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Tra le diverse motivazioni che spingono lo Stato ad intervenire con un sistema di tassazione
rientrano:
1. Raccolta di entrate: cioè di fondi per finanziare per esempio beni e servizi pubblici
essenziali (difesa nazionale, istruzione pubblica)
2. Ridistribuzione di fondi: l’obiettivo principale del prelievo fiscale è la ridistribuzione di
fondi per limitare la disuguaglianza esistente
3. Finanziamento di attività amministrative dello Stato: le entrate servono anche per
finanziare le attività dello Stato che sono particolarmente costose dal punto di vista
amministrativo
4. Correzione dei fallimenti del mercato e esternalità
Imposte e tasse
Definiamo tributi i pagamenti che lo Stato impone, in forza della sua sovranità, per finanziare
servizi di interesse comune. Nei tributi rientrano le tasse e le imposte.
1. Tasse: parliamo di tassa quando il pagamento avviene a fronte di un corrispettivo (un servizio)
richiesto dal contribuente. In questo caso, c’è un meccanismo simile a quello praticato da un
privato quando chiede la corresponsione di un prezzo (a questo prezzo, in questo caso, diamo
il nome di tassa) a fronte della cessione di un bene o servizio. Il tributo che gli studenti pagano
quando si iscrivono all’università è una tassa. Un altro esempio di tassa è quella pagata dai
cittadini per la raccolta dei rifiuti.
2. Imposte: parliamo, invece, di imposta quando il pagamento non ha una contropartita (servizio)
e avviene attraverso un prelievo coattivo di risorse dall’economia privata. In questo caso,
quindi, il prelievo coattivo non ha una corrispondenza diretta con la prestazione di un servizio.
L’IRPEF, che le persone pagano sui redditi, è un esempio di imposta. Un altro esempio di
imposta è l’IVA che si paga sul valore aggiunto. L’imposta è una forma di finanziamento molto
appropriata per quei servizi che sono forniti indipendentemente dalla domanda dei cittadini.
Per finanziare la fornitura di servizi, l’ente pubblico ha due possibilità: far pagare il costo al gruppo
di coloro che beneficiano del servizio oppure porlo a carico dell’intera collettività. Nel primo caso
l’operatore pubblico utilizza un meccanismo di razionamento simile a quello praticato da un privato
quando chiede la corresponsione di un prezzo a fronte della cessione di un bene o di un servizio.
Nel secondo caso, invece, l’ente si avvale, nei modi e nei limiti definiti dall’ordinamento giuridico,
del potere di prelevare coattivamente risorse dall’economia privata tramite le imposte. L’ente
pubblico può inoltre usare una combinazione dei due sistemi: far pagare agli utenti una parte del
costo del servizio, ripartendo la quota residua su tutta la collettività. Di seguito, analizziamo i
quattro principi di distribuzione del carico tributario: principio della controprestazione, principio del
beneficio, principio della capacità contributiva e principio del sacrificio.
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Condizioni per l’applicazione del principio:
1. È necessario un atto individuale di domanda da parte dell’utente rendendo così possibile
escludere dal servizio chi non paga (escludibilità). L’idea sottostante è che tali servizi
possono essere finanziati subordinando l’accesso al pagamento di una qualche forma di
corrispettivo (tasse di iscrizione scolastica, tickets sanitari, pedaggi).
2. L’individuo è libero di scegliere se pagare o meno per un determinato servizio (elemento
che lo accomuna alla natura del prezzo privato).
3. Il corrispettivo dovuto per accedere al servizio pubblico può essere inferiore al costo del
servizio stesso (differenza con il prezzo privato). In questo caso, l’operatore pubblico può
decidere di coprire la parte residua con prelievi (cioè attraverso delle imposte) a carico
dell’intera collettività.
Nel tempo si è registrato un limitato ricorso al principio della controprestazione per alcune delle
sue caratteristiche, anche quando sarebbe stato tecnicamente possibile. Le ragioni che spiegano
ciò sono:
Un bene (o un servizio) è definito rivale quando il consumo di tale bene o servizio da parte di un
soggetto rende il bene indisponibile per un secondo potenziale consumatore. Un bene pubblico
non rivale implica che il godimento di quel bene da parte di un individuo addizionale non costa
nulla. Il costo marginale del consumo di tale bene da parte di un individuo addizionale è nullo.
Un bene si definisce escludibile se il consumo di tale bene può essere regolamentato, cioè se è
possibile consentirne il consumo prima ad un soggetto e poi ad un altro.
I beni pubblici sono non escludibili: una volta prodotti, possono essere utilizzati da chiunque, sia
che l’individuo contribuisca sia che non contribuisca all’acquisto del bene.
- assenza di rivalità nel consumo: in questo caso il livello ottimo di quantità prodotta si ha
in corrispondenza di un prezzo pari a zero. Per molti servizi pubblici l’esistenza di
rivalità nel consumo può dipendere dal livello della domanda rispetto alla capacità. Ciò
significa che la rivalità potrebbe essere molto modesta in alcune situazioni (quando, ad
esempio, la strada è percorsa da poche persone) e potrebbe, invece, essere importante
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quando il numero di automobilisti è molto alto. Nella figura 1.1 sono rappresentate due
curve di domanda (D1 e D2) e una curva dei costi marginali (Cmg ) nel caso di una
strada. L’asse orizzontale riporta la quantità di attraversamenti su questa strada (Qi) e
sull’asse verticale è riportato il prezzo (P). Fino al livello Q2 il costo di un automobilista
addizionale è sostanzialmente nullo (Cmg=0). Possiamo, invece, osservare che da Q2
il costo di un automobilista addizionale aumenta e ciò significa che la curva del costo
marginale è una funzione crescente. La curva di domanda D1 si satura per un utilizzo
inferiore al punto di congestione (i costi marginali diventano positivi per valori ¿ Q 2) e
ne deriva che il prezzo sia nullo (P=0) e la quantità domanda sarà 0Q1. La curva di
domanda D2, invece, interseca la curva di costo marginale (Cmg ) in corrispondenza del
tratto crescente di Cmg . Di conseguenza, il costo marginale non sarà più nullo ma
bensì positivo e pari a 0P e la quantità domandata, corrispondente a tale prezzo, sarà
pari a 0Q3 in corrispondenza del punto di intersezione tra la curva di domanda D2 e la
curva di costo marginaleCmg . Ne deriva, quindi, che la presenza o l’assenza di rivalità
nel consumo rappresenta un elemento importante da tenere in considerazione per
applicare il principio della controprestazione.
Il principio del beneficio e il principio della capacità contributiva prevedono entrambi un prelievo
coattivo di risorse dall’economia privata attraverso le imposte. In questo caso, quindi l’onere è a
carico della collettività. Tuttavia, questi due principi sono tra loro distinti per alcuni elementi.
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L’onere della copertura del costo della spesa pubblica è posto a carico dell’intera
collettività tramite tributi applicati su basi imponibili considerate una misura dei benefici
della spesa pubblica.
Condizioni per l’applicazione del principio:
1. Non è richiesta l’escludibilità cioè si rinuncia a porre direttamente a carico dei beneficiari il
costo della spesa pubblica con un di razionamento analogo a quello del prezzo di mercato.
2. Il carico tributario riflette la distribuzione dei benefici della spesa pubblica (uso delle basi
imponibili come indicatori del beneficio).
3. Non c’è una funzione redistributiva. Ne deriva, quindi, che la finalità dell’imposta è
finanziare l’offerta di servizi e beni pubblici.
4. A differenza del principio della controprestazione l’individuo non è libero di scegliere se
acquistare o meno il servizio pubblico, è quindi sempre tenuto al pagamento del tributo.
5. Equità nello scambio ovvero ciò che si paga corrisponde al beneficio che si riceve
Un esempio di applicazione del principio del beneficio è l’ICI. Si ritiene che la proprietà immobiliare
sia un buon indicatore dei benefici di una parte consistente della spesa locale. L’obiettivo è trovare
un’informazione che ci faccia capire quanto è il beneficio della spesa pubblica, ad esempio,
dell’illuminazione della strada o la viabilità. L’idea alla base del principio del beneficio, in questo
caso, è che avere più appartamenti presume che si possa avere un maggiore beneficio dalla
spesa pubblica in termini di avere maggiore illuminazione e di conseguenza bisognerebbe
contribuire in misura maggiore alla copertura del costo della spesa pubblica.
L’onere della copertura del costo della spesa pubblica è posto a carico dell’intera
collettività (copertura coattiva del costo della spesa pubblica) tramite tributi applicati su
basi imponibili considerate una misura del benessere. Nel caso del principio del beneficio si
considera una base imponibile che fornisce un’informazione sulla misura del beneficio della spesa
pubblica che il soggetto aveva. In questo caso, la base imponibile è considerata una misura del
benessere dell’individuo.
L’applicazione dei principi della controprestazione e del beneficio ha come scopo principale il
finanziamento della produzione pubblica di beni e servizi e non la redistribuzione del reddito e,
quindi, si dà per equa la dotazione iniziale delle risorse. Quindi l’applicazione è giustificata se si
accetta come equa la dotazione iniziale di risorse.
Proviamo invece a pensare all’utilizzo della spesa pubblica e del suo finanziamento come
strumento di redistribuzione delle risorse alla luce di alcuni ideali di equità.
Il carico tributario viene ripartito in ragione della capacità di ciascuno di contribuire al finanziamento
della spesa (e, quindi, in base al proprio benessere)
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L’equità è garantita se l’imposta è commisurata alla capacità contributiva dei soggetti e cioè alla
loro capacità di pagarla (ability to pay degli individui)
La storia ci ha mostrato come il principio della capacità contributiva è prevalso sul principio del
beneficio, a testimoniarlo è l’Articolo 53 Costituzione: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese
pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Per adottare un indicatore di benessere come base imponibile è necessario che tutti i contribuenti
a cui si associa lo stesso livello di indicatore si trovino in condizioni economiche eguali
indipendentemente da altre circostanze (ma è molto difficile che questo risulti vero nella pratica).
La scelta della base imponibile ricade tra:
1. Reddito
2. Patrimonio
3. Consumo
Consideriamo l’esempio 1. Ipotizziamo di scegliere il reddito come misura del benessere degli
individui. Il benessere, quindi, dipende sia dal livello che dalla natura del reddito poiché lo
sforzo/disutilità associato alla produzione di un reddito patrimoniale è inferiore a quello di
un reddito da lavoro. Supponiamo di avere due individui, A e B, con lo stesso livello di reddito
complessivo pari a € 1000. L’individuo A possiede anche un patrimonio di € 10000 mentre B non
possiede alcun patrimonio, l’esistenza di un patrimonio è di per sé fonte di benessere poiché
vi è maggiore sicurezza in caso di eventi imprevisti. Supponiamo che il tasso di interesse sia
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del 5% e che A investi tutto il suo patrimonio. Il reddito di B sarà per intero reddito guadagnato
(cioè reddito da lavoro), mentre il reddito di A sarà per metà reddito guadagnato (reddito da
lavoro=500 € ) e per metà reddito da patrimonio (=500 € ). Ne deriva, quindi, che pur avendo lo
stesso reddito, A e B non sono nelle stesse condizioni economiche.
Consideriamo l’esempio 2. Supponiamo che A tenga il proprio patrimonio in attività che non
fruttano nessun reddito monetario (casa, macchina d’epoca). In questo caso A e B avranno sia lo
stesso reddito ( € 1000) che la stessa natura del reddito (reddito guadagnato, cioè reddito da
lavoro). Ma nuovamente le condizioni economiche di A e B non saranno uguali. L’individuo A
rinuncia a ricavare un reddito dal proprio patrimonio ma ne trarrà un certo flusso di benessere che
valuta almeno quanto avrebbe guadagnato in caso di investimenti ( € 500). Il reddito di B resta pari
a 1000, mentre quello di A sarà pari almeno ad € 1500. Ne deriva, quindi, che non è facile usare il
reddito come indicatore di benessere. Non è facile fare in modo che soggetti con la stessa
capacità contributiva paghino la stessa imposta poiché significa assumere che soggetti con la
stessa capacità contributiva (in questo caso in base all’indicatore di reddito) abbiano le stesse
condizioni economiche.
Per ripartire equamente l’onere dell’imposta tra i contribuenti si possono individuare tre ≠ principi
del sacrificio: principio del sacrificio assoluto uguale, principio del sacrificio proporzionale e
principio del sacrificio marginale (o principio del sacrificio minimo collettivo).
4.1 Principio del sacrificio assoluto uguale richiede che sia eguagliata, in valore assoluto, la
perdita di utilità sopportata dai due contribuenti a seguito dell’introduzione dell’imposta. Ciò
significa che l’imposta deve sottrarre ai contribuenti un ammontare di reddito che determini
una perdita di utilità uguale.
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- In figura. Sia 0Ra il livello di reddito di A (soggetto povero) e 0Rb il livello di reddito di B
(soggetto ricco) e la curva u’ l’andamento dell’utilità marginale per i due redditieri A e B.
- Sia Ua e Ub l’utilità totale, ossia l’intera area sottesa alla curva dell’utilità marginale Vua e
Vub, rispettivamente per il Ra e il Rb. L’area sottesa alla curva dell’utilità marginale Vua
rappresenta l’utilità totale di A, mentre quella sottesa a Vub rappresenta l’utilità totale di B.
- Considerando Sa l’utilità perduta con l’introduzione dell’imposta TaRa per il soggetto A e Sb
l’utilità perduta con l’imposta TbRb. Il criterio del sacrificio assoluto uguale prevede che:
Sb =S a
Ne deriva, quindi, che l’utilità perduta per il soggetto A è uguale all’utilità perduta per il
soggetto B.
Poiché l’utilità marginale è decrescente per ottenere un sacrificio uguale occorre che
l’imposta sul reddito Rb sia molto più elevata dell’imposta che grava sul reddito Ra. L’imposta
che grava sul soggetto più ricco (B), quindi, deve essere maggiore di quella che grava sul
soggetto più povero (A).
Non è necessaria un’imposta progressiva. I risultati dipendono dall’andamento della curva
dell’utilità marginale decrescente.
4.2 Principio del sacrificio proporzionale uguale richiede, invece, che il sacrificio di utilità
richiesto ai contribuenti sia una percentuale uguale per tutti i contribuenti, dell’utilità
complessiva che essi derivino dal proprio reddito. Questo principio permette di procurare ai
soggetti una perdita di utilità proporzionale all’utilità che i soggetti derivino da ciascun reddito.
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- In figura. Se Sa e Sb indicano la perdita di utilità provocata dall’imposta Ta e Tb su ciascun
contribuente.
- Se con Ua e Ub indichiamo l’utilità totale, ossia l’intera area sottesa alla curva di utilità
marginale per il Ra e il Rb.
- Affinché possa essere applicato il criterio del sacrificio proporzionale deve essere vero:
Sa Sb
=
Ua U b
In questo modo si sta, quindi, procurando ai soggetti una perdita di utilità (S a e Sb) ai
contribuenti che sarà proporzionale all’utilità totale di ciascun redditiero (Ua e Ub).
- Anche in questo caso non è necessaria un’imposta progressiva. I risultati dipendono
dall’andamento della curva dell’utilità marginale decrescente)
4.3 Principio del sacrificio marginale uguale o principio del sacrificio minimo collettivo,
richiede che il sacrificio marginale dell’individuo povero sia uguale al sacrificio dell’individuo
ricco.
Posto che l’utilità marginale è decrescente rispetto al reddito, la perdita di utilità per la
collettività è minore ponendo l’imposta sui redditieri più elevati, poiché la loro utilità marginale
è inferiore all’utilità marginale dei redditieri dei più poveri.
Ne deriva, quindi, che è un principio particolarmente egualitario in quanto prevede che il
prelievo gravi innanzitutto sui ricchi e solo se il getto richiesto è superiore alla differenza di
reddito tra ricchi e poveri si applichi anche ai poveri.
L’idea fondamentale è che ogni unità aggiuntiva di imposta viene sempre prelevata dal
contribuente più ricco e cioè da colui che sopporta la minor perdita di utilità a fronte della
rinuncia ad una unità di reddito.
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Il principio del sacrificio marginale, nonostante sia quello che più si avvicini agli elementi di
uguaglianza, è stato soggetto a numerose critiche. In particolare, la maggiore critica mossa a
questo principio ha riguardato la scelta temporale all’interno della quale viene richiesto tale
sacrificio. Se l’orizzonte temporale in cui il sacrificio viene valutato non è un momento dato
ma è più lungo nel tempo, allora questa forma di tassazione sembrerebbe avere degli effetti
negativi ulteriori rispetto a quello che viene richiesto, in termini di sacrificio, ai soggetti su altre
variabili economiche (come investimenti e sviluppo). Una conseguenza indiretta di questo
principio sembrerebbe essere quella di ridurre investimenti e sviluppo da parte dei soggetti.
Come dovrebbe variare l’imposta (T) al crescere della base imponibile (B)? Questo ci aiuta anche
a capire meglio come si sviluppa il concetto di equità verticale.
Esiste un presupposto dell’imposta, che è quella situazione di fatto (percepire un reddito, il
consumare un bene) a cui la legge ricollega l’obbligo di pagare l’imposta.
La base imponibile è la traduzione quantitativa di questo presupposto. Se, ad esempio, la legge
ricollega l’obbligo di pagare un’imposta nel caso in cui presupposto dell’imposta sia l’aver percepito
un reddito, allora la base imponibile è il reddito.
L’aliquota dell’imposta, invece, è una percentuale o un importo fisso dell’imposta che si deve
applicare alla misura unitaria della base imponibile. In particolare, l’aliquota è una percentuale
quando parliamo di imposte ad valorem (imposte caratterizzate appunto dal fatto che le aliquote
sono espresse in termini %), mentre è una somma fissa nel caso di imposte specifiche (l’aliquota
viene fissata in unità monetarie per ogni unità della base imponibile, ad esempio 1€ per ogni litro di
benzina).
Il debito d’imposta, che è direttamente collegato al gettito d’imposta, è definito come il prodotto
tra l’aliquota e la base imponibile. In particolare, quando ragioniamo a livello aggregato
(abbandoniamo l’idea di un singolo soggetto) il debito d’imposta diventa il gettito d’imposta, cioè
l’insieme delle entrate che lo Stato ricava nel momento in cui applica un’imposta.
L’obiettivo della nostra analisi è cercare di capire come dovrebbe variare l’imposta che, in questo
caso, si intende come debito d’imposta (a livello individuale) o gettito d’imposta (a livello
aggregato) al variare di una certa base imponibile. Per semplicità, in questo caso, è come se
assumessimo che B sia il reddito e supponiamo che il presupposto dell’imposta, in base al quale a
legge ricollega l’obbligo di pagare l’imposta, sia il percepire un reddito. In questo caso, quindi, il
debito d’imposta (T) o gettito d’imposta (T) in funzione del reddito (B). Come dovrebbe, quindi,
variare il debito d’imposta o il gettito d’imposta al crescere della base imponibile?
T =f ( B )
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L’aliquota media è data dal rapporto tra il debito d’imposta (T) e la base imponibile (B). L’aliquota
media non è altro che quanto è dovuto in media da parte del contribuente per ogni unità
imponibile.
T
t=
B
L’aliquota marginale, invece, è data dal rapporto tra la variazione dell’imposta (o variazione del
debito d’imposta) e la variazione della base imponibile. L’aliquota marginale rappresenta, quindi,
quanto dovuto dal contribuente per ogni unità aggiuntiva di base imponibile.
dT
t '=
dB
dt
t '=t =0
dB
12
dt
t ' <t <0
dB
Affinché un’imposta venga definita progressiva non è importante che all’aumentare della base
imponibile il debito d’imposta aumenti in quanto, indipendentemente dal fatto che l’imposta sia
proporzionale o progressiva o regressiva, all’aumentare della base imponibile il debito d’imposta
aumenta ma ciò che è importante e che cambia è l’intensità (come) aumenta. Nel caso di imposta
proporzionale all’aumentare della base imponibile il debito d’imposta aumenta della stessa
proporzione. Nel caso di imposta progressiva, invece, all’aumentare della base imponibile il debito
d’imposta aumenta più proporzionalmente. Nel caso di imposta regressiva all’aumentare della
base imponibile il debito d’imposta aumenta meno che proporzionalmente.
È fondamentale che ci sia la possibilità di rendere progressiva un’imposta perché è rilevante
nel valutare gli effetti distributivi del prelievo tributario. Lo scopo del prelievo tributario è anche
quello di distribuire il reddito in maniera più equa. In questo modo, attraverso un’imposta
progressiva è possibile distribuire il carico tributario in maniera ineguale in modo così da far
sopportare un onere tributario (o onere d’imposta) maggiore a chi ha una base imponibile (per
esempio il reddito) maggiore.
L’imposta non deve mai raggiungere un livello tale da modificare l’ordinamento preesistente
dei redditi. Bisogna quindi evitare il fatto che un contribuente che è più ricco di un altro prima
dell’introduzione di un’imposta risulti più povero dopo l’introduzione dell’imposta. Ciò per evitare
che ci sia poi una convenienza per il contribuente più ricco a non creare materia imponibile a
causa dell’imposta. Questo in termini pratici implica che l’aliquota marginale non dovrebbe mai
essere maggiore dell’unità (cioè di 1).
La progressività del sistema tributario: la progressività è un principio costituzionale. Art. 53: “Il
sistema tributario è informato ai criteri di progressività” è da notare che il principio si riferisce al
sistema tributario e non ai singoli tributi, cioè è il sistema che deve essere progressivo e non i
tributi.
L’andamento di un’imposta sul consumo rispetto al reddito dipenderà dalla relazione che lega il
consumo e il reddito e lo stesso vale per l’imposta sul patrimonio, pertanto si devono tenere in
considerazione le seguenti proposizioni:
- Un’imposta proporzionale sul consumo risulta regressiva rispetto al reddito se la
propensione media al consumo decresce al crescere del reddito
- Un’imposta proporzionale sul patrimonio risulta progressiva rispetto al reddito se il rapporto
tra patrimonio e reddito cresce al crescere del reddito.
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In presenza di una propensione media al consumo decrescente al crescere del reddito e di un
rapporto tra patrimonio e reddito crescente:
- Il sistema risulta essere progressivo se l’effetto della progressività imposto dall’imposta sul
patrimonio è maggiore dell’effetto della regressività imposta dall’imposta sul consumo
- Il sistema risulta essere proporzionale se l’effetto della progressività imposto dall’imposta sul
patrimonio è eguale dell’effetto della regressività imposta dall’imposta sul consumo
- Il sistema risulta essere regressivo se l’effetto della progressività imposto dall’imposta sul
patrimonio è minore dell’effetto della regressività imposta dall’imposta sul consumo
dT
L’elasticità dell’imposta è data dal rapporto tra il tasso di incremento dell’imposta ( ) e il tasso
T
dB
di incremento del reddito ( ). Questa elasticità ci dice come cambia in % il debito di imposta a
B
seguito del cambiamento % della base imponibile.
dT dT
T dT B dT B dB
ε= = × = × =
dB T dB dB T T
B B
Con alcuni passaggi algebrici si può dimostrare che l’elasticità dell’imposta è il rapporto tra
l’aliquota marginale e l’aliquota media, ovvero:
dT
dB t '
ε= =
T t
B
- Quando l’aliquota media è uguale all’aliquota marginale, cioè t ' =t , allora è vero che ε =1.
Questo significa che siamo in presenza di un’imposta proporzionale. Il contribuente paga,
in corrispondenza di diversi livelli di reddito, sempre la medesima percentuale di imposta
(aliquota media). Per ogni incremento di reddito il contribuente deve pagare una percentuale
d’imposta (aliquota marginale) sempre uguale e pari all’aliquota media. Consideriamo il
grafico riferito ad un’imposta proporzionale. In questo caso, il debito d’imposta (T) è pari al
prodotto dell’aliquota (t) per la base imponibile (che è il reddito, R), cioè T =t × R. L’asse
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orizzontale riporta i diversi livelli di reddito (R1 e R2), mentre sull’asse verticale è riportata il
debito d’imposta (T). La pendenza costante della retta, che rappresenta il debito d’imposta,
indica che l’aliquota marginale è uguale all’aliquota media.
- Quando l’aliquota marginale è maggiore dell’aliquota media, cioè t ' >t , allora ε > 1. Questo
significa che siamo in presenza di un’imposta progressiva. Il contribuente paga,
all’aumentare del reddito, una percentuale di imposta (aliquota media) sempre più elevata.
