della differenziazione in fase di montaggio (per es. un televisore, composto di pezzi del tutto identici, ma dotato di una differente carrozzeria). Questo tipo di produzione, che in sostanza risponde al principio di standardizzare soprattutto ci che non visibile e differenziare ci che visibile agli occhi dellacquirente, si definisce per lotti in quanto si sviluppa nellallestimento di particolari serie di prodotti, caratterizzate da alcune differenze. Il confine efficiente: Prioritarie ai fini dellorganizzazione dei cicli della lavorazione sono le decisioni circa la lavorazione in proprio o lacquisto allesterno di componenti, parti ed accessori del prodotto. In pratica si pu riconoscere una distinzione fondamentale tra: - OUTSOURCING: opzione revocabile di ricorso al mercato per certe forniture, equivale quindi ad una modalit di approvvigionamento. - DEINTEGRAZIONE: opzione strategica, e per questo irrevocabile, di rinuncia a certe fasi di lavorazione, prima svolte allinterno dellorganizzazione, equivale dunque ad un accorciamento della filiera verticale. Reti di impianti produttivi: Nelle aziende multiplant (ossia aziende che hanno pi stabilimenti) e inoltre possibile scegliere tra tre diversi modelli di produzione. un modello di ripetizione degli impianti: ogni centro produttivo lavora fondamentalmente agli stessi prodotti, un modello di parcellizzazione: ciascun impianto svolge una certa parte del processo di fabbricazione, producendo parti o semilavorati da avviare ad alcuni stabilimenti centrali di montaggio, un modello di specializzazione: ogni impianto produce un particolare tipo di prodotto inserito nella gamma aziendale.
4. LA PROGETTAZIONE DELLIMPIANTO Lay-out: La disposizione fisica delle strutture tecnico-produttive, che compongono lo stabilimento e, pi in particolare, limpianto, costituisce il cosiddetto lay-out, termine che deve intendersi, 39 dunque, come la disposizione delle strutture edilizie, delle macchine, delle attrezzature e dei posti di lavoro allinterno della fabbrica. Una disposizione ottimale delle macchine e della forza lavoro deve contribuire ad ottimizzare limpiego delle quattro M che gli americani includono nellequazione della produzione: Men, Materials, Machines, Money. Tipi di lay-out: La sistemazione dei macchinari pu seguire alcuni criteri principali: - i macchinari possono essere posizionati in sequenza secondo le lavorazioni successive necessarie per giungere alla realizzazione di un certo prodotto finito (LAY-OUT PER PRODOTTO), - i macchinari possono essere accorpati per tipo di operazione/attivit svolta (LAY-OUT FUNZIONALE), - in caso di progetti (navi, aerei) lingombro rilevante e le correlate difficolt di spostamento di semilavorati nelle varie fasi di lavorazione, il prodotto resta fermo e sono le risorse necessarie alla produzione a ruotare nel suo intorno (LAY-OUT A POSTAZIONI FISSE), - quando i prodotti vengono accorpati in gruppi caratterizzati da sequenze di lavorazione simili, ogni gruppo di lavorazioni ad essi destinate viene assegnato ad una cella, in modo da poter lavorare i prodotti che condividono le lavorazioni in quella particolare cella (LAY- OUT A CELLE) Caratteristiche dellimpianto: in relazione alle caratteristiche dellimpianto bisogna distinguere: a) il grado di flessibilit economica: ovvero la capacit dellimpianto di rimanere competitivo anche in condizioni di parziale utilizzazione, b) il grado di flessibilit tecnica, ossia la capacit dellimpianto di adattarsi a produrre beni differenti senza incorrere in costi non sopportabili sotto il profilo competitivo.
5. IL DIMENSIONAMENTO DELLA PRODUZIONE E DELLIMPIANTO Il problema del dimensionamento degli impianti presenta implicazioni soprattutto economiche, in quanto si lega ai concetti di economicit e di rischiosit dellinvestimento. Lobiettivo infatti quello di individuare la dimensione ottimale definibile teoricamente come quella idonea a minimizzare il costo unitario di produzione. Sotto il profilo dimensionale opportuno tener presente due scelte: - la determinazione della capacit produttiva massima dellimpresa - la determinazione della potenzialit ottimale degli impianti. Come determinare il volume globale di produzione: La decisione circa il volume globale di produzione deriva essenzialmente dalla considerazione di fattori di mercato, cio dalla previsione delle quote di vendita nei mercati in cui opera limpresa. evidente che la domanda di mercato avr alti e bassi. Ci significa che se limpresa volesse adeguarsi agli andamenti della domanda, gli impianti sarebbero caratterizzati da un grado di utilizzazione che andrebbe diminuendo al diminuire della domanda. La rigidit degli impianti causerebbe per uno spreco di costi nellipotesi di parziale sfruttamento dellimpianto. Per questo motivo si ricorre alla manovra delle scorte. Per limpresa si tratter quindi di stabilire la capacit di produzione intorno al livello medio della domanda, in modo da poter soddisfare, mediante le scorte, le esigenze del mercato continuando a produrre un quantitativo costante di output.
BREAK-EVEN POINT La leva operativa: Ogni azienda opera con una certa struttura di costi e ricavi e, quindi, con una differente leva operativa. La condizione di leva operativa si traduce nellopportunit di diminuzione dei costi globali unitari di produzione allaumentare del volume prodotto, in funzione del migliore sfruttamento dei costi fissi. Pi gioca la leva operativa, ossia pi elevata lincidenza dei costi fissi sul costo totale, pi aumenta il rischio, ma pi cresce il vantaggio generato dallespansione dellattivit produttiva. Bep: Dato che in qualsiasi struttura di costo vi sono dei costi indipendenti dal volume di produzione e di vendita e degli altri che variano in rapporto ai movimenti di tale volume, sempre necessario 40 raggiungere un volume minimo di attivit per recuperare integralmente i costi fissi e variabili. Questo volume, che caratterizzato dal fatto che i ricavi uguagliano i costi complessivi, quello corrispondente al c.d. punto di pareggio o break-even point (bep) perch in quella condizione per limpresa dovrebbe essere indifferente produrre o rimanere inattiva. Al concetto di punto di pareggio si lega quello del margine di sicurezza rappresentato dalla differenza (espressa solitamente in percentuale della capacit massima di produzione) tra il previsto volume di utilizzo dellimpianto e quello a cui corrisponde il punto di pareggio. Se, ad esempio, lazienda considerata ha un bep al 50% e se prevista la produzione e il collocamento di una quantit pari al 68% della capacit produttiva massima, essa pu disporre di un margine di sicurezza pari al 18%. Ci significa che, anche nellipotesi peggiore di contrazione del suo volume daffari, sino ad un massimo del 18% della capacit produttiva massima, essa non entrer nellarea delle perdite.
41 6. PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO DELLE OPERAZIONI DI PRODUZIONE Unefficace programmazione della produzione deve articolarsi: a) nel medio-lungo termine per precostituire la capacit produttiva necessaria in rapporto agli obiettivi strategici dellimpresa (programma aggregato di produzione), b) nel breve termine per allocare le risorse disponibili, in modo da raggiungere i traguardi di produzione posti dal programma annuale di vendita (MPS), c) nel brevissimo termine per organizzare il lavoro dei centri di produzione in funzione delle quote settimanali, quindicinali o mensili da realizzare (programmazione operativa). Programma aggregato di produzione: il programma aggregato di produzione il livello pi elevato della programmazione ad orizzonte temporale variabile tra i sei e i due anni e periodizzazione bimestrale o mensile. Loggetto del programma aggregato la produzione aziendale considerata nel suo complesso: in tale programma si allocano le risorse disponibili allo scopo di soddisfare la domanda prevista. MPS: Ad un livello gerarchico inferiore rispetto al programma di produzione, troviamo il Master Production Schedule (MPS), caratterizzato da un orizzonte temporale + breve (di solito il bimestre) e da una periodizzazione anche settimanale. Loggetto dellMPS il singolo modello o al limite la famiglia di prodotti; allinterno dellMPS le decisioni di quantificazione delle risorse necessarie alla produzione (ad esempio le risorse umane) figuranti nel programma aggregato di produzione, vengono considerate irreversibili e non + modificabili, si parla di congelamento. La programmazione operativa: infine, inizialmente ed ogni volta che al ciclo dovranno essere apportate delle variazioni, bisogner procedere alla programmazione operativa. Esso rappresenta il livello di maggiore dettaglio del sistema di piani, in cui si organizzano le singole stazioni di lavoro. La programmazione operativa comporta un processo che, di solito, si sviluppa in quattro fasi: 1. la preparazione del lavoro (routing) con la quale si stabilisce quali articoli mettere in produzione, con limpiego di quali risorse e con quali modalit esecutive, 2. la costruzione del programma di lavorazione (scheduling) con il quale si distribuisce il lavoro tra i centri produttivi, si determina il carico macchine, lallestimento delle squadre e si fissano i tempi di svolgimento del lavoro stesso, 3. lavvio della lavorazione (dispatching) con il quale si d materialmente inizio alla lavorazione, emettendo ordini e istruzioni affinch tutte le risorse necessarie (materiali, utensileria, disegni, ecc) siano rese disponibili presso i reparti o centri di lavorazione, 4. il controllo dellesecuzione (follow-up) con il quale, sulla base dei programmi di lavoro fissati, si sorveglia lavanzamento della produzione e si adottano, se necessario, gli interventi correttivi suggeriti dallentit degli scostamenti via via rilevati.
7. IL CONTROLLO DI EFFICIENZA DELA PRODUZIONE Il controllo di produzione riguarda sia il ciclo di svolgimento delle operazioni produttive sia i prodotti finii da destinare al mercato. Il suo obiettivo quello di prevenire anomalie nel ciclo e nei prodotti, al duplice scopo di evitare di sopportare costi a vuoto e garantire la qualit al consumatore per non minare limmagine dellazienda. Il controllo nellarea della produzione dovrebbe quindi articolarsi nel: - controllo dei risultati di produzione (prestazioni fisiche in termini di assortimenti posti in essere e produttivit delle risorse impegnate) questo primo controllo si estrinseca prima di tutto nel calcolo e nellanalisi di indici di produttivit, - controllo di qualit dei prodotti (rispondenza dei prodotti alle specifiche tecniche di progettazione e alle caratteristiche di rendimento garantite allutilizzatore), si tratta di un controllo operato su campioni di materiali, utilizzando tecniche di tipo statico, - controllo economico di valore per individuare le aree di risparmio di costi nella funzione produttiva. Il concetto base che partendo dalle caratteristiche che deve avere il prodotto, possibile comparare alternative o singole fasi di produzione al fine di individuare quella pi 42 economica. In questo modo si punta ad attuare le stesse attivit in modo + conveniente, cio ottimizzando limpiego delle risorse ad evitando operazioni superflue. I fattori di efficienza nel processo produttivo sono rappresentati : dallo sfruttamento ottimale dellimpianto (massimizzazione delle ore lavorabili con riduzione dei tempi di fermata e delle operazioni di set-up) dalla razionalizzazione dei consumi di materie prime mediante riduzione di perdite e cali di lavorazione, dalla produttivit dei gruppi di lavoro mediante il miglioramento dellorganizzazione e la formazione del personale, dallidoneit dei servizi di supporto alla produzione (magazzino, ricerca, trasporti interni, ecc.) Indice: un indice sintetico per valutare il grado complessivo di sfruttamento delle risorse disponibili dato dal rapporto tra le ore produttive (impegnate) e quelle teoricamente impegnabili. Le ore produttive sono quelle di attivit effettiva delle macchine e misurano, ovviamente per differenza, quelle non produttive collegate con tempi di attrezzaggio delle macchine stesse, con i periodi di manutenzione, con linterruzione del flusso di materiali, scioperi, ecc. chiaro che un impianto o una macchina ferma comporta una perdita di produzione a fronte del sostenimento comunque di costi fissi. Total Quality Management (TQM): - garanzia del servizio ottimale al cliente, non solo per quanto riguarda la validit del prodotto ma anche per le modalit e i tempi di consegna, lassistenza prima durante e dopo lacquisto, la gestione corretta di tutti i termini contrattuali. Si tratta di un approccio orientato al miglioramento continuo ed alla responsabilizzazione di tutti i livelli gerarchici presente nellorganizzazione aziendale. Sotto tale profilo il TQM richiede, dapprima, la costruzione di valori aziendali condivisi congruenti con le finalit da raggiungere e, poi, lapplicazione di procedure molto rigorose e precise. Limpresa, dunque, deve impegnare considerevoli sforzi e mezzi finanziari per curare la formazione del personale e per procedere alla corretta progettazione di sistemi, che debbono risultare efficaci ed economicamente sostenibili. A tale scopo ormai significativamente diffusa la certificazione della qualit rilasciata da istituzioni qualificate.
