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SOSTENIBILITÀ INTEGRATA E CREAZIONE DEL VALORE CONDIVISO

Economia aziendale (studia le condizioni di esistenza e le manifestazioni di vita dell’azienda) e


gestione delle imprese (studia il complesso di decisioni e operazioni dirette al raggiungimento
degli obbiettivi pre ssati) è lo studio del comportamento economico, dei modelli manageriali e dei
processi di funzionamento delle imprese.
Dall’inizio degli anni 2000 e con crisi del 2008 è cambiato il ruolo delle imprese nella società ed è
stato messo in discussione sia grazie alla globalizzazione che all’ambiente.

DA PROSPETTIVA SHAREHOLDERS A PROSPETTIVA STAKEHOLDERS


Il signi cato sociale ed economico delle imprese e la loro immagine messi in discussione:
rinnovamento dei modelli di produzione e consumo, nalizzato alla creazione di un sistema
capitalistico virtuoso:
Shareholders models: l’obiettivo più razionale per l’imprese è la creazione di valore per gli
azionisti, in quanto crea un equilibrio di interessi nel legno periodo
Stakeholders model: la creazione di valore condiviso e centralità degli stakeholder (lavoratori,
ambiente comunità locale, clienti... portatori di interesse). L’impresa deve considerare tutti gli
attori e non solo gli azionisti assumendosi responsabilità economiche e sociali.
Responsabilità sociale: gestione responsabile allineata rispetto a obbiettivi di sviluppo
sostenibile. È l’integrazione volontaria di obiettivi e pratiche sociali e ambientali nei processi
aziendali e nelle relazioni con gli stakeholders.
Necessità ad aprirsi al dialogo, alla cooperazione con il proprio contesto di riferimento con
l’obbiettivo di:
- Creare valore sostenibile cioè che soddis gli interessi degli stakeholders per riuscire ad->
- Orientarsi al lungo periodo; Se l’impresa fosse orientata a soddisfare gli interessi solo degli
azionisti potrebbe rinunciare a quegli investimenti orientati al lungo periodo che
soddisferebbero più persone.
La sostenibilità d’impresa comporta un nuovo approccio strategico alla gestione d’impresa,
basato su una visione relazionale della stessa.
IMPRESA SOSTENIBILE
L’ordinamento giuridico di molti paesi si apre a nuove forme di impresa in grado di combinare lo
scopo di lucro con nalità ambientali e sociali (società Bene t in Italia).
La sostenibilità come nuovo modello di gestione e governo aziendale orientato alla soddisfazione
delle aspettative degli stakeholder: gestione integrata della Corporate Sustainability (CS); ciò
porta alla creazione di valore condiviso
La sostenibilità dell’impresa dipende dalla sostenibilità delle sue relazioni con i di erenti portatori
di interesse:
- Adeguata remunerazione per soci e azionisti
- Migliori condizioni di lavoro
- Condivisione della conoscenza è e collaborazione di lungo periodo con i fornitori
- Relazioni trasparenti e chiare con i partner nanziari
- Corretta relazione con gli organi di governo locali e nazionali
- Ruolo propulsivo e innovativo dell’impresa all’interno della società
- Attenzione dell’ambiente
La sostenibilità da anche opportunità di incremento della competitività dell’impresa e creazione di
valore; è una fonte di capitale intangibile, di qualità, ducia, reputazione con un clima interno
favorevole. Queste caratteristiche permettono di creare valore nell’impresa.
C’è una visione sistemica che porta l’impresa ad interagire con il mondo esterno quindi con
imprese, soggetti pubblici e la società.
ECONOMIA POSITIVA: creata nel 2012 da Attali crea ricchezza per essere investita nelle
generazioni future permettendo una condivisione di informazioni e relazioni.
ECONOMIA CIRCOLARE: mira a mantenere la risorse utilizzate quanto più a lungo possibile
all’interno del ciclo produttivo, con l’obiettivo di auto-rigenerarsi.
ECONOMIA DELLA CONDIVISIONE: i processi produttivi e i beni non sono detenuti dall’impresa,
ma questa funziona come collegamento tra chi ha un bene e chi lo richiede.
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TRA SOGGETTI E SISTEMI: GLI AMBITI DELLA TEORIA D’IMPRESA
Dalla rivoluzione industriale all’impresa moderna:
Si ha la nascita di ampi mercati di consumo e la necessità di una nuova entità economica. Tutte le
energie erano impiegate per la produzione (impresa input-output). Con il passare del tempo
nascono nuove gure aziendali e i mercati si intensi cano e la produzione viene messa sullo
stesso piano delle altre attività, perciò si ha il concetto di impresa come organizzazione
complessa (impresa sistemica).
Queste due tipologie di impresa (passata e presente) hanno in comune la centralità del concetto
di creazione di ricchezza cioè il maggior valore derivante dal processo di trasformazione delle
risorse operato dall’impresa.
MODELLI D’IMPRESA
Dalla dimensione dell’impresa dipendono le soluzione organizzative e gestionali adottate. Le
dimensioni possiamo de nirla da diverse prospettive:
1. Attività produttiva. Questa può essere classi cata su vari modelli qualitativi e quantitativi, ad
esempio processi artigianali vs processi industriali-> distinti sulla base dell’ampiezza
nell’applicazione del principio di standardizzazione dei processi di lavorazione. Ovviamente i
processi industriali utilizzeranno una standardizzazione dei prodotti a di erenza dei processi
artigianali
2. Beni realizzati: prodotto artigianali che è ottenuto con modalità di produzione e ettivamente
artigianali; prodotto a immagine artigianale cioè un prodotto standardizzato al quale si riesce a
dare un’apparenza di artigianato.
L’impresa artigiana ha delle caratteristiche qualitative che sono: produzione artigianale, scarsa
strutturazione dell’organizzazione, mancanza di standardizzazione nei processi decisionali,
nessun potere di mercato e nessun potere nei confronti dei nanziatori.
Ci sono 4 variabili riconosciute per distinguere le piccole e medie imprese dalle grandi imprese
con la prospettiva quantitativa:
- Il capitale investito—> tipo di lavorazione: capital intensive come i processi industriali altamente
standardizzati che investono molto nei macchinari/ labour intensive non tiene conto dei beni in
locazione e in leasing.
- Il numero di addetti—> bisogna fare il rapporto tra numero di addetti e capitale investito per
avere un valore reale
- Il fatturato—> di cile comparazione tra diverse imprese e non tiene conto dell’integrazione
verticale. Per integrazione verticale si intende il livello di controllo su tutto il processo (dalla
materia prima alla vendita del prodotto nito)
- Il valore aggiunto—> presenta delle di coltà di calcolo perché in via sintetica:output aziendali-
input acquistati dall’esterno. Via analitica: insieme delle remunerazioni dei fattori produttivi
(utile netto+costi indiretti-ricavi indiretti).
Prospettiva qualitativa:
- La disponibilità di risorse—> nelle PMI sono caratterizzate da ridotte risorse che limitano gli
investimenti con conseguenze su meccanismi operativi e sulla struttura organizzativa
- Scelte strategiche—> possibilità di azioni, orizzonte temporale di riferimento, rapporti con
l‘ambiente competitivo
- Flessibilità—> in grado di a rontare meglio i cambiamenti repentini nell’ambiente di riferimento
- Contesto culturale e storico-sociale in cui l’impresa nasce
La grande impresa generalmente con un numero di addetti superiore a 500 caratterizzata da:
• Il controllo è detenuto dalla direzione del consiglio di amministrazione e dai principali manager
• Il management si autoperpetua: cooptazione (assunzione di un membro in un corpo do organo
collegiale, mediante la designazione da parte dei membri già in carica)
• L’impressa mira all’indipendenza nanziaria in quanto può auto nanziarsi, emettere
obbligazione e vendere azioni
• L’impresa mira ad una più generale autonomia decisionale rispetto a qualsiasi vincolo esterno
I gruppi di imprese: insieme di imprese giuridicamente distinte collegate tra loro da legami
azionari che consentono il controllo stabile di tutte le attività. I diversi gruppi di imprese si
di erenziano per la presenza o meno di una Capogruppo (Holding)
1. Gruppi gerarchici: struttura piramidale che fa capo ad una società holding sede del controllo
di tutte le attività.
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2. Gruppi associativi: il potere delle imprese all’interno del gruppo è equivalente, il
coordinamento non fa capo ad una holding, ma è ottenuto mediante vare meccanismi di tipo
formale o informale
3. Gruppi conglomerati: operano in settori privi di collegamento tra loro
Per capire se si sta analizzando un gruppo di imprese e non un insieme di imprese bisogna tener
conto della presenza di unità decisionali distinte, devono esserci dei legami strutturali (obiettivi
comuni, partecipazioni...), la holding deve assicurare un controllo strategico e devono uni care i
processi decisionale per il raggiungimento degli obiettivi comuni e una fusione di capitali nelle
imprese del gruppo. Tra i gruppi di imprese possono esserci, oltre ai legami nanziari, anche
legami economici: legati ad accordi di collaborazione che danno vita a liere di produzione o a
relazioni stabili (quasi gruppi). Possono esserci anche legami personali come legami di amicizia,
parentela o professionali, vengono chiamati gruppi di fatto.
Per la creazione di ricchezza è necessario che intervenga la gura dell’imprenditore, il quale deve
trovare le soluzioni ottimali e coordinare le varie risorse (materiali, immateriali e umane) a sua
disposizione (fornitore che garantisce buona qualità e buoni prezzi, coordinare il personale). La
gura dell’imprenditore si caratterizza dalla sua molteplicità, deve avere delle doti:
imprenditorialità cioè la capacità di immaginare e costruire il futuro dell’impresa; leadership cioè la
capacità di organizzare e gestire l’attività e la capacità di guidare le persone coinvolte
nell’organizzazione.
L’attività imprenditoriale deve sapersi muovere lungo 3 dimensioni:
1. Dimensione mentale
2. Dimensione organizzativa: svolgere le attività in modo e cace
3. Dimensione relazionale per la costruzione di relazioni interne ed esterne all’impresa.

PROSPETTIVE SUL FINALISMO D’IMPRESA PER LA CREAZIONE DI


RICCHEZZA
TEORIE
Scuola neoclassica (marginali sta o marshalliana) seconda meta dell’800. L’obiettivo dell’impresa
è la massimizzazione del pro tto dove il ricavo marginale (maggior ricavo quando il ricavo passa
da n a n+1) eguaglia il costo marginale (costo che si ha se la produzione di un’unità). Gli obiettivi
sociali e ambientali sono estranei all’attività dell’imprese e perciò considerati uno spreco di
risorse. A nché questa teoria si realizzi ci sono una serie di presupposti che sono:
- Concorrenza perfetta
- Unico soggetto decisore (imprenditore)
- Perfetta razionalità dell’imprenditore
- Perfetta informazione (trasparenza del mercato) Condizioni di equilibrio
- Assenza di barriere all’entrata o all’uscita
- Totale libertà di circolazione dei fattori (no dazi)
Questa teoria è stata sottoposta a numerose critiche come:
• Presuppone una condizione di equilibrio
• Si limita al pro tto di breve periodo trascurando le esigenze di sicurezza e sopravvivenza
dell’azienda
• Non si considerano possibili con itti di interesse tra azionisti e manager e le relative divergenze
di obiettivi
• Non considera che l’azienda è un fenomeno sociale e quindi i suoi obiettivi non possono
limitarsi al pro tto. Deve tener conto anche di elementi sociali e ambientali.
Teorie critiche alla concorrenza perfetta per la massimizzazione dei pro tti
• Sra a sottolinea un equivoco di fondo: pone come obiettivo primario la massimizzazione de
pro tti ma nega l’esistenza stessa del pro tto perché considera il mercato in equilibrio. Dice
che bisogna massimizzare il pro tto, ma essendo in una condizione di equilibrio (concorrenza
perfetta) nessuno riesce ad “emergere” tra i concorrenti

• La teoria della concorrenza monopolistica che sottolinea la presenza di prodotti di erenziati e


di erenziabili e che il prezzo di vendita dipende dal comportamento dei concorrenti (che è
mutevole, imprevedibile e incerto)
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• La teoria dell’interdipendenza monopolistica (empirica): interdipendenza dei comportamenti
delle imprese che non possono essere codi cati a priori. Ad un’azione di un mio concorrente
corrisponderà ad una mia reazione

La nalità principale dell’impresa rimane in ogni caso la massimizzazione del pro tto

Teoria degli stakeholder


1984 Freeman secondo il quale l’impresa deve agire secondo l’interesse di tutti gli stakeholders,
questa attività impatta tutti i processi interni ed esterni. Rispetto alla teoria classica che vedeva
l’impresa come un insieme di transazione economiche, qui l’impresa è quell’organizzazione
attraverso per e con la quale i soggetti soddisfano i propri interessi, anche grazie alle relazioni
costruite tra questi.
L’impresa per avere successo, non solo ha bisogno del contributo degli stakeholder, ma lo stesso
successo di impresa consiste nel soddisfare gli stakeholder. L’impresa avrebbe dovuto
massimizzare non il pro tto, ma la soddisfazione degli stakeholder nel suo insieme, distribuendo
la ricchezza generata fra i vari partecipanti in modo equilibrato.

Critica: perseguire obiettivi sociali anziché reddituali nisce per danneggiare l’impresa. Nel lungo
periodo questa condizione non permette all’impresa di crescere es. Alitalia.
Evoluzione: dall’idea che l’impresa deve massimizzare il pro tto a quella che l’impresa deve
massimizzare la ricchezza degli azionisti. L’obiettivo dell’impresa dovrebbe essere unico.
La creazione di ricchezza degli azionisti è l’obiettivo che meglio soddisfa l’interessa di tutti nel
lungo periodo. Secondo gli studi più recenti svolti nell’ambito dell’economia e gestione delle
imprese, la ricerca della ricchezza degli azionisti si deve realizzare in un contesto di relazioni
armoniche con l’ambiente. L’impresa che si guadagna una buona reputazione e l’appoggio degli
stakeholder può fare leva su queste relazioni per creare ricchezza.

Evoluzione delle competenze manageriali per governare le imprese


Periodo Caratteristiche Funzione
emergente

Anni ‘50 Produzione di massa: i mercati crescono, tutti gli sforzi sono Produzione
destinati alla produzione

Anni’60 Rallentamento della produzione, diminuzione della domanda perciò Marketing


l’impresa deve sottrarre clienti ai concorrenti e di erenziare i
prodotti per attirare a sé i clienti
Anni ‘70 Crisi economiche e sociali: crisi petrolifera, crisi delle imprese che si Finanza, strategia e
devono innovare, ridimensionare. Per le imprese diventa più di cile piani cazione
accedere al credito strategica
Anni ‘80 Ripresa economica Scienza come strumento competitivo Logistica, gestione
Produzione dei servizi: bisogna considerare gli impianti produttivi dell’innovazione
capaci di produrre diverse varianti di prodotti. Bisogna portare la
scienza all’interno dell’impresa per far si che si sviluppi al meglio
Anni ‘90 In uenza di fattori ambientali non competitivi come l’introduzione Protezione
della privacy o della sicurezza sul lavoro aziendale

Tematiche emergenti
Qualità totale: tutti i processi aziendali sia produttivi che attività di altro in genere possono essere
largamente e continuamente migliorati per risultati notevoli per l’impresa.
Globalizzazione dei mercati: sistema che lega persone, imprese, economie, Stati e conoscenze
tecnologiche di diversi paesi in un sistema integrato. Le cause di questo processo sono progresso
tecnico, sociale e politiche di integrazione—>aumento dell’interdipendenza dei mercati nazionali
(sia mercati nanziari, che mercati dei beni), un aumento del usso dei lavoratori attraverso i
con ni, un aumento dei ussi di informazione.
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L’ORIENTAMENTO ALLA CREAZIONE DI VALORE: EVOLUZIONE,
TEORIE E MODELLI
La ricchezza investita dalla proprietà di un’impresa è rappresentata dal capitale netto:
• +Conferimenti dei soci: capitale sociale
• + utili
• - perdite
• -prelievi—> dividendi
Il capitale netto è la quota di ricchezza che è stata investita dalla proprietà nell’impresa,
aumentata o diminuita dai risultati storicamente ottenuti e al netto dei trasferimenti di ricchezza
dall’impresa verso gli azionisti.
CAPITALE NETTO>CAPITALE SOCIALE= ricchezza iniziale è aumentata
CAPITALE NETTO<CAPITALE SOCIALE= ricchezza iniziale è decurtata
Il concetto di capitale netto guarda al passato, quello di ricchezza degli azionisti al futuro

DAL CAPITALE NETTO AL CAPITALE ECONOMICO


- Valore di capitale economico (W):

t = 1a∞ × Dt ÷ (1 + Ke)t

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Dt:dividendo al tempo t
Ke: tasso di attualizzazione calcolato in funzione del rendimento atteso dagli azionisti, tenendo
conto anche del rischio.

VALORE DELL’IMPRESA (V)


FCFO: usso di cassa operativo al tempo t (free cash ow from operations)
K: tasso di attualizzazione che esprime una media ponderata delle attese di rendimento di debitori
e azionisti

VALORE DEL DEBITO (D)


Ft: il usso ricevuto dai nanziatori al tempo t
Kd: tasso di attualizzazione calcolato come tasso d’interesse abitualmente applicato dal mercato
con caratteristiche simili per durata e rischio
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Il valore del capitale economico esprime la ricchezza degli azionisti che guardano al lungo
periodo.
È spesso di erente dal valore di mercato (cioè il prezzo con cui passa di mano la proprietà delle
imprese) a causa di vari fattori tra cui: presenza di investitori con intenti speculativi, grado di
trasparenza dei mercati, dimensione dei mercati nanziari, tendenza ad andamenti ciclici e gioco
delle aspettative.
È importante creare valore di capitale economico ma anche di onderlo e trasformarlo in valori di
mercato.
Casi di illecita sostituzione della di usione alla creazione : Parmalat e Enron

Secondo Guatri (1998) la teoria del valore di capitale economico, si pone come un obiettivo che
risulta essere razionale, largamente condivisibile, stimolante e misurabile
La teoria di creazione di valore costringe le imprese a individuare e selezionare i business che
creano valore per gli azionisti; perciò dovranno
revisionare le strategie di portafoglio business—> attraverso degli interventi di ristrutturazione,
perciò individuare le attività che non generano valore e quelle che hanno bisogno di miglioramenti;
dotarsi di sistemi decisionali speci ci e di nuove pratiche manageriali—>introduzione di
sistemi operativi che determinano un costante orientamento al valore (VBM). Questo è costituito
da:
1. La misurazione del valore creato (ad es. di erenza tra il reddito operativo netto e il costo del
capitale impiegato per produrre quel reddito)
2. La piani cazione degli investimenti
3. Il sistema di incentivazione

Il management ha il compito di ristrutturare l’impresa e impostare la gestione sulla base del


concetto di creare valore. Per la misurazione della ricchezza generata dall’impresa è necessario
rifarsi al valore del capitale economico; tale valore, spesso diverso da quello di mercato, deve
essere di uso. L’obiettivo della creazione di valore oggi è fortemente condiviso.

