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CONSERVAZIONE E BIODIVERSITA’ VEGETALE (SINISCALCO)

11 marzo 2021

L’attività di ricerca si concentra principalmente sulla conoscenza degli ecosistemi e degli habitat in
particolare della zona alpina ma anche della pianura sia dal punto di vista della pura conservazione sia dal
punto della gestione, come gestire gli habitat per mantenerne la più alta diversità.
Es. pascolamento che serve anche per mantenere le comunità erbacee e ne mantiene la biodiversità. In
questo caso la conservazione, non è sufficiente non fare nulla perché vorrebbe dire non conservare
quell’habitat in quanto verrebbe invaso da arbusti e alberi.
L’attività si svolge anche nei confronti dei cambiamenti climatici e nei confronti dell’uso del territorio,
global change in senso ampio e agli effetti di quell’insieme di attività sulla vegetazione. Si occupa anche di
specie esotiche invasive, di impatto dell’arrivo di specie esotiche invasive sulla biodiversità nativa. Questi
sono i temi di ricerca più importanti e si svolgono in gran parte in ambito alpino e planiziale collinare
Abbiamo la base necessaria per comprendere perché vogliamo conservare la biodiversità vegetale.
La biodiversità vegetale sta alla base di tutte le altre biodiversità (quasi tutte), ci sono batteri che non
basano la propria vita sui prodotti vegetali ma affermiamo sempre e non solo noi, che la vita in generale
dipende dalle piante, quindi la conservazione dei vegetali sta alla base della conservazione di tutti gli
equilibrio biogeochimici e quindi anche della conservazione della vita di animali, batteri, funghi e anche
dell’uomo.
La conservazione della biodiversità e studiarla stanno alla base della nostra vita ed è anche un modo per
avere un indicazione della rotta che dobbiamo tenere per avere un pianeta migliore e per avere un mondo
che sia in equilibrio e che permetta la vita di tutti gli organismi.
Perché studiare la biodiversità vegetale ci permette di intravedere una rotta? Perché gli organismi vegetali
sono gli unici (tutti fotosintetizzanti) che sono il porto e il magazzino dell’energia solare. Se non avessimo
questi organismi che accolgono e fissano l’energia solare non avremmo quel processo di contrasto
all’aumento dell’entropia che porta al disordine e dal punto di vista energetico a dei grossi disturbi e
alterazioni
Studiare i vegetali ci dà la linea e strada diritta che ci viene indicata per poter mantenere gli equilibri
biogeochimici che sono così importanti alla base della vita.
In realtà conservare la biodiversità è molto difficile perché siamo in molti sul globo, continuiamo a crescere
di numero anche se la crescita demografica si va smorzando o si va persino riducendo in molti paesi come
l’Italia ed è un punto importante da sottolineare perché l’ideale sarebbe avere un equilibrio demografico,
non un aumento e neanche una riduzione perché altrimenti tutte le strutture ne avrebbero dei grossi
danni. Su questo ci sarebbe molto da discutere ma ci sono ancora dei paesi in forte crescita demografica e
gli stili di vita sono fortemente impattanti sulla biodiversità vegetale e sulla biodiversità in senso più ampio
e noi dobbiamo cercare di avere una vita più sostenibile possibile, l’impatto umano deve essere sempre più
limitato e abbiamo tante strategie per poter ottenere questi risultati per cui la conservazione della
biodiversità vegetale è qualcosa di possibili e a partire dal secolo scorso tanti enti si sono dati da fare con
suggerimenti agli stati o con normative proprio per la conservazione.

ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI, ISTITUZIONI NAZIONALI E ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE CHE


PROMUOVONO L’USO CONSAPEVOLE E LO SVILUPPO SOSTENIBILE
Incominciamo considerando le organizzazioni internazionali, le istituzioni nazionali e le organizzazioni non
governative che promuovono l’uso consapevole e lo sviluppo sostenibile. Ci sono tanti di questi enti che a
partire dal secolo scorso in particolare dal periodo successivo alla Seconda guerra mondiale ma anche
precedentemente che hanno iniziato a considerare la conservazione della biodiversità vegetale come un
aspetto importante. Il termine biodiversità è stato introdotto dalla conferenza di Rio negli ultimi due
decenni del secolo scorso ma in realtà il discorso della conservazione era già stato inserito molto tempo
prima nell’ambito delle normative e dei suggerimenti che i diversi enti facevano agli stati.
UNEP (United Nations Environment Programme) è un’Agenzia istituita dalle Nazioni Unite per la
Conservazione della Diversità biologica
Associazione, ente che è stata costituita molti anni fa.
Gli scopi di questo ente che vedremo che ha poi avuto delle applicazioni e degli enti che derivano da lui e
delle convenzioni che sono state fatte è di:
- valutare lo stato dell’ambiente: stimolare gli stati a conoscere meglio la propria biodiversità
- promuovere strumenti ambientali nazionali e internazionali
- facilitare il trasferimento di conoscenze e tecnologi
- incoraggiare partnerships
Ha incominciato ad agire per stimolare tutte queste valutazioni e promozioni per attirare l’attenzione sulla
necessità di conservazione
Ci sono 6 uffici regionali nei continenti

Le principali attività di tipo normativo che UNEP ha effettuato


• Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate (CITES) 1973
• Convenzione sulla diversità biologica (CBD) 1992
• e molte altre attività per la tutela della biodiversità, con particolare attenzione alla promozione della
sostenibilità e dello sviluppo sociale
Questo concetto lo si vuole sottolineare. Per alcuni ecologi e biologi la conservazione si limita a non
toccare. Questo concetto viene ancora sostenuto oggi da molte persone ma in realtà è molto controverso.
Ci sono alcuni ambiti in cui non fare niente è la cosa migliore e questi sono gli ambiti della massina
naturalità. Abbiamo ed esempio una foresta primaria amazzonica e vogliamo conservarla. Cosa si fa? Non
bisogna toccarla. Sono dei casi particolari legati principalmente ad ambienti climacici al massimo del loro
sviluppo e maturità e che non hanno necessità di gestione per rimanere in equilibrio. In questi casi, quindi,
non bisogna fare nulla. In molti altri casi la conservazione passa attraverso la gestione e la gestione deve
essere sostenibile e ovviamente viene fatta da qualcuno, dalle popolazioni locali. Quindi il mantenere la
biodiversità e il gestirla serve al mantenimento delle popolazioni locali e in particolare dei loro usi, costumi,
tradizioni e va a ricadere sulla sostenibilità sociale e sullo sviluppo sociale. Il discorso della biodiversità non
può essere legato alla sola conservazione dei vegetali o degli animali ma deve essere integrato nell’ambito
della sostenibile e dello sviluppo sociale, cosa particolarmente difficile ma che viene sempre più integrata
nell’ambito delle normative perché se noi andassimo a mettere in contrasto lo sviluppo sociale e la
conservazione questo avrebbe dei risultati molto negativi. Esempio legato alla nostra realtà norditaliana:
esempio che può essere di aiuto per capire. Prof è stata per 12 anni nell’ambito del consiglio del parco
nazionale del gran paradiso (primo parco nazionale con grande importanza anche per gli altri parchi come
modello). La gestione del parco nazionale del gran paradiso fino all’inizio degli anni 80 è stata ispirata alla
Wilderness quindi il parco non dava ad esempio dei permessi alle popolazioni locali per fare delle attività,
anche solo per sistemare il tetto della propria casa. Questo contrasto ha portato degli attriti fortissimi,
anche attentati fatte da popolazioni, molte persone sono andate via dal parco, c’è stato uno spopolamento
delle zone del parco (parallelo allo spopolamento della montagna generale) e questo ha portato anche un
abbandono del territorio e noi sappiamo che il parco nazionale del gran paradiso non è caratterizzato da
foreste primarie e vergini ma ha bisogno di una gestione. Mettere in contrasto lo sviluppo sociale con la
conservazione della biodiversità è stato un grosso errore. Dagli anni 80 in poi ovviamente c’è stata una
grande attenzione alla conservazione della biodiversità (praterie, foreste, torbiere) ma questo si è cercato
di integrarlo nell’ambito dello sviluppo sociale: ad esempio il turismo sostenibile viene fatto nell’ambito del
parco e questo può dare maggiori opportunità di sviluppo alle popolazioni locali cosa che in effetti è
avvenuta perché il turismo nel parco nazionale del gran paradiso è stato fortemente sostenuto in
particolare dalla regione Valle d’Aosta che aveva maggiori possibilità economiche di sostegno e oggi è una
realtà indubbiamente interessante che fa da modello per la conservazione di aree montane. Questo è
ancora più vero quando andiamo in zone del sud america, dell’africa, dell’asia. Bisogna integrare la
promozione della biodiversità e dello sviluppo sociale con la conservazione della biodiversità. Discorso
difficile ma che deve assolutamente considerato
L’UNEP attraverso le diverse convenzioni cerca di portare a questa integrazione tra tutela della biodiversità
e promozione della sostenibilità
CITES Convention on International Trade in Endangered species of wild fauna and flora
www.cites.org
È un accordo internazionale tra stati , gli stati possono aderire oppure no ma oggi ci sono più di 200 stati
che hanno aderito (anche Italia)
Lo scopo è garantire che il commercio di specie animali e vegetali selvatiche possa minacciare la loro
sopravvivenza
Da sempre il commercio internazionale e in particolare tra gli stati a maggiore naturalità (africa, asia, sud
america) e il nord america, Europa (più avanzati) ha portato ad una fortissima riduzione della biodiversità.
Esempio venivano importate navi di orchidee epifite sia asiatiche sia sudamericane o africane in Europa.
La CITES ha limitato il commercio che riguarda animali e piante vivi e anche dei prodotti derivati e implica
miliardi di dollari ogni anno
Non si possono importare questi organismi o parti ma devono essere sequestrati alle frontiere e distrutte o
conservate in speciali siti di conservazione dei vegetali (es. orti botanici) che possono essere coinvolti in
questa attività o in speciali siti degli animali (centro per le tartarughe a Massa)
Anche l’avorio non può essere importato in nessuna forma in italia e quando ci sono dei container con
statuette in avorio o palle da biliardo vengono sequestrate e si ha un ivory crash (distruzione dell’avorio).
L’applicazione della CITES implica una notevole conoscenza degli organismi vivi e delle parti di organismo. È
molto complicato per esempio identificare le parti dentro integratori alimentari, dentro creme e purtroppo
gli animali e le piante pià rare da parte di alcune popolazioni umane vengono considerate di grande effetto
sulla via dell’uomo e sulla sua salute. Es. corno di rinoceronte, farine derivanti da rizotuberi delle orchidee.
La CITES è un accordo che funziona bene per certi tipi di organismi, anche per certi legnami di cui oggi non
si fa più commercio es. africani o sudamericani. Oggi questo commercio non viene più fatto.
L’adesione degli stati è volontaria e riguarda circa 30000 specie.
Deve essere un accordo tra stati perché il commercio è quasi sempre internazionale
Ci deve essere una fase di partenza in cui c’è un controllo
Noi spesso come orti botanici italiani veniamo coinvolti per l’accoglimento e la conservazione di piante che
vengono portate dall’estero (vive) e che non si sa bene dove mettere. Se ne hanno molte protette dalla
CITES.

In quali situazioni si decide di distruggere una specie: se si hanno organismi vive non si ha la distruzione
perché ci possono essere comunque conservazioni ex situ, lontano dall’ambiente in cui la pianta o animale
si sono sviluppati.
Pezzi di pianta (es. legname) o avorio vengono distrutti per non alimentare il mercato nero. Es. se delle
statue d’avorio venivano lasciate nei magazzini dello stato italiano in aeroporto chi mi dice che nel tempo
non ci sia qualcuno che prende queste statue e le rimette nel mercato nero? È un sistema di prevenzione
del reato all’interno di un paese. Con la CITES abbiamo firmato che nel nostro paese non possono essere
venduti prodotti fatti con avorio.
Ivory crash è stato fatto anche per azione dimostrativa, avendo l’avorio un valore commerciale molto
grande, il fatto che uno stato vada a rompere tante statuette d’avorio ha una certa ricaduta sul pensiero
che le persone hanno. L’ultimo ivory crash ha coinvolto anche le scuole per dare informazioni di
conservazione.

Perché non vengono riportate le piante nel paese d’origine? Perché sarebbe un costo, anche perché
rimettere in natura che sono state tolte non è facile e potrebbe anche portare a ulteriori danni. Tante volte
per gli animali arrivano magari in cattive condizioni di salute per il trasporto e le devono curare e nutrire e
rimetterle direttamente in natura sarebbe impossibile, per noi sarebbe impossibile rimetterle in natura
perché sono animali esotici. Gli stati da cui sono state tolte dovrebbero riprenderle e rimetterle in natura
cosa però non facile anche se sarebbe la cosa migliore e più adatta. Questa cosa viene fatta spesso in Italia.
Es. articolo sulla Stampa: centro per gli animali selvatici di Grugliasco ogni anno riceve migliaia di animali
portati da persone (gran parte uccelli), questi vengono curati per essere rimessi in natura. Però tante volte
sono animali degni di conservazione secondo la direttiva habitat anche se sono animali nostri e reinseriti in
natura. Per le piante il discorso è più facile, il reinserimento in natura viene fatto qualche volta se vengono
raccolte piante con radici e devono essere rimesse nel loro ambiente. Su piante e animali che arrivano vivi
in cattive condizioni da lontano è più difficile. Si conservano in orti, o serre o centri per la raccolta di
animali.

Nel caso si possegga un pezzo di pianta/animale da prima dell’entrata in vigore della convezione CITES è
possibile fare un certificato? SI
C’era qualcuno che aveva delle palle da biliardo in avorio comprate all’inizio del 900. In quel caso la persona
deve dichiarare di avere quegli oggetti in avorio e viene fatto un certificato per cui può mantenere questo
oggetti in casa perché sono di sua proprietà e sono autorizzati.
Discorso diverso per piante e animali vivi ma è comunque possibile farsi fare un certificato

Convention on Biological Diversity (CBD)- 1992, l’Italia ha formalizzato la sua partecipazione nel 1994
www.cbd.int
sito continuamente aggiornato con nuove attività svolte nei diversi paesi.
Convenzione alla quale i paesi possono decidere o non decidere di partecipare.
È una convenzione straordinaria che comprende tantissime attività e stimola gli stati a svolgere attività di
conservazione della biodiversità, e di conoscenza a tutti i livelli di scala. La convenzione della diversità
stimola alla ripartizione durevole (sostenibile) della biodiversità e una ricaduta sociale alla ripartizione equa
e durevole dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse.
SCOPI: conservazione della biodiversità (a livello genetico, di specie, di comunità, di paesaggio), sua
utilizzazione durevole, ripartizione equa e durevole dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle
risorse
È stato un passo avanti enorme per la gestione della biodiversità.
Se ci interessa questo tema andare a vedere cosa è successo in Costa Rica. Il Costa Rica è un paese che ha
deciso di vendere l’utilizzo di alcune specie vegetali animali e vegetali presenti sul suo territorio a caro
prezzo e cercando di mantenere quelle stesse specie sul territorio e ha usato quei soldi che sono derivati
dalla vendita del prodotto fatto tra lo stato della costa Rica e altre associazioni è stato rimesso sul territorio
con strutture e con progetti della conservazione della biodiversità, infatti è uno dei paesi più attenti alla
conservazione della propria diversità. Questo discorso della ripartizione equa e durevole dei vantaggi
derivanti dallo sfruttamento delle risorse viene regolamentata dal protocollo di Nagoya che è un protocollo
internazionale che vuole economicamente garantire gli stati che possiedono certe specie vegetali o animali
e questo è giustissimo. Se pensiamo al colonialismo che prevedeva che qualsiasi persona andasse in un
paese, prelevasse piante e se le portasse via senza pagare nulla, anzi magari creando danni alla popolazione
e alle foreste. Questo discorso della ripartizione equa e durevole dei vantaggi è veramente un pilastro della
convenzione e viene applicato attraverso il protocollo di Nagoya.
187 i paesi firmatari