CAPITOLO 10: La gestione finanziaria
La gestione finanziaria comprende il complesso di decisioni e di operazioni volte a reperire e ad impiegare i fondi aziendali. La gestione finanziaria deve essere inquadrata non solo sotto il profilo strategico, ma anche sotto il profilo tattico e operativo: - mentre nel primo si considerano le decisioni finanziarie di lungo periodo, intese ad ottimizzare limpiego e la raccolta dei fondi, - nel secondo si includono i compiti di attuazione e di controllo delle decisioni prese. Gli equilibri: La gestione finanziaria deve rispettare tre tipi di equilibri, diversi ma interdipendenti tra loro: - lequilibrio economico tra ricavi e costi; equilibrio che deve tradursi in un divario positivo per la formazione del profitto. - lequilibrio finanziario, vale a dire al bilanciamento tra impieghi di capitale e fonti di provvista dello stesso; - lequilibrio monetario tra entrate e uscite di cassa preservando cos la liquidit. I compiti fondamentali: 1. la programmazione finanziaria a lungo, breve e brevissimo termine, 2. la gestione del piano finanziario, 43 3. il governo della liquidit, Altri compiti: 4. cura (di concerto con la linea commerciale) i rapporti di credito con la clientela, 5. fissazione (daccordo con lufficio approvvigionamenti) delle condizioni di pagamento con i fornitori, 6. gestione del patrimonio mobiliare e immobiliare dellazienda, 7. verifica della fattibilit dei progetti di investimento, 8. pareri in tema di fissazione dei prezzi di vendita e dei termini di pagamento da applicare alla clientela, di operazioni di gestione straordinaria, di operazioni con lestero, ecc.
2. LA SCELTA DEI PROGETTI DI INVESTIMENTO I vincoli agli investimenti: I problemi di fondo della gestione finanziaria sono quelli di programmazione degli investimenti e delle fonti di copertura. Nel processo decisionale lindividuazione degli investimenti dovrebbe logicamente precedere la ricognizione delle fonti di finanziamento disponibili, anche se intuibile che queste ultime porranno un limite assoluto al volume dei primi. Nellassunzione delle scelte dinvestimento quindi la risorsa finanziaria pu rappresentare: - un vincolo assoluto (che si determina allorch impossibile reperire ulteriori mezzi necessari per dare attuazione allinvestimento) - un vincolo relativo (che si configura allorch sussiste un divario sfavorevole tra redditivit dellinvestimento e costosit del capitale necessario ad attuarlo) Profitto e rischio: La scelta degli investimenti, a prescindere da valutazioni di tipo etico, guidata dai parametri fondamentali di qualsiasi comportamento imprenditoriale: profitto e rischio. A parit di altre condizioni, sono infatti preferiti i progetti che assicurano margini pi elevati di profitto entro un prestabilito coefficiente rischio oppure che producono un determinato profitto con il pi basso grado di rischiosit. Per condurre queste valutazioni si possono utilizzare delle apposite tecniche di carattere economico-finanziario atte a: a) stabilire laccettabilit del progetto rispetto a valori standard prefissati (per es. un tasso minimo di redditivit, un periodo massimo di recupero del capitale) b) comparare progetti alternativi, cio determinare una lista di priorit tra pi proposte di investimento. Lefficacia dellinvestimento: Lefficacia dellinvestimento correlata ai suoi ritorni diretti e indiretti, tangibili e intangibili. Il rendimento di ogni investimento andrebbe pertanto stimato in rapporto: - al suo ritorno economico (differenza tra ricavi e costi attualizzati) - ai vantaggi economici prodotti in altre aree dellorganizzazione aziendale (rendimento indiretto) - ai ritorni non economici o di qualit, in grado di accrescere le risorse intangibili dellimpresa. Tecniche di valutazione degli investimenti: IL PERIODO DI RECUPERO (PAYBACK PERIOD): Il metodo del periodo di recupero tende a valutare il grado di rischiosit di un investimento, in quanto misura il lasso si tempo entro cui gli incassi (inflow) ottenibili riescono a reintegrare il capitale impiegato. Esso consente di completare il concetto di redditivit, introducendo nella valutazione un coefficiente di rischio di ciascun progetto. Lelemento determinante il tempo di esposizione al rischio piuttosto che il rischio in s: di conseguenza, il fattore principale di comparazione rappresentato dalla velocit di recupero dellinvestimento da compiere e dal periodo necessario per ottenere da esso un reddito accettabile. Questo metodo, per, non fornisce informazioni sulla redditivit quando si vanno a comparare due diverse ipotesi di investimento.
44 LA REDDITIVIT ATTUALIZZATA: Il metodo del tasso di redditivit attualizzato consente di ovviare agli inconvenienti prima denunciati, inserendo nelle misurazioni il valore del denaro. Questultimo stabilito oggettivamente dal mercato, sotto forma del tasso corrente di interesse, e soggettivamente dallinvestitore in rapporto alla sua preferenza verso disponibilit liquide. Il valore del denaro tanto minore quanto pi la sua disponibilit si allontana nel tempo (un euro disponibile oggi vale certo pi di un euro disponibile tra un anno). Con questo metodo si attualizzano (cio si riducono ad un unico momento temporale) i flussi di cassa futuri derivanti dallinvestimento, in modo da permettere una migliore comparazione di progetti alternativi. Con esso si pu valutare anche laccettabilit di ciascun progetto, cio stabilire se la sua redditivit attualizzata sia superiore al costo del capitale. Una volta determinati i flussi di cassa in uscita e in entrata attualizzati generati dal progetto, i metodi a cui si fa generalmente ricorso per lanalisi della redditivit attualizzata sono due: il tasso interno di rendimento TIR e il valore attuale netto VAN. TASSO INTERNO DI RENDIMENTO (TIR): Indicando con E il flusso di introiti con U il flusso di esborsi e con x il tasso di attualizzazione (TIR) da ricercare si ha: (Ei Ui) (1 + x)^-i = 0
Una volta trovato questo tasso, la convenienza dellinvestimento potr essere valutata in funzione alla differenza tra questo tasso e quello corrispondente per il reperimento dei fondi necessari. VALORE ATTUALE NETTO (VAN): Per lapplicazione del metodo del valore attuale netto, si opera assumendo un tasso di attualizzazione pari a quello del costo del capitale (c), in modo da determinare il valore attuale del progetto. In formula si ha: VAN = (Ei Ui)(1 + c)^-i
Il progetto risulter tanto pi conveniente quanto pi elevato sar il suo valore attuale netto. I limiti di questi parametri: Tuttavia questi parametri, per quanto importanti per lorientamento, hanno dei grossi limiti. Essi infatti non tengono conto della flessibilit strategica dellinvestimento da valutare. Ogni investimento dovrebbe infatti essere valutato in funzione delle opzioni reali disponibili in ordine a possibili cambiamenti o differimenti in fase realizzativa. Le opzioni strategiche individuate in teoria sono: a. opzioni di sviluppo, ovvero opportunit di crescita aziendale offerte dallattuazione dellinvestimento; b. opzioni di abbandono, legate alla possibilit di interrompere il progetto dinvestimento allorch ci si renda conto che il ritorno non n potr essere conveniente rispetto allimmobilizzo di risorse (esempio classico il lancio di un nuovo prodotto su un mercato di prova); c. opzioni di differimento, correlate alla possibilit di scelta del tempo dellinvestimento, i cui effetti non possono essere influenzati da comportamenti pi tempestivi della concorrenza (es. sfruttamento di un brevetto o di una licenza di fabbricazione); d. opzioni di flessibilit, legate alla possibilit di modificare linvestimento intrapreso a seguito del modificarsi dellambiente esterno
3. LA PREVISIONE DEL FABBISOGNO FINANZIARIO Il fabbisogno finanziario aziendale uguale alla somma del capitale fisso, necessario per acquisire le immobilizzazioni materiali e immateriali, e del capitale circolante, occorrente per alimentare il ciclo acquisti-produzione-vendite: 45 - il fabbisogno di capitale fisso legato al grado di capitalizzazione dei processi operativi, cio allesigenza di disporre di maggiori immobilizzazioni per lo svolgimento delle funzioni di produzione, di commercializzazione, di amministrazione, ecc. pi cresce la presenza degli impianti e delle attrezzature pi aumenta il fabbisogno di capitale fisso. - Il fabbisogno di capitale circolante, ossia di mezzi finanziari che si rigenerano al massimo nei 12 mesi dellesercizio gestionale, correlato, invece, al ciclo di reintegro dei ricavi, detto anche ciclo di reintegro del circolante. A parit di volume di attivit, esso sar tanto minore quanto + breve questo ciclo, vale a dire quanto + rapidi sono i processi di acquisto-produzione-vendita e, soprattutto quanto + veloce il corrispondente ciclo monetario che intercorre tra il sostenimento dei costi e il correlativo incasso dei ricavi. Questultimo dipende dalle condizioni di riscossione dai clienti e di pagamento ai fornitori. Il capitale circolante si compone di: 1. lammontare delle scorte necessarie per lalimentazione dei processi di produzione e di vendita, 2. i crediti commerciali verso i clienti 3. i debiti commerciali verso i fornitori 4. le attivit finanziarie (cassa, banche e altri mezzi monetari) necessarie per assicurare, in ogni istante, la liquidit aziendale, 5. le altre attivit e passivit correnti (crediti a breve termine, debiti a breve, quota corrente di debiti a lungo termine, quota imposte, ecc.) Il capitale circolante netto pari alla differenza tra queste attivit e passivit correnti. Il capitale circolante commerciale rappresenta invece la somma algebrica del valore delle scorte di magazzino, dei crediti verso i clienti e dei debiti verso i fornitori. Fabbisogno finanziario netto: Obiettivo dellimpresa sar dunque quello di stimare il fabbisogno finanziario netto, in modo da prevedere tempestivamente lesigenza di reperire nuove fonti di copertura (nellipotesi di un disavanzo finanziario) oppure di individuare le migliori opportunit di impiego di fonti esuberanti. In sostanza la gestione finanziaria deve preservare la solvibilit (equilibrio finanziario) e la liquidit (equilibrio monetario) dellimpresa.
4. LE SCELTE DI STRUTTURA FINANZIARIA La struttura finanziaria determinata dalla scelta delle fonti di copertura del fabbisogno aziendale. Da impresa a impresa e da tempo a tempo, essa pu assumere caratteristiche molto differenti in funzione degli assetti proprietari e delle condizioni del mercato dei capitali. Il fabbisogno finanziario globale pu essere coperto: - dalla dotazione di mezzi propri, legati allimpresa con vincolo di capitale, - dal risultato economico della gestione (autofinanziamento), - dal finanziamento interno dei soci, - dal finanziamento esterno attinto presso i risparmiatori, le banche, i clienti, i fornitori e i dipendenti. Obiettivi della struttura finanziaria: OMOGENEITA: una delle prime regole, peraltro sovente disattese, della gestione finanziaria suggerisce di impiegare capitali omogenei rispetto al tipo di fabbisogno da coprire: ci vuol dire che nellipotesi del finanziamento di immobilizzazioni, dovrebbero essere attinti mezzi finanziari a lungo termine, mentre nel caso di fabbisogno di esercizio sarebbe opportuno farvi fronte con mezzi a breve. FLESSIBILITA: possibilit di modificare la struttura finanziaria in rapporto allevoluzione del fabbisogno. La flessibilit della struttura dipende dalla particolare combinazione delle fonti di finanziamento, ciascuna delle quali presenta un grado diverso di vincolo rispetto alla gestione aziendale. 46 ELASTICITA: opportunit di dilatare larea di manovra delle scelte finanziarie. Una struttura finanziaria, infatti, tanto + elastica quanto maggiori sono le possibilit di espanderla. Una struttura finanziaria, dunque, tanto pi flessibile quanto pi in grado di modellarsi in rapporto alle esigenze della gestione; ed tanto pi elastica quanto + facilmente pu essere espansa. (Esempio: se aumenta il capitale proprio la struttura finanziaria diviene meno flessibile perch i mezzi propri si consolidano nella dotazione finanziaria dellimpresa e rimangono vincolati a lungo, ma pi elastica perch una azienda + capitalizzata ha maggiori possibilit di espandere la sua struttura finanziaria ricorrendo allindebitamento) ECONOMICITA: lottimizzazione della struttura finanziaria dipende anche dalla costosit delle fonti, rapportata chiaramente ai rendimenti degli investimenti. La minimizzazione del rischio: evidente quindi che la gestione finanziaria dovrebbe essere orientata alla minimizzazione degli oneri finanziari e alla minimizzazione del rischio finanziario. Il rischio finanziario rappresentato dallincapacit di alimentare, sotto il profilo finanziario, i processi di gestione caratteristica. Esso pu assumere un carattere: - strutturale (squilibrio delle fonti rispetto agli impieghi) che pu portare allinsolvenza, - o congiunturale (occasionali carenze di cassa) che pu portare allilliquidit.
