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DESIGN PER LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE

Parte uno - il quadro di riferimento


La questione ambientale intesa come l’impatto dei sistemi di produzione e consumo
sull’equilibrio degli ecosistemi, inizia a porsi nella seconda metà degli anni ’60 come
conseguenza dell’accelerazione e diffusione dell’industrializzazione. È però dagli inizi degli
anni ’70 che giungono i primi lavori scientifici sui problemi e sui limiti ambientali. Negli anni
’80 il dibattito internazionale sulla questione ambientale si intensifica e si diffonde. Cresce
la presa sull’opinione pubblica e le istituzioni iniziano a prendere posizione con una serie di
politiche e normative ambientali che riguardano le attività produttive e che si basano sul
principio del Chi Inquina Paga (Polluter Pays Principle). Un evento importante è la redazione,
nel 1987, di uno studio per dare indicazioni sul futuro dell’umanità, da parte della Commissione
Mondiale su Sviluppo e Ambiente. Questo rapporto, intitolato Our Common Future, contiene
la prima definizione di sviluppo sostenibile come “uno sviluppo che soddisfa i bisogni del
presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Con gli anni ’90 la questione ambientale entra nella sua fase di maturità. Il documento Caring
for the Earth: A Strategy for sustainable Living, pubblicato nel 1991, contiene una definizione
di sviluppo sostenibile che completa la precedente: “migliorare la qualità della vita umana
vivendo entro i limiti della capacità di difendere gli ecosistemi”. Pone l’accento cioè sulla
possibilità di migliorare la qualità di vita del genere umano salvaguardando la capacità
della Terra di rigenerare le proprie risorse. Nel 1994 lo sviluppo sostenibile e la sostenibilità
ambientale entrano come riferimento fondamentale del piano d’azione sull’ambiente della
Commissione Europea. Nel settembre del 2000 i 193 Stati membri dell’ONU hanno ratificato
la Dichiarazione del Millennio, ovvero si sono impegnati a raggiungere i cosiddetti Obiettivi
del Millennio (Millennium Developement Goals, MDG, 2000): sradicare la povertà estrema e
la fame nel mondo; rendere universale l’istruzione primaria; promuovere la parità dei sessi e
l’autonomia delle donne; ridurre la mortalità infantile; ridurre la mortalità materna; combattere
l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie; garantire la sostenibilità ambientale; sviluppare un
partenariato mondiale per lo sviluppo.
Per una comprensione migliore della sostenibilità e delle sue implicazioni, essa è spesso
schematizzata in tre dimensioni interconnesse:

• La dimensione ambientale (Pianeta): non oltrepassare la resilienza della biosfera-geosfera,


cioè la sua capacità di assorbire perturbazioni antropiche senza provocare fenomeni
irreversibili di degrado (es. riscaldamento globale, eutrofizzazione).
• La dimensione socioetica (Persone): la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri
bisogni e il raggiungimento dell’equità e della coesione sociale, a partire dalla redistribuzione
delle risorse.
• La dimensione economica (Profitto): soluzioni praticabili, un’economia prospera, innovativa,
ricca di conoscenza, competitiva ed eco-efficiente, che possa portare ad alti standard di vita e
a una piena occupazione di alta qualità.

