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11 marzo 2021
L’attività di ricerca si concentra principalmente sulla conoscenza degli ecosistemi e degli habitat in
particolare della zona alpina ma anche della pianura sia dal punto di vista della pura conservazione sia dal
punto della gestione, come gestire gli habitat per mantenerne la più alta diversità.
Es. pascolamento che serve anche per mantenere le comunità erbacee e ne mantiene la biodiversità. In
questo caso la conservazione, non è sufficiente non fare nulla perché vorrebbe dire non conservare
quell’habitat in quanto verrebbe invaso da arbusti e alberi.
L’attività si svolge anche nei confronti dei cambiamenti climatici e nei confronti dell’uso del territorio,
global change in senso ampio e agli effetti di quell’insieme di attività sulla vegetazione. Si occupa anche di
specie esotiche invasive, di impatto dell’arrivo di specie esotiche invasive sulla biodiversità nativa. Questi
sono i temi di ricerca più importanti e si svolgono in gran parte in ambito alpino e planiziale collinare
Abbiamo la base necessaria per comprendere perché vogliamo conservare la biodiversità vegetale.
La biodiversità vegetale sta alla base di tutte le altre biodiversità (quasi tutte), ci sono batteri che non
basano la propria vita sui prodotti vegetali ma affermiamo sempre e non solo noi, che la vita in generale
dipende dalle piante, quindi la conservazione dei vegetali sta alla base della conservazione di tutti gli
equilibrio biogeochimici e quindi anche della conservazione della vita di animali, batteri, funghi e anche
dell’uomo.
La conservazione della biodiversità e studiarla stanno alla base della nostra vita ed è anche un modo per
avere un indicazione della rotta che dobbiamo tenere per avere un pianeta migliore e per avere un mondo
che sia in equilibrio e che permetta la vita di tutti gli organismi.
Perché studiare la biodiversità vegetale ci permette di intravedere una rotta? Perché gli organismi vegetali
sono gli unici (tutti fotosintetizzanti) che sono il porto e il magazzino dell’energia solare. Se non avessimo
questi organismi che accolgono e fissano l’energia solare non avremmo quel processo di contrasto
all’aumento dell’entropia che porta al disordine e dal punto di vista energetico a dei grossi disturbi e
alterazioni
Studiare i vegetali ci dà la linea e strada diritta che ci viene indicata per poter mantenere gli equilibri
biogeochimici che sono così importanti alla base della vita.
In realtà conservare la biodiversità è molto difficile perché siamo in molti sul globo, continuiamo a crescere
di numero anche se la crescita demografica si va smorzando o si va persino riducendo in molti paesi come
l’Italia ed è un punto importante da sottolineare perché l’ideale sarebbe avere un equilibrio demografico,
non un aumento e neanche una riduzione perché altrimenti tutte le strutture ne avrebbero dei grossi
danni. Su questo ci sarebbe molto da discutere ma ci sono ancora dei paesi in forte crescita demografica e
gli stili di vita sono fortemente impattanti sulla biodiversità vegetale e sulla biodiversità in senso più ampio
e noi dobbiamo cercare di avere una vita più sostenibile possibile, l’impatto umano deve essere sempre più
limitato e abbiamo tante strategie per poter ottenere questi risultati per cui la conservazione della
biodiversità vegetale è qualcosa di possibili e a partire dal secolo scorso tanti enti si sono dati da fare con
suggerimenti agli stati o con normative proprio per la conservazione.
In quali situazioni si decide di distruggere una specie: se si hanno organismi vive non si ha la distruzione
perché ci possono essere comunque conservazioni ex situ, lontano dall’ambiente in cui la pianta o animale
si sono sviluppati.
Pezzi di pianta (es. legname) o avorio vengono distrutti per non alimentare il mercato nero. Es. se delle
statue d’avorio venivano lasciate nei magazzini dello stato italiano in aeroporto chi mi dice che nel tempo
non ci sia qualcuno che prende queste statue e le rimette nel mercato nero? È un sistema di prevenzione
del reato all’interno di un paese. Con la CITES abbiamo firmato che nel nostro paese non possono essere
venduti prodotti fatti con avorio.
Ivory crash è stato fatto anche per azione dimostrativa, avendo l’avorio un valore commerciale molto
grande, il fatto che uno stato vada a rompere tante statuette d’avorio ha una certa ricaduta sul pensiero
che le persone hanno. L’ultimo ivory crash ha coinvolto anche le scuole per dare informazioni di
conservazione.
Perché non vengono riportate le piante nel paese d’origine? Perché sarebbe un costo, anche perché
rimettere in natura che sono state tolte non è facile e potrebbe anche portare a ulteriori danni. Tante volte
per gli animali arrivano magari in cattive condizioni di salute per il trasporto e le devono curare e nutrire e
rimetterle direttamente in natura sarebbe impossibile, per noi sarebbe impossibile rimetterle in natura
perché sono animali esotici. Gli stati da cui sono state tolte dovrebbero riprenderle e rimetterle in natura
cosa però non facile anche se sarebbe la cosa migliore e più adatta. Questa cosa viene fatta spesso in Italia.
Es. articolo sulla Stampa: centro per gli animali selvatici di Grugliasco ogni anno riceve migliaia di animali
portati da persone (gran parte uccelli), questi vengono curati per essere rimessi in natura. Però tante volte
sono animali degni di conservazione secondo la direttiva habitat anche se sono animali nostri e reinseriti in
natura. Per le piante il discorso è più facile, il reinserimento in natura viene fatto qualche volta se vengono
raccolte piante con radici e devono essere rimesse nel loro ambiente. Su piante e animali che arrivano vivi
in cattive condizioni da lontano è più difficile. Si conservano in orti, o serre o centri per la raccolta di
animali.
Nel caso si possegga un pezzo di pianta/animale da prima dell’entrata in vigore della convezione CITES è
possibile fare un certificato? SI
C’era qualcuno che aveva delle palle da biliardo in avorio comprate all’inizio del 900. In quel caso la persona
deve dichiarare di avere quegli oggetti in avorio e viene fatto un certificato per cui può mantenere questo
oggetti in casa perché sono di sua proprietà e sono autorizzati.
Discorso diverso per piante e animali vivi ma è comunque possibile farsi fare un certificato
Convention on Biological Diversity (CBD)- 1992, l’Italia ha formalizzato la sua partecipazione nel 1994
www.cbd.int
sito continuamente aggiornato con nuove attività svolte nei diversi paesi.
Convenzione alla quale i paesi possono decidere o non decidere di partecipare.
È una convenzione straordinaria che comprende tantissime attività e stimola gli stati a svolgere attività di
conservazione della biodiversità, e di conoscenza a tutti i livelli di scala. La convenzione della diversità
stimola alla ripartizione durevole (sostenibile) della biodiversità e una ricaduta sociale alla ripartizione equa
e durevole dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse.
SCOPI: conservazione della biodiversità (a livello genetico, di specie, di comunità, di paesaggio), sua
utilizzazione durevole, ripartizione equa e durevole dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle
risorse
È stato un passo avanti enorme per la gestione della biodiversità.