Strutturale Rischio di insolvenza Fonti di finanziamento < impieghi di capitale
RISCHIO FINANZIARIO Congiunturale Rischio di il liquidit Saldo cassa e banche < uscite monetarie
5. LA SCELTA DELLE FONTI DI FINANZIAMENTO La scelta delle fonti di finanziamento deve poggiare sullanalisi del fabbisogno di capitali e sulla conoscenza del mercato dellofferta dei capitali stessi. Il passo di maggiore importanza rappresentato dalla previsione del fabbisogno e dallindividuazione delle sue caratteristiche. Volendo dunque analizzare il fabbisogno di capitali, si potrebbe osservare che nella realt aziendale esso la risultante di 4 tipi differenti di esigenze: - un fabbisogno strutturale, permanente nel tempo perch legato alle dimensioni della struttura dellimpresa, - un fabbisogno corrente, permanente nel tempo perch correlato al volume di attivit della gestione corrente, - un fabbisogno straordinario legato ad esigenze di + lungo periodo, ma presente solo nellarco di questo periodo, - un fabbisogno occasionale, collegato a fenomeni congiunturali ed imprevedibili, i cui effetti si dispiegano solamente nel breve periodo. Il livello di indebitamento: Una delle scelte fondamentali da assumere riguarda il livello di indebitamento da accettare per limpresa. Questa scelta deve essere orientata oltre che da fattori qualitativi concernenti la rischiosit e la rigidit connesse con un appesantimento della situazione debitoria, anche dal presumibile effetto del fattore leva finanziaria. Si parla di leva finanziaria per sottolineare la capacit dellindebitamento di ampliare la redditivit aziendale.
6. LE PRINCIPALI FONTI DI FINANZIAMENTO Capitale proprio: linvestimento di capitale proprio rappresenta una fonte di finanziamento a lungo termine perch i mezzi cos immessi nella gestione sono destinati a permanervi durevolmente Autofinanziamento: reinvestimento dei profitti nellattivit aziendale. In condizioni di normalit, vale a dire in presenza di una gestione economica e finanziaria equilibrata, parte cospicua dei nuovi investimenti dovrebbe essere coperta mediante lautofinanziamento, il cui scopo quello di immobilizzare nellazienda unaliquota dei redditi desercizio. 47 Finanziamento soci: nellipotesi di un fabbisogno occasionale di capitali i soci possono far affluire propri fondi sotto forma di finanziamento diretto. In tal caso, essi concedono delle anticipazioni allazienda oppure sottoscrivono direttamente un prestito obbligazionario. In entrambe le alternative i soci si possono riservare il diritto di chiedere la restituzione dellanticipazione o il rimborso delle obbligazioni in qualsiasi momento, anche se la logica prevalente di queste operazioni finanziarie quella del medio termine. Obbligazioni: tra le fonti creditizie bisogna inserire anche i risparmiatori o gli investitori istituzionali, i fornitori e gli stessi dipendenti dellimpresa. Questultima pu procurarsi mezzi finanziari emettendo prestiti obbligazionari e carta commerciale (cambiali). Mercato mobiliare: laccesso al mercato mobiliare, che permette di collocare parte del capitale sociale direttamente presso i risparmiatori, consente di ampliare significativamente la struttura finanziaria dellimpresa, in modo da favorire, mediante operazioni di aumento di capitale e successivo collocamento azionario, la promozione di processi di sviluppo dimensionale. Credito bancario: la fonte di credito pi frequente il credito bancario che pu essere ottenuto per lunghi tempi (operazioni di mutuo) o per tempi brevi (aperture di credito, sconto di effetti, anticipazioni su titoli e merci, ecc.). Leasing: con il leasing limpresa non costretta a sopportare immediatamente il peso dellinvestimento perch ottiene il bene di cui abbisogna mediante un contratto di locazione con diritto di riscatto del bene dopo un certo numero di anni e ad un prezzo prefissato (di solito molto basso). In tal modo limpresa pu utilizzare immediatamente il bene, pagando un canone periodico e riservandosi alla fine del contratto di assumere una decisione circa lacquisto delloggetto delloperazione di leasing. Gli oneri finanziari si scaglionano nel tempo in forma di canoni, che, secondo la legge fiscale vigente, rappresentano costi deducibili dal reddito desercizio allorch il contratto abbia una durata non inferiore alla met del periodo di ammortamento fiscale del bene. Factoring: consiste nellaffidare, ad istituti specializzati la gestione del portafoglio crediti, delegando i factor ad esperire tutta la procedura per il recupero dei crediti stessi (invio degli estratti conto, solleciti per lincasso, incasso delle fatture, azioni contro i debitori insolventi, ecc.). per tale compito al factor spetta una commissione di factoring. Nel contratto pu poi essere previsto lottenimento di anticipazioni (fino di solito all80% del valore del credito) da parte di colui che ricorre al factoring e che, per questa operazione finanziaria, tenuto a corrispondere degli interessi. Forfaiting: vendita pro-soluto (cio con il rischio di insolvenza condiviso tra il debitore e il cedente del credito stesso) di effetti cambiari che, in rapporto alla loro scadenza e al gardo di rischio di incasso, vengono ceduti in base al loro valore facciale decurtato in ragione di un tasso di sconto a forfait. Solitamente i titoli di credito sono tratte emesse da esportatori e accettate dagli imprenditori esteri o pagher emessi direttamente da questi ultimi. I vantaggi per lesportatore sono rappresentati dalla rapidit dincasso del credito e dalleliminazione di qualsiasi rischio finanziario conseguente alloperazione di vendita allestero.
7. GLI STRUMENTI PER LA POGRAMMAZIONE E IL CONTROLLO FINANZIARIO Lassoluta necessit di salvaguardare la condizione di liquidit nel rispetto della pi generale situazione di solvibilit dellimpresa esige un controllo costante ed assiduo dei flussi monetari e la verifica puntuale, nel tempo, del bilanciamento tra impieghi di capitale e corrispondenti fonti di copertura La pianificazione finanziaria richiede la formulazione di una serie di preventivi, in base ai quali limpresa pu indirizzare e tenere sotto controllo le situazioni di solvibilit e di liquidit della gestione. Ai fini del controllo, i documenti fondamentali da redigere sono: 1. il prospetto delle fonti e degli impieghi 2. il prospetto dei flussi monetari delle operazioni di esercizio 3. il quadro generale dei movimenti monetari 4. il piano di cassa.
48 IL PROSPETTO DELLE FONTI E DEGLI IMPIEGHI: Il prospetto delle fonti e degli impieghi, costruito solitamente per periodi biennali o triennali, riporta landamento dei flussi finanziari con lindicazione specifica degli usi e delle fonti di capitale. Esso viene redatto per distinguere i tipi di fonti finanziarie a cui far ricorso, a fronte degli impieghi di capitale, e per predeterminare il saldo complessivo annuale. Le fonti sono distinte in tre gruppi: - fonti della gestione, che rappresentano nel loro complesso il cash-flow aziendale; - fonti correnti, in cui si fanno rientrare i debiti a breve; - fonti non correnti, in cui si comprendono, ad esempio, i debiti a medio-lungo termine, laumento di capitale, le alienazioni patrimoniali, ecc.. Gli usi sono divisi in: - usi correnti, relativi al finanziamento dellesercizio; - usi non correnti, inerenti ad esempio a processi di investimento, di rimborso dei debiti verso i soci e di distribuzione di dividendi. Il prospetto consente, cos, di determinare tre saldi: il saldo finanziario, che deriva dalla contrapposizione di usi e fonti non correnti e che riguarda, dunque, la modificazione della struttura finanziaria dellazienda; il saldo corrente, che riviene dalla contrapposizione tra fonti ed usi correnti ed attiene ai tre cicli di produzione, economico e finanziario, il saldo complessivo, quale somma algebrica tra questi due saldi. La situazione ottimale si ha quando i tre saldi tendono a zero: in tal caso, oltre a non esservi risorse in eccesso o deficit finanziari da coprire (saldo complessivo tendente a zero), vi equilibrio tra fonti ed usi correnti (saldo corrente tendente a zero) e tra fonti ed usi non correnti (saldo finanziario tendente a zero), con il conseguente rispetto del principio dellomogeneit. Nel caso in cui il saldo complessivo risultasse positivo sar necessario individuare, in considerazione del tempo di surplus finanziario stimato, le migliori alternative di investimento per evitare di detenere liquidit infruttifera. Viceversa, qualora il saldo complessivo risultasse negativo occorrer anticipatamente provvedere alla sua copertura o, qualora ci non fosse possibile, al ridimensionamento degli impieghi.
49 Il prospetto delle fonti e degli impieghi Fonti e usi 2003 2004 2005 2006 Utile netto Ammortamenti netti Accantonamenti netti Fonti della gestione
Investimenti tecnici Investimenti finanziari Rimborso finanziamento soci Rimborso debiti a medio-lungo Dividendi - usi non correnti
Aumento capitale Alienazioni patrimoniali Nuovi debiti a medio-lungo Contributi in c/capitale + fonti non correnti
SALDO FINANZIARIO Incremento consistenza magazzini Aumento crediti a breve Aumento liquidit - usi correnti
Aumento debiti fornitori Aumento debiti finanziari a breve Aumento altri debiti a breve + fonti correnti
SALDO CORRENTE SALDO COMPLESSIVO
IL PROSPETTO DEI FLUSSI MONETARI DELLE OPERAZIONI DI ESERCIZIO Nel prospetto dei flussi monetari delle operazioni di esercizio, per ogni partita lentrata o luscita effettiva data dalla somma algebrica tra lammontare dei crediti/debiti allinizio dellesercizio, gli incassi e le uscite durante lesercizio e lammontare dei crediti/debiti alla fine dellesercizio. Il prospetto pu chiudere con un saldo negativo, vale a dire un fabbisogno di esercizio per il quale occorrer trovare adeguata copertura, oppure con un saldo positivo, ossia delle disponibilit della gestione. Questo saldo sar successivamente riportato nel quadro generale dei movimenti monetari.
Entrate Crediti inizio es. Partite delles. Crediti di fine es. Entrata effettiva Uscite Debiti inizio es. Partite delles. Debiti fine es. Uscite effettive Vendite Iva su vendite Anticipi da clienti Interessi attivi Proventi vari Acquisti Iva su acquisti Salari e stipendi Oneri contributivi Oneri finanziari Oneri tributari Oneri diversi Anticipi a fornitori TOTALE TOTALE Saldo negativo (fabbisogno desercizio) Saldo positivo (disponibilit nette)
50 IL QUADRO GENERALE DEI MOVIMENTI MONETARI Allinterno del quadro generale dei movimenti monetari, saranno indicate: - tutte le uscite (per immobilizzi tecnici e finanziari, per lIVA sugli immobilizzi, per il rimborso dei debiti, per il fabbisogno di esercizio), - e tutte le possibili fonti di entrata (fonti esterne rappresentate da mezzi acquisiti con vincolo di capitale o di finanziamento e fonti interne collegate a processi di alienazione patrimoniale e al saldo positivo dellesercizio). Il quadro generale dei movimenti monetari si differenzia per molti aspetti dal prospetto delle fonti e degli impieghi, tra cui i due principali sono: la considerazione implicita del risultato economico (e quindi dellautofinanziamento) e il bilanciamento delle partite attraverso le disponibilit monetarie iniziali e finali.