LA DIMENSIONE AMBIENTALE
Se si esaminano gli effetti ambientali (es. Smog dato da polveri sottili, impoverimento strato
di ozono) si noterà che ognuno si basa su un impatto di scambio di sostante tra la natura/
produzione e il sistema di consumo. Questi scambi, o impatti, possono verificarsi in due
direzioni e avere effetti più o meno dannosi sull’ambiente: come INPUT, cioè estraendo
sostanze dall’ambiente; come OUTPUT, cioè emettendo sostanze nell’ambiente. Per quanto
riguarda gli input, il primo effetto dannoso è l’esaurimento di risorse, il risultato sociale ed
economico è la mancanza di risorse per le generazioni future. Per quanto riguarda gli output –
emissioni in aria, acqua e suolo – i principali impatti ambientali sono il riscaldamento globale,
l’assottigliamento dello strato di ozono, lo smog, l’acidificazione e l’eutrofizzazione.
Osservando le relazioni tra la sfera antropica da una parte, la geosfera e la biosfera (la natura)
dall’altra, possiamo distinguere due azioni fondamentali:
• Per quanto riguarda gli INPUT dalla natura, dobbiamo preservare le risorse usandone meno e,
preferibilmente, quelle più rinnovabili.
• Per quanto riguarda gli output nella natura, dobbiamo prevenire l’inquinamento (delle
risorse), riducendo le emissioni e aumentando la loro bio-compatibilità.
In relazione a queste azioni, si possono tracciare tre diversi scenari:
Lo scenario della Bio-compatibilità, in cui gli input e gli output legati ai sistemi di prodizione
e consumo di beni e servizi sono compatibili con l’ecosistema naturale, ad esempio usando
risorse rinnovabili, producendo rifiuti (emissioni) biodegradabili.
Lo scenario della non-interferenza, in cui gli input legati ai sistemi di produzione e consumo
di beni e servizi (le risorse) non sono estratti dalla natura, ma dallo stesso sistema antropico
di produzione e consumo; così pure gli output lo sono verso sistemi antropici di produzione
e consumo. È come dire che il sistema di produzione e consumo non interferisce con
l’ecosistema naturale (es. utilizzo di materiali riciclati).
Lo scenario della dematerializzazione, ovvero uno scenario in cui gli input e gli output legati ai
sistemi di produzione e consumo di beni e servizi sono quantitativamente ridotti al minimo in
relazione a una certa domanda sociale di benessere. Pensiamo all’uso della posta elettronica,
che dematerializza la spedizione di una lettera eliminando l’uso della carta, dell’inchiostro e i
vari consumi per i trasporti delle lettere.
Si può quindi descrivere la transizione verso la sostenibilità ambientale come un percorso
che porta un mix di questi scenari, variatamente composti a seconda delle peculiarità di ogni
domanda sociale e dei contenti in cui si inseriscono.

LA DIMENSIONE SOCIOETICA
Promuovere la sostenibilità socioetica significa prendere in considerazione il cosiddetto
Principio di equità, per cui “ogni persona, in un’equa distribuzione delle risorse, ha diritto
allo stesso spazio ambientale, ovvero alla stessa disponibilità di risorse globali naturali”.
Quando si parla di dimensione socioetica della sostenibilità, una questione dominante è lo
sdradicamento della povertà. A Roma nel 1996, in un vertice promosso dall’Organizzazione
delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Food and Agriculture Organization,
FAO), 185 Paesi hanno preso l’impegno di ridurre alla metà il numero di persone denutrite.
All’interno della MDG, il primo degli obiettivi impegnava gli stati firmatari a “sradicare la
povertà estrema e la fame nel mondo”.