Se ci interessa questo tema andare a vedere cosa è successo in Costa Rica. Il Costa Rica è un paese che ha
deciso di vendere l’utilizzo di alcune specie vegetali animali e vegetali presenti sul suo territorio a caro
prezzo e cercando di mantenere quelle stesse specie sul territorio e ha usato quei soldi che sono derivati
dalla vendita del prodotto fatto tra lo stato della costa Rica e altre associazioni è stato rimesso sul territorio
con strutture e con progetti della conservazione della biodiversità, infatti è uno dei paesi più attenti alla
conservazione della propria diversità. Questo discorso della ripartizione equa e durevole dei vantaggi
derivanti dallo sfruttamento delle risorse viene regolamentata dal protocollo di Nagoya che è un protocollo
internazionale che vuole economicamente garantire gli stati che possiedono certe specie vegetali o animali
e questo è giustissimo. Se pensiamo al colonialismo che prevedeva che qualsiasi persona andasse in un
paese, prelevasse piante e se le portasse via senza pagare nulla, anzi magari creando danni alla popolazione
e alle foreste. Questo discorso della ripartizione equa e durevole dei vantaggi è veramente un pilastro della
convenzione e viene applicato attraverso il protocollo di Nagoya.
187 i paesi firmatari
La conservazione degli habitat richiede meno costi rispetto alla conservazione delle singole specie ed è più
facile dal punto di vista del controllo. le regioni hanno la responsabilità della conservazione, l’habitat deve
essere conservato di per sé e c’è lo strumento normativo per evitare certi tipi di danno agli habitat che
contengono specie particolari. Ancora un concetto su cui torneremo, molto importante della conservazione
degli habitat è che tu non vai a conservare una sola specie ma tutte le specie insieme, anche quelle che non
conosci. Conservi le piante tutte insieme per conservare l’habitat e ne permetto la sopravvivenza.
Specie ombrello: es. mettiamo che vogliamo conservare il panda ma p chiaro che per conservarlo devo
conservare il bambo e l’habitat. Ci sono alcune specie molto appariscenti in particolare animali che
richiamano molto l’immagine e l’idea di necessità di conservazione e questa viene definita ombrello perché
conservando quella conservo tutte le altre. In realtà è scientificamente più valido il concetto di
conservazione di habitat perché conservando l’habitat conservo tutto.
Procedura IUCN
Protocollo 2001 e linee guida per la sua applicazione.
Nel definire quali sono i criteri si sono fatte delle distinzioni fra i tipi di organismi (piante, animali)?
Si sono state fatte distinzioni. Questi sono i criteri per le piante. Ci sono numerose differenze fra organismi
più grandi, piccoli, vegetali, animali. Di certi animali abbiamo stazioni e siti precisi in cui sono presenti (es.
insetti, coleotteri) però per i lupi, ad esempio, si muovono molto o comunque ci possono essere animali che
si muovono di 100 km in una giornata. Ogni organismo ha bisogno di una precisazione dei criteri. Per gli
organismi vegetali ci sono questi criteri generali ma a livello italiano la società botanica ha fatto insieme a
ISPRA (istituto derivante dalle attività del ministero per approfondire questi punti) un protocollo di
monitoraggio per le specie vegetali rare per gruppetti di specie vegetali e non per tutte insieme ma per
piccoli gruppi (es. specie ce vivono nelle falesie rocciose, specie acquatiche, di foresta). Sono stati
approfonditi questi protocolli di monitoraggio per stabilire se la specie è ancora in buone condizioni o se
peggiore il suo stato di conservazione.
Ogni specie praticamente necessiterebbe di un suo protocollo di monitoraggio, poi si cerca di raggrupparle
e di dare un protocollo di monitoraggio per un gruppo in modo da uniformare le procedure.
Per questo è molto importante la salvaguardia dell’habitat perché in questo modo si conserva tutto, non
solo la singola specie vegetale ma anche la specie fungina che magari vive in simbiosi con quella specie
vegetale che per il 90% dell’anno non vedo e solo in determinate occasioni lo posso registrare. È vero che
conservando le specie vegetali e l’habitat in cui le specie vegetali sono presenti io vado a conservare tutto e
quindi la conservazione delle specie vegetali sta alla base della conservazione della biodiversità cross taxa.
Es. c’è stato un progetto nelle alpi marittime in cui si faceva un analisi della biodiversità di tutti gli
organismi, non solo di piante e animali ma di tutto insieme, anche perché ci sono habitat in cui c’è un
altissima biodiversità animale e bassa vegetale o viceversa. Non è detto che la biodiversità bassa vegetale
implichi una bassa biodiversità animale quindi studiare tutte le biodiversità è importante.
Quello che abbiamo visto sono i criteri applicati a questa specie. Abbiamo fatto e faremo l’assessment per
Isoetes malinverniana che è risultata critically engagement quindi una specie a forte rischio di estinzione.
Perché è giusto e opportuno studiare queste specie a rischio? Si stimolano le regioni responsabili della loro
conservazione a livello della normativa europea perché queste specie sono da mettere in lista rossa e nelle
leggi sulla conservazione.
A livello piemontese e valdostano esistono e sono state fatte negli anni 80 delle leggi regionali sulla
conservazione delle singole specie. In particolare in piemonte c’è la legge 32 dell’ 82, questa legge regionale
comprende una lista di specie che non si possono raccogliere. La difficoltà dell’applicazione è legata al fatto
che dovrei controllare le persone se hanno raccolto quella pianta o no e quindi questo modo di facilitare la
conservazione è ancora esistente in tutte le regioni italiane dove ci sono leggi sulla conservazione di singole
specie ma non ha un effetto così facile da applicare e così importante.
In generei n queste leggi regionali per la conservazione di singole specie vengono elencate le specie che
sono più appariscenti es. primula palinuri è una pianta molto bella e quindi tende ad essere raccolta. Le
persone raccolgono le piante senza pensarci e le danneggiano. La cosa importante è la conservazione
dell’habitat.
Se no si va incontro ad una procedura di infrazione da parte dell’unione europea. Come si fa a sapere che la
regione non ha assunto la propria responsabilità di conservazione? I singoli cittadini possono denunciare
questo fatto.
È molto importante rispettare la normativa europea e farla rispettare legata alla direttiva habitat che è
legata agli habitat ma anche a specie di particolare pregio. Tutti i regolamenti e le norme viste fino ad
adesso sono stati istituiti a livello sovranazionale per poter spingere gli stati a poco a poco a conoscere
meglio la propria biodiversità (es. attraverso flore, distribuzione geografiche) per poter fare il monitoraggio
nel tempo della loro permanenza e dello stato di conservazione e di salute delle piante. Lo stato di salute
può essere non solo relativo alla raccolta e all distruzione degli habitat ma anche al cambiamento climatico
ed è importante per le specie alpine che sono tante e che anche se non vengono raccolte sono in cattivo
stato di conservazione perché le temperature si innalzano e c’è una riduzione delle loro capacità di crescita
perché soffrono es. l’aridità estiva.
Ci sono molte società scientifiche sia per i vegetali che per gli animali che raccolgono gli appassionati, le
persone che non hanno una loro professionalità ma che sono appassionati. Queste società scientifiche
fanno degli incontri, e si riuniscono in gruppi in cui le persone fanno vedere i loro risultati.
Ci sono diversi strumenti per segnalare la presenza delle specie. Si fanno anche foto.
Il criterio per una stessa specie dipende dalla percentuale di riduzione della popolazione. Se si riesce a
stabilire la riduzione della popolazione questo è un criterio per stabilire se è critically endangered o
endangered.
Per ora la prof non sa di stati che sono usciti da CITES. C’ è anche pressione culturale o sociale sul rispettare
la CITES. È difficile che uno stato cui predecessori hanno firmato una convenzione per la salvaguardia della
biodiversità che esca. se accadesse ci sarebbe una sollevazione popolare forte. Ci sono stati problemi per il
protocollo di Nagoya perché questo discorso limita ancora di più l’uso e da parte di alcuni ministeri viene
vista male ad esempio per le specie di interesse alimentare il ministero dell’agricoltura non vuole porsi
limitazioni e non abbiamo ancora adottato con una normativa italiana il protocollo di Nagoya. Al momento
non ci sono sanzioni per chi non rispetta ma si le procedure di infrazione sul territorio vengono applicate.