Per ogni incremento di reddito il contribuente deve pagare una percentuale (aliquota
marginale) che aumenta all’aumentare del reddito e che sarà sempre maggiore dell’aliquota
media. Il grafico rappresenta il caso di un’imposta progressiva. In questo caso, il debito
d’imposta, che è pari al prodotto dell’aliquota per la base imponibile, non è più una retta (con
pendenza costante) ma una curva. Se la pendenza delle linee che partono dall’origine degli
assi e arrivano ad un punto sulla curva rappresentano il valore in media e la pendenza delle
linee tangenti nei punti della curva rappresentano, invece, i valori in termini marginali, allora
osserviamo che la pendenza delle rette che uniscono il centro con i diversi punti è minore
della pendenza delle rette tangenti ai punti in cui stiamo considerando il reddito. Il fatto che il
gettito d’imposta o debito d’imposta abbia questa forma ci permette di rilevare che siamo in
un caso di imposta progressiva e, quindi, l’aliquota marginale è maggiore dell’aliquota media.
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- Quando l’aliquota marginale è minore dell’aliquota media, ovvero t ' <t , allora ε < 1. Questo
significa che siamo in presenza di un’imposta regressiva. Il contribuente paga,
all’aumentare del reddito, una percentuale di imposta (aliquota media) sempre più bassa.
Per ogni incremento di reddito il contribuente deve pagare una percentuale (aliquota
marginale) che diminuisce all’aumentare del reddito e che sarà sempre inferiore all’aliquota
media.
Ci sono state diverse modalità attraverso le quali si è cercato di distinguere le imposte dirette
dalle imposte indirette. Inizialmente il modo che veniva utilizzato era quello della forma
amministrativa, con la quale il carico tributario veniva assegnato ai cittadini (che pagavano le
imposte).
FORMA AMMINISTRATIVA
In particolare, le imposte dirette venivano identificate come quelle che venivano versate allo
Stato. Nelle imposte dirette rientrano:
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- Imposte sul reddito personale o sul patrimonio delle persone
- Imposte sulle società e quella sulle successioni
Le imposte indirette, invece, venivano identificate come quelle versate tramite la vendita di beni
o servizi o la produzione organizzata per la vendita.
Questa definizione di imposte indirette, particolarmente legata alla forma amministrativa con la
quale i cittadini pagavano le imposte, fu nel tempo superata.
ULTERIORE CLASSIFICAZIONE
Le imposte dirette sarebbero quelle che non si trasferiscono ad altri. L’imposta diretta grava
definitivamente sui redditi o sui patrimoni o sulla spesa personale, per cui va calcolata sulle
persone fisiche o giuridiche titolari del diritto soggetto a tassazione.
Le imposte indirette sono, invece, quelle che vengono formalmente versate dai produttori o
venditori ma poi trasferite ad altri soggetti. L’imposta indiretta, quindi, grava effettivamente sui
consumatori o utilizzatori finali diversi.
Questa distinzione tra imposte dirette e imposte indirette fu superata. La critica che veniva fatta era
legata al fatto che non teneva conto della traslazione dell’imposta su altri soggetti. Il fatto che lo
Stato individua, ad esempio, i compratori e i venditori come coloro che dovrebbero pagare
l’imposta, ciò non significa che effettivamente questi saranno proprio coloro che subiranno il carico
tributario. È possibile, infatti, che l’imposta possa traslare su altri soggetti in maniera parziale o
completa e, quindi, di conseguenza l’incidenza dell’imposta, cioè chi sarà effettivamente a subire il
carico tributario, è un aspetto particolarmente complesso e non sempre distinguibile. Ne deriva,
quindi, che non è semplice utilizzare questa distinzione per poter distinguere le imposte dirette da
quelle indirette.
PIU’ RECENTEMENTE
Le imposte dirette, secondo una definizione più recente, sono quelle che sono in grado di tener
conto delle caratteristiche economiche e sociali del singolo contribuente. Tra le imposte dirette
rientrano:
Imposta personale sul reddito nel caso di persona fisica
Imposta sulla società nel caso di persona giuridica
Le imposte dirette sono manifestazioni immediate della capacità contributiva dei soggetti.
Le imposte indirette, invece, sono quelle che gravano sui beni e servizi scambiati sul mercato. In
quanto tali, non possono tener conto delle condizioni personali del compratore. Le imposte
indirette sono però delle manifestazioni mediate dalla capacità contributiva del soggetto (per
esempio, dal consumo di beni si può desumere qualche informazione in merito all’esistenza di un
reddito)
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avendo un potere di acquisto minore, il consumatore non cambierebbe le proprie scelte di
consumo.
Capire quale tra le due forme di tassazione sia la più efficiente è un ragionamento
complesso e diventa ancora più complicato se vengono considerati anche gli effetti economici
dell’introduzione di queste imposte, sia sul reddito sia sulle vendite, tenendo presenti anche altri
aspetti oltre a quelli di efficienza delle imposte, per esempio quelli di equità o, in generale, altri
aspetti legati allo sviluppo economico.
EQUITA’ DISTRIBUTIVA
Il peso delle imposte sui beni (imposte indirette) pagate dalle famiglie aumenta al diminuire del
reddito dei contribuenti. Ciò deriva dal fatto che la propensione media al consumo è decrescente
rispetto al crescere del reddito e, quindi, al crescere del reddito in media si consuma di meno.
Quindi la quota di reddito consumata (consumo) si riduce in maniera meno che proporzionale al
ridursi del reddito. Questo è un aspetto particolarmente importante ed è ciò che introduce l’equità
distributiva, oltre all’efficienza, nel discorso.
A parità di reddito familiare, il peso delle imposte sui beni risulta più elevato quanto più numerosa
è la famiglia. Questo effetto sarà ancora più evidente al ridursi del reddito familiare delle famiglie
considerate.
L’applicazione delle imposte dirette (sul reddito) richiede un’amministrazione burocratica più
organizzata. Pertanto nel corso degli anni, nei luoghi in cui è stato introdotto questo tipo di
imposta, sono stati sperimentati alti gradi di evasione.
SVILUPPO ECONOMICO
L’imposta sul reddito e quella sulle vendite hanno effetti diversi sulla quota di risparmio sul reddito
nazionale da parte delle famiglie.
- L’imposta sul reddito è neutrale, ovvero non distorce le scelte degli individui, però riduce il
loro reddito disponibile (indipendentemente dal fatto che questa imposta abbia carattere
proporzionale o progressivo). Questo tipo di imposta non ha effetto sull’incentivo di
risparmio.
- L’imposta sulla spesa colpisce il reddito solo se speso e potrebbe, quindi, avere un
importante effetto sull’incentivo di risparmio.
- L’imposta sulle vendite può spostare l’onere dalle famiglie più abbienti (che consumano
quote meno elevate del reddito) a quelle meno abbienti (che sono più numerose e
consumano quote più elevate di reddito). Ciò deriva dal fatto che la propensione media al
consumo è decrescente al decrescere del reddito. Questo aspetto ci fa capire che diventa
particolarmente importante anche l’aspetto della propensione al risparmio.
19
Queste considerazioni di equità distributiva e di sviluppo economico in materia di imposte dirette e
indirette aprono un dibattito che mostra come, in realtà, sia difficile definire quale sia la migliore
imposta in termini di efficienza e di equità.
1. Imposte dirette: Le imposte sul reddito delle persone e delle società sono state introdotte
nel sistema economico e tributario con la riforma tributaria del 1973-1974. Tra le imposte
dirette rientrano:
- Imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef)
- Imposte sul reddito delle persone giuridiche (Irpeg)
- Imposte sulle attività finanziarie
- Imposte sui valori patrimoniali immobiliari (ICI)
- Imposte sulle successioni
Si tratta di imposte che colpiscono le vendite di beni e servizi effettuate dalle imprese e dagli
operatori economici. Distinguiamo tra imposte ad valorem, specifiche, generali e speciali.
In particolare:
Imposta ad valorem è un’imposta commisurata al bene stesso e viene calcolata in
percentuale del valore del bene
Imposta specifica è un’imposta commisurata alla quantità fisica del bene ed ha, quindi, come
base l’unità di misura del bene sul quale la stessa grava:
o Può essere un’imposta che grava sui bene e prodotti importati (in questo caso è
chiamata imposta di fabbricazione) o sui beni al consumo (imposta di consumo)
o In generale, le imposte specifiche vengono chiamate accise)
Imposte sui prodotti: imposte ad valorem
N ven
Il valore delle vendite prima dell’applicazione dell’imposta è pari a: p ×q
N ven
T =t e × p ×q =Gettito d ' imposta
N ven N ven
T =t e × p ×q =0,10 × p ×q =0,10 ×Valore delle vendite prima dell ' applicazione dell ' imposta=Gettit
Il valore delle vendite dopo l’applicazione dell’imposta sarà, invece, pari al valore delle vendite
prima dell’applicazione dell’imposta più il gettito d’imposta (percentuale legata all’aliquota che
stiamo applicando).
p ×q ven = pN × q ven +t e × p N ×q ven → p × q ven=(1+t e )× pN × q ven
ven
Essendo p ×q =(1+t e )× p N ×q ven , la relazione tra il prezzo di mercato e il prezzo netto,
ottenuta dividendo entrambi i membri dell’equazione per q ven , sarà data da:
N ven
ven N ven p ×q ven (1+ t e )× p ×q N
p ×q =(1+t e ) × p ×q → ven = ven
→ p=(1+t e ) × p
q q
Il prezzo di mercato (cioè quello pagato dal consumatore) è pari alla somma dell’aliquota
dell’imposta tax exclusive più 1, il tutto moltiplicato per il prezzo al netto dell’imposta (che rientra al
venditore).
L’imposta per unità di produzione venduta (τ ) è, invece, data dal rapporto tra il gettito d’imposta
(T) e la quantità venduta del bene (q ven). Dalle semplificazioni ricaviamo che l’imposta per unità di
produzione venduta non è altro che il prodotto tra l’aliquota dell’imposta tax exclusive e il prezzo al
netto dell’imposta.
22
T t e × p N × q ven N
τ = ven = ven
¿te× p
q q
Il valore delle vendite prima dell’applicazione dell’imposta, a differenza del caso imposta tax
exclusive, è pari al prodotto del prezzo di mercato per la quantità venduta: p ×q ven
T =t i × p × q ven
Il valore delle vendite dopo l’applicazione dell’imposta sarà, invece, pari al valore delle vendite
prima dell’applicazione dell’imposta meno il gettito d’imposta (percentuale legata all’aliquota che
stiamo applicando).
N ven ven
Essendo p ×q =(1−t i) × p ×q , la relazione tra il prezzo di mercato e il prezzo netto (cioè
quello che rimane al venditore), ottenuta dividendo entrambi i membri dell’equazione per q ven, sarà
data dalla differenza tra 1 e l’aliquota tax inclusive per il prezzo pagato dal consumatore.
N ven ven
N
p ×q
ven
( 1−t i ) × p × q ven N
p ×q =(1−t i )× p × q → ven
= ven
→ p =(1−t i) × p
q q
L’imposta per unità di produzione venduta (τ ) è, invece, data dal rapporto tra il gettito d’imposta
(T) e la quantità venduta del bene (q ven). Dalle semplificazioni ricaviamo che l’imposta per unità di
produzione venduta non è altro che il prodotto tra l’aliquota dell’imposta tax inclusive e il prezzo di
mercato pagato dai consumatori.
23
ven
T t i × p ×q
τ = ven = =t i × p
q q ven
A parità di gettito d’imposta (lo Stato quindi può ottenere lo stesso gettito sia se applica una
aliquota di imposta tax inclusive sia se applica una aliquota di imposta tax exclusive), la relazione
tra aliquota dell’imposta tax inclusive (t i) e quella dell’imposta tax exclusive (t e) è data da:
te
t i=
1+ t e
Dall’espressione precedente possiamo ricavare, invece, l’aliquota dell’imposta tax exclusive dato il
valore dell’aliquota dell’imposta tax inclusive.
te ti
t i= → ( 1+ t e ) ×t i=t e → t i +t e t i=t e →t e −t e t i=t i → t e ( 1−t i )=t i → t e =
1+ t e 1−t i
Possiamo utilizzare una imposta tax exclusive o una imposta tax inclusive ottenendo la stessa
quantità di gettito (ovvero la stessa quantità di entrate). Per poterlo faro, però, è necessario che
l’imposta tax exclusive presenti un’aliquota maggiore, rispetto all’aliquota dell’imposta tax
inclusive, perché la base imponibile alla quale viene applicata è minore
Dimostrazione attraverso un esercizio.
Data una base imponibile senza imposta pari a 100, con un’imposta tax exclusive di aliquota
t e =0,25=25 %. (poichè t e stiamo ragionando come se il venditore calcolasse l’imposta come una
percentuale del prezzo senza l’imposta.)
N ven
Il valore delle vendite prima dell’applicazione dell’imposta è pari a: p ×q =100
Il gettito dell’imposta sarà pari al prodotto tra l’aliquota dell’imposta tax exclusive e il valore delle
N ven
vendite prima dell’applicazione dell’imposta. T =t e × p ×q =0,25 ×100=25
Il valore delle vendite dopo l’applicazione dell’imposta si ottiene sommando l’imposta alla base
imponibile, ovvero:
p ×q ven = pN × q ven +t e × p N ×q ven =100+(0,25 ×100)=125
24
te
A parità di gettito, vale la relazione t i= , per cui disponendo del valore dell’aliquota
1+ t e
dell’imposta tax exclusive possiamo calcolare l’aliquota dell’imposta tax inclusive, che dovrà
essere:
te 0,25
t i= = =0,20=20 %
1+ t e 1+0,25
Quindi se e volessimo avere la stessa quantità di entrate (cioè la parità di gettito) e volessimo
applicare un’imposta tax inclusive allora l’aliquota che dovremmo imporre dovrà essere pari al
20%. Ciò ci garantirebbe la stessa quantità di entrate nel caso in cui utilizzassimo una imposta tax
exclusive con una aliquota del 25%. Infatti il gettito d’imposta calcolato nel caso di imposta tax
inclusive con aliquota pari al20% sarà pari a:
T =t i × p × q ven=0,20× 125=25
Possiamo osservare, quindi, che applicando un’imposta tax inclusive con un’aliquota t i=20 %
riusciamo ad ottenere lo stesso gettito ottenuto in precedenza utilizzando, invece, un’aliquota
t e =25 % nel caso di imposta tax exclusive.
A parità di gettito (cioè a parità di entrate), un’imposta tax exclusive presenta un’aliquota maggiore,
rispetto all’aliquota di un’imposta tax inclusive (t e =0,25>t i=0,20 ) perché la base imponibile alla
quale viene applicata è minore (base imponibile t e=100<base imponibile t i=125 ).
N ven
T =t e × p ×q =0,25 ×100=25=Gettito d ' imposta
Nel caso di imposte specifiche l’importo dell’imposta è fissato dalla legge tributaria per unità
fisica di prodotto u.
La funzione di imposta risulta essere:
ven
T =u ×q
Il gettito d’imposta è pari al prodotto tra l’importo dell’imposta fissata dalla legge per unità di
prodotto per la quantità venduta.
La relazione tra il prezzo lordo e il prezzo netto risulta essere pari a:
25
N
p= p +u
Il prezzo di mercato (pagato, quindi, dal consumatore) è a pari alla somma del prezzo che rientra
al venditore più una somma fissa, che è il valore dell’imposta fissato dalla legge.
L’imposta per unità di produzione venduta coincide con u, ovvero:
ven
T u×q
τ= ven
= ven =u → τ=u
q q
1. Imposte generali sono quelle che gravano in modo uniforme su tutto il sistema economico e
comprendono a loro volta:
- Imposte generali sugli scambi monofase: imposte generali ad valorem che lavorano
su un singolo stadio del processo di produzione e distribuzione;
- Imposte generali sugli scambi plurifase: imposte generali ad valorem che si
applicano, invece, all’intero processo di produzione e distribuzione.
2. Imposte speciali: colpiscono, invece, solo alcuni prodotti o settori. Rientrano nelle imposte
speciali le accise, cioè imposte speciali su oli minerali, bevande alcoliche e tabacchi.
Nel corso del tempo, il modo in cui è stata organizzata l’imposta sul reddito è cambiato. In
particolare, durante il 19esimo secolo l’imposta sui redditi si sviluppava come se fosse un insieme
di imposte separate.
Supponiamo l’esistenza di tre imposte relative a tre ≠ tipi di reddito:
- Un’ imposta proporzionale sui redditi d’impresa. Nel caso di redditi d’impresa, il gettito
dell’imposta è pari al prodotto dell’aliquota dell’imposta per il reddito d’impresa (per esempio,
gli utili di competenza)
26
T u=t u × U
- Un’imposta proporzionale sui redditi da lavoro. Nel caso di redditi da lavoro, il gettito
dell’imposta è pari al prodotto dell’aliquota dell’imposta per il salario.
T w =t w × W
- Un’imposta proporzionale sui redditi da capitale. Nel caso dei redditi da capitale, il gettito
dell’imposta è pari al prodotto dell’aliquota dell’imposta per il reddito da capitale.
T S=t S ×∫ ¿
Assumiamo per semplicità che l’aliquota delle tre imposte sia la stessa, ovvero:
t=t u=t w =t S
In questo caso, quindi, il gettito complessivo dell’imposta sul reddito come la moltiplicazione
dell’aliquota per la somma dei tre redditi (reddito d’impresa, reddito da lavoro e reddito da capitale).
T =t × ¿
In Italia, prima della riforma tributaria avvenuta negli anni ‘70, vigeva un sistema di prelievo sul
reddito che lavorava su diverse categorie di reddito (reddito dei terreni, reddito dei fabbricati e
reddito di ricchezza mobile).
Successivamente, questo metodo venne sostituito da un’unica forma di imposta sul reddito
complessivo. Ciò ha permesso il raggiungimento di una serie di risultati importanti:
1. Passaggio dall’imposizione reale all’imposizione personale (Il passaggio ad
un’unica imposta sul reddito complessiva ha permesso il passaggio dall’imposizione
27
reale all’imposizione personale. Le imposte reali colpiscono solamente i singoli tipi di
reddito, senza ricostruire l’unità della persona che li possiede. Le imposte reali
ignorano, quindi, la presenza di altri redditi e colpiscono singolarmente un determinato
tipo di reddito. Inoltre, le imposte reali sono insensibili ad alcune circostanze ≠ dal
reddito, che possono concorrere a determinare la capacità contributiva del soggetto (si
pensi ad esempio al numero di figli di una famiglia, allo stato di salute dei soggetti della
famiglia, etc..). Le imposte personali prendono, invece, in considerazione la
condizione economica complessiva del soggetto (per questo motivo si ragiona su un
sistema di imposta sul reddito complessivo). Queste imposte presentano le seguenti
caratteristiche:
- Riguardano la persona e la sua situazione economica complessiva.
- Colpisce il reddito complessivo come somma dei singoli tipi di reddito
- Considera anche altre circostanze che concorrono a determinare la capacità
contributiva del soggetto e che sono ≠ dal reddito (per esempio, il carico di famiglia
e lo stato di salute). Si immagini, quindi, la possibilità che un maggiore numero di
figli a carico di un soggetto o un cattivo stato di salute possa portare a maggiori
spese di mantenimento o spese sanitarie. Questo concetto ha visto un’applicazione
in tempi recenti, quando si utilizza il sistema delle deduzioni dall’imponibile o delle
detrazioni dall’imposta in base alle caratteristiche familiari, per poter settare meglio
il proprio carico tributario, e ciò si fa in base al numero di figli e tenendo conto delle
spese sanitarie del soggetto)
Oltre all’imposta personale sul reddito, si affianca anche un’imposta sulle società di capitale. Nel
tempo del tempo, in letteratura c’è stato un dibattito sulla presenza di questo tipo di imposta. Alcuni
sono contrari alla presenza di questa tipologia di imposta, mentre altri ne sono a favore.
- CONTRO: Coloro che sono contrari a questo tipo di impostasi ritengono che se ci si ispira al
principio della capacità contributiva del soggetto allora l’introduzione dell’imposta sulle
società di capitale allora:
- Si sottrae alla distruzione progressiva del carico tributario (basato sull’imposta
personale del reddito) un’importante componente del reddito prodotto;
- Di conseguenza sarebbe, quindi, meglio creare un’imposta personale e progressiva
sull’intero reddito degli individui all’interno del quale ci sono anche gli utili della
società.
- PRO: Coloro che, invece, sono favorevoli a questa imposizione (cioè di mantenere separate
l’imposta personale sul reddito dall’l’imposta sulle società di capitale), sostengono che le
società di capitale sono soggetti dotati di propria autonoma capacità contributiva (che non
riconducibile al potere economico dei singoli soci). Di conseguenza, sarebbe corretto
mantenere una separata imposta sulle società di capitali.
- In Italia, a partire dagli anni ‘70, l’IRPEF (Imposta personale sul reddito)è stata affiancata
dall’IRPEG (una forma di imposta sulle società di capitali) e a partire dal 2004 l’IRPEG è
stata conservata e trasformata in IRES.
29
Esiste un’imposta patrimoniale speciale: un tributo di natura reale che si applica al valore degli
immobili (di pertinenza dei comuni) come ad esempio imposta comunale degli immobili (ICI),
imposta municipale propria (IMU)
Supponiamo di considerare un prelievo di tipo reale (stiamo quindi considerando delle imposte
reali che colpiscono soltanto i singoli tipi di reddito) che tassi separatamente ogni categoria di
reddito (ad esempio, un reddito proveniente da fabbricati, un reddito proveniente da terreni, un
reddito da lavoro e un reddito da capitale) secondo la seguente struttura progressiva:
da 0 fino a 500010 %
oltre 5000 e fino a 1000020 %
Prendendo il reddito del soggetto stiamo dividendo la struttura dell’imposta a scaglioni, cioè il
reddito del soggetto che va da 0 fino a 5000 subirà l’aliquota del 10%, mentre il reddito del
soggetto che va oltre 5000 e fino a 10000 subirà un’aliquota del 20% e così via. L’idea sottostante
è che ≠ scaglioni del reddito vengano legati a ≠ tipi di aliquote. Se, per esempio, possiamo un
reddito pari a €10.000 allora, in base alla struttura progressiva sopra riportata, i primi €5.000 del
nostro reddito saranno tassati al 10%, mentre i restanti €5.000 di reddito saranno tassi al 20%.
Consideriamo due individui (A e B) con lo stesso reddito pari a €10.000. In teoria, in base al
principio dell’equità orizzontale questi due individui dovrebbero subire lo stesso carico tributario
(cioè dovrebbero pagare la stessa imposta), poiché sono nella medesima situazione economica.
Ipotizziamo di applicare delle imposte reali, cioè di andare ad incidere sui singoli livelli di
reddito. In particolare, A ha un reddito esclusivamente da fabbricati (€10.000) e B ha un reddito
equamente diviso da fabbricati (€5.000) e da capitale (€5.000).
Determiniamo le imposte rispettivamente pagate dai soggetti A e B. Il soggetto A ha €10.000
di reddito che provengono tutti da reddito da fabbricati, per cui in base alla struttura delle imposte, i
primi €5.000 saranno tassati al 10% e i secondi €5.000, invece, saranno tassi al 20%. Il debito di
imposta del soggetto A sarà, quindi, pari a:
Il soggetto B, invece, ha €10.000 di reddito che provengono in parte dai fabbricati (€5.000) e in
parte dal capitale (€5.000). Poiché le imposte reali colpiscono i singoli tipi di reddito, per cui
andremo ad applicare la funzione di imposta separatamente prima al reddito che proviene dai
fabbricati e poi al reddito che proviene, invece, dal capitale. Applicando la funzione di imposta al
30
reddito che proviene dai fabbricati, otteniamo che i €5.000 di reddito da fabbricati vengono tutti
tassati al 10%, per cui il debito d’imposta ammonterà per questa parte di reddito a 500.
Applicando la funzione di imposta al reddito che proviene dal capitale, otteniamo che i €5.000 di
reddito da capitale vengono anch’essi tassati al 10%, per cui il debito d’imposta ammonterà per
questa parte di reddito a 500.
Il totale del debito d’imposta del soggetto B sarà, quindi, pari a 500+500=1000.
Possiamo, quindi, osservare che il soggetto che deriva il proprio reddito soltanto da una
fonte di reddito (soggetto A) dovrò pagare un debito d’imposta maggiore rispetto al soggetto che
deriva il proprio reddito da più di una fonte (soggetto B), a fronte del fatto che invece in base al
principio dell’equità orizzontale individui che dispongono dello stesso livello di reddito dovrebbero
pagare invece la stessa imposta. In generale, quindi, un sistema di imposte reali progressive
penalizzerà i soggetti che derivano il proprio reddito da una sola fonte.
Con un’imposta personale, invece, si può tener conto della posizione reddituale complessiva
del soggetto. Quindi, indipendentemente dalla provenienza del reddito (che sia da fabbricati o dal
capitale) il reddito dei due individui è pari a €10.000. Ciò significa che, in base alla funzione di
imposta che abbiamo, i primi €5000 verranno tassati al 10% e i secondi €5000, invece, al 20%.
Per cui, entrambi gli individui (A e B) pagheranno 1500 di imposta.
Questo esempio mostra come l’applicazione dell’imposizione personale, in questo caso, può
essere resa progressiva in modo così da non penalizzare quei soggetti che derivano il proprio
reddito soltanto da una fonte (come il soggetto A).
In economia chiusa il valore aggiunto aggregato dell’economia (PIL) è pari alla somma dei
consumi delle famiglie (C), degli investimenti fissi al lordo degli ammortamenti (I) e della variazione
delle scorte (VS).
31
PIL=C + I +VS
Con il passaggio da un’economia chiusa a un’economia aperta dobbiamo tenere conto delle
importazioni (M) e delle esportazioni (E). Rimuovendo l’ipotesi di economia chiusa, abbiamo che il
valore aggregato dell’economia (PIL) addizionato alle importazioni (M) è uguale alla somma dei
consumi delle famiglie (C), degli investimenti fissi al lordo degli ammortamenti (I), della variazione
delle scorte (VS) e delle esportazioni (E).
M + PIL=C+ I +VS+ E
Il reddito nazionale (RN) all’interno di un’economia aperta è la somma dei redditi percepito dai
residenti, sia nel proprio paese che all’estero:
RN =U +W +∫ + R ne
Considerando il primo problema, cioè la scelta del criterio di tassazione delle merci, esistono due
principi contrapposti nell’ambito della tassazione del commercio internazionale:
32
1. Il principio di destinazione (PD): le merci oggetto di scambio internazionale sono tassate dal
paese importatore mentre il paese esportatore non impone alcun prelievo fiscale. In genere, il
principio di destinazione è quello maggiormente utilizzato e viene applicato sotto due
condizioni:
- Alle esportazioni non vengono concessi rimborsi superiori all’ammontare delle imposte che
gravano sugli stessi beni quando vengono destinati al mercato nazionale;
- Le importazioni siano tassate ad aliquote non superiori a quelle applicate su beni eguali di
produzione interna.
In genere quindi, questo principio si applica a livello mondiale e poi esistono una serie di
aggiustamenti fiscali all’interno dei confini dei singoli stati per applicare concertatamente il
Principio di destinazione.
Considerando il secondo problema, cioè la scelta del criterio di tassazione dei redditi prodotti
all’estero, nella tassazione dei redditi si contrappongono due principi:
1. Il principio della residenza (PR): i redditi vengono tassati dallo stato di residenza del
percettore del reddito, siano essi prodotti nel proprio territorio o all’estero. Ciò implica che se
un soggetto è residente nel territorio A allora il territorio A tasserà i redditi che il soggetto può
produrre indipendentemente dal fatto che lo abbia fatto nel territorio A oppure in un altro
territorio, semplicemente per il fatto che l’individuo è residente nel territorio A.
2. Il principio della fonte (PF): Il principio della fonte comporta, invece, che i redditi vengano
tassati dallo stato nel cui territorio in cui sono stati prodotti, indipendentemente dal fatto che
questi siano di pertinenza di un soggetto che è residente o meno in quello stato. Di
conseguenza, lo stato A applica la propria tassazione ai redditi che sono prodotti sul territorio
dello stato A, indipendentemente dal fatto che a produrli possano essere soggetti residenti o
meno in quello stato.
In generale, non esiste alcun accordo mondiale quindi gli stati tendono a cercare di far valere la
propria sovranità fiscale, applicando ai residenti il principio della residenza e ai non residenti il
principio della fonte. Questo comporta una distorsione nell’applicazione della tassazione.
33
Consideriamo un esempio. Individuiamo due soggetti (a e b) residenti rispettivamente negli stati A
e B. Il soggetto a è residente nello stato A, mentre il soggetto b è residente nello stato B. Ciò ci
permette di individuare i redditi che entrambi i soggetti possono produrre in entrambi gli stati, cioè
sia nello stato A che nello stato B.
- Y aA indica il reddito che il soggetto a produce nello stato A
- Y aB indica il reddito che il soggetto a produce nello stato B
b
- Y A indica il reddito che il soggetto b produce nello stato A
b
- Y B indica il reddito che il soggetto b produce nello stato B
a a b b
I valori di Y A , Y B , Y A e Y B ci permettono di definire il reddito prodotto da un soggetto nel proprio
stato di residenza o in un altro stato.
Calcoliamo la base imponibile applicando i due ≠ principi (o il principio della residenza o il principio
della fonte). Se applichiamo il principio della residenza allora i redditi vengono tassati dallo stato
di residenza di chi percepisce i redditi, indipendentemente dal fatto che siano o meno stati prodotti
nel proprio territorio di residenza. La base imponibile dello stato A è uguale alla somma del reddito
a a
prodotto dal soggetto a nello stato A (Y A ) più il reddito prodotto dal soggetto a nello stato B ( Y B ).
Lo stato A, applicando il principio della residenza, tassa tutto ciò che è prodotto dal soggetto a che
è residente nello stato A, indipendentemente da dove viene prodotto. Allo stesso modo, la base
imponibile dello stato B sarà pari alla somma del reddito prodotto dal soggetto b nello stato A più il
reddito prodotto dal soggetto b nello stato B. Lo stato B, applicando il principio della residenza,
tassa tutto ciò che è prodotto dal soggetto b che è residente nello stato B, indipendentemente da
dove viene prodotto. Nella tabella, quindi, per calcolare la base imponibile si sommano le righe. La
base imponibile degli stati A e B secondo il principio della residenza sono pari a:
PR a a
Imp A =Y A +Y B
PR b b
ImpB =Y A +Y B
Se, invece, applichiamo il principio della fonte, allora i redditi vengono tassati dallo stato sul cui
territorio i redditi vengono prodotti, indipendentemente dal fatto che i redditi vengano prodotti da un
soggetto che è o meno residente in quel territorio. La base imponibile dello stato A, secondo il
a
principio della fonte, è pari alla somma del reddito prodotto dal soggetto a nello stato A ( Y A ) e del
b
reddito prodotto dal soggetto b nello stato A (Y A ). Analogamente, la base imponibile dello stato B,
secondo il principio della fonte, è pari alla somma del reddito prodotto dal soggetto a nello stato B (
a b
Y B ) più il reddito prodotto dal soggetto b nello stato B (Y B ). In sintesi, la base imponibile dello stato
B è composta da tutto ciò che viene prodotto sullo stato B, ovvero da ciò che il soggetto a, che non
è residente in quello stato, produce sullo stato B e da ciò che il soggetto b, che è residente in
quello stato, produce sullo stato di residenza B. nella tabella, quindi, per calcolare la base
34
imponibile dei due stati si sommano le colonne. Lo stato A, quindi, tassa tutto il prodotto
indipendentemente che sia stato prodotto da residenti o meno. La base imponibile degli stati A e B
secondo il principio della residenza sono pari a:
Imp PF a b
A =Y A + Y A
PF a b
ImpB =Y B +Y B
Dal momento che non esiste un accordo a livello mondiale su questa questione, gli stati cercano di
far valere la propria sovranità, il che significa che tendono ad applicare ai proprio residenti il
principio della residenza, mentre ai non residenti il principio della fonte. Questo però comporta una
doppia tassazione. Guardiamo la base imponibile dello stato A. Lo stato A applica il principio
della residenza per i residenti e il principio della fonte per i non residenti. In base al principio di
residenza, applicato ai residenti, lo stato A tassa tutto ciò che il soggetto a (che risiede nello stato
A) ha prodotto nello stato A e tutto ciò che il soggetto a ha prodotto nello stato B. Analogamente, in
base al principio della residenza lo stato B tassa tutto ciò che il soggetto b (che risiede nello stato
B) ha prodotto nello stato B e tutto ciò che il soggetto b ha prodotto nello stato A. Inoltre, proprio
perché gli stati ampliano la propria sovranità fiscale, gli stati applicano il principio della fonte ai non
residenti. Nel caso della base imponibile dello stato A, quindi, si applica oltre al principio di
a a
residenza per coloro che sono residenti nello stato A (Y A +Y B) anche il principio della fonte ai non
b
residenti, cioè a coloro che non risiedono in A (Y A ). Applicare il principio della fonte ai non residenti
significa che si prende ciò che il soggetto b, non residente nello stato A, ha prodotto nello stato A.
Nel caso dello stato B, dopo aver applicato il principio della residenza al soggetto b che risiede
nello stato B, applica il principio della fonte a coloro che non risiedono nello stato B. In questo
caso, quindi, lo stato B prende ciò che il soggetto a (che risiede nello stato A) ha prodotto nello
stato B per il semplice fatto che è prodotto su quel territorio. Il problema è nel momento in cui gli
stati A e B applicano il principio della residenza per i residenti e il principio della fonte per i non
a
residenti, allora ciò comporta inevitabilmente alla doppia tassazione. I termini azzurri ( Y B ) e i
b a b
termini rossi (Y A ) compaiono due volte: i redditi prodotti all’estero (Y B e Y A) vengono, quindi, tassati
35
sia dallo stato A che dallo stato B, comportando così una distorsione nell’allocazione
internazionale delle risorse.
La combinazione del criterio della residenza (per i residenti) e di quello della fonte (per i non
residenti) comporta una doppia tassazione dei redditi prodotti all’estero:
PR+ PF a a b
Imp A =Y A + Y B +Y A
ImpBPR+ PF=Y bB +Y bA +Y aB
Analizzeremo di seguito tre modalità attraverso le quali gli stati cercano di risolvere il problema
della doppia tassazione. I correttivi possono essere concessi dai singoli stati ai propri residenti sia
su base unilaterale che bilaterale (attraverso trattati o convenzioni). Questi tre correttivi della
doppia tassazione cercano di risolvere il problema della doppia tassazione in modi ≠. Tra i
correttivi della doppia tassazione rientrano:
1. Esenzione dei redditi prodotti all’estero I redditi prodotti all’estero dai residenti non entrano
a comporre il reddito complessivo che viene poi assoggettato all’imposta. Chiamiamo Y C il
reddito complessivo dello stato, il quale sarà composto dal reddito prodotto nello stato di
residenza (Y r ) e dal reddito prodotto all’estero dai residenti (Y e ).
Y C =Y r +Y e
Con il sistema dell’esenzione la base imponibile viene ripartita, cioè il paese di residenza tassa
Y r , mentre i paesi esteri tassano Y e )
2. Credito d’imposta sui redditi prodotti all’estero Una seconda modalità di intervento per
correggere il problema della doppia tassazione è rappresentata dal credito d’imposta sui redditi
prodotti all’estero. Il paese di residenza consente al titolare di un reddito prodotto all’estero di
detrarre dall’imposta dovuta su quello che è il proprio reddito complessivo quanto è stato
pagato allo stato dalla fonte. In genere si stabilisce un limite massimo al credito d’imposta, che
è pari all’imposta che nello stato di residenza grava sul reddito prodotto all’estero. Se l’imposta
pagata allo stato estero non supera quella del paese di residenza, l’imposta che grava in
definitiva sul reddito estero è quella di residenza (anche se affluisce allo stato estero). Se,
invece, l’imposta pagata all’estero è superiore a quella del paese di residenza, sul reddito
prodotto all’estero allora grava l’imposta della fonte. In che modo avviene l’applicazione del
credito d’imposta sui redditi prodotti all’estero? Il beneficio maggiore di questo tipo di soluzione
36
lo vediamo quando ci troviamo di fronte ad una imposizione di carattere progressivo. Se
l’imposta è progressiva la convenzione è quella di imputare al reddito estero una quota
dell’imposta pari al rapporto tra il reddito prodotto all’estero ( Y e ) e il reddito complessivo (Y C ).
Come si fa a calcolare il massimo del credito d’imposta? L’imposta totale dovuta nel paese di
residenza (T r) viene ripartita tra reddito prodotto nello stato di residenza e reddito prodotto
all’estero nella proporzione in cui questi partecipano alla formazione del reddito complessivo.
Per poter calcolare il credito d’imposta è necessario dapprima calcolare il limite massimo del
credito d’imposta. La parte di imposta che verrà imputata al reddito prodotto all’estero
rappresenta il limite massimo al credito d’imposta, che sarà pari al rapporto tra il reddito
prodotto all’estero (Y e ) e il reddito complessivo (Y C ), il tutto moltiplicato per l’imposta totale
dovuta nel paese di residenza (T r).
ℜ Ye
Max CI =T r ×( )
YC
Una volta che conosciamo il limite massimo di credito d’imposta possiamo calcolare il credito
d’imposta. Chiamiamo T e l’imposta dovuta definitivamente pagata all’estero, per cui il credito
d’imposta sarà pari a:
CI ℜ=T e se T e ≤ maxCI ℜ → 1 ° caso
Nel caso in cui l’imposta pagata all’estero sia minore o uguale al livello massimo di credito
d’imposta, quindi, il credito d’imposta sarà uguale all’imposta che viene pagata all’estero. In questo
caso, i redditi pagati all’estero non scontano un’imposta maggiore di quella che avrebbero
sopportato nel paese di residenza.
Quando, invece, l’imposta che viene pagata all’estero è maggiore del livello massimo di credito
d’imposta, in questo caso il credito d’imposta è pari al rapporto tra il reddito prodotto all’estero ( Y e )
e il reddito complessivo (Y C ), il tutto moltiplicato per l’imposta totale dovuta nel paese di residenza
(T r).
Ye
CI ℜ=T r ×( )se T e >max CI ℜ → 2° caso
YC
In questo caso, i redditi prodotti all’estero scontano, nonostante il credito, un’imposta maggiore a
quella che avrebbero invece sopportato nel paese di residenza.
Una volta noti il valore massimo del credito d’imposta e il valore del credito d’imposta si calcola
l’imposta applicando il correttivo dato dal credito d’imposta.
37
3. Deducibilità delle imposte pagate all’estero In questo caso, il reddito complessivo su cui si
va ad applicare il carico tributario sarà pari al reddito prodotto nello stato residente più il reddito
prodotto in uno stato estero meno l’imposta totale pagata allo stato estero ( T e). in questo caso,
quindi, si deduce l’imposta totale pagata allo stato estero (T e).
Y C =Y r +Y e −T e
La deducibilità delle imposte pagate all’estero rappresenta però la forma di correttivo più
debole.
Vediamo, attraverso l’esercizio 4.1, come vengono applicati i tre correttivi della doppia tassazione
e in che modo correggono il problema della doppia tassazione (se parzialmente o totalmente). Si
considerino due paesi, A e B, che tassano i residenti sul reddito mondiale e i non residenti sul
reddito prodotto nel proprio territorio. I paesi, quindi, applicano il principio della residenza per i
residenti e il principio della fonte per i non residenti. In un determinato periodo d’imposta un
contribuente, che è residente nel paese A, ha percepito un reddito complessivo di 5000, di cui:
- Y A =3000 → Reddito prodotto dal soggetto nel proprio paese A
- Y B =2000 → Reddito prodotto dal soggetto in un altro paese B ≠ dal proprio paese di
residenza A
IPOTESI 1: i due paesi A e B hanno uno schema sul reddito d’imposta ≠. Nel paese A l’imposta
sul reddito è progressiva per scaglioni con la struttura riportata nello schema seguente:
Fino a 1000 10 %
Oltre 1000 fino a3000 20 %
oltre 3000 30 %
38
Nel paese B, invece, l’imposta sul reddito è proporzionale con aliquota del 20%. Calcolare il credito
di imposta sui redditi prodotti all’estero riconosciuto al contribuente del paese A (cioè al soggetto
residente nel paese A) e la sovraimposta complessiva.
Calcoliamo l’imposta nei paesi A e B considerando che i paesi tassano i propri residenti sul reddito
mondiale e i non residenti per il reddito prodotto sul proprio territorio. Il fatto che lo Stato applichi il
principio di residenza per i residenti e il principio della fonte per i non residenti significa che andrà a
tassare il reddito che il soggetto produce sul proprio territorio ( Y A =3000) ma che andrà anche a
tassare il reddito che il soggetto ha prodotto in un altro territorio (Y B =2000 ) proprio perché
secondo il principio della residenza i redditi vengono tassati dallo stato di residenza del percettore,
indipendente dal fatto che tali redditi siano prodotti o meno su quel territorio ma in riferimento al
fatto che vengono prodotti da qualcuno che è residente in quel territorio. Applichiamo la funzione di
imposta al reddito complessivo di €5000 e otteniamo che i primi €1000 sono tassati ad una
aliquota del 10%, i successivi 3000−1000=€ 2000 sono tassati al 20% e gli ultimi
5000−3000=2000sono, invece, tassati al 30%. L’imposta nel paese A ammonta, quindi, a €1100.
Il reddito che, invece, viene prodotto nel paese B (cioè Y B =2000) viene tassato con aliquota
costante del 20%. Ciascun paese estero applica il principio della fonte per i non residenti, cioè il
reddito viene tassato dallo stato sul territorio in cui viene prodotto indipendentemente dal fatto che
sia stato prodotto o meno da un residente. In questo caso, quindi lo il paese B tassa il reddito di
€2000 prodotto da un soggetto in quel territorio, indipendentemente dal fatto che quel soggetto sia
o meno residente in quel territorio. L’imposta che verrà corrisposta al paese B sarà pari al reddito
prodotto dal soggetto nel paese B per l’aliquota applicata con questa imposta proporzionale.
Il reddito complessivo è pari alla somma del reddito che viene prodotto nel paese A più il reddito
prodotto nel paese B, ovvero:
Y C =Y A +Y B =3000+2000=5000
39
Inoltre, sappiamo che il credito d’imposta assume formulazioni ≠ a seconda che l’imposta pagata
allo stato B sia maggiore o minore uguale rispetto al limite massimo di credito d’imposta.
{
ℜ
T B se T B ≤ max CI
ℜ
CI = Y
T A ×( B )se T B > max CI ℜ
YC
ℜ ℜ
Nel nostro caso T B (400)≤ max CI (440), per cui CI =T B=400. In questo caso, quindi, poiché
l’imposta pagata al paese estero B è minore del limite massimo del credito d’imposta, allora il
credito di imposta è uguale al valore dell’imposta pagata nel paese B.
A questo punto, conoscendo i valori del credito d’imposta e il suo limite massimo, possiamo
calcolare l’imposta totale pagata dal contribuente che è residente nel paese A. L’imposta
complessiva sarà, quindi, pari all’imposta pagata al paese A più l’imposta pagata al paese B meno
il credito d’imposta.
ℜ
T C =T A−CI +T B=1100−400+ 400=1100
IPOTESI 2
Supponiamo che cambi la funzione di imposta del paese A, ovvero che nel paese A l’imposta sul
reddito sia proporzionale con aliquota del 15%, mentre nel paese B l’imposta sul reddito sia
anch’essa proporzionale ma con un’aliquota del 20%. Calcolare il credito di imposta sui redditi
prodotti all’estero riconosciuto al contribuente del paese A.
Calcoliamo l’imposta nei paesi A e B considerando che i paesi tassano i propri residenti sul
reddito mondiale e i non residenti per il reddito prodotto sul proprio territorio. L’imposta che il
soggetto dovrà subire nel paese A sarà pari al reddito complessivo tassato con un’aliquota del
15%, mentre l’imposta che il soggetto dovrà subire nel paese B sarà pari alla al reddito prodotto
nel paese B tassato con una aliquota del 20%.
Date queste informazioni possiamo calcolare il limite massimo al credito di imposta, che sarà
ottenuto sostituendo T A=750 , Y A =3000 e Y B=2000 .
ℜ YB 2000
Max CI =T A ×( )=750 ×( )=300
YC 3000
40
Inoltre, sappiamo che il credito d’imposta assume formulazioni ≠ a seconda che l’imposta pagata
allo stato B sia maggiore o minore uguale rispetto al limite massimo di credito d’imposta.
{
ℜ
T B se T B ≤ max CI
ℜ
CI = Y
T A ×( B )se T B > max CI ℜ
YC
ℜ ℜ YB
Nel nostro caso T B (400)> max CI (300), per cui CI =T A ×( )=300. In questo caso, quindi,
YC
poiché l’imposta pagata al paese estero B è minore del limite massimo del credito d’imposta, allora
il credito di imposta è uguale al valore dell’imposta pagata nel paese B.
Una volta noti il valore del credito d’imposta e del limite massimo al credito d’imposta
possiamo calcolare il valore dell’imposta totale che sarà pari all’imposta che il soggetto subirà nel
paese A più l’imposta che il soggetto subirà nel paese B meno il valore del credito d’imposta.
ℜ
T C =T A−CI +T B=750−300+ 400=850
Possiamo fare alcune considerazioni in merito ai due casi analizzati. In quale delle due ipotesi
l’imposta complessivamente è maggiore? Come ha funzionato l’aggiustamento che questo tipo di
correttivo ha cercato di apportare nei due casi? Prima di tutto possiamo osservare che nel 1 ° caso
l’imposta complessiva ammonta a T C =€ 1100, mentre nel 2° caso ammonta a T C =€ 850, per cui
l’imposta complessiva calcolata nel 1° caso è maggiore di quella invece calcolata nel 2 ° caso (
T C =€ 1100>T C =€ 850)
Considerazioni: nel 1° caso il credito di imposta copre interamente l’imposta estera poiché
ℜ
CI =T B=400. Quindi il risultato è fondamentalmente l’applicazione del principio della residenza.
Nel 2° caso, invece, il credito d’imposta non copre interamente l’imposta estera poiché per
ℜ
l’importo T B−CI =400−300=100 , l’imposta pagata all’estero rimane a carico del contribuente
(doppia tassazione) nonostante sia stato applicato il correttivo al fine di correggere il problema
della doppia tassazione. In questo caso, l’imposta estera eccede il credito, per cui si
sovrappongono il principio della residenza e il principio della fonte con conseguente (parziale)
doppia tassazione. Nonostante ciò comunque l’imposta complessiva nel 2° caso è minore di quella
del 1° caso.
41
Nel paese A l’imposta sul reddito è progressiva per scaglioni con la struttura riportata nello schema
seguente:
Fino a 1000 10 %
Oltre 1000 fino a3000 20 %
Oltre 3000 30 %
Il reddito complessivo è pari alla somma del reddito che viene prodotto nel paese di residenza A
più il reddito prodotto all’estero (cioè nel paese B), ovvero:
Y C =Y A +Y B
L’applicazione del correttivo comporta che i redditi prodotti all’estero dai residenti non entrano a
comporre il reddito complessivo a cui successivamente verrà applicata l’imposta.
Con il sistema dell’esenzione la base imponibile viene ripartita: il paese di residenza (A) tassa Y A ,
mentre i paesi esteri tassano Y B .
Calcoliamo l’imposta nei paesi A e B considerando che i paesi tassano i propri residenti sul reddito
mondiale (reddito prodotto ∈A +reddito prodotto ∈B ) e i non residenti per il reddito prodotto sul
proprio territorio. Nel caso del paese A non dobbiamo più considerare quella parte di reddito
dell’individuo prodotta all’estero, la quale verrà tassata direttamente dal paese estero. Ciò significa
che considereremo solo la parte di reddito prodotta nel paese di residenza A ( Y A =3000 ¿, per cui
l’imposta che l’individuo subirà nel paese di residenza A sarà pari ai primi €1000 tassati con una
aliquota del 10% più i restanti €2000 tassati ad una aliquota del 20%. L’imposta che l’individuo
subirà nel paese estero B sarà esattamente pari a quella calcolata nel caso dell’applicazione del
correttivo di credito d’imposta.
42
T A= (1000 × 0,10 ) +(2000 × 0,20)=500
T B=(2000 ×0,20)=400
L’imposta totale sarà pari alla somma delle due imposte che l’individuo subirà nei due paesi,
ovvero:
T C =T A +T B=500+ 400=900
Fino a 1000 10 %
Oltre 1000 fino a3000 20 %
Oltre 3000 30 %
In questo caso, per poter applicare il correttivo della deducibilità delle imposte pagate all’estero è
necessario applicare l’imposta del paese estero al reddito complessivo, ovvero:
Y C =Y A +Y B −T B=3000+ 2000−400=4600
L’imposta totale sarà pari alla somma dell’imposta pagata nel paese A e dell’imposta pagata nel
paese B.
T C =T A +T B=980+400=1380
- La deducibilità delle imposte pagate all’estero rappresenta la forma di correttivo più debole
rispetto alle altre, poiché è quella che comporta per il soggetto il pagamento della maggiore
imposta complessiva.
44
Il confronto dell’equilibrio prima e dopo l’introduzione dell’imposta può essere condotto in un
contesto da:
- Equilibrio parziale: si studiano gli effetti dell’introduzione di un’imposta in un singolo
mercato (ignorando quanto può avvenire nei mercati connessi).
- Equilibrio totale: si studiano gli effetti dell’introduzione di un’imposta che risultano
dalle interazioni tra tutti i mercati.
Imposte sui prodotti →Imposte indirette che colpiscono le vendite di beni o servizi effettuate
dalle imprese o dagli altri operatori economici.
Consideriamo un mercato concorrenziale con una curva di domanda di mercato (D) e una curva
di offerta (S) lineari.
Supponiamo di avere un’imposta di tipo tax exclusive. Il gettito d’imposta T sarà pari a:
N
T =t e × p ×q=Gettito d ' imposta
Essendo l’imposta un costo aggiuntivo per i produttori, il prezzo di riserva (cioè il prezzo minimo a
cui i venditori saranno disposti a cedere il bene) sarà dato dal costo di produzione più l’imposta. Ne
45
deriva, quindi, che la curva di offerta prima dell’introduzione dell’imposta (S) verrà traslata di un
ammontare pari all’imposta (τ ) da S a S’.
L’imposta non riguarda i compratori e, quindi, la curva di domanda (D) non subirà variazioni.
N
Consideriamo un’imposta per unità di prodotto τ ¿ t e × p , il nuovo sistema diventa:
{ D: p=a−bq
N
S ' : p=(1+t e ) × p =(1+t e )×(c+ dq)
La nuova funzione S’ ci dice per ogni quantità prodotta, il prezzo al lordo dell’imposta (p).
Una volta individuato il prezzo al lordo dell’imposta (p), cioè il prezzo di mercato pagato dal
consumatore, possiamo determinare il corrispondente prezzo netto ( p N ), cioè il prezzo che rimane
ai venditori, che sarà dato dalla curva originaria di offerta: S : p N =c +dq .
46
La distanza verticale tra la curva di offerta iniziale (S), cioè prima dell’introduzione dell’imposta, e
la curva di offerta a seguito dell’introduzione dell’imposta (S’) è pari all’imposta per unità di
N
prodotto (τ ¿ t e × p ).
In corrispondenza del punto di incontro tra la curva di domanda D e la nuova curva di offerta (S’) la
quantità scambiata è q e il prezzo di equilibrio è p. Possiamo osservare che, in corrispondenza del
nuovo punto di equilibrio (q, p), la quantità di equilibrio (q) è minore di q*, cioè diminuisce in
seguito all’introduzione di un’imposta. Al contrario, il prezzo di equilibrio (p) è maggiore di p*,
poiché la curva di offerta spostandosi verso sinistra tira verso l’alto il prezzo.
Proiettando il nuovo punto di equilibrio (q, p) sulla curva di offerta prima dell’introduzione
dell’imposta (S) e muovendoci verso sinistra (cioè verso l’asse delle ordinate) individuiamo il
prezzo al netto dell’imposta, cioè il prezzo che rimane ai venditori ( p N ).
pp =¿ Imposta unitaria=τ
N
p∗p N =¿ Parte di imposta che rimane a carico dei venditori, cioè di coloro che originariamente
erano stati individuati come destinatari dell’imposta.
pp∗¿ Parte di imposta unitaria che i venditori traslano sui compratori.
In questo caso, i contribuenti di diritto, cioè coloro cui la legge impone il pagamento dei tributi,
sono i venditori. Al contrario, i contribuenti di fatto, cioè coloro che ne sopportano effettivamente
l’onere in termini di riduzione de reddito reale, sono in parte i venditori e in parte i compratori. A
causa della traslazione parziale dell’imposta, una parte dell’imposta sarà effettivamente pagata
dai venditori, mentre una parte sarà pagata dai compratori. Una parte dell’imposta unitaria ( pp N )
rimarrà a carico dei venditori ( p∗p N ), mentre una parte dell’imposta sarà pagata dai compratori (
pp∗¿). Ciò significa che i venditori sono riusciti a traslare parte dell’imposta ( pp∗¿) sui compratori.
Ne deriva, quindi, che a causa della traslazione dell’imposta una parte dell’onere tributario viene
traslato dai contribuenti di diritto (venditori) ai contribuenti di fatto (venditori + compratori).
Supponiamo di avere un’imposta del tipo tax inclusive. Il gettito d’imposta T sarà dato da:
In questo caso, l’imposta non riguarda i venditori e, quindi, la curva di offerta (S) non subirà
variazioni (al contrario del caso di imposta tax inclusive sui compratori, dove invece la curva di
offerta subisce una traslazione da S a S’ di un ammontare pari all’ammontare dell’imposta τ ).
47
L’introduzione dell’imposta non modifica la disponibilità a pagare dei compratori e, quindi, non
determina uno spostamento della curva di domanda di mercato (D).
Dopo l’introduzione dell’imposta, una parte del prezzo pagato da chi compra (compratore) sarà
versata all’ente che ha introdotto l’imposta (Stato) e la parte restante andrà, invece, ai venditori.
La curva di domanda originale (D), che rappresenta il prezzo massimo che chi acquista è disposto
a pagare per ogni quantità, non è più rilevante per chi vende.
Quello che conta per i venditori dopo l’applicazione dell’imposta è la curva di domanda che
associa il prezzo massimo che gli stessi possono ricevere quando vendono quel bene (che si
ottiene sottraendo l’imposta alla vecchia curva di domanda).
Considerando un’imposta per unità di prodotto pari a τ ¿ t i × p , il nuovo sistema diventa:
La soluzione del sistema fornisce quantità e prezzo di equilibrio (q, p N ). In questo caso, p N
rappresenta il prezzo massimo che i venditori possono ricevere.
Il mercato torna in equilibrio in corrispondenza del prezzo p N che assicura l’uguaglianza tra il
prezzo massimo che i venditori possono ricevere (D’) e il prezzo minimo al quale sono
disposti a cedere il bene tassato (S).
48
- La curva di domanda D è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta S è, invece, inclinata
positivamente.
- In questo caso, l’introduzione di un’imposta ad valorem sui compratori non determina uno
spostamento della curva di offerta (S) ma piuttosto della curva di domanda da D a D’.
- La curva di domanda D incontra la curva di offerta S in corrispondenza del punto di equilibrio (q*,
p*). q* e p* rappresentano il prezzo e la quantità di equilibrio prima dell’introduzione di un’imposta
ad valorem sui compratori.
- A seguito dell’introduzione di un’imposta ad valorem sui compratori, la curva di domanda
originaria, cioè prima dell’introduzione dell’imposta, (D) si sposta verso il basso usando l’asse
orizzontale come perno. La curva di domanda a seguito dell’introduzione dell’imposta ad valorem
sui compratori (D’) è pari alla curva di domanda originaria (D) meno l’imposta.
- In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio (q, p N ), cioè dove la curva di domanda a seguito
dell’introduzione dell’imposta (D’) incontra la curva di offerta (S), possiamo osservare che la
quantità venduta q è minore di q* (cioè q<q*). Al contrario, il prezzo p N , che viene recepito dai
venditori, è minore del prezzo di equilibrio p*, poiché la curva di domanda spostandosi verso il
basso tira verso il basso il prezzo.
- Proiettando il nuovo punto di equilibrio (q, p N ) sulla curva di domanda prima dell’introduzione
dell’imposta (D) e muovendoci verso sinistra (cioè verso l’asse delle ordinate) individuiamo il
prezzo di mercato, cioè il prezzo effettivamente pagato dai compratori (p).
pp =¿ Imposta unitaria=τ
N
-
N
- p∗p =¿ Parte di imposta che i compratori traslano sui venditori, cioè la parte di imposta che sarà
effettivamente pagata dai venditori.
- pp∗¿ Parte di imposta unitaria che rimane a carico dei compratori (cioè che sarà effettivamente
pagata dai contribuenti di diritto).
- In questo caso, i contribuenti di diritto, cioè coloro cui la legge impone il pagamento dei tributi,
sono i compratori. I contribuenti di fatto, cioè coloro che ne sopportano effettivamente l’onere in
termini di riduzione de reddito reale (e quindi di benessere), sono in parte i compratori e in parte i
venditori. A causa della traslazione parziale dell’imposta, una parte dell’imposta sarà
effettivamente pagata dai compratori (contribuenti di diritto), mentre una parte sarà pagata dai
venditori. Una parte dell’imposta unitaria ( pp N ) rimarrà a carico dei compratori ( pp∗¿), mentre una
parte dell’imposta sarà pagata dai venditori ( p∗p N ). Ciò significa che i venditori sono riusciti a
traslare parte dell’imposta ( p∗p N ) sui compratori. Ne deriva, quindi, che a causa della traslazione
dell’imposta una parte dell’onere tributario viene traslato dai contribuenti di diritto (compratori) ai
contribuenti di fatto (compratori+ venditori).
Conclusioni:
49
- In entrambi i casi analizzati (imposta ad valorem sui venditori e imposta ad valorem sui
compratori), indipendentemente dal fatto che sia stata introdotta un’imposta sui venditori oppure
un’imposta sui venditori, l’introduzione di un’imposta determina una riduzione della quantità sul
mercato da q* a q. Questo è l’effetto che ci aspettiamo a seguito dell’introduzione di un’imposta
sui prodotti.
- L’imposta unitaria (τ ), in entrambi i casi considerati, è stata divisa in due parti: una parte che sarà
pagata dai venditori e una parte che, invece, sarà pagata dai compratori. In particolare, nel caso di
imposta ad valorem sui venditori, una parte dell’imposta sarà effettivamente pagata dai venditori
(contribuenti di diritto) ma una parte dell’imposta sarà, invece, traslata dai venditori ai compratori
(traslazione parziale dell’imposta). Al contrario, nel caso di imposta ad valorem sui compratori,
una parte dell’imposta sarà effettivamente pagata dai compratori (contribuenti di diritto), ma una
parte dell’imposta sarà, invece, traslata dai compratori ai venditori.
- In entrambi i casi, l’aver identificato i contribuenti di diritto (VENDITORI → Imposta ad valorem sui
venditori e, invece, COMPRATORI → Imposta ad valorem sui compratori), sembra non averci dato
delle informazioni aggiuntive tali da definire quale sarà poi il contribuente che subirà effettivamente
il carico tributario dell’imposta. Possiamo osservare che, in entrambi i casi, coloro che pagano
effettivamente l’imposta (cioè coloro che subiscono realmente il carico tributario) sono entrambi i
soggetti: compratori e venditori. Nel momento in cui lo Stato interviene con un’imposta ad valorem
sui compratori, questi ultimi traslano una parte dell’imposta sui venditori. Al contrario, quando lo
Stato interviene con un’imposta ad valorem sui venditori, questi ultimi traslano parte dell’imposta
sui compratori. Ne deriva, quindi, il fatto di sapere qual è il contribuente di diritto non ci dà la
certezza di sapere quale sarà poi effettivamente il soggetto che subirà il carico tributario,
poiché in entrambi i casi considerati il contribuente di diritto riesce a traslare parte
dell’imposta sul contribuente di fatto.
50
-La parte di imposta che rimane a carico dei contribuenti di diritto (compratori) è la differenza tra il
prezzo di mercato (o prezzo pagato dal consumatore) e il prezzo di mercato prima
dell’introduzione dell’imposta (p*), ovvero p− p∗¿.
Distinguiamo tra: traslazione in avanti e traslazione all’indietro.
- Il fatto di sapere che il venditore o il compratore sono i soggetti che di diritto sono stati individuati
dallo Stato come destinatari dell’onere tributario (CONTRIBUENTI DI DIRITTO) ci dà poche
informazioni sul gruppo di coloro che, invece, subiranno effettivamente l’onere dell’imposta
(CONTRIBUENTI DI FATTO) → Irrilevanza dell’incidenza legale. La ripartizione ultima
dell’onere dell’imposta tra venditori e compratori (cioè se sarà effettivamente il compratore
o il venditore o sopportare l’onere dell’imposta) non dipende dall’incidenza legale.
L’incidenza legale (o formale) è quella che grava sui contribuenti di diritto, cioè su coloro che la
legge individua come destinatari del carico d’imposta. Ne deriva, quindi, che sapere chi è il
contribuente di diritto non ci dà delle informazioni precise su chi sarà poi effettivamente a subire
l’onere dell’imposta.
- Da che cosa dipende, quindi, chi pagherà effettivamente l’imposta (contribuente di fatto)? Date le
curve di domanda (D) e di offerta (S) e data l’imposta unitaria ( τ ) nel punto di equilibrio, la
ripartizione dell’onere dell’imposta tra venditori e compratori è indipendente dal fatto che il
tributo sia formalmente (cioè di diritto) a carico degli uni o degli altri.
- La ripartizione dell’onere dell’imposta tra venditori e compratori (cioè chi, tra il compratore e il
venditore, subirà effettivamente il carico tributario) dipende dall’elasticità della domanda (D) e
dell’offerta (S). Ne deriva, quindi, che indipendentemente dal fatto che individuiamo il compratore
o il venditore come contribuente di diritto, cioè come colui che è stato individuato dalla legge come
destinatario del carico d’imposta, per sapere effettivamente quale tra i due soggetti subirà
effettivamente, in parte o totalmente, l’onere dell’imposta è necessario conoscere l’elasticità delle
curve di domanda (D) e di offerta (S).
51
- La figura 6.3 riassume il concetto di irrilevanza dell’incidenza legale. La ripartizione dell’onere
tributario tra compratori e venditori è indipendente dal fatto che il tributo sia formalmente (cioè di
diritto) a carico degli uni o degli altri.
-La curva di domanda (D) è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta (S) è inclinata
positivamente.
-La curva di domanda prima dell’introduzione dell’imposta (D) incontra la curva di offerta prima
dell’introduzione dell’imposta (S) in corrispondenza del punto di equilibrio (q*, p*).
-Nel caso di imposta ad valorem a carico del venditore la curva di offerta prima dell’introduzione
dell’imposta (S) si sposta verso l’alto di un ammontare pari all’imposta unitaria ( τ ) da S a S’,
poiché l’imposta rappresenta un costo aggiuntivo per i produttori e, quindi, il prezzo di riserva
(cioè il prezzo minimo a cui i venditori saranno disposti a cedere il bene) sarà dato dalla somma
del costo di produzione e dell’imposta. In corrispondenza del nuovo di equilibrio di mercato, cioè
dove la curva di offerta a seguito dell’introduzione dell’imposta (S’) incontra la curva di domanda
(D), la quantità q è minore di q*. Viceversa, il livello di prezzo (p) corrispondente al nuovo punto
di equilibrio (q, p) è maggiore del prezzo di equilibrio iniziale p*. Risolvendo il nuovo sistema
possiamo individuare la nuova quantità (q) e il prezzo di mercato (p). Per determinare, invece, il
prezzo netto ( p N ), cioè il prezzo che rimarrà al venditore, devo sostituire la quantità q nella
curva di offerta originaria S : p N =c +dq , cioè proiettare il nuovo punto di equilibrio (q, p) sulla
curva di offerta prima dell’introduzione dell’imposta (S).
-Nel caso, invece, di imposta ad valorem a carico del compratore la curva di domanda prima
dell’introduzione dell’imposta (D) si sposta verso il basso usando l’asse orizzontale come perno
sa D a D’, poiché a seguito dell’introduzione di un’imposta sui compratori questi ultimi
domanderanno meno unità del bene. In corrispondenza del punto in cui la curva di domanda
dopo l’introduzione dell’imposta (D’) incontra la curva di offerta (S) la quantità (q) è minore della
quantità di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (q*). Al contrario, il prezzo p N , che
viene recepito dai venditori, è minore del prezzo di equilibrio p*, poiché la curva di domanda
spostandosi verso il basso tira verso il basso il prezzo.
-In entrambi i casi viene considerata un’imposta unitaria (τ ) che viene in parte traslata o sui
compratori (imposta ad valorem sui venditori) o sui venditori (imposta ad valorem sui
compratori). L’aver individuato il contribuente di diritto in entrambi i casi non ci dà alcuna
informazione su chi sarà effettivamente a subire il carico tributario, poiché in entrambi i casi
considerati i contribuenti di diritto hanno scaricato parte dell’imposta sull’altro soggetto. Per
avere delle informazioni su chi effettivamente pagherà l’imposta dobbiamo guardare l’elasticità
delle curve di domanda e di offerta.
52
Incidenza dell’imposta ed elasticità della curva di domanda
- La parte di imposta a carico dei compratori è tanto minore quanto maggiore è l’elasticità
della domanda. Per dimostrare questo risultato consideriamo un esempio. Supponiamo che, a
seguito dell’introduzione di un’imposta sul bene A, il prezzo del bene A aumenti. Ne deriva, quindi,
che, a seguito dell’aumento del prezzo del bene A, il consumatore deciderà di ridurre la quantità
domandata del bene A. Il prezzo che il consumatore paga per l’acquisto del bene A sarà
comprensivo di:
1. Prezzo che verrà versato all’ente (Stato) che ha introdotto l’imposta → GETTITO
DELL’IMPOSTA
2. Prezzo che verrà corrisposto al venditore del bene A (cioè al produttore del bene A)
Consideriamo due curve di domanda relative al bene A: una curva di domanda del bene A
elastica e una curva di domanda del bene X, invece, inelastica. L’elasticità della domanda del
bene A rispetto al prezzo ( E ) rappresenta la variazione percentuale (%) della quantità domandata
∆Q ∆P
del bene A ( ), in risposta ad una variazione percentuale del prezzo del bene A ( ¿ . Quando
Q P
la curva di domanda del bene A è elastica ( E>1), allora un aumento del prezzo del bene A ( P A )
determina una significativa riduzione della quantità domandata del bene A ( Q A ). Supponiamo che
l’individuo sia indifferente tra il bene A e il bene B. Nel momento in cui viene introdotta un’imposta
sul bene A che determina, quindi, un incremento del prezzo del bene A ( P A ), allora l’individuo, che
è indifferente tra il consumo del bene A e del bene B, sceglierà di acquistare il bene B, dal
momento che è meno costoso, riducendo così il consumo del bene A. La scelta dell’individuo di
consumare il bene B e non il bene A, nel caso in cui la curva di domanda sia elastica, implica che
il compratore non subirà l’onere dell’imposta legata al bene A. Una curva di domanda è elastica
53
quando la quantità domandata del bene varia più che proporzionalmente in risposta ad una
variazione del prezzo del bene. Al contrario, nel caso di una curva di domanda del bene A sia
inelastica rispetto al prezzo del bene A ( E<1), un incremento del prezzo del bene A ( P A ), a seguito
dell’introduzione di un’imposta sul bene A, determina una diminuzione della quantità domandata
del bene A (Q A ), ma non particolarmente significativa. Una curva di domanda del bene A
inelastica (o anelastica) risulta sostanzialmente insensibile ad una variazione del prezzo del
bene. Una curva di domanda è anelastica se la quantità domandata varia meno che
proporzionalmente rispetto alla variazione del prezzo. Ciò implica che il soggetto, in questo caso,
subirà maggiormente l’onere dell’imposta, poiché ridurrà di poco la quantità consumata del bene A
che è soggetta all’imposta.
IN SINTESI, tanto più la curva di domanda è elastica e tanto minore sarà la parte di imposta che
graverà sui consumatori, poiché l’introduzione di un’imposta su un bene determina un aumento del
prezzo del bene stesso e, quindi, una minore domanda di quel bene da parte del consumatore. Ne
deriva, quindi, che il consumatore riducendo la quantità consumata del bene soggetto a tassazione
pagherà una minore parte di imposta. Al contrario, una curva di domanda meno elastica implica
che il consumatore pagherà una parte di imposta maggiore rispetto al caso in cui, invece, la curva
di domanda sia elastica, poiché all’aumentare del prezzo del bene acquistato (a seguito della
tassazione) il consumatore riduce di poco la quantità consumata.
- Ciò implica che, invece, nel caso di domanda più elastica ( D 1) la parte di imposta a carico dei
venditori ( p∗−p 1 ) sarà maggiore rispetto al caso della domanda meno elastica ( D 2), cioè
N
( p∗−p N2 ).
- Verifichiamo graficamente, attraverso la figura 6.4, perché la parte di imposta a carico dei
compratori è minore quando l’elasticità della curva di domanda è maggiore.
54
- D 1=¿ Curva di domanda più elastica
- D2=¿ Curva di domanda meno elastica (cioè più rigida)
- S=¿ Curva di offerta
- In corrispondenza del punto di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (q*, p*), cioè dove la
curva di domanda D 1 incontra la curva di offerta S, la quantità di equilibrio è q* e il prezzo di
equilibrio è p*. Il prezzo (p*) e la quantità di equilibrio (q*) sono determinati risolvendo il sistema di
equazioni a due incognite:
- p1N =¿ Prezzo che entrerà nelle casse del venditore dopo l’applicazione dell’imposta
- u=¿ Imposta per unità di produzione
N
- p1 p1 =¿ Imposta unitaria=τ =u
- p1 p∗¿ Imposta che i venditori traslano sui compratori
- p∗p N1 =¿ Imposta a carico dei venditori
- In corrispondenza del punto di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (q*, p*), cioè dove la
curva di domanda D 1 incontra la curva di offerta S, la quantità di equilibrio è q* e il prezzo di
55
equilibrio è p*. Il prezzo (p*) e la quantità di equilibrio (q*) sono determinati risolvendo il sistema di
equazioni a due incognite:
N
- p2 =¿ Prezzo che entrerà nelle casse del venditore dopo l’applicazione dell’imposta
N
- p2 p 2 =¿ Imposta unitaria=τ =u
- p2 p∗¿ Imposta che i venditori traslano sui compratori
N
- p∗p 2 =¿ Imposta a carico dei venditori
- Possiamo osservare che l’imposta a carico dei compratori nel caso di domanda elastica ( D 1) è
minore dell’imposta a carico dei compratori nel caso di domanda meno elastica ( D 2), ovvero:
¿¿
- Al contrario, l’imposta a carico dei venditori nel caso di domanda elastica ( D 1) è maggiore
dell’imposta a carico dei venditori nel caso di domanda meno elastica ( D 2), ovvero:
56
( p∗−p N1 )>( p∗− p2N )
- Se introduciamo un’imposta (che può essere ad valorem o specifica) sui venditori, la parte
di imposta che il venditore riuscirà a scaricare sul compratore è minore nel caso di una
domanda più elastica ( D1) rispetto al caso, invece, di una domanda meno elastica ( D 2). Una
curva di domanda più elastica ( D 1) mostra che, all’aumentare del prezzo del bene, la quantità
domandata di quel bene diminuisce più proporzionalmente. Ne deriva, quindi, che la curva di
domanda è particolarmente sensibile alle variazioni di prezzo del bene. Il consumatore, quindi,
deciderà di ridurre la quantità domandata di quel bene (che è diventato più caro) e, quindi, subirà
un’imposta minore legata all’acquisto di quel bene. Nel caso, invece, di una curva di domanda
meno elastica ( D 2) il consumatore ridurrà la quantità domandata del bene divenuto più caro ma di
poco. In questo caso, quindi, il consumatore subirà un’imposta maggiore poiché la parte di imposta
che il venditore riesce a traslare sul compratore è maggiore. Il consumatore continuando ad
acquistare il bene soggetto all’imposta dovrà, quindi, pagare un’imposta maggiore.
- Il grafico riporta il rapporto tra l’incidenza dell’imposta specifica e l’elasticità della curva di
domanda.
- La parte di imposta a carico dei venditori è tanto minore quanto maggiore è l’elasticità
dell’offerta.
57
- Introduciamo un’imposta specifica a carico dei venditori in un determinato equilibrio di mercato
(q*, p*) nel caso di una curva di offerta più elastica ( S2) e di una curva di offerta meno elastica ( S1).
- In corrispondenza del punto di equilibrio a seguito dell’introduzione dell’imposta, nel caso
dell’offerta più elastica ( S2) la parte di imposta a carico dei compratori ¿ è maggiore rispetto al caso
dell’offerta meno elastica ( S1), cioè ¿.
- Ciò implica che, invece, nel caso di offerta più elastica ( S2) la parte di imposta a carico dei venditori
( p∗−p 1 ) sarà minore rispetto al caso dell’offerta meno elastica ( S1), cioè ( p∗−p 2 ).
N N
N N
( p∗−p 1 )>( p∗− p2 )
- Verifichiamo graficamente, attraverso la figura 6.5, perché la parte di imposta a carico dei venditori
è minore quando l’elasticità della curva di offerta è maggiore.
- S1=¿ Curva di offerta meno elastica (più rigida)
- S2=¿ Curva di offerta più elastica
- D=¿ Curva di domanda
- S ' 1=¿ Curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta ottenuta sommando verticalmente alla
curva di offerta originaria ( S1) l’imposta unitaria (τ )= S1 +τ
- S ' 2=¿ Curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta ottenuta sommando verticalmente alla
curva di offerta originaria ( S2) l’imposta unitaria (τ )= S2 +τ
- In corrispondenza del punto di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (q*, p*), cioè dove le
curve di offerta S1e S2incontrano la curva di domanda D, la quantità di equilibrio è q* e il prezzo di
equilibrio è p*.
- L’introduzione di un’imposta specifica sui venditori determina uno spostamento delle curve di
offerta ( S1e S2 ) parallelo verso l’alto di un ammontare pari all’imposta unitaria τ =u. In questo caso,
le curve di offerta si spostano parallelamente verso l’alto da S1e S2 a S ' 1e S ' 2, poiché τ =u
=Numero. La curva di offerta S ' 1 ha, quindi, la stessa pendenza della curva di offerta S1 e la curva
di offerta S ' 2 ha la stessa pendenza della curva di offerta S2.
- L’obiettivo è dimostrare graficamente che, nel caso di una curva di offerta più elastica ( S2), la parte
di imposta traslata ai compratori sarà minore.
- Consideriamo la curva di offerta meno elastica ( S1). In corrispondenza del punto di equilibrio dopo
l’introduzione dell’imposta, dove la curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta ( S ' 1), che è
ottenuta sommando verticalmente la curva di offerta meno elastica prima dell’introduzione
58
dell’imposta ( S1) all’imposta unitaria (τ =u), incontra la curva di domanda (D), la quantità di
equilibrio q1 è minore della quantità di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (q*), ovvero
q1<q*. Viceversa, il prezzo di equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta (p 1) è maggiore del prezzo
di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (p*). Proiettando il punto di equilibrio (q 1, p1), in
corrispondenza del quale la nuova curva di offerta ( S ' 1) interseca la curva di domanda (D), sulla
vecchia curva di offerta ( S1) ricaviamo il prezzo che rimarrà ai venditori dopo l’applicazione
N N
dell’imposta ( p1 ). Il carico tributario ( p1 p1 =¿ Imposta unitaria=τ =u) può, quindi, essere scomposto
in due parti:
- p1 p∗¿ Imposta che i venditori traslano sui compratori
N
- p∗p 1 =¿ Imposta a carico dei venditori
- Consideriamo la curva di offerta più elastica ( S2). In corrispondenza del punto di equilibrio dopo
l’introduzione dell’imposta, dove la curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta ( S ' 2 ), che è
ottenuta sommando verticalmente la curva di offerta più elastica prima dell’introduzione
dell’imposta ( S2) all’imposta unitaria (τ =u), incontra la curva di domanda (D), la quantità di
equilibrio q2 è minore della quantità di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (q*), ovvero
q2<q*. Viceversa, il prezzo di equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta (p 2) è maggiore del prezzo
di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta (p*). Proiettando il punto di equilibrio (q 2, p2), in
corrispondenza del quale la nuova curva di offerta ( S ' 2 ) interseca la curva di domanda (D), sulla
vecchia curva di offerta ( S2) ricaviamo il prezzo che rimarrà ai venditori dopo l’applicazione
N N
dell’imposta ( p2 ). Il carico tributario ( p2 p 2 =¿ Imposta unitaria=τ =u) può, quindi, essere scomposto
in due parti:
- p2 p∗¿ Imposta che i venditori traslano sui compratori
N
- p∗p 2 =¿ Imposta a carico dei venditori
- Possiamo osservare che l’imposta a carico dei compratori nel caso di offerta elastica ( S2) è
maggiore dell’imposta a carico dei venditori nel caso di offerta meno elastica ( S1 ), ovvero:
¿¿
- Al contrario, l’imposta a carico dei venditori nel caso di offerta elastica ( S2) è minore dell’imposta a
carico dei venditori nel caso di offerta meno elastica ( S1), ovvero:
N N
( p∗−p 1 )>( p∗− p2 )
59
- IN SINTESI, l’onere dell’imposta grava di meno sul lato di mercato che è più elastico, cioè che è
più sensibile alle variazioni di prezzo.
- Nel caso di una curva di domanda perfettamente rigida (cioè inelastica o anelastica) l’imposta è
per intero a carico dei compratori.
- Nel caso di una curva di domanda perfettamente elastica l’imposta è per intero a carico dei
venditori.
- Nel caso di una curva di offerta perfettamente elastica l’imposta è per intero a carico dei
compratori.
- Nel caso di una curva di offerta perfettamente rigida ( o anelastica) l’imposta è per intero a carico
dei venditori.
60
Elasticità dell’offerta e della domanda: Indice di Dalton
q∗−q 1
q∗¿
ηd = ¿
p∗− p1
<0¿
p∗¿
q∗−q1
q∗¿
η s= N
¿
p∗− p1
>0 ¿
p∗¿
- Il rapporto tra l’elasticità dell’offerta ( η s) e l’elasticità della domanda (ηd ) risulta essere pari
a:
ηs q∗−q1
= ¿
ηd p∗¿
N
p∗− p1
q∗¿ × ¿
q∗−q 1
¿
p∗¿ 1 p∗¿
q∗¿ × = × p∗− p1 =− p1− ¿¿
p∗− p1 p∗− p1
N N
p∗− p1
61
- Il rapporto tra l’elasticità dell’offerta e l’elasticità della domanda misura, quindi, la
N
ripartizione dell’imposta tra compratori ( p1− p∗¿) e venditori ( p∗−p 1 ), ovvero:
DAL=¿ ¿ ¿
- L’indice di Dalton (DAL) esprime l’aumento del prezzo per i compratori in percentuale
dell’ammontare dell’imposta.
ECCESSO DI PRESSIONE
- L’introduzione di un’imposta sulla vendita di un bene (imposta sui prodotti) determina, attraverso i
movimenti delle curve di domanda e di offerta, una diminuzione della quantità (da q∗¿ a q ) e
una differenza tra il prezzo pagato da chi compra ( p=¿ Prezzo di mercato pagato dal
compratore) e il prezzo netto percepito, invece, da chi vende ( p N =¿ Prezzo al netto
dell’imposta).
- L’introduzione dell’imposta genera :
1. Contrazione della quantità prodotta (q <q∗¿)
2. Aumento del prezzo rilevante per il compratore ( p> p∗¿)
3. Riduzione del prezzo rilevante per il venditore ( p N < p)
1. Trasferimento di risorse da parte dei consumatori (o da parte delle imprese) al governo (Il
trasferimento di risorse da parte dei consumatori o da parte delle imprese al governo
determina una diminuzione del reddito disponibile dei contribuenti → Effetto reddito.
62
L’effetto reddito è un effetto delle imposte che non dà luogo a degli effetti distorsivi
sull’allocazione delle risorse (non avrà, quindi, degli effetti in termini di efficienza) ma
rappresenta una diminuzione del potere d’acquisto dei contribuenti (quindi, in teoria non
cambia i criteri di scelta e di decisione da parte degli operatori economici). Ne deriva, quindi,
che il vincolo di bilancio non cambierà pendenza e, quindi, si sposterà in parallelo.
- I consumatori e le imprese (venditori), in ragione del fatto che parte dell’imposta resta a loro carico,
sopportano una PERDITA DI BENESSERE → Eccesso di pressione (conseguenza di una
inefficienza che si è causata nel mercato)
- La figura 7.1 rappresenta graficamente l’eccesso di pressione, cioè la perdita di benessere sociale.
63
- In corrispondenza del punto di equilibrio A(q*, p*), cioè dove la curva di domanda D incontra la
curva di offerta S, la quantità di equilibrio è q* e il prezzo di equilibrio è p*.
- A seguito dell’introduzione di un’imposta specifica sui venditori, la curva di offerta originaria (S) si
sposta parallelamente verso l’alto da S a S’. La curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta S’
è ottenuta sommando verticalmente alla curva di offerta originaria (S) l’imposta unitaria (τ =u).
- In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio B(q, p), cioè dove la curva di domanda (D) incontra
la curva di offerta dopo l’introduzione dell’imposta (S’), la quantità di equilibrio dopo l’introduzione
dell’imposta q<q*. Al contrario, il prezzo di equilibrio in corrispondenza del nuovo punto di equilibrio
p>p*. Proiettando il nuovo punto equilibrio B(q, p) sulla curva di offerta originaria (S) ricaviamo il
prezzo netto ( p N ), cioè il prezzo che rimane al venditore dopo l’applicazione dell’imposta.
- Il benessere sociale dei consumatori e dei venditori può essere misurato attraverso il surplus dei
consumatori e il surplus dei venditori. Il surplus dei consumatori prima dell’introduzione
dell’imposta è pari all’area del triangolo ADp* e rappresenta, per ogni unità prodotta, la differenza
tra il prezzo di riserva dei consumatori (cioè il prezzo massimo che i consumatori sono disposti a
pagare, D) e il prezzo che viene stabilito sul mercato (p*). Il surplus dei produttori prima
dell’introduzione dell’imposta (che è una misura del benessere sociale dei produttori) è, invece,
pari all’area del triangolo AEp*, che è dato dalla differenza tra il prezzo di mercato (p*) e il prezzo
di riserva delle imprese (cioè il prezzo minimo al quale i venditori sono disposti a cedere il bene). Il
triangolo ADE, che rappresenta una misura del benessere sociale, è pari alla somma del surplus
dei consumatori prima dell’imposta (ADp*) e del surplus dei produttori prima dell’imposta (AEp*).
- A seguito dell’introduzione dell’imposta, il surplus dei consumatori e il surplus dei produttori si
riducono e, quindi, si registrerà una perdita sia per i consumatori che per i produttori. In particolare,
il surplus dei consumatori dopo l’introduzione dell’imposta si riduce dal triangolo ADp* al triangolo
BDp. Il surplus dei produttori dopo l’introduzione dell’imposta, invece, si riduce dal triangolo AEp*
al triangolo CE p N . Ciò significa che, a seguito della riduzione di benessere (e, quindi, della
riduzione del surplus dei consumatori e del surplus dei produttori), l’area del trapezio ABpp*
rappresenta la perdita del benessere dei consumatori dopo l’imposta, mentre l’area del trapezio
AC p N p* rappresenta la perdita di benessere dei produttori dopo l’imposta. L’area totale BAC p N p
rappresenta l’intera perdita di benessere dei consumatori e dei produttori a seguito
dell’introduzione dell’imposta (Area ABpp*+Area AC p N p*).
- L’effetto distorsivo dell’imposta comporta un eccesso di pressione.
64
- L’introduzione di un’imposta determina una differenza tra il prezzo pagato da chi compra (p) e il
prezzo che viene percepito da chi vende ( p N ), poiché nel prezzo di mercato pagato dal
consumatore (p) rientra una parte di prezzo che viene corrisposto allo Stato in termini di gettito.
- L’area totale BAC p N p rappresenta l’intera perdita di benessere dei consumatori e dei produttori a
seguito dell’introduzione dell’imposta (Area ABpp*+Area AC p N p*), cioè una perdita di benessere
del settore privato. Il gettito dell’imposta (T =τ × q), cioè le risorse ottenute dall’operatore
pubblico (Stato che è intervenuto introducendo l’imposta), dopo l’introduzione dell’imposta è
rappresentato l’area del rettangolo BC p N p. La base del rettangolo BC p N p è esattamente pari alla
quantità 0q che viene scambiata sul mercato, mentre l’altezza del rettangolo è pari all’imposta
unitaria ( p− p N ) che è stata introdotta. Il gettito d’imposta (T), cioè la quantità di risorse che entra
allo Stato, è pari al prodotto dell’aliquota dell’imposta unitaria (τ ) per la quantità venduta o prodotta
(q). Il triangolo ABC è la perdita secca per la collettività, ovvero l’ECCESSO di PRESSIONE,
causata dall’introduzione dell’imposta. L’individuo, a seguito dell’introduzione dell’imposta, è
costretto a modificare le proprie scelte in termini di consumo. È vero che un soggetto potrebbe,
modificando i propri comportamenti, eludere l’imposta ma per farlo dovrebbe distorcere le proprie
scelte. L’eccesso di pressione (perdita secca di benessere per la collettività) è il risultato
della distorsione delle scelte del consumatore dovuta all’introduzione dell’imposta.
- Il surplus dei consumatori e il surplus dei produttori rappresentano una misura del benessere
sociale prima e dopo l’introduzione dell’imposta. Le risorse che vengono sottratte al settore privato
vengono poi acquisite, in parte, dall’operatore pubblico tramite il gettito → Equità dell’imposta
(cioè quali sono gli effetti distributivi dell’imposta). L’obiettivo è studiare la ripartizione dell’imposta
tra i lati del mercato (cioè tra consumatori e produttori) e come questa si traduce in termini di
benessere.
65
- Quando ragioniamo, invece, sul gettito (T) e sulla perdita secca per l’intera collettività, cioè
sull’eccesso di pressione, introduciamo delle considerazioni maggiormente legate al profilo
dell’efficienza. La somma delle risorse che vengono sottratte ai consumatori (ABpp*) e ai produttori
(AC p N p*) eccede il gettito (ammontare di risorse che viene acquisito dallo Stato) che viene,
invece, acquisito dal settore pubblico (BC p N p). L’eccedenza di risorse, che graficamente
corrisponde all’area del triangolo ABC, rappresenta l’eccesso di pressione (o perdita secca per la
collettività), cioè la perdita di benessere per la collettività associata al mancato sfruttamento di
tutti i vantaggi derivabili dallo scambio. La riduzione della quantità scambiata da q* a q implica
che la quantità q∗−q dopo l’introduzione dell’imposta non verrà più scambiata sul mercato. Ne
deriva, quindi, si perde una parte delle unità del bene scambiato, per le quali i compratori
avrebbero derivato dal consumo di queste unità di bene un beneficio maggiore di quello che è il
costo di produzione di questo bene. Da ciò deriva la riduzione del benessere del soggetto.
L’introduzione di un’imposta determina una distorsione artificiosa delle scelte di consumo del
soggetto poiché il consumatore, al fine di eludere il pagamento dell’imposta che colpisce il bene
che consuma, dovrà sostituire il bene tassato con un altro oppure consumare una minore quantità
del bene soggetto a tassazione, modificando così le proprie scelte in termini di consumo.
- Le imposte sono pagate in misura maggiore da parte degli individui che sono meno propensi a
ridurre il consumo del bene tassato all’aumentare del prezzo del bene stesso. Quando la curva di
domanda (o di offerta) è ANELASTICA (cioè poco sensibile alle variazioni di prezzo del bene),
allora il soggetto coinvolto sarà meno propenso a ridurre il consumo del bene soggetto a
tassazione e, quindi, a sostituirlo con il bene non tassato. Ne deriva, quindi, che il gettito d’imposta,
rappresentato dall’area del rettangolo BC p N p, sarà maggiore, mentre si riduce l’eccesso di
pressione (Area ABC) dal momento che la distorsione che viene creata è minore. Al contrario,
quando la curva di domanda (o di offerta) è ELASTICA (cioè particolarmente sensibile alle
variazioni di prezzo del bene tassato), i soggetti del mercato riescono più facilmente ad eludere
l’imposta poiché tendono a sostituire il bene soggetto a tassazione con uno meno caro. Ne deriva,
quindi, che il gettito d’imposta, rappresentato dall’area del rettangolo BC p N p, sarà minore ma che
l’eccesso di pressione, rappresentato dall’area del triangolo ABC, sarà maggiore poiché si riduce il
benessere sociale.
- Esistono delle forme di tassazione che possono ridurre solamente il potere d’acquisto dei soggetti
(creando l’EFFETTO REDDITO), lasciando inalterati i prezzi relativi dei beni, ovvero delle imposte
che possono provocare l’eccesso di pressione? Una imposta che potrebbe non creare effetti
distorsivi dal punto di vista dell’efficienza è la LUMP SUM TAX, cioè un’imposta in somma fissa a
testa che grava sui contribuenti non tanto in funzione della loro attività di lavoro e di consumo ma
in quanto essere cittadini e persone viventi. Le lump sum tax, cioè le imposte a somma fissa,
potrebbero non creare distorsioni nel breve periodo perché non possono essere eluse (per poterle
evitare bisognerebbe emigrare) ma potrebbero comunque creare delle distorsioni nel lungo
66
periodo, dal momento che incidono sulle decisioni di pianificazione futura dei soggetti. Per
esempio, questa tipologia di imposta potrebbe influenzare la pianificazione delle nascite, poiché gli
individui potrebbero decidere di fare meno figli per pagare così meno tasse (meno teste meno
tasse). Ciò potrebbe avere anche degli effetti sull’offerta di lavoro nel lungo periodo. Nel breve
periodo l’imposta fissa non crea distorsioni e riduce il reddito disponibile dei soggetti (Effetto
reddito). L’effetto reddito, in questo caso, determinerebbe uno spostamento in parallelo della retta
di bilancio, cioè la pendenza della retta di bilancio non cambierebbe in seguito ad una variazione
del prezzo dei beni in termini relativi. In sintesi, questa tipologia di imposta nel breve periodo
causerebbe solo un effetto reddito e non un effetto sostituzione (cioè una variazione dei prezzi
relativi dei beni). Quali sono però gli effetti in termini di efficienza e di equità di questa forma di
imposizione fiscale? Da un lato questa tipologia di imposta non determina degli effetti in termini di
efficienza poiché, non modificando i prezzi relativi dei beni, non si crea una distorsione artificiosa
del livello dei prezzi e, quindi, delle scelte degli individui, mentre dall’altro ci potrebbero essere
degli effetti distorsivi importanti. Infatti, questa tipologia di imposta potrebbe essere regressiva,
ovvero potrebbe andare a gravare in misura maggiore quanto più povero è il contribuente e quanto
più numerosa è la sua famiglia. Dal punto di vista dell’efficienza, la lump sum tax potrebbe
rappresentare una soluzione adatta ad evitare le distorsioni degli agenti nel mercato, però è un tipo
di imposizione fiscale che presenta dei problemi dal punto di vista dell’equità, dal momento che è
un’imposta pregressiva che colpisce maggiormente gli individui poveri e i soggetti con un numero
di componenti della famiglia elevato. Nel 1980 Margaret Thatcher introdusse nel Regno Unito la
poll tax, cioè una forma di imposta a somma fissa che colpiva gli iscritti alle liste elettorali. Questa
imposta che non poteva così essere elusa provocò un grave dissenso popolare, poiché ebbe degli
effetti sulle fasce di cittadini più deboli.
67
Eccesso di pressione: il singolo consumatore
68
Y non si sposta parallelamente verso il basso ma ruota verso l’interno utilizzando M come
perno, come conseguenza della variazione del prezzo pagato dai consumatori.
In corrispondenza del punto di tangenza tra la curva di indifferenza U 2 e il nuovo vincolo di
bilancio Y’, cioè B (q1, M*), la quantità ottima scambiata nel mercato a seguito dell’introduzione
di un’imposta (q1) è minore della quantità ottimale q* prima dell’introduzione dell’imposta. Al
nuovo prezzo l’individuo massimizza il proprio benessere nel punto B acquistando la quantità
q1. Il livello di benessere del consumatore è ora rappresentato dalla curva di indifferenza U 2.
La quantità ottima consumata del bene M rimane M* (come nel punto A), poiché l’introduzione
dell’imposta sul bene q non ha modificato il prezzo del bene composito M e, quindi, la scelta
del consumatore di consumare il bene M.
In corrispondenza del punto B il soggetto è in una situazione peggiore rispetto a quella del
punto A, poiché si trova su una curva di indifferenza ( U 2 ) più bassa rispetto alla curva di
indifferenza U 1.
L’obiettivo è capire se l’introduzione del tributo ha comportato per il soggetto una riduzione
dell’utilità, e quindi del suo benessere, superiore all’onere fiscale del tributo che è stato
introdotto. Per fare ciò dobbiamo:
1. Identificare il carico tributario che subisce il soggetto nel momento in cui viene
introdotta l’imposta. L’onere fiscale del tributo, cioè il gettito d’imposta (T), è pari alla
distanza verticale tra il vincolo di bilancio prima dell’imposta (Y) e il vincolo di bilancio dopo
l’introduzione dell’imposta (Y’). Ne deriva, quindi, che M M 1=¿ Gettito d’imposta=Imposta
pagata.
2. Identificare una misura monetaria della perdita di benessere del soggetto (VARIAZIONE
EQUIVALENTE). La variazione equivalente è la quantità massima di reddito cui l’individuo
sarebbe disposto a rinunciare per evitare l’aumento del prezzo, a seguito dell’introduzione
dell’imposta.
Ipotizziamo di ridurre il reddito del soggetto per vedere la quantità massima di reddito cui
l’individuo rinuncerebbe per evitare l’incremento del prezzo, a seguito dell’imposta. Una
diminuzione del reddito disponibile del soggetto comporta uno spostamento parallelo verso
l’interno della retta da bilancio da Y a Y’’.
In corrispondenza del punto di tangenza C tra la curva di indifferenza U 2e la retta di bilancio Y’’,
l’individuo è caratterizzato dallo stesso livello di benessere del punto B (poiché si trova sulla stessa
curva di indifferenza del punto B (U 2)), ma da un livello di reddito inferiore rispetto a quello del
punto di tangenza B. Nel punto C, al prezzo p antecedente l’introduzione dell’imposta, un reddito
monetario pari a M2 garantisce al soggetto lo stesso livello di benessere che in B, al prezzo
69
p ×(1+ t e ) , gli assicura un reddito M. La distanza M M 2 rappresenta pertanto la quantità massima
di reddito cui l’individuo sarebbe disposto a rinunciare per evitare l’aumento del prezzo, a seguito
dell’imposta: si tratta dunque di una misura monetaria della variazione di benessere prodotta
dall’imposta. A tale grandezza si dà il nome di variazione equivalente. Il danno in moneta che il
soggetto subisce a seguito dell’introduzione dell’imposta, cioè la variazione equivalente ( M M 2 ), è
maggiore del gettito ricavato dall’imposta ( M M 1). Ne deriva, quindi, che l’eccesso di pressione
è pari alla differenza tra la variazione equivalente (cioè la riduzione in termini economici del
benessere del soggetto a seguito dell’introduzione dell’imposta → M M 2) e il gettito d’imposta che
viene generato dall’imposta stessa ( M M 1), ovvero M 1 M 2=M M 2−M M 1. Questo ragionamento
ci ha, quindi, permesso di identificare l’eccesso di pressione tramite la valutazione in termini
monetari della perdita di benessere del soggetto a seguito dell’introduzione dell’imposta.
Il gettito d’imposta (T) è definito dalla distanza verticale tra la retta di bilancio prima dell’imposta
(Y) e la retta di bilancio Y’’’ parallela alla retta di bilancio Y (ottenuta traslando parallelamente
verso l’interno la linea di bilancio originaria a seguito di una riduzione del benessere del
consumatore), ovvero M −M 1=¿ Gettito d’imposta.
L’imposta unitaria è pari alla distanza M M 2.
La variazione equivalente è la quantità massima di reddito cui l’individuo sarebbe disposto a
rinunciare per evitare l’aumento del prezzo, a seguito dell’introduzione dell’imposta. Da un punto di
vista grafico la variazione equivalente è pari alla distanza M −M 2=¿ Variazione equivalente
70
L’eccesso di pressione è pari alla differenza tra la variazione equivalente (cioè la riduzione in
termini economici del benessere del soggetto a seguito dell’introduzione dell’imposta → M M 2) e il
gettito d’imposta ( M M 1),ovvero M 1 M 2=M M 2−M M 1.
A seguito dell’introduzione di un’imposta distorsiva sul bene q, la quantità scambiata del bene q si
riduce da q* a q1 per due ragioni:
1. Diminuzione del reddito del soggetto e, quindi, della sua disponibilità a pagare →
Effetto reddito
2. Il bene oggetto d’imposta q diventa meno conveniente rispetto al bene composito M,
per cui il consumatore deciderà di ridurre la quantità consumata di quel bene divenuto
più caro → Effetto sostituzione
L’individuo può ridurre, al limite anche annullare, l’imposta modificando le proprie scelte. In
particolare, il soggetto può decidere di ridurre il consumo del bene oggetto d’imposta oppure di
sostituirlo con un altro bene, eludendo così l’imposta in modo parziale o totale. Allo stesso tempo,
però, anche se l’individuo decide di non consumare più il bene oggetto d’imposta comunque dovrà
sopportare una certa riduzione di benessere che è causata dal fatto che l’introduzione dell’imposta
ha causato una diversa allocazione delle risorse e, quindi, una distorsione delle scelte del soggetto
(eccesso di pressione).
L’eccesso di pressione è associato all’effetto sostituzione. L’effetto sostituzione genera un
cambiamento nelle scelte allocative delle risorse dei soggetti, il quale a sua volta genera l’eccesso
di pressione (o perdita secca del benessere della collettività). Imposte che provocano solo un
effetto reddito, cioè uno spostamento parallelo della retta di bilancio, non producono eccesso di
pressione.
Se riuscissimo a trovare un’imposta che causa un effetto reddito ma non un effetto sostituzione,
allora riusciremmo a non generare queste distorsioni e, quindi, a non generare l’eccesso di
pressione. In questo caso si parla di neutralità dell’imposta. Le imposte che provocano
solamente un effetto reddito e, quindi, di conseguenza uno spostamento parallelo della linea di
bilancio non generano un eccesso di pressione; queste imposte sono neutrali, poiché la loro
introduzione non comporta un effetto sostituzione (per cui di conseguenza non si genera una
distorsione nell’allocazione delle risorse dei soggetti).
Supponiamo di intervenire con un’imposta ad aliquota uniforme che colpisce entrambi i beni
considerati. Un’imposta ad aliquota uniforme su entrambi i beni considerati non distorce la scelta
allocativa delle risorse e, quindi, di conseguenza comporta uno spostamento in parallelo del
71
vincolo di bilancio e ciò non dovrebbe causare un eccesso di pressione. La figura 7.3 mostra il
caso di un’imposta neutrale nel mercato dei beni. In questo grafico si confronta l’imposta sul
singolo bene q con un’imposta uniforme che colpisce anche “tutti gli altri beni”.
L’asse orizzontale riporta la quantità di un bene di consumo q, mentre l’asse verticale il bene
composito M che rappresenta “tutti gli altri beni”. Se tale bene viene considerato come numerario
(€), l’intercetta M della retta di bilancio rappresenta il reddito dell’individuo espresso in moneta.
In corrispondenza del punto in cui la curva di indifferenza U 1 è tangente alla retta di bilancio Y,
cioè A(q*, M*), il consumatore acquista la quantità q* del bene q, destinando il reddito M*
all’acquisto di tutti gli altri beni. Il paniere (q*, M*) gli assicura un livello di benessere U 1.
A seguito dell’introduzione di un’imposta ad valorem sul bene q a carico del compratore il
prezzo del bene q aumenta da p a p ×( 1+t e ) , con conseguente rotazione del vincolo di bilancio
verso l’interno da Y a Y’.
In corrispondenza del punto di tangenza tra la curva di indifferenza U 2 e il nuovo vincolo di bilancio
Y’, cioè B (q1, M*), la quantità ottima scambiata nel mercato a seguito dell’introduzione di
un’imposta (q1) è minore della quantità ottimale q* prima dell’introduzione dell’imposta. Al nuovo
prezzo l’individuo massimizza il proprio benessere nel punto B acquistando la quantità q1. Il livello
di benessere del consumatore è ora rappresentato dalla curva di indifferenza U 2.
Consideriamo due ≠ casi:
1. Imposta ad aliquota uniforme (t e ' ' ) su entrambi i beni considerati (q e M) che provoca al
consumatore la stessa perdita di benessere. Inizialmente la curva di indifferenza U 1 è
tangente alla retta di bilancio Y in corrispondenza del punto A. L’introduzione di un’imposta ad
aliquota uniforme su entrambi i beni considerati (q e M) non modifica l’allocazione delle risorse
del soggetto (cioè la pendenza della retta di bilancio). Ne deriva, quindi, che la retta di bilancio
si sposterà parallelamente verso l’interno da Y a Y’’ tanto da produrre una stessa perdita di
benessere. La retta di bilancio Y si sposta parallelamente verso l’interno, poiché l’imposta ad
aliquota uniforme non altera il prezzo relativo del bene q rispetto a quello di “tutti gli altri beni”.
La retta di bilancio Y’’ è tangente alla curva di indifferenza U 2 (che è la curva di indifferenza
tangente alla retta di bilancio Y’ nel punto B), per l’ipotesi che essa arrechi al consumatore un
danno pari a quello dell’imposta sul singolo bene. Il gettito d’imposta è pari alla distanza
verticale tra la retta di bilancio prima dell’imposta (Y) e la retta di bilancio dopo l’imposta (Y’’),
ovvero M −M 1=¿ Gettito d’imposta. La variazione equivalente è la quantità massima di
reddito cui l’individuo sarebbe disposto a rinunciare per evitare l’aumento del prezzo, a seguito
dell’introduzione dell’imposta. Da un punto di vista grafico la variazione equivalente, che si
ottiene spostando la retta di bilancio parallelamente verso l’interno da Y a Y’’, è pari alla
distanza M −M 1=¿ Variazione equivalente. Nel punto di tangenza C, gettito d’imposta (T) e
variazione equivalente del soggetto sono eguali (e pari a M −M 1): non vi è, quindi, eccesso di
72
pressione. A parità di benessere per il consumatore (per ipotesi U 2arreca al consumatore un
danno pari a quello dell’imposta sul singolo bene), ovvero a parità di perdita di benessere per
il consumatore (la variazione equivalente nel caso di imposta distorsiva M −M 2 coincide con
la variazione equivalente nel caso di imposta neutrale M −M 1), lo Stato incassa un maggior
gettito pari a M −M 1 rispetto al caso di imposta distorsiva ( M −M 1) della figura 7.2. In sintesi,
in questo caso abbiamo un guadagno in termini di efficienza introducendo un’imposta ad
aliquota uniforme che provoca al consumatore la stessa perdita di benessere del soggetto,
rispetto a quella dell’imposta distorsiva. Possiamo inoltre osservare che il gettito d’imposta nel
caso di un’imposta ad aliquota uniforme che colpisce entrambi i beni di consumo è maggiore
di quello determinato, invece, nel caso di un’imposta distorsiva applica ad un solo bene. Ne
deriva, quindi, che in questo caso c’è un maggior vantaggio in termini di gettito per l’ente
Stato.
2. Imposta ad aliquota uniforme (t e ' ' ' ) su entrambi i beni considerati (q e M) che genera lo
stesso gettito d’imposta di un’imposta distorsiva. Il gettito nel caso di imposta distorsiva è
pari alla distanza verticale tra la retta di bilancio prima dell’imposta (Y) e la retta di bilancio
dopo l’imposta, ovvero M −M 2. L’introduzione di un’imposta ad aliquota uniforme su entrambi
i beni considerati (q e M) determina uno spostamento della retta di bilancio parallelamente
verso il basso da Y a Y’’’ tanto quanto da raggiungere lo stesso livello di gettito ( M −M 2). La
retta di bilancio a seguito dell’imposta (Y’’’) è tangente alla curva di indifferenza U 3 in
corrispondenza del punto D. La distanza verticale tra la retta di bilancio prima dell’imposta (Y)
e la retta di bilancio dopo l’imposta ad aliquota uniforme (Y’’’) è esattamente pari al gettito
d’imposta, ovvero M −M 2. Nel caso di un’imposta ad aliquota uniforme su entrambi i beni
considerati il gettito d’imposta (T) coincide con il gettito d’imposta nel caso di un’imposta
distorsiva su un singolo prodotto. In questo caso, però il gettito d’imposta ( M −M 2) coincide
con la variazione equivalente, cioè il danno economico attribuito alla perdita del benessere del
soggetto provocato dall’introduzione dell’imposta. Possiamo osservare che, a parità di gettito (
M −M 2), nel caso di un’imposta ad aliquota uniforme su entrambi i beni considerati il
benessere del soggetto è migliore, cioè il soggetto di trova su una curva di indifferenza più alta
(U 3 ) rispetto a quella relativa ad un’imposta distorsiva (U 2), ovvero U 3 >U 2. La variazione
equivalente nel caso di un’imposta distorsiva ( M −M 1) è maggiore rispetto a quella di
un’imposta ad aliquota uniforme che colpisce entrambi i beni di consumo ( M −M 2), poiché
M −M 1 > M −M 2. Ne deriva, quindi, che il danno in moneta che il soggetto subisce a seguito
dell’introduzione dell’imposta, cioè la variazione equivalente nel caso di un’imposta ad aliquota
uniforme che colpisce entrambi i beni di consumo ( M −M 2) sia minore di quella relativa al
73
caso di un’imposta distorsiva ( M −M 1). In sintesi, l’introduzione di un’imposta ad aliquota
uniforme che genera lo stesso livello di utilità generato nel caso di un’imposta distorsiva
determina un incremento del benessere dei soggetti e, quindi, una maggiore utilità di questi.
In entrambi i casi analizzati l’introduzione di un’imposta ad aliquota uniforme non crea un eccesso
di pressione ed inoltre lascia la comunità più ricca, in un caso in termini di maggiore gettito (1 °
caso) e nell’altro caso in termini di maggiore benessere per i soggetti (2° caso).
L’imposta ad aliquota uniforme su entrambi i beni considerati equivale ad un’imposta sul reddito.
Ne deriva, quindi, che l’introduzione di un’imposta sul reddito (imposta diretta) conduce allo stesso
risultato ottenuto con un’imposta ad aliquota uniforme. L’introduzione di un’imposta sul reddito
determina una riduzione del reddito disponibile del soggetto, cioè una diminuzione del suo potere
d’acquisto, con conseguente spostamento parallelo del vincolo di bilancio dell’individuo. Al
contrario dell’imposta distorsiva, l’imposta sul reddito non distorce l’allocazione delle risorse dei
soggetti e, quindi, non crea l’eccesso di pressione. Il Teoria di Barone dimostrò la superiorità
dell’imposizione diretta rispetto a quella indiretta sulla base della neutralità dell’imposizione
diretta. L’assunzione da cui si partiva era la seguente: di fronte ad uno stesso ammontare di
risorse ottenute dal governo, cioè a parità di gettito, la situazione finale di benessere dei
consumatori doveva essere la stessa. Il Teorema di Barone, in realtà, dimostrò che il benessere
del consumatore dopo l’introduzione di un’imposta indiretta sui beni è inferiore rispetto al
benessere del consumatore dopo l’introduzione di un’imposta diretta sul reddito. I risultati che
abbiamo ottenuto con l’introduzione di un’imposta ad aliquota uniforme, quindi, sono gli stessi che
otterremmo introducendo invece un’imposta sul reddito, in particolare il vincolo di bilancio si
sposterebbe parallelamente verso il basso. L’introduzione di un’imposta ad aliquota uniforme che
genera lo stesso gettito d’imposta di un’imposta distorsiva determina un incremento del benessere
dei soggetti. Questo risultato è esattamente quello teorizzato dal Teorema di Barone, cioè che
un’imposta indiretta causa una distorsione maggiore di un’imposta diretta sul reddito. In sintesi,
l’introduzione di un’imposta sul reddito riduce l’ammontare delle risorse disponibili per la
collettività (in questo caso dei soggetti consumatori) ma non modifica i prezzi relativi dei beni. Ne
deriva, quindi, che un’imposta sul reddito determina solo un effetto reddito (ER) e non un effetto
sostituzione (ES). L’introduzione di un’imposta indiretta sui singoli bene, come quella considerata
nella figura 7.2 (imposta ad valorem sul bene q), determina non soltanto una riduzione delle
risorse disponibili (reddito) dei soggetti in termini di effetto reddito (ER) ma, allo stesso tempo,
anche un aumento del prezzo dei beni tassati rispetto ai prezzi degli altri beni. A seguito
dell’aumento del prezzo dei beni tassati, la quantità scambiata del bene oggetto d’imposta sarà
minore rispetto a quella dell’altro bene. Ciò determina, quindi, una distorsione artificiosa dei prezzi
al consumo tra due beni e, quindi, una diversa allocazione delle risorse attribuibile all’effetto
sostituzione (ES).
74
La critica che fu mossa al Teorema di Barone riguarda era che l’ipotesi di superiorità
dell’imposizione diretta rispetto all’imposizione indiretta si basava su delle assunzioni troppo
semplicistiche. Tra queste assunzioni rientrava quella che prevedeva un’offerta di lavoro fissa.
Un’imposta sul reddito potrebbe anche essere vista come un’imposta indiretta sul lavoro (il lavoro
è il fattore che genera il reddito) o come un’imposta indiretta sul risparmio (il risparmio dipende dal
reddito). Se consideriamo l’imposta sul reddito come un’imposta indiretta sul lavoro oppure come
un’imposta indiretta sul risparmio, allora non è detto che quest’imposta non determini delle
distorsioni. La tassazione del reddito potrebbe, da un lato, ridurre il tasso netto di salario, ovvero
la remunerazione del numero di ore di lavoro (per cui i lavoratori potrebbero modificare la propria
scelta tra lavoro e tempo libero) e dall’altro, invece, rendere più faticoso il risparmio, per cui va ad
aumentare il prezzo di offerta sul mercato e, quindi, il tasso di interesse che viene richiesto dai
prestatori di fondi per dare a prestito risorse. Ne deriva, quindi, che per determinare gli effetti
dell’introduzione di un’imposta bisognerebbe tenere conto di diverse variabili, tra le quali rientrano:
la scelta del soggetto lavoratore tra lavoro e tempo libero, la scelta del soggetto risparmiatore in
termini di consumo e risparmio.
75
dell’introduzione dell’imposta dipende dall’elasticità della domanda (ηd ) e dall’elasticità
dell’offerta (η s).
La figura 7.4 mostra come l’eccesso di pressione dipende dall’imposta unitaria e dalla
contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato.
La curva di domanda (D) è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta (S) è inclinata
positivamente.
In corrispondenza del punto di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta A( q∗, p∗¿), cioè dove
la curva di domanda (D) incontra la curva di offerta, la quantità di equilibrio scambiata sul mercato
è pari a q∗¿ e il prezzo di equilibrio è, invece, pari a p∗¿.
L’introduzione di un’imposta unitaria specifica a carico del venditore determina uno spostamento
parallelo verso l’alto della curva di offerta da S a S’, dal momento che l’imposta rappresenta per il
venditore un costo aggiuntivo. Il prezzo di riserva, cioè il prezzo minimo al quale il venditore sarà
disposto a cedere il bene prodotto, sarà pari alla somma del costo di produzione (S) più l’imposta (
τ ).
La curva di offerta S’ si ottiene sommando verticalmente alla curva di offerta originaria (S)
l’ammontare dell’imposta (τ ).
In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio B, cioè dove la curva di domanda (D) incontra la
curva di offerta dopo l’imposta (S’), la quantità scambiata del bene è minore rispetto a quella
precedente l’introduzione dell’imposta e il nuovo prezzo di equilibrio dopo l’introduzione
dell’imposta è maggiore rispetto al prezzo di equilibrio del punto di equilibrio A.
L’eccedenza di risorse, che graficamente corrisponde all’area del triangolo ABC, rappresenta
l’eccesso di pressione (o perdita secca per la collettività), cioè la perdita di benessere per la
collettività associata al mancato sfruttamento di tutti i vantaggi derivabili dallo scambio.
L’eccesso di pressione (EC) è, quindi, rappresentato graficamente dall’area del triangolo ABC.
L’obiettivo della nostra analisi è dimostrare perché l’eccesso di pressione dipende dall’ammontare
dell’imposta unitaria (τ ) e dalla contrazione della quantità scambiata sul mercato, a seguito
dell’introduzione dell’imposta (q−q∗¿ ). La base del triangolo ABC corrisponde all’ammontare
dell’imposta unitaria (τ = p− p N ) che è stata introdotta. L’altezza del triangolo, invece, è pari alla
contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato a seguito dell’introduzione
dell’imposta (q−q∗¿ ), cioè la differenza tra la quantità di equilibrio scambiata sul mercato prima
dell’introduzione dell’imposta (q∗¿ ) e la quantità di equilibrio scambiata sul mercato dopo
l’introduzione dell’imposta (q ). Tanto maggiore è la differenza tra la quantità di equilibrio scambiata
sul mercato prima l’introduzione dell’imposta (q∗¿ ) e la quantità di equilibrio scambiata sul
mercato dopo l’introduzione dell’imposta (q ) e tanto maggiore sarà l’eccesso di pressione.
76
La figura 7.5 mostra come l’eccesso di pressione dipende dall’imposta unitaria (τ ).
La curva di domanda (D) è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta (S) è
inclinata positivamente.
In corrispondenza del punto di equilibrio prima dell’introduzione dell’imposta A( q∗, p∗¿),
cioè dove la curva di domanda (D) incontra la curva di offerta, la quantità di equilibrio
scambiata sul mercato è pari a q∗¿ e il prezzo di equilibrio è, invece, pari a p∗¿.
L’introduzione di un’imposta τ e poi di un’imposta τ ' =2 ×τ ci dà qualche informazione in
merito alla più o meno linearità della relazione tra eccesso di pressione e imposta unitaria,
cioè in che modo l’uno dipende dall’altra.
A seguito dell’introduzione di un’imposta unitaria specifica sul venditore (τ ), la curva di
offerta S si sposta parallelamente verso l’alto di un ammontare esattamente pari all’imposta
unitaria (τ ) da S a S’. L’introduzione dell’imposta unitaria τ genera l’eccesso di pressione
rappresentato dall’area del triangolo ABC, e che indichiamo con α .
Vediamo che cosa succede se, invece, partendo dal punto di equilibrio A prima
dell’introduzione dell’imposta introduciamo un’imposta τ ' =2 ×τ . L’introduzione dell’imposta
τ ' =2 ×τ determina uno spostamento parallelo verso l’alto della curva di offerta originaria
(S) di un ammontare esattamente pari all’imposta τ ' =2 ×τ da S a S’’. Ne deriva, quindi,
che la distanza DE è esattamente pari a due volte la distanza BC, ovvero
τ ' =2 ×τ =DE=2 × BC .
La curva di domanda (D) incontra la curva di offerta dopo l’imposta (S’’) in corrispondenza
del punto di equilibrio D. In questo caso, l’eccesso di pressione (EC) sarà esattamente pari
all’area del triangolo ADE, che a sua volta è esattamente pari alla somma dei quattro
triangoli ABC. L’area del triangolo ADE è pari alla somma delle aree dei quattro triangoli,
ovvero:
77
Area del triangolo ADE=α + β+ γ + δ
Possiamo, quindi, osservare che se l’imposta raddoppia (da τ a τ ' ) allora l’eccesso di
pressione (EC) cresce di quattro volte. In sintesi, non solo l’eccesso di pressione dipende
dall’ammontare dell’imposta unitaria (τ ) ma, se l’imposta raddoppia, allora l’eccesso di
pressione (EP) quadruplica.
79
della quantità di equilibrio scambiata sul mercato ( q∗−q1), a seguito dell’introduzione
dell’imposta nel caso di una domanda più elastica, è maggiore della contrazione della
quantità di equilibrio scambiata sul mercato (q∗−q2), a seguito dell’introduzione
dell’imposta nel caso di una domanda meno elastica.
Nel caso di una domanda più elastica il consumatore è più propenso a sostituire il bene
oggetto d’imposta (divenuto, quindi, più caro) con un altro bene. Ne deriva, quindi, che il
gettito d’imposta, cioè le risorse corrisposte allo Stato dopo l’introduzione dell’imposta, sarà
relativamente minore, poiché il soggetto cercherà di eludere il pagamento dell’imposta
sostituendo i beni tassati con altri beni e, quindi, pagherà una minore imposta. Allo stesso
tempo, però, la perdita secca di benessere per la collettività (o eccesso di pressione) sarà
maggiore, dal momento che l’introduzione di un’imposta sul bene consumato crea una
maggiore distorsione delle scelte del consumatore.
Al contrario, nel caso di una domanda meno elastica il consumatore ridurrà, ma di poco, la
quantità consumata del bene oggetto d’imposta. Ne deriva, quindi, che l’imposta pagata,
cioè il gettito d’imposta, sarà maggiore, dal momento che il soggetto continuerà a
consumare il bene tassato si accollerà l’imposta. Allo stesso tempo, però, la perdita secca
di benessere per la collettività (o eccesso di pressione) sarà minore, dal momento che
l’introduzione di un’imposta sul bene consumato non influenza particolarmente le scelte del
consumatore.
La figura 7.7 considera la relazione tra l’eccesso di pressione (EP) e l’elasticità dell’offerta (η s).
La curva di domanda D è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta S è inclinata
positivamente.
L’asse orizzontale riporta la quantità del bene, mentre l’asse verticale il prezzo.
La curva di offerta più elastica è S1, mentre la curva di offerta meno elastica (anelastica o
inelastica), cioè quella più rigida, è S2.
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In corrispondenza del punto di equilibrio A, cioè dove la curva di offerta più elastica ( S1)
incontra la curva di domanda prima dell’introduzione dell’imposta (D), la quantità di
equilibrio scambiata sul mercato prima dell’introduzione dell’imposta è pari a q∗¿ .
L’introduzione di un’imposta specifica a carico dei compratori determina uno spostamento
parallelo verso il basso della curva di domanda di un ammontare esattamente pari
all’imposta τ da D a D’.
La curva di domanda dopo l’introduzione dell’imposta (S’) è pari alla differenza verticale tra
la curva prima dell’imposta (D) e l’ammontare dell’imposta (τ ).
In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio E, dove la curva di domanda dopo l’imposta
(D’) incontra la curva di offerta più elastica S1, la quantità di equilibrio scambiata sul
mercato a seguito dell’introduzione dell’imposta (q 1) è minore della quantità di equilibrio
scambiata sul mercato prima dell’imposta (q∗¿ ), ovvero q 1< q∗¿.
Proiettando la quantità di equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta ( q 1) sulla curva di
domanda originaria (D) ricaviamo il punto D. L’area del triangolo ADE rappresenta
l’eccesso di pressione nel caso di una curva di offerta elastica ( S1). La contrazione della
quantità di equilibrio scambiata sul mercato, a seguito dell’introduzione dell’imposta, nel
caso della curva di offerta più elastica ( S1) è pari a q∗−q1. La base del triangolo ADE, cioè
DE, è esattamente pari all’imposta unitaria (τ ) . L’altezza del triangolo ADE, invece, è pari
alla contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato, cioè q∗−q1.
Consideriamo la curva di offerta anelastica ( S2). In corrispondenza del punto di equilibrio A,
cioè dove la curva di offerta più rigida ( S2) incontra la curva di domanda prima
dell’introduzione dell’imposta (D), la quantità di equilibrio scambiata sul mercato prima
dell’introduzione dell’imposta è pari a q∗¿ .
In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio C, dove la curva di domanda dopo l’imposta
(D’) incontra la curva di offerta più rigida S2, la quantità di equilibrio scambiata sul mercato
a seguito dell’introduzione dell’imposta (q 2) è minore della quantità di equilibrio scambiata
sul mercato prima dell’imposta (q∗¿ ), ovvero q 2< q∗¿.
Proiettando la quantità di equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta (q 2) sulla curva di
domanda originaria (D) ricaviamo il punto B. L’area del triangolo ABC rappresenta
l’eccesso di pressione nel caso di una curva di offerta anelastica ( S2). La contrazione della
quantità di equilibrio scambiata sul mercato, a seguito dell’introduzione dell’imposta, nel
caso della curva di offerta più rigida ( S2) è pari a q∗−q2. La base del triangolo ABC, cioè
BC, è esattamente pari all’imposta unitaria (τ ) . L’altezza del triangolo ABC, invece, è pari
alla contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato, cioè q∗−q2.
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Possiamo osservare che l’area del triangolo ADE è maggiore dell’area del triangolo ABC,
cioè che l’eccesso di pressione nel caso di una curva di offerta più elastica ( S1) è maggiore
dell’eccesso di pressione nel caso di una curva di offerta anelastica ( S2), ovvero
EP S 1 > EP S 2 .
La contrazione della quantità di equilibrio scambiata sul mercato, a seguito dell’introduzione
dell’imposta, nel caso della curva di offerta elastica ( q∗−q1) è maggiore della contrazione
della quantità di equilibrio scambiata sul mercato, a seguito dell’introduzione dell’imposta,
nel caso di una curva di offerta anelastica (q∗−q2), ovvero (q∗−q1 ¿ >¿(q∗−q2).
Tra l’eccesso di pressione (EP) e l’imposta unitaria (τ ) c’è una relazione non lineare: se l’imposta
raddoppia, infatti, l’eccesso di pressione quadruplica.
La figura 7.8 rappresenta l’eccesso di pressione (EP) nel caso di costi costanti.
Consideriamo una curva di domanda (D) inclinata negativamente e una produzione a costi
costanti, ovvero una curva di offerta (S) con elasticità infinita (η s → ∞ ). Ne deriva, quindi, che la
curva di offerta (S) sia parallela all’asse orizzontale, in quanto PERFETTAMENTE ELASTICA.
In corrispondenza del punto di equilibrio E, cioè dove la curva di domanda (D) incontra la curva di
offerta (S), la quantità di equilibrio scambiata sul mercato è pari a q∗¿ .
82
L’introduzione di un’imposta specifica a carico dei venditori (τ ) determina uno spostamento
parallelo verso l’alto della curva di offerta di un ammontare esattamente pari all’imposta unitaria ( τ )
da S a S’.
In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio G dopo l’introduzione dell’imposta, cioè dove la
curva di domanda (D) incontra la curva di offerta dopo l’imposta (S’), la quantità di equilibrio
scambiata sul mercato, a seguito dell’imposta, è pari a q <q∗¿.
In questo caso, il prezzo netto che ricevono i venditori dopo l’applicazione dell’imposta ( p N )
coincide con il prezzo di mercato prima dell’applicazione dell’imposta ( p∗¿), cioè p N = p∗¿.
Essendo τ = p− p∗¿, il prezzo di mercato ( p) cresce dell’intero ammontare dell’imposta (
τ = p− p∗→ p= p∗+ τ ). Ne deriva, quindi, che l’imposta τ = p− p∗¿ sarà completamente a carico
dei compratori. Quando la curva di offerta è perfettamente elastica, l’onere d’imposta sarà
completamente a carico dei venditori.
Il gettito d’imposta, cioè le risorse ottenute all’ente pubblico (Stato) dopo l’introduzione
dell’imposta, è rappresentato graficamente dall’area del rettangolo GC p∗p .
Proiettando la quantità di equilibrio dopo l’introduzione dell’imposta ( q ) sulla curva di offerta
originaria (S) ricaviamo il punto G. La base del triangolo EP d è esattamente pari all’ammontare
dell’imposta unitaria (τ ). L’altezza del triangolo EP d , invece, è pari alla contrazione della quantità
scambiata sul mercato, a seguito dell’introduzione dell’imposta, ovvero (q∗−q). L’area del
triangolo EP d , che rappresenta l’eccesso di pressione (EP), sarà pari a:
La relazione tra l’eccesso di pressione, che è rappresentato graficamente dall’area del triangolo
Possiamo, inoltre, osservare l’esistenza di una relazione positiva tra l’eccesso di pressione (
Area triangolo EP ) e l’elasticità della domanda (ηd ). Quando la curva di domanda è elastica gli
d
individui sono più propensi a sostituire il bene oggetto d’imposta con un altro, in modo così da
eludere il pagamento dell’imposta. Ne deriva, quindi, che l’ammontare dell’imposta unitaria pagata
dal soggetto sarà minore e, quindi, il gettito d’imposta, cioè le risorse ottenute dall’ente pubblico
(Stato) dopo l’introduzione dell’imposta sarà minore. Dal momento che l’individuo è disposto a
sostituire il bene tassato con un altro meno caro, per eludere il pagamento dell’imposta che
colpisce il bene consumato, allora l’individuo sopporterà una maggiore perdita di benessere
derivante dall’introduzione dell’imposta. L’introduzione di un’imposta su di un bene determina un
83
incremento del prezzo del bene consumato, che a sua volta modifica le scelte di allocazione delle
risorse dei soggetti. L’eccesso di pressione, o perdita secca di benessere per la collettività, che il
soggetto subirà a seguito dell’introduzione dell’imposta sarà maggiore. Al contrario, quando la
curva di domanda è anelastica l’individuo ridurrà di poco il consumo del bene oggetto di imposta,
pagando così una maggiore imposta. Ne deriva, quindi, che il gettito d’imposta sarà maggiore e
l’eccesso di pressione minore, dal momento che l’incremento del prezzo del bene oggetto di
imposta non ha modificato le scelte di consumo del soggetto.
Maggiore è l’elasticità della domanda e maggiore sarà la diminuzione della domanda del bene
oggetto d’imposta (in termini di quantità) come conseguenza dell’introduzione dell’imposta e,
quindi, dell’incremento del prezzo di tale bene.
Le imposte efficienti dovrebbero distorcere il meno possibile le scelte di consumo degli individui,
cioè dovrebbero creare il minore eccesso di pressione di possibile. In termini di efficienza
dell’imposizione fiscale, data la relazione positiva tra l’eccesso di pressione e l’elasticità
dell’imposta (cioè maggiore è l’elasticità dell’imposta e maggiore è l’eccesso di pressione), se
tassiamo i beni meno elastici allora andremo a ridurre l’eccesso di pressione.
84
Per minimizzare la perdita di benessere per la collettività (o eccesso di pressione) è necessario
stabilire delle imposte ad aliquote inversamente proporzionali all’elasticità della domanda
dei beni (ηd ) e non delle imposte ad aliquota uniforme. Ne deriva, quindi, che i beni di consumo
dovrebbero essere tassati con delle aliquote differenziate e non con delle aliquote uniformi.
L’obiettivo della tassazione ottimale dei beni consiste nella scelta di aliquote per i beni di consumo
X e Y, in modo che l’eccesso di pressione sia il minimo possibile. Come devono essere stabilite
però le aliquote su tali beni di consumo?
Una soluzione potrebbe essere quella di tassare i beni X e Y con la stessa aliquota d’imposta, cioè
di introdurre un’imposta ad aliquota uniforme su entrambi i beni di consumo considerati (X e Y)
→ 1° soluzione → Tassazione neutrale
Come si dovrebbero fissare le aliquote d’imposta per accrescere il gettito d’imposta ( 1 ° obiettivo),
cioè maggiori entrate per lo Stato, con il minore eccesso di pressione (2° obiettivo)?
L’obiettivo è massimizzare il gettito d’imposta e, allo stesso tempo, minimizzare l’eccesso di
pressione (o perdita secca di benessere per la collettività), cioè fare in modo che l’eccesso di
pressione marginale dell’ultimo euro di gettito derivante da ciascun bene sia identico.
Per minimizzare l’eccesso di pressione, le aliquote dovrebbero essere fissate in modo che
la riduzione in percentuale della quantità domandata di ciascun bene sia la stessa.
Perché la tassazione efficiente dovrebbe indurre variazioni equiproporzionali delle quantità
domandate anziché variazioni equiproporzionali dei prezzi? La tassazione efficiente dovrebbe
indurre delle variazioni equiproporzionali delle quantità domandate perché l’eccesso di pressione è
una conseguenza di una distorsione della quantità e per minimizzarlo è necessario che queste
variazioni delle quantità domandate siano della stessa proporzione.
Consideriamo inizialmente il bene X. Supponiamo che η x sia l’elasticità compensata della
domanda del bene X rispetto al prezzo e t x l’aliquota fiscale introdotta sul bene X.
Consideriamo t x un’imposta ad valorem sul bene X e cioè l’aumento percentuale del prezzo a
seguito dell’introduzione dell’imposta.
Il prodotto dell’elasticità compensata della domanda del bene X (η x ) per l’imposta ad valorem (t x ),
cioè η x × t x, è la variazione percentuale del prezzo (t x ) moltiplicata per la variazione percentuale
della quantità domandata quando il prezzo sale dell’1% (η x). Il prodotto η x × t x rappresenta la
riduzione percentuale della domanda del bene X dovuta all’imposta.
Consideriamo il bene Y. Supponiamo che η y sia l’elasticità compensata della domanda del bene Y
rispetto al prezzo e t y l’aliquota fiscale introdotta sul bene Y.
Consideriamo t y un’imposta ad valorem sul bene Y e cioè l’aumento percentuale del prezzo a
seguito dell’introduzione dell’imposta.
Il prodotto dell’elasticità compensata della domanda del bene Y ( η y) per l’imposta ad valorem (t y ),
cioè η y ×t y , è la variazione percentuale del prezzo (t y ) moltiplicata per la variazione percentuale
85
della quantità domandata quando il prezzo sale dell’1% (η y). Il prodotto η y ×t y rappresenta la
riduzione percentuale della domanda del bene Y dovuta all’imposta.
η x × t x =η y ×t y
ηx × t x ηy × t y t x ηy
= → =
ηx ×t y η x ×t y t y ηx
86
- Il risultato della regola delle elasticità inversa ci dice che l’efficienza dell’imposizione fiscale non
esige che tutte le aliquote siano fissate in modo uniforme.
- Dal momento che un insieme di imposte efficienti dovrebbe distorcere il meno possibile le decisioni
di consumo degli individui, e, quindi, minimizzare l’eccesso di pressione, ed inoltre considerando
che la distorsione (cioè l’eccesso di pressione) aumenta proporzionalmente all’aumentare
dell’elasticità della domanda di un bene, allora ciò significa che una tassazione efficiente esige
che siano introdotte aliquote relativamente elevate sui beni relativamente anelastici.
- Quali sono però le implicazioni in termini di equità? È giusto che i beni con domanda anelastica
debbano essere tassati ad aliquote relativamente elevate rispetto ai beni con domanda elastica?
Considerazioni di equità
87
Ramsey. Questo non dovrebbe essere vero, cioè la funzione di benessere sociale dovrebbe
attribuire un maggior peso all’euro dei poveri rispetto all’euro dei ricchi)
- Grado di divergenza nei modelli di consumo dei ricchi e dei poveri (Se poveri e ricchi
consumano entrambi i beni nella stessa proporzione anche tassando con aliquote diverse i
beni, non si può influire sulla distribuzione del reddito. Dobbiamo, quindi, assumere che i
ricchi e i poveri consumano i beni in proporzione diversa. Anche se la società ha un obiettivo
redistributivo, non può raggiungerlo mediante una tassazione differenziata dei beni)
Queste due deviazioni dalla regola di Ramsey non sono delle assunzioni particolarmente forti ma
corrispondono alla realtà. Ne deriva, quindi, che si può tenere conto di un allontanamento dalla
regola di Ramsey in termini di efficienza per avere un guadagno, invece, in termini di maggiore
equità.
La regola di Ramsey, che prevede un’aliquota maggiore per i beni caratterizzati da una domanda
anelastica, permette di raggiungere dei risultati interessanti in termini di efficienza a discapito però
dell’equità distributiva. Al contrario, per ottenere dei risultati in termini di equità distributiva
bisognerebbe tassare con delle aliquote più basse quei beni caratterizzati da una curva di
domanda anelastica, cioè quei beni particolarmente importanti per alcune categorie di individui
(poveri), e tassare, invece, con delle aliquote più alte i beni che sono caratterizzati da una curva di
domanda elastica.
Continuando il discorso in merito agli effetti distorsivi in seguito all’introduzione delle imposte, ci
concentriamo sul mercato del lavoro. Consideriamo una situazione di equilibrio in un mercato del
lavoro concorrenziale. La figura 8.1 (a) mostra gli effetti dell’introduzione di un’imposta sul salario
dei lavoratori.
L’asse orizzontale riporta la quantità di lavoro (L), mentre l’asse verticale il salario orario (w).
La curva di domanda di lavoro ( D L) è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta di lavoro (
S L) è, in questo caso, inclinata positivamente. La curva di offerta ( S L) inclinata positivamente
mostra come all’aumentare del salario, cioè del reddito da lavoro (w) aumenta il numero di
lavoratori occupati (L). L’intercetta verticale della curva di offerta di lavoro ( S L) corrisponde al punto
88
E. La domanda di lavoro w=D L (L)è alimentata dalle imprese e dipende dalla produttività del
lavoro, mentre l’offerta di lavoro w=S L (L) dipende dalle scelte dei lavoratori.
In corrispondenza del punto di equilibrio (A), dove la curva di domanda di lavoro ( D L) incontra la
curva di offerta di lavoro ( S L), la quantità di lavoratori ottimale occupata è L* e il salario di equilibrio
è pari a w*.
Introduciamo un’imposta proporzionale sul reddito da lavoro (T w =t w × w ), cioè sul salario, per
capire quali sono gli effetti sull’equilibrio del mercato del lavoro. A seguito dell’introduzione di
un’imposta proporzionale sul reddito da lavoro T w =t w × w , la curva di domanda di lavoro ruota
verso l’interno utilizzando l’asse orizzontale come perno da D L a D ' L. La nuova curva di domanda
di lavoro, a seguito dell’introduzione dell’imposta ( D ' L) non ha la stessa pendenza della curva di
domanda di lavoro originaria ( D L) e si ottiene sottraendo alla curva di domanda di lavoro originaria
( D L) l’ammontare dell’imposta (T w =t w × w ). Questa nuova curva di domanda associa, ad ogni
N
quantità di lavoro (L), il salario al netto dell’imposta (w =(1−t w )×w ).
In seguito allo spostamento della curva di domanda di lavoro da D L a D ' L, otteniamo un nuovo
punto di equilibrio (C), in corrispondenza del quale la curva di domanda dopo l’introduzione
dell’imposta ( D ' L) incontra la curva di offerta di lavoro ( S L), caratterizzato da una:
Diminuzione del numero di lavoratori impiegati (occupazione) (L* L)
Aumento del costo del lavoro, cioè del salario lordo unitario (w* w)
Diminuzione del salario netto unitario, cioè del salario che entra nelle tasche dei lavoratori
sotto forma di busta paga (w* w N ).
L’imposta unitaria, in analogia con il mercato dei prodotti, corrisponde graficamente alla distanza
BC=w−wN . La parte di imposta w−w∗¿ rappresenta l’onere dell’imposta per le imprese
(=compratori nel mercato dei beni), mentre la parte d’imposta w∗−w N è l’onere dell’imposta a
carico dei lavoratori (=venditori nel mercato dei beni).
Prima dell’introduzione dell’imposta, il surplus delle imprese è identificato dall’area del triangolo al
di sotto della curva di domanda prima dell’introduzione dell’imposta (A ^
D w∗¿, mentre il surplus dei
lavoratori corrisponde all’area del triangolo posto al di sopra della curva di offerta (A ^
E w∗¿. Il
surplus delle imprese e il surplus dei lavoratori rappresentano una misura del benessere delle
imprese e dei lavoratori.
89
La figura 8.1 (b) mostra gli effetti dell’introduzione di un’imposta proporzionale sul salario: il costo
del lavoro (w) aumenta, la retribuzione netta (w N ) e l’occupazione (L) si riducono.
In seguito all’introduzione dell’imposta proporzionale sul salario, si ha una riduzione sia del surplus
dei lavoratori che del surplus delle imprese. Il surplus delle imprese, a seguito dell’introduzione
dell’imposta proporzionale sul salario, si riduce dal triangolo A ^
D w∗¿ al triangolo B ^
D w . Il surplus
dei lavoratori, dopo l’introduzione dell’imposta sul salario, si riduce dal triangolo A ^
E w∗¿ al
triangolo (C ^
E w N ¿.
In analogia a quanto accade nel mercato dei prodotti, la porzione di area identificata dal poligono
N
w CABw corrispondente alla somma della riduzione del surplus delle imprese (ABww*) e della
riduzione del surplus dei lavoratori (ACw N w*) rappresenta la perdita di benessere sia delle imprese
che dei lavoratori, a seguito dell’introduzione dell’imposta.
Il gettito d’imposta, cioè le risorse che entrano nelle casse dello Stato a seguito dell’introduzione
dell’imposta, corrisponde graficamente al rettangolo w N CBw. La base del rettangolo coincide con
la quantità di lavoratori occupati (0L), mentre l’altezza coincide con l’imposta (BC=w−wN ).
La perdita di benessere per il settore privato (lavoratori e imprese) è rappresentato
graficamente dall’area del poligono w N CABw, cioè dalla riduzione del surplus dei lavoratori (ACw N
w*) più la riduzione del surplus delle imprese (ABww*). Una parte delle risorse che vengono
sottratte al settore privato (w N CABw) vengono distribuite allo Stato sotto forma di gettito (w N CBw).
La perdita di benessere per il settore privato, che graficamente corrisponde alla somma della
riduzione del surplus dei lavoratori più la riduzione del surplus delle imprese, eccede il gettito
d’imposta, cioè w N CABw>w N CBw.
90
L’eccesso di pressione, che graficamente è pari alla differenza tra la perdita di benessere per il
settore privato (w N CABw) e il gettito d’imposta (w N CBw), rappresenta la perdita secca di
benessere per la collettività. Il triangolo A ^
BC , che rappresenta l’eccesso di pressione, ha, come
base, l’imposta (BC=w−wN ) e, come altezza, la riduzione dei lavoratori occupati, a seguito
dell’introduzione dell’imposta ( L∗−L).
1 L 2 ¿ ¿
EP= η S t w w L
2
L
η S =¿ Elasticità dell’offerta di lavoro
t w =¿ Aliquota d’imposta sul reddito da lavoro
L
L’eccesso di pressione è direttamente proporzionale all’elasticità dell’offerta di lavoro (η S ), cioè
maggiore è l’elasticità dell’offerta di lavoro e maggiore sarà l’area del triangolo ABC che
rappresenta l’eccesso di pressione. Anche in questo caso, come nel mercato dei prodotti, la
relazione tra l’ammontare dell’imposta e l’eccesso di pressione è una relazione del tipo non
lineare, ma QUADRATICA. L’esponente dell’aliquota d’imposta sul reddito da lavoro (t w) identifica
la relazione quadratica tra l’ammontare dell’imposta e l’eccesso di pressione. Se l’imposta
raddoppia allora l’eccesso di pressione quadruplica.
91
Gli effetti dell’imposta sull’offerta di lavoro
Gli effetti dell’introduzione di un’imposta sul reddito da lavoro dipendono in modo significativo dalla
forma della funzione dell’offerta di lavoro (fino a questo punto del ragionamento abbiamo
considerato una curva di offerta di lavoro con pendenza positiva).
Immaginiamo di considerare una curva di offerta di lavoro ( S L) caratterizzata da due tratti, uno
crescente e uno decrescente. Fino ad un certo livello di salario, un aumento del reddito da lavoro
(salario) induce i lavoratori a lavorare di più. Oltre tale livello di salario (w), ad ogni ulteriore
aumento del salario i lavoratori desiderano lavorare di meno.
Consideriamo a questo proposito la figura 8.2 (a), che mostra una curva di offerta di lavoro ( S L)
caratterizzata da un’inclinazione positiva fino ad un certo livello di salario e da un’inclinazione
negativa per livello di reddito superiori. In questo caso, la curva di domanda di lavoro ( D L) incontra
la curva di offerta di lavoro ( S L) in corrispondenza del tratto decrescente della curva di offerta. Se
la curva di offerta di lavoro è inclinata negativamente, allora un’imposta sul salario fa
aumentare l’occupazione.
L’asse orizzontale riporta la quantità di lavoro, cioè il numero di lavoratori occupati (L), mentre
l’asse verticale il salario orario (w).
La curva di domanda di lavoro ( D L) è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta di lavoro (
S L) è caratterizzata da un tratto crescente e da un tratto decrescente, cioè è una curva di offerta
piegata all’indietro. In particolare, la curva di offerta di lavoro ( S L) è caratterizzata da una
pendenza positiva per livelli di reddito da lavoro non superiori a w’ e, invece, da una pendenza
negativa per livelli di reddito da lavoro superiori a w’.
Nella porzione di curva di offerta di lavoro ( S L) con inclinazione positiva, all’aumentare del salario
lungo l’asse verticale, aumenta anche il numero di lavoratori occupati. Questo si verifica per livelli
di reddito da lavoro non superiori a w’, cioè 0<w<w’. Il punto A mostra il numero di lavoratori
occupati (L’) in corrispondenza del livello di salario w’. In sintesi, fino al punto A un incremento del
salario (da w a w’) induce i lavoratori a lavorare di più.
Per livelli di reddito superiori a w’ (punto A) la curva di offerta di lavoro ( S L) assume, invece, una
pendenza negativa. Di conseguenza, un ulteriore aumento del salario, cioè per livelli di salario
w>w’, provoca una diminuzione del numero dei lavoratori occupati. In questo caso, a fronte di un
incremento del reddito da lavoro (w) il lavoratore preferisce lavorare di meno. Un aumento del
salario al di sopra di w’, in corrispondenza del punto A, induce i lavoratori a lavorare di meno e,
quindi, a dedicarsi maggiormente al tempo libero.
Prima dell’introduzione dell’imposta, il mercato raggiunge l’equilibrio (L*, w*), cioè dove la curva di
domanda di lavoro ( D L) incontra la curva di offerta di lavoro ( S L), in corrispondenza del tratto
decrescente della curva di offerta (cioè nel tratto in cui la curva di offerta è piegata all’indietro).
92
L’introduzione di un’imposta proporzionale sul reddito da lavoro (w) determina uno spostamento
della curva di domanda di lavoro ( D L) verso il basso di un ammontare pari all’imposta da D L a D ' L
.
In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio (L, w), dove la curva di domanda di lavoro dopo
l’imposta ( D ' L) incontra la curva di offerta di lavoro ( S L) nel tratto decrescente, il numero di
lavoratori occupati aumenta da L* a L, mentre il salario diminuisce da w* a w. L’introduzione
dell’imposta, dal momento che la curva di offerta ha inclinazione negativa per livelli di reddito da
lavoro >w’, ha provocato un aumento dei lavoratori occupati (L* L).
IN SINTESI, l’introduzione di un’imposta sul reddito da lavoro determina una riduzione del salario
che, a sua volta, determina un incremento del numero di lavoratori occupati.
La figura 8.2 (b) mostra il caso in cui la curva di domanda di lavoro ( D L) incontra la curva di offerta
di lavoro ( S L) in corrispondenza del tratto crescente della curva di offerta. Se la curva di offerta di
lavoro è inclinata positivamente, allora un’imposta sul salario fa diminuire l’occupazione.
L’asse orizzontale riporta la quantità di lavoro, cioè il numero di lavoratori occupati (L), mentre
l’asse verticale il salario orario (w).
La curva di domanda di lavoro ( D L,1 ) è inclinata negativamente, mentre la curva di offerta di lavoro
( S L) è caratterizzata da un tratto crescente e da un tratto decrescente, cioè è una curva di offerta
piegata all’indietro. In particolare, la curva di offerta di lavoro ( S L) è caratterizzata da una
pendenza positiva per livelli di reddito da lavoro non superiori a w’ e, invece, da una pendenza
negativa per livelli di reddito da lavoro superiori a w’.
93
Prima dell’introduzione dell’imposta, il mercato raggiunge l’equilibrio (L1, w*1), cioè dove la curva di
domanda di lavoro ( D L,1 ) incontra la curva di offerta di lavoro ( S L), in corrispondenza del tratto
crescente della curva di offerta.
L’introduzione di un’imposta proporzionale sul reddito da lavoro (w) determina uno spostamento
della curva di domanda di lavoro ( D L,1 ) verso il basso di un ammontare pari all’imposta da D L,1 a
D ' L,1 .
In corrispondenza del nuovo punto di equilibrio (L*1, w*1), dove la curva di domanda di lavoro dopo
l’imposta ( D ' L,1 ) incontra la curva di offerta di lavoro ( S L) nel tratto crescente, il numero di
lavoratori occupati diminuisce da L*1 a L1, mentre il salario diminuisce da w*1 a w1.
IN SINTESI, l’introduzione di un’imposta sul reddito da lavoro determina una diminuzione del
salario che, a sua volta, determina una diminuzione del numero di lavoratori occupati.
Gli effetti derivanti dall’introduzione di un’imposta proporzionale sul reddito da lavoro (w)
dipendono dalla forma della curva di offerta di lavoro ( S L). In sintesi, nella parte di curva di offerta
di lavoro ( S L) caratterizzata da un’inclinazione negativa, l’introduzione dell’imposta sul salario
determina un incremento dell’occupazione. Al contrario, nella parte di curva di offerta di lavoro ( S L)
caratterizzata da un’inclinazione positiva, l’introduzione dell’imposta sul salario provoca una
diminuzione dell’occupazione.
94
Anche nel mercato del lavoro, così come per il mercato dei prodotti, l’effetto distorsivo derivante
dall’introduzione di un’imposta nel mercato del lavoro può essere scomposto in:
1. EFFETTO REDDITO: Un aumento dell’imposta che determina una riduzione del salario
netto (w N ), cioè una diminuzione del salario percepito dai lavoratori, spinge i lavoratori a
lavorare di più per ottenere lo stesso reddito da lavoro che ottenevano prima
dell’introduzione dell’imposta.
2. EFFETTO SOSTITUZIONE: Un aumento dell’imposta che riduce il salario netto (w N ), rende
il lavoro meno attraente rispetto all’attività alternativa (tempo libero), spingendo così i
lavoratori a lavorare di meno e, quindi, a sostituire il lavoro con l tempo libero.
A seconda del prevalere dell’uno sull’altro effetto, l’imposta (dal momento che riduce il salario netto
percepito dai lavoratori → w N ) può portare ad un aumento o a una diminuzione dell’offerta di lavoro
da parte dei lavoratori.
La domanda di lavoro ( D L) diventa un importante quesito sul piano empirico. Attraverso i dati,
quindi, si può vedere quale dei due effetti (effetto reddito o effetto sostituzione) prevale sull’altro.
Consideriamo la figura seguente, utile per confrontare la scelta del lavoratore tra lavoro e
tempo libero (attività alternativa).
L’asse orizzontale misura le ore lavorate (L). L rappresenta il numero massimo di ore lavorate
all’interno di una giornata.
L’asse verticale misura, invece, il consumo (C). Supponendo che l’intera retribuzione venga
consumata, il massimo consumo possibile sarà: C=w L .
Il vincolo di bilancio (Y) è rappresentato dalla retta che unisce l’origine degli assi con il punto (
L ,C ).
Consideriamo, inoltre, delle curve di indifferenza con inclinazione positiva. In questo caso, le
curve di indifferenza sono positivamente inclinate poiché stiamo considerando sull’asse orizzontale
le ore lavorate (L), mentre sull’asse verticale il consumo (C). Le curve di indifferenza
rappresentano l’insieme dei panieri (ore di lavoro, consumo) che danno al consumatore lo stesso
livello di soddisfazione, cioè che lo rendono indifferente. Ne deriva, quindi, che se consideriamo
due panieri (ore di lavoro, consumo) che si trovano sulla stessa curva di indifferenza U1, allora
l’individuo è indifferente tra il paniere D(LR, CR), al quale corrisponde un maggior numero di ore di
lavoro (e, quindi, un minor numero di ore di tempo libero) e un maggior consumo, e il paniere E
(LE, CE), al quale invece è associato un minor numero di ore di lavoro (e, quindi, un maggior
numero di ore di tempo libero) e un minor consumo.
Nel punto A la curva di indifferenza (U1) è tangente al vincolo di bilancio (Y): l’individuo lavorerà L*
ore e avrà un consumo pari a C*. Graficamente, la distanza 0L* rappresenta il numero di ore
95
lavorate in assenza di imposta, mentre la distanza L* L rappresenta il tempo libero in assenza di
imposta.
0L*= Lavoro in assenza di imposta
L* L=¿ Tempo libero in assenza di imposta
La pendenza del vincolo di bilancio prima dell’imposta (Y) è pari al salario w.
La pendenza del vincolo di bilancio dopo l’imposta (Y’) è, invece, pari a 1−t w ¿ ×w .
A seguito dell’introduzione di un’imposta proporzionale sul salario (T w =t w × w ), che riduce il
N
salario netto del lavoratore (w N ) da w a w =(1−t w ) ×w ,il nuovo vincolo di bilancio (Y’) e la nuova
curva di indifferenza (U2) si spostano identificando un nuovo punto di equilibrio (B). In seguito
all’introduzione dell’imposta, le ore lavorate corrispondono al segmento 0 L' '. Si osserva, quindi,
una riduzione delle ore lavorate, a seguito dell’introduzione dell’imposta (L* L' ').
Possiamo scomporre l’effetto dell’introduzione di un’imposta proporzionale al salario, cioè la
riduzione del numero di ore lavorate, in due effetti: EFFETTO REDDITO, EFFETTO
SOSTITUZIONE. Per isolare graficamente l’effetto sostituzione è necessario traslare
parallelamente verso il basso il vincolo di bilancio originario (Y) fino al punto in cui è tangente alla
curva di indifferenza U2, cioè in corrispondenza del punto C (punto intermedio che identifica lo
spostamento).
Considerando l’ EFFETTO REDDITO e assumendo che il tempo libero sia un bene normale (cioè
un bene per il quale al crescere del reddito, a parità di altre condizioni, aumenta la quantità
consumata di quel bene), nel momento in cui si introduce un’imposta, al diminuire del salario netto
(w N ) e, quindi, del reddito disponibile del soggetto, l’effetto reddito fa in modo che il lavoratore
lavori di più per percepire lo stesso reddito prima dell’introduzione dell’imposta. In sintesi, l’effetto
reddito comporta un incremento del numero di ore lavorate (da L* a L’), a seguito dell’introduzione
di un’imposta (come indicato dalla direzione delle frecce). L’effetto reddito corrisponde
graficamente allo spostamento dal punto A al punto C.
L’EFFETTO SOSTITUZIONE, invece, comporta una riduzione delle ore lavorate (da L’ a L’’).
L’introduzione di un’imposta proporzionale sul salario (che riduce il salario netto del lavoratore),
infatti, riduce il prezzo del tempo libero in termini di consumo, rendendo così questa attività
alternativa più conveniente per l’individuo. Se consideriamo il costo opportunità del tempo libero,
l’aver introdotto un’imposta proporzionale sul salario rende meno conveniente un’ora di lavoro in
più rispetto al tempo libero, provocando quindi una diminuzione dell’offerta di lavoro. In sintesi,
l’effetto sostituzione comporta una riduzione del numero di ore lavorate (da L’ a L’’), a seguito
dell’introduzione di un’imposta (come indicato dalla direzione delle frecce). L’effetto sostituzione
corrisponde graficamente allo spostamento dal punto C al punto B.
Quindi, in base all’effetto reddito si ha un aumento delle ore lavorate (da L* a L’); in base all’effetto
sostituzione, si ha invece una diminuzione del numero di ore lavorate (da L’ a L’’). A secondo di
96
quale dei due effetti prevale, si ha l’effetto complessivo. Per trarre delle conclusioni, immaginiamo
di applicare i due effetti separatamente per valutarne poi l’effetto complessivo.
Consideriamo separatamente l’effetto reddito (ER). L’introduzione di un’imposta proporzionale sul
salario riduce il reddito disponibile del soggetto e ciò determina, quindi, uno spostamento del
vincolo di bilancio parallelo verso il basso da Y a Y’. Ne deriva, quindi, che la pendenza del vincolo
di bilancio dopo l’imposta (Y’’), rappresentato graficamente dalla curva tratteggiata, è la stessa del
vincolo di bilancio prima dell’imposta (Y). La curva di indifferenza U2 è tangente al vincolo di
bilancio dopo l’imposta (Y’’) in corrispondenza del punto C ( L ' ,C ' ): graficamente, è visibile un
¿
aumento delle ore lavorate da L a L' . L’effetto reddito identifica graficamente allo spostamento dal
punto A al punto C.
Consideriamo, invece, separatamente l’effetto sostituzione (ES). L’introduzione di un’imposta
proporzionale sul salario riduce il prezzo del tempo libero, rendendo così questa attività alternativa
più desiderabile. Dal momento che il prezzo del tempo libero si riduce, allora l’individuo preferirà
sostituire l’attività più costosa, cioè il lavoro, con quella più conveniente, cioè il tempo libero. In
questo caso, quindi, il vincolo di bilancio ruota verso l’esterno utilizzando l’origine degli assi come
perno. La pendenza del vincolo di bilancio dopo l’imposta (Y’) non ha la stessa pendenza del
vincolo di bilancio originario (Y), poiché a seguito di una diminuzione del prezzo dell’attività
alternativa si verifica una rotazione del vincolo di bilancio e non uno spostamento parallelo. Le ore
lavorate, quindi, diminuiscono da L' a L' '. L’effetto sostituzione identifica graficamente lo
spostamento dal punto C al punto B.
¿
L’aumento delle ore lavorate da L a L' è attribuibile all’effetto reddito, la diminuzione da L' a L' ' è,
invece, attribuibile all’effetto sostituzione. Per capire l’effetto dell’introduzione dell’imposta sulle ore
lavorate (L), bisogna valutare l’effetto netto, cioè quale dei due effetti prevale. In questo caso,
l’effetto sostituzione (ES) prevale sull’effetto reddito (ER), poiché ES>ER. Ne deriva, quindi, che
l’effetto netto corrisponde graficamente al segmento L' ' L¿. In seguito all’introduzione dell’imposta,
¿
si ha quindi una diminuzione delle ore lavorate da L a L' '. In sintesi, attraverso la scomposizione
in effetto reddito (ER) e in effetto sostituzione (ES), possiamo vedere l’effetto sulle ore di lavoro
derivante dall’introduzione di un’imposta.
Nel grafico riportato nella trattazione, l’effetto sostituzione (ES) prevale sull’effetto reddito (ER), per
cui l’effetto netto (EN) derivante dall’introduzione dell’imposta sarà una diminuzione delle ore di
lavoro.
In generale, quando l’effetto sostituzione è maggiore dell’effetto reddito (ES>ER), le ore lavorate
diminuiscono. Consideriamo la curva di offerta di lavoro piegata all’indietro ( S L) caratterizzata,
quindi, da un tratto con inclinazione positiva e da un tratto, invece, con inclinazione negativa. Dal
momento che l’effetto totale (EN) sulle ore di lavoro in seguito all’introduzione dell’imposta è una
diminuzione delle ore lavorate, è come se ci si trovassimo nel tratto della curva dell’offerta di lavoro
inclinata positivamente (ad un aumento del salario, prima dell’introduzione dell’imposta,
97
corrisponde un aumento delle ore di lavoro). In corrispondenza del tratto crescente della curva di
offerta di lavoro piegata all’indietro ( S L), l’introduzione di un’imposta proporzionale sul salario
determina:
- Aumento del costo del lavoro, per cui le imprese domanderanno meno lavoro.
- Riduzione del salario netto percepito dai lavoratori
- Diminuzione dell’occupazione.
Al contrario, nel caso in cui ER>ES, allora l’incremento delle ore lavorate attribuibile all’effetto
reddito (ER) prevale sulla diminuzione delle ore lavorate dovuta all’effetto sostituzione (ES). In
questo caso, quindi ci troviamo nel tratto decrescente della curva di offerta di lavoro ( S L), cioè dove
la curva di offerta di lavoro è inclinata negativamente. L’introduzione di un’imposta proporzionale
sul salario determina:
- Aumento del costo del lavoro per le imprese, le quali domanderanno meno lavoro.
- Riduzione del salario netto percepito dai lavoratori (w N ).
- Aumento dell’occupazione, dal momento che l’introduzione di un’imposta proporzionale sul
salario spinge i lavoratori a lavorare di più per ottenere lo stesso reddito da lavoro che
ottenevano prima dell’introduzione dell’imposta.
98
Aliquota media e aliquota marginale
Fino a questo punto del ragionamento abbiamo considerato un’imposta proporzionale, per cui il
contribuente paga sempre la medesima percentuale di imposta, ovvero l’aliquota media, in
corrispondenza di diversi livelli di reddito. Inoltre, per ogni incremento di reddito, l’individuo paga
una percentuale di imposta, ovvero l’aliquota marginale (t ’), che risulta sempre uguale all’aliquota
media (t ), cioè t ’=t . Nel caso di un’imposta proporzionale, la variazione può avvenire
agendo sull’aliquota, che è insieme media e marginale. Con questa tipologia, di imposta cioè
l’effetto reddito (ER) e l’effetto sostituzione (ES). Un’imposta proporzionale quando, all’aumentare
della base imponibile, l’imposta aumenta della stessa proporzione. In particolare, un’imposta è
proporzionale se l’aliquota marginale (t ’) è uguale all’aliquota media (t ) e se al crescere della base
imponibile (B=Reddito) l’aliquota media (t ) rimane costante.
Al contrario, introducendo un’imposta progressiva, le modifiche alla funzione di imposta possono
produrre effetti differenti: una parte derivante dall’aliquota media (t ) e una parte derivante
dall’aliquota marginale (t ’). Un’imposta è progressiva quando, all’aumentare della base imponibile,
il debito d’imposta (T) aumenta più che proporzionalmente all’aumentare della base imponibile. In
particolare, un’imposta è progressiva se l’aliquota marginale (t ’) è maggiore dell’aliquota media (t ),
oppure se al crescere della base imponibile l’aliquota media ( t ) cresce. Dal momento che l’imposta
è progressiva, il contribuente paga, all’aumentare del reddito, una percentuale di imposta, ovvero
l’aliquota media (t ) sempre più elevata. Per ogni incremento di reddito (cioè quando ragioniamo in
termini marginali), il contribuente paga un’aliquota marginale ( t ’) sempre maggiore dell’aliquota
media (t ) e che aumenta all’aumentare del reddito, cioè della base imponibile. In questo caso, è
99
possibile scomporre l’effetto derivante dall’introduzione dell’imposta in due effetti derivanti
dall’aliquota media e dall’aliquota marginale, ovvero:
- Aliquota media (t w ) dalla quale dipende l’effetto reddito derivante dall’introduzione
dell’imposta. La parte di effetto che deriva dall’aliquota media è attribuibile all’effetto
reddito.
'
- Aliquota marginale (t w ) dalla quale dipende l’effetto sostituzione derivante
dall’introduzione dell’imposta. La parte di effetto che deriva dall’aliquota marginale è
attribuibile all’effetto sostituzione.
tl
Bmg =w ¿)
Il beneficio marginale del tempo libero corrisponde al prezzo del tempo libero espresso in
termini di consumo. Il prezzo del tempo libero in termini di consumo è la quantità di reddito (e,
quindi, di consumo) a cui l’individuo deve rinunciare per godere di un’unità in più di tempo libero. In
'
altre parole, il Bmgtl è il salario netto che l’individuo può ottenere al netto dell’aliquota marginale (t w
). Il prezzo del tempo libero espresso in termini di consumo è uguale al salario al netto dell’aliquota
marginale.
'
1. Un aumento dell’aliquota marginale (t w ), fa ridurre il prezzo del tempo libero (in termini di
costi-opportunità, l’ora di tempo libero è più desiderabile rispetto all’ora lavorativa). Ne deriva,
quindi, che il soggetto acquista più tempo libero e lavora di meno. Proprio per questo motivo, si
'
è scelto di far dipendere dall’aliquota marginale (t w) l’effetto sostituzione, secondo cui il
lavoratore sceglie di lavorare di meno a favore di maggiore tempo libero. In sintesi, l’effetto
sostituzione dipende solo dall’aliquota marginale.
2. L’effetto reddito è, invece, associato a variazioni del salario netto, che dipendono dall’aliquota
media (t w ). A seguito dell’introduzione dell’imposta e, quindi, della riduzione dei redditi
disponibili per i soggetti, i soggetti lavoreranno di più per ottenere lo stesso reddito da lavoro
che ottenevano prima dell’introduzione dell’imposta. In sintesi, l’effetto reddito dipende
dall’aliquota media.
100
Effetto sostituzione: dipende dall’aliquota marginale.
Come avviene nel caso del mercato dei prodotti, l’eccesso di pressione, che è il risultato
dell’introduzione di un’imposta, dipende dall’effetto sostituzione. Di conseguenza, è
possibile affermare che l’eccesso di pressione (EP), che dipende dall’effetto sostituzione
(ES), è interamente determinato dall’aliquota marginale.
L’imposta sul reddito non si esaurisce completamente soltanto con il prelievo sul salario. In realtà,
bisogna tenere in considerazione anche i contributi sociali, intesi come il finanziamento del
sistema previdenziale e di assicurazione sociale, in larga misura a carico dei datori di lavoro e in
quota minore a carico dei lavoratori. Ciò ci permette di definire il cuneo fiscale.
Il cuneo fiscale (Tw = tax wedge) è pari alla differenza tra il costo del lavoro per le imprese (w) e
la remunerazione netta percepita dai lavoratori (w N ), in percentuale del costo del lavoro per le
imprese (w). All’interno del cuneo fiscale rientra:
- Imposta sul reddito;
- Contributi sociali a carico del datore di lavoro;
- Contributi sociali a carico dei lavoratori;
- Eventuali imposte sui ruoli di paga.
Utilizzando le aliquote dei contributi sociali e dell’imposta sul reddito espresse in termini del costo
del lavoro:
t cs
t cs (i)=
1+t cs
tw
t w (cs)=
1+t cs
101
Il cuneo fiscale può essere così riscritto come somma delle due componenti, imposta e contributi:
' dTw
T w=
dw
Il cuneo fiscale può essere anche inteso come aliquota marginale del prelievo complessivo sul
lavoro, dalla quale, dipendono gli effetti distorsivi.
Data una certa distribuzione di reddito lungo la vita di un soggetto, l’individuo sceglie come
distribuire nel tempo i propri consumi.
In ogni determinato periodo di tempo considerato, l’individuo può:
102
Consideriamo la figura 9.1 (a), che riporta il vincolo intertemporale di bilancio.
- I pedici 0 e 1 delle variabili considerate rappresentano rispettivamente il periodo presente
(periodo corrente → oggi) e un periodo generico futuro (periodo prossimo → domani).
- Semplifichiamo la trattazione ipotizzando che l’individuo non riceva nulla in eredità dalle
generazioni precedenti e che non lasci nulla in eredità alle generazioni future. Questa
assunzione ci permette di affermare che tutto ciò che l’individuo consumerà nel corso della
propria vita deriva esclusivamente dal proprio reddito e che tutto ciò che l’individuo percepisce
in termini di reddito durante la vita verrà consumato.
- L’asse orizzontale (C 0) misura il consumo al tempo 0, mentre l’asse verticale (C 1) misura il
consumo al tempo 1.
- Y 0 e Y 1 sono i redditi da lavoro dell’individuo nei due periodi, ipotizzando che derivino
esclusivamente dal lavoro.
- Il vincolo intertemporale di bilancio (y) rappresenta tutte le possibili combinazioni di
consumo presente (C 0) e futuro (C 1) data una certa dotazione di reddito W e di tasso di
interesse r. La pendenza del vincolo intertemporale di bilancio (y) è pari a −( 1+ r). I punti W,
maggiore quantità nel periodo 1 (C 1 è infatti maggiore rispetto a Y 1). Il soggetto ha, quindi,
a
risparmiato nel periodo 0 per avere un consumo maggiore nel periodo successivo. La parte di
a
reddito risparmiata coincide graficamente con la distanza (Y 0−C 0 ) e gli permette di consumare
a
la quantità C 1 al tempo 1, invece della quantità Y 1.
b
- Il punto C b, al quale corrisponde il livello il consumo C 0 al tempo 0 (che leggiamo sull’asse
b
orizzontale) e il livello di consumo C 1 al tempo 1 (che leggiamo, invece, sull’asse verticale),
b
rappresenta il caso in cui il soggetto consuma nel 1° periodo una quantità di reddito C 0
maggiore del suo reddito disponibile Y 0 , prendendo a prestito risorse dal periodo successivo.
b
Ne deriva, quindi, che nel 2° periodo il soggetto consumerà una quantità minore di reddito C 1 di
quella che avrebbe, invece, consumato se avesse utilizzato tutto il reddito disponibile (Y 1).
103
b
Graficamente, la distanza (C 0−Y 0 ) rappresenta la quantità di reddito ulteriore consumata dal
soggetto al tempo 0, dal momento che ha preso a prestito delle risorse nel periodo successivo.
a
- Nel punto C a l’individuo risparmia, nel periodo corrente, la quantità Y 0−C0 , per poi consumare
una quantità maggiore del proprio reddito nel periodo successivo. In questo caso, ipotizziamo
che l’individuo non lasci parte del proprio reddito in eredità alle generazioni future. Per
a
determinare il consumo del soggetto a nel periodo successivo ( C 1), avendo risparmiato una
a
parte di reddito nel periodo corrente (Y 0−C 0 ), bisogna utilizzare la seguente formulazione:
Dove:
Y 1=¿ Reddito da lavoro guadagnato nel periodo successivo, cioè il reddito dal lavoro
di domani;
a
(C 1−Y 1 ¿=¿ Reddito consumato nel periodo successivo;
a a
(Y 0−C0 ¿=¿Reddito risparmiato oggi per essere consumato domani → (Y 0−C 0 );
a
r(Y 0−C 0 ¿=¿Reddito da capitale derivante dalla corresponsione degli interessi
maturati sul risparmio nel tempo (in questo caso, il soggetto ha dato a prestito la
quota di reddito risparmiata).
104
b
- Nel punto C b l’individuo prendere a prestito, nel periodo corrente, la quantità C 0−Y 0 , per
poi consumare una quantità minore del proprio reddito nel periodo successivo. Per
b
determinare il consumo del soggetto b nel periodo successivo (C 1), bisogna utilizzare la
seguente formulazione:
Dove:
Y 1=¿ Reddito da lavoro che il soggetto otterrà nel periodo successivo;
b
(Y 1−C 1 ¿=¿ Reddito che il soggetto sottrae dal consumo nel periodo successivo,
per poter prendere a prestito oggi;
b
(C 0−Y 0 ¿=¿Reddito preso a prestito nel periodo corrente;
b
r(C 0−Y 0 ¿=¿ Reddito da capitale derivante dal pagamento degli interessi maturati
sul prestito (in questo caso, il soggetto deve corrispondere degli interessi al datore
di fondi per il reddito prestato).
1. CONSUMO DOMANI:
2. VINCOLO INTERTEMPORALE:
C 1=M 1−(1+r ) C0
FV Y =M 1=(1+r )Y 0 +Y 1
105
4. VALORE ATTUALE (Present Value) (REDDITO VITA): corrisponde al reddito da lavoro
dell’individuo dell’intera vita dell’individuo misurato al tempo 0 (nel presente), ovvero il reddito
al tempo 0 (Y 0) sommato al reddito al tempo 1(Y 1) attualizzato al l tasso di interesse r (cioè
riportato al tempo 0). Graficamente, il valore attuale in termini di reddito vita corrisponde
all’intercetta orizzontale del vincolo di bilancio intertemporale con l’asse orizzontale in cui il
consumo C 1 è nullo, cioè M 0.
Y1
PV Y =M 0=Y 0 +( )
1+r
5. VALORE ATTUALE (CONSUMO VITA): in analogia con la definizione del valore attuale del
reddito vita, questa proprietà corrisponde al consumo al tempo 0 ( C 0) sommato al consumo al
tempo 1 (C 1) attualizzato al tasso di interesse r (cioè riportato al tempo 0).
C1
PV C =C 0 +( )
1+r
Tralasciando i calcoli matematici per ottenere la formulazione, è possibile affermare che il valore
attuale in termini di consumo vita ( PV C ) coincide con il valore attuale (cioè il valore
presente) in termini di reddito vita ( PV Y ). Questo significa che lungo il corso della vita, viene
consumato esattamente il proprio reddito (dato che vale l’ipotesi di non ereditