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Lezione 1: I PRINCIPI DI DISTRIBUZIONE DEL CARICO TRIBUTARIO

Caratteri ideali del sistema tributario (Adam Smith, 1776)


A. Smith sostiene che:
- Il contributo di ciascun cittadino al finanziamento della spesa pubblica deve essere
proporzionale alla sua capacità, ossia al reddito.
- Le imposte devono essere certe e non arbitrarie. È fondamentale, quindi, chiarezza sui tempi,
modi e ammontare.
- Presenza di imposte non distorsive e amministrativamente poco costose.
- Garanzia di comodità per il contribuente relativamente ai tempi e alle modalità di pagamento.

Caratteri ideali del sistema tributario (Cesare Cosciani, 1977)


C. Cosciani distingue tra due principi chiave del sistema tributario:
- Principio della certezza (Secondo il principio della certezza il contribuente deve conoscere
esattamente l’onere tributario che deriva dalla sua condotta economica e dalle sue scelte)
- Principio della neutralità (Il principio della neutralità sostiene, invece, che il sistema tributario
di per sé non deve interferire con le scelte di mercato né creare distorsioni)

Caratteri ideali del sistema tributario (Joseph Stiglitz, 2000)


J. Stiglitz sostiene che l’efficienza economica e la semplicità amministrativa siano due elementi
fondamentali del sistema tributario.
- Efficienza economica (In base all’efficienza economica il sistema tributario dovrebbe ridurre
al minimo gli effetti distorsivi sull’allocazione delle imposte)
- Semplicità amministrativa (I costi amministrativi e di adempimento per i contribuenti e per lo
Stato dovrebbero essere al livello più basso possibile)

Perché lo Stato tassa?

Tra le diverse motivazioni che spingono lo Stato ad intervenire con un sistema di tassazione
rientrano:
1. Raccolta di entrate: cioè di fondi per finanziare per esempio beni e servizi pubblici
essenziali (difesa nazionale, istruzione pubblica)
2. Ridistribuzione di fondi: l’obiettivo principale del prelievo fiscale è la ridistribuzione di
fondi per limitare la disuguaglianza esistente
3. Finanziamento di attività amministrative dello Stato: le entrate servono anche per
finanziare le attività dello Stato che sono particolarmente costose dal punto di vista
amministrativo
4. Correzione dei fallimenti del mercato e esternalità
Imposte e tasse

Definiamo tributi i pagamenti che lo Stato impone, in forza della sua sovranità, per finanziare
servizi di interesse comune. Nei tributi rientrano le tasse e le imposte.
1. Tasse: parliamo di tassa quando il pagamento avviene a fronte di un corrispettivo (un servizio)
richiesto dal contribuente. In questo caso, c’è un meccanismo simile a quello praticato da un
privato quando chiede la corresponsione di un prezzo (a questo prezzo, in questo caso, diamo
il nome di tassa) a fronte della cessione di un bene o servizio. Il tributo che gli studenti pagano
quando si iscrivono all’università è una tassa. Un altro esempio di tassa è quella pagata dai
cittadini per la raccolta dei rifiuti.
2. Imposte: parliamo, invece, di imposta quando il pagamento non ha una contropartita (servizio)
e avviene attraverso un prelievo coattivo di risorse dall’economia privata. In questo caso,
quindi, il prelievo coattivo non ha una corrispondenza diretta con la prestazione di un servizio.
L’IRPEF, che le persone pagano sui redditi, è un esempio di imposta. Un altro esempio di
imposta è l’IVA che si paga sul valore aggiunto. L’imposta è una forma di finanziamento molto
appropriata per quei servizi che sono forniti indipendentemente dalla domanda dei cittadini.

I PRINCIPI DI DISTRIBUZIONE DEL CARICO TRIBUTARIO

Per finanziare la fornitura di servizi, l’ente pubblico ha due possibilità: far pagare il costo al gruppo
di coloro che beneficiano del servizio oppure porlo a carico dell’intera collettività. Nel primo caso
l’operatore pubblico utilizza un meccanismo di razionamento simile a quello praticato da un privato
quando chiede la corresponsione di un prezzo a fronte della cessione di un bene o di un servizio.
Nel secondo caso, invece, l’ente si avvale, nei modi e nei limiti definiti dall’ordinamento giuridico,
del potere di prelevare coattivamente risorse dall’economia privata tramite le imposte. L’ente
pubblico può inoltre usare una combinazione dei due sistemi: far pagare agli utenti una parte del
costo del servizio, ripartendo la quota residua su tutta la collettività. Di seguito, analizziamo i
quattro principi di distribuzione del carico tributario: principio della controprestazione, principio del
beneficio, principio della capacità contributiva e principio del sacrificio.

1. Principio della controprestazione

Il principio della controprestazione prevede la corresponsione di un prezzo a fronte della cessione


di un bene o di un servizio. L’elemento fondamentale è che l’onere dell’imposta è a carico
dell’utenza (cioè di coloro che usufruiscono di tale bene o servizio). L’onere della copertura del
costo della spesa pubblica è posto, in tutto o in parte, a carico dei beneficiari.

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Condizioni per l’applicazione del principio:
1. È necessario un atto individuale di domanda da parte dell’utente rendendo così possibile
escludere dal servizio chi non paga (escludibilità). L’idea sottostante è che tali servizi
possono essere finanziati subordinando l’accesso al pagamento di una qualche forma di
corrispettivo (tasse di iscrizione scolastica, tickets sanitari, pedaggi).
2. L’individuo è libero di scegliere se pagare o meno per un determinato servizio (elemento
che lo accomuna alla natura del prezzo privato).
3. Il corrispettivo dovuto per accedere al servizio pubblico può essere inferiore al costo del
servizio stesso (differenza con il prezzo privato). In questo caso, l’operatore pubblico può
decidere di coprire la parte residua con prelievi (cioè attraverso delle imposte) a carico
dell’intera collettività.

Nel tempo si è registrato un limitato ricorso al principio della controprestazione per alcune delle
sue caratteristiche, anche quando sarebbe stato tecnicamente possibile. Le ragioni che spiegano
ciò sono:

1. Motivi di carattere tecnico amministrativo: consistente nell’elevato costo dell’esazione


(riscossione) dei corrispettivi in relazione alle entrate che questi generano

2. Motivi di efficienza: sono di due tipi


In assenza di rivalità nel consumo (difficile applicazione nel caso di beni pubblici non rivali e
non escludibili) o in presenza di esternalità positive (viene meno la volontarietà dello scambio)
è difficile l’applicazione del principio della controprestazione.

Un bene (o un servizio) è definito rivale quando il consumo di tale bene o servizio da parte di un
soggetto rende il bene indisponibile per un secondo potenziale consumatore. Un bene pubblico
non rivale implica che il godimento di quel bene da parte di un individuo addizionale non costa
nulla. Il costo marginale del consumo di tale bene da parte di un individuo addizionale è nullo.
Un bene si definisce escludibile se il consumo di tale bene può essere regolamentato, cioè se è
possibile consentirne il consumo prima ad un soggetto e poi ad un altro.
I beni pubblici sono non escludibili: una volta prodotti, possono essere utilizzati da chiunque, sia
che l’individuo contribuisca sia che non contribuisca all’acquisto del bene.

- assenza di rivalità nel consumo: in questo caso il livello ottimo di quantità prodotta si ha
in corrispondenza di un prezzo pari a zero. Per molti servizi pubblici l’esistenza di
rivalità nel consumo può dipendere dal livello della domanda rispetto alla capacità. Ciò
significa che la rivalità potrebbe essere molto modesta in alcune situazioni (quando, ad
esempio, la strada è percorsa da poche persone) e potrebbe, invece, essere importante
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quando il numero di automobilisti è molto alto. Nella figura 1.1 sono rappresentate due
curve di domanda (D1 e D2) e una curva dei costi marginali (Cmg ) nel caso di una
strada. L’asse orizzontale riporta la quantità di attraversamenti su questa strada (Qi) e
sull’asse verticale è riportato il prezzo (P). Fino al livello Q2 il costo di un automobilista
addizionale è sostanzialmente nullo (Cmg=0). Possiamo, invece, osservare che da Q2
il costo di un automobilista addizionale aumenta e ciò significa che la curva del costo
marginale è una funzione crescente. La curva di domanda D1 si satura per un utilizzo
inferiore al punto di congestione (i costi marginali diventano positivi per valori ¿ Q 2) e
ne deriva che il prezzo sia nullo (P=0) e la quantità domanda sarà 0Q1. La curva di
domanda D2, invece, interseca la curva di costo marginale (Cmg ) in corrispondenza del
tratto crescente di Cmg . Di conseguenza, il costo marginale non sarà più nullo ma
bensì positivo e pari a 0P e la quantità domandata, corrispondente a tale prezzo, sarà
pari a 0Q3 in corrispondenza del punto di intersezione tra la curva di domanda D2 e la
curva di costo marginaleCmg . Ne deriva, quindi, che la presenza o l’assenza di rivalità
nel consumo rappresenta un elemento importante da tenere in considerazione per
applicare il principio della controprestazione.

- esternalità positive: si hanno le scelte individuali aumentano il benessere della


collettività senza che il mercato possa però influenzarne le decisioni tramite il
meccanismo dei prezzi. Ne deriva, quindi, che in presenza di esternalità positive parte
dei benefici è goduta da un gruppo più ampio rispetto a quello degli utenti del servizio
pubblico. Se questi ultimi fossero chiamati a sopportarne l’intero costo, la quantità
prodotta risulterebbe inferiore alla quantità sociale ottima.
La figura 1.2 mostra che se il costo del servizio pubblico riguardasse solo gli utenti che
stanno effettivamente usufruendo di tale servizio, allora la quantità prodotta sarebbe
inferiore a quella ottimale dal punto di vista sociale. La curva del beneficio marginale
privato (Bmgp) è indicata con AE, mentre la curva che rappresenta l’esternalità positiva
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(Es) è indicata con AB e la curva del beneficio marginale sociale (Bmgs) con AF. La
curva del beneficio marginale sociale è pari alla somma verticale del beneficio
marginale privato (0E) e delle esternalità (0B). Ipotizziamo che i costi marginali siano
costanti e pari ai costi medi, per cui la curva che rappresenta tali costi è una retta
parallela all’asse orizzontale. La quantità ottimale di fornitura del servizio è 0Q2, in
corrispondenza della quale la curva di beneficio marginale sociale incontra la curva dei
costi (Bmgs=costi). Se si ponesse per intero agli utenti il costo del servizio pubblico,
fissando un corrispettivo per l’accesso a tale servizio pari a 0C, allora la quantità
domanda sarebbe 0Q1 (punto in corrispondenza del quale la curva di beneficio
marginale privato incontra la curva dei costi). La quantità effettivamente domanda (0Q1)
è inferiore alla quantità socialmente ottimale (0Q2). La soluzione per l’ente potrebbe
essere quella di fornire il servizio ad un prezzo pari a 0D, che genera una domanda Q2
che copre una perdita corrispondente all’area del rettangolo CGHD tramite
l’introduzione di un’imposta che coattivamente va a recuperare sulla collettività una
parte di gettito. La presenza di esternalità positive potrebbe, in alcuni casi, limitare
l’applicazione del principio della controprestazione.

3. Motivi di equità: Si potrebbe utilizzare la spesa pubblica e le modalità di finanziamento per


modificare la distribuzione del benessere, ma nel principio della controprestazione si tiene in
considerazione la possibilità di finanziare la produzione pubblica di beni o servizi ma è esclusa
ogni finalità di tipo redistributivo.

2. Principio del beneficio

Il principio del beneficio e il principio della capacità contributiva prevedono entrambi un prelievo
coattivo di risorse dall’economia privata attraverso le imposte. In questo caso, quindi l’onere è a
carico della collettività. Tuttavia, questi due principi sono tra loro distinti per alcuni elementi.

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L’onere della copertura del costo della spesa pubblica è posto a carico dell’intera
collettività tramite tributi applicati su basi imponibili considerate una misura dei benefici
della spesa pubblica.
Condizioni per l’applicazione del principio:
1. Non è richiesta l’escludibilità cioè si rinuncia a porre direttamente a carico dei beneficiari il
costo della spesa pubblica con un di razionamento analogo a quello del prezzo di mercato.
2. Il carico tributario riflette la distribuzione dei benefici della spesa pubblica (uso delle basi
imponibili come indicatori del beneficio).
3. Non c’è una funzione redistributiva. Ne deriva, quindi, che la finalità dell’imposta è
finanziare l’offerta di servizi e beni pubblici.
4. A differenza del principio della controprestazione l’individuo non è libero di scegliere se
acquistare o meno il servizio pubblico, è quindi sempre tenuto al pagamento del tributo.
5. Equità nello scambio ovvero ciò che si paga corrisponde al beneficio che si riceve

Un esempio di applicazione del principio del beneficio è l’ICI. Si ritiene che la proprietà immobiliare
sia un buon indicatore dei benefici di una parte consistente della spesa locale. L’obiettivo è trovare
un’informazione che ci faccia capire quanto è il beneficio della spesa pubblica, ad esempio,
dell’illuminazione della strada o la viabilità. L’idea alla base del principio del beneficio, in questo
caso, è che avere più appartamenti presume che si possa avere un maggiore beneficio dalla
spesa pubblica in termini di avere maggiore illuminazione e di conseguenza bisognerebbe
contribuire in misura maggiore alla copertura del costo della spesa pubblica.

3. Principio della capacità contributiva

L’onere della copertura del costo della spesa pubblica è posto a carico dell’intera
collettività (copertura coattiva del costo della spesa pubblica) tramite tributi applicati su
basi imponibili considerate una misura del benessere. Nel caso del principio del beneficio si
considera una base imponibile che fornisce un’informazione sulla misura del beneficio della spesa
pubblica che il soggetto aveva. In questo caso, la base imponibile è considerata una misura del
benessere dell’individuo.
L’applicazione dei principi della controprestazione e del beneficio ha come scopo principale il
finanziamento della produzione pubblica di beni e servizi e non la redistribuzione del reddito e,
quindi, si dà per equa la dotazione iniziale delle risorse. Quindi l’applicazione è giustificata se si
accetta come equa la dotazione iniziale di risorse.
Proviamo invece a pensare all’utilizzo della spesa pubblica e del suo finanziamento come
strumento di redistribuzione delle risorse alla luce di alcuni ideali di equità.
Il carico tributario viene ripartito in ragione della capacità di ciascuno di contribuire al finanziamento
della spesa (e, quindi, in base al proprio benessere)
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L’equità è garantita se l’imposta è commisurata alla capacità contributiva dei soggetti e cioè alla
loro capacità di pagarla (ability to pay degli individui)
La storia ci ha mostrato come il principio della capacità contributiva è prevalso sul principio del
beneficio, a testimoniarlo è l’Articolo 53 Costituzione: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese
pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

L’effettiva applicazione del principio della capacità contributiva richiede:

1. La scelta di una misura di benessere (possono essere considerati: reddito, patrimonio,


consumo)
2. La scelta di un criterio che leghi il pagamento dei tributi a tale misura (bisogna vedere,
quindi, come ripartire l’onere dell’imposta tra i contribuenti – sacrificio di utilità)

A entrambe le scelte si intrecciano problemi di equità:


1. Equità orizzontale dovrebbe esserci uno stesso trattamento tributario per individui che
si trovano in condizioni economiche eguali. Ciò significa che individui con la stessa
capacità contributiva devono pagare la stessa imposta.
2. Equità verticale prevede un trattamento tributario differenziato a individui in condizioni
economiche diverse. Ciò significa che individui con maggiore capacità contributiva
devono pagare una maggiore imposta e viceversa

Scelta della base imponibile e equità orizzontale

Per adottare un indicatore di benessere come base imponibile è necessario che tutti i contribuenti
a cui si associa lo stesso livello di indicatore si trovino in condizioni economiche eguali
indipendentemente da altre circostanze (ma è molto difficile che questo risulti vero nella pratica).
La scelta della base imponibile ricade tra:
1. Reddito
2. Patrimonio
3. Consumo

Consideriamo l’esempio 1. Ipotizziamo di scegliere il reddito come misura del benessere degli
individui. Il benessere, quindi, dipende sia dal livello che dalla natura del reddito poiché lo
sforzo/disutilità associato alla produzione di un reddito patrimoniale è inferiore a quello di
un reddito da lavoro. Supponiamo di avere due individui, A e B, con lo stesso livello di reddito
complessivo pari a € 1000. L’individuo A possiede anche un patrimonio di € 10000 mentre B non
possiede alcun patrimonio, l’esistenza di un patrimonio è di per sé fonte di benessere poiché
vi è maggiore sicurezza in caso di eventi imprevisti. Supponiamo che il tasso di interesse sia
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del 5% e che A investi tutto il suo patrimonio. Il reddito di B sarà per intero reddito guadagnato
(cioè reddito da lavoro), mentre il reddito di A sarà per metà reddito guadagnato (reddito da
lavoro=500 € ) e per metà reddito da patrimonio (=500 € ). Ne deriva, quindi, che pur avendo lo
stesso reddito, A e B non sono nelle stesse condizioni economiche.

Consideriamo l’esempio 2. Supponiamo che A tenga il proprio patrimonio in attività che non
fruttano nessun reddito monetario (casa, macchina d’epoca). In questo caso A e B avranno sia lo
stesso reddito ( € 1000) che la stessa natura del reddito (reddito guadagnato, cioè reddito da
lavoro). Ma nuovamente le condizioni economiche di A e B non saranno uguali. L’individuo A
rinuncia a ricavare un reddito dal proprio patrimonio ma ne trarrà un certo flusso di benessere che
valuta almeno quanto avrebbe guadagnato in caso di investimenti ( € 500). Il reddito di B resta pari
a 1000, mentre quello di A sarà pari almeno ad € 1500. Ne deriva, quindi, che non è facile usare il
reddito come indicatore di benessere. Non è facile fare in modo che soggetti con la stessa
capacità contributiva paghino la stessa imposta poiché significa assumere che soggetti con la
stessa capacità contributiva (in questo caso in base all’indicatore di reddito) abbiano le stesse
condizioni economiche.

4. Principi del sacrificio

Per ripartire equamente l’onere dell’imposta tra i contribuenti si possono individuare tre ≠ principi
del sacrificio: principio del sacrificio assoluto uguale, principio del sacrificio proporzionale e
principio del sacrificio marginale (o principio del sacrificio minimo collettivo).

Tutti e tre i principi del sacrificio si basano sulle seguenti ipotesi:


1. L’unica determinante dell’utilità è il reddito
2. Il reddito prima dell’imposta è un dato
3. Gli individui hanno uguali preferenze, rappresentate da un’uguale funzione di utilità, che è
cardinale rispetto al reddito.
4. L’utilità marginale del reddito è decrescente (cioè all’aumentare del reddito l’utilità totale
aumenta ma sempre meno)

Consideriamo due soggetti, A e B. Assumiamo che il contribuente B (contribuente ricco) abbia un


reddito tre volte più elevato di quello del contribuente A (contribuente povero).

4.1 Principio del sacrificio assoluto uguale richiede che sia eguagliata, in valore assoluto, la
perdita di utilità sopportata dai due contribuenti a seguito dell’introduzione dell’imposta. Ciò
significa che l’imposta deve sottrarre ai contribuenti un ammontare di reddito che determini
una perdita di utilità uguale.
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- In figura. Sia 0Ra il livello di reddito di A (soggetto povero) e 0Rb il livello di reddito di B
(soggetto ricco) e la curva u’ l’andamento dell’utilità marginale per i due redditieri A e B.
- Sia Ua e Ub l’utilità totale, ossia l’intera area sottesa alla curva dell’utilità marginale Vua e
Vub, rispettivamente per il Ra e il Rb. L’area sottesa alla curva dell’utilità marginale Vua
rappresenta l’utilità totale di A, mentre quella sottesa a Vub rappresenta l’utilità totale di B.
- Considerando Sa l’utilità perduta con l’introduzione dell’imposta TaRa per il soggetto A e Sb
l’utilità perduta con l’imposta TbRb. Il criterio del sacrificio assoluto uguale prevede che:

Sb =S a

Ne deriva, quindi, che l’utilità perduta per il soggetto A è uguale all’utilità perduta per il
soggetto B.

Poiché l’utilità marginale è decrescente per ottenere un sacrificio uguale occorre che
l’imposta sul reddito Rb sia molto più elevata dell’imposta che grava sul reddito Ra. L’imposta
che grava sul soggetto più ricco (B), quindi, deve essere maggiore di quella che grava sul
soggetto più povero (A).
Non è necessaria un’imposta progressiva. I risultati dipendono dall’andamento della curva
dell’utilità marginale decrescente.

4.2 Principio del sacrificio proporzionale uguale richiede, invece, che il sacrificio di utilità
richiesto ai contribuenti sia una percentuale uguale per tutti i contribuenti, dell’utilità
complessiva che essi derivino dal proprio reddito. Questo principio permette di procurare ai
soggetti una perdita di utilità proporzionale all’utilità che i soggetti derivino da ciascun reddito.

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- In figura. Se Sa e Sb indicano la perdita di utilità provocata dall’imposta Ta e Tb su ciascun
contribuente.
- Se con Ua e Ub indichiamo l’utilità totale, ossia l’intera area sottesa alla curva di utilità
marginale per il Ra e il Rb.

- Affinché possa essere applicato il criterio del sacrificio proporzionale deve essere vero:

Sa Sb
=
Ua U b

In questo modo si sta, quindi, procurando ai soggetti una perdita di utilità (S a e Sb) ai
contribuenti che sarà proporzionale all’utilità totale di ciascun redditiero (Ua e Ub).
- Anche in questo caso non è necessaria un’imposta progressiva. I risultati dipendono
dall’andamento della curva dell’utilità marginale decrescente)

4.3 Principio del sacrificio marginale uguale o principio del sacrificio minimo collettivo,
richiede che il sacrificio marginale dell’individuo povero sia uguale al sacrificio dell’individuo
ricco.
Posto che l’utilità marginale è decrescente rispetto al reddito, la perdita di utilità per la
collettività è minore ponendo l’imposta sui redditieri più elevati, poiché la loro utilità marginale
è inferiore all’utilità marginale dei redditieri dei più poveri.
Ne deriva, quindi, che è un principio particolarmente egualitario in quanto prevede che il
prelievo gravi innanzitutto sui ricchi e solo se il getto richiesto è superiore alla differenza di
reddito tra ricchi e poveri si applichi anche ai poveri.
L’idea fondamentale è che ogni unità aggiuntiva di imposta viene sempre prelevata dal
contribuente più ricco e cioè da colui che sopporta la minor perdita di utilità a fronte della
rinuncia ad una unità di reddito.

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Il principio del sacrificio marginale, nonostante sia quello che più si avvicini agli elementi di
uguaglianza, è stato soggetto a numerose critiche. In particolare, la maggiore critica mossa a
questo principio ha riguardato la scelta temporale all’interno della quale viene richiesto tale
sacrificio. Se l’orizzonte temporale in cui il sacrificio viene valutato non è un momento dato
ma è più lungo nel tempo, allora questa forma di tassazione sembrerebbe avere degli effetti
negativi ulteriori rispetto a quello che viene richiesto, in termini di sacrificio, ai soggetti su altre
variabili economiche (come investimenti e sviluppo). Una conseguenza indiretta di questo
principio sembrerebbe essere quella di ridurre investimenti e sviluppo da parte dei soggetti.

Base imponibile e equità verticale

Come dovrebbe variare l’imposta (T) al crescere della base imponibile (B)? Questo ci aiuta anche
a capire meglio come si sviluppa il concetto di equità verticale.
Esiste un presupposto dell’imposta, che è quella situazione di fatto (percepire un reddito, il
consumare un bene) a cui la legge ricollega l’obbligo di pagare l’imposta.
La base imponibile è la traduzione quantitativa di questo presupposto. Se, ad esempio, la legge
ricollega l’obbligo di pagare un’imposta nel caso in cui presupposto dell’imposta sia l’aver percepito
un reddito, allora la base imponibile è il reddito.
L’aliquota dell’imposta, invece, è una percentuale o un importo fisso dell’imposta che si deve
applicare alla misura unitaria della base imponibile. In particolare, l’aliquota è una percentuale
quando parliamo di imposte ad valorem (imposte caratterizzate appunto dal fatto che le aliquote
sono espresse in termini %), mentre è una somma fissa nel caso di imposte specifiche (l’aliquota
viene fissata in unità monetarie per ogni unità della base imponibile, ad esempio 1€ per ogni litro di
benzina).
Il debito d’imposta, che è direttamente collegato al gettito d’imposta, è definito come il prodotto
tra l’aliquota e la base imponibile. In particolare, quando ragioniamo a livello aggregato
(abbandoniamo l’idea di un singolo soggetto) il debito d’imposta diventa il gettito d’imposta, cioè
l’insieme delle entrate che lo Stato ricava nel momento in cui applica un’imposta.

L’obiettivo della nostra analisi è cercare di capire come dovrebbe variare l’imposta che, in questo
caso, si intende come debito d’imposta (a livello individuale) o gettito d’imposta (a livello
aggregato) al variare di una certa base imponibile. Per semplicità, in questo caso, è come se
assumessimo che B sia il reddito e supponiamo che il presupposto dell’imposta, in base al quale a
legge ricollega l’obbligo di pagare l’imposta, sia il percepire un reddito. In questo caso, quindi, il
debito d’imposta (T) o gettito d’imposta (T) in funzione del reddito (B). Come dovrebbe, quindi,
variare il debito d’imposta o il gettito d’imposta al crescere della base imponibile?

T =f ( B )
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L’aliquota media è data dal rapporto tra il debito d’imposta (T) e la base imponibile (B). L’aliquota
media non è altro che quanto è dovuto in media da parte del contribuente per ogni unità
imponibile.

T
t=
B

L’aliquota marginale, invece, è data dal rapporto tra la variazione dell’imposta (o variazione del
debito d’imposta) e la variazione della base imponibile. L’aliquota marginale rappresenta, quindi,
quanto dovuto dal contribuente per ogni unità aggiuntiva di base imponibile.

dT
t '=
dB

Progressività, proporzionalità e regressività

- Un’imposta è progressiva quando all’aumentare della base imponibile il debito d’imposta (o


gettito d’imposta) aumenta più che proporzionalmente. In particolare, un’imposta è progressiva
se l’aliquota marginale è superiore all’aliquota media oppure se al crescere della base
imponibile l’aliquota media cresce.
dt
t ' >t >0
dB

- Un’imposta è proporzionale quando all’aumentare della base imponibile il debito d’imposta


(o gettito d’imposta) aumenta della stessa proporzione. In particolare, un’imposta è
proporzionale se l’aliquota marginale (t ' ) è uguale all’aliquota media (t ) e se al crescere della
base imponibile (B) l’aliquota media (t ) rimane costante.

dt
t '=t =0
dB

- Un’imposta è regressiva quando all’aumentare della base imponibile il debito d’imposta


aumenta meno che proporzionalmente. In particolare, un’imposta è regressiva se l’aliquota
marginale (t ' ) è inferiore all’aliquota media (t ) oppure se al crescere della base imponibile
(B) l’aliquota media (t ) diminuisce.

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dt
t ' <t <0
dB

Affinché un’imposta venga definita progressiva non è importante che all’aumentare della base
imponibile il debito d’imposta aumenti in quanto, indipendentemente dal fatto che l’imposta sia
proporzionale o progressiva o regressiva, all’aumentare della base imponibile il debito d’imposta
aumenta ma ciò che è importante e che cambia è l’intensità (come) aumenta. Nel caso di imposta
proporzionale all’aumentare della base imponibile il debito d’imposta aumenta della stessa
proporzione. Nel caso di imposta progressiva, invece, all’aumentare della base imponibile il debito
d’imposta aumenta più proporzionalmente. Nel caso di imposta regressiva all’aumentare della
base imponibile il debito d’imposta aumenta meno che proporzionalmente.
È fondamentale che ci sia la possibilità di rendere progressiva un’imposta perché è rilevante
nel valutare gli effetti distributivi del prelievo tributario. Lo scopo del prelievo tributario è anche
quello di distribuire il reddito in maniera più equa. In questo modo, attraverso un’imposta
progressiva è possibile distribuire il carico tributario in maniera ineguale in modo così da far
sopportare un onere tributario (o onere d’imposta) maggiore a chi ha una base imponibile (per
esempio il reddito) maggiore.
L’imposta non deve mai raggiungere un livello tale da modificare l’ordinamento preesistente
dei redditi. Bisogna quindi evitare il fatto che un contribuente che è più ricco di un altro prima
dell’introduzione di un’imposta risulti più povero dopo l’introduzione dell’imposta. Ciò per evitare
che ci sia poi una convenienza per il contribuente più ricco a non creare materia imponibile a
causa dell’imposta. Questo in termini pratici implica che l’aliquota marginale non dovrebbe mai
essere maggiore dell’unità (cioè di 1).

La progressività del sistema tributario: la progressività è un principio costituzionale. Art. 53: “Il
sistema tributario è informato ai criteri di progressività” è da notare che il principio si riferisce al
sistema tributario e non ai singoli tributi, cioè è il sistema che deve essere progressivo e non i
tributi.

L’andamento di un’imposta sul consumo rispetto al reddito dipenderà dalla relazione che lega il
consumo e il reddito e lo stesso vale per l’imposta sul patrimonio, pertanto si devono tenere in
considerazione le seguenti proposizioni:
- Un’imposta proporzionale sul consumo risulta regressiva rispetto al reddito se la
propensione media al consumo decresce al crescere del reddito
- Un’imposta proporzionale sul patrimonio risulta progressiva rispetto al reddito se il rapporto
tra patrimonio e reddito cresce al crescere del reddito.

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In presenza di una propensione media al consumo decrescente al crescere del reddito e di un
rapporto tra patrimonio e reddito crescente:
- Il sistema risulta essere progressivo se l’effetto della progressività imposto dall’imposta sul
patrimonio è maggiore dell’effetto della regressività imposta dall’imposta sul consumo
- Il sistema risulta essere proporzionale se l’effetto della progressività imposto dall’imposta sul
patrimonio è eguale dell’effetto della regressività imposta dall’imposta sul consumo
- Il sistema risulta essere regressivo se l’effetto della progressività imposto dall’imposta sul
patrimonio è minore dell’effetto della regressività imposta dall’imposta sul consumo

Reddito imponibile e equità verticale

dT
L’elasticità dell’imposta è data dal rapporto tra il tasso di incremento dell’imposta ( ) e il tasso
T
dB
di incremento del reddito ( ). Questa elasticità ci dice come cambia in % il debito di imposta a
B
seguito del cambiamento % della base imponibile.

dT dT
T dT B dT B dB
ε= = × = × =
dB T dB dB T T
B B

Con alcuni passaggi algebrici si può dimostrare che l’elasticità dell’imposta è il rapporto tra
l’aliquota marginale e l’aliquota media, ovvero:

dT
dB t '
ε= =
T t
B

- Quando l’aliquota media è uguale all’aliquota marginale, cioè t ' =t , allora è vero che ε =1.
Questo significa che siamo in presenza di un’imposta proporzionale. Il contribuente paga,
in corrispondenza di diversi livelli di reddito, sempre la medesima percentuale di imposta
(aliquota media). Per ogni incremento di reddito il contribuente deve pagare una percentuale
d’imposta (aliquota marginale) sempre uguale e pari all’aliquota media. Consideriamo il
grafico riferito ad un’imposta proporzionale. In questo caso, il debito d’imposta (T) è pari al
prodotto dell’aliquota (t) per la base imponibile (che è il reddito, R), cioè T =t × R. L’asse

14
orizzontale riporta i diversi livelli di reddito (R1 e R2), mentre sull’asse verticale è riportata il
debito d’imposta (T). La pendenza costante della retta, che rappresenta il debito d’imposta,
indica che l’aliquota marginale è uguale all’aliquota media.

- Quando l’aliquota marginale è maggiore dell’aliquota media, cioè t ' >t , allora ε > 1. Questo
significa che siamo in presenza di un’imposta progressiva. Il contribuente paga,
all’aumentare del reddito, una percentuale di imposta (aliquota media) sempre più elevata.
Per ogni incremento di reddito il contribuente deve pagare una percentuale (aliquota
marginale) che aumenta all’aumentare del reddito e che sarà sempre maggiore dell’aliquota
media. Il grafico rappresenta il caso di un’imposta progressiva. In questo caso, il debito
d’imposta, che è pari al prodotto dell’aliquota per la base imponibile, non è più una retta (con
pendenza costante) ma una curva. Se la pendenza delle linee che partono dall’origine degli
assi e arrivano ad un punto sulla curva rappresentano il valore in media e la pendenza delle
linee tangenti nei punti della curva rappresentano, invece, i valori in termini marginali, allora
osserviamo che la pendenza delle rette che uniscono il centro con i diversi punti è minore
della pendenza delle rette tangenti ai punti in cui stiamo considerando il reddito. Il fatto che il
gettito d’imposta o debito d’imposta abbia questa forma ci permette di rilevare che siamo in
un caso di imposta progressiva e, quindi, l’aliquota marginale è maggiore dell’aliquota media.

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- Quando l’aliquota marginale è minore dell’aliquota media, ovvero t ' <t , allora ε < 1. Questo
significa che siamo in presenza di un’imposta regressiva. Il contribuente paga,
all’aumentare del reddito, una percentuale di imposta (aliquota media) sempre più bassa.
Per ogni incremento di reddito il contribuente deve pagare una percentuale (aliquota
marginale) che diminuisce all’aumentare del reddito e che sarà sempre inferiore all’aliquota
media.

Lezione 2: LE IMPOSTE E IL SISTEMA ECONOMICO

Distinguiamo tra tre principali gruppi di forme impositive:


1. Imposte sui prodotti colpiscono le vendite di beni e servizi effettuate dalle imprese e dagli
altri operatori economici
2. Imposte sui redditi colpiscono il reddito degli individui
3. Imposte sul patrimonio colpiscono lo stock, ovvero le consistenze di attività reali e
finanziarie (a differenza delle imposte sui prodotti e sui redditi che, invece, colpiscono i
flussi – produzione e distribuzione del valore aggiunto)

IMPOSTE DIRETTE E INDIRETTE

Imposte dirette e indirette: storicamente

Ci sono state diverse modalità attraverso le quali si è cercato di distinguere le imposte dirette
dalle imposte indirette. Inizialmente il modo che veniva utilizzato era quello della forma
amministrativa, con la quale il carico tributario veniva assegnato ai cittadini (che pagavano le
imposte).

FORMA AMMINISTRATIVA
In particolare, le imposte dirette venivano identificate come quelle che venivano versate allo
Stato. Nelle imposte dirette rientrano:
16
- Imposte sul reddito personale o sul patrimonio delle persone
- Imposte sulle società e quella sulle successioni
Le imposte indirette, invece, venivano identificate come quelle versate tramite la vendita di beni
o servizi o la produzione organizzata per la vendita.
Questa definizione di imposte indirette, particolarmente legata alla forma amministrativa con la
quale i cittadini pagavano le imposte, fu nel tempo superata.

ULTERIORE CLASSIFICAZIONE
Le imposte dirette sarebbero quelle che non si trasferiscono ad altri. L’imposta diretta grava
definitivamente sui redditi o sui patrimoni o sulla spesa personale, per cui va calcolata sulle
persone fisiche o giuridiche titolari del diritto soggetto a tassazione.
Le imposte indirette sono, invece, quelle che vengono formalmente versate dai produttori o
venditori ma poi trasferite ad altri soggetti. L’imposta indiretta, quindi, grava effettivamente sui
consumatori o utilizzatori finali diversi.
Questa distinzione tra imposte dirette e imposte indirette fu superata. La critica che veniva fatta era
legata al fatto che non teneva conto della traslazione dell’imposta su altri soggetti. Il fatto che lo
Stato individua, ad esempio, i compratori e i venditori come coloro che dovrebbero pagare
l’imposta, ciò non significa che effettivamente questi saranno proprio coloro che subiranno il carico
tributario. È possibile, infatti, che l’imposta possa traslare su altri soggetti in maniera parziale o
completa e, quindi, di conseguenza l’incidenza dell’imposta, cioè chi sarà effettivamente a subire il
carico tributario, è un aspetto particolarmente complesso e non sempre distinguibile. Ne deriva,
quindi, che non è semplice utilizzare questa distinzione per poter distinguere le imposte dirette da
quelle indirette.

PIU’ RECENTEMENTE
Le imposte dirette, secondo una definizione più recente, sono quelle che sono in grado di tener
conto delle caratteristiche economiche e sociali del singolo contribuente. Tra le imposte dirette
rientrano:
Imposta personale sul reddito nel caso di persona fisica
Imposta sulla società nel caso di persona giuridica
Le imposte dirette sono manifestazioni immediate della capacità contributiva dei soggetti.
Le imposte indirette, invece, sono quelle che gravano sui beni e servizi scambiati sul mercato. In
quanto tali, non possono tener conto delle condizioni personali del compratore. Le imposte
indirette sono però delle manifestazioni mediate dalla capacità contributiva del soggetto (per
esempio, dal consumo di beni si può desumere qualche informazione in merito all’esistenza di un
reddito)

imposte dirette e indirette: qualche considerazione


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In letteratura si è dibattuto se le imposte dirette fossero più efficienti delle imposte indirette o
viceversa. Una parte della letteratura ha sostenuto la superiorità dell’imposizione diretta sulla
base della sua presunta neutralità rispetto all’imposizione indiretta. (L’economista Enrico
Barone lo dimostrò, attraverso il Teorema di Barone). Si sosteneva che l’imposizione indiretta sui
beni e servizi non fosse neutrale, cioè che determinasse un aumento del prezzo del bene tassato.
In realtà, l’introduzione di un’imposta indiretta su un bene provoca una distorsione artificiosa
dei prezzi al consumo tra due o più beni (il prezzo del bene subisce una distorsione dovuta
all’introduzione dell’imposta) e la quantità acquistata del bene oggetto dell’imposta sarà minore. Il
consumatore, quindi, farà una scelta tra i beni da comprare diversa da quella che, invece, avrebbe
fatto in assenza di imposta.
Se l’imposta è, invece, commisurata al reddito allora questa distorsione non si
verifica. In tal caso, l’imposta è considerata neutrale avendo effetti solo ed esclusivamente sul
reddito disponibile dei consumatori, riducendolo ma non alterando le sue scelte. Da un lato, quindi,
l’imposta diretta (per esempio quella sul reddito) fa ridurre il reddito dei consumatori ma non altera
la scelta dei soggetti, mentre dall’altro l’imposta indiretta (ad esempio quella sui beni e servizi)
comporta, invece, una distorsione della scelta dei consumatori.
La critica che fu mossa all’ipotesi di superiorità dell’imposizione diretta rispetto
all’imposizione indiretta era che tali ipotesi si basava su delle assunzioni troppo semplificative
per il sistema economico. Una delle assunzioni che fu fatta, al fine della validità dell’ipotesi di
superiorità dell’imposizione diretta, prevedeva un’offerta di lavoro fissa. Questa considerazione
però fu ritenuta troppo forte poiché implicitamente presupponeva che il lavoratore non era in grado
di operare una scelta tra lavoro e tempo libero e, quindi, di conseguenza non poteva modificare il
proprio reddito disponibile. Un’altra assunzione che veniva fatta prevedeva che il reddito fosse
l’unico vincolo in base al quale il consumatore faccia la propria scelta in termini di
consumo. L’eccesiva semplicità di tali assunzioni fu alla base delle critiche che vennero mosse al
Teorema di Barone.
Un’imposta sul reddito sarebbe neutrale poiché non comporta una distorsione artificiosa dei
prezzi al consumo tra due o più beni (e, quindi, una distorsione della scelta tra i beni del
consumatore), e pur riducendo il reddito dei soggetti comunque non altera le scelte di questi.
Si potrebbe provare, quindi, a creare la medesima condizione anche per un’imposta sui beni
ma imponendo delle aliquote uguali su entrambi i beni che abbiamo di fronte. L’imposizione di una
imposta uniforme su tutti i beni, ossia con aliquota uguale, significa che i prezzi dei beni
aumenterebbe tutti della stessa proporzione e il consumatore pur avendo un potere di acquisto del
minore non cambia le sue scelte di consumo. Un’imposta sul reddito, che viene considerata
neutrale, avrebbe gli stessi effetti di un’imposta uniforme, cioè di un’imposta con aliquota
uguale su tutti i beni. I prezzi dei beni aumenterebbero tutti della medesima proporzione e, pur

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avendo un potere di acquisto minore, il consumatore non cambierebbe le proprie scelte di
consumo.
Capire quale tra le due forme di tassazione sia la più efficiente è un ragionamento
complesso e diventa ancora più complicato se vengono considerati anche gli effetti economici
dell’introduzione di queste imposte, sia sul reddito sia sulle vendite, tenendo presenti anche altri
aspetti oltre a quelli di efficienza delle imposte, per esempio quelli di equità o, in generale, altri
aspetti legati allo sviluppo economico.

EQUITA’ DISTRIBUTIVA
Il peso delle imposte sui beni (imposte indirette) pagate dalle famiglie aumenta al diminuire del
reddito dei contribuenti. Ciò deriva dal fatto che la propensione media al consumo è decrescente
rispetto al crescere del reddito e, quindi, al crescere del reddito in media si consuma di meno.
Quindi la quota di reddito consumata (consumo) si riduce in maniera meno che proporzionale al
ridursi del reddito. Questo è un aspetto particolarmente importante ed è ciò che introduce l’equità
distributiva, oltre all’efficienza, nel discorso.
A parità di reddito familiare, il peso delle imposte sui beni risulta più elevato quanto più numerosa
è la famiglia. Questo effetto sarà ancora più evidente al ridursi del reddito familiare delle famiglie
considerate.
L’applicazione delle imposte dirette (sul reddito) richiede un’amministrazione burocratica più
organizzata. Pertanto nel corso degli anni, nei luoghi in cui è stato introdotto questo tipo di
imposta, sono stati sperimentati alti gradi di evasione.

SVILUPPO ECONOMICO
L’imposta sul reddito e quella sulle vendite hanno effetti diversi sulla quota di risparmio sul reddito
nazionale da parte delle famiglie.
- L’imposta sul reddito è neutrale, ovvero non distorce le scelte degli individui, però riduce il
loro reddito disponibile (indipendentemente dal fatto che questa imposta abbia carattere
proporzionale o progressivo). Questo tipo di imposta non ha effetto sull’incentivo di
risparmio.
- L’imposta sulla spesa colpisce il reddito solo se speso e potrebbe, quindi, avere un
importante effetto sull’incentivo di risparmio.
- L’imposta sulle vendite può spostare l’onere dalle famiglie più abbienti (che consumano
quote meno elevate del reddito) a quelle meno abbienti (che sono più numerose e
consumano quote più elevate di reddito). Ciò deriva dal fatto che la propensione media al
consumo è decrescente al decrescere del reddito. Questo aspetto ci fa capire che diventa
particolarmente importante anche l’aspetto della propensione al risparmio.

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Queste considerazioni di equità distributiva e di sviluppo economico in materia di imposte dirette e
indirette aprono un dibattito che mostra come, in realtà, sia difficile definire quale sia la migliore
imposta in termini di efficienza e di equità.

imposte dirette e indirette in Italia

1. Imposte dirette: Le imposte sul reddito delle persone e delle società sono state introdotte
nel sistema economico e tributario con la riforma tributaria del 1973-1974. Tra le imposte
dirette rientrano:
- Imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef)
- Imposte sul reddito delle persone giuridiche (Irpeg)
- Imposte sulle attività finanziarie
- Imposte sui valori patrimoniali immobiliari (ICI)
- Imposte sulle successioni

2. Imposte indirette: sono le imposte sulle vendite e sui consumi.


Un’imposta indiretta che ha pari ammontare sui consumi tende ad essere regressiva sul
reddito dei consumatori, in quanto colpisce in misura maggiore i redditieri più bassi. Il peso
dell’imposta sui consumatori dipende dalla proporzione dei consumi rispetto al reddito
(concetto di equità). Le persone con redditi elevati spendono in media una quota più bassa
di reddito rispetto a quelle con redditi più bassi. Ciò sottolinea l’importanza dell’analizzare
dal punto di vista dell’efficienza e dell’equità quando ragioniamo sugli effetti delle imposte.
Un esempio di imposta indiretta è l’IGE (Imposta generale sull’entrata) che nel 1975 fu
sostituita dall’IVA.

Pressione tributaria e fiscale

Distinguiamo tra pressione tributaria e pressione fiscale.


- Pressione tributaria: quando teniamo conto di tutte le imposte dirette e indirette (insieme delle
imposte dirette e indirette)
- Pressione fiscale: quando teniamo conto non solo delle imposte dirette e indirette ma anche
dei contributi sociali.
Il contributo sociale è un prelievo a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori destinato al
finanziamento delle prestazioni sociali. Il contributo sociale è calcolato, in percentuale, sulla
retribuzione imponibile (nel caso di rapporto di lavoro subordinato) o sul reddito da lavoro (nel
caso di rapporto di lavoro autonomo, in collaborazione o associato) e viene versato
periodicamente a istituti previdenziali e assistenziali al fine di acquisire o conservare il diritto
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alla riscossione della pensione. Ciò si verifica di norma al termine della vita lavorativa, previo il
raggiungimento di determinati requisiti fissati dalla legge, oppure, nel corso della vita
lavorativa, allo scopo di salvaguardare il reddito a seguito della cessazione del rapporto di
lavoro o della diminuzione della capacità contributiva, o di sostenere il reddito familiare.

IMPOSTE SUI PRODOTTI

Si tratta di imposte che colpiscono le vendite di beni e servizi effettuate dalle imprese e dagli
operatori economici. Distinguiamo tra imposte ad valorem, specifiche, generali e speciali.

In particolare:
 Imposta ad valorem è un’imposta commisurata al bene stesso e viene calcolata in
percentuale del valore del bene

 Imposta specifica è un’imposta commisurata alla quantità fisica del bene ed ha, quindi, come
base l’unità di misura del bene sul quale la stessa grava:
o Può essere un’imposta che grava sui bene e prodotti importati (in questo caso è
chiamata imposta di fabbricazione) o sui beni al consumo (imposta di consumo)
o In generale, le imposte specifiche vengono chiamate accise)
Imposte sui prodotti: imposte ad valorem

L’imposta ad valorem si applica in percentuale del valore del bene.


È importante sottolineare la possibilità per cui le imposte possono essere applicate su delle
basi imponibili che includono l’imposta, oppure su basi imponibili che, invece, la escludono. Da ciò
deriva la definizione di imposta tax exclusive e imposta tax inclusive.
La differenza fondamentale tra le due tipologie di imposta è che:
- nel caso dell’imposta tax exclusive il venditore calcola l’imposta come una percentuale del
prezzo senza imposta,
- invece nel caso di imposta tax inclusive, il venditore ragiona su un’aliquota che si applica al
prezzo di mercato (e, quindi, al valore delle vendite al lordo dell’imposta).
In entrambi i casi siamo sempre di fronte ad una imposta ad valorem, che si applica in percentuale
del valore.

CASO IMPOSTA TAX EXCLUSIVE


L’imprenditore o il venditore calcola l’imposta come percentuale del prezzo senza l’imposta.
Definiamo:
- t e è l’aliquota dell’imposta fissata dalla legge tributaria (t e =tax exclusive )
21
- p è il prezzo di mercato (è il prezzo pagato dal consumatore)
N
- p è il prezzo al netto dell’imposta che rimane al soggetto che vende
ven
- q è la quantità venduta del bene

N ven
Il valore delle vendite prima dell’applicazione dell’imposta è pari a: p ×q

Conoscendo il valore delle vendite prima dell’applicazione dell’imposta è possibile calcolare il


gettito dell’imposta (T), che sarà pari al prodotto dell’aliquota dell’imposta fissata dalla legge
tributaria per il valore delle vendite prima dell’applicazione dell’imposta.

N ven
T =t e × p ×q =Gettito d ' imposta

Sostituiamo t e =0,10=10 % nell’espressione del gettito d’imposta e otteniamo:

N ven N ven
T =t e × p ×q =0,10 × p ×q =0,10 ×Valore delle vendite prima dell ' applicazione dell ' imposta=Gettit

Il valore delle vendite dopo l’applicazione dell’imposta sarà, invece, pari al valore delle vendite
prima dell’applicazione dell’imposta più il gettito d’imposta (percentuale legata all’aliquota che
stiamo applicando).
p ×q ven = pN × q ven +t e × p N ×q ven → p × q ven=(1+t e )× pN × q ven

ven
Essendo p ×q =(1+t e )× p N ×q ven , la relazione tra il prezzo di mercato e il prezzo netto,
ottenuta dividendo entrambi i membri dell’equazione per q ven , sarà data da:

N ven
ven N ven p ×q ven (1+ t e )× p ×q N
p ×q =(1+t e ) × p ×q → ven = ven
→ p=(1+t e ) × p
q q

Il prezzo di mercato (cioè quello pagato dal consumatore) è pari alla somma dell’aliquota
dell’imposta tax exclusive più 1, il tutto moltiplicato per il prezzo al netto dell’imposta (che rientra al
venditore).

L’imposta per unità di produzione venduta (τ ) è, invece, data dal rapporto tra il gettito d’imposta
(T) e la quantità venduta del bene (q ven). Dalle semplificazioni ricaviamo che l’imposta per unità di
produzione venduta non è altro che il prodotto tra l’aliquota dell’imposta tax exclusive e il prezzo al
netto dell’imposta.