Il quadro generale dei movimenti monetari Impieghi parziali totali Fonti Parziali totali Immobilizzi tecnici - Immobili - Impianti e macchinari - Propriet industriali - Spese dimpianto - Attrezzature - Mobili e arredi - Altri Immobilizzi finanziari - Crediti finanziari - Partecipazioni - Titoli a reddito fisso Totale immobilizzi IVA su immobilizzi
TOTALE GENERALE Fonti esterne - Capitale sociale - Finanziamento soci - Contributo in c/capitale - Mutuo agevolato - Altri mutui - Prestiti obbligazionari - Aumento fidi bancari Totali fonti esterne
51 IL PIANO DI CASSA Il piano di cassa, denominato anche budget o preventivo di tesoreria, consente, infine, lo sviluppo analitico dei documenti monetari precedenti, in quanto considera, su base solitamente mensile, il flusso delle entrate e delle uscite di gestione. Mediante esso si pu cos determinare il saldo monetario previsto e valutare gli effetti prodotti sulla consistenza dei mezzi liquidi presenti allinizio del periodo. Ci sia per controllare la possibilit di coprire, con i mezzi liquidi disponibili, gli eventuali saldi monetari negativi, sia per valutare, nellipotesi di un loro incremento, pi favorevoli opportunit di impiego a brevissimo termine. Nel prospetto una funzione centrale rappresentata dalla situazione di liquidit (casse e banche) ad inizio di periodo e alla fine del periodo. chiaro che questultima rappresenter il saldo da riportare quale casse e banche ad inizio del periodo successivo. Nella costruzione del piano di cassa bisogna comprendere tutte le entrate e le uscite previste, tenendo conto che, per quanto riguarda le entrate, i tempi di verificazione possono essere certi, molto probabili e probabili, mentre per le uscite bisogner far attenzione alle uscite fisse di carattere mensile o di periodicit pi lunga e alle uscite straordinarie di difficile prevedibilit. Il piano di cassa dovr essere tenuto costantemente sotto controllo perch la variazione delle previsioni (entit e tempi delle entrate e delle uscite) un fatto del tutto normale nella gestione aziendale.
Il piano di cassa Voci G F M A M G L A S O N D anno Entrate Ricavi di vendita Incasso crediti Alienazioni patrimoniali Prestiti a medio e lungo termine Finanziamento soci Proventi finanziari Rimborsi IVA Entrate varie
TOTALE ENTRATE Uscite Pagamento fornitori Spese per il personale Oneri finanziari Spese generali Investimenti Rimborso prestiti Versamento imposte Pagamento dividendi Altre uscite
TOTALE USCITE Saldo monetario Cassa e banche allinizio del periodo Cassa e banche alla fine del periodo
52 CAPITOLO 11: La logistica e la gestione degli approvvigionamenti
1. LA LOGISTICA QUALE PROCESSO La logistica il sistema di connessione tra lapprovvigionamento di materiali (logistica in entrata), la trasformazione produttiva e il collocamento dei prodotti realizzati (logistica in uscita). Le funzioni di acquisto, magazzinaggio, trasporto e distribuzione fisica generano un ammontare rilevante di costi e consentono, mediante il miglioramento del livello di efficienza, di conseguire vantaggi significativi in termini di costi di produzione. Daltro canto, la velocit del ciclo di evasione dellordine del cliente, il rispetto dei tempi di consegna e la salvaguardia delle caratteristiche di sanit del prodotto contribuiscono in modo decisivo alla customer satisfaction e, quindi, alla fidelizzazione della clientela. La logistica si pone cos quale elemento fondamentale della strategia competitiva sia perch riesce a contenere i costi sia perch contribuisce ad elevare la qualit del servizio.
2. LA FUNZIONE DI APPROVVIGIONAMENTO La funzione di approvvigionamento ha lobiettivo di assicurare il rifornimento delle materie prime, ausiliarie, parti, componenti ed accessori da utilizzare nellattivit di gestione. Il suo scopo quindi assicurare: - leconomicit della gestione degli acquisti - e la continuit dei cicli di lavorazione (il rifornimento di materiali deve infatti garantire lininterrotto svolgimento della produzione, al fine di evitare tempi dozio per limpianto e conseguenti costi sprecati per lazienda). Proprio per questo motivo limpostazione del processo di approvvigionamento in effetti legata soprattutto a due elementi: la criticit dei materiali da acquistare: limpresa dovr operare con unassoluta garanzia di rifornimento per quei materiali che possono creare strozzature nel ciclo di lavorazione, bloccando fasi importanti o impedendo il processo terminale di allestimento del prodotto finito. limpatto economico sul costo del prodotto: se lazienda lavora con un basso valore aggiunto, leconomicit degli approvvigionamenti riveste un carattere fondamentale ai fini della competitivit aziendale. Incrociando questi due elementi (criticit e impatto economico) stata costruita una matrice, che consente di distinguere i vari tipi di acquisti e, di conseguenza, suggerisce i modelli organizzativi per gestire il relativo processo di approvvigionamento. I comportamenti e le decisioni dacquisto devono difatti legarsi alla complessit di tale processo, alla criticit dei materiali da acquistare e allimpatto economico del relativo acquisto. Sotto tale profilo, i prodotti sono suddivisi in: 1. prodotti leva: il cui peso economico, dati gli elevati costi di acquisto e di magazzinaggio, incide significativamente sul profilo finale dellimpresa, 2. prodotti strategici: il cui ruolo, nellallestimento del bene oggetto di produzione da parte dellimpresa critico, 3. prodotti colli di bottiglia: caratterizzati dalla difficile reperibilit, ma di un peso economico modesto, 4. prodotti non critici: facilmente reperibili nel mercato e di incidenza modesta in rapporto al valore del bene da produrre.
Impatto sulla redditivit Complessit dei mercati di rifornimento
Alto Prodotti effetto leva Prodotti strategici Basso Prodotti non critici Prodotti colli di bottiglia Ridotta Elevata 53 3. LORGANIZZAZIONE DELLA FUNZIONE ACQUISTI Tipi di organizzazione: Lorganizzazione della funzione acquisti pu essere: - di tipo semplice e di carattere subordinato (sovente alla funzione di produzione) allorch si riduce sia la criticit dei materiali da acquistare, sia lincidenza economica sul costo totale di produzione, in questo caso la gestione si orienta nel tempo breve e si rivolge con caratteristiche di minore autonomia, - di tipo complesso e di carattere alto-direzionale allorch non solo elevata la criticit e leconomicit degli atti di rifornimento, ma assegnata alla funzione anche la responsabilit di revisione critica dei materiali, per poter trovare fonti o prodotti alternativi, per suggerire modifiche agli stessi prodotti finiti in funzione di componenti o parti appositamente studiati allinterno dellazienda o con il concorso di potenziali fornitori. Requisiti del buyer: evidente che, a prescindere dal tipo di organizzazione considerata, un approvvigionatore (buyer) deve essere in grado di: crearsi una rete ampia e differenziata di fornitori, prevedere landamento congiunturale del mercato per quanto attiene alle quantit disponibili e ai relativi prezzi dacquisto, ricorrere a formule contrattuali che riducano i rischi di acquisto, sapere applicare lanalisi del valore per tutti i materiali che acquista (cio essere in grado di compiere una revisione critica della tipologia delle forniture), partecipare alla gestione attiva degli stock. Relazioni: inoltre il responsabile della funzione di approvvigionamento deve agire di concerto con i responsabili di altre funzioni aziendali e pi in particolare con: - il direttore di produzione: per garantire la continuit dei processi di rifornimento e per concordare le caratteristiche di affidabilit tecnica dei materiali, - il direttore di marketing: per valutare gli effetti dellapprovvigionamento sulla politica del prodotto e sulla politica del prezzo, - il direttore finanziario: per determinare il fabbisogno di capitale circolante, - il direttore della ricerca e sviluppo: per valutare le possibilit dimpiego di nuovi materiali utilizzabili in luogo di materiali difficilmente approvvigionabili o pi costosi.
4. LA GESTIONE DELLE SCORTE DI MATERIE Le scorte di materie prime e prodotti sono indispensabili per bilanciare i diversi ritmi secondo cui si svolgono i cicli fondamentali di gestione (acquisto, produzione e vendita). Scopi: Le imprese costituiscono delle scorte per vari motivi: - per tutelarsi contro eventuali incertezze nel mercato di fornitura ovvero contro possibili aumenti di prezzo, - per conseguire delle economie di acquisto attraverso la riduzione dei costi unitari in relazione ai maggiori volumi ordinati, - per crearsi degli ammortizzatori nei rapporti con i fornitori in modo da fronteggiare eventuali errori o disfunzioni nelle consegne, - per garantire continuit al processo operativo. Ma la creazione e il mantenimento di giacenze comportano non solo dei costi elevati ma anche dei rischi di eventuale deperimento od obsolescenza dei prodotti in stock. I metodi di gestione delle scorte: la gestione delle scorte pu essere attuata secondo due impostazioni differenti: STOCK CONTROL: secondo cui laltezza delle scorte da tenere in magazzino dipende dai tempi di assorbimento dei materiali e dai tempi di riapprovvigionamento degli stessi. In questo caso si controlla il livello della scorta senza tener conto dellandamento dei processi di produzione e di vendita. 54 FLOW CONTROL: legata allandamento della domanda, da cui deriva lentit e la cadenza dellapprovvigionamento e dellaccumulo in magazzino. In questo caso le scorte sono determinate in funzione del flusso di ordini di vendita da evadere.
Le tecniche pi note collegate al flow control sono: - il MATERIAL REQUIREMENTS PLANNING (MRP): Il MRP si basa sul concetto di far coincidere le scorte con I fabbisogni di breve periodo, in modo da ridurre al minimo laccumulo di giacenze. Questo diviene possibile perch si parte dagli ordinativi di vendita o dai lanci di produzione e, in funzione dei tempi di produzione del mix di prodotti (nelle quantit ordinate) e dei consumi di materie ad essi associati, si provvede allacquisto dei materiali. Lindividuazione di questi ultimi deriva dalla costruzione della cosiddetta distinta base, allinterno della quale esposto il fabbisogno di materie, parti e componenti necessari a pervenire allallestimento del prodotto finito, da questo documento che si desumono le informazioni sul tasso di consumo dei diversi materiali necessari per produrre ununit di output. - il JUST-IN TIME (JIT): il JIT propone sostanzialmente la minimizzazione dei livelli di giacenza del ciclo produttivo, per generare vantaggi economici (risparmi di costo) ed eliminare il rischio connesso allimmobilizzo (deterioramento e obsolescenza dei materiali in scorta). Tuttavia non facile lattuazione perch la gestione con scorta zero comporta unorganizzazione ottimale dellintero ciclo di gestione. Per poter attuare il just-in time necessario difatti collegarsi in modo altamente efficiente con la rete dei fornitori. La possibilit di costituire il magazzino presso il fornitore dipende dalla rapidit e dalla continuit dei rifornimenti. Una soluzione del problema pu essere quella dellinsediamento dei fornitori nella stessa area dello stabilimento cliente.
Le tecniche collegate allo stock control sono invece: - la TECNICA DELLE SCORTE SEPARATE: quantit fissa. Con questa tecnica si determina il quanto ordinare e si ottiene di conseguenza il quando. Essa si fonda, infatti, sul riapprovvigionamento per quantit costanti allorch la scorta raggiunge un predeterminato valore minimo (livello di riordino). Livello di riordino: Il primo problema da risolvere dunque proprio la determinazione del livello di riordino, cio della quantit al raggiungimento della quale bisogna far partire la procedura di riapprovvigionamento. Il livello di riordino dipende dal tempo guida, cio dal periodo occorrente per ottenere la merce ordinata. Il tempo guida deriva in sostanza dalla somma di tre tempi: 1) il tempo necessario per spiccare lordine (avvio della procedura amministrativa, consultazione dei fornitori, autorizzazione allacquisto, emissione dellordine) 2) il tempo occorrente per larrivo della merce 3) il tempo necessario per la messa a disposizione della merce (atti di ricevimento, controllo, ecc.) Il livello di riordino si calcola moltiplicando il tempo guida per il consumo nellunit di tempo. ES.: la societ Beta utilizza 20 q.li di lamiera alla settimana, il tempo per il riapprovvigionamento due settimane (tempo guida). Il livello di riordino sar pari a 40 q.li. Scorta minima di sicurezza: In questo modo per lazienda operer senza una scorta minima di sicurezza che la proteggerebbe, nellipotesi di aumento del tasso di consumo o di eventuali ritardi nellapprovvigionamento. Per evitare tale rischio la societ deve quindi determinare con metodi pi o meno raffinati (calcolo della probabilit) la scorta di protezione da tenere disponibile in qualsiasi momento. Nel caso considerato, supponendo che la scorta di sicurezza sia fissata a 40 q.li, il livello di riordino sar pari a 80 q.li, questo significa che appena lo stock di lamiera toccher questo livello, bisogner procedere ad un nuovo ordine. Il lotto economico dacquisto: Una volta determinato il livello di riordino necessaria la determinazione della quantit da riacquistare di volta in volta. Il calcolo del lotto economico dacquisto, si pone come obiettivo la ricerca della quantit ottimale da riacquistare nel tempo; per 55 quantit ottimale inteso il lotto che consente di minimizzare il costo complessivo di gestione della scorta. Questo costo dato da due costi parziali: il costo di mantenimento formato da: - linteresse sui capitali immobilizzati, - il costo di funzionamento del servizio magazzino, - lammontar delle perdite per sciupii, deterioramenti ed eventuali furti, - le spese di trasporto fra i magazzini - il costo dellobsolescenza il costo di ordinazione che include: - il costo di funzionamento dei servizi dacquisto, - le spese postali e telefoniche, - le spese di trasferta degli agenti dacquisto, - il costo di ricevimento, controllo e analisi dei prodotti. Il costo di ordinazione non va confuso con quello dacquisto, perch riguarda solo le spese necessarie per procedere allordinazione della merce. Come calcolare il lotto economico dacquisto: Detti: F = fabbisogno complessivo di merce nellunit di tempo, Q = quantit da acquistare di volta in volta (lotto economico dacquisto) a = costo di acquisto di una unit di merce, c = costo unitario di mantenimento (espresso in percentuale del valore medio della giacenza) K = costo di una ordinazione. Cm = costo di mantenimento Co = costo di ordinazione Analiticamente: Il costo di mantenimento sar uguale a c Qa/2, dove c il costo unitario e Qa/2 la giacenza mediamente presente in magazzino. Il costo di ordinazione sar uguale a K F/Q dove K il costo di unordinazione e F/Q rappresenta il numero delle ordinazioni nellunit di tempo.
Cm = c Q a/2 Co = K F/Q Ct = Cm + Co = c Q a/2 + K F/Q
Il lotto Q corrisponde alla quantit che minimizza il costo totale Ct. Per trovare questa quantita bisogna calcolare la derivata prima rispetto a Q e azzerarla. Graficamente: Il costo di ordinazione rappresentabile graficamente con uniperbole equilatera avente per asintoti gli assi cartesiani, mentre il costo di mantenimento rappresentabile con una retta uscente dallorigine degli assi. Se in un diagramma cartesiano riproduciamo le due funzioni parziali di costo e la funzione somma, rileviamo che il punto di minimo della funzione Ct si situa in corrispondenza dellintersezione delle funzioni Cm e Co. Ci significa che il lotto dacquisto Q corrisponde alla quantit per qui si eguagliano i due costi parziali. Si ha cio:
Cm = Co ovvero c Q a /2 = K F/Q
56 - la TECNICA DEL CICLO DI ORDINAZIONE: Per quanto riguarda la tecnica del ciclo di ordinazione si preferisce parlare di scorta ottimale e non di lotto economico dacquisto, poich la quantit di volta in volta acquistata varia, mentre rimane ferma la quantit massima da tenere in stock allinizio di ogni periodo. Tale quantit risulter dalla somma di tre componenti: 1. lassorbimento previsto durante lintero periodo, 2. lassorbimento previsto nel tempo guida, 3. la scorta di sicurezza.
Classificazione delle scorte secondo il metodo ABC: Per la conservazione delle scorte le aziende applicano il metodo ABC, vale a dire suddividono gli articoli in tre classi: A = materiali che pesano di pi sul valore complessivo delle scorte e che richiedono un controllo assiduo e penetrante, B = articoli che pur pesando di meno necessitano un controllo periodico, C = articoli che possono essere gestiti con procedure pi semplici. Si pu osservare che per le classi A e B sar + frequente lapplicazione della tecnica delle scorte separate, mentre per la C sadotter generalmente la tecnica del ciclo di ordinazione.
MISURAZIONE DELLEFFICIENZA DELLA GESTIONE DELLE SCORTE Lindice che consente di operare delle valutazioni di efficienza sulle scorte il tasso di rotazione. Questo dato dal rapporto fra il materiale uscito dal magazzino in una certa unit di tempo e l a giacenza media presente in magazzino nella stessa unit di tempo. Detti: Ir = indice di rotazione Ut = uscita di materiali nel tempo t Gm = giacenza media nel tempo t
Ir = Ut/Gm
ES.: se tale indice risulta pari a 7,3 significa che il magazzino si rinnovato mediamente ogni 50 giorni (365/7.3). Naturalmente pi elevato questo indice, maggiore lefficacia di gestione delle scorte, perch laumento del rapporto dovuto ad un + vantaggioso equilibrio fra ciclo di uscita dei materiali dal magazzino e ciclo di permanenza degli stessi in deposito. Un pi alto tasso pu essere dovuto infatti o ad un aumento del numeratore (maggiore uscita di materiali durante lanno) oppure ad una diminuzione del denominatore (giacenza media). In entrambi i casi linvestimento in scorta diminuito. Nel caso di prodotti finiti: nellipotesi di scorte prodotti il tasso di rotazione sar uguale al rapporto tra il volume delle vendite e la giacenza media. In questo caso tuttavia bisogner rendere omogenei i due termini del rapporto, in quanto il numeratore espresso in prezzi di vendita e il denominatore in prezzi di acquisto. Conoscendo il ricarico applicato ai prodotti posti in vendita, bisogner pertanto o aggiungerlo al valore della giacenza media (mark-up) o sottrarlo a quello delle vendita (mark-down). Altri indici di economicit: - COSTI DI MAGAZZINO/COSTI DI PRODUZIONE Questo rapporto mostra lincidenza dei costi di gestione del magazzino sul costo di produzione. - COSTI DI MAGAZZINO/GIACENZA MEDIA Questo rapporto rivela invece lincidenza di tali costi su ogni unit o lira di prodotto tenuto in scorta.
57 5. LA GESTIONE DELLE SCORTE DI PRODOTTI FINITI Rischi per mancanza di scorte: La carenza di scorte pu far perdere loccasione di vendita e riflettersi direttamente sul volume daffari dellimpresa. Questo accade tutte le volte che il cliente non disposto ad attendere per ricevere il prodotto e, a causa della non radicata preferenza per la specifica marca (scarsa brand-loyality), si rivolge a prodotti della concorrenza. Rischi per leccesso di scorte: I rischi correlati allaccumulo in magazzino di scorte prodotti derivano invece dalla possibile deperibilit fisica (senescenza) o tecnica (obsolescenza) del prodotto. Obiettivo: Lo sforzo delle imprese sar allora di lavorare quanto pi possibile su commessa. Lattivazione del processo produttivo avverr solo allorquando sar stato ricevuto lordine configurando una situazione definita come make to order, che evita la formazione di scorte lungo il canale distributivo.
CAPITOLO 13: La gestione delle risorse umene
1. LEVOLUIZIONE DELLA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE Fino a qualche tempo fa, soprattutto a causa della la forte incidenza del costo del lavoro sul costo complessivo di produzione, la questione principale era di contenerlo o ridurlo mediante la migliore organizzazione dellattivit di gestione. Il problema dellefficienza si concretava, difatti, principalmente nella necessit di fare crescere la produttivit del fattore lavoro, sfruttando opportunamente le possibili combinazioni tra lavoro umano e meccanico (automazione e meccanicizzazione). Ma proprio la necessit di ottimizzare la produttivit del lavoro ha portato alla convinzione che prima di tutto importante far nascere e preservare il miglior clima aziendale, con particolare riguardo all'ambiente di lavoro, alle esigenze del lavoratore al di fuori della fabbrica, al processo d'integrazione tra obiettivi individuali e obiettivi dell'organizzazione. In questo senso, il problema di gestione del fattore umano ha assunto pi spiccate caratteristiche qualitative e si incentrato, in sostanza, nella ricerca di soluzioni appropriate per la creazione di elevate motivazioni del lavoratore a partecipare e a produrre. Con la trasformazione dell'impresa stessa da produttrice di beni in produttrice di conoscenza, l'addestramento del lavoratore non doveva tradursi soltanto nell'insegnare ad usare una macchina e nell'apprendimento delle routine relative alla specifica mansione ricoperta, quanto piuttosto nell'allenare a decidere, a migliorare le routine stesse, a produrre cio nuova conoscenza. In altri termini, con questo nuovo concetto d'impresa il rendimento del fattore lavoro finiva per perdere in buona parte i suoi tratti quantitativi (o di rendimento fisico) per assumere, invece, aspetti soprattutto qualitativi.
2. ATTIVITA E PROCESSI DI PROGRAMMAZIONE DELLE RISORSE UMANE Caratteristiche del mercato del lavoro: Nelle organizzazioni l'importanza delle risorse umane da sempre rilevante, poich: - un fattore non riproducibile per cui, nelle singole individualit, unico in natura. - un fattore rigido poich generalmente il mercato del lavoro contraddistinto da una legislazione che, nel proteggere i flussi in uscita rende difficile anche quelli in ingresso. Contesto italiano: In Italia, l'attuale contesto caratterizzato da tre elementi: riduzione della natalit (baby bust); anzianit media crescente della forza lavoro (ageing population) insufficienza di risorse professionali specializzate (skill shortage). Obiettivi della programmazione del personale: In fase di programmazione del personale gli obiettivi sono diversi: - la determinazione della quantit di personale e dei requisiti e delle capacit richieste, 58 - lanalisi delle possibili modifiche della struttura organizzativa, valutando le capacit e le potenzialit delle risorse interne, - lindividuazione delle necessit future, - la predisposizione dei piani di formazione per ladeguamento delle risorse. Fasi della programmazione del personale: Dal punto di vista operativo lattivit di programmazione si articola nelle seguenti fasi: 1. previsione del fabbisogno di lavoro in quantit (numero di lavoratori e/o di ore lavoro) e qualit, tenendo conto degli obiettivi aziendali, della struttura esistente e delle sue possibili variazioni, dellambiente esterno, 2. analisi della disponibilit del personale interno e della reperibilit sul mercato esterno, 3. pianificazione dei flussi e delle attivit di gestione del personale, 4. analisi dei risultati e adeguamento costante del piano occupazionale.
2.1 IL SUB-SISTEMA INFORMATICO A SUPPORTO DELLA PROGRAMMAZIONE Le principali informazioni gestite dal sistema di programmazione del personale riguardano: - la composizione dellorganico (dati anagrafici, scolarit e formazione, anzianit aziendale e di qualifica, ore lavoro, straordinari, trasferte), - la sua dimensione economica (fatturato, valore aggiunto e margine lordo per addetto, indici di produttivit), - il clima aziendale (assenteismo), - la dinamica del personale (turnover, carriere, outplacement). Il sistema di informazioni che sta alla base della programmazione delle risorse umane si serve anchesso di alcuni indici. Tra i pi importanti il tasso di assenteismo e il tasso di turnover. Lassenteismo, cio lassenza ingiustificata e non predeterminata del lavoratore, quantificabile mediante un tasso che pu essere calcolato sulla base di diversi parametri e si misura rapportando le assenze rilevate alle presenze potenziali. Il turnover, cio il tasso di rigiro del personale, rappresenta un fatto fisiologico, anzi addirittura necessario affinch vi sia il costante equilibrio tra esigenze dellimpresa e capacit degli addetti. altrettanto evidente per che un turnover eccessivo crea, per il personale in entrata, grandi costi di reclutamento, addestramento, mentre per il personale in uscita, che rappresenta comunque una risorsa che ha con s delle capacit che potrebbero essere utilizzate dai concorrenti, graver sullimpresa il pagamento dellindennit di fine rapporto. Il tasso di turnover pu essere calcolato rapportando le unit entrate e/o uscite allorganico medio, oppure le unit uscite a quelle entrate.
ASSENTEISMO TURNOVER Tasso di assenteismo (temporale) = ore (giorni) di assenteismo/ore (giorni) lavorabili 100 Tasso di turnover (complessivo) = entrati + usciti/organico medio 100 Tasso di assenteismo (in assenti) = n. assenti (giorno-settimana)/organico medio 100 Tasso di turnover (negativo) = Usciti/organico medio 100 Rilevanza assenteismo = n. tot. assenti (n-ore-giorni)/organico medio 100
Tasso di turnover (compensato) = entrati/usciti 100
59 2.2 ACQUISIZIONE DELLE RISORSE UMANE: RECLUTAMENTO E SELEZIONE Lacquisizione delle risorse umane il processo di adeguamento delle disponibilit di lavoro alle necessit di lavoro nell'impresa; quindi, gestisce i flussi in entrata ed in uscita dall'impresa nonch i flussi interni rappresentati dalla mobilit orizzontale e verticale. Lacquisizione del personale preceduta temporalmente e logicamente dal reclutamento e dalla selezione. Reclutamento: Il reclutamento rappresenta lo strumento utilizzato dallimpresa per soddisfare la propria domanda di lavoro. Le fasi in cui si articola il processo di reclutamento sono diverse: la definizione del fabbisogno del personale necessario, lanalisi dei mercati - interno ed esterno del lavoro, lindividuazione dei candidati maggiormente idonei Mercato interno: Nel caso di reclutamento indirizzato alle risorse interne, si fa ricorso a contatti informali e interpersonali o, qualora si voglia salvaguardare la trasparenza del mercato interno, a tecniche di JOB POSTING attraverso la diffusione formale tra tutti i dipendenti della necessit di ricoprire determinate posizioni con risorse interne, specificandone retribuzione, possibilit di carriera, requisiti richiesti. Mercato esterno: Qualora invece limpresa decida di rivolgersi al mercato esterno, gli strumenti impiegabili nella fase di reclutamento sono vincolati a norme di legge, che hanno lo scopo di evitare comportamenti discriminatori da parte delle aziende nei confronti dei lavoratori. Selezione in entrata: la selezione si esplica attraverso un processo di confronto tra la domanda di lavoro dellimpresa e lofferta circoscritta nella fase di reclutamento. Obiettivo della selezione lindividuazione dei soggetti lavoratori le cui caratteristiche siano maggiormente consone a quelle richieste. I criteri di selezione interessano lidoneit del soggetto selezionato e riguardano fattori tra cui:: capacit (abilit/esperienza), conoscenza, comportamento, potenzialit. Selezione in uscita: effettuata tanto dal lavoratore che decide di lasciare lazienda selezionando le opportunit di lavoro, quanto dallimpresa che intende ridimensionare la base occupazionale. Il lavoratore ovviamente libero di cogliere eventuali opportunit alternative, mentre limpresa fortemente vincolata nella risoluzione del rapporto di lavoro, per cui pu ottenere questo risultato favorendo iniziative volontarie da parte degli interessati. Per non incrinare i rapporti con il mercato del lavoro e difendere la propria immagine sociale, le aziende fanno ricorso a tecniche di OUTPLACEMENT, che consistono nel mettere a disposizione del lavoratore le risorse necessarie ad una collocazione sul mercato del lavoro.
2.3 LA FORMAZIONE La formazione collegata all'apprendimento organizzativo, rappresenta una risorsa invisibile e rende meno complessa la mobilit interna. L'investimento in formazione caratterizzato da incertezza (rischio) nei risultati e nei tempi di ritorno che possono anche essere lunghi; oltretutto, vi pure un'elevata probabilit che i risultati diventino obsoleti incidendo negativamente sul rendimento dell'investimento stesso. Le fasi della formazione sono: - Training (scuole e facolt universitarie per lacquisizione prioritaria di conoscenze teoriche) - Formazione on the job (per arricchire le professionalit) - Ulteriori metodi didattici, tra cui i + diffusi sono: 1. LEZIONE: un docente trasmette ai partecipanti informazioni e modelli inerenti una specifica materia. 2. ESERCITAZIONE: i partecipanti, singolarmente o in gruppo, eseguono un esercizio o dei compiti secondo istruzioni impartite dal docente. 60 3. METODO DEI CASI: i partecipanti analizzano una situazione aziendale concreta (reale o ipotizzata) per poi elaborare interpretazioni e proposte. 4. INCIDENT: il caso presentato ai partecipanti richiede un loro coinvolgimento nellacquisizione delle informazioni necessarie per linterpretazione e la soluzione di un problema. 5. ROLE PLAYING: i partecipanti assumono il ruolo di protagonisti della situazione che sono chiamati a rappresentare in una discussione di gruppo. 6. IN BASKET: viene simulata una situazione operativa in cui i partecipanti devono risolvere problemi gestionali mediante una comunicazione scritta. 7. BUSINESS GAME: si simula una situazione di mercato che viene influenzata dalle decisioni prese dai gruppi di partecipanti per il raggiungimento di un obiettivo. 8. T- GROUP: il gruppo di partecipanti, assistiti da un trainer, individua un tema di discussione ed organizza la sua attivit per promuovere rapporti collaborativi. 9. BRAINSTORMING: si sollecitano i partecipanti a fornire le possibili soluzioni ad un problema in maniera immediata e spontanea.
2.4 VALUTAZIONE E RETRIBUZIONE DEL LAVORO L'oggetto della valutazione pu essere diverso secondo gli scopi, per cui si suole distinguere: - una valutazione delle prestazioni, che considera le capacit professionali dell'individuo in relazione alle richieste della posizione; - una valutazione del potenziale, che analizza gli stessi elementi ma nell'ottica di prestazioni future e tende ad individuare i soggetti che presentano delle capacit di sviluppo necessarie per ricoprire ruoli definiti in relazione alle scelte strategiche. La valutazione del personale rappresenta un'attivit propedeutica ad alcune politiche del personale tra cui quella retributiva La retribuzione uno tra i pi importanti fattori governati dall'impresa per attrarre, trattenere e motivare la forza lavoro; altri fattori quali il prestigio dell'impresa e del ruolo assunto dal lavoratore, l'ambiente di lavoro, le opportunit di carriera, il clima organizzativo, per quanto vadano assumendo una rilevanza crescente, sono comunque complementari. La retribuzione monetaria pu avere due forme: - fissa, determinata in base agli accordi contrattuali, - e variabile, funzione di accordi tra le parti e collegata al raggiungimento di determinati risultati. Una tipologia di retribuzione variabile che assume soprattutto il carattere di un incentivo quella in base alla quale si attribuisce ai lavoratori una quota degli utili realizzati (profit sharing). La politica retributiva si articola in: LIVELLO DELLA RETRIBUZIONE che determinato dalla combinazione del saggio medio della contrattazione collettiva, del saggio medio del mercato, della capacit retributiva dellimpresa. STRUTTURA DELLA RETRIBUZIONE che definisce lammontare della retribuzione in relazione alle diverse posizioni. DINAMICA DELLE RETRIBUZIONI che stabilisce le variazioni salariali in relazione al tempo. La flessibilit: la rigidit del fattore lavoro si traduce in un costo del lavoro prevalentemente fisso che condiziona la potenzialit economico strutturale. L'impresa che deve fare fronte ad incrementi temporanei di domanda, relativamente alla forza lavoro pu fare tre scelte: a) incrementare in maniera stabile la quantit di lavoro per aumentare la produzione; b) mantenere invariato l'impiego di lavoro rinunciando all'incremento delle vendite; c) esternalizzare parte del processo produttivo e/o della produzione. Gli effetti negativi delle tre scelte ipotizzabili sono facilmente intuibili. La flessibilit di un impresa dipende da tre fattori: - la domanda dal mercato, 61 - la tipologia produttiva e le scelte tecnologiche adottate, - il grado di utilizzo della capacit produttiva. Strumenti per il fronteggiamento delle esigenze temporanee di lavoro: LAVORO STRAODINARIO: utilizzato per soddisfare i bisogni di maggior tempo di lavoro, ancora molto utilizzato pur essendo considerato molto oneroso. PART TIME: occupazione regolare e volontaria con orario giornaliero o settimanale sensibilmente ridotto rispetto a quello considerato normale. Il vantaggio per limpresa rappresentato dalla possibilit di mettere in sintonia la disponibilit di lavoro con le modalit temporali della domanda e/o i tempi di utilizzo degli impianti. Esso per aumenta la difficolt di coordinamento. LAVORO INTERINALE: forma di lavoro temporaneo svolto mediante lintermediazione di unimpresa specializzata, che risulta lunica titolare del contratto di lavoro in virt del quale il lavoratore si obbliga nei confronti di questultima a svolgere la propria attivit lavorativa sotto la direzione della c.d. impresa utilizzatrice. LAVORO A TEMPO DETERMINATO: una forma di lavoro temporaneo che coinvolge, per, i dirigenti il temporary management, definibile come la collocazione temporanea di manager altamente qualificati con il compito specifico di garantire continuit allinterno dellorganizzazione e per accrescere la capacit del management esistente. JOB SHARING: con questa modalit due lavoratori si dividono ununica prestazione di lavoro di cui sono, entrambi, responsabili. I lavoratori riescono cos a conciliare gli impegni lavorativi con quelli personali, e limpresa verosimilmente ottiene un minore assenteismo. LAVORO INTERMITTENTE (C.D. A CHIAMATA): il contratto collettivo di lavoro pu prevedere dei casi in cui limpresa ha la possibilit di impiegare un lavoratore per alcune fasi della produzione o in alcuni momenti (picchi di produzione). STAFF LEASING: relativo ad un gruppo di lavoro che affittato a tempo determinato o indeterminate da unimpresa utilizzatrice. destinato a soddisfare lesigenza di gestire delle attivit esterne lasciando agli addetti interni le attivit core.
2.5 GLI ITINERARARI DI CARRIERA Il processo di programmazione delle risorse umane prevede l'attivit di pianificazione delle carriere del personale dipendente. Questa consiste nell'individuazione dei possibili itinerari di carriera determinando, per ciascun lavoratore, i tempi di permanenza nella singola posizione. La programmazione delle promozioni segue un percorso top-down evidenziando tutte le posizioni disponibili - definendone i tempi - e i diversi possibili candidati; per ciascuno di questi individua le eventuali esigenze di formazione affinch sia promuovibile. Motivazione: Gli itinerari di carriera contribuiscono a disciplinare il mercato interno del lavoro e fanno uso delle leve motivazionali. Infatti, la possibilit di avanzamenti di carriera rappresenta per il lavoratore un incentivo a fare di meglio per l'impresa in cui opera. Pertanto, la definizione degli itinerari di carriera ha anche lo scopo di soddisfare le motivazioni allo sviluppo dei singoli e l'individuazione delle risorse umane impiegabili per soddisfare fabbisogni futuri dell'impresa. Gli itinerari di carriera si possono classificare in virt degli scopi che si intendono perseguire. Le direzioni seguite negli itinerari possono essere: - verticali, se cambia il livello gerarchico; - orizzontali, se si modifica la posizione funzionale; - trasversali, in caso in cui variano sia il livello sia la funzione. Il processo di pianificazione delle carriere comporta anche limpiego delle tavole di rimpiazzo che, per ciascuna posizione, individuano i possibili soggetti che possono andare a ricoprirla.
3. LAMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE Accanto alla gestione direzionale del personale, occorre curare anche la parte pi strettamente amministrativa dei rapporti di lavoro. Questultima quasi sempre attribuita alla struttura che si occupa pi in generale del processo amministrativo-contabile. 62 La normativa in materia richiede il rispetto di un complesso di obblighi verso i lavoratori (ad es. in ogni impresa deve essere individuato il responsabile della sicurezza del lavoro), inoltre lamministrazione corrente prevede compiti come lelaborazione delle paghe, il versamento dei contributi previdenziali e assicurativi, la tenuta dei libri obbligatori (libro paga, libro infortuni, libro matricola), le pratiche relative a ferie, permessi, malattie, ecc. Lazienda deve essere inoltre in grado di fornire ai lavoratori servizi come mensa, ambulatorio, trasporti, ecc.
