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SIAMO (NON SOLO) CIÒ CHE MANGIAMO

Uno degli aspetti della nostra quotidianità che ha un grandissimo impatto sull’ambiente è
l’alimentazione.
Un importante comitato consultivo sul futuro dell'agricoltura, composto da esperti degli Stati
membri dell'UE (SCAR) ha concluso nel suo ultimo rapporto che:
Molti dei sistemi di produzione alimentare di oggi compromettono la capacità della Terra di
produrre cibo in futuro. A livello globale, e in molte regioni, compresa l'Europa, la produzione
alimentare sta superando i limiti ambientali o è vicina a farlo. La sintesi dell'azoto supera di
quattro volte il limite planetario e l'uso del fosforo ha raggiunto il limite planetario. Il
cambiamento dell'uso della terra e il suo degrado, e la dipendenza dall'energia fossile
contribuiscono a circa un quarto delle emissioni di gas serra. L'agricoltura, compresa la pesca,
è il principale motore della perdita di biodiversità. A livello regionale, l'acqua estratta per
irrigazione supera la ricostituzione della risorsa.1

Non si tratta solamente di individuare un alimento “buono” e uno cattivo. Non tutta la carne fa
male all’ambiente, come non tutti gli ortaggi o frutti che acquisto sono sostenibili. Se è ormai
scientificamente e culturalmente risaputo che per un hamburger si consumano ettari di cereali,
quintali d’acqua e si emettono centinaia di chili di CO2, non è neanche detto che saremo
costretti a mangiare solo insetti e insalata per poter sfamare il mondo nei prossimi decenni.
Infatti, una dieta che integri un consumo moderato di carni animali, che derivano da
allevamenti controllati e vicini al luogo d’acquisto ha un impatto sull’ambiente non molto
diverso della dieta di chi mangia quotidianamente avocado peruviano, riso indiano, soia
americana, sciroppo d’acero canadese, ananas costaricane, banane ecuadoregne, ecc.
La filiera dell’alimento è importantissima, non conta solo che alimento viene prodotto, ma
come e dove; su che terreni, con che metodi, qual è la condizione delle persone che vi
lavorano, quante risorse vengono sprecate e quanto inquinante è il trasporto per portarlo sulle
nostre tavole

Lo spreco alimentare
Siamo ciò che mangiamo e ciò che mangiamo è il pianeta terra; ma oltre al seguire una
corretta alimentazione che tenga in considerazione l’impatto di un alimento sul nostro corpo e
sul nostro pianeta, vi è la questione legata allo spreco alimentare. Lo spreco alimentare non
solo domestico, ma anche quello all’interno della filiera produttiva. Se c’è una cosa che proprio
non bisognerebbe fare è buttare via la roba da mangiare. Ad esempio, ogni anno, noi italiani
buttiamo pro capite 108 kg di cibo ancora commestibile. Negli Stati uniti si buttano 110 kg di
roba ancora buona, 99kg in Francia, 82kg in Germania e 72kg in Svezia. Complessivamente
un terzo della produzione di cibo del mondo viene scartata.
Ci si potrebbe chiedere perché sono stati nominati solo paesi ricchi. Semplicemente perché i
poveri non buttano la roba da mangiare, è un’abitudine tutta nostra. La FAO (Organizzazione
delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) riporta che 815 milioni di persone nel
mondo sono malnutrite. L’UNICEF aggiunge le tantissime persone che per motivi economici
non hanno una dieta sana e diversificata. In totale, sono circa 2 miliardi nel mondo le persone
che vivono in una situazione di insicurezza alimentare.
In Africa la denutrizione colpisce il 19% della popolazione. In Asia l’8%. In America Latina il
7,4%. La FAO prevede che nel 2030 oltre metà degli affamati cronici del pianeta sarà
concentrato in Africa. Nel 2030 ci si aspetta che vengano raggiunti i 17 obiettivi dell’agenda
per lo sviluppo sostenibile lanciata dall’ONU nel 2015 e che ha rilanciato ed espanso gli
obiettivi di sviluppo del millennio. Il secondo di questi 17 obiettivi è l’azzeramento della fame
nel mondo. Ma la volatilità dei prezzi, le restrizioni di accesso e l'interconnessione dei mercati
globali delle materie prime, così come la crescente vulnerabilità dei sistemi di produzione
alimentare al cambiamento climatico e alla perdita di agro-biodiversità, renderanno il cibo
ancora più inaccessibile per i poveri in futuro.

La FAO ci ricorda anche che la quantità di cibo che finisce tra i rifiuti nei Paesi industrializzati
(222 milioni di tonnellate) è pari alla produzione alimentare disponibile nell’Africa subsahariana
(230 milioni di tonnellate). Cioè è cibo che potrebbe sfamare un continente. lo spreco
alimentare è solo il sintomo più evidente di un sistema alimentare distorto e insostenibile che
tratta il cibo come merce e che lo ha privato dei suoi valori culturali, sociali e ambientali. È
cibo perduto che fa malissimo anche al pianeta.

Secondo ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) lo spreco


alimentare è responsabile del 7% delle emissioni totali di anidride carbonica. Se fosse una
nazione, lo spreco alimentare sarebbe al terzo posto dopo Cina e USA nella classifica degli
stati che emettono più gas serra.

Buttare del cibo, significa anche sprecare 250 km cubici di acqua usata per la sua produzione.
Si tratta dell’acqua usata per coltivare, far crescere e poi trasformare, trasportare il cibo. Ma
cosa significano concretamente 250 km cubi? Questi equivalgono a riempire 5 volte il Lago di
Garda. Inoltre, con il cibo buttato si perde anche l’energia che è servita a produrlo, trasformarlo
e trasportarlo. Quindi si consuma inutilmente anche moltissima CO2!

Per comprendere il processo che porta a un così diffuso spreco di cibo, bisogna accennare
anche cosa è la filiera alimentare. La filiera è il percorso che un alimento fa dalla terra alla
tavola. Lo spreco è un problema che riguarda tutti i passaggi della filiera: dalle aziende agricole
alla lavorazione, dai negozi ai ristoranti. Tuttavia il momento in cui all’interno della filiera viene
sprecata la maggioranza degli alimenti è in ambito domestico. Nello specifico, le famiglie
europee sono responsabili del 53% dello spreco alimentare, più dell’industria (19%), più dei
ristoranti (12%), più della vendita al dettaglio ( 5%).

A livello domestico i fattori che più di tutti contribuiscono allo spreco alimentare sono gli avanzi.
In altre parole, o si cucina troppo o si acquistano troppi alimenti freschi che vanno a scadere.
Può sembrare ovvio, ma lo spreco è un costo. Lo spreco si traduce in un duplice costo
ambientale ed economico. Ogni famiglia italiana butta in media 350 euro di cibo ogni anno.

Bisogna anche sottolineare che ci sono tante piccole attenzioni che possiamo seguire per non
sprecare il cibo. In primo luogo riutilizzare e trasformare le pietanze del giorno prima in nuovi
piatti. Senza rendere questo testo un libro di ricette, la frittata di pasta, come le polpette, sono
due piatti tradizionali che originano proprio da un riutilizzo di cibo. In secondo luogo bisogna
fare attenzione a non cucinare più di quello che si mangia e, eventualmente, congelare il cibo
in eccesso. Da questi due principi generali possono essere declinati in numerose altre pratiche
e attenzioni in grado di ridurre l’impatto della nostra alimentazione sull’ambiente. Tuttavia, le
accortezze, come già accennato, devono iniziare sin dal momento della spesa.

