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AMBIENTE E SOSTENIBILITA’
LA COMPONENTE AMBIENTALE - principali caratteristiche
ECOSISTEMA
È definito come: l’insieme degli organismi viventi e dei fattori abiotici presenti in un dato ambiente e
le relazioni che legano fra di loro tali elementi.
La rete di relazioni non presuppone un centro, pone infatti, tutti gli elementi sullo stesso livello e
focalizza l’attenzione sui flussi di materia ed energia che legano le diverse componenti. Quindi
dobbiamo pensarli come organismi in relazione tra loro.
Il concetto di ecosistema: afferma quindi che, nel considerare l’ambiente, bisogna tener conto non
solo del suo valore come ordine o come vincolo, ma anche come organizzazione.
Un ecosistema è costituito da un insieme di esseri viventi e dalle interazioni che quest’ultimi
sviluppano tra di essi e con l’ambiente fisico in cui vivono.
La convenzione sulla biodiversità del 1992 delle Nazioni Unite da una definizione simile ed esprime
infatti che l’ecosistema è un complesso dinamico composto da piante e animali e dall’ambiente
abiotico circostante, elementi che interagiscono come un’unità funzionale.
Un ecosistema si compone quindi di comunità biotiche (cioè di esseri viventi), di comunità abiotiche
(di elementi non viventi), di flussi di energia e nutrienti e delle loro interazioni.

IL RUOLO DELLA COMPONENTE NATURALE


Molto spesso tendiamo a interpretare l’ambiente come un supporto passivo, ovvero come -> un
contenitore passivo delle risorse estratte dall’azione umana e come un ricettacolo passivo dei rifiuti
e delle emissioni prodotte dall’umanità.
Se andiamo ad analizzare in modo più preciso si può percepire che il ruolo degli ecosistemi naturali
è tutt‘altro che passivo, in realtà essi agiscono in modo attivo.

I SERVIZI DEGLI ECOSISTEMI


La componente ambientale è un qualcosa di attivo che costantemente eroga servizi e funzioni
ecosistemici vitali per l’essere umano.
I servizi degli ecosistemi sono caratterizzati da: funzioni di supporto:

• La produzione primaria che è quella che chiamiamo biomassa, attraverso la quale noi ci
nutriamo. Non viene prodotta artificialmente, ma è naturale come la frutta, la verdura e la carne;

• La produzione dell’ossigeno atmosferico -> infatti sono gli ecosistemi che permettono la
permanenza dell’ossigeno sul nostro pianeta;

• Regolazione del ciclo dell’acqua

• Formazione e mantenimento dei suoli

• Controllo dell’erosione

• Regolazione dei cicli biogeochimici

• Formazione e mantenimento di habitat

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Gli ecosistemi ci permetto di produrre tutto ciò di cui abbiamo bisogno attraverso le:
funzioni di produzione: produzione di cibo, produzione di fibre, produzione di combustibili,
produzione di principi biochimici, medicine, ecc.
funzioni di regolazione: controllo dell’atmosfera, sequestro di CO2 e regolazione del clima;
purificazione dell’acqua e decomposizione dei rifiuti organici; impollinazione; controllo biologico di
infestanti e malattie.
funzioni di tipo culturale: creazione di informazioni estetiche, culturali, ricreative, ecc. - Quest’ultimi
aspetti sono molto sfruttati dall’industria del turismo.
Ci sono molti studi sui servizi ecosistemici tra cui il più importante è il Millennium Ecosystem
Assessment

Tale grafico mi permette di capire che l’ambiente sta alla base della vita dell’essere umano.

LA SCALA SPAZIALE: ECOSISTEMI ED ECOREGIONI


Tendenzialmente si pensa al concetto di ecosistema come un aspetto localizzato, ma in realtà a
livello locale un ecosistema non ha dei confini stabili, chiusi e impermeabili. Di conseguenza quando
abbiamo un impatto ambientale è difficile che rimanga confinato localmente. Basta pensare, per
esempio, ad un incendio, è vero che è localizzato e che quindi l’impatto è locale, ma l’emissione di
CO2 viene poi trasportata in tutto il mondo.
Le piogge acide è un altro tipico esempio di impatto ambientale, in quanto a causa delle correnti
atmosferiche le emissioni vengono trasportante e di conseguenza le gocce provocavano
l’acidificazione delle acque dei laghi e delle foreste. Perciò l’emissione di un’industria ha provocato
dei danni a milioni di km di distanza. È difficile pensare a un impatto ambientale che non si diffonda
o che in qualche modo non sia connesso alla scala globale.
Infine, anche il problema del cambiamento climatico e dell’effetto serra è un esempio che ci permette
di capire tali dinamiche. Un ulteriore esempio che ci consente di comprendere, riguarda i ghiacciai,
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infatti il ritiro di un ghiacciaio è un impatto locale causato da disequilibri a livello globale. L’ emissioni
dell’Italia non vanno a cambiare solo il clima dell’Italia ma quello globale.
Per concludere quando parliamo di impatti o cambiamenti ambientali dobbiamo sempre tenere in
considerazione che sono in parte locali, ma in realtà riguardano soprattutto l’aspetto globale.

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L’EVOLUZIONE DELLE RELAZIONI SOCIETA’ – AMBIENTE -> rapporto tra ambiente e
sviluppo
La questione ambientale e la sensibilità all’ambiente nascono negli anni 60 circa -> Prima degli anni
60 gli esseri umani hanno comunque sempre impattato sull’ambiente, ma non era ritenuto un aspetto
rilevante e soprattutto non rientrava nel dibattito pubblico. L’emergenza ambientale diventa di
dominio pubblico solo dagli anni 60 e si snoda attraverso varie fasi:
1. La protezione ambientale
2. La gestione delle risorse
3. Lo sviluppo sostenibile
L’emergenza ambientale oscilla inoltre tra posizioni molto diverse, da un lato le posizioni della
Frontier Economics e dall’altra quelle delle Deep Ecology (fondo ecologico) che sono due
concezioni opposte che concepiscono la natura e il ruolo degli esseri umani all’interno di essa in
modo antitetico.
Le etiche antropocentriche, ovvero quelle delle Frontier Economics, vedono al centro gli esseri
umani e lo scopo unico delle attività economiche è quello di massimizzare il benessere degli esseri
umani. Gli esseri umani hanno il diritto e il dovere di sfruttare le risorse economiche e le risorse
ambientali per massimizzare il proprio benessere. In questo caso le risorse ambientali sono viste in
funzione del benessere degli esseri umani. I primi esempi di protezione della natura nascono
all’interno di questa etica perché è importante proteggere la natura in quanto è utile per gli esseri
umani. La Frontier Economics è una posizione tipica del colono americano ed è quindi un’economia
di frontiera dove vengono utilizzate tutte le risorse disponibili, ma nel momento in cui esse finiscono
è necessario spostarsi in avanti dove saranno di nuovo fruibili. Una frontiera non è infinita perché la
Terra finisce.
La posizione opposta è la Deep Ecology la quale segue un etica ecocentrica. Tale concezione
definisce la vita con valore intrinseco, è la natura ad avere valore in sé, quindi non deve essere
rispettata perché è utile agli esseri umani, ma perché ha valore di per sé.L’evoluzione dell’approccio
dell’economia dell’ambiente è partita più vicino verso la Frontier Economics per poi passare alla
protezione e riparazione ambientale e infine si è avvicinato sempre di più a una visione più
ecocentrica.

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Prima fase - RIPARAZIONE E PROTEZIONE AMBIENTALE
Nasce intorno agli anni 60 ed è una modesta evoluzione della Frontier Economics. Negli anni 60
l’inquinamento dell’aria e dell’acqua aveva raggiunto livelli elevanti e iniziano a comparire i primi
movimenti di protesta.
Silence Spring è libro di una studiosa di volatili la quale ha notato che in primavera mancava il
cinguettio degli uccelli a causa del DDT. A partire di questo libro la questione ambientale si diffonde
progressivamente, esso diventa un manifesto di denuncia dell’inquinamento.
La prima fase si focalizza sull’individuare l’inquinamento e cercare di limitarlo.
La logica dominante è quella definita end of pipe cioè la fine del tubo, ovvero si andava a vedere i
problemi ambientali alla fine del tubo, tubo interpretato come la ciminiera che scarica aria inquinata
o come impresa che scarica i liquami nel fiume → la logica va a vedere il risultato finale
L’ambiente è visto come un’esternalità economica.
Il problema ambientale non nasce solo perché ci sono troppi output ma anche perché stiamo finendo
le risorse.

Seconda fase - GESTIONE DELLE RISORSE


Nasce soprattutto come -> reazione a I limiti dello sviluppo e alla crisi petrolifera del 1973
In questa fase si comprende che l’approccio alla riparazione ambientale è troppo semplicista e
insufficiente. Sostanzialmente si inizia a capire che la questione ambientale non è solo un problema
di inquinamento, ma è un problema di esaurimento delle risorse. Nel 1973 -> crisi petrolifera e le
Nazioni europee iniziano ad avere poche risorse primarie tra cui la benzina. Da qui nasce la
necessità di gestire in maniera corretta le risorse e quindi le politiche ambientali superano la
regolamentazione diretta, quindi l’economia entra all’interno della politica. Si parla di
internalizzazione dei costi ambientali, responsabilizzazione dei produttori, prevenzione, difesa e
pianificazione. Attraverso diversi principi vengono trasformati in aspetti economici quelli che prima
erano un comando diretto ambientale.

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I limiti dello sviluppo
Il rapporto sui limiti dello sviluppo viene pubblicato nel ‘72 da un gruppo di esperti del MIT
commissionato da un Club di Roma.
È basato sulla simulazione al computer di quelli che saranno i destini del mondo, ovvero va a
simulare e cercare di ricostruire quelli che saranno i destini delle società umane in funzione delle
risorse presenti e che vanno sempre più a scarseggiare, della popolazione che tende ad aumentare
e dell’economia che è in costante crescita. Sostanzialmente non è possibile fare crescere
continuamente il PIL quando siamo all’interno di un mondo con risorse finite.
Conclusioni rapporto:
- Se l'attuale tasso di crescita della popolazione, dell'industrializzazione, dell'inquinamento, della
produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo
su questo pianeta saranno raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Il
risultato più probabile sarà un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della
capacità industriale.
- È possibile modificare i tassi di sviluppo e giungere ad una condizione di stabilità ecologica ed
economica, sostenibile anche nel lontano futuro. Lo stato di equilibrio globale dovrebbe essere
progettato in modo che le necessità di ciascuna persona sulla terra siano soddisfatte, e ciascuno
abbia uguali opportunità di realizzare il proprio potenziale umano.

Terza fase - SVILUPPO SOSTENIBILE


Si sviluppa verso la fine degli anni ’80 con la Conferenza di Rio, quando gli esseri umani si rendono
contro che non è solo più solo necessario gestire le risorse.
Non è un approccio teorico quanto piuttosto un obiettivo politico (approccio regolativo – conferenza
di Rio e Agenda 21), quindi coniugare la salute degli ecosistemi con gli aspetti dello sviluppo.
Questa fase tende a mettere insieme le problematiche dello sviluppo con quelle della sostenibilità.
Pregi:
- Visione (potenzialmente) integrata di aspetti ecologici, economici, sociali, istituz.
- Supera approccio per singole componenti ambientali
Limiti:
- Tentativo di far coesistere obiettivi antinomici: sviluppo economico e integrità ambientale (ossimoro
- Progressiva “diluizione” del concetto => dal paradigma alla paranoia
Rapporto Brudtlan (1987) -> uno sviluppo sostienile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del
presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri.
Capiamo meglio: tutti noi stiamo soddisfano i nostri bisogni senza compromettere il futuro. È una
definizione molto bella, ma il problema è come raggiungere questo, come facciamo nella pratica?

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OBIETTIVI DI UNO SVILUPPO SOSTENIBILE
Ci sono molti autori che sostengono che ci sono varie dimensioni dello sviluppo sostenibile:
- integrità dell’ecosistema -> sostenibilità ambientale
- equità sociale -> sostenibilità sociale
- efficienza economica -> industria in crisi e in deficit non è sostenibile nel lungo periodo
Queste tre dimensioni sono all’incrocio tra l’aspetto ambientale, sociale ed economico.
Ci sono inoltre altre dimensioni della sostenibilità: sostenibilità sociale, sostenibilità economica,
sostenibilità geografica, sostenibilità istituzionale, sostenibilità culturale, sostenibilità demografica,
sostenibilità ambientale.
Questi vari aspetti concorrono nel disegnare una relazione sostenibile tra gli esseri umani e quindi
l’economia e l’ambiente.

COME INTERPRETARE IN MODO OPERATIVO LA SOSTENIBILITÀ?


Gli economisti si sono interrogati su questi aspetti dando vita a un dibattito in cui possiamo
distinguere due definizioni di sostenibilità.
Debole → ogni generazione può degradare gli ambienti naturali per soddisfare i propri bisogni a
patto di rimpiazzarli con altre ricchezze prodotte dagli esseri umani come per esempio la
tecnologia/capitale.
In questo modo la generazione futura ha disposizione sia capitale naturale(foreste) che artificiale. È
ammessa la sostituzione capitale artificiale/naturale. Si parla di reinterpretare la sostenibilità
secondo l’aspetto economico. La sostenibilità debole non finisce mai. La Frontier Economics viene
reinterpretata oggi come la sostenibilità debole, ma non la sostituisce. Lo scambio tra artificiale e
naturale ha un limite, perché nel momento in cui, per esempio, tagliamo tutta la foresta Amazzonica,
alteriamo l’equilibrio dell’ossigeno, stessa cosa avviene quando andiamo a compromettere
l’equilibrio del clima.

Forte → occorre lasciare lo stesso stock di capitale naturale per le generazioni future. Non è
ammessa la sostituzione capitale artificiale/naturale
Quindi non possiamo intaccare il capitale naturale che non può essere sostituito. Secondo tale
definizione si parla di reinterpretare la sostenibilità secondo l’aspetto degli ecosistemi.
Gli esseri umani fino ad oggi si sono comportanti secondo una sostenibilità debole. Il problema si
pone dagli anni 60 in poi in cui gli esseri umani si sono accorti che l’approccio di sostenibilità debole
va contro i limiti del pianeta, in quanto le risorse sono limitate.

una definizione operativa


Alcuni autori hanno provato a dare delle definizioni operative dello sviluppo sostenibile.
Daly “Si può definire sostenibile uno sviluppo la cui domanda di risorse e la cui pressione esercitata
attraverso l’emissione di sostanze inquinanti non superi le capacità di assorbimento e riproduttive
dell’ambiente.”

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Principi guida
- Non si devono superare le capacità e i tempi di ripristino ambientale delle risorse rinnovabili
(sono tutte quelle risorse che ricrescono come per esempio il prato). → è principio di saggezza
generale quindi non posso estrarre dall’ambiente risorse rinnovabili ad un tasso maggiore di
quella con la quale questa risorsa si rinnova. La stessa cosa vale per le emissioni di CO2
- L’utilizzo di risorse non rinnovabili deve avvenire entro i limiti del tasso di rinnovamento delle
risorse stesse (sostenibilità forte) o di altre che svolgano le medesime funzioni (sostenibilità
debole).
- Le emissioni di rifiuti e inquinanti devono avvenire entro i limiti della capacità di assorbimento
dell’ambiente.

SCALE GEOGRAFICHE e SOSTENIBILITA’


La sostenibilità è un concetto scalare può essere applicato sia alla scala globale, sia a quella locale.
Se la consideriamo a livello locale, un singolo territorio per essere sostenibile dovrà consumare
risorse ambientali rinnovabili ad un tasso non maggiore al tasso di rinnovamento. Si tratta di un
concetto complesso perché non tutti i territori locali hanno necessariamente all’interno dei propri
confini tutte le risorse.
Le dimensioni analitica, operativa e politica devono operare congiuntamente alle due scale
Sempre analizzando a livello locale, ogni territorio è collegato con molti altri, infatti molte risorse
naturali di un determinato luogo arrivano qua da noi grazie alle importazioni ed esportazioni.
La sostenibilità dello sviluppo è un obiettivo che quindi deve essere territorializzato.

STRUMENTI e METODI PER RAPPRESENTARE L’AMBIENTE


Negli anni 60 gli esseri umani hanno iniziato a rendersi conto di quanto stavano impattando
sull’ambiente e quindi è stato necessario monitorare tali impatti e di conseguenza costruire dei
metodi per quantificarli.
L’esigenza d’informazione ambientale (cap. 4)
Con l’emergere delle problematiche ecologiche è nata una esigenza conoscitiva in campo
ambientale che è progressivamente cresciuta a livello internazionale per poi diffondersi anche a
livello nazionale.
L’informazione ambientale costituisce ormai un supporto cruciale per attuare politiche ambientali e
strategie di sviluppo sostenibile
A partire dagli anni 70 diversi organismi si sono impegnati a raccogliere dati e indicatori ambientali,
nasce così il monitoraggio ambientale. Si parla di monitoraggio di dati quantitativi sull’ambiente, che
vengono fatti confluire in specifici rapporti sullo «stato dell’ambiente»; e di studio e applicazione di
metodologie e modelli di integrazione della componente ambientale nei conti economici nazionali,
sia con l’introduzione dei cosiddetti “conti satellite” sia attraverso lo sviluppo di sistemi di contabilità
ambientale.

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Oltre la dicotomia sistema naturale-antropico
Quando parliamo di:
Sistema naturale → solitamente pensiamo alla foresta Amazzonica
Sistema antropizzato → solitamente pensiamo alla citta con strade asfaltate, edifici, cavi elettrici
Queste due realtà esistono ma se osserviamo con occhio attento quasi mai è così, la distinzione tra
naturale e artificiale non è molto semplice. I boschi Torinesi per esempio non tutti sono naturali,
molte volte sono gli uomini a interrare le piante.
Anche nella zona più remota della terra come per esempio in Antartide ci sono delle microplastiche.
Ogni zona della terra ha subito un’influenza umana, quindi è difficile distinguere la zona naturale e
la zona antropica.
Il concetto di ecosistema fa riferimento a un ambiente naturale. Nella realtà gli ambienti naturali in
senso stretto non esistono più. A causa della complessità delle interazioni tra sistemi ecologici e
antropici, la distinzione tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale non è né agevole né univoca.
Es: lago artificiale o bosco piantumato possono essere considerati allo stesso tempo come un
prodotto della natura o dell’azione umana.
E’ bene prendere atto della sostanziale commistione che caratterizza sistemi naturali e sistemi socio-
economici ed analizzare più in profondità le relazioni che intercorrono tra queste due componenti.
Come possiamo definire questo intreccio?
Ci sono una seria di autori che in questi ultimi anni hanno introdotto il concetto di metabolismo
socioeconomico.
METABOLISMO
Deriva dal verbo greco ‘metabolè’, che vuol dire trasformazione e indica l’insieme dei processi di
trasformazione chimica che avvengono in un organismo e che sono necessari al suo funzionamento.
Riassume l’insieme di scambi di energia e materia che un organismo ha con l’ambiente esterno,
infatti ognuno per vivere scambia ogni giorno energia e materia come per esempio ossigeno e CO2.
Questo termine viene utilizzato riferendosi ai flussi di energia e di materia presenti negli ecosistemi.
Alla fine dell’800 alcuni studiosi avevano capito che questo accadeva non solo per un organismo,
ma anche per una società umana → lo scambio di materie ed energia serve anche a una società
umana per mantenere sé stessa.
In Shaffle (1881) è già delineato il meccanismo del metabolismo sociale, in base al quale l’energia
e la materia della natura permettevano al corpo sociale di conservarsi. Lo scambio di materia non
serve solo alla conservazione dei corpi biologici: è indispensabile soprattutto al mantenimento della
parte extraorganica del corpo sociale “Ogni giorno una massa immensa di materie e forze della
natura vengono, per mezzo dell’attività lavorativa, fatte proprie dal corpo sociale, per poi essere,
mediante la produzione, adattate e distribuite nelle varie parti mediante la circolazione, trasformate
in tessuto sociale mediante l’assorbimento alimentare delle istituzioni e degli individui e, finalmente,
disciolte e restituite al grembo della natura mediante il consumo dei beni e delle forze corporali”
La società umana per sopravvivere deve estrarre dall’ambiente una serie di risorse e distribuirle tra
la società, successivamente avverranno degli scambi. In una società quindi i flussi metabolici sono
per esempio input materie prime, input energetici.
Negli ultimi decenni la nozione di metabolismo di un sistema socio-economico è stata ripresa ed
approfondita.

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Nella visione Fischer-Kowalski della società – il metabolismo del sistema socio economico

Due sfere ovvero due ambiti diversi:


- Il mondo fisico quindi comprende ciò che è tangibile: gli elementi naturali (natura) e quelli
antropici (società e strutture bio-fisiche). Questa sfera di causazione naturale o biofisica,
è governata dalle leggi naturali, che si riproduce e rigenera attraverso processi biofisi. Quindi
valgono le relazioni fisiche, cioè tutto quello che la società preleva dalla natura lo fa
attraverso delle relazioni fisiche (taglio l’albero)
- La società umana che comprende oltre alla popolazione umana, anche strutture bio-fisiche
che devono essere riprodotte (bestiame, campi, infrastrutture). Vi è anche una parte dedicata
alla cultura. Gli esseri umani sono esseri senzienti che costruiscono la cultura fatta di arte
rappresentazioni, leggi. All’interno di tale sfera non valgono le leggi fisiche, ma vale la sfera
di causazione culturale o simbolica che si riproduce e rigenera attraverso processi di
comunicazione simbolica
Queste due sfere si sovrappongono parzialmente, in corrispondenza delle strutture biofisiche
della società che includono la popolazione umana ma anche le infrastrutture. La nostra società si
trova in mezzo tra le due sfere, poichè preleva dalla natura una serie di materie prime e di aspetti
energetici e le porta all’interno di sé tramite le strutture fisiche come i camion, pozzi, miniere e varie
attrezzature estrattive e agricole (azione di colonizzazione). Un sistema socio-economico è quindi
un ibrido che comprende un sistema culturale e una componente materiale.
Perché c’è bisogno di uno schema così complesso?
La causazione simbolica può aver effetto sul metabolismo? Come un fatto puramente culturale può
avere effetto sul metabolismo che è un fatto fisico?
‘Un regolamento in ambito ambientale che viene preso a Bruxelles, viene deciso in modo culturale
e arriva in Italia attraverso una rappresentazione culturale (mail) e non arriva un esercito dell’Unione
Europea. Si tratta di una comunicazione culturale che poi avrà un effetto fisico perché di
conseguenza l’interessato del regolamento dovrà attenersi ad esso.’ Le leggi sono quindi un
esempio di comunicazione che passa da un effetto culturale all’aspetto metabolico. Le relazioni
culturali comandano quelle fisiche.
Con il termine metabolismo si indica l’insieme dei diversi scambi di energia e materia che
avvengono tra gli ecosistemi (naturali e colonizzati) e la società per il mantenimento e la riproduzione
di tale sistema.