VALORE, SOSTENIBILITÀ E RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA


L’attenzione verso l’obiettivo della creazione di valore per gli azionisti non deve portare a
sottovalutare il ruolo dell’ambiente sociale e politico; bisogna quindi fare attenzione a:
globalizzazione, iper competizione, questione ambientale e al tema della corporate governance.
1. GLOBALIZZAZIONE
Dal punto di vista economico si parla di integrazione cioè di un sistema che lega persone,
imprese, economie, stati e conoscenze tecnologiche di diversi paesi in un sistema integrato.
Aumenta l’interdipendenza dei mercati nazionale (sia nanziari che dei beni), aumenta il usso di
lavoratori attraverso i con ni e aumenta il usso di informazioni. Le prime fasi della
globalizzazione si sono avute tra il 1870 e il 1914. La seconda fase tra il 1950 e il 1980 e in ne la
terza fase che va dal 1980 ad oggi.
Le determinanti della globalizzazione sono il progresso tecnico che riduce le barriere naturali tra i
mercati (costi di trasporto e comunicazione), il progresso sociale che riduce le barriere culturali
(linguistiche e religiose) e le politiche di integrazione che riducono le barriere di con ne (dazi) e
interne (regole discriminatorie).
Accanto ai bene ci sulla ricchezza e sullo sviluppo tecnologico la globalizzazione determina
cambiamenti drammatici che provocano tensioni e con itti. Il 16 aprile 1995 in Pakistan ci furono
delle proteste in seguito all’assassinio del piccolo Iqbal Masiq che aveva osato ribellarsi alla sua
condizione di semi-schiavitù come tessitore di tappeti e denunciato chi lo sfruttava.
2. IPER COMPETIZIONE
I ritmi dell’innovazione tecnologica dettano quelli della concorrenza, e le imprese vedono erodersi
le posizioni di vantaggio competitivo con una velocità prima sconosciuta.
3. AMBIENTE
Si assume un approccio pro attivo che si traduce in innovazioni volte a minimizzare l’uso
dell’energia, dei materiali e delle risorse naturali; ad aumentare la durevolezza e la riciclabilità dei
prodotti; a ridurre emissioni, scarichi, ri uti e uso di sostanze tossiche.
4. ATTENZIONE AL TEMA DELLA CORPORATE GOVERNANCE
La presenza di associazioni a difesa del consumo unitamente a comportamenti scorretti di alcune
imprese, hanno alimentato una dibattito sui modelli di corporate governance e accelerato
l’introduzione di nuove norme.
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Le imprese sono chiamate a bilanciare il valore degli azionisti e interessi degli stakeholder, perciò
deve avere una strategia di responsabilità sociale. Bisogna adottare due fattori di cambiamento:
Non bisogna trascurare gli impatti sull’ambiente e sugli ecosistemi, perciò bisogna adottare uno
sviluppo sostenibile come obiettivo condiviso da tutti i paesi avanzati.
Bisogna a ermarsi di modelli di consumo critici e una minore propensione ad instaurare relazioni
immediate con le imprese.
Perciò bisogna riformulare le regole di gestione attorno alla centralità del cliente e corretta
valutazione delle istanze di tutti gli stakeholder—> Sviluppo Sostenibile e Gestione Socialmente
Responsabile come nuovi imperativi.

• Corporate Social Responsability (CSR) indica l’impegno a comportarsi in modo corretto


indipendentemente dagli obblighi previsti dalla legge e dalle norme etiche individuali. Una delle
sue caratteristiche fondamentali è l’interazione con tutti gli ambiti della gestione aziendale; il
suo presupposto è che l’impresa dolerebbe realizzare uno sviluppo sostenibile.
• Triple bottom line cioè uno schema per misurare e comunicare la performance aziendale sotto
tre punti di vista: a) la creazione di reddito economico-aziendale, condizione primaria per la
sopravvivenza; b) la limitazione dell’impatto ambientale delle decisioni aziendali; c) la
soddisfazione delle attese degli stakeholder rilevanti per l’impresa. Queste tre dimensioni sono
gerarchicamente uguali e tra loro interagenti; al venir meno di una delle tre, anche le altre sono
a rischio.
• Centralità dei beni immateriali come le relazioni che devono essere durature nel tempo per
assicurare ducia e una buona reputazione; e la conoscenza accumulata e sviluppata nel
tempo.

La sostenibilità può essere de nita come la capacità di un’organizzazione one di continuare le sue
attività inde nitamente avendo tenuto in debita considerazione il loro impatto sul capitale
naturale, sociale e umano.
Ci sono state 130 ricerche empiriche sull’argomento CSR e risultati aziendali—> due prospettive:
1. Esistenza di un trade-o tra i due termini. Secondo Friedman i vantaggi e i costi non sono
comparabili perché hanno natura di erente. I costi sono immediati e certi, i vantaggi non sono
immediati e sono stimabili e valutabili indirettamente.
2. Esistenza di sinergie tra socialità e risultati economici e competitivi. Nuova concezione del
valore (Corporate Shared Valule) e trasformazione del ruolo di impresa.
Potenziale competitivo: crescita dimensionale, produzione di ricchezza, capacità di innovazione
—>creazione di valore (secondo la nuova concezione di valore condiviso).

CIRCOLO VIRTUOSO TRA CSR E PERFORMANCE


Il miglioramento della gestione delle aspettative degli stakeholders—> risultati aziendali—>
eccedenza di risorse da investire—> attività e comportamenti di RSI—>...
Questo circolo è dovuto a:
- Riduzione dei costi= relazione tra comportamento socialmente responsabile ed e cienza,
bisogna focalizzarsi su attività maggiormente produttive (formazione, orientamento, ricerca e
sviluppo)
- Incremento dei ricavi= reputazione di impresa socialmente responsabile, maggiore
delizzazione dei clienti, rapporti collaborativi con diversi stakeholders, possibilità di attrarre
talenti
In sintesi, alla de nizione di una strategia sociale previene per gradi dapprima attraverso una
interiorizzazione della RS all’interno delle gestione quotidiana: centralità del rapporto con gli
stakeholders, principi di miglioramento continuo, innovazione.

DISTRIBUZIONE DEL VALORE E GESTIONE DEGLI STAKEHOLDER


Superiorità del valore come obiettivo su cui orientare le scelte strategiche e i processi operativi
aziendali. L’adozione di standard sociali e ambientali più elevati rispetto a quelli previsti dalla
legge funzionale all’acquisizione e accumulazione di legittimità presso i diversi stakeholder
(disegno strategico complessivo). La Corporate Sustainability uno dei presupposti di fondo della
teoria degli stakeholder. Si riconosce il contributo della CS alla creazione di valore per tutti gli
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stakeholder elevandosi a leva strategica per preservare l’equilibrio economico del passato
(solidità patrimoniale), del presente (andamento economico favorevole) e del futuro (e cienza,
innovazione, competitività).

DISTRIBUZIONE DEL VALORE AGLI STAKEHOLDER E COMPETITIVITÀ


Nelle scelte di gestione, l’impresa, deve fare attenzione non solo ai fattori competitivi e di
mercato, ma anche a due ordini di condizionamento: vincoli posti dagli stakeholder e ai vincoli
posti dal sistema giuridico-formale
L’ambiente di riferimento è il complesso insieme di gruppi di stakeholder che hanno interesse nei
confronti dell’impresa. Gli stakeholder sono quei portatori di interesse di un’impresa senza il cui
appoggio un’organizzazione cesserebbe di esistere (Freeman 1984).

Clarkson (1995) ha individuato due di erenti categorie:


1. Stakeholder primari: gruppo di soggetti senza la cui continua partecipazione l’impresa
cesserebbe di esistere, ruolo fondamentale per l’impresa (clienti, fornitori, dipendenti...)
2. Stakeholder secondari: soggetti con i quali l’impresa si trova ad interagire ma dalla cui
interazione non dipende la sopravvivenza 8media, organizzazione non governative, comunità
di attivisti)
Le azioni di CS portano ad un aumento del livello di performance economiche e nanziarie
attraverso il miglioramento delle relazione con gli stakeholder chiave.

STAKEHOLDER IMPATTI

Azionisti/ nanziatori La ducia si traduce in un accesso più semplice e meno costoso al


capitale per il nanziamento della struttura e dei processi operativi

Dipendenti La ducia si traduce nell’acquisizione delle professionalità necessarie,


agevola lo scambio di informazioni, la collaborazione, l’impegno, migliora
l’e cienza e diminuisce i costi di controllo

Fornitori, acquirenti, partner La ducia agevola i rapporti con le imprese partner favorendo la
cooperazione, la coesione e il coordinamento e consentendo la riduzione
dei costi di transizione
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STAKEHOLDER IMPATTI

Concorrenti La ducia si traduce in una maggiore propensione a tutelare e


promuovere interessi comuni

Comunità locale, mass media, La ducia consente di raccogliere i consensi di cui l’impresa necessita in
associazioni una prospettiva di legittimazione sociale fondamentale per la sua
comunità

Amministrazioni pubbliche ed La ducia contribuisce alla riduzione dell’impatto della burocrazia e a un


enti vari maggiore supporto allo sviluppo delle attività d’impresa

STAKEHOLDER INTERNI
Distinguiamo a seconda dell’appartenenza o meno all’impresa e dell’impatto sulla competitività
1. AZIONISTI: poiché la struttura tipica dell’impresa nei modelli di capitalismo più evoluti è la
società per azioni, la rappresentazione tiepida degli stakeholder proprietarie è quella di
stakeholder azionisti. La struttura dell’impresa può essere: concentrata in pochi soggetti che
detengono elevate quote di capitale, o frammentata tra molti soggetti che detengono piccole
quote di capitale.
Gli azionisti possono essere di maggioranza cioè sono in grado d incidere sulle decisioni
aziendali; o di minoranza quando non sono in grado di decidere. Ancora gli azionisti possono
essere industriali se si interessano maggiormente all’anima operativa dell’impresa; o nanziare se
investono in capitale di rischio dell’impresa. In ne l’azionista può essere privato o pubblico.
2. DIPENDENTI: la loro posizione come stakeholder dipende dal loro livello di partecipazione ai
processi decisionali e al livello di rappresentanza e rilevanza dei sindacati
3. MANAGEMENT: il processo di delega della gestione al management conduce al problema della
separazione tra proprietà e controllo. La posizione del management come stakeholder dipende
dalle dimensioni e dal grado di complessità dell’azienda, dall’articolazione della struttura
proprietaria, dalla presenza di meccanismi di incentivo e di un mercato nanziario e ciente.

STAKEHOLDER ESTERNI
1. FORNITORI/CLIENTI o stakeholder di liera: (la liera produttiva è l’insieme delle lavorazioni
che consentono di arrivare ad un prodotto nito partendo da un insieme di fattori primari).
Ogni impresa assume un certo ruolo all’interno della liera, scegliendo quali fasi del processo
realizzare e determinando così il proprio grado di integrazione verticale. Le variabili chiave per
analizzare le relazioni di liera sono: la struttura del mercato di fornitura o di sbocco cioè se è
più o meno concentrato; il valore dello scambio (speci cità e quasi-rendita); le caratteristiche
della relazione cioè il grado di trasparenza informativa, ducia tra le parti e frequenza di
scambi e transazioni.
2. CONCORRENTI ATTUALI: l’intensità della concorrenza dipende dal tasso di concentrazione
del settore, dalla di erenziazione del prodotto e dalle condizioni di costo
3. CONCORRENTI POTENZIALI: possono esserci nuovi concorrenti che entrano nel mercato e
coloro che vendono prodotti sostitutivi.

IL SISTEMA FINANZIARIO
È composto da operatori nanziari che o rono all’impresa capitale di debito, i fattori di in uenza
sono il livello di indebitamento e il rischio dell’impresa, la dimensione e il prestigio dell’impresa e
in ne le caratteristiche dell’intero sistema nanziario.

GRUPPI DI INTERESSE E SOCIETÀ


Associazioni sindacali, ambientalisti, movimenti dei consumatori e la società in genere
—>dimensione sociale dell’impresa. I fattori di in uenza sono i vincoli normativi e l’impatto della
responsabilità sociale sul vantaggio competitivo
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IL SISTEMA PUBBLICO E IL MACROAMBIENTE
L’impresa opera in un contesto istituzionale di regole e di norma che ne determina gli spazi di
attività. I fattori di in uenza sono la regolamentazione dei mercati, la tutela della concorrenza e le
politiche macroeconomiche.

STRATEGIE DI GESTIONE DEGLI STAKEHOLDER


Bisogna comprendere a che prestare maggiore attenzione e come farlo. Gli elementi che
quali cano la rilevanza di una categoria di stakeholder sono: il potere, la legittimità e l’urgenza.
Il potere è la dimensione formale dell’autorità, può essere di natura coercitiva, di natura
utilitaristica o di natura simbolica.
La legittimità è la percezione generalizzata che le azioni di un soggetto siano appropriate, è una
dimensione sociale di autorità.
In ne l’urgenza è la situazione in cui le richieste di un gruppo di stakeholder diventano pressanti o
critiche.
CATEGORIE DI RILEVANZA
1. STAKEHOLDER LATENTI: si caratterizzano per un basso grado di rilevanza perché
posseggono uno solo dei tre elementi. Questi possono essere dormienti cioè detengono solo
il potere senza perseguire una condizione di legittimità con l’impresa e senza esercitare
pressioni; discrezionali possono vantare una legittimazione di tipo sociale senza averne il
potere e l’urgenza. In ne i dominanti che ritengono di avere un’ aspettativa urgente verso
l’impresa, ma l’aspettativa non è legittima e non c’è il potere per perseguirle.
2. STAKEHOLDER CON ASPETTATIVE (moderata rilevanza) hanno un grado maggiore di
rilevanza perché combinano due dei tre elementi. Possono essere dominanti quando
combinano potere e legittimità, sono soggetti che formano spesso nell’impresa una coalizione
degli interessi riconosciuti e con la capacità di farli rispettare; possono essere dipendenti
quando c’è una combinazione di legittimità e urgenza, a nché le istanze siano considerate è
necessario che esse vengano assumete da una categoria dotata di potere. In ne ci sono gli
stakeholder pericolosi che combinano potere e urgenza, l’assenza di legittimità può portare
tali soggetti ad esercitare il loro potere anche in modo contrastante rispetto agli obiettivi
dell’impresa.
3. STAKEHOLDER ASSOLUTI (alta rilevanza) combinano tutti e tre gli elementi, c’è
un’evoluzione della situazione di dominanza a cui si aggiunge l’urgenza, che rendono le loro
istanze immediate e irrinunciabili.

GESTIONE DEGLI STAKEHOLDER


Esistono 4 strategie principali per gestire gli stakeholder, sulla base di due macro variabili è
possibile individuare quando è più opportuno utilizzarle. Queste strategie si basano sul rischio/
minaccia per l’impresa e sulla cooperazione con l’impresa.

DINAMICA DEGLI STAKEHOLDER


Evidenzia la dinamica evolutiva del sistema di relazioni tra i portatori di interesse e l’impresa, in
generale l’evoluzione del sistema di relazioni fra stakeholder e impresa segue tre dimensioni:
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- Personale—> cambiamenti nell’atteggiamento e nei comportamenti verso l’azienda
- Di categoria—> un soggetto passa da una categoria all’altra
- Strategica—> la relazione cambia nel tempo per mutamenti nel ruolo della categoria
Nelle varie fasi di vita dell’impresa gli stakeholder assumono ruoli d’importanza diversi:
NASCITA CRESCITA MATURITÀ DECLINO

PROATTIVITÀ Azionisti, Fornitori, Dipendenti, Finanziatori e


nanziatori e clienti nanziatori e azionisti, fornitori e clienti
dipendenti secondari
ADATTAMENTO Dipendenti e Azionisti, Finanziatori Dipendenti e
fornitori consumatori e nanziatori
secondari
DIFESA Secondari Concorrenti Tuti gli altri Concorrenti

REAZIONE Concorrenti Concorrenti Tutti gli altri Concorrenti

Le istanze dei vari stakeholder assumono diversa rilevanza nel tempo e nello spazio in relazione al
manifestarsi degli elementi di potere, legittimità ed urgenza. La capacità di individuare gli
stakeholder rilevanti in un determinato sistema di relazioni consente di massimizzare il risultato
della loro gestione. La rilevanza dei diversi stakeholder cambia lungo il ciclo di vita dell’impresa. È
perciò necessario che cambi anche la strategia di gestione utilizzata nei confronti di ciascuno di
essi.

DALLE SCORSE LEZIONI


La teoria del valore di capitale economico si pone come un obiettivo che risulta essere razionale,
largamente condivisibile, misurabile e stimolante.
La teoria di creazione di valore costringe le imprese a individuare e selezionare i business che
creano valore per gli azionisti: revisione delle strategie di portafoglio business e dotarsi di sistemi
decisionali speci ci e di nuove pratiche manageriali.