Quali sono le indicazioni date ai paesi


Ogni paese deve:
- elaborare strategie e piani volti a conservare la biodiversità: in italia abbiamo avuto tanti
finanziamenti come società botanica italiana ma anche come singole università per fare strategie e
piani volti a conservare la biodiversità. Conoscere meglio le specie rare e capire come conservarle
- identificare gli elementi della biodiversità ai fini della conservazione: sono state fatte le flore,
elenchi di specie rare di cui sono state fatte es. le cartografie di distribuzione.
- controllare mediante campionamenti gli elementi della biodiversità: monitoraggio ogni 5 anni
secondo unione europea per valutare se le specie rare sono in buono stato di conservazione o lo
peggiorano.
- analizzare i processi che hanno impatti negativi sulla biodiversità: ad esempio se ci sono delle
attività dell’uomo es. costruzione di piste da sci, coltivazioni di cave, costruzioni di strade,
autostrade, ferrovie dove ci sono specie rare, bisogna agire per cercare di conservarle (direttiva
habitat ha gettato le basi per la conservazione della biodiversità)
Stimolazione Promozione della ricerca sulla biodiversità
L’emanazione più importante della CBD è la IUCN International Union for Conservation of Nature
Già prima era presente dal 48 del secolo scorso ma attraverso la CBD la IUCN ha assunto una maggiore
importanza e ha fatto sue delle attività che la CBD stimolava ad esercitare.
www.iucn.org
Organizzazione, ente, sovranazionale, internazionale nata nel 1948 in Francia che raggruppa molti enti
diversi (1000 membri e più di 150 nazioni). La società botanica italiana ne fa parte e può partecipare alle
riunioni e ha dei suoi delegati che fanno parte di questo ente e possono apportare conoscenze sul territorio
italiano importanti perché alcune specie vengono messe su proposta dello stato italiano e della società
botanica italiana su delle liste rosse
Dal 1963 promuove la redazione di Liste rosse prima a livello nazionale e poi internazionale
Ci sono molte specie italiane segnalate come minacciate di estinzione.
Nel 1976 prima lista delle specie minacciate d’Europa con classificazione di fattori di minaccia: es. Isoetes
malinverniana, fatto assessment (studio per analizzare le minacce che hanno ridotto il suo areale di
distribuzione) e questa specie è stata inserita nella lista rossa delle specie criticamente minacciate per la
IUCN
Le liste rosse non hanno valore normativo, sono un suggerimento da parte delle ente internazionale IUCN
degli stati per mettere queste specie minacciate o criticamente minacciate in normative per la loro
protezione. Mettere la specie in lista rossa è già un primo passo per la sua conservazione anche se la lista
rossa non ha una sua importanza e ricaduta normativa.
Progressivo miglioramento del protocollo con aggiornamento delle categorie di minaccia. Oggi si usa la
versione 2001
Mette a punto protocolli con aggiornamento delle categorie di minaccia. Come si fa a dire che una specie è
minacciata? Quando è stata fatta la legge regionale del 1982 c’era all’orto botanico un tavolo tecnico che
decideva le specie da mettere nelle liste ma non c’erano dei criteri oggettivi per poter dire che quella specie
era criticamente minacciata o no

Invece oggi la IUCN mette a punto un processo che si chiama assessment


Oggi si producono assessment che vengono pubblicati sul sito IUCN
(www.iucnredlist.org)
Questi assessment mettono in evidenza i criteri che la IUCN ha stabilito per fissare le specie e metter in
elenco le specie minacciate
Assessment può essere fatto a livello globale e anche regionale (l a rarità di una specie può essere diversa
in un territorio o in un altro, può essere molto rare in piemonte ma non in altri paesi)
Liste rosse recenti fatte secondo i criteri IUCN in molti paesi (Svizzera, Svezia, Gran Bretagna, Repubblica
ceca) anche in italia.
Le liste rose sono un Supporto per la normativa

Aspetto importante dell’emanazione della CBD


La CBD ha previsto tutte queste attività che non erano ben definite all’inizio, c’erano solo dei trend da
seguire.
È stata quindi studiata la Global strategy for plant conservation
Redatta nel 2002 per implementare la Convention on biodiversity
L’obiettivo è di rallentare la continua perdita di biodiversità vegetale
Scopi:
• Conoscenza delle specie e la loro distribuzione
• Conservazione delle specie e degli habitat in cui vivono . Mentre prima del 1992 in particolare si pensava
alla conservazione di singole specie (cosa che si fa ancora adesso) ma l’attenzione si è spostata alla
conservazione degli habitat ed è stata poi fatta la direttiva habitat. Si sposta l’attenzione non solo alle
singole specie che possono essere considerate importantissime perché devono essere conservate una per
una ma si conservano meglio si si conserva l’habitat in cui vivono
• Uso sostenibile delle risorse vegetali ( lo si dice in particolare per le specie ad uso medicinale ). In tanti
stati ci sono molte popolazioni che vivono sulla raccolta di specie medicinali ed è molto negativo per il
mantenimento della popolazione di quella specie, bisogna intervenire magari suggerendo tecniche di
coltivazione della pianta, magari cercando di stimolare la raccolta non degli individui più piccoli che non
producono semi
• Promozione, educazione e rispetto della natura attraverso tantissime attività
• 2010 è l’anno della biodiversità ed è la data strategica per il conseguimento dei primi obiettivi
(COUNTDOWN 2010)

La conservazione degli habitat richiede meno costi rispetto alla conservazione delle singole specie ed è più
facile dal punto di vista del controllo. le regioni hanno la responsabilità della conservazione, l’habitat deve
essere conservato di per sé e c’è lo strumento normativo per evitare certi tipi di danno agli habitat che
contengono specie particolari. Ancora un concetto su cui torneremo, molto importante della conservazione
degli habitat è che tu non vai a conservare una sola specie ma tutte le specie insieme, anche quelle che non
conosci. Conservi le piante tutte insieme per conservare l’habitat e ne permetto la sopravvivenza.
Specie ombrello: es. mettiamo che vogliamo conservare il panda ma p chiaro che per conservarlo devo
conservare il bambo e l’habitat. Ci sono alcune specie molto appariscenti in particolare animali che
richiamano molto l’immagine e l’idea di necessità di conservazione e questa viene definita ombrello perché
conservando quella conservo tutte le altre. In realtà è scientificamente più valido il concetto di
conservazione di habitat perché conservando l’habitat conservo tutto.

Procedura IUCN
Protocollo 2001 e linee guida per la sua applicazione.

Sempre attraverso la IUCN e la global strategy sono


stati stabiliti i protocolli e linee guida per l’applicazione
dei protocolli per stabilire se determinate specie
(vegetali e animali) sono CR: critically endangered
ovvero quelle minacciate in modo critico estremo.
EN: endangered minacciate
VU: vulnerabili a minor rischio di estinzione
Ci sono anche le LR: low risk non minacciate per nulla.
I criteri fondamentali sono la riduzione delle
popolazioni nel tempo. se ad esempio negli ultimi 10
anni la popolazione di quella pianta si è ridotta di più
del 90% delle sue stazioni o la sua distribuzione
geografica si è ridotta a meno di 100 chilometri
quadrata la specie è critically endangered.
Se la riduzione della popolazione è maggiore del 70% è
endangered, se la riduzione è maggiore del 50% è
vulnerabile. È difficile da sapere perché in tanti casi, negli anni 50-60 del secolo scorso non si avevano tutti
gli strumenti tecnologici anche per poter sapere gli areali di distribuzione quanto erano grandi o quante
popolazioni c’erano.
In questo senso ci aiutano molto gli erbari perché tante volte (purtroppo o per fortuna) hanno molti
campioni di specie rare.
Es. Isoetes malinverniana o altre specie un po’ bandiera della nostra biodiversità dell’Italia nordoccidentale.
Se per esempio vediamo gli erbari di Torino ci sono magari 50 esemplari di ciascuna di queste specie e
magari ogni anno raccolte negli stessi posti. Purtroppo queste popolazioni si sono ridotte nel tempo perché
i botanici hanno raccolto a man salda e questo non si fa più ovviamente però dall’altra parte abbiamo la
testimonianza della presenza di queste piante sul territorio e del fatto che nel passato c’erano molte più
stazioni e oggi ce ne sono molte di meno quindi la specie è stata testata e monitorata nel tempo, oggi il
monitoraggio delle specie rare non si fa con i campioni di erbario, ma con i GPS inserendo questi dati in
software di archiviazione dati che sono molto diffusi ormai e che vengono usati non solo da scienziati e
botanici ma anche da cittadini attraverso la citizen size che conoscono particolarmente bene certe specie e
possono con il loro cellulare dire che lì c’è quella pianta. Poi c’è un controllo da parte di un ente che valida
quel dato ma si hanno poi queste ottime carte di distribuzione che anno per anno dicono se la popolazione
si è ridotta oppure no. Un primo criterio è comunque la riduzione del numero delle popolazioni per poter
classificare la specie in critically endangered, endangered e vulnerabili.
La distribuzione geografica (areali, ampiezza dell’areale di distribuzione) è un concetto squisitamente
geografico e non ecologico. Se l’areale è inferiore a 100 km quadrati o se si ha avuto una riduzione fino a
100 km quadrati è critically endangered, a meno di 5000 km quadrati è endangered e a meno di 20000 km
quadrati è vulnerabile.
L’ampiezza delle popolazioni si riferisce al numero di individui. È un criterio difficilissimo perché ci sono
specie in cui è facile determinare le piante ma ci sono anche specie es. clonali di cui è difficile dire quanti
individui ci sono.
Le piccole popolazioni sono quelle considerate a maggiore rischio di estinzione anche perché il gene flow, il
passaggio dei geni da una popolazione all’altra può essere sempre più difficile. Ci sono tante specie di cui
abbiamo magari 10 esemplari in tutto. Si fa sempre l’esempio di abies nebrodensis, di questa pianta sono
conosciuti 32 esemplari e si cerca di moltiplicarli da seme e magari rimessi in natura. Tanto più le
popolazioni sono piccole tanto più la specie è critically endangered.
La probabilità di estinzione in futuro è l’ultimo criterio elencato, è difficilissimo sapere e valutare se nei
prossimi 10, 20 o 100 anni si ha una probabilità di estinzione del 20, 50 o 10%
È chiaro che se la probabilità di estinzione è del 50 % nei prossimi 10 anni (es. Isoetes malinverniana) allora
la metto nei critically endangered, se invece scendo a percentuali inferiori allora secondo questo criterio la
specie potrà essere endangered o vulnerabile a seconda della classificazione della specie a quel punto nella
mia documentazione che mando alla IUCN per dire se la specie è criticamente minacciata o no io vado a
dire quali sono i criteri che ho applicato.

Nel definire quali sono i criteri si sono fatte delle distinzioni fra i tipi di organismi (piante, animali)?
Si sono state fatte distinzioni. Questi sono i criteri per le piante. Ci sono numerose differenze fra organismi
più grandi, piccoli, vegetali, animali. Di certi animali abbiamo stazioni e siti precisi in cui sono presenti (es.
insetti, coleotteri) però per i lupi, ad esempio, si muovono molto o comunque ci possono essere animali che
si muovono di 100 km in una giornata. Ogni organismo ha bisogno di una precisazione dei criteri. Per gli
organismi vegetali ci sono questi criteri generali ma a livello italiano la società botanica ha fatto insieme a
ISPRA (istituto derivante dalle attività del ministero per approfondire questi punti) un protocollo di
monitoraggio per le specie vegetali rare per gruppetti di specie vegetali e non per tutte insieme ma per
piccoli gruppi (es. specie ce vivono nelle falesie rocciose, specie acquatiche, di foresta). Sono stati
approfonditi questi protocolli di monitoraggio per stabilire se la specie è ancora in buone condizioni o se
peggiore il suo stato di conservazione.
Ogni specie praticamente necessiterebbe di un suo protocollo di monitoraggio, poi si cerca di raggrupparle
e di dare un protocollo di monitoraggio per un gruppo in modo da uniformare le procedure.
Per questo è molto importante la salvaguardia dell’habitat perché in questo modo si conserva tutto, non
solo la singola specie vegetale ma anche la specie fungina che magari vive in simbiosi con quella specie
vegetale che per il 90% dell’anno non vedo e solo in determinate occasioni lo posso registrare. È vero che
conservando le specie vegetali e l’habitat in cui le specie vegetali sono presenti io vado a conservare tutto e
quindi la conservazione delle specie vegetali sta alla base della conservazione della biodiversità cross taxa.
Es. c’è stato un progetto nelle alpi marittime in cui si faceva un analisi della biodiversità di tutti gli
organismi, non solo di piante e animali ma di tutto insieme, anche perché ci sono habitat in cui c’è un
altissima biodiversità animale e bassa vegetale o viceversa. Non è detto che la biodiversità bassa vegetale
implichi una bassa biodiversità animale quindi studiare tutte le biodiversità è importante.

Maggiori minacce per la perdita di biodiversità


1. Perdita di habitat e frammentazione di habitat : questa è sicuramente la più grande minaccia di
perdita di biodiversità che si è evidenziata a livello europeo e mondiale
2. Specie esotiche invasive: sappiamo bene che vengono importante volontariamente o
involontariamente dall’uomo tantissime specie esotiche invasive e non invasive. Quelle invasive
sono molto pericolose per la biodiversità. Oggi c’è anche un regolamento europeo per le specie di
rilevanza unionale, queste specie esotiche non possono essere vendute, detenute, coltivate ecc. e
si cerca di ridurre l’introduzione di specie esotiche invasive. Tutte queste possono (es. siluro del Po
e Nutria) ridurre la biodiversità nativa
3. Raccolta delle piante è sicuramente importante e viene considerata la terza minaccia
4. Mortalità accidentale più legata agli animali che non ai vegetali anche se può essere presente (Es
fulmine)
5. Persecuzione ( lupo nel caso degli animali)
6. Inquinamento anche se negli ultimi anni in particolare in Europa si è parzialmente ridotto perché
siamo più consci dai danni da inquinamento e ci sono normative che regolano es. i rilasci di acque
inquinati dalle aziende ai fiumi e c’è quindi stato un maggiore controllo
7. Disastri naturali ( frane)
8. Cambio nelle dinamiche vegetazionali: importante, ad esempio, abbandono praterie che vengono
invase da specie arbustive e arboree e le orchidee presenti prima in quelle praterie non ci stanno.
Le formazioni arboree in Europa tendenzialmente sono meno ricche di biodiversità rispetto agli
stadi dinamici intermedi della serie
9. Fattori intrinseci alla specie: problema sulle specie rare es. Isoetes malinverniana. Felce acquatica
che produce spore maschili e femminili che devono incontrarsi nell’acqua con la corrente, anche la
scarsa diversità genetica sono problemi che rendono molto fragile una pianta e quindi i fattori
intrinseci possono essere determinanti. Molto spesso quando una pianta è rare è difficile che solo
l’attività dell’uomo abbia determinato questa rarità, il più delle volte è perché la specie è
caratterizzata dalla scarsa produzione di semi o dalla scarsa adattabilità.
10. Disturbo antropico: anche la perdita di habitat e le specie invasive sono un disturbo antropico. La
gran parte delle minacce già viste sono comprese nell’ambito del disturbo antropico.
11. Altro

Assessment di Primula palinuri Petagna


esempio di assessment. L’assessment è la primula
palinuri descritta da botanico Petagna. Questa
primula a fiore giallo è presente sulle falesie della
costa di Salerno, Campania, Calabria.

È una Geofita rizomatosa come tante primule ha un


rizoma presente nella roccia
Cresce su Rupi marittime calcaree, da 0 a 200 m di
Quota (spesso vicino al mare)
Endemica del settore Calabro Lucano
(Campania, Basilicata e Calabria).
In tutto ci sono 6 popolazioni
Minacce: insediamenti umani, turismo ( in quella
zona il turismo ha una pressione forte), incendi ( possono essere importanti nel ridurre le popolazioni ),
invasione di specie aliene ( sulle coste marine es. il Carpobrotus acinaciformis è una specie invasiva molto
importante che può accrescersi specialmente sulle sabbie ma anche in prossimità di rupi rocciose), la
raccolta può essere importante perché essendo una bella pianta le persone vanno a raccoglierla, le frane
possono essere determinanti e il fatto che questo areale sia così ristretto fa sì che ci sia uno scarso
trasferimento di geni tra una popolazione e l‘altra perché è vero che l’areale è ristretto ma le popolazioni
sono distanti l’una dall’altra, c’è quindi una basa diversità a livello genetico

Criteri IUCN applicati


• Criterio A 3c Riduzione della popolazione (-20%) negli ultimi 10 anni
• Criterio B 1 EOO di 9198 Km2 (inferiore a 20000 Km2) extension of occurrence cioè l’areale
• Criterio B2 Superficie occupata (AOO) compresa tra 40 e 60 Km2(inf a 500 Km2)
• Risulta specie vulnerabile (VU) come categoria di rischio. messa nella lista rossa e in direttiva habitat ed
è stata inserita in leggi regionali
• Conservazione ex situ ( stimolata da Orti botanici).
Su questo ci sarebbe tanto da dire. È chiaro che la conservazione in sito è la migliore delle conservazioni
perché permette alla pianta di vivere nelle condizioni ottimali e permette di moltiplicarsi nel modo
migliore.
L’ultima possibilità quando una specie è veramente a rischio di estinzione è la conservazione ex situ, se
permettiamo completamente l’estinzione quel genoma viene perso e non c’è più niente da fare quindi la
conservazione ex situ negli orti botanici garantisce in qualche modo il fatto che possa essere mantenuto
questo patrimonio genetico.
La conservazione ex situ è sempre molto difficile perché queste piante sono molto difficili come ecologia.
Negli orti botanici della zona a volte è possibile coltivare a partire da semi.

Quello che abbiamo visto sono i criteri applicati a questa specie. Abbiamo fatto e faremo l’assessment per
Isoetes malinverniana che è risultata critically engagement quindi una specie a forte rischio di estinzione.
Perché è giusto e opportuno studiare queste specie a rischio? Si stimolano le regioni responsabili della loro
conservazione a livello della normativa europea perché queste specie sono da mettere in lista rossa e nelle
leggi sulla conservazione.
A livello piemontese e valdostano esistono e sono state fatte negli anni 80 delle leggi regionali sulla
conservazione delle singole specie. In particolare in piemonte c’è la legge 32 dell’ 82, questa legge regionale
comprende una lista di specie che non si possono raccogliere. La difficoltà dell’applicazione è legata al fatto
che dovrei controllare le persone se hanno raccolto quella pianta o no e quindi questo modo di facilitare la
conservazione è ancora esistente in tutte le regioni italiane dove ci sono leggi sulla conservazione di singole
specie ma non ha un effetto così facile da applicare e così importante.
In generei n queste leggi regionali per la conservazione di singole specie vengono elencate le specie che
sono più appariscenti es. primula palinuri è una pianta molto bella e quindi tende ad essere raccolta. Le
persone raccolgono le piante senza pensarci e le danneggiano. La cosa importante è la conservazione
dell’habitat.
Se no si va incontro ad una procedura di infrazione da parte dell’unione europea. Come si fa a sapere che la
regione non ha assunto la propria responsabilità di conservazione? I singoli cittadini possono denunciare
questo fatto.
È molto importante rispettare la normativa europea e farla rispettare legata alla direttiva habitat che è
legata agli habitat ma anche a specie di particolare pregio. Tutti i regolamenti e le norme viste fino ad
adesso sono stati istituiti a livello sovranazionale per poter spingere gli stati a poco a poco a conoscere
meglio la propria biodiversità (es. attraverso flore, distribuzione geografiche) per poter fare il monitoraggio
nel tempo della loro permanenza e dello stato di conservazione e di salute delle piante. Lo stato di salute
può essere non solo relativo alla raccolta e all distruzione degli habitat ma anche al cambiamento climatico
ed è importante per le specie alpine che sono tante e che anche se non vengono raccolte sono in cattivo
stato di conservazione perché le temperature si innalzano e c’è una riduzione delle loro capacità di crescita
perché soffrono es. l’aridità estiva.

Ci sono molte società scientifiche sia per i vegetali che per gli animali che raccolgono gli appassionati, le
persone che non hanno una loro professionalità ma che sono appassionati. Queste società scientifiche
fanno degli incontri, e si riuniscono in gruppi in cui le persone fanno vedere i loro risultati.
Ci sono diversi strumenti per segnalare la presenza delle specie. Si fanno anche foto.

Il criterio per una stessa specie dipende dalla percentuale di riduzione della popolazione. Se si riesce a
stabilire la riduzione della popolazione questo è un criterio per stabilire se è critically endangered o
endangered.

Per ora la prof non sa di stati che sono usciti da CITES. C’ è anche pressione culturale o sociale sul rispettare
la CITES. È difficile che uno stato cui predecessori hanno firmato una convenzione per la salvaguardia della
biodiversità che esca. se accadesse ci sarebbe una sollevazione popolare forte. Ci sono stati problemi per il
protocollo di Nagoya perché questo discorso limita ancora di più l’uso e da parte di alcuni ministeri viene
vista male ad esempio per le specie di interesse alimentare il ministero dell’agricoltura non vuole porsi
limitazioni e non abbiamo ancora adottato con una normativa italiana il protocollo di Nagoya. Al momento
non ci sono sanzioni per chi non rispetta ma si le procedure di infrazione sul territorio vengono applicate.

15 marzo 2021

Siamo giunti a parlare di normativa già presupponendo che si sappia il perché è così importante conservare
la biodiversità possibile sia quella che conosciamo sia quella che non conosciamo
Quello che è importante è che molta della biodiversità non la conosciamo ancora, quindi la salvaguardia
delle singole specie è difficile da attuare non tanto per le specie vegetali che come vedremo per l’Italia
conosciamo abbastanza bene quanto per le specie fungine, per i batteri, per i nematodi per gli insetti,
organismi di cui si conosce meno il numero delle specie presenti, quindi sarebbe quasi impossibile
conservare la biodiversità evidenziando una specie dopo l’altra quindi mettendo nella normativa le diverse
specie. Da questo concetto viene fuori e lo vedremo oggi, la necessità di salvaguardare gli habitat e non
solo le singole specie.
Andiamo sul discorso delle singole specie, abbiamo visto l’altra volta la normativa internazionale, adesso
vediamo anche quello che conosciamo della flora italiana e la normativa italiana a tal proposito.

Cosa sappiamo della biodiversità vegetale?


Pochissimi dati sulla variabilità genetica
Dati floristici
Dati vegetazionali
Dati paesaggistici
Come li abbiamo raccolti?
Come sono archiviati? Data base, erbari, bibliografia

Che cosa conosciamo della biodiversità vegetale? La prof ci tiene a dirlo facendo riferimento alla
biodiversità europea e in particolare a quella italiana
Da epoche antiche, ma sicuramente da Linneo in poi (1750) i botanici si sono dati molto da fare con
l’esplorazione territoriale, esplorazione floristica territoriale che è andata molto nel particolare e tantissime
energie sono state messe nei viaggi di esplorazione sia in Italia, in Europa ma anche in altri paesi e abbiamo
ottenuto tantissimi dati floristici sulla presenza delle singole specie. Di questi dati floristici ad oggi vediamo
quelli che sono i database pià importanti sul territorio italiano, ma la flora in Europa è abbastanza ben
conosciuta quindi riteniamo di avere dei dati abbastanza precisi sulla quantità di specie presenti e sulla loro
distribuzione. Questi sono quelli che chiamiamo dati floristici e chiamiamo flora un insieme di specie
presenti su un territorio nazionale (es. la flora di Italia).
Di queste specie ad oggi si stanno facendo molte analisi sulla variabilità genetica ma per ora abbiamo
pochissimi dati sulla variabilità genetica delle specie presenti sul nostro territorio. abbiamo una conoscenza
un po’ più accurata della variabilità genetica nel caso delle specie forestali perché ad esempio sul faggio, sul
larice, sull’abete rosso, sulle specie più importanti dal punto di vista forestale incominciamo ad avere più
dati perché si pensa che questo sia molto importante ai fini di un utilizzazione delle diverse popolazioni in
ambiti diversi da quello in cui si trovano. Es. prendo una popolazione di larice dalle alpi orientali e la voglio
andare a mettere es. per fare un rimboschimento sulle alpi occidentali. Avere un idea sulla variabilità
genetica può dirci quanto questo sia opportuno da fare oppure no. Ci dice anche sulle specie rare se queste
hanno una maggiore o minore possibilità di rimanere presenti sul territorio perché tanto più una specie ha
elevata variabilità genetica tanto più è probabile che riesca a rispondere alle minacce, ai cambiamenti
climatici o a cambiamenti di uso del territorio.
Abbiamo ancora relativamente pochi dati sulla variabilità genetica, ne abbiamo invece molti di più sulle
specie di interesse vegetale e agrario (frumento, orzo, segale, mais, soia, riso). Le grandi colture le
conosciamo piuttosto bene dal punto di vista della variabilità genetica.
Prima di approfondire questi dati floristici, a partire dagli anni 50-60 del secolo scorso si è incominciato a
raccogliere dati vegetazionali, col metodo fitosociologico o con altri metodi si sono descritte le principali
comunità vegetali, i diversi tipi di bosco di faggio, di abete rosso, le diverse praterie di alta, media, bassa
quota, i pascoli alpini. In italia si hanno molti dati vegetazionali sulle comunità vegetali e anche abbastanza
sulla loro distribuzione sempre nell’ottica di sapere se c’è più o meno biodiversità vegetale nelle diverse
comunità vegetali e se sono da conservare, anche se non sono stadi dinamici finali della serie di
vegetazione ma se sono invece stadi intermedi come possono essere le praterie di pianura, media quota,
collinari, fascia subatlantica, subalpina ecc.
Tutti questi dati sono stati inseriti in alcuni database come alcuni dati floristici
Abbiamo ancora dati paesaggistici che sono più che altro di tipo fisionomico come, ad esempio, dove sono i
boschi, dove sono le praterie ma senza specificare bene e questi dati sono spesso contenuti in cartografie
regionali che sono state redatte sulla base di immagini aeree, abbiamo delle carte che vengono messe sotto
il nome di CORINE LAND COVER, questi dati di tipo paesaggistico, possono dare quando si scende a livelli di
scala un pochino più accurati, anche per i boschi, le specie arboree dominanti.
Come sono stati raccolti tutti questi dati? Nel tempo ci sono tanti botanici, agronomi, forestali, biologi che
si danno da fare per andare a cercare dati sul territorio, ormai tutti i dati sono georeferenziati, non c’è
nessuno che fa sul territorio senza avere un GPS e senza sapere che quella specie è presente in quel
determinato punto del territorio perché questo permette di fare delle cartografie. Sono stati raccolti prima
di tutto negli ultimi decenni attraverso l’analisi e l’esplorazione territoriale con GPS, prima invece tutti i dati
venivano pubblicati su articoli o raccolti in dati di erbario in cui c’è la località che è sempre difficile da
georeferenziare in maniera precisa, si può georeferenziare con un margine e un range di precisione.
Come sono stati archiviati questi dati? Sicuramente in erbari in bibliografia ma molto ormai con i database.
Ci sono database di tipo floristico o vegetazionale molto diffusi sul territorio e molto condivisi, la filosofia è
quella di metterli a disposizione di un pubblico sempre più grande e sempre più liberamente questi dati.
Questo avviene non solo per le specie spontanee ma anche per le coltivate es. negli orti botanici, gli orti
botanici partecipano a raccolte di dati per inserire tutte le piante che si hanno. Negli orti botanici del
mondo sono coltivate più di 60.000 specie arboree nel mondo e questo è eccezionale perché in Italia di
specie native arboree ne abbiamo meno di un centinaio, di specie coltivate invece ne abbiamo molto di più
L’orto botanico di Torino ha circa 200 specie arboree e hanno in tutto 2500 specie vegetali.

Come sono stati archiviati questi dati?


Partiamo da quelli floristici. Tante
pubblicazioni, tante raccolte di dati di questo
tipo, ricordiamo innanzitutto per il territorio
italiano LA FLORA ALPINA, questi 3 volumi
della Zanichelli, di Aeschimann e altri che
hanno raccolto questi dati facendo lavorare
tante università e enti territoriali, regionali o
provinciali su tutto il territorio alpino. È la
prima volta che abbiamo una flora alpina
completa che riguarda l’Italia, la Francia, la
Svizzera, l’Austria, abbiamo quindi un
territorio molto ampio ed è interessante
perché si è arrivati ad avere una
nomenclatura unica e questa è una cosa difficilissima da fare perché nelle diverse zone del mondo e delle
alpi si sono usate nel tempo nomenclature differenti. Con Flora Alpina invece si è uniformata la
nomenclatura e abbiamo la divisione in tante province (es. Cuneo, Torino, Aosta) italiane o francesi ecc. e
c’è l’esempio di Thiaspi rotundifolium subspecie corymbosum, questa è una specie endemica delle alpi
occidentali e centrali e c’è la distribuzione nelle varie province. C’è anche qualche dato di altezza,
dimensione, ci sono dati ecologici, se è presente su silice o calcare, il pH e poi alcuni altri dati, ad esempio,
la necessità ecologica idrica e la quota a cui la specie si trova. Ci sono alcuni dati di tipo ecologico e dice
anche se è endemica o no e di che territorio. questo per tutte le specie delle alpi e questo dal punto di vista
della biodiversità ci fornisce molte informazioni interessanti.
L’università ha contribuito con i dati di erbario per la provincia di cuneo e di Torino, qualche dato anche
sulla valle d’Aosta.

Conti, Abbate, Alessandrini, Blasi, 2005


An Annotated Checklist of the Italian Vascular
Flora
Curatori per il Piemonte: Bouvet, Montacchini, Siniscalco
Oltre a questa flora delle alpi ci sono tante flore di italia che si sono susseguite nel tempo. una delle prime
flore del 1925 è stato il fiori, usato per tantissimi anni anche se ormai molto superato, c’è stato anche il
Pignatti 1982 che in gran parte abbiamo usato per l’identificazione delle specie per le chiavi dicotomiche,
ma in quella flora era anche presente la distribuzione delle specie in italia
Nel 2005 è stato prodotto questo volume di tanti collaboratori ciascuno per la sua regione, questo è
l’insieme dei dati forniti. Ci sono i nomi delle piante, le presenze con un + per ogni regione italiana. Se la
specie, ad esempio, Populus canadensis è aliena allora c’è un simbolo A. ci sono già alcune informazioni
sulle specie native ed esotiche

Conti et al., 2007


Integrazioni alla Checklist della flora vascolare italiana
Curatori per il Piemonte:
Bouvet, Soldano
Nel 2007 c’è già stata una prima integrazione alla checklist della flora vascolare italiana che ha gia fatto
delle aggiunte perché è chiaro che una flora, ed è chiaro che nessun elenco di nessun gruppo di organismi è
mai completo, si aggiungono entità o modifiche.

Flora d’Italia
Bartolucci et al. 2018. An updated checklist of the vascular flora native to Italy. Plant biosystems.
Galasso et al. 2018. An updated checklist of the vascular flora alien to Italy. Plant biosystems.
Nel 2018 ci sono due pubblicazioni relative alla flora di italia che sono degli update, aggiornamenti rispetto
alla flora vascolare nativa pubblicata nel 2005 + le aggiunte del 2007 sia per le specie native sia per le
specie esotiche
la prima è scaricabile online ed è la più recente checklist che abbiamo mentre nella pubblicazione del 2005
dove avevamo insieme native ed esotiche e c’era una precisione sulle esotiche non proprio ottimale, nel
2018 c’è stata questa divisione tra native ed esotiche
queste due pubblicazioni al momento sono i punti di riferimento per la flora italiana anche se poi vedremo
che sempre sulla flora di Italia abbiamo altri archivi importantissimi che sono www.actaplantarum.org.
Questo sito è straordinario perché viene continuamente aggiornato, ci sono tanti siti di questo tipo per la
maggior parte delle nazioni europee, questo per l’Italia è un riferimento eccezionale perché dà tantissime
informazioni, le schede botaniche specie per specie continuamente aggiornate, dati sulla morfologia, sui
termini usati (dizionario botanico) etimologia dei nomi (interessante perché anche dal punto di vista
topografico ci possono essere dei nomi della Val Cerrina, Cerreto ecc. che testimoniano la presenza nel
passato di Quercus cerris se ci sono dei cambiamenti climatici o di uso del territorio, questi nomi
testimoniano una presenza ma magari queste specie non ci sono più).
Abbiamo anche per ogni specie un discorso di distribuzione e anche questo viene continuamente
aggiornato. actaplantarum è stata una novità per l’Italia e per il modo in cui è stato fatto. Normalmente
prima di actaplantarum c’è stata una persona che decide di fare una flora che può essere d’Italia, del
Piemonte ecc. invece actaplantarum viene fuori dall’idea di un gruppo di persone, ci sono tantissimi
collaboratori ma è un lavoro che sale dal basso, tante persone che fotografano una specie, mettono il dato
online, viene validato ed entra a far parte del database che vien continuamente aggiornato
I dati di actaplantarum sono stati riversati e continuano ad esserlo, sul Portale della flora d’Italia sono
esattamente i dati di actaplantarum resi disponibili e visibili a tutti dando ulteriori informazioni ma tutte
vagliate dal gruppo di actaplantarum
di floristi hobbisti in italia ce ne sono tantissimi, che generalmente fanno riferimento alle società
scientifiche. Esiste la sezione piemontese della società botanica italiana a cui tante persone aderiscono.

Pignatti et al. 2019


Flora d’Italia 2 edizione
Ancora un dato riassuntivo fatto in maniera tradizionale (Pignatti hanno scritto questi 4 volumi)
Nell’ultimo volume c’è anche la chiave dicotomica per determinare le specie mentre gli altri 3 volumi sono
descrittivi di tutta la morfologia delle specie, non solo ma anche della loro distribuzione.

Progetto Interreg II A Alcotra :


Banca dati per la gestione e la valorizzazione della biodiversità floristica delle Alpi Occidentali del Sud
(1998-2001)
Capofila: IPLA - Conservatoire Botanique di Gap-Charance
Partners: Dip. di Biologia Vegetale dell’Università di Torino
Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino

Sulla flora italiana abbiamo tantissimi dati che si sono accumulati nel tempo e si accumulano man mano
sulla base di studio anche finanziati dall’unione europea proprio in relazione e alla ricaduta di quelle
normative (es. CBD) di cui abbiamo già parlato
Gli stati mettono dei fondi per finanziare progetti valutati.
Università aveva collaborato circa 20 anni fa dal 1998 al 2001 ad un grande progetto europeo assieme alla
Francia. Si aveva avuto come capofila IPLA (istituto per le piante da legno e l’ambiente) ente regionale della
regione piemonte. E un orto botanico in Francia (enti statali che si definiscono conservatorie Botanique).
Fanno analisi territoriale ed esplorazione territoriale per sapere la distribuzione delle specie e la loro
presenza
Da questo lavoro è nato un archivio, database in cui si sono inseriti tantissimi dati dell’erbario
pedemontarum,

Progetto Interreg III A Alcotra:


Conservazione e gestione della flora e degli habitat nelle Alpi Occidentali del Sud (2003-2005)
Capofila: IPLA
Questo è il secondo progetto dal 2003 al 2005.
Gli Interreg hanno dato uan spinta della conoscenza della flora e un aggiornamento della conoscenza della
flora, in particolare questi hanno dato un aiuto per la conoscenza delle specie rare

Entità critiche, rare, endemiche e a rischio di


estinzione
in particolare era stato fatto un lavoro sulle
specie critiche, rare ed endemiche e a rischio di
estinzione come la primula allionii specie
straordinaria endemica italiana francese, poi
Thlaspi rotundifolium, altro studio importante di
distribuzione con tutte le entità tipiche. Ci sono
diverse sottospecie di questa specie. La
distribuzione è stata fatta con l’Atlas Flores
europea che dà la distribuzione delle specie sulla
base di una cartografia 10 km x 10 km

Isoetes malinverniana Ces. et De Not.


felce acquatica su cui sono stati fatti tanti studi e
assessment e anche per questa è stata data la
distribuzione della specie allo stato attuale

Cartografia floristica

Si danno gli areali per


punti, gli areali vengono
fatti tutti con ArcGis o con
altri strumenti cartografici
con un a base WGS 84 che
è una base cartografica
regionale. Gli areali
vengono definiti sulla
base, ad esempio, di dati
di erbario oppure di dati
bibliografici o di dati
raccolti man mano nel
tempo, si riesce a vedere
qual è la distribuzione. Es.
cocus medius questa è la
distribuzione attuale e
vediamo che c’è un dato
molto anomalo in alto e
bisogna andare a vedere in quella zona se c’è ancora la presenza della specie ma probabilmente era stato
un errore. L’areale per punti ci fornisce delle possibilità di andare a controllare. A destra vediamo la
distribuzione del crocus vernus, e poi albiflorus, ci sono le possibilità di mettere punti di diverso tipo.