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VANTAGGI DELLA CHIAVE DI LETTURA DEL METABOLISMO
La chiave di lettura del metabolismo permette di prendere in considerazione l’intero insieme delle
relazioni tra ambiente e società (essere umano).
In precedenza la “questione ambientale” è stata vista come una problematica riguardante solo una
parte di tali relazioni (end of pipe) tra cui soprattutto quelle di output (inquinamenti da emissioni,
smaltimento di rifiuti, ecc.) e, nelle visioni più estese, quelle relative ai prelievi delle diverse risorse.
In realtà è necessario riuscire a quantificare e rappresentare non solo gli input e gli output di risorse,
ma anche l’insieme di relazioni che riguardano la loro produzione e consumo, che avviene attraverso
una gran varietà di azioni di manipolazione, lavorazione, trasporto, trattamento, stoccaggio, ecc. che
hanno, influenze più o meno dirette sull’ambiente.
Grazie al concetto di metabolismo è possibile analizzare i diversi sistemi socio-economici per
individuare le modalità di sostentamento (detti anche regimi metabolici) più tipiche delle differenti
organizzazioni della società rispetto all’utilizzo di risorse, alla crescita della popolazione e alle
istituzioni economiche.

I PRINCIPALI REGIMI METABOLICI


Con regime metabolico intendiamo le modalità con cui la società preleva, elabora, consuma ed
espelle le risorse. Esistono tre principali modalità di sostentamento che si sono succedute nel corso
della storia, corrispondenti a tipologie di metabolismo molto differenti:
- società cacciatori raccoglitori
- società agraria (tradizionale)
- società industriale

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➔ Società cacciatori raccoglitori: era un regime adottato prima dell’invenzione
dell’agricoltura. Si chiama sistema a energia solare incontrollata, poiché l’energia solare che
fa crescere le piante è incontrollata, gli esseri umani non ponevano in atto nessun tipo di
controllo. La colonizzazione aveva un impatto quasi nullo sugli ecosistemi naturali. Dal punto
di vista metabolico la società cacciatori raccoglitori è basata su un sistema di energia solare
incontrollata.

➔ Società agricola: con la Rivoluzione Agricola gli esseri umani si sono organizzati e la
relazione tra società e ambiente cambia radicalmente. Dal punto di vista metabolico la
società agricola tradizionale è basata sempre su un sistema di energia solare controllata

➔ Società industriale: Rivoluzione Industriale = 1750. Dal punto di vista metabolico la società
industriale è basata su un sistema a energia fossile, ovvero indipendente dal sole. Si parla
di colonizzazione fino al genoma. Il problema, con il decorrere del tempo, però è che gli
esseri umani estraggono più risorse di quelle che si ripopolano, portandole così all’estinzione.

‘LIAISON DANGEREUSES’ (legame pericoloso)


La grande disponibilità energetica ha permesso di creare delle:
➢ relazioni nascoste: connettono il territorio locale ed estero. Sono imp ed exp di servizi e risorse
naturali. Gli esseri umani possono importare-esportare servizi e risorse naturali in ogni parte del
mondo: scambi di beni e servizi economici, utilizzi locali di servizi ecologici globali. (esempio:
l’ananas che noi mangiamo proviene dalle Filippine e quindi nel momento in cui la mangiamo,
vuol dire che sto utilizzando un po’ dei servizi ecosistemici di produzione di ananas, ovvero il
terreno delle Filippine). Attraverso tale concetto ci colleghiamo alla
➢ Tecnologia e Disaccoppiamento: la tecnologia permette di importare con sempre maggiore
facilità servizi naturali da altri luoghi e altri tempi. (Es. gli indiani d’America si nutrivano di bisonti
e li cacciavano, sapevano quanti bisonti potevano cacciare in un determinato periodo per evitare
che l’anno successivo non vi erano abbastanza bisonti per soddisfare il fabbisogno del popolo,
poiché si estinguono) Esiste un crescente disaccoppiamento tra la scala dell’azione degli attori
locali e quella della percezione del danno. Le società hanno imparato a convivere con le risorse
ecosistemiche.
➢ Territori ‘fantasma’ e le relazioni pericolose: si tratta di utilizzi di risorse non presenti
all’interno del territorio, quindi di utilizzi di capacità di carico fantasma, territori fantasma e flussi
nascosti. Le relazioni nascoste possono rivelarsi come relazioni pericolose perchè di esse vi
può non essere alcuna consapevolezza. Oggi possiamo importare le risorse in tutte le parti del
mondo senza limiti di estrazione, quindi la nostra capacità di impattare è globale. La capacità
della natura di impattare sugli esseri umani è molto più bassa.
➢ Come quantificare…? -> Come facciamo a capire che mangiando l ‘ananas o un branzino
stiamo impattando? Come faccio a quantificare?
Nessuno ci dice che nel momento in cui noi mangiamo un branzino stiamo impattando o
distruggendo l’ecosistema e quindi noi non sentendo gli effetti dell’impatto, continuammo ad
impattare come se nulla fosse perché non abbiamo dei feedback e quindi si parla di
disaccoppiamento. Questo problema si cerca di risolvere attraverso gli indicatori ed i sistemi di
contabilità ambientale in unità fisiche -> In questo modo noi consumatori possiamo sceglier in
base al costo economico e al costo ambientale.

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RISORSE NATURALI CLASSIFICAZIONE (2 tipi):
Risorse flusso: sono dei flussi continui pertanto l’uso costante della risorsa oggi non è influente
sulla disponibilità futura (Radiazione solare: il sole emette una quantità enorme di radiazione,
Potenza del vento, Maree)
Risorse stock: sono disponibili in una quantità limitata, quindi l’uso corrente influisce sulla
disponibilità futura. Che si dividono in risorse stock:
- Biotiche: animali, vegetali → rinnovabili → esauribili
- Abiotiche: minerali → non rinnovabili → si dividono in: riciclabili e non riciclabili → esauribili

Metalli Combustibili fossili

2. INDICATORI E SISTEMI DI CONTABILITA’

STRUMENTI E METODI PER RAPPRESENTARE L’AMBIENTE


Breve storia sulla contabilità – dai tokens ai nuovi sistemi di contabilità ambientale
Con l’agricoltura nasce la necessità di gestire al meglio le poche risorse possedute.
Nascono i Tokens funzionano con un rapporto uno a uno, ogni tokens rappresentavano una
determinata risorsa. Venivano quindi utilizzati per tenere il conto delle varie risorse.
Con i millenni successivi e la nascita delle città (IV-V a.C.) i Tokens si sviluppano e nascono degli
Envelope, perché c’era la necessità di redistribuzione e pagare le tasse per nutrire i guerrieri.
Envelope è una sfera di terra cruda per raccogliere tutti i Tokens. Si tratta di un sistema che non
funzionava molto bene, infatti nell’arco degli anni vengono migliorati per evitare incomprensioni.
➢ Nascono le prime tavolette con un contenuto simbolico che sostituiscono i Tokens.
➢ Nasce la scrittura sulle tavolette vengono disegnati i Tokens - si tratta di segnare anche i
pagamenti di tasse, inventari di magazzini, contratti di compravendita (Ur III millennio a.C.)

Prima nasce il calcolo dopo nasce la scrittura – tappe:


La contabilità nasce con la necessità di espansione dei commerci.
- Contabilità doppia: Luca Pacioli scrive il primo libro sistematico della contabilità doppia
- 1700: la contabilità si sviluppa notevolmente con la Rivoluzione Industriale
- Dal 1960 ad oggi: comparsa dei problemi ambientali→ nascita dell’Ecological Economics e
della contabilità ambientale. - Si tratta di una contabilità che va a vedere le nuove risorse
preziose come le foreste, gli stock di pesce.
➔ La nuova contabilità ambientale nasce per gestire al meglio queste risorse scarse.

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L’ESIGENZA DI INFOMAZIONE AMBIENTALE
Con l’emergere (anni ‘60) delle problematiche ecologiche è nata una esigenza conoscitiva in campo
ambientale che è progressivamente cresciuta a livello internazionale per poi diffondersi anche a
livello nazionale
L’informazione ambientale costituisce ormai un supporto cruciale per attuare politiche ambientali e
strategie di sviluppo sostenibile (crescente domanda di conoscenza sull’ambiente).
Dalla fine degli anni ’70 i diversi organismi internazionali e gli istituti statistici nazionali sono
impegnati in un monumentale sforzo di raccolta di informazioni in campo ambientale:
1. monitoraggio di dati quantitativi sull’ambiente
2. studio e applicazione di metodologie e modelli di integrazione della componente ambientale nei
conti economici nazionali.
Gli indicatori ambientali non sono totalmente omogenei e coerenti in quanto sono proposti da istituti
diversi con finalità diverse.
L’attività di reporting ambientale si prefigge molteplici scopi quali l’analisi dei diversi problemi
ambientali per l’individuazione di tendenze e priorità, il monitoraggio delle politiche ambientali, il
coinvolgimento e la responsabilizzazione dei soggetti. Il reporting ambientale si configura come un
importante strumento a supporto sia dei processi decisionali delle amministrazioni locali, sia delle
politiche di competenza nazionale e sovranazionale.

Le funzioni assegnate agli indicatori possono essere sistematizzate nelle seguenti categorie in
ordine decrescente quanto a complessità:

• una serie di indicatori viene utilizzata in: funzione diagnostico analitico cioè si tratta di valori
monitorati in campi diversi. Gli indicatori hanno una funzione essenziale nella ricerca scientifica -
ad esempio per comprendere se si sia in presenza o meno di un cambiamento climatico, quale
sia il livello di pressione generato dall’attività antropica. Si tratta di dati molto tecnici.

• I politici, coloro che devono pianificare, non riescono a comprendere questi dati -> quindi per i
politici servono degli indicatori che raccolgano e sintetizzavano l’informazione e quindi il secondo
scopo è quello di funzione di pianificazione. Questi quindi sono indicatori più sintetici, che
consentono di pianificare. Tali indicatori sono pensati per aiutare decisori sulla situazione attuale,
sulla sua evoluzione futura, sull’efficacia e sull’efficienza dell’allocazione delle risorse degli
interventi previsti.

• L’ultima funzione è quella di comunicazione -> Sono pensati per il grande pubblico, ovvero noi,
i quali hanno il compito di votare. Al vertice quindi serve una informazione ancora più condensata,
sono pensati per aiutare l’opinione pubblica, con funzioni di informazione, di sensibilizzazione
dell’opinione pubblica e di legittimazione, per identificare cioè gli obiettivi da perseguire. Esempio:
il PIL, il tasso di disoccupazione e lo spread.
Quando vediamo gli indicatori dobbiamo comprendere qual è la sua funzione.

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GLI INDICATORI
Gli indicatori sono definizioni:
➢ “Entità semplice che viene utilizzata al posto di un’altra entità per operazioni mentali e pratiche”
(Malcevschi,1987)
➢ “Parametro o insieme di parametriche fornisce informazioni su un fenomeno ed il cui significato
va al di là delle proprietà direttamente associate al valore del parametro” (Oecd,1994)
➢ “Parametro avente una relazione razionale oppure empirica con un determinato fenomeno. Esso
è in grado di riassumerlo anche se solitamente viene descritto solo parzialmente” (Bordin,2003)
➢ “Legame tra il dato grezzo e l’insieme degli enunciati teorici” (Gallino,1996)
Da queste definizioni non si comprende il vero significato di indicatore.
L’ indicatore è un’entità semplice che consente di avere una rappresentazione sintetica di un
fenomeno complesso.
Immaginiamo di voler sapere quanto guadagna un nostro compagno - questo dato è facile da avere
perché basta chiederglielo -> quindi non ho bisogno di indicatori.
Ci sono però altre entità non facilmente misurabili - per esempio il livello di Giustizia di un determinato
Paese. È un fenomeno complesso e quindi devo ricorrere a qualcos’altro che è correlato alla
giustizia, come per esempio andando a vedere il numero di casi di tortura, numero di casi di
ingiustizia, ecc. → Ognuno di questi casi non è la Giustizia, ma è un piccolo pezzo di essa, quindi
ho bisogno molteplici indicatori.
Tale entità A - che chiamiamo indicatore, viene utilizzata al posto di un’altra entità B, non
direttamente misurabile.
La scelta dell’entità A - introduce una componente di soggettività ed arbitrarietà ineliminabile
Ma allora utilizzare gli indicatori è scientifico?
La scientificità di un indicatore -> non risiede nel fatto che è totalmente oggettivo - ma risiede quindi
nel rendere esplicito il modello sottostante che lega l’entità A misurabile con l’entità B non misurabile.

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Nel momento in cui dico che l’Italia è la nazione più Green non mi dice nulla, devo indicare su quale
base io dico ciò e quindi indicare i vari indicatori che ho utilizzato.
Gli indicatori – LA DIMENSIONE SOGGETTIVA INALIENABILE
A seconda di quello che io devo misurare seleziono un indicatore piuttosto che un altro -> quindi si
tratta di una decisione soggettiva. Ogni tipologia di ricerca e di scopo ha diversi tipi di indicatore.
Dagli anni 60 ad oggi sono stati sviluppati migliaia di indicatori è necessario quindi ordinarli in modo
coerente:
1) Modello concettuale PSR -> pressione, stati e risposte
Ogni indicatore può essere suddiviso in:

• Indicatori di pressione - (quanto il nostro metabolismo o economia esercita pressione sul nostro
Paese) quantità di alberi tagliati, quantità di specie in via di estinzione

• Indicatori che monitorano lo stato dell’ambiente -> non l’emissione ma la quantità di


concentrazione come per esempio la quantità di CO2 nell’atmosfera.

• Indicatori che monitorano le risposte da parte dell’ambiente alle azioni dell’uomo -> quantità di
energia elettrica prodotta con il fotovoltaico
Si tratta di un modello rigido perché non tutto può essere messo in questi tre box.

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2) Modello concettuale DPSIR -> determinante, pressione, stati, impatti, risposte
Questo modello concettuale è introduce 2 nuovi concetti:

• Determinanti: si parla di interventi strutturali, in particolare di interventi di prevenzione

• Impatti: impatti sulla salute umana, gli impatti sono la conseguenza dello stato.

SISTEMI DI CONTABILITA’ AMBIENTALE


In questi ultimi anni sono stati proposti dei veri e propri sistemi di contabilità ambientale.
Il modello di riferimento è il sistema di contabilità per eccellenza economico monetario - si tratta di
un sistema molto diffuso.
Caratteristiche:

• Il sistema di contabilità economico utilizza una stessa unità di misura -> è capace di fornire
informazioni sulle diverse attività umane correlate all’ambiente in modo comparabile.

• È in grado di analizzare tutti i tipi di relazioni società-natura ossia l’intero metabolismo del
sistema economico -> totalmente disaggregabile;

• È in grado di considerare sia gli utilizzi sia le dotazioni -> strutturata per stock e flussi;

• Permette la costruzione di un bilancio -> ossia una comparazione tra entrate e uscite;

• È applicabile sia a livello territoriale sia per funzione produttiva

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Questo sistema ha però dei limiti.
Critiche: “un ora in miniera vale meno di un’ora di un grande esperto di medicina.” Al di la del fatto
che sia giusto o meno, grazie al sistema di contabilità noi riusciamo a costruire dei bilanci. Possiamo
quindi fare una comparazione tra entrate e uscite. In funzione di un'unica unità di misura posso
comparare varie opzioni diverse e vedere se sono in surplus oppure no.
Molti studiosi si sono chiesti se fosse possibile costruire un modello in termini ambientali e non in
termini economici→ bilancio ecologico.
Tappe:
- Inizialmente c’erano i tokens e nel corso degli anni si è arrivati ad avere dei veri e propri
strumenti per quantificare le relazioni società-ambiente.
- Indicatori DPSIR
- Valutazioni monetarie

Negli ultimi anni sono stati proposti degli indicatori basati sul concetto di:
- Area/volume -> impronta ecologica
- Flussi di materia
- Energia
- Produzione
Si tratta di indicatori che possono essere utilizzati per attuare delle -> politiche di tipo ambientale.

IMPRONTA ECOLOGICA
Nasce negli anni ’90 dall’idea di Rees e fu il primo strumento di contabilità ambientale. È uno
strumento concettuale molto semplice che si diffonde molto facilmente anche come strumento di
divulgazione. Numerosi studi sia a livello territoriale che di processo produttivo, centrati su scale
diverse. Non è solo uno strumento divulgativo ma è uno strumento ad alto livello scientifico, in
grado di quantificare l’impatto delle società umane e quindi del metabolismo, sul pianeta Terra.
Definizione -> Rappresenta la richiesta di capitale naturale di una popolazione in termini delle
corrispondenti aree di superficie biologicamente produttiva, quindi va a vedere quanto capitale
naturale usa l’essere umano.
L’impronta ecologica stima la quantità totale di risorse naturali e servizi degli ecosistemi che una
popolazione utilizza, - calcolando la superficie di ecosistemi terrestri e acquatici necessari a per
produrre, direttamente ed indirettamente, in modo sostenibile, tutte le risorse consumate e per
riassorbire, sempre in modo sostenibile, tutte le emissioni prodotte da quella popolazione per vivere.
L’impronta ecologica è un indicatore centrato sulle risorse rinnovabili.
Per calcolare l’impronta ecologica -> si parte dai consumi - per esempio se si vuole calcolare
l’impronta ecologica italiana vado a vedere quanto pane/pasta/frutta consumano.
Di conseguenza posso andare a vedere quanto ecosistema è stato consumato in base risorsa
considerata. Per ogni bene o servizio di consumo posso andare all’indietro e ricavare quanto terreno
è stato necessario, in modo diretto o indiretto, per produrre quel bene.

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L’impronta ecologica è un sistema che distingue varie tipologie di terreno produttivo:

Cropland→ terreno produttivo di tipo agricolo quindi arabile, Grazing land→ pascolo, Forest→
foreste, Fishing ground → superficie marina produttiva, Built-up land → terreno degradato, terreno
che ospita le infrastrutture
Le varie tipologie di terreno hanno diversi gradi di bioproduttività - è necessario quindi compensare
andando a sommare i vari ettari dei vari terreni pesandoli per la loro produttività media.
Il risultato finale è espresso in gha = ettari globali medi.
Calcolo dell’impronta ecologica → moltiplico ogni tipologia di ettaro per il proprio peso - questo
peso mi dice quanto un ettaro di un determinato terreno è più/meno produttivo di un ettaro di
produttività mediale globale. Successivamente li sommo tutti quanti e ottengo l’impronta ecologica
totale in Gha.
Lato della domanda → la domanda dei servizi ecosistemici è quantificata dalla misura dell’impronta
ecologica - la quale indica l’utilizzo medio degli ettari per il proprio sostentamento.
Quanta superficie ho bisogno per il mio stile di vita?
Lato dell’offerta → utilizzo un indicatore parallelo all’impronta ecologica che si chiama ->
biocapacità in grado di quantificare la superficie a disposizione.
Quanta superficie esiste?
Nel nostro Pianeta ci sono circa 10,3 Mld di ettari, le terre emerse sono circa 15 Mld di ettari ma solo
il 68% sono terre bioproduttive, il rimanente 32% sono terre desertiche, suoli rocciosi, bruciati.
Per ogni nazione, regione, comune posso fare un calcolo simile. Una volta moltiplicate queste
superficie per la loro bioproduttiva media avremo degli ettari medi, e con questi posso comparare la
biocapacità con l’impronta ecologica → costruisco un bilancio ecologico

Calcolo della biocapacità → moltiplico ogni singola area per il proprio Equivalent Factor,
successivamente sommo le varie aree in Gha.

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CASO DI VENEZIA calcolo dell’impronta ecologica nella provincia di Venezia.

Ogni abitante della Provincia ha in media a disposizione


1,45 ettari pro-capite.
Questo deve essere comparato con l’impronta ecologica ->
quindi con 4,68 = ettari medi che gli abitanti richiedono ->
In media lo stile di vita dei veneziani necessita di 4,68 ettari
Facendo entrate – uscite -> vediamo che la provincia di
Venezia è in deficit ecologico di circa 3,22 ettari pro-capite. Gli abitanti della provincia di Venezia
per mantenere il proprio standard di vita non potrebbero basarsi unicamente sulle risorse del
territorio -> quindi devono ricorrere all’importazione.
Vivono al di sopra dei propri mezzi e del proprio capitale.

1) Analizzando il primo grafico a


torta possiamo notare che circa due
terzi dell’impronta ecologica è
utilizzata per l’energia, questo vuol
dire che è un sistema metabolico
energivoro.

2) Tale a torta spiega come i


consumi impattano sugli ecosistemi:
il 39 % dell’impronta ecologica serve
per i consumi alimentari, ecc. Valuto
in gha i consumi per costruire dei
bilanci.

3) Dai grafici a barre -> facendo uno Zoom sui consumi alimentari
si osservano tre linee più lunghe (carne bovina, pesce e acqua
minerale), questo vuol dire che ci sono alcune categorie alimentari che
impattano più della media. Per produrre frutta o ortaggi si impatta meno,
rispetto alla produzione di carne bovina.

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4) Scenari di impronta ecologica dei rifiuti →
nella prima barra sono rappresentati i rifiuti
indifferenziati e che quindi vengono gettati.
Nella seconda barra -> parlando di
smaltimento - si ha un risparmio di impronta
ecologica perché la si riesce a risparmiare
(usando la carta riciclata salvo delle foreste).
Se, ipoteticamente, si riuscisse a
differenziare tutti i rifiuti - il risparmio di
impronta ecologica aumenta, lasciando però
comunque un livello di impronta ecologica
alto. Solitamente pensando di fare la
raccolta differenziata al 100% si pensa di
risolvere tutti i problemi, ma in realtà non è vero perché pur facendola, vi è comunque un
dispendio notevole di consumo e di energia → la soluzione potrebbe essere di riusare e non
solo riciclare.

DISTRIBUZIONE TEMPORALE DELL’USO DEI SERVIZI NATURALI – sostenibilità inter -


generazionale

Di seguito un esempio di come Ecological footprint -> possa essere utilizzata per analizzare la
sostenibilità inter-generazionale ovvero tra generazioni future cioè allo scorrere del tempo.