LA DIMENSIONE ECONOMICA
Per quanto riguarda la sostenibilità economica, la questione di fondo può essere riassunta
affermando che un modello di produzione e consumo ambientalmente e societicamente
sostenibile, deve essere anche economicamente praticabile. Possiamo distinguere tre
strategie: orientare le principali transizioni in corso verso soluzioni sostenibili; internalizzare
i costi delle risorse; valorizzare e diffondere modelle di produzione e consumo di nicchia
promettenti.
Nei contesti industrialmente maturi molte risorse naturali hanno bassi costi, che non
corrispondo al costo effettivo del loro uso. Il disboscamento dalle foreste tropicali può portare
all’erosione del suolo, a perdita della biodiversità e ad altri effetti negativi che non sono
contabilizzati nel prezzo di acquisto del legname. Ma sono a tutti gli effetti un costo per le
società. I costi indiretti si manifestano nel ciclo di vita dei prodotti, come costi ambientali ed
economici, ma anche questi non sono associati direttamente al prodotto. Internalizzare i costi
vuol dire includere nel costo di acquisto di una risorsa o di un prodotto anche quelli ambientali.
In altre parole, dovremmo andare verso un’attribuzione adeguata (o internalizzazione) dei costi
delle risorse.
Una seconda strategia è orientare le principali transizioni in corso verso soluzioni sostenibili.
Ovvero capire come valorizzare i potenziali di sostenibilità della transizione verso sistemi
sempre più interconnessi, verso le nuove tecnologie digitali e delle telecomunicazioni, verso
la società dei servizi, verso l’organizzazione in rete delle imprese e delle attività di produzioni e
consumo più in generale.
In maniera complementare alla strategia precedente, è altrettanto importante promuovere e
favorire modelli economici promettenti, ma ancora di nicchia. Tra questi i più promettenti sono
i cosiddetti Sistemi di Prodotti e Servizi Sostenibili e le Economie Distribuite.
Mettendo in conto gli incrementi demografici previsti e opotizzando una crescita della
domanda di benessere nei contesti oggi più svantaggiati, emerge un risultato impressionante:
le condizioni di sostenibilità sono raggiungibili solo aumentando di almeno 10 volte l’eco-
efficienza del sistema di produzione e consumo. Possiamo considerare, quindi, sostenibili
solo quei sistemi sociotecnici il cui impiego di risorse ambientali per unità di servizio reso sia
almeno 90% inferiore a quello attualmente riscontrabile nelle società industriali.
Diventa chiaro che è necessaria una profonda trasformazione del nostro modello di sviluppo,
una discontinuità sistemica. Il sistema produttivo e di consumo di questa società sostenibile
sarà profondamente diverso da quello che fino a oggi abbiamo conosciuto. Queste evidenze
scientifiche portano il dibattito politico, scientifico, filosofico e sociale sulla sostenibilità a
mettere in discussione non solo i processi produttivi, ma più in generale gli artefatti e la loro
progettazione e sviluppo. Dovremo spostarci da approcci end-of-pipe ( di “rimedio del danno” )
ad approcci più a monte, a livello di sviluppo e progettazione degli artefatti.
La sosteniblità è una sfida per tutti i contesti: industrializzati, a medio e a basso reddito.
Il raggiungimento di questo obiettivo nei vari contesti richiede percorsi differenti. Nei
contesti industrialmente maturi vi è la necessità di ridurre l’uso delle risorse per “unità di
soddisfazione”. In contesti a medio reddito l’obiettivo è quelo di vedere come le comunità
possono orientarsi verso sistemi di produzione e consumo sostenibili. In contesti a basso
reddito la necessità impellente è quella di consentire ai sistemi di produzione di coprire le
necessità fondamentali di consumo e fornire una base per una successiva crescita sostenibile.
È oppprtuno incrociare la resilienza della terra con il livello di soddisfazione umana. L’indice
Happy Planet Index serve per misurare, paese per paese, il livello di sostenibilità in una
prospettiva di vita lunga e felice, ovvero prende in considerazione sia l’impatto ambientale, sia
il livello di benessere umano. Secondo questo indice i Paesi più sostenibili non spno quelli più
industrializzati, ma alcuni Paesi a medio reddito dell’America centrale.

La STRATEGIA DI SVILUPPO SOSTENIBILE dell’Unione Europea, adottata e votata dal Consiglio


Europeo nel 2006 e poi riaffermata e specificata nel 2009, stabilisce quattro obiettivi principali.
1) LA TUTELA DELL’AMBIENTE > salvaguardare la capacità della Terra di sostenere la vita
in tutta la sua diversità, prevenire e ridurre l’inquinamento e promuovere il consumo e la
produzione sostenibile.
2) L’EQUITÀ E LA COESIONE SOCIALE > promuovere una società democratica, socialmente
inclusiva, coesa, sana, sicura e giusta nel rispetto dei diritti fondamentali e della diversità
culturale che crea eque opportunità.
3) LA PROSPERITÀ ECONOMICA > promuovere un’economia innovativa
4) IL SODDISFACIMENTO DELLE NOSTRE RESPONSABILITÀ INTERNAZIONALI > incoraggiare la
creazione e difendere la stabilità delle istituzioni democratiche, in tutto il mondo, basate sulla
pace, la sicurezza e la libertà.

Nelle Politiche Europee per il Consumo e la produzione sostenibile, possiamo evidenziare due
questioni:
· La prima è il perseguimento di una strategia che ci porti verso nuovi modelli della domanda
e dell’offerta, in cui la crescita economica si svincola dal degrado ambientale e al contempo
favorisce uno sviluppo del benessere sociale.
· La seconda questione è la consapevolezza che per raggiungere un modello di consumo e
produzione sostenibile dobbiamo cambiare “il nostro modo di progettare, produrre, usare
e dismettere prodotti e servizi. In questo senso, devono essere attuate specifiche politiche
relative ai prodotti, ma adottando un approccio sistemico”.