LEVE DI CREAZIONE DELLA RICCHEZZA


Parliamo di leve perché a queste variabili corrispondono sempre speci che scelte con cui
l’impresa può tentare di manovrarle: strategiche, operative, di investimento e di nanziamento.
LE SCELTE STRATEGICHE: sono rivolte all’ottenimento di un vantaggio competitivo.
Secondo la teoria di creazione di valore, un’impresa crea vantaggio competitivo quando il valore
di lungo termine del suo output e delle sue vendite è maggiore dei costi totali, compreso il costo
del capitale (Rapport, 1998;1992). Ci sono delle condizioni da soddisfare per arrivare a un
vantaggio competitivo: creare ricchezza attraverso la produzione di beni e servizi utili ai clienti e
ottenuti con un impegno e ciente di risorse; disporre di posizioni di forza che permettono
all’impresa e agli azionisti di appropriarsi di almeno di una parte di questo valore. Le scelte
strategiche possono essere di due livelli:
1. Corporate—> imprese diversi cate e multidivisionali che devono gestire un portafoglio di
business. Ad esempio la Nestle si occupa di bevande, prodotti a base di latte, cibo per
animali, dolciumi... Hanno come obiettivo lo sviluppo del campo di azione dell’impresa
attraverso la scelta, in chiave tecnologico-produttiva, dei mercati e delle attività in cui operare.
Queste scelte sono rivolte a selezionare nuovi settori di attività e modalità di ingresso, ad
avviare iniziative volte a potenziare la performance combinata dei business e sviluppare
eventuali sinergie; a de nire priorità e allocazione delle risorse tra i business.
2. Business/competitive—> indicano le modalità con cui l’impresa decide di competere per
ottenere un vantaggio competitivo.
Per de nire quali scelte strategiche adottare si possono adottare approcci quantitativi: valutazione
economico- nanziaria—> strategie a livello corporate; teorie delle opzioni reali. Ma date la
soggettività degli approcci quantistici meglio valutare le scelte strategiche con il pensiero
strategico.
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LE SCELTE OPERATIVE: le numerose attività svolte dall’impresa sono articolate in funzioni.
Una funzione aziendale è formata da una serie di attività che hanno la stessa natura tecnico-
economica, sono riunite tra loro perché riguardanti il medesimo oggetto operativo e nalizzate alla
realizzazione degli obiettivi d’impresa. Le funzioni primarie cioè quelle fondamentali per la
creazione di ricchezza sono: produzione, marketing, vendita, distribuzione e logistica. Funzioni di
supporto creano i presupposti a nché le funzioni primarie possano operare al meglio, queste
sono le funzioni di personale, di amministrazione e controllo e dei sistemi informativi.
La funzione deve essere intesa come un sistema aperto inquadrata nel sistema complessivo delle
nalità aziendali. La prospettiva funzionale deve essere a ancata da quelle per processi. Per
processo si intende un insieme di attività, eventualmente appartenenti a più funzioni, svolte in
modo sequenziale o parallelo nalizzate ad uno speci co risultato nale.
L’ottica dei processi permette di superare le problematiche di frazionamento e scarso
coordinamento tipiche dell’organizzazione funzionale. L’attenzione viene posta all’intero percorso
che conduce all’output. Un processo deve avere sempre un output ben misurabile in termini di
valore creato per ogni cliente interno o esterno.
La funzione è composta da attività della stessa natura, mentre il processo è formato da attività
che, per di natura diversa, sono nalizzate al raggiungimento di un obiettivo comune, cioè lo
stesso output. L’aggregazione di più processi omogenei rappresenta in macro-processo (gestione
commerciale, gestione delle operation, gestione nanziaria).

CONCLUSIONI
per determinare il capitale economico, l’impresa ricorre a delle LEVE che derivano dalle scelte;
attraverso delle scelte strategiche, operative, di nanziamento e di investimento, l’impresa è in
grado di in uenzare le variabili che determinano la capacità di creare valore. La corretta gestione
delle attività richiede che sia posta grande attenzione all’organizzazione funzionale e a quella per
processi perché il valore per gli azionisti di pende da un successo a più livelli.

IL GOVERNO DELL’IMPRESA
Con il termine corporate governance si intende il sistema di norme e di vincoli che disciplinano i
rapporti tra azionisti e management e si assicura che l’impresa sia gestita nell’interesse dei primi
(Monks e Moniw, 2001).
Berle e Means (1932) su 200 società americane il 44% aveva azionisti che possedevano una
percentuale inferiore al 5%. I due studiosi prevedevano declino ed estinzione delle azienda, ma
con l’aggiornamento di Larner nel 1963 la percentuale era salita all’84,5%. La separazione può
avere anche e etti positivi come la possibilità di far a damento su manager quali cati e
professionali.
La separazione tra proprietà e controllo nelle società rappresenta un problema di agenzia.
Nel 1976 Jensen e Meckling studiarono il rapporto di agenzia: rapporto in cui un soggetto
(agente) svolge un’attività nell’interesse di un altro soggetto (principale). Le caratteristiche sono
discrezionalità, asimmetria informativa e la remunerazione dell’agente non dipende dal risultato,
almeno in parte.
RAPPORTO FRA MANAGEMENT E AZIONISTI
Nelle economie moderne l’attività dei manager è vincolata da una serie di regole sancite dalle
norme di legge, dallo statuto, dai contratti... Presenza di almeno due organi sociali:
1. ASSEMBLEA DEGLI AZIONISTI che ha potere di nominare e revocare gli azionisti, approva il
bilancio, attribuisce deleghe al CDA, decide su particolari materie...)
2. CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE gestisce l’impresa, attua l’oggetto sociale e sorveglia
sulla sua buona realizzazione
Sono spesso ine caci in quanto per i piccolissimi azionisti è molto costoso partecipare
all’assemblea, spesso si preferisce liquidare l’investimento. Mentre i consiglieri esterni o
indipendenti non esercitano il loro potere di sorveglianza sui manager, si ritiene che i consiglieri
esercitino i loro poteri in modo timido.
Nelle grandi imprese il management controlla sia il consiglio che l’assemblea, mentre dove la
proprietà è frammentata è necessario attivare altri meccanismi per disciplinare il comportamento
del management.

IL RUOLO DEGLI ALTRI STAKEHOLDER


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Dall’operato dei manager dipende la soddisfazione degli interessi di tutti gli altri stakeholder: si
dovrebbe vedere la corporate governance come la regolazione di un rapporto di agenzia multipla
in cui i principale comprendono gli azionisti e gli altri stakeholder (dipendenti, creditori, stato...); i
manager sono agenti di tutti gli stakeholder.
Gli interessi di creditori e azionisti possono non coincidere: i creditori ricevono un rendimento
sso mentre gli azionisti hanno diritto all’utile netto—> possibile con itto sugli investimenti
dell’impresa
I dipendenti si trovano in un rapporto di agenzia con il management in quanto lavorando
all’interno dell’impresa si aspettano un reddito adeguato, che è in uenzato dalle scelte
manageriali.
CORPORATE GOVERNANCE NEL MONDO
Si de niscono prendendo in considerazione due variabili: la composizione della proprietà e la

stabilità della proprietà.


Il modello anglosassone (USA) dove prevale la Borsa e la proprietà frammentata
Il modello renano (Germania e da alcuni paesi del Giappone) caratterizzato da proprietà
concentrata ed esercita uno stretto controllo sul management.
Una delle maggiori di erenze è il grado di protezione concesso agli stakeholder diversi dagli
azionisti.

IL MODELLO DI CAPITALISMO ITALIANO


Ha carattere comuni ad altri paesi: elevata concentrazione della proprietà; scarsa indipendenza
dei manager; debole mercato per il controllo; predominio degli intermediari bancari.
Pur caratterizzandosi per alcune peculiarità: il peso delle PMI, il controllo familiare, il ruolo delle
banche. Le banche sono la principale fonte di nanziamento per le imprese, le banche italiane
sono restie a concedere credito per progetti imprenditoriali non assistiti da garanzie personali o
reali—> carenza sistematica di nanziamenti per le iniziative innovative—> capitalismo italiano di
piccole dimensioni con forme di controllo basate su capitali privati di famiglia.
Il ruolo dello stato: c’è una storica presenza di esso in economia, dapprima con obiettivi di
risanamento e successivamente per sostenere lo sviluppo del paese; perciò la borsa italiana è
piccola.
La modernizzazione del capitalismo italiano: le privatizzazioni hanno stimolato una riforma delle
istituzioni di controllo e del sistema di governance. Ci sono varie regolamentazioni come quella
della concorrenza, la riforma della legge bancaria o la privatizzazione della borsa.
Permangono tuttavia situazioni di strutture proprietarie concentrate, scarsa partecipazione delle
banche al capitale delle imprese e scarso attivismo degli investitori istituzionali.
Il tema della corporate governance è di grande attualità per: il passaggio di proprietà pubblica a
privata, la domanda è come dovrebbero essere gestite e secondo quali modalità? Investimento
azionario di uso tra i risparmiatori a fronte di garantire ad essi una tutela in quanto investono nelle
imprese. Convergenza dei sistemi di governance nazionali verso regole e pratiche tipiche del
contesto americano
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TIPOLOGIE DI IMPRESA E FORME DI GOVERNANCE
Un sistema di corporate governance può essere giudicato in base a 3 elementi (Macey, 1998):
1. La capacità di impedire ai manager di sfruttare la gestione di impresa per trarne vantaggi
impropri
2. La capacità delle imprese di trovare nanziamenti nel mercato dei capitali
3. La capacità di rimuovere un management ine ciente

IL MERCATO DEI CAPITALI si divide in:


- Mercati diretti dove lo scambio nanziaria avviene in modo diretto e individualizzato (mercato
creditizio)
- Mercati aperti dove si scambiano di titoli o altre attività nanziarie standardizzate. Questo si
divide a sua volta tra mercati primari dove sono sottoscritti i titoli di nuova emissione (necessità
di nanziamento) e mercati secondari dove i titoli già emessi sono scambiati tra operatori (serve
per ride nire la composizione del proprio portafoglio di attività nanziare).

TRATTI CARATTERIZZANTI DELLE SOCIETÀ PER AZIONI


I diritti di proprietà sono rappresentati da titoli che vengono chiamati azioni, sono titolo fungibili
ciascuno con lo stesso valore unitario. Le azioni vengon scambiate sue mercati aperti
alimentando il mercato azionario. Le spa possono emettere anche titoli rappresentativi di debito,
chiamate obbligazioni scambiate nel mercato obbligazionario. Queste società hanno dunque il
massimo accesso al mercato di capitali.
La borsa valori è un mercato regolamentato parto e secondario che svolge le seguenti funzioni:
ammette i titoli alle contrattazioni, garantisce l’accesso degli investitori alle transazioni, ssa le
modalità di negoziazione e trasmette informazioni sugli scambi.
Le borse concentrano un altro numero di compratori e venditori rendendo i titolo liquidi, cioè chi li
possiede può trasformarli in denaro in qualunque momento. Chiedere la quotazione vuol dire
l’ammissione dei propri titoli agli scambi in borsa; l’accesso e il mantenimento alla quotazione è
sottoposta ad alcuni requisiti che variano a seconda della borse. È sempre necessario garantire
un adeguato ottante,cioè l’insieme e delle azioni in circolazione presso il pubblico, questo è un
limite per le piccole imprese.

PREZZI DI BORSA
Il valore di un titolo azionario è la somma dei ussi di cassa generati in futuro. I prezzi sono il
risultato delle aspettative degli operatori sulla performance futura della società e sono basati su
ussi di cassa di due tipi: i dividendi distribuiti periodicamente agli azionisti e i capital gain ossia
gli incrementi di prezzo delle azioni che gli azionisti possono monetizzare vendendo i titoli. I prezzi
di borsa esprimono un giudizio sintetico sulla capacità del management di gestire la società.
I prezzi di borsa sono sensibili alla frammentazione della proprietà e all’emissione di azioni con
diritti di voto limitati; i rapporti tra azionisti e management sono in parte mediati dal mercato dei
capitali.
Nel mercato azionario sono presenti diversi tipi di investitori:
1. INVESTITORI ISTITUZIONALI—> gruppo compositori investitori che investono in borsa come
elemento principale o comunque abituale della loro attività. I fondi di investimenti raccolgono
capitali da sottoscrittori privati e li investono in azioni o altri titoli; i fondi pensione raccolgono
prestazioni contributive da date categorie di lavoratori; in ne le compagnie di assicurazione
investono nel mercato dei capitali le risorse che ottengono dalla loro attività principale.
2. RISPARMIATORI PRIVATI—> individui e famiglie
3. SPECULATORI—> investitori professionali che partecipano agli scambi con lo scopo di
lucrare sulle oscillazioni di prezzo
4. LE IMPRESE—> acquistano partecipazioni in altre imprese per investire liquidità o per
acquisirne il controllo

SOCIETÀ NON QUOTATE


Molte imprese non arrivano a quotarsi perché non soddisfano i requisiti minimi dimensionali
imposti dalle borse; altre potrebbero ma vi rinunciano per poter usufruite modelli di governance
diversi da quelli imposti alle società quotate.
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FORME DI GOVERNANCE NON SOCIETARIE
Cooperative: organizzazioni a cui manca una proprietà vere e propria degli asset produttivi e la
gestione è svolta negli interessi dei dipendenti
Partnership: attività in cui il lavoro è di gran lunga il fattore produttivo più importante (avvocati,
commercialisti...)
Imprese no pro t: organizzazioni che non hanno proprietà o obiettivi di pro tto e si basano
sull’iniziativa spontanea degli aderenti

I RISCHI DELLA DISCREZIONALITÀ MANAGERIALE


L’origine della questione sulla corporate governance è ricondotta alla separazione tra proprietà e
controllo. I manager godono di ampia discrezionalità: dalle scelte di indirizzo strategico alla
quotidiana gestione degli a ari, il manager si trova spesso in situazioni in cui non è vincolato ad
alcuna clausola contrattuale.
DISALLINEAMENTO TRA MANAGER E AZIONISTI
Esempi di comportamento disallineato: attuazione di investimenti che non corrispondono agli
interessi degli azionisti, eccessiva propensione al rischio e assenza di un’adeguata motivazione.

FORME DI COMPORTAMENTO OPPORTUNISTICO


1. AZIONI ILLECITE: violazione delle norme civili o penali da manager che fuggono con la cassa
a nuove metodologie. Esempi di abusi dei manager: appropriazione diretta di asset aziendali,
creazione di società private che negoziano con l’impresa a condizioni privilegiate, tenuta di
una contabilità approssimativa o falsa...
2. RICERCA DI BENEFICI PRIVATI: uso e appropriazione di beni e fondi aziendali, nei limiti della
legge ma in forme sostanzialmente abusive; forme monetarie e fringe bene t (forme
integrative di remunerazione per i manager)
3. LA RESISTENZA AL RICAMBIO E I TAKE OVER: di fronte al tentativo di acquisizione della
società (take over), i manager possono resistere al ricambio e rimanere in carica, anche
quando le loro prestazioni si sono dimostrate inadeguate
Le acquisizioni sono operazioni in cui un soggetto acquista la maggioranza di una società o
comunque una percentuale che le consente di acquisire il controllo. Si possono realizzare o con il
consenso dei manager e degli azionisti (acquisizioni amichevoli) oppure senza il consenso
(acquisizioni ostili). Il premio di acquisizione è il sovrapprezzo rispetto al prezzo di borsa.
Perché l’acquirente vuole acquistare una società target?
- Sottovalutazione della società target nel mercato di borsa
- Diversi cazione del rischio
- Sinergie operative (l’integrazione comporta una riduzione dei costi o un aumento dei ricavi) e
nanziarie (l’unione dei mezzo nanziari delle due società permette di intraprendere progetti
redditizi o ridurre il costo delle fonti di nanziamento)
- Ricambio del management a condizione che il management della società acquirente abbia
capacità superiori a quelle della società target

FORME ATTIVE DI RESISTENZA


Dichiarare che il prezzo o erto è basso, accusare l’acquirente di voler attuare politiche e
cambiamenti che potrebbero danneggiare l’impresa, ottenere il sostegno degli stakeholder,
convincere gli azionisti che l’acquirente intende attuare politiche speculative, proporre
l’inserimento di clausole attive in caso di take over. Altri strumenti sono:
- Pillole avvelenate (poison pills): negli Stati Uniti vengono utilizzate di frequente e consistono
clausola statutarie che consentono ai manager di emettere azioni sociali ad un prezzo molto
favorevole, con diritto di sottoscrizione riservato agli azionisti correnti
- Greenmail: il management della target lancia un’o erta sul pacchetto di azioni acquistato
dall’acquirente, proponendosi di comprarlo ad un prezzo più alto di quello di mercato
- Cavaliere bianco: una terza parte acquista una quota signi cativa dell’azienda target in accordo
con il management e con l’impegno di non cederla all’aspirante acquirente.

CONCLUSIONI
In presenza di asimmetria informativa, gli interessi dei manager possono essere disallineati
rispetto a quelli della proprietà; il disallineamento può concretizzarsi in comportamenti attuati in
buona fede ovvero in comportamenti opportunistici dei manager.
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GLI STRUMENTI INTERNI DI CORPORATE GOVERNANCE
Questi strumenti possono essere esterni se basati su meccanismi di mercato, o interni se basati
sulla sorveglianza; quest’ultimi si focalizzano sulla concentrazione proprietaria e sui sitemi di
incentivazione manageriale. La proprietà concentrata è il modo più diretto per controllare
l’azione manageriale; per concentrazione proprietaria si intende il formarsi di maggioranze stabili
capaci di nominare o revocare i manager: controllo assoluto, controllo di minoranza e patto di
sindacato. Questa varia molto tra i vari paesi, ad esempio nel USA e UK la proprietà è dispersa a
di erenza del resto del mondo.
A parità di azioni possedute, il potere degli azionisti dipende dalle norme di diritto commerciale,
dagli statuti aziendali e dalla regolamentazione dei mercati nanziari. Se questa concentrazione
proprietaria è e cace elimina il problema dell’agenzia perché toglie al management la sua
indipendenza; se invece è ine cace il rapporto di agenzia tra azionisti di maggioranza e di
minoranza si ampli ca in presenza di piramidi. Per calcolare il rapporto di possesso integrato che
riguarda le piramidi, bisogna fare il rapporto tra l’investimento degli azionisti di controllo nella
holding “A” e il capitale sociale di “X” che sarebbe la società operativa.
Per quanto riguarda i sistemi di incentivazioni manageriali negli anni 90 ci fu una progressiva
a ermazione del pay-per-performance; si cerca di allineare gli interessi di manager e azionisti.
Questo incentivo può essere di due tipologie:
1. PROGRAMMI DI BONUS dove la remunerazione è data da una quota ssa+un bonus legato ai
risultati
2. INCENTIVI AZIONARI: l’assegnazione diretta al management di azioni sociale o altri titoli con
rendimento legato ai prezzi di borsa della società. I titoli possono essere concessi in forma
gratuita o a prezzo agevolato. —>STOCK OPTION: sono opzioni che una società concede a
manager o altri dipendenti, che hanno il diritto ma non l’obbligo di acquistare azioni della
società stessa ad un dato prezzo detto strike price. Rispetto al possesso diretto delle azioni, le
stock option comportano due importanti di erenze: non provocano mai perdite, se il prezzo
delle azioni scende sotto il prezzo di esercizio, il titolare è libero di non esercitare l’opzione;
possono essere assegnate ai manager in quantità virtualmente illimitata perché non comporta
nessuna uscita di cassa per l’impresa che si limita ad assegnare diritti. La data in cui vengono
concesse è de nita come grant date, le opzioni non possono essere esercitate prima del
raggiungimento della data di maturazione (vesting date) ma solo una volta trascorso il service
period, le opzioni possono essere del service period alla data di scadenza. Per questo i CEO
americani guadagnano quasi il doppio rispetto agli europei. I vantaggi delle stock option sono:
l’allineamento degli interessi di azionisti e manager, l’incentivazione di un comportamento
manageriale volto a migliorare la performance aziendale, l’attrazione e la delizzazione di
prestatori di lavoro di alto livello, clima aziendale partecipativo e riduzione del costo del lavoro
manageriale. D’altro canto gli svantaggi sono che i manager far gon are i prezzi delle azioni e
alla scadenza del periodo stabilito ceder a terzi il diritto di opzione sull’acquisto delle azioni
incrementando così la loro retribuzione.
I compensi ai manager creano un problema etico e di e cienza economica; la recente crisi
nanziaria ha riacceso il dibattito internazionale sui compensi dei top manager perciò i loro
interessi e quelli degli azionisti si sono allontanati. C’è la necessità di introdurre dei sistemi di
incentivazione che portino il management e ad operare nell’interesse della società nel lungo
periodo.