Il motivo per cui spesso ci facciamo prendere la mano deriva da un retaggio ancestrale, non
diverso da quello presente negli animali. Infatti, quando la faina entra nel pollaio ammazza più
galline di quelle necessarie a sfamarla. Questo fenomeno etologico si chiama frenesia
alimentare. Questa dinamica viene innescata proprio dall’abbondanza di cibo che provoca
un’eccitazione nella mente degli animali, portando il predatore a sfogarsi attraverso
l’assunzione rapida e incontrollata degli alimenti. Quando gli squali, i grizzly e i piranha vedono
tante prede, vengono colti da questa frenesia e uccidono più prede di quelle che consumano.
Il marketing dei prodotti alimentari spesso porta anche la nostra mente a cadere in una
trappola simile. Le offerte 3x2 o le raccolte punti spingono la nostra mente in uno stato simile
a quello della frenesia alimentare e ci portano ad acquistare più di ciò di cui abbiamo
veramente bisogno e spesso quel cibo in più acquistato viene sprecato.

Il consumatore 2.0
Fortunatamente molte campagne d’informazione e sensibilizzazione sulle tematiche dello
spreco alimentare hanno contribuito a creare una platea di consumatori più attenti. Il
consumatore 2.0 non è solo informato e attento, ma è anche e soprattutto capace di fare rete.
Il cosiddetto Consumer Empowerment, cioè il potere del consumatore, è alimentato da un più
alto livello di istruzione generale, dalla maggiore facilità di accedere alle informazioni, da una
maggior tutela dei diritti del consumatore e dalla possibilità di scambiare opinioni e di farle
arrivare al produttore. Grazie alla diffusione dei social e alla maggiore attenzione del
produttore per l’opinione dei consumatori, è diventato più facile anche portare dei cambiamenti
nella filiera. La società civile riesce ad aggregarsi ed esprimere opinioni che arrivano
rapidamente alle aziende. Opinioni che spesso riescono addirittura a influenzare le scelte
aziendali. Le modalità in cui queste pressioni risultano più efficaci sono le campagne social o
il boicottaggio dei prodotti. Ad esempio quest’ultimo, se accompagnato anche da un’intensa
campagna di informazione social, che mobilita molti consumatori, può portare gravi
ripercussioni per l’azienda colpita.

Un esempio recente e che ha coinvolto non solo la sfera della comunicazione online, ma
anche i media tradizionali, è quello dell’olio di palma. I derivati della palma da olio sono assai
utilizzati nell’industria alimentare o come biocarburanti. La grande diffusione della palma da
olio e del suo utilizzo è dovuto al basso costo di produzione e all’alta resa rispetto ad altri
derivati vegetali. Da un ettaro coltivato a palma si ottengono tre tonnellate e mezza di olio,
dieci volte più di quello che si otterrebbe dall’utilizzare una stessa superficie con uliveti e
cinque di più rispetto alla colza. Tuttavia, la polemica sull’olio di palma si è sviluppata in tempi
abbastanza recenti. L’EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, ha pubblicato nel
2018 uno studio sull’olio di palma dove emerge che nell’olio di palma sono presenti alcune
sostanze dannose per la salute. Sostanza che si vengono a formare soprattutto durante il
processo di raffinazione. Perché queste sostanze potenzialmente nocive per la salute umana
arrivino ad arrecare danni seri, bisognerebbe assumere quantità elevatissime di olio di palma.
In generale però trattandosi di una sostanza molto grassa, come anche gli altri oli, tanto
animali, che vegetali, dovrebbe essere presente all’interno di una dieta sana ed equilibrata
solo in piccole dosi.
L’altro problema che si presenta con l’olio di palma è decisamente più rilevante, ma passato
in secondo piano nella grande campagna di comunicazione che ha demonizzato la palma da
olio. Ciò di cui si è parlato poco, o per niente, è l’impatto delle palme da olio sull’ambiente. Per
coltivare la palma da olio si sono abbattute e si continua tutt’ora ad abbattere le foreste tropicali
della Malesia, delle Filippine, della Costa D’Avorio, della Colombia e di tanti altri paesi.