Nel 2010 la Commissione europea ha proposto la STRATEGIA DECENNALE EUROPA 2020 che
si basa su una visione di crescita intelligente, sostenibile e solidale. La sostenibilità è dunque
sempre più tra i primi obiettivi. In pratica, L’UE si è posta cinque obiettivi da raggiungere entro
2020 in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale e clima/energia:

1) OCCUPAZIONE: innalzamento al 75% del tasso di occupazione per la fascia di età compresa
tra i 20 e i 64 anni;
2) RICERCA E SVILUPPO: aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo al 3% del PIL dell’UE;
3) CAMBIAMENTI CLIMATICI E SOSTENIBILITÀ ENERGETICA: riduzione delle emissioni di gas
serra del 20% rispetto al 1990, 20% del fabbisogno di energia ricavata da fonti rinnovabili,
aumento del 20% dell’efficienza energetica (obiettivo 20 - 20 - 20);
4) ISTRUZIONE: riduzione dei tassi di abbandono scolastico precoce al di sotto del 10%,
aumento al 40% della fascia di età 30-34 anni con un’istruzione universitaria;
5) LOTTA ALLA POVERTÀ E ALL’EMARGINAZIONE: almeno 20 milioni di persone in meno a
rischio o in situazione di povertà ed emarginazione.

Ogni stato membro ha adottato per ciasciuno di questi settori i propri obiettivi nazionali.
Nel campo del design per la sostenibilità è di particolare rilievo la nascita nel 2007 della rete
internazionale di università LeNS, the Learning Network on Sustainability, sostenuta da tre
successivi progetti europei che hanno coinvolto e coinvolgono università non solo europee ma
anche dall’Asia, dall’Africa, America centrale e Sudamerica.

A partire dagli anni ‘70 ci si è impegnati sulla scelta di risorse a basso impatto ambientle, da
una parte i materiali e dall’altra le fonti energetiche. Temi cardine sono stati e sono l’atossicità,
la riciclabilità, la biodegradabilità, e la rinnovabilità.
Nella seconda metà degli anni ‘90, parte dell’attenzione si sposta a livello di prodotto, cioè sulla
progettazione di prodotti a basso impatto ambientale. Diventa chiaro quali sono gli effetti
ambientali imputabili a un prodotto e come valutarli; in particolare si introduce il concetto di
ciclo di vita, e si ricontestualizza (rispetto alla dimensione ambientale) il concett di funzione,
chiamandola unità funzionale.
Alla fine degli anni ‘90, partendo da un’interpretazione da un’interpretazione più stringente
della sostenilibità, che ci dice che dobbiamo operare dei cambiamenti radicali nei modelli di
produzione e consumo, l’attenzione si sposta sul Design di sistemi di prodotto-servizio eco-
efficienti, quindi a una dimensione più allargata rispetto a quella del singolo prodotto.
A partire dai primi anni del 2000 la ricerca in design ha aperto la discussione su un prossibile
ruolo del design rispetto all’equità sociale e alla coesione sociale. E cioè su diverse questioni
a partire dal principio di una equa distribuzione e disponibilità delle risorse. Questo tema si è
recentemente intrecciato con la scelta di risorse energetiche rinnovabili per tutti, diventando
una questione chiave per uno sviluppo sostenibile in termini ambientali.

In questi anni, a seguito di alcuni studi e alcuni metodi di calcolo, si afferma la metodologia
della Life Cycle Assessment ( LCA ) > QUI È PIU STORICA, LA SPIEGO ANCORA E PIÙ IN
DETTAGLIO NELLA PARTE 3

Questa metolodogia valuta una serie di effetti ambientali a partire dagli input e gli output
di tutti i processi di tutte le fasi del ciclo di vita in relazione alla prestazione del prodotto o
in relazione all’unita funzionale. Nel 1997 esce la prima norma ISO che definisce la LCA (ISO
14040). La LCA non nasce nell’ambito del Design, per questo motivo ha dei limiti quanto all’uso
che ne può fare un designer, nondimeno ha delle forti implicazioni sulla ricerca di design che
peraltro inizia ad adottare l’espressione di Life Cycle Design (LCD), ovvero di progettazione del
ciclo di vita dei prodotti.
Oggigiorno il design per la sostenibilità ambientale dei prodotti, ovvero il Life Cycle Design
(LCD), è una disciplina strutturata, cioè dotata di un impianto teorico definito, di chiari requisiti
progettuali, di metodi e strumenti, nonchè di corsi di formazione universitari.
Parte due - progettare per la sostenibilità ambientale
Negli anni ‘90 a seguito di alcuni studi e alcuni metodi di calcolo, diventa possibile definire
i valori di impatto ambientale derivanti dalla relazione input e output tra un determinato
prodotto e l’ambiente circostante. Questo passaggio permette cosa si deve intendere per
requisiti ambientali dei prodotti industriali.