IL CONTROLLO INTERNO
Un sistema di controllo interno (SCI) è un processo attuato dal consiglio di amministrazione, dai
dirigenti e da altri soggetti della struttura aziendale nalizzato a fornire una ragionevole sicurezza
sul conseguimento degli obiettivi rientrati nelle seguenti categorie:
- E cacia ed e cenza delle attività operative
- Attendibilità delle informazioni di bilancio
- Conformità a leggi e regolamenti
Questo controllo si può dividere in tre parti:
1. Controllo di legittimità—> veri ca che le attività di impresa sono conformi alla legge
2. Controllo procedurale—> veri ca del rispetto delle procedure speci che previste dall’impresa
3. Controllo contabile—> per veri care che i conti e i bilanci siano veritieri
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Il controllo interno si compone di processi e persone al ne di indirizzare l’azienda verso obiettivi
di redditività e conseguimento della propria missione. Dagli anni 2000 però sono stati introdotti
dei limiti a questi controlli: limiti dei poteri degli amministratori indipendenti (semplice presenza,
svantaggio informativo, non partecipano al rischio d’impresa...), l’internal audit subisce l’in uenza
del management e le società di revisione sono carenti sul piano etico e professionale.

GLI STRUMENTI ESTERNI DI CORPORATE GOVERNANCE


Possono essere interni se basati sulla sorveglianza (capitolo precedente) o esterni se basati su
meccanismi di mercato e si focalizzano sul mercato di controllo, gli investitori istituzionali e altri
azionisti, banche e creditori, e sulla reputazione.
Il mercato di controllo è il principale meccanismo di governance nel mondo anglosassone, la
minaccia di take over dovrebbe disciplinare il management il quale, se ine ciente, è rimosso e
sostituito da chi meglio in grado di gestire la società. Nella realtà i takeover ostili sono rari, per
questo c’è una duplice possibilità:dimostrazione di un buon funzionamento di questo tipo di
governance o scarsa ine cienza del mercato di controllo

FASE 1: l’acquirente costituisce la new company e la dota dei mezzi necessari, i nanziatori
contendono il debito
FASE 2: la new company acquista la target che possiede le liquidità
FASE 3: l’acquirente fonde new company e target
Gli investitori istituzionali tendono ad ottenere il massimo rendimento dai propri investimenti,
collettivamente possono arrivare a rappresentare quote rilevanti—> possibile attivismo degli
investitori istituzionale, questo può assumere la forma di: negoziazione “dietro le quinte”,
minaccia implicita/esplicita di liquidare l’investimento, annuncio pubblico del proprio dissenso. Ma
l’attivismo è raro perché questi sono interessati al rendimento e non al controllo e dipende dalla
politica di portafoglio seguita (indexing o gestione attiva).
I piccoli azionisti possono associarsi tra loro per difendere i loro interessi comuni, però c’è
assenza di correlazione fra attivismo dei piccoli azionisti e la performance dell’impresa.
Le imprese possono indebitarsi con il canale bancario: ottenendo dalle imprese il credito
nanziamenti a breve/medio/lungo termine; o con il canale obbligazionario: emettendo e vedendo
agli investitori obbligazioni, titoli che comportano l’impegno al pagamento periodico di interessi e
la restituzione del capitale a scadenza (generalmente di lungo termine).
Il management subisce pressioni dai creditori perché in caso di inadempienza dell’impegno al
pagamento di capitale e interessi il controllo dell’impresa passa ai creditori che possono chiedere
il fallimento; i creditori possono bloccare i nanziamenti e chiedere interventi speci ci e/o
sostituzione del management. I manager di un’impresa indebitata hanno un incentivo più forte dei
manager di un’impresa senza debito a comportarsi in modo diligente e a perseguire risultati
economici e nanziari positivi.
Le banche hanno vantaggi informativi e strumenti di in uenza potenzialmente sfruttabili anche
nell’interesse di altri stakeholder—> possibili atteggiamenti passivi a causa di garanzie a tutela del
prestito.
La reputazione è la risorsa che i manager preferiscono non disperdere, il manager può rinunciare
a scelte che nell’immediato sarebbero vantaggiose per il timore di rovinare la propria reputazione
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e autoescludersi dal mercato. Questa è una leva che gli investitori e le autorità pubbliche possono
utilizzare per spingere i manager ad adottare speci che pratiche.
I codici volontari di governance sono un modello di best practice da adottare spontaneamente e
non un insieme di disposizioni che le società sono tenute a rispettare.
Le principali borse europee hanno adottato codici di autodisciplina modellati sulle speci che
esigenze locali, la borsa italiana ha pubblicato il suo codice (codice Preda) nel 1999, aggiornato
più volte. Gli obiettivi principali del codice di autodisciplina italiano sono:
- Aumentare l’a dabilità delle imprese per gli investitori mediante una gestione e cace dei rischi
e degli eventuali con itti di interesse tra gestione e proprietà, minoranze e maggioranze
- Di ondere la conoscenza delle regole di buon comportamento e degli stili per accrescere la
cultura della comunità nanziaria
- Massimizzare il valore per l’azionista—> si dichiara che il perseguimento di tale nalità potrà
innescare in un orizzonte temporale non breve un circolo virtuoso in termini di e cienza e di
integrità aziendale in grado di ripercuotersi positivamente anche sugli altri stakeholder.

Art 1. Ruolo del consiglio di amministrazione


Art 2. Composizione del consiglio di amministrazione
Art 3. Amministratori indipendenti
Art 4. Istituzione e funzionamento dei comitati interni al consiglio di amministrazione
Art 5. Nomina degli amministratori
Art 6. Remunerazione degli amministratori
Art 7. Sistema di controllo interno e di gestione dei rischi
Art 8. Sindaci
Art 9. Rapporti con gli azionisti
Art 10. Sistemi di amministrazione e controllo dualistico o monastico

Un adeguato controllo di corporate governance deve essere considerato un mix di meccanismi


interni ed esterni.

MANAGEMENT: LA DIREZIONE E L’ORGANIZZAZIONE D’IMPRESA


La direzione aziendale si occupa di:
• De nire l’organizzazione delle risorse e delle competenze in una struttura funzionante in grado
di rispondere alle esigenze del mercato e soddisfare gli obiettivi dell’impresa
• De nire la strategia complessiva d’impresa e formulare le strategie competitive selezionando le
ASA in cui operare
• Allocare adeguata risorse e controllare i risultati e le ricadute delle attività d’impresa
(piani cazione strategica, programmazione e controllo)
• Partecipare in via iterativa e continua alla formulazione delle strategie operative di competenze,
in via prevalente, della gestione

Lo stile di leadership consiste nel modello di governo dei rapporti di lavoro nell’organizzazione
d’impresa (stile aziendale). Può essere autoritario con un basso grado di libertà dei subordinati o
uno stile partecipativo con alto grado di libertà dei subordinati
La cultura di impresa si riferisce a dei principi, valore e modi di pensare profondamente radicati,
condiziona i comportamenti adottati dal management, non è visibile direttamente ma può essere
analizzata osservando le sue manifestazioni
L’organizzazione è quell’attività che de nisce la struttura organizzativa e i meccanismi di
funzionamento dell’impresa. Riguarda dunque gli aspetti tecnici di struttura organizzativa, la
gestione del capitale umano e i ussi informativi.
La struttura organizzativa de nisce organi, attività, relazioni dell’organizzazione; l’organigramma è
la rappresentazione gra ca della struttura organizzativa. Ci sono diversi modelli:
- Struttura semplice: si tratta di una struttura centralizzata, i poteri sono accentrati, è il classico
esempio dell’azienda patronale, dove il proprietario dell’azienda costituisce la direzione
dell’azienda stessa.
- Struttura funzionale: l’azienda è suddivisa in aree omogenee per ambito di attività
(amministrazione, acquisti, vendite, produzione...) a date a manager che dipendono dalla
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direzione. Il vantaggio maggiore è ,a specializzazione dei dipendenti, mentre lo svantaggio è
che si rischia la creazione di comparti stagni.
- Struttura divisionale: tipica delle imprese complesse che operano in più aree geogra che o che
hanno diverse linee produttive. I vantaggi sono il decentramento e la specializzazione, mentre lo
svantaggio riguarda la duplicazione degli u ci.
- Struttura a matrice: è un mix della funzionale e della divisionale, tipico delle imprese che
realizzano grandi progetti. C’è un capo per il progetto e uno per la funzione.
- Struttura per processi: si propone di ottimizzare i compiti e le funzioni risposto all’obiettivo da
raggiungere. Assume rilevanza una gura, quella del process owner, cioè un manager di linea
responsabile di un processo.
- Struttura a rete: si basa sulla creazione di relazioni molto strette tra diversi parti dell’impresa, i
clienti e i fornitori in modo da creare una rete.
La gestione del capitale umano si occupa dell’amministrazione del personale, del
dimensionamento e delle dinamica del personale, della retribuzione del personale, del suo
sviluppo e della gestione delle relazioni sindacali.
L’information technology si può de nire come l’insieme delle attrezzature e delle procedure
utilizzate per la creazione, di usione e circolazione delle informazioni in azienda, i compiti
principali sono l’elaborazione automatica dei dati e i supporti decisionali.
In conclusione la gestione du occupa di far funzionare l’impresa in modo coordinato e nalizzato.
È il compito della direzione d’impresa di de nire l’organizzazione, ossia struttura organizzativa,
gestione del capitale umano, information technology e la strategia.

STRATEGIA D’IMPRESA
Il termine strategia indica l’arte della guerra, l’attività svolta dai generali di un esercito; l’arte della
guerra di Sun Tu scritto intorno al 500a.c. È considerato il primo trattato sulla guerra.
la strategia è il fondamento dell’attività gestionale delle imprese, poiché de nisce cosa fare,
perché farlo e come svolgere l’attività d’impresa all’interno di un orientamento strategico di
fondo (OSF), questo rappresenta la visione dell’impresa, la sua identità in termini di valori e di
loso a di comportamento.

LIVELLI DI STRATEGIA
L’impresa ha obiettivi, valori, risorse e competenze, struttura e sistemi organizzativi che servono
per de nire la strategia, la quale sarà utilizzata per i concorrenti, clienti e fornitori.

FORMULAZIONE DELLE STRATEGIE


Bisogna analizzare l’attrattività del settore, analizzare, cioè individuare le aree funzionali e critiche
per la competitività dell’impresa, e fare una diagnosi, cioè una valutazione delle aree
critiche,dell’impresa. La diagnosi riguarda il processo sistematico di analisi delle risorse materiali
ed immateriali, nalizzato all’individuazione dei punti di forza/debolezza dell’azienda nel suo
complesso.
La formulazione delle strategie è un processo di ricerca delle opportunità di mercato che
valorizzano le risorse distintive aziendali, ciò porta alla piani cazione.
La strategia è l’insieme delle scelte di fondo attraverso cui l’impresa intende conseguire il proprio
sistema obiettivi.
La piani cazione è il processo organizzativo e negoziale che conduce alla de nizione
dell’impostazione strategica dell’impresa.
I contenuti della strategia sommati ai processi della piani cazione portano alla piani cazione
strategica, cioè una metodologia di lavoro per dare ordine e razionalizzare il processo decisionale
che deve condurre alla de nizione delle strategie.
Le strategie esplicite sono il risultato di un processo formale di piani cazione enunciate in un
documento u ciale, cioè il piano; le strategie implicite, invece, sono il risultato di un processo
decisionale destrutturato e di uso nell’intera organizzazione

IL CICLO DI PIANIFICAZIONE AZIENDALE


Si parte con la piani cazione strategica dove si ha la formulazione esplicita delle strategie, il
risultato è il piano strategico.
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Si ha poi la programmazione tattica dove si tende alla realizzazione concreta della strategia; si

stabiliscono i programmi di azione, l’allocazione delle risorse, i parametri di performance.


La fase di budgeting è il processo che realizza l’allocazione delle risorse alle singole unità
aziendali (fondi ordinari e strategici)

DIMENSIONE DELLA PIANIFICAZIONE


Si ha la dimensione analitica che riguarda la logica della piani cazione come momento
decisionale a cui è possibile associare le funzioni decisionali e di gestione del cambiamento ; e la
dimensione interattiva che riguarda gli aspetti processuali a cui vengono associate le funzioni di
comunicazione e di motivazione.

STRATEGIE COMPETITIVE: FONTI E DINAMICHE


Il vantaggio competitivo è la condizione che consente alle imprese una perdurante superiorità dei
propri risultati economici (Grant, 1995). Esistono 3 approcci che spiegano l’origine del vantaggio
competitivo:
1. PORTER: “come” cioè il tipo di strategia—> la catena del valore. L’elemento fondamentale del
vantaggio competitivo catena del valore: insieme di attività condonate nell’impresa e ciascuna
di queste attività, in modo separato, può supportare un vantaggio competitivo di costo, di
di erenziazione o focalizzazione.
Le 5 attività primarie contribuiscono direttamente alla creazione dell’output di
un’organizzazione—> logistica in entrata: comprende tutte quelle attività di gestione dei
ussi di beni materiali all’interno dell’organizzazione; produzione di beni o servizi; logistica
in uscita: comprende quelle attività di gestione dei ussi di beni materiali all’esterno
dell’organizzazione; marketing e vendite: attività di promozione del prodotto o servizio nei
mercati e gestione del processo di vendita; servizi: tutte quelle attività post-vendita che sono
di supporto al cliente (come assistenza tecnica).
Le 3 attività di supporto non contribuiscono direttamente alla creazione dell’output ma sono
necessari perché quest’ultimo sia realizzato—> infrastrutture: tutte le attività di supporto
all’intera catena del valore (direzione generale, piani cazione, nanza...); gestione delle
risorse umane: ricerca, selezione, assunzione, addestramento, formazione, sviluppo,
retribuzione, negoziazione sindacale...; ricerca e sviluppo: tutte quelle attività nalizzate al
miglioramento del prodotto e dei processi.
La di erenza tra il prezzo, che i clienti sono disposti a pagare, e i costi delle attività generatrici
di valore rappresenta il valore aggiunto. Le STRATEGIE DI BASE sono perseguite
introducendo miglioramenti nelle attività che l’impresa svolge al suo interno; ogni attività
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contribuisce alla generazione di valore aggiunto, supportando così il vantaggio economico
dell’impresa.
La leadership di costo: il vantaggio competitivo scaturisce da una maggiore capacità di
economizzare i costi da parte dell’impresa; fonti: economie di scala, economie di
apprendimento, progettazione di prodotto, utilizzo delle capacità produttive—> prodotti
standardizzati.
La di erenziazione: l’impresa produce prodotti di erenti per i quali il consumatore è disposto a
pagare un prezzo più elevato. Tangibile—> prestazioni oggettivamente misurabili.
Intangibile—>migliorare o modi care le interazione impresa e i suoi clienti in modo da fornire
valore aggiunto a quest’ultimi.
La focalizzazione: realizzazione di una delle due precedenti strategie in un segmento limitato
2. RESOURCE BASED VIEW “cosa” cioè le caratteristiche delle risorse a disposizione
dell’impresa e la sua capacità di sfruttarle. Le risorse, secondo Grant, possono essere
materiali, immateriali, nanziarie ed umane; le di erenti capacità di aggregazione e
combinazione delle risorse sono de nite competenze.

I MECCANISMI DI ISOLAMENTO—> secondo Rumelt, Dierickx e Cool rendono più di cile


l’imitazione le diseconomie di comprensione temporale, la dimensione ottima minima,
l’interdipendenza, la non mobilità delle risorse e le ambiguità casuali.
Le risorse devono avere valore per l’impresa, essere scarse e generare rendite—> questi sono
processi di creazione e generazione delle risorse; non essere imitabili a seguito di meccanismi di
isolamento ed essere inserite in meccanismi organizzativi che ne consentono lo sfruttamento—
>meccanismo di protezione e consolidamento delle risorse.