15 marzo 2021
Siamo giunti a parlare di normativa già presupponendo che si sappia il perché è così importante conservare
la biodiversità possibile sia quella che conosciamo sia quella che non conosciamo
Quello che è importante è che molta della biodiversità non la conosciamo ancora, quindi la salvaguardia
delle singole specie è difficile da attuare non tanto per le specie vegetali che come vedremo per l’Italia
conosciamo abbastanza bene quanto per le specie fungine, per i batteri, per i nematodi per gli insetti,
organismi di cui si conosce meno il numero delle specie presenti, quindi sarebbe quasi impossibile
conservare la biodiversità evidenziando una specie dopo l’altra quindi mettendo nella normativa le diverse
specie. Da questo concetto viene fuori e lo vedremo oggi, la necessità di salvaguardare gli habitat e non
solo le singole specie.
Andiamo sul discorso delle singole specie, abbiamo visto l’altra volta la normativa internazionale, adesso
vediamo anche quello che conosciamo della flora italiana e la normativa italiana a tal proposito.
Che cosa conosciamo della biodiversità vegetale? La prof ci tiene a dirlo facendo riferimento alla
biodiversità europea e in particolare a quella italiana
Da epoche antiche, ma sicuramente da Linneo in poi (1750) i botanici si sono dati molto da fare con
l’esplorazione territoriale, esplorazione floristica territoriale che è andata molto nel particolare e tantissime
energie sono state messe nei viaggi di esplorazione sia in Italia, in Europa ma anche in altri paesi e abbiamo
ottenuto tantissimi dati floristici sulla presenza delle singole specie. Di questi dati floristici ad oggi vediamo
quelli che sono i database pià importanti sul territorio italiano, ma la flora in Europa è abbastanza ben
conosciuta quindi riteniamo di avere dei dati abbastanza precisi sulla quantità di specie presenti e sulla loro
distribuzione. Questi sono quelli che chiamiamo dati floristici e chiamiamo flora un insieme di specie
presenti su un territorio nazionale (es. la flora di Italia).
Di queste specie ad oggi si stanno facendo molte analisi sulla variabilità genetica ma per ora abbiamo
pochissimi dati sulla variabilità genetica delle specie presenti sul nostro territorio. abbiamo una conoscenza
un po’ più accurata della variabilità genetica nel caso delle specie forestali perché ad esempio sul faggio, sul
larice, sull’abete rosso, sulle specie più importanti dal punto di vista forestale incominciamo ad avere più
dati perché si pensa che questo sia molto importante ai fini di un utilizzazione delle diverse popolazioni in
ambiti diversi da quello in cui si trovano. Es. prendo una popolazione di larice dalle alpi orientali e la voglio
andare a mettere es. per fare un rimboschimento sulle alpi occidentali. Avere un idea sulla variabilità
genetica può dirci quanto questo sia opportuno da fare oppure no. Ci dice anche sulle specie rare se queste
hanno una maggiore o minore possibilità di rimanere presenti sul territorio perché tanto più una specie ha
elevata variabilità genetica tanto più è probabile che riesca a rispondere alle minacce, ai cambiamenti
climatici o a cambiamenti di uso del territorio.
Abbiamo ancora relativamente pochi dati sulla variabilità genetica, ne abbiamo invece molti di più sulle
specie di interesse vegetale e agrario (frumento, orzo, segale, mais, soia, riso). Le grandi colture le
conosciamo piuttosto bene dal punto di vista della variabilità genetica.
Prima di approfondire questi dati floristici, a partire dagli anni 50-60 del secolo scorso si è incominciato a
raccogliere dati vegetazionali, col metodo fitosociologico o con altri metodi si sono descritte le principali
comunità vegetali, i diversi tipi di bosco di faggio, di abete rosso, le diverse praterie di alta, media, bassa
quota, i pascoli alpini. In italia si hanno molti dati vegetazionali sulle comunità vegetali e anche abbastanza
sulla loro distribuzione sempre nell’ottica di sapere se c’è più o meno biodiversità vegetale nelle diverse
comunità vegetali e se sono da conservare, anche se non sono stadi dinamici finali della serie di
vegetazione ma se sono invece stadi intermedi come possono essere le praterie di pianura, media quota,
collinari, fascia subatlantica, subalpina ecc.
Tutti questi dati sono stati inseriti in alcuni database come alcuni dati floristici
Abbiamo ancora dati paesaggistici che sono più che altro di tipo fisionomico come, ad esempio, dove sono i
boschi, dove sono le praterie ma senza specificare bene e questi dati sono spesso contenuti in cartografie
regionali che sono state redatte sulla base di immagini aeree, abbiamo delle carte che vengono messe sotto
il nome di CORINE LAND COVER, questi dati di tipo paesaggistico, possono dare quando si scende a livelli di
scala un pochino più accurati, anche per i boschi, le specie arboree dominanti.
Come sono stati raccolti tutti questi dati? Nel tempo ci sono tanti botanici, agronomi, forestali, biologi che
si danno da fare per andare a cercare dati sul territorio, ormai tutti i dati sono georeferenziati, non c’è
nessuno che fa sul territorio senza avere un GPS e senza sapere che quella specie è presente in quel
determinato punto del territorio perché questo permette di fare delle cartografie. Sono stati raccolti prima
di tutto negli ultimi decenni attraverso l’analisi e l’esplorazione territoriale con GPS, prima invece tutti i dati
venivano pubblicati su articoli o raccolti in dati di erbario in cui c’è la località che è sempre difficile da
georeferenziare in maniera precisa, si può georeferenziare con un margine e un range di precisione.
Come sono stati archiviati questi dati? Sicuramente in erbari in bibliografia ma molto ormai con i database.
Ci sono database di tipo floristico o vegetazionale molto diffusi sul territorio e molto condivisi, la filosofia è
quella di metterli a disposizione di un pubblico sempre più grande e sempre più liberamente questi dati.
Questo avviene non solo per le specie spontanee ma anche per le coltivate es. negli orti botanici, gli orti
botanici partecipano a raccolte di dati per inserire tutte le piante che si hanno. Negli orti botanici del
mondo sono coltivate più di 60.000 specie arboree nel mondo e questo è eccezionale perché in Italia di
specie native arboree ne abbiamo meno di un centinaio, di specie coltivate invece ne abbiamo molto di più
L’orto botanico di Torino ha circa 200 specie arboree e hanno in tutto 2500 specie vegetali.
Flora d’Italia
Bartolucci et al. 2018. An updated checklist of the vascular flora native to Italy. Plant biosystems.
Galasso et al. 2018. An updated checklist of the vascular flora alien to Italy. Plant biosystems.
Nel 2018 ci sono due pubblicazioni relative alla flora di italia che sono degli update, aggiornamenti rispetto
alla flora vascolare nativa pubblicata nel 2005 + le aggiunte del 2007 sia per le specie native sia per le
specie esotiche
la prima è scaricabile online ed è la più recente checklist che abbiamo mentre nella pubblicazione del 2005
dove avevamo insieme native ed esotiche e c’era una precisione sulle esotiche non proprio ottimale, nel
2018 c’è stata questa divisione tra native ed esotiche
queste due pubblicazioni al momento sono i punti di riferimento per la flora italiana anche se poi vedremo
che sempre sulla flora di Italia abbiamo altri archivi importantissimi che sono www.actaplantarum.org.
Questo sito è straordinario perché viene continuamente aggiornato, ci sono tanti siti di questo tipo per la
maggior parte delle nazioni europee, questo per l’Italia è un riferimento eccezionale perché dà tantissime
informazioni, le schede botaniche specie per specie continuamente aggiornate, dati sulla morfologia, sui
termini usati (dizionario botanico) etimologia dei nomi (interessante perché anche dal punto di vista
topografico ci possono essere dei nomi della Val Cerrina, Cerreto ecc. che testimoniano la presenza nel
passato di Quercus cerris se ci sono dei cambiamenti climatici o di uso del territorio, questi nomi
testimoniano una presenza ma magari queste specie non ci sono più).
Abbiamo anche per ogni specie un discorso di distribuzione e anche questo viene continuamente
aggiornato. actaplantarum è stata una novità per l’Italia e per il modo in cui è stato fatto. Normalmente
prima di actaplantarum c’è stata una persona che decide di fare una flora che può essere d’Italia, del
Piemonte ecc. invece actaplantarum viene fuori dall’idea di un gruppo di persone, ci sono tantissimi
collaboratori ma è un lavoro che sale dal basso, tante persone che fotografano una specie, mettono il dato
online, viene validato ed entra a far parte del database che vien continuamente aggiornato
I dati di actaplantarum sono stati riversati e continuano ad esserlo, sul Portale della flora d’Italia sono
esattamente i dati di actaplantarum resi disponibili e visibili a tutti dando ulteriori informazioni ma tutte
vagliate dal gruppo di actaplantarum
di floristi hobbisti in italia ce ne sono tantissimi, che generalmente fanno riferimento alle società
scientifiche. Esiste la sezione piemontese della società botanica italiana a cui tante persone aderiscono.
Sulla flora italiana abbiamo tantissimi dati che si sono accumulati nel tempo e si accumulano man mano
sulla base di studio anche finanziati dall’unione europea proprio in relazione e alla ricaduta di quelle
normative (es. CBD) di cui abbiamo già parlato
Gli stati mettono dei fondi per finanziare progetti valutati.
Università aveva collaborato circa 20 anni fa dal 1998 al 2001 ad un grande progetto europeo assieme alla
Francia. Si aveva avuto come capofila IPLA (istituto per le piante da legno e l’ambiente) ente regionale della
regione piemonte. E un orto botanico in Francia (enti statali che si definiscono conservatorie Botanique).
Fanno analisi territoriale ed esplorazione territoriale per sapere la distribuzione delle specie e la loro
presenza
Da questo lavoro è nato un archivio, database in cui si sono inseriti tantissimi dati dell’erbario
pedemontarum,
Cartografia floristica
Distribuzione in quadranti
Distribuzione secondo una griglia UTM di 302 quadranti di 10x10km
Per il piemonte si è lavorato tanto con cartografie a griglia. Es. per la
Fallopia japonica, specie esotica invasiva distribuita sul territorio,
abbiamo un esempio di cartografia in cui si segnano i quadranti in cui
era stata segnalata prima del 1925, poi dal 25 al 49, dal 50 al 74 e dal
75 al 2005.
Tutti i quadranti nuovi in cui la specie è stata segnalata più
recentemente. Sono stati fatti aggiornamenti più recenti
Questa è una distribuzione secondo griglia UTM che è un sistema
cartografico riconosciuto in tutta Europa
la legge 32 include anche le piante officinali? Si, ce ne sono alcune che sono diventate anche rare, ce ne
sono altre di cui è possibile la raccolta ed è presente un allegato e oltre le piante da frutto ci sono anche
inserite piante officinali meno rare di cui si possono raccogliere le parti epigee per poter salvaguardare la
specie.
2001 _- Nello stesso periodo viene pubblicato un Repertorio della Flora Italiana protetta (Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio – Servizio Conservazione della Natura, 2001), che riunisce gli
status di alghe, licheni, briofite, pteridofite, gimnosperme ed angiosperme secondo la Convenzione di
Berna, gli allegati ii, iv e v della Direttiva 'Habitat' e l'ampliamento nazionale delle Liste Rosse Regionali
del 1997.
Con la direttiva habitat c’è stato un grande lavoro a seguito della direttiva per capire le peculiarità di ogni
regione, già nel 2001 c’è stato il repertorio della flora italiana protetta che ha ulteriormente approfondito le
conoscenze per alghe, licheni, briofite, pteridofite, gimnosperme e angiosperme
C’era stata la convenzione di Berna che era stata una delle prime convenzioni sulla conservazione della
flora, si sono approfondite queste specie secondo la convenzione di Berna e anche secondo gli allegati 2, 4,
5 della direttiva habitat e si è fatto l’ampliamento della lista rossa regionale del 97.
2003-2005 Completamento delle Conoscenze Naturalistiche di Base (ccnb) – Modulo: Analisi floristica a
scala nazionale (Scoppola et al., 2003; Scoppola, Caporali, 2005), tutte le entità a rischio di estinzione a
livello nazionale, di quelle dell’allegato II della Direttiva Habitat, di alcune endemiche ad areale ristretto
e delle specie selezionate nel 1995 dalla S.B.I. per un eventuale ampliamento dell’allegato II.
A poco a poco con la CBD si sono approfonditi questi studi. Nel 2003- 2005 si è fatto un lavoro di
completamento delle conoscenze naturalistiche di base che continua ancora oggi con tutte quelle flore di
cui abbiamo parlato in precedenza
L’istituzione di un SIC dipende anche da quanti individui di quella specie sono presenti o basta la presenza
di un individuo? Teoricamente ne basterebbe uno ma è difficile trovarne uno solo, ce ne sono sempre più di
uno, tanto più la specie è rara su quel territorio tanto più necessiterebbe di conservazione quindi anche
uno solo basterebbe. È importante avere questa considerazione per il numero di individui presenti. Poi
esistono anche tante specie clonali, quindi, è importante considerare anche il numero come un qualcosa di
significativo.
Se abbiamo una popolazione in cui abbiamo di 10.000 individui di una certa specie bisogna considerare se
quella specie è presente in altre zone della regione oppure no. Se è presente solo in quella zona allora
bisogna conservarla anche se ce ne sono pochi.
Aquilegia alpina
(Angiospermae Ranunculaceae)
Diffusa sull’arco alpino.
Inserita in direttiva perché molto appariscente. Ha un fiore di una decina di
centimetri di diametro e viene raccolta. La sua presenza viene salvaguardata
attraverso la presenza di un SIC.
Gentiana ligustica
(Gentianaceae)
Simile a G. kochiana. Prob
Presente nelle Alpi Cozie, Marittime e Liguri.
Simile alla cocchiana. Si distingue con difficoltà dall’altra su base
ecologica a seconda del pH del suolo. Viene molto raccolta e
quindi c’è il rischio di danneggiamento diretto
Non è richiesto di riconoscerle all’esame ma può chiedere delle specie della direttiva habitat e se c’è una
specie su un certo territorio che tipo di procedure bisogna fare ecc. le procedure di incidenza per valutare
l’impatto di una determinata opera per quell’impatto.
Ci cerca di far conoscere alle persone che ci sono specie protette. Tante persone ormai sanno che ci sono
specie più o meno rare e che alcune specie non vanno raccolte. Nei parchi regionali e nazionali vengono
fatte conferenze e cartelloni per spiegare che ci sono specie protette.
Sulle legge 32 è vero che sono poco evidenziate. Bisognerebbe fare di più. Con gli animali è più facile
perché i cacciatori sanno o perlomeno dovrebbero sapere quali sono le specie che non possono cacciare
perché i divieni sono molto seri.
Per le piante si potrebbe fare di più e ancora di più sugli habitat.
Mentre la raccolta delle piante è difficile da controllare e andrebbe più pubblicizzato questo concetto, sugli
habitat il discorso è più importante per le grosse opere
Sicuramente c’è stata una riduzione della raccolta delle piante con radice nel tempo, molto comune è la
raccolta di piante aromatiche e medicinali.
Abbiamo un concetto completamente diverso sulla conservazione delle piante da quella degli animali. La
conservazione della specie vegetale viene ritenuta solo da chi ha sensibilità per il mondo vegetale, mentre
l’uccisione di un animale è considerata un azione più invasiva e impattante.
È il più recente accordo complementare alla CBD , e fornisce un quadro giuridico trasparente per
l’effettiva attuazione di uno dei tre obiettivi della convenzione: la giusta ed equa condivisione dei
benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche (CBD art. 1)
Questo obiettivo è di particolare importanza per i paesi in via di sviluppo, in quanto essi detengono la
maggior parte della diversità biologica mondiale, ma, in generale, non ottengono una quota equa dei
benefici economici derivanti dall’uso delle loro risorse per lo sviluppo di prodotti derivante dalla diversità
genetica, quali varietà coltivate ad alto rendimento, prodotti farmaceutici e cosmetici.
Un tale sistema riduce l’incentivo per i paesi biologicamente più ricchi, ma economicamente più poveri
del mondo a conservare e utilizzare in modo sostenibile le loro risorse per il beneficio di tutti. La
condivisione dei benefici deve essere basata su condizioni reciprocamente concordate nel protocollo di
Nagoya (2014)
Considerevole è la richiesta di accesso a risorse genetiche che proviene dal mondo della ricerca
accademica, di laboratorio, dalle industrie biotecnologiche, farmaceutiche e cosmetiche o dall’agricoltura
È necessario firmare un agreement per l’uso delle risorse genetiche tra il paese che le fornisce e chi le
intende utilizzare.
Questo protocollo sta generando un insieme di opinioni molto differenti. Il ministero agricoltura in italia
non lo vuole applicare perchè pensa possa essere limitante per l’alimentazione delle persone, una cosa
importante è che non viene assolutamente applicato per gli alimenti di interesse per sfamare le popolazioni
del mondo e non ci sarebbe mai il protocollo di Nagoya su entità coltivabili neppure per i fruttiferi. Queste
specie seguono un altro protocollo, quello FAO che permette di spostare le specie da un posto all’altro
Noi come italia abbiamo firmato il protocollo ma dobbiamo fare una legge che ne permetta l’applicazione.
18 marzo 2021
Oggi andiamo a vedere il quadro della conoscenza della biodiversità vegetale in Piemonte.
Dal sito della regione piemonte
È la normativa che ha maggiore importanza in quanto ha controllo sul territorio per la conservazione della
biodiversità.
Nel 1992 l’unione europea ha redatto la direttiva 92/43 della CEE (o UE), ed è chiamata la direttiva habitat.
Il titolo per intero è conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.
Quali sono gli scopi fondamentali: salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat
naturali, nonché della flora e della fauna (intese come singole specie) selvatiche nel territorio europeo
La direttiva habitat e la direttiva uccelli del 2009 sono i più importanti strumenti normativi. Prima c’erano
solo leggi legate alle singole specie e adesso andiamo al discorso degli habitat.
C’è un secondo punto importante della direttiva habitat che vuole salvaguardare tutta la biodiversità
conosciuta o sconosciuta all’interno di un habitat e vuole salvaguardare non solo gli habitat maturi (teste di
serie) alla fine della dinamica di vegetazione, ma anche gli stadi intermedi delle serie vegetazionali, della
dinamica di vegetazione, qualora questi stadi dinamici siano ricchi di biodiversità. Non solo si conservano i
boschi (che peraltro è necessario conservare) ma anche le praterie, perché sono a volte più ricche di
biodiversità dei boschi, sia che siano naturali (sopra la timberline) sia che siano seminaturali come le
praterie di pianura o di mezza quota oppure le zone umide che sono tendenti all’interramento ma che sono
ricche di biodiversità.
Salvaguardare gli habitat significa salvaguardare tutte le specie che ci sono dentro, animali , vegetali,
fungine, batteriche ma dobbiamo tenere presente che salvaguardiamo molti habitat anche di stadi
immaturi (intermedi) delle serie dinamiche
Esso comprende 7 allegati, dei quali i seguenti interessano la tutela di habitat e specie:
- Allegato A – tipi di habitat di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione
di aree speciali di conservazione
- Allegato B – specie animali e vegetali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la
designazione di zone speciali di conservazione
- Allegato D – specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione
rigorosa.
Alcuni allegati sono stati successivamente aggiornati dal DM 20 gennaio 1999 “modificazioni degli
allegati A e B del decreto del presidente della repubblica, 8 settembre 1997 n. 357, in attuazione della
direttiva 97/62/CE del consiglio, recante adeguamento al progresso tecnico e scientifico della direttiva
92/43/CEE.
Queste osservazioni che sono state fatte hanno dato origine a degli allegati che sono 7 nella direttiva
habitat.
Abbiamo l’elenco dei 3 allegati che ci interessano.
L’allegato A è un elenco degli habitat a livello europeo che vengono ritenuti di interesse comunitario. Sono
state attuate queste norme. Tutti gli habitat di interesse comunitario sono state oggetto di interesse di
istituzione di SIC che coprono oggi circa il 18% della superficie italiana che possono essere già presenti
come parchi e che sono diventati SIC oppure che sono diventati SIC ex novo nel momento in cui sono stati
istituiti questi siti di aree protette. L’allegato A è quello degli habitat. Salvaguardare un habitat vuol dire
salvaguardare anche gli animali che ci sono dentro. È stato un rinnovamento straordinario del concetto di
conservazione
Il mio habitat come lo identifico? Lo identifico su base vegetale. È importante conoscere le comunità
vegetali perché altrimenti non saprei individuare gli habitat di interesse comunitario
L’allegato B è più tradizionale come tipo di impostazione. Abbiamo già visto le specie presenti in piemonte
o in parti del nord Italia che hanno richiesto la designazione di zone speciali di conservazione.
C’è ancora l’allegato D, è una aggiunta dell’allegato B ed è più restrittivo perché sono specie ancora più
degne di protezione rigorosa.
Sono stati fatti alcuni aggiornamenti agli allegati A e B della normativa. La normativa è stata recepita a
livello italiano l’8 settembre del 1997. Le direttive dal punto di vista giuridico devono essere recepite a
livello dei singoli stati, quindi la direttiva habitat ha oggi un suo decreto che attua questa normativa.
Sulla base della normativa sono stati fatti molti SIC, che oggi sono le aree protette principalmente diffuse
sul territorio italiano. I parchi sono tutti diventati dei SIC e vige la normativa dei siti di interesse comunitario
anche nell’ambito di tutti i parchi nazionali e regionali.
Quando c’è un sito di importanza comunitaria, se qualsiasi persona, qualsiasi ente, qualsiasi gruppo,
qualsiasi azienda vuole fare una lavoro nell’ambito del SIC deve fare uan valutazione di incidenza che
riguarda l’incidenza di quest’opera sull’habitat, sulla specie o sull’habitat per cui è stato fatto il SIC.
Oggi andiamo a parlare e a fare una sorta di sintesi di quello che conosciamo relativamente alla biodiversità
vegetale in Piemonte. La biodiversità vegetale in piemonte è piuttosto conosciuta sia dal punto di vista
floristico sia dal punto di vista vegetazionale.
