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LA MODA DEI RIFIUTI

I rifiuti
Un metodo brutto per produrre energia? Gli inceneritori!
Un inceneritore è un impianto industriale di incenerimento, tramite combustione, dei rifiuti.
È essenzialmente composto da un forno all'interno del quale vengono bruciati i rifiuti, a volte
anche con l'ausilio di gas metano che serve ad innalzare la temperatura di combustione. Il
calore prodotto porta a evaporazione l'acqua in circolazione nella caldaia posta a valle, e il
vapore così generato aziona una turbina che trasforma l'energia termica in energia elettrica.

Ma non possiamo bruciare tutti i rifiuti; la combustione di grandi cumuli aperti di spazzatura in
varie parti del mondo emette livelli pericolosi di anidride carbonica, un gas serra che sta
riscaldando il nostro pianeta. I ricercatori hanno calcolato che circa il 40% della spazzatura
mondiale viene bruciata in questo modo, ponendo rischi su larga scala sia per la nostra
atmosfera che per le persone che vivono vicino a questi siti di combustione.
Secondo il rapporto “What a Waste 2.0”1, scritto dalla banca mondiale, i rifiuti solidi sono
responsabili del 5% delle emissioni globali, con 1,6 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2.
Sostenere i Paesi nella corretta gestione dei rifiuti è necessario per avere città e comunità
sostenibili, come previsto dall'obiettivo 11 dell’agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile.

Altrettanto vero è che ne produciamo troppi; ad esempio uno studio recente ha scoperto che
dei 6,3 miliardi di tonnellate metriche di rifiuti di plastica che sono stati prodotti, solo il 9% è
stato riciclato.2
Nel mondo ogni anno si producono 2 miliardi di tonnellate di rifiuti urbani. La Banca mondiale
dice che senza una strategia incentrata sul riciclo e sul riuso, entro il 2050 produrremo 3,4
miliardi di tonnellate di rifiuti all’anno, il 70% di rifiuti solidi in più rispetto ad oggi.

In Italia, in particolare, produciamo 30 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno. Fanno 2.000 Torri
di Pisa, 500 kg a testa, qualsiasi testa, dai neonati al più anziano degli anziani. Possiamo però
vantarci di avere un primato importante. L’italia sarebbe la numero uno in Europa sul fronte
del riciclo e dei rifiuti. Secondo il Rapporto ‘’L’economia circolare italiana per il Next Generation
Ue’’, l’italia è il paese con la percentuale più alta di riciclo sulla totalità dei rifiuti. Ricicliamo il
79% dei rifiuti, una percentuale di molto superiore a quella di paesi come la Francia (56%) e
la Germania (43%). La filiera del riciclo, oltre ad essere fondamentale per la salvaguardia
ambientale, genera un valore complessivo di oltre 70 miliardi di euro ed impiega 213 mila
persone.
Riciclare è anche decisivo dal punto di vista della sostenibilità. Un alto tasso di riciclo infatti
comporta un risparmio energetico ed il conseguente taglio di emissioni. In Italia, le emissioni
di CO2 evitate attraverso il riciclo di materia sono pari a 74,5 milioni di tonnellate. È chiaro
quanto ottimizzare la filiera del riciclo sia fondamentale.
L'Europa ha il più alto tasso di riciclaggio nel 2019, al 42%, con l'Asia seconda al 12%. Ma in
Nord e Sud America, e in Oceania, il tasso era del 9% e in Africa dello 0,9%.

Con i rifiuti se ne va una vera e propria ricchezza: almeno 10 miliardi di dollari di oro, platino
e altri metalli preziosi vengono scaricati ogni anno nella crescente montagna di rifiuti elettronici
che sta inquinando il pianeta, secondo un nuovo rapporto delle Nazioni Unite. 3
Un record di 54 milioni di tonnellate di "rifiuti elettronici" è stato generato in tutto il mondo nel
2019, con un aumento del 21% in cinque anni, secondo il rapporto Global E-waste Monitor
delle Nazioni Unite.4 La cifra del 2019 equivale a 7,3 kg per ogni uomo, donna e bambino sulla
Terra, anche se l'uso è concentrato nelle nazioni più ricche. La quantità di rifiuti elettronici sta
aumentando tre volte più velocemente della popolazione mondiale, e solo il 17% di essi è
stato riciclato nel 2019.
I beni elettronici ed elettrici, dai telefoni e computer ai frigoriferi e bollitori, sono diventati
indispensabili nelle società moderne e migliorano la vita. Ma spesso contengono sostanze
chimiche tossiche, e l'impennata della produzione e dei rifiuti danneggia la salute umana e
l'ambiente, e alimenta la crisi climatica. Il rapporto incolpa la mancanza di regolamentazione
e la breve durata di vita dei prodotti che sono difficili o impossibili da riparare. Gli esperti hanno
definito la situazione uno "scandalo globale del tutto evitabile".