DYNAMIC CAPABILITIES
Le capacità dinamiche si quali cano come i processi attraverso cui le imprese integrano,
sviluppano e ricon gurano le proprie competenze distintive rinnovando continuamente il proprio
assetto strategico. La dinamicità è la capacità dell’impresa di rinnovare le competenze per la
sintonia con l’esterno; la capacità è il ruolo chiave del management strategico nell’adattare,
integrare, ricon gurare le risorse e le competenze. Le capacità dinamiche possono essere
di cilmente acquistate all’esterno ma sono frutto di un percorso di apprendimento dell’impresa.
3. Gli approcci più recenti: il valore del capitale intangibile—> gli asset intangibile rispetto agli
asset tangibili (risorse siche e nanziarie) sono meno essibili, di cili da accumulare e
trasferire, perciò sono di cilmente imitabili e sono fonti di vantaggio competitivo. Negli anni
‘80 il 35% circa del valore medio di un’impresa era collegato a beni intangibili, il restante 65%
erano beni tangibili. Nel 2000 i beni intangibili rappresentano circa l’85% del valore medio.
La sostenibilità aziendale come innovazione nei modelli manageriali basata sulla
valorizzazione delle relazioni con gli stakeholder e sulla capacità delle imprese di integrare
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strategicamente obiettivi sociali e ambientali meglio orientamenti, nei processi e nelle attività
operative.
Gli studi concordano sulla distinzione concettuale del capitale intangibile in 3 componenti basilari:
- Capitale umano—>secondo le teorie di Backer (1993) il capitale umano ha assunto valenza
competitiva, cioè associa investimenti in formazione, addestramento, welfare organizzativo con
uno speci co tasso di ritorno economico- nanziario. Pfe er (1994-1998) riconosce come la
creazione di valore a mezzo capitale umano debba essere il risultato dell’esistenza di diverse

condizioni organizzative. Le condizioni necessarie a valorizzare le persone sono: la sicurezza


del posto di lavoro, l’accuratezza nei processi di selezione del personale, il decentramento del
potere decisionale, l’investimento in formazione mirata , la percezione di equità e la trasparenza
nella di usione delle informazioni relative al trattamento del lavoro a diversi livelli.
Più di recente il capitale umano è stato de nito come un insieme delle conoscenze individuali
implicite e codi cate, è stato analizzato in relazione allo sviluppo di capacità distintive aziendali
e alla creazione di nuova conoscenza organizzative. Può essere sviluppato o acquistato
all’esterno e le risorse umane non devono essere viste come un costo ma come un asset
importante. Alcuni indicatori del capitale umano sono: indice di soddisfazione dei lavoratori,
turnover, % di dipendenti che suggeriscono nuove idee e l’età media del personale.
- Capitale organizzativo —>è de nito come l’insieme delle risorse di conoscenza, delle capacità
di apprendimento e dei valori condivisi all’interno dell’impresa.
Il primo livello riguarda le conoscenze organizzative, gli asset di conoscenze come lo stock di
informazione, abilità e competenze possedute come conoscenze tecnologiche, organizzative e
competenze tecnologiche, di mercato ed integrative.
Il secondo livello riguarda la cultura organizzative che fornisce ai membri di un gruppo i frame
cognitivi che in uenzano le modalità individuali di percezione del contesto, di de nizione delle
priorità e degli obiettivi, di selezione tra alternative, di valutazione dei risultati.
Alcuni possibili indicatori sono: la % di investimenti in R&S, il numero di nuovi prodotti e il
numero di brevetti.
- Capitale relazionale—>è il valore delle relazioni con le diverse categorie di stakeholder; il
capitale relazionale include asset quali ducia, le norme di reciprocità e le sanzioni in caso di
comportamento disallineato, le obbligazioni tra le parti.

LA GESTIONE STRATEGICA NEI CONTESTI DINAMICI


IL MODELLE DEL CICLO DI VITA
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Può essere applicato a: prodotto/settore, classi di prodotto, brand ed imprese. Il modello del ciclo
di vita del prodotto descrive le fasi evolutive della domanda di un bene in un determinato contesto
concorrenziale. Ogni stadio del ciclo di vita del prodotto è caratterizzato principalmente da
crescita positiva o negativa della domanda.
1. NASCITA l’impresa nasce per e etto della spinta creativa di un imprenditore che genera dal
nulla un’organizzazione intorno ad un’idea e alla propria azione personale. Con questa
opportunità l’impresa dispone delle risorse e delle competenze necessarie per realizzare il
nuovo prodotto o servizio, ciò porta ad un successo economico.
Esiste una serie di passi che ogni nuova impresa deve e ettuare: cogliere l’opportunità, ri nire
l’idea, proteggersi dall’imitazione, costruzione della squadra, nanziamento e lancio del
prodotto.
2. CRESCITA al termine del periodo di nascita la tecnologia, la struttura organizzative e le
strategie di mercato che avranno successo, appaiono chiare al management. La strategia
d’impresa assume un ruolo di grande rilevanza: è necessario spostare l’attenzione dal
prodotto verso l’innovazione di processo così, se il mercato cresce rapidamente, non si ha
bisogno di sottrarre clienti ai concorrenti, ma si può ottenere una performance molto alta
consolidando la propria posizione sul mercato. Ogni imprese tende a concentrarsi su uno
speci co ambito strategico. I concorrenti divengono più e cienti a causa principalmente di
economie di scala e di apprendimento.
Durante la fase di crescita del ciclo di vita del prodotto, l’attenzione del management si
focalizza sulla comprensione dell’ambiente esterno e degli asset interni dell’impresa
3. MATURITÀ il rallentamento della crescita della domanda del mercato crea eccedenze di
capacità produttiva (si veri cano fenomeni di concentrazione settoriale e si intensi ca la
concorrenza sul prezzo). Le imprese possono rispondere con: una riduzione dei costi unitari
attraverso la curva di esperienza, economie di scala, l’ottenimento di risorse produttive a
basso costo e livelli elevati si e cienza operativa; o con lo sfruttamento di particolare “leve”
quindi dinamiche di nicchia e qualitative, potenzialità innovativa e vuoti di o erta.
4. DECLINO caratterizzato da una progressiva riduzione dei ussi di cassa, dei ricavi e dei pro tti
dell’impresa con un eccedenza di capacità produttiva, assenza di innovazioni, riduzione del
numero di concorrente e intensa lotta concorrenziale. Decisiva la capacità di prevedere il
declino: individuare tali prodotti tramite veri ca regolare delle vendite, delle quote di mercato,
dei costi e delle tendenze di pro tto
5. CRISI dipende da fenomeni complessi e frequenti che con gurano uno stato patologico. Si
possono distinguere le cause primarie da quelle secondarie. Le cause primarie sono fattori di
tipo ambientale o interni che determinano l’incapacità a mantenersi in stabili condizione di
economicità; mentre quelle secondarie moltiplicano gli e etti delle primarie, ostacolando la
risoluzione della crisi. L’impresa deve essere in grado di sviluppare adeguate strategie di
fronteggiamento della crisi, al ne di tornare in condizioni gestionali ordinarie. Turn around:
cambiamento rapide talvolta anche traumatico volta alla rimozione delle cause della crisi.
In conclusione le problematiche di gestione strategica assumono un pro tto totale te diverso a
seconda che si consideri un’impresa appena nata, un’impresa operante da tempo con prodotti
maturi o un’impresa in un settore tendenzialmente in declino.
Attraverso il modello del ciclo di vita del prodotto è possibile analizzare la dinamica strategica di
un’impresa in diversi contesti ambientali e in diversi momenti della sua storia.

LE STRATEGIE DI CRESCITA
MODALITÀ REALIZZATIVE DELLE STRATEGIE DI CRESCITA: crescita interna, crescita esterna e
crescita per accordi
OPZIONI STRATEGICHE E PERCORSI DI SVILUPPO: crescita nei business esistenti (sviluppo
orizzontale e integrazione verticale), diversi cazione in nuovi business (diversi cazione correlata o
conglomerale) ed espansione internazionale

1. CRESCITA INTERNA—> attraverso le capacità e le risorse aziendali disponibili, con l’esistenza


di risorse utilizzate solo parzialmente. Le modalità di crescita interna possono essere nello
stesso settore utilizzando nuove applicazioni o in un nuovo settore/mercato.
Le imprese ambidestre devono focalizzarsi sia sulla specializzazione nelle aree di business
esistenti (exploitation) che sulla ricerca di nuove posizioni di mercato (exploration) attraverso lo
sviluppo di strutture organizzative dedicate esclusivamente all’esplorazione e attraverso la
stipula di accordi ad hoc che consentono all’impresa di acquisire risorse e competenze
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mancanti. Il vincolo alla crescita interna riguarda la di coltà di creare e valorizzare capacità
imprenditoriali nell’ambito dell’organizzazione—> imprenditorialità interna. Ci sono 4 diversi
approcci basati su combinazioni di due dimensioni (secondo Wolcott e Lippitz,2007):
responsabilità-> concentrate in una speci ca unità organizzativa o di use a diversi livelli
gerarchici; autorità sulle risorse-> attribuita ad una speci ca funzione dedita
all’imprenditorialità interna o attivata in modo contingente all’emergere di opportunità di
sviluppo

2. CRESCITA ESTERNA: acquisizione di imprese o organizzazioni già esistenti e operanti


(acquisizione o fusione di altre combinazioni interaziendali) con possibili problemi di
integrazione. L’acquisizione consente nel trasferimento di proprietà di un’azienda ossia del
complessi di beni organizzato dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa verso il
corrispettivo di un prezzo.
La fusione può eseguirsi mediante incorporazione o per consolidamento mediante
costituzione di una nuova società (con lo scioglimento delle due o più unità preesistenti che
vengono integrate in una società di nuova costituzione).
La crescita esterna ha i vantaggi di essere rapida, di superare facilmente le barriere all’entrata
e c’è un minor costo rispetto all’investimento diretto. Gli svantaggi sono la chiusura delle
proprietà delle imprese italiane e disponibilità di risorse liquide.
Con la crescita nei business esistenti si ha lo sviluppo orizzontale, cioè espansione interna
dell’impresa attraverso l’estensione della capacità produttiva dei propri impianti o attraverso
l’acquisizione di imprese simili (integrazione orizzontale)—> l’impresa accresce la sua forza
competitiva.
La strategia di diversi cazione deve accompagnarsi ad una ride nizione della struttura
organizzativa che può portare all’adozione di una struttura divisionale.
La diversi cazione può determinare quattro tipi di economie:
- Sinergie: lo svolgimento congiunto di due o più attività porta ad un risultato superiore a quello
dato della somma dei risultati che si ottengono delle stesse attività svolte separatamente.
- Economie di scopo: risparmi di costo derivanti dalla presenza contemporanea in più settori di
attività
- Economie nanziarie: creazione di una sorta di mercato nanziario interno
- Riduzione del rischio: diversi cazione del rischio rispetto alle imprese monobusiness.
La diversi cazione (diversi cazione in nuovi business) è una scelta strategica con cui l’impresa
allarga l’ambito delle sue attività in termini di prodotti venduti o mercati serviti.
Diversi cazione correlata: l’impresa decide di crescere lungo una direzione prossima a quella
esistente, mantenendo inalterato il gruppo di clienti a cui si rivolge. I business si de niscono
correlati quando le rispettive catene del valore presentano rapporti incrociati di valore competitivo
che creano opportunità per una performance superiore nelle singole aree di attività qualora i
business operino all’interno della stessa organizzazione invece che come entità autonome.
Conviene perseguire la diversi cazione correlata perché all’interno della diversi cazione correlata
è possibile distinguere tra due percorsi speci ci:
- Diversi cazione marketing oriented: in tal caso si vuole creare valore tramite la condivisione di
più business delle risorse legate al brand, alla comunicazione...
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- Diversi cazione technology oriented: si vuole creare valore tramite la condivisione tra più
business di conoscenza e processi produttivi.
Con la diversi cazione correlata si penetra sul mercato con lo sviluppo di un nuovo prodotto o lo
sviluppo del mercato.
La diversi cazione conglomerale avviene quando l’impresa entra in business completamente
nuovi, sia sotto il pro lo delle tecnologie che dal punto di vista dei clienti serviti. In questo modo
l’impresa penetra nel mercato in modo diretto. Con la diversi cazione correlata si ha assenza di
corrispondenze strategiche di valore competitivo fra le catene del valore dei due business.
Conviene sempre diversi care? Con la diversi cazione correlata il rischio di fallimento è minore;
esistono casi di imprese che hanno messo in atto strategie di diversi cazione con correlate
imbattendosi in mercati a loro sconosciuti o non convenienti ottenendo risultati rovinosi. Centrali
in entrambi i casi la capacità del management

SVILUPPO ATTRAVERSO L’INTEGRAZIONE VERTICALE


Filiera tecnologica: insieme di lavorazioni che devono essere e ettuate per passare da un certo
ventaglio di materiali grezzi a un prodotto nito (Volpato, 1995). Il gradi di integrazione verticale è
la posizione occupata dall’impresa all’interno della liera; la strategia di integrazione verticale
consiste nella scelta di aumentare il grado di integrazione. L’integrazione verticale può essere
distinta in—> integrazione a monte: l’impresa estende il controllo su fasi antecedenti, rispetto alla
posizione originaria; integrazione a valle: l’impresa estende il controllo verso clienti.
L’integrazione verticale può essere anche distinta anche io—> integrazione completa: quando
l’impresa produce tutti gli input necessari per il proprio processo produttivo e quando dispone di
tutti gli output necessari per le proprie attività; integrazione parziale: quando compra da fornitori
indipendenti parte degli input oppure quando utilizza per gli output anche imprese indipendenti.
L’attuazione della strategia di integrazione verticale può avvenire sia mediante processi interni che
per vie esterne attraverso l’acquisizione di altre imprese.
VANTAGGI DELL’INTEGRAZIONE VERTICALE
Vantaggi tecnici ( economie tecniche): l’impresa ha la possibilità di realizzare un coordinamento
più stretto e razionale delle attività, oltre a vari risparmi di costi legati alle interdipendenze tecnico-
produttive.
Vantaggi economici: possibilità di appropriarsi di margini di pro tto di clienti e fornitori; realizzare
un risparmio in termini di costi di transazione e comportamenti opportunistici.
Vantaggi concorrenziali: aumento del potere di mercato dell’impresa.

SVANTAGGI
Complessità gestionale
Aumento del rischio imprenditoriale: incremento delle rigidità della struttura dei costi e, in
generale, una riduzione della essibilità strategica.

La strategia di integrazione verticale tipica delle fasi di sviluppo del mercato (crescita della
domanda); l’integrazione viene generalmente mantenuta nel lungo periodo.

LE STRATEGIE DI FOCALIZZAZIONE SUL CORE-BUSINESS


Strategie volte a ride nire l’organizzazione d’impresa per predisporre il rilancio verso un rinnovo
sviluppo:
Corporate restructuring & development:mira a razionalizzare i settori di attività di un gruppo
diversi cato-> disinvestendo le attività “non fondamentali”; concentrandosi esclusivamente sui
settori ritenuti centrali. L’obiettivo è quello di massimizzare il valore di cessione.
L’orientamento di fondo è quello di eliminare qualunque componente dell’organizzazione che non
crei valore. I valori aziendali vengono confrontati con le medie di settore oppure con i livelli dei
concorrenti più forti: i costi ssi sul totale delle vendite, le vendite per dipendente, l’utile per
dipendente, il personale di sta in percentuale sul personale complessi e il valore aggiunto per
addetto.
Outsourcing (esternalizzazione): la ricerca sistematica di occasioni di a damento a terzi di
processi in precedenza realizzati internamente; la strategia di outsourcing deve essere selettiva,
generalmente sono delegate all’esterno le operazioni no-core.
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Outsourcing completo: prevede l’esternalizzazione di tutte le operazioni e attività inerenti una
funzione aziendale.
Outsourcing parziale: sono esternalizzate solo alcune parti dell’intero processo produttivo o
alcune parti di una nzione aziendale.
Gli svantaggi possono essere problemi di coordinamento causati dalle relazione con le risorse
esterne; impatti dal punto di vista macroeconomico.

CONCLUSIONI
La gestione strategica dell’impresa ha il compito di de nire le opzioni di sviluppo all’interno del
principale processo strategico aziendale rappresentato dalla crescita.
Le strategie di crescita sono attuabili attraverso diverse modalità realizzative: crescita interna,
esterna o per accordi.
Possono essere identi cate tre fondamentali strategie di crescita: crescita nei business esistenti,
diversi cazione in nuovi business ed espansione internazionale; ciascuna di esse si propone
speci ci scopi.