Esempio di carta corologica topografica (a grande scala)


ci sono carte corologiche (di
distribuzione delle specie). Questo è
stato un atlante importante fatto sul
Friuli e c’è stata per esempio la
distribuzione della campanula
sibirica. Qui non si danno punti
precisi della specie ma si lavora con
una griglia, queste griglie vengono
molto usate quando non vogliamo
fornire il dato preciso di presenza, in
particolare per le specie rare. Ad
esempio la campanula sibirica è
presente in questo quadrante (es
10x10 km o a scala maggiore) queste carte sono tra le più usate al momento perché forniscono una
distribuzione generale senza dare il dato preciso in modo che la gente non vada a raccogliere quella pianta
esempio di carta corologica geografica (a piccola scala)
queste sono mappe fatte
tantissimi anni fa, si facevano a
mano
vediamo la distribuzione del
potamogeton gramineus, dal
polo si vede la distribuzione
circumpolare un po’ in tutte le
regione dell’emisfero nord. Ci
sono i punti di presenza e gli
areali di maggiore distribuzione
della specie. Si possono
costruire gli areali in vario
modo

cartografia floristica: carta dei fitoindividui


distribuzione degli individui della stessa specie mediante mappatura su grande scala tipo quadrati
permanenti)
si possono avere perfino carte
estremamente dettagliate, dettaglio
molto approfondito per es. la
distribuzione di abies nebrodensis,
pinacea presente in una zona della Sicilia
ed è molto interessante avere questa
distribuzione perché di individui ce ne
sono veramente pochi (da 1 a 32)
segnalati sulla mappa e questo permette
la loro conservazione in maniera precisa.
Questa specie è stata poi moltiplicata
nell’orto botanico di Palermo,
attualmente ci sono più piante ma in natura sempre queste. È una specie che è stata segnalata nel 2000,
prima non si sapeva della sua esistenza.

Distribuzione in quadranti
Distribuzione secondo una griglia UTM di 302 quadranti di 10x10km
Per il piemonte si è lavorato tanto con cartografie a griglia. Es. per la
Fallopia japonica, specie esotica invasiva distribuita sul territorio,
abbiamo un esempio di cartografia in cui si segnano i quadranti in cui
era stata segnalata prima del 1925, poi dal 25 al 49, dal 50 al 74 e dal
75 al 2005.
Tutti i quadranti nuovi in cui la specie è stata segnalata più
recentemente. Sono stati fatti aggiornamenti più recenti
Questa è una distribuzione secondo griglia UTM che è un sistema
cartografico riconosciuto in tutta Europa

Conoscenza della biodiversità


Perdita di biodiversità
L’uomo come fattore che causa perdita di biodiversità
Conservazione
Sulla base di questi dati di distribuzione e di presenza delle specie, possiamo lavorare per la loro
conservazione per vedere quali sono anche le minacce di perdita di biodiversità secondo i criteri della UCN.
L’uomo come fattore che causa la perdita di biodiversità direttamente o indirettamente e da qui le
necessità di conservazione

Cosa è opportuno conservare?


Le singole specie rare?
Tutte le specie?
Le specie minacciate ?
Le specie a rischio di estinzione?
Le comunità ? Gli habitat?
Il paesaggio?
Conserviamo le singole specie attraverso molte normative a livello internazionale ma anche a livello locale.
Le specie rare le vogliamo conservare ma teoricamente vorremmo conservare tutte le specie perché
all’interno di ogni specie possiamo avere delle popolazioni varie e diverse, si vogliono conservare tutte
perché ciascuna di queste potrebbe essere caratterizzate da una particolare variabilità genetica ed è
importante salvaguardarle tutte per quanto possibile. Sicuramente le specie minacciate sono state oggetto
di numerose normative e anche le specie a rischio di estinzione.
A partire da questo concetto di conservazione delle singole specie siamo arrivati al concetto di
conservazione di comunità vegetali e degli habitat. Al limite si conserva anche il paesaggio con le sue
caratteristiche, sicuramente è un lavoro che viene approfondito dagli architetti paesaggisti che si occupano
della pianificazione territoriale e della conservazione del paesaggio es. paesaggi agrari e rurali.

Problemi tassonomici e nomenclatura


Corretta identificazione delle entità
Nomenclatura aggiornata e sinonimie
Cos’è una sinonimia: un insieme di nomi che hanno individuato nel tempo una stessa entità.
Principio di priorità
Codice internazionale di nomenclatura botanica
Per la conservazione, anche dal punto di vista normativo, ci sono da risolvere tanti problemi tassonomici e
nomenclaturali perché le singole specie e ancora di più gli habitat devono essere correttamente identificati
con una nomenclatura aggiornata con sinonimie ben messe in evidenza. Es. salvaguardiamo la campanula
elatines, viene messa in normativa e non può mai essere raccolta. Se è così nel momento in venga
aggiornata la nomenclatura di quella pianta e noi sappiamo che molto spesso si hanno cambiamenti di
nome, questo deve essere evidenziato nella normativa oppure si dice che si voglia conservare campanula
elatines con tutte le sinonimie che potranno venire in futuro. Si cerca di cautelarsi rispetto ai cambiamenti
di tipo nomenclaturale
Le sinonimie sono gli insiemi di nomi che hanno individuato nel tempo una stessa entità. Ci sono tanti
volumi di sinonimie
Bisogna conoscere anche il principio di proprietà. Normalmente una pianta viene identificata con il nome
che le è stato dato la prima volta, a patto che il nome che è stato dato la prima volta sia un nome corretto
dal punto di vista del codice internazionale di nomenclatura botanica. Esiste un codice un po’ per tutti gli
organismi viventi, per la nomenclatura botanica ogni 4 anni si aggiornano gli articoli di questo codice
internazionale per precisare bene quale principio bisogna seguire. Il principio di priorità è sempre rispettato
a meno che la descrizione della specie non sia stata fatta secondo certi tipi di processi.
È chiaro anche che da una specie se ne possono ottenere di più, in particolare ultimamente con gli studi di
tipo genetico si può andare a splittare all’interno di una specie diverse specie o diverse sottospecie. È vero
che c’è un principio di priorità ma posso aggiornare la nomenclatura a seconda delle differenze non solo
morfologiche ma di tipo genetico
Immaginiamo quali ricadute di tipo normativo può avere questo. È molto importante seguire sempre la
nomenclatura.
Legge Regionale (L.R. 32 del 1982)
“Norme per la conservazione del patrimonio naturale e dell’assetto ambientale”
Art. 15 Protezione della flora. È vietata la raccolta delle specie a protezione assoluta dell’elenco allegato.
Per le altre specie 5 esemplari per persona senza organi sotterranei. Escluse le commestibili.
Normative particolari per i Parchi.
Esistono quindi normative, abbiamo visto delle attività che non hanno ricaduta normativa (liste rosse), ma
ci sono anche delle vere e proprie leggi es. legge regionale 32 del 1982 che è ancora in vigore oggi. Questa
legge ha il titolo “Norme per la conservazione del patrimonio naturale e dell’assetto ambientale”
Ci interessa in particolare l’articolo 15 per la protezione della flora
Se andiamo a vedere online nel sito regione piemonte troveremo l’elenco delle specie per cui è vietata la
raccolta.
Delle specie commestibili invece ne esiste un elenco a parte e se ne possono raccogliere moltissimi senza
andare a danneggiare le piante se non per il fatto che vado a togliere semi che potrebbero dare origine a
nuove piante.
Alcune specie protette sono Orchis laxiflora, altre orchidacee, Serapias lingua.
Tutte le orchidee sono state inserite nell’ambito della legge 32
Sono state inserite specialmente e piante appariscenti che le persone raccolgono
Difficoltà di controllo moltissime, non si possono avere persone che vanno a controllare sul territorio
d’dappertutto e quindi non si esercita quasi mai il discorso normativo giuridico di questa norma a meno che
non ci sia qualcuno che sia andato a distruggere una stazione importante conosciuta in un area protetta.
Vedremo che il controllo sugli habitat è molto più facile
La legge 32 è stata una buona normativa, anche adesso ha senso mantenerla con questo elenco aggiornato
nel passato ma che nelle ultime legislature non è stato modificato perché i funzionali regionali temevano, a
seconda del tipo di prevalenza politica all’interno degli assessorati e delle giunte regionali, che l’elenco
delle specie potesse addirittura essere ridotto da gruppi politici che non avevano a cuore la conservazione
dell’ambiente e quindi non sono state fatte modifiche proprio per salvaguardare quell’elenco di specie che
era già stato inserito, abbastanza ampio a cui anche l’orto botanico aveva collaborato per la stesura.

Le piante a rischio di estinzione in Italia:


il Libro Rosso e le Liste Rosse Regionali
Nel 1992: Libro Rosso delle Piante d’Italia (Conti et al., 1992) in cui sono evidenziate 458 entità a rischio
di estinzione a livello nazionale. Il Libro Rosso si presenta come una raccolta di schede monografiche con
una sintesi delle notizie disponibili in letteratura relative all’entità: status conservazionistico,
distribuzione, habitat, biologia, interesse ed usi, coltivazione, misure di protezione esistenti, misure di
protezione proposte e bibliografia.
Nel 1997: Liste Rosse Regionali delle Piante d’Italia (Conti et al., 1997). Alcune sostanziali differenze le
distinguono dal Libro Rosso: la risoluzione geografica di analisi, rappresentata dalle 20 regioni
amministrative, le ulteriori informazioni raccolte nel periodo intercorso tra le due pubblicazioni, il
numero di entità incluse che passa da 458 a 1011 a livello nazionale e a più di 3179 a livello regionale,
rendendo impossibile per una tale mole di dati il mantenimento di una struttura simile a quella del Libro
Rosso.
In tutte le regioni italiane ci sono leggi simili alla legge 32 del piemonte.
perché le leggi sulla salvaguardia delle singole specie sono regionali? Chi ha la responsabilità della
conservazione degli organismi e degli habitat sono le regioni perché a seguito del cambiamento sulla
giurisdizione regionale nazionale, con l’articolo 5, le regioni hanno la responsabilità e la competenza a
livello ambientale .
a livello italiano sono state fatte le liste rosse che non hanno una ricaduta normativa diretta ma sono
suggerimenti allo stato per poter fare normative regionali o statali per la salvaguardia delle specie
nel 92 c’è stato il primo libro rosso delle piante di Italia in cui erano state evidenziate 458 entità a rischio di
estinzione a livello nazionale. C’erano queste schede con uan sintesi delle notizie disponibili in letteratura
sulla presenza, la distribuzione, l’habitat e la biologia.
Nel 97 c’è stato un aggiornamento perché sono state fatte le liste rosse regionali delle piante d’Italia con
una risoluzione geografica più accurata nelle 20 regioni amministrative
Si era passati da 458 entità a 1011 e a più di 3179 a livello regionale.
Es. ci sono specie rare nelle alpi occidentali ma non nelle alpi orientali e quindi si può distinguere la
necessità di conservazione a diversi livelli

la legge 32 include anche le piante officinali? Si, ce ne sono alcune che sono diventate anche rare, ce ne
sono altre di cui è possibile la raccolta ed è presente un allegato e oltre le piante da frutto ci sono anche
inserite piante officinali meno rare di cui si possono raccogliere le parti epigee per poter salvaguardare la
specie.

Nuova lista rossa nazionale


Policy species e altre specie minacciate
www.IUCN.it
oggi c’è la nuova lista rossa nazionale a cui l’università ha collaborato come Piemonte ma che è stata
redatta ad opera della società botanica italiana su base di finanziamento del ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare e anche la collaborazione di Feder parchi. Si ha collaborato con IUCN perché
tutte queste specie della lista rossa sono state dotate di assessment e l’assessment ha dato origine a una
scheda in cui si dice se la specie è critically endangered, endangered oppure vulnerabile o a basso rischio,
se si cerca società botanica italiana lista rossa della flora di italia si vede che si trovano tutti questi
documenti redatti nell’ultimo anno, si ha un continuo aggiornamento
nel sito IUCN troviamo tutte queste informazioni
queste liste rosse servono di sostegno per le normative regionali o nazionali qualora vengano aggiornate o
modificate
il primo volume era sulle policies species già presenti in liste rosse internazionali o in convenzioni
internazionali, le specie della direttiva habitat ecc. e tutte queste
specie già individuate abbiamo anche aggiunto numerose altre specie che non erano state individuate in
precedenza

1992. Direttiva CEE 92/43 “Habitat”: specie vegetali


Arriviamo quindi ad oggi alla normativa che ha dato più attuazione al discorso che la CBD ha voluto portare
avanti che è quella della salvaguardia delle specie e degli habitat
Innanzitutto abbiamo nel 1992 la direttiva habitat, direttiva CEE 92/43 è stata una direttiva che ha
modificato in maniera radicale il nostro concetto di conservazione delle specie e degli habitat e che ha
avuto poi un’attuazione a livello italiano perché c’è stato il recepimento della direttiva. ne parleremo più
avanti.
La direttiva habitat comprende numerose specie vegetali per l’Italia, non sono tantissime ma sono un certo
numero e le vedremo poi sul nostro territorio regionale nordoccidentale, quella che è stata la grande novità
è che la sola presenza di una di queste specie che sono state indicate nella direttiva habitat a livello
europeo (e poi recepito a livello italiano) necessitano di un sito di importanza comunitaria. Se ad esempio
trovo Isoetes malinverniana in una zona del piemonte io segnalo alla regione piemonte la presenza di
questa specie della direttiva habitat e deve la regione piemonte necessariamente istituire un sito di
importanza comunitaria. Se non lo facessi i cittadini potrebbero segnalare all’unione europea questa
mancanza e di nuovo la regione piemonte va incontro ad una procedura di infrazione che è un sistema
molto coercitivo perché non vengono più finanziati progetti di tipo ambientale da parte dell’unione
europea quindi la procedura di infrazione si cerca sempre di evitarla e si dice che le regioni hanno la
responsabilità di salvaguardare le specie presenti nella direttiva, non solo vegetali ma anche animali. La
stessa cosa la vedremo per gli habitat. C’è un elenco e un allegato degli habitat presenti nella direttiva
habitat e quando trovo un certo habitat (es. torbiere alte, basse alcaline, torbiere a zone umide) l’habitat
viene segnalato da cittadini, enti comuni, la segnalazione necessita che la regione mandi un gruppo di
persone che vadano a controllare che ci sia quell’habitat e a quel punto bisogna fare un sito di importanza
comunitaria. I siti di importanza comunitaria coprono circa il 14% del territorio regionale, sono in continuo
aumento e ogni regione si preoccupa di segnalare in maniera che le persone sappiano che i SIC esistono.
Quello che è interessante e che riprenderemo è che un SIC ha una sua normativa particolare per cui se
voglio fare un lavoro nell’ambito del sito di importanza comunitaria devo presentare alla regione la
valutazione di incidenza, non di impatto, ma molto simile, di quell’opera sull’habitat o sulla specie che è
stata la ragione di istituzione del SIC
Se c’è un SIC (es. laghi Avigliana) istituito perché ci sono torbiere particolari, se voglio far passare una strada
in quel SIC la posso fare ma senza andare a danneggiare l’habitat o la specie.
La direttiva CEE è stata ed è importantissima perché ha allargato non solo alle specie ma anche agli habitat
la conservazione ambientale e la sola presenza di una specie o di un habitat necessita questo SIC che ha
una sua normativa a livello europeo e a livello italiano e regionale per l’attuazione di opere di qualsiasi tipo,
ogni SIC necessita anche di un piano di gestione che generalmente viene fatto o da società private o
pubbliche e poi viene approvato dalla regione e si cerca di mantenere nel SIC la massima biodiversità,
addirittura le specie o gli habitat presenti oltre ad essere conservati vengono migliorati nel loro stato di
conservazione ma è importante che vengano ripristinate delle zone umide che magari si erano interrate
I SIC vanno a costituire la rete natura 2000 che è la rete europea di tutti i siti di importanza comunitaria in
cui c’è qualche emergenza della biodiversità che deve essere conservata

2001 _- Nello stesso periodo viene pubblicato un Repertorio della Flora Italiana protetta (Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio – Servizio Conservazione della Natura, 2001), che riunisce gli
status di alghe, licheni, briofite, pteridofite, gimnosperme ed angiosperme secondo la Convenzione di
Berna, gli allegati ii, iv e v della Direttiva 'Habitat' e l'ampliamento nazionale delle Liste Rosse Regionali
del 1997.
Con la direttiva habitat c’è stato un grande lavoro a seguito della direttiva per capire le peculiarità di ogni
regione, già nel 2001 c’è stato il repertorio della flora italiana protetta che ha ulteriormente approfondito le
conoscenze per alghe, licheni, briofite, pteridofite, gimnosperme e angiosperme
C’era stata la convenzione di Berna che era stata una delle prime convenzioni sulla conservazione della
flora, si sono approfondite queste specie secondo la convenzione di Berna e anche secondo gli allegati 2, 4,
5 della direttiva habitat e si è fatto l’ampliamento della lista rossa regionale del 97.