Il concetto di ciclo di vita fa riferimento agli scambi (inout e output) tra l’ambiente e l’insieme
dei processi che accompagnano la nascita, la vita e la morte di un prodotto. Il ciclo di vita
considera cioè il prodotto a partire dall’estrazione delle risorse necessarie per la produzione
dei materiali che lo compongono, fino all’ultimo trattamento degli stessi materiali dopo l’uso.
Questi processi sono di solito raggruppati in 5 fasi: pre produzione, produzione, distribuzione,
uso e dismissione finale.

Un altro criterio per associare gli effetti ambientali a un prodotto, è l’UNITÀ FUNZIONALE
ovvero la prestazione quantificata di un sistema prodotto da usare come unità di riferimento in
una valutazione di impatto ambientale del ciclo di vita. Non è tanto il prodotto fisico che deve
essere oggetti di studio, quanto sa sua funzione, cioè il servizio o il risultato che esso eroga.

LCD
Life Cycle Design (LCD) traducibile in italiano con “progettazione del ciclo di vita dei prodotti”
è una disciplina progettuale che considera i requisiti ambientali dei prodotti industriali.
Questa espressione si affianca ad altre come ecodesign o design for the environment, ma è
più corretto parlare di LCD. Un approccio LCD implica: un orizzonte progettuale più esteso,
dalla progettazione del prodotto alla progettazione del ciclo di vita del prodotto, o meglio alla
progettazione delle fasi del ciclo di vta; uno spostamento della progettazione di un prodotto
alla progettazione per la funzione, o se si vuole, la soddisfazione di quel prodotto (unità
funzionale).

LCD si proprone come un approccio più generale alla progettazione, l’obiettivo del Life Cycle
Design, quindi, è quello di ridurre il carico ambientale associato a un prodotto nell’intero ciclo
di vita e in relazione alla sua unità funzionale. Lo scopo è creare un’idea sistemica di prodotto
in cui gli input di materiali e di energia, nonchè l’impatto di tutte le emissioni e i rifiuti, siano
ridotti al minimo, in termini sia quantitativi sia qualificativi, cioè valutando la dannosità al
minimo degli effetti.
Un approccio LCD ha il vantaggio di individuare le priorità dello specifico prodotto che stiamo
progettando. Lo svantaggio è che l’attività progettuale diventa più complessa. Bisogna partire
da più informazioni, ovvero anche da quelle relative agli input e output dei processi e ai loro
impatti sull’ambiente. Un efficace e corretto approccio di LCD deve considerare tutte le fasi
con l’obiettivo di minimizzare l’impatto ambientale, ma deve farlo in relazione alla migliore o
più probabile delle configurazioni del sistema. In altre parole, si può progettare con l’obiettivo
di minimizzare l’impatto ambientale, sia nel caso di un sistema prodotto interamente
controllato da chi produce (progetta), sia nel caso più frequente di un controllo parziale.
Un designer può adottare un approccio LCD e in questo modo riuscirà comunque con più
facilità a identificare gli impatti ambientali dei prodotti per ridurli con efficacia, senza limitarsi
a spostarli da una fase all’altra del ciclo di vita.
Parte tre - Metodi per la progettazione e l’analisi ambientale
sostenibile
Chi progetta deve avere fin dall’inizio le informazioni e gli strumenti decisionali per evitare
strategie e scelte ingannevoli e per visualizzare e focalizzare con un certo grado di affidabilità
gli ambiti più signifcativi di intervento. Chi progetta deve, cioè, possedere informazioni e
metodi di analisi e valutazione, nonchè strumenti di orientamento alle decisioni.