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T t e × p N × q ven N
τ = ven = ven
¿te× p
q q

CASO IMPOSTA TAX INCLUSIVE


L’imprenditore o venditore calcola l’imposta come una percentuale del prezzo di mercato (cioè la
applica al valore delle vendite al lordo dell’imposta).
Definiamo:
- t i è l’aliquota dell’imposta fissata dalla legge tributaria (t i=tax inclusive)
- p è il prezzo di mercato (è il prezzo pagato dal consumatore)
N
- p è il prezzo al netto dell’imposta (che rimane al soggetto che vende)
ven
- q è la quantità venduta del bene

Il valore delle vendite prima dell’applicazione dell’imposta, a differenza del caso imposta tax
exclusive, è pari al prodotto del prezzo di mercato per la quantità venduta: p ×q ven

Conoscendo il valore delle vendite prima dell’applicazione dell’imposta è possibile calcolare il


gettito dell’imposta (T), che sarà pari al prodotto dell’aliquota dell’imposta tax inclusive fissata
dalla legge tributaria per il valore delle vendite prima dell’applicazione dell’imposta:

T =t i × p × q ven
Il valore delle vendite dopo l’applicazione dell’imposta sarà, invece, pari al valore delle vendite
prima dell’applicazione dell’imposta meno il gettito d’imposta (percentuale legata all’aliquota che
stiamo applicando).

N ven ven ven N ven ven


p ×q =p × q −(t i × p × q )→ p × q =(1−t i)× p ×q

N ven ven
Essendo p ×q =(1−t i) × p ×q , la relazione tra il prezzo di mercato e il prezzo netto (cioè
quello che rimane al venditore), ottenuta dividendo entrambi i membri dell’equazione per q ven, sarà
data dalla differenza tra 1 e l’aliquota tax inclusive per il prezzo pagato dal consumatore.

N ven ven
N
p ×q
ven
( 1−t i ) × p × q ven N
p ×q =(1−t i )× p × q → ven
= ven
→ p =(1−t i) × p
q q

L’imposta per unità di produzione venduta (τ ) è, invece, data dal rapporto tra il gettito d’imposta
(T) e la quantità venduta del bene (q ven). Dalle semplificazioni ricaviamo che l’imposta per unità di
produzione venduta non è altro che il prodotto tra l’aliquota dell’imposta tax inclusive e il prezzo di
mercato pagato dai consumatori.
23
ven
T t i × p ×q
τ = ven = =t i × p
q q ven

Imposta tax inclusive (t i) vs imposta tax exclusive (t e)

A parità di gettito d’imposta (lo Stato quindi può ottenere lo stesso gettito sia se applica una
aliquota di imposta tax inclusive sia se applica una aliquota di imposta tax exclusive), la relazione
tra aliquota dell’imposta tax inclusive (t i) e quella dell’imposta tax exclusive (t e) è data da:
te
t i=
1+ t e

Dall’espressione precedente possiamo ricavare, invece, l’aliquota dell’imposta tax exclusive dato il
valore dell’aliquota dell’imposta tax inclusive.

te ti
t i= → ( 1+ t e ) ×t i=t e → t i +t e t i=t e →t e −t e t i=t i → t e ( 1−t i )=t i → t e =
1+ t e 1−t i

Possiamo utilizzare una imposta tax exclusive o una imposta tax inclusive ottenendo la stessa
quantità di gettito (ovvero la stessa quantità di entrate). Per poterlo faro, però, è necessario che
l’imposta tax exclusive presenti un’aliquota maggiore, rispetto all’aliquota dell’imposta tax
inclusive, perché la base imponibile alla quale viene applicata è minore
Dimostrazione attraverso un esercizio.

Data una base imponibile senza imposta pari a 100, con un’imposta tax exclusive di aliquota
t e =0,25=25 %. (poichè t e stiamo ragionando come se il venditore calcolasse l’imposta come una
percentuale del prezzo senza l’imposta.)

N ven
Il valore delle vendite prima dell’applicazione dell’imposta è pari a: p ×q =100

Il gettito dell’imposta sarà pari al prodotto tra l’aliquota dell’imposta tax exclusive e il valore delle
N ven
vendite prima dell’applicazione dell’imposta. T =t e × p ×q =0,25 ×100=25

Il valore delle vendite dopo l’applicazione dell’imposta si ottiene sommando l’imposta alla base
imponibile, ovvero:
p ×q ven = pN × q ven +t e × p N ×q ven =100+(0,25 ×100)=125

24
te
A parità di gettito, vale la relazione t i= , per cui disponendo del valore dell’aliquota
1+ t e
dell’imposta tax exclusive possiamo calcolare l’aliquota dell’imposta tax inclusive, che dovrà
essere:

te 0,25
t i= = =0,20=20 %
1+ t e 1+0,25

Quindi se e volessimo avere la stessa quantità di entrate (cioè la parità di gettito) e volessimo
applicare un’imposta tax inclusive allora l’aliquota che dovremmo imporre dovrà essere pari al
20%. Ciò ci garantirebbe la stessa quantità di entrate nel caso in cui utilizzassimo una imposta tax
exclusive con una aliquota del 25%. Infatti il gettito d’imposta calcolato nel caso di imposta tax
inclusive con aliquota pari al20% sarà pari a:

T =t i × p × q ven=0,20× 125=25

Possiamo osservare, quindi, che applicando un’imposta tax inclusive con un’aliquota t i=20 %
riusciamo ad ottenere lo stesso gettito ottenuto in precedenza utilizzando, invece, un’aliquota
t e =25 % nel caso di imposta tax exclusive.
A parità di gettito (cioè a parità di entrate), un’imposta tax exclusive presenta un’aliquota maggiore,
rispetto all’aliquota di un’imposta tax inclusive (t e =0,25>t i=0,20 ) perché la base imponibile alla
quale viene applicata è minore (base imponibile t e=100<base imponibile t i=125 ).

N ven
T =t e × p ×q =0,25 ×100=25=Gettito d ' imposta

T =t i × p × q ven=0,20× 125=25=Gettito d ' imposta


imposte sui prodotti: imposte specifiche

Nel caso di imposte specifiche l’importo dell’imposta è fissato dalla legge tributaria per unità
fisica di prodotto u.
La funzione di imposta risulta essere:

ven
T =u ×q

Il gettito d’imposta è pari al prodotto tra l’importo dell’imposta fissata dalla legge per unità di
prodotto per la quantità venduta.
La relazione tra il prezzo lordo e il prezzo netto risulta essere pari a:

25
N
p= p +u

Il prezzo di mercato (pagato, quindi, dal consumatore) è a pari alla somma del prezzo che rientra
al venditore più una somma fissa, che è il valore dell’imposta fissato dalla legge.
L’imposta per unità di produzione venduta coincide con u, ovvero:

ven
T u×q
τ= ven
= ven =u → τ=u
q q

Imposte sui prodotti: imposte generali e speciali

1. Imposte generali sono quelle che gravano in modo uniforme su tutto il sistema economico e
comprendono a loro volta:
- Imposte generali sugli scambi monofase: imposte generali ad valorem che lavorano
su un singolo stadio del processo di produzione e distribuzione;
- Imposte generali sugli scambi plurifase: imposte generali ad valorem che si
applicano, invece, all’intero processo di produzione e distribuzione.
2. Imposte speciali: colpiscono, invece, solo alcuni prodotti o settori. Rientrano nelle imposte
speciali le accise, cioè imposte speciali su oli minerali, bevande alcoliche e tabacchi.

IMPOSTE SUI REDDITI

Nel corso del tempo, il modo in cui è stata organizzata l’imposta sul reddito è cambiato. In
particolare, durante il 19esimo secolo l’imposta sui redditi si sviluppava come se fosse un insieme
di imposte separate.
Supponiamo l’esistenza di tre imposte relative a tre ≠ tipi di reddito:

- Un’ imposta proporzionale sui redditi d’impresa. Nel caso di redditi d’impresa, il gettito
dell’imposta è pari al prodotto dell’aliquota dell’imposta per il reddito d’impresa (per esempio,
gli utili di competenza)

26
T u=t u × U

- Un’imposta proporzionale sui redditi da lavoro. Nel caso di redditi da lavoro, il gettito
dell’imposta è pari al prodotto dell’aliquota dell’imposta per il salario.

T w =t w × W

- Un’imposta proporzionale sui redditi da capitale. Nel caso dei redditi da capitale, il gettito
dell’imposta è pari al prodotto dell’aliquota dell’imposta per il reddito da capitale.

T S=t S ×∫ ¿

Assumiamo per semplicità che l’aliquota delle tre imposte sia la stessa, ovvero:

t=t u=t w =t S

In questo caso, quindi, il gettito complessivo dell’imposta sul reddito come la moltiplicazione
dell’aliquota per la somma dei tre redditi (reddito d’impresa, reddito da lavoro e reddito da capitale).

T =t × ¿

In passato si sviluppava una imposizione su ciascun singolo tipo di reddito.

In Italia, prima della riforma tributaria avvenuta negli anni ‘70, vigeva un sistema di prelievo sul
reddito che lavorava su diverse categorie di reddito (reddito dei terreni, reddito dei fabbricati e
reddito di ricchezza mobile).

Di conseguenza, c’era un’imposta diversa per ogni tipologia di reddito, ovvero:


- Imposta sul reddito dei terreni;
- Imposta sul reddito dei fabbricati;
- Imposta sui redditi di ricchezza mobile.

Successivamente, questo metodo venne sostituito da un’unica forma di imposta sul reddito
complessivo. Ciò ha permesso il raggiungimento di una serie di risultati importanti:
1. Passaggio dall’imposizione reale all’imposizione personale (Il passaggio ad
un’unica imposta sul reddito complessiva ha permesso il passaggio dall’imposizione
27
reale all’imposizione personale. Le imposte reali colpiscono solamente i singoli tipi di
reddito, senza ricostruire l’unità della persona che li possiede. Le imposte reali
ignorano, quindi, la presenza di altri redditi e colpiscono singolarmente un determinato
tipo di reddito. Inoltre, le imposte reali sono insensibili ad alcune circostanze ≠ dal
reddito, che possono concorrere a determinare la capacità contributiva del soggetto (si
pensi ad esempio al numero di figli di una famiglia, allo stato di salute dei soggetti della
famiglia, etc..). Le imposte personali prendono, invece, in considerazione la
condizione economica complessiva del soggetto (per questo motivo si ragiona su un
sistema di imposta sul reddito complessivo). Queste imposte presentano le seguenti
caratteristiche:
- Riguardano la persona e la sua situazione economica complessiva.
- Colpisce il reddito complessivo come somma dei singoli tipi di reddito
- Considera anche altre circostanze che concorrono a determinare la capacità
contributiva del soggetto e che sono ≠ dal reddito (per esempio, il carico di famiglia
e lo stato di salute). Si immagini, quindi, la possibilità che un maggiore numero di
figli a carico di un soggetto o un cattivo stato di salute possa portare a maggiori
spese di mantenimento o spese sanitarie. Questo concetto ha visto un’applicazione
in tempi recenti, quando si utilizza il sistema delle deduzioni dall’imponibile o delle
detrazioni dall’imposta in base alle caratteristiche familiari, per poter settare meglio
il proprio carico tributario, e ciò si fa in base al numero di figli e tenendo conto delle
spese sanitarie del soggetto)

2. Fuoriuscita da un sistema di tassazione dei redditi nell’ambito del valore


aggiunto (Il secondo elemento di novità che ha comportato è stata la fuoriuscita da un
sistema di tassazione dei redditi nell’ambito del valore aggiunto. In altre parole, ora si
ragiona in termini di reddito d’entrata e non di reddito prodotto. Non si parla più di
reddito prodotto, cioè come reddito inteso come componente del valore aggiunto, ma
come reddito di entrata, che comprende ogni forma di accrescimento della ricchezza)

3. Possibilità di attribuire un carattere progressivo al carico tributario (In realtà, le


imposte reali potevano avere un carattere progressivo ma non dovevano averlo, poiché
nel caso di un sistema con imposte reali progressivo l’incidenza fiscale andrebbe a
dipende anche dalla composizione del reddito, oltre che dal livello di reddito. Ciò
comporterebbe inevitabilmente a delle distorsioni. Ne deriva, quindi, che nonostante sia
tecnicamente possibile, se le imposte reali avessero un carattere progressivo allora si
andrebbe a danneggiare un soggetto che deriva il proprio reddito da una sola fonte.
Supponiamo, per esempio, che un individuo percepisca il proprio reddito da un’unica
fonte, ad esempio dal lavoro, mentre un altro individuo percepisca il reddito da due fonti
28
(lavoro e fabbricati). In questo caso applicare un sistema progressivo alle imposte reali
(quindi sui singoli redditi), penalizzerebbe il soggetto che deriva il proprio reddito da una
sola fonte (per esempio, dalla fonte lavoro). Questo concetto verrà ripreso in seguito
con un esercizio. Le imposte personali, invece, sono state costruite affinché possano
essere gestite tramite un carico tributario di carattere progressivo. In Italia, questo tipo
di imposizione sul reddito entrò in vigore solamente a partire dal 1974 in seguito alla
riforma tributaria agli inizi degli anni ‘70, che è quella dell’imposta sul reddito delle
persone fisiche (IRPEF). Assistiamo quindi ad un passaggio da una distribuzione
proporzionale ad una progressiva.

Imposte sulle società

Oltre all’imposta personale sul reddito, si affianca anche un’imposta sulle società di capitale. Nel
tempo del tempo, in letteratura c’è stato un dibattito sulla presenza di questo tipo di imposta. Alcuni
sono contrari alla presenza di questa tipologia di imposta, mentre altri ne sono a favore.
- CONTRO: Coloro che sono contrari a questo tipo di impostasi ritengono che se ci si ispira al
principio della capacità contributiva del soggetto allora l’introduzione dell’imposta sulle
società di capitale allora:
- Si sottrae alla distruzione progressiva del carico tributario (basato sull’imposta
personale del reddito) un’importante componente del reddito prodotto;
- Di conseguenza sarebbe, quindi, meglio creare un’imposta personale e progressiva
sull’intero reddito degli individui all’interno del quale ci sono anche gli utili della
società.
- PRO: Coloro che, invece, sono favorevoli a questa imposizione (cioè di mantenere separate
l’imposta personale sul reddito dall’l’imposta sulle società di capitale), sostengono che le
società di capitale sono soggetti dotati di propria autonoma capacità contributiva (che non
riconducibile al potere economico dei singoli soci). Di conseguenza, sarebbe corretto
mantenere una separata imposta sulle società di capitali.
- In Italia, a partire dagli anni ‘70, l’IRPEF (Imposta personale sul reddito)è stata affiancata
dall’IRPEG (una forma di imposta sulle società di capitali) e a partire dal 2004 l’IRPEG è
stata conservata e trasformata in IRES.

Imposte sul patrimonio


Colpiscono il valore dei fondi (consistenze di attività reali e finanziarie), al netto delle passività,
possedute da famiglie e imprese.
In italia non esiste una vera e propria imposta patrimoniale che vada a colpire il valore del
patrimonio netto delle famiglie e imprese.

29
Esiste un’imposta patrimoniale speciale: un tributo di natura reale che si applica al valore degli
immobili (di pertinenza dei comuni) come ad esempio imposta comunale degli immobili (ICI),
imposta municipale propria (IMU)

Imposte reali, imposte personali e progressività

Supponiamo di considerare un prelievo di tipo reale (stiamo quindi considerando delle imposte
reali che colpiscono soltanto i singoli tipi di reddito) che tassi separatamente ogni categoria di
reddito (ad esempio, un reddito proveniente da fabbricati, un reddito proveniente da terreni, un
reddito da lavoro e un reddito da capitale) secondo la seguente struttura progressiva:
da 0 fino a 500010 %
oltre 5000 e fino a 1000020 %

Prendendo il reddito del soggetto stiamo dividendo la struttura dell’imposta a scaglioni, cioè il
reddito del soggetto che va da 0 fino a 5000 subirà l’aliquota del 10%, mentre il reddito del
soggetto che va oltre 5000 e fino a 10000 subirà un’aliquota del 20% e così via. L’idea sottostante
è che ≠ scaglioni del reddito vengano legati a ≠ tipi di aliquote. Se, per esempio, possiamo un
reddito pari a €10.000 allora, in base alla struttura progressiva sopra riportata, i primi €5.000 del
nostro reddito saranno tassati al 10%, mentre i restanti €5.000 di reddito saranno tassi al 20%.
Consideriamo due individui (A e B) con lo stesso reddito pari a €10.000. In teoria, in base al
principio dell’equità orizzontale questi due individui dovrebbero subire lo stesso carico tributario
(cioè dovrebbero pagare la stessa imposta), poiché sono nella medesima situazione economica.
Ipotizziamo di applicare delle imposte reali, cioè di andare ad incidere sui singoli livelli di
reddito. In particolare, A ha un reddito esclusivamente da fabbricati (€10.000) e B ha un reddito
equamente diviso da fabbricati (€5.000) e da capitale (€5.000).
Determiniamo le imposte rispettivamente pagate dai soggetti A e B. Il soggetto A ha €10.000
di reddito che provengono tutti da reddito da fabbricati, per cui in base alla struttura delle imposte, i
primi €5.000 saranno tassati al 10% e i secondi €5.000, invece, saranno tassi al 20%. Il debito di
imposta del soggetto A sarà, quindi, pari a:

(5000 ×0,10)+( 5000× 0,20)=500+1000=1500 diimposta=Debito d ' imposta del soggetto A

Il soggetto B, invece, ha €10.000 di reddito che provengono in parte dai fabbricati (€5.000) e in
parte dal capitale (€5.000). Poiché le imposte reali colpiscono i singoli tipi di reddito, per cui
andremo ad applicare la funzione di imposta separatamente prima al reddito che proviene dai
fabbricati e poi al reddito che proviene, invece, dal capitale. Applicando la funzione di imposta al

30
reddito che proviene dai fabbricati, otteniamo che i €5.000 di reddito da fabbricati vengono tutti
tassati al 10%, per cui il debito d’imposta ammonterà per questa parte di reddito a 500.

(5000 ×0,10)=500 di imposta=Debito d ' imposta del soggetto B per il 1° reddito

Applicando la funzione di imposta al reddito che proviene dal capitale, otteniamo che i €5.000 di
reddito da capitale vengono anch’essi tassati al 10%, per cui il debito d’imposta ammonterà per
questa parte di reddito a 500.

(5000 ×0,10)=500 di imposta=Debito d ' imposta del soggetto B per il 2° reddito

Il totale del debito d’imposta del soggetto B sarà, quindi, pari a 500+500=1000.
Possiamo, quindi, osservare che il soggetto che deriva il proprio reddito soltanto da una
fonte di reddito (soggetto A) dovrò pagare un debito d’imposta maggiore rispetto al soggetto che
deriva il proprio reddito da più di una fonte (soggetto B), a fronte del fatto che invece in base al
principio dell’equità orizzontale individui che dispongono dello stesso livello di reddito dovrebbero
pagare invece la stessa imposta. In generale, quindi, un sistema di imposte reali progressive
penalizzerà i soggetti che derivano il proprio reddito da una sola fonte.
Con un’imposta personale, invece, si può tener conto della posizione reddituale complessiva
del soggetto. Quindi, indipendentemente dalla provenienza del reddito (che sia da fabbricati o dal
capitale) il reddito dei due individui è pari a €10.000. Ciò significa che, in base alla funzione di
imposta che abbiamo, i primi €5000 verranno tassati al 10% e i secondi €5000, invece, al 20%.
Per cui, entrambi gli individui (A e B) pagheranno 1500 di imposta.

(5000 ×0,10)+( 5000× 0,10)=500+1000=1500 diimposta

Questo esempio mostra come l’applicazione dell’imposizione personale, in questo caso, può
essere resa progressiva in modo così da non penalizzare quei soggetti che derivano il proprio
reddito soltanto da una fonte (come il soggetto A).

Lezione 3: CENNI AI CRITERI INTERNAZIONALI DI TASSAZIONE

Le imposte in un’economia aperta

In economia chiusa il valore aggiunto aggregato dell’economia (PIL) è pari alla somma dei
consumi delle famiglie (C), degli investimenti fissi al lordo degli ammortamenti (I) e della variazione
delle scorte (VS).

31
PIL=C + I +VS

Con il passaggio da un’economia chiusa a un’economia aperta dobbiamo tenere conto delle
importazioni (M) e delle esportazioni (E). Rimuovendo l’ipotesi di economia chiusa, abbiamo che il
valore aggregato dell’economia (PIL) addizionato alle importazioni (M) è uguale alla somma dei
consumi delle famiglie (C), degli investimenti fissi al lordo degli ammortamenti (I), della variazione
delle scorte (VS) e delle esportazioni (E).

M + PIL=C+ I +VS+ E

Il reddito nazionale (RN) all’interno di un’economia aperta è la somma dei redditi percepito dai
residenti, sia nel proprio paese che all’estero:

RN =U +W +∫ + R ne

- U =¿Utili dell’impresa al netto degli ammortamenti


- W =¿Redditi da lavoro
- ∫ ¿ Redditi da capitale
- Rne =¿ Redditi netti dall’estero (che sono pari alla differenza tra i redditi prodotti all’esterno dai
residenti, R ℜ, meno i redditi prodotti all’interno dai non residenti, Rnri → Rne =Rℜ−R nri). Un
soggetto residente in un certo territorio può produrre dei redditi in quel territorio, oppure
eventualmente in altri territori. Così come è possibile che un soggetto che non è residente in un
altro territorio possa produrre dei redditi in un altro territorio.

In un’economia aperta esistono due problemi da considerare:


1. La scelta del criterio di tassazione delle merci (M,E). Coordinare i tributi dal paese
esportatore (origine delle merci) a quello importatore (destinazione delle merci.
2. La scelta del criterio di tassazione dei redditi prodotti all’estero ( Rne , Rnri ). Coordinare i
tributi tra il paese di residenza del possessore dei diritti e quello del paese dove i redditi
vengono prodotti (paese della fonte).

I principi del commercio internazionale

Considerando il primo problema, cioè la scelta del criterio di tassazione delle merci, esistono due
principi contrapposti nell’ambito della tassazione del commercio internazionale:

32
1. Il principio di destinazione (PD): le merci oggetto di scambio internazionale sono tassate dal
paese importatore mentre il paese esportatore non impone alcun prelievo fiscale. In genere, il
principio di destinazione è quello maggiormente utilizzato e viene applicato sotto due
condizioni:
- Alle esportazioni non vengono concessi rimborsi superiori all’ammontare delle imposte che
gravano sugli stessi beni quando vengono destinati al mercato nazionale;
- Le importazioni siano tassate ad aliquote non superiori a quelle applicate su beni eguali di
produzione interna.
In genere quindi, questo principio si applica a livello mondiale e poi esistono una serie di
aggiustamenti fiscali all’interno dei confini dei singoli stati per applicare concertatamente il
Principio di destinazione.

2. Il principio dell’origine (PO): al contrario del principio di destinazione, le merci oggetto di


scambio internazionale sono tassate dal paese esportatore e il paese importatore non applica
alcun carico tributario fiscale e, quindi, nessun carico tributario.

I principi internazionali di tassazione dei redditi

Considerando il secondo problema, cioè la scelta del criterio di tassazione dei redditi prodotti
all’estero, nella tassazione dei redditi si contrappongono due principi:

1. Il principio della residenza (PR): i redditi vengono tassati dallo stato di residenza del
percettore del reddito, siano essi prodotti nel proprio territorio o all’estero. Ciò implica che se
un soggetto è residente nel territorio A allora il territorio A tasserà i redditi che il soggetto può
produrre indipendentemente dal fatto che lo abbia fatto nel territorio A oppure in un altro
territorio, semplicemente per il fatto che l’individuo è residente nel territorio A.
2. Il principio della fonte (PF): Il principio della fonte comporta, invece, che i redditi vengano
tassati dallo stato nel cui territorio in cui sono stati prodotti, indipendentemente dal fatto che
questi siano di pertinenza di un soggetto che è residente o meno in quello stato. Di
conseguenza, lo stato A applica la propria tassazione ai redditi che sono prodotti sul territorio
dello stato A, indipendentemente dal fatto che a produrli possano essere soggetti residenti o
meno in quello stato.

In generale, non esiste alcun accordo mondiale quindi gli stati tendono a cercare di far valere la
propria sovranità fiscale, applicando ai residenti il principio della residenza e ai non residenti il
principio della fonte. Questo comporta una distorsione nell’applicazione della tassazione.

33
Consideriamo un esempio. Individuiamo due soggetti (a e b) residenti rispettivamente negli stati A
e B. Il soggetto a è residente nello stato A, mentre il soggetto b è residente nello stato B. Ciò ci
permette di individuare i redditi che entrambi i soggetti possono produrre in entrambi gli stati, cioè
sia nello stato A che nello stato B.
- Y aA indica il reddito che il soggetto a produce nello stato A
- Y aB indica il reddito che il soggetto a produce nello stato B
b
- Y A indica il reddito che il soggetto b produce nello stato A
b
- Y B indica il reddito che il soggetto b produce nello stato B

a a b b
I valori di Y A , Y B , Y A e Y B ci permettono di definire il reddito prodotto da un soggetto nel proprio
stato di residenza o in un altro stato.
Calcoliamo la base imponibile applicando i due ≠ principi (o il principio della residenza o il principio
della fonte). Se applichiamo il principio della residenza allora i redditi vengono tassati dallo stato
di residenza di chi percepisce i redditi, indipendentemente dal fatto che siano o meno stati prodotti
nel proprio territorio di residenza. La base imponibile dello stato A è uguale alla somma del reddito
a a
prodotto dal soggetto a nello stato A (Y A ) più il reddito prodotto dal soggetto a nello stato B ( Y B ).
Lo stato A, applicando il principio della residenza, tassa tutto ciò che è prodotto dal soggetto a che
è residente nello stato A, indipendentemente da dove viene prodotto. Allo stesso modo, la base
imponibile dello stato B sarà pari alla somma del reddito prodotto dal soggetto b nello stato A più il
reddito prodotto dal soggetto b nello stato B. Lo stato B, applicando il principio della residenza,
tassa tutto ciò che è prodotto dal soggetto b che è residente nello stato B, indipendentemente da
dove viene prodotto. Nella tabella, quindi, per calcolare la base imponibile si sommano le righe. La
base imponibile degli stati A e B secondo il principio della residenza sono pari a:
PR a a
Imp A =Y A +Y B
PR b b
ImpB =Y A +Y B
Se, invece, applichiamo il principio della fonte, allora i redditi vengono tassati dallo stato sul cui
territorio i redditi vengono prodotti, indipendentemente dal fatto che i redditi vengano prodotti da un
soggetto che è o meno residente in quel territorio. La base imponibile dello stato A, secondo il
a
principio della fonte, è pari alla somma del reddito prodotto dal soggetto a nello stato A ( Y A ) e del
b
reddito prodotto dal soggetto b nello stato A (Y A ). Analogamente, la base imponibile dello stato B,
secondo il principio della fonte, è pari alla somma del reddito prodotto dal soggetto a nello stato B (
a b
Y B ) più il reddito prodotto dal soggetto b nello stato B (Y B ). In sintesi, la base imponibile dello stato
B è composta da tutto ciò che viene prodotto sullo stato B, ovvero da ciò che il soggetto a, che non
è residente in quello stato, produce sullo stato B e da ciò che il soggetto b, che è residente in
quello stato, produce sullo stato di residenza B. nella tabella, quindi, per calcolare la base

34
imponibile dei due stati si sommano le colonne. Lo stato A, quindi, tassa tutto il prodotto
indipendentemente che sia stato prodotto da residenti o meno. La base imponibile degli stati A e B
secondo il principio della residenza sono pari a:

Imp PF a b
A =Y A + Y A

PF a b
ImpB =Y B +Y B

La doppia tassazione sui redditi prodotti all’estero

Dal momento che non esiste un accordo a livello mondiale su questa questione, gli stati cercano di
far valere la propria sovranità, il che significa che tendono ad applicare ai proprio residenti il
principio della residenza, mentre ai non residenti il principio della fonte. Questo però comporta una
doppia tassazione. Guardiamo la base imponibile dello stato A. Lo stato A applica il principio
della residenza per i residenti e il principio della fonte per i non residenti. In base al principio di
residenza, applicato ai residenti, lo stato A tassa tutto ciò che il soggetto a (che risiede nello stato
A) ha prodotto nello stato A e tutto ciò che il soggetto a ha prodotto nello stato B. Analogamente, in
base al principio della residenza lo stato B tassa tutto ciò che il soggetto b (che risiede nello stato
B) ha prodotto nello stato B e tutto ciò che il soggetto b ha prodotto nello stato A. Inoltre, proprio
perché gli stati ampliano la propria sovranità fiscale, gli stati applicano il principio della fonte ai non
residenti. Nel caso della base imponibile dello stato A, quindi, si applica oltre al principio di
a a
residenza per coloro che sono residenti nello stato A (Y A +Y B) anche il principio della fonte ai non
b
residenti, cioè a coloro che non risiedono in A (Y A ). Applicare il principio della fonte ai non residenti
significa che si prende ciò che il soggetto b, non residente nello stato A, ha prodotto nello stato A.
Nel caso dello stato B, dopo aver applicato il principio della residenza al soggetto b che risiede
nello stato B, applica il principio della fonte a coloro che non risiedono nello stato B. In questo
caso, quindi, lo stato B prende ciò che il soggetto a (che risiede nello stato A) ha prodotto nello
stato B per il semplice fatto che è prodotto su quel territorio. Il problema è nel momento in cui gli
stati A e B applicano il principio della residenza per i residenti e il principio della fonte per i non
a
residenti, allora ciò comporta inevitabilmente alla doppia tassazione. I termini azzurri ( Y B ) e i
b a b
termini rossi (Y A ) compaiono due volte: i redditi prodotti all’estero (Y B e Y A) vengono, quindi, tassati

35
sia dallo stato A che dallo stato B, comportando così una distorsione nell’allocazione
internazionale delle risorse.
La combinazione del criterio della residenza (per i residenti) e di quello della fonte (per i non
residenti) comporta una doppia tassazione dei redditi prodotti all’estero:

PR+ PF a a b
Imp A =Y A + Y B +Y A

ImpBPR+ PF=Y bB +Y bA +Y aB

I correttivi della doppia tassazione

Analizzeremo di seguito tre modalità attraverso le quali gli stati cercano di risolvere il problema
della doppia tassazione. I correttivi possono essere concessi dai singoli stati ai propri residenti sia
su base unilaterale che bilaterale (attraverso trattati o convenzioni). Questi tre correttivi della
doppia tassazione cercano di risolvere il problema della doppia tassazione in modi ≠. Tra i
correttivi della doppia tassazione rientrano:
1. Esenzione dei redditi prodotti all’estero I redditi prodotti all’estero dai residenti non entrano
a comporre il reddito complessivo che viene poi assoggettato all’imposta. Chiamiamo Y C il
reddito complessivo dello stato, il quale sarà composto dal reddito prodotto nello stato di
residenza (Y r ) e dal reddito prodotto all’estero dai residenti (Y e ).

Y C =Y r +Y e

Con il sistema dell’esenzione la base imponibile viene ripartita, cioè il paese di residenza tassa
Y r , mentre i paesi esteri tassano Y e )

2. Credito d’imposta sui redditi prodotti all’estero Una seconda modalità di intervento per
correggere il problema della doppia tassazione è rappresentata dal credito d’imposta sui redditi
prodotti all’estero. Il paese di residenza consente al titolare di un reddito prodotto all’estero di
detrarre dall’imposta dovuta su quello che è il proprio reddito complessivo quanto è stato
pagato allo stato dalla fonte. In genere si stabilisce un limite massimo al credito d’imposta, che
è pari all’imposta che nello stato di residenza grava sul reddito prodotto all’estero. Se l’imposta
pagata allo stato estero non supera quella del paese di residenza, l’imposta che grava in
definitiva sul reddito estero è quella di residenza (anche se affluisce allo stato estero). Se,
invece, l’imposta pagata all’estero è superiore a quella del paese di residenza, sul reddito
prodotto all’estero allora grava l’imposta della fonte. In che modo avviene l’applicazione del
credito d’imposta sui redditi prodotti all’estero? Il beneficio maggiore di questo tipo di soluzione
36
lo vediamo quando ci troviamo di fronte ad una imposizione di carattere progressivo. Se
l’imposta è progressiva la convenzione è quella di imputare al reddito estero una quota
dell’imposta pari al rapporto tra il reddito prodotto all’estero ( Y e ) e il reddito complessivo (Y C ).
Come si fa a calcolare il massimo del credito d’imposta? L’imposta totale dovuta nel paese di
residenza (T r) viene ripartita tra reddito prodotto nello stato di residenza e reddito prodotto
all’estero nella proporzione in cui questi partecipano alla formazione del reddito complessivo.
Per poter calcolare il credito d’imposta è necessario dapprima calcolare il limite massimo del
credito d’imposta. La parte di imposta che verrà imputata al reddito prodotto all’estero
rappresenta il limite massimo al credito d’imposta, che sarà pari al rapporto tra il reddito
prodotto all’estero (Y e ) e il reddito complessivo (Y C ), il tutto moltiplicato per l’imposta totale
dovuta nel paese di residenza (T r).

ℜ Ye
Max CI =T r ×( )
YC
Una volta che conosciamo il limite massimo di credito d’imposta possiamo calcolare il credito
d’imposta. Chiamiamo T e l’imposta dovuta definitivamente pagata all’estero, per cui il credito
d’imposta sarà pari a:
CI ℜ=T e se T e ≤ maxCI ℜ → 1 ° caso

Nel caso in cui l’imposta pagata all’estero sia minore o uguale al livello massimo di credito
d’imposta, quindi, il credito d’imposta sarà uguale all’imposta che viene pagata all’estero. In questo
caso, i redditi pagati all’estero non scontano un’imposta maggiore di quella che avrebbero
sopportato nel paese di residenza.
Quando, invece, l’imposta che viene pagata all’estero è maggiore del livello massimo di credito
d’imposta, in questo caso il credito d’imposta è pari al rapporto tra il reddito prodotto all’estero ( Y e )
e il reddito complessivo (Y C ), il tutto moltiplicato per l’imposta totale dovuta nel paese di residenza
(T r).

Ye
CI ℜ=T r ×( )se T e >max CI ℜ → 2° caso
YC

In questo caso, i redditi prodotti all’estero scontano, nonostante il credito, un’imposta maggiore a
quella che avrebbero invece sopportato nel paese di residenza.
Una volta noti il valore massimo del credito d’imposta e il valore del credito d’imposta si calcola
l’imposta applicando il correttivo dato dal credito d’imposta.

37
3. Deducibilità delle imposte pagate all’estero In questo caso, il reddito complessivo su cui si
va ad applicare il carico tributario sarà pari al reddito prodotto nello stato residente più il reddito
prodotto in uno stato estero meno l’imposta totale pagata allo stato estero ( T e). in questo caso,
quindi, si deduce l’imposta totale pagata allo stato estero (T e).

Y C =Y r +Y e −T e

La deducibilità delle imposte pagate all’estero rappresenta però la forma di correttivo più
debole.
Vediamo, attraverso l’esercizio 4.1, come vengono applicati i tre correttivi della doppia tassazione
e in che modo correggono il problema della doppia tassazione (se parzialmente o totalmente). Si
considerino due paesi, A e B, che tassano i residenti sul reddito mondiale e i non residenti sul
reddito prodotto nel proprio territorio. I paesi, quindi, applicano il principio della residenza per i
residenti e il principio della fonte per i non residenti. In un determinato periodo d’imposta un
contribuente, che è residente nel paese A, ha percepito un reddito complessivo di 5000, di cui:
- Y A =3000 → Reddito prodotto dal soggetto nel proprio paese A
- Y B =2000 → Reddito prodotto dal soggetto in un altro paese B ≠ dal proprio paese di
residenza A

Nell’ordinamento del paese A è previsto il CREDITO D’IMPOSTA SUI REDDITI PRODOTTI


ALL’ESTERO. Per poter applicare il correttivo al problema della doppia tassazione è necessario
fare

IPOTESI 1: i due paesi A e B hanno uno schema sul reddito d’imposta ≠. Nel paese A l’imposta
sul reddito è progressiva per scaglioni con la struttura riportata nello schema seguente:
Fino a 1000 10 %
Oltre 1000 fino a3000 20 %
oltre 3000 30 %

In questo caso, si applicano quindi aliquote ≠ a scaglioni ≠ di reddito e il reddito fa da base


imponibile (B). La funzione di imposta è così organizzata: per redditi fino a 1000 si applica una
aliquota del 10%, per livelli di reddito compresi tra 1000 e 3000 si applica invece una aliquota del
20% e per livelli di reddito superiori a 300 si applica una aliquota del 30%. In riferimento
all’esercizio che stiamo considerando, i primi €1000 del reddito saranno tassati al 10%, mentre i €
1000< Livelli di reddito≤ € 3000 saranno tassati al 20% e i Livelli di reddito> € 3000 saranno
tassati al 30%.

38
Nel paese B, invece, l’imposta sul reddito è proporzionale con aliquota del 20%. Calcolare il credito
di imposta sui redditi prodotti all’estero riconosciuto al contribuente del paese A (cioè al soggetto
residente nel paese A) e la sovraimposta complessiva.

Calcoliamo l’imposta nei paesi A e B considerando che i paesi tassano i propri residenti sul reddito
mondiale e i non residenti per il reddito prodotto sul proprio territorio. Il fatto che lo Stato applichi il
principio di residenza per i residenti e il principio della fonte per i non residenti significa che andrà a
tassare il reddito che il soggetto produce sul proprio territorio ( Y A =3000) ma che andrà anche a
tassare il reddito che il soggetto ha prodotto in un altro territorio (Y B =2000 ) proprio perché
secondo il principio della residenza i redditi vengono tassati dallo stato di residenza del percettore,
indipendente dal fatto che tali redditi siano prodotti o meno su quel territorio ma in riferimento al
fatto che vengono prodotti da qualcuno che è residente in quel territorio. Applichiamo la funzione di
imposta al reddito complessivo di €5000 e otteniamo che i primi €1000 sono tassati ad una
aliquota del 10%, i successivi 3000−1000=€ 2000 sono tassati al 20% e gli ultimi

5000−3000=2000sono, invece, tassati al 30%. L’imposta nel paese A ammonta, quindi, a €1100.
Il reddito che, invece, viene prodotto nel paese B (cioè Y B =2000) viene tassato con aliquota
costante del 20%. Ciascun paese estero applica il principio della fonte per i non residenti, cioè il
reddito viene tassato dallo stato sul territorio in cui viene prodotto indipendentemente dal fatto che
sia stato prodotto o meno da un residente. In questo caso, quindi lo il paese B tassa il reddito di
€2000 prodotto da un soggetto in quel territorio, indipendentemente dal fatto che quel soggetto sia
o meno residente in quel territorio. L’imposta che verrà corrisposta al paese B sarà pari al reddito
prodotto dal soggetto nel paese B per l’aliquota applicata con questa imposta proporzionale.

T A=(1000 ×0,10)+(2000 × 0,20)+(2000 ×0,30)=€ 1100=Imposta nel paese A

T B=(2000 ×0,20)=€ 400=Imposta nel paese B

Il reddito complessivo è pari alla somma del reddito che viene prodotto nel paese A più il reddito
prodotto nel paese B, ovvero:
Y C =Y A +Y B =3000+2000=5000

Calcoliamo il limite massimo al credito di imposta sostituendo i valori di Y B =2000 , Y C =5000 e


T A=1100 .
YB 2000
Max CI ℜ=T A ×( )=1100 ×( )=440
YC 5000

39
Inoltre, sappiamo che il credito d’imposta assume formulazioni ≠ a seconda che l’imposta pagata
allo stato B sia maggiore o minore uguale rispetto al limite massimo di credito d’imposta.

{

T B se T B ≤ max CI

CI = Y
T A ×( B )se T B > max CI ℜ
YC

ℜ ℜ
Nel nostro caso T B (400)≤ max CI (440), per cui CI =T B=400. In questo caso, quindi, poiché
l’imposta pagata al paese estero B è minore del limite massimo del credito d’imposta, allora il
credito di imposta è uguale al valore dell’imposta pagata nel paese B.
A questo punto, conoscendo i valori del credito d’imposta e il suo limite massimo, possiamo
calcolare l’imposta totale pagata dal contribuente che è residente nel paese A. L’imposta
complessiva sarà, quindi, pari all’imposta pagata al paese A più l’imposta pagata al paese B meno
il credito d’imposta.


T C =T A−CI +T B=1100−400+ 400=1100
IPOTESI 2
Supponiamo che cambi la funzione di imposta del paese A, ovvero che nel paese A l’imposta sul
reddito sia proporzionale con aliquota del 15%, mentre nel paese B l’imposta sul reddito sia
anch’essa proporzionale ma con un’aliquota del 20%. Calcolare il credito di imposta sui redditi
prodotti all’estero riconosciuto al contribuente del paese A.
Calcoliamo l’imposta nei paesi A e B considerando che i paesi tassano i propri residenti sul
reddito mondiale e i non residenti per il reddito prodotto sul proprio territorio. L’imposta che il
soggetto dovrà subire nel paese A sarà pari al reddito complessivo tassato con un’aliquota del
15%, mentre l’imposta che il soggetto dovrà subire nel paese B sarà pari alla al reddito prodotto
nel paese B tassato con una aliquota del 20%.

T A= (5000 × 0,15 )=750


T B=(2000 ×0,20)=400

Date queste informazioni possiamo calcolare il limite massimo al credito di imposta, che sarà
ottenuto sostituendo T A=750 , Y A =3000 e Y B=2000 .

ℜ YB 2000
Max CI =T A ×( )=750 ×( )=300
YC 3000

40
Inoltre, sappiamo che il credito d’imposta assume formulazioni ≠ a seconda che l’imposta pagata
allo stato B sia maggiore o minore uguale rispetto al limite massimo di credito d’imposta.

{

T B se T B ≤ max CI

CI = Y
T A ×( B )se T B > max CI ℜ
YC

ℜ ℜ YB
Nel nostro caso T B (400)> max CI (300), per cui CI =T A ×( )=300. In questo caso, quindi,
YC
poiché l’imposta pagata al paese estero B è minore del limite massimo del credito d’imposta, allora
il credito di imposta è uguale al valore dell’imposta pagata nel paese B.
Una volta noti il valore del credito d’imposta e del limite massimo al credito d’imposta
possiamo calcolare il valore dell’imposta totale che sarà pari all’imposta che il soggetto subirà nel
paese A più l’imposta che il soggetto subirà nel paese B meno il valore del credito d’imposta.


T C =T A−CI +T B=750−300+ 400=850

Possiamo fare alcune considerazioni in merito ai due casi analizzati. In quale delle due ipotesi
l’imposta complessivamente è maggiore? Come ha funzionato l’aggiustamento che questo tipo di
correttivo ha cercato di apportare nei due casi? Prima di tutto possiamo osservare che nel 1 ° caso
l’imposta complessiva ammonta a T C =€ 1100, mentre nel 2° caso ammonta a T C =€ 850, per cui
l’imposta complessiva calcolata nel 1° caso è maggiore di quella invece calcolata nel 2 ° caso (
T C =€ 1100>T C =€ 850)

Considerazioni: nel 1° caso il credito di imposta copre interamente l’imposta estera poiché

CI =T B=400. Quindi il risultato è fondamentalmente l’applicazione del principio della residenza.
Nel 2° caso, invece, il credito d’imposta non copre interamente l’imposta estera poiché per

l’importo T B−CI =400−300=100 , l’imposta pagata all’estero rimane a carico del contribuente
(doppia tassazione) nonostante sia stato applicato il correttivo al fine di correggere il problema
della doppia tassazione. In questo caso, l’imposta estera eccede il credito, per cui si
sovrappongono il principio della residenza e il principio della fonte con conseguente (parziale)
doppia tassazione. Nonostante ciò comunque l’imposta complessiva nel 2° caso è minore di quella
del 1° caso.

- Vediamo un esercizio relativo al correttivo ESENZIONE DEI REDDITI PRODOTTI


ALL’ESTERO della doppia tassazione.

41
Nel paese A l’imposta sul reddito è progressiva per scaglioni con la struttura riportata nello schema
seguente:

Fino a 1000 10 %
Oltre 1000 fino a3000 20 %
Oltre 3000 30 %

In questo caso, si applicano quindi aliquote ≠ a scaglioni ≠ di reddito e il reddito fa da base


imponibile (B). La funzione di imposta è così organizzata: per redditi fino a 1000 si applica una
aliquota del 10%, per livelli di reddito compresi tra 1000 e 3000 si applica invece una aliquota del
20% e per livelli di reddito superiori a 300 si applica una aliquota del 30%. In riferimento
all’esercizio che stiamo considerando, i primi €1000 del reddito saranno tassati al 10%, mentre i €
1000< Livelli di reddito≤ € 3000 saranno tassati al 20% e i Livelli di reddito> € 3000 saranno
tassati al 30%.
Nel paese B, invece, l’imposta sul reddito è proporzionale con aliquota del 20%. Calcolare
l’imposta complessiva pagata dal contribuente del paese A nel caso il paese A preveda
l’esenzione dei redditi prodotti all’estero.

Il reddito complessivo è pari alla somma del reddito che viene prodotto nel paese di residenza A
più il reddito prodotto all’estero (cioè nel paese B), ovvero:

Y C =Y A +Y B
L’applicazione del correttivo comporta che i redditi prodotti all’estero dai residenti non entrano a
comporre il reddito complessivo a cui successivamente verrà applicata l’imposta.

Con il sistema dell’esenzione la base imponibile viene ripartita: il paese di residenza (A) tassa Y A ,
mentre i paesi esteri tassano Y B .

Calcoliamo l’imposta nei paesi A e B considerando che i paesi tassano i propri residenti sul reddito
mondiale (reddito prodotto ∈A +reddito prodotto ∈B ) e i non residenti per il reddito prodotto sul
proprio territorio. Nel caso del paese A non dobbiamo più considerare quella parte di reddito
dell’individuo prodotta all’estero, la quale verrà tassata direttamente dal paese estero. Ciò significa
che considereremo solo la parte di reddito prodotta nel paese di residenza A ( Y A =3000 ¿, per cui
l’imposta che l’individuo subirà nel paese di residenza A sarà pari ai primi €1000 tassati con una
aliquota del 10% più i restanti €2000 tassati ad una aliquota del 20%. L’imposta che l’individuo
subirà nel paese estero B sarà esattamente pari a quella calcolata nel caso dell’applicazione del
correttivo di credito d’imposta.
42
T A= (1000 × 0,10 ) +(2000 × 0,20)=500
T B=(2000 ×0,20)=400

L’imposta totale sarà pari alla somma delle due imposte che l’individuo subirà nei due paesi,
ovvero:

T C =T A +T B=500+ 400=900

- Vediamo un esercizio relativo al correttivo DEDUCIBILITA’ DELLE IMPOSTE PAGATE


ALL’ESTERO della doppia tassazione.
Nel paese A l’imposta sul reddito è progressiva per scaglioni con la struttura riportata nello schema
seguente:

Fino a 1000 10 %
Oltre 1000 fino a3000 20 %
Oltre 3000 30 %

In questo caso, si applicano quindi aliquote ≠ a scaglioni ≠ di reddito e il reddito fa da base


imponibile (B). La funzione di imposta è così organizzata: per redditi fino a 1000 si applica una
aliquota del 10%, per livelli di reddito compresi tra 1000 e 3000 si applica invece una aliquota del
20% e per livelli di reddito superiori a 300 si applica una aliquota del 30%. In riferimento
all’esercizio che stiamo considerando, i primi €1000 del reddito saranno tassati al 10%,
mentre i €1000< Livelli di reddito≤ € 3000 saranno tassati al 20% e i Livelli di reddito> € 3000
saranno tassati al 30%.
Nel paese B, invece, l’imposta sul reddito è proporzionale con aliquota del 20%. Calcolare
l’imposta complessiva pagata dal contribuente del paese A nel caso in cui il paese A preveda la
deducibilità delle imposte pagate all’estero.

In questo caso, per poter applicare il correttivo della deducibilità delle imposte pagate all’estero è
necessario applicare l’imposta del paese estero al reddito complessivo, ovvero:

Y C =Y A +Y B −T B=3000+ 2000−400=4600

Il reddito complessivo, in questo caso, quindi non è pari a €5000 ma a €4600.


L’imposta nel paese A è pari ai primi €1000 euro tassati al 10% più i €2000 tassati al 20% più la
parte di reddito che è superiore ai €3000 (cioè 4600−3000=1600) tassata al 30%.
43
T A= (1000 × 0,10 ) +(2000 × 0,20)+(1600× 0,30)=980
T B=(2000 ×0,20)=400

L’imposta totale sarà pari alla somma dell’imposta pagata nel paese A e dell’imposta pagata nel
paese B.

T C =T A +T B=980+400=1380

- La deducibilità delle imposte pagate all’estero rappresenta la forma di correttivo più debole
rispetto alle altre, poiché è quella che comporta per il soggetto il pagamento della maggiore
imposta complessiva.

Lezione 4. L’INCIDENZA DELLE IMPOSTE

Quando si parla di incidenza delle imposte occorre distinguere tra:


- Contribuenti di diritto: sono coloro cui la legge impone il pagamento del tributo.
- Contribuenti di fatto: sono coloro che, invece, ne sopportano effettivamente l’onere d’imposta
in termini di riduzione del reddito reale (o di benessere).

Una 2° distinzione riguarda quella tra:


- Incidenza legale (o formale): è quella che grava sui contribuenti di diritto.
- Incidenza economica (o effettiva): è quella che grava sui contribuenti di fatto, cioè su coloro
che sopportano effettivamente l’onere dell’imposta.