Nel 1962 -> la quantità totale dell’impronta ecologica totale era poco superiore ai 4 Mld di ettari
globali - è poi aumentata molto più velocemente negli anni successivi, infatti dopo quarant’anni è più
di tre volte tanto.
La parte viola -> che corrisponde alla quantità di energia ovvero alla quantità di foresta necessaria
per riassorbire la CO2 emessa dall’utilizzo dei combustibili fossili -> è aumentata sempre più
velocemente.
La biocapacità rimane costante -> la linea verde (11 Mld di ettari), anche se dovrebbe andare verso
il basso perché ci sono sempre più foreste deforestate e deserti desertificati.
Immaginiamo che la linea verde sia orizzontale (ottimismo) → linea dell’offerta

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C’è un punto in cui si incontrano l’offerta e la domanda - da quel punto in poi la domanda supera
l’offerta→ questo vuol dire che il pianeta terra è in deficit ecologico.
Questo cosa vuol dire?
Sulla terra vengono ogni anno tagliati più alberi di quelli che ricrescono, vengono pescati più pesci
di quelli che si riproducono, quindi -> vengono distrutte più risorse naturali di quelle che si rinnovano.
(collegamento con il principio di sostenibilità di Daly)
Il Global Footprint Network → rete che raccogliere tutti gli enti che fanno ricerca sull’impronta
ecologica - calcola ogni anno il overshoot day, ovvero il giorno dell’anno in cui l’umanità ha
consumato tutte le risorse rinnovabili che la natura fa crescere in quell’anno.
È necessario andare a capire la sostenibilità intra-generazionale -> cioè all’interno della nostra
generazione -> quindi andare ad esaminare come sono distribuite le risorse e le relazioni
metaboliche.

Le nazioni rosse→ Nazioni industrializzate che


hanno un’impronta ecologica media pro-capite
molto alta.
Le nazioni in via di sviluppo hanno livelli di
impronta ecologica pro-capite molto più bassa.
Questo grafico mi permette di osservare che
l’accesso alle risorse rinnovabili non è uguale in
tutto il mondo.

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Andando ad analizzare le singole nazioni -> è possibile osservare che ci sono delle nazioni che
hanno un’impronta ecologica oltre al sei ettari pro-capite,- dovute all’alto utilizzo di energia per
desalinizzare l’acqua.
Paragoniamo questa impronta con la linea verde orizzontale - che rappresenta la quantità media di
biocapacità → se noi dividessimo equamente le risorse rinnovabili ciascuno di noi avrebbe a
disposizione meno di due ettari.
Gli Italiani per esempio - ne consumano più di cinque -> questo vuol dire che qualcuno deve per
forza consumarne meno perché la quantità di ettari è un dato finito. Noi stiamo effettivamente
tagliando più foresta di quella che ricresce→ sintomo di un deficit ecologico che caratterizza il
nostro Pianeta.
Il Pianeta Terra non può chiedere aiuto a nessuno quindi le risorse sono finite e non infinite.
(secondo grafico)
La maggior parte della popolazione risiede al di sotto del consumo medio mondiale di conseguenza
le Nazioni sviluppate possono utilizzare un valore più alto della quantità media di biocapacità.
Un ulteriore aspetto importante è che l’impronta ecologica permette di costruire dei bilanci locali.

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Questo mi permette di andare ad
analizzare le Nazioni che sono in surplus o
in deficit ecologico.

Per esempio, tutto il sud America e una


buona parte dell’Africa sono in surplus
ecologico→ questo vuol dire che
l’impronta ecologica è inferiore alla
biocapacità del territorio.

L’Italia invece, insieme agli stati uniti sono in deficit ecologico→ questo vuol dire che per vivere
consumano più risorse di quelle che sono presenti sul territorio.

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COSTRUZIONE DI BILANCI ECOLOGICI REGIONALI

Asse x→ popolazione
Asse y→ impronta ecologica pro-capite
Il rettangolo -> è dato dalla moltiplicazione degli ettari per persone con il numero di persone, vuol
dire che l’area è direttamente proporzionale all’impronta ecologica totale.
Il problema dell’Asia → non è quello di avere un’impronta ecologica pro-capite troppo elevata, ma è
dovuto dal fatto che ci sono troppe persone. In questo caso quindi il problema ambientale è quello
di limitare la popolazione → problema demografico.
Analizzando i Paesi ricchi e industrializzati → la popolazione non è numerosa, ma hanno un livello
di impronta ecologica pro-capite molto elevato. Le politiche da applicare in questo caso riguarda lo
stile di vita perché sono troppo consumisti ed energivori → problema di consumo

APPLICHIAMO IL SISTEMA DI CONTABILITA’ ALLA TECNOLOGIA


Utilizzando la tecnologia potremmo migliorare la resa, mantenendo lo stesso stile di vita e abbassare
l’impronta ecologica. Non è sempre detto però che l’utilizzo della tecnologia permetta di risparmiare
in ambito ambientale.

• Caso dei pomodori


Si confrontano due tipologie molto diverse di produzione di pomodori:
- In campo
- In serra → la produzione di pomodori è 9 volte maggiore - grazie al fatto di avere una
temperatura costante, prodotti chimici -> quindi in questo caso l’uso della tecnologia permette
l’aumento della produzione.
A livello locale -> quindi la produzione in serra sembra che permetta una produzione maggiore.

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A livello globale -> vale la stessa cosa? Per produrre l’energia necessaria alla serra necessito, se
fossi davvero sostenibile, di un bosco da tagliare bruciare, oppure brucio combustibili fossili ed
emetto CO2. Inoltre necessito di tutti quei prodotti chimici che aumentano l’impronta ecologica.
Se sommo l’impronta ecologica totale del campo e della serra si osserva che alla fine l’impronta
ecologica della serra è 10/20 volte maggiore.

• Caso Tilapia
La Tilapia -> è un pesce che nasce nei grandi laghi che veniva fruttato dalla popolazione locale per
arricchire di proteine la propria dieta. In media i laghi producono per ogni metro quadro 1,3 gr al
giorno, quindi in 100 m2 ho un pesce ci circa un etto.
L’idea di tale popolazione è stata quella di provare ad allevare questi pesci attraverso delle gabbie
di un m2.
La produzione in questo modo aumenta e ogni giorno riescono a ricavare 380 gr.
Dal punto di vista locale -> l’acquacultura è molto più conveniente che pescare. Il problema è che è
necessario produrre il cibo e per farlo ogni giorno bisogna avere almeno 900 m 2 di sistema agricolo
utilizzato per la produzione di cibo, insieme a 10000 m2 di acqua → per ogni gabbia di m2 devo
pescare 10000 m2 al giorno e coltivare 9000 m2 di campo. Sommando queste superfici ottengo una
resa media al m2 uguale a 0,035 gr/m2, molto più piccola di quella normale dei pescatori.
La tecnologia permette di concentrare l’estrazione delle risorse ma a scapito di molte altre.

Negli anni successivi sono stati sviluppati strumenti di contabilità tra cui la Water footprint e il Carbon
footprint.
WATER FOOTPRINT (WF)
L’idea risale ad Allan, geografo britannico che ha introdotto il concetto di Virtual Water, ovvero
acqua virtuale - la quale poteva essere interessante come quella reale, poteva avere infatti dei risvolti
politici e geografici.
Quanta acqua ci vuole per fare un caffè? Per una mela? Per 1kg di carne?
Grazie alla Water Footprint è possibile calcolare i nostri reali utilizzi di acqua che sono molto maggiori
di quelli diretti. È necessario analizzare il contenuto virtuale per ogni elemento.
Perché è importante misurare l’acqua virtuale? Perché misura l’intero consumo di acqua che un
determinato ecosistema ha dovuto subire per produrre un preciso bene.
Nel momento in cui si decide di non produrre un determinato bene, ma di importarlo, si va a
risparmiare dell’acqua virtuale perché non la consumo.
L’acqua virtuale è importante -> perché i commerci sono basati principalmente su questo. La grande
quantità di acqua che viene scambiata tra le società umane avviene tramite altri beni di consumo.
Definizione di Tony Allan sul concetto dell’acqua virtuale → Basa tale concetto sui conflitti sull’acqua
e quindi sui concetti di importazione.
Nel 2002 Hoekstra e Champagain hanno introdotto il concetto di Water Footprint partendo dal
concetto di virtual water.

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DEFINIZIONE DI WF DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE
L’impronta idrica è un indicatore del consumo di acqua dolce che include sia l’uso diretto che
indiretto di acqua da parte di un consumatore o di un produttore.
L’impronta idrica di un singolo, una comunità o di un’azienda è definita come il volume totale di
acqua dolce utilizzata per produrre beni e servizi, misurata in termini di volumi d’acqua consumati
(evaporati o incorporati in un prodotto) e inquinati per unità di tempo.
Nella definizione dell’impronta idrica è data inoltre rilevanza alla localizzazione geografica dei punti
di captazione della risorsa.
L’impronta idrica degli italiani partirà dai consumi degli italiani proprio come nell’impronta ecologica.

Esistono tre tipologie di acqua:


- Acqua verde è il volume di acqua piovana che non contribuisce al ruscellamento superficiale -
quindi si parla di acqua evaporata e utilizzata in agricoltura -> Si tratta di acqua arrivata
direttamente dalle precipitazioni. Nel momento in cui non piove abbastanza,
- Acqua blu si riferisce al prelievo di acque superficiali e sotterranee destinate ad un utilizzo per
scopi agricoli, domestici e industriali. È la quantità di acqua dolce che non torna a valle del
processo produttivo nel medesimo punto in cui è stata prelevata o vi torna, ma in tempi diversi.
Es. se non piove a sufficienza, il contadino che deve irrigare il frutteto, dovrà prelevare l’acqua
per esempio da fiume, oppure dalle acque sotterranee.
- Acqua grigia rappresenta il volume di acqua inquinata, quantificata come il volume di acqua
necessario per diluire gli inquinanti al punto che la qualità delle acque torni sopra gli standard di
qualità. Si applica nel caso in cui l’acqua che esce dal processo produttivo (processo produttivo
della produzione metallurgica) contiene delle impurità.

L’utilizzo delle tre componenti di acqua virtuale incide in modo diverso sul ciclo idrogeologico.
Ad esempio -> il consumo di acqua verde esercita un impatto meno invasivo sugli equilibri ambientali
rispetto al consumo di acqua blu.
La water footprint -> offre quindi una migliore e più ampia prospettiva su come il consumatore o
produttore influisce sull’utilizzo di acqua dolce.
Essa è una misura -> volumetrica del consumo e dell’inquinamento dell’acqua. Non misura quindi la
gravità dell’impatto a livello locale, - ma fornisce un’indicazione sulla sostenibilità spazio-temporale
dalla risorsa acqua utilizzata per fini antropici.

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BILANCIO DI ACQUA VIRTUALE IN ITALIA
Il consumo (linea nera)→ in media l’Italia
consuma tra i 100/120 km3 di acqua →
rappresenta i flussi della Virtual Water
Come li consumiamo?
Linea Verde → quantitativo di acqua
virtuale importata, oggi è superiore 80
km3→ acqua virtuale associata alle merci
importante in Italia
La linea tratteggia grigia → rappresenta il
deflusso medio del Po; nel 1980 →la
quantità scaricata in mare è uguale a
quella importata, ma ora noi ne
importiamo molta di più di quella che
scarica il Po.

Volumi complessivi di acqua virtuale associati alle diverse categorie di beni

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QUALI NAZIONI CONSUMANO PIU’ ACQUA?

Bilancio ecologico basato sui


consumi di acqua virtuale
Nazioni in rosso→ consumano
più acqua virtuale di quella che
possiedono. Queste nazioni se
dovessero produrre localmente
tutti i prodotti che consumano
non avrebbero acqua a
sufficienza.

I flussi di acqua virtuale tra le


varie zone → alcuni sono
importatrici nette

CARBON FOOTPRINT
La definizione del Ministero dell’Ambiente. La carbon footprint è una misura che esprime in CO2
equivalente il totale delle emissioni di gas ad effetto serra associate direttamente o indirettamente
a un prodotto, un’organizzazione o un servizio. In conformità al Protocollo di Kyoto, i gas ad effetto
serra da includere sono: anidride carbonica, metano, protossido d’azoto, idrofluorocarburi,
esafluoruro di zolfo e perfluorocarburi. La tonnellata di CO2 equivalente permette di esprimere
l’effetto serra prodotto da questi gas in riferimento all’effetto serra prodotto dalla CO2, considerato
pari a 1 (ad esempio il metano ha un potenziale serra 25 volte superiore rispetto alla CO2, e per
questo una tonnellata di metano viene contabilizzata come 25 tonnellate di CO2 equivalente).
La misurazione della carbon footprint di un prodotto o di un processo richiede in particolare
l’individuazione e la quantificazione dei consumi di materie prime e di energia nelle fasi selezionate
del ciclo di vita dello stesso. A questo proposito l’esperienza degli ultimi anni suggerisce che il label
di carbon footprint è percepito dai consumatori come un indice di qualità e sostenibilità delle imprese.
Le aziende, oltre a condurre l’analisi e la contabilizzazione delle emissioni di CO2, si impegnano a
definire un sistema di carbon management finalizzato all’identificazione e realizzazione di quegli
interventi di riduzione delle emissioni, economicamente efficienti, che utilizzano tecnologie a basso
contenuto di carbonio. Le misure di riduzione possono essere integrate dalle misure per la
neutralizzazione delle emissioni (carbon neutrality), realizzabili attraverso attività che mirano a
compensare le emissioni con misure equivalenti volte a ridurle con azioni economicamente più
efficienti o più spendibili in termini di immagine (es. piantumazione di alberi, produzione di energia
rinnovabile, etc.).

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Di solito è consigliabile utilizzare una metodologia esistente e riconosciuta che è già ampiamente
accettato e compreso. I risultati possono essere visti come più credibile e può essere confrontato
con altre organizzazioni che utilizzano la stessa metodologia.
- Una metodologia comunemente utilizzata è il protocollo GHG prodotto dal World Resources
Institute (WRI) e dal Consiglio mondiale delle imprese per lo sviluppo sostenibile (WBCSD).
Questa metodologia fornisce una guida dettagliata su rendicontazione delle emissioni aziendali
ed è disponibile gratuitamente online.
- Uno standard più recente dell'Organizzazione internazionale per la standardizzazione, ISO
14064, fornisce anche indicazioni su calcolo dell'impronta aziendale e rendicontazione delle
emissioni. Si basa su molti dei concetti introdotti dal GHG Protocollo.
L'impronta completa di un'organizzazione comprende un'ampia gamma di fonti di emissione. Un
metodo di classificazione comune consiste nel raggruppare i GHG emissioni in base al livello di
controllo che un'organizzazione ha su di esse.
• Ambito 1. Emissioni dirette derivanti dalle attività dell'organizzazione controlli (combustione di
combustibili in loco, emissione di gas durante operazione, ecc.)
• Ambito 2. Emissioni da consumo di elettricità (illuminazione, riscaldamento e alimentazione delle
apparecchiature). Sebbene l'organizzazione non sia direttamente in controllo delle emissioni,
controlla l'utilizzo elettrico.
• Ambito 3. Emissioni indirette da prodotti e servizi che l’organizzazione non controlla direttamente
(emissioni da altri from organizzazioni all'interno della catena di approvvigionamento.) Produrre
un'impronta completa che copra tutti e tre i tipi di emissioni può essere abbastanza un compito
complesso.

3. EFFICIENZA ED ESTERNALITA’
ECONOMIA DEL BENESSERE - Efficienza, ottimalità, benessere sociale
Una situazione di mercato concorrenziale e in equilibrio è efficiente -> quando non è possibile
migliorare la situazione di qualcuno senza peggiorare quella di qualcun altro.
Questa efficienza si chiama efficienza paretiana (dall’economista Pareto).
- Una modificazione dell’allocazione delle risorse -> genera un miglioramento paretiano se
aumenta il benessere di qualcuno senza peggiore la situazione di qualcun altro.
- Lo scambio, e quindi il mercato -> genera progressivi miglioramenti paretiani che porta ad
un’efficienza paretiana.
- L’ottimo paretiano, in una situazione di efficienza -> si ha quando non è possibile nessun
miglioramento paretiano.

Ci sono due specificazioni:


1. Una situazione di equilibrio produce un ottimo paretiano, quest’ultimo però non è unico ->
esistono molte situazioni di ottimo paretiano date determinate distribuzioni. Esistono infatti tanti
equilibri generali efficienti quante sono le distribuzioni iniziali di risorse.
2. Il mercato in una situazione di concorrenza è in equilibrio porta ad un ottimo paretiano -> solo se
valgono certe condizioni, ovvero non è un meccanismo automatico.

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Specificazione 1 - EFFICIENZA STATICA
La prima specificazione significa che vi sono molte possibili allocazioni efficienti in un’economia,
perché in ogni dato momento, in un sistema economico, esiste una data distribuzione iniziale dei
diritti di proprietà che porta ad un ottimo paretiano.
Per ogni particolare distribuzione iniziale, l’allocazione delle risorse è efficiente se non è
possibile migliorare il benessere di qualcuno senza peggiorare quello di qualcun altro.
Sostanzialmente l’efficienza consiste nell’eliminare ogni possibile spreco, quindi tutte le risorse
devono essere utilizzate (nessuna risorsa deve rimanere in una posizione dove non è utile a
nessuno).
Un’allocazione è efficiente quando non è più possibile spostare alcunché senza scontentare
qualcuno.
L’obiettivo di raggiungere l’efficienza paretiana è un obiettivo che può essere raggiunto da tutti
perché nessuno può obiettare che le risorse debbano essere utilizzate al meglio, inoltre questo non
va a danno di nessuno.
Come detto precedentemente un’allocazione efficiente non è unica, ma si ha un’allocazione
efficiente per ogni dotazione iniziale di risorse.
Qual è la combinazione efficiente migliore?
Considerando due ottimi paretiani diversi, nel passaggio da una combinazione ad un’altra, ci sarà
qualcuno che guadagna e qualcuno che ci perde.
Con che criterio (socio-politico) decido l’allocazione efficiente migliore?
Criterio di equità → mi indica quale delle varie distribuzioni e allocazioni efficienti è più equa.
Tale concetto non è più condiviso da tutti perché non ci sono più giudizi etici unanimi → teorema
dell’impossibilita di Arrow, non è possibile dar luogo a ordinamenti delle preferenze sociali
sulla base di scelte basate su assiomi condivisi.
Da qui nasce la necessità di cercare dei criteri di valutazione delle allocazioni.
CRITERIO DI COMPENSAZIONE DI KALDOR – HICKS – SCITOVSKY (sul librio ce l’esemio)
Tale criterio cerca di capire quale tra due allocazioni di risorse alternative possa essere desiderabile.
Un’allocazione alternativa è desiderabile se:

• Chi guadagna dal cambiamento potrebbe essere comunque in una situazione migliore se
compensasse chi perde per le sue perdite

• Chi ci perde non potrebbe pagare potenziali vincitori per indurli a rinunciare al cambiamento
ed essere comunque in una situazione migliore che se il cambiamento avvenisse.
Si tratta di un criterio teorico che nella pratica non richiede che la compensazione avvenga
effettivamente.
È una valutazione del benessere complessivo della società indipendentemente dalla sua reale
distribuzione.
Sostanzialmente mi dice che -> tra due allocazioni alternative scegliamo quella in cui le persone
guadagnano così tanto da riuscire a compensare anche le persone che ci perdono.
Tale criterio è utilizzato nella valutazione delle politiche ambientali.

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È sostanzialmente un criterio di efficienza, che viene considerata separata da possibili equità →
nella scelta dell’allocazione con tale criterio emerge che la persona che si arricchisce è quella che è
già ricca. Questa allocazione di risorse porta ad una maggiore diseguaglianza nella società e quindi
minore equità, ma dal punto di vista della somma algebrica del benessere si presenta un benessere
totale maggiore.
Quindi è un criterio di efficienza che non necessariamente porta ad un maggiore equità.
Il criterio di efficienza può confliggere con quello di equità → per esempio accade quando una
politica può consentire di eliminare delle inefficienze perché attiva incentivi più efficaci alla riduzione
degli sprechi; ma può al tempo stesso avere effetti distributivi rilevanti che possono anche essere
considerati iniqui e quindi non desiderabili.
In alcuni casi, il criterio decisionale potrebbe essere quello dell’equità anziché quello di efficienza, si
tratta però di una decisione di tipo sociale e politico.
Resta il fatto che l’efficienza di per sé è importante e l’economia si occupa di questioni di
efficienza.

Specificazione 2 - ALLOCAZIONE DELLE RISORSE IN UN’ECONOMIA DI MERCATO


In quali condizioni un mercato è in grado di raggiugere l’efficienza?
Un mercato di concorrenza raggiunge l’efficienza paretina se valgono le condizioni:
1. Esistono marcati su cui scambiare ogni bene e servizio
2. Tutti i mercati sono perfettamente concorrenziali → tutti subiscono i prezzi (tutte le imprese
massimizzano i profitti e i consumatori massimizzano l’utilità)
3. Non ci sono condizioni per monopolio
4. Tutti gli agenti devono essere perfettamente informati
5. I costi di transazione sono nulli
6. Tutte le funzioni rilevanti soddisfano le condizioni di convessità (funzione well-behaved)
7. I diritti di proprietà sono assegnati in modo completo
8. Non vi sono esternalità
9. Non vi sono beni pubblici, né beni in proprietà comune
I mercati di concorrenza allocano efficientemente tutte le risorse se valgono tutti i nove punti sopra
elencati, se ne manca anche solo uno è probabile che l’allocazione finale delle risorse non sia
efficiente in senso paretiano.
Per quanto riguarda le risorse ambientali, in particolare lo sfruttamento di esse (pesca, taglio delle
foreste), i mercati allocano in modo efficiente anche le risorse ambientali? E se no, perché?
In molti casi le risorse ambientali non soggiacciano a questi nove requisiti e quindi il mercato non
alloca le risorse in modo efficiente → Perché?
I mercati di concorrenza sono quindi uno strumento efficiente per aumentare l’utilità derivante
dall’attività economica - tendiamo quindi di prenderla come paragone per misurare le soluzioni
efficienti.

32
Tuttavia ci sono casi nei quali i mercati non possono allocare efficientemente le risorse, si hanno
cioè dei fallimenti di mercato.
Il risultato di efficienza del mercato si ha con mercati che rispondono a tutti i requisiti, talvolta tali
requisiti non si verificano.
In questi casi, i mercati non riescono ad allocare efficientemente le risorse e questo si verifica
frequentemente con i beni ambientali.