Queste affermazioni possono essere sia per quanto riguarda la progettazione di un prodotto,
sia per lo sviluppo di un servizio, sia per un più complesso processo di design di sistema che
prende in considerazione contemporaneamente sia il prodotto che il servizio.
In generale, i metodi e gli strumenti sono stati sviluppati per assolvere a tre specifici obiettivi
nel processo di supporto alle decisioni del designer:
- un primo scopo è quello di valutare l’impatto ambientale del sistema esistente per
individuare le criticità ambientali e quindi anche le priorità progettuali;
- un secondo obiettivo è quello di orientare le decisioni progettuali verso soluzioni più
sostenibili;
- un terzo obiettivo è quello di valutare il potenziale di miglioramento per la sostenibilità del
progetto in corso di sviluppo.

A livello normativo, è stata introdotta la Norma UNI ISO/TR 14062:2007, “Integrazione degli
aspetti ambientali nella progettazione e nello sviluppo del prodotto”. Tale norma offre un
quadro di supporto alle decisioni per la progettazione di prodotti a basso impatto ambientale.

LCA
Ogni azione umana determina un assorbimento /acquisizione di risorse dall’ambiente da una
parte e dall’altra il rilascio di varie emissioni, cioè agenti chimici e fisici, quali sostanze, rumore
ecc ecc.. Alcuni dei più rilevanti effetti ambientali determinati dagli impatti delle estrazioni e
delle emissioni sono: esaurimento delle risorse; riscaldamento del globo; assottigliamento dello
strato di ozono; smog; acidificazione; eutrofizzazione; tossine in aria, acqua e suolo; rifiuti.
( EUTROFIZZAZIONE: aumento della concentrazione di sostanze nutritive in ambienti
acquatici, dovuto a sostanze a base di fosforo e di azoto. Le conseguenze sono la moria della
fauna acquatica, inquinamento delle acque, ostacoli alla balneazione ; ACIDIFICAZIONE: è
legata alle emissioni in aria di particolari sostanze acidificanti, come ossido di azoto, ossido di
zolfo o ammoniaca, sostanze che provengono dal letame delle mandrie, dall’utilizzo di prodotti
per la pulizia della casa o dal riscaldamento delle abitazioni, che rendono l’acqua piovana
acida, provocando corrosione di monumenti ed edifici, rischi per la salute, ostacoli alla crescita
delle foreste;
BUCO NELL’OZONO: consiste in un assottigliamento dello strato di ozono, causato ad esempio
dall’uso di prodotti schiumati contenenti clorofluorocarburi. Determina problemi alla flora e
alla fauna, mentre per l’uomo il maggior rischio è l’aumento di tumori alla pelle.)

LCA è l’acronomico di Life Cycle Assessment che può essere tradotto come “valutazione
ambientale del ciclo di vita dei prodotti, è una tecnica (secondo la definizione ISO 14040) per
valutare gli aspetti ambientali e i potenziali impatti lungo tutto il ciclo di vita di un prodotto
o di un servizio attraverso: la compilazione e l’inventario dei significativi input e output del
sistema; la valutazione dei potenziali impatti associati a questi input e output; l’interpretazione
dei risultati delle fasi di inventario e valutazione, in relazione agli obiettivi dello studio.

LCA in particolare prende in considerazione gli impatti ambientali del sistema oggetti di
studio, nell’area della salute ecologica, della salute umana e dell’esaurimento delle risorse. Il
processo di elaborazione di una LCA è diviso in quattro fasi:
1) DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI E DELLO SCOPO > Definizione dei propositi dello studio
ovvero perchè si svluppa LCA e l’uso che si vuole fare dei risultato; Definizione dello scopo e
cioè il sistema prodotto, il suo confine e i suoi limiti; Definizione dell’unità funzionale che è uno
dei passi più importanti dell’LCA perchè si assume che le misure e le valutazioni vadano fatte
in base alla prestazione del sistema preso in considerazione, non è quindi tanto il prodotto
fisico che deve essere oggetto di studio quanto la sua funzione; Definizione della qualità dei
dati ovvero si definiscono il grado e i criteri di accertamento della qualità dei dati da usare per
l’analisi.
2) INVENTARIO > In questa fase detta LCI, Life Cycle Inventory, si individuano gli input e
output del sistema considerato in base a quello che è stato definito nella fase precedente.
Questo comprende una fase molto importante, quella chiamata “confini del sistema” (possibili
esclusioni dalla LCA).
3) VALUTAZIONI DELL’IMPATTO > è caratterizzata da quattro sottofasi: classificazione che è la
fase nella quale i dati dell’inventario sono suddivisi in temi o categorie d’impatti ambientali
(smog, eutrofizzazione ecc ecc), caratterizzazione che ha lo scopo di quantificare gli impatti
ambientali mediante alcuni parametri, come l’acidificazione o l’effetto serra, normalizzazione
dove tutti i valori-effetto sono proporzionati a un determinato profilo normale (si divide ogni
valore-effetto caratterizzato per un fattore-normale relativo) e valutazione dove i contributi
delle differenti categorie di impatto sono pesate in maniera tale da poterle paragonare e
sommare tra loro.
4)INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI > In questa fase i risultati delle fasi di inventario e di
valutazione sono rivisitati in relazione agli scopi e agli obiettivi definiti dall’inzio dello studio
e, di conseguenza, possono prendere la forma di conclusioni e raccomandazioni per chi deve
decidere.