- Traslazione di un’imposta: quando l’incidenza legale non coincide con l’incidenza


economica. Quando l’onere dei tributi viene, in tutto o in parte, trasferito dai contribuenti di
diritto (cioè da coloro che sono individuati dalla legge come destinatari del carico tributario) ai
contribuenti di fatto (che saranno coloro che effettivamente subiranno l’onere dell’imposta).

Studio dell’incidenza economica

Lo studio dell’INCIDENZA ECONOMICA consiste nel confrontare, in un approccio di statica


comparata, l’equilibrio di mercato in assenza di imposta con quello che si determina dopo
l’introduzione dell’imposta.

44
Il confronto dell’equilibrio prima e dopo l’introduzione dell’imposta può essere condotto in un
contesto da:
- Equilibrio parziale: si studiano gli effetti dell’introduzione di un’imposta in un singolo
mercato (ignorando quanto può avvenire nei mercati connessi).
- Equilibrio totale: si studiano gli effetti dell’introduzione di un’imposta che risultano
dalle interazioni tra tutti i mercati.

Imposte sui prodotti

Imposte sui prodotti →Imposte indirette che colpiscono le vendite di beni o servizi effettuate
dalle imprese o dagli altri operatori economici.
Consideriamo un mercato concorrenziale con una curva di domanda di mercato (D) e una curva
di offerta (S) lineari.

{D:S p=a−bq →Curva di domanda


: p=c+ dq →Curva di offerta

- La curva di domanda D è inclinata negativamente mentre la curva di offerta S è inclinata


positivamente.
- Supponiamo che la quantità prodotta sia eguale a quella venduta, cioè q=q ven.
- Risolvendo il sistema a due equazione e due incognite otteniamo la quantità e il prezzo di
equilibrio prima dell’applicazione dell’imposta (q*,p*).
- Supponiamo di introdurre un’imposta sulla vendita del bene q per analizzare gli effetti
dell’introduzione dell’imposta sull’equilibrio.
- L’imposta potrà essere legalmente a carico dei venditori oppure dei compratori e potrà
essere specifica (cioè commisurata alla quantità fisica del bene → l’imposta specifica ha
come base l’unità di misura del bene su cui va a gravare) o ad valorem (l’imposta ad valorem
è commisurata al bene stesso e viene calcolata in percentuale del valore del bene).

Imposte sui prodotti: imposta ad valorem sui venditori

Supponiamo di avere un’imposta di tipo tax exclusive. Il gettito d’imposta T sarà pari a:

N
T =t e × p ×q=Gettito d ' imposta

Essendo l’imposta un costo aggiuntivo per i produttori, il prezzo di riserva (cioè il prezzo minimo a
cui i venditori saranno disposti a cedere il bene) sarà dato dal costo di produzione più l’imposta. Ne

45
deriva, quindi, che la curva di offerta prima dell’introduzione dell’imposta (S) verrà traslata di un
ammontare pari all’imposta (τ ) da S a S’.
L’imposta non riguarda i compratori e, quindi, la curva di domanda (D) non subirà variazioni.
N
Consideriamo un’imposta per unità di prodotto τ ¿ t e × p , il nuovo sistema diventa:

{ D: p=a−bq
N
S ' : p=(1+t e ) × p =(1+t e )×(c+ dq)

La nuova funzione S’ ci dice per ogni quantità prodotta, il prezzo al lordo dell’imposta (p).
Una volta individuato il prezzo al lordo dell’imposta (p), cioè il prezzo di mercato pagato dal
consumatore, possiamo determinare il corrispondente prezzo netto ( p N ), cioè il prezzo che rimane
ai venditori, che sarà dato dalla curva originaria di offerta: S : p N =c +dq .

La figura 6.1 mostra il caso di un’imposta ad valorem sui venditori.


La curva di domanda D è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta S è, invece, inclinata
positivamente.
La curva di domanda D incontra la curva di offerta S in corrispondenza del punto di equilibrio (q*,
p*). q* e p* rappresentano il prezzo e la quantità di equilibrio prima dell’introduzione di un’imposta
ad valorem sui venditori.
N
La retta τ ¿ t e × p ,che rappresenta l’imposta per unità di prodotto, è anch’essa inclinata
positivamente (cioè verso l’alto).
A seguito dell’introduzione di un’imposta ad valorem sui venditori (τ ) la curva di offerta (S) viene
traslata verso l’alto di un ammontare pari al valore dell’imposta ( τ ). La nuova curva di offerta così
ottenuta sarà S’=S+τ .

46
La distanza verticale tra la curva di offerta iniziale (S), cioè prima dell’introduzione dell’imposta, e
la curva di offerta a seguito dell’introduzione dell’imposta (S’) è pari all’imposta per unità di
N
prodotto (τ ¿ t e × p ).
In corrispondenza del punto di incontro tra la curva di domanda D e la nuova curva di offerta (S’) la
quantità scambiata è q e il prezzo di equilibrio è p. Possiamo osservare che, in corrispondenza del
nuovo punto di equilibrio (q, p), la quantità di equilibrio (q) è minore di q*, cioè diminuisce in
seguito all’introduzione di un’imposta. Al contrario, il prezzo di equilibrio (p) è maggiore di p*,
poiché la curva di offerta spostandosi verso sinistra tira verso l’alto il prezzo.
Proiettando il nuovo punto di equilibrio (q, p) sulla curva di offerta prima dell’introduzione
dell’imposta (S) e muovendoci verso sinistra (cioè verso l’asse delle ordinate) individuiamo il
prezzo al netto dell’imposta, cioè il prezzo che rimane ai venditori ( p N ).

pp =¿ Imposta unitaria=τ
N

p∗p N =¿ Parte di imposta che rimane a carico dei venditori, cioè di coloro che originariamente
erano stati individuati come destinatari dell’imposta.
pp∗¿ Parte di imposta unitaria che i venditori traslano sui compratori.
In questo caso, i contribuenti di diritto, cioè coloro cui la legge impone il pagamento dei tributi,
sono i venditori. Al contrario, i contribuenti di fatto, cioè coloro che ne sopportano effettivamente
l’onere in termini di riduzione de reddito reale, sono in parte i venditori e in parte i compratori. A
causa della traslazione parziale dell’imposta, una parte dell’imposta sarà effettivamente pagata
dai venditori, mentre una parte sarà pagata dai compratori. Una parte dell’imposta unitaria ( pp N )
rimarrà a carico dei venditori ( p∗p N ), mentre una parte dell’imposta sarà pagata dai compratori (
pp∗¿). Ciò significa che i venditori sono riusciti a traslare parte dell’imposta ( pp∗¿) sui compratori.
Ne deriva, quindi, che a causa della traslazione dell’imposta una parte dell’onere tributario viene
traslato dai contribuenti di diritto (venditori) ai contribuenti di fatto (venditori + compratori).

Imposte sui prodotti: imposta ad valorem sui compratori

Supponiamo di avere un’imposta del tipo tax inclusive. Il gettito d’imposta T sarà dato da:

T =t i × p × q=Gettito d ' imposta

In questo caso, l’imposta non riguarda i venditori e, quindi, la curva di offerta (S) non subirà
variazioni (al contrario del caso di imposta tax inclusive sui compratori, dove invece la curva di
offerta subisce una traslazione da S a S’ di un ammontare pari all’ammontare dell’imposta τ ).

47
L’introduzione dell’imposta non modifica la disponibilità a pagare dei compratori e, quindi, non
determina uno spostamento della curva di domanda di mercato (D).
Dopo l’introduzione dell’imposta, una parte del prezzo pagato da chi compra (compratore) sarà
versata all’ente che ha introdotto l’imposta (Stato) e la parte restante andrà, invece, ai venditori.
La curva di domanda originale (D), che rappresenta il prezzo massimo che chi acquista è disposto
a pagare per ogni quantità, non è più rilevante per chi vende.
Quello che conta per i venditori dopo l’applicazione dell’imposta è la curva di domanda che
associa il prezzo massimo che gli stessi possono ricevere quando vendono quel bene (che si
ottiene sottraendo l’imposta alla vecchia curva di domanda).
Considerando un’imposta per unità di prodotto pari a τ ¿ t i × p , il nuovo sistema diventa:

{ D' : p N =(1−t i )×(a−bq)


S : p=c +dq

La soluzione del sistema fornisce quantità e prezzo di equilibrio (q, p N ). In questo caso, p N
rappresenta il prezzo massimo che i venditori possono ricevere.

Il mercato torna in equilibrio in corrispondenza del prezzo p N che assicura l’uguaglianza tra il
prezzo massimo che i venditori possono ricevere (D’) e il prezzo minimo al quale sono
disposti a cedere il bene tassato (S).

La figura 6.2 mostra il caso di un’imposta ad valorem sui venditori.

48
- La curva di domanda D è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta S è, invece, inclinata
positivamente.
- In questo caso, l’introduzione di un’imposta ad valorem sui compratori non determina uno
spostamento della curva di offerta (S) ma piuttosto della curva di domanda da D a D’.
- La curva di domanda D incontra la curva di offerta S in corrispondenza del punto di equilibrio (q*,
p*). q* e p* rappresentano il prezzo e la quantità di equilibrio prima dell’introduzione di un’imposta
ad valorem sui compratori.
- A seguito dell’introduzione di un’imposta ad valorem sui compratori, la curva di domanda
originaria, cioè prima dell’introduzione dell’imposta, (D) si sposta verso il basso usando l’asse
orizzontale come perno. La curva di domanda a seguito dell’introduzione dell’imposta ad valorem
sui compratori (D’) è pari alla curva di domanda originaria (D) meno l’imposta.
- In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio (q, p N ), cioè dove la curva di domanda a seguito
dell’introduzione dell’imposta (D’) incontra la curva di offerta (S), possiamo osservare che la
quantità venduta q è minore di q* (cioè q<q*). Al contrario, il prezzo p N , che viene recepito dai
venditori, è minore del prezzo di equilibrio p*, poiché la curva di domanda spostandosi verso il
basso tira verso il basso il prezzo.
- Proiettando il nuovo punto di equilibrio (q, p N ) sulla curva di domanda prima dell’introduzione
dell’imposta (D) e muovendoci verso sinistra (cioè verso l’asse delle ordinate) individuiamo il
prezzo di mercato, cioè il prezzo effettivamente pagato dai compratori (p).
pp =¿ Imposta unitaria=τ
N
-
N
- p∗p =¿ Parte di imposta che i compratori traslano sui venditori, cioè la parte di imposta che sarà
effettivamente pagata dai venditori.
- pp∗¿ Parte di imposta unitaria che rimane a carico dei compratori (cioè che sarà effettivamente
pagata dai contribuenti di diritto).
- In questo caso, i contribuenti di diritto, cioè coloro cui la legge impone il pagamento dei tributi,
sono i compratori. I contribuenti di fatto, cioè coloro che ne sopportano effettivamente l’onere in
termini di riduzione de reddito reale (e quindi di benessere), sono in parte i compratori e in parte i
venditori. A causa della traslazione parziale dell’imposta, una parte dell’imposta sarà
effettivamente pagata dai compratori (contribuenti di diritto), mentre una parte sarà pagata dai
venditori. Una parte dell’imposta unitaria ( pp N ) rimarrà a carico dei compratori ( pp∗¿), mentre una
parte dell’imposta sarà pagata dai venditori ( p∗p N ). Ciò significa che i venditori sono riusciti a
traslare parte dell’imposta ( p∗p N ) sui compratori. Ne deriva, quindi, che a causa della traslazione
dell’imposta una parte dell’onere tributario viene traslato dai contribuenti di diritto (compratori) ai
contribuenti di fatto (compratori+ venditori).

Conclusioni:

49
- In entrambi i casi analizzati (imposta ad valorem sui venditori e imposta ad valorem sui
compratori), indipendentemente dal fatto che sia stata introdotta un’imposta sui venditori oppure
un’imposta sui venditori, l’introduzione di un’imposta determina una riduzione della quantità sul
mercato da q* a q. Questo è l’effetto che ci aspettiamo a seguito dell’introduzione di un’imposta
sui prodotti.
- L’imposta unitaria (τ ), in entrambi i casi considerati, è stata divisa in due parti: una parte che sarà
pagata dai venditori e una parte che, invece, sarà pagata dai compratori. In particolare, nel caso di
imposta ad valorem sui venditori, una parte dell’imposta sarà effettivamente pagata dai venditori
(contribuenti di diritto) ma una parte dell’imposta sarà, invece, traslata dai venditori ai compratori
(traslazione parziale dell’imposta). Al contrario, nel caso di imposta ad valorem sui compratori,
una parte dell’imposta sarà effettivamente pagata dai compratori (contribuenti di diritto), ma una
parte dell’imposta sarà, invece, traslata dai compratori ai venditori.
- In entrambi i casi, l’aver identificato i contribuenti di diritto (VENDITORI → Imposta ad valorem sui
venditori e, invece, COMPRATORI → Imposta ad valorem sui compratori), sembra non averci dato
delle informazioni aggiuntive tali da definire quale sarà poi il contribuente che subirà effettivamente
il carico tributario dell’imposta. Possiamo osservare che, in entrambi i casi, coloro che pagano
effettivamente l’imposta (cioè coloro che subiscono realmente il carico tributario) sono entrambi i
soggetti: compratori e venditori. Nel momento in cui lo Stato interviene con un’imposta ad valorem
sui compratori, questi ultimi traslano una parte dell’imposta sui venditori. Al contrario, quando lo
Stato interviene con un’imposta ad valorem sui venditori, questi ultimi traslano parte dell’imposta
sui compratori. Ne deriva, quindi, il fatto di sapere qual è il contribuente di diritto non ci dà la
certezza di sapere quale sarà poi effettivamente il soggetto che subirà il carico tributario,
poiché in entrambi i casi considerati il contribuente di diritto riesce a traslare parte
dell’imposta sul contribuente di fatto.

Imposte sui prodotti: traslazione dell’imposta

1. Imposta a carico dei venditori


-La parte di imposta che viene trasferita dai venditori (contribuenti di diritto) ai compratori è
l’incremento del prezzo lordo ( p− p∗¿).
-La parte di imposta che rimane a carico dei contribuenti di diritto (venditori) è la differenza tra il
prezzo di mercato prima dell’introduzione dell’imposta (p*) e il prezzo netto dopo
l’imposta ( p N ), ovvero: p∗−p N .

2. Imposta a carico dei compratori


-La parte di imposta che viene trasferita dai compratori (contribuenti di diritto) ai venditori è p∗−p N .

50
-La parte di imposta che rimane a carico dei contribuenti di diritto (compratori) è la differenza tra il
prezzo di mercato (o prezzo pagato dal consumatore) e il prezzo di mercato prima
dell’introduzione dell’imposta (p*), ovvero p− p∗¿.
Distinguiamo tra: traslazione in avanti e traslazione all’indietro.

- Traslazione dell’imposta in avanti: quando il contribuente di diritto (venditore) riesce ad


aumentare il prezzo di vendita del bene o servizio offerto, comprensivo dell’imposta dei beni o
dei servizi che vende. In questo caso, quindi, il contribuente di diritto (venditore) riesce ad
aumentare il prezzo lordo di quanto vende il prodotto.
- Traslazione dell’imposta all’indietro: quando il contribuente di diritto (compratore) riesce a
diminuire il prezzo di acquisto, al netto dell’imposta dei beni o dei servizi che compra. In questo
caso, quindi, il contribuente di diritto (cioè il consumatore) riesce a diminuire il prezzo netto di
quanto acquista.

Imposte sui prodotti: irrilevanza dell’incidenza legale

- Il fatto di sapere che il venditore o il compratore sono i soggetti che di diritto sono stati individuati
dallo Stato come destinatari dell’onere tributario (CONTRIBUENTI DI DIRITTO) ci dà poche
informazioni sul gruppo di coloro che, invece, subiranno effettivamente l’onere dell’imposta
(CONTRIBUENTI DI FATTO) → Irrilevanza dell’incidenza legale. La ripartizione ultima
dell’onere dell’imposta tra venditori e compratori (cioè se sarà effettivamente il compratore
o il venditore o sopportare l’onere dell’imposta) non dipende dall’incidenza legale.
L’incidenza legale (o formale) è quella che grava sui contribuenti di diritto, cioè su coloro che la
legge individua come destinatari del carico d’imposta. Ne deriva, quindi, che sapere chi è il
contribuente di diritto non ci dà delle informazioni precise su chi sarà poi effettivamente a subire
l’onere dell’imposta.
- Da che cosa dipende, quindi, chi pagherà effettivamente l’imposta (contribuente di fatto)? Date le
curve di domanda (D) e di offerta (S) e data l’imposta unitaria ( τ ) nel punto di equilibrio, la
ripartizione dell’onere dell’imposta tra venditori e compratori è indipendente dal fatto che il
tributo sia formalmente (cioè di diritto) a carico degli uni o degli altri.
- La ripartizione dell’onere dell’imposta tra venditori e compratori (cioè chi, tra il compratore e il
venditore, subirà effettivamente il carico tributario) dipende dall’elasticità della domanda (D) e
dell’offerta (S). Ne deriva, quindi, che indipendentemente dal fatto che individuiamo il compratore
o il venditore come contribuente di diritto, cioè come colui che è stato individuato dalla legge come
destinatario del carico d’imposta, per sapere effettivamente quale tra i due soggetti subirà
effettivamente, in parte o totalmente, l’onere dell’imposta è necessario conoscere l’elasticità delle
curve di domanda (D) e di offerta (S).

51
- La figura 6.3 riassume il concetto di irrilevanza dell’incidenza legale. La ripartizione dell’onere
tributario tra compratori e venditori è indipendente dal fatto che il tributo sia formalmente (cioè di
diritto) a carico degli uni o degli altri.
-La curva di domanda (D) è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta (S) è inclinata
positivamente.
-La curva di domanda prima dell’introduzione dell’imposta (D) incontra la curva di offerta prima
dell’introduzione dell’imposta (S) in corrispondenza del punto di equilibrio (q*, p*).
-Nel caso di imposta ad valorem a carico del venditore la curva di offerta prima dell’introduzione
dell’imposta (S) si sposta verso l’alto di un ammontare pari all’imposta unitaria ( τ ) da S a S’,
poiché l’imposta rappresenta un costo aggiuntivo per i produttori e, quindi, il prezzo di riserva
(cioè il prezzo minimo a cui i venditori saranno disposti a cedere il bene) sarà dato dalla somma
del costo di produzione e dell’imposta. In corrispondenza del nuovo di equilibrio di mercato, cioè
dove la curva di offerta a seguito dell’introduzione dell’imposta (S’) incontra la curva di domanda
(D), la quantità q è minore di q*. Viceversa, il livello di prezzo (p) corrispondente al nuovo punto
di equilibrio (q, p) è maggiore del prezzo di equilibrio iniziale p*. Risolvendo il nuovo sistema
possiamo individuare la nuova quantità (q) e il prezzo di mercato (p). Per determinare, invece, il
prezzo netto ( p N ), cioè il prezzo che rimarrà al venditore, devo sostituire la quantità q nella
curva di offerta originaria S : p N =c +dq , cioè proiettare il nuovo punto di equilibrio (q, p) sulla
curva di offerta prima dell’introduzione dell’imposta (S).

-Nel caso, invece, di imposta ad valorem a carico del compratore la curva di domanda prima
dell’introduzione dell’imposta (D) si sposta verso il basso usando l’asse orizzontale come perno
sa D a D’, poiché a seguito dell’introduzione di un’imposta sui compratori questi ultimi
domanderanno meno unità del bene. In corrispondenza del punto in cui la curva di domanda
dopo l’introduzione dell’imposta (D’) incontra la curva di offerta (S) la quantità (q) è minore della
quantità di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (q*). Al contrario, il prezzo p N , che
viene recepito dai venditori, è minore del prezzo di equilibrio p*, poiché la curva di domanda
spostandosi verso il basso tira verso il basso il prezzo.
-In entrambi i casi viene considerata un’imposta unitaria (τ ) che viene in parte traslata o sui
compratori (imposta ad valorem sui venditori) o sui venditori (imposta ad valorem sui
compratori). L’aver individuato il contribuente di diritto in entrambi i casi non ci dà alcuna
informazione su chi sarà effettivamente a subire il carico tributario, poiché in entrambi i casi
considerati i contribuenti di diritto hanno scaricato parte dell’imposta sull’altro soggetto. Per
avere delle informazioni su chi effettivamente pagherà l’imposta dobbiamo guardare l’elasticità
delle curve di domanda e di offerta.

52
Incidenza dell’imposta ed elasticità della curva di domanda

- La parte di imposta a carico dei compratori è tanto minore quanto maggiore è l’elasticità
della domanda. Per dimostrare questo risultato consideriamo un esempio. Supponiamo che, a
seguito dell’introduzione di un’imposta sul bene A, il prezzo del bene A aumenti. Ne deriva, quindi,
che, a seguito dell’aumento del prezzo del bene A, il consumatore deciderà di ridurre la quantità
domandata del bene A. Il prezzo che il consumatore paga per l’acquisto del bene A sarà
comprensivo di:

1. Prezzo che verrà versato all’ente (Stato) che ha introdotto l’imposta → GETTITO
DELL’IMPOSTA
2. Prezzo che verrà corrisposto al venditore del bene A (cioè al produttore del bene A)

Consideriamo due curve di domanda relative al bene A: una curva di domanda del bene A
elastica e una curva di domanda del bene X, invece, inelastica. L’elasticità della domanda del
bene A rispetto al prezzo ( E ) rappresenta la variazione percentuale (%) della quantità domandata
∆Q ∆P
del bene A ( ), in risposta ad una variazione percentuale del prezzo del bene A ( ¿ . Quando
Q P
la curva di domanda del bene A è elastica ( E>1), allora un aumento del prezzo del bene A ( P A )
determina una significativa riduzione della quantità domandata del bene A ( Q A ). Supponiamo che
l’individuo sia indifferente tra il bene A e il bene B. Nel momento in cui viene introdotta un’imposta
sul bene A che determina, quindi, un incremento del prezzo del bene A ( P A ), allora l’individuo, che
è indifferente tra il consumo del bene A e del bene B, sceglierà di acquistare il bene B, dal
momento che è meno costoso, riducendo così il consumo del bene A. La scelta dell’individuo di
consumare il bene B e non il bene A, nel caso in cui la curva di domanda sia elastica, implica che
il compratore non subirà l’onere dell’imposta legata al bene A. Una curva di domanda è elastica
53
quando la quantità domandata del bene varia più che proporzionalmente in risposta ad una
variazione del prezzo del bene. Al contrario, nel caso di una curva di domanda del bene A sia
inelastica rispetto al prezzo del bene A ( E<1), un incremento del prezzo del bene A ( P A ), a seguito
dell’introduzione di un’imposta sul bene A, determina una diminuzione della quantità domandata
del bene A (Q A ), ma non particolarmente significativa. Una curva di domanda del bene A
inelastica (o anelastica) risulta sostanzialmente insensibile ad una variazione del prezzo del
bene. Una curva di domanda è anelastica se la quantità domandata varia meno che
proporzionalmente rispetto alla variazione del prezzo. Ciò implica che il soggetto, in questo caso,
subirà maggiormente l’onere dell’imposta, poiché ridurrà di poco la quantità consumata del bene A
che è soggetta all’imposta.
IN SINTESI, tanto più la curva di domanda è elastica e tanto minore sarà la parte di imposta che
graverà sui consumatori, poiché l’introduzione di un’imposta su un bene determina un aumento del
prezzo del bene stesso e, quindi, una minore domanda di quel bene da parte del consumatore. Ne
deriva, quindi, che il consumatore riducendo la quantità consumata del bene soggetto a tassazione
pagherà una minore parte di imposta. Al contrario, una curva di domanda meno elastica implica
che il consumatore pagherà una parte di imposta maggiore rispetto al caso in cui, invece, la curva
di domanda sia elastica, poiché all’aumentare del prezzo del bene acquistato (a seguito della
tassazione) il consumatore riduce di poco la quantità consumata.

- Introduciamo un’imposta specifica a carico dei venditori in un determinato equilibrio di mercato


(q*, p*) nel caso di una curva di domanda più elastica ( D1) e di una curva di domanda meno
elastica ( D 2).
- In corrispondenza del punto di equilibrio a seguito dell’introduzione dell’imposta, nel caso di
domanda più elastica ( D 1) la parte di imposta a carico dei compratori ¿ è minore rispetto al caso
della domanda meno elastica ( D 2), cioè ¿.

- Ciò implica che, invece, nel caso di domanda più elastica ( D 1) la parte di imposta a carico dei

venditori ( p∗−p 1 ) sarà maggiore rispetto al caso della domanda meno elastica ( D 2), cioè
N

( p∗−p N2 ).

( p∗−p N1 )>( p∗− p2N )

- Verifichiamo graficamente, attraverso la figura 6.4, perché la parte di imposta a carico dei
compratori è minore quando l’elasticità della curva di domanda è maggiore.

54
- D 1=¿ Curva di domanda più elastica
- D2=¿ Curva di domanda meno elastica (cioè più rigida)
- S=¿ Curva di offerta
- In corrispondenza del punto di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (q*, p*), cioè dove la
curva di domanda D 1 incontra la curva di offerta S, la quantità di equilibrio è q* e il prezzo di
equilibrio è p*. Il prezzo (p*) e la quantità di equilibrio (q*) sono determinati risolvendo il sistema di
equazioni a due incognite:

{D:S p=a−bq →Curva di domanda


: p=c+ dq →Curva di offerta

- L’introduzione di un’imposta specifica a carico dei venditori determina uno spostamento


parallelo della curva di offerta verso l’alto di un ammontare pari all’imposta unitaria ( τ =u) da S a
S’. In questo caso, a differenza del caso di un’imposta ad valorem sui venditori, la curva di offerta a
seguito dell’introduzione dell’imposta (S’) ha la stessa pendenza della curva di offerta prima
dell’introduzione dell’imposta (S), poiché l’imposta specifica lavora sulla singola quantità.
- In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio (q1, p1), cioè in corrispondenza del punto in cui la
curva di domanda D 1 incontra la curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta S’, la quantità di
equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta (q1) è minore della quantità di equilibrio prima
dell’introduzione dell’imposta (q*), cioè q1<q*. Al contrario, il prezzo di equilibrio dopo l’introduzione
dell’imposta (p1) è maggiore del prezzo di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (p*).
Proiettando il punto di equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta (q 1, p1) sulla curva di offerta prima
N
dell’introduzione dell’imposta individuiamo p1 =S=c +dq . Il prezzo (p1) e la quantità di equilibrio
dopo l’introduzione dell’imposta (q1) sono determinati risolvendo il sistema di equazioni a due
incognite:

{ D1 : p=a−bq → Curva didomanda


N
S ' : p1 =p 1 + u=(c +dq)+u →Curva di offerta

- p1N =¿ Prezzo che entrerà nelle casse del venditore dopo l’applicazione dell’imposta
- u=¿ Imposta per unità di produzione
N
- p1 p1 =¿ Imposta unitaria=τ =u
- p1 p∗¿ Imposta che i venditori traslano sui compratori
- p∗p N1 =¿ Imposta a carico dei venditori
- In corrispondenza del punto di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (q*, p*), cioè dove la
curva di domanda D 1 incontra la curva di offerta S, la quantità di equilibrio è q* e il prezzo di
55
equilibrio è p*. Il prezzo (p*) e la quantità di equilibrio (q*) sono determinati risolvendo il sistema di
equazioni a due incognite:

{D:S p=a−bq →Curva di domanda


: p=c+ dq →Curva di offerta

- L’introduzione di un’imposta specifica a carico dei venditori determina uno spostamento


parallelo della curva di offerta verso l’alto di un ammontare pari all’imposta unitaria ( τ =u) da S a
S’. In questo caso, a differenza del caso di un’imposta ad valorem sui venditori, la curva di offerta a
seguito dell’introduzione dell’imposta (S’) ha la stessa pendenza della curva di offerta prima
dell’introduzione dell’imposta (S), poiché l’imposta specifica lavora sulla singola quantità.
- In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio (q2, p2), cioè in corrispondenza del punto in cui la
curva di domanda D 2 incontra la curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta S’, la quantità di
equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta (q2) è minore della quantità di equilibrio prima
dell’introduzione dell’imposta (q*), cioè q2<q*. Al contrario, il prezzo di equilibrio dopo l’introduzione
dell’imposta (p2) è maggiore del prezzo di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (p*).
Proiettando il punto di equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta (q 2, p2) sulla curva di offerta prima
N
dell’introduzione dell’imposta individuiamo p2 =S=c +dq . Il prezzo (p2) e la quantità di equilibrio
dopo l’introduzione dell’imposta (q2) sono determinati risolvendo il sistema di equazioni a due
incognite:

{ D2 : p=a−bq → Curva di domanda


N
S ' : p 2=p 2 + u=(c +dq)+u →Curva di offerta

N
- p2 =¿ Prezzo che entrerà nelle casse del venditore dopo l’applicazione dell’imposta
N
- p2 p 2 =¿ Imposta unitaria=τ =u
- p2 p∗¿ Imposta che i venditori traslano sui compratori
N
- p∗p 2 =¿ Imposta a carico dei venditori
- Possiamo osservare che l’imposta a carico dei compratori nel caso di domanda elastica ( D 1) è
minore dell’imposta a carico dei compratori nel caso di domanda meno elastica ( D 2), ovvero:

¿¿

- Al contrario, l’imposta a carico dei venditori nel caso di domanda elastica ( D 1) è maggiore
dell’imposta a carico dei venditori nel caso di domanda meno elastica ( D 2), ovvero:

56
( p∗−p N1 )>( p∗− p2N )

- Se introduciamo un’imposta (che può essere ad valorem o specifica) sui venditori, la parte
di imposta che il venditore riuscirà a scaricare sul compratore è minore nel caso di una
domanda più elastica ( D1) rispetto al caso, invece, di una domanda meno elastica ( D 2). Una
curva di domanda più elastica ( D 1) mostra che, all’aumentare del prezzo del bene, la quantità
domandata di quel bene diminuisce più proporzionalmente. Ne deriva, quindi, che la curva di
domanda è particolarmente sensibile alle variazioni di prezzo del bene. Il consumatore, quindi,
deciderà di ridurre la quantità domandata di quel bene (che è diventato più caro) e, quindi, subirà
un’imposta minore legata all’acquisto di quel bene. Nel caso, invece, di una curva di domanda
meno elastica ( D 2) il consumatore ridurrà la quantità domandata del bene divenuto più caro ma di
poco. In questo caso, quindi, il consumatore subirà un’imposta maggiore poiché la parte di imposta
che il venditore riesce a traslare sul compratore è maggiore. Il consumatore continuando ad
acquistare il bene soggetto all’imposta dovrà, quindi, pagare un’imposta maggiore.
- Il grafico riporta il rapporto tra l’incidenza dell’imposta specifica e l’elasticità della curva di
domanda.

Incidenza dell’imposta ed elasticità della curva di offerta

- La parte di imposta a carico dei venditori è tanto minore quanto maggiore è l’elasticità
dell’offerta.

57
- Introduciamo un’imposta specifica a carico dei venditori in un determinato equilibrio di mercato
(q*, p*) nel caso di una curva di offerta più elastica ( S2) e di una curva di offerta meno elastica ( S1).
- In corrispondenza del punto di equilibrio a seguito dell’introduzione dell’imposta, nel caso
dell’offerta più elastica ( S2) la parte di imposta a carico dei compratori ¿ è maggiore rispetto al caso
dell’offerta meno elastica ( S1), cioè ¿.

- Ciò implica che, invece, nel caso di offerta più elastica ( S2) la parte di imposta a carico dei venditori

( p∗−p 1 ) sarà minore rispetto al caso dell’offerta meno elastica ( S1), cioè ( p∗−p 2 ).
N N

N N
( p∗−p 1 )>( p∗− p2 )

- Verifichiamo graficamente, attraverso la figura 6.5, perché la parte di imposta a carico dei venditori
è minore quando l’elasticità della curva di offerta è maggiore.
- S1=¿ Curva di offerta meno elastica (più rigida)
- S2=¿ Curva di offerta più elastica
- D=¿ Curva di domanda
- S ' 1=¿ Curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta ottenuta sommando verticalmente alla
curva di offerta originaria ( S1) l’imposta unitaria (τ )= S1 +τ
- S ' 2=¿ Curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta ottenuta sommando verticalmente alla
curva di offerta originaria ( S2) l’imposta unitaria (τ )= S2 +τ
- In corrispondenza del punto di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (q*, p*), cioè dove le
curve di offerta S1e S2incontrano la curva di domanda D, la quantità di equilibrio è q* e il prezzo di
equilibrio è p*.
- L’introduzione di un’imposta specifica sui venditori determina uno spostamento delle curve di
offerta ( S1e S2 ) parallelo verso l’alto di un ammontare pari all’imposta unitaria τ =u. In questo caso,
le curve di offerta si spostano parallelamente verso l’alto da S1e S2 a S ' 1e S ' 2, poiché τ =u
=Numero. La curva di offerta S ' 1 ha, quindi, la stessa pendenza della curva di offerta S1 e la curva
di offerta S ' 2 ha la stessa pendenza della curva di offerta S2.
- L’obiettivo è dimostrare graficamente che, nel caso di una curva di offerta più elastica ( S2), la parte
di imposta traslata ai compratori sarà minore.
- Consideriamo la curva di offerta meno elastica ( S1). In corrispondenza del punto di equilibrio dopo
l’introduzione dell’imposta, dove la curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta ( S ' 1), che è
ottenuta sommando verticalmente la curva di offerta meno elastica prima dell’introduzione
58
dell’imposta ( S1) all’imposta unitaria (τ =u), incontra la curva di domanda (D), la quantità di
equilibrio q1 è minore della quantità di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (q*), ovvero
q1<q*. Viceversa, il prezzo di equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta (p 1) è maggiore del prezzo
di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (p*). Proiettando il punto di equilibrio (q 1, p1), in
corrispondenza del quale la nuova curva di offerta ( S ' 1) interseca la curva di domanda (D), sulla
vecchia curva di offerta ( S1) ricaviamo il prezzo che rimarrà ai venditori dopo l’applicazione
N N
dell’imposta ( p1 ). Il carico tributario ( p1 p1 =¿ Imposta unitaria=τ =u) può, quindi, essere scomposto
in due parti:
- p1 p∗¿ Imposta che i venditori traslano sui compratori
N
- p∗p 1 =¿ Imposta a carico dei venditori
- Consideriamo la curva di offerta più elastica ( S2). In corrispondenza del punto di equilibrio dopo
l’introduzione dell’imposta, dove la curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta ( S ' 2 ), che è
ottenuta sommando verticalmente la curva di offerta più elastica prima dell’introduzione
dell’imposta ( S2) all’imposta unitaria (τ =u), incontra la curva di domanda (D), la quantità di
equilibrio q2 è minore della quantità di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (q*), ovvero
q2<q*. Viceversa, il prezzo di equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta (p 2) è maggiore del prezzo
di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (p*). Proiettando il punto di equilibrio (q 2, p2), in
corrispondenza del quale la nuova curva di offerta ( S ' 2 ) interseca la curva di domanda (D), sulla
vecchia curva di offerta ( S2) ricaviamo il prezzo che rimarrà ai venditori dopo l’applicazione
N N
dell’imposta ( p2 ). Il carico tributario ( p2 p 2 =¿ Imposta unitaria=τ =u) può, quindi, essere scomposto
in due parti:
- p2 p∗¿ Imposta che i venditori traslano sui compratori
N
- p∗p 2 =¿ Imposta a carico dei venditori

- Possiamo osservare che l’imposta a carico dei compratori nel caso di offerta elastica ( S2) è
maggiore dell’imposta a carico dei venditori nel caso di offerta meno elastica ( S1 ), ovvero:

¿¿

- Al contrario, l’imposta a carico dei venditori nel caso di offerta elastica ( S2) è minore dell’imposta a
carico dei venditori nel caso di offerta meno elastica ( S1), ovvero:

N N
( p∗−p 1 )>( p∗− p2 )

59
- IN SINTESI, l’onere dell’imposta grava di meno sul lato di mercato che è più elastico, cioè che è
più sensibile alle variazioni di prezzo.

- Le informazioni in merito all’elasticità delle curve di domanda e di offerta ci permettono di definire


in modo più preciso il soggetto che subirà effettivamente il carico tributario, cioè il contribuente di
fatto, indipendentemente da chi di diritto sia stato individuato da parte della legge come colui che
dovrebbe pagare il tributo (contribuente di diritto).

Casi estremi relativi all’incidenza delle imposte

- Nel caso di una curva di domanda perfettamente rigida (cioè inelastica o anelastica) l’imposta è
per intero a carico dei compratori.
- Nel caso di una curva di domanda perfettamente elastica l’imposta è per intero a carico dei
venditori.
- Nel caso di una curva di offerta perfettamente elastica l’imposta è per intero a carico dei
compratori.
- Nel caso di una curva di offerta perfettamente rigida ( o anelastica) l’imposta è per intero a carico
dei venditori.

60
Elasticità dell’offerta e della domanda: Indice di Dalton

- L’elasticità della domanda (ηd ) è pari a:

q∗−q 1
q∗¿
ηd = ¿
p∗− p1
<0¿
p∗¿

- L’elasticità dell’offerta (η s) è pari a:

q∗−q1
q∗¿
η s= N
¿
p∗− p1
>0 ¿
p∗¿

- Il rapporto tra l’elasticità dell’offerta ( η s) e l’elasticità della domanda (ηd ) risulta essere pari
a:

ηs q∗−q1
= ¿
ηd p∗¿
N
p∗− p1
q∗¿ × ¿
q∗−q 1
¿
p∗¿ 1 p∗¿
q∗¿ × = × p∗− p1 =− p1− ¿¿
p∗− p1 p∗− p1
N N
p∗− p1

61
- Il rapporto tra l’elasticità dell’offerta e l’elasticità della domanda misura, quindi, la
N
ripartizione dell’imposta tra compratori ( p1− p∗¿) e venditori ( p∗−p 1 ), ovvero:

DAL=¿ ¿ ¿

- L’indice di Dalton (DAL) esprime l’aumento del prezzo per i compratori in percentuale
dell’ammontare dell’imposta.

Lezione 5. IMPOSTE DISTORSIVE: IL MERCATO DEI PRODOTTI

ECCESSO DI PRESSIONE

- L’introduzione di un’imposta sulla vendita di un bene (imposta sui prodotti) determina, attraverso i
movimenti delle curve di domanda e di offerta, una diminuzione della quantità (da q∗¿ a q ) e
una differenza tra il prezzo pagato da chi compra ( p=¿ Prezzo di mercato pagato dal
compratore) e il prezzo netto percepito, invece, da chi vende ( p N =¿ Prezzo al netto
dell’imposta).
- L’introduzione dell’imposta genera :
1. Contrazione della quantità prodotta (q <q∗¿)
2. Aumento del prezzo rilevante per il compratore ( p> p∗¿)
3. Riduzione del prezzo rilevante per il venditore ( p N < p)

- L’onere dell’imposta ( p− p N ) viene ripartita tra compratori ( p− p∗¿) e venditori ( p∗−p N ).


- Che cosa comporta l’introduzione di un’imposta in termini di comportamento del consumatore?

1. Trasferimento di risorse da parte dei consumatori (o da parte delle imprese) al governo (Il
trasferimento di risorse da parte dei consumatori o da parte delle imprese al governo
determina una diminuzione del reddito disponibile dei contribuenti → Effetto reddito.
62
L’effetto reddito è un effetto delle imposte che non dà luogo a degli effetti distorsivi
sull’allocazione delle risorse (non avrà, quindi, degli effetti in termini di efficienza) ma
rappresenta una diminuzione del potere d’acquisto dei contribuenti (quindi, in teoria non
cambia i criteri di scelta e di decisione da parte degli operatori economici). Ne deriva, quindi,
che il vincolo di bilancio non cambierà pendenza e, quindi, si sposterà in parallelo.

2. Effetto sostituzione (Un secondo effetto derivante dall’introduzione di un’imposta è l’effetto


sostituzione. L’introduzione di un’imposta determina una variazione del prezzo dei beni in
termini relativi o dei fattori di produzione nell’ambito dell’attività produttiva. Un consumatore
potrebbe, quindi, decidere di consumare una minore quantità del bene, il cui prezzo è
aumentato a seguito dell’introduzione di un’imposta sul bene stesso, oppure di sostituire quel
bene con un altro meno caro.

L’effetto delle imposte può, quindi, essere scomposto in:


1. Effetto reddito: diminuisce il potere d’acquisto dei soggetti. In questo caso, l’introduzione di
un’imposta su di un bene determina un aumento del prezzo del bene stesso e, quindi, una
diminuzione del reddito disponibile dei soggetti. L’effetto reddito riduce l’acquisto di entrambi
i beni considerati, poiché determina una riduzione del reddito disponibile del soggetto. Ne
deriva, quindi, che il vincolo di bilancio si sposta parallelamente verso il basso (non cambia,
quindi, l’inclinazione).
2. Effetto sostituzione: a seguito della variazione del prezzo dei beni (o dei fattori di
produzione) il soggetto può sostituire il bene divenuto più caro con un altro meno costoso.
L’effetto sostituzione, invece, modifica la scelta del consumatore tra due beni → effetto
distorsivo delle imposte. In questo caso, quindi, il vincolo di bilancio non si sposta
parallelamente ma cambia di pendenza di tale vincolo. Un soggetto, a seguito di un aumento
del prezzo di un bene, può decidere di acquistare una minore quantità del bene tassato
rispetto al bene meno costoso.

L’eccesso di pressione è il risultato dell’applicazione dell’effetto reddito e dell’effetto sostituzione.

- I consumatori e le imprese (venditori), in ragione del fatto che parte dell’imposta resta a loro carico,
sopportano una PERDITA DI BENESSERE → Eccesso di pressione (conseguenza di una
inefficienza che si è causata nel mercato)

- La figura 7.1 rappresenta graficamente l’eccesso di pressione, cioè la perdita di benessere sociale.

- La curva di domanda D è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta S è inclinata


positivamente.

63
- In corrispondenza del punto di equilibrio A(q*, p*), cioè dove la curva di domanda D incontra la
curva di offerta S, la quantità di equilibrio è q* e il prezzo di equilibrio è p*.
- A seguito dell’introduzione di un’imposta specifica sui venditori, la curva di offerta originaria (S) si
sposta parallelamente verso l’alto da S a S’. La curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta S’
è ottenuta sommando verticalmente alla curva di offerta originaria (S) l’imposta unitaria (τ =u).
- In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio B(q, p), cioè dove la curva di domanda (D) incontra
la curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta (S’), la quantità di equilibrio dopo l’introduzione
dell’imposta q<q*. Al contrario, il prezzo di equilibrio in corrispondenza del nuovo punto di equilibrio
p>p*. Proiettando il nuovo punto equilibrio B(q, p) sulla curva di offerta originaria (S) ricaviamo il
prezzo netto ( p N ), cioè il prezzo che rimane al venditore dopo l’applicazione dell’imposta.
- Il benessere sociale dei consumatori e dei venditori può essere misurato attraverso il surplus dei
consumatori e il surplus dei venditori. Il surplus dei consumatori prima dell’introduzione
dell’imposta è pari all’area del triangolo ADp* e rappresenta, per ogni unità prodotta, la differenza
tra il prezzo di riserva dei consumatori (cioè il prezzo massimo che i consumatori sono disposti a
pagare, D) e il prezzo che viene stabilito sul mercato (p*). Il surplus dei produttori prima
dell’introduzione dell’imposta (che è una misura del benessere sociale dei produttori) è, invece,
pari all’area del triangolo AEp*, che è dato dalla differenza tra il prezzo di mercato (p*) e il prezzo
di riserva delle imprese (cioè il prezzo minimo al quale i venditori sono disposti a cedere il bene). Il
triangolo ADE, che rappresenta una misura del benessere sociale, è pari alla somma del surplus
dei consumatori prima dell’imposta (ADp*) e del surplus dei produttori prima dell’imposta (AEp*).
- A seguito dell’introduzione dell’imposta, il surplus dei consumatori e il surplus dei produttori si
riducono e, quindi, si registrerà una perdita sia per i consumatori che per i produttori. In particolare,
il surplus dei consumatori dopo l’introduzione dell’imposta si riduce dal triangolo ADp* al triangolo
BDp. Il surplus dei produttori dopo l’introduzione dell’imposta, invece, si riduce dal triangolo AEp*
al triangolo CE p N . Ciò significa che, a seguito della riduzione di benessere (e, quindi, della
riduzione del surplus dei consumatori e del surplus dei produttori), l’area del trapezio ABpp*
rappresenta la perdita del benessere dei consumatori dopo l’imposta, mentre l’area del trapezio
AC p N p* rappresenta la perdita di benessere dei produttori dopo l’imposta. L’area totale BAC p N p
rappresenta l’intera perdita di benessere dei consumatori e dei produttori a seguito
dell’introduzione dell’imposta (Area ABpp*+Area AC p N p*).
- L’effetto distorsivo dell’imposta comporta un eccesso di pressione.

64
- L’introduzione di un’imposta determina una differenza tra il prezzo pagato da chi compra (p) e il
prezzo che viene percepito da chi vende ( p N ), poiché nel prezzo di mercato pagato dal
consumatore (p) rientra una parte di prezzo che viene corrisposto allo Stato in termini di gettito.
- L’area totale BAC p N p rappresenta l’intera perdita di benessere dei consumatori e dei produttori a
seguito dell’introduzione dell’imposta (Area ABpp*+Area AC p N p*), cioè una perdita di benessere
del settore privato. Il gettito dell’imposta (T =τ × q), cioè le risorse ottenute dall’operatore
pubblico (Stato che è intervenuto introducendo l’imposta), dopo l’introduzione dell’imposta è
rappresentato l’area del rettangolo BC p N p. La base del rettangolo BC p N p è esattamente pari alla
quantità 0q che viene scambiata sul mercato, mentre l’altezza del rettangolo è pari all’imposta
unitaria ( p− p N ) che è stata introdotta. Il gettito d’imposta (T), cioè la quantità di risorse che entra
allo Stato, è pari al prodotto dell’aliquota dell’imposta unitaria (τ ) per la quantità venduta o prodotta
(q). Il triangolo ABC è la perdita secca per la collettività, ovvero l’ECCESSO di PRESSIONE,
causata dall’introduzione dell’imposta. L’individuo, a seguito dell’introduzione dell’imposta, è
costretto a modificare le proprie scelte in termini di consumo. È vero che un soggetto potrebbe,
modificando i propri comportamenti, eludere l’imposta ma per farlo dovrebbe distorcere le proprie
scelte. L’eccesso di pressione (perdita secca di benessere per la collettività) è il risultato
della distorsione delle scelte del consumatore dovuta all’introduzione dell’imposta.
- Il surplus dei consumatori e il surplus dei produttori rappresentano una misura del benessere
sociale prima e dopo l’introduzione dell’imposta. Le risorse che vengono sottratte al settore privato
vengono poi acquisite, in parte, dall’operatore pubblico tramite il gettito → Equità dell’imposta
(cioè quali sono gli effetti distributivi dell’imposta). L’obiettivo è studiare la ripartizione dell’imposta
tra i lati del mercato (cioè tra consumatori e produttori) e come questa si traduce in termini di
benessere.