RAGIONI DI FALLIMENTO DEL MERCATO


1. Mercati non esistenti o incompleti
2. Mercati non concorrenziali
3. Informazione imperfetta e costi di transazione non nulli
4. Funzioni di produzione e consumo non well-behaved
5. Presenza di esternalità
6. Diritti di proprietà non assegnati in modo completo
7. Presenza di beni pubblici o comuni

ESTERNALITA’
Le esternalità avvengono quando la produzione o il consumo di un agente ha un impatto non
intenzionale sulla produzione o sul consumo di un altro, e non vi è diritto ad una compensazione per
l’impatto.
Sono quindi differenze fra benefici sociali (dell’insieme della collettività) e benefici privati, o
differenze fra costi sociali e costi privati.
Le esternalità possono essere:

• Negative:
➢ di produzione → la produzione di un’impresa genera un costo, o più in generale, una
diminuzione di utilità, non sopportato dall’impresa stessa, ma da qualcun altro.
(Esempio: inquinamento generato da produzione)
➢ di consumo → l’atto di consumo di una persona provoca un danno, o più in generale,
una diminuzione di utilità, a qualcun altro. (Esempio: rifiuti lasciati nell’ambiente)

• Positive:
➢ di produzione → la produzione genera un beneficio che non è goduto dall’impresa
stessa. (Esempio: le aziende agricole di montagna hanno un ruolo anche nella difesa
del suolo, quindi non si tratta di un beneficio per l’impresa stessa, ma per la comunità)
➢ di consumo → l’atto di consumo può provare un beneficio o un aumento di utilità di
qualcun altro. (Esempio: concerti offerti da gruppi amatoriali possono aumentare
l’utilità per la persona che lo ascolta)

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Le esternalità quindi possono generare un aumento o diminuzione di utilità ad altri soggetti della
collettività impedendo o diminuendo l’utilità della propria attività di produzione o di consumo.
In presenza di esternalità l’equilibrio di mercato perfettamente concorrenziale non porta ad
una situazione di ottimo paretiano.

ESTERNALITA’ ED EFFICIENZA ECONOMICA


A → funzioni di beneficio e danno totale
B – beneficio – agricoltore con pesticida
D – danno - apicoltore

B → funzioni di beneficio e danno


marginale
Beneficio marginale → Agricoltore (nero)
Danno/Costo marginale → Apicoltore (rosso)

Perché le esternalità generano inefficienza?

34
Consideriamo una esternalità produzione-produzione
Soggetti economici:
- Agricoltore che produce un certo prodotto X e usa pesticidi q che aumentano la produzione
- Apicoltore che produce un certo prodotto Y e subisce un danno dall’uso dai pesticidi che
utilizza l’agricoltore.
Quindi più pesticida usa l’agricoltore e maggiore sarà il danno per l’apicoltore → diminuzione del
beneficio dell’apicoltore.

Per comprendere bene i vari passaggi bisogna partire dal beneficio e danno totale (grafico A).

La quantità di pesticida utilizzata dall’agricoltore, dà all’agricoltore profitti marginali via via


decrescenti.
In assenza di interventi correttivi, l’agricoltore utilizza il pesticida fino a che non raggiunge il suo
ottimo privato (quindi fino ad A) ovvero fino a quanto il profitto marginale (beneficio marginale netto
BMN) non si annulla, massimizzando il proprio beneficio totale. (Osservando il grafico A si può
vedere che il beneficio dell’agricoltore aumenta sempre di più finché arriverà ad un punto dove anche
se aumenta la quantità di pesticida non avrà più un aumento del proprio beneficio si nota infatti che
la curva del beneficio totale arriva ad essere piatta – punto A).

L’apicoltore subisce danni marginali crescenti (Costi Marginali Esterni, CME) con l’uso del pesticida,
avrà la maggiore disutilità (maggiore costo) quando l’agricoltore utilizza la massima quantità di
pesticida, mentre ha una progressiva diminuzione del costo marginale esterno alla diminuzione della
quantità (l’apicoltore non ha costi marginali esterni appena l’agricoltore inizia a usare pesticidi ma
dopo una certa quantità – punto B).
In assenza di interventi correttivi, la quantità di pesticida utilizzata non è efficiente: sarebbe possibile
variarla realizzando un miglioramento paretiano.

L’uso ottimale per l’agricoltore è OA (P' =0), con profitto AOD


L’apicoltore subisce un costo pari a ABC

Se l’uso del pesticida fosse limitato a OK, l’apicoltore sarebbe in grado di compensare l’agricoltore
per i minori profitti, perché CME>BMN → miglioramento paretiano

Se l’apicoltore avesse il diritto a non essere danneggiato, l’agricoltore sarebbe in grado di


compensare i costi per l’apicoltore fino a OK, perché BMN > CME → miglioramento paretiano
Il livello OK, il punto in cui le due curve si incrociano indica che il beneficio e il danno/costo sono
uguali (in cui CME=BMN, ovvero derivata della curva del beneficio è uguale alla pendenza della
curva del danno) sarebbe la soluzione efficiente poiché è anche il punto in cui vi è la max differenza
EF, ovvero il punto in cui i costi sono minimi e i benefici sono massimi.

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- Con un uso di pesticida OA
il beneficio per l’agricoltore è 1+2+3
L’apicoltore subisce un costo pari a 2+3+4
Il beneficio complessivo BNS (Benessere Netto Sociale) è dato da:
Beneficio Marginale Netto - Costo Marginale Esterno, ossia: BNS = BMN-CME; BNS= 1 - 4

- Se l’uso del pesticida fosse limitato a OK,


il beneficio per l’agricoltore sarebbe 1+2
Il costo per l’apicoltore sarebbe 2
Il beneficio complessivo sarebbe 1

- Il livello OK (in cui CME=BMN) sarebbe la soluzione efficiente, che massimizza il BNS (Benessere
Netto Sociale)

Conclusioni:
Si tratta di un modo per spiegare come in presenza di esternalità, in questo caso negative, la
soluzione efficiente prodotta da un equilibrio, è efficiente per i singoli, ma non porta ad allocazione
efficiente per l’intera società. Perché il produttore, nel nostro caso l’agricoltore, non risente
dell’esternalità in quanto viene scaricata all’apicoltore il quale ne risente → equilibrio di mercato
inefficiente nel distribuire le risorse.

Osservazioni
• È il meccanismo economico che crea il problema ambientale, vi è un incentivo economico a
generare un danno ambientale → Il mercato incentiva l’agricoltore a massimizzare il proprio
beneficio e quindi a produrre fino ad A.
Il danno ambientale consiste in un Beneficio Netto Sociale (=somma dei benefici meno somma
dei costi) inferiore a quello massimo che sarebbe possibile. (Infatti se uso 0K di pesticida il
beneficio totale netto è maggiore di quando utilizzo 0A di pesticida)
• Non ogni impatto ambientale è un’esternalità negativa → Un agricoltore che sfrutta
eccessivamente il proprio terreno, riducendone la fertilità genera un impatto ambientale, ma non
produce un’esternalità perché il danno che produce è su di lui. Di conseguenza esso non ha
incentivi a sfruttare troppo il suo terreno (o utilizzare il prodotto chimico in modo eccessivo -fino
ad A). può capitare che lo faccia per ignoranza o perché pressato da esigenze di breve periodo,
ma non perché abbia convenienza a farlo
L’esternalità origina quindi da una definizione mancata o incompleta dei diritti di proprietà
(oltre al fatto di possedere la terra o meno anche il fatto di danneggiare o non essere danneggiato).

Se i diritti di proprietà fossero assegnati, o fossero contrattabili, la contrattazione fra le parti


condurrebbe ad un esito efficiente (teorema di coase). Coase considera la definizione e
assegnazione dei diritti di proprietà come una delle condizioni che garantiscono il conseguimento
dell’allocazione efficiente delle risorse da parte del mercato.

TEOREMA DI COASE
Una chiara e completa definizione dei diritti di proprietà, se i costi di negoziazione e transazione
sono nulli, consente alla spontanea contrattazione tra agenti economici di eliminare l’esternalità e
raggiungere una soluzione efficiente, a prescindere da chi detenga inizialmente i diritti legali.

L’attribuzione dei diritti di proprietà può determinare allocazioni efficienti in un’economia di mercato
solo se presenta tre caratteristiche:
1) esclusività: tutti i costi e benefici ricadono esclusivamente sul proprietario
2) trasferibilità: tutti i diritti di proprietà sono trasferiti tra soggetti mediante scambi volontari

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3) applicabilità: il titolare dei diritti di proprietà è tutelato nei confronti di azioni di usurpazione
da parte di altri soggetti

L’applicabilità del teorema di Coase necessita la presenza delle seguenti condizioni:


- mercato perfettamente concorrenziale
- informazione completa
- assenza di costi di transazione ossia di costi di coordinamento tra le parti interessate e di
negoziazione dell’accordo

Considerazioni per le esternalità negative di produzione (es. agricoltore- apicoltore).


In questo caso se i diritti di proprietà siano dell’agricoltore e/o dell’apicoltore non ha importanza
perché:
- Diritto di non essere danneggiato assegnato all’apicoltore, l’agricoltore potrebbe pagarlo
per accettare una quantità di pesticida fino a 0K, perché l’apicoltore inizia a subire il danno
da B perciò i suoi BMN > CME = DEBO > EKB. Producendo fino a 0K l’agricoltore rimborsa
all’apicoltore BEK in questo modo l’apicoltore non avrebbe nessun danno/costo (BEK
sarebbe il costo dell’apicoltore ma non ce l’ha più perché l’agricoltore glielo rimborsa)
- Diritto di usare il pesticida assegnato all’agricoltore, l’apicoltore potrebbe pagare l’agricoltore
per ridurre l’uso del pesticida fino al livello 0K, l’apicoltore in questo modo ha un danno minore
anche se deve rimborsare EKA, ma comunque ha un risparmio dato da ECA → l’apicoltore
ha CME > BMN = ECAK > EAK

Quindi in entrambi i casi si arriva ad una soluzione K perché entrambi possono accettare delle
compensazioni, questo funziona se entrambe le parti si mettono d’accordo in modo razionale senza
costi aggiuntivi. (è solo una situazione ideale, in realtà non è così semplice)

Quindi le implicazioni del teorema:


- basterebbe che il legislatore definisca bene i diritti di proprietà
- separa la questione di efficienza da quella di equità, e il legislatore non ha solo obiettivi di
efficienza
- vale in assenza di costi di transazione
- quando le parti in causa sono numerose, i costi di transazione crescono, e ci possono essere
fenomeni di free riding
- In alcuni casi, l’esternalità è reciproca e gli inquinatori sono anche inquinati (es. scarichi auto)
Considerazioni analoghe valgono per le esternalità negative di consumo (es. suonatore che
disturba il vicino) In questo caso, il BMN indica il valore monetario dell’utilità marginale (positiva)
apportata a chi produce l’esternalità. Il CME indica il valore monetario dell’utilità marginale apportata
a chi produce l’esternalità. La soluzione efficiente è OK, dove BMN e CME si eguagliano. Anche in
questo caso una definizione dei diritti di proprietà ed una contrattazione potrebbe teoricamente
portare al livello efficiente.
La dimostrazione è parallela a quella fatta precedentemente.
La soluzione finale che massimizza il beneficio totale netto è data dalla quantità K, ovvero il numero
di ore in cui il suonatore strimpella il proprio violino e fa impazzire il vicino.
Se non ci fosse una contrattazione suonerebbe un numero di ore pari a A.
Si ha una soluzione K se ci sono diritti di proprietà assegnati al suonatore che può strimpellare
quanto vuole e il vicino lo rimborsa in modo che lui suoni meno quindi fino a K e non fino ad A.

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grafico di riferimento

ESTERNALITA’ E FALLIMENTO DI MERCATO


Ragioni dei fallimenti del mercato:
• Mercati non esistenti o incompleti
• Mercati non concorrenziali
• Informazione imperfetta e costi di transazione non nulli
• Funzioni di produzione e consumo non well-behaved
• Presenza di esternalità
• Diritti di proprietà non assegnati in modo completo
• Presenza di beni pubblici o comuni

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Perché la presenza di esternalità genera dei fallimenti?

La presenza di un’esternalità genera un fallimento di mercato. Si consideri il mercato di acciaio, la


cui produzione (in concorrenza perfetta) genera una esternalità negativa (inquinamento).
- Curva di domanda: in corrispondenza di ciascuna quantità domandata il punto sulla curva
rappresenta l’ammontare di denaro che un agente economico è disposto a pagare
(disponibilità marginale a pagare ossia il beneficio marginale ricevuto dal consumo di una
unità addizionale di bene)
- Curva di offerta: in corrispondenza di ciascuna quantità prodotta il punto sulla curva
rappresenta il prezzo che ciascuna impresa richiede per produrre una unità addizionale di
bene, ossia il costo marginale che in questo caso è privato (CMP) non include i costi esterni
dell’inquinamento.
L’equilibrio di mercato si ha in M. Quantità di acciaio prodotto pari a Qm massimizza il beneficio
netto privato. L’equilibrio di mercato concorrenziale porta a questa soluzione.
Per massimizzare il beneficio netto sociale (che non è max nel punto di equilibrio) bisogna
considerare che si è in presenza di esternalità, quindi al costo marginale privato va aggiunto il danno
marginale sociale.
L’equilibrio socialmente efficiente si ha in N, dove:
- 0LNQ* è il beneficio privato
- 0KTQ* è il costo privato della produzione
- 0RNQ* è il costo esterno inquinamento
- RLN è il Beneficio Netto Sociale
Nel caso di esternalità Il livello di produzione socialmente efficiente non coincide con quello che
consente a un’impresa la massimizzazione del beneficio netto privato.
In questi casi un mercato perfettamente concorrenziale non potrà portare ad un’allocazione efficiente
perché l’equilibrio porterà a Qm che non è la più efficiente, mentre lo è Q*.
La presenza di un’esternalità fa sì che il mercato fallisca nel generare un’allocazione efficiente delle
risorse.

39
COME IL MKT RAGGIUNGE L’EFFICENZA
Perché accade questo? Qual è il meccanismo sottostante a tale fatto?

In presenza di diritti di proprietà ben definiti i produttori e i consumatori interagiscono sul mercato in
modo da raggiungere l’efficienza sociale.

- Comportamento di scelta del consumatore

In corrispondenza di un certo prezzo P* il


consumatore sceglie la quantità da acquistare in
modo tale da massimizzare il proprio beneficio
netto, dato dal beneficio totale meno il costo

- Beneficio totale = OLMQ*


- Costo= OP*MQ*
- OLMQ* - OP*MQ* = P*LM = AREA A →
beneficio netto individuale del consumatore ovvero
il surplus del consumatore
Dato il prezzo P* il consumatore massimizza il
beneficio netto acquistato la quantità Q*.

- Comportamento di scelta del produttore

In corrispondenza di un certo prezzo P* il


produttore sceglie la quantità da produrre Q*
in modo da massimizzare il suo beneficio
netto, dato dai ricavi meno i costi.

Il beneficio netto è dato da: 0P*MQ* - 0MQ* =


0P*M = area B

Tale beneficio netto è detto surplus del


produttore. Dato il prezzo di mercato P* il
produttore massimizza il suo beneficio netto
producendo e O vendendo la quantità Q*.

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In corrispondenza del prezzo P* il mercato
raggiunge l’equilibrio.
La quantità effettivamente scambiata Q*
eguaglia offerta e domanda e rappresenta
una allocazione socialmente efficiente delle
risorse
Tale allocazione massimizza il beneficio
netto sociale dato dalla somma dei surplus
del consumatore e del produttore = A + B
Questo risultato è reso possibile dal sistema
dei prezzi, che produce variazioni (del
prezzo) fino a raggiungere il livello che
consente di eguagliare domanda e offerta.
Questo non è sempre valido soprattutto se si presentano esternalità e se ci troviamo di fronte ad
una serie di tipologie di beni.

CLASSIFICAZIONE DEI BENI


I beni possono essere classificati in funzione di due caratteristiche:
• Escludibilità: è possibile escludere dall’uso chi non paga per esso
• Rivalità: l’uso di un bene da parte di una persona impedisce l’uso da parte di chiunque altro

Si tratta di classificazioni che tendono ad essere molto rigide, è quindi necessario sottolineare che
si tratta di categorie ideali, perciò ci sono dei beni che hanno escludibilità e rivalità intermedie.

1. Beni privati → massima rivalità e massima escludibilità. Tutelati dalla legge.


2. Beni pubblici spuri / Risorse congestionate → massima escludibilità e minima rivalità
Esempio: visione di un film → chi proietta il film fa pagare il biglietto. Hanno però rivalità bassa

41
perché ci possono essere più persone a usufruire del bene, ma oltre un certo livello la presenza
di altri soggetti ne impedisce l’utilizzo.
3. Risorse ad accesso libero → massima rivalità e minima escludibilità. Esempio: banchi di
pesca→ è libero a tutti in assenza di regolamentazioni, ma nel momento in cui pesco un tot di
pesci questi non sono più disponibili per altri.
Alcune di queste tipologie di beni possono dare origine a fallimenti di mercato, ovvero fanno sì che
il mercato non raggiunga ad un’allocazione efficiente delle risorse.

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INEFFICIENZA DEL MERCATO: BENI PUBBLICI (non escludibili e non rivali)

Consideriamo una impresa di produzione dell’acciaio che inquina un lago e che esercita diritti di
proprietà sul lago stesso (diritto ad inquinare) e due imprese turistiche che utilizzano il lago, una
delle quali intraprenda una contrattazione con l’impresa che produce acciaio, offrendo compensi per
avere una riduzione dell’inquinamento.
Bene pubblico: bellezza de lago/la ricchezza ecosistemica del lago
La linea blu rappresenta il beneficio marginale totale, dato dalla somma dei benefici marginali delle
due imprese turistiche (uguali tra loro e descritti dalla linea rossa).
La linea nera rappresenta il costo marginale di riduzione dell’inquinamento da parte dell’impresa
produttrice dell’acciaio.
L’equilibrio socialmente efficiente, ovvero quello che massimizza il beneficio totale sociale, si ha in
E, con l’uguaglianza fra beneficio Marginale Totale e Costo marginale di riduzione dell’inquinamento.
La quantità di disinquinamento effettivamente portata a termine sarà A*.

Poiché solo una delle imprese turistiche contratta con l’impresa produttrice di acciaio per diminuire
l’inquinamento, essa punterà a massimizzare il proprio beneficio marginale netto (e non quello totale)
che è dato dal beneficio marginale individuale meno il costo marginale di riduzione dell’inquinamento
(punterà ad arrivare a F). Quindi il livello di riduzione dell’inquinamento che andrà a contrattare sarà
A1, che è minore rispetto ad A* che si avrebbe in una situazione di equilibrio socialmente efficiente.
Nel caso di un bene pubblico, la contrattazione di un soggetto porta ad una situazione in cui si ha
un equilibrio di mercato che non è il più efficiente socialmente.
Siamo nel pieno dell’applicabilità del Teorema di Coase quindi dovrebbe essere possibile che il
mercato porti ad una situazione di efficienza sociale, ma non è così perché siamo in presenza di
beni pubblici. Beni pubblici → inefficienza di mercato

Problema del Free riding → comportamenti non collaborativi


Nel momento in cui l’impresa 1 fa accordi con l’impresa produttrice, si sobbarca di tutti i costi. Grazie
tale contrattazione vi è una riduzione effettiva dell’inquinamento, ma parlando di un bene pubblico,
gode di tale vantaggio anche l’impresa 2 senza però sopportare alcun costo.
In presenza di beni pubblici è difficile evitare comportamenti di free riding.

43
Perché accade questo?
Inefficienza di mercato: Risorse in proprietà comune

Considerazioni sulle esternalità produzione -produzione a livello industriale:


Si consideri un lago con stock ittico limitato e accessibile senza restrizione alla popolazione del
vicino villaggio. Ogni barca in più che arriva pescherà una certa Q di pesce e quindi escluderà altri
soggetti alla possibilità di pescare lo stesso pesca → Provoca una esternalità.
Il rendimento medio di una barca dipende in modo proporzionale al numero di barche presenti.
L’equilibrio di mercato si realizza quando il rendimento medio di una barca eguaglia il suo
costo. Infatti gli abitanti del villaggio sceglieranno di acquistare barche finché il rendimento medio
di una barca sarà superiore al suo costo. In questo modo nel lago ci saranno Q* barche.
Questo equilibrio non tiene conto delle esternalità causate dalle barche:
1) L’affollamento (che provoca una riduzione della pesca effettivamente realizzata da ogni barca
rispetto al suo rendimento medio);
2) La riduzione dello stock ittico che provoca una diminuzione delle possibilità di pesca nel futuro.
Questo provoca un rendimento marginale sociale inferiore al rendimento medio per barca.
L’equilibrio socialmente efficiente, ossia il numero efficiente di barche, si ha per Q1, un valore
minore rispetto a Q*.
(Un altro esempio riguarda i pascoli comuni in cui gli allevatori possono portare i propri animali. Ogni
singolo soggetto economico punta a massimizzare il proprio beneficio, ovvero massimizzare il
numero di animali all’interno del pascolo. Se tutti i soggetti pensassero in quest’ottica ci sarebbero
troppi animali portando così, alla distribuzione del pascolo. Distruggendo una risorsa comune
causano un danno all’intera comunità→ L’equilibrio di mercato porta ad una distruzione del pascolo)

Esempi di gestione negativa → tragedie delle risorse ad accesso libero:


- Estrazione eccessiva di acqua di falda
- Distruzione della fauna della caccia eccessiva
- Eccesso di pesca che porta a un calo successivo

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Esempi di gestione positiva → regolazione spontanea di risorse in proprietà comune (collettive):
- Terre collettive di villaggi in Africa: la terra viene assegnata a singole famiglie in base alle
sue necessità alimentari, ma non è di proprietà della singola famiglia.
- Boschi di proprietà comune: ogni anno una zona di bosco vene messa in turno al taglio e
suddivida in un determinato numero di aere (sorti), divise in appezzamenti che vengono
estratti a sorte tra i partecipanti, che hanno diritto di abbattere alcuni alberi in quella porzione
di bosco.
- Pascoli comunali nelle zone montane
- Corvées volontarie per la manutenzione dei sistemi irrigui montani
- Molte organizzazioni di regolazioni di sistemi irrigui in PVS
La soluzione di garantire sempre i diritti di proprietà non è l’unica, infatti in questi ultimi casi, i diritti
di proprietà non sono assegnati alla singola persona, ma assegnati al villaggio/comune. Molte
organizzazioni, mettendosi d’accordo costruendo Patti/Accordi, sono riuscite a sostenere questi
territori → premio Nobel per l’economia.