LA GESTIONE STRATEGICA DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE


L’espansione internazionale può de nirsi la strategia diretta ad assicurare in modo sistematico
nuovi sbocchi all’estero per le produzioni poste in essere nel paese di origine o nei paesi stranieri.
Sistemi economici nazionali sono oggi strettamente interdipendenti tra loro grazie a barriere
culturali ridotte e modelli di consumi o diventati omogenei e a variabili socio-politico. Sviluppo
delle transazione tra nazioni e la facilità di trasferimento internazionali di beni, servizi, capitali,
risorse umane, tecnologie e dati portano ad un incremento del numero di imprese con una
signi cativa presenza in mercati stranieri
Secondo Valdani l’espansione della presenza internazionale delle imprese è riconducibile a 4
fattori: la di usione della tecnologia; lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e trasporto (entrambi
grazie al ruolo di internet); la riduzione delle barriere arti ciali istituzionali alla mobilità
internazionale; l’omogeneizzazione dei bisogni dei consumatori—> consumatori globali.
Alla base delle dinamiche della geogra a economica: vantaggi comparati ossi delle caratteristiche
che rendono un paese particolarmente e ciente nello svolgimento di una data produzione di beni
o servizi; i vantaggi comparati son soggetti a incessanti variazioni.
La spinta all’internazionalizzazione è interna quando il management vede nella crescita
internazionale un mezzo per il perseguimento della missione dell’impresa.
La spinta dell’internazionalizzazione è esterna quando stimolata da favorevoli condizioni di
ingresso in un mercato estero, da rassicurante contesto macro ambientale, politico ed
economico, da una generale vocazione settoriale e dalle scarse prospettive di sviluppo nel paese
di origine.
Il processo di internazionalizzazione può condurre a diversi orientamenti dell’impresa:
- Impresa internazionale (focus sul paese di origine)
- Impresa multinazionale (ogni mercato è a sé stante)
- impresa globale (un unico grande mercato)
Le strategie di internazionalizzazione assumono forme di erenti a seconda della combinazione di
due elementi: le realizzazione o meno di produzione all’estero e la presenza o meno di
investimenti diretti oltre i con ni nazionali.
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Spesso il processo di internazionalizzazione avviene in modo graduale. Porter (1987) propone una
classi ca delle strategie internazionali basata sulla concentrazione/dispersione geogra ca delle
attività della catena del valore e sul grado di coordinamento delle attività svolte

FATTORI SPECIFICI AMBIENTALI DA CONSIDERARE


Ciascun paese è caratterizzato da un proprio macro ambiente che richiede un’analisi speci ca
con riferimento a:
- Aspetti culturali—> valori, usanze, simboli
- Aspetti economici: sviluppo, ricchezza (potere d’acquisto), tassi di cambio
- Aspetti politico-istituzionali (sistema del paese)

SVILUPPO DI INTERAZIONE serve per sapere che risorse destinare al paese da scegliere
1. PERCHÉ—> (le motivazioni) ottica di breve o di lungo periodo. Lungo periodo vuol dire
andare all’estero e rimanerci attraverso la costruzione di infrastrutture e di reclutamento del
personale. La maggior parte delle imprese italiane che vanno all’estero collo fanno con una
prospettiva di breve periodo, sono presenti solo per un anno per magari vendere le eccedenze
di produzione. La di erenza sta nella progettualità dell’impresa: se va all’estero per rimanerci o
per una prospettiva utilitaria.
2. DOVE E QUANDO—> ( i paesi e le opportunità) bisogna valutari gli e etti della distanza
geogra ca e della distanza culturale (all’inizio si scelgono paesi vicini con culture simili), con la
necessità di analizzare, ex ante, l’attrattività e l’accessibilità del mercato; i bisogni, la cultura
dei clienti e i tipi di utilizzo dei prodotti; i concorrenti. Bisogna valutare le opportunità in
funzione delle singole imprese. Bisogna saper cogliere i tempi giusti con un’analisi
approfondita del contesto in cui si vuole entrare.
3. COME—> ( le modalità di ingresso) l’impresa in genere combina più modalità scegliendo le più
adeguate in base ai singoli paesi e alle singole aree all’interno dei vari paesi. La scelta dipende
dal paese (sistema distributivo, normative, potenzialità), dal prodotto e dall’impresa (obiettivi,
risorse e competenze). Bisogna inoltre valutare la sequenzialità delle modalità d’ingresso.
4. COSA—> (l’o erta: prodotto, prezzo, comunicazione e distribuzione) bisogna prendere
decisioni sull’o erta (se adattarsi al mercato o standardizzarsi e la distintività che si o re);
quali prodotti o servizi portare all’estero e se adattarli al paese; il prezzo valutato nelle politiche
aziendali, nei dazi e nei cambi; scegliere i canali di distribuzione e rispettare gli aspetti culturali
5. QUANTO—> (coordinamento della presenza nei vari paesi) no a che punto dare autonomia
alla presenza nei singoli paesi. La necessità di un coordinamento internazionale per sfruttare le
sinergie (best practice da un paese all’altro) e per evitare rischi di fenomeni indesiderati.

ALCUNE EVOLUZIONI E SFIDE


- LA VELOCITÀ DEL CAMBIAMENTO: il cambiamento non è una novità. Ciò che cambia sono sia
la sua velocità che la sua imprevedibilità. La Cina è il primo mercato al mondo per mobile
shopping: 72% dei consumatori cinesi e ettua acquisti da mobile almeno settimanalmente,
mentre la media mondiale è del 30%
- EXPORT DIGITALE: il cross border e-commerce è un canale sempre più importante per molte
imprese, soprattutto al B2C ma non solo; il grado di utilità del cross border e-commerce
dipende dai settori e in ogni caso richiede un approccio multicanale con piani commerciali
coordinarti con gli altri canali.
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- L’EVOLUZIONE DAL PRODOTTO AL SERVIZIO: servitization—> l’arricchimento del bene
tangibile con i servizi no ad arrivare a vere e proprie soluzioni con elevato contenuto di servizio
è uno degli strumenti con cui creare maggiore distintività e puntare alle nicchie.
- LE RETI E LE COLLABORAZIONI: l’utilità delle collaborazioni per accedere ai mercati esteri può
riguardare la condivisione di reti distributive e competenze, la creazione stessa di soluzioni
derivanti dal contributo di due o più imprese, la collaborazione per aumentare l’e cienza e il
potere negoziale.
- NECESSITÀ DI NUOVE COMPETENZE: il processo di internazionalizzazione commerciale
richiede competenze sempre più ricche ed articolate. Il nodo, specialmente per le imprese di
dimensioni minori, non è il possesso di tutte le competenze necessarie, ma la capacità di
gestire/governare l’accesso a queste competenze (riuscire a reperirle quando necessario).

CONCLUSIONI
L’impresa che si vuole approcciare ai mercati internazionali deve: e ettuare un’attenta analisi del
macro ambiente (aspetti culturali, economici, politico istituzionali). Seguire il percorso di sviluppo
guidato da 5 domande: perché, dove e quando, come, cosa e quanto. Le nuove s de e
opportunità

LE STRATEGIE COOPERATIVA
LE DINAMICHE NON CONCORRENZIALI
Le teorie e il modello legati al vantaggio competitivo considerano la competizione “un gioco a
somma zero”, ove un’impresa guadagna posizioni sul mercato a scapito di altri attori economici:
in senso orizzontale (i concorrenti) e in senso verticale (fornitori o distributori).
Recentemente gli studi del management hanno analizzato anche gli a etti competitivi di:
- COMPORTAMENTI COOPERATIVI cioè quelle strategie messe in atto non contro qualcuno ma
assieme a qualcuno per ottenere vantaggi
- COMPORTAMENTI DI TIPO SOCIALE volti ad ottenere legittimità presso cittadini ed istituzioni.

CRESCITA CONTRATTUALE rapporti di collaborazione con terzi


La base economica dalla collaborazione internazionale o di un’alleanza strategica risiede nella
possibilità di svolgere in modo migliore una o più attività della catena del valore.
I vantaggi sono: acquisizione di economie di scala, di apprendimento e di altri vantaggi di costo
legati a sinergie; accesso ad asset esclusivi; riduzione di rischi e condivisione investimenti
nanziari; unione di forze.
Gli accordi internazionali orizzontali riguardano imprese che operano nel medesimo settore.
Rispetto a quest’ultimi punto, va segnalata la normativa antitrust, tesa alla tutela del mercato
dall’abuso di posizioni dominanti.
Nel caso di accordi verticali, le imprese operano nello stesso settore, ma l’accordo riguarda
attività diverse.
Accordi diagonali o trasversali riguardano partner che operano in settori di erenti.
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L’IMPATTO COMPETITIVO DELLA COOPERAZIONE
Il vantaggio competitivo relazionale può essere perseguito attraverso diverse forme di accordo e
di cooperazione. Tali forme, a partire dalle teorie sui costi di transazione, si possono identi care
come alternative e intermedie a mercato e gerarchia.

- La presenza incrociata di amministratori negli organi di governo di due o più imprese


- Le associazioni di categoria o territoriali sono società senza scopo di lucro che si formano
all’interno di un settore
- Le alleanze sono tutti quegli accordi che coinvolgono più imprese su base contrattuale ma
senza investimento di capitale
- I network di fornitori o di distribuzione sono accordi realizzati lungo la liera per ottimizzare
le operazioni di acquisto o di vendita.
In Italia questa forma di cooperazione a base locale ha dato vita ai “distretti industriali” cioè
aggregazioni su base locale di piccole e medie imprese dalle produzioni simili o complementari
che creano aree di specializzazione nelle quali il contesto sociale ed economico si intrecciano.
- Consorzi prevedono la costituzione di una nuova società con apporto di capitale di diverse
imprese con lo scopo di raggiungere obiettivi comuni più velocemente e/o più e cacemente
rispetto alla singola impresa
- Per joint venture si intende una forma di cooperazione in cui due imprese solitamente
realizzano una terza iniziativa, apportandovi capitale e risorse per scopi comuni

MOTIVAZIONE E RISORSE DELLA COOPERAZIONE


I motivi di cooperazione possono essere quelli di: ottenimenti di risorse e difesa di risorse e
competenze. Il regime di appropriabilità de nisce il livello di progettabilità delle risorse
Le risorse che possono essere coinvolte nell’alleanza sono quelle proprietarie(con forte
appopriabilità) e quelle basate sulla conoscenza (debole appopriabilità)
Il problema con le cooperazione è che richiedono la condivisione di risorse di conoscenza con il
rischio di appropriazione da parte del partner.
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IL VANTAGGIO COMPETITIVO RELAZIONALE
Le fonti di questo vantaggio sono:
- Investimenti nella relazione—>durata dell’accordo e intensità della relazione
- Meccanismi di apprendimento—> allineamento degli obiettivi e capacità di assorbimento.
L’impresa è capace di incorporare la conoscenza generata dall’interazione per poi riproporla in
altri contesti
- Complementarietà delle risorse—>individua<ione delle sinergie e scelta del partner
- Meccanismi di governo della relazione—> ducia e reputazione, contratti e norme.

CONCLUSIONI
Le dinamiche non concorrenziali, quali la cooperazione di comportamenti sociali, hanno
implicazione competitive.
Il vantaggio competitivo relazionale può essere perseguito attraverso diverse forme di accordo e
di cooperazione
La cooperazione ha senso se si costruiscono risorse strategiche, non generabili individualmente:
vantaggio competitivo relazionale

LA GESTIONE STRATEGICA NEI PROCESSI DI INNOVAZIONE


TECNOLOGICA
Nello scenario competitivo attuale, il processo di innovazione è un fattore critici di successo per
raggiungere e sostenere una vantaggio competitivo nel lungo periodo—>innovazione continua
Tecnologia: l’insieme concettuale e applicativo di conoscenze, skill e artefatti che vengono
impiegati tanto per sviluppare e lanciare prodotti e servizi quanto per rinnovare i sistemi di
produzione e commercializzazione degli stessi
INNOVAZIONE
L’innovazione è lo sviluppo a ni commerciali di nuovi prodotti o nuovi processi, atti ad accrescere
la proposta di valore veicolata al mercato mediante beni e servizi. Può di erenziarsi in:
1. NATURA—> tra innovazioni radicali e incrementali, a seconda che si veri chino o meno salti di
sistemi tecnologici o rivoluzione tecnologiche
2. FORMA—> identi ca l’insieme delle attività necessarie per generare un nuovo prodotto/
servizio o un nuovo processo produttivo/distributivo
Il processo di innovazione è l’attività sistematica volta alla creazione e all’applica<ione economica
di nuove conoscenza scienti co- tecnologiche
- Innovazione tecnologica di prodotto: riguarda dispostivi, strumenti e conoscenze legate a nuovi
prodotti e servizi per apportare variazioni alla gamma di vendita
- Innovazione tecnologica di processo: riguarda dispostivi, strumenti e conoscenze che ,editano
tra input e output, diretta a migliorare l’e cienza dei cicli di lavorazione

TECNOLOGY PUSH
Ricerca di base (scoperta scienti ca)—> ricerca applicata, sviluppo—> marketing e vendite per
scoperte scienti che, prodotti tecnologici e mercati aziendali
DEMAND PULL
Fabbisogni della clientela—>sviluppo—>produzione—> marketing e vendite. Attrazione della
domanda, sviluppo tecnologico e mercati aziendali.
Il patrimonio tecnologico aziendale è l’insieme delle competenze teoriche ed empiriche, di
conoscenze tecniche e scienti che, di abilità ed accorgimenti, che l’impresa sviluppa nell’attività
di produzione e vendita di beni e servizi.
Politiche tecnologiche: costituiscono il complesso delle scelte volte ad accrescere e a sfruttare il
patrimonio tecnologico di cui l’impresa è dotata, secondo orientamenti coerenti con le strategie
aziendali complessive.
Le conoscenze che costituiscono il patrimonio tecnologico possono riguardare: come realizzare
una certa attività (generalmente legata ad approcci empirici)—> know how; e la conoscenza di
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tipo scienti co che de nisce il perché a fronte di una certa azione si veri cano determinati e etti
—> know why.
La tecnologia riguarda anche l’ampiezza della conoscenza e la sua profondità. La potenzialità
applicativa delle tecnologie esprime la numerosità degli sbocchi e delle applicazioni commerciali.
Le tecnologie assumono una diversa connotazione a seconda del ruolo che assumono nel
conseguimento del vantaggio competitivo:
1. TECNOLOGIE DI BASE O FONDAMENTALI: insieme di competenze necessarie per poter
operare in un settore di attività
2. TECNOLOGIE STRATEGICHE O CHIAVE: conferiscono all’impresa un vantaggio competitivo
rilevante poiché permettono di realizzare prodotti con prestazioni superiori o processi a costi
inferiori.
3. TECNOLOGIE COMPLEMENTARI O INTEGRATIVE: sono residuali rispetto alle tecnologie
strategiche e presentano un pro lo di rilevanza competitiva potenziale
4. TECNOLOGIE EMERGENTI O SOSTITUTIVE: insieme di conoscenze che, anche se
scarsamente conosciute nelle loro implicazione applicative e nelle reali potenzialità,
costituiscono in prospettiva delle minacce rilevanti per le attuali tecnologie di base.

LA GESTIONE STRATEGICA DELL’INNOVAZIONE E DELLA TECNOLOGIA


Analisi della posizione tecnologica relativa: confronto tra le soluzioni tecniche disponibili in un
dato momento nell’azienda e quelle detenute dai principali concorrenti.
La posizione tecnologica di impresa può essere di tre tipi:
1. FORTE O DI DOMINANZA: qualora l’azienda detenga competenze la cui superiorità può
essere comprovata da rilevazioni oggettive almeno con riferimento a tecnologie di base,
strategiche e complementari.
2. ALLINEATA: quando il livello delle competenze non presente di erenziali signi cativi con la
concorrenza rilevante
3. DEBOLE: se le competenze risultato sensibilmente inferiori, se non inadeguate rispetto a
quelle della concorrenza
Limitate capacità innovative possono dipendere da fattori culturali, organizzativi, nanziari e
strategici.
Le scelte di gestione dell’innovazione tecnologica riguardano fondamentalmente tre alternative:
• LEADERSHIP TECNOLOGICA—> consiste nell’introdurre per primi nuove soluzioni
tecnologiche (prodotti o processi innovativi), assumendo così una posizione di avanguardia
• IMITAZIONE ( o follow the leader)—> consiste nell’acquisire rapidamente soluzioni tecnologiche
introdotte dal leader per apportarvi miglioramento e realizzare vendite a costi inferiori
• ME TOO—> è perseguita da imprese imitatrici che entrano nel mercato in fase avanzata del
ciclo vitale della tecnologia, in prossimità della maturità, minimizzando i costi e con politiche di
prezzo e commerciali aggressive

IL MODELLO A IMBUTO DELL’INNOVAZIONE


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LA RICERCA E LO SVILUPPO
La ricerca e lo sviluppo è l’attività aziendali specializzata nella ricerca, sperimentazione,
applicazione e sviluppo di innovazioni tecnologiche.
Invenzione: atto casuale, non governabile e piani cabile dello sforzo individuale o collettivo
Innovazione: il momento di sfruttamento economico della nuova conoscenza

L’INNOVAZIONE E LA GESTIONE DEL PORTAFOGLIO PRODOTTI


La gestione del portafoglio prodotti: selezionare dei prodotti su cui puntare per lo sviluppo
competitivo, come nanziarli e come sostituirli con nuovi quando sono in declino
Matrice sviluppo/ quota di mercato del Boston Consulting Group (BCG): strumento di analisi del
portafoglio attività.
La redditività di un investimento/prodotto dipende dalla quota di mercato dell’impresa, perché ad
un maggior potere di mercato corrisponde una maggior libertà nel ssare i prezzi, maggiori
economie di scala, l’opportunità di integrarsi a valle.

- STAR: prodotto con quote di mercato e ritmi di crescita elevati, generazione di elevati ussi di
cassa ma necessità di ingenti investimenti per arginare la concorrenza e sostenere la crescita
- CASH COW (mucca da mungere): prodotti con basso tasso di crescita e un’elevata quota di
mercato, richiedono investimenti limitati, generano ingenti pro tti da destinare o alla copertura
di spese o al supporto di altri prodotti
- QUESTION MARK: prodotti con elevato tasso di crescita in cui però l’impresa detiene una
bassa quota di mercato, richiedono ingenti investimenti per il mantenimento e, ancora di più,
per l’incremento della quota di mercato, valutare attentamente quali question mark si possono
trasformare in star e quali invece vadano eliminati dal portafoglio.
- DOG: prodotti con ritmi di crescita e quote di mercato contenuti a causa di un’accesa
concorrenza sui prezzi, prodotti i cui pro tti possono essere su cienti a coprire i relativi costi di
mantenimento senza però promettere ulteriori fonti di liquidità

CONCLUSIONI
Innovazione tecnologica di prodotto riguarda dispositivi, strumenti e conoscenze legate a nuovi
prodotti e servizi e quella di processo riguarda dispositivi, strumenti e conoscenze che mediano
tra input e output.
Le politiche tecnologiche costituiscono il complesso delle scelte volte ad accrescere e a sfruttare
il patrimonio tecnologico di cui l’impresa è dotata, secondo orientamenti coerenti con le strategie
aziendali complessive.
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Le tecnologie assumono
una diversa connotazione
a secondo del ruolo che
assumono nel
conseguimento del
vantaggio competitivo. A
tal ne è utile monitorare
la posizione tecnologica
relativa di supporto alle
scelte di gestione
dell’innovazione
tecnologica.
La ricerca e sviluppo è l’attività aziendale specializzata nella ricerca, sperimentazione,
applicazione e sviluppo di innovazioni tecnologiche.