65
- Quando ragioniamo, invece, sul gettito (T) e sulla perdita secca per l’intera collettività, cioè
sull’eccesso di pressione, introduciamo delle considerazioni maggiormente legate al profilo
dell’efficienza. La somma delle risorse che vengono sottratte ai consumatori (ABpp*) e ai produttori
(AC p N p*) eccede il gettito (ammontare di risorse che viene acquisito dallo Stato) che viene,
invece, acquisito dal settore pubblico (BC p N p). L’eccedenza di risorse, che graficamente
corrisponde all’area del triangolo ABC, rappresenta l’eccesso di pressione (o perdita secca per la
collettività), cioè la perdita di benessere per la collettività associata al mancato sfruttamento di
tutti i vantaggi derivabili dallo scambio. La riduzione della quantità scambiata da q* a q implica
che la quantità q∗−q dopo l’introduzione dell’imposta non verrà più scambiata sul mercato. Ne
deriva, quindi, si perde una parte delle unità del bene scambiato, per le quali i compratori
avrebbero derivato dal consumo di queste unità di bene un beneficio maggiore di quello che è il
costo di produzione di questo bene. Da ciò deriva la riduzione del benessere del soggetto.
L’introduzione di un’imposta determina una distorsione artificiosa delle scelte di consumo del
soggetto poiché il consumatore, al fine di eludere il pagamento dell’imposta che colpisce il bene
che consuma, dovrà sostituire il bene tassato con un altro oppure consumare una minore quantità
del bene soggetto a tassazione, modificando così le proprie scelte in termini di consumo.
- Le imposte sono pagate in misura maggiore da parte degli individui che sono meno propensi a
ridurre il consumo del bene tassato all’aumentare del prezzo del bene stesso. Quando la curva di
domanda (o di offerta) è ANELASTICA (cioè poco sensibile alle variazioni di prezzo del bene),
allora il soggetto coinvolto sarà meno propenso a ridurre il consumo del bene soggetto a
tassazione e, quindi, a sostituirlo con il bene non tassato. Ne deriva, quindi, che il gettito d’imposta,
rappresentato dall’area del rettangolo BC p N p, sarà maggiore, mentre si riduce l’eccesso di
pressione (Area ABC) dal momento che la distorsione che viene creata è minore. Al contrario,
quando la curva di domanda (o di offerta) è ELASTICA (cioè particolarmente sensibile alle
variazioni di prezzo del bene tassato), i soggetti del mercato riescono più facilmente ad eludere
l’imposta poiché tendono a sostituire il bene soggetto a tassazione con uno meno caro. Ne deriva,
quindi, che il gettito d’imposta, rappresentato dall’area del rettangolo BC p N p, sarà minore ma che
l’eccesso di pressione, rappresentato dall’area del triangolo ABC, sarà maggiore poiché si riduce il
benessere sociale.
- Esistono delle forme di tassazione che possono ridurre solamente il potere d’acquisto dei soggetti
(creando l’EFFETTO REDDITO), lasciando inalterati i prezzi relativi dei beni, ovvero delle imposte
che possono provocare l’eccesso di pressione? Una imposta che potrebbe non creare effetti
distorsivi dal punto di vista dell’efficienza è la LUMP SUM TAX, cioè un’imposta in somma fissa a
testa che grava sui contribuenti non tanto in funzione della loro attività di lavoro e di consumo ma
in quanto essere cittadini e persone viventi. Le lump sum tax, cioè le imposte a somma fissa,
potrebbero non creare distorsioni nel breve periodo perché non possono essere eluse (per poterle
evitare bisognerebbe emigrare) ma potrebbero comunque creare delle distorsioni nel lungo

66
periodo, dal momento che incidono sulle decisioni di pianificazione futura dei soggetti. Per
esempio, questa tipologia di imposta potrebbe influenzare la pianificazione delle nascite, poiché gli
individui potrebbero decidere di fare meno figli per pagare così meno tasse (meno teste meno
tasse). Ciò potrebbe avere anche degli effetti sull’offerta di lavoro nel lungo periodo. Nel breve
periodo l’imposta fissa non crea distorsioni e riduce il reddito disponibile dei soggetti (Effetto
reddito). L’effetto reddito, in questo caso, determinerebbe uno spostamento in parallelo della retta
di bilancio, cioè la pendenza della retta di bilancio non cambierebbe in seguito ad una variazione
del prezzo dei beni in termini relativi. In sintesi, questa tipologia di imposta nel breve periodo
causerebbe solo un effetto reddito e non un effetto sostituzione (cioè una variazione dei prezzi
relativi dei beni). Quali sono però gli effetti in termini di efficienza e di equità di questa forma di
imposizione fiscale? Da un lato questa tipologia di imposta non determina degli effetti in termini di
efficienza poiché, non modificando i prezzi relativi dei beni, non si crea una distorsione artificiosa
del livello dei prezzi e, quindi, delle scelte degli individui, mentre dall’altro ci potrebbero essere
degli effetti distorsivi importanti. Infatti, questa tipologia di imposta potrebbe essere regressiva,
ovvero potrebbe andare a gravare in misura maggiore quanto più povero è il contribuente e quanto
più numerosa è la sua famiglia. Dal punto di vista dell’efficienza, la lump sum tax potrebbe
rappresentare una soluzione adatta ad evitare le distorsioni degli agenti nel mercato, però è un tipo
di imposizione fiscale che presenta dei problemi dal punto di vista dell’equità, dal momento che è
un’imposta pregressiva che colpisce maggiormente gli individui poveri e i soggetti con un numero
di componenti della famiglia elevato. Nel 1980 Margaret Thatcher introdusse nel Regno Unito la
poll tax, cioè una forma di imposta a somma fissa che colpiva gli iscritti alle liste elettorali. Questa
imposta che non poteva così essere elusa provocò un grave dissenso popolare, poiché ebbe degli
effetti sulle fasce di cittadini più deboli.

67
Eccesso di pressione: il singolo consumatore

Consideriamo un consumatore che spende il proprio reddito nell’acquisto di due beni: q e M.


Supponiamo di introdurre un’imposta ad valorem su un certo bene q, di aliquota t e interamente
a carico del consumatore.
Come conseguenza dell’introduzione dell’imposta il prezzo di mercato pagato dal consumatore
per acquistare il bene aumenta da p a p ×( 1+t e ) .
L’obiettivo è calcolare una misura monetaria della variazione (riduzione) del benessere del
consumatore a seguito dell’introduzione dell’imposta, per capire meglio graficamente i concetti
di perdita del benessere del soggetto e di eccesso di pressione.
La variazione equivalente è la quantità massima di reddito a cui l’individuo sarebbe disposto
a rinunciare per evitare l’aumento del prezzo del bene, a seguito dell’introduzione dell’imposta.
La figura 7.2 rappresenta il confronto tra l’imposta sul singolo bene q e un’imposta uniforme sul
bene composito (M).
Il soggetto può spendere il proprio reddito nell’acquisto di due beni: q (riportato sull’asse
orizzontale) e M (bene composito, cioè una combinazione di tutti gli altri beni, che è riportato,
invece, sull’asse verticale).
L’asse orizzontale riporta la quantità di un bene di consumo q, mentre l’asse verticale il bene
composito M che rappresenta “tutti gli altri beni”. Se tale bene viene considerato come
numerario (€), l’intercetta M della retta di bilancio rappresenta il reddito dell’individuo espresso
in moneta.
La retta di bilancio Y rappresenta l’insieme dei panieri che un consumatore può acquistare
spendendo tutto il suo reddito disponibile.
La curva di indifferenza che unisce un insieme di panieri di consumo che danno al
consumatore lo stesso livello di soddisfazione è pari a U 1.
In corrispondenza del punto in cui la curva di indifferenza U 1 è tangente alla retta di bilancio Y,
cioè A(q*, M*), il consumatore acquista la quantità q* del bene q, destinando il reddito M*
all’acquisto di tutti gli altri beni. Il paniere (q*, M*) gli assicura un livello di benessere U 1.
A seguito dell’introduzione di un’imposta ad valorem sul bene q di aliquota t e a carico dei
compratori, il prezzo di mercato pagato dal consumatore per acquistare il bene aumenta da p
a p ×(1+ t e ) . Il vincolo di bilancio Y ruota verso l’interno da Y a Y ‘ usando il punto M come
perno poiché, dal momento che l’imposta viene applicata sul bene q, anche dopo l’introduzione
dell’imposta sul bene q il soggetto in una soluzione d’angolo continuerà a consumare la stessa
quantità del bene M che consumava prima dell’imposta. In corrispondenza della soluzione
d’angolo la quantità consumata del bene q è nulla, cioè q=0. In questo caso, la retta di bilancio

68
Y non si sposta parallelamente verso il basso ma ruota verso l’interno utilizzando M come
perno, come conseguenza della variazione del prezzo pagato dai consumatori.
In corrispondenza del punto di tangenza tra la curva di indifferenza U 2 e il nuovo vincolo di
bilancio Y’, cioè B (q1, M*), la quantità ottima scambiata nel mercato a seguito dell’introduzione
di un’imposta (q1) è minore della quantità ottimale q* prima dell’introduzione dell’imposta. Al
nuovo prezzo l’individuo massimizza il proprio benessere nel punto B acquistando la quantità
q1. Il livello di benessere del consumatore è ora rappresentato dalla curva di indifferenza U 2.
La quantità ottima consumata del bene M rimane M* (come nel punto A), poiché l’introduzione
dell’imposta sul bene q non ha modificato il prezzo del bene composito M e, quindi, la scelta
del consumatore di consumare il bene M.
In corrispondenza del punto B il soggetto è in una situazione peggiore rispetto a quella del
punto A, poiché si trova su una curva di indifferenza ( U 2 ) più bassa rispetto alla curva di
indifferenza U 1.
L’obiettivo è capire se l’introduzione del tributo ha comportato per il soggetto una riduzione
dell’utilità, e quindi del suo benessere, superiore all’onere fiscale del tributo che è stato
introdotto. Per fare ciò dobbiamo:

1. Identificare il carico tributario che subisce il soggetto nel momento in cui viene
introdotta l’imposta. L’onere fiscale del tributo, cioè il gettito d’imposta (T), è pari alla
distanza verticale tra il vincolo di bilancio prima dell’imposta (Y) e il vincolo di bilancio dopo
l’introduzione dell’imposta (Y’). Ne deriva, quindi, che M M 1=¿ Gettito d’imposta=Imposta
pagata.

2. Identificare una misura monetaria della perdita di benessere del soggetto (VARIAZIONE
EQUIVALENTE). La variazione equivalente è la quantità massima di reddito cui l’individuo
sarebbe disposto a rinunciare per evitare l’aumento del prezzo, a seguito dell’introduzione
dell’imposta.

Ipotizziamo di ridurre il reddito del soggetto per vedere la quantità massima di reddito cui
l’individuo rinuncerebbe per evitare l’incremento del prezzo, a seguito dell’imposta. Una
diminuzione del reddito disponibile del soggetto comporta uno spostamento parallelo verso
l’interno della retta da bilancio da Y a Y’’.
In corrispondenza del punto di tangenza C tra la curva di indifferenza U 2e la retta di bilancio Y’’,
l’individuo è caratterizzato dallo stesso livello di benessere del punto B (poiché si trova sulla stessa
curva di indifferenza del punto B (U 2)), ma da un livello di reddito inferiore rispetto a quello del
punto di tangenza B. Nel punto C, al prezzo p antecedente l’introduzione dell’imposta, un reddito
monetario pari a M2 garantisce al soggetto lo stesso livello di benessere che in B, al prezzo

69
p ×(1+ t e ) , gli assicura un reddito M. La distanza M M 2 rappresenta pertanto la quantità massima
di reddito cui l’individuo sarebbe disposto a rinunciare per evitare l’aumento del prezzo, a seguito
dell’imposta: si tratta dunque di una misura monetaria della variazione di benessere prodotta
dall’imposta. A tale grandezza si dà il nome di variazione equivalente. Il danno in moneta che il
soggetto subisce a seguito dell’introduzione dell’imposta, cioè la variazione equivalente ( M M 2 ), è
maggiore del gettito ricavato dall’imposta ( M M 1). Ne deriva, quindi, che l’eccesso di pressione
è pari alla differenza tra la variazione equivalente (cioè la riduzione in termini economici del
benessere del soggetto a seguito dell’introduzione dell’imposta → M M 2) e il gettito d’imposta che
viene generato dall’imposta stessa ( M M 1), ovvero M 1 M 2=M M 2−M M 1. Questo ragionamento
ci ha, quindi, permesso di identificare l’eccesso di pressione tramite la valutazione in termini
monetari della perdita di benessere del soggetto a seguito dell’introduzione dell’imposta.

Il gettito d’imposta (T) è definito dalla distanza verticale tra la retta di bilancio prima dell’imposta
(Y) e la retta di bilancio Y’’’ parallela alla retta di bilancio Y (ottenuta traslando parallelamente
verso l’interno la linea di bilancio originaria a seguito di una riduzione del benessere del
consumatore), ovvero M −M 1=¿ Gettito d’imposta.
L’imposta unitaria è pari alla distanza M M 2.
La variazione equivalente è la quantità massima di reddito cui l’individuo sarebbe disposto a
rinunciare per evitare l’aumento del prezzo, a seguito dell’introduzione dell’imposta. Da un punto di
vista grafico la variazione equivalente è pari alla distanza M −M 2=¿ Variazione equivalente

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L’eccesso di pressione è pari alla differenza tra la variazione equivalente (cioè la riduzione in
termini economici del benessere del soggetto a seguito dell’introduzione dell’imposta → M M 2) e il
gettito d’imposta ( M M 1),ovvero M 1 M 2=M M 2−M M 1.
A seguito dell’introduzione di un’imposta distorsiva sul bene q, la quantità scambiata del bene q si
riduce da q* a q1 per due ragioni:
1. Diminuzione del reddito del soggetto e, quindi, della sua disponibilità a pagare →
Effetto reddito
2. Il bene oggetto d’imposta q diventa meno conveniente rispetto al bene composito M,
per cui il consumatore deciderà di ridurre la quantità consumata di quel bene divenuto
più caro → Effetto sostituzione

Eccesso di pressione: a cosa è dovuto?

L’individuo può ridurre, al limite anche annullare, l’imposta modificando le proprie scelte. In
particolare, il soggetto può decidere di ridurre il consumo del bene oggetto d’imposta oppure di
sostituirlo con un altro bene, eludendo così l’imposta in modo parziale o totale. Allo stesso tempo,
però, anche se l’individuo decide di non consumare più il bene oggetto d’imposta comunque dovrà
sopportare una certa riduzione di benessere che è causata dal fatto che l’introduzione dell’imposta
ha causato una diversa allocazione delle risorse e, quindi, una distorsione delle scelte del soggetto
(eccesso di pressione).
L’eccesso di pressione è associato all’effetto sostituzione. L’effetto sostituzione genera un
cambiamento nelle scelte allocative delle risorse dei soggetti, il quale a sua volta genera l’eccesso
di pressione (o perdita secca del benessere della collettività). Imposte che provocano solo un
effetto reddito, cioè uno spostamento parallelo della retta di bilancio, non producono eccesso di
pressione.
Se riuscissimo a trovare un’imposta che causa un effetto reddito ma non un effetto sostituzione,
allora riusciremmo a non generare queste distorsioni e, quindi, a non generare l’eccesso di
pressione. In questo caso si parla di neutralità dell’imposta. Le imposte che provocano
solamente un effetto reddito e, quindi, di conseguenza uno spostamento parallelo della linea di
bilancio non generano un eccesso di pressione; queste imposte sono neutrali, poiché la loro
introduzione non comporta un effetto sostituzione (per cui di conseguenza non si genera una
distorsione nell’allocazione delle risorse dei soggetti).

Un’imposta neutrale nel mercato dei beni

Supponiamo di intervenire con un’imposta ad aliquota uniforme che colpisce entrambi i beni
considerati. Un’imposta ad aliquota uniforme su entrambi i beni considerati non distorce la scelta
allocativa delle risorse e, quindi, di conseguenza comporta uno spostamento in parallelo del
71
vincolo di bilancio e ciò non dovrebbe causare un eccesso di pressione. La figura 7.3 mostra il
caso di un’imposta neutrale nel mercato dei beni. In questo grafico si confronta l’imposta sul
singolo bene q con un’imposta uniforme che colpisce anche “tutti gli altri beni”.
L’asse orizzontale riporta la quantità di un bene di consumo q, mentre l’asse verticale il bene
composito M che rappresenta “tutti gli altri beni”. Se tale bene viene considerato come numerario
(€), l’intercetta M della retta di bilancio rappresenta il reddito dell’individuo espresso in moneta.
In corrispondenza del punto in cui la curva di indifferenza U 1 è tangente alla retta di bilancio Y,
cioè A(q*, M*), il consumatore acquista la quantità q* del bene q, destinando il reddito M*
all’acquisto di tutti gli altri beni. Il paniere (q*, M*) gli assicura un livello di benessere U 1.
A seguito dell’introduzione di un’imposta ad valorem sul bene q a carico del compratore il
prezzo del bene q aumenta da p a p ×( 1+t e ) , con conseguente rotazione del vincolo di bilancio
verso l’interno da Y a Y’.
In corrispondenza del punto di tangenza tra la curva di indifferenza U 2 e il nuovo vincolo di bilancio
Y’, cioè B (q1, M*), la quantità ottima scambiata nel mercato a seguito dell’introduzione di
un’imposta (q1) è minore della quantità ottimale q* prima dell’introduzione dell’imposta. Al nuovo
prezzo l’individuo massimizza il proprio benessere nel punto B acquistando la quantità q1. Il livello
di benessere del consumatore è ora rappresentato dalla curva di indifferenza U 2.
Consideriamo due ≠ casi:
1. Imposta ad aliquota uniforme (t e ' ' ) su entrambi i beni considerati (q e M) che provoca al
consumatore la stessa perdita di benessere. Inizialmente la curva di indifferenza U 1 è
tangente alla retta di bilancio Y in corrispondenza del punto A. L’introduzione di un’imposta ad
aliquota uniforme su entrambi i beni considerati (q e M) non modifica l’allocazione delle risorse
del soggetto (cioè la pendenza della retta di bilancio). Ne deriva, quindi, che la retta di bilancio
si sposterà parallelamente verso l’interno da Y a Y’’ tanto da produrre una stessa perdita di
benessere. La retta di bilancio Y si sposta parallelamente verso l’interno, poiché l’imposta ad
aliquota uniforme non altera il prezzo relativo del bene q rispetto a quello di “tutti gli altri beni”.
La retta di bilancio Y’’ è tangente alla curva di indifferenza U 2 (che è la curva di indifferenza
tangente alla retta di bilancio Y’ nel punto B), per l’ipotesi che essa arrechi al consumatore un
danno pari a quello dell’imposta sul singolo bene. Il gettito d’imposta è pari alla distanza
verticale tra la retta di bilancio prima dell’imposta (Y) e la retta di bilancio dopo l’imposta (Y’’),
ovvero M −M 1=¿ Gettito d’imposta. La variazione equivalente è la quantità massima di
reddito cui l’individuo sarebbe disposto a rinunciare per evitare l’aumento del prezzo, a seguito
dell’introduzione dell’imposta. Da un punto di vista grafico la variazione equivalente, che si
ottiene spostando la retta di bilancio parallelamente verso l’interno da Y a Y’’, è pari alla
distanza M −M 1=¿ Variazione equivalente. Nel punto di tangenza C, gettito d’imposta (T) e
variazione equivalente del soggetto sono eguali (e pari a M −M 1): non vi è, quindi, eccesso di

72
pressione. A parità di benessere per il consumatore (per ipotesi U 2arreca al consumatore un
danno pari a quello dell’imposta sul singolo bene), ovvero a parità di perdita di benessere per
il consumatore (la variazione equivalente nel caso di imposta distorsiva M −M 2 coincide con
la variazione equivalente nel caso di imposta neutrale M −M 1), lo Stato incassa un maggior
gettito pari a M −M 1 rispetto al caso di imposta distorsiva ( M −M 1) della figura 7.2. In sintesi,
in questo caso abbiamo un guadagno in termini di efficienza introducendo un’imposta ad
aliquota uniforme che provoca al consumatore la stessa perdita di benessere del soggetto,
rispetto a quella dell’imposta distorsiva. Possiamo inoltre osservare che il gettito d’imposta nel
caso di un’imposta ad aliquota uniforme che colpisce entrambi i beni di consumo è maggiore
di quello determinato, invece, nel caso di un’imposta distorsiva applica ad un solo bene. Ne
deriva, quindi, che in questo caso c’è un maggior vantaggio in termini di gettito per l’ente
Stato.

2. Imposta ad aliquota uniforme (t e ' ' ' ) su entrambi i beni considerati (q e M) che genera lo
stesso gettito d’imposta di un’imposta distorsiva. Il gettito nel caso di imposta distorsiva è
pari alla distanza verticale tra la retta di bilancio prima dell’imposta (Y) e la retta di bilancio
dopo l’imposta, ovvero M −M 2. L’introduzione di un’imposta ad aliquota uniforme su entrambi
i beni considerati (q e M) determina uno spostamento della retta di bilancio parallelamente
verso il basso da Y a Y’’’ tanto quanto da raggiungere lo stesso livello di gettito ( M −M 2). La
retta di bilancio a seguito dell’imposta (Y’’’) è tangente alla curva di indifferenza U 3 in
corrispondenza del punto D. La distanza verticale tra la retta di bilancio prima dell’imposta (Y)
e la retta di bilancio dopo l’imposta ad aliquota uniforme (Y’’’) è esattamente pari al gettito
d’imposta, ovvero M −M 2. Nel caso di un’imposta ad aliquota uniforme su entrambi i beni
considerati il gettito d’imposta (T) coincide con il gettito d’imposta nel caso di un’imposta
distorsiva su un singolo prodotto. In questo caso, però il gettito d’imposta ( M −M 2) coincide
con la variazione equivalente, cioè il danno economico attribuito alla perdita del benessere del
soggetto provocato dall’introduzione dell’imposta. Possiamo osservare che, a parità di gettito (
M −M 2), nel caso di un’imposta ad aliquota uniforme su entrambi i beni considerati il
benessere del soggetto è migliore, cioè il soggetto di trova su una curva di indifferenza più alta
(U 3 ) rispetto a quella relativa ad un’imposta distorsiva (U 2), ovvero U 3 >U 2. La variazione
equivalente nel caso di un’imposta distorsiva ( M −M 1) è maggiore rispetto a quella di
un’imposta ad aliquota uniforme che colpisce entrambi i beni di consumo ( M −M 2), poiché
M −M 1 > M −M 2. Ne deriva, quindi, che il danno in moneta che il soggetto subisce a seguito
dell’introduzione dell’imposta, cioè la variazione equivalente nel caso di un’imposta ad aliquota
uniforme che colpisce entrambi i beni di consumo ( M −M 2) sia minore di quella relativa al

73
caso di un’imposta distorsiva ( M −M 1). In sintesi, l’introduzione di un’imposta ad aliquota
uniforme che genera lo stesso livello di utilità generato nel caso di un’imposta distorsiva
determina un incremento del benessere dei soggetti e, quindi, una maggiore utilità di questi.

In entrambi i casi analizzati l’introduzione di un’imposta ad aliquota uniforme non crea un eccesso
di pressione ed inoltre lascia la comunità più ricca, in un caso in termini di maggiore gettito (1 °
caso) e nell’altro caso in termini di maggiore benessere per i soggetti (2° caso).
L’imposta ad aliquota uniforme su entrambi i beni considerati equivale ad un’imposta sul reddito.
Ne deriva, quindi, che l’introduzione di un’imposta sul reddito (imposta diretta) conduce allo stesso
risultato ottenuto con un’imposta ad aliquota uniforme. L’introduzione di un’imposta sul reddito
determina una riduzione del reddito disponibile del soggetto, cioè una diminuzione del suo potere
d’acquisto, con conseguente spostamento parallelo del vincolo di bilancio dell’individuo. Al
contrario dell’imposta distorsiva, l’imposta sul reddito non distorce l’allocazione delle risorse dei
soggetti e, quindi, non crea l’eccesso di pressione. Il Teoria di Barone dimostrò la superiorità
dell’imposizione diretta rispetto a quella indiretta sulla base della neutralità dell’imposizione
diretta. L’assunzione da cui si partiva era la seguente: di fronte ad uno stesso ammontare di
risorse ottenute dal governo, cioè a parità di gettito, la situazione finale di benessere dei
consumatori doveva essere la stessa. Il Teorema di Barone, in realtà, dimostrò che il benessere
del consumatore dopo l’introduzione di un’imposta indiretta sui beni è inferiore rispetto al
benessere del consumatore dopo l’introduzione di un’imposta diretta sul reddito. I risultati che
abbiamo ottenuto con l’introduzione di un’imposta ad aliquota uniforme, quindi, sono gli stessi che
otterremmo introducendo invece un’imposta sul reddito, in particolare il vincolo di bilancio si
sposterebbe parallelamente verso il basso. L’introduzione di un’imposta ad aliquota uniforme che
genera lo stesso gettito d’imposta di un’imposta distorsiva determina un incremento del benessere
dei soggetti. Questo risultato è esattamente quello teorizzato dal Teorema di Barone, cioè che
un’imposta indiretta causa una distorsione maggiore di un’imposta diretta sul reddito. In sintesi,
l’introduzione di un’imposta sul reddito riduce l’ammontare delle risorse disponibili per la
collettività (in questo caso dei soggetti consumatori) ma non modifica i prezzi relativi dei beni. Ne
deriva, quindi, che un’imposta sul reddito determina solo un effetto reddito (ER) e non un effetto
sostituzione (ES). L’introduzione di un’imposta indiretta sui singoli bene, come quella considerata
nella figura 7.2 (imposta ad valorem sul bene q), determina non soltanto una riduzione delle
risorse disponibili (reddito) dei soggetti in termini di effetto reddito (ER) ma, allo stesso tempo,
anche un aumento del prezzo dei beni tassati rispetto ai prezzi degli altri beni. A seguito
dell’aumento del prezzo dei beni tassati, la quantità scambiata del bene oggetto d’imposta sarà
minore rispetto a quella dell’altro bene. Ciò determina, quindi, una distorsione artificiosa dei prezzi
al consumo tra due beni e, quindi, una diversa allocazione delle risorse attribuibile all’effetto
sostituzione (ES).

74
La critica che fu mossa al Teorema di Barone riguarda era che l’ipotesi di superiorità
dell’imposizione diretta rispetto all’imposizione indiretta si basava su delle assunzioni troppo
semplicistiche. Tra queste assunzioni rientrava quella che prevedeva un’offerta di lavoro fissa.
Un’imposta sul reddito potrebbe anche essere vista come un’imposta indiretta sul lavoro (il lavoro
è il fattore che genera il reddito) o come un’imposta indiretta sul risparmio (il risparmio dipende dal
reddito). Se consideriamo l’imposta sul reddito come un’imposta indiretta sul lavoro oppure come
un’imposta indiretta sul risparmio, allora non è detto che quest’imposta non determini delle
distorsioni. La tassazione del reddito potrebbe, da un lato, ridurre il tasso netto di salario, ovvero
la remunerazione del numero di ore di lavoro (per cui i lavoratori potrebbero modificare la propria
scelta tra lavoro e tempo libero) e dall’altro, invece, rendere più faticoso il risparmio, per cui va ad
aumentare il prezzo di offerta sul mercato e, quindi, il tasso di interesse che viene richiesto dai
prestatori di fondi per dare a prestito risorse. Ne deriva, quindi, che per determinare gli effetti
dell’introduzione di un’imposta bisognerebbe tenere conto di diverse variabili, tra le quali rientrano:
la scelta del soggetto lavoratore tra lavoro e tempo libero, la scelta del soggetto risparmiatore in
termini di consumo e risparmio.

Eccesso di pressione: il mercato

L’eccesso di pressione, che si genera a seguito dell’effetto sostituzione, dipende da:


1. Ammontare dell’imposta unitaria→ τ
2. Contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato causata dall’imposta
→ q−q∗¿. A sua volta, la riduzione della quantità scambiata sul mercato a seguito

75
dell’introduzione dell’imposta dipende dall’elasticità della domanda (ηd ) e dall’elasticità
dell’offerta (η s).
La figura 7.4 mostra come l’eccesso di pressione dipende dall’imposta unitaria e dalla
contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato.
La curva di domanda (D) è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta (S) è inclinata
positivamente.
In corrispondenza del punto di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta A( q∗, p∗¿), cioè dove
la curva di domanda (D) incontra la curva di offerta, la quantità di equilibrio scambiata sul mercato
è pari a q∗¿ e il prezzo di equilibrio è, invece, pari a p∗¿.
L’introduzione di un’imposta unitaria specifica a carico del venditore determina uno spostamento
parallelo verso l’alto della curva di offerta da S a S’, dal momento che l’imposta rappresenta per il
venditore un costo aggiuntivo. Il prezzo di riserva, cioè il prezzo minimo al quale il venditore sarà
disposto a cedere il bene prodotto, sarà pari alla somma del costo di produzione (S) più l’imposta (
τ ).
La curva di offerta S’ si ottiene sommando verticalmente alla curva di offerta originaria (S)
l’ammontare dell’imposta (τ ).
In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio B, cioè dove la curva di domanda (D) incontra la
curva di offerta dopo l’imposta (S’), la quantità scambiata del bene è minore rispetto a quella
precedente l’introduzione dell’imposta e il nuovo prezzo di equilibrio dopo l’introduzione
dell’imposta è maggiore rispetto al prezzo di equilibrio del punto di equilibrio A.
L’eccedenza di risorse, che graficamente corrisponde all’area del triangolo ABC, rappresenta
l’eccesso di pressione (o perdita secca per la collettività), cioè la perdita di benessere per la
collettività associata al mancato sfruttamento di tutti i vantaggi derivabili dallo scambio.

L’eccesso di pressione (EC) è, quindi, rappresentato graficamente dall’area del triangolo ABC.
L’obiettivo della nostra analisi è dimostrare perché l’eccesso di pressione dipende dall’ammontare
dell’imposta unitaria (τ ) e dalla contrazione della quantità scambiata sul mercato, a seguito
dell’introduzione dell’imposta (q−q∗¿ ). La base del triangolo ABC corrisponde all’ammontare
dell’imposta unitaria (τ = p− p N ) che è stata introdotta. L’altezza del triangolo, invece, è pari alla
contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato a seguito dell’introduzione
dell’imposta (q−q∗¿ ), cioè la differenza tra la quantità di equilibrio scambiata sul mercato prima
dell’introduzione dell’imposta (q∗¿ ) e la quantità di equilibrio scambiata sul mercato dopo
l’introduzione dell’imposta (q ). Tanto maggiore è la differenza tra la quantità di equilibrio scambiata
sul mercato prima l’introduzione dell’imposta (q∗¿ ) e la quantità di equilibrio scambiata sul
mercato dopo l’introduzione dell’imposta (q ) e tanto maggiore sarà l’eccesso di pressione.

76
La figura 7.5 mostra come l’eccesso di pressione dipende dall’imposta unitaria (τ ).
La curva di domanda (D) è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta (S) è
inclinata positivamente.
In corrispondenza del punto di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta A( q∗, p∗¿),
cioè dove la curva di domanda (D) incontra la curva di offerta, la quantità di equilibrio
scambiata sul mercato è pari a q∗¿ e il prezzo di equilibrio è, invece, pari a p∗¿.
L’introduzione di un’imposta τ e poi di un’imposta τ ' =2 ×τ ci dà qualche informazione in
merito alla più o meno linearità della relazione tra eccesso di pressione e imposta unitaria,
cioè in che modo l’uno dipende dall’altra.
A seguito dell’introduzione di un’imposta unitaria specifica sul venditore (τ ), la curva di
offerta S si sposta parallelamente verso l’alto di un ammontare esattamente pari all’imposta
unitaria (τ ) da S a S’. L’introduzione dell’imposta unitaria τ genera l’eccesso di pressione
rappresentato dall’area del triangolo ABC, e che indichiamo con α .
Vediamo che cosa succede se, invece, partendo dal punto di equilibrio A prima
dell’introduzione dell’imposta introduciamo un’imposta τ ' =2 ×τ . L’introduzione dell’imposta
τ ' =2 ×τ determina uno spostamento parallelo verso l’alto della curva di offerta originaria
(S) di un ammontare esattamente pari all’imposta τ ' =2 ×τ da S a S’’. Ne deriva, quindi,
che la distanza DE è esattamente pari a due volte la distanza BC, ovvero
τ ' =2 ×τ =DE=2 × BC .
La curva di domanda (D) incontra la curva di offerta dopo l’imposta (S’’) in corrispondenza
del punto di equilibrio D. In questo caso, l’eccesso di pressione (EC) sarà esattamente pari
all’area del triangolo ADE, che a sua volta è esattamente pari alla somma dei quattro
triangoli ABC. L’area del triangolo ADE è pari alla somma delle aree dei quattro triangoli,
ovvero:
77
Area del triangolo ADE=α + β+ γ + δ

Possiamo, quindi, osservare che se l’imposta raddoppia (da τ a τ ' ) allora l’eccesso di
pressione (EC) cresce di quattro volte. In sintesi, non solo l’eccesso di pressione dipende
dall’ammontare dell’imposta unitaria (τ ) ma, se l’imposta raddoppia, allora l’eccesso di
pressione (EP) quadruplica.

Consideriamo la relazione tra l’eccesso di pressione (EP) e la contrazione della quantità di


equilibrio scambiata sul mercato a seguito dell’introduzione dell’imposta, la quale a sua volta
dipende dall’elasticità della domanda (ηd ) e dall’elasticità dell’offerta (η s). In particolare, la figura
7.6 considera la relazione tra l’eccesso di pressione (EP) e l’elasticità della domanda (ηd ).
La curva di domanda più elastica è D1, mentre la curva di domanda meno elastica
(anelastica o inelastica), cioè quella più rigida, è D2.
La curva di offerta prima dell’introduzione dell’imposta (S) è inclinata positivamente.
Che cosa succede in termini di eccesso di pressione (EP) quando, a seguito
dell’introduzione della stessa imposta (τ ), ragioniamo prima con una curva di domanda più
elastica ( D 1) e poi con una curva di domanda meno elastica ( D2)?
In corrispondenza del punto di equilibrio A, cioè dove la curva di domanda più elastica ( D 1)
incontra la curva di offerta prima dell’introduzione dell’imposta (S), la quantità di equilibrio
scambiata sul mercato prima dell’introduzione dell’imposta è pari a q∗¿ .
78
L’introduzione di un’imposta specifica a carico dei venditori (τ ) determina uno spostamento
della curva di offerta parallelo verso l’alto da S a S’ di un ammontare esattamente pari
all’imposta unitaria τ .
In corrispondenza del punto di equilibrio D, cioè dove la curva di domanda D 1incontra la
curva di offerta dopo l’imposta (S’), la quantità di equilibrio scambiata sul mercato ( q 1) è
minore della quantità di equilibrio scambiata sul mercato prima dell’introduzione
dell’imposta (q∗¿ ), cioè q 1< q∗¿. L’eccesso di pressione (EP) è esattamente pari all’area
del triangolo ADE. La contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato, a
seguito dell’introduzione dell’imposta, nel caso della curva di domanda più elastica ( D1) è
pari a q∗−q1.
Determiniamo, invece, la contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato (
q−q∗¿ ) e l’eccesso di pressione (EP) quando la curva di domanda è meno elastica.
In corrispondenza del punto di equilibrio A, cioè dove la curva di domanda più rigida ( D 2)
incontra la curva di offerta prima dell’introduzione dell’imposta (S), la quantità di equilibrio
scambiata sul mercato prima dell’introduzione dell’imposta è pari a q∗¿ .
L’introduzione di un’imposta specifica a carico dei venditori (τ ) determina uno spostamento
della curva di offerta parallelo verso l’alto da S a S’ di un ammontare esattamente pari
all’imposta unitaria τ .
In corrispondenza del punto di equilibrio B, cioè dove la curva di domanda D 2incontra la
curva di offerta dopo l’imposta (S’), la quantità di equilibrio scambiata sul mercato ( q 2) è
minore della quantità di equilibrio scambiata sul mercato prima dell’introduzione
dell’imposta (q∗¿ ), cioè q 2< q∗¿. L’eccesso di pressione (EP) è esattamente pari all’area
del triangolo ABC. La contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato, a
seguito dell’introduzione dell’imposta, nel caso della curva di domanda più rigida ( D 1) è pari
a q∗−q2.
Il triangolo ADE (che rappresenta l’eccesso di pressione nel caso di domanda più elastica)
è maggiore del triangolo ABC (che rappresenta l’eccesso di pressione nel caso di domane
meno elastica), cioè ADE>ABC. Ne deriva, quindi, che l’eccesso di pressione nel caso di
domanda più elastica ( D1) è maggiore dell’eccesso di pressione nel caso di domanda
meno elastica ( D 2). Dal punto di vista grafico, possiamo osservare che il triangolo ADE
(cioè l’eccesso di pressione nel caso di domanda più elastica → EP D 1) e il triangolo ABC
(cioè l’eccesso di pressione nel caso di domanda meno elastica → EP D 2) hanno la stessa
base τ =BC=DE . Ne deriva, quindi, che ciò che differenzia i triangoli ADE e ABC è
l’altezza. L’area del triangolo ADE è maggiore dell’area del triangolo ABC, poiché ha
un’altezza maggiore rispetto a quella del triangolo ABC. Ciò significa che la contrazione

79
della quantità di equilibrio scambiata sul mercato ( q∗−q1), a seguito dell’introduzione
dell’imposta nel caso di una domanda più elastica, è maggiore della contrazione della
quantità di equilibrio scambiata sul mercato (q∗−q2), a seguito dell’introduzione
dell’imposta nel caso di una domanda meno elastica.
Nel caso di una domanda più elastica il consumatore è più propenso a sostituire il bene
oggetto d’imposta (divenuto, quindi, più caro) con un altro bene. Ne deriva, quindi, che il
gettito d’imposta, cioè le risorse corrisposte allo Stato dopo l’introduzione dell’imposta, sarà
relativamente minore, poiché il soggetto cercherà di eludere il pagamento dell’imposta
sostituendo i beni tassati con altri beni e, quindi, pagherà una minore imposta. Allo stesso
tempo, però, la perdita secca di benessere per la collettività (o eccesso di pressione) sarà
maggiore, dal momento che l’introduzione di un’imposta sul bene consumato crea una
maggiore distorsione delle scelte del consumatore.
Al contrario, nel caso di una domanda meno elastica il consumatore ridurrà, ma di poco, la
quantità consumata del bene oggetto d’imposta. Ne deriva, quindi, che l’imposta pagata,
cioè il gettito d’imposta, sarà maggiore, dal momento che il soggetto continuerà a
consumare il bene tassato si accollerà l’imposta. Allo stesso tempo, però, la perdita secca
di benessere per la collettività (o eccesso di pressione) sarà minore, dal momento che
l’introduzione di un’imposta sul bene consumato non influenza particolarmente le scelte del
consumatore.

La figura 7.7 considera la relazione tra l’eccesso di pressione (EP) e l’elasticità dell’offerta (η s).
La curva di domanda D è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta S è inclinata
positivamente.
L’asse orizzontale riporta la quantità del bene, mentre l’asse verticale il prezzo.
La curva di offerta più elastica è S1, mentre la curva di offerta meno elastica (anelastica o
inelastica), cioè quella più rigida, è S2.

80
In corrispondenza del punto di equilibrio A, cioè dove la curva di offerta più elastica ( S1)
incontra la curva di domanda prima dell’introduzione dell’imposta (D), la quantità di
equilibrio scambiata sul mercato prima dell’introduzione dell’imposta è pari a q∗¿ .
L’introduzione di un’imposta specifica a carico dei compratori determina uno spostamento
parallelo verso il basso della curva di domanda di un ammontare esattamente pari
all’imposta τ da D a D’.
La curva di domanda dopo l’introduzione dell’imposta (S’) è pari alla differenza verticale tra
la curva prima dell’imposta (D) e l’ammontare dell’imposta (τ ).
In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio E, dove la curva di domanda dopo l’imposta
(D’) incontra la curva di offerta più elastica S1, la quantità di equilibrio scambiata sul
mercato a seguito dell’introduzione dell’imposta (q 1) è minore della quantità di equilibrio
scambiata sul mercato prima dell’imposta (q∗¿ ), ovvero q 1< q∗¿.
Proiettando la quantità di equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta ( q 1) sulla curva di
domanda originaria (D) ricaviamo il punto D. L’area del triangolo ADE rappresenta
l’eccesso di pressione nel caso di una curva di offerta elastica ( S1). La contrazione della
quantità di equilibrio scambiata sul mercato, a seguito dell’introduzione dell’imposta, nel
caso della curva di offerta più elastica ( S1) è pari a q∗−q1. La base del triangolo ADE, cioè
DE, è esattamente pari all’imposta unitaria (τ ) . L’altezza del triangolo ADE, invece, è pari
alla contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato, cioè q∗−q1.
Consideriamo la curva di offerta anelastica ( S2). In corrispondenza del punto di equilibrio A,
cioè dove la curva di offerta più rigida ( S2) incontra la curva di domanda prima
dell’introduzione dell’imposta (D), la quantità di equilibrio scambiata sul mercato prima
dell’introduzione dell’imposta è pari a q∗¿ .
In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio C, dove la curva di domanda dopo l’imposta
(D’) incontra la curva di offerta più rigida S2, la quantità di equilibrio scambiata sul mercato
a seguito dell’introduzione dell’imposta (q 2) è minore della quantità di equilibrio scambiata
sul mercato prima dell’imposta (q∗¿ ), ovvero q 2< q∗¿.
Proiettando la quantità di equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta (q 2) sulla curva di
domanda originaria (D) ricaviamo il punto B. L’area del triangolo ABC rappresenta
l’eccesso di pressione nel caso di una curva di offerta anelastica ( S2). La contrazione della
quantità di equilibrio scambiata sul mercato, a seguito dell’introduzione dell’imposta, nel
caso della curva di offerta più rigida ( S2) è pari a q∗−q2. La base del triangolo ABC, cioè
BC, è esattamente pari all’imposta unitaria (τ ) . L’altezza del triangolo ABC, invece, è pari
alla contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato, cioè q∗−q2.

81
Possiamo osservare che l’area del triangolo ADE è maggiore dell’area del triangolo ABC,
cioè che l’eccesso di pressione nel caso di una curva di offerta più elastica ( S1) è maggiore
dell’eccesso di pressione nel caso di una curva di offerta anelastica ( S2), ovvero
EP S 1 > EP S 2 .
La contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato, a seguito dell’introduzione
dell’imposta, nel caso della curva di offerta elastica ( q∗−q1) è maggiore della contrazione
della quantità di equilibrio scambiata sul mercato, a seguito dell’introduzione dell’imposta,
nel caso di una curva di offerta anelastica (q∗−q2), ovvero (q∗−q1 ¿ >¿(q∗−q2).

Tra l’eccesso di pressione (EP) e l’imposta unitaria (τ ) c’è una relazione non lineare: se l’imposta
raddoppia, infatti, l’eccesso di pressione quadruplica.
La figura 7.8 rappresenta l’eccesso di pressione (EP) nel caso di costi costanti.
Consideriamo una curva di domanda (D) inclinata negativamente e una produzione a costi
costanti, ovvero una curva di offerta (S) con elasticità infinita (η s → ∞ ). Ne deriva, quindi, che la
curva di offerta (S) sia parallela all’asse orizzontale, in quanto PERFETTAMENTE ELASTICA.
In corrispondenza del punto di equilibrio E, cioè dove la curva di domanda (D) incontra la curva di
offerta (S), la quantità di equilibrio scambiata sul mercato è pari a q∗¿ .

82
L’introduzione di un’imposta specifica a carico dei venditori (τ ) determina uno spostamento
parallelo verso l’alto della curva di offerta di un ammontare esattamente pari all’imposta unitaria ( τ )
da S a S’.
In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio G dopo l’introduzione dell’imposta, cioè dove la
curva di domanda (D) incontra la curva di offerta dopo l’imposta (S’), la quantità di equilibrio
scambiata sul mercato, a seguito dell’imposta, è pari a q <q∗¿.
In questo caso, il prezzo netto che ricevono i venditori dopo l’applicazione dell’imposta ( p N )
coincide con il prezzo di mercato prima dell’applicazione dell’imposta ( p∗¿), cioè p N = p∗¿.
Essendo τ = p− p∗¿, il prezzo di mercato ( p) cresce dell’intero ammontare dell’imposta (

τ = p− p∗→ p= p∗+ τ ). Ne deriva, quindi, che l’imposta τ = p− p∗¿ sarà completamente a carico
dei compratori. Quando la curva di offerta è perfettamente elastica, l’onere d’imposta sarà
completamente a carico dei venditori.
Il gettito d’imposta, cioè le risorse ottenute all’ente pubblico (Stato) dopo l’introduzione
dell’imposta, è rappresentato graficamente dall’area del rettangolo GC p∗p .
Proiettando la quantità di equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta ( q ) sulla curva di offerta
originaria (S) ricaviamo il punto G. La base del triangolo EP d è esattamente pari all’ammontare
dell’imposta unitaria (τ ). L’altezza del triangolo EP d , invece, è pari alla contrazione della quantità
scambiata sul mercato, a seguito dell’introduzione dell’imposta, ovvero (q∗−q). L’area del
triangolo EP d , che rappresenta l’eccesso di pressione (EP), sarà pari a:

base × altezza τ ×(q∗−q ) 1 1 q∗¿


Areatriangolo EP d = = = × τ ×(q∗−q)= |ηd| τ 2 ¿
2 2 2 2 q

La relazione tra l’eccesso di pressione, che è rappresentato graficamente dall’area del triangolo

EP , e l’imposta unitaria (τ ) è del tipo quadratica. In particolare, quando l’imposta unitaria


d

raddoppia (da τ a τ '=2 ×τ ), l’eccesso di pressione quadruplica. Ciò spiega l’esponente


1 2 q∗¿
d
dell’imposta unitaria (τ ) della formula Areatriangolo EP =
2
|η d|τ
q
¿.

Possiamo, inoltre, osservare l’esistenza di una relazione positiva tra l’eccesso di pressione (

Area triangolo EP ) e l’elasticità della domanda (ηd ). Quando la curva di domanda è elastica gli
d

individui sono più propensi a sostituire il bene oggetto d’imposta con un altro, in modo così da
eludere il pagamento dell’imposta. Ne deriva, quindi, che l’ammontare dell’imposta unitaria pagata
dal soggetto sarà minore e, quindi, il gettito d’imposta, cioè le risorse ottenute dall’ente pubblico
(Stato) dopo l’introduzione dell’imposta sarà minore. Dal momento che l’individuo è disposto a
sostituire il bene tassato con un altro meno caro, per eludere il pagamento dell’imposta che
colpisce il bene consumato, allora l’individuo sopporterà una maggiore perdita di benessere
derivante dall’introduzione dell’imposta. L’introduzione di un’imposta su di un bene determina un
83
incremento del prezzo del bene consumato, che a sua volta modifica le scelte di allocazione delle
risorse dei soggetti. L’eccesso di pressione, o perdita secca di benessere per la collettività, che il
soggetto subirà a seguito dell’introduzione dell’imposta sarà maggiore. Al contrario, quando la
curva di domanda è anelastica l’individuo ridurrà di poco il consumo del bene oggetto di imposta,
pagando così una maggiore imposta. Ne deriva, quindi, che il gettito d’imposta sarà maggiore e
l’eccesso di pressione minore, dal momento che l’incremento del prezzo del bene oggetto di
imposta non ha modificato le scelte di consumo del soggetto.

Maggiore è l’elasticità della domanda e maggiore sarà la diminuzione della domanda del bene
oggetto d’imposta (in termini di quantità) come conseguenza dell’introduzione dell’imposta e,
quindi, dell’incremento del prezzo di tale bene.
Le imposte efficienti dovrebbero distorcere il meno possibile le scelte di consumo degli individui,
cioè dovrebbero creare il minore eccesso di pressione di possibile. In termini di efficienza
dell’imposizione fiscale, data la relazione positiva tra l’eccesso di pressione e l’elasticità
dell’imposta (cioè maggiore è l’elasticità dell’imposta e maggiore è l’eccesso di pressione), se
tassiamo i beni meno elastici allora andremo a ridurre l’eccesso di pressione.

La regola di Ramsey (intuizione)

Secondo Ramsey (1900) un’imposta è EFFICIENTE se minimizza la perdita di benessere per la


collettività (o eccesso di pressione). Prima dell’intervento di Ramsey, un’imposta era considerata
efficiente se la sua introduzione non determinava una distorsione artificiosa dei prezzi al consumo
tra due o più beni e, quindi, una distorsione delle scelte di consumo dei soggetti.

84
Per minimizzare la perdita di benessere per la collettività (o eccesso di pressione) è necessario
stabilire delle imposte ad aliquote inversamente proporzionali all’elasticità della domanda
dei beni (ηd ) e non delle imposte ad aliquota uniforme. Ne deriva, quindi, che i beni di consumo
dovrebbero essere tassati con delle aliquote differenziate e non con delle aliquote uniformi.
L’obiettivo della tassazione ottimale dei beni consiste nella scelta di aliquote per i beni di consumo
X e Y, in modo che l’eccesso di pressione sia il minimo possibile. Come devono essere stabilite
però le aliquote su tali beni di consumo?
Una soluzione potrebbe essere quella di tassare i beni X e Y con la stessa aliquota d’imposta, cioè
di introdurre un’imposta ad aliquota uniforme su entrambi i beni di consumo considerati (X e Y)
→ 1° soluzione → Tassazione neutrale
Come si dovrebbero fissare le aliquote d’imposta per accrescere il gettito d’imposta ( 1 ° obiettivo),
cioè maggiori entrate per lo Stato, con il minore eccesso di pressione (2° obiettivo)?
L’obiettivo è massimizzare il gettito d’imposta e, allo stesso tempo, minimizzare l’eccesso di
pressione (o perdita secca di benessere per la collettività), cioè fare in modo che l’eccesso di
pressione marginale dell’ultimo euro di gettito derivante da ciascun bene sia identico.
Per minimizzare l’eccesso di pressione, le aliquote dovrebbero essere fissate in modo che
la riduzione in percentuale della quantità domandata di ciascun bene sia la stessa.
Perché la tassazione efficiente dovrebbe indurre variazioni equiproporzionali delle quantità
domandate anziché variazioni equiproporzionali dei prezzi? La tassazione efficiente dovrebbe
indurre delle variazioni equiproporzionali delle quantità domandate perché l’eccesso di pressione è
una conseguenza di una distorsione della quantità e per minimizzarlo è necessario che queste
variazioni delle quantità domandate siano della stessa proporzione.
Consideriamo inizialmente il bene X. Supponiamo che η x sia l’elasticità compensata della
domanda del bene X rispetto al prezzo e t x l’aliquota fiscale introdotta sul bene X.
Consideriamo t x un’imposta ad valorem sul bene X e cioè l’aumento percentuale del prezzo a
seguito dell’introduzione dell’imposta.
Il prodotto dell’elasticità compensata della domanda del bene X (η x ) per l’imposta ad valorem (t x ),
cioè η x × t x, è la variazione percentuale del prezzo (t x ) moltiplicata per la variazione percentuale
della quantità domandata quando il prezzo sale dell’1% (η x). Il prodotto η x × t x rappresenta la
riduzione percentuale della domanda del bene X dovuta all’imposta.
Consideriamo il bene Y. Supponiamo che η y sia l’elasticità compensata della domanda del bene Y
rispetto al prezzo e t y l’aliquota fiscale introdotta sul bene Y.
Consideriamo t y un’imposta ad valorem sul bene Y e cioè l’aumento percentuale del prezzo a
seguito dell’introduzione dell’imposta.
Il prodotto dell’elasticità compensata della domanda del bene Y ( η y) per l’imposta ad valorem (t y ),
cioè η y ×t y , è la variazione percentuale del prezzo (t y ) moltiplicata per la variazione percentuale

85
della quantità domandata quando il prezzo sale dell’1% (η y). Il prodotto η y ×t y rappresenta la
riduzione percentuale della domanda del bene Y dovuta all’imposta.