Quindi, l’olio di palma è più dannoso per le foreste che per la salute umana. E quindi è per
questo che oggi i biscotti sono senza olio di palma? Solo in parte. Il caso dell’olio di palma è
emblematico e spiega bene come e quanto il consumatore può influenzare l’andamento del
mercato. A seguito di una presa di coscienza collettiva veicolata dai mass media abbiamo
lasciato i biscotti con l’olio di palma sugli scaffali dei supermercati, ritenendoli nocivi. Le
aziende hanno reagito togliendo rapidamente l’olio di palma dalle ricette dei biscotti e di tanti
altri prodotti che rimanevano invenduti.

Cibo, energia e acqua sono tre elementi fondamentali per poter parlare di sviluppo sostenibile.
Progressivamente, la popolazione è cresciuta, la vita si è allungata e le società arricchite, la
domanda di energia, cibo e acqua sono cresciute esponenzialmente. Tre elementi
interconnessi, in quanto la produzione di cibo richiede energia e acqua in abbondanza. Il
processo produttivo del cibo che consuma una serie di risorse naturali preziose, emette anche
una significativa quantità di CO2. Garantire a tutti nel mondo l'accesso a una dieta nutriente
in modo sostenibile è una delle più grandi sfide che dobbiamo affrontare. Infine, tenendo in
considerazione che le aree del mondo più insicure da un punto di vista alimentare saranno
anche quelle a sperimentare la più intensa crescita demografica, la sfida di garantire
un’alimentazione variegata, sana e sostenibile per tutta la popolazione mondiale può
sembrare insuperabile. La soluzione, seppur lenta, può esistere. Una presa di coscienza dei
singoli, per quanto piccola, può supportare la transizione verso società più resilienti e a minore
impatto ambientale.

Cos’è la sostenibilità alimentare?


Il concetto di sostenibilità alimentare è molto vario e complesso perché rispecchia in
grandissima parte la nostra area geografica e la nostra cultura.
In senso stretto, la sostenibilità implica l'uso di risorse a tassi che non superano la capacità
della Terra di sostituirle, ma non è solo questo; l'idea di "sostenibilità" riflette i nostri valori, e
i nostri valori sono variabili come i nostri gusti. Potrebbero includere i diritti degli animali, la
modificazione genetica, l'uso delle risorse naturali e un salario minimo per i lavoratori
agricoli.

Per il cibo, un sistema sostenibile potrebbe essere visto come comprendente una serie di
questioni come la sicurezza della fornitura di cibo, la salute, l'accessibilità economica, la
qualità, un'industria alimentare forte in termini di posti di lavoro e di crescita e, allo stesso
tempo, la sostenibilità ambientale, in termini di questioni come il cambiamento climatico, la
biodiversità, la qualità delle acque e del suolo.
Dal punto di vista dell’industria è necessario trovare nuovi modi per ridurre i fattori di
produzione, minimizzare i rifiuti, migliorare la gestione degli stock di risorse, cambiare i
modelli di consumo, ottimizzare i processi di produzione, la gestione e i metodi commerciali,
e migliorare la logistica.

Il cambiamento non potrà essere solo a livello industriale ma a livello personale, negli ultimi
decenni si è vista una chiara tendenza verso diete meno sostenibili e meno sane, con un
aumento di consumo di calorie, grassi, zuccheri e sale. È importante virare verso
un’alimentazione più sana per noi e per il pianeta.
In questo ci può aiutare una maggiore informazione; avere una migliore comprensione di ciò
che rende un alimento sostenibile potrebbe aiutare tutti noi a prendere decisioni più giuste
per noi e per il pianeta.

Ecco alcune azioni che possiamo intraprendere per rendere da subito più sostenibile la
nostra alimentazione:

- Acquistare prodotti locali, con una filiera del trasporto più breve;
- Mangiare prodotti di stagione;
- Diminuire i consumi di carne, che richiede al pianeta un dispendio di risorse elevatissimo;
- Scegliere i pesci giusti, non da allevamenti intensivi e pescati in modo etico;
- Ridurre gli sprechi di cibo;
- Privilegiare i prodotti biologici;
- Cercare di non acquistare prodotti con troppi imballaggi;
- Evitare cibi eccessivamente elaborati.

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Sustainable Food:
https://ec.europa.eu/environment/archives/eussd/food.htm

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