"Il riciclaggio improprio dei rifiuti elettronici è un grande pericolo emergente, che colpisce
silenziosamente la nostra salute e quella delle generazioni future", ha detto Maria Neira
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Nell'insieme, la quantità di rifiuti generati influisce sull'ambiente in molteplici modi: il suo
contributo al peggioramento della crisi climatica, il suo impatto negativo sulla fauna e
l'ambiente naturale, e il suo danno alla nostra stessa salute pubblica.

Come già raccontato nel capitolo 6, una delle conseguenze più grandi del nostro problema
globale dei rifiuti si manifesta in relazione alla nostra vita marina e ai corsi d'acqua. Colpendo
gli animali che non possono distinguere tra ciò che è o non è cibo, consumano la spazzatura,
il che li porta alla morte. Questo colpisce pesci, foche, tartarughe, balene e molti altri animali
acquatici, gli scienziati hanno anche trovato molti frammenti di plastica in più di mille specie.

Anche la salute umana è a rischio. Le maggiori emissioni che produciamo a causa di quanta
spazzatura generiamo, ci influenzano a lungo termine. Si possono sviluppare malattie come
l'asma, difetti di nascita, cancro, malattie cardiovascolari, BPCO, malattie infettive. Anche i
batteri, i parassiti e gli insetti possono essere aggiunti al problema che provoca la spazzatura.

Moda: la fabbrica dei rifiuti


Come può un prodotto che deve essere seminato, coltivato, raccolto, setacciato, filato, tagliato
e cucito, lavorato, stampato, etichettato, impacchettato e trasportato costare un paio di euro?

La produzione di abiti è raddoppiata dal 2000 al 2014, segno evidente che, nonostante una
crisi generale, le persone continuino ad acquistare abiti anche quando non ce n'è
effettivamente bisogno per indossarli una mezza giornata e poi buttarli via. Secondo uno
studio di GreenPeace sulla Fast Fashion infatti, non indossiamo mai (o molto raramente) il
40% dei capi nel nostro guardaroba.
Oggi indossiamo i nostri vestiti per la metà del tempo rispetto al 2002. Più del 50% del nostro
guardaroba finisce in discarica entro 3 anni.
Ogni anno, nel mondo vengono prodotti 100 miliardi di capi di abbigliamento. Una media di 14
capi l’anno pro capite. Vale anche per la moda il discorso che qualcuno ha molto più di altri,
infatti i guardaroba degli europei contano mediamente 60 nuovi capi l’anno pro capite!

Con l’espressione “fast fashion”, si fa riferimento a quella branchia, molto rilevante, delle
aziende di abbigliamento che producono e vendono capi economici e alla moda,
proponendone continuamente di nuovi. Per poter mantenere i ritmi e i prezzi molto bassi il
costo viene pagato dalle persone e dall’ambiente; i capi sono prodotti da persone a salario
bassissimo e in condizioni lavorative indecenti, mentre per quanto riguarda la materia prima
è di bassa qualità e non rispetta gli standard ambientali.
Sono da attribuire a questo settore il 10% delle emissioni di CO2e globali ed il 20% dello
spreco globale di acqua dolce: una maglietta richiede circa 3000 litri d’acqua.
L’industria della moda impatta sull’ambiente 2 volte in più di quella del trasporto aereo e navale
sommati insieme.
La coltivazione di cotone occupa il 2,5% della superficie agricola mondiale (preceduto solo
dalla coltivazione di grano, mais + riso e soia), ma è responsabile del 25% del totale degli
insetticidi usati e del 15% dei pesticidi chimici!
Questo ampio uso di pesticidi chimici sintetici, sono la causa diretta della riduzione della
fertilità dei suoli, della loro salinizzazione, della perdita di biodiversità, dell’inquinamento delle
acque ecc…
Ma il cotone non è il vero ed il solo problema.
Il 60% dell'abbigliamento prodotto infatti è fatto di materiali sintetici - principalmente poliestere,
poliammide (nylon e perlon), poliacrilico ed elastan. Questi materiali, hanno lo stesso ciclo di
smaltimento di una bottiglietta di plastica: ci vogliono più di 200 anni in ambiente per essere
smaltiti.
In più, i capi realizzati in materiali sintetici, sono tra le principali cause responsabili di
microplastiche.
Secondo la IUCN (International Union for Conservation of Nature) l'industria della moda è
responsabile del 35% delle microplastiche nel mare ed è per questo tra le principali fonti di
microplastiche negli oceani. Seguono al secondo posto con il 28% gli pneumatici delle auto.
In tutto questo, anche noi consumatori abbiamo il nostro ruolo. Non solo nel comprare
responsabilmente (meno e meglio!) ma anche e soprattutto nella manutenzione, smaltimento
e nel lavaggio dei capi.

Secondo le Nazioni Unite l’85% dei vestiti prodotti finisce in discarica (quindi nella maggior
parte dei casi vengono bruciati) e solo l’1% viene riciclato correttamente.