La regola di Ramsey e elasticità della domanda

- Secondo la regola di Ramsey, per minimizzare l’eccesso di pressione la riduzione percentuale


della domanda del bene X deve essere uguale alla riduzione percentuale della domanda del bene
Y, ovvero:

η x × t x =η y ×t y

- Dividendo entrambi i membri dell’equazione per η x × t y , otteniamo:

ηx × t x ηy × t y t x ηy
= → =
ηx ×t y η x ×t y t y ηx

- Secondo la regola delle elasticità inverse (o regola di Ramsey) le aliquote di imposta


dovrebbero essere inversamente proporzionali alle elasticità dei due beni considerati X e Y(η x e η y
).
- Più elevata è l’elasticità del bene Y (η y) rispetto all’elasticità del bene X (η x ), minore dovrà essere
l’aliquota d’imposta ad valorem sul bene Y (t y ) rispetto all’aliquota d’imposta ad valorem sul bene
X (t x ). Se l’elasticità del bene Y (η y) aumenta allora, per mantenere l’uguaglianza, allora l’imposta
ad valorem sul bene Y (t y ) deve necessariamente diminuire. Ne deriva, quindi, che maggiore è
l’elasticità del bene Y (η y) e minore sarà l’aliquota d’imposta del bene Y ( t y ) → Relazione inversa
tra l’aliquota d’imposta (t y ) e l’elasticità del bene Y (η y).
- Per minimizzare l’eccesso di pressione (EP) e, quindi, per fare in modo che le imposte siano
efficienti, bisogna tassare in misura maggiore i beni caratterizzati da una curva di domanda più
rigida (o ANELASTICA). Ne deriva, quindi, che maggiore è l’elasticità della curva di domanda e
minore sarà la tassazione e viceversa.
- I beni di consumo caratterizzati da una curva di domanda più rigida, che sono quelli che
dovrebbero essere colpiti da una tassazione maggiore al fine di ridurre l’eccesso di pressione,
sono però quelli più importanti per le persone più povere. Individui caratterizzati da un reddito
basso, infatti, spendono gran parte del proprio reddito nell’acquisto di beni di prima necessità.

86
- Il risultato della regola delle elasticità inversa ci dice che l’efficienza dell’imposizione fiscale non
esige che tutte le aliquote siano fissate in modo uniforme.
- Dal momento che un insieme di imposte efficienti dovrebbe distorcere il meno possibile le decisioni
di consumo degli individui, e, quindi, minimizzare l’eccesso di pressione, ed inoltre considerando
che la distorsione (cioè l’eccesso di pressione) aumenta proporzionalmente all’aumentare
dell’elasticità della domanda di un bene, allora ciò significa che una tassazione efficiente esige
che siano introdotte aliquote relativamente elevate sui beni relativamente anelastici.
- Quali sono però le implicazioni in termini di equità? È giusto che i beni con domanda anelastica
debbano essere tassati ad aliquote relativamente elevate rispetto ai beni con domanda elastica?

Considerazioni di equità

Un sistema di imposte dovrebbe essere caratterizzato da EQUITA’ VERTICALE e distribuire


l’onere dell’imposta tra i cittadini con capacità contributiva diversa in maniera equa.
Consideriamo due beni: X e Y. Il bene X, che è un bene di prima necessità, è caratterizzato da
una curva di domanda più rigida, mentre il bene Y è caratterizzato da una curva di domanda più
elastica.
Supponiamo che i soggetti poveri spendano una maggiore porzione del proprio reddito per il bene
X (X=pane=bene di prima necessità) rispetto alla quota di reddito spesa dai soggetti ricchi per
l’acquisto del medesimo bene.
Supponiamo che la funzione di benessere sociale attribuisca un maggior peso alle utilità dei poveri
rispetto a quelle dei ricchi.
Ne deriva, quindi, che anche se il bene X è caratterizzato da una curva di domanda più rigida (cioè
particolarmente insensibile alle variazioni di prezzo del bene X, poiché il bene X è strettamente
necessario), la tassazione ottimale, per rispondere anche ai criteri di EQUITA’
DISTRIBUTIVA, potrebbe richiedere l’imposizione di un’aliquota d’imposta più alta sul bene
Y rispetto a quella sul bene X.
Un’aliquota d’imposta elevata sul bene Y genera un eccesso di pressione enorme (poiché non
risponde ai criteri di EFFICIENZA), dal momento che gli individui saranno più propensi a sostituire
il bene colpito da una maggiore imposta (Y) con l’altro (X), ma redistribuisce il reddito a favore dei
meno abbienti. Un’aliquota d’imposta elevata sul bene Y non risponde ai criteri di EFFICIENZA ma
piuttosto a quelli di EQUITA’.
La società può essere disposta a pagare un prezzo in termini di eccesso di pressione in cambio di
una redistribuzione più equa del reddito →trade off tra efficienza ed equità.
Le deviazioni (scostamenti) dalla regola di Ramsey dipendono da:
- Preferenze della società per l’uguaglianza (Se un euro a una persona equivale ad un euro
a un’altra persona, povera o ricca che sia, allora si può applicare rigidamente la regola di

87
Ramsey. Questo non dovrebbe essere vero, cioè la funzione di benessere sociale dovrebbe
attribuire un maggior peso all’euro dei poveri rispetto all’euro dei ricchi)
- Grado di divergenza nei modelli di consumo dei ricchi e dei poveri (Se poveri e ricchi
consumano entrambi i beni nella stessa proporzione anche tassando con aliquote diverse i
beni, non si può influire sulla distribuzione del reddito. Dobbiamo, quindi, assumere che i
ricchi e i poveri consumano i beni in proporzione diversa. Anche se la società ha un obiettivo
redistributivo, non può raggiungerlo mediante una tassazione differenziata dei beni)

Queste due deviazioni dalla regola di Ramsey non sono delle assunzioni particolarmente forti ma
corrispondono alla realtà. Ne deriva, quindi, che si può tenere conto di un allontanamento dalla
regola di Ramsey in termini di efficienza per avere un guadagno, invece, in termini di maggiore
equità.
La regola di Ramsey, che prevede un’aliquota maggiore per i beni caratterizzati da una domanda
anelastica, permette di raggiungere dei risultati interessanti in termini di efficienza a discapito però
dell’equità distributiva. Al contrario, per ottenere dei risultati in termini di equità distributiva
bisognerebbe tassare con delle aliquote più basse quei beni caratterizzati da una curva di
domanda anelastica, cioè quei beni particolarmente importanti per alcune categorie di individui
(poveri), e tassare, invece, con delle aliquote più alte i beni che sono caratterizzati da una curva di
domanda elastica.

Lezione 6. IMPOSTE DISTORSIVE: IL MERCATO DEL LAVORO

Eccesso di pressione nel mercato del lavoro

Continuando il discorso in merito agli effetti distorsivi in seguito all’introduzione delle imposte, ci
concentriamo sul mercato del lavoro. Consideriamo una situazione di equilibrio in un mercato del
lavoro concorrenziale. La figura 8.1 (a) mostra gli effetti dell’introduzione di un’imposta sul salario
dei lavoratori.
L’asse orizzontale riporta la quantità di lavoro (L), mentre l’asse verticale il salario orario (w).
La curva di domanda di lavoro ( D L) è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta di lavoro (
S L) è, in questo caso, inclinata positivamente. La curva di offerta ( S L) inclinata positivamente
mostra come all’aumentare del salario, cioè del reddito da lavoro (w) aumenta il numero di
lavoratori occupati (L). L’intercetta verticale della curva di offerta di lavoro ( S L) corrisponde al punto

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E. La domanda di lavoro w=D L (L)è alimentata dalle imprese e dipende dalla produttività del
lavoro, mentre l’offerta di lavoro w=S L (L) dipende dalle scelte dei lavoratori.
In corrispondenza del punto di equilibrio (A), dove la curva di domanda di lavoro ( D L) incontra la
curva di offerta di lavoro ( S L), la quantità di lavoratori ottimale occupata è L* e il salario di equilibrio
è pari a w*.
Introduciamo un’imposta proporzionale sul reddito da lavoro (T w =t w × w ), cioè sul salario, per
capire quali sono gli effetti sull’equilibrio del mercato del lavoro. A seguito dell’introduzione di
un’imposta proporzionale sul reddito da lavoro T w =t w × w , la curva di domanda di lavoro ruota
verso l’interno utilizzando l’asse orizzontale come perno da D L a D ' L. La nuova curva di domanda
di lavoro, a seguito dell’introduzione dell’imposta ( D ' L) non ha la stessa pendenza della curva di
domanda di lavoro originaria ( D L) e si ottiene sottraendo alla curva di domanda di lavoro originaria
( D L) l’ammontare dell’imposta (T w =t w × w ). Questa nuova curva di domanda associa, ad ogni
N
quantità di lavoro (L), il salario al netto dell’imposta (w =(1−t w )×w ).

In seguito allo spostamento della curva di domanda di lavoro da D L a D ' L, otteniamo un nuovo
punto di equilibrio (C), in corrispondenza del quale la curva di domanda dopo l’introduzione
dell’imposta ( D ' L) incontra la curva di offerta di lavoro ( S L), caratterizzato da una:
Diminuzione del numero di lavoratori impiegati (occupazione) (L*  L)
Aumento del costo del lavoro, cioè del salario lordo unitario (w*  w)
Diminuzione del salario netto unitario, cioè del salario che entra nelle tasche dei lavoratori
sotto forma di busta paga (w*  w N ).

L’imposta unitaria, in analogia con il mercato dei prodotti, corrisponde graficamente alla distanza
BC=w−wN . La parte di imposta w−w∗¿ rappresenta l’onere dell’imposta per le imprese
(=compratori nel mercato dei beni), mentre la parte d’imposta w∗−w N è l’onere dell’imposta a
carico dei lavoratori (=venditori nel mercato dei beni).
Prima dell’introduzione dell’imposta, il surplus delle imprese è identificato dall’area del triangolo al
di sotto della curva di domanda prima dell’introduzione dell’imposta (A ^
D w∗¿, mentre il surplus dei
lavoratori corrisponde all’area del triangolo posto al di sopra della curva di offerta (A ^
E w∗¿. Il
surplus delle imprese e il surplus dei lavoratori rappresentano una misura del benessere delle
imprese e dei lavoratori.

89
La figura 8.1 (b) mostra gli effetti dell’introduzione di un’imposta proporzionale sul salario: il costo
del lavoro (w) aumenta, la retribuzione netta (w N ) e l’occupazione (L) si riducono.
In seguito all’introduzione dell’imposta proporzionale sul salario, si ha una riduzione sia del surplus
dei lavoratori che del surplus delle imprese. Il surplus delle imprese, a seguito dell’introduzione
dell’imposta proporzionale sul salario, si riduce dal triangolo A ^
D w∗¿ al triangolo B ^
D w . Il surplus
dei lavoratori, dopo l’introduzione dell’imposta sul salario, si riduce dal triangolo A ^
E w∗¿ al
triangolo (C ^
E w N ¿.
In analogia a quanto accade nel mercato dei prodotti, la porzione di area identificata dal poligono
N
w CABw corrispondente alla somma della riduzione del surplus delle imprese (ABww*) e della
riduzione del surplus dei lavoratori (ACw N w*) rappresenta la perdita di benessere sia delle imprese
che dei lavoratori, a seguito dell’introduzione dell’imposta.
Il gettito d’imposta, cioè le risorse che entrano nelle casse dello Stato a seguito dell’introduzione
dell’imposta, corrisponde graficamente al rettangolo w N CBw. La base del rettangolo coincide con
la quantità di lavoratori occupati (0L), mentre l’altezza coincide con l’imposta (BC=w−wN ).
La perdita di benessere per il settore privato (lavoratori e imprese) è rappresentato
graficamente dall’area del poligono w N CABw, cioè dalla riduzione del surplus dei lavoratori (ACw N
w*) più la riduzione del surplus delle imprese (ABww*). Una parte delle risorse che vengono
sottratte al settore privato (w N CABw) vengono distribuite allo Stato sotto forma di gettito (w N CBw).
La perdita di benessere per il settore privato, che graficamente corrisponde alla somma della
riduzione del surplus dei lavoratori più la riduzione del surplus delle imprese, eccede il gettito
d’imposta, cioè w N CABw>w N CBw.

90
L’eccesso di pressione, che graficamente è pari alla differenza tra la perdita di benessere per il
settore privato (w N CABw) e il gettito d’imposta (w N CBw), rappresenta la perdita secca di
benessere per la collettività. Il triangolo A ^
BC , che rappresenta l’eccesso di pressione, ha, come
base, l’imposta (BC=w−wN ) e, come altezza, la riduzione dei lavoratori occupati, a seguito
dell’introduzione dell’imposta ( L∗−L).

Nel caso di curva di domanda di lavoro INFINITAMENTE ELASTICA ( Ed → ∞ ), l’eccesso di


pressione risulta:

1 L 2 ¿ ¿
EP= η S t w w L
2

L
η S =¿ Elasticità dell’offerta di lavoro
t w =¿ Aliquota d’imposta sul reddito da lavoro

L
L’eccesso di pressione è direttamente proporzionale all’elasticità dell’offerta di lavoro (η S ), cioè
maggiore è l’elasticità dell’offerta di lavoro e maggiore sarà l’area del triangolo ABC che
rappresenta l’eccesso di pressione. Anche in questo caso, come nel mercato dei prodotti, la
relazione tra l’ammontare dell’imposta e l’eccesso di pressione è una relazione del tipo non
lineare, ma QUADRATICA. L’esponente dell’aliquota d’imposta sul reddito da lavoro (t w) identifica
la relazione quadratica tra l’ammontare dell’imposta e l’eccesso di pressione. Se l’imposta
raddoppia allora l’eccesso di pressione quadruplica.

91
Gli effetti dell’imposta sull’offerta di lavoro

Gli effetti dell’introduzione di un’imposta sul reddito da lavoro dipendono in modo significativo dalla
forma della funzione dell’offerta di lavoro (fino a questo punto del ragionamento abbiamo
considerato una curva di offerta di lavoro con pendenza positiva).
Immaginiamo di considerare una curva di offerta di lavoro ( S L) caratterizzata da due tratti, uno
crescente e uno decrescente. Fino ad un certo livello di salario, un aumento del reddito da lavoro
(salario) induce i lavoratori a lavorare di più. Oltre tale livello di salario (w), ad ogni ulteriore
aumento del salario i lavoratori desiderano lavorare di meno.
Consideriamo a questo proposito la figura 8.2 (a), che mostra una curva di offerta di lavoro ( S L)
caratterizzata da un’inclinazione positiva fino ad un certo livello di salario e da un’inclinazione
negativa per livello di reddito superiori. In questo caso, la curva di domanda di lavoro ( D L) incontra
la curva di offerta di lavoro ( S L) in corrispondenza del tratto decrescente della curva di offerta. Se
la curva di offerta di lavoro è inclinata negativamente, allora un’imposta sul salario fa
aumentare l’occupazione.

L’asse orizzontale riporta la quantità di lavoro, cioè il numero di lavoratori occupati (L), mentre
l’asse verticale il salario orario (w).
La curva di domanda di lavoro ( D L) è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta di lavoro (
S L) è caratterizzata da un tratto crescente e da un tratto decrescente, cioè è una curva di offerta
piegata all’indietro. In particolare, la curva di offerta di lavoro ( S L) è caratterizzata da una
pendenza positiva per livelli di reddito da lavoro non superiori a w’ e, invece, da una pendenza
negativa per livelli di reddito da lavoro superiori a w’.
Nella porzione di curva di offerta di lavoro ( S L) con inclinazione positiva, all’aumentare del salario
lungo l’asse verticale, aumenta anche il numero di lavoratori occupati. Questo si verifica per livelli
di reddito da lavoro non superiori a w’, cioè 0<w<w’. Il punto A mostra il numero di lavoratori
occupati (L’) in corrispondenza del livello di salario w’. In sintesi, fino al punto A un incremento del
salario (da w a w’) induce i lavoratori a lavorare di più.
Per livelli di reddito superiori a w’ (punto A) la curva di offerta di lavoro ( S L) assume, invece, una
pendenza negativa. Di conseguenza, un ulteriore aumento del salario, cioè per livelli di salario
w>w’, provoca una diminuzione del numero dei lavoratori occupati. In questo caso, a fronte di un
incremento del reddito da lavoro (w) il lavoratore preferisce lavorare di meno. Un aumento del
salario al di sopra di w’, in corrispondenza del punto A, induce i lavoratori a lavorare di meno e,
quindi, a dedicarsi maggiormente al tempo libero.
Prima dell’introduzione dell’imposta, il mercato raggiunge l’equilibrio (L*, w*), cioè dove la curva di
domanda di lavoro ( D L) incontra la curva di offerta di lavoro ( S L), in corrispondenza del tratto
decrescente della curva di offerta (cioè nel tratto in cui la curva di offerta è piegata all’indietro).
92
L’introduzione di un’imposta proporzionale sul reddito da lavoro (w) determina uno spostamento
della curva di domanda di lavoro ( D L) verso il basso di un ammontare pari all’imposta da D L a D ' L
.
In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio (L, w), dove la curva di domanda di lavoro dopo
l’imposta ( D ' L) incontra la curva di offerta di lavoro ( S L) nel tratto decrescente, il numero di
lavoratori occupati aumenta da L* a L, mentre il salario diminuisce da w* a w. L’introduzione
dell’imposta, dal momento che la curva di offerta ha inclinazione negativa per livelli di reddito da
lavoro >w’, ha provocato un aumento dei lavoratori occupati (L*  L).

IN SINTESI, l’introduzione di un’imposta sul reddito da lavoro determina una riduzione del salario
che, a sua volta, determina un incremento del numero di lavoratori occupati.

La figura 8.2 (b) mostra il caso in cui la curva di domanda di lavoro ( D L) incontra la curva di offerta
di lavoro ( S L) in corrispondenza del tratto crescente della curva di offerta. Se la curva di offerta di
lavoro è inclinata positivamente, allora un’imposta sul salario fa diminuire l’occupazione.

L’asse orizzontale riporta la quantità di lavoro, cioè il numero di lavoratori occupati (L), mentre
l’asse verticale il salario orario (w).
La curva di domanda di lavoro ( D L,1 ) è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta di lavoro
( S L) è caratterizzata da un tratto crescente e da un tratto decrescente, cioè è una curva di offerta
piegata all’indietro. In particolare, la curva di offerta di lavoro ( S L) è caratterizzata da una
pendenza positiva per livelli di reddito da lavoro non superiori a w’ e, invece, da una pendenza
negativa per livelli di reddito da lavoro superiori a w’.

93
Prima dell’introduzione dell’imposta, il mercato raggiunge l’equilibrio (L1, w*1), cioè dove la curva di
domanda di lavoro ( D L,1 ) incontra la curva di offerta di lavoro ( S L), in corrispondenza del tratto
crescente della curva di offerta.
L’introduzione di un’imposta proporzionale sul reddito da lavoro (w) determina uno spostamento
della curva di domanda di lavoro ( D L,1 ) verso il basso di un ammontare pari all’imposta da D L,1 a
D ' L,1 .
In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio (L*1, w*1), dove la curva di domanda di lavoro dopo
l’imposta ( D ' L,1 ) incontra la curva di offerta di lavoro ( S L) nel tratto crescente, il numero di
lavoratori occupati diminuisce da L*1 a L1, mentre il salario diminuisce da w*1 a w1.
IN SINTESI, l’introduzione di un’imposta sul reddito da lavoro determina una diminuzione del
salario che, a sua volta, determina una diminuzione del numero di lavoratori occupati.

Gli effetti derivanti dall’introduzione di un’imposta proporzionale sul reddito da lavoro (w)
dipendono dalla forma della curva di offerta di lavoro ( S L). In sintesi, nella parte di curva di offerta
di lavoro ( S L) caratterizzata da un’inclinazione negativa, l’introduzione dell’imposta sul salario
determina un incremento dell’occupazione. Al contrario, nella parte di curva di offerta di lavoro ( S L)
caratterizzata da un’inclinazione positiva, l’introduzione dell’imposta sul salario provoca una
diminuzione dell’occupazione.

La scelta tra lavoro e tempo libero

94
Anche nel mercato del lavoro, così come per il mercato dei prodotti, l’effetto distorsivo derivante
dall’introduzione di un’imposta nel mercato del lavoro può essere scomposto in:

1. EFFETTO REDDITO: Un aumento dell’imposta che determina una riduzione del salario
netto (w N ), cioè una diminuzione del salario percepito dai lavoratori, spinge i lavoratori a
lavorare di più per ottenere lo stesso reddito da lavoro che ottenevano prima
dell’introduzione dell’imposta.
2. EFFETTO SOSTITUZIONE: Un aumento dell’imposta che riduce il salario netto (w N ), rende
il lavoro meno attraente rispetto all’attività alternativa (tempo libero), spingendo così i
lavoratori a lavorare di meno e, quindi, a sostituire il lavoro con l tempo libero.

A seconda del prevalere dell’uno sull’altro effetto, l’imposta (dal momento che riduce il salario netto
percepito dai lavoratori → w N ) può portare ad un aumento o a una diminuzione dell’offerta di lavoro
da parte dei lavoratori.
La domanda di lavoro ( D L) diventa un importante quesito sul piano empirico. Attraverso i dati,
quindi, si può vedere quale dei due effetti (effetto reddito o effetto sostituzione) prevale sull’altro.
Consideriamo la figura seguente, utile per confrontare la scelta del lavoratore tra lavoro e
tempo libero (attività alternativa).
L’asse orizzontale misura le ore lavorate (L). L rappresenta il numero massimo di ore lavorate
all’interno di una giornata.
L’asse verticale misura, invece, il consumo (C). Supponendo che l’intera retribuzione venga
consumata, il massimo consumo possibile sarà: C=w L .
Il vincolo di bilancio (Y) è rappresentato dalla retta che unisce l’origine degli assi con il punto (
L ,C ).
Consideriamo, inoltre, delle curve di indifferenza con inclinazione positiva. In questo caso, le
curve di indifferenza sono positivamente inclinate poiché stiamo considerando sull’asse orizzontale
le ore lavorate (L), mentre sull’asse verticale il consumo (C). Le curve di indifferenza
rappresentano l’insieme dei panieri (ore di lavoro, consumo) che danno al consumatore lo stesso
livello di soddisfazione, cioè che lo rendono indifferente. Ne deriva, quindi, che se consideriamo
due panieri (ore di lavoro, consumo) che si trovano sulla stessa curva di indifferenza U1, allora
l’individuo è indifferente tra il paniere D(LR, CR), al quale corrisponde un maggior numero di ore di
lavoro (e, quindi, un minor numero di ore di tempo libero) e un maggior consumo, e il paniere E
(LE, CE), al quale invece è associato un minor numero di ore di lavoro (e, quindi, un maggior
numero di ore di tempo libero) e un minor consumo.
Nel punto A la curva di indifferenza (U1) è tangente al vincolo di bilancio (Y): l’individuo lavorerà L*
ore e avrà un consumo pari a C*. Graficamente, la distanza 0L* rappresenta il numero di ore

95
lavorate in assenza di imposta, mentre la distanza L* L rappresenta il tempo libero in assenza di
imposta.
0L*= Lavoro in assenza di imposta
L* L=¿ Tempo libero in assenza di imposta
La pendenza del vincolo di bilancio prima dell’imposta (Y) è pari al salario w.
La pendenza del vincolo di bilancio dopo l’imposta (Y’) è, invece, pari a 1−t w ¿ ×w .
A seguito dell’introduzione di un’imposta proporzionale sul salario (T w =t w × w ), che riduce il
N
salario netto del lavoratore (w N ) da w a w =(1−t w ) ×w ,il nuovo vincolo di bilancio (Y’) e la nuova
curva di indifferenza (U2) si spostano identificando un nuovo punto di equilibrio (B). In seguito
all’introduzione dell’imposta, le ore lavorate corrispondono al segmento 0 L' '. Si osserva, quindi,
una riduzione delle ore lavorate, a seguito dell’introduzione dell’imposta (L*  L' ').
Possiamo scomporre l’effetto dell’introduzione di un’imposta proporzionale al salario, cioè la
riduzione del numero di ore lavorate, in due effetti: EFFETTO REDDITO, EFFETTO
SOSTITUZIONE. Per isolare graficamente l’effetto sostituzione è necessario traslare
parallelamente verso il basso il vincolo di bilancio originario (Y) fino al punto in cui è tangente alla
curva di indifferenza U2, cioè in corrispondenza del punto C (punto intermedio che identifica lo
spostamento).
Considerando l’ EFFETTO REDDITO e assumendo che il tempo libero sia un bene normale (cioè
un bene per il quale al crescere del reddito, a parità di altre condizioni, aumenta la quantità
consumata di quel bene), nel momento in cui si introduce un’imposta, al diminuire del salario netto
(w N ) e, quindi, del reddito disponibile del soggetto, l’effetto reddito fa in modo che il lavoratore
lavori di più per percepire lo stesso reddito prima dell’introduzione dell’imposta. In sintesi, l’effetto
reddito comporta un incremento del numero di ore lavorate (da L* a L’), a seguito dell’introduzione
di un’imposta (come indicato dalla direzione delle frecce). L’effetto reddito corrisponde
graficamente allo spostamento dal punto A al punto C.
L’EFFETTO SOSTITUZIONE, invece, comporta una riduzione delle ore lavorate (da L’ a L’’).
L’introduzione di un’imposta proporzionale sul salario (che riduce il salario netto del lavoratore),
infatti, riduce il prezzo del tempo libero in termini di consumo, rendendo così questa attività
alternativa più conveniente per l’individuo. Se consideriamo il costo opportunità del tempo libero,
l’aver introdotto un’imposta proporzionale sul salario rende meno conveniente un’ora di lavoro in
più rispetto al tempo libero, provocando quindi una diminuzione dell’offerta di lavoro. In sintesi,
l’effetto sostituzione comporta una riduzione del numero di ore lavorate (da L’ a L’’), a seguito
dell’introduzione di un’imposta (come indicato dalla direzione delle frecce). L’effetto sostituzione
corrisponde graficamente allo spostamento dal punto C al punto B.
Quindi, in base all’effetto reddito si ha un aumento delle ore lavorate (da L* a L’); in base all’effetto
sostituzione, si ha invece una diminuzione del numero di ore lavorate (da L’ a L’’). A secondo di

96
quale dei due effetti prevale, si ha l’effetto complessivo. Per trarre delle conclusioni, immaginiamo
di applicare i due effetti separatamente per valutarne poi l’effetto complessivo.
Consideriamo separatamente l’effetto reddito (ER). L’introduzione di un’imposta proporzionale sul
salario riduce il reddito disponibile del soggetto e ciò determina, quindi, uno spostamento del
vincolo di bilancio parallelo verso il basso da Y a Y’. Ne deriva, quindi, che la pendenza del vincolo
di bilancio dopo l’imposta (Y’’), rappresentato graficamente dalla curva tratteggiata, è la stessa del
vincolo di bilancio prima dell’imposta (Y). La curva di indifferenza U2 è tangente al vincolo di
bilancio dopo l’imposta (Y’’) in corrispondenza del punto C ( L ' ,C ' ): graficamente, è visibile un
¿
aumento delle ore lavorate da L a L' . L’effetto reddito identifica graficamente allo spostamento dal
punto A al punto C.
Consideriamo, invece, separatamente l’effetto sostituzione (ES). L’introduzione di un’imposta
proporzionale sul salario riduce il prezzo del tempo libero, rendendo così questa attività alternativa
più desiderabile. Dal momento che il prezzo del tempo libero si riduce, allora l’individuo preferirà
sostituire l’attività più costosa, cioè il lavoro, con quella più conveniente, cioè il tempo libero. In
questo caso, quindi, il vincolo di bilancio ruota verso l’esterno utilizzando l’origine degli assi come
perno. La pendenza del vincolo di bilancio dopo l’imposta (Y’) non ha la stessa pendenza del
vincolo di bilancio originario (Y), poiché a seguito di una diminuzione del prezzo dell’attività
alternativa si verifica una rotazione del vincolo di bilancio e non uno spostamento parallelo. Le ore
lavorate, quindi, diminuiscono da L' a L' '. L’effetto sostituzione identifica graficamente lo
spostamento dal punto C al punto B.
¿
L’aumento delle ore lavorate da L a L' è attribuibile all’effetto reddito, la diminuzione da L' a L' ' è,
invece, attribuibile all’effetto sostituzione. Per capire l’effetto dell’introduzione dell’imposta sulle ore
lavorate (L), bisogna valutare l’effetto netto, cioè quale dei due effetti prevale. In questo caso,
l’effetto sostituzione (ES) prevale sull’effetto reddito (ER), poiché ES>ER. Ne deriva, quindi, che
l’effetto netto corrisponde graficamente al segmento L' ' L¿. In seguito all’introduzione dell’imposta,
¿
si ha quindi una diminuzione delle ore lavorate da L a L' '. In sintesi, attraverso la scomposizione
in effetto reddito (ER) e in effetto sostituzione (ES), possiamo vedere l’effetto sulle ore di lavoro
derivante dall’introduzione di un’imposta.
Nel grafico riportato nella trattazione, l’effetto sostituzione (ES) prevale sull’effetto reddito (ER), per
cui l’effetto netto (EN) derivante dall’introduzione dell’imposta sarà una diminuzione delle ore di
lavoro.
In generale, quando l’effetto sostituzione è maggiore dell’effetto reddito (ES>ER), le ore lavorate
diminuiscono. Consideriamo la curva di offerta di lavoro piegata all’indietro ( S L) caratterizzata,
quindi, da un tratto con inclinazione positiva e da un tratto, invece, con inclinazione negativa. Dal
momento che l’effetto totale (EN) sulle ore di lavoro in seguito all’introduzione dell’imposta è una
diminuzione delle ore lavorate, è come se ci si trovassimo nel tratto della curva dell’offerta di lavoro
inclinata positivamente (ad un aumento del salario, prima dell’introduzione dell’imposta,

97
corrisponde un aumento delle ore di lavoro). In corrispondenza del tratto crescente della curva di
offerta di lavoro piegata all’indietro ( S L), l’introduzione di un’imposta proporzionale sul salario
determina:
- Aumento del costo del lavoro, per cui le imprese domanderanno meno lavoro.
- Riduzione del salario netto percepito dai lavoratori
- Diminuzione dell’occupazione.

Al contrario, nel caso in cui ER>ES, allora l’incremento delle ore lavorate attribuibile all’effetto
reddito (ER) prevale sulla diminuzione delle ore lavorate dovuta all’effetto sostituzione (ES). In
questo caso, quindi ci troviamo nel tratto decrescente della curva di offerta di lavoro ( S L), cioè dove
la curva di offerta di lavoro è inclinata negativamente. L’introduzione di un’imposta proporzionale
sul salario determina:
- Aumento del costo del lavoro per le imprese, le quali domanderanno meno lavoro.
- Riduzione del salario netto percepito dai lavoratori (w N ).
- Aumento dell’occupazione, dal momento che l’introduzione di un’imposta proporzionale sul
salario spinge i lavoratori a lavorare di più per ottenere lo stesso reddito da lavoro che
ottenevano prima dell’introduzione dell’imposta.

Per concludere il ragionamento consideriamo la variazione equivalente, che rappresenta la


perdita monetaria (o danno in moneta) del soggetto in seguito all’introduzione dell’imposta, come
fatto in precedenza nel caso del mercato dei prodotti. L’eccesso di pressione (o perdita secca di
benessere per la collettività) è pari alla differenza tra la variazione equivalente e il gettito
d’imposta. Il gettito d’imposta è pari alla differenza tra il vincolo di bilancio prima dell’imposta (Y)
e il vincolo di bilancio dopo l’imposta (Y’). La variazione equivalente è definita come la quantità
massima di reddito cui l’individuo sarebbe disposto a rinunciare per evitare l’effetto causato
dall’introduzione dell’imposta, cioè l’incremento del salario. Per ricavare graficamente la variazione
equivalente ipotizziamo una riduzione del reddito e, quindi, uno spostamento parallelo verso il
basso del vincolo di bilancio da Y a Y’’, in modo che il nuovo vincolo di bilancio (Y’’) sia tangente
alla curva di indifferenza U2, cioè alla curva di indifferenza che è tangente al vincolo di bilancio
dopo l’introduzione dell’imposta (Y’). Ne deriva, quindi, il soggetto è caratterizzato dallo stesso
livello di benessere, poiché si trova sulla stessa curva di indifferenza (U2). La differenza tra il
vincolo di bilancio originale (Y) e quello tratteggiato (Y’’) ottenuto ipotizzando una diminuzione del
reddito disponibile del soggetto è, quindi, la variazione equivalente.
La differenza tra la variazione equivalente e il gettito dell’imposta identifica l’eccesso di pressione
(EP) causato in seguito all’introduzione dell’imposta.

98
Aliquota media e aliquota marginale

Fino a questo punto del ragionamento abbiamo considerato un’imposta proporzionale, per cui il
contribuente paga sempre la medesima percentuale di imposta, ovvero l’aliquota media, in
corrispondenza di diversi livelli di reddito. Inoltre, per ogni incremento di reddito, l’individuo paga
una percentuale di imposta, ovvero l’aliquota marginale (t ’), che risulta sempre uguale all’aliquota
media (t ), cioè t ’=t . Nel caso di un’imposta proporzionale, la variazione può avvenire
agendo sull’aliquota, che è insieme media e marginale. Con questa tipologia, di imposta cioè
l’effetto reddito (ER) e l’effetto sostituzione (ES). Un’imposta proporzionale quando, all’aumentare
della base imponibile, l’imposta aumenta della stessa proporzione. In particolare, un’imposta è
proporzionale se l’aliquota marginale (t ’) è uguale all’aliquota media (t ) e se al crescere della base
imponibile (B=Reddito) l’aliquota media (t ) rimane costante.
Al contrario, introducendo un’imposta progressiva, le modifiche alla funzione di imposta possono
produrre effetti differenti: una parte derivante dall’aliquota media (t ) e una parte derivante
dall’aliquota marginale (t ’). Un’imposta è progressiva quando, all’aumentare della base imponibile,
il debito d’imposta (T) aumenta più che proporzionalmente all’aumentare della base imponibile. In
particolare, un’imposta è progressiva se l’aliquota marginale (t ’) è maggiore dell’aliquota media (t ),
oppure se al crescere della base imponibile l’aliquota media ( t ) cresce. Dal momento che l’imposta
è progressiva, il contribuente paga, all’aumentare del reddito, una percentuale di imposta, ovvero
l’aliquota media (t ) sempre più elevata. Per ogni incremento di reddito (cioè quando ragioniamo in
termini marginali), il contribuente paga un’aliquota marginale ( t ’) sempre maggiore dell’aliquota
media (t ) e che aumenta all’aumentare del reddito, cioè della base imponibile. In questo caso, è

99
possibile scomporre l’effetto derivante dall’introduzione dell’imposta in due effetti derivanti
dall’aliquota media e dall’aliquota marginale, ovvero:
- Aliquota media (t w ) dalla quale dipende l’effetto reddito derivante dall’introduzione
dell’imposta. La parte di effetto che deriva dall’aliquota media è attribuibile all’effetto
reddito.
'
- Aliquota marginale (t w ) dalla quale dipende l’effetto sostituzione derivante
dall’introduzione dell’imposta. La parte di effetto che deriva dall’aliquota marginale è
attribuibile all’effetto sostituzione.

In equilibrio, il beneficio marginale del tempo libero è:

tl
Bmg =w ¿)

Il beneficio marginale del tempo libero corrisponde al prezzo del tempo libero espresso in
termini di consumo. Il prezzo del tempo libero in termini di consumo è la quantità di reddito (e,
quindi, di consumo) a cui l’individuo deve rinunciare per godere di un’unità in più di tempo libero. In
'
altre parole, il Bmgtl è il salario netto che l’individuo può ottenere al netto dell’aliquota marginale (t w
). Il prezzo del tempo libero espresso in termini di consumo è uguale al salario al netto dell’aliquota
marginale.
'
1. Un aumento dell’aliquota marginale (t w ), fa ridurre il prezzo del tempo libero (in termini di
costi-opportunità, l’ora di tempo libero è più desiderabile rispetto all’ora lavorativa). Ne deriva,
quindi, che il soggetto acquista più tempo libero e lavora di meno. Proprio per questo motivo, si
'
è scelto di far dipendere dall’aliquota marginale (t w) l’effetto sostituzione, secondo cui il
lavoratore sceglie di lavorare di meno a favore di maggiore tempo libero. In sintesi, l’effetto
sostituzione dipende solo dall’aliquota marginale.
2. L’effetto reddito è, invece, associato a variazioni del salario netto, che dipendono dall’aliquota
media (t w ). A seguito dell’introduzione dell’imposta e, quindi, della riduzione dei redditi
disponibili per i soggetti, i soggetti lavoreranno di più per ottenere lo stesso reddito da lavoro
che ottenevano prima dell’introduzione dell’imposta. In sintesi, l’effetto reddito dipende
dall’aliquota media.

Con un’imposta proporzionale, la variazione dell’aliquota t w produce, come la variazione del


prezzo di un bene, sia un effetto reddito che un effetto sostituzione senza poter scindere i due
effetti.
Con un’imposta progressiva invece, i due effetti possono essere scissi:
Effetto reddito: dipende dall’aliquota media;

100
Effetto sostituzione: dipende dall’aliquota marginale.

Come avviene nel caso del mercato dei prodotti, l’eccesso di pressione, che è il risultato
dell’introduzione di un’imposta, dipende dall’effetto sostituzione. Di conseguenza, è
possibile affermare che l’eccesso di pressione (EP), che dipende dall’effetto sostituzione
(ES), è interamente determinato dall’aliquota marginale.

Il cuneo fiscale sul lavoro

L’imposta sul reddito non si esaurisce completamente soltanto con il prelievo sul salario. In realtà,
bisogna tenere in considerazione anche i contributi sociali, intesi come il finanziamento del
sistema previdenziale e di assicurazione sociale, in larga misura a carico dei datori di lavoro e in
quota minore a carico dei lavoratori. Ciò ci permette di definire il cuneo fiscale.
Il cuneo fiscale (Tw = tax wedge) è pari alla differenza tra il costo del lavoro per le imprese (w) e
la remunerazione netta percepita dai lavoratori (w N ), in percentuale del costo del lavoro per le
imprese (w). All’interno del cuneo fiscale rientra:
- Imposta sul reddito;
- Contributi sociali a carico del datore di lavoro;
- Contributi sociali a carico dei lavoratori;
- Eventuali imposte sui ruoli di paga.

Definiamo il cuneo fiscale attraverso formulazioni matematiche.


- t cs è l’aliquota complessiva dei contributi sociali nelle due componenti (sia a carico del
datore di lavoro che dei lavoratori);
- Dato un salario w, il costo del lavoro risulta: w (1+t cs)
- Il salario netto in busta paga, che è pari al salario meno l’effetto dell’imposta, è dato da:
w (1−t w )

T w(1+t cs)−w (1−t w) 1+t cs−1+t w t cs +t w


w= = =
w (1 +tcs ) 1 +t cs 1+t cs

Utilizzando le aliquote dei contributi sociali e dell’imposta sul reddito espresse in termini del costo
del lavoro:

t cs
t cs (i)=
1+t cs
tw
t w (cs)=
1+t cs
101
Il cuneo fiscale può essere così riscritto come somma delle due componenti, imposta e contributi:

T w=¿t w (cs )+t cs(i)¿

Quest’ultima formulazione ci permette di affermare che il cuneo fiscale corrisponde all’aliquota


media del prelievo obbligatorio, in seguito all’introduzione di un’imposta, espressa in termini di
costo del lavoro.
In termini marginali, il cuneo fiscale può essere espresso come la variazione del cuneo fiscale
stesso al variare del salario:

' dTw
T w=
dw

Il cuneo fiscale può essere anche inteso come aliquota marginale del prelievo complessivo sul
lavoro, dalla quale, dipendono gli effetti distorsivi.

Lezione 7. IMPOSTE DISTORSIVE: IL MERCATO DEL CAPITALE

Il vincolo intertemporale di bilancio

Data una certa distribuzione di reddito lungo la vita di un soggetto, l’individuo sceglie come
distribuire nel tempo i propri consumi.
In ogni determinato periodo di tempo considerato, l’individuo può:

1. Consumare tutto il proprio reddito;


2. Risparmiare una parte di reddito per consumarla in periodi successivi o
lasciarla agli eredi;
3. Può consumare un importo maggiore del reddito nel primo periodo
(prendendo a prestito), restituendo nei periodi successivi o trasmettendo il
debito agli eredi.

In seguito, analizzeremo come il soggetto potrebbe distribuire il consumo e, quindi, decidere il


proprio risparmio nel corso della propria vita.
Il mercato dei capitali consente all’individuo di spostare i consumi dal presente al futuro e dal futuro
al presente.

102
Consideriamo la figura 9.1 (a), che riporta il vincolo intertemporale di bilancio.
- I pedici 0 e 1 delle variabili considerate rappresentano rispettivamente il periodo presente
(periodo corrente → oggi) e un periodo generico futuro (periodo prossimo → domani).
- Semplifichiamo la trattazione ipotizzando che l’individuo non riceva nulla in eredità dalle
generazioni precedenti e che non lasci nulla in eredità alle generazioni future. Questa
assunzione ci permette di affermare che tutto ciò che l’individuo consumerà nel corso della
propria vita deriva esclusivamente dal proprio reddito e che tutto ciò che l’individuo percepisce
in termini di reddito durante la vita verrà consumato.
- L’asse orizzontale (C 0) misura il consumo al tempo 0, mentre l’asse verticale (C 1) misura il
consumo al tempo 1.
- Y 0 e Y 1 sono i redditi da lavoro dell’individuo nei due periodi, ipotizzando che derivino
esclusivamente dal lavoro.
- Il vincolo intertemporale di bilancio (y) rappresenta tutte le possibili combinazioni di
consumo presente (C 0) e futuro (C 1) data una certa dotazione di reddito W e di tasso di
interesse r. La pendenza del vincolo intertemporale di bilancio (y) è pari a −( 1+ r). I punti W,

C a e C b, che si trovano sul vincolo intertemporale di bilancio, rappresentano le combinazioni


possibili di consumo presente e futuro.
- W rappresenta il punto in cui il soggetto consuma interamente il proprio reddito da lavoro
guadagnato nei due periodi. In corrispondenza del punto W, quindi, il soggetto consuma un
reddito pari a Y 0 nel 1° periodo 0 e un reddito Y 1nel 2° periodo.
a
- Il punto C a, al quale corrisponde il livello di consumo C 0al periodo corrente (che leggiamo
a
sull’asse orizzontale) e il livello di consumo C 1 al periodo futuro (che leggiamo, invece,
sull’asse verticale), rappresenta il caso in cui il soggetto non consuma interamente il proprio
a
reddito da lavoro nel periodo 0 (C 0 è infatti minore rispetto a Y 0 ), consumandone invece una

maggiore quantità nel periodo 1 (C 1 è infatti maggiore rispetto a Y 1). Il soggetto ha, quindi,
a

risparmiato nel periodo 0 per avere un consumo maggiore nel periodo successivo. La parte di
a
reddito risparmiata coincide graficamente con la distanza (Y 0−C 0 ) e gli permette di consumare
a
la quantità C 1 al tempo 1, invece della quantità Y 1.
b
- Il punto C b, al quale corrisponde il livello il consumo C 0 al tempo 0 (che leggiamo sull’asse
b
orizzontale) e il livello di consumo C 1 al tempo 1 (che leggiamo, invece, sull’asse verticale),
b
rappresenta il caso in cui il soggetto consuma nel 1° periodo una quantità di reddito C 0

maggiore del suo reddito disponibile Y 0 , prendendo a prestito risorse dal periodo successivo.
b
Ne deriva, quindi, che nel 2° periodo il soggetto consumerà una quantità minore di reddito C 1 di

quella che avrebbe, invece, consumato se avesse utilizzato tutto il reddito disponibile (Y 1).

103
b
Graficamente, la distanza (C 0−Y 0 ) rappresenta la quantità di reddito ulteriore consumata dal
soggetto al tempo 0, dal momento che ha preso a prestito delle risorse nel periodo successivo.

a
- Nel punto C a l’individuo risparmia, nel periodo corrente, la quantità Y 0−C0 , per poi consumare
una quantità maggiore del proprio reddito nel periodo successivo. In questo caso, ipotizziamo
che l’individuo non lasci parte del proprio reddito in eredità alle generazioni future. Per
a
determinare il consumo del soggetto a nel periodo successivo ( C 1), avendo risparmiato una
a
parte di reddito nel periodo corrente (Y 0−C 0 ), bisogna utilizzare la seguente formulazione:

C 1=Y 1 +¿(C 1−Y 1) = Y 1 + (1+r )(Y 0−C0 )


a a a

Dove:
 Y 1=¿ Reddito da lavoro guadagnato nel periodo successivo, cioè il reddito dal lavoro
di domani;
a
 (C 1−Y 1 ¿=¿ Reddito consumato nel periodo successivo;
a a
 (Y 0−C0 ¿=¿Reddito risparmiato oggi per essere consumato domani → (Y 0−C 0 );
a
 r(Y 0−C 0 ¿=¿Reddito da capitale derivante dalla corresponsione degli interessi
maturati sul risparmio nel tempo (in questo caso, il soggetto ha dato a prestito la
quota di reddito risparmiata).

104
b
- Nel punto C b l’individuo prendere a prestito, nel periodo corrente, la quantità C 0−Y 0 , per
poi consumare una quantità minore del proprio reddito nel periodo successivo. Per
b
determinare il consumo del soggetto b nel periodo successivo (C 1), bisogna utilizzare la
seguente formulazione:

C 1=Y 1−¿ (Y 1−C 1) = Y 1 - (1+r )(C 0−Y 0 )


b b b

Dove:
 Y 1=¿ Reddito da lavoro che il soggetto otterrà nel periodo successivo;
b
 (Y 1−C 1 ¿=¿ Reddito che il soggetto sottrae dal consumo nel periodo successivo,
per poter prendere a prestito oggi;
b
 (C 0−Y 0 ¿=¿Reddito preso a prestito nel periodo corrente;
b
 r(C 0−Y 0 ¿=¿ Reddito da capitale derivante dal pagamento degli interessi maturati
sul prestito (in questo caso, il soggetto deve corrispondere degli interessi al datore
di fondi per il reddito prestato).

Il vincolo intertemporale di bilancio (SINTESI)

1. CONSUMO DOMANI:

C 1=Y 1 +¿(C 1−Y 1) = Y 1 + (1+r )(Y 0−C 0 )


a a a

2. VINCOLO INTERTEMPORALE:

C 1=M 1−(1+r ) C0

3. VALORE FUTURO (Future Value) (REDDITO VITA): corrisponde al reddito da lavoro


dell’intera vita dell’individuo misurato al tempo futuro, ovvero il reddito dell’individuo al tempo 1
(Y 1) sommato al reddito al tempo 0 ( Y 0) capitalizzato al tasso di interesse r (cioè portato avanti
al periodo 1). Graficamente, il valore futuro in termini di reddito vita corrisponde all’intercetta
verticale del vincolo di bilancio intertemporale con l’asse verticale in cui il consumo C 0 è nullo,
ovvero M 1.

FV Y =M 1=(1+r )Y 0 +Y 1

105
4. VALORE ATTUALE (Present Value) (REDDITO VITA): corrisponde al reddito da lavoro
dell’individuo dell’intera vita dell’individuo misurato al tempo 0 (nel presente), ovvero il reddito
al tempo 0 (Y 0) sommato al reddito al tempo 1(Y 1) attualizzato al l tasso di interesse r (cioè
riportato al tempo 0). Graficamente, il valore attuale in termini di reddito vita corrisponde
all’intercetta orizzontale del vincolo di bilancio intertemporale con l’asse orizzontale in cui il
consumo C 1 è nullo, cioè M 0.
Y1
PV Y =M 0=Y 0 +( )
1+r

5. VALORE ATTUALE (CONSUMO VITA): in analogia con la definizione del valore attuale del
reddito vita, questa proprietà corrisponde al consumo al tempo 0 ( C 0) sommato al consumo al
tempo 1 (C 1) attualizzato al tasso di interesse r (cioè riportato al tempo 0).

C1
PV C =C 0 +( )
1+r

Tralasciando i calcoli matematici per ottenere la formulazione, è possibile affermare che il valore
attuale in termini di consumo vita ( PV C ) coincide con il valore attuale (cioè il valore
presente) in termini di reddito vita ( PV Y ). Questo significa che lungo il corso della vita, viene
consumato esattamente il proprio reddito (dato che vale l’ipotesi di non ereditare reddito dalle
generazioni passate e di non lasciare eredità alle generazioni future).

Y1
PV C =Y 0 +( )=PV Y
1+r

Analogamente, è possibile osservare la relazione di eguaglianza intertemporale tra consumo e


reddito espressa in termini di valori futuri.

FV C =(1+ r) Y 0 +Y 1=FV Y

Consideriamo la figura 9.1 (b) per trarre delle conclusioni generali.