4. LA FUNZIONE AMMINISTRATIVO-CONTABILE Per concludere lesame delle funzioni operative di gestione, occorre soffermarsi su un'altra funzione fondamentale di supporto per la corretta conduzione aziendale. Intendiamo qui riferirci alla funzione amministrativo-contabile, indispensabile oltre che per rispondere agli obblighi di legge previsti in tema di contabilit e bilancio sotto il duplice aspetto civilistico e fiscale per fornire, con continuit e sistematicit, i dati di base per l'assunzione delle decisioni. La funzione amministrativo-contabile comporta grandi responsabilit e richiede una cura altamente professionale da parte dei dirigenti aziendali, sovente coadiuvati da consulenti esterni. Comunemente, alla funzione amministrativa sono assegnate la tenuta della contabilit generale ed I.V.A., l'analisi dei costi, l'emissione e il pagamento delle fatture, il ruolo paga del personale, il controllo delle uscite finanziarie. Il legame alla funzione finanziaria: Questi compiti chiariscono i legami molto stretti con la funzione finanziaria, alla quale essa pu essere talvolta aggregata. In pratica, laspetto contabile si caratterizza per il volume rilevante di operazioni da compiere in modo ricorrente o secondo procedure prefissate, mentre quello finanziario si contraddistingue per il carattere prevalentemente di programmazione e di controllo della provvista e dellimpiego di fondi nel corso della gestione.
CAPITOLO 14: La valutazione dellefficienza aziendale
1. VALORI E INDICI DI VALUTAZIONE Si considerano maggiormente significativi, ai fini della valutazione dellefficienza aziendale, il cash-flow e il reddito operativo. CASH FLOW (flusso di cassa): rappresenta una misura dellautofinanziamento in quanto esprime lammontare delle risorse finanziarie generate dalla gestione aziendale, in quanto tale considerato espressivo al meglio del risultato di gestione. Il cash-flow dato: - dalla sommatoria dellutile netto di esercizio e delle quote di ammortamento e di accantonamento (per il fondo TFR, per la svalutazione di crediti e titoli, per rischi diversi, ecc.) al netto degli usi (cash-flow finanziario) - oppure dalla sommatoria dellutile netto di esercizio e delle sole quote di ammortamento al netto degli usi (cash-flow reddituale). REDDITO OPERATIVO: rappresenta il risultato della gestione caratteristica dellimpresa ed uguale alla differenza tra ricavi e costi dellattivit tipica aziendale. Esso pertanto non considera n il saldo delle partite straordinarie e patrimoniali n quello finanziario ed sempre determinato al lordo degli oneri fiscali. In ogni impresa si possono, infatti, separare quattro tipi di attivit o fenomeni di differente matrice gestionale: 1) la gestione tipica o caratteristica, che costituita da tutte le operazioni destinate a raggiungere lobiettivo fondamentale per cui limpresa stessa stata create; 2) la gestione finanziaria, che rappresentata dalle operazioni di reperimento e dimpiego dei fondi occorrenti o prodotti dallattivit aziendale; 63 3) la gestione patrimoniale, detta anche accessoria, che costituita dallamministrazione dei beni non strumentali per lesercizio della gestione tipica (ad es. un immobile dato in locazione a terzi); 4) la gestione straordinaria, che composta dagli eventi imprevedibili, nel loro verificarsi o nella misura degli effetti prodotti, destinati ad alterare la situazione reddituale e patrimoniale dellimpresa. Ciascun tipo di gestione destinato a produrre dei risultati e questi ultimi andranno a comporre il risultato globale dellattivit aziendale. Naturalmente lindice pi significativo appunto il risultato collegato alla gestione operativa, cio quello relativo allattivit tipica o propria dellimpresa. quindi molto importante determinare quanta parte del risultato di esercizio scaturisca dalla gestione caratteristica e quanta altra dalla gestione finanziaria, straordinaria e accessoria.
VALORE DELLA PRODUZIONE (fatturato, variazione delle scorte, capitalizzazioni)
- Costi di produzione = Margine lordo industriale
- Costi commerciali, amministrativi e finanziari = Cash-flow finanziario
- Quote di accantonamento al netto degli usi = Cash-flow reddituale
- Quote di ammortamento al netto degli usi = Risultato lordo desercizio
2. INDICI GENERALI DI EFFICIENZA E BENCHMARKING Il management ha interesse ad approfondire le analisi, in modo da tener distintamente sotto controllo: lefficienza organizzativa, che si riflette sul livello di produttivit del lavoro aziendale, dato che unorganizzazione efficiente contribuisce a migliorare lapporto di tutti coloro che operano al suo interno e ad elevare gli standard di prestazione per le varie funzioni realizzate, lefficienza economica, che si traduce in un equilibrato rapporto strutturale fra costi e ricavi, e lefficienza di mercato, che si concreta nel miglioramento della posizione dellazienda nei confronti della concorrenza e nellampliamento delle opportunit di ricavo.
INDICI DI EFFICIENZA ORGANIZZATIVA: lefficienza organizzativa riguarda la struttura, le procedure e gli uomini impegnati nel sistema aziendale. La valutazione di questo tipo di efficienza va dunque condotta sia mediante la misurazione del rendimento del personale, sia per mezzo di appropriate analisi organizzative: - il rendimento del personale generalmente valutato sulla base di indici quantitativi e qualitativi, di cui il pi importante senza dubbio lindice di produttivit, che si costruisce ponendo a raffronto il risultato conseguito e lo sforzo sostenuto (ad es. per un operaio addetto allo stampaggio di pezzi di lamiera, il rapporto pu essere impostato ponendo a raffronto il numero dei pezzi stampati risultato con il tempo impiegato sforzo). La produttivit, tuttavia, un indice quantitativo di rendimento, che non rivela nulla sulla qualit delle prestazioni rese. importante quindi affiancare a questindice valutazioni degli 64 aspetti qualitativi del lavoro (ad es. quantit di materie impiegate, costi sostenuti per ottenere il risultato, corretto impiego di macchine e utensili, ecc.) - lefficienza relativa alla struttura e alle procedure di lavoro, non misurabile mediante indici, ma bisogna condurre analisi piuttosto complesse attraverso interviste ai responsabili dei servizi o delle divisioni amministrative, valutazione delle mansioni, ricostruzione delle procedure mediante diagrammi di lusso, ecc. queste analisi richiedono limpiego di specialisti in organizzazione aziendale. INDICI DI EFFICIENZA ECONOMICA: lefficienza economica pu essere misurata mediante alcuni indici quantitativi. Due sono i tipi di indici pi frequentemente utilizzati: - gli indici di economicit, costruiti ponendo al numeratore i costi relativi a singole funzioni o allintera attivit dellazienda e al denominatore i ricavi della gestione, - gli indici di redditivit, costruiti ponendo al numeratore grandezze espressive del reddito lucrato dallimpresa nelle sue varie configurazioni (reddito operativo, reddito ante imposte, reddito netto) e al denominatore valori rappresentativi del capitale a vario titolo impiegato nellimpresa (capitale investito, capitale proprio, ecc.) INDICI DI EFFICIENZA DI MERCATO: Lindice che pi di ogni altro si presta a fornire delle valutazioni relative allefficienza esterna o di mercato rappresentato dalla quota di mercato, cio dal rapporto tra le vendite aziendali e le vendite complessivamente effettuate nel particolare mercato. Per aver, infatti, degli elementi di giudizio sulla minore o maggiore forza dellazienda nel mercato in cui opera non sufficiente prendere a base il tasso di sviluppo delle vendite aziendali, in quanto questo non dice nulla circa il mutamento di posizione rispetto ai diretti concorrenti. BENCHMARKING: Con il termine benchmarking si vuole definire lattivit sistematica di controllo della concorrenza mediante il confronto delle performance realizzate. Lo scopo di individuare le cause del vantaggio competitivo soprattutto delle imprese eccellenti, con lobiettivo di ridurre le distanze e cercare, quindi, di conseguire gli stessi vantaggi. In effetti con il benchmarking si estende il controllo dellefficienza dallinterno allesterno, in modo da porre sotto osservazione le principali differenze tra competitori.
3. IL DIAGRAMMA DI REDDITIVITA Il diagramma di redditivit lo strumento usato per misurare la potenzialit economico-strutturale. Questo utilizzato per valutare in via preventiva o consuntiva gli effetti delle scelte aziendali sulle relazioni costi-volumi-risultati. Per comporre il grafico necessario rilevare o stimare (a seconda dello scopo di controllo consuntivo o preventivo che sia) laltezza dei ricavi e dei costi fissi e variabili al livello massimo della potenzialit produttiva o di vendita dellazienda. Per far ci risulta indispensabile analizzare il loro comportamento durante un periodo non breve di tempo (cinque-dieci anni). La costruzione del grafico avviene poi in modo tradizionale, su di un diagramma cartesiano, ponendo sullasse delle ordinate i costi e i ricavi, espressi in termini monetari o in percentuale del volume massimo del fatturato, e sullasse delle ascisse la base di riferimento di tali costi, che pu essere il grado di utilizzazione degli impianti o, come accade + frequentemente, il volume di produzione o di vendita espresso in termini monetari o di quantit fisiche di prodotti (volume di attivit). - I costi fissi vengono rappresentati come una linea parallela allasse delle ascisse, posta ad una distanza dalla stessa pari allammontare complessivo di tali costi. - I costi variabili che essendo considerati proporzionali al variare del volume produttivo o di vendita, si rappresentano con una retta avente una certa inclinazione a seconda del coefficiente di proporzionalit di questi costi rispetto al volume. - Se la linea dei costi variabili complessivi si fa partire dallaltezza dei costi fissi complessivi, si ha direttamente la linea dei costi totali. 65 - I ricavi infine si rappresentano con una linea che esce dallorigine degli assi, anchessa con una certa inclinazione, variando i ricavi proporzionalmente al variare del volume di vendita.
Lelaborazione del diagramma di redditivit si fonda sullaccettazione di quattro ipotesi semplificatrici: 1. la costanza dei ricavi unitari di vendita, ossia la diretta proporzionalit dei ricavi complessivi rispetto al volume venduto; 2. linvariabilit della composizione quali-quantitativa della gamma di produzione realizzata; 3. la proporzionalit dei costi variabili, cio lassunzione di una loro variazione direttamente proporzionale al variare del volume di produzione o di vendita; 4. la staticit dellambiente di riferimento. La consapevolezza dei limiti che tali ipotesi implicano permette un uso + corretto di una procedura valutativa molto utile.
Bep: Le linee dei ricavi complessivi e dei costi complessivi si incontrano in un punto (P). La proiezione di questo punto sullasse delle ascisse (q) chiamato punto critico o punto di pareggio (break even point) e segnala la grandezza del volume produttivo e di vendita per la quale costi e ricavi aziendali si eguagliano, cio il profitto uguale a zero.
Il punto P definisce due triangoli che rappresentano rispettivamente larea delle perdite, cio linsieme dei volumi produttivi e di vendita per i quali si sostengono dei costi superiori ai ricavi, e larea dei profitti cio linsieme dei volumi produttivi e di vendita per i quali si conseguono dei ricavi superiori ai costi complessivi.
66 La differenza tra il volume realmente prodotto e venduto ed il volume necessario ad ottenere il pareggio economico si definisce: - margine di sicurezza, qualora positivo (contrazione massima che pu subire il volume di produzione/vendita prima di entrare nellarea delle perdite) - margine di deficit, nel caso in cui assuma valore negativo (espansione del fatturato necessaria per ottenere il pareggio tra ricavi e costi complessivi).
Leva operativa: E chiaro che pi il punto di pareggio si trasferisce verso sinistra , + migliora la potenzialit economico-strutturale, in quanto si amplia larea dei profitti; pi si muove verso destra, cio si avvicina al punto di massimo sfruttamento degli impianti, minore risulta la potenzialit economico-strutturale dellazienda, che corre in questa situazione il rischio di trovarsi, anche per una lieve flessione delle vendite, immediatamente nellarea delle perdite. Al punto di pareggio in sostanza legato il concetto di leva operativa intesa come il rapporto tra la variazione percentuale del reddito operativo e quella delle unit vendute. Essa, pu essere definita come il grado in cui vengono sfruttati i costi fissi nellattivit operativa.