La LCA può essere un supporto decisionale per un ampio arco di applicazioni.


USI INTERNI: i risultati NON sono resi pubblici e possono servire a pianificare delle strategie
ambientali di sviluppo, dare sostegno decisionale per definire le procedure di acquisto
USI ESTERNI: i risultati sono resi pubblici, si perde la confidenzialità delle informazioni ed
è richiesto maggior rigore in quanto a credibilità e trasparenza e possono essere usati per
marketing o come definizioni di criteri per gli eco-label.

Oltre alla LCA, che è lo strumento più affidabile per la valutazione quantitativa nella
progettazione di prodotti a basso impatto ambientale, sono stati sviluppati altri metodi:
Ecological Footprint, Carbon Footprint e il Water Footprint.

IL METODO MPDS4
Il gruppo di ricerca Design e Innovazione di sistema per la Sostenibilità (DIS) del Dipartimento
di Design del Politecnico di Milano ha sviluppato un metodo e alcuni strumenti per
l’integrazione dei requisiti ambientali nel processo di sviluppo dei prodotti. Il metodo è
chiamato MPDS, acronimo di Method for Product Design for environmental Sustainability.
L’obiettivo di questo metodo è integrare e supportare un processo di progettazione di prodotto
per lo sviluppo di soluzioni ambientalmente sostenibili. Questo metodo è il risultato di più di
20 anni di ricerca, didattica e consulenza a imprese, isitutuzioni pubbliche e associazioni di
categoria. Il metodo è peraltro coerente con la norma UNI ISO/TR 14062:2007, Integrazione
degli aspetti ambientali nella progettazione e nello sviluppo del prodotto. Il designer che
decide di progettare seguendo il metodo MPDS può integrare a vari livelli le indicazioni che gli
sono fornite fase per fase e decidere quali strumenti usare a seconda dell’attività specifica che
si trova ad affrontare e del contesto in cui opera. Il metodo è modulare, flessibile e organizzato
per processi e sottoprocessi, in modo da potersi facilmente adattare agli specifici bisogni dei
singoli progettisti e delle imprese e facilitare la sua applicazione in svariati contesti e condizioni
di progetto.

In particolare la sua modularità riguarda:


- le fasi del processo
- gli strumenti da usare

L’integrazione di MPDS con le fasi tipiche dello sviluppo di un nuovo prodotto ha i seguenti
obiettivi:
- Analisi strategica di prodotto (e brief): valutare le aree critiche e le strategie di LCD con il
maggiore potenziale di riduzione dell’impatto ambientale del prodotto (unità funzionale) da
progettare
- Progettazione del concept: orientare la generazione del concept verso soluzioni
ambientalmente sostenibili rispetto ai prodotti esistenti
- Progettazione del prodotto (e ingegnerizzazione): orientare la progettazione dei dettagli del
progetto verso soluzioni ambientalmente sostenibili rispetto ai prodotti esistenti

A conclusione del processo di design il metodo MPDS dà indicazioni per la preparazione della
strategia e dei documenti per comunicare le caratteristiche del prodotto mettendo in luce gli
aspetti legati alla sostenibilità ambientale del progetto. Di seguito sono descritti i processi del
metodo MPDS in relazione alle fasi progettuali.

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