4. INQUINAMENTO E STANDARD

ECONOMIA DELL’INQUINAMENTO: GLI STRUMENTI DI INVERVENTO


Cos’è l’inquinamento?
Significato fisico: tutti gli agenti fisici, chimici e biologici che modificano le caratteristiche naturali
del mezzo ambientale in cui sono emessi
Significato economico:

• Definizione di inquinamento atmosferico nella normativa italiana (DPR 203/1988):


“Ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell'aria atmosferica, dovuta alla
presenza nella stessa di uno o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da alterare le normali
condizioni ambientali e di salubrità dell'aria; da costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o
indiretto per la salute dell'uomo; da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi
dell'ambiente; alterare le risorse biologiche e gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati.”

• Definizione di inquinamento atmosferico della European Environment Agency (EEA):


“The presence of contaminant or pollutant substances in the air at a concentration that interferes
with human health or welfare, or produces other harmful environmental effects.”
(La presenza di sostanze contaminanti o inquinanti nell'aria a una concentrazione che interferisce
con la salute o il benessere umano, o produce altri effetti ambientali dannosi.)
CLASSIFICAZIONE DELL’INQUINAMENTO

• Inquinamento Flusso: il danno è connesso al flusso di residui (al tasso a cui vengono
riservati nell’ambiente). Il danno cessa quando si interrompe il flusso.

• Inquinamento Stock: il danno è funzione dello stock di residui nell’ambiente (accumulo di


residui nell’ambiente), in funzione della concentrazione dell’inquinante nel sistema
ambientale rilevante.

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Se le emissioni sono > delle capacità assimilative dell’ambiente → gli inquinanti stock si accumulano
Se per esempio consideriamo un inquinante flusso puro che hanno capacità assimilativa illimitata
(es. inquinamento acustico o luminoso) appena esso cessa l’inquinamento sparisce.
Parlando invece di inquinamento stock puri, essi hanno una capacità assimilativa nulla (es. metalli
pesanti, sostanze radioattive).
La maggior parte degli inquinamenti però costituiscono forme intermedie.
La maggior parte dei problemi di degrado ambientale è caratterizzato da forme di inquinamento
di tipo stock:
- Danni alla salute, al potenziale produttivo in agricoltura, alle foreste, alle risorse ittiche al
patrimonio architettonico e artistico
- Effetti sulle funzioni ecosistemiche e sulla capacità assimilativa
La capacità assimilativa dell’ambiente dipende anche dal carico di inquinamento a cui il mezzo
ambientale rilevante è esposto. I meccanismi di auto-depurazione biologici, ad esempio, possono
essere danneggiati o distrutti se le emissioni superano determinate soglie critiche.

Un’altra importante classificazione:

• Inquinamento da fonti stazionarie/da fonti mobili (ciminiera)

• Inquinamento a diffusione uniforme (UM, uniformly mixing) /a ristagno locale (non-


uniformly mixing):
o Es. inquinanti UM: la maggior parte dei gas serra. CFC, HCFC
o Es. inquinanti non-UM: ozono nella troposfera, ossidi di azoto, ossidi di zolfo,
particolato, metalli. Molti inquinanti del suolo e dell’acqua

ATMOSFERA E INQUINANTI

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Principali indicatori di inquinamento dell’acqua e del suolo

Principali inquinanti atmosferici ad impatto globale

Esposizione agli inquinamenti


Percentuale di popolazione urbana in EU residente in aree dove le concentrazioni di inquinamento
sono superiori ai limiti EU, 200-2012.

47
o Esposizione delle persone in Europa che vivono in città.
Guardando i limiti
standard permessi
fissati da WHO sono
più stringenti rispetto a
quelli fissati dall’UE.
Secondo questi limiti,
la totalità della
popolazione urbana
dell’UE vive all’interno
di zone in cui gli
inquinanti sono
superiori ai limiti
prestabiliti. (96%)

Quali sono gli STRUMENTI ECONOMICI per far sì che l’inquinamento si riduca?
- Fissazione degli obiettivi
L’inquinamento genera gravi danni all’ambiente e alle persone, ma d’altronde è legato a attività
produttive o di consumo che generano reddito e utilità.
Si pone quindi un problema di trade-off tra benefici e costi dell’inquinamento. Si deve
permettere l’inquinamento? Se sì, a quale livello?
Una possibile risposta è quella relativa al livello efficiente. Il livello efficiente dell’esternalità non
è in genere zero, proprio perché c’è un trade-off fra benefici e costi.
Il livello efficiente dell’esternalità è però solo un possibile criterio di scelta che si basa su un criterio
di efficienza ≠ dal criterio di ottimalità (funzione di preferenza sociale).

Altri criteri possibili:


• Sostenibilità
• Accettabilità dei rischi, in particolare alla salute
• Opinione pubblica e fattibilità politica
Il criterio dell’efficienza non è detto che sia il criterio più efficiente per valuta il livello di inquinamento.
- Livello efficiente di inquinamento
Immaginiamo un modello statico di inquinamento flusso in cui i danni derivano dal flusso di emissioni,
non si accumulano e sono «mali pubblici» e sono uniformemente distribuiti (es. gas serra).
A fronte di una certa emissione di gas serra abbiamo:
• Danni dell’inquinamento: D=D(M) → generalmente crescenti in modo più che proporzionale
(quando c’è poco inquinamento, se aggiungo un’unità in più di inquinamento, aumento il danno ma
poco, mentre se ho già un certo livello di inquinamento, aumentando di un’unità provoco un
peggioramento della situazione maggiore)
• Benefici dell’inquinamento: B=B(M) → generalmente crescenti in modo meno che proporzionale
(Beneficio come la produzione di beni e servizi per la società)

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• Beneficio netto sociale: BNS=B(M)-D(M)
Il livello efficiente di inquinamento è quello che massimizza beneficio netto sociale BNS:
B’(M) = D’(M) → beneficio marginale = danno marginale, ovvero aumentare l’inquinamento è
efficiente finché il beneficio aggiuntivo supera il danno aggiuntivo).
È il livello efficiente in quanto massimizza la differenza fra benefici e danni e non considera questioni
di equità (chi ottiene i benefici e chi subisce i danni).

Cosa vuol dire avere un livello efficiente di inquinamento? (domanda esame)


La funzione di beneficio marginale può essere vista come il costo marginale di riduzione, ovvero
quanto cosa ridurre di un’unità in più l’inquinamento, quanto mi costa in termini di benefici perduti
Il livello M* → minimizza il costo totale dell’inquinamento (ovvero minimizza la somma del costo di
riduzione dell’inquinamento C1 e del costo totale del danno ambientale c2) → livello efficiente di
inquinamento
Tutti gli altri punti (es. Ma) hanno un costo totale maggiore.
µ* può essere considerato il «prezzo di equilibrio» dell’inquinante: è il prezzo di equilibrio che si
verificherebbe se esistesse un mercato dell’inquinamento.

Gli esseri umani hanno sviluppato una serie di


STRUMENTI PER IL CONTROLLO DELL’INQUINAMENTO:

1. Strumenti di regolamentazione diretta (command and control)→ si regola l’inquinamento


attraverso un’imposizione di un comando (standard di emissione, tecnologici, di
localizzazione, etc.)

2. Strumenti economici o market-based: tasse sulle emissioni, sussidi per l’abbattimento delle
emissioni, permessi di emissioni

3. Strumenti volontari (non ne parleremo in questo corso)


4. Assicurazioni ambientali e strumenti legali (non ne parleremo in questo corso)

49
In particolare:
1 Strumenti di regolamentazione diretta: GLI STANDARD AMBIENTALI
Sono tra i primi strumenti di regolazione ambientale e sono uno strumento di regolazione diretta.
Per ciascuno di questi processi possono essere istituiti delle restrizioni come sono indicati dallo
schema seguente.

l funzionamento
efficace di uno
standard dipende
da:
1) certezza della multa e sua determinazione al livello ottimale;
2) determinazione dello standard al livello ottimale.

Il BMNP Beneficio Marginale Netto Privato è la differenza tra ricavi e costi dell’inquinatore.
Il CMAE è il Costo Marginale Esterno ossia il valore del danno marginale causato dall’inquinamento.
Dobbiamo quindi capire:
50
• Fissazione dello standard
• Efficacia dei controlli
• L’efficacia dei controlli influenza la probabilità di dover pagare la sanzione
• Ipotizziamo un controllo perfettamente efficace, cioè tale che venga comminata una sanzione ogni
volta che l’inquinamento è maggiore di quello consentito
In corrispondenza di Q* è individuato il livello di attività economica socialmente efficiente, a cui
si associa un livello ottimale di inquinamento OQ* per la società. Di conseguenza la sanzione per
unità di prodotto, per raggiungere il livello efficiente, deve essere almeno OM*.
Questo perché per ogni unità in più oltre OQ*, l’inquinatore deve pagare un costo aggiuntivo
superiore a OM*. Farlo non sarebbe conveniente, perché la sanzione sarebbe maggiore del profitto
marginale.
In teoria le sanzioni superiori ad OM* possono andare bene.
Ma se la sanzione per unità di prodotto fosse inferiore e valesse solamente OM, per l’inquinatore
sarebbe conveniente produrre fino a OQb anche pagando la sanzione.
Molto spesso non è possibile identificare il livello efficiente (mancanza di informazioni) e gli standard
ambientali sono determinati in modo da raggiungere un livello «accettabile» di inquinamento.

Ipotizziamo ora che il controllo NON sia perfettamente efficace; cioè la sanzione è incerta (c’è
qualche possibilità di evitarla se si viola lo standard).
Il ragionamento economico dell’inquinatore è ora in termini di VALORE ATTESO = valore *
probabilità (es. se viene “pescato” una volta ogni 10 violazioni, in media la multa pagata è 1/10 del
suo ammontare).
Quindi il valore atteso della sanzione deve essere almeno OM Es., se la sanzione necessaria per
raggiungere il livello efficiente è M* e la probabilità di scoprire il trasgressore è 1/10, la sanzione
deve essere almeno: 10 volte M*.

2 Strumenti economici di regolazione dell’inquinamento: TASSE, IMPOSTE, SUSSIDI


In alternativa agli standard possono essere usati strumenti economici
Mentre gli strumenti command ad control impongono restrizioni obbligatori, gli strumenti economici
modificano le convenienze ai comportamenti, cioè introducono incentivi per cambiare
volontariamente i comportamenti attraverso modificazioni dei prezzi relativi.
Esistono vari tipi di strumenti:

• Strumenti fiscali: (varie tipologie da studiare sul libro)


- Tasse sull’utilizzo di determinati input
- Tasse sulle produzioni inquinanti
- Tasse sulle emissioni
- Sussidi per la riduzione delle emissioni

• Permessi negoziabili

51
LE TASSE (tassa ottimale sull’inquinamento – strumento fiscale)
Lo scopo della tassa ambientale è di correggere l’esternalità, cioè di far sì che i costi sopportati
dall’inquinatore comprendano anche i costi esterni ovvero quelli derivanti dell’inquinamento →
internalizzare l’esternalità
- Esaminiamo una tassa sulle emissioni, nel caso di inquinamento a diffusione uniforme
Assumiamo come obiettivo il livello economicamente efficiente delle emissioni (ricordiamo che ci
può essere come obiettivo un livello specifico, fissato in base ad altri criteri- es sanitari o, in
mancanza di informazioni adeguate, la ricerca comunque di una riduzione delle emissioni)
Rappresentiamo il beneficio marginale e il danno marginale per l’intera società
Andiamo ad analizzare la TASSA PIGOUVIANA → è uguale al costo marginale esterno in
corrispondenza del livello ottimale di inquinamento

Senza la tassa, le imprese produrrebbero


emissione Qp (profitti marginali = 0).
Massimizzando i costi marginali totali della
società le imprese produrrebbero Q* → prezzo
dell’inquinamento t* (tassa)

Si introduce la tassa t* su ogni unità emessa pari


al CME al livello efficiente (quando è =al BMNP)
In presenza di questa tassa il BMNP (la linea blu
equivale alla linea nera traslata verso il basso)
spinge le imprese a produrre il livello Q* (dove i
profitti marginali dopo-tassa sono 0).
La tassa quindi introduce un incentivo alla
riduzione

52
Senza la tassa, le imprese produrrebbero
emissioni Rm, punto in cui si incontrano BMS
e CMP

L’introduzione della tassa t* determina per


l’impresa un incremento dei costi marginali di
produzione (CMP). La nuova retta (CMP + t* =
CMS) è traslata per includere la tassa.

Per riuscire a coprire tutti i costi di produzione


inclusa la tassa, l’impresa diminuirà la propria
produzione (e quindi l’inquinamento prodotto)
da Rm a R*.

Cosa succede se si introducesse una tassa non ottimale?

Se la tassa fosse più alta es. t1, si arriverà


ad un livello di inquinanti R1, inferiore a
quello efficiente, con una perdita di
benessere per il produttore pari all’area
ABC.

Se la tassa fosse più bassa, ad es.t2, si


arriverà ad un livello di inquinanti R2,
superiore a quello efficiente, con una
perdita di benessere sociale pari all’area
CDE.

R* è il punto in cui massimizza il


benessere sociale

L’introduzione di una tassa ottimale sull’inquinamento fa sì che l’impresa scelga l’opzione più
conveniente tra:
• adeguarsi alla tassa (pagare la tassa) riducendo la produzione, con un costo netto pari al
profitto perduto;
• innovare la tecnologia del processo produttivo in modo da ridurre le emissioni inquinanti, con
un costo dovuto al cambiamento di tecnologia.

Per valutare quale opzione è più conveniente confronterà l’onera unitario della tassa (la somma
da pagare per ogni unità inquinante emessa) con il costo marginale di disinquinamento (CMAR)
53
- Finché il CMAR è minore dell’onere unitario della tassa all’impresa converrà disinquinare;
- mentre quando il CMAR diventa maggiore dell’onere unitario della tassa l’impresa sceglierà
di pagare la tassa.

LA SCELTA DELL’IMPRESA: TASSA O INNOVAZIONE TECNICA

In un sistema in cui operano le tasse ambientali le imprese hanno la possibilità di decidere se è più
conveniente pagare la tassa o innovare e diminuire le emissioni. La tassa fornisce quindi un
incentivo all’utilizzo di sistemi di riduzione di inquinamento.

CMAR: curva del costo marginale di riduzione


dell’inquinamento attraverso l’implementazione di
tecnologie disinquinanti
CMAE: costo marginale esterno
BNMP: rappresenta il beneficio marginale netto
privato può essere interpretata come la curva dei
costi di riduzione dell’inquinamento, nel caso in
cui si riducesse la produzione per adeguarsi alla
tassa

Le curve azzurra (BNMP) e nera (CMAR) vanno a monitorare le due opzioni di innovazione tecnica
o di pagamento della tassa. L’Innovazione tecnica è monitorata dalla curva CMAR, ovvero quanto
costa all’impresa ridurre la produzione di inquinamento di una unità in più apportando migliorie
tecnologiche. Mentre BNMP mi indica quanto costerebbe all’impresa adeguarsi nel pagare la tassa
e di fatto a ridurre la produttività.

− da A fino a B: all’impresa conviene ridurre l’inquinamento introducendo tecnologie (CMAR <


BMNP)

− da B a 0: all’impresa conviene ridurre la produzione (CMAR > BMNP)

54
EFFICIENZA E MINIMIZZAZIONE DEI COSTI SOCIALI

In certi casi le tasse possono essere introdotte congiuntamente agli standard, in modo che le
imprese possano scegliere l’alternativa più conveniente, tra pagare la tassa o rispettare lo
standard.

CMR è la curva del costo marginale di riduzione dell’inquinamento. I numeri indicano le tre ipotetiche
imprese con costi marginali di riduzione dell’inquinamento differenti dovuti da tecnologie diverse.
L’impresa 1 ha CMR più elevati delle altre, mentre l’impresa 3 ha CMR minori di tutte.

• L’autorità può introdurre solo lo standard S*

In questo caso il costo di ogni impresa deve ridurre il proprio inquinamento a prescindere dai costi
sostenuti.
Il costo totale = 0AS* + 0BS* + 0CS*
(0AS* → COSTO per l’impresa 1, ovvero area sottesa sotto la curva CMR1, stessa cosa vale per le
altre imprese)

• L’autorità oltre allo standard introduce la tassa ottimale t*

In questa situazione le imprese si comporteranno:


− impresa 1 disinquina fino al livello S1 poi paga la tassa → costo = 0XS1 (a livello S1 il CMR 1
> della tassa)
− impresa 2 disinquina fino a S* punto in cui costo = 0BS*
− impresa 3 disinquina fino a S2 punto in cui costo = 0YS2 (è l’impresa che ha costi minori)

Il risultato totale è comunque quello di ridurre i costi perché ogni impresa sceglierà sempre l’opzione
che minimizza i costi e massimizza il beneficio netto.

55
Esempio: (possibile domanda esame)
Immaginiamo un’impresa molto moderna con macchinari efficienti e un’impresa con macchinari più
vecchi che inquinano molto.
Tra queste due imprese quale di queste due ha il costo marginale di riduzione di inquinamento più
elevato?
Se devo ridurre l’inquinamento, all’impresa con macchinari più vecchi basta comprare nuovi i
macchinari non necessariamente i più tecnologici (riduce in questo modo l’inquinamento con costi
molto bassi).
Per ridurre l’inquinamento, all’impresa più tecnologica costerà molto di più perché ha macchinari già
moderni e per averne altri dovrà accedere a tecnologie avanzatissime con costi molto elevati.
I costi saranno quindi più alti per le imprese più tecnologiche.
L’utilizzo congiunto di uno standard e di una tassa fa sì che le imprese che hanno già macchinari
avanzati debbano migliorare meno la loro tecnologia e quindi disinquinare meno. Mentre quelle
imprese che devono apportare migliorie maggiori sono quelle più obsolete con costi marginali di
riduzione dell’inquinamento minori.

EQUITÀ DELLA TASSA

L’introduzione di una tassa sull’inquinamento corrisponde all’applicazione del principio chi inquina
paga, perché agisce sul soggetto che inquina e riguarda ogni unità emessa.

In assenza di tassa l’impresa produce Qp


massimizzando il proprio profitto è uguale
all’area: a + b + c + d

Con l’introduzione della tassa t*, l’impresa


riduce la produzione a Q* e quindi perde una
parte di profitto dell’area d, inoltre deve pagare
la tassa per tutte le unità, perdendo un
ulteriore profitto dato dalle aree b + c

La perdita totale di profitto è quindi: b + c +


d

56
EFFETTI DELLA TASSA
Quali sono gli effetti della tassa? Su chi si ripercuotono?
Apparentemente gli effetti sulla tassa sono su chi inquina ovvero l’impresa, ma in fondo l’impresa
inquina per produrre dei beni e servizi economici che vengono consumati dai privati cittadini. Quindi
chi è il responsabile ultimo?
È necessario sempre distinguere il consumo con la produzione

Effetti della tassa sui produttori e sui consumatori

si consideri un mercato in cui viene scambiato un


solo bene, la cui produzione determina
inquinamento a carico della società.
Le rette rappresentano la domanda (D) e l’offerta
(S).

Prima dell’introduzione della tassa:


l’equilibrio di mercato è nel punto E0 in cui si
intersecano le rette D e S0.

Dopo l’introduzione della tassa:


Per impresa i costi di produzione aumentano
della quantità t*, quindi l’impresa sarà disposta
ad offrire il prodotto (in una quantità pari a Q0)
solo ad un prezzo più elevato di P0 +t*.
Il nuovo prezzo sarà PO + t*.

Quindi la retta di offerta trasla verso l’alto (da


S0 a S1), il problema è che se aumenta il
prezzo, i consumatori acquisteranno meno, di
conseguenza l’equilibrio si modifica:
nel punto E1 → nuovo equilibrio di mercato
con quantità Q1 e prezzo P1.

➢ Effetti della tassa sui consumatori


− Il prezzo di mercato è salito da P0 a P1 con una perdita di benessere dei consumatori perché
acquistano il bene a un prezzo maggiorato
− L’aumento del prezzo ha inoltre portato ad una riduzione della quantità acquistata da Q0 a
Q1, con un ulteriore perdita di benessere per i consumatori.
− Questa perdita di benessere è però compensata dal beneficio che i consumatori hanno dalla
riduzione dell’inquinamento grazie alla tassa.

57
➢ Effetti della tassa sui produttori
I produttori subiscono una riduzione del ricavo
dovuto a:

Il prezzo di mercato è salito da P0 a P1, ma


l’impresa deve pagare la tassa quindi riceverà P1-
t*per ogni unità venduta. Poiché P1-t* < P0 vi è una
riduzione del ricavo

L’aumento del prezzo da P0 a P1 ha provocato una


contrazione della domanda da Q0 a Q1 e quindi
una ulteriore riduzione del ricavo

In generale la quota che va ad incidere sui produttori e i sui consumatori dipende dalle forme delle
curve di domanda e offerta.

Il caso della Svezia


Un esempio: la tassa svedese sulle emissioni di ossidi di azoto
La Svezia aveva grossi problemi di acidificazione del suolo e dell’acqua parzialmente creati dalle
emissioni di ossidi di azoto (Nox) dai processi di combustione nei trasporti, nell’industria e
nell’energia.
Nel 1992, la Svezia ha introdotto una forte tassa sulle emissioni di NOx delle grandi fonti di
combustione (es. impianti di energia e industriali, inceneritori)
Era accompagnata dalla restituzione della tassa in proporzione all’energia prodotta → incentivo a
ridurre le emissioni di NOx per unità di energia prodotta, maggiore accettabilità. Monitoraggio
costante delle emissioni.
Si è ottenuta una riduzione del 35% delle emissioni di NOx dagli impianti coinvolti in 20 mesi
L’industria è stata spinta a sviluppare tecnologie più efficienti e meno costose; l’intensità di emissioni
della produzione di energia si è dimezzata.

In altre Nazioni ci sono molti casi di tasse sulle emissioni in atmosfera, acqua, e rumore (oltre 50
casi nei paesi OCSE).
In genere, nella realtà, i livelli impositivi non sono abbastanza alti da internalizzare interamente
l’esternalità. C’è tuttavia evidenza di un trend verso maggiore diffusione e verso livelli di imposizione
più prossimi all’efficienza.
INQUINAMENTO IDRICO: Francia, Italia, Germania, Olanda. Spesso il gettito è utilizzato per
interventi ambientali. Germania: tasse + standard (alle imprese con emissioni < allo standard è
imposto un prelievo con tasso unitario ridotto).
Tasse su pesticidi e fertilizzanti in Svezia, Norvegia, Finlandia, Austria, Danimarca.
INQUINAMENTO ATMOSFERICO:
Francia: il gettito torna alle imprese sotto forma di sussidi per l’adozione di tecnologia
antinquinamento. Giappone: fondo per il risarcimento dei danni dell’inquinamento.
Svezia: tassa sulle emissioni di NOx da impianti di combustione.
Austria, Danimarca, Olanda, Italia, UK, Svezia e molti altri paesi: tassi differenziati su carburanti
con/senza piombo come imposta indiretta sulle emissioni di piombo.
CARBON TAX: Proposte, ma con alcune difficoltà in EU. Adozione unilaterale di Finlandia, Svezia,
Norvegia e Paesi Bassi.
USA: tasse solo su emissioni di CFC.
Cina: tasse sulle emissioni di NOx, SO2, Cl2, CS2, Co, HCl e diversi altri inquinanti
58
TASSE AMBIENTALI IN EUROPA

Definizione di tassa ambientale UE (Eurostat): una imposta la cui base impositiva è costituita da una
grandezza fisica (o da una sua proxy) che ha un impatto negativo provato e specifico sull’ambiente.

È la base impositiva e non lo scopo che rientra in questa definizione, che è quindi diversa da quella
dell’economia ambientale

Nel 2011 nell’UE-27 le imposte ambientali davano un gettito di 302,9 miliardi di euro, di cui:
- 74,7% sull’energia
- 20,9% trasporti
- Solamente il 4,4% tasse su inquinamento e risorse

Le imposte ambientali rappresentavano il 6,17% del gettito complessivo per imposte e contributi ed
il 2,39% del PIL (in lieve decrescita per entrambi gli indicatori nel periodo dal 2000) → idea di quanto
sia il volume delle tasse ambientali.

CLASSIFICAZIONE EUROSTAT DELLE IMPOSTE AMBIENTALI

1. Per tipo
− Energia: prodotti energetici utilizzati sia per finalità di trasporto (soprattutto benzina e gasolio
quindi produzione di energia per la mobilità) sia per usi stazionari (soprattutto oli combustibili, gas
naturale, carbone ed elettricità). Sono comprese inoltre le imposte sulla CO2: spesso introdotte
in sostituzione di imposte sull’energia, non vengono incluse tra le imposte sull’inquinamento.
− Trasporti: imposte legate alla proprietà e all’utilizzo di veicoli. Sono comprese inoltre le imposte
relative ad altri mezzi di trasporto (ad esempio aerei) e a servizi di trasporto purché coerenti con
la definizione generale di imposte ambientali
− Inquinamento: imposte sulle emissioni atmosferiche o sui reflui (dati rilevati o stimati), sulla
gestione dei rifiuti e sul rumore (fa eccezione l’imposta sulla CO2 che rientra fra le imposte
sull’energia che copre circa i ¾ delle imposte dell’UE)
− Risorse: imposte sul prelievo di risorse naturali ad eccezione di petrolio e gas

2. Per settore
La % di gettito a carico delle diverse attività è diversa nei differenti paesi.
Una parte rilevante è sempre a carico delle famiglie e del settore manifatturiero, estrazione,
produzione di energia. Le varie imposte hanno delle ripartizioni abbastanza differenti che variano da
paese a paese.

59
VALUTAZIONE DI ALCUNE TASSE AMBIENTALI IN EUROPA
Sulla base di un documento della European Environmental Agency (EEA), rassegna delle
esperienze di tassazione
Suddivisione delle tasse nelle categorie:
1. imposte di copertura dei costi - destinate a coprire le spese dei servizi ambientali e delle misure
di riduzione delle emissioni, quali il trattamento delle acque (imposte all'utenza); imposte che
possano essere usate per spese ambientali nello stesso settore (imposte finalizzate);
2. tasse di incentivazione - destinate a modificare il comportamento dei produttori e/o dei
consumatori;
3. misure fiscali ambientali - destinate in primo luogo ad aumentare il gettito e non in primis quello
di operare in campo ambientale

La valutazione dell'effetto incentivante si basa sulla prova del fatto che i contribuenti sono
incoraggiati a ridurre l'inquinamento soprattutto a causa della notevole differenza tra l'aliquota
dell'imposta e il costo delle misure di riduzione (o simili) cioè la differenza tra l’importo dell’imposta
da pagare e il costo per ridurre l’inquinamento.
L'efficacia ecologia si basa sui benefici ambientali riscontrati a seguito dell'impostazione della tassa.
Il punto interrogativo indica mancanza di prove.

Guardo da slide 23 a 26: leggo e ricordo qualche esempio


In certi casi, come l’imposta sullo zolfo, le tasse ambientali effettivamente funzionano provocando
un effetto efficace ambientale e incentivante
- Un'altra imposta che ha funzionato è stata quella sul differenziale della benzina senza
piombo
- Non necessariamente questo tipo di tassazione funziona sempre, in quanto la sua efficacia
dipende da una serie di variabili

TASSE AMBIENTALI IN ITALIA


Le imposte ambientali sono progressivamente aumentate.
La parte preponderante del gettito delle imposte ambientali (81,4%) è relativo all’Energia:
sovrimposta di confine sui gas incondensabili, sovrimposta di confine sugli oli minerali, imposta sugli
oli minerali e derivati, imposta sui gas incondensabili, imposta addizionale sull'energia elettrica di
comuni e province, imposta sull'energia elettrica, imposta sul gas metano, imposta sui consumi di
carbone, coke di petrolio e orimulsion, contributo sui ricavi degli operatori del settore energetico a
favore dell'Autorità Garante Energia Elettrica e Gas → tutta una serie di imposte che gravano sul
settore energia (le leggo, non devo saperle a memoria tutte ma ne ricordo alcune come esempio)

Il 17,8% del gettito deriva da imposte sui Trasporti:


pubblico registro automobilistico (PRA), imposta sulle assicurazioni Rc auto, tasse automobilistiche
a carico delle imprese, tasse automobilistiche a carico delle famiglie, imposta sugli aerotaxi, imposta
su imbarcazioni e aeromobili

Solo lo 0,8% deriva da imposte sull’Inquinamento: (mentre in ue è quasi il 5%)


tributo speciale discarica, tassa sulle emissioni di anidride solforosa e di ossidi di azoto, tributo
provinciale per la tutela ambientale, imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili.

come sono variate le imposte in italia?


Le imposte sui prodotti energetici e sui trasporti hanno principalmente finalità di gettito e non hanno
esplicitamente finalità ambientali (né incentivante né per destinazione del gettito)
Fa eccezione l’imposta sui consumi di carbone → utilizzo del gettito anche per il finanziamento di
spese per la protezione dell’ambiente
60
La parte che fa riferimento all’inquinamento è quindi
minima → Dal 2000 è cresciuto il gettito delle
imposte su trasporti e energia. Non è cresciuto
quello delle imposte sull’inquinamento.

In Italia ai fini della classificazione delle imposte ambientali, è opportuno distinguere:

− imposte specifiche, ossia “imposte di scopo” il cui gettito è destinato a finanziare spese per la
protezione ambientale

− altre imposte ambientali, ossia imposte il cui gettito non è utilizzato per finanziare le spese per
la protezione ambientale

Le imposte ambientali sono ulteriormente classificate in base alla classificazione CEPA


(Classification of Environmental Protection Activities and expenditures), la quale si articola nelle
seguenti classi: leggo e ne ricordo alcune
1.protezione dell’aria e del clima;
2.gestione delle acque reflue;
3.gestione dei rifiuti;
4.protezione del suolo e delle acque del sottosuolo;
5.abbattimento del rumore e delle vibrazioni;
6.protezione della biodiversità e del paesaggio;
7.protezione dalle radiazioni;
8.ricerca e sviluppo per la protezione dell’ambiente;
9.altre attività di protezione dell’ambiente

Alcuni esempi→

Statistiche sulle imposte ambientali in Italia


La fonte principale per le statistiche sulle imposte ambientali è l’Istat
Scopi della raccolta di queste informazioni:
• valutazione del ruolo degli strumenti economici nelle politiche ambientali ovvero capire se
l’imposizione di queste tasse è stata utile
61
• input in modelli economici per il calcolo dell’impatto di strumenti fiscali sui costi dei diversi
settori economici, sull’inflazione, sulla competitività a livello internazionale di specifici settori;
• costruzione di conti satellite dell’ambiente SERIEE (Système Europèen de Rassemblement
de l’Information Economique sur l’Environnement → quanto della spesa ambientale viene
destinata alla regione per esempio) –e NAMEA (National Accounts Matrix including
Environmental Accounts) a livello europeo. Si tratta di vari indicatori fisici per tenere conto
degli aspetti sia economici che ambientali, per ogni settore possiamo quindi capire la quantità
di valore aggiunto prodotto ma anche l’impatto ambientale.

Le statistiche vengono perciò rese disponibili secondo le classificazioni Eurostat, SERIEE (Système
Europèende Rassemblement de l’Information Economique sur l’Environnement) e CEPA.

SUSSIDI (strumento fiscale)

Una alternativa alle tasse sono i SUSSIDI ALLA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI (es. una somma
s per ogni unità di emissione al di sotto di una soglia prefissata) → strumento economico alternativo

Anche i sussidi ottengono l’effetto di fare ridurre le emissioni fino al punto in cui sussidio = BMN,
poichè i sussidi fanno crescere i costi marginali di produzione di s, ogni volta che si aumentano le
emissioni si perde il sussidio (s) → l’effetto di s è uguale a quello di una tassa di uguale entità.
In questo caso se l’impresa emettesse più di un certo limite non riceve più il sussidio e quindi ha una
perdita.

Differenze:
o La distribuzione del costo fra inquinatori e società è diversa, chi è che paga? È la società che
paga l’inquinatore per non inquinare
o Il sussidio fornisce profitti al settore regolamentato, ovvero al settore in cui vorremmo che si
realizzasse una riduzione dell’inquinamento
o Mentre sul breve periodo, quindi, l’effetto del sussidio è equivalente a quello della tassa, sul
lungo periodo può portare ad espandere il settore, col risultato di aumentare le emissioni
totali, in quanto si tratta di un settore conveniente in quanto sussidiato che determina la
convenienza ad entrarci

Il sussidio per le emissioni abbattute è un incentivo a diminuire le emissioni solo nel caso in
cui l’impresa ricavi un reddito.

L’impresa è incentivata a ridurre l’inquinamento da Q


a Qs, ossia fino al punto in cui il costo marginale di
riduzione (CMAR) è uguale al sussidio S.

In questo caso il ricavo dell’impresa per il sussidio è


QREQs, mentre il costo del disinquinamento è pari a
QsEQ.
La differenza tra i due permette di dedurre che
l’impresa ricava il reddito pari all’area QER.

All’impresa non conviene disinquinare più di Qs


perché in questo caso i costi marginali di
disinquinamento sono superiori al sussidio per unità
di inquinamento abbattuto.

62
- Q: quantità che l’impresa produrrebbe in assenza di sussidio/tassa
- All’impresa conviene ridurre l’inquinamento fino a quando il costo per la riduzione è minore
rispetto al ricavo derivante dal sussidio

Potenzialmente il sussidio funziona come una tassa ma:


Sul piano economico i sussidi risultano avere una scarsa efficacia nel diminuire l’inquinamento. Nel
lungo periodo, possono addirittura portare ad un innalzamento dell’inquinamento. I sussidi
aumentano infatti il reddito delle aziende inquinatrici, incentivando nuove imprese ad entrare in quel
settore produttivo, con una maggiorazione dell’inquinamento. Quindi sebbene la singola impresa
diminuisca le proprie emissioni, l’effetto globale, a livello dell’intero settore produttivo, è di
un aumento dell’inquinamento.
Inoltre, mentre per le tasse e per i sistemi di permessi di inquinamento il presupposto è che il diritto
di proprietà sia della collettività (cioè è l’inquinante che paga per poter essere autorizzato ad
utilizzare, inquinando, una proprietà altrui), per i sussidi è l’opposto: il diritto di proprietà è
dell’azienda inquinatrice (in questo caso è la collettività che paga l’azienda per ridurre le proprie
emissioni), l’azienda ha il diritto di inquinare e deve essere pagata per non farlo.

Infine alcuni sussidi sono possono risultare dannosi per l’ambiente. Ad esempio le aliquote
agevolate e/o esenzioni per i consumi di energia elettrica (a carico delle famiglie e imprese agricole)
che di fatto finiscono per incentivare maggiori consumi di elettricità e quindi a monte emissioni
maggiori (effetto contrario)

PERMESSI NEGOZIABILI (Strumenti economici di regolazione dell’inquinamento)

I permessi negoziabili (emission marketable permits) sono strumenti di regolazione delle quantità di
emissione, ma si basano su un meccanismo diverso dagli standard.
Proposti da Dales (1968)
Il meccanismo è:
• L’autorità regolatrice decide il livello desiderabile di emissioni di CO2
• Emette permessi di emissione su questa base. Essi hanno durata temporale limitata, ad
esempio annuale
• Chiunque produca necessita di permessi per effettuare le emissioni
• I permessi possono essere comprati e venduti da parte delle aziende, la quantità di permessi
sarà quella per cui non verrà superato il limite imposto per le emissioni
• Il mercato fisserà automaticamente il prezzo dei permessi al livello corrispondente
all’inquinamento prefissato
• Il prezzo dei permessi risulta uguale al costo marginale di riduzione
• È evidente che ci debba essere un sistema di controllo e di sanzionamento adeguato.

63
Offerta dei PERMESSI DI INQUINAMENTO

I permessi sono offerti dall’autorità pubblica.

La retta CMAR (Costo Marginale di Riduzione


dell’inquinamento) rappresenta la domanda di
permessi.

L’autorità pubblica sceglie in 0Q* il livello ottimale di


inquinamento permesso.
La curva di offerta è S*, che è verticale nel punto Q*
che rappresenta il livello di inquinamento stabilito che
corrisponde alla quantità di permessi da immettere sul
mercato. La curva di offerta è verticale perché
l’emissione di permessi non è sensibile al prezzo.

Il prezzo dei permessi dovrebbe essere determinato in corrispondenza del livello ottimale individuato
dall’intersezione di CMAR e S*. Il prezzo può subire modificazioni a causa di variazioni della
domanda e/o dell’offerta→ quanto un’impresa è disposta a pagare per acquistare un permesso.

Le imprese, che inizialmente emettono Q2 hanno due possibilità: o acquistare permessi o


disinquinare, quindi acquisteranno permessi finchè il prezzo è inferiore al proprio CMAR.
Se il prezzo è fissato a P1 (inferiore a quello ottimale P*) allora all’impresa converrà ridurre
l’inquinamento da Q2 a Q1 perchè i costi per ridurre l’inquinamento sono minori rispetto al costo
dell’acquisto dei permessi, ma non oltre, perché da Q1 a 0 sarà più conveniente comprare i
permessi.

Poiché l’offerta dei permessi è rigida (i permessi offerti sono sempre un certo quantitativo, che non
varia in funzione del prezzo), quindi alle imprese con bassi costi di riduzione dell’inquinamento
converrà disinquinare molto e vendere i permessi alle imprese con alti costi, che preferiranno
acquistare permessi piuttosto che spendere di più per disinquinare.

Se l’autorità ritiene che il livello di inquinamento permesso debba essere diminuito, essa potrebbe
domandare permessi in modo da ridurne il numero in circolazione. La curva di offerta si sposterebbe
verso sinistra.

Le due curve del costo marginale di disinquinamento sono posizionate sul grafico in verso
opposto (vedere assi orizzontali nero e rosso)

64
Sia l’impresa 1 sia la 2 emettono 15 unità
inquinanti per un totale di 30.

L’autorità decide di stabilire un tetto massimo di


emissioni pari a 15 unità, immettendo sul mercato
15 permessi da una unità.

Supponiamo che:
- L’impresa 1 acquisti 7 permessi e quindi debba
procedere a ridurre le proprie emissioni ancora di
8 unità;

- L’impresa 2 acquisti 8 permessi e quindi debba


procedere a ridurre le proprie emissioni ancora di
7 unità;

Avendo acquistato 7 permessi l’impresa 1 ha un costo marginale di disinquinamento pari al livello


A, quindi ha convenienza ad attuare una riduzione dell’inquinamento e a vendere i permessi
all’impresa se il loro prezzo è superiore ad A → costo di disinquinamento minore rispetto all’impresa
2 → le conviene disinquinare e vendere i permessi

Per contro l’impresa 2, avendo acquistato 8 permessi ha un costo marginale di disinquinamento pari
a C, quindi ha convenienza a non attuare una riduzione dell’inquinamento e acquistare i permessi
se il loro prezzo è inferiore a C → costi più alti, le conviene acquistare permessi e non disinquinare

In questa situazione lo scambio di permessi continua finchè l’impresa 1 arriva ad avere 5 permessi
e l’impresa 2 arriva a 10 in quanto è conveniente per entrambi le aziende → soluzione vincente in
quanto lo scambio è vantaggioso per entrambe le imprese

In questo modo l’impresa 1 dovrà ridurre le emissioni di 10 unità e la 2 di 5 unità.

In seguito allo scambio il prezzo dei permessi si attesta sul prezzo B, che rappresenta il costo
marginale di riduzione dell’inquinamento per entrambe le imprese.
Da questo punto in poi nessuna delle due imprese ha l’incentivo di proseguire nello scambio, non
c’è più interesse nell’acquistare/vendere i permessi → si raggiunge un equilibrio di mercato

In questo modo il mercato dei permessi raggiunge l’equilibrio che porta ad una allocazione efficiente
rispetto al costo totale.

Per la comunità il risultato finale è uguale ma la ripartizione di questo inquinamento non è stata
divisa in due parti uguali ma in base ad un’allocazione efficiente minimizzando il costo totale di
disinquinamento delle due aziende.

I PERMESSI NEGOZIABILI DI EMISSIONE


Due tipi fondamentali di sistema di permessi:

1. Cap and trade. L’autorità regolatrice decide il livello desiderabile di emissioni (cap) e distribuisce
i permessi relativi alle varie aziende produttrici, gratuitamente o con asta. A questo entra in gioco
il trade, chi ha permessi può utilizzarli per produrre o se gli costa meno disinquinare può venderli
a chi vuole produrre e che invece ha costi di disinquinamento maggiore, in modo da raggiungere
65
l’allocazione più efficiente tra le varie imprese rispetto al costo totale. Le fonti devono avere i
permessi necessari alle emissioni effettuate durante il periodo stabilito.

2. Baseline and credit. Viene stabilito un livello di riferimento (baseline). Se una fonte riesce a
ridurre le proprie emissioni al di sotto di questo, riceve un credito utilizzabile per emissioni future
o per venderlo a un’altra fonte le cui emissioni superano il livello massimo consentito.

Si forma quindi un mercato dei permessi la cui offerta totale è stabilita dall’autorità regolatrice→
mediamente è stato preferito il Cap and trade, in quanto questo Cap è già stato stabilito mentre nel
baseline and credit il Cap potrà essere utilizzato poi in futuro.

Il sistema dei permessi permette di raggiungere lo stesso livello totale di inquinamento di


uno standard ad un costo sociale inferiore. Perché?
− Questo può avvenire perché le imprese sono diversamente efficienti nel ridurre l’inquinamento.
− Per alcune è più conveniente ridurre l’inquinamento e vendere i permessi, piuttosto che rispettare
semplicemente lo standard → queste sono in generale le imprese con macchinari più obsoleti
che possono essere sostituiti senza spendere somme troppo elevate → è giusto che siano loro
a disinquinare
− Per altre è invece più conveniente comprare permessi piuttosto che rispettare lo standard → si
tratta di imprese che mediamente sono più tecnologiche con livelli e standard molto tecnologici
che implicano un costo notevole per il loro miglioramento
− Come risultato, tutte godranno di un beneficio dalla messa in opera del sistema dei permessi
invece che dello standard → costi minori, maggiore beneficio per la società

CAP & TRADE VS. BASELINE AND CREDIT

➢ Baseline and credit


• Di più facile introduzione: si mantiene lo standard preesistente e si offre alle imprese la possibilità
di entrare o meno nel sistema, quando siano pronte/interessate → se un’impresa rispetto a quello
standard otterrà un credito che potrà poi tenere per sé o scambiare
• Minore resistenza da parte delle imprese, che rimangono autorizzate a inquinare gratis sino al
livello baseline, non pagano nulla fino a quel livello a differenza del cap and trade. Paga solo chi
supera la baseline
• Le emissioni totali possono aumentare se nuove fonti di inquinamento entrano nel mercato
➢ Cap and Trade
• Richiede il passaggio netto da un sistema command and control ad uno di permessi

• Fissando direttamente la quantità di emissioni autorizzabili, sulla base dello standard di qualità
ambientale scelto come obiettivo, offre maggiori garanzie sul raggiungimento dei risultati
ambientali, garantisce maggiore efficienza sull’efficacia ambientale
• Se fa pagare agli inquinatori il costo di ogni unità di inquinamento (e non solo di quelle sopra la
baseline) internalizza tutta l’esternalità e raggiunge la costo-efficienza, cioè raggiunge
effettivamente l’efficienza riducendo i costi

CAP & TRADE: metodi per la distribuzione iniziale dei permessi

1) Grandfathering (approccio storico maggiormente utilizzato)

I permessi vengono attribuiti gratuitamente alle fonti di emissioni in base al loro inquinamento
pregresso, calcolato secondo tre criteri principali:
• gli input utilizzati (es. chilocalorie di carburante utilizzato)
66
• l’output (es. kW/h di produzione di energia)
• le emissioni (es. tonn. di CO2)]
→da qui parte il mercato e quindi lo scambio dei premessi

Molti autori mostrano la grande ambiguità di questo approccio: da un lato è molto utilizzato dalle
imprese perché conviene anche se porta a una non completa internalizzazione delle esternalità,
dall’altro è che il metodo è totalmente iniquo ovvero non c’è un criterio per dimostrare la
distribuzione.