Si sta collaborando per la stesura della strategia regionale per i cambiamenti climatici. Per poter fare questa
strategia bisogna conoscere cosa abbiamo come patrimonio naturale sul nostro territorio
Risultati e discussione
I risultati del lavoro sono riportati in 3 sezioni
1. Il quadro conoscitivo della biodiversità vegetale in piemonte
2. Gli impatti e i relativi pericoli, vulnerabilità e rischi della biodiversità vegetale a causa del
cambiamento climatico
3. Le misure per salvaguardare la biodiversità vegetale e sfruttarne le capacità mitigative
1.1.1 Conoscenze
Di seguito è riportata la Tabella 3.1 che riporta le informazioni generali sulla biodiversità vegetale in
Piemonte in termini quantitativi e qualitativi, ma anche di organizzazione della conoscenza e di
monitoraggi. Viene, inoltre, presentato il territorio regionale su base biogeografica ed ecologica .
Ricordiamo che in regione piemonte abbiamo 3 regioni biogeografiche che si distinguono in relazione al
clima e alla geomorfologia.
La regione alpina che riguarda tutte le vallate alpine, la regione continentale che riguarda la pianura padana
e i rilievi interni e poi la regione mediterranea che riguarda la parte meridionale della nostra regione. Noi
abbiamo sottolineato che il contatto tra la regione alpina e mediterranea determina nelle alpi occidentali
del sud la massima biodiversità. Abbiamo nell’ambito italiano una delle più alte ricchezze floristiche
regionali determinata dal fatto che abbiamo specie delle alpi e specie mediterranee insieme. Abbiamo un
grandissimo numero di specie endemiche determinate dal fatto che nelle alpi marittime le glaciazioni non
sono state così importanti perché c’era già l’influsso del mare fino a 20.000 anni fa. Tante specie
endemiche concentrate nelle alpi marittime che sono tra le più ricche di tutte le alpi, sia sul versante
italiano che sugli altri versanti.
Abbiamo questa grande biodiversità da salvaguardare.
Abbiamo un uso del suolo ben conosciuto perché sono state fatte tante cartografie di uso del suolo e
sappiamo quindi che negli ultimi anni il territorio boscato è aumentato moltissimo. I territori boscati e gli
ambienti seminaturali (che sono già quasi bosco) raggiungono il 56% della superficie.
I territori boscati nel 1870 erano il 17%. Nell’arco di 150 anni la superficie boscata è aumentata 3 volte
Nel 1979 le superficie boscate erano il 23% del territorio regionale. Nel 1990 il 27% e nel 2016 che è
l’ultimo mento in cui abbiamo la rilevazione sul territorio eravamo al 36%
In questa rilevazione il 50% è superficie boscata ma anche ambienti seminaturali che stanno diventando
boschi. Abbiamo un 43% di superfici agricole utilizzate e superfici artificiali antropizzate, cementificate al
5,4%.
Abbiamo un idea dell’importanza dei boschi nella nostra regione. Questo è dovuto anche al fatto che
abbiamo molta superficie collinare o montuosa, alpi appennini e rilievi interni di langhe e Monferrato.
Nei boschi più importanti e diffusi abbiamo i castagneti, le faggete e i Robinieti.
DIVERSITA’ SPECIFICA
ricchezza specifica ed entità esotiche
Italia:
- Paese europeo con la massima biodiversità floristica al secondo posto tra gli Stati Mediterranei,
dopo la Turchia
- Tra i primi paesi europei per diversità lichenica
Piemonte:
- Regione italiana con massima biodiversità floristica: 3464 taxa di specie e sottospecie native e
criptogeniche = oltre il 40% della flora italiana Sulla Banca Dati Naturalistica della Regione
Piemonte risultano essere presenti 4222 specie. + 1298 taxa di licheni
Regione hotspot terrestre per biodiversità vegetale grazie alla sua grande estensione territoriale con
gradienti elevati sia in latitudine che altitudine, e all’importante diversità climatica e geomorfologica.
Le specie esotiche a seconda delle pubblicazioni variano: tra 371 (Bouvet & Barni, 2017) e 526 (Galasso et
al., 2018). Tra queste ultime, 33 rientrano all’interno della check-list delle piante aliene soggette alla
procedura di prioritizzazione (Lazzaro L. et al., 2019).
Le specie esotiche invasive sono inserite in Black Lists Regionali (Management list, Action list, Warning
list).
Globalmente sappiamo che l’Italia è il paese europeo con la massima biodiversità floristica e il piemonte
grandissima biodiversità floristica con 3464 taxa sia di specie che sottospecie che costituiscono oltre il 40%
della flora italiana.
Abbiamo anche tanti licheni (1298).
Abbiamo quindi questa regione che è considerata un hot-spot terrestre per la biodiversità vegetale. ci sono
tante specie esotiche, il numero è variabile di anno in anno, sono state censite circa 500 specie esotiche
nella check list di Galasso per la nostra regione.
Sono state istituite delle normative per limitare la diffusione delle esotiche
Monitoraggi
- Rete LTER-Italia
- Manuali per il monitoraggio di specie e habitat di interesse comunitario (Direttiva 92/43/CEE) in
Italia: specie vegetali (ISPRA, 2016)
- Manuali per il monitoraggio di specie e habitat di interesse comunitario (Direttiva 92/43/CEE) in
Italia: habitat. (ISPRA, 2016)
- Guida al riconoscimento di ambienti e specie della Direttiva “Habitat” in Piemonte (Sindaco et al.,
2003)
- Protocollo operativo per il monitoraggio regionale degli habitat di interesse comunitario in
Lombardia. Versione 1.1 (Brusa et al., 2017.)
- Protocollo di campionamento e analisi per le macrofite delle acque correnti (APAT, 2007)
- Letteratura specifica
Che tipi di monitoraggi sono presenti nella regione? Ricordiamo la rete LTER (long term monitoring analysis)
queste LTER sono dei quadrati permanenti che vengono monitorati quasi ogni anno per capire se c’è un
cambiamento della biodiversità. Il territorio viene monitorato secondo delle normative europee con
monitoraggi sia delle specie sia degli habitat secondo i manuali di ISPRA.
Un documento importante da cui poi si sono tratte schede presenti sul Moodle c’è la guida di
riconoscimento di ambienti e specie della direttiva habitat in piemonte, è un documento datato del 2003
ma è il più recente che si ha sulla presenza di queste emergenze nel nostro territorio.
Cartografie
- Carta della Natura (ARPA Piemonte, 2011)
- Carta Forestale regionale (IPLA, 2016)
- Carta delle Serie di Vegetazione (Blasi et al., 2010)
- Carta della Vegetazione Naturale Potenziale (Blasi et al., 2017)
- Corine Land Cover (Commissione Europea, 1990, 2000, 2006, 2012, 2018.)
- Carta degli Ecosistemi d’Italia (Blasi et al., 2017)
- Carta delle Zone Umide (ARPA Piemonte, 2011)
- Carta delle Ecoregioni d’Italia (Blasi et al, 2014)
Ci sono le cartografie che sono state fatte sul nostro territorio. c’è questo ente, IPLA (istituto per le piante
da legno e l’ambiente) che ha rifatto la carta forestale del piemonte del 2016 e questo documento è
abbastanza unico nel territorio italiano, specialmente così aggiornata. Avere una carta forestale così
aggiornata è una cosa molto rara nelle altre regioni che conoscono il territorio forestale solo i forestali e
non è conosciuto da tutti.
C’è anche la carta delle serie di vegetazioni di Blasi, la Corine land cover, sono tutte cartografie dei diversi
tipi di vegetazione e questo è stato aggiornato fino al 2018. Se andiamo sui siti della regione piemonte
vediamo questa cartografia con la distribuzione degli habitat almeno dal punto di vista fisionomico. Ci sono
tante cartografie che ci danno l’idea di aspetti diversi della nostra regione.
C’è anche una trattazione degli hot-spot più importanti nelle varie ecoregioni.
questa è una carta dell’uso del territorio, che comprende anche la vegetazione che è stata fatta secondo
Corine land cover del 2018 ed è stata fatta sulla base della conoscenza accumulata e di immagini satellitari.