LA GESTIONE COMMERCIALE: MARKETING, COMUNICAZIONE,


VENDITE
IL PROCESSO TIPICO DELLA GESTIONE COMMERCIALE
Il marketing può essere de nito come un processo diretto ad individuare e a soddisfare i bisogni e
i desideri dei clienti mediante la realizzazione di prodotti e servizi idonei, che, attraverso forme di
scambio di mercato, generano valore e soddisfazione per tutti gli adoratori (Kotler, 2000)
Essa svolge un’azione di raccordo tra il sistema d’o erta dell’impresa e le richieste della
domanda.
ORIENTAMENTI D’IMPRESA
Non tutte le imprese hanno lo stesso atteggiamento nei confronti del mercato

La customer satisfaction dipende dalla capacità di un dato prodotto/servizio di soddisfare il


proprio bisogno e i propri desideri rispetto al valore atteso del cliente. Questa nasce dal confronto
fra il valore atteso e il valore percepito dal cliente

IL PROCESSO DI SCAMBIO CON IL MERCATO


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BISOGNI che dipendono da cultura, personalità ecc vengono trasformati in DESIDERI che le
società organizzano in DOMANDA DI MERCATO
LE ATTIVITÀ PRINCIPALI
Nella gestione commerciale si individuano due aree d’attività:
- MARKETING MANAGEMENT—> insieme di attività che hanno rilevanza strategica ed orientano
operation e gestione nanziaria. Si tratta di processi analitici, decisionale e operativi
- SALES MANAGEMENT (VENDITA)—> insieme di attività necessarie per allocare i prodotti
presso i clienti

I PROCESSI ANALITICI precedono le decisioni di marketing strategico. Distinguiamo:


1. Analisi della domanda: ha il compito di stimare le dimensioni attuali e future del mercato. La
domanda può essere analizzata in termini di domanda attuale: il volume totale acquistato da un
certo gruppo di consumatori in una data area geogra ca in un certo arco temporale nell’ambito di
un determinato programma di marketing. E domanda potenziale: il limite a cui tende la domanda
del mercato, in un ambiente de nito, al crescere all’in nto del programma di marketing delle
imprese appartenenti al settore.
Il gap di mercato potenziale

2. Analisi della concorrenza (diretti e indiretti): struttura dell’ambiente concorrenziale—> settore


frammentato o concentrato.
Nei mercati frammentati le decisioni di marketing vanno prese con riferimento agli e etti sulla
domanda mentre nei mercati concentrati vanno prese avendo come riferimento principale le
possibili reazioni della concorrenza

I PROCESSI DECISIONALI
Il marketing strategico è l’insieme di decisioni che de niscono le strategie di marketing in un
orizzonte temporale di medio-lungo periodo e che coinvolgono l’impresa nella sua globalità.
Comprende
1. Segmentazione della domanda e targeting dei clienti: il marketing viene segmentato in
sottoinsiemi tra loro omogenei (SEGMENTAZIONE) ed in seguito viene identi cato il
segmento di clienti obiettivo (TARGETING). Attraverso la segmentazione della domanda e il
“targeting” è possibile individuare e selezionare il segmento di clienti obiettivo che l’impresa
può soddisfare attraverso la sua strategia.
La segmentazione può avvenire utilizzando diverse variabili: geogra che (nazioni, regioni);
demogra che (sesso, età, dimensioni del nucleo familiare); socio economiche (reddito,
istruzione); psicogra che (classe sociale, stile di vita); comportamentali (fedeltà alla marca)
2. Posizionamento competitivo percettivo: viene formulato un sistema di o erta coerente con il
segmento obiettivo. “Il posizionamento non è l’intervento su un prodotto. Il posizionamento è
l’intervento sulla mente del potenziale destinatario della comunicazione” (Ries & Trout).
Il diverso posizionamento del prodotti dipende da attributi oggettivi (qualità, modalità d’uso,
prezzo) e dall’immagine trasmessa al cliente.
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3. Di erenziazione del sistema d’o erta: de nizione dell’o erta con cui a rontare i competitor.
L’obiettivo è rendere il prodotto poco sostituibile rispetto agli altri beni esistenti sul mercato:
- Di erenziazione del servizio
- Di erenziazione del personale
- Di erenziazione di immagine d’impresa o della marca.
LE STRATEGIE DI MARKETING
• Il marketing indi erenziato: l’impresa supera deliberatamente le di erenze tra i segmenti
individuali presentando a tutto il mercato una sola o erta
• Il marketing di erenziato consiste nella scelta di operare su tutto il mercato con prodotti
diversi
• Il marketing concentrato prevede che l’impresa si rivolga ad un solo segmento
• Il marketing di nicchia: l’impresa sceglie un elevato grado di di erenziazione dell’o erta
focalizzandosi però su unico segmento
CONCLUSIONI
Attraverso la gestione commerciale l’impresa soddisfa i propri clienti mediante l’o erta di prodotti
e servizi in grado di generare valore; le attività commerciali sono interrelate sia a quelle tipiche
delle operation sia a quelle nanziarie.
Le imprese possono adottare comportamenti di erenti nei confronti del mercato; distinguiamo
così le imprese production oriented, sales oriented, marketing oriented e customer oriented.
Nella gestione commerciale si individuano due principali aree di attività: il marketing management
e la gestione delle vendite.
MARKETING OPERATIVO
Il marketing operativo dipende dalla strategia impostata e conciaste nella manovra delle leve che,
nel loro insieme, costituiscono il marketing mix (4P)—> prodotto, prezzo, promozione, punto di
vendita.
- PRODOTTO: vantaggi di erenziali ricercati riguardano: bene ci e prestazioni o erte al cliente.
La politica del prodotto riguarda: le scelte di gestione commerciale dei beni e dei servizi già
esistenti e il lancio di nuovi prodotti
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La confezione—> tradizionalmente la funzione primaria era contenere e proteggere il prodotto,
in tempi più recenti è diventato un importante strumento di marketing=o rire un vantaggio
competitivo. Recente importanza delle tematiche ambientali.
Il peso degli attributi va aumentando con la possibilità di di erenziare il prodotto grazie ai servizi
informativi al cliente.
Le decisioni di prodotto sono sermone meno esclusive della sfera tecnico-ingegneristica
dell’impresa e sempre più ad appannaggio dell’area marketing.
- PREZZO: prezzo-ricavo è il prezzo per l’impresa venditrice, ri ette i costi sostenuti per la
progettazione, fabbricazione, promozione più un margine che corrisponde al pro tto
(Prospettiva impresa).
Prezzo-costo è il prezzo per l’acquirente esprime il valore monetario attribuito al bene/servizio
che intende acquistare (prospettiva consumatore)

Metodi per la determinazione del prezzo: costo plus pricing—>livello dei costi: aggiungendo
una percentuale o un importo sso (il mark up) al livello dei costi; reazione della domanda;
comportamento della concorrenza
- PROMOZIONE

IL MARKETING OPERATIVO:
1. Identi care il pubblico obiettivo—> decidere a chi indirizzare il messaggio
2. La determinazione degli obiettivi di comunicazione—> quale risposta intendiamo ottenere.
Occorre sapere quale degli stadi di disponibilità all’acquisto si trova il pubblico obiettivo e
verso quale stadio deve essere condotto
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- PUNTO DI VENDITA riguarda i canali, la copertura, l’assorbimento, la localizzazione, le scorte, il
trasporto e la logistica. Ci sono due problemi da a rontare:
1. Quale copertura assicurare—> vendita in esclusiva; vendita selettiva o vendita estensiva
2. La scelta del canale—> canale diretto; corto o lungo

Ci sono due orientamenti fondamentali nella politica di distribuzione: push—> leva sugli
intermediari; pull—> leva sui consumatori
LA GESTIONE DELLE VENDITE
La gestione delle vendite avviene attraverso la rete di vendita: insieme di persone che consentono
all’impresa di raggiungere i consumatori. Le tipologie di rete possono essere:
• Rete diretta (i venditori sono legati all’impresa da un contratto di lavoro dipendente)
• Rete indiretta (la rete è formata da collaboratori autonomi
La varie fasi di ciclo tipico della vendita sono: ricerca del cliente; contrattazione; consegna
prodotto; fatturazione; regolamento nanziario; assistenza tecnica; gestione dei rapporti con la
clientela.
INTERAZIONE CON LE ALTRE GESTIONI
La gestione commerciale svolge un’azione di raccordo tra sistema produttivo e richieste della
domanda. In tal senso le attività commerciali sono interrelate sia alla gestione delle operation sia
alla gestione nanziaria
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LA GESTIONE DELLE OPERATIONS: PRODUZIONE, LOGISTICA E
APPROVVIGIONAMENTO
LE OPERATION
La gestione delle operation fa riferimenti alle attività di trasformazione sico tecnica di input
(materie prime, lavoro, impianti) in output (prodotti niti, semilavorati...) che arrivano sui mercati di
sbocco per essere impiegati in attività di consumo o in ulteriori attività di produzione.
LA PRODUZIONE: CONCETTI BASE
La produzione riguarda lo svolgimento delle attività di acquisizione, combinazione e
trasformazione di input (fattori produttivi, beni e servizi) al ne di ottenere degli output (fattori
produttivi, beni e servizi) da destinare al consumo nali e da utilizzare quali input di altre
produzioni.
I principali compiti della produzione sono:
- Progettate/ riprogettare il sistema produttivo—> scelte di investimento (de nizione delle
caratteristiche strutturali e impiantistiche e lay out)
- Gestire il sistema produttivo predisposto—> scelte di gestione (soluzioni organizzative, tecniche
e metodologie vincolate dalle scelte di investimento)
CICLO OPERATIVO DI GESTIONE

L’EVOLUZIONE DELLA PRODUZIONE


Produzione artigianale
Produzione di massa
Produzione di varietà
LE 4 V DEI PROCESSI PRODUTTIVI
1. VOLUME numero di output realizzati dal processo
2. VARIETÀ numero di output di erente prodotti dal processo
3. VARIABILITÀ la variazione del volume nel tempo
4. VISIBILITÀ quanta parte dei processi viene vissuta direttamente dai clienti o quanta parte
del processo viene resa visibile ai clienti.
IL SISTEMA PRODUTTIVO
Le diverse tipologie di sistemi produttivi possono essere ricondotte a quattro fattispecie:
- Produzione job-shop: operano su commessa (singola o ripetitiva)
- Produzione a lotti: prodotti caratterizzati da un’elevata varietà e da una variabilità contenuta
(produzione su ordine di acquisto o su previsione della domanda)
- Produzione in linea: elevati volumi di prodotti con variabilità e varietà piuttosto contenute
- Produzione per usso continuo: prodotti fortemente standardizzati, ottenuti in volumi ingenti,
ciclo di trasformazione di tipo continuo (senza interruzioni)
- Impianto: insieme dei mezzi di produzione grazie ai quali si realizzano le attività di
trasformazione
- Lay-out: disposizione planimetrica di aree, strutture murarie, impianti e attrezzature secondo
criteri di ottimizzazione dei ussi sici. Può essere
• A punto sso—> il prodotti non si muove
• In linea: il prodotto segue un percorso rigido
• Per reparto: il prodotto passa tra i diversi reparti
• Per gruppo tecnologico: impianti e macchinari vengono raggruppati per isole o celle
PRODUZIONE ED EROGAZIONE DI SERVIZI
I servizi a di erenza dei prodotti presentano alcune importante speci cità che ne in uenzano la
produzione/erogazione. Le speci cità possono essere: immaterialità del servizio, contestualità di
erogazione e fruizione del servizio, dimensionamento della capacità produttiva sulle punte di
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domanda, importanza del contatto con l’utente; queste portano a criticità delle scelte di
progettazione e gestione del sistema di produzione.
1. Corretto dimensionamento della capacità produttiva: la capacità produttiva deve essere
adeguata per a rontare eventuali picchi di domanda
2. Professionalità e gestione del personale: maggiore importanza rispetto alle attività industriali
delle attività di comunicazione e della formazione/addestramento; attività di front o ce;
attività di back o ce.

LA LOGISTICA: CONCETTI BASE


La logistica è il processo di piani cazione, gestione e controllo dei ussi sici dei materiali e dei
correlati ussi informativi.
IL PROCESSO LOGISTICO

La logistica d’ingresso (d’acquisto) si occupa dell’acquisizione dei materiali e dei componenti


dei fornitori, si occupa anche del trasporto dai fornitori alle unità di utilizzo.
La logistica interna (produttiva) si occupa di movimentazione interna, manipolazione e
stoccaggio; gestione magazzini e semilavorati.
La logistica commerciale in uscita (della distribuzione) si occupa della gestione dei magazzini e
dei prodotti niti; si occupa quindi di movimentazione, trasporto dei prodotti niti dalle unità di
produzione ai punti nali di vendita.
I COMPITI
I compiti della logistica consistono nell’ottimizzare la disponibilità dei materiali con riferimento a:
Spazio, tempo e volumi richiesti
Economicità e impegno di risorse

IL MAGAZZINO
Il magazzino è un impianto logistico costituito da locali, attrezzature, personale in grado di
ricevere i diversi materiali e prodotti niti, custodirli, conservarli e renderli disponibili per la
produzione e la consegna.
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GLI APPROVVIGIONAMENTI
L’approvvigionamento è l’insieme delle attività tecnico commerciali attraverso cui le imprese
acquistano sul mercato i beni e i servizi necessari per lo svolgimento dei processi produttivi e
gestionali. Economicità degli acquisti, preserva la continuità della produzione, garantire il rispetto
degli standard di qualità.
IL MARKETING D’ACQUISTO opera sul mercato dei fattori produttivi utilizzando una serie di
leve dette procurement mix:
1. Politiche di prodotto—> decisioni relative ai materiali approvvigionati. Le politiche di prodotto
sono strettamente legate alle caratteristiche del portafoglio materiali e componenti

2. Politiche delle fonti di approvvigionamento—> identi cazione, valutazione, selezione e


controllo dei fornitori
3. Politiche di prezzo—> negoziazione delle condizioni economiche che regolano il rapporto con
i fornitori
4. Politiche di comunicazione—> promozione dell’immagine aziendale presso i fornitori
LA GESTIONE DEI FORNITORI
Partnership o di integrazione nei processi di piani cazione e innovazione dell’impresa—>
a dabilità dei fornitori
Vendor rating: si basano su una valutazione oggettiva di alcuni parametri tecnici, commerciali,
logistici ed economici e ettuati su base periodica.
L’importante è il potere contrattuale nei confronti dell’impresa.
CONCLUSIONI
La produzione riguarda lo svolgimento delle attività di acquisizione, combinazione e
trasformazione di input per ottenere degli output da destinare al consumo nale o da utilizzare
quali input di altre produzioni.
La logistica è il processo di piani cazione, gestione e controllo dei ussi sici dei materiali e dei
correlati ussi informativi
L’approvvigionamento è l’insieme delle attività tecnico commerciali attraverso cui si acquistano
sul mercato i beni e servizi necessari allo svolgimento dei processi produttivi, sfruttando le leve
del procurement mix

LA GESTIONE FINANZIARIA: FINANZA, AMMINISTRAZIONE E


CONTROLLO
Dal punto di vista nanziario l’impresa è costituita da un insieme di risorse e attività che le
consentono di operare nei settori de niti dalla strategia.
I compiti fondamentali della gestione nanziaria sono: formulare le previsioni di tesoreria, decidere
quanto e quali investimenti, de nisce le modalità di raccolta delle risorse.
Lo sviluppo dimensionale delle imprese determina l’emergere di fabbisogno nanziario
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I CICLI DEL PROCESSO PRODUTTIVO
- Ciclo economico: inizia con il sostenimento dei costi per l’acquisizione dei fattori produttivi
(processi di acquisto) e si estende no al conseguimento dei ricavi connesso alla vendita dei
prodotti
- Ciclo circolante o monetario:inizia nel momento in cui avviene il pagamento ai fornitori e
termina con il momento in cui avvengono gli incassi dai clienti
- Ciclo tecnico: inizia con l’immissione delle materie prime nei processi produttivi e termina con
l’ottenimento dei prodotti. Tale ciclo corrisponde anche alla durata del processo di
trasformazione (tempo di lavorazione o fabbricazione)

I cicli non si susseguono in modo sequenziale a causa della complessità nella gestione di
un’impresa; c’è la necessita di garantire un equilibrio economico e monetario

INTERAZIONE CON LE ALTRE GESTIONI


L’attività di acquisto-trasformazione-vendita genera attività e passività correnti. La di erenza tra
attività correnti e passività correnti è il Capitale Circolante Netto (CCN)
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Esempio:
1/1 si acquistano materie prime, con pagamento a 30 gironi (31/1); le materie prime rimangono a
magazzino per 40 giorni, no al 10/2; il processo di trasformazione delle materie prime in prodotti
niti dura 10 giorni; dopo la lavorazione i prodotti niti restano a magazzino per 8 giorni (dal 21/2
al 1/3); 1/3 si vendono i prodotti niti, incassando a 10 giorni (11/3)

GESTIONE FINANZIARIA: STRUMENTI E SOGGETTI


L’impresa deve quanti care con anticipo il fabbisogno nanziario con riferimento a importo,
tempo di manifestazione e durata del fabbisogno.
A questo scopo gli strumenti utilizzati sono: budget di tesoreria, programmazione nanziaria e
piani cazione nanziaria.
Nelle aziende di medie e grandi dimensioni, le attività della gestione nanziaria vengono svolte da:
- Treasurer: si occupa della raccolta di fondi e della gestione della liquidità
- Controller: si occupa di veri care l’e cienza dell’impiego dei fondi raccolti.
LIQUIDITÀ E SOLVIBILITÀ
La gestione nanziaria dell’impresa cerca di preservare la solvibilità dell’impresa (equilibrio
nanziario) cioè la capacità di assolvere alle obbligazioni contratte; e alla liquidità dell’impresa
(equilibrio monetario) cioè la capacità di ottenere disponibilità di moneta in tempi brevi.
LE DECISIONE DI INVESTIMENTO
Le scelte di investimento possono riguardare: l’area commerciale, operazione, area
dell’innovazione e crescita e altre aree.
Un investimento, dal punto di vista nanziario, è un’operazione di trasferimento nel tempo di
risorse.
L’obiettivo dell’investimento è la massimizzazione del valore creato. Gli elementi rilevanti ai ni
della valutazione nell’ottica nanziaria di un progetto di investimento sono:
- Entità dei ussi generati dall’operazione
- La distribuzione dei ussi nel tempo
- Il valore nanziario del tempo.
I ussi devono essere monetari, di erenziali, netti d’imposta e lordi di oneri nanziari.
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Valore attuale (VA) è il valore, a oggi, di un ammontare che sarà incassato domani e che deve
essere attualizzato.
VA (F1)= fattore di sconto x F1
1
Fattore di sconto=
(1 + i )
1 F1 Ft
(1 + i ) ∑
VA(F1)=F1X = = t =1
(1 + i ) (1 + i )t
Il criterio di valutazione dell’investimento è il valore attuale netto (VAN)
Ft

VAN= t =1 − I0
(1 + i )t

I criteri di valutazione dell’investimento:de nizione di ussi monetari (Ft)


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Le fonti di copertura nanziaria possono essere interne tramite ussi di auto nanziamento e
disinvestimenti o esterne tramite la raccolta presso terze economie. Quindi tramite
- Capitale di rischio (proprio)—> remunerazione rappresentata da un onere gurativo
- Capitale di debito—> corresponsione di un’esplicita remunerazione al prestatore del capitale
Le operazioni di nanziamento possono essere a:
• Struttura perfettamente de nita tramite anticipazioni a scadenza ssa o de nita (debito
commerciale); mutui ed emissioni obbligazionarie a tasso sso; operazioni di leasing nanziario.
• Struttura inde nita tramite nanziamenti a titolo di capitale di rischio; prestito a tempo
indeterminato (come il credito in conto corrente); mutui e le obbligazioni a tasso variabile.
A seconda della durata abbiamo:
- Finanziamenti a breve termine (12-18 mesi) sconto, accredito salvo buon ne
- Finanziamenti a medio termine (18-60 mesi) anticipazione a scadenza ssa, accettazione
bancaria
- Finanziamenti a lungo termine (oltre 60 mesi) mutui, emissioni obbligazionarie
L’equilibrio nanziario deve poggiare su un’adeguata composizione del passivo in relazione
all’articolazione e stabilità degli impieghi; interdipendenza generale.
Teoria dell’ordine della scelta o pecking order theory (Myers, 1984)

STRUTTURA FINANZIARIA
È ottimale quando si minimizzano gli oneri nanziari e il rischio nanziario.
I criteri per la selezione delle fonti di nanziamento sono:
- Caratteristiche del fabbisogno nanziario (coerenza fra fonti scelte)
- Convenienza economica dell’operazione (confronto costo e ettivo tra nanziamenti alternativi)
- Fattibilità nanziaria (compatibilità con i progetti dell’impresa)
CONCLUSIONI
I principi guida della gestione nanziaria sono:
Coerenza tra impieghi di risorse monetarie (investimenti) e reperimento delle relative forme di
copertura ( nanziamenti)
Massimizzazione del valore d’impresa come obiettivo delle decisioni di investimento e di
nanziamento.