2003-2005 Completamento delle Conoscenze Naturalistiche di Base (ccnb) – Modulo: Analisi floristica a
scala nazionale (Scoppola et al., 2003; Scoppola, Caporali, 2005), tutte le entità a rischio di estinzione a
livello nazionale, di quelle dell’allegato II della Direttiva Habitat, di alcune endemiche ad areale ristretto
e delle specie selezionate nel 1995 dalla S.B.I. per un eventuale ampliamento dell’allegato II.
A poco a poco con la CBD si sono approfonditi questi studi. Nel 2003- 2005 si è fatto un lavoro di
completamento delle conoscenze naturalistiche di base che continua ancora oggi con tutte quelle flore di
cui abbiamo parlato in precedenza

L’istituzione di un SIC dipende anche da quanti individui di quella specie sono presenti o basta la presenza
di un individuo? Teoricamente ne basterebbe uno ma è difficile trovarne uno solo, ce ne sono sempre più di
uno, tanto più la specie è rara su quel territorio tanto più necessiterebbe di conservazione quindi anche
uno solo basterebbe. È importante avere questa considerazione per il numero di individui presenti. Poi
esistono anche tante specie clonali, quindi, è importante considerare anche il numero come un qualcosa di
significativo.
Se abbiamo una popolazione in cui abbiamo di 10.000 individui di una certa specie bisogna considerare se
quella specie è presente in altre zone della regione oppure no. Se è presente solo in quella zona allora
bisogna conservarla anche se ce ne sono pochi.

Quali sono le specie della direttiva habitat presenti in


piemonte.
Direttiva habitat
Isoetes malinverniana (pteridofita, Isoetaceae)
Endemica piemonte, Lombardia, pianura
Sappiamo che è una di quelle più a rischio. È presente quasi solo più in piemonte. Pochissimi individui in
Lombardia anche se negli anni 60 in Lombardia cerano tante stazioni. Il piemonte ha una pressione
demografica inferiore e c’è anche una maggiore attenzione a certe condizioni ambientali. In Lombardia si
cerca di recuperare molto ma essendo un territorio molto antropizzato la conservazione è più difficile.
Specie fortemente a rischio perché presente nei canali di risaia. Sono stati fatti diversi progetti. Quando ha
specie ha così poche stazioni e così pochi individui è veramente difficile la conservazione. È quasi un
impresa disperata e si può agire con la conservazione ex situ es nell’orto botanico. È stato fatto anche un
lavoro genetico che si è dimostrata avere una discreta variabilità genetica tra le stazioni. È anche molto
difficile che si moltiplichi e si riproduca perché alla base ci sono delle spore femminili e maschili e devono
trovarsi per dare origine alla nuova pianta e in acqua non è facile

Marsilea quadrifolia (Pteridophyta Marsileaceae)


Pianura piemontese
altra pianta acquatica presente solo nella pianura piemontese
ma anche in altre zone di pianura di Italia e di Europa. C’è un
vaso anche nell’orto botanico. È una felce acquatica e prende il
nome da queste 4 foglie che la fanno sembrare un quadrifoglio.
Molto difficile da conservare anche se le stazioni sono
numerose. Ci sono tante pubblicazioni su questa specie anche a
livello europeo e sicuramente è una specie ombrello,
salvaguardandola salvaguardiamo una flora acquatica ormai
molto rara perché si è frammentata molto la presenza di zone umide nella pianura padana e in altre
pianure europee e salvaguardare questa pianta permette di salvaguardare tante altre specie acquatiche.
Non bisogna andare a ripulire i canali e gli stagni con le ruspe perché porta via la specie. In un progetto
regionale nel novarese in presenza di risaie con coltivazioni piuttosto estensiva avevano detto di ricostituire
una zona umida con questa pianta ma intanto erano stati fatti scavi per poter ricostituire degli stagni
presenti in preesistenza e quando sono andati per mettere la specie in realtà era già presente quindi vuol
dire che queste spore riescono a mantenersi nel tempo e se qualcuno ricrea le
condizioni ambientali le spore possono germinare e ricreare la pianta. È una pianta
meno delicata di Isoetes malinverniana difficile da trovare spontaneamente e tanto di
meno di resistere a un disturbo per molti anni

Aquilegia alpina
(Angiospermae Ranunculaceae)
Diffusa sull’arco alpino.
Inserita in direttiva perché molto appariscente. Ha un fiore di una decina di
centimetri di diametro e viene raccolta. La sua presenza viene salvaguardata
attraverso la presenza di un SIC.

Aquilegia bertolonii (Ranunculaceae)


Stura di Demonte e Val Tanaro, pochissime stazioni
Chiamata in onore del Bertoloni, botanico ligure. Molto appariscente e
inserita nella direttiva habitat sia per la sua rarità e vulnerabilità dovuta
alla bellezza del fiore
Aldrovanda vesiculosa (Droseraceae)
Laghi di Candia e Viverone, mancano conferme recenti.
Scomparsa nella Regione?
Specie acquatica carnivora, pianta stranissima, che vive in
acque stagnanti.
Si chiama vesiculosa perché ha queste vescicole che saranno
grandi circa 5-7 mm di diametro ciascuna. Sono aperte dalla
parte opposta rispetto alla rima. Gli insetti nell’acqua entrano
all’interno di queste vescicole. Le vescicole intrappolano
l’insetto e lo digeriscono a poco a poco. Era stata segnalata in
piemonte fino alla metà del secolo scorso e anche nei laghi di Candia e Viverone ma mancano conferme
recenti. È stata ricercata più volte e risulta totalmente scomparsa dalla regione piemonte. Viene coltivata
come pianta d’acquario. Scomparsa dal territorio piemontese e da gran parte del genere italiano
Sicuramente per ragioni antropiche potrebbe essere scomparsa. Per le piante acquatiche ci possono essere
due fattori principali
di minaccia: l’inquinamento, se sono in piante acquatiche che vivono solo in acque pulite prive di diserbanti
e povere di azoto, fosforo e potassio quando le acque diventano eutrofiche le piante scompaiono. L’alta
grande causa sono le azioni meccaniche ad opera dell’uomo che hanno agito perché magari l’uomo è
andato con ruspe a ripulire il fondo del canale o del lago. ci sono anche cause legate agli inquinanti. Per
Isoetes malinverniana si sa che il disturbo meccanico e la presenza di inquinanti nei canali possono essere
influenti
quando si parla di estinzioni su piante di pianura abbiamo esempi di estinzione magari non a livello
mondiale ma locali sì

Saxifraga valdensis (Saxifragaceae)


Endemica delle Alpi Cozie e Graie
Specie di alta quota. Queste sono specie molto delicate e rare o
endemiche di territori ristretti. È una specie delle rupi calcaree delle alpi
Cozie e graie. Si accresce in alta quota e cresce poco, è una specie che ha
rosette basali molto compatte che si accrescono lentamente. Questa
potrebbe non essere assoggettata ad una minaccia di tipo antropico
diretto ma invece indiretto (cambiamento climatico). Questa è una specie
che potrebbe patire temperature eccessivamente elevate. Se questa
pianta venisse danneggiata e non potesse più accrescersi per eccessiva
xericità sarebbe vero che non produce semi o non c’è lo spostamento
rapido di semi a quote superiori. In questo caso la pianta non riesce a
seguire il cambiamento climatico e verrebbe estinta. Altre specie
potrebbero essere ottime bioindicatrici di cambiamento climatico

Trifolium saxatile (Leguminosae)


Endemica delle Alpi Occidentali
Piccola specie che si accresce bene in zone xeriche ma fredde durante
il periodo invernale e può subire sia il cambiamento climatico sia un
cambiamento di gestione del territorio
Eryngium alpinum (Umbelliferae)
Alpi Cozie e Marittime.
Anche coltivata come ornamentale.
Altra specie importante e molto appariscente e molto raccolta nel passato.
È molto più abbondante nelle alpi francesi che in quelle italiane perché
viene coltivata come pianta ornamentale e nei giardini alpini. In
fiorescenza ha questo colore viola pallido. Si ha il vortice dell’estinzione
per queste specie belle e rare per via della raccolta.
Conservazione ex situ ce n’è molta nei giardini alpini

Gentiana ligustica
(Gentianaceae)
Simile a G. kochiana. Prob
Presente nelle Alpi Cozie, Marittime e Liguri.
Simile alla cocchiana. Si distingue con difficoltà dall’altra su base
ecologica a seconda del pH del suolo. Viene molto raccolta e
quindi c’è il rischio di danneggiamento diretto

Dracocephalum austriacum (Labiatae)


Valle Stura di Demonte (1 stazione)
Ce ne sono un po’ di più in Francia. Fiori grandi molto appariscenti.
Stazione in piemonte molto salvaguardata. È una pianta che con ogni
probabilità ha delle difficoltà riproduttive per cui la variabilità genetica è
ridotta al minimo in Italia

Lindernia procumbens (Scrophulariaceae)


Specie presente nella pianura piemontese.
Poche segnalazioni recenti.
Ce ne sono alcune di pianura danneggiata dall’azione dell’uomo, siamo nei canali e in luoghi in cui si
accumula l’acqua per scopi irrigui e vengono danneggiate dall’attività dell’uomo
Eleocharis carniolica (Cyperaceae)
Pianura Padana. Poche segnalazioni
Nelle zone umide. Non viene raccolta dall’uomo poiché
non è appariscente. Presente abbastanza comunemente
e non proprio rarissima. Es. presente nei laghi di Ivrea o comunque nelle zone umide. Segnalata per cercare
di salvaguardarla per il fatto che le zone umide sono state molto bonificate, disseccate per farne zone
coltivate o per acque eutrofiche che danneggiano la presenza di questa specie
Cypripedium calceolus (Orchidaceae)
Valle di Susa e Valle Pesio, pochissime segnalazioni.
Orchidea Bellissima con questo fiore appariscente. Chiamata la
pianella della madonna. Presente anche in valle d’Aosta e sul monte
Bianco sul versante italiano. Specie boschiva, sciafila boschiva di cui si
conoscono poche segnalazioni. Nelle alpe orientali è molto più
comune e a livello mondiale non è così a rischio di estinzione. Viene
ampiamente coltivata, e ne sono state tratte tantissimi cultivar
diverse di colori vari. È un fiore molto grande può raggiungere anche i
10 cm di diametro ed è molto cercata come pianta ornamentale.

Spiranthes aestivalis (Orchidaceae)


Pochissime segnalazioni in Piemonte, sia in
Pianura sia nelle Alpi
Fiori disposti a spirale lungo il fusto. Fiori
piccolini, poche sono le segnalazioni,
principalmente nelle alpi, specie effimera,
fiorisce per poco tempo

Ogni qualvolta abbiamo queste specie è


possibile segnalare alla regione piemonte ed è
necessario che la regione piemonte faccia un
SIC. Non sono solo le specie vegetali che
permettono con la loro presenza il fatto di fare
un SIC ma anche le specie animali riportate sia
di uccelli, pesci ecc.

Non è richiesto di riconoscerle all’esame ma può chiedere delle specie della direttiva habitat e se c’è una
specie su un certo territorio che tipo di procedure bisogna fare ecc. le procedure di incidenza per valutare
l’impatto di una determinata opera per quell’impatto.

Ci cerca di far conoscere alle persone che ci sono specie protette. Tante persone ormai sanno che ci sono
specie più o meno rare e che alcune specie non vanno raccolte. Nei parchi regionali e nazionali vengono
fatte conferenze e cartelloni per spiegare che ci sono specie protette.
Sulle legge 32 è vero che sono poco evidenziate. Bisognerebbe fare di più. Con gli animali è più facile
perché i cacciatori sanno o perlomeno dovrebbero sapere quali sono le specie che non possono cacciare
perché i divieni sono molto seri.
Per le piante si potrebbe fare di più e ancora di più sugli habitat.
Mentre la raccolta delle piante è difficile da controllare e andrebbe più pubblicizzato questo concetto, sugli
habitat il discorso è più importante per le grosse opere
Sicuramente c’è stata una riduzione della raccolta delle piante con radice nel tempo, molto comune è la
raccolta di piante aromatiche e medicinali.
Abbiamo un concetto completamente diverso sulla conservazione delle piante da quella degli animali. La
conservazione della specie vegetale viene ritenuta solo da chi ha sensibilità per il mondo vegetale, mentre
l’uccisione di un animale è considerata un azione più invasiva e impattante.

Introduzione sulla normativa


Protocollo di Nagoya sull’accesso alle risorse genetiche e la giusta ed equa condivisione dei benefici
derivanti dalla loro utilizzazione
Il protocollo di Nagoya è una estensione molto recente della CBD ed è un modo di conservazione delle
specie in particolare fatto per conservare le specie rare, medicinali, alimentari o di altro tipo che possono
essere usate a scopo industriale.
È un protocollo internazionale simile es. alla CITES gli stati possono aderire o non aderire. Nel passato
durante il colonialismo la gente andava in altri paesi e prendeva piante, c’era un forte depauperamento del
patrimonio naturalistico di certi territori e le piante venivano usate da altre parti

È il più recente accordo complementare alla CBD , e fornisce un quadro giuridico trasparente per
l’effettiva attuazione di uno dei tre obiettivi della convenzione: la giusta ed equa condivisione dei
benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche (CBD art. 1)
Questo obiettivo è di particolare importanza per i paesi in via di sviluppo, in quanto essi detengono la
maggior parte della diversità biologica mondiale, ma, in generale, non ottengono una quota equa dei
benefici economici derivanti dall’uso delle loro risorse per lo sviluppo di prodotti derivante dalla diversità
genetica, quali varietà coltivate ad alto rendimento, prodotti farmaceutici e cosmetici.
Un tale sistema riduce l’incentivo per i paesi biologicamente più ricchi, ma economicamente più poveri
del mondo a conservare e utilizzare in modo sostenibile le loro risorse per il beneficio di tutti. La
condivisione dei benefici deve essere basata su condizioni reciprocamente concordate nel protocollo di
Nagoya (2014)
Considerevole è la richiesta di accesso a risorse genetiche che proviene dal mondo della ricerca
accademica, di laboratorio, dalle industrie biotecnologiche, farmaceutiche e cosmetiche o dall’agricoltura
È necessario firmare un agreement per l’uso delle risorse genetiche tra il paese che le fornisce e chi le
intende utilizzare.
Questo protocollo sta generando un insieme di opinioni molto differenti. Il ministero agricoltura in italia
non lo vuole applicare perchè pensa possa essere limitante per l’alimentazione delle persone, una cosa
importante è che non viene assolutamente applicato per gli alimenti di interesse per sfamare le popolazioni
del mondo e non ci sarebbe mai il protocollo di Nagoya su entità coltivabili neppure per i fruttiferi. Queste
specie seguono un altro protocollo, quello FAO che permette di spostare le specie da un posto all’altro
Noi come italia abbiamo firmato il protocollo ma dobbiamo fare una legge che ne permetta l’applicazione.

18 marzo 2021

Oggi andiamo a vedere il quadro della conoscenza della biodiversità vegetale in Piemonte.
Dal sito della regione piemonte

La direttiva habitat: inquadramento e cenni normativi


Questo è testo brevissimo che abbiamo preparato sulla direttiva habitat.
L’Unione Europea, cona direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992, “conservazione degli habitat naturali e
seminaturali e della flora e della fauna selvatiche”, intende “salvaguardare la biodiversità mediante la
conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo
degli stati membri al quale si applica il trattato”
Le direttive 92/43/CEE “habitat” e 2009/147/CE “uccelli” costituiscono i più importanti strumenti
normativi rivolti alla conservazione delle specie animali e vegetali, in quanto, oltre a tutelare gli individui
delle specie segnalate, sanciscono contemporaneamente la protezione degli habitat in cui tali specie
vivono.
In precedenza, la tutela legale riguardava esclusivamente gli individui appartenenti ad una data specie
(che pertanto non potevano essere raccolti e cacciati) e non gli habitat in cui questi individui vivono; ne
risultava il paradosso che era possibile estinguere intere popolazioni di anfibi o di piante acquatiche
bonificando un singolo stagno, mentre era vietato raccogliere anche un singolo individui di pianta o
anfibio protetti.
La direttiva “habitat” è stata recepita dall’Italia con il DPR dell’8 settembre 1997 n.357 “regolamento
recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e
seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche”.