Generalizzando il discorso fatto finora, tutti i punti posti sul vincolo di bilancio intertemporale posti a
sinistra di W rappresentano dei piani di consumo con un risparmio positivo nel periodo corrente (in
questo caso, quindi, il soggetto consuma una parte minore di reddito nel 1° periodo) e un consumo
maggiore nel periodo futuro.

106
Al contrario, tutti i punti posti sul vincolo di bilancio intertemporale a destra di W rappresentano dei
piani di consumo con risparmio negativo nel periodo corrente (in questo caso, quindi, il soggetto
consuma una parte maggiore di reddito nel 1° periodo) e un consumo minore nel periodo futuro.

La dotazione dei redditi da lavoro e il tasso di interesse (r) di mercato sono considerati
esogeni, cioè non dipendono dalle scelte dell’individuo.

Vincolo intertemporale e spostamenti: VARIAZIONE DEL TASSO DI INTERESSE (r)

Quando il tasso di interesse cambia (aumenta o diminuisce), il vincolo intertemporale di bilancio (y)
ruota intorno alla dotazione dei redditi da lavoro W. Ne deriva, quindi, che il valore attuale del
reddito da lavoro dell’intera vita si riduce o aumenta. La variazione del tasso di interesse (r) che
determina una variazione del valore attuale del reddito da lavoro ( PV Y ) è nota come EFFETTO
CAPITALE UMANO o EFFETTO RICCHEZZA. In particolare, distinguiamo due casi:

1. Aumento del tasso di interesse da r a r’ . Un aumento del tasso di interesse da r a r’


determina una rotazione del vincolo intertemporale di bilancio intorno alla dotazione dei redditi
da lavoro (W) verso l’esterno da y a y’. Il nuovo vincolo intertemporale di bilancio avrà, quindi,
una pendenza diversa da quella del vincolo intertemporale di bilancio originario. Ne deriva,
quindi, che il valore attuale del reddito da lavoro dell’intera vita ( PV Y ) si riduce da M 0 a M ' 0.
La pendenza del vincolo intertemporale di bilancio prima dell’aumento del tasso di interesse (y)
è pari a −(1+ r) . L’intercetta orizzontale del nuovo vincolo di bilancio intertemporale (y’), a
107
seguito di un aumento del tasso di interesse da r a r’, è pari a M ' 0. Il nuovo vincolo di bilancio
avrà, quindi, una pendenza diversa. La pendenza del nuovo vincolo intertemporale di bilancio
(y’), a seguito di un aumento del tasso di interesse da r a r’, è pari a −( 1+ r ') .

2. Diminuzione del tasso di interesse da r a r’ . Una diminuzione del tasso di interesse da r a r’’
determina, invece, una rotazione del vincolo intertemporale di bilancio intorno alla dotazione
dei redditi da lavoro (W) verso sinistra da y a y’’. Ne deriva, quindi, che il valore attuale del
reddito da lavoro dell’intera vita ( PV Y ) aumenta da M 0 a M ' ' 0. La pendenza del vincolo
intertemporale di bilancio prima della riduzione del tasso di interesse (y) è pari a −( 1+ r) .
L’intercetta orizzontale del nuovo vincolo intertemporale di bilancio (y’’), a seguito di una
riduzione del tasso di interesse da r a r’’, è M ' ' 0. La pendenza del nuovo vincolo
intertemporale di bilancio (y’’), a seguito di una riduzione del tasso di interesse da r a r’’, è pari
a −( 1+ r ' ' ) .

Vincolo intertemporale e spostamenti: VARIAZIONE DELLA DOTAZIONE DEI REDDITI DA


LAVORO (W)

In seguito ad una variazione della dotazione dei redditi da lavoro (W), mantenendo costante il
tasso di interesse (r), il vincolo intertemporale di bilancio originario (y) si sposta parallelamente
verso l’esterno oppure verso l’interno. In particolare, un aumento della dotazione dei redditi da
lavoro da W a W’ determina uno spostamento parallelo verso l’esterno del vincolo intertemporale
di bilancio da y a y’’’. Al contrario, una diminuzione della dotazione dei redditi da lavoro da W a W’’
108
determina uno spostamento parallelo verso l’interno del vincolo intertemporale di bilancio da y a
y’’’’. La figura 9.2 riporta gli spostamenti paralleli del vincolo intertemporale di bilancio in seguito ad
una variazione della dotazione dei redditi da lavoro (W).

Scelta intertemporale

Ipotizziamo che il soggetto conosca il proprio vincolo intertemporale di bilancio e, quindi, anche il
proprio reddito corrente (Y 0 ) e futuro (Y 1). Il soggetto sceglie, quindi, il proprio piano di consumo
massimizzando una funzione di utilità, i cui argomenti sono: il consumo presente ( C 0) e il consumo
futuro (C 1).

Nella figura 9.3 le preferenze intertemporali sono rappresentate graficamente da una mappa di
curve di indifferenza intertemporale.
L’asse orizzontale riporta il consumo presente (C 0), mentre l’asse verticale il consumo futuro (C 1).
Le curve di indifferenza intertemporali, che rappresentano le preferenze intertemporali, sono
indicate con: I, II e III.

L’inclinazione di ciascuna curva di indifferenza intertemporale è pari al saggio marginale di


sostituzione intertemporale (SMSI), ovvero: SMSI=−(1+ s) s=¿ Tasso soggettivo di
interesse

109
Il saggio marginale di sostituzione intertemporale (SMSI) mostra quanto consumo futuro (C 1) è
necessario per compensare l’individuo della rinuncia a 1€ di consumo corrente (C 0).
Il punto di tangenza tra la curva di indifferenza intertemporale e il vincolo di bilancio intertemporale
definisce il punto di consumo ottimo C. In corrispondenza del punto di consumo ottimo C il tasso
soggettivo di interesse (s) è uguale al tasso di interesse di mercato (r).

Consideriamo la figura 9.4 che mostra come nel periodo corrente l’individuo a risparmia, mentre
l’individuo b si indebita →Scelta intertemporale del soggetto tra consumo presente (C 0) e consumo
futuro (C 1).

L’asse orizzontale riporta il consumo presente (C 0), mentre l’asse verticale il consumo futuro (C 1).
Il vincolo intertemporale di bilancio (y) rappresenta tutte le possibili combinazioni di consumo
presente (C 0) e futuro (C 1) data una certa dotazione di reddito W e di tasso di interesse r.
Le curve di indifferenza intertemporali rappresentano le preferenze intertemporali.
Il piano di consumo ottimo sarà quello per il quale il tasso soggettivo di interesse (s)
eguaglia il tasso di interesse di mercato (r).
Il punto C a, in corrispondenza del quale la curva di indifferenza intertemporale è tangente al
vincolo intertemporale di bilancio (y), rappresenta la scelta ottima di consumo di un individuo a che
nel periodo corrente risparmia. Il punto C b, in corrispondenza del quale la curva di indifferenza
intertemporale è tangente al vincolo intertemporale di bilancio (y), rappresenta la scelta ottima di
consumo di un individuo b che nel periodo corrente si indebita (per cui consuma più di quanto

110
avrebbe, invece, dovuto consumare in base al proprio reddito e poi sconterà questo consumo nel
periodo successivo consumando di meno).

La curva di offerta di risparmio: il datore di fondi

Le figure 9.5 e 9.6 illustrano gli effetti di un aumento del tasso di interesse sulla scelta individuale.
Per maggiore chiarezza, si sono considerati separatamente i tratti del vincolo intertemporale di
bilancio al di sopra del punto della dotazione W, che riguardano gli individui che risparmiano
(Figura 9.5), e quelli al di sotto, che interessano coloro che si indebitano (Figura 9.6). La figura 9.5
mostra l’effetto reddito (ER) e l’effetto sostituzione (ES) generati da un aumento del tasso di
interesse (r): il caso del datore di fondi. Il datore di fondi (o unità in surplus) dà a prestito delle
risorse in eccesso ai prenditori di fondi (o unità in deficit) che ne hanno, invece, una carenza. Ne
deriva, quindi, che il datore di fondi diminuisce il proprio consumo corrente per aumentare così il
proprio risparmio.

- L’asse orizzontale riporta il consumo presente (C 0), mentre l’asse verticale il consumo futuro (
C 1).
- Y 0 e Y 1 sono rispettivamente il reddito corrente e il reddito futuro del soggetto.
- M∗¿ 1=¿ ¿ Intercetta verticale del vincolo intertemporale di bilancio originario.

111
- M 1=¿ Intercetta verticale del vincolo intertemporale di bilancio dopo l’aumento del tasso di
interesse di mercato (r).
- Le curve di indifferenza intertemporale rappresentano le combinazioni di consumo presente (
C 0) e consumo futuro (C 1) che rendono l’individuo indifferenze.
- Le preferenze di consumo dei soggetti sono rappresentate graficamente da una mappa di
curve di indifferenza intertemporale.
La curva di offerta di risparmio del datore di fondi mostra la relazione tra la quantità netta di
fondi dati a prestito e il livello del tasso di interesse (r).
In corrispondenza del punto di ottimo A*, dove la curva di indifferenza intertemporale è tangente al
vincolo intertemporale di bilancio (y*), l’individuo massimizza il proprio consumo consumando la
quantità di reddito C∗¿ 0 ¿, che è minore del suo reddito corrente (Y 0 ). Ne deriva che, essendo
C∗¿ 0<Y 0 ¿ , il soggetto decide di risparmiare la quota di reddito (Y 0−C∗¿0 ¿) nel periodo corrente.
Un aumento del tasso di interesse di mercato (r) da r a r’ determina una rotazione del vincolo
intertemporale di bilancio intorno alla dotazione dei redditi da lavoro (W) verso l’esterno da y* a y. Il
vincolo di bilancio a seguito di un aumento del tasso di interesse di mercato (y) non ha la stessa
pendenza del vincolo di bilancio originario (y*). La pendenza del vincolo di bilancio originario (y*),
cioè prima dell’aumento del tasso di interesse (r), è pari a −¿. La pendenza del vincolo di bilancio
dopo l’aumento del tasso di interesse (y) è, invece, pari a −( 1+ r) . Il vincolo intertemporale di
bilancio dopo l’aumento del tasso di interesse (y) di mercato è più rigido, cioè con una maggiore
inclinazione rispetto al vincolo intertemporale di bilancio originario (y*).
Per isolare graficamente la parte di variazione di quantità consumata dovuta all’effetto sostituzione
(ES) è necessario trovare un paniere intermedio o teorico. È possibile determinare questo paniere
tenendo presenti due aspetti. In primo luogo, il paniere teorico riflette il minor consumo nel tempo
presente, quindi deve giacere su un vincolo di bilancio parallelo al vincolo di bilancio y. In secondo
luogo, il paniere teorico riflette l’ipotesi che il datore di fondi raggiunga comunque, dopo la
diminuzione del consumo presente, il suo livello iniziale di utilità: pertanto il paniere deve essere
nel punto in cui il vincolo di bilancio è tangente alla curva di indifferenza U1. Queste due condizioni
sono soddisfatte in corrispondenza del paniere A’ (il paniere teorico o intermedio) sulla linea di
bilancio y’. Nel paniere A’, il soggetto consuma la quantità C ' 0.
L’effetto reddito (ER) e l’effetto sostituzione (ES) nel mercato dei capitali, così come per il mercato
del lavoro nel caso dell’introduzione di un’imposta sul salario, non sempre vanno nella stessa
direzione, per cui non è sempre facile determinare in modo univoco l’effetto in termini di risparmio
a seguito di una variazione del tasso di interesse (r).
L’effetto di un aumento del tasso di interesse di mercato (r) sul risparmio può essere scomposto in:

1. EFFETTO SOSTITUZIONE (ES): L’effetto di sostituzione è dovuto alla variazione nella


pendenza del vincolo intertemporale di bilancio. L’aumento del tasso di interesse di mercato (r)

112
rende più costoso il consumo presente in termini di consumo futuro. Il datore di fondi, cioè il
soggetto che dà a prestito i fondi, essendo il consumo presente in termini di consumo futuro
più costoso, ridurrà il consumo presente a favore di quello futuro. Ne deriva, quindi, che il
soggetto, riducendo il consumo presente (C 0), aumenta il risparmio di un ammontare pari a (
C∗¿ 0−C ' 0 ¿ ). L’effetto sostituzione (ES) consiste nello spostamento lungo l’originaria curva di
indifferenza passante per A* fino al punto A’ di tangenza con la retta (tratteggiata) parallela al
nuovo vincolo di bilancio y. La quantità (C∗¿ 0−C ' 0 ¿ ) rappresenta la parte di effetto
complessivo che è attribuibile all’effetto sostituzione. A seguito dell’effetto sostituzione, un
aumento del tasso di interesse di mercato fa risparmiare di più il datore di fondi.

2. EFFETTO REDDITO (ER): L’effetto di reddito è dovuto, invece, all’ampliamento, pari all’area
M ¿1 W M 1, dell’insieme delle scelte possibili. L’aumento del tasso di interesse di mercato (r)
rende il datore di fondi (cioè colui che risparmia) più ricco. Se il consumo presente ( C 0) e il
consumo futuro (C 1) sono BENI NORMALI, allora aumenteranno entrambi. Se il consumo al
tempo corrente (C 0) aumenta da C ' 0 a C 0, allora significa che ci sarà una riduzione del
risparmio. La distanza C ' 0 C 0 corrisponde ad un aumento del consumo attribuibile all’effetto
reddito (ER) e, quindi, ad una diminuzione del risparmio nel periodo corrente. L’effetto reddito
(ER) consiste nel passaggio da A’ al punto di equilibrio finale A, determinato dallo spostamento
parallelo della retta tratteggiata fino al nuovo vincolo di bilancio y. L’effetto reddito produce
dunque una riduzione del risparmio di un ammontare pari a (C 0−C ' 0).

L’effetto complessivo o effetto netto (EN) dovuto ad un aumento del tasso di interesse di mercato è
una diminuzione del consumo presente, rappresentato graficamente da C∗¿ 0−C 0 ¿, con
conseguente aumento del risparmio. In questo caso, l’effetto sostituzione (ES) prevale, quindi,
sull’effetto reddito (ER), cioè ES>ER.
L’effetto netto (EN) sull’offerta di risparmio da parte dell’individuo risparmiatore dipenderà
dall’intensità relativa dell’effetto di sostituzione e di reddito: il risparmio aumenta solo se il primo
prevale sul secondo; rimane costante se i due effetti sono eguali; diminuisce se l’effetto reddito è
maggiore dell’effetto sostituzione.
Nel caso di una riduzione, anziché di un aumento, del tasso di interesse, gli effetti cambiano di
segno.

113
Nel caso di un individuo che risparmia (datore di fondi nel mercato dei capitali), la variazione del
risparmio prodotta da un aumento del tasso di interesse è:

- Positiva se l’effetto sostituzione (ES) è maggiore dell’effetto reddito (ER), cioè ES>ER. Se
l’effetto sostituzione (ES), che determina una riduzione del consumo corrente e, quindi, un
aumento del risparmio, prevale sull’effetto reddito (ER), che invece determina un aumento del
consumo corrente e, quindi, una diminuzione del risparmio, allora l’effetto complessivo sarà
positivo in termini di risparmio. Ne deriva, quindi, che il risultato finale derivante da un aumento
del tasso di interesse di mercato (r) sarà una diminuzione del consumo corrente ( C 0) e, quindi,
un aumento del risparmio. Quando l’effetto sostituzione (ES) prevale sull’effetto reddito (ER),
l’offerta di risparmio da parte dei datori di fondi è maggiore.
- Nulla se l’effetto sostituzione (ES) è uguale all’effetto reddito (ER), cioè ES=ER.
- Negativa se l’effetto sostituzione (ES) è minore dell’effetto reddito (ER), cioè ES<ER. Se
l’effetto reddito (ER), che determina un aumento del consumo corrente e, quindi, una
diminuzione del risparmio, prevale sull’effetto sostituzione (ES), che invece determina una
riduzione del consumo corrente e, quindi, un aumento del risparmio, allora l’effetto complessivo
sarà negativo in termini di risparmio. Ne deriva, quindi, che il risultato finale derivante da un
aumento del tasso di interesse di mercato (r) sarà un aumento del consumo corrente ( C 0) e,
quindi, una diminuzione del risparmio. Quando l’effetto reddito (ER) prevale sull’effetto
sostituzione (ES), l’offerta di risparmio da parte dei datori di fondi è minore.

Nel caso di un individuo che risparmia (datore di fondi nel mercato dei capitali), la variazione del
risparmio prodotta da una diminuzione del tasso di interesse è:

114
- Negativa se l’effetto sostituzione (ES) è maggiore dell’effetto reddito (ER), cioè ES>ER.
- Nulla se l’effetto sostituzione (ES) è uguale all’effetto reddito (ER), cioè ES=ER.
- Positiva se l’effetto sostituzione (ES) è minore dell’effetto reddito (ER), cioè ES<ER.

Formalmente la variazione del risparmio del soggetto a in risposta ad una variazione del tasso di
a
dS
interesse di mercato ( ) può essere positiva, nulla o negativa a seconda se prevale l’effetto
dr
sostituzione (ES) oppure l’effetto reddito (ER), oppure se coincidono , ovvero:

dS a
≥¿ se e solo se ES a≥¿ ER a
dr

Curva di offerta di risparmio: il prenditore di fondi

Il prenditore di fondi prende a prestito i fondi sul mercato, cioè si indebita nel periodo corrente per
consumare oggi un reddito maggiore di quello che dispone, invece, al tempo presente ( Y 0 ). Nel
caso di un individuo che nel periodo corrente si indebita, l’effetto di sostituzione di un aumento del
tasso di interesse ha la stessa natura e produce lo stesso effetto del caso dell’individuo
risparmiatore. L’individuo diminuisce il consumo corrente – anche per lui ora è più costoso in
termini di consumo futuro – e contrae pertanto il proprio indebitamento con effetto positivo sulla
formazione complessiva di risparmio. L’effetto di reddito ha invece segno algebrico opposto
rispetto al caso del datore di fondi, perché un aumento del tasso di interesse rende un individuo
che si indebita complessivamente più povero: produrrà pertanto una contrazione del consumo
presente. L’aumento del tasso di interesse (r) in questo caso riduce, anziché aumentare, l’insieme
¿
delle scelte possibili (la riduzione è pari all’area M 0 W M 0 ). Sia l’effetto reddito ¿ ¿) che l’effetto
sostituzione (C 0−C ' 0) producono, quindi, una riduzione del consumo corrente. La figura 9.4
mostra l’effetto reddito (ER) e l’effetto sostituzione (ES) generati da un incremento del tasso di
interesse di mercato (r).

L’asse orizzontale riporta il consumo corrente (C 0), mentre l’asse verticale il consumo futuro (C 1).
Y 0 e Y 1 sono rispettivamente il reddito corrente e il reddito futuro del soggetto.
Le curve di indifferenza intertemporale rappresentano le combinazioni di consumo presente ( C 0) e
consumo futuro (C 1) che rendono l’individuo indifferenze.

115
Le preferenze di consumo dei soggetti sono rappresentate graficamente da una mappa di curve di
indifferenza intertemporale.
La curva di offerta di risparmio del prenditore di fondi mostra la relazione tra la quantità netta
di fondi presi a prestito e il livello del tasso di interesse (r).
In corrispondenza del punto di ottimo B*, dove la curva di indifferenza intertemporale è tangente al
vincolo intertemporale di bilancio (y*), l’individuo massimizza il proprio consumo consumando la
quantità di reddito C∗¿ 0 ¿, che è maggiore del suo reddito corrente ( Y 0 ). Ne deriva che, essendo
C∗¿ 0>Y 0 ¿ , il soggetto decide di indebitarsi prendendo a prestito la quota di reddito (C∗¿ 0−Y 0 ¿)
nel periodo corrente.
Per isolare graficamente la parte di variazione di quantità consumata dovuta all’effetto sostituzione
(ES) è necessario trovare un paniere intermedio o teorico. È possibile determinare questo paniere
tenendo presenti due aspetti. In primo luogo, il paniere teorico riflette il maggiore consumo nel
tempo presente (dal momento che il soggetto si è indebitato prendendo a prestito risorse), quindi
deve giacere su un vincolo di bilancio parallelo al vincolo di bilancio y*. In secondo luogo, il paniere
teorico riflette l’ipotesi che il consumatore raggiunga comunque, dopo l’aumento del tasso di
interesse di mercato, il suo livello iniziale di utilità: pertanto il paniere deve essere nel punto in cui il
vincolo di bilancio è tangente alla curva di indifferenza U1. Queste due condizioni sono soddisfatte
in corrispondenza del paniere B’ (il paniere teorico o intermedio) sulla linea di bilancio y’. Nel
paniere B’, il soggetto consuma la quantità C ' 0.
A differenza del caso precedente, l’effetto reddito (ER) e l’effetto sostituzione (ES) vanno in
entrambi nella stessa direzione, cioè si rinforzano l’un l’altro. L’aumento del tasso di interesse di
mercato (r) produce, quindi, lo stesso effetto in entrambi i casi (ER e ES).

L’effetto derivante da un aumento del tasso di interesse di mercato (r) può essere scomposto in:

1. EFFETTO SOSTITUZIONE: L’aumento del tasso di interesse di mercato (r) rende più costoso
il consumo presente in termini di consumo futuro. Ne deriva, quindi, che un incremento del
tasso di interesse di mercato (r) disincentiva i prenditori di fondi dal prendere a prestito al
tempo presente. L’individuo ridurrà, quindi, il proprio indebitamento (cioè ridurrà i propri
consumi) con un effetto positivo sul proprio risparmio. L’effetto sostituzione spiega il passaggio
dal punto B al punto B’. La quantità (C 0−C ' 0) rappresenta la parte di effetto complessivo che è
attribuibile all’effetto sostituzione.

2. EFFETTO REDDITO: L’effetto reddito identifica uno spostamento parallelo del vincolo
intertemporale di bilancio. L’aumento del tasso di interesse di mercato (r) rende il prenditore di
fondi più povero. Dal momento che il consumo al tempo corrente (C 0) e il consumo al tempo
futuro (C 1) sono dei beni normali, ciò significa che il consumo subirà una contrazione. Il

116
soggetto che si indebito si sente più povero e, quindi, ci sarà una contrazione del consumo pari
a (C ' 0−C∗¿ 0 ¿ . la quantità ¿ ¿ rappresenta la parte di effetto complessivo che è attribuibile
all’effetto reddito.

L’individuo che prende a prestito, sia nel caso dell’effetto reddito che nel caso dell’effetto
sostituzione, si indebita di meno, riducendo così il proprio consumo nel tempo presente e
aumentando, quindi, il proprio risparmio.

Nel caso di un individuo che si indebita (prenditore di fondi nel mercato dei capitali), la variazione
del risparmio prodotta da un aumento del tasso di interesse è sempre positiva (in termini di
risparmio), cioè produce sempre una diminuzione del consumo e, quindi, un aumento del
risparmio.

Nel caso di un individuo che si indebita (prenditore di fondi nel mercato dei capitali), la variazione
del risparmio prodotta da una riduzione del tasso di interesse è sempre positiva (in termini di
risparmio), cioè produce sempre un aumento del consumo e, quindi, una diminuzione del
risparmio.

Formalmente ad un aumento del tasso di interesse di mercato (dr ) corrisponde una variazione del
risparmio positiva (cioè dS a>0), mentre ad una diminuzione del tasso di interesse (dr ) corrisponde
una diminuzione del risparmio e, quindi, un effetto negativo sul risparmio (dS a<0).

dS a
≥¿ 0
dr

La curva di offerta di risparmio

117
L’effetto reddito (ER) nel caso del debitore e l’effetto sostituzione (ES) in entrambi i casi,
del debitore (o prenditore di fondi) e del risparmiatore (o datore di fondi), fanno muovere
l’offerta di risparmio nella direzione delle variazioni del tasso di interesse. Il prenditore di
fondi, a seguito di un aumento del tasso di interesse di mercato (r), si sente più povero e, essendo
il consumo al tempo corrente e il consumo al tempo futuro dei beni normali, allora diminuirà il
consumo al tempo corrente e al tempo futuro e aumenterà il risparmio → Effetto reddito nel caso
del prenditore di fondi. In questo caso, quindi, l’aumento del tasso di interesse di mercato (r)
determina un aumento del risparmio.

A seguito di un aumento del tasso di interesse di mercato (d) diviene più costoso il consumo
presente in termini di consumo futuro. Ne deriva, quindi, che:
- il debitore è meno incentivato a prendere a prestito fondi, per cui ridurrà il proprio consumo
presente, aumentando così il risparmio → Effetto sostituzione nel caso del prenditore di fondi.
- al risparmiatore conviene dare a prestito e, quindi, risparmiare nel tempo presente → Effetto
sostituzione nel caso del datore di fondi.
L’effetto reddito, invece, nel caso del risparmiatore fa muovere l’offerta di risparmio in direzione
opposta alla variazione del tasso di interesse di mercato (r). In questo caso, il datore di fondi si
sente più ricco e, essendo il consumo presente e il consumo futuro dei beni normali, allora
aumentano entrambi, per cui il soggetto consumerà di più al tempo corrente riducendo così il
risparmio. Il tasso di interesse di mercato aumenta, mentre l’offerta di risparmio diminuisce.
Se i primi prevalgono, cioè se l’effetto reddito (ER) e l’effetto sostituzione (ES) fanno muovere
l’offerta di risparmio nella stessa direzione delle variazioni del tasso di interesse di mercato (r),
allora l’offerta di lavoro S=S (r ) risulterà positivamente inclinata: S '(r )>0

Ne deriva, quindi, che ad un aumento del tasso di interesse di mercato (r) corrisponde un aumento
dell’offerta di risparmio (S).

La figura 9.7 mostra la curva di offerta del risparmio: quando l’effetto sostituzione (ES) prevale
sull’effetto reddito (ER), oppure quando vanno entrambi nella stessa direzione, essa risulta
inclinata positivamente.
L’asse orizzontale riporta il risparmio (S), mentre l’asse verticale il tasso di interesse di mercato (r).
La curva di offerta del risparmio mostra la relazione esistente tra il risparmio (S) e il tasso di
interesse di mercato (r).
La curva di offerta del risparmio ha un’inclinazione positiva, cioè ad un incremento del tasso di
interesse di mercato (da r1 a r2) corrisponde un aumento del risparmio (da S1 a S2).

118
L’area del triangolo r 1 BA rappresenta il surplus dei risparmiatori. Un aumento del tasso di
interesse di mercato (r) determina un aumento del surplus dei risparmiatori dall’area del triangolo
r 1 BA a quella del triangolo r 2 BABC .

Effetti distorsivi dell’introduzione di un’imposta nel mercato dei capitali

Una variazione del tasso di interesse di mercato (r), a seguito dell’introduzione di un’imposta,
determina una rotazione del vincolo intertemporale di bilancio (y) verso l’esterno (quando r
aumenta) o verso l’interno (quando r diminuisce) intorno alla dotazione dei redditi da lavoro (W).
L’effetto di una variazione del tasso di interesse di mercato (r) sul risparmio può essere scomposto
in: Effetto reddito (ER) ed Effetto sostituzione (ES). L’effetto reddito (ER) e l’effetto sostituzione
(ES) hanno delle conseguenze sul consumo e, quindi, sull’offerta di risparmio dei soggetti diverse.
Nel caso del datore di fondi (cioè colui che mette a disposizioni fondi per il mercato), un aumento
del tasso di interesse di mercato (r) rende più costoso il consumo presente in termini di consumo
futuro, per cui i datori di fondi ridurranno il consumo presente ed aumenteranno l’offerta di
risparmio (Effetto sostituzione). Allo stesso tempo però un aumento del tasso di interesse di
mercato (r) rende il datore di fondi più ricco, ed essendo il consumo presente e il consumo futuro
dei BENI NORMALI, allora il soggetto aumenterà il consumo presente, con conseguente riduzione

119
del risparmio (Effetto reddito). In sintesi, per un datore di fondi un aumento del tasso di interesse di
mercato comporta, in base all’effetto sostituzione, ad un aumento dell’offerta di risparmio mentre,
in base all’effetto reddito, ad una diminuzione dell’offerta di risparmio. In questo caso, infatti
l’effetto reddito (ER) e l’effetto sostituzione (ES) non hanno la stessa direzione e non producono gli
stessi risultati. L’effetto netto (EN) di un aumento del tasso di interesse di mercato dipende da
quale dei due effetti prevale sull’altro. Al contrario, nel caso di un prenditore di fondi l’effetto di un
aumento del tasso di interesse di mercato comporta sempre una riduzione del consumo presente
del soggetto e, quindi, ad un aumento dell’offerta di risparmio. In questo caso, l’effetto reddito (ER)
e l’effetto sostituzione (ES) hanno lo stesso segno e, quindi, si rinforzano l’un l’altro. Per il
prenditore di fondi un aumento del tasso di interesse di mercato, indipendentemente dal fatto che
consideriamo un effetto reddito o dall’effetto sostituzione, comporta un aumento del risparmio.

L’effetto reddito (ER) nel caso del prenditore di fondi e l’effetto sostituzione (ES) in entrambi i casi,
cioè sia nel caso del datore di fondi sia nel caso del prenditore di fondi, fanno muovere l’offerta di
risparmio (S) nella stessa direzione delle variazioni del tasso di interesse di mercato (r). Ne deriva,
quindi, che ad un aumento del tasso di interesse di mercato (r) corrisponde una diminuzione del
consumo corrente (C 0) e, quindi, un aumento del risparmio. Al contrario, ad una diminuzione del
tasso di interesse di mercato (r) corrisponde un aumento del consumo corrente (C 0) e, quindi, una
diminuzione del risparmio → Relazione diretta tra tasso di interesse di mercato (r) e offerta di
risparmio quando l’effetto sostituzione (ES) prevale sull’effetto reddito (ER) nel caso del datore di
fondi, oppure quando l’effetto reddito (ER) e l’effetto sostituzione (ES) si muovono nella stessa
direzione.

L’effetto reddito (ER) nel caso del datore di fondi fa muovere, invece, l’offerta di risparmio (S) in
direzione opposta rispetto alla variazione del tasso di interesse di mercato (r).

L’equilibrio nel mercato dei capitali

Alcuni individui sono considerati risparmiatori (datori di fondi), mentre altri sono utilizzatori di
risparmio (prenditori di fondi). Così come per le famiglie, anche per le imprese è possibile
distinguere tra coloro che decidono di investire in attività produttive del denaro preso a prestito
oppure del denaro proprio.
Supponiamo che affluisca al mercato dei capitali solo la formazione netta di risparmio del settore
famiglie, che equivale al risparmio dei datori di fondi al netto di quanto utilizzato dai prenditori di
fondi.
Supponiamo inoltre, dal lato delle imprese, che ci sia solo la domanda netta di fondi a scopo di
investimento in attività produttive.

120
Separiamo un’offerta di fondi alimentata solo dal settore famiglie e una domanda di fondi
composta esclusivamente dalla richiesta di prestiti a scopo di investimento da parte delle imprese.

- Osserviamo il grafico 9.9, dove è riportato l’equilibrio nel mercato dei capitali.
La domanda di fondi è rappresentata dalla retta σ ( K '' ' ) , composta dalle richieste di prestito a
scopo di investimento da parte delle imprese. σ è il tasso di rendimento dell’investimento. La
curva di domanda di fondi è inclinata negativamente.
L’offerta di fondi, che è alimentata dalle famiglie, è rappresentata graficamente dalla retta S(r ) con
pendenza positiva.
In corrispondenza del punto di equilibrio (punto B), dove la curva di domanda di fondi ( σ ( K ' ' ' ) )
incontra la curva di offerta di fondi ( S(r )), viene scambiato la quantità K* di fondi che affluisce dalle
famiglie alle imprese a un tasso di interesse r*.
In corrispondenza del punto di equilibrio B, possiamo osservare un’uguaglianza tra il tasso
soggettivo di interesse (s) e il tasso di rendimento dell’investimento (σ ). Questo garantisce la
massimizzazione del surplus generato dagli scambi e che viene ripartito tra i profitti delle imprese e
la rendita dei risparmiatori.
Il surplus generato dagli scambi e ripartito tra le imprese corrisponde all’area del triangolo
ABr*.
Il surplus dei risparmiatori corrisponde, invece, all’area del triangolo r*BC.

L’eccesso di pressione di un’imposta sugli interessi

121
Cerchiamo ora di studiare l’effetto sull’equilibrio di mercato, in seguito all’introduzione di
un’imposta sugli interessi con aliquota t s e ipotizziamo che non esistano altre imposte sui redditi;
A questo proposito, consideriamo la figura 9.10, che mostra come un’imposta sugli interessi alteri
l’equilibrio nel mercato dei capitali e provochi una perdita di benessere per la collettività.

La domanda di fondi è rappresentata graficamente dalla retta σ ( K '' ' ) , che è inclinata

negativamente, mentre l’offerta di fondi è rappresentata graficamente dalla retta S(r N ), che è
inclinata positivamente.
L’asse orizzontale riporta la quantità di fondi (K).
L’asse verticale riporta: r è il tasso di interesse di mercato, s è il tasso soggettivo di interesse e σ è
il tasso di rendimento delle imprese.
In corrispondenza del punto di equilibrio di mercato B (K*, r*), dove la domanda di fondi (σ ( K ' ' ' ) )

incontra l’offerta di fondi ( S(r N )), la quantità ottima di fondi è pari a K*.
In seguito all’introduzione dell’imposta con aliquota t s, avviene una contrazione del volume dei
prestiti da K* a K. La curva di offerta dei fondi si sposta verso l’alto da S(r N ) a S (r ), a seguito
dell’introduzione di un’imposta sugli interessi.
Il tasso di interesse netto è pari al tasso di interesse di mercato (r) al netto dell’aliquota d’imposta (
t s), cioè r N =(1−t s )r .
L’imposta crea un divario tra il tasso di interesse lordo, r, pagato dai prenditori di fondi (imprese), e
N
il tasso di interesse netto, r =(1−t s )r .

Gli individui risparmiatori (le famiglie), che alimentano la curva dei fondi, massimizzano
eguagliando il tasso soggettivo di interesse di mercato (s) al netto dell’imposta (r N ): s=r
N

Le imprese pagano il tasso lordo (r) e massimizzano i profitti in corrispondenza dell’eguaglianza tra
tasso di rendimento e tasso di interesse lordo: σ =r

Oltre alla contrazione del volume dei prestiti (K – K*), avviene una riduzione del surplus dei
soggetti all’interno del mercato. Il surplus delle imprese si riduce di un’area coincidente con il
¿
poligono rAB r . Il surplus delle famiglie si riduce di un’area coincidente con il poligono r ¿ BC r N . La
complessiva riduzione del surplus, pari alla somma delle aree dei singoli poligoni, coincide
graficamente con l’area rABC r N .

Il gettito dell’imposta, cioè le risorse ottenute dallo Stato a seguito dell’introduzione di un’imposta
sugli interessi, corrisponde graficamente all’area del rettangolo rAC r N . La base del rettangolo
corrisponde al capitale scambiato (0K), mentre l’altezza del rettangolo è pari all’imposta r −r N .

122
Dal momento che la riduzione complessiva del surplus, a seguito dell’introduzione dell’imposta,
eccede il gettito d’imposta, l’introduzione di un’imposta sugli interessi genera un effetto distorsivo,
cioè una perdita secca di benessere per la collettività o eccesso di pressione.

L’eccesso di pressione (o perdita secca di benessere la collettività), che è pari alla differenza tra
la riduzione complessiva di surplus e il gettito d’imposta, corrisponde graficamente all’area del
triangolo A ^
BC .

Lezione 8. IMPOSTE CORRETTIVE

Imposte correttive

L’analisi degli effetti distorsivi delle imposte presuppone che, in assenza di imposta, i mercati
producano un’allocazione socialmente efficiente della produzione. È l’introduzione dell’imposta
stessa a causare la distorsione.

Cosa succede se nel mercato già esistono cause di inefficienza allocativa?


Immaginiamo l’esistenza di un mercato in cui esiste già un’inefficienza allocativa. L’introduzione di
un’imposta, in questo caso, non necessariamente produce un ulteriore scostamento dall’ottimo. Al

123
contrario, sarebbe possibile sfruttare le imposte per modificare il sistema dei prezzi relativi ai fini
correttivi.

La figura 10.1 (a) mostra il caso dell’impiego delle imposte per la correzione delle esternalità
negative: un’imposta specifica di importo u ha l’effetto di spostare l’equilibrio di mercato dalla
quantità inefficiente q* alla quantità efficiente q .

In questo caso, viene considerata un’imposta specifica di importo u per correzione di


un’esternalità ambientale negativa. Le esternalità negative rappresentano dei costi che
provengono da transazioni nel mercato che però non sono riflesse nei prezzi di mercato. In sintesi,
le esternalità negative sono dei fattori che influenzano il benessere sociale, di cui però il mercato
non tiene conto tramite il meccanismo dei prezzi.
La presenza di un’esternalità comporta un’allocazione inefficiente delle risorse. Nel caso di
un’esternalità negativa di produzione i costi sociali legati alla produzione di un determinato bene
inquinante sono superiori ai costi di produzione privati del medesimo bene. Il livello di produzione
risulta quindi superiore a quello che è socialmente desiderabile.
L’asse delle ascisse riporta la quantità del bene q scambiata nel mercato, mentre l’asse verticale
misura le esternalità ( Emg ), i costi marginali (C mg), e i benefici marginali ( Bmg).
Bmg=¿ Retta che rappresenta i benefici marginali che è inclinata negativamente.
pr
C mg=¿ Retta che rappresenta i costi marginali privati.
In corrispondenza del punto di equilibrio di mercato B, dove la retta che rappresenta i benefici
marginali ( Bmg) incontra la retta relativa ai costi marginali privati (C mg), la quantità ottimale dal punto
pr

di vista privato del bene q scambiata nel mercato è pari a q∗¿ . In corrispondenza del punto di
equilibrio di mercato B, i benefici marginali ( Bmg) sono uguali ai costi marginali privati (C mg), cioè
pr

pr
Bmg=C mg .
Ipotizziamo che esista, all’interno del mercato, un’esternalità ambientale generata dalla
produzione del bene q , di cui però le imprese non tengono conto perché non ne supportano il
costo. Questo comporta che la produzione del bene sarà superiore a ciò che è socialmente
desiderabile (cioè di quello che la società vorrebbe che si producesse di quel bene). L’esternalità è
rappresentata dalla retta Emg , con andamento crescente per cui assumiamo l’esternalità cresce al
crescere del bene q.
soc
Il costo marginale sociale (C mg ) si ottiene sommando verticalmente alla retta dei costi marginali

privati (C mg) la retta che rappresenta le esternalità ( Emg ), cioè C mg =C mg + Emg .


pr soc pr

soc
La retta del costo marginale sociale (C mg ), che si ottiene sommando verticalmente alla retta dei
pr
costi marginali privati (C mg) la retta che rappresenta le esternalità ( Emg ), incontra la retta del

124
beneficio marginale ( Bmg) in corrispondenza del punto D, che è il nuovo punto efficiente di
equilibrio, in corrispondenza del quale la quantità prodotta nel mercato è q . Ne deriva, quindi, che
l’equilibrio di mercato si sposta dal punto B, dove la retta che rappresenta i benefici marginali ( Bmg)
pr
incontra la retta relativa ai costi marginali privati (C mg), al punto D.
q=¿ Quantità che la società vorrebbe che si producesse del bene q , in corrispondenza della quale
la curva del beneficio marginale ( Bmg) incontra la curva del costo marginale sociale (C mg ) =
soc

Quantità efficiente dal punto di vista sociale


q∗¿ Quantità di equilibrio scambiata sul mercato in corrispondenza della quale la curva del
pr
beneficio marginale ( Bmg) incontra la curva dei costi marginali privati (C mg) = Quantità inefficiente
dal punto di vista sociale
L’esternalità prima dell’introduzione dell’imposta è pari all’area del triangolo M0q∗¿ .
L’introduzione di un’imposta specifica unitaria (u) determina uno spostamento parallelo verso
pr
l’alto della curva del costo marginale privato (C mg), in modo che la quantità efficiente coincida con
quella necessaria alla società (q ).
L’imposta è stata utilizzata quindi per ridurre la quantità, giudicata eccessiva dalla società. Il punto
iniziale di equilibrio di mercato (B), giudicato inefficiente dal punto di vista sociale, è stato
modificato ad una quantità efficiente dal punto di vista sociale (D).
pr
La curva del costo marginale privato dopo l’introduzione di un’imposta specifica unitaria ( C mg+ u) si
pr
ottiene spostando parallelamente verso l’alto la curva del costo marginale privato (C mg) di un
ammontare esattamente pari all’imposta specifica unitaria (u).
In corrispondenza del nuovo punto di ottimo dopo l’imposta (punto D, dove la curva del beneficio
marginale ( Bmg) incontra la curva del costo marginale privato a seguito dell’introduzione
pr
dell’imposta (C mg+ u), la quantità efficiente scambiata sul mercato coincide con quella che la che la
società vorrebbe che si producesse (q ). In sintesi, siamo ricorsi alle imposte per correggere una
inefficienza del mercato riducendo la quantità di produzione del bene q che la società giudica
come eccessiva (q∗−q). L’introduzione dell’imposta ha spostato l’equilibrio di mercato dal punto
B, al quale corrisponde la quantità inefficiente dal punto di vista sociale (q∗¿ ), al punto D, al quale
invece corrisponde la quantità efficiente dal punto di vista sociale (q ).
Nel nuovo punto di ottimo D, l’importo unitario dell’imposta correttiva (DE), che corrisponde
pr
graficamente alla distanza tra la curva del costo marginale privato prima dell’imposta ( C mg) e la
pr
curva del costo marginale dopo l’imposta (C mg+ u), coincide con il valore dell’esternalità marginale
(Lq ).
Possiamo osservare che l’inquinamento non è stato completamente eliminato a seguito
dell’introduzione dell’imposta correttiva.

125
L’esternalità totale, a seguito all’introduzione dell’imposta, si riduce dal triangolo M 0^ q∗¿ al
triangolo q 0^ L . Possiamo, quindi, osservare un miglioramento in termini di riduzione
dell’inquinamento e di riduzione dell’esternalità.

Consideriamo il grafico 10.1 (b) per trarre altre conclusioni a seguito dell’introduzione dell’imposta
specifica unitaria per correggere una inefficienza del mercato.

Il gettito d’imposta, cioè le risorse che lo Stato ottiene dall’introduzione dell’imposta, è


rappresentato graficamente dall’area del rettangolo GDEF. La base del rettangolo è pari alla
quantità socialmente efficiente (q ), mentre l’altezza corrisponde all’ammontare dell’imposta
specifica unitaria (u).
Il gettito d’imposta (T), rappresentato graficamente dall’area del rettangolo GDEF, eccede
l’inquinamento residuo (esternalità ambientale), che è rappresentato graficamente dall’area del
triangolo q 0^ L rimasto in seguito all’introduzione dell’imposta. L’area del rettangolo GDEF, che
identifica il gettito d’imposta, è esattamente pari all’area del rettangolo ILq 0. Possiamo, quindi,
osservare che l’area del rettangolo ILq 0 è maggiore dell’esternalità ambientale dopo l’imposta
rappresentata graficamente dal triangolo q 0^ L .
Il guadagno di efficienza in seguito all’introduzione dell’imposta è pari al triangolo D ^
H B , pari alla
differenza tra la riduzione dell’esternalità ambientale (poligono DHBE graficamente coincidente con
^ E ) in seguito all’introduzione dell’imposta.
il poligono q q∗ML ) e la perdita di surplus privato ( D B
126
Imposte versus regolamentazione

In assenza di imposte, i mercati dovrebbero produrre un’allocazione socialmente efficiente delle


risorse. La presenza di esternalità in un mercato fa sì che quel mercato sia inefficiente, nel senso
che la quantità scambiata sul mercato non massimizza il benessere degli agenti economici che
operano in quel mercato. Nei mercati infatti potrebbero prima dell’introduzione di un’imposta
esistere delle cause di inefficienza allocativa. Le imposte possono essere utilizzate per correggere
l’inefficienza allocativa, tramite l’alterazione del sistema dei prezzi. In precedenza, è stata
introdotta un’imposta specifica unitaria (u) per correggere una inefficienza allocativa in presenza di
un’esternalità negativa di produzione. L’introduzione di un’imposta determina una diminuzione
della quantità del bene prodotto che causa l’esternalità (per esempio, il bene inquinante) da una
quantità inefficiente dal punto di vista sociale (q∗¿ ) ad una quantità, invece, efficiente dal punto di
vista sociale (q ).

Le imposte ambientali possono, quindi, essere utilizzate per correggere un’esternalità negativa di
produzione, per esempio la produzione di un bene che inquina. In questo caso, le imposte
possono essere utilizzate per rendere più efficiente l’allocazione delle risorse.
Una soluzione alternativa all’uso di imposte correttive per rendere efficiente l’allocazione delle
risorse potrebbe essere quella di intervenire per regolamentare la produzione di un determinato
bene, dal momento che viene prodotta una quantità eccessiva rispetto a quanto è socialmente
ottimale. Una soluzione potrebbe, quindi, essere quella di regolamentare la produzione, in modo
da ridurre la quantità prodotta del bene inquinante e, quindi, ridurre l’esternalità negativa.

127
Esistono, quindi, due possibili soluzioni attraverso le quali è possibile correggere una inefficienza
allocativa delle risorse nel mercato:
1. Imposte correttive
2. Regolamentazione

In alcuni casi, l’utilizzo delle imposte correttive rappresenta una soluzione migliore della
regolamentazione, che porta ad una riduzione più efficiente delle esternalità negative ambientali e,
quindi, ad un’allocazione più efficiente delle risorse prodotte. Come strumento di correzione
delle esternalità ambientali le imposte risultano più efficienti delle misure di
regolamentazione.

Consideriamo il grafico 10.2, per dimostrare che, utilizzando come strumento correttivo l’imposta,
si raggiunge un risultato più efficiente rispetto all’introduzione di una regolamentazione.

La produzione, da parte di due imprese, di due beni x e y genera inquinamento (acustico,


x
ambientale, etc..). Le curve del beneficio marginale dei due beni ( x e y ) sono rispettivamente Bmg e
y x
Bmg . La curva del beneficio marginale del bene x ( Bmg) e la curva del beneficio marginale del bene
y
y ( Bmg ) sono negativamente inclinate.

L’asse orizzontale riporta la quantità prodotta dei due beni (q x , q y ), mentre l’asse verticale riporta:
le esternalità ( Emg ), i costi marginali (C mg), e i benefici marginali ( Bmg).
pr
C mg=¿ Retta che rappresenta i costi marginali privati. La curva dei costi marginali privati è
positivamente inclinata, suggerendo che all’aumentare della quantità prodotta dei due beni
aumenta il costo marginale sostenuto dalle imprese.
In questo caso, la retta che rappresenta le esternalità ( Emg ) ha andamento costante, cioè parallela
all’asse orizzontale: la produzione, da parte delle imprese, di due beni x e y genera le stesse
emissioni inquinanti per ogni unità prodotta, supposte ora costanti al crescere della quantità
prodotta.
x y
La curva del beneficio marginale del bene x ( Bmg)è più elastica di quella del bene y ( Bmg). L’utilizzo
dell’imposta come strumento correttivo ci permetterà di dimostrare che la quantità prodotta del
bene x si ridurrà in misura maggiore rispetto a quella del bene y , dal momento che la curva del
beneficio marginale del bene x è più elastica rispetto a quella del bene y. In questo modo,
attraverso l’introduzione di un’imposta si otterrà così un risultato più efficiente rispetto al caso in cui
venga, invece, introdotta una regolamentazione.
Supponiamo che l’inquinamento possa essere ridotto soltanto diminuendo la quantità prodotta dei
due beni ( x e y ). La soluzione efficiente con l’introduzione di un’imposta correttiva dovrebbe
prevedere una diminuzione della quantità del bene caratterizzato da una curva del beneficio

128
marginale più elastica, cioè del bene x, superiore rispetto a quella del bene y, caratterizzato invece
da una curva del beneficio marginale meno elastica.
Introduciamo un’imposta specifica a carico dei produttori di importo unitario pari all’esternalità (
u=Emg). L’introduzione di un’imposta specifica di importo pari all’esternalità determina uno
pr
spostamento della curva del costo marginale privato (C mg) parallelamente verso l’alto di una
quantità esattamente pari a u. Le imprese, a seguito dell’introduzione di un’imposta, dovranno
sostenere dei costi marginali di produzione dei due beni maggiori. La curva dei costi marginali
pr soc
privati dopo l’imposta (C mg+ u) coincide con la curva dei benefici marginali sociali (C mg ), cioè
pr soc soc
C mg+ u=C mg . La curva dei costi marginali sociali (C mg ) si ottiene sommando verticalmente alla
pr
curva dei costi marginali privati (C mg) la retta che rappresenta le esternalità ( Emg ), cioè

C mg =C mg + Emg , ma in questo caso Emg =u. La curva dei costi marginali sociali ( C mg ) è pari alla
soc pr soc

pr
somma verticale della curva dei costi marginali privati (C mg) più l’imposta unitaria (u).
In corrispondenza del punto di equilibrio di mercato iniziale F, dove le curve dei benefici marginali
x y pr
dei due beni ( Bmg e Bmg) incontrano la curva dei costi marginali privati ( C mg), la quantità del bene x
¿
scambiata sul mercato è pari a q .
L’introduzione di un’imposta specifica di importo pari all’esternalità ( Emg =u) determina uno
spostamento parallelo verso l’alto della curva del beneficio marginale privato di un importo pari
all’imposta ( Emg =u) da C mg a C mg =C mg + Emg . Ne deriva, quindi, che a seguito dell’introduzione
pr soc pr

dell’imposta il punto di equilibrio di mercato iniziale F, individuato dall’incontro tra le curve dei
x y pr
benefici marginali dei due beni ( Bmg e Bmg) e la curva dei costi marginali privati (C mg), si sposta. In
x y
particolare, l’incontro tra le curve dei benefici marginali dei due beni ( Bmg e Bmg) e la curva del costo
soc
marginale sociale (C mg ) individuano due punti di equilibrio:
1. Punto di equilibrio di mercato B determinato dall’intersezione tra la curva del beneficio
y soc
marginale del bene y ( Bmg) e la curva del costo marginale sociale(C mg ). In corrispondenza del
y soc
punto di equilibrio B, quindi Bmg=¿ C mg .
2. Punto di equilibrio di mercato E determinato dall’intersezione tra la curva del beneficio
x soc
marginale del bene x ( Bmg ¿ e la curva del costo marginale sociale (C mg ). in corrispondenza del
x soc
punto di equilibrio E, quindi Bmg ¿C mg .