Critica: il grandfathering non tiene in conto i vari principi di equità, consiste in un perpetrare di
situazioni di emissione iniqua di inquinamento → principio totalmente iniquo che però per
semplicità e convenienza delle varie nazioni e stato comunque applicato nei vari trattati tra cui Kyoto

2) Auctioning (messa all’asta)


I permessi vengono messi all’asta (secondo uno fra diversi possibili sistemi d’asta).
In questo caso ogni fonte deve comunque pagare per ogni permesso di cui entra in possesso in
questo modo si raggiunge internalizzazione completa dell’esternalità (chiunque abbia intenzione di
inquinare in quell’anno dovrà acquistare dei permessi o sostenere dei costi per disinquinare)

In un mercato dei permessi perfettamente funzionante, il meccanismo di allocazione iniziale dei


permessi non ha influenza sulla distribuzione di breve periodo delle emissioni fra le imprese.
Però il metodo ha effetti sulla distribuzione del reddito e della ricchezza fra le imprese:
➢ nel caso dell’asta, le imprese devono pagare all’autorità una somma pari al prezzo
d’equilibrio dei permessi
➢ nel caso della distribuzione gratuita, non c’è redistribuzione fra governo e imprese, anche se
c’è fra imprese
Il meccanismo di allocazione dei permessi può anche provocare effetti di lungo periodo (contrazione
del settore nel caso di asta, e quindi di pagamento da parte delle imprese).
L’iniquità sta nel fatto che se si danno troppi permessi all’imprese, a quest’ultime conviene venderli
e quindi fungono da finanziamento per esse.

I proventi delle aste possono essere riutilizzati dalle autorità statali per mantenere inalterato il livello
delle entrate, per promuovere l’efficienza energetica, la ricerca e lo sviluppo, o per effettuare
investimenti pubblici per altri interventi di abbattimento delle emissioni.
Il grandfathering è finora il metodo di allocazione iniziale più diffuso essenzialmente perché incontra
meno resistenza da parte delle imprese.

Da un punto di vista di equità il grandfathering è il metodo peggiore possibile perché assegna i


più permessi a chi è stato maggiormente responsabile dell’inquinamento.

PERMESSI NEGOZIABILI IN EUROPA

L’EU Emissions Trading System (EU ETS) è al centro della politica europea contro il cambiamento
climatico, ed è il più importante programma multinazionale per lo scambio di permessi di emissione
di gas serra.
Iniziato nel 2005, ora opera nei 28 paesi UE + Islanda, Norvegia e Lichtenstein.
Copre il 45% delle emissioni di gas serra dell’Unione, limitandole in 11.000 impianti (produzione
energia, metalli ferrosi, industrie mineraria e della carta) e nelle linee aeree.
Il limite (cap) di emissioni è ora fissato a livello europeo (precedentemente limiti nazionali).
67
Riguarda CO2 e i suoi equivalenti in NO2 e PFC; nel 2013 era di 2,084 miliardi di t di CO2 e durante
la fase 3 (2013-2020) viene ridotto dell’1,74%/anno (-21% nel 2020 rispetto al 2005). → cap si riduce
progressivamente
Le imprese ricevono o comprano permessi (allowances) che possono commerciare. Ogni anno,
devono riconsegnare permessi corrispondenti alle emissioni effettuate.
Nella 3° fase, il sistema-base di distribuzione dei permessi è l’asta, ma rimarrà una distribuzione
gratuita all’industria manifatturiera che premierà chi sta sopra i benchmark (livelli del 10% più
efficiente nella riduzione delle emissioni, suddivisi per prodotto) → incentivo all’innovazione.

5. PROBLEMI AMBIENTALI GLOBALI

IL CASO DEL CMABIAMENTO CLIMATICO

Impatti ambientali di origine antropica


Negli ultimi anni un gruppo di ricerca ha pubblicato molti lavori in cui sono andati ad analizzare le
emergenze ambientali.
Questa analisi fa vedere che la terra soffre di pressioni antropiche e quindi è necessario andare ad
analizzare quali sono i limiti del nostro Pianeta.
Area verde → zona tranquilla, Area gialla→ allarme, Area rossa→ pericolo
Lo studio ha individuato 9 aspetti fondamentali e i limiti biofisici ad essi correlati. Oltrepassare questi
confini può comportare cambiamenti ambientali e fisici inaccettabili per il genere umano.

I PROCESSI FONDAMENTALI
Cambiamento climatico il limite è stato oltrepassato. Livello giallo.
Biodiversità la biodiversità è alla base dell’erogazione dei servizi naturali da parte degli ecosistemi
e ne garantisce la resilienza. Per cause antropiche (es deforestazione, desertificazione, ecc.) si sono
oltrepassati i limiti di 10 estinzioni per milione di specie arrivando a valori di 100-1000. Livello rosso
Distribuzione della fascia di ozono stratosferico grazie al Protocollo di Montreal (1987), si sono
ridotte/azzerate le emissioni di sostanze chimiche dannose per l’ozono. Livello verde.
Acidificazione degli oceani→ circa un quarto della CO2 emessa in atmosfera passa negli oceani
acidificandoli e riducendo in modo critico la presenza di ioni carbonato necessari a molte specie
marine per produrre gusci, conchiglie, scheletri. Soglia molto ripida. Livello al limite del verde.

Processi di sfondo
Ciclo idrologico le variazioni sono collegate al cambiamento climatico e ai prelievi antropici in
crescita. Crisi a scala regionale, livello al limite del verde a scala globale.
Cicli dell’azoto e del fosforo cambiati in modo radicale dall’azione antropica (agricoltura e
industria). La produzione e l’utilizzo dei fertilizzanti provoca il rilascio di grandi quantità di azoto e
fosforo che contaminano terre e mari. Limiti oltrepassati: livello rosso.
Utilizzo del terreno la maggior parte delle aree produttive è asservita ad usi antropici (agricoltura,
allevamento, infrastrutture), causando perdita di biodiversità, e perturbando i cicli di acqua, carbonio,
azoto e fosforo. Livello al limite del verde.
Inquinamento chimico e rilascio di nuove sostanze limiti ancora sconosciuti
Emissione di aerosol in atmosfera limiti ancora sconosciuti

68
➢ Il cambiamento climatico

Il cambiamento climatico esiste o no? Ha conseguenze devastanti per la società?


Cosa pensano i grandi scienziati?
o Studio di Naomi Oreskes (2005)
Obiettivo dello studio
- comprendere l’orientamento della comunità scientifica attraverso gli oggetti degli articoli
scientifici sul cambiamento climatico
Metodologia
- 8500 articoli scientifici
- 928 articoli sul cambiamento climatico
- Ricerca effettuata con keywords e keyphrases
Risultati → tutti gli scienziati concordano sul cambiamento climatico. Vi è consenso totale della
scienza già partire dalla metà del 1990 sul fatto che che:
- la terra si sta riscaldando e la causa principale è antropica

‘Caso del tabacco: Già dagli anni 50 del secolo scorso si era creato una connessione di causa effetto
tra chi fuma e la possibilità di avere un cancro. Le grandi compagnie del tabacco che avevano grandi
capitali hanno ritardato le leggi contro il tabacco.’
La stessa cosa sta succedendo con il cambiamento climatico, proprio per interessi commerciali
enormi.

IPCC
Nel 1988 viene fondato dalle Nazioni Unite l’IPCC → Intergovernmental Panel on Climate Change,
con lo scopo di non fare ricerca direttamente, ma raccogliere tutte le evidenze e indagini fatte sul
cambiamento climatico.
Si basa esclusivamente su ricerche scientifiche. Gli obiettivi dichiarati dell'IPCC sono di valutare le
informazioni scientifiche rilevanti per:
• i cambiamenti climatici indotti dall'uomo,
• gli impatti dei cambiamenti climatici indotti dall'uomo,
• le opzioni di adattamento e mitigazione.

L’IPCC produce dei rapporti che raccolgono tutto ciò che gli esseri umani sanno sul cambiamento
climatico. Nel quinto ci sono pareri di 851 esperti di tutto il mondo.
Alcune tragiche sentenze e affermazioni presenti all’interno:
- Il riscaldamento è inequivocabile
- Gli esseri umani hanno causato la maggioranza del riscaldamento
- La maggior parte del calore entra negli oceani
- I tassi attuali di acidificazione degli oceani non hanno precedenti

EFFETTO SERRA
I principali gas serra: sono chiamati gas serra quei gas presenti in atmosfera, che riescono a
trattenere, in maniera consistente, la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre,
dall'atmosfera e dalle nuvole. Questa loro proprietà causa il fenomeno noto come effetto serra. I gas
serra possono essere di origine sia naturale che antropica.
I principali gas serra sono:
- vapore acqueo (H2O),
- anidride carbonica (CO2),
- protossido di azoto (N2O),
- metano (CH4)
- esafluoruro di zolfo (SF6)
Esistono però dei gas rilasciati unicamente dall'attività antropica:

69
- clorofluorocarburi (CFC)
- idrofluorocarburi (HFC)

Grafici slide 16 →misurazioni negli ultimi decenni che vedono un aumento sempre più costante dei
gas serra
Grafici slide 17 → emissioni di gas serra → le emissioni procedono sempre più velocemente,
soprattutto nei paesi più sviluppati
Grafico slide 18 → la parte principale (rosso + arancione) costituita da CO2
Grafico slide 19→ i settori economici responsabili delle emissioni del gas serra sono rappresentati
da quasi un terzo da produzione di energia elettrica, di calore → anche i trasporti e gli edifici e le
industrie hanno una fetta importante riguardante la responsabilità di emissioni di gas serra.
Tabella slide 20 → Caratteristiche gas serra → La vita media è un aspetto importante da valutare
perché indica quanto rimane in atmosfera
Grafico slide 21→ Conseguenze: Aumento della temperatura superficiale
Dare un occhio anche ai grafici successivi fino a slide 24

PROGETTO EPICA → European Project for Ice Coring in Antarctica


Progetto per prelevare carote di ghiaccio nell’Antartide → in questo modo si riesce a risalire alla
neve che è precipitata sulla Terra tantissimi anni fa e di conseguenza capire le sue proprietà.

➔ Nei laboratori esaminano i contenuti delle


carote di ghiaccio

➔ Risultato = c’è un’oscillazione della


temperatura (variazione di 8/10 gradi) e c’è una
perfetta simmetria tra i periodi in cui era elevata
la CO2 e periodi in cui faceva caldo → il pianeta
ha passato una serie di cicli tra periodi glaciali e
interglaciali

70
➔ Negli ultimi 100 anni ci sono molte
oscillazioni di temperatura, ma la
temperatura media globale è aumentata
sempre di più.

Conseguenze future → slide 33 → si verificherà un mostruoso riscaldamento del pianeta Terra, ci


saranno sempre più precipitazioni e sempre più improvvise, in particolare nelle zone polari ed
equatoriali, mentre ci sarà più desertificazioni nelle altre zone.
Slide 34 → per ogni singolo continente ci saranno diversi rischi che riguardano sia sistemi fisici,
biologico, ecologici e socio ambientali.

Le conseguenze di un aumento di temperatura per il geosistema


1) Aumento del livello del mare:
secondo le stime dell’IPCC (1990), l’aumento di temperatura previsto porterebbe a un aumento del
livello compreso tra gli 8 e i 29 cm entro il 2030 e di un metro entro il 2100.
Questo a causa:
• dello scioglimento dei ghiacciai;
• dell’aumento di volume (dilatazione termica) delle molecole d’acqua negli oceani
Un aumento di questa entità, se si verificherà, porterà a conseguenze come:
– l’inondazione permanente di centinaia di chilometri quadrati di costa bassa tra l’Oceano
Atlantico e la costa del Golfo negli Stati Uniti. Il valore economico di un simile danno è stato
stimato tra i 42 e i 75 miliardi di dollari;
– rendere senza tetto più di 90 milioni di persone in Cina, Bangladesh ed Egitto;
– costose misure di ingegneria in città come Tokyo, Venezia, New York, Miami e San
Pietroburgo;
– mettere a rischio l’esistenza di molte isole basse negli oceani Indiano e Pacifico.

2) Aumento dei fenomeni climatici “estremi” (alluvioni, tornado) a causa della crescita
dell’evaporazione (se l’atmosfera è più calda, può contenere più umidità ed energia, quindi
si verificano tutte una serie di precipitazioni più intense ciò significa che non aumenta la
71
quantità di pioggia, ma la concentrazione di quest’ultima). Inoltre si possono verificare anche
ondate di calore, molto temibili, soprattutto per la popolazione anziana e nelle zone con
umidità più alta.
3) Diminuzione della produzione agricola, in particolare nei paesi più caldi (fascia equatoriale).
Di conseguenza gli impatti ricadranno sui Paesi che già oggi sono più svantaggiati dal punto
di vista socioeconomico.
4) Danni alla salute umana, in particolare nei paesi più poveri (aumento malaria, febbre
tropicale)
5) Problemi sociali: aumento delle migrazioni e della conflittualità locale (proprio perché le
risorse saranno sempre più scarse)

LE POLITICHE: MITIGAZIONE E ADATTAMENTO


Le strategie preventive per la riduzione degli impatti legati al Climate Change si traducono in due
approcci:

1. Politiche di mitigazione
Agiscono sulle cause del cambiamento climatico e includono strategie per ridurre le emissioni di
origine antropica (agisco sulle cause come per esempio ‘punto a ridurre le emissioni di gas serra’)
Definizione IPCC (5 Report): “l’intervento umano di riduzione delle sorgenti e di aumento dei pozzi
di gas serra»

2. Politiche di adattamento
Agiscono sugli effetti e mirano a ridurre gli impatti negativi dei cambiamenti climatici e a sfruttarne
le opportunità favorevoli. Ormai essendo condannati al cambiamento climatico, bisogna agire sugli
effetti.

Evoluzione delle percezioni e delle politiche per il cambiamento climatico


− Nel 1957 due scienziati, Revelle e Suess, parlano per la prima volta di riscaldamento globale
− Il 1979 vide la prima Conferenza Mondiale sul Cambiamento Climatico. Sono anni di grande
clamore e attenzione verso il problema
− Nel 1988 nasce l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), tuttora la più importante
agenzia per lo studio del fenomeno.
− Nel giugno 1992, in occasione della Conferenza di Rio de Janeiro, 154 stati firmarono la
Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambiamento Globale United Nations Framework
Convention on Climate Change (UNFCCC) impegnandosi a ridurre le proprie emissioni di
anidride carbonica entro il 2000.

United Nations Framework Convention on Climate Change


Nella UNFCCC i paesi sono raggruppati in tre sottoinsiemi:
• I paesi industrializzati elencati nell’Annex I, e cioè sia i paesi OCSE (quindi i più
industrializzati) sia i paesi dell’Europa dell’est, definiti come paesi ad economia in transizione
(EIT). In totale sono 41 paesi compresa la UE come organizzazione intergovernativa.
• I paesi più industrializzati elencati nell’Annex II, e cioè i soli paesi OCSE così come erano
stati identificati nel 1992 all’ Earth Summit di Rio. In totale sono 24 compresa la UE come
organizzazione intergovernativa.
• I paesi non-Annex I e cioè tutti i rimanenti paesi che nel complesso sono definiti PVS: in
totale 148.

72
PROTOCOLLO DI KYOTO
Viene adottato nel 1977 in Giappone, ma entrò in forza solo nel 2005 quando una serie di Nazioni
lo ebbero effettivamente firmato.
Non è stato firmato dagli Stati Uniti e nel 2011 il Canada è uscito dal protocollo.
Cosa dice il protocollo di Kyoto?
Le nazioni firmatarie dell’Annex I, quindi con maggiore responsabilità storica del cambiamento
climatico proprio perché sono loro che hanno iniziato ad emettere CO2, sono quelle che si impegnano
di ridurre le emissioni di gas serra.
Devono ridurlo fino ad arrivare al valore raggiunto all’anno 1990, anzi lo devono ridurre ancora del
5,2% nel periodo 2008/2012.
Serve solo a stabilizzare le emissioni, quindi non vengono eliminate, ma solo ridotte.

Come si fa a ridurre le emissioni?


CAP AND TRADE = LIMITI ALLE EMISSIONI + MECCANISMI DI FLESSIBILITA’

Il Protocollo è strutturato su un sistema definito come cap-andtrade che prevede la combinazione di


vincoli di emissione con alcuni meccanismi flessibili che permettono di diminuire il costo per
raggiungere degli obiettivi.

Data la gravosità degli obblighi stabiliti dal Protocollo di Kyoto, gli interventi esclusivamente nazionali
di riduzione delle emissioni risulterebbero particolarmente onerosi. Per tale motivo il Protocollo
prevede la possibilità di realizzare una parte della riduzione delle emissioni di gas serra mediante
l’utilizzo di “meccanismi flessibili”
• Emission Trading (ET) perché mettere in piedi questo tipo di meccanismo anziché evitare
direttamente le emissioni?→ per aumentare l’efficienza del processo di riduzione e quindi per
diminuire i costi.
• Joint Implementation (JI)
• Clean Development Mechanism (CDM).

Kyoto ha avuto successo oppure no? Le Nazioni che hanno firmato hanno effettivamente ridotto i
livelli di emissioni come stabilito?
ANALISI CRITICA:

- I risultati
molti stati hanno diminuito le proprie emissioni ben oltre gli obiettivi del Protocollo: a fronte di una
riduzione aggregata richiesta dal Protocollo pari al 4% rispetto al 1990, le 36 nazioni hanno
abbassato le emissioni di un ulteriore 20%.

Quindi le 36 nazioni Annex I hanno stabilizzato, nell’intervallo 2008-12, le proprie emissioni di gas
climalteranti, complessivamente del 24% in meno rispetto ai livelli del 1990.

Si è quindi avuto non solo il raggiungimento dei target di Kyoto ma una ulteriore riduzione oltre le
più rosee previsioni: si parla di target overachievement, pari ad una riduzione ulteriore di 2,4 GtCO2e
oltre gli obiettivi (Shishlov et al., 2016). (grafico slide 46)
Anche l’italia ha raggiunto i livelli previsti

- L’efficacia ambientale
La più importante critica riguarda l’effettiva efficacia ambientale del Trattato, ossia la reale capacità
del Protocollo di Kyoto di mitigare l’effetto serra.
Si sottolinea che l’obiettivo del Trattato, ossia la stabilizzazione delle emissioni di gas serra, è
assolutamente insufficiente per limitare l’azione forzante di riscaldamento esercitata da questi gas.

73
Le uniche misure davvero efficaci per ridurre il cambiamento climatico in atto dovrebbero portare ad
una veloce diminuzione delle emissioni fino a raggiungere un loro azzeramento. Anche in questo
caso, comunque, gli effetti forzanti dei diversi gas serra si farebbero sentire ancora per molti anni, a
seconda del loro tempo di residenza (vedi sez. 2.3.2).

Se a questi aspetti si aggiunge che, in realtà, la stabilizzazione ha riguardato solamente le nazioni


Annex I, e neppure tutte (a causa della non partecipazione di USA e Canada), escludendo quindi
grandi paesi emettitori come Cina ed India, che non considera le emissioni del trasporto aereo e di
quello marittimo e, inoltre, che una parte di tale limitazione delle emissioni è dovuta alla cosiddetta
aria calda, si può comprendere come il reale effetto di mitigazione del Protocollo sia molto basso.

− Il carbon leakage
Analisi ex-post sugli effetti di carbon leakage a seguito dell’attuazione di Kyoto.
Dato che è più conveniente delocalizzare le emissioni, non c’è stata una reale riduzione di CO 2,
come per esempio in Italia. Quindi ovviamente, a primo impatto sembra che l’Italia abbia diminuito
le emissioni, ma a livello globale non c’è stata un reale diminuzione. → questa dinamica si chiama
carbon leakage
Se tutte le Nazioni fossero obbligate a ridurre le emissioni, non ci sarebbe convenienza nel
delocalizzarle, ma dato che non è così, c’è l’incentivo di delocalizzare la produzione.
Non c’è stata l’effettiva efficacia del trattato → ha portato solo parzialmente alla riduzione delle
emissioni

Domanda esame: commenta l’efficacia del Trattato di Kyoto. Che cos’è il carbon leakage?
Aichele e Felbermayr (2015) valutano le conseguenze derivanti dall’adempimento del Protocollo a
partire da una modellizzazione della CO2 incorporata nel commercio internazionale. Essi
evidenziano un accrescimento del 3% dell’intensità delle emissioni nei prodotti importati e un
aumento dell’8% delle importazioni di carbonio incorporato nel commercio da parte delle nazioni con
obblighi vincolanti sotto Kyoto, a seguito dell’attuazione degli impegni di riduzione.
Aichele e Felbermayr (2012), utilizzando la contabilità della carbon footprint, dimostrano che le
politiche di mitigazione di Kyoto hanno portato le nazioni con obblighi vincolanti a diminuire le proprie
emissioni del 7% circa. Tale azione non è stata però seguita da una parallela riduzione dei consumi
interni di beni ad alta intensità di CO2, ma anzi è stata vanificata dalla crescita del 14% delle
emissioni incorporate nelle importazioni.

Questi risultati avvallano l’interpretazione che il Protocollo di Kyoto non abbia portato ad una
diminuzione delle emissioni totali, bensì ad una loro mera delocalizzazione dalle nazioni con obblighi
di riduzione verso i paesi senza tali impegni.

L’ACCORDO DI PARIGI
Dopo il protocollo di Kyoto ci sarebbe dovuto essere un nuovo protocollo di Kyoto II, ma il 12
dicembre del 2015, in occasione della COP 21 è stato raggiunto l’Accordo di Parigi.

Non è un protocollo, come nel caso di Kyoto, perché questo avrebbe richiesto la ratifica in Senato
per gli Stati Uniti, passo che Obama ha voluto di evitare.
A Parigi sono stati adottati due documenti:
• il Paris Agreement (PA)
• la Cop Decision, che adotta l’Accordo e stabilisce i passi che ne seguiranno.

Si aggiunge un invito all’IPCC per la realizzazione di uno special report sugli impatti derivanti da
aumenti delle temperature si 1.5 °C e 2 °C.

74
Differenze rispetto al protocollo di Kyoto
Da un punto di vista diplomatico a Parigi si è imposto un modello «catalitico e facilitativo» contro
il vecchio modello «regolativo» che prevedeva un sistema di obiettivi di riduzione delle emissioni
blindato.

L’Accordo di Parigi segna il passaggio da un approccio di climate change governance statocentrico


ad uno multilevel e non gerarchico. Di fatto al suo interno non c’è più alcun riferimento a Kyoto e
ai suoi meccanismi.

Il nuovo sistema si basa su:


• auto-regolamentazione
• auto-differenziazione delle azioni di mitigazione delle emissioni.

Il nuovo sistema si basa su un sistema di pledge and review (impegno e revisione) che si sostituisce
al global deal model, che prevede le voluntary country pledges, impegni volontari stabiliti
singolarmente da ogni paese, ad esse si associa un meccanismo di ratchet (detto “a cric”), ossia di
ridefinizione “a salire” degli obiettivi nazionali da raggiungere, per garantirne una crescita costante
nel tempo.

Questo significa che il processo di mitigazione dipende unicamente dall’azione nazionale volontaria
e autodefinita, quindi ciascuna Nazione decide autonomamente di quanto diminuire le emissioni.