È la normativa che ha maggiore importanza in quanto ha controllo sul territorio per la conservazione della
biodiversità.
Nel 1992 l’unione europea ha redatto la direttiva 92/43 della CEE (o UE), ed è chiamata la direttiva habitat.
Il titolo per intero è conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.
Quali sono gli scopi fondamentali: salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat
naturali, nonché della flora e della fauna (intese come singole specie) selvatiche nel territorio europeo
La direttiva habitat e la direttiva uccelli del 2009 sono i più importanti strumenti normativi. Prima c’erano
solo leggi legate alle singole specie e adesso andiamo al discorso degli habitat.
C’è un secondo punto importante della direttiva habitat che vuole salvaguardare tutta la biodiversità
conosciuta o sconosciuta all’interno di un habitat e vuole salvaguardare non solo gli habitat maturi (teste di
serie) alla fine della dinamica di vegetazione, ma anche gli stadi intermedi delle serie vegetazionali, della
dinamica di vegetazione, qualora questi stadi dinamici siano ricchi di biodiversità. Non solo si conservano i
boschi (che peraltro è necessario conservare) ma anche le praterie, perché sono a volte più ricche di
biodiversità dei boschi, sia che siano naturali (sopra la timberline) sia che siano seminaturali come le
praterie di pianura o di mezza quota oppure le zone umide che sono tendenti all’interramento ma che sono
ricche di biodiversità.
Salvaguardare gli habitat significa salvaguardare tutte le specie che ci sono dentro, animali , vegetali,
fungine, batteriche ma dobbiamo tenere presente che salvaguardiamo molti habitat anche di stadi
immaturi (intermedi) delle serie dinamiche

Esso comprende 7 allegati, dei quali i seguenti interessano la tutela di habitat e specie:
- Allegato A – tipi di habitat di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione
di aree speciali di conservazione
- Allegato B – specie animali e vegetali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la
designazione di zone speciali di conservazione
- Allegato D – specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione
rigorosa.

Alcuni allegati sono stati successivamente aggiornati dal DM 20 gennaio 1999 “modificazioni degli
allegati A e B del decreto del presidente della repubblica, 8 settembre 1997 n. 357, in attuazione della
direttiva 97/62/CE del consiglio, recante adeguamento al progresso tecnico e scientifico della direttiva
92/43/CEE.

Queste osservazioni che sono state fatte hanno dato origine a degli allegati che sono 7 nella direttiva
habitat.
Abbiamo l’elenco dei 3 allegati che ci interessano.
L’allegato A è un elenco degli habitat a livello europeo che vengono ritenuti di interesse comunitario. Sono
state attuate queste norme. Tutti gli habitat di interesse comunitario sono state oggetto di interesse di
istituzione di SIC che coprono oggi circa il 18% della superficie italiana che possono essere già presenti
come parchi e che sono diventati SIC oppure che sono diventati SIC ex novo nel momento in cui sono stati
istituiti questi siti di aree protette. L’allegato A è quello degli habitat. Salvaguardare un habitat vuol dire
salvaguardare anche gli animali che ci sono dentro. È stato un rinnovamento straordinario del concetto di
conservazione
Il mio habitat come lo identifico? Lo identifico su base vegetale. È importante conoscere le comunità
vegetali perché altrimenti non saprei individuare gli habitat di interesse comunitario
L’allegato B è più tradizionale come tipo di impostazione. Abbiamo già visto le specie presenti in piemonte
o in parti del nord Italia che hanno richiesto la designazione di zone speciali di conservazione.
C’è ancora l’allegato D, è una aggiunta dell’allegato B ed è più restrittivo perché sono specie ancora più
degne di protezione rigorosa.
Sono stati fatti alcuni aggiornamenti agli allegati A e B della normativa. La normativa è stata recepita a
livello italiano l’8 settembre del 1997. Le direttive dal punto di vista giuridico devono essere recepite a
livello dei singoli stati, quindi la direttiva habitat ha oggi un suo decreto che attua questa normativa.
Sulla base della normativa sono stati fatti molti SIC, che oggi sono le aree protette principalmente diffuse
sul territorio italiano. I parchi sono tutti diventati dei SIC e vige la normativa dei siti di interesse comunitario
anche nell’ambito di tutti i parchi nazionali e regionali.
Quando c’è un sito di importanza comunitaria, se qualsiasi persona, qualsiasi ente, qualsiasi gruppo,
qualsiasi azienda vuole fare una lavoro nell’ambito del SIC deve fare uan valutazione di incidenza che
riguarda l’incidenza di quest’opera sull’habitat, sulla specie o sull’habitat per cui è stato fatto il SIC.

Oggi andiamo a parlare e a fare una sorta di sintesi di quello che conosciamo relativamente alla biodiversità
vegetale in Piemonte. La biodiversità vegetale in piemonte è piuttosto conosciuta sia dal punto di vista
floristico sia dal punto di vista vegetazionale.

Torino, 16 marzo 2020


Il seguente testo è tratto dalla tesi di Laurea Magistrale in Biologia dell’Ambiente di Alessandra Pollo
(2020) ed è parte della tesi sui rapporti tra strategia regionale per i cambiamenti climatici e biodiversità
vegetale.

Si sta collaborando per la stesura della strategia regionale per i cambiamenti climatici. Per poter fare questa
strategia bisogna conoscere cosa abbiamo come patrimonio naturale sul nostro territorio

Risultati e discussione
I risultati del lavoro sono riportati in 3 sezioni
1. Il quadro conoscitivo della biodiversità vegetale in piemonte
2. Gli impatti e i relativi pericoli, vulnerabilità e rischi della biodiversità vegetale a causa del
cambiamento climatico
3. Le misure per salvaguardare la biodiversità vegetale e sfruttarne le capacità mitigative

1.1 quadro conoscitivo della biodiversità vegetale in piemonte


Nell’ambito del lavoro di tesi è stato elaborato uno “Stato dell’arte della biodiversità vegetale” in
Piemonte. Per tale documento di sintesi, sono stati analizzati molteplici testi e i siti di riferimento
principalmente di ARPA Piemonte, Regione Piemonte e delle università piemontesi. La versione
schematica dell’elaborazione preliminare è poi stata condivisa con i partecipanti al tavolo del 19/11/19,
con il duplice obiettivo di poter essere integrata dagli esperti e di creare loro una base conoscitiva
comune, su cui basarsi durante il workshop.
La scheda di rielaborazione, così integrata, è riportata nelle tabelle dei seguenti sotto-capitoli, in una
versione sintetica (le fonti bibliografiche saranno esplicitate nelle relative sezioni discorsive a valle).
Quanto riportato non pretende di fornire un quadro esaustivo, ma vuole porre le basi per
un’organizzazione della conoscenza regionale sulla biodiversità vegetale più organizzata e omogenea.
Quanto rielaborato, in questo modo, fornirà il contenuto di base per l’introduzione del capitolo della
SRCC riguardante gli “Ecosistemi terrestri” in Piemonte. Infatti, prendendo spunto dalle altre Strategie
analizzate, sarà necessario riportare nel documento piemontese una sezione iniziale di inquadramento
sui vari settori analizzati a livello regionale.
Le conoscenze raccolte potranno, infine, la base per una sezione specifica dell’Osservatorio Regionale sui
Cambiamenti Climatici, che la Regione Piemonte sta predisponendo.

1.1.1 Conoscenze
Di seguito è riportata la Tabella 3.1 che riporta le informazioni generali sulla biodiversità vegetale in
Piemonte in termini quantitativi e qualitativi, ma anche di organizzazione della conoscenza e di
monitoraggi. Viene, inoltre, presentato il territorio regionale su base biogeografica ed ecologica .

Numeri e distribuzione della biodiversità vegetale


Divisione del territorio su base biogeografica ed ecologica
Regioni biogeografiche – in piemonte ve ne sono 3
1. regione alpina
2. regione continentale
3. regione mediterranea
in particolare la regione alpina ha una grande ricchezza specifica grazie alla molteplicità di microclimi e
condizioni di isolamento che permettono la presenza di endemismi. Grazie al contatto tra zona alpina e
mediterranea, le alpi sudoccidentali presentano:
- la più elevata ricchezza floristica
- il massimo numero di specie endemiche
- il massimo numero di specie rare
rispetto alla flora di alta montagna dell’arco alpino
ecoregioni – in piemonte sono presenti 3 province (alpina, padana e appenninica) tutte afferenti alla
divisione temperata

Ricordiamo che in regione piemonte abbiamo 3 regioni biogeografiche che si distinguono in relazione al
clima e alla geomorfologia.
La regione alpina che riguarda tutte le vallate alpine, la regione continentale che riguarda la pianura padana
e i rilievi interni e poi la regione mediterranea che riguarda la parte meridionale della nostra regione. Noi
abbiamo sottolineato che il contatto tra la regione alpina e mediterranea determina nelle alpi occidentali
del sud la massima biodiversità. Abbiamo nell’ambito italiano una delle più alte ricchezze floristiche
regionali determinata dal fatto che abbiamo specie delle alpi e specie mediterranee insieme. Abbiamo un
grandissimo numero di specie endemiche determinate dal fatto che nelle alpi marittime le glaciazioni non
sono state così importanti perché c’era già l’influsso del mare fino a 20.000 anni fa. Tante specie
endemiche concentrate nelle alpi marittime che sono tra le più ricche di tutte le alpi, sia sul versante
italiano che sugli altri versanti.
Abbiamo questa grande biodiversità da salvaguardare.

Diversità ecosistemica e di habitat


Uso del suolo – il territorio piemontese è coperto per lo più da territori boscati e ambienti seminaturali
(50,6%), seguiti dalle superfici agricole utilizzate (43,2%) e da quelle artificiali (5,4%).
Prendendo in considerazione solo la superficie forestale regionale, questa risulta essere di 976.953 ha nel
2016, in aumento del 4,6% rispetto al 2000. Le categorie forestali prevalenti sono i Castagneti (22%), le
Faggete (15%) e i Robinieti (12,5%). [Il settore “Foreste” non è stato approfondito ulteriormente perché
sarà trattato dalla SRCC separatamente da quello “Ecosistemi terrestri”]

Abbiamo un uso del suolo ben conosciuto perché sono state fatte tante cartografie di uso del suolo e
sappiamo quindi che negli ultimi anni il territorio boscato è aumentato moltissimo. I territori boscati e gli
ambienti seminaturali (che sono già quasi bosco) raggiungono il 56% della superficie.
I territori boscati nel 1870 erano il 17%. Nell’arco di 150 anni la superficie boscata è aumentata 3 volte
Nel 1979 le superficie boscate erano il 23% del territorio regionale. Nel 1990 il 27% e nel 2016 che è
l’ultimo mento in cui abbiamo la rilevazione sul territorio eravamo al 36%
In questa rilevazione il 50% è superficie boscata ma anche ambienti seminaturali che stanno diventando
boschi. Abbiamo un 43% di superfici agricole utilizzate e superfici artificiali antropizzate, cementificate al
5,4%.
Abbiamo un idea dell’importanza dei boschi nella nostra regione. Questo è dovuto anche al fatto che
abbiamo molta superficie collinare o montuosa, alpi appennini e rilievi interni di langhe e Monferrato.
Nei boschi più importanti e diffusi abbiamo i castagneti, le faggete e i Robinieti.

DIVERSITA’ SPECIFICA
ricchezza specifica ed entità esotiche
Italia:
- Paese europeo con la massima biodiversità floristica al secondo posto tra gli Stati Mediterranei,
dopo la Turchia
- Tra i primi paesi europei per diversità lichenica
Piemonte:
- Regione italiana con massima biodiversità floristica: 3464 taxa di specie e sottospecie native e
criptogeniche = oltre il 40% della flora italiana Sulla Banca Dati Naturalistica della Regione
Piemonte risultano essere presenti 4222 specie. + 1298 taxa di licheni
Regione hotspot terrestre per biodiversità vegetale grazie alla sua grande estensione territoriale con
gradienti elevati sia in latitudine che altitudine, e all’importante diversità climatica e geomorfologica.
Le specie esotiche a seconda delle pubblicazioni variano: tra 371 (Bouvet & Barni, 2017) e 526 (Galasso et
al., 2018). Tra queste ultime, 33 rientrano all’interno della check-list delle piante aliene soggette alla
procedura di prioritizzazione (Lazzaro L. et al., 2019).
Le specie esotiche invasive sono inserite in Black Lists Regionali (Management list, Action list, Warning
list).

Globalmente sappiamo che l’Italia è il paese europeo con la massima biodiversità floristica e il piemonte
grandissima biodiversità floristica con 3464 taxa sia di specie che sottospecie che costituiscono oltre il 40%
della flora italiana.
Abbiamo anche tanti licheni (1298).
Abbiamo quindi questa regione che è considerata un hot-spot terrestre per la biodiversità vegetale. ci sono
tante specie esotiche, il numero è variabile di anno in anno, sono state censite circa 500 specie esotiche
nella check list di Galasso per la nostra regione.
Sono state istituite delle normative per limitare la diffusione delle esotiche

Monitoraggi
- Rete LTER-Italia
- Manuali per il monitoraggio di specie e habitat di interesse comunitario (Direttiva 92/43/CEE) in
Italia: specie vegetali (ISPRA, 2016)
- Manuali per il monitoraggio di specie e habitat di interesse comunitario (Direttiva 92/43/CEE) in
Italia: habitat. (ISPRA, 2016)
- Guida al riconoscimento di ambienti e specie della Direttiva “Habitat” in Piemonte (Sindaco et al.,
2003)
- Protocollo operativo per il monitoraggio regionale degli habitat di interesse comunitario in
Lombardia. Versione 1.1 (Brusa et al., 2017.)
- Protocollo di campionamento e analisi per le macrofite delle acque correnti (APAT, 2007)
- Letteratura specifica

Che tipi di monitoraggi sono presenti nella regione? Ricordiamo la rete LTER (long term monitoring analysis)
queste LTER sono dei quadrati permanenti che vengono monitorati quasi ogni anno per capire se c’è un
cambiamento della biodiversità. Il territorio viene monitorato secondo delle normative europee con
monitoraggi sia delle specie sia degli habitat secondo i manuali di ISPRA.
Un documento importante da cui poi si sono tratte schede presenti sul Moodle c’è la guida di
riconoscimento di ambienti e specie della direttiva habitat in piemonte, è un documento datato del 2003
ma è il più recente che si ha sulla presenza di queste emergenze nel nostro territorio.

Cartografie
- Carta della Natura (ARPA Piemonte, 2011)
- Carta Forestale regionale (IPLA, 2016)
- Carta delle Serie di Vegetazione (Blasi et al., 2010)
- Carta della Vegetazione Naturale Potenziale (Blasi et al., 2017)
- Corine Land Cover (Commissione Europea, 1990, 2000, 2006, 2012, 2018.)
- Carta degli Ecosistemi d’Italia (Blasi et al., 2017)
- Carta delle Zone Umide (ARPA Piemonte, 2011)
- Carta delle Ecoregioni d’Italia (Blasi et al, 2014)

Ci sono le cartografie che sono state fatte sul nostro territorio. c’è questo ente, IPLA (istituto per le piante
da legno e l’ambiente) che ha rifatto la carta forestale del piemonte del 2016 e questo documento è
abbastanza unico nel territorio italiano, specialmente così aggiornata. Avere una carta forestale così
aggiornata è una cosa molto rara nelle altre regioni che conoscono il territorio forestale solo i forestali e
non è conosciuto da tutti.
C’è anche la carta delle serie di vegetazioni di Blasi, la Corine land cover, sono tutte cartografie dei diversi
tipi di vegetazione e questo è stato aggiornato fino al 2018. Se andiamo sui siti della regione piemonte
vediamo questa cartografia con la distribuzione degli habitat almeno dal punto di vista fisionomico. Ci sono
tante cartografie che ci danno l’idea di aspetti diversi della nostra regione.

Mappa delle regioni


biogeografiche d’Europa. In rosa
vediamo le aree alpine che hanno un
gradiente altitudinale molto spiccato
e che raccolgono e ospitano una
grande biodiversità. In verde c’è
l’area continentale, la regione
biogeografica continentale che
riguarda la pianura padana e scende
lungo il versante adriatico fino ad
Ancona e un po’ oltre ed è
classificata continentale dal punto di
vista climatico e poi invece in questa
carta abbiamo in giallo tutta la
regione biogeografica mediterranea
che ospita gli appennini con una
netta impronta mediterranea della
flora. Vediamo che abbiamo in
comune rispetto alla Francia, la
regione biogeografica mediterranea, continentale. La Francia, come anche il regno unito hanno questa
ampia fascia di regione biogeografica atlantica che ha un clima diverso dal nostro. Con la spagna
condividiamo una regione biogeografica mediterranea e poi c’è la zona atlantica che vediamo nel nord.
Noi abbiamo una grande biodiversità legata a 3 regioni biogeografiche.

C’è anche una trattazione degli hot-spot più importanti nelle varie ecoregioni.

questa è una carta dell’uso del territorio, che comprende anche la vegetazione che è stata fatta secondo
Corine land cover del 2018 ed è stata fatta sulla base della conoscenza accumulata e di immagini satellitari.
P una mappa che evidenzia i seminativi, tutte le zone in verde della pianura e vediamo che la pianura
padana in piemonte non è così
estesa perché è meno di un terzo
della superficie. Vediamo la
pianura vercellese, novarese,
cuneese, e la zona alessandrina
che è abbastanza estesa e
importante.
In verde sono quindi le zone
agricole.
Invece in azzurro vediamo le zone
boscate e sono veramente
tantissime in particolare nelle
alpi ma anche nei rilievi interni,
tutta la collina di Torino e poi
langhe e Monferrato e anche
negli appennini abbiamo una
grande estensione del bosco
che può raggiungere quasi il
50% della superficie che
dipende dalla definizione
normativa di bosco. Sono in
forte espansione.
Abbiamo tante zone di alta
quota, quelle sui confini che
sono le zone di pascoli alpini e
di rocce e di detriti. Questi sono
gli aspetti più importanti che si
volevano evidenziare. Abbiamo
le colture permanenti, i frutteti,
vigneti e noccioleti. Abbiamo
una conoscenza molto accurata della vegetazione sul nostro territorio.

in questo diagramma possiamo notare la superficie forestata, circa il 22% + il 17%


(39%) e abbiamo una parte con territori boscati e ambienti seminaturali fino ad
arrivare al 50% della superficie.