La produzione del bene x viene ridotta, a seguito dell’introduzione dell’imposta, di una quantità pari
¿
graficamente alla distanza q x q , mentre la produzione del bene y viene ridotta di una quantità pari
¿
graficamente alla distanza q y q . Ne deriva, quindi, che a seguito dell’introduzione dell’imposta la
¿
quantità prodotta del bene x , da parte delle imprese, viene ridotta dalla quantità ottima q alla

129
quantità socialmente efficiente q x . Allo stesso modo, la quantità prodotta del bene y , da parte delle
¿
imprese, viene ridotta dalla quantità ottima q alla quantità socialmente ottimale q y .
L’introduzione di un’imposta ha, quindi, comportato una diminuzione della quantità prodotta di
¿
entrambi i beni ( x e y ) dalla quantità inefficiente dal punto di vista sociale di entrambi i beni (q ) alla
quantità socialmente ottimale del bene x (q x ) e alla quantità socialmente ottimale del bene y (q y ).
Ipotizziamo di introdurre a questo punto del ragionamento una regolamentazione. L’obiettivo è
dimostrare che l’introduzione di una regolamentazione comporta una allocazione delle risorse
meno efficiente di quella che, invece, potrebbe comportare l’introduzione di un’imposta correttiva.
La regolamentazione non ci permette di differenziare la produzione dei beni x e y . La legge, quindi,
impone una riduzione uniforme q x , y, associata alla produzione sia del bene x che del bene y . Da
un punto di vista grafico, tracciamo una retta parallela all’asse verticale che incontra l’asse
orizzontale in corrispondenza del punto q x , y e che identifica la regolamentazione.
q x , y =¿ Quantità socialmente inefficiente di allocazione delle risorse a seguito dell’introduzione di
una regolamentazione
Perché, nel caso dell’introduzione di una regolamentazione, l’allocazione delle risorse, che è
rappresentata da q x , y, è meno efficiente dell’allocazione delle risorse (q x , q y ) ottenuta, invece, con
l’introduzione di un’imposta correttiva?
L’introduzione di una regolamentazione comporta una diminuzione della quantità prodotta di
¿
entrambi i beni (q x , q y ) dalla quantità socialmente inefficiente (q ) ad una stessa quantità sia per il
bene x che per il bene y (q x , y). In queste condizioni, però si produce una quantità eccessiva del
bene x dal momento che la quantità prodotta del bene x ( q x , y) eccede la quantità socialmente
efficiente del bene x (q x ), cioè quanto la società vorrebbe che si producesse del bene x . Allo
stesso modo, si produce una quantità troppo bassa del bene y ( q x , y) rispetto a quella socialmente
utile (q y ), cioè alla quantità che la società vorrebbe che si producesse del bene y.
Il segmentoq x q x , y identifica una quantità prodotta del bene x per la quale il costo marginale sociale
è maggiore del beneficio marginale del bene x, cioè graficamente la curva del costo marginale
soc x
sociale (C mg ) sta sopra la curva del beneficio marginale del bene x ( Bmg). Ne deriva, quindi, che
stiamo producendo una quantità del bene x per la quale i costi sono superiori ai benefici. Al
contrario, il segmento q x , y q y identifica una quantità prodotta del bene y per la quale il beneficio
marginale del bene y è maggiore del costo marginale sociale, cioè graficamente la curva del
y soc
beneficio marginale del bene y ( Bmg) sta sopra la curva del costo marginale sociale (C mg ). Ne
deriva, quindi, che stiamo producendo una quantità del bene y per la quale i benefici sono
superiori ai costi di produzione.
L’inefficienza, quindi, si verifica dal momento che si produce una quantità di bene x con costi
marginali sociali maggiori dei benefici marginali, rinunciando alla produzione del bene y per cui,

130
invece, i benefici marginale sarebbero maggiori dei costi marginali sociali. Il risultato di questa
inefficienza derivante dall’introduzione di una regolamentazione sarà una perdita di benessere
complessiva.
La perdita di benessere complessiva è identificata graficamente dalla somma del triangolo
^ E (perdita di benessere legata all’eccessiva produzione del bene x ) e del triangolo ABC
DC
(perdita di benessere dovuta alla mancata produzione del bene y ).

Le imposte ambientali e il doppio dividendo

L’OCSE include tra le imposte collegate all’ambiente quelle applicate su basi imponibili ritenute di
particolare rilevanza ambientale.
Questo tipo di imposte possono produrre un doppio dividendo, cioè due risultati rispetto alle altre
tipologie di imposte:
- Aumento di benessere derivante dall’introduzione di un’imposta correttiva, per
giungere ad una allocazione delle risorse socialmente ottimale;
- Aumento di benessere prodotto dalla riduzione di un’imposta distorsiva.

La figura 10.3 riporta il gettito delle imposte ambientali in % del PIL relativo agli anni 1994, 2000 e
2014 nei paesi dell’area OCSE. Osserviamo il getto in % del PIL raggiunto con le imposte
ambientali in Italia.

Perché il doppio dividendo? Una prima parte del vantaggio, cioè dell’aumento di benessere, la si
ottiene in seguito all’introduzione dell’imposta correttiva, quindi grazie ad un miglioramento
nell’allocazione efficiente delle risorse.

131
Una parte dell’aumento di benessere deriva, invece, dalla riduzione dell’imposta distorsiva.
Per esempio, il contesto europeo, caratterizzato da un forte prelievo fiscale e contributivo sul
lavoro e da un’elevata disoccupazione. Una volta introdotte delle imposte ambientali, l’idea è stata
quella di utilizzare parte del gettito recuperato tramite l’introduzione di imposte ambientali per
ridurre il carico fiscale sul lavoro nelle due componenti dell’imposizione personale e i contributi
sociali sul lavoro.

In questo modo si è prodotto un doppio vantaggio derivante dall’introduzione di un’imposta


ambientale: più occupazione e meno inquinamento. In sintesi, l’introduzione di un’imposta
ambientale dapprima riduce l’inquinamento, cioè l’esternalità ambientale, al fine di ottenere una
allocazione più ottimale delle risorse dal punto di vista sociale, e in secondo luogo permette di
utilizzare parte delle risorse ottenute dopo l’introduzione delle imposte ambientali (gettito
d’imposta) per altri scopi, per esempio ridurre il prelievo fiscale contributivo sul lavoro, in modo da
ridurre così da ridurre la disoccupazione.

132
Lezione 9. LE FORME DELLA PROGRESSIVITÀ

Progressività di un’imposta: caso del reddito

Come dovrebbe variare il debito d’imposta o imposta o gettito d’imposta (T) al crescere della base
imponibile (Y )? In questo contesto, scegliamo come base imponibile (B) il reddito (Y ), ovvero

B=Y . Il debito d’imposta (a livello individuale) o gettito d’imposta (a livello aggregato) o più
semplicemente imposta è una funzione del reddito (Y ).

T y =f (Y )

L’aliquota media è definita come il rapporto tra l’imposta (T ) e la base imponibile (Y) e
rappresenta quanto è dovuto in media dal contribuente per ogni unità di base imponibile.

T
t y=
Y

L’aliquota marginale è pari, invece, al rapporto tra la variazione dell’imposta (dT ) e la variazione
della base imponibile (dY ) e rappresenta quanto è dovuto dal contribuente per ogni unità
aggiuntiva di base imponibile.
dT
t ' y=
dY

Progressività, aliquota marginale e aliquota media

La progressività di un’imposta è un aspetto importante, in quanto permette di studiare gli effetti


distributivi del prelievo tributario. Con un’imposta progressiva è possibile, infatti, distribuire il
carico tributario in maniera ineguale in modo da far sopportare un onere tributario maggiore a chi
ha una base imponibile maggiore (individui ricchi).

Un’imposta è progressiva se l’aliquota marginale è superiore all’aliquota media: t ' >t

All’aumentare della base imponibile, il debito di imposta di un soggetto aumenta più che
proporzionalmente. Il contribuente paga all’aumentare della base imponibile, cioè del reddito (dB )

133
una percentuale di imposta, in termini di aliquota media ( d t ), sempre più elevata. Per ogni
incremento di reddito, deve pagare una percentuale, in termini di aliquota marginale ( t ' ), che
aumenta all’aumentare del reddito e che è maggiore dell’aliquota media ( t ). Inoltre, un’imposta è
progressiva se, al crescere della base imponibile (dB ), l’aliquota media cresce (d t ), ovvero:

dt
>0
dB

Progressività di un’imposta

Data un’imposta sul reddito, T y =f (Y ), si possono distinguere due principali classi:

1. Progressività ad aliquota marginale costante


- Deduzione dell’imponibile;
- Detrazione dell’imposta.

Nello specifico vedremo come l’utilizzo delle deduzioni sull’imponibile e delle detrazioni
sull’imposta permettono di rendere un’imposta progressiva.

2. Progressività ad aliquota marginale crescente


- Progressività continua;
- Progressività per scaglioni.

Progressività ad aliquota marginale costante: per DEDUZIONE

Si ha progressività per deduzione nel caso di un’unica aliquota legale con un abbattimento in
somma fissa dell’imponibile (cioè dalla base imponibile). In pratica, si applica l’imposta e si deduce
una somma fissa, che è stabilita dalla legge, dalla base imponibile (per esempio il reddito) per poi
applicare l’aliquota legale dell’imposta.

Consideriamo t y l’aliquota legale e ded la deduzione. La funzione d’imposta (T y ) ha la seguente


formulazione:

T y=
{ 0 se Y ≤ ded
t y (Y −ded )se Y > ded

134
L’imposta è nulla (cioè si definisce un’area di esenzione) finché il reddito non supera l’importo della
deduzione, cioè per livelli di reddito Y ≤ ded . L’importo della deduzione (ded ) determina il minimo
imponibile. Quando, invece, il reddito supera l’importo della deduzione, si sottrae dalla base
imponibile la deduzione (Y – ded ) e si applica poi l’aliquota legale (t y ).

Nel tratto positivo della funzione di imposta, l’aliquota marginale ( t ' ) è costante e pari all’aliquota
dT y
legale stabilita dalla legge (t y ): t '= = ty
dY
Ty t ded
L’aliquota media è, invece, pari a: t= =¿ t y − y
Y Y

Nel caso in cui la base imponibile (Y) supera il minimo imponibile, cioè il valore che è stato
stabilito per le deduzioni (Y >ded ), allora T y =¿ t y (Y −ded). Sostituendo:

Ty t y (Y −ded ) t y Y −t y ded t y Y t y ded t y ded


t= =¿ = = − = t y−
Y Y Y Y Y Y

L’aliquota media (t ) cresce al crescere dell’imponibile, informazione che ci conferma il carattere


progressivo dell’imposta.
Per spiegare meglio questo concetto consideriamo un esempio. Determinare l’aliquota media (t ),
noti:
t y =0,3 ; ded =20; Y =50 ; 80 ; 120

Dal momento che la base imponibile (Y) supera il minimo imponibile, cioè il valore stabilito per le
deduzioni (ded =20), allora l’aliquota media è pari a:

t y ded
t=t y −
Y

Applicando la formula dell’aliquota media (t ), possiamo osservare che l’aliquota media aumenta
all’aumentare della base imponibile, cioè all’aumentare del reddito (Y). Determino le aliquote
medie relative ai diversi livelli di reddito, cioè t 50, t 80 e t 120.

t y ded 0,3 × 20 6
t 50=t y − =0,3− =0,3− =0,18
Y 50 50
t y ded 0,3× 20 6
t 80=t y − =0,3− =0,3− =0,225
Y 80 80

135
t y ded 0,3 ×20 6
t 120 =t y − =0,3− =0,3− =0,25
Y 120 120

Nel caso di un’imposta progressiva con aliquota marginale costante, cioè quando si utilizza una
sola aliquota, per rendere l’imposta progressiva è necessario ricorrere alle deduzioni o le
detrazioni. La flat tax è un’imposta progressiva ad aliquota marginale costante, che prevede quindi
una sola aliquota, e che viene resa progressiva tramite l’utilizzo delle deduzioni e delle detrazioni.
Si ottiene, quindi, una progressività per deduzione, ossia l’imposta pagata è funzione della
differenza tra il reddito effettivo (R) e il reddito dedotto (D). Al reddito effettivo (R) viene tolto la
detrazione (D) e poi si applica l’aliquotat .
T =t ( R−D)=tR – tD

t è l’aliquota nominale (o formale) fissata dal legislatore che grava sulla base imponibile (R−D).
L’aliquota nominale t corrisponde anche all’aliquota marginale che grava sull’ammontare di reddito
effettivamente colpito dall’imposta.

Consideriamo la figura 11.3.


L’asse orizzontale riporta la base imponibile, cioè il reddito R, mentre l’asse verticale riporta il
debito d’imposta o imposta (T).
Il livello 0D è il livello di reddito esente, per legge, dall’imposta personale. 0D rappresenta, quindi, il
minimo imponibile cioè il valore stabilito per le deduzioni. Il debito d’imposta sarà nullo per livelli di
reddito minori o uguali a D (Y ≤ ded=0 D ). Per livelli di reddito Y >ded =0 D il debito d’imposta
sarà, invece, un ammontare positivo.
La retta DT è l’imposta pagata (T) ad ogni livello di reddito effettivo: T =t ( R−D)

t = Aliquota proporzionale che grava sul reddito che eccede il reddito esentato per legge.
Ad esempio, se il reddito esentato, cioè la deduzione, corrisponde a 8000 € l’anno:

Se R1=20.000 € , l’aliquota t grava su 12.000 €;


Se R2=50.000 € , l’aliquota t grava su 42.000 €;

Superato il livello di D, all’aumentare del reddito aumenta l’aliquota media mentre l’aliquota
marginale rimane costante.

136
Consideriamo la figura 11.4.
'
L’aliquota media dell’imposta è nulla (t =0) fino al raggiungimento del reddito esente (8.000 €) e
aumenta gradualmente al crescere del reddito fino a tendere verso il livello dell’aliquota marginale
(t → t ').
Per un reddito che tende a infinito (Y → ∞), l’aliquota media è uguale a quella marginale, ossia alla

t stabilita per legge (t ' =t=¿ t y ).


Maggiore è l’esenzione (D), maggiore è il livello di reddito dove l’aliquota media diventa pari
'
all’aliquota fissata per legge (t =t=¿ t y ). La progressività dell’imposta è tanto più elevata
quanto più è elevato il reddito fissato come esente.

Progressività ad aliquota marginale costante: per detrazione

137
Si ha progressività per detrazione quando l’aliquota legale (t y ) si applica all’intero imponibile,
ottenendo così il debito di imposta lordo, e si sottrae poi un importo fisso dall’ammontare
dell’imposta (che corrisponde a quello della detrazione), ottenendo il debito d’imposta netto.
Consideriamo t y l’aliquota legale e det la detrazione. La funzione di imposta (T y ) ha la seguente
formulazione:

{
det
0 se Y ≤
ty
T y=
det
t y Y −det se Y >
ty

A differenza del caso precedente, in cui l’aliquota veniva applicata dopo aver sottratto la deduzione
dalla base imponibile, nel caso della progressività per detrazione si applica l’aliquota sull’intera
base imponibile (imposta lorda) per poi sottrarre la detrazione, ottenendo così il debito d’imposta
netto.
det
In questo caso il minimo imponibile è dato dal rapporto . In base alla funzione d’imposta (T y ),
ty
det det
sappiamo che per livelli di reddito (Y ) maggiori del minimo imponibile ( ), cioè Y > , allora la
ty ty
funzione di imposta è positiva e pari a: T y =t y Y −det

Poniamo il debito d’imposta (T y ) uguale a 0 per ricavare il minimo imponibile, cioè il valore fisso
stabilito dalla legge:

det
T y =0 → t y Y −det=0 ; → t y Y =det ;⟶ Y = ;
ty

'
I risultati in termini di andamento dell’aliquota marginale (t ) e media (t ) sono gli stessi della
progressività per deduzione.

I due metodi generano la stessa funzione di imposta (T y ) quando si verifica la seguente


condizione:
det=t y ded
Se è vera questa eguaglianza, allora la progressività per deduzione e la progressività per
detrazione generano la stessa funzione d’imposta (T y ).

138
Come nel caso precedente, lo stesso risultato può essere ottenuto detraendo un dato ammontare
dall’imposta calcolata sul reddito. Si ottiene una progressività per detrazione:

T =t R−d=Debito d ' impostaal netto della detrazione

- t è l’aliquota nominale (o formale) fissata dal legislatore che grava sul reddito (R).
- d è l’ammontare di detrazione dall’imposta calcolata (tR ).

Consideriamo nuovamente la figura 11.3.


- 0T= Livello di imposta calcolata su ogni livello di reddito R.
- t = Aliquota nominale proporzionale.
- d = Detrazione fissa da applicare sull’imposta calcolata per ottenere il debito d’imposta netto ( T
).
- HD = Ammontare della detrazione fissa=det = Distanza verticale tra la funzione d’imposta
T =t R e la funzione di imposta T =t ( R−D).

La figura 11.1 mostra la progressività per deduzione e la progressività per detrazione.


- La retta che ha come intercetta verticale C e che passa per B rappresenta la funzione di
imposta (T ).
- Il segmento AB rappresenta il minimo imponibile nel caso della progressività per deduzione,
dal momento che la funzione di imposta diventa positiva a destra del punto B. Per livelli di
reddito (Y ) minori o uguali al minimo imponibile ( ded =AB ), cioè Y ≤ ded= AB, la funzione di
imposta (T ) è nulla. Al contrario, per livelli di reddito maggiori del minimo imponibile ( ded =AB ),
cioè Y >ded , la funzione d’imposta (T ) è inclinata positivamente, cioè è una funzione
crescente. In sintesi, AB definisce l’area di esenzione.
- Y 1 e Y 2 rappresentano due livelli di reddito, con Y 2 >Y 1.
'
- Quando il reddito aumenta da Y 2 e Y 1, l’aliquota marginale (t ), che rappresenta l’inclinazione
'
della funzione di imposta, rimane costante all’aumentare del reddito, mentre l’aliquota media ( t

) cresce al crescere della base imponibile da t 1 a t 2.


- L’area di esenzione viene garantita, nel caso della progressività per deduzione, da una
deduzione pari alla distanza AB, al di sopra della quale il debito d’imposta (T y ) diventa positivo,
o, nel caso della progressività per detrazione, da una detrazione che è rappresentata
graficamente dal segmento AC e pari a AC=t y AB .
- IN SINTESI, nel caso della progressività ad aliquota marginale costante applichiamo le
deduzioni dall’imponibile e le detrazioni dall’imposta per rendere, attraverso l’uso di un’unica
aliquota legale stabilita dalla legge (t y ), la funzione d’imposta progressiva.
139
Progressività ad aliquota marginale crescente: CONTINUA

In precedenza, abbiamo considerato la possibilità di rendere progressiva l’imposta con un’aliquota


marginale costante attraverso l’utilizzo delle deduzioni dall’imponibile e delle detrazioni
dall’imposta. Di seguito, consideriamo la progressiva con aliquota marginale crescente. In questo
caso, non avremo più una sola aliquota legale stabilita dalla legge ma ≠ aliquote. Come stabilire
però queste aliquote marginali crescenti?
Distinguiamo tre casi:
1. Progressività continua
2. Progressività per classi
3. Progressività per scaglioni

1. La progressività continua
viene determinata stabilendo direttamente la forma della funzione di imposta f (.) che mette in
relazione il debito d’imposta con la base imponibile.
Consideriamo nella trattazione una funzione di imposta strettamente convessa, a differenza dei
casi precedenti in cui veniva considerata una retta, in questo caso l’aliquota marginale cresce in
maniera continua lungo la curva.

Consideriamo la figura 11.2 relativo alla progressività continua.

140
La funzione di imposta (T y ) è strettamente convessa.
Considerando due livelli di reddito, come nei casi precedenti, Y 1 e Y 2, l’aliquota media cresce al
crescere del reddito, infatti la retta che unisce l’origine degli assi (0,0) al punto corrispondente a Y 2

(Y 2,T y ) ha pendenza maggiore di quella che unisce l’origine al punto corrispondente a Y 1 (Y 1 ,T y ).


2 1

Tuttavia, in questo caso, anche l’aliquota marginale è crescente dal momento che la pendenza
delle rette tangenti alla funzione d’imposta aumenta all’aumentare del reddito. In questo caso,
infatti la pendenza della curva che rappresenta la funzione di imposta ( T y ) non è costante in ogni
punto, per cui l’aliquota marginale, che rappresenta la variazione del debito di imposta ( dT ) in
risposta ad una variazione della base imponibile (dY ), cresce al crescere del reddito, cambia al
variare del reddito. La pendenza della retta tangente alla funzione d’imposta (T y ) in

corrispondenza del punto (Y 1 ,T y ) è pari all’aliquota marginale t ' 1. La pendenza della retta
1

tangente alla funzione d’imposta (T y ) in corrispondenza del punto (Y 2 ,T y ) è pari all’aliquota


2

marginale t ' 2. Possiamo osservare che, all’aumentare della base imponibile (da Y 1 a Y 2), l’aliquota
marginale aumenta da t ' 1 a t ' 2.

Come appena descritto, l’aliquota marginale è crescente in maniera continua: infatti, il passaggio
da Y 1 a Y 2 implica che l’aliquota marginale relativa al livello di reddito Y 1 sia minore di quella,
invece, relativa al livello di reddito Y 2 , cioè t ' 1 < t ' 2.

Quale è la principale problematica relativa all’applicazione pratica di questa forma di progressività?


Se consideriamo infiniti livelli di reddito differenti, ogni incremento di reddito (ad esempio da Y n a
Y n + Δ Y n, con Δ Y n infinitesimo) comporta un aumento infinitesimo della pendenza della retta
tangente alla funzione di imposta (T y ) nel punto corrispondente ad un determinato livello di reddito.
In sintesi, ad ogni incremento del reddito corrisponde un incremento costante dell’aliquota
marginale. Quest’ultimo aspetto rappresenta una delle critiche più importanti a questa forma di
progressività, dal momento che risulta difficile per gli utenti riconoscere il proprio carico tributario,
la propria aliquota di riferimento e, quindi, il proprio debito d’imposta.

141
2. Progressività ad aliquota marginale crescente: per classi

Un passo in avanti, rispetto alla progressività ad aliquota marginale crescente continua, venne
fatto tramite prevedendo una crescita della progressività per classi evitando così il problema
analizzato precedentemente (cioè che l’aliquota marginale cambia muovendoci lungo la funzione
di imposta). Tuttavia, la progressività ad aliquota marginale crescente per classi non rappresenta
la soluzione ottimale dal momento che sono state evidenziate delle criticità relativamente a questo
sistema di progressività.

Si identificano diverse classi di reddito, crescenti, e su ciascuna di esse si applica un’aliquota più
elevata rispetto alla classe di reddito inferiore. In questo caso, quindi vengono applicate delle
aliquote crescenti al crescere del reddito.

Equivale all’applicazione di una serie di aliquote proporzionali a ciascuna classe di reddito e


ciascuna più alta rispetto alla classe precedente, a seconda dell’aumento della classe di reddito.

All’interno di ogni classe di reddito, l’aliquota media è costante e l’aliquota marginale è uguale
'
all’aliquota media, cioè t =t .

La tabella 11.1 e la figura 11.5 riportano un esempio relativo alla progressività ad aliquota
marginale crescente per classi di reddito.
La prima colonna della tabella riporta le classi di reddito, mentre la seconda colonna riporta
l’aliquota in termini percentuali (%) che viene applicata alla rispettiva classe di reddito. In sintesi, a
ciascuna classe di reddito corrisponde una diversa aliquota d’imposta. Per livelli di reddito minori o
uguali a 5000€, per esempio, l’aliquota corrispondente è nulla. La terza colonna della tabella
142
riporta, invece, il debito d’imposta (cioè l’ammontare dell’imposta) calcolato sul limite superiore
della classe di reddito.

La funzione di imposta, che nel caso della progressività ad aliquota marginale crescente costante
è strettamente convessa (caratterizzata, quindi, da un andamento crescente), ha nel caso della
progressività ad aliquota marginale crescente per classi di reddito un andamento a gradini, che
sono costanti all’interno di ciascuna classe. Graficamente, è visibile che, all’interno di ogni classe,
aliquota media e marginale coincidono (t me =t mg ).

Questa nuova configurazione permette una maggiore semplicità dal punto di vista dei soggetti
nell’identificare il proprio carico tributario, dal momento che si ragiona in termini di classi di reddito.

Tuttavia, la progressività per classi mostra il problema del salto di imposta: i redditieri che si
trovano ai limiti inferiori di una classe, hanno, dopo aver pagato l’imposta, un reddito netto più
basso dei redditieri che si trovano al limite superiore della classe di reddito inferiore. Ciò significa
che i redditi che si trovano ai limiti inferiori di una classe hanno pagato un’imposta maggiore di
quella, invece, pagata dai redditieri che si trovano al limite superiore della classe di reddito
precedente.

Facciamo una applicazione della progressività ad aliquota marginale crescente per classi di reddito
per spiegare il problema del salto di imposta, calcolando il debito di imposta per ogni estremo
superiore delle varie classi di reddito, nota l’aliquota d’imposta per ogni classe di reddito (riportata
nella seconda colonna della tabella). Relativamente alla prima classe di reddito il limite superiore
143
della classe è 5000, per la seconda classe di reddito invece è 10.000 e così via fino all’ultima
classe di reddito. Il debito d’imposta di un soggetto che ha 5000€ è nullo, dal momento che
l’aliquota di imposta relativamente a questa classe di reddito è nulla. Il debito di imposta del
soggetto è positivo a partire dalla seconda classe di reddito.
 Prima classe di reddito: 5000=0;
 Seconda classe di reddito: 10.000=10.000 × 0,1=1000=Debitod ' imposta; (Reddito netto: Y N
=10.000−1.000=9.000 );
 Terza classe di reddito: 20.000=20.000× 0,15=3000=Debito d ' imposta ; (Reddito netto: Y N =
20.000−3.000=17.000 );
 Quarta classe di reddito: 50.000=50.000 × 0,20=10.000=Debito d ' imposta; (Reddito netto:
Y N =50.000−10.000=40.000 );
 Quinta classe di reddito: 100.000=100.000 × 0,30=30.000=Debito d ' imposta; (Reddito netto:
Y N =100.000−30.000=70.000);
 Sesta classe di reddito: 150.000=150.000 × 0,39=58.500=Debito d ' imposta; (Reddito netto:
Y N =150.000−58.500=91.500 );

Nel caso della progressività ad aliquota marginale crescente l’individuo, dopo aver individuato la
propria classe di reddito, determina il proprio gettito d’imposta e il rispettivo reddito netto. Nel caso
della progressività costante l’aliquota marginale cambia in risposta ad ogni incremento di reddito,
mentre nel caso della progressività per classi di reddito l’aliquota è costante all’interno della classe
di reddito ed aumenta all’aumentare della classe di reddito. In questo senso, quindi, la
progressività per classe sembra aver risolto la problematica relativa, invece, alla progressività
costante.

Allo stesso tempo, però la progressività per classi di reddito introduce il problema del salto di
imposta, in quanto i redditieri che si trovano ai limiti inferiori di una classe hanno, dopo aver pagato
l’imposta, un reddito netto più basso (hanno cioè un debito d’imposta maggiore) dei redditieri che
si trovano al limite superiore della classe di reddito precedente.

Consideriamo la classe di reddito (20.001-50.000), cioè la quarta riga della tabella 11.1. I redditieri
che hanno 20.001 (limite inferiore della classe di reddito) di reddito hanno, dopo aver pagato
l’imposta, un reddito netto inferiore rispetto ai redditieri appartenenti al limite superiore della classe
di reddito precedente (10.001-20.000), cioè coloro che hanno un reddito pari a 20.000. Questo
significa che, in questo caso, da 20.001 a 20.000 c’è una differenza enorme di debito d’imposta e,
quindi, di reddito netto.

144
Confrontiamo il debito d’imposta e il reddito netto relativi ad un soggetto che si trova negli estremi
inferiori di ogni classe con quelli relativi ad un soggetto che, invece, si trova negli estremi superiori
della classe precedente:

 Confrontiamo il debito d’imposta e il reddito netto di un soggetto che si trova nel limite inferiore
della terza classe di reddito con quelli di un soggetto che, invece, si trova nel limite superiore
della seconda classe di reddito.
Terza classe (estremo inferiore): 10.001=10.001 ×0,15=1500,15=Debito d ' imposta ; (Reddito
netto: Y N =10.001−1.500,15=8.500,15); Seconda classe (estremo superiore):

10.000=10.000 × 0,1=1.000=Debitod ' imposta; (Reddito netto: Y N =10.000−1.000=9.000 ).


Possiamo, quindi, osservare che, nonostante la differenza tra le due basi imponibili sia solo di
1€, il soggetto, a seconda se appartiene alla seconda o alla terza classe di reddito, subirà una
diversa aliquota d’imposta e, quindi, il suo debito d’imposta e il suo reddito netto saranno
notevolmente differenti da una classe di reddito all’altra.
 Quarta classe (estremo inferiore): 20.001=20.001 ×0,20=4.000,2=Debito d ' imposta;
(Reddito netto: Y N =20.001−4.000,2=16.800,8 ); Terza classe (estremo superiore):

20.000=20.000× 0,15=3.000=Debito d ' imposta; (Reddito netto: Y N =20.000−3.000=17.000);


 Quinta classe (estremo inferiore): 50.001=50.001 ×0,30=15.000,3=Debito d ' imposta ;
(Reddito netto: Y N =50.001−15.000,3=35.000,7); Quarta classe (estremo superiore):
50.000=50.000 × 0,20=10.000=Debito d ' imposta; (Reddito netto: Y N=
50.000−10.000=40.000 );
 Sesta classe (estremo inferiore): 100.001=100.001 ×0,39=39.000,39=Debito d ' imposta ;
(Reddito netto: Y N =100.001−39.000,39=61.000,61); Quinta classe (estremo superiore):

100.000=100.000 × 0,30=30.000=Debitod ' imposta; (Reddito netto: Y N=


100.000−30.000=70.000);

Possiamo osservare che un individuo con 10.001 € di reddito (cioè l’individuo che si trova al limite
inferiore della classe di reddito), dopo aver pagato l’imposta, ha un reddito netto inferiore rispetto a
un individuo con 10.000 € appartenente alla classe inferiore (l’individuo si trova al limite superiore
della classe precedente). Questo perché i due soggetti rientrano in due diversi classi di reddito e,
quindi, subiranno un diverso carico tributario e, quindi, avranno un reddito netto significativamente
diverso.
Il fatto che un soggetto con un reddito imponibile maggiore debba pagare un debito di imposta
maggiore non sembra particolarmente sorprendente. L’elemento maggiormente distorsivo di
questa forma di progressività ad aliquota marginale crescente per classi, è che esiste un problema
legato al fatto che un individuo con 10.001 € di reddito è spinto a dichiarare di meno in modo da

145
rientrare nella classe precedente e pagare così un minore debito d’imposta. L’evasione fiscale,
quindi, è un grande elemento di contro per questa tipologia di tassazione. Il soggetto che si trova al
limite inferiore della classe di reddito sarebbe, in questo caso, spinto a dichiarare un reddito
imponibile inferiore, in modo così da rientrare nella classe di reddito inferiore. In questo caso,
quindi, il soggetto sarà incentivato ad evadere il fisco per quella differenza di reddito tra una classe
di reddito e l’altra (10.001−10.000=1 € ) così da pagare un debito d’imposta molto minore e ad
avere, dopo l’applicazione dell’imposta, un reddito netto maggiore.

IN SINTESI, la progressività ad aliquota marginale crescente continua e la progressività ad


aliquota marginale crescente per classi presentano entrambe punti di forza e criticità
relativamente alla loro applicazione pratica. La soluzione che nel tempo si è preferita a queste due
forme di progressività è stata l’applicazione della progressività ad aliquota marginale crescente
a scaglioni di reddito.

3. Progressività ad aliquota marginale crescente: per scaglioni

Nel caso della progressività costante organizziamo le aliquote marginali crescenti in maniera
continua, mentre nel caso della progressività per classi di reddito le organizziamo per classi. In
questo caso, organizziamo le aliquote marginali crescenti per scaglioni di reddito. La progressività
ad aliquota marginale crescente per scaglioni di reddito rappresenta una soluzione alle criticità
della progressività continua e alla progressività per classi di reddito ed è tutt’oggi la forma di
progressività adottata.

Si stabiliscono m livelli crescenti di reddito imponibile (0=s 0 < s1 <...<s m), che delimitano m+1
scaglioni ai quali si fanno corrispondere m+1 aliquote via via crescenti (0<t 1 <...<t m+1). Quindi, a
scaglioni di reddito crescenti corrispondono aliquote d’imposta crescenti.

Quando consideriamo un reddito imponibile Y , del quale vogliamo calcolare il debito d’imposta,
che ricade nel k-esimo scaglione di reddito:

sk−1 <Y ≤ s k
Il reddito imponibile Y verrà frazionato nelle k parti del reddito corrispondenti ai primi k scaglioni
applicando a ciascuna l’aliquota corrispondente. L’aliquota t k corrispondente allo scaglione di
reddito colpisce solo la parte di reddito imponibile Y che eccede sk−1.

146
k−1
T y =∑ t y (s y −s j−1)+t k (Y −s k−1)
j=1

La formula rappresenta il calcolo del debito d’imposta, ottenuto sommando tutte le parti del reddito
imponibile Y che corrispondono ai diversi scaglioni di reddito e applichiamo per ogni scaglione di
reddito l’aliquota corrispondente.
Consideriamo, per esempio, lo scaglione di reddito 3.000-5.000 e un reddito imponibile
Y =10.000 € . L’aliquota d’imposta corrispondente allo scaglione di reddito 3.000-5.000, in questo
caso, colpirà solo la parte di reddito imponibile che ricade in quello scaglione.

- L’aliquota media (t ) risulta essere pari al rapporto tra il debito d’imposta (T y ), calcolato in base
ai diversi scaglioni di reddito, e la base imponibile (Y ), ovvero:

1
k−1
sk−1
t=
Y
∑ t y (s y−s j−1)+t k (1− Y
)
j=1

- L’aliquota marginale (t ' ) è calcolata in base a dove il reddito imponibile ( Y ) ricade all’interno
degli scaglioni di reddito. L’aliquota marginale corrispondente, quindi, è quella dell’aliquota
legale dello scaglione nel quale ricade il reddito imponibile (Y ).

{
t ' = t k se sk−1 ≤Y < s k
t k +1 se Y =s k

Consideriamo uno scaglione di reddito 3.000-6.000 e un reddito imponibile Y =5.000 . Dal


momento che il reddito imponibile del soggetto (Y =5.000 ) rientra nello scaglione di reddito da
3.000 a 6.000, allora l’aliquota marginale è l’aliquota legale corrispondente a quello scaglione di
reddito.

- L’aliquota marginale (t ' ) corrisponde all’aliquota legale all’aliquota legale (t k ) dello scaglione
nel quale ricade il reddito imponibile (Y ).
- Nel caso in cui il reddito imponibile (Y ) coincida con un limite superiore dello scaglione,
l’aliquota marginale (t ' ) è quella dello scaglione superiore. Consideriamo uno scaglione di
reddito 3.000-6.000 e un reddito imponibile Y =6.000. In questo caso, l’aliquota marginale (t ' )
è quella dello scaglione superiore.
- Si consideri una funzione d’imposta con una struttura di progressività ad aliquota marginale
crescente per scaglioni del tipo:

147
{
fino a 1000 t 1=10 %
oltre 1000 e fino a 3000 t 2=20 %
oltre 3000 t 3 =30 %

- La funzione di imposta riporta tre scaglioni di reddito e le rispettive aliquote marginali ( t 1=10 %,
t 2=20 %, t 3=30 %), che crescono al crescere dello scaglione di reddito considerato.
- Il limite inferiore e il limite superiore dello scaglione di reddito 1.000-3.000 sono rispettivamente
s1=1.000 e s2=3.000 .
- Le aliquote relative ai tre scaglioni di reddito sono rispettivamente: t 1=10 %, t 2=20 %, t 3=30 %
. Nel caso della progressività per scaglioni di reddito la singola aliquota colpisce soltanto la
parte di base imponibile, e quindi del reddito, che rientra in quello scaglione di reddito.
- Consideriamo un reddito imponibile: Y 1=4000. I primi 1000€ del reddito imponibile (Y 1=4000)
vengono tassati ad una aliquota del 10%. La parte di reddito imponibile che va da 1000 a 3000
verrà, invece, tassata all’aliquota del 20% ed infine la parte di reddito che va da 3000 a 4000
verrà, invece, tassata ad una aliquota del 30%. Questo significa che l’aliquota del 30%, che è
l’aliquota più elevata, non verrà applica all’intera base imponibile (Y 1=4000) ma soltanto a
quella parte di base imponibile che rientra nel terzo scaglione di reddito, cioè a quella parte di
reddito all’interno di Y 1=4000 che va oltre 3000€.
- Calcoliamo il debito d’imposta (T y ) nel caso di progressività ad aliquota marginale crescente
per scaglioni di reddito.

k−1
T y =∑ t y ( s y −s j−1)+t k (Y −s k−1)=(1.000 ×0,10)+(2000× 0,20)+(1000 ×0,30)=800=Debito
j=1

- Determino l’aliquota media (t ) e l’aliquota marginale (t ' ):

1
k−1
sk−1 T y 800
t=
Y
∑ t y (s y−s j−1)+t k (1− Y
)= =
Y 4000
=0,2
j=1

L’aliquota marginale (t ' ) corrisponde all’aliquota legale dello scaglione nel quale rientra il
reddito imponibile Y 1=4000. Il reddito imponibile, in questo caso, rientra nel terzo scaglione di
reddito, per cui l’aliquota marginale (t ' ) corrisponde all’aliquota legale del terzo scaglione di
reddito, ovvero:

t '=t 3=30 %

148
- Consideriamo un reddito imponibile: Y 2=8000. In questo caso, i primi 1000€ del reddito
imponibile (Y 2=8000) saranno tassati ad un’aliquota del 10% (t 1=10 %). La parte di reddito
imponibile che va da 1000 a 3000 verrà, invece, tassata all’aliquota del 20% (t 2=20 %) ed
infine la parte di reddito imponibile che va da 3000 a 8000, cioè 5000, verrà, invece, tassata ad
una aliquota del 30% (t 3=30 %).
- Consideriamo, invece, un reddito imponibile: Y 3=2000 . In questo caso, i primi 1000€ del
reddito imponibile (Y 3=2000 ) saranno tassati ad un’aliquota del 10% (t 1=10 %) e i restanti
1000, invece, ad un’aliquota del 20% (t 2=20 %). L’aliquota marginale (t ' ) corrisponde
all’aliquota legale dello scaglione di reddito nel quale rientra il reddito imponibile. Il reddito
imponibile (Y 3=2000 ), in questo caso, rientra nel secondo scaglione di reddito, per cui:

t '=t 2=20 %

- Consideriamo, invece, un reddito imponibile: Y 4 =2000. In questo caso, il reddito imponibile


coincide con il limite superiore del secondo scaglione di reddito, per cui l’aliquota marginale (t ' )
corrisponde all’aliquota legale dello scaglione di reddito successivo, ovvero all’aliquota legale
del terzo scaglione di reddito.
t '=t 3=30 %

La figura 11.3 seguente riporta il caso di una progressività per scaglioni di reddito.
- L’asse orizzontale riporta il reddito imponibile (Y), mentre l’asse verticale il debito d’imposta ( T y
).
- L’area di esenzione è definita per livelli di reddito inferiori al limite inferiore del primo scaglione
di reddito. In questo caso, l’aliquota d’imposta (t ) che colpisce questa parte di reddito è nulla,
così come il gettito d’imposta. La funzione d’imposta è definita per valori di reddito a destra
dell’area di esenzione.
- La funzione d’imposta (T y ) non è né una retta (come nel caso della progressività ad aliquota
marginale costante) né una funzione convessa (come nel caso della progressività ad aliquota
marginale costante continua). L’aliquota marginale (t ' ), che è la pendenza della curva, cresce
a scatti. L’aliquota marginale (t ' 1) è costante all’interno del primo scaglione di reddito. Nel
passaggio dal primo al secondo scaglione di reddito l’aliquota marginale, che rappresenta la
pendenza della funzione di imposta, cresce da t ' 1 a t ' 2, per poi rimanere costante nel secondo
scaglione di reddito e pari a t ' 2. Nel passaggio dal secondo al terzo scaglione di reddito
l’aliquota marginale, che rappresenta la pendenza della funzione d’imposta, cresce da t ' 2 a t ' 3,
per poi rimanere costante all’interno del terzo scaglione di reddito e pari a t ' 3. IN SINTESI,

149
l’aliquota marginale cresce a scatti al passaggio da uno scaglione di reddito all’altro e
resta, invece, costante all’interno dello stesso scaglione.

Consideriamo la tabella 11.2. La prima colonna della tabella riporta gli scaglioni di reddito
(corrispondono alle classi di reddito della tabella 11.1, ma che in questo caso denomineremo
scaglioni). La seconda colonna, invece, riporta le aliquote in termini percentuali corrispondenti a
ciascuno scaglione di reddito. Le aliquote d’imposta relative ai diversi scaglioni di reddito crescono
al crescere dello scaglione di reddito. La terza colonna riporta i debiti d’imposta calcolati sui limiti
superiori degli scaglioni di reddito.
- Il reddito di ciascun contribuente è composto in parti denominate scaglioni, ciascuno dei quali
comporta un’imposta secondo l’aliquota corrispondente allo scaglione stesso.

- Calcoliamo il debito d’imposta e il reddito netto dei soggetti che si trovano nei diversi scaglioni
di reddito. In questo caso, i livelli di redditi considerati (cioè i redditi lordi Y) corrispondono
esattamente ai limiti superiori degli scaglioni di reddito.
- Il debito d’imposta corrispondente ad un soggetto che ha un reddito imponibile lordo
pari a Y 1=5000 è nullo, dal momento che l’aliquota d’imposta che colpisce i primi
5000€ è nulla (t 1=0).
- Consideriamo un soggetto con reddito imponibile Y 2=10.000 . in questo caso, i primi
5000€ di reddito saranno tassati con un’aliquota dello 0% ( t 1=0 %), mentre i restanti
5000€ di reddito saranno, invece, tassati ad un’aliquota del 10% (t 2=10 %). Il debito
d’imposta del soggetto caratterizzato da un reddito imponibile Y 2=10.000 sarà pari a:

10.000=(5.000 ×0)+(5.000× 0,10)=0+500=500=Debito d ' imposta=T y 2

Il reddito netto Y n del soggetto caratterizzato da un reddito imponibile Y 2=10.000


sarà, invece, pari a:

150
Y n=Y 2−T y2 =10.000−500=9.500=Reddito netto

- Consideriamo un soggetto con reddito imponibile Y 3=20.000 . in questo caso, i


primi 5000€ di reddito saranno tassati con un’aliquota dello 0% (t 1=0 %). I
successivi 5000€ di reddito saranno, invece, tassati ad un’aliquota del 10% (
t 2=10 %) ed infine i restanti 10000€ saranno, invece, tassati ad un’aliquota del
15% (t 3=15 %). Il debito d’imposta del soggetto caratterizzato da un reddito
imponibile Y 3=20.000 sarà pari a:

20.000=(5.000 ×0)+(5.000× 0,10)+(10.000 ×0,15)=0+500+1500=2000=Debito d ' impost

Il reddito netto Y n del soggetto caratterizzato da un reddito imponibile


Y 3=20.000 sarà, invece, pari a:

Y n=Y 3−T y3 =20.000−2000=18.000=Reddito netto

- Consideriamo un soggetto con reddito imponibile Y 4 =50.000. in questo caso, i


primi 5000€ di reddito saranno tassati con un’aliquota dello 0% (t 1=0 %). I
successivi 5000€ di reddito saranno, invece, tassati ad un’aliquota del 10% (
t 2=10 %). I successivi 10000€ saranno, invece, tassati ad un’aliquota del 15% (
t 3=15 %) ed infine i restanti 30.000€ saranno tassati ad un’aliquota del 20% (
t 4=20 %). Il debito d’imposta del soggetto caratterizzato da un reddito imponibile
Y 4 =50.000 sarà pari a:

50.000=(5.000 ×0)+(5.000× 0,10)+(10.000 ×0,15)+(30.000 × 0,20)=0+500+1500+6000=

Il reddito netto Y n del soggetto caratterizzato da un reddito imponibile


Y 4 =50.000 sarà, invece, pari a:

Y n=Y 4−T y 4 =50.000−8000=42.000=Reddito netto


- Consideriamo un soggetto con reddito imponibile Y 5=100.000 . in questo caso, i
primi 5000€ di reddito saranno tassati con un’aliquota dello 0% (t 1=0 %). I
successivi 5000€ di reddito saranno, invece, tassati ad un’aliquota del 10% (

151
t 2=10 %). I successivi 10000€ saranno, invece, tassati ad un’aliquota del 15% (
t 3=15 %). I successivi 30.000€ saranno tassati ad un’aliquota del 20% ( t 4=20 %
) ed infine i restanti 70.000€ saranno, invece, tassati ad una aliquota del 30% (
t 5=30 %). Il debito d’imposta del soggetto caratterizzato da un reddito imponibile
Y 5=100.000 sarà pari a:

100.000=(5.000 ×0)+(5.000 × 0,10)+(10.000 ×0,15)+(30.000 × 0,20)+(50.000 ×0,30)=0+5

Il reddito netto Y n del soggetto caratterizzato da un reddito imponibile


Y 5=100.000 sarà, invece, pari a:

Y n=Y 5−T y5 =100.000−23.000=77.000=Reddito netto

- Calcoliamo l’aliquota media (t ) e l’aliquota marginale (t ' ) nel caso in cui il


soggetto dispone di un reddito imponibile Y 3=20.000 . L’aliquota media è pari al
rapporto tra il gettito d’imposta calcolato in base ai diversi scaglioni di reddito (
T y 3) e la base imponibile (Y 3), ovvero:

T y3 2000
t= = =0,10
Y 3 20000

L’aliquota marginale, invece, corrisponde all’aliquota legale (o formale) relativa


allo scaglione di reddito nel quale rientra il reddito imponibile (Y 3=20.000 ). In
questo caso, il reddito imponibile coincide con il limite superiore del terzo
scaglione di reddito, per cui l’aliquota marginale (t ' ) corrisponde all’aliquota
legale del quarto scaglione di reddito, ovvero:

t '=t 4 =20 %

- Confrontiamo il debito d’imposta e il reddito netto relativi ad un soggetto che si


trova al limite superiore del terzo scaglione di reddito (Y 3=20.000 ) con quelli,
invece, relativi ad un soggetto che si trova al limite inferiore del quarto scaglione
di reddito (Y 7=20.100). In questo caso, il debito d’imposta del soggetto
caratterizzato da un reddito imponibile Y 7=20.100 sarà pari a:

152
20.100=(5.000 ×0)+(5.000× 0,10)+(10.000 ×0,15)+(100 × 0.20)=0+500+1.500+20=2.020

Il reddito netto (Y n ) del soggetto caratterizzato da un reddito imponibile


Y 7=20.100 sarà, invece, pari a:

Y n=Y 7−T y 7=20.100−2.020=18.080=Redditonetto

Nel caso della progressività per classi di reddito avremmo, invece, applicato
l’aliquota del 20% all’intera somma, cioè all’intero reddito imponibile (Y 7=20.100
), dal momento che il soggetto ricade nella quarta classe di reddito →Problema
del salito di imposta: l’individuo, al fine di pagare un’imposta minore, sarà
incentivato ad evadere il fisco per l’ammontare di reddito pari a
20.100−20.000=100 € . In questo modo, il soggetto rientrerà nella terza classe
di reddito caratterizzata da una aliquota d’imposta minore rispetto a quella della
quarta classe di reddito, ovvero t 3=15 %< t 4 =20 % .
Nel caso della progressività per scaglioni di reddito, invece, solo la parte di
reddito imponibile che eccede il limite massimo del terzo scaglione di reddito (
20.100−20.000=100 € ) sarà colpita dall’aliquota del 20%. In questo modo, si è
evitato che soggetti a cavallo degli scaglioni di reddito abbiamo dei debiti
d’imposta e, quindi, dei redditi netti significativamente diversi e, quindi, non
siano incentivati ad evadere il fisco per pagare di meno in termini di debito
d’imposta.