A questo si aggiungono una serie di fasi temporali di revisione, le global stocktake, previste dall’art.
14, nelle quali gli stati dovranno dimostrare il raggiungimento degli impegni presi.
La prima si terrà nel 2023 e le successive a cadenza quinquennale.

Il concetto del pledge and review era già stato suggerito alla Intergovernmental Negotiating
Committee for A Framework Convention on Climate Change nel 1991 dal Giappone, sostenuto da
Regno Unito e Francia, e prevedeva l’istituzione di un team intergovernativo con il compito di
rivedere gli impegni presi dai diversi paesi, ma il modello in quell’occasione non trovò seguito.

ANALISI CRITICA
La principale critica riguarda l’assenza di una clausola vincolante dal punto di vista legale, e quindi
la mancanza di sanzioni per il mancato rispetto (come nel command and control).

Il successo dell’Accordo starebbe invece nella sua capacità di fungere da catalizzatore di


cambiamenti ulteriori, spingendo all’autoregolamentazione volontaria.

Grazie al meccanismo di trasparenza (transparency framework) che si basa sul naming and
shaming, con conseguenze sulla reputazione internazionale di un paese. Il meccanismo prevede
che gli stati aderenti diano prova dei propri incrementi di azione e successo ogni cinque 5 anni,
sottoponendosi, a partire dal 2018, ad un processo di valutazione operato anche da attori non
governativi.

Lo shaming è stato inoltre usato per spingere gli stati a sostenere gli interventi umanitari Tuttavia
altri studi, benché riconoscano una potenziale efficacia di questa strategia nel raggiungimento di
risultati a breve termine, ne sostengono la debolezza nel lungo termine.

75
La diminuzione delle emissioni
L’Accordo di Parigi ha come obiettivo la diminuzione delle emissioni per mantenere il limite massimo
dei 2°C di riscaldamento globale, con la possibilità di puntare a 1.5°C.
L’Accordo punta a raggiungere il «picco globale delle emissioni» il prima possibile, per proseguire
una fase di riduzione progressiva che avverrà con tempi diversi:
- i paesi sviluppati dovranno passare dalla fase di stabilizzazione delle proprie emissioni
(raggiunta con Kyoto) ad una nuova fase di progressiva riduzione di tali emissioni,
- i paesi in via di sviluppo dovranno lavorare per rafforzare il proprio impegno in termini di
mitigazione, e nel tempo muoversi anch’essi verso azioni di riduzione o limitazione delle
proprie emissioni (art. 4.4).
- i least developed countries e gli small island developing states potranno definire i propri
obiettivi sulla base delle rispettive necessità specifiche (come riconosciuto all’art. 4.6).

Per ora gli impegni presi a Parigi porterebbero il riscaldamento a 3°C.


In realtà le Nazioni dovrebbero raddoppiare i propri sforzi, ma il problema è che non c’è nessuno
che le obbliga. Inoltre non ci sono Nazioni che si stanno impegnando a fare quello che avevano
promesso di raggiungere.
Purtroppo non c’è nessun modo per fare rispettare gli accordi e soprattutto non c’è nessuno modo
per obbligarle.

Domande: Parla del cambiamento climatico (posso fare gli esempi)

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PER UNA LETTURA CRITICA DELLE POLITICHE DI MITIGAZIONE
Contabilità basata sulle produzioni o sui consumi
Il Protocollo di Kyoto ha attribuito le emissioni ad ogni nazione in base ad un principio contabile che
appare intuitivo, logico e universalmente valido, tanto da essere ritenuto, da molti soggetti, l’unica
forma possibile di conteggio.

Esso è stato adottato automaticamente nelle negoziazioni sulle politiche climatiche senza che
questo comportasse una riflessione critica: la scelta è avvenuta in modo implicito.

Si tratta del principio territoriale che attribuisce ad un ambito spaziale (ad esempio uno stato) tutte
e sole le emissioni che avvengono all’interno dei propri confini.

Il metodo è basato su una logica geografica che appare autoevidente, perché associa la
responsabilità del rilascio di gas serra alla localizzazione spaziale della fonte emissiva, richiamando
implicitamente la concezione classica della geografia politica, che vede il territorio nazionale come
l’ambito su cui si esercita la sovranità dello stato che, in questo caso, si esplicita nella
contabilizzazione delle emissioni e nella messa in atto di eventuali politiche di mitigazione.

La contabilità production-based segue il principio territoriale centrato sulle produzioni. Gli inventari
delle emissioni alla base di Kyoto e Parigi sono di questo tipo: assegnano le emissioni al territorio in
cui sono localizzate le attività che le hanno generate.
La responsabilità dell’emissione viene attribuita alla causa diretta, ossia alla nazione in cui è
avvenuto il rilascio e non alla causa prima, indiretta, ossia alla nazione che utilizza il bene finale per
la cui produzione si è avuta l’emissione: metaforicamente si potrebbe dire che viene individuato il
“sicario” ma non il “mandante”.

La contabilità consumption-based è una differente forma di conteggio, che propone un principio


di attribuzione delle emissioni centrato sui consumi che riformula la quantificazione considerando
tutte e solo quelle emissioni che sono state causate (nel mondo) per produrre i beni e i servizi
consumati da una nazione.

L’assegnazione non è quindi basata sulla localizzazione spaziale delle produzioni (causa diretta
delle emissioni), ma su quella dei consumi finali (causa indiretta). Le emissioni avvenute lungo la
filiera, per la produzione di un certo bene, sono attribuite al “mandante”, ossia alla nazione in cui
avviene il consumo finale e non al “sicario”, ossia al paese in cui sono fisicamente localizzati i
rilasci dei gas climalteranti

La contabilità centrata sui consumi porta a risultati che differiscono in modo sostanziale da quelli
ottenuti a partire da una attribuzione production-based, permettendo di disegnare un quadro degli
impatti ambientali più esaustivo e adatto a monitorare la reale evoluzione delle emissioni dei diversi
territori perché è centrato sul driver ultimo di ogni attività economica: il consumo finale.

Il fenomeno del carbon leakage rappresenta un grande problema per gli inventari centrati sulle
produzioni perché con tale metodologia non si riescono a monitorare queste dinamiche. Per contro,
la contabilità centrata sui consumi è perfettamente in grado di descrivere questi fenomeni di
delocalizzazione.

L’approccio centrato sui consumi è stato analizzato anche sotto il profilo dell’equità. Emerge che
l’adozione di obiettivi di riduzione consumption-based da parte delle nazioni industrializzate
porterebbe a un aumento globale del costo-efficienza e della giustizia delle politiche di mitigazione.

I nuovi colonialismi del carbonio

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Molte critiche evidenziano come i meccanismi di flessibilità del Protocollo di Kyoto, in particolare il
CDM, implichino lo sviluppo di complesse relazioni spaziali basate sul mercato e sulle
disuguaglianze che esso produce, in quanto un eccesso di emissioni in un’area, generalmente il
Nord del mondo, viene compensato dalla riduzione in un’altra, tipicamente il Sud del mondo.

I progetti realizzati nell’ambito dei meccanismi di flessibilità vengono dunque considerati responsabili
della promozione di una nuova forma di colonialismo, basata sul carbonio (carbon colonialism),
attraverso cui il Sud del mondo viene utilizzato alla stregua di un pozzo di carbonio (carbon sink).

Si ripresenta così, in una versione aggiornata alle nuove esigenze di decarbonizzazione, lo squilibrio
tra paesi in via di sviluppo e paesi industrializzati, in cui i primi sono relegati a giocare un ruolo
funzionale alle necessità di compensazione dei secondi, incrementando ulteriormente le disparità
tra essi e ricreando, in nuove forme, la polarizzazione tra un centro (i paesi emettitori) e una periferia
(i paesi compensatori di tali emissioni).

Per indicare queste dinamiche, alcuni autori hanno coniato il termine di CO2 lonisation, traducibile
in italiano come CO2 lonizzazione. Questo fenomeno deriva dalle “conseguenze non volute della
mercificazione del cambiamento climatico”.

Ciscell (2010) sottolinea che le azioni di compensazione delle emissioni di CO2 rappresentano una
risposta a breve termine ad un problema a lungo termine.
A questo sfasamento tra le scale temporali si aggiunge la considerazione degli effetti “collaterali”
presenti in diversi progetti di compensazione che possono arrecare impatti immediati agli ecosistemi
e alle popolazioni locali a fronte di vantaggi che avvengono su tempi più lunghi, che non sono
assolutamente certi e che ricadono, molto spesso, solo sui paesi sviluppati

ALTRI IMPATTI DI TIPO AMBIENTALE (questa parte non c’è sulle slide)

Perdita della biodiversità, deforestazione, desertificazione ed erosione del suolo

➢ Deforestazione
Con deforestazione si intende il taglio di essenze legnose che superi il loro tasso di rigenerazione.
Il fenomeno è sempre avvenuto per produrre legname, scopi energetici, aumentare la superficie
coltivabile e per costruire infrastrutture.
Gli ecosistemi maggiormente interessati da questo fenomeno sono le foreste e si stima che la perdita
di esse sia compresa tra i 100.000 e i 240.000 Kmq all’anno.

Conseguenze negative:
- Impoverimento generico: provoca la distruzione di specie animali e vegetali
- Diminuzione della regolazione dei flussi idrici: aumenta la velocità di scorrimento delle
acque superficiali e altera i regimi idrici, provocando dissesti, inondazioni e prosciugamenti
- Effetti negativi sul clima e sull’atmosfera: abbattimento anidride carbonica, effetto serra,
effetto albedo

Esistono vari tipi di foreste:


- Foreste naturali → sono quelle indisturbate, ovvero che non hanno ancora subito gli impatti
degli esseri umani. Sono quelle più ricche di biodiversità e dovrebbero essere salvate dalla
deforestazione. Sono le più complesse perché una volta perdute sono recuperabili solo su
orizzonti temporali lunghissimi e le decisioni che le riguardano vanno perciò considerate
almeno in parte come irreversibili.
- Foreste semi-naturali: disturbate dall’azione dell’uomo (costruzione di strade)

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- Foreste commerciali: sono piantagioni di alberi e sono risorse rinnovabili.

FAO: stato delle risorse forestali mondiali 2015


Si tratta di un report della FAO → attraverso i grafici osserviamo che nel corso degli anni c’è una
continua perdita della superficie di foreste. Il cambiamento però sta decelerando, ogni anno
diminuisce un po’ di meno.
Le foreste nei continenti come in Europa e Nord America stanno aumentando, mentre in altre zone
si sta deforestando tantissimo asimmetria profonda
Le foreste più pregiate sono quelle che si stanno deforestando di più.

Non esiste ancora un accordo internazionale, ma solo generiche linee-guida non vincolanti (Rio 92).
In particolare esistono conflitti tra:
- Paesi industrializzati: che auspicano un rallentamento della deforestazione nei paesi in via
di sviluppo
- Paesi in via di sviluppo: che rivendicano il diritto allo sfruttamento delle proprie risorse

Transizione forestale:
Nelle nazioni in via di sviluppo le foreste vengono deforestate, ma i responsabili non sono loro. In
molti casi la nazione deforesta per esportare nei paesi sviluppati.

Caso della Lombardia


(Grafici)
L’utilizzo di legno dal 1991 al 2010 è aumentato e la superficie delle foreste abbattute in Lombardia
è diminuito → il consumo di legno è aumentato e quindi la regione importa → Si parla solo di
delocalizzare la deforestazione
In generale tutta l’Europa tende a delocalizzare la deforestazione e lo fa perché oltre che al legno,
importa molti altri prodotti. La maggior parte della deforestazione è causata dalla esportazione di
tanti altri beni.
I principali prodotti che deforestano sono la soia, l’olio di palma e la carne.
Attraverso i grafici sulle slide si osserva la correlazione tra deforestazione e importazione dei
prodotti.
In particolare l’Europa importa dal Brasile, Argentina, Indonesia, etc. Per quanto riguarda la carne
bovina l’UE importa soprattutto dal Brasile.
Deforestation footprint → mi permette di calcolare quante deforestazione c’è all’interno dei prodotti
I veri responsabili quindi sono i Paesi sviluppati e non quelli in cui fisicamente avviene la
deforestazione.

➢ Impoverimento della fascia di ozono stratosferico (possibile domanda aperta)


È una delle più grandi problematiche che ha creato molti dibattiti soprattutto in questi ultimi anni.
Attraverso i grafici si osserva che l’area del buco dell’ozono tende ad aumentare anno dopo anno.
Perché temiamo tanto il buco dell’ozono?
La luce ultravioletta è molto dannosa per la pelle e può provocare un melanoma (cancro alla pelle).
L’ozono è un gas che può essere presente nella troposfera (a seguito di reazione chimiche dagli
inquinanti) e questo è dannoso perché provoca irritazioni sia all’uomo che alla vegetazione. L’ozono
si trova anche nella stratosfera è funge da barriera alla luce ultravioletta. Quindi se la fascia
dell’ozono viene distrutta, possono penetrare raggi di luce molti più potenti.
Perché si sta depauperando?
Nel 1974 due chimici evidenziano i problemi dell’atmosfera conseguenti all’uso di CFC (gas che
durano molto a lungo utilizzati per esempio nelle bombolette spray).
Nel 1985 gli scienziati inglese riportano una diminuzione del 40% dello stato di ozono sopra l’Oceano
Atlantico.
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Nel 1987, 37 Nazioni firmano il Protocollo di Montreal, nel quale si impegnano ad abbattere del
50% l’uso di sostanze che assottigliano lo stato di ozono entro il 1999.
Nel 1989, 80 Nazioni riformulano il Protocollo di Montreal impegnandosi a eliminare completamente
i CFC entro il 2000.
Ci sono poi successivamente dei rafforzamenti di tale Protocollo.
I risultati degli accordi sono positivi → nel 2000 le quantità vanno quasi a 0
Per il cambiamento climatico non è successo una cosa simile perché nonostante gli accordi, gli Stati
non riescono ad emettere una soglia più bassa di emissioni.
Perché sul cambiamento climatico non si è riusciti a trovare accordi soddisfacenti, mentre per il buco
dell’ozono sì?
Gli impatti del buco dell’ozono sono gravi, ma su tempi in scala brevi (i danni sono quasi immediati).
Gli impatti sul cambiamento climatico compaiono negli anni successivi, soprattutto non sono tutti
riconducibili solo al cambiamento climatico.
Inoltre nel caso dell’ozono, prendiamo in considerazione un particolare settore economico
(principalmente un’impresa perché possedeva i vari brevetti), e quindi la perdita era centralizzata →
sono arrivati ad un compromesso dove i vari protocolli hanno deciso di introdurre la scadenza del
brevetto (del CFC) → in questo modo altre aziende avrebbero potuto concorrere → l’impresa leader
non ha avuto crolli.
Per il cambiamento climatico non consideriamo solo un unico settore e si tratterebbe quindi di una
riconversione economica enorme.

L’inquinamento di natura fisica


Oltre all’inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo esistono forme di inquinamento di natura
fisica, così denominate perché causate dall’esposizione ad ‘agenti fisici’ che interagiscono con
l’individuo e si propagano nell’ambiente:
- Radiazioni ionizzanti→ si tratta di radiazioni generate da materiale radioattivo. Esse
riguardano in particolare tre aspetti:
• La continua e crescente produzione e circolazione transfrontaliera di materiale
radioattivo, motivo per cui è importante mantenere e perfezionare le competenze
radio protezionistiche;
• L’esposizione della popolazione a sorgenti naturali, e in particolare il radon;
• Le esposizioni per scopi medici, diagnostici e terapeutici, aspetto per cui risulta
importante il corretto funzionamento e utilizzo di apparecchiature e procedure
- Campi elettromagnetici→ inquinamento elettromagnetico → è un fenomeno attuale, in
particolare per due aspetti:
• Il rapido sviluppo dei nuovi sistemi di telecomunicazione, i cui impianti si sono diffusi
capillarmente nelle città
• L’intensificazione della rete di trasmissione elettrica dovuta all’aumento della richiesta
di energia
In entrambi casi esistono dubbi e preoccupazioni circa i possibili effetti sulla saluta umana
derivanti dalla permanenza prolungata in prossimità di tali installazioni.
- Rumore, vibrazioni→ l’inquinamento acustico è l’insieme dei rumori prodotti in un
determinato contesto spazio-temporale, tale da porre in pericolo la salute di chi li percepisce
e a compromettere la qualità dell’ambiente. Nelle aree abitate l’inquinamento è un fenomeno
in crescita sia a causa delle fonti di rumore all’interno delle case sia all’esterno. Gli effetti
sulla salute umana riguardano soprattutto l’affaticamento, a carico dell’apparato
cardiocircolatorio, digerente, endocrino e neuropsichico.
- Inquinamento luminoso e radiazioni → consiste nell’alterazione della quantità naturale di
luce presente nell’ambiente notturno provocata dall’immissione di radiazioni luminose di
origine antropica. Le principali conseguenze negative sono rappresentate da effetti sulla
flora, sulla fauna, sull’uomo, danno per la ricerca astronomica, danno socioculturale per la
perdita del cielo stellato. Le cause sono rappresentate sia da apparati inefficienti sia dalla

80
carenza di progettazione. La riduzione dei consumi contribuirebbe tra l’altro al risparmio
energetico e alla diminuzione delle emissioni di gas serra.

➢ Degradazione ed erosione del suolo


Il suolo rappresenta una risorsa che a livello globale desta sempre maggiore preoccupazione. Alcuni
fenomeni, come la desertificazione, sono comuni in molte aree del pianeta; altri, come l’erosione del
suolo e il trasporto tramite l’acqua e il vento, possono avere effetti che superano i confini nazionali;
altri ancora, come le interazioni sul ciclo del carbonio, possono avere un ruolo nel cambiamento
climatico.

Per suolo si intende lo stato superiore della crosta terreste, costituito da componenti minerali,
organici, acqua, aria e organismi viventi. Esso rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua e
ospita gran parte della biosfera. Visti i tempi estremamente lunghi di formazione, il suolo può essere
considerato, a tutti gli effetti, come una risorsa non rinnovabile. È estremamente complesso e
variabile→ in Europa sono stati trovati 320 tipi principali di suolo, ognuno dei quali, è caratterizzato
da proprietà fisiche e chimiche molto diverse tra loro.
La degradazione del suolo consiste nell’asportazione di una porzione superficiale della superficie
terrestre ad opera di acqua e vento nonché nella modificazione qualitativa della composizione dei
suoli con un impoverimento del contenuto di humus.

Le cause sono:
- Agricoltura eccessiva e intensiva
- Sovra pascolamento
- Deforestazione
- Compattazione del suolo
- Accrescimento della superficie urbana

Il degrado del suolo è spesso causato o acuito dalle attività umane, per esempio, da pratiche agricole
silvicole inadeguate, attività industriali, turismo e opere di edificazione. Il risultato è una minor fertilità
del suolo, perdita di carbonio e di biodiversità.

Le principali minacce alle funzioni del suolo sono le seguenti:


1) Compattazione altera la porosità del suolo e le sue proprietà, provocando il ruscellamento
superficiale, fenomeni erosivi, riduzione delle rese agricole, fino a diventare concausa di grandi
eventi alluvionali. Le cause naturali sono principalmente l’azione battente della pioggia, l’azione
delle radici. Le cause antropiche sono da ricercare nel traffico improprio di macchinari agricoli di
grandi dimensioni e nel pascolamento eccessivo.
2) Diminuzione della sostanza organica si innesca con l’erosione del suolo e quindi con il distacco
delle particelle superficiali di terreno ricche di sostanze organiche riducendo la fertilità fisica,
chimica e biologica del suolo. In passato le cause erano rappresentate dalle grandi azioni di
trasformazione dell’uso del suolo, come deforestazioni o conversione delle foreste o dei pascoli
in terreni arabili. Oggi il fenomeno è legato allo sviluppo dell’agricoltura intensiva.
3) La perdita di biodiversità i suoli contengono organismi capaci di degradare gli agenti inquinanti
e di svolgere il ruolo di antagonisti naturali a organismi dannosi. La densità di tali organismi è
altissima. Si ha perdita di biodiversità a causa di pratiche agricole intensive, che lavorano il
terreno in profondità, cementificazione e impermeabilizzazione del suolo, erosione e incendi, etc.
4) Salinizzazione consiste nell’accumulo di sali nel suolo fino a impedire lo sviluppo delle colture.
Può essere determinata da cause naturali o antropiche dirette, oppure dall’irrigazione. È un
fenomeno destinato ad aumentare, sia per l’utilizzo sempre maggiore in agricoltura di acque
saline e acque reflue civili, sia a causa della maggiore aridità.

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5) L’erosione idrica consiste nella perdita dello strato più superficiale del terreno a causa
dell’azione dell’acqua piovana. Il fenomeno determina la perdita del suolo, di fertilità, di
biodiversità ed è causato dalla forte meccanizzazione e dalle piogge più aggressive in relazione
al cambiamento climatico. Nel caso di suoli più profondi c’è il rischio di una perdita irreversibile
dei terreni coltivabili.
6) L’impermeabilizzazione la copertura del territorio con materiali impermeabili impedisce
parzialmente o totalmente le funzioni vitali del suolo, in quanto crea una barriera verticale tra
suolo, aria e acqua. Il fenomeno riduce l’infiltrazione delle acque e di conseguenza l’umidità del
suolo e la capacità di ricarica delle falde. Le zone maggiormente impermeabili sono le aree
urbane e quelle interessate da strutture industriali.
7) Contaminazione interessa aree vaste e consiste nell’insieme dei fenomeni che apportano al
suolo sostanze inquinanti attraverso l’aria, le acque superficiali o pratiche agricole che utilizzano
fertilizzati chimici e fitofarmaci. Esistono inoltre fenomeni di contaminazione puntuale del suolo,
causati da perdite e sversamenti industriali. Il fenomeno può anche incidere sulla salute delle
persone e degli animali e mettere in pericolo la sicurezza alimentare.

➢ Desertificazione
Nel caso delle terre asciutte, l’erosione del suolo assume un’intensità particolare, ovvero la
desertificazione, cioè l’espansione dei caratteri di tipo desertico in aree che, seppur aride, non
costituiscono tuttavia deserti naturali.
Le cause sono: eccessiva coltivazione, sovra pascolamento, disboscamento, irrigazione impropria.

Politiche contro la desertificazione:


Nel 1977 nasce l’UNCOD e nel 1994 è stata firmata a Parigi una convenzione internazionale
ratificata da 115 Nazioni che si basa sullo sviluppo di politiche “dal basso” e sviluppo di partnership
internazionali.

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