Ecco alcuni consigli per essere più sostenibili:


- Compriamo solo quando davvero necessario possibilmente nei mercatini dell’usato,
oppure da brand sostenibili e trasparenti esclusivamente prodotti realizzati con
materiali sostenibili.
- Le fibre naturali sono da preferire a quelle sintetiche.
- Qualità al posto della quantità.
- Laviamo i nostri vestiti solo quando necessario (per ogni lavaggio, oltre a riempire le
acque di sapone, le riempiamo anche di microplastiche).
- Usiamo dei saponi ecosostenibili, biodegradabili e di origine vegetale.
- Da qualche parte online (ed in alcuni negozi super eco) si trovano delle sacche dove
inserire i vestiti da mettere in lavatrice, queste imprigionano tutte le microplastiche al
loro interno e non le fanno defluire con le acque di scarico.
- Ripariamo i nostri vestiti invece di comprarne altri, supportando magari anche artigiani
locali (i sarti e i calzolai, un tempo eccellenza del nostro belpaese). Non ci piacciono
più? Regaliamoli a qualcun altro. Diamoli a qualche centro di raccolta, alla caritas.
Sono arrivati a fine vita? Possiamo usarli come stracci per i pavimenti o per i vetri.
Date sfogo alla creatività. Se proprio non ne potete più, allora potete buttarli
nell’indifferenziato!
La moda sostenibile

Negli ultimi anni sono sempre più le aziende che cercano di proporre nuovi modelli di moda,
sempre più sostenibile e sono molte anche le aziende che stanno lentamente cercando di
convertirsi ad una produzione più etica verso il pianeta.
La responsabilità principale delle aziende di moda è ovviamente quella di cambiare le loro
pratiche e strategie di produzione, distribuzione e marketing verso una maggiore
sostenibilità.

La moda più sostenibile può essere definita come abbigliamento, scarpe e accessori che
sono prodotti, commercializzati e utilizzati nel modo più sostenibile possibile, tenendo conto
sia degli aspetti ambientali che di quelli socio-economici. Questo vuol dire un continuo lavoro
per migliorare tutte le fasi del ciclo di vita del prodotto, dalla progettazione, produzione delle
materie prime, fabbricazione, trasporto, stoccaggio, commercializzazione e vendita finale,
all'uso, riutilizzo, riparazione, rifacimento e riciclaggio del prodotto e dei suoi componenti.
Da un punto di vista ambientale, l'obiettivo è quello di minimizzare qualsiasi impatto
ambientale assicurando un uso efficiente e attento delle risorse naturali (acqua, energia,
terra, suolo, animali, piante, biodiversità, ecosistemi; selezionando fonti di energia rinnovabili
(eolica, solare, ecc.) in ogni fase, e massimizzando la riparazione, il rifacimento, il riuso e il
riciclaggio del prodotto e dei suoi componenti.

Come sappiamo la sostenibilità è anche sociale e infatti tutte le parti in causa dovrebbero
lavorare per migliorare le attuali condizioni di lavoro dei lavoratori sul campo, nelle fabbriche,
nella catena di trasporto e nei negozi, allineandosi alla buona etica, alle migliori pratiche e ai
codici di condotta internazionali. Inoltre, le aziende di moda dovrebbero contribuire a
incoraggiare modelli di consumo più sostenibili, pratiche di cura e lavaggio, e atteggiamenti
generali verso la moda.

In risposta al Fast Fashion è nato lo Slow Fashion il termine è stato coniato per la prima
volta dall'autrice, attivista del design e docente Kate Fletcher, la quale definisce la moda
lenta come basata sulla qualità piuttosto che sul tempo. Il movimento incoraggia una
produzione più lenta, unifica la sostenibilità con l'etica e invita i consumatori a investire in
vestiti ben fatti e duraturi.
Lo slow fashion utilizza programmi di produzione più lenti, collezioni in piccoli lotti e design a
zero rifiuti, mirando a ridurre i rifiuti tessili che intasano le nostre discariche. Invece di
inseguire le tendenze, questi marchi utilizzano stili duraturi con opzioni di stratificazione e
creano pezzi classici e versatili. Questo incoraggia i clienti a costruire guardaroba minimalisti
e ad investire in capi che si conservano per tutta la vita.
Un genere di approccio punta sulla qualità prima che sulla quantità, come spesso è
nell’economia circolare di cui parleremo più avanti.

1
World Bank - What a Waste 2.0 :https://datatopics.worldbank.org/what-a-waste/
2
How trash impacts the environment: https://www.earthday.org/how-our-trash-impacts-the-
environment/
3
The Guardian - $10bn of precious metals dumped each year in electronic waste, says UN
https://www.theguardian.com/environment/2020/jul/02/10bn-precious-metals-dumped-each-year-
electronic-waste-un-toxic-e-waste-polluting
4
https://globalewaste.org/

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