P una mappa che evidenzia i seminativi, tutte le zone in verde della pianura e vediamo che la pianura
padana in piemonte non è così
estesa perché è meno di un terzo
della superficie. Vediamo la
pianura vercellese, novarese,
cuneese, e la zona alessandrina
che è abbastanza estesa e
importante.
In verde sono quindi le zone
agricole.
Invece in azzurro vediamo le zone
boscate e sono veramente
tantissime in particolare nelle
alpi ma anche nei rilievi interni,
tutta la collina di Torino e poi
langhe e Monferrato e anche
negli appennini abbiamo una
grande estensione del bosco
che può raggiungere quasi il
50% della superficie che
dipende dalla definizione
normativa di bosco. Sono in
forte espansione.
Abbiamo tante zone di alta
quota, quelle sui confini che
sono le zone di pascoli alpini e
di rocce e di detriti. Questi sono
gli aspetti più importanti che si
volevano evidenziare. Abbiamo
le colture permanenti, i frutteti,
vigneti e noccioleti. Abbiamo
una conoscenza molto accurata della vegetazione sul nostro territorio.
Andiamo a vedere in generale il discorso delle formazioni erbacee che è l’oggetto della lazione di oggi.
Perché conservare le praterie? Le praterie sono ricche di biodiversità, sicuramente vegetale ma anche
animale, batterica, fungina. Quindi abbiamo l’importanza della conservazione della biodiversità in generale
ma perché la vogliamo conservare? Le praterie forniscono tanti servizi ecosistemici ambientali, la fissazione
della CO2 è molto forte, in qualche caso le praterie di pianura possono fissare più CO2 di alcuni boschi
molto antichi, vetusti che fissano relativamente poco. Produzione ossigeno è un aspetto importante, il
contrasto all’erosione delle zone di pendio, aspetti paesaggistici sono importanti, conservazione della
biodiversità e la produzione di biomassa, perché queste praterie danno un foraggio particolarmente utile
per l’allevamento delle vacche ma anche delle vacche da latte che nutrite con questo foraggio
particolarmente di buona qualità forniscono un latte e una carne di buona qualità. In provincia di cuneo
l’allevamento di bovino è diffuso e per la produzione di latte ci si basa tantissimo su questi prati sfalciati da
fieno perché il latte che ne deriva è di maggiore qualità per i volatili presenti e sicuramente è un tipo di
foraggio per gli animali particolarmente di pregio
Altri servizi economici importanti sono il pastoralismo, le praterie del cuneese ormai molto rare, sostituite
da coltivazioni di mais. oggi si sta di supportare facendo nuove praterie, per il taglio dell’erba e per il fieno
ma anche per far pascolare gli animali. Questo è importante per il benessere animali su cui tanto lavorano
zootecnici e agronomi
Inoltre le praterie forniscono servizi culturali ricreativi per la salute dell’uomo, ad esempio, co ni prati
presenti nell’ambito della provincia di Torino.
Oltre a questo discorso generale andiamo a vedere le tipologie di praterie che sono considerate pià
importanti come habitat dal punto di vista dell’unione europea che li ha considerati importanti livello
europeo.
Tutte le praterie sotto i timberline, sotto i 2000 metri sono tutte praterie che devono essere mantenute ad
opera del pascolamento o dello sfalcio o da pascolamento spontaneo da parte di stambecchi, camosci ma
non è così risolutivo se non parzialmente e il carico animale non è alto. Alcune delle praterie viste non
necessitano di pascolamento perché sono in alta quota
Riassumendo diciamo che le praterie di più alta quota sono quelle sicuramente più ricche di specie rare: es.
praterie a Nardus stricta sono abbastanza comuni ma interessanti perché hanno specie come nigritella che
è rara. Molto interessanti le praterie secche su calcare a Bromus erectus, queste sono insieme ai pascoli
alpini di alta quota, le più ricche di specie rare perché contengono tante specie mediterranee e tante
orchidee presenti nel mediterraneo. Il discorso della conservazione: per la conservazione dei servizi
ecosistemici e per una biodiversità vegetale interessante,
abbiamo ancora le praterie basifile alpine e subalpine, queste sono molto interessanti perché hanno tante
specie anche endemiche delle nostre alpi
→ Leontopodium alpinum, Aster alpinus, Dryas octopetala
un discorso generale che si può fare è che le praterie contengono una biodiversità importante. È una
biodiversità che noi vogliamo conservare perché in particolare nelle alpi è una biodiversità che non esiste
da altre parti perché molte di queste specie sono presenti solo nella zona alpina, anche magari negli
appennini ma solo in parte.
Ricordiamo sempre che la massima biodiversità delle zone alpine è legata alla copresenza della flora alpina
e di una flora mediterranea. Da dove è entrata la flora mediterranea? In particolare nella zona di Susa. Ci si
chiede se sia entrata dalla Francia e questa è una cosa strana, magari in certi periodi durante gli interglaciali
o dopo le glaciazioni queste specie siano arrivati attraverso il Moncenisio, il Monginevro, e abbiano quindi
passato questi colli.
Perché se scendiamo dall’altra parte troviamo le stesse specie mediterranee che sono salite da sud verso
nord sia in Francia che in Italia ma che poi nell’ambito alpino si sono effettivamente spostate. Immaginiamo
che le specie vegetali siano ferme sul territorio ma in realtà si muovono col vento, ad esempio, e quindi
tanti semi arrivano, sia con gli uccelli che con altri animali. C’è un passaggio di patrimonio genetico tra la
parte francese e quella italiana, questo passaggio ha determinato la presenza in contemporanea di specie
mediterranee e di specie delle alpi e quindi la valle di Susa è una delle zone più ricche di specie vegetali di
tutte le alpi e andrebbe conservata con particolare attenzione sia ad alta quota sia a media.
Queste formazioni non sono delle formazioni mature, non sono teste di serie perché se le lasciamo senza
interventi di pascolamento o sfalcio tranne quelle di alta quota (si conservano perché sono sopra la
timberline a meno che non cambi tantissimo il clima) sono tutte di origine antropica, e se dobbiamo
conservarle o dobbiamo farle sfalciare o pascolare e la conservazione è legata a certe attività tradizionali
che in certi casi sono vantaggiosi dal punto di vista economico e in certi casi meno. È per questo che
l’abbandono di tante di queste zone marginali, meno ricche e meno redditizie dal punto di vista economico
rispetto alla pianura, l’abbandono ha determinato l’inarbustamento e la formazione di comunità boschive
Per questo motivo i boschi sono cresciuti dal 17% nel 1870 fino al 37% (2016) e quasi al 50% oggi
L’aumento è determinato dall’abbandono di queste zone marginali che in particolare alla fine dell’800
erano tutte usate e l’agricoltura era più estesa anche nelle zone marginali.
Oggi nelle zone marginali abbiamo o delle colture redditizie (es. langhe e Monferrato vite e nocciolo) ma di
coltivazioni legate a coltivazioni erbacee ne abbiamo sempre meno e questo è un danno sicuramente per la
conservazione della biodiversità e dei servizi ecosistemici.
L’unione europea fa molti progetti es. Life Natura che sono anche molto ricchi dal punto di vista del
contributo economico per contrastare la perdita di biodiversità mantenendo certi tipi di attività agricole e
pastorali. Sono dei progetti di 5 anni normalmente, abbastanza importanti e che non sono di ricerca ma
sono progetti di gestione territoriale e bisogna effettuarli insieme agli enti territoriali, i comuni, la regione,
le province, i parchi. Bisogna fare una collaborazione tra enti di ricerca e di gestione in modo da avere una
corretta gestione territoriale.