Abbiamo anche carte della vegetazione potenziale


Anche qui vediamo nel 2016 il
particolare della carta forestale
regionale che è unica a livello italiano
con la divisione nelle varie tipologie
forestali. Quindi abbiamo gli acero-
tiglio-frassineti, gli alneti planiziali e
montani, i castagneti, le cerrete, le
pinete di pino silvestre ecc. fino ad
arrivare ai lariceti presente nelle valli e
nelle zone più elevate fino ad arrivare
al timberline. Le peccete, meno diffuse
perché sono in genere miste al larice,
abbiamo le pinete a pina montano ecc.
nelle langhe e Monferrato e collina di
Torino abbiamo boschi che sono
querceti di Querco carpineti (solo in pianura) invece i querceti di rovere, le cerrete, abbiamo tanti Robinieti.
Abbiamo al distribuzione di tutti i boschi

Abbiamo dalla carta del 2016 le percentuali dei diversi tipi di


bosco, castagneti, faggete e Robinieti sono quelle che hanno la
maggiore percentuale. I querchi carpineti pochissimo (di
pianura) li troviamo a Racconigi, Stupinigi, Mandria.

La cartografia è molto accurata e conosciamo bene il nostro


territorio e il nostro territorio regionale è uno di quelli meglio
salvaguardati nell’ambito delle regioni norditaliane. Rispetto alla
Lombardia noi abbiamo una quantità di persone sul territorio,
densità demografica è quasi la metà. In Lombardia ci sono circa
9 milioni di persone mentre in piemonte siamo poco sopra i 4
milioni. Abbiamo questa minore pressione demografica che nel
tempo ha determinato una possibilità di conservazione di una
buona naturalità in piemonte. Questo è legato al fatto che c’ è
una percentuale di pianura relativamente bassa e questo non ha
permesso lo sviluppo di centri urbani eccessivamente grandi. Es.
confronto con Milano molto presente. La zona milanese ha altre opportunità dal punto di vista agricolo e
dal punto di vista dello sviluppo industriale. Abbiamo avuto storie diverse anche rispetto al veneto, rispetto
all’Emilia e abbiamo una possibilità di maggiore conservazione che determina una minore ricchezza dal
punto di vista economico però a fronte di una conservazione maggiore del territorio e della biodiversità.

Questa parte la troviamo su Moodle.


Partendo da questo quadro della conoscenza della biodiversità oggi partiamo con una trattazione
abbastanza breve che è utile per tutti i nostri curricula, sugli habitat della direttiva habitat in piemonte
perché questa trattazione che riguarderà la lezione di oggi e della prossima settimana è importante perché
da un quadro degli habitat più importanti e dei loro servizi ecosistemici, le esternalità che i vari habitat
forniscono all’uomo, ci si rende conto della importanza della conservazione sia per chi si occupa di gestione
che di conservazione ma anche per la salute dell’uomo perché senza gli habitat che possono essere naturali
o meno, senza la biodiversità e questi habitat l’uomo non può vivere e bisogna conservare questi habitat in
prossimità delle zone urbane perché abbiamo veramente bisogno di aree verdi che forniscono servizi
ecosistemici indispensabili per la vita dell’uomo. È utile per tutti vedere le formazioni erbacee, faremo un
approfondimento sugli habitat boschivi e sulle zone umide.
Per ciascuno degli habitat sono stati riportati delle trattazioni brevi di ciascuno degli habitat. Non dobbiamo
conoscere tutto di queste praterie ma sapere l’esistenza e almeno 2-3 specie dominanti per ciascuno.
Dobbiamo sapere dove sono distribuiti e quali sono i servizi ecosistemici forniti all’uomo. Sapere qualcosa
su come si mantengono e da cosa vengono minacciati.
Vedremo ciascuna di queste schede fatta brevemente. Es. i prati stabili da sfalcio di bassa quota in coltura
tradizionale
Vediamo il codice Corine, la denominazione natura 2000, quali unità fitosociologiche sono presenti, dove
questo habitat è localizzato, es porzioni marginali della bassa e alta pianura, fondovalle ecc. che tipo di
fisionomia di ambiente. Le specie caratteristiche non andiamo a studiarle. Quali sono gli habitat di contatto
interessa poco.
Ci interessa soprattutto lo stato di conservazione e le influenze antropiche.
È importante conservate i prati stabili da sfalcio? È importante conservarli perché ospitano una biodiversità
significativa, notevole, ospitano anche una biodiversità animale, es. ornitica, ci sono uccelli che nidificano in
queste praterie. Ci sono tutti i temi del contrasto tra le necessità di conservazione vegetale e animale.
Sarebbe utile fare i primi sfalci un po’ tardivamente.
C’è una scheda per ciascuno degli ambienti.
Sapere per i boschi che tipo sono: faggio, larice, abete rosso ecc.
E cercare di capire dove sono distribuite, lo stato di conservazione, le pressioni antropiche di questi habitat.

Analisi delle comunità vegetali: formazioni erbacee


- Perché conservare le praterie
- Servizi ecosistemici ambientali: CO2, ossigeno, contrastano l’erosione, paesaggio, biodiversità
animale, vegetale, fungina, batterica, produzione biomassa
- Servizi economici: pastoralismo, alimenti di qualità
- Servizi culturali ricreativi per la salute dell’uomo

Andiamo a vedere in generale il discorso delle formazioni erbacee che è l’oggetto della lazione di oggi.
Perché conservare le praterie? Le praterie sono ricche di biodiversità, sicuramente vegetale ma anche
animale, batterica, fungina. Quindi abbiamo l’importanza della conservazione della biodiversità in generale
ma perché la vogliamo conservare? Le praterie forniscono tanti servizi ecosistemici ambientali, la fissazione
della CO2 è molto forte, in qualche caso le praterie di pianura possono fissare più CO2 di alcuni boschi
molto antichi, vetusti che fissano relativamente poco. Produzione ossigeno è un aspetto importante, il
contrasto all’erosione delle zone di pendio, aspetti paesaggistici sono importanti, conservazione della
biodiversità e la produzione di biomassa, perché queste praterie danno un foraggio particolarmente utile
per l’allevamento delle vacche ma anche delle vacche da latte che nutrite con questo foraggio
particolarmente di buona qualità forniscono un latte e una carne di buona qualità. In provincia di cuneo
l’allevamento di bovino è diffuso e per la produzione di latte ci si basa tantissimo su questi prati sfalciati da
fieno perché il latte che ne deriva è di maggiore qualità per i volatili presenti e sicuramente è un tipo di
foraggio per gli animali particolarmente di pregio
Altri servizi economici importanti sono il pastoralismo, le praterie del cuneese ormai molto rare, sostituite
da coltivazioni di mais. oggi si sta di supportare facendo nuove praterie, per il taglio dell’erba e per il fieno
ma anche per far pascolare gli animali. Questo è importante per il benessere animali su cui tanto lavorano
zootecnici e agronomi
Inoltre le praterie forniscono servizi culturali ricreativi per la salute dell’uomo, ad esempio, co ni prati
presenti nell’ambito della provincia di Torino.
Oltre a questo discorso generale andiamo a vedere le tipologie di praterie che sono considerate pià
importanti come habitat dal punto di vista dell’unione europea che li ha considerati importanti livello
europeo.
Tutte le praterie sotto i timberline, sotto i 2000 metri sono tutte praterie che devono essere mantenute ad
opera del pascolamento o dello sfalcio o da pascolamento spontaneo da parte di stambecchi, camosci ma
non è così risolutivo se non parzialmente e il carico animale non è alto. Alcune delle praterie viste non
necessitano di pascolamento perché sono in alta quota

Praterie basifile alpine e subalpine


● Codici Corine 31.41 e 36.42 Seslerietea variae: su rocce calcaree e miste da 1800-2500 m in tutte
le Alpi
● Sesleria varia, Astragalus sempervirens, Soldanella alpina, Festuca violacea, Trifolium thalii,
1) Agrostis alpina
● Leontopodium alpinum, Dryas octopetala, Aster alpinus, Carex curvula ssp. Rosae
● Si evolvono in boschi se non pascolate o sfalciate

Chiamate anche pascoli alpini su substrati calcarei


Innanzitutto parliamo di praterie basifile alpine e
subalpine. Sono presenti sopra la timberline, dai
1800 ai 2500 metri su tutte le alpi su rocce calcaree.
Sono riferibili alla classe fitosociologica Seslerietea
variae.
Sono ricche di specie e possono esserci delle specie
particolarmente rare come Leontopodium alpinum,
Dryas octopetala , Aster alpinus ecc.
Sono minacciata dall’abbandono in particolare. Se
non vengono pascolate, quelle fra il 1800 e il
timberline si evolvono in boschi e sono proprio
quelle zone che hanno contribuito ad aumentare la
percentuale boschiva in piemonte

Vediamo il 36.42 il codice Corine che le caratterizza. Ci


sono tante specie come Trifolium thalii,
Helianthemum nummularium, che arricchiscono
queste praterie.

C’è anche la stella alpina: Leontopodium alpinum, la


Dryas octopetala, l’Aster alpinus, sono tutte specie
che si trovano bene su calcare e suoli con pH basico.
Sono praterie da conservare per questa biodiversità
che già per noi è interessante in Italia e lo è a livello
europeo perché le comunità delle alpi sono presenti
solo sulle alpi ed è chiaro che bisogna salvaguardarle.

abbiamo anche i salici nani che possono essere


presenti in queste praterie basifile, es. Salix
retusa, Salix reticulata ecc.
Praterie secche su calcare a Bromus erectus
● Codice Corine 6210 Festuco-Brometea, Brometalia, Mesobromion e Xerobromion
● Sono popolamenti xerofili e submediterranei o endoalpini( da 300 a 1000 m)
2)
● Bromus erectus, Brachypodium pinnatum, Carex humilis, Stipa capillata, Stipa pennata, Anthyllis
vulneraria, Prunella grandiflora e numerose orchidee: Orchis apifera, O. morio, O. ustulata,
Serapias lingua
Scendiamo di quota e andiamo ad analizzare le praterie secche su calcare a Bromus erectus, una
graminacea
Sono praterie molto presenti negli appennini, perché abbiamo molto spesso queste formazioni su calcare e
climi generalmente aridi
Nelle api si trovano es. in val di Susa, nelle oasi xerotermiche nella zona di Chianocco e Bussoleno sul
versante orografico esposto a sud (sinistro della valle)
Sono riferibili alla classe fitosociologica Festuco-Brometea, ordine Brometalia, alleanza Mesobromion e
Xerobromion. La classe fitosociologica è la classe che raggruppa tutte le praterie xeriche. Sono popolamenti
xerofili submediterranei, presenti in zone appenniniche mediterranee. Sono ricchissime di specie
mediterranee rispetto al resto delle alpi e sono caratterizzate dal fatto di essere endoalpine, sono interni
alla catena alpina. Es. la valle di Susa è molto particolare perché ha precipitazioni bassissime in virtù del
fatto che ci sono venti che spingono le precipitazioni che arrivano. C’p questo vento di caduta che genera
forte aridità nella parte centrale.
Queste praterie sono posizionate da 300 a 100 metri di quota, sono considerate molto importanti per la
conservazione perché possono ospitare da 25 fino a 30 specie di orchidee
Queste praterie necessitano di pascolamento per forza perché altrimenti diventano boschi di roverella e lo
diventano nel giro di alcuni decenni.

Abbiamo tante orchidee spontanee come


Orchis ustulata, Serapias lingua, Orchis
morio, ne possono ospitare nella zona di cui
si parlava, area protetta dell’Orrido di
Chianocco foresto, ce ne sono 26 specie.
Sono delle praterie veramente da conservare
per queste specie rare che ospitano.
Come faccio a conservare queste praterie?
Non si possono lasciare al loro destino. Se si
abbandonano queste praterie si inarbustano,
diventano arbusteti e poi boschi di roverella
dove queste specie non ci sono. Se si vuol
fare conservazione deve essere attiva, nel
senso che ci deve essere il pascolamento.
Sono praterie che producono pochissimo
foraggio, ma soprattutto il pascolamento
ovino (no bovino perché zone pendenti) che è stato reintrodotto con un gregge di servizio, greggi che sono
acquistati o finanziati dalle regioni o dai comuni o dai parchi e servono per mantenere la biodiversità
vegetale delle praterie. Anche in Svizzera, in valle d’Aosta ecc. avviene. Sono pratiche abbastanza diffuse di
far passare questo gregge di pecore prima di farle andare in alta quota e quindi c’è un pascolamento tardo
primaverile, inizio estivo che può mantenere queste praterie, è sufficiente un pascolamento di un mesetto
su questi pascoli e dopo gli animali vanno in alta quota e questo è sufficiente per non farle inarbustare e di
conseguenza mantenerle. Sono anche molto belle dal punto di vista paesaggistico e possono servire per
attirare un certo tipo di turismo es. trekking, ecc.

Praterie acidofile a Nardus stricta ricche di specie


● 35.1 Formazioni erbose a Nardo (Nardion strictae) (Piemonte settentrionale 1700-2300 m
3) ● Nardus stricta, Campanula barbata, Gentiana kochiana, Arnica montana, Geum montanum,
Vaccinium myrtillus, Avenella flexuosa, Nigritella nigra
● Su substrati acidi o acidificati
● Nardus stricta come specie dominante

torniamo in alta quota e abbiamo praterie acidofile con


Nardus stricta, queste sono le formazioni arbose a nardo,
arrivano vanno dai 2700, 2300 metri, e sono su substrati
acidi o acidificati. Quelli di prima erano substrati calcarei.
Qui abbiamo tante specie comuni però che caratterizzano
queste praterie.
Abbiamo un orchidea interessante, la Nigritella nigra una
specie con un buonissimo profumo di cioccolato e vaniglia
che ha
un
altezza
di circa
10 cm, abbiamo l’arnica montana, la Gentiana kochiana,
antennaria dioica, Geum montanum e la campanula
barbata come specie più abbondanti ma la specie più
diffusa è il nardus stricta, ci sono altre specie tipiche di
queste praterie di alta quota. Sono comunque praterie
ricche di biodiversità e devono essere pascolate per
essere mantenute a meno che siano nel confine
superiore della timberline e possano mantenersi
proprio in virtù della quota.

Praterie a Molinia su suoli calcarei, argillosi o neutro-acidi


● 37.31 Molinion caeruleae
● Su suoli ricchi d’acqua, argillosi, acidi (300-
2000 m)
● Molinia caerulea, Gentiana pneumonanthe,
Gladiolus palustris, Viola palustris, Colchicum
4) autumnale
● Buona biodiversità vegetale

Vediamo ancora le praterie a Molinia. Queste sono


molto ricche di biodiversità tutta diversa rispetto a
quelle di prima. La Molinia cerulea è uan graminacea
che fa cespi grandi che necessitano di tanta acqua
quindi queste praterie sono presenti in piemonte
soltanto nelle zone pedemontane, dove abbiamo
delle acque di risorgiva che arrivano in questi suoli argillosi, ricchi di acqua e acidi. Normalmente in
piemonte ma anche in Lombardia e veneto ci sono queste formazioni ricche di acqua e abbastanza diffuse
nell’area pedemontana su substrati acidi, da 300 a 2000 metri anche se sono più abbondanti nella zona id
pianura, e di bassa quota. Hanno uan buona diversità vegetale, sono poco interessanti per il pascolamento
perché sono troppo ricchi di acqua ed è giusto conservarli per questa biodiversità legata all’ambiente ricco
di acqua. Ne abbiamo pochi di ambienti ricchi di acqua perché sono stati quasi tutti bonificati
Vediamo queste praterie qualora non vengano ne pascolate ne sfalciate sono caratterizzate dall’evoluzione
verso boschi, sono boscaglie di salici come Salix alba, lo vediamo con le sue infruttescenze in sviluppo, i
salici in gran parte sono già fioriti in questo periodo, sono tutti dioici, piante femminili e maschili separate,
si ha poi l’impollinazione anemofila da una pianta all’altra e la formazione di queste infruttescenze che
liberano tantissimi semi. Ci sono altri salici oltre a Salix alba presente lungo il Po, c’è Salix cinerea, Salix
caesia, la frangula Alnus, tante specie arboree di basso pregio che vanno a colonizzare queste formazioni
ricche di acqua nelle zone pedemontane. Le zone pedemontane possono essere ricche di acqua perché
scende dalle alpi, in pianura può anche risalire, arrivare in superficie perché incontra banchi di
argilla, arriva sulla superficie e rende stagnanti le superfici erbacee di queste zone.