LA GESTIONE DEI RISCHI E LA PROTEZIONE DELLE RISORSE


AZIENDALI
I RISCHI D’IMPRESA
La gestione del rischio orientata alla tutela degli asset consente di: stabilizzare i ussi di cassa
attesi; dare maggiore certezza agli investimenti; ridurre il costo di eventuali incidenti; migliorare
l’e cienza operativa.
Possono essere identi cate 2 categorie di rischi: rischi speculativi (business risk o rischio
strategico) e rischi puri (non competitivi).
I rischi speculativi: legati all’esercizio dell’attività imprenditoriale comportano: rischi di mercato, di
settore, politici, paese, nanziari, di produzione, tecnologici e di struttura
I rischi puri comportano solo perdite e quindi rischi di proprietà, di responsabilità civile verso terzi,
di interruzione, di sicurezza e legati alla protezione dell’ambiente.
LA PROTEZIONE AZIENDALE
La protezione aziendale si occupa delle tutela dell’impresa da atti ed eventi di natura non
competitiva che possano ricadere in modo negativo o catastro co sulla capacità dell’azienda di
perseguire le proprie nalità.
Il veri carsi di rischi puri determinano una diminuzione del patrimonio aziendale: perdita delle
disponibilità delle risorse, modi ca indesiderata delle risorse e perdita di esclusività delle risorse.
I danni connessi a eventi dolosi e accidentali sono di 3 tipi: danni diretti, indiretti e consequenziali.
Gli interventi di tutela degli asset sono: preventivi, contestuali e successivi.
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Nell’ambito della gestione aziendale, la tutela degli assert da rischi e minacce di tipo doloso e
accidentale è detta protezione aziendale.
Le principali aree sono:
1. SECURITY, la protezione da atti illeciti: difesa dell’azienda da eventi dolosi provenienti
dall’estero o dall’interno dell’organizzazione

2. HEALTH E SAFETY, la salute e la sicurezza sul lavoro: insieme di attività volte a garantire
l’igiene e la sicurezza del luoghi di lavoro, ossia a tutelare i lavoratori da infortuni, malattie
professionali e alienazione.
I principali elementi innovativi sono: valutazione dei rischi, de nizione di gure professionali
dedicate e attribuzione di responsabilità e coinvolgimento dei lavoratori nella gestione della
sicurezza—> D.Lgs. 626/94.
Il legislatore italiano ha emanato il Testo Unico in materia di Salute e sicurezza nei luoghi di
Lavoro (TUSL) con D.Lgs. N. 81 del 9 aprile 2008. Si ribadisce la necessità dell’adozione di un
sistema di gestione speci co per salute e sicurezza orientato alla prevenzione continua e
permanente attraverso:
- Individuazione dei fattori di rischio per il lavoratore ai ni della minimizzazione di incidenti
correlati
- Monitoraggio delle misure preventive attuate
- Elaborazione a monte di una strategia aziendale che consenta sale politiche di salute e
sicurezza di essere integrate a tutti i livelli
3. ENVIRONMENTAL MANAGEMENT, la protezione dell’ambiente naturale: insieme di interventi
diretti alla protezione dell’ambiente naturale dagli agenti inquinanti generali direttamente o
indirettamente dalle attività aziendali, a livello di prodotti/processi.
Fattori che spingono alla tutela dell’ambiente: danni indiretti, pressioni normative, immagine/
legittimità sociale, opportunità competitive, sopravvivenza nel tempo e capacità di creare
valore.
Obiettivo: favorire e coordinare l’impegno ecologico dei diversi organi aziendali in modo da
favorire il raggiungimento dell’eco-e cienza.
LE PRINCIPALI AREE DI ATTIVITÀ.
L’impresa può decidere di a rontare la gestione delle variabili ambientali secondo due
approcci: ex post volto al risanamento delle condizioni ambientali alterate dall’attività di
trasformazione; ex ante volto alla prevenzione dell’inquinamento—>obiettivo ecoe cienza.
Attraverso una gestione ambientale attiva e consapevole si perseguono: obiettivi di natura
competitiva; obiettivi di natura sociale.
4. RISK MANAGEMENT, l’approccio integrato alla gestione dei rischi: si propone come
metodologia per la gestione ottimale dei rischi, fondata su un approccio scienti co volto alla
identi cazione e alla valutazione degli stessi.
Le fasi: identi cazione del rischio, valutazione del rischio (comportano analisi del rischio);
determinazione delle priorità di intervento e trattamento del rischio (comportano la gestione
del rischio)
5. CRISI MANAGEMENT, la gestione delle emergenze: gestione della risposta dell’organizzazione
all’evento dannoso quando è ancora in corso o non ha esaurito la produzione dei suoi e etti.
EMERGENZA: evento estraneo al normale corso dell’attività economica, che coinvolge
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direttamente o indirettamente l’azienda causandolo un danno rilevante. Caratteristiche—>
elevata gravità, inapplicabilità delle routine di comportamento, forte pressione temporale.
Bisogna attivarsi prima dell’evento, durante l’emergenza e dopo l’evento.
CONCLUSIONI
Nello svolgimento della propria attività l’impresa è sottoposta continuamente a rischi di varia
natura.
La tutela dell’impresa è a data alla protezione aziendale; attraverso interventi preventivi,
contestuali e successivi essa deve ridurre la probabilità che si manifestano danni diretti, indiretti e
consequenziali.
Data la verità di implicazioni gestionali che può avere il concetto di evento doloso e accidentale, la
protezione aziendale viene trattata all’interno di diverse aree d’attività, ciascuna con un certo
grado di specializzazione.

MISURAZIONE DELLE PERFORMANCE


CREAZIONE DI VALORE
L’impresa ha come ne ultimi la creazione di valore cioè la grandezza che assicura la capacità
dell’impresa di soddisfare le esigenze dei diversi stakeholder. L’obiettivo di fondo della creazione
del valore assume valenze diverse rispetto ai tre ambiti fondamentali dell’attività d’impresa:
- Dimensione economica, patrimoniale e nanziaria: capacità dell’impresa di mantenere un grado
di redditività in linea con gli obiettivi di crescita e capacità di remunerare adeguatamente mezzi
propri e di terzi.
- Dimensione competitiva: conseguimento, mantenimento e consolidamento del successo
competitivo sui mercati in cui l’impresa opera o intende operare
- Dimensione sociale (e ambientale): l’impresa ricerca un consenso duraturo da parte degli
stakeholder coinvolti o interessati alla gestione aziendale.
LA GESTIONE DEL VALORE E I VALUE DRIVER
C’è un duplice signi cato di gestione del valore: rappresenta l’obiettivo fondamentale
dell’impresa ed esprime la performance complessiva dell’impresa.
Il processo di creazione di valore si divide in due:
• Gestione: applicazione operativa di un approccio diretto a proteggere il valore acquisito a
crearne di nuove;
• Controllo: misurazione periodica del valore
La gestione orientata al valore (value based management VBM) parte dall’analisi della dinamica
nanziaria.
La misurazione dei FCF consente di capire come agire sulla gestione per in uenzare il valore
economico realizzato:
- Flussi netti generati dall’impresa tramite la gestione Acquisto-Trasformazione-Vendita
- Flussi netti generati attraverso la gestione degli investimenti (investendo o disinvestendo nel
capitale sso; dilatando o restringendo il capitale circolante netto)
La somma dà il usso di cassa operativo totale o free cash aw from operation (FCFO)
BILANCIO D’ESERCIZIO

Fornisce indicazione sull’equilibrio reddituale, patrimoniale e nanziario;


La possibilità di attuare politiche di bilancio condiziona la signi catività del bilancio di esercizio
come indicatore obiettivo della performance aziendale.
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RICLASSIFICAZIONE DEL BILANCIO

SCHEMA DI DETERMINAZIONE DEI FLUSSI


MISURAZIONE DELLA PERFORMANCE ECONOMICA, PATRIMONIALE E
FINANZIARIA
I quozienti più rappresentativi sono:
Il ritorno sugli investimenti (ROI)—> indice di redditività; indice di e cienza nell’impiego delle
risorse. È dato da Reddito operativo/Attività operative medie nette
Il ritorno del capitale netto (ROE)—> indice di redditività; misura il risultato economico destinato
agli azionisti. Reddito netto/Capitale netto
Il rapporto d’indebitamento—> indice della struttura nanziaria dell’impresa. Debiti a breve medio
e lungo/ capitale netto
MISURAZIONE DELLA PERFORMANCE COMPETITIVA
La performance di mercato: la quota di mercato vs concorrenti; l’indice di penetrazione e di
copertura ponderata vs consumatori e distribuzione; la marca (customer satisfaction)
La performance tecnologico produttiva: la posizione relativa vs concorrenti; la performance di
R&S
La qualità totale
PERFORMANCE NEI RAPPORTI CON IL MERCATO
La quota di mercato (assoluta)—> quota di mercato del prodotto X= volume di vendita del
prodotto x/vendite totali del prodotto. Indice del grado di soddisfazione del cliente e
descrive come le preferenze dei consumatori si distribuiscono tra l’impresa e i suoi concorrenti.
Approssimazione del potere di mercato di un’impresa.
Quota di mercato relativa=Quota di mercato assoluta dell’impresa/quota di mercato di un
concorrente (il principale)
MISURAZIONE DELLA PERFORMANCE COMPETITIVA
L’indice di penetrazione e il grado di copertura ponderata del mercato:
- Livello di penetrazione: rapporto tra le vendite e ettuate alla clientela servite e gli acquisti totali
di quest’ultima
- Il grado di copertura ponderata della clientela: indica il rapporto tra gli acquisti totali della
clientela servita per un prodotto e le vendite totali del prodotto nel settore
VA VA Acs
Quota di mercato= = * = penetrazione X copertura ponderata
VT Acs V T
VA= vendite dell’azienda
VT= vendite totali
Acs= acquisti totali della clientela servita
Marca o brand
Nome, termine, simbolo o una combinazione di questi che mira a identi care i beni e i servizi di
un’impresa o di un gruppo di imprese e a di erenziarli dai concorrenti (Kotler, 2000)
Per il consumatore, il brand rappresenta un elemento a più dimensioni in grado di soddisfare
molteplici funzioni:
- Identi care l’o erta e le sue principale caratteristiche di erenziandola rispetto ai concorrenti
- Garanzia di un certo livello di qualità
MISURAZIONE DELLA PERFORMANCE DI SOSTENIBILITÀ
L’impresa deve sviluppare una strategia sociale per rispondere alle esigenze espresse da alcune
categorie di stakeholder
Il bilancio di sostenibilità (SPACE) è uno strumento integrato per la misurazione dei risultati della
strategia sociale:
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CONCLUSIONI
Per cogliere le molteplici dinamiche economico- nanziarie si ricorre a dei quozienti, calcolati su
dati di bilancio opportunamente riclassi cati. I quozienti sono gli indicatori tipici dello stato di
salute aziendale.
L’esigenza di misurare le performance competitiva ha determinato la messa a punto di varie
tecniche, eterogenee, ma funzionali a quanto rilevato.
La dimensione sociale dell’attività d’impresa fa riferimento all’ampio e complesso sistema di
interrelazioni e scambi con le varie categorie di stakeholder.

I MARCHI E GLI ALTRI HARD INTANGIBLES DI MARKETING


IL MARCHIO: DEFINIZIONI E FUNZIONI
Marchio: Segno idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli fabbricati o
venduti da altri operatori. Per segno si intende parole, disegni, lettere, cifre, suoni, forme e colori.
Per le imprese il compito dei marchi è quello di contribuire al miglioramento della redditività
dell’impresa.
In chiave economica, si riconoscono le seguenti funzioni: informativo-orientativa; incentiva alla
qualità. Marchio come persuasore: la legge protegge i marchi in quanto riconosce la funzione
psicologica dei simboli.
ELEMENTI DISTINTIVI
In funzione del grado di relazione con la realtà del segno-parola in cui si sostanzia, il marchio può
essere:
- DESCRITTIVO: descrive i prodotti-servizi che va a quali care o ne mette in evidenza talune
caratteristiche (capacità distintiva)
- EVOCATIVO: richiama alla mente peculiarità o vantaggi associati al prodotto-servizio e
prescinde dalla descrizione del bene
- ARBITRARIO: parole esistenti, ma non legate al prodotto-servizio
- FANTASIA: parole inventate, di fantasia e prive di signi cato comune.
Altre tipologie di marchio: marchio dell’azienda; marchi di prodotto; marchi di gruppo; marchi di
qualità.
ALTRI INTANGIBILI DI MERCATO
1. DENOMINAZIONE COMMERCIALI: beni immateriali al marketing che si riconoscono nel nome
usato per invidiare un’attività, un’impresa, un’associazione o un’altra forma di organizzazione.
Spesso sono confusi con il marchio. Possono corrispondere al nome legale dell’impresa che li
utilizza e/o ai marchi di fabbrica che vanno a quali care i prodotti dell’organizzazione.
2. IMMAGINE: veste di un prodotto e ne ricomprende gli elementi distintivi (forma, struttura,
dimensione, colore, gra ca) cioè il cosiddetto trade dress. Quanto più l’immagine è
riconosciuta dai consumatori, tanto più costituisce un intangibile di marketing di valore per
l’azienda.
Sottoposta a tutela, ma a due condizioni:
• Capacità distintiva
• Utilità: privo di caratteristiche funzionale e/o utilitaristiche
LA MARCA NON È IL MARCHIO
Il concetti di marca è attinente a un’impostazione prettamente economica e relativa alla gestione
del prodotto-servizio sul mercato. Il concetto di marchio riveste una valenza soprattutto legale.
La marca è una categoria concettuale composita, cioè costituita dall’aggregazione di diverse
attività tra cui rientra certamente il marchio, ma non in via esclusiva.
I NAMING RIGHTS
Diritto di dare il proprio nome a un bene altrui. In cambio di un corrispettivo monetario, il
proprietario di una struttura-attrezzatura cede ad un soggetto terzo una parte dei propri
complessivi diritti di proprietà e cioè il diritto di nominare.
VANTAGGI PROPRIETARIO: remunerazione per la cessione
VANTAGGI SOCIETÀ: pubblicità, diritti collegati, qualità del servizio e delizzazione clientela,
relazione pubbliche. —> il diritto di esporre il proprio nome nella o sulla struttura attrezzatura; il
diritto di identi care per un certo periodi di tempo quella struttura attrezzatura con il proprio
nome.
VALUTAZIONE DEI NAMING RIGHTS
Il valore economico dei naming rights di erisce a seconda dell’oggetto della stima:
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- Valore complessivo dell’accordo—> discounted cash ow
- Valore dei diritti in un contratto e ettivo—> net present value
METODI DI VALUTAZIONE
1. Metodo reddituale privilegiando: ottica del proprietario della struttura attrezzature; ottica
della società
2. Metodo del costo: l’ente proprietario cerca di para entrare il cannone d’a tto su un importo
tale da consentirgli di coprire i costi (prestito obbligazionario o mutuo per edi care o
rinnovare-ristrutturare l’edi cio)
3. Comparativo di mercato: è piuttosto di cile rilevare campioni di riferimento signi cativi
essendo un contratto non particolarmente di uso.

I SOFT INTANGIBLES DI MERCATO


NEW INTELLECTUAL PROPERTY ASSETS
I beni immateriali “soft”derivano da innovative utilizzazioni a scopo di lucro di intangibili esistenti e
pertanto: non derivano da conoscenze in campo scienti co-tecnologico; presentano una
pronunciata ed intrinseca essibilità di impiego.
Sono strettamente correlato all’individualità-unicità della persona e sono regolati dalle norme
riguardanti la protezione della vita privata (diritto di privacy) e tutela alla propria immagine
pubblica (diritto di publicity)
LA TUTELA DELLA PERSONA
1. DIRITTO DI PRIVACY: protezione della persona sica dal “disagio” che lei si può procurare
attraverso la pubblica divulgazione di fatti che appartengono alla sfera strettamente privata
dell’individuo.
2. DIRITTO DI PUBLICITY: protezione dei diritti delle persone siche ( es. nome, aspetto, voce)
sullo sfruttamento e gestione economico-commerciale non autorizzati della propria immagine-
notorietà.
La stima del valore dei diritti personali di publicity riguarda:
- Valutazione economica dei diritti nell’ottica di una negoziazione;
- Misurazione dei danno economici generati dallo sfruttamento commerciale non autorizzato.
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