Nell’aumento della superficie boscata si considerano anche le praterie che si stanno perdendo?
Certamente. Le praterie che sono oggetto di rimboschimento, non dovuto all’azione dell’uomo ma
spontaneo che hanno una copertura arborea di più del 25% si ritengono boschi, sono boscaglie ma si
ritengono considerabili nell’ambito dei boschi per questo la superficie è aumentata recentemente.
Nelle ultime normative sulla definizione di bosco c’è questa superficie boscata che è percentualmente
bassa. Sopra il 25% della superficie di alberi, quella superficie è considerata di bosco e le praterie che si
perdono sono ormai boscate e non più utilizzate
Si dice tanto per il territorio italiano è che siamo ricchi di boschi poveri. I boschi italiani es. betuschi sono
veramente pochi
Le orchidee diffuse in val di Susa hanno subito effetti negativi in seguito agli incendi estesi? Le orchidee
sono tipicamente delle specie adattate al passaggio del suolo. hanno organi sotterranei, i rizotuberi in
profondità nel suolo per cui non sono state fortemente danneggiate con il passaggio dell’incendio
importante e persistente. È stato fatto un monitoraggio prima e dopo incendio e nella zona di Chianocco e
foresto le orchidee non sono state danneggiate perché il suolo era abbastanza profondo e i rizotuberi si
trovavano in profondità per cui durante la prima stagione primaverile c’è stata una minor fioritura e un
minor numero di rosette ma l’anno dopo si hanno avuto tante più rosette basali. Nella zona di Mompantero
che è più nella valle ed è una zona in cui si avevano parcelle sperimentali, in quella zona le orchidee sono
state quasi tutte annientante perché lì il suolo era poco potente, di circa 5-10 cm e tanto più il suolo è
superficiale tanto più l’incendio è dannoso per gli organi sotterranei, mentre se il suolo è abbastanza
profondo le piante vengono protette dall’incendio, il suolo si scalda ma non è così caldo da danneggiare gli
organi. La ripresa della vita delle orchidee è stata quindi importante. Ci si potrebbe perfino chiedere se si
possa usare l’incendio come incendio guidato provocato. In certe zone del nord america l’incendio viene
usato per rinnovare le foreste. È un discorso molto discusso e molto critico perché ad esempio in val Susa
non hanno accettato l’idea di fare un incendio protetto. In val Susa il fuoco era arrivato vicino alle case,
talmente pericoloso che avevano sgomberato le case, non si riusciva a governare quell’incendio. In zone
ventose l’incendio non può essere prescritto per poter conservare la prateria. Mentre esistono zone dove
l’incendio prescritto si può fare e si può usare per ringiovanire le comunità vegetali, ma devono essere zone
poco abitate e non ventose e deve essere un passaggio di fuoco non che rimane sulla superficie.
Esiste l’ecologia del fuoco molto importante. Da noi per ora non è un fenomeno così diffuso se non in certe
zone ma invece nel mediterraneo è molto diffuso anche nei periodi estivi ed è qualcosa di molto pericoloso
e ha comunque un influenza importante sulla vegetazione.
Tutte le praterie, non solo quelle alpine, necessitano di pascolamento o sfalcio per essere mantenute ma
tutte quelle di bassa quota, anche nel mediterraneo, negli appennini dove ad esempio il bosco ormai è
diffusissimo e di praterie specialmente negli appennini centrali ce ne sono poche perché c’è stato grande
abbandono della abitazione delle aree interne proprio ad opera di questo grande spostamento verso le
città Si calcola oggi che su 60 milioni di italiani solo 14 milioni vivano in aree interne e non in città e quindi è
ormai una percentuale di popolazione molto bassa. Questo non avviene solo in italia ma in tante zone, dalla
spagna alla Francia all’Austria alla Germania. Un po’ dappertutto questo fenomeno è esteso. Con il discorso
della pandemia può darsi che ci sia una trasformazione del nostro modo di vivere. Questo potrebbe
determinare uno spostamento di parti della popolazione di nuovo in aree collinari e basse montane, minori
inquinanti, minori costi ecc. non è detto che questa tendenza all’inurbamento così spinta possa avere un
po’ di riduzione.
L’unione europea proprio perché il territorio europeo è così tanto antropizzato anche dal punto di vista
agricolo, non solo dalle città, ha detto di conservare di cercare di conservare la biodiversità delle zone
prative e delle zone umide cercando di trattenere lo sviluppo e la dinamica naturale verso formazioni più
nature più povere di biodiversità
È vero che l’uomo ha facilitato la diffusione delle praterie e le ha anche gestite in grande misura ma queste
specie vegetali erano presenti già per conto loro. Il pascolamento degli animali selvatici c’era comunque e
le piccole praterie ci sono sempre state comunque quindi noi conserviamo una biodiversità prativa
dall’eccesso di antropizzazione moderna perché una gestione tradizionale o il pascolamento spontaneo
avrebbe sempre mantenuto le formazioni erbacee che in piccola misura sono un esempio di formazioni
semi naturali anche se non sono però completamente avulse dalla naturalità ma sono delle forme di semi
naturalità
Il discorso è diverso per le zone umide che non sono state fatte dall’uomo ma sono presenti in virtù di una
certa dinamica vegetazionale e lasciare che si sviluppino tutte in boschi sarebbe negativo perché si
toglierebbe parte della biodiversità.
La filosofia è stata quella di mantenere il massimo della biodiversità insieme ad un alta parte di naturalità
perché le due cose non vanno di pari passo in Europa perché c’è una lunga tradizione di gestione
territoriale. Se si va in foresta Amazzonica o in foreste delle Ande o foreste indonesiane quelle andrebbero
solo conservate e non gestite, tanto più si hanno dei territori ricchi di biodiversità e ricchi di naturalità
bisognerebbe conservarli così come sono. Il discorso è stato fatto in particolare per l’Europa in relazione a
questa gestione territoriale dell’uomo che ha aumentato la biodiversità.
Si potrebbe dire: ha senso andare a supportare economicamente questo tipo di praterie? Es. in Svizzera
viene fatto un forte sostegno all’agricoltura, principalmente per ragioni sociali, di mantenimento di certe
famiglie nelle zone non urbane, c‘è una scelta politica e sociale di mantenere gli agricoltori sul territorio.
Ipoteticamente, prima che l’uomo disboscasse gran parte del territorio italiano, specie come queste
orchidee avevano un areale molto ristretto? Magari sul calcari e aree simili?
Probabilmente si , magari c’erano pratelli di più piccole dimensioni in cui queste specie vivevano bene e si
sono sviluppate in queste condizioni dove animali pascolavano.
Quello che abbiamo di naturale conviene mantenerlo ma quello che abbiamo di tradizionale si può avere la
doppia scelta o se veramente non c’è una grande biodiversità lo lasciamo rimboschire oppure lo
manteniamo se è ricco di biodiversità.
L’unico caso per cui si è deciso di mantenere, come gruppo di ricerca è quello della valle di Susa perché c’è
una biodiversità floristica eccezionale e l’idea di spendere dei soldi per mantenere quella biodiversità e quel
paesaggio era ottima.
Ricordiamoci che il mantenimento di certi paesaggi rende in termini economici e rende perché abbiamo
tanti turisti stranieri.
In Europa si è fatta la scelta del mantenimento della biodiversità di aree seminaturali e la direttiva habitat
ne è un esempio, conserva i boschi, le praterie alpine ma anche queste formazioni intermedi (prati e aree
umide).
È interessante capire che su territori che sono stati tradizionalmente gestiti dall’uomo, il ritorno alla totale
naturalità viene vista come una perdita di qualche servizio ecosistemico.