Leva operativa = Variazione percentuale del reddito operativo / Variazione percentuale delle vendite
Unazienda che ha unelevata proporzione di costi fissi rispetto ai costi totali e ai ricavi ha unalta leva operativa perch, al crescere della quantit prodotta, vede crescere + rapidamente il suo reddito operativo rispetto ad unaltra azienda con una leva operativa + bassa. Il concetto di leva operativa si collega quindi alla struttura dei costi e misura le conseguenze di un miglior sfruttamento dei costi fissi sul risultato operativo aziendale. chiaro del resto che unimpresa con alti costi fissi sopporta un rischio + elevato rispetto ad unimpresa con una minore incidenza di tali costi, perch i costi fissi globali sono teoricamente ritenuti indipendenti dal volume di produzione, mentre lincidenza di questi costi sulle singole unit prodotte diviene sempre + bassa allaumentare dei volumi prodotti con le potenzialit di produzione disponibili.
Come calcolare analiticamente il BEP: La linea dei ricavi espressa da unequazione del tipo: R = y dove: R = ricavi y = volume produttivo o di vendita (nellipotesi di una perfetta uguaglianza tra valore del volume di produzione e di vendita e valore dei ricavi)
La linea dei costi complessivi pu essere espressa da unequazione del tipo: C = ay + k dove: C = costo complessivo a = coefficiente angolare della linea dei costi variabili (rapporto tra i costi variabili totali e ricavi complessivi) k = costi fissi.
Per avere il punto di equilibrio necessario che i ricavi siano uguali ai costi cio: y = ay + k da cui si ottiene: y = k / (1 - a) 67 Analiticamente, dunque, il volume di produzione o di vendita dato dal rapporto tra i costi fissi e la differenza tra i ricavi unitari ed il coefficiente di variabilit dei costi variabili. Tale differenza (1 a) denominata margine di contribuzione ed indica in quale misura i ricavi di vendita, sottratti i costi variabili, contribuiscono alla copertura dei costi fissi prima dellottenimento del pareggio economico o alla generazione del profitto, una volta oltrepassato il punto di pareggio.
Metodo per produzioni omogenee: nellipotesi di produzioni omogenee la determinazione di tale punto pu essere ottenuta sulla base di valori totali, partendo dalla cosiddetta equazione del profitto. Questa si esprime ponendo i ricavi complessivi pari ai costi fissi complessivi + il profitto lucrato. Cio: RQx = Cf + CvQx + PQx Dove: Qx = volume di produzione o di vendita, R = ricavo per unit di prodotto Cf = costi fissi complessivi Cv = costi variabili per unit di prodotto P = profitto per unit di prodotto Il punto di pareggio si ha quando i profitti sono uguali a zero (PQx = 0), quindi lequazione diventa
RQx = Cf + CvQx da cui si ottiene: Qx = Cf / (R Cv)
7. I QUOZIENTI DI BILANCIO (RATIO) Mediante lanalisi del bilancio di esercizio possibile costruire vari rapporti tra le poste dello stato patrimoniale e/o del conto economico (che prendono la denominazione di ratio) adatti a rivelare situazioni ed andamenti della gestione nel tempo. In pratica i ratio sono uno strumento di interpretazione del bilancio di esercizio e costituiscono una base per le valutazioni prospettiche della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica di unazienda. REDDITIVITA: La redditivit si calcola rapportando valori espressivi del reddito aziendale a misure del capitale impiegato. ROI (return o investment): La redditivit della gestione operativa solitamente valutata facendo ricorso al ROI, che si costruisce mettendo a rapporto il reddito operativo e il capitale investito nella gestione caratteristica.
ROI = Reddito Operativo Capitale investito
Il valore minimo soddisfacente dovrebbe essere pari al costo medio del denaro. Infatti il Roi rappresenta la redditivit della gestione caratteristica, che dovrebbe essere almeno uguale al tasso corrente rappresentativo del costo medio del denaro.
ROS (return on sale): La redditivit della gestione caratteristica si presta, ancora, ad essere misurata in relazione al volume delle vendita. Lindice ROS si costruisce ponendo al numeratore lutile operativo e al denominatore il volume dei ricavi di vendita. Esso misura, in effetti, il margine operativo su ciascuna unit monetaria ed particolarmente utile per valutare lefficienza di segmenti diversi di vendita (ad es. divisioni di prodotto o territoriali). 68
ROS = Reddito Operativo Ricavi vendita
SCOMPOSIZIONE DEL ROI: Attraverso il ROS possibile scomporre il ROI nel prodotto tra il ROS stesso e il tasso di rigiro del capitale (turnover = ricavi di vendita su capitale investito).
La scomposizione del ROI nelle sue determinanti fondamentali, consente di valutare se le variazioni di tale indice sono dovute ad una modificazione del tasso di redditivit sul venduto oppure ad un mutamento del tasso di rigiro del capitale e lega le due grandezze fondamentali di questi rapporti alla relative voci di bilancio. ROE (return on equity): Il ROE esprime la redditivit dei mezzi propri e si calcola rapportando lutile netto desercizio al capitale netto dellimpresa.
ROE = Utile netto . Capitale netto
Il ROE dovrebbe essere almeno pari al tasso free risk (tasso di rendimento dei titoli di debito pubblico a breve scadenza) maggiorato per il premio del rischio, in considerazione del livello di rischio operativo e finanziario che si assume limprenditore. Il ROE si lega al concetto di costo opportunit del capitale, ovvero del rendimento massimo ottenibile da un altro investimento contrassegnato dal medesimo profilo di rischio e al quale limprenditore rinuncia per investire nellimpresa.
ECONOMICITA: Un secondo gruppo di ratio quello che misura leconomicit della gestione, cio il rapporto tra i ricavi e i costi di gestione. Lindice di economicit in senso tradizionale (costi su ricavi) va naturalmente costruito per lintera impresa ed esprime landamento delleconomicit della gestione nel suo complesso. chiaro che questi ratio denotano valori sempre + positivi al loro decrescere, dato che uneventuale diminuzione testimonia una minore incidenza del costo rispetto ai ricavi. I principali indici parziali di economicit pongono a raffronto i costi di lavoro, delle materie impiegate, di ammortamento e gli oneri finanziari rispetto ai ricavi o ai costi totali (infatti possibile costruire tali rapporti anche soltanto in termini di costi, cio ponendo a raffronto costi di specifiche funzioni con i costi complessivi).
SITUAZIONE FINANZIARIA: Lultimo gruppo di indici comprende gli indici che consentono di valutare la situazione finanziaria dellimpresa. Gli aspetti da misurare riguardano la solvibilit, la solidit patrimoniale e la liquidit. MARGINE DI STRUTTURA: Un indicatore di particolare valore, che non un ratio, il c.d. margine di struttura. Questo infatti un valore differenziale, perch p dato dalla differenza tra i mezzi propri aziendali e gli impieghi (o immobilizzazioni) fissi.
69 Margine di struttura = Mezzi propri - Impieghi fissi
Questindice rivela se positivo uneccedenza delle fonti di finanziamento non soggette ad obblighi di rimborso, nei confronti del capitale investito in impieghi fissi (cio misura in effetti il grado di solvibilit aziendale), se negativo, invece, indica una ridotta attitudine dellimpresa a modificare e riconvertire lapparato produttivo per carenza di fonti finanziarie specifiche. INDICE DI COPERTURA DEL CAPITALE FISSO: Impostando questo tipo di misurazione in termini di rapporto, si ha lindice di copertura del capitale fisso, che esprime il grado secondo cui i mezzi propri hanno finanziato il capitale fisso aziendale.
Indice di copertura del capitale fisso = Mezzi propri Impieghi fissi
INDICE DI SOLIDITA PATRIMONIALE: Il rapporto tra il capitale netto e il totale dei debiti a breve, medio e lungo termine, esprime il grado di solidit patrimoniale dellazienda. Unimpresa si dovrebbe definire solida allorquando lindice di solidit patrimoniale assume un valore almeno pari allunit, poich ci significherebbe che nellistante considerato il totale dei mezzi propri idoneo a far fronte dellindebitamento complessivo.
Indice di solidit patrimoniale = Capitale netto Debiti
GRADO DI INDEBITAMENTO AZIENDALE: il quoziente tra il totale dei debiti ed il capitale investito, esprimendo il rapporto tra mezzi di terzi ed il totale delle risorse investite nellimpresa, misura poi il grado dindebitamento aziendale.
Grado di indebitamento aziendale = Totale dei debiti Capitale investito
GRADO DI CONSOLIDAMENTO DELLA DEBITORIA: Indicativo il rapporto tra il totale dei debiti a lungo termine ed il totale dei debiti aziendali, che esprime il grado consolidamento della situazione debitoria dellimpresa. Su questo indice bisogna osservare che, a parit dellindebitamento globale, una maggiore incidenza dei debiti a medio-lungo termine dovrebbe essere vantaggiosa sotto due profili: - costo del denaro + basso, - possibilit di programmare il rimborso secondo prestabiliti piani di ammortamento.
Grado di consolidamento della debitoria = Debiti a medio/lungo termine Debitoria totale
INDICE DI RIGIDITA DELLIMPRESA: un indice idoneo a misurare il grado di rigidit dellimpresa dato dal rapporto tra lattivo immobilizzato e lattivo corrente: pi elevato il peso dellattivo immobilizzato pi, per limpresa, sar difficile uneventuale riconversione dellattivit caratteristica nel caso di mutamento strutturale delle tendenze di mercato.
Indice di rigidit = Attivo immobilizzato Attivo circolante
INDICI DI LIQUIDITA: Il margine di liquidit si costruisce sottraendo dalle attivit correnti le passivit correnti, intese come valori da cui potranno avere origine entrate ed uscite monetarie 70 nellesercizio. Bisogna tuttavia tener presente che tra le attivitcorrenti si rinvengono tre tipi di valori, caratterizzati da un diverso grado di liquidit (trasformabilit in denaro): a) attivit liquide (cassa, banche e titoli) b) attivit a liquidit differita (crediti a breve) c) attivit liquidabili (scorte di magazzino al netto della scorta di sicurezza che vincolata) In rapporto a questi differenti tipi di attivit correnti, si costruiscono diversi indici di liquidit.
Indice di liquidit corrente = Attivit correnti Passivit correnti
MARGINE DI TESORERIA: sempre ai fini del controllo della liquidit particolarmente importante sorvegliare costantemente il c.d. margine di tesoreria.
Margine di tesoreria = Attivit liquide + Attivit a liquidit differita Passivit correnti
8. BALANCED SCORECARD (Kaplan e Norton) La balanced scorecard (Scheda di valutazione bilanciata) un sistema di rilevazione dellefficienza aziendale alternativo ai tradizionali strumenti esclusivamente quantitativi, grazie allallargamento dello spettro di prospettive da monitorare per una valutazione complessiva della performance dimpresa. porre al centro dellattenzione del controllo la vision aziendale; Si tratta di un insieme bilanciato di indicatori, quantitativi e non quantitativi, legati a fattori critici di successo della strategia aziendale che, in un sistema integrato, si rinforzano lun laltro, nellobbiettivo comune di indicare le prospettive future dellazienda. La ponderazione: Il termine balanced suggerisce la necessit di trovare un equilibrio tra i vari fattori di misurazione della performance aziendale e di fare in modo che essi siano opportunamente ponderati alla fine di obiettivi di lungo periodo. I problemi da risolvere nella costruzione della balanced scorecard sono, dunque, quelli sia di scelta dei parametri di misurazione sia di determinazione degli indici di perequazione, ossia del peso relativo da attribuire ai vari tipi di parametri. I vari indicatori sono poi raggruppati solitamente in quattro prospettive, che rappresentano le dimensioni principali rispetto alle quali viene creato valore in azienda e che, quindi, sono destinate a valutare la performance dimpresa: - la prospettiva economico-finanziaria - la prospettiva della soddisfazione del cliente - la prospettiva dei processi aziendali - la prospettiva dellapprendimento
Vantaggi: Traduce la strategia in azione e consente un allineamento costante tra le azioni operative e gli obiettivi di lungo periodo; La portata informativa va oltre la rilevazione degli scostamenti, indicando le linee giuda per il miglioramento delle performance future; Strumento estremamente flessibile.. 71 Limiti: Estrema soggettivit che caratterizza la sua costruzione, rendendolo molto utile per comparazioni temporali, ma pressoch inutilizzabile per quelle spaziali; Corretta individuazione delle aree di criticit, delle ponderazioni, degli indicatori; Misurazione degli obiettivi.
Prospettiva (indici) Perequazione Risultato di periodo Valore a budget Variazione % Punteggio attribuito ECONOMICO- FINANZIARIA