Praterie da sfalcio di bassa quota in coltura tradizionale


● 38.2 Praterie magre da fieno a bassa altitudine
● Arrhenatherion (con specie del Molinetalia)
● 100- 500 (1200) m
5) ● Arrhenatherum elatius, Poa pratensis, Achillea millefolium, Trifolium pratense, Trifolium repens,
Bellis perennis, Medicago lupulina, Taraxacum officinale
● Sfalcio necessario, biodiversità ed evoluzione

Veniamo ancora a parlare di praterie di sfalcio di


bassa quota in coltura tradizionale, definite anche
praterie magre da fieno, prima parlavamo di praterie
ricche di nutrienti. Queste sono riferibili all’alleanza
Arrhenatherion che prende il nome da una
graminacea Arrhenatherum elatius. Possono esserci
specie anche di zone umide ma sono proprio le specie
classiche che si trovano nelle praterie, non sono
specie rare ma sono diventate più rare nel tempo
perché queste praterie sono state trasformate in gran
parte in colture di cereali e di mais in particolare.
Nell’alta pianura ce ne sono ancora, nella zona della
Val Dossola, negli sbocchi vallivi delle vallate alpine,
nel cuneese, delle basse langhe e Monferrato,
producono poco e per mantenerli c’è bisogno dello sfalcio o del pascolamento. È una biodiversità discreta,
l’evoluzione se vengono abbandonati è a bosco o boscaglia tipica di ciascuna zona, possono esserci querce,
castagni, aceri ecc. e si formano queste boscaglie.
Le specie più abbondanti: Trifolium repens e Trifolium pratense, due leguminose che arricchiscono il suolo
di azoto disponibile per le piante, l’achillea millefolium. Il tragopogon pratense uan composita, la silene
vulgaris dove si può chiudere questi calice. Rumex acetosa e Knautia arvensis. Abbiamo specie molto
comuni però abbondanti come numero. Per questo queste praterie non vengono conservate per una
biodiversità particolare perchè non sono specie rare, ma sicuramente per un paesaggio molto scomparso e
che si conserva solo in aree marginali, aree povere in cui evidentemente i suoli non sono molto fertili e
abbiamo queste praterie abbastanza ricche di specie.
Abbiamo altre specie come Anthoxanthum odoratum, Holcus mollis, trisetum flavescens, Phleum pratense,
Poa pratensis, Arrhenatherum elatius.
Es. alla mandria ci sono praterie di questo tipo, xeriche, da sfalcio e sono interessanti dal punto di vista
paesaggistico

Praterie montano-subalpine a Trisetum


flavescens
● 38.3 Polygono-Trisetion = Triseto-
Polygonion bistortae
d
● Trisetum flavescens, Polygonum bistorta,
Silene vulgaris, Salvia pratensis, Narcissus
poeticus
● Sfalcio necessario e concimazioni
Arriviamo verso la fine della nostra trattazione delle praterie, con delle praterie di media quota, montano
subalpine a trisetum flavescens. Sono praterie in cui la graminacea prevalente che prende anche il nome di
avena bionda, ed è una graminacea molto diffusa. La classificazione fitosociologica è che queste praterie
vengono inquadrate nell’alleanza Polygono-Trisetion che fa sempre parte della classe Arrhenatherion
Si chiama anche Triseto-Polygonion bistortae perché abbiamo il trisetum flavescens, il Polygonum bistorta,
na poligonacee con infiorescenze rosa, la silene vulgaris, la salvia
pratensis, i narcisi come Narcissus poeticus, il chaerophyllum
hirsutum, un ombrellifera, il Carum carvi sempre ombrellifera.
Anche queste praterie non hanno specie particolarmente rare ma
sono interessanti dal punto di vista paesaggistico e di questi
servizi ecosistemici di cui parlavamo. Per conservarle è necessario
lo sfalcio e concimazioni necessarie come ritorni di fertilità. A
forza di portare via il materiale vegetale bisogna reintegrare la
sostanza organica del suolo e i nutrienti.
Queste sono le formazioni erbacee interessanti, vediamo che
quelle di media quota hanno anche il crocus albiflorus, un
bucaneve, assieme a Dactylis glomerata, Polygonum viviparum
ecc. sono specie comuni però che rendono interessanti queste praterie.

Riassumendo diciamo che le praterie di più alta quota sono quelle sicuramente più ricche di specie rare: es.
praterie a Nardus stricta sono abbastanza comuni ma interessanti perché hanno specie come nigritella che
è rara. Molto interessanti le praterie secche su calcare a Bromus erectus, queste sono insieme ai pascoli
alpini di alta quota, le più ricche di specie rare perché contengono tante specie mediterranee e tante
orchidee presenti nel mediterraneo. Il discorso della conservazione: per la conservazione dei servizi
ecosistemici e per una biodiversità vegetale interessante,
abbiamo ancora le praterie basifile alpine e subalpine, queste sono molto interessanti perché hanno tante
specie anche endemiche delle nostre alpi
→ Leontopodium alpinum, Aster alpinus, Dryas octopetala
un discorso generale che si può fare è che le praterie contengono una biodiversità importante. È una
biodiversità che noi vogliamo conservare perché in particolare nelle alpi è una biodiversità che non esiste
da altre parti perché molte di queste specie sono presenti solo nella zona alpina, anche magari negli
appennini ma solo in parte.
Ricordiamo sempre che la massima biodiversità delle zone alpine è legata alla copresenza della flora alpina
e di una flora mediterranea. Da dove è entrata la flora mediterranea? In particolare nella zona di Susa. Ci si
chiede se sia entrata dalla Francia e questa è una cosa strana, magari in certi periodi durante gli interglaciali
o dopo le glaciazioni queste specie siano arrivati attraverso il Moncenisio, il Monginevro, e abbiano quindi
passato questi colli.
Perché se scendiamo dall’altra parte troviamo le stesse specie mediterranee che sono salite da sud verso
nord sia in Francia che in Italia ma che poi nell’ambito alpino si sono effettivamente spostate. Immaginiamo
che le specie vegetali siano ferme sul territorio ma in realtà si muovono col vento, ad esempio, e quindi
tanti semi arrivano, sia con gli uccelli che con altri animali. C’è un passaggio di patrimonio genetico tra la
parte francese e quella italiana, questo passaggio ha determinato la presenza in contemporanea di specie
mediterranee e di specie delle alpi e quindi la valle di Susa è una delle zone più ricche di specie vegetali di
tutte le alpi e andrebbe conservata con particolare attenzione sia ad alta quota sia a media.
Queste formazioni non sono delle formazioni mature, non sono teste di serie perché se le lasciamo senza
interventi di pascolamento o sfalcio tranne quelle di alta quota (si conservano perché sono sopra la
timberline a meno che non cambi tantissimo il clima) sono tutte di origine antropica, e se dobbiamo
conservarle o dobbiamo farle sfalciare o pascolare e la conservazione è legata a certe attività tradizionali
che in certi casi sono vantaggiosi dal punto di vista economico e in certi casi meno. È per questo che
l’abbandono di tante di queste zone marginali, meno ricche e meno redditizie dal punto di vista economico
rispetto alla pianura, l’abbandono ha determinato l’inarbustamento e la formazione di comunità boschive
Per questo motivo i boschi sono cresciuti dal 17% nel 1870 fino al 37% (2016) e quasi al 50% oggi
L’aumento è determinato dall’abbandono di queste zone marginali che in particolare alla fine dell’800
erano tutte usate e l’agricoltura era più estesa anche nelle zone marginali.
Oggi nelle zone marginali abbiamo o delle colture redditizie (es. langhe e Monferrato vite e nocciolo) ma di
coltivazioni legate a coltivazioni erbacee ne abbiamo sempre meno e questo è un danno sicuramente per la
conservazione della biodiversità e dei servizi ecosistemici.
L’unione europea fa molti progetti es. Life Natura che sono anche molto ricchi dal punto di vista del
contributo economico per contrastare la perdita di biodiversità mantenendo certi tipi di attività agricole e
pastorali. Sono dei progetti di 5 anni normalmente, abbastanza importanti e che non sono di ricerca ma
sono progetti di gestione territoriale e bisogna effettuarli insieme agli enti territoriali, i comuni, la regione,
le province, i parchi. Bisogna fare una collaborazione tra enti di ricerca e di gestione in modo da avere una
corretta gestione territoriale.

Siti che possiamo andare a consultare:


https://www.lifexerograzing.eu/it/
progetto life che è stato finito l’anno scorso. È un life natura. Zona incendiata e ripresa che c’è stata del
progetto dopo l’anno dell’incendio. Siamo nell’oasi xerotermiche della valle di Susa. Vediamo habitat 6210
che è un habitat di particolare pregio. Possiamo vedere queste praterie xerotermiche delle zone dell’orrido
di foresto e Chianocco occupate da Juniperus oxycedrus che è il ginepro rosso che è una specie
mediterranea e vediamo questa diffusione della roverella. In realtà ci sono delle zone in cui la prateria è
ancora diffusa e proprio in queste zone possiamo vedere le specie più importanti, le orchidee, leguminose,
ci sono molte specie rare di queste formazioni.
Abbiamo tante specie mediterranee che sono presenti. Si vede proprio la prateria xerica con gli arbusti che
sono in diffusione. d’estate diventano gialle le praterie come quelle della Sicilia e della Sardegna e parte
degli appennini
In queste zone ci sono molti muretti a secco perché erano zone molto usate anche in un passato molto
remoto (,migliaia di anni fa) perché erano le zone più abitate di tutto il piemonte, anche nel post-glaciale,
4000 5000 anni fa tanto che abbiamo le sculture rupestri o queste opere di gestione territoriale molto
tradizionali, questo rende il territorio particolarmente prezioso perché è una testimonianza del passato.
L’unione europea ha dato un giudizio favorevole allo sviluppo di questo progetto life
Ci sono anche orchidee non fotosintetizzante con questo colore violaceo, vive in simbiosi con funghi
ericoidi che forniscono i vari nutrienti.
Presenza di un esotica Opuntia, una succulenta, arrivata in queste zone e si è trovata bene.
andando in queste zone in aprile, si vedono delle bellissime fioriture e la prateria è tutta verde poi diventa
più secca.
Il fondovalle è estremamente antropizzato con strade, autostrade, ferrovie, mentre i versanti sia quello sx
molto antropizzato sia quello dx molto boscato sono interessanti dal punto di vista naturalistico.
Ci sono animali pascolanti con greggi di servizio ancora presenti nella zona.

Nell’aumento della superficie boscata si considerano anche le praterie che si stanno perdendo?
Certamente. Le praterie che sono oggetto di rimboschimento, non dovuto all’azione dell’uomo ma
spontaneo che hanno una copertura arborea di più del 25% si ritengono boschi, sono boscaglie ma si
ritengono considerabili nell’ambito dei boschi per questo la superficie è aumentata recentemente.
Nelle ultime normative sulla definizione di bosco c’è questa superficie boscata che è percentualmente
bassa. Sopra il 25% della superficie di alberi, quella superficie è considerata di bosco e le praterie che si
perdono sono ormai boscate e non più utilizzate
Si dice tanto per il territorio italiano è che siamo ricchi di boschi poveri. I boschi italiani es. betuschi sono
veramente pochi

Le orchidee diffuse in val di Susa hanno subito effetti negativi in seguito agli incendi estesi? Le orchidee
sono tipicamente delle specie adattate al passaggio del suolo. hanno organi sotterranei, i rizotuberi in
profondità nel suolo per cui non sono state fortemente danneggiate con il passaggio dell’incendio
importante e persistente. È stato fatto un monitoraggio prima e dopo incendio e nella zona di Chianocco e
foresto le orchidee non sono state danneggiate perché il suolo era abbastanza profondo e i rizotuberi si
trovavano in profondità per cui durante la prima stagione primaverile c’è stata una minor fioritura e un
minor numero di rosette ma l’anno dopo si hanno avuto tante più rosette basali. Nella zona di Mompantero
che è più nella valle ed è una zona in cui si avevano parcelle sperimentali, in quella zona le orchidee sono
state quasi tutte annientante perché lì il suolo era poco potente, di circa 5-10 cm e tanto più il suolo è
superficiale tanto più l’incendio è dannoso per gli organi sotterranei, mentre se il suolo è abbastanza
profondo le piante vengono protette dall’incendio, il suolo si scalda ma non è così caldo da danneggiare gli
organi. La ripresa della vita delle orchidee è stata quindi importante. Ci si potrebbe perfino chiedere se si
possa usare l’incendio come incendio guidato provocato. In certe zone del nord america l’incendio viene
usato per rinnovare le foreste. È un discorso molto discusso e molto critico perché ad esempio in val Susa
non hanno accettato l’idea di fare un incendio protetto. In val Susa il fuoco era arrivato vicino alle case,
talmente pericoloso che avevano sgomberato le case, non si riusciva a governare quell’incendio. In zone
ventose l’incendio non può essere prescritto per poter conservare la prateria. Mentre esistono zone dove
l’incendio prescritto si può fare e si può usare per ringiovanire le comunità vegetali, ma devono essere zone
poco abitate e non ventose e deve essere un passaggio di fuoco non che rimane sulla superficie.
Esiste l’ecologia del fuoco molto importante. Da noi per ora non è un fenomeno così diffuso se non in certe
zone ma invece nel mediterraneo è molto diffuso anche nei periodi estivi ed è qualcosa di molto pericoloso
e ha comunque un influenza importante sulla vegetazione.

Tutte le praterie, non solo quelle alpine, necessitano di pascolamento o sfalcio per essere mantenute ma
tutte quelle di bassa quota, anche nel mediterraneo, negli appennini dove ad esempio il bosco ormai è
diffusissimo e di praterie specialmente negli appennini centrali ce ne sono poche perché c’è stato grande
abbandono della abitazione delle aree interne proprio ad opera di questo grande spostamento verso le
città Si calcola oggi che su 60 milioni di italiani solo 14 milioni vivano in aree interne e non in città e quindi è
ormai una percentuale di popolazione molto bassa. Questo non avviene solo in italia ma in tante zone, dalla
spagna alla Francia all’Austria alla Germania. Un po’ dappertutto questo fenomeno è esteso. Con il discorso
della pandemia può darsi che ci sia una trasformazione del nostro modo di vivere. Questo potrebbe
determinare uno spostamento di parti della popolazione di nuovo in aree collinari e basse montane, minori
inquinanti, minori costi ecc. non è detto che questa tendenza all’inurbamento così spinta possa avere un
po’ di riduzione.

L’unione europea proprio perché il territorio europeo è così tanto antropizzato anche dal punto di vista
agricolo, non solo dalle città, ha detto di conservare di cercare di conservare la biodiversità delle zone
prative e delle zone umide cercando di trattenere lo sviluppo e la dinamica naturale verso formazioni più
nature più povere di biodiversità
È vero che l’uomo ha facilitato la diffusione delle praterie e le ha anche gestite in grande misura ma queste
specie vegetali erano presenti già per conto loro. Il pascolamento degli animali selvatici c’era comunque e
le piccole praterie ci sono sempre state comunque quindi noi conserviamo una biodiversità prativa
dall’eccesso di antropizzazione moderna perché una gestione tradizionale o il pascolamento spontaneo
avrebbe sempre mantenuto le formazioni erbacee che in piccola misura sono un esempio di formazioni
semi naturali anche se non sono però completamente avulse dalla naturalità ma sono delle forme di semi
naturalità
Il discorso è diverso per le zone umide che non sono state fatte dall’uomo ma sono presenti in virtù di una
certa dinamica vegetazionale e lasciare che si sviluppino tutte in boschi sarebbe negativo perché si
toglierebbe parte della biodiversità.
La filosofia è stata quella di mantenere il massimo della biodiversità insieme ad un alta parte di naturalità
perché le due cose non vanno di pari passo in Europa perché c’è una lunga tradizione di gestione
territoriale. Se si va in foresta Amazzonica o in foreste delle Ande o foreste indonesiane quelle andrebbero
solo conservate e non gestite, tanto più si hanno dei territori ricchi di biodiversità e ricchi di naturalità
bisognerebbe conservarli così come sono. Il discorso è stato fatto in particolare per l’Europa in relazione a
questa gestione territoriale dell’uomo che ha aumentato la biodiversità.
Si potrebbe dire: ha senso andare a supportare economicamente questo tipo di praterie? Es. in Svizzera
viene fatto un forte sostegno all’agricoltura, principalmente per ragioni sociali, di mantenimento di certe
famiglie nelle zone non urbane, c‘è una scelta politica e sociale di mantenere gli agricoltori sul territorio.
Ipoteticamente, prima che l’uomo disboscasse gran parte del territorio italiano, specie come queste
orchidee avevano un areale molto ristretto? Magari sul calcari e aree simili?
Probabilmente si , magari c’erano pratelli di più piccole dimensioni in cui queste specie vivevano bene e si
sono sviluppate in queste condizioni dove animali pascolavano.
Quello che abbiamo di naturale conviene mantenerlo ma quello che abbiamo di tradizionale si può avere la
doppia scelta o se veramente non c’è una grande biodiversità lo lasciamo rimboschire oppure lo
manteniamo se è ricco di biodiversità.
L’unico caso per cui si è deciso di mantenere, come gruppo di ricerca è quello della valle di Susa perché c’è
una biodiversità floristica eccezionale e l’idea di spendere dei soldi per mantenere quella biodiversità e quel
paesaggio era ottima.
Ricordiamoci che il mantenimento di certi paesaggi rende in termini economici e rende perché abbiamo
tanti turisti stranieri.
In Europa si è fatta la scelta del mantenimento della biodiversità di aree seminaturali e la direttiva habitat
ne è un esempio, conserva i boschi, le praterie alpine ma anche queste formazioni intermedi (prati e aree
umide).
È interessante capire che su territori che sono stati tradizionalmente gestiti dall’uomo, il ritorno alla totale
naturalità viene vista come una perdita di qualche servizio ecosistemico.

Sito da visitare https://www.lifeorchids.eu/


Per questo progetto life natura che si svolge nei SIC (i progetti life natura si svolgono tutti nei SIC)
È mirato alla conservazione delle orchidee spontanee in prateria.
C’è una grande diversità delle orchidee delle praterie. Con aspetti di coevoluzione con gli insetti e che sono
particolarmente interessanti per tantissimi aspetti di peculiarità di queste specie rispetto a specie meno
rare e particolari. si può anche diventare custodi di alcune di queste specie

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