- Le aliquote marginali (t mg) sono differenti tra scaglioni di reddito per garantire la progressività
ma sono costanti all’interno dello stesso scaglione di reddito.
- L’aliquota media (t me) aumenta gradualmente all’aumentare del reddito, tendendo via via
all’aliquota marginale all’aumentare del reddito, cioè t me →t mg .
- Questa forma di progressività permette di annullare il salto di imposta presente, invece, nella
progressività per classi.

153
Tecniche miste

In generale vengono utilizzate diverse tecniche.


Il caso più diffuso prevede una struttura di aliquote marginali crescenti per scaglioni
combinata ad un sistema di deduzioni dall’imponibile o di detrazioni dall’imposta o
entrambe.
Nel caso della figura 11.3 abbiamo un caso di tecnica mista dove la funzione di imposta combina
un’area di esenzione (ded ) con la progressività per scaglioni. La funzione d’imposta è nulla (cioè si
definisce un’area di esenzione) finché il reddito non supera l’importo della deduzione, cioè per
livelli di reddito Y ≤ ded . L’importo della deduzione (ded ) determina il minimo imponibile. Quando,
invece, il reddito supera l’importo della deduzione, si sottrae dalla base imponibile la deduzione (
Y – ded ) e si applica poi l’aliquota legale (t y ).

Deduzioni o detrazioni decrescenti

In alcuni casi le deduzioni e le detrazioni, anziché fisse, sono decrescenti al crescere


dell’imponibile:

∂ ded
ded =ded (Y ) con <0
∂Y

∂ det
det=det ( Y ) con <0
∂Y

154
La deduzione decresce al crescere del reddito e così, allo stesso modo, la detrazione decresce al
crescere del reddito. Deduzioni o detrazioni decrescenti possono essere associate sia a strutture
di imposta ad aliquota marginale costante sia a quelle di aliquota marginale crescente.

Deduzioni e detrazioni decrescenti consentono di stabilire l’area di esenzione limitando (e infine


annullando) il beneficio per i redditi al di sopra del minimo
Calcolo dell’IRPEF sui redditi personali

Consideriamo il caso della progressività ad aliquota marginale crescente per scaglioni di reddito.
L’IRPEF, o imposta personale sul reddito delle persone fisiche, è stata introdotta con la riforma
tributaria del 1973. Chi risiede in Italia paga sui redditi prodotti in patria o all’estero, mentre i non
residenti pagano per i redditi prodotti nel territorio italiano. L’IRPEF è un’imposta progressiva, in
quanto il debito d’imposta aumenta più che proporzionalmente all’aumentare della base imponibile.

Consideriamo un reddito complessivo Rc =80.000 € =Base imponibile=Reddito complessivo . Il


reddito complessivo è il risultato della somma di ≠ componenti. Applichiamo la tecnica mista che
prevede la progressività ad aliquota marginale crescente per scaglioni di reddito con una
combinazione di deduzioni dall’imponibile e detrazioni dall’imposta.

Ipotizziamo che le deduzioni (D) ammontino a 10.000€, cioè D=ded=10.000 € . Le deduzioni (

D=ded ) rappresentano l’ammontare che deve essere sottratto dal reddito complessivo ( Rc ) per
ottenere il reddito imponibile ( Rimp). Nelle deduzioni rientrano: i contributi previdenziali e
assistenziali fissati per legge, i contributi per fondi pensione, gli assegni al coniuge separato, etc..
Nel caso delle deduzioni, dopo aver sottratto l’ammontare delle deduzioni dalla base imponibile,
applichiamo l’aliquota legale o formale.

Determiniamo il reddito imponibile tenendo conto delle deduzioni D=10.000 € . Nel caso della
progressività ad aliquota marginale costante per deduzioni, il reddito imponibile ( Rimp ) si ottiene
sottraendo al reddito complessivo ( Rc ) la deduzione ( D=ded ), cioè Rimp =Rc −D . Sostituendo
Rc =80.000 € e D=10.000 € otteniamo:

Rimp =Rc −D=80.000−10.000=70.000=Reddito imponibile

Successivamente, al reddito imponibile ( Rimp ) sarà applicata l’aliquota legale.

155
Una volta calcolato il reddito imponibile ( Rimp ), calcoliamo l’IRPEF scomponendo il reddito
imponibile negli scaglioni previsti dalla legge e in base alla scala delle aliquote. La parte di reddito
imponibile ( Rimp =70.000 ) compresa tra zero e 15.000 (0< R imp ≤15.000 ) sarà tassata ad un’aliquota
del 23%, mentre la parte di reddito compresa tra 15.001 e 28.000 ( 15.001< Rimp ≤ 28.000) sarà
tassata ad un’aliquota del 27% e così via. Possiamo osservare che le aliquote marginali crescono
al crescere dello scaglione di reddito, mentre sono costanti all’interno dello scaglione di reddito.
Consideriamo il reddito imponibile ( Rimp), sul quale verranno applicate le aliquote d’imposta. I primi
15.000€ di reddito imponibile ( Rimp =70.000 ) saranno tassati ad un’aliquota del 23% (t 1=23 %). I
successivi 13.000€ di reddito imponibile (28.000−15.000=13.000 ) saranno, invece, tassati con
un’aliquota del 27% (t 2=27 % ). Ai successivi 27.000€ di reddito imponibile (

55.000−28.000=27.000) verrà applicata un’aliquota del 38% (t 3=38 %) ed infine agli ultimi
15.000€ di reddito (70.000−55.000=15.000 ) sarà, invece, applicata un’aliquota del 41% (t 4=41 %
), cioè l’aliquota del quarto scaglione di reddito. Determino il debito d’imposta relativo ai diversi
scaglioni di reddito nel caso in cui il soggetto disponga di un reddito imponibile Rimp =70.000:

T y 1=Y 1 × t 1=15.000 × 0,23=3450=Debito d ' impostarelativo al1 ° scaglione


T y 2=Y 2 × t 2 =13.000× 0,27=3510=Debito d ' imposta relativo al 2° scaglione
T y 3=Y 3 ×t 3=27.000 ×0,38=10.260=Debito d ' imposta relativo al 3° scaglione
T y 4=Y 4 ×t 4=15.000 × 0,41=6150=Debito d ' impostarelativo al 4 ° scaglione

Calcolata l’imposta (o debito d’imposta) per ciascuno scaglione di reddito, si sommano le imposte
ottenute e si ottiene l’IRPEF lorda (T l), ovvero:

T l=T y 1+T y 2 +T y3 +T y 4 =3450+3510+10260+6150=23.370=IRPEF lorda=Debito d ' impostalordo=T t

156
Dopo aver calcolato l’IPERF lorda calcoliamo l’IRPEF netta considerando le eventuali detrazioni
previste. La progressività per detrazioni comporta l’applicazione dell’aliquota legale o formale al
reddito complessivo ( Rc ) e poi la detrazione di una somma (det ) dal debito d’imposta lordo, al fine
di ricavare il debito d’imposta netto. In questo caso specifico, dall’IRPEF lorda occorre sottrarre la
detrazione (det ). Tra le detrazioni più importanti rientrano:
- Spese sanitarie (d 1=5.000 € )
- Interessi passivi per mutuo acquisto abitazione (d 2=3.000 € )
- Spese sanitarie per familiari a carico (d 3=2.000 € )

La detrazione (det =d ) è data dalla somma di queste voci, ovvero:

d=d 1+ d 2+ d 3=5.000+3.000+2.000=10.000=Detrazioni

N.B: Le somme non vanno interamente sottratte all’IRPEF lorda, ma si detrae il 19% di esse
(stabilito dalla legge), quindi:

IRPEFnetta=T n =T t −0,19 ( d 1 +d 2 +d 3 )

Sostituisco IRPEF lorda=23.370 , d 1=5.000 € , d 2=3.000 € , d 3=2.000 € e ottengo:

IRPEF netta=T n=T t −0,19 ( d 1 +d 2 +d 3 )=IRPEF lorda−0,19 ( d 1 +d 2+ d 3 )=23.370−0,19(5.000+3.000+ 2.000


157
L’IRPEF da versare al fisco è, quindi, pari a 21.470. T n è il debito d’imposta netto di un soggetto
che ha originariamente un reddito complessivo pari a 80.000€ ( Rc =80.000 € ), al quale viene
applicato le deduzioni D=ded=10.000 e poi delle detrazioni (d 1 +d 2 +d 3), delle quali viene detratto
però il 19%.

- Determiniamo l’aliquota media (t me) e l’aliquota marginale (t mg).


L’aliquota media (t me) è data dal rapporto tra l’ IRPEF netta, cioè il debito d’imposta netto (T n),
e il reddito imponibile ( Rimp ), ovvero:

IRPEF netta 21.470


t me = = =0,307=30,7 %
R imp 70.000

L’aliquota marginale (t mg) è l’aliquota legale dello scaglione di reddito nel quale ricade il
reddito imponibile ( Rimp =70.000 ). In questo caso, l’aliquota marginale è l’aliquota legale che
corrisponde al quarto scaglione di reddito, dal momento che il reddito imponibile del soggetto (
Rimp =70.000 ) ricade in quello scaglione.

Lezione 10. LA MISURA DELLA PROGRESSIVITÀ

Le misure locali della progressività

Le misure locali della progressività sono calcolate con riferimento a un particolare valore del
reddito imponibile ( Rimp ). Distinguiamo tra due ≠ forme di elasticità:

158
1) Elasticità del debito di imposta o del gettito ( ηT ): è data dal rapporto tra la variazione
percentuale dell’imposta e la variazione percentuale del reddito imponibile. L’elasticità del
dT y
debito d’imposta o del gettito (ηT ) mostra la variazione percentuale dell’imposta ( ) in
Ty
dY
risposta ad una variazione percentuale del reddito imponibile ( ), ovvero:
Y

dT y
T t'
ηT = y =
dY t
Y

Questa espressione equivale al rapporto tra l’aliquota marginale (t ' ) e l’aliquota media (t ),
infatti:

dT y
T T y d Ty Y dT y Y
η = = × =¿ ×
dY T y dY dY T y
Y

dT y Y
Quest’ultima espressione ( × ), così riscritta, esprime il rapporto tra la variazione del
dY T y
debito d’imposta al variare del reddito (definizione di aliquota marginale → t ' ) e il debito
d’imposta al variare del reddito (definizione di aliquota media → t ):
dT y
dT y Y dY t'
× → =
dY T y Ty t
Y

2) Elasticità del reddito netto (ηY −T ): è data dal rapporto tra la variazione percentuale del
reddito al netto del debito d’imposta e la variazione percentuale del reddito imponibile
(reddito lordo). L’elasticità del reddito netto (ηY −T ) mostra come varia in termini percentuali
(Y −T ¿¿ y )
il reddito netto (d ¿) in risposta ad una variazione percentuale del reddito lordo
(Y −T ¿¿ y )¿
dY
( ).
Y

159
(Y −T ¿¿ y )
(Y −T ¿¿ y ) 1−t '
ηY −T =d = ¿¿
dY 1−t
Y

L’espressione può essere riscritta in questo modo:

(Y −T ¿ ¿ y) (Y −T ¿ ¿ y)
(Y −T ¿ ¿ y) (Y −T ¿ ¿ y ) (Y −T ¿ ¿ y)
d =d ¿ ¿ ¿= d ¿¿ =
dY Y (Y −T ¿¿ y) Y dY
(Y −T ¿ ¿ y) × =d × ¿¿
Y dY dY (Y −T ¿¿ y )¿ Y
d Y −dT y
dY
=
Y −T y
Y
dY dT y dT y
− 1−
dY dY dY 1−t '
= =
Y Ty Ty 1−t
− 1−
Y Y Y

L’elasticità del reddito netto (ηY −T ), che rappresenta come al variare in percentuale del
reddito lordo cambia in percentuale il reddito netto, è pari al rapporto tra 1−t e 1−t .

Introduciamo le seguenti espressioni:


T Y −T
- η >1o η <1 ⟹ L’imposta è progressiva (aliquota marginale superiore all’aliquota media).
t'
T
η >1 implica che il rapporto >1. Ciò accade solo quando t ' >t (aliquota marginale è
t
superiore a quella media).
1−t '
ηY −T <1 implica che il rapporto <1. Ciò accade solo quando t ' >t (aliquota marginale è
1−t
superiore a quella media).
T Y −T
- η =1o η =1⟹ L’imposta è proporzionale (aliquota marginale coincide con l’aliquota
media).
T Y −T
- η <1o η >1 ⟹ L’imposta è regressiva (aliquota marginale è minore dell’aliquota
media).

Si può dimostrare che, tra le due forme di elasticità (ηT e ηY −T ), esiste la seguente relazione:

160
Y −T t
(1−η )= (ηT −1)
1−t

Le misure globali della progressività

Si vuole valutare l’impatto di una funzione d’imposta sull’intera distribuzione dei redditi, senza
limitarsi a particolari valori di reddito imponibile come fatto in precedenza nel caso delle misure
locali della progressività.
Per fare ciò, è necessario fare riferimento alla curva di Lorenz.

Note sulla curva di Lorenz

Si consideri una generica distribuzione di reddito y=¿ … Y N ¿ in cui i redditi posseduti da N


individui siano stati ordinati in maniera crescente (Y 1 ≤Y 2 ..≤ Y N ).
La curva di Lorenz ( L y ) della distribuzione di reddito y , indica, per ogni percentuale cumulata di
individui, la percentuale di reddito complessivo da questi posseduta. Le coordinate dei punti nel
grafico sono:

i N
1 i
( pi , ~ ∑ Y k )Dove: i=1,2 , ..., N ; pi= ; ~
Y =∑ Y k
Y k=1 N k=1

Consideriamo la figura 12.3.


- L’asse orizzontale riporta la percentuale degli individui (% di individui), mentre l’asse verticale
misura la percentuale di reddito totale (% di reddito totale).
- La curva di Lorenz ( L y ) della distribuzione di reddito y , indica, per ogni percentuale cumulata
di individui, la percentuale di reddito complessivo da questi posseduta
- La retta bisettrice del quadrante che unisce l’origine degli assi con il punto C è la linea della
perfetta eguaglianza. La curva di Lorenz è posta al di sotto di essa.
- Al tendere della curva di Lorenz verso destra, allontanandosi dalla retta della perfetta
eguaglianza, più la distribuzione del reddito è ineguale. Al contrario, al tendere della curva
verso la linea della perfetta eguaglianza, cioè verso sinistra, più è equa la distribuzione del
reddito.
- Nel caso estremo di perfetta ineguaglianza , cioè quando un solo individuo possiede
interamente il reddito nazionale, allora ci troveremo in N (punto in corrispondenza del quale un
solo individuo possiede tutto il reddito nazionale). In questo caso, la curva di Lorenz si espande
N
verso destra fino ad arrivare al suo massimo riferimento rappresentato dal punto N (dove =1
N
). In sintesi, la curva di Lorenz coincide con gli assi 0N e NC.
161
- Quanto più coincide la curva di Lorenz con la linea della perfetta eguaglianza tanto più equa è
la distribuzione del reddito.
- L’area compresa tra la bisettrice 0C e la curva di Lorenz (indicata con A in figura) rappresenta
l’area di diseguaglianza o di concentrazione dei redditi in piccole fasce di popolazione.
All’aumentare dell’area A, il reddito si concentra in maniera ineguale in poche persone.
- Nel caso estremo di perfetta ineguaglianza, l’area di diseguaglianza o di concentrazione dei
redditi in piccole fasce di popolazione è pari all’area compresa tra la linea della perfetta
eguaglianza, che è rappresentata dalla bisettrice 0C, e la curva di Lorenz, cioè all’area 0NC.
- Lungo la linea della perfetta eguaglianza la concentrazione è nulla.

- Consideriamo la tabella e il grafico seguenti per capire come viene costruita la curva di Lorenz.
Consideriamo un campione di N=5 individui nella popolazione, con reddito Y i come da tabella. La
prima colonna riporta gli individui (i ), la seconda colonna il reddito di ciascun individuo ( Y i ) e la
i
terza colonna la percentuale di individui ( pi= ). Il reddito complessivo (Y c ), o reddito nazionale, è
N
pari alla somma dei redditi dei singoli individui, ovvero:

Y c =Y 1 +Y 2 +Y 3 +Y 4 + Y 5=25+50+75+100+ 250=500=Redditonazionale=Reddito complessivo

162
i
- Calcoliamo la percentuale di soggetti ( pi= ), che è riportata sull’asse verticale, e la cumulata
N
i
dei redditi (∑ (Y ¿¿ k ¿) ¿ ¿).
k =1

- La percentuale di reddito totale ( L y ), che è riportata sull’asse verticale, è definita come segue:

i
1
L y = ~ ∑ (Y ¿¿ k ¿)¿ ¿
Y k=1
La quinta colonna della tabella riporta la percentuale di reddito nazionale ( L y ) posseduta dai 5
individui del campione.
- La linea della perfetta eguaglianza si ottiene unendo l’origine degli assi con il punto E (
i
1
pi=1 , ~ ∑ Y k =1). La curva di Lorenz, invece, si ottiene unendo l’origine degli assi con i punti
Y k=1
A (0,2; 0,05), B(0,4; 0,15), C(0,6; 0,30), D (0,8; 0,50) ed E(1,1). In questo esempio, il primo
20% della popolazione possiede il 5% del reddito complessivo. Il secondo 20% della
0,15−0,05
popolazione possiede invece il 10% del reddito complessivo ( )=10%. In particolare,
100
il 40% della popolazione possiede il 15% del reddito complessivo. Il 60% della popolazione
possiede il 30% del reddito nazionale e così via.

Ordinamento di Lorenz

163
Date due distribuzioni di reddito y e z , diremo che la diseguaglianza nella distribuzione di reddito y
è minore della diseguaglianza nella distribuzione di reddito z in base al criterio di Lorenz se e solo
se la curva di Lorenz della distribuzione y giace sempre al di sopra della curva di Lorenz della
distribuzione z . “Giacere al di sopra” significa, graficamente, che la curva di Lorenz considerata è
più vicina alla linea di perfetta eguaglianza.
L’ordinamento di Lorenz o dominanza di Lorenz afferma che, date due distribuzioni di reddito y
e z , la distribuzione y (che ha una diseguaglianza minore di quella di z ) domina z nel senso di
Lorenz ( LY ¿ L Lz ) se e solo se:

i i

∑ Y k ∑ Zk
k=1
N
≥ k=1
N
; Per ogni i=1,2 , ... , N ; LY ≠ Lz .
∑ Y k ∑ Zk
k=1 k=1

Osserviamo la figura 12.4, che riporta la distribuzione y che domina, nel senso di Lorenz, la
distribuzione z .
- La curva di Lorenz corrispondente alla distribuzione dei redditi y ( LY ) è, graficamente, più
spostata verso la linea della perfetta eguaglianza (cioè verso la bisettrice del primo quadrante).
- La curva di Lorenz che rappresenta la distribuzione dei redditi z ( LZ ) è, invece, più a destra
della linea della perfetta eguaglianza rispetto alla curva di Lorenz relativa alla distribuzione dei
redditi y ( LY ).
- Secondo l’ordinamento di Lorenz la diseguaglianza in y è minore della diseguaglianza in z se
e solo se la curva di Lorenz di y giace sempre al di sopra della curva di Lorenz di z . In questo
caso, la curva di Lorenz di y giace sempre al di sopra, cioè verso la linea della perfetta
eguaglianza, della curva di Lorenz di z , cioè la prima domina la seconda. Questo ci permette di
dire che la distribuzione dei redditi y è distribuita in maniera più eguale rispetto alla
distribuzione dei redditi z . Formalmente, la curva di Lorenz relativa distribuzione dei redditi y (
LY ) domina la curva di Lorenz relativa alla distribuzione dei redditi z ( LZ ).

164
- Osserviamo la figura 12.5 (a), che riporta la distribuzione dei redditi del Regno Unito e
dell’Olanda. La curva di Lorenz che rappresenta la distribuzione dei redditi nel Regno Unito
giace sempre al di sopra (cioè è più vicina alla linea della perfetta eguaglianza) della curva di
Lorenz che rappresenta, invece, la distribuzione dei redditi in Olanda. In questo caso, è
possibile affermare che la curva di Lorenz di UK domina, nel senso di Lorenz, la curva di
Lorenz dell’Olanda. Quindi, la distribuzione dei redditi nel Regno Unito è più eguale di quella
olandese.

- Al contrario, osservando il grafico 12.5 (b), dal momento che le due curve di Lorenz si
intersecano, non è possibile stabilire a priori quale delle due distribuzioni domini l’altra. Si può
però affermare che, in una prima parte della distribuzione dei redditi (cioè a sinistra del punto di
intersezione), la curva di Lorenz della Germania dell’Ovest domina la curva di Lorenz del

165
Regno Unito mentre, nella seconda parte della distribuzione, la situazione si capovolge. Ne
deriva, quindi, che in un primo momento la distribuzione dei redditi della Germania dell’Ovest è
distribuita in modo più eguale rispetto a quella del Regno Unito, mentre in un secondo
momento la distribuzione dei redditi del Regno Unito si distribuisce in modo più eguale rispetto
a quella della Germania dell’Ovest. Il fatto che le due curve di Lorenz si incrocino non ci
permette di fare una valutazione sull’intera distribuzione dei redditi.

Note sul coefficiente di Gini

Il coefficiente di Gini misura di quanto la curva di Lorenz di una distribuzione di reddito sia
distante dalla linea della perfetta eguaglianza. La sua espressione è:

A
G= =2 A=1−2 B
( A +B)

Facendo riferimento alla figura 12.3, l’indice di Gini può essere riscritto. L’indice di Gini, che può
assumere valori compresi tra 0 e 1, misura di quanto la curva di Lorenz si allontana dalla linea
della perfetta eguaglianza. Ne deriva, quindi, che l’indice di Gini è pari al rapporto tra l’area
compresa tra la curva di Lorenz e la linea della perfetta eguaglianza, cioè l’area A, e l’area
complessiva rappresentata da A+B. Il quadrato 0NCD rappresentato in figura ha lati unitari (
0 N=NC =CD=D 0=1), quindi ha area uguale a 0 N × NC =1. La bisettrice del quadrante, che
rappresenta la linea della perfetta eguaglianza, divide il quadrato 0NCD esattamente in due parti
eguali. L’area identificata da A+B è, quindi, esattamente pari a metà dell’area del quadrato. Ne
deriva, quindi, che l’area A+B è pari a:

1 1 1
Area triangolo 0CN =¿ ×(0 N × NC )= ×1= = Area A+ B
2 2 2

166
1
Sostituisco area A+B¿ a denominatore dell’indice di Gini e ottengo:
2

A
A =2 A
G= = 1
( A +B)
2

1
Essendo A= Areatriangolo 0CN −B= −B , otteniamo:
2

1
G=2 A=2×( −B)=1−2 B=Indice diGini
2

L’indice di Gini può assumere valori compresi tra 0 e 1. Sarà uguale a 0 nel caso di perfetta
eguaglianza (l’area A si annulla) e, invece, sarà pari a 1 nel caso di perfetta diseguaglianza (l’area
B si annulla). Maggiore è l’indice di Gini e maggiore sarà lo scostamento della curva di
Lorenz dalla linea della perfetta eguaglianza. In sintesi, maggiore è l’indice di Gini e
maggiore è la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi e viceversa.

- Nel caso di perfetta eguaglianza, graficamente la curva di Lorenz si avvicina alla retta di
perfetta uguaglianza. In questo caso, l’area A tende a 0 ( A → 0), di conseguenza l’indice di
Gini è nullo (G =0), ovvero:

A 0 0
G= = = =0
( A +B) (0+ B) B

- Nel caso opposto, cioè di perfetta diseguaglianza, graficamente la curva di Lorenz si avvicina
alla condizione in cui tutto il reddito nazionale è mantenuto da un solo individuo. In questo
caso, l’area B tende a 0 ( B→ 0 ) e l’indice di Gini (G) è pari a 1 (G=1), ovvero:

A A
G= = =1
( A +B) ( A+ 0)

Le misure globali della progressività: interpretazione

Si vuole valutare l’impatto di una funzione d’imposta sull’intera distribuzione dei redditi e non solo,
come in precedenza, facendo riferimento a un particolare livello di reddito lordo (o reddito
imponibile). Le misure globali tengono conto dell’intera distribuzione del reddito.
167
Le misure globali della progressività si basano sul confronto tra la concentrazione del reddito lordo
(Y ), del reddito al netto dell’imposta (Y −T ) e del gettito (T ).
Date l’aliquota marginale t ' (0 ≤ t '<1 ¿ e il debito d’imposta T y (0 ≤ T y <Y ), definiamo tre tipi di
curve di Lorenz:
- LY la curva di Lorenz dei redditi lordi;
- LY −T la curva di Lorenz dei redditi netti;
- LT la curva di Lorenz del gettito;

Teorema (Fellman, 1976, Jakobsson, 1976)

Per il teorema di Fellman-Jakobsson (1976), data una funzione di imposta T y =f (Y ), è valido che
dt
LY −T ≥ LY ≥ LT , per qualsiasi distribuzione dei redditi, se e solo se ≥0,∀Y .
dY
dt
In presenza di un’imposta progressiva ( ≥ 0), qualsiasi sia la distribuzione dei redditi di partenza,
dY
la concentrazione dei redditi netti ( LY −T ) è minore di quella dei redditi lordi ( LY ), la quale è a sua
volta minore della concentrazione del gettito ( LT ). La curva di Lorenz dei redditi netti ( LY −T ) domina
la curva di Lorenz dei redditi lordi ( LY ), che a sua volta dominano la curva di Lorenz del gettito ( LT
).
Osservando il grafico 12.1, è possibile osservare che la curva di Lorenz dei redditi netti ( LY −T )
domina la curva di Lorenz dei redditi lordi ( LY ), che a sua volta domina la curva di Lorenz del
gettito ( LT ).
La distribuzione dei redditi della popolazione di riferimento è rappresentata graficamente dalla
curva di Lorenz dei redditi lordi ( LY ). L’idea che sta alla base di questo concetto è che, in seguito
all’introduzione di un’imposta progressiva da parte dello Stato, la distribuzione dei redditi netti
diventa più eguale. Questo è confermato dal fatto che la curva di Lorenz corrispondente ai redditi
netti ( LY −T ) è più “vicina” alla linea della perfetta eguaglianza.

Il gettito ricavato, cioè le risorse che lo Stato ottiene attraverso l’introduzione dell’imposta, proviene
dagli individui caratterizzati da un reddito più elevato. Il fatto che la curva di Lorenz del gettito ( LT )
sia più spostata a destra della linea della perfetta eguaglianza indica che la distribuzione del
reddito, in questo caso, è più ineguale, dal momento che, attraverso l’introduzione di un’imposta
progressiva, la maggior parte del gettito d’imposta deriva dagli individui caratterizzati da un reddito
più elevato. L’imposta progressiva, infatti, colpisce in misura maggiore gli individui caratterizzati da
un reddito più alto (cioè i contribuenti più ricchi) e, invece, in misura minore gli individui
caratterizzati da un reddito basso (cioè i contribuenti più poveri).

168
Facciamo un esempio. Si consideri una funzione di imposta (T y ) caratterizzata da una aliquota
marginale crescente con una struttura di progressività per scaglioni di reddito del tipo:

{
fino a 1000 t 1=10 %
oltre 1000 e fino a 3000 t 2=20 %
oltre 3000 t 3 =30 %

Con una combinazione di deduzione-detrazione pari a: ded =200, det =30 .


Si assuma la seguente distribuzione dei redditi lordi:

Y =(800 , 1500 ,1800 , 2200 , 4000)

L’obiettivo è calcolare la distribuzione dei redditi netti (Y −T =Y N ) e la distribuzione del gettito (T ).


Applichiamo la deduzione (ded =200) dall’imponibile, cioè dal reddito lordo (Y ), e poi applichiamo
l’aliquota legale o formale stabilita dalla legge. La detrazione ( det=30 ), invece, la applichiamo al
debito d’imposta lordo, cioè all’aliquota legale applicata al reddito lordo (Y ) ed otteniamo il debito
d’imposta netto.
Applichiamo la funzione d’imposta (T y ) per trovare il gettito (T ) e il reddito netto (Y −T ).
Calcoliamo il debito d’imposta lordo (o gettito d’imposta lordo) per ogni singolo livello di reddito
lordo (Y =800 ,1500 , 1800 ,2200 , 4000) sottraendo al reddito lordo la deduzione e poi applicando
l’aliquota legale al reddito lordo al netto della deduzione, cioè alla base imponibile (Y −ded ).
Successivamente, calcoliamo il debito d’imposta netto per ciascun livello di reddito lordo detraendo
dal debito d’imposta lordo la detrazione.
169
800 800
T =Y −ded=800−200=600 ×0,10=60−30=30=Debito d ' impostanetto
1500 1500
T =Y −ded =1500−200=1300=(1000 ×0,1)+(300 ×0,2)=160−30=130=Debito d ' imposta n
1800 1800
T =Y −ded =1800−200=1600=(1000 ×0,1)+(600 ×0,2)=220−30=190=Debito d ' imposta n
2200 2200
T =Y −ded =2200−200=2000=(1000 ×0,1)+(1000 × 0,2)=3000−30=270=Debito d ' impost
4000 4000
T =Y −ded=4000−200=3800=(1000 ×0,1)+(2000 ×0,2)+(800× 0,3)=740−30=710=Deb

La distribuzione del gettito d’imposta è quindi pari a: T =(30 ,130 , 190 ,270 , 710)

Ricavo i redditi netti (Y −T =Y N ) sottraendo a ciascun reddito lordo (Y ) il rispettivo debito


d’imposta netto (T ), ovvero:

N 800 800
Y =Y −T =800−30=770=Reddito netto
N 1500 1500
Y =Y −T =1500−130=1370=Reddito netto
N 1800 1800
Y =Y −T =1800−190=1610=Reddito netto
Y N =Y 2200−T 2200=2200−270=1930=Reddito netto
N 4000 4000
Y =Y −T =4000−710=3290=Reddito netto

La distribuzione del reddito netto risulta pari a: Y −T =Y N =(770 , 1370 , 1610 ,1930 , 3290)

Calcoliamo a questo punto del procedimento le curve di Lorenz per tutte e tre le distribuzioni.

170
In presenza di un’imposta progressiva, la curva di Lorenz dei redditi netti ( LY −T ) domina la
curva di Lorenz dei redditi lordi ( LY ), che a sua volta domina la curva di Lorenz del gettito ( LT ).
Come ci si aspettava, la curva di Lorenz dei redditi netti domina la curva di Lorenz dei redditi
lordi, che domina a sua volta quella del gettito. Questo risultato è visibile confrontando i valori
relativi alla quinta colonna della tabella della curva di Lorenz relativa alla distribuzione dei
redditi netti con quelli relativi, invece, alla curva di Lorenz della distribuzione dei redditi lordi e
alla curva di Lorenz della distribuzione del gettito. In sintesi, la curva di Lorenz dei redditi netti (
LY −T ) domina la curva di Lorenz dei redditi lordi ( LY ), le quali a loro volta dominano la curva di
Lorenz del gettito ( LT ). Il grafico sottostante riporta le tre curve di Lorenz.

Progressività ed effetto redistributivo di un’imposta

Il confronto tra le tre curve di Lorenz LY −T , LY e LT consente di distinguere due aspetti dell’imposta
progressiva:

1. Grado di progressività (GP): LY −LT


Il confronto tra la curva di Lorenz dei redditi netti ( LY −T ) e la curva di Lorenz del gettito ( LT )
ci permette di fare alcune riflessioni sul grado di progressività dell’imposta. Affinché
l’imposta possa essere progressiva, è necessario che la distribuzione del gettito ( LT ) sia più
concentrata di quella degli imponibili ( LY ). In sintesi, l’imposta è progressiva se la curva di
Lorenz relativa alla distribuzione del gettito ( LT ) è dominata dalla curva di Lorenz relativa
alla distribuzione del reddito lordo ( LY ), cioè se la curva di Lorenz dei redditi lordi ( LY ) è più

171
vicina alla linea della perfetta eguaglianza di quanto, invece, non lo sia la curva di Lorenz
del gettito ( LT ). Il fatto che la curva di Lorenz del gettito ( LT ) sia più spostata verso destra, e
quindi sia lontana dalla linea della perfetta eguaglianza, significa che gran parte del gettito
che viene corrisposto allo Stato, in seguito all’introduzione dell’imposta, proviene da quella
parte della popolazione caratterizzata da un reddito maggiore (i contribuenti più ricchi).
Nel caso di un’imposta proporzionale, invece, gettito e base imponibile hanno la stessa
concentrazione.

2. Effetto redistributivo (RE): LY −T −LY


Dal confronto tra la curva di Lorenz dei redditi netti ( LY −T ) e la curva di Lorenz dei redditi
lordi ( LY ) possiamo, invece, fare delle osservazioni relativamente all’effetto redistributivo
delle imposte. Vorremo che la curva di Lorenz dei redditi netti ( LY −T ) sia più a sinistra della
curva di Lorenz dei redditi lordi ( LY ) come dimostrazione del fatto che, a seguito
dell’intervento dello Stato con un’imposta, si è passati da una distribuzione dei redditi lordi (
Y ) ad una distribuzione dei redditi netti ( Y −T ) più egualitaria. La differenza tra la curva dei
redditi netti ( LY −T ) e la curva dei redditi lordi ( LY ) rappresenta l’efficacia complessiva
dell’imposta nel ridurre la disuguaglianza esistente tra gli individui.

- Si può dimostrare che l’effetto redistributivo del reddito ( ℜ) e il grado di progressività (GP )
sono legati dalla seguente relazione:

t
ℜ= GP
1−t

TY
dove t= è l’aliquota media aggregata (incidenza media complessiva).
Y
Non è importante dimostrare la formulazione ma ricordarsi che l’effetto redistributivo di
un’imposta sul reddito dipende positivamente da due fattori: l’incidenza complessiva
dell’imposta (t ) e il grado di progressività (GP).
- È importante, quindi, osservare come le curve di Lorenz ci danno delle informazioni in merito
alla progressività e all’effetto redistributivo di un’imposta.

Risultati di Lakobsson (1976) e Kakwani (1976)

Esiste una relazione tra i due effetti (RE e GP) e le due misure puntuali di progressività:
172
1. Date due funzioni di imposta, f 1 e f 2, l’effetto redistributivo (RE) dell’una sarà maggiore di
quello dell’altra, per ogni distribuzione dei redditi, se essa risulta in ogni punto più
progressiva in base all’elasticità del reddito netto (ηY −T ). In sintesi, la prima funzione di
imposta avrà un effetto redistributivo maggiore della seconda funzione d’imposta se e solo
Y −T
se l’elasticità del reddito netto della prima funzione d’imposta ( η1 ) è minore dell’elasticità
Y −T
del reddito netto della seconda funzione d’imposta (η2 ).

Y −T Y −T
ℜ1 ≥ ℜ2 ↔ η1 ≤ η2 ∀Y

Inoltre, l’effetto ridistributivo della prima imposta è maggiore o uguale di quello della
seconda imposta ( ℜ1 ≥ ℜ2) se e solo se la curva di Lorenz dei redditi netti della prima
funzione d’imposta è maggiore della curva di Lorenz dei redditi netti della seconda funzione
d’imposta ( LY −T ≥ LY −T ). Quindi, se la curva di Lorenz dei redditi netti della prima funzione
1 2

d’imposta ( LY −T ) domina la curva di Lorenz dei redditi netti della seconda funzione
1

d’imposta ( LY −T ), cioè la prima si trova più a sinistra e, quindi, vicino alla linea della
2

perfetta eguaglianza, allora la prima funzione d’imposta ha un effetto redistributivo


maggiore della seconda.
Il fatto che la curva di Lorenz dei redditi netti della prima funzione d’imposta domina quella
della seconda funzione d’imposta, dimostra che la distribuzione 1 dei redditi è più
egualitaria della distribuzione 2. Questo implica che la prima funzione di imposta ha un
effetto redistributivo maggiore della seconda funzione di imposta.
Perché il confronto tra le elasticità dei redditi netti delle due funzioni d’imposta ci dà delle
informazioni sull’effetto redistributivo delle imposte? Consideriamo le due funzioni di
imposta 1 e 2.

Y −T Y −T
η1 ≤ η2 ↔ Imposta 1 ha maggior effetto distributivo

1 2
(Y −T ¿ ¿ y) (Y −T ¿¿ y)
(Y −T ¿¿ y) (Y −T ¿¿ y )
d ≤d ¿¿¿¿
dY dY
Y Y

L’elasticità del reddito netto (ηY −T ) mostra come varia in termini percentuali il reddito netto (

(Y −T ¿¿ y ) dY
d ¿) in risposta ad una variazione percentuale del reddito lordo ( ). La
(Y −T ¿¿ y )¿ Y

173
(Y −T ¿¿ y )1
variazione percentuale del reddito netto 1 (d ¿) è più piccola rispetto alla
(Y −T ¿¿ y )¿
(Y −T ¿¿ y )2
variazione percentuale del reddito netto 2 (d ¿), in risposta ad una variazione
(Y −T ¿¿ y )¿
1
(Y −T ¿¿ y )
dY d 2
¿
percentuale del reddito lordo ( ). Se (Y −T ¿¿ y ) allora significa
Y (Y −T ¿¿ y )< d ¿¿
(Y −T ¿¿ y ) ,¿
che la funzione di imposta f 1ha determinato un debito d’imposta maggiore nel primo caso
rispetto al secondo (cioè siamo intervenuti con una tassazione progressiva più alta),
ottenendo così dalla funzione di imposta f 1un effetto redistributivo maggiore. La funzione di
imposta f 1 è più progressiva della funzione di imposta f 2, per cui l’effetto redistributivo
derivante dalla prima funzione d’imposta ( f 1) è maggiore di quello della seconda funzione
d’imposta ( f 2).

2. Date due funzioni di imposta, f 1 e f 2, strettamente positive, il grado di progressività (GP)


dell’una sarà maggiore di quello dell’altra, per ogni distribuzione dei redditi, se essa risulta
in ogni punto più progressiva in base all’elasticità del debito d’imposta (ηT ). In sintesi, se
T
l’elasticità del debito d’imposta o del gettito della prima funzione d’imposta ( η1 ) è maggiore
T
dell’elasticità del debito d’imposta o del gettito (η2 ), allora significa che la prima funzione
d’imposta ha un grado di progressività maggiore di quello della seconda.

T T
GP 1 ≥ GP2 ↔ η1 ≥ η2 ∀ Y

Il grado di progressività della prima funzione d’imposta ( GP 1) è maggiore del grado di


progressività della seconda funzione d’imposta (GP 2) se e solo se la curva di Lorenz del
gettito della seconda funzione d’imposta ( LT ) è maggiore o uguale alla curva di Lorenz del
2

gettito della prima funzione d’imposta ( LT ), cioè :


1

GP 1 ≥ GP2 se e solo se LT ≥ LT 2 1

Consideriamo due ≠funzioni di imposta. Se la curva di Lorenz del gettito della seconda
funzione d’imposta ( LT ) domina la curva di Lorenz del gettito della prima funzione
2

d’imposta ( LT ), allora la curva di Lorenz del gettito relativa alla seconda funzione d’imposta
1

( LT ) è più a sinistra, cioè vicina alla linea della perfetta eguaglianza, rispetto a quella
2

relativa alla prima funzione d’imposta ( LT ). Il fatto che LT ≥ LT , implica che la curva di
1 2 1

174
Lorenz del gettito relativa alla prima funzione di imposta sia più spostata a destra. Questo è
positivo, in quanto significa che sono state prelevate delle risorse, che poi hanno costituito il
gettito, dalla popolazione caratterizzata da reddito più elevato. Ciò significa che il grado di
progressività della prima imposta (GP 1) è maggiore del grado di progressività della seconda
imposta (GP 2).
Consideriamo le due funzioni di imposta 1 e 2.

T T
η1 ≥ η2 ↔ Imposta1 ha maggior grado di progressività

1 2
dTy dTy
Ty Ty

dY dY
Y Y

L’elasticità del debito d’imposta o del gettito (ηT ) mostra la variazione percentuale
dT y dY
dell’imposta ( ) in risposta ad una variazione percentuale del reddito imponibile ( ).
Ty Y
Quest’ultima relazione evidenzia come la variazione percentuale del debito d’imposta nel
primo caso varia in misura maggiore, al variare del reddito, rispetto alla variazione
percentuale del debito d’imposta nel secondo caso. Un aumento del debito d’imposta
maggiore nel caso 1, in risposta ad una variazione del reddito lordo, implica che si è
intervenuti con un grado di progressività maggiore nel primo caso all’aumentare del reddito
rispetto al secondo caso.

Indici sintetici di diseguaglianza

Oltre alle curve di Lorenz, è possibile utilizzare degli indici sintetici di diseguaglianza per avere
delle informazioni in merito al grado di progressività (GP) e agli effetti redistributivi (ER) di una
funzione di imposta. La valutazione dell’impatto redistributivo e del grado di progressività globale di
un’imposta può essere ottenuta anche utilizzando indici sintetici di diseguaglianza:

1. Indice di Reynolds. Smolensky: è pari alla differenza tra l’indice di Gini dei redditi lordi (
GY ) e l’indice di Gini dei redditi netti (GY −T ) e misura l’effetto redistributivo di
un’imposta.

RS
π =G Y −GY −T

175
L’indice di Gini varia tra 0 (distribuzione del reddito egualitaria) e 1 (distribuzione del reddito
concentrata o diseguale). L’obiettivo è che l’indice di Gini dei redditi netti, a seguito
dell’introduzione di una riforma, (G Y −T ) sia più basso dell’indice di Gini dei redditi lordi
prima della riforma (G Y ). L’indice di Gini a seguito dell’introduzione di una riforma ( G Y −T ),
se fosse più basso, misurerebbe una distribuzione di ricchezza più eguale rispetto a quella
misura, invece, dall’indice di Gini prima della riforma (G Y ). Quindi, più è alto l’indice π RS ,
cioè quanto più GY → 1 e GY −T →0 , maggiore è l’effetto redistributivo della funzione di
imposta.

2. Indice di Kakwani: è pari alla differenza tra l’indice di Gini del gettito (GT ) e l’indice di Gini
dei redditi lordi (GY ) e misura il grado di progressività globale di un’imposta.

K
π =GT −GY

Maggiore è l’indice di Kakwani ( π K ) e più progressiva l’imposta. Un valore dell’indice di Gini


del gettito d’imposta (GT ) elevato implica una concentrazione elevata delle imposte. Ciò è
positivo in termini di progressività delle imposte, in quanto si sta recuperando gran parte del
gettito da coloro che hanno reddito più elevato.

Distribuzione e Indici di progressività

Per conoscere se il sistema tributario è improntato secondo progressività o meno possiamo


utilizzare la curva di Lorenz per un confronto prima e dopo l’introduzione di un intervento fiscale da
parte dello Stato. Questo consente, quindi, di capire se l’intervento fiscale ha avuto o meno un
carattere progressivo.
Se la curva di Lorenz, dopo l’intervento fiscale,
- si allontana dalla linea della perfetta uguaglianza spostandosi verso destra, allora è avvenuta
una redistribuzione a favore delle fasce di redditieri medio-alti (imposta utilizzata ha carattere
regressivo).
- si avvicina alla linea della perfetta uguaglianza spostandosi verso sinistra, allora è avvenuta
una redistribuzione a favore delle fasce di redditieri medio-bassi (imposta utilizzata ha
carattere progressivo).

Indice di Reynolds-Smolensky

176
L’indice di Gini misurato prima e dopo l’introduzione di una riforma può essere un buon indicatore
degli effetti delle leggi finanziarie.

RS
π =G pre−riforma−G post −riforma

- Se l’indice π RS è positivo, significa che vi è stata una redistribuzione a favore delle classi meno
abbienti. In questo caso, l’indice di Gini pre-riforma ( G pre−riforma) è maggiore dell’indice di Gini
post-riforma (G post −riforma), per cui la riforma ha comportato una redistribuzione più egualitaria
del reddito.

- Se l’indice π RS è negativo, significa che vi è stata una redistribuzione a favore delle classi più
abbienti. In questo caso, l’indice di Gini pre-riforma (G pre−riforma) è minore dell’indice di Gini post-
riforma (G post −riforma), per cui la riforma fiscale ha comportato una redistribuzione meno
egualitaria del reddito.

In generale, più è elevato l’indice, maggiore è l’effetto redistributivo della misura fiscale.

Consideriamo la tabella seguente che mostra gli effetti redistributivi del reddito a seguito
dell’introduzione di una riforma fiscale.
- G pre−riforma=50.
- Nel caso in cui G post−riforma=50, allora G post−riforma=G pre−riforma =50e
RS
π =G pre−riforma−G post −riforma =50−50=0 . In questo caso, quindi l’effetto redistributivo
derivante dalla riforma fiscale è nullo.
- Nei due casi successivi, l’indice π RS < 0, ovvero G post−riforma >G pre−riforma , per cui l’effetto è di
concentrazione. In questo caso, l’indice π RS è negativo, per cui c’è stata una redistribuzione
a favore delle classi più abbienti.
- Negli ultimi due casi in tabella, l’indice π RS > 0, ovvero G post−riforma <G pre−riforma, per cui
l’effetto è di redistribuzione. In questo caso, l’indice π RS è positivo, per cui c’è stata una
redistribuzione a favore delle classi meno abbienti.

177
Curva di Lorenz e concentrazione delle imposte

La tecnica per calcolare l’indice di Gini e la curva di Lorenz può essere applicata per misurare
come è distribuito tra i cittadini l’effetto gravame delle imposte.
Calcoliamo un indice di concentrazione dell’imposizione (C t ) tra i redditieri.
Misuriamo sull’asse delle ascisse le percentuali cumulate dei redditieri, Ri, di un paese e sull’asse
delle ordinate le percentuali cumulate delle imposte totali.

Il risultato di questa costruzione è riportato nella figura seguente.


- L’asse orizzontale misura le percentuali cumulate dei redditi ( Ri), mentre l’asse verticale le
percentuali cumulate delle imposte totali.
- C t è l’indice di concentrazione delle imposte ed è rappresentato graficamente dalla curva
0T.
- La retta tratteggiata rappresenta la linea della perfetta distribuzione delle imposte.
- Nel caso in cui C t tende alla bisettrice degli assi (distribuzione perfettamente eguale delle
imposte), la distribuzione del debito d’imposta è egualitaria. Il debito d’imposta è distribuito
in maniera perfettamente eguale tra i cittadini.
- Più C t è situata nel quadrante basso rispetto a 0T, cioè più si allontana dalla linea della
perfetta distribuzione delle imposte, e maggiore è la concentrazione delle imposte pagata
dalle fasce dei redditieri più abbienti. Come nel caso della curva di Lorenz del gettito, più la
curva di Lorenz del gettito si sposta verso destra, cioè si allontana dalla linea della perfetta
eguaglianza, e più la distribuzione è egualitaria, dal momento che gran parte del gettito
d’imposta che viene corrisposto allo Stato deriva dagli individui più ricchi.
- Al contrario, più C t è situata nel quadrante alto rispetto a 0T, cioè più si avvicina alla linea
della perfetta distribuzione delle imposte, e maggiore è la concentrazione delle imposte
pagata dalle fasce dei redditieri meno abbienti.
- Per raggiungere un effetto maggiormente progressivo, è importante che C t sia spostata
verso destra in modo così da far gravare un maggior carico tributario sui redditieri più ricchi
e, quindi, prelevare da questi contribuenti un maggior numero di risorse che saranno
corrisposte allo Stato sotto forma di gettito.

178
Indice di Kakwani

L’indice di Kakwani può essere letto come la differenza tra l’indice C t e l’indice G.

K=CT – G

Quando più l’indice di Kakwani è positivo, significa che l’imposizione fiscale ha un andamento
progressivo e tale progressività è tanto maggiore quanto più è elevato l’indice. K Un valore molto
alto dell’indice della concentrazione delle imposte (C T ) significa che la maggior parte del debito
d’imposta è concentrato nelle fasce di redditieri più alta.

Quando più l’indice di Kakwani è negativo, significa che l’imposizione ha un andamento


regressivo e tale regressività è tanto maggiore quanto più è basso l’indice K. In questo caso,
quindi la distribuzione del gettito d’imposta è più spostata verso sinistra, per cui è meno
concentrata sulle fasce più abbienti.

- Consideriamo la tabella seguente.


o G pre−riforma=50.
o Nel caso in cui C T =G pre−riforma =50, allora l’indice di Kakwani è nullo, ovvero
K=CT – G=50−50=0
o Nel caso in cui l’indice di concentrazione delle imposte (C T ) è maggiore dell’indice di Gini (G ),
cioè C T >G , allora l’indice di Kakwani è positivo e l’effetto redistributivo è del tipo progressivo.
In questo caso, la concentrazione delle imposte è distribuita verso la parte delle fasce di
reddito più abbienti.

179
o Nel caso in cui, invece, l’indice di concentrazione delle imposte (C T ) è minore dell’indice di Gini
(G ), cioè C T <G , allora l’effetto redistributivo è di tipo regressivo, dal momento che la
concentrazione delle imposte è distribuita verso la parte delle fasce di reddito meno abbienti.

180
Indici sintetici di diseguaglianza

Le tre curve di Lorenz ( LY , LY −T e LT ) e gli INDICI SINTETICI DI DISEGUAGLIANZA ci permettono


di fare delle riflessioni relativamente al grado di progressività e all’effetto redistributivo legati
all’introduzione di un’imposta progressiva.
Tra gli indici sintetici di diseguaglianza rientrano l’indice di Reynolds. Smolensky e

1. Indice di Reynolds. Smolensky ( π RS ¿


RS
π =G Y −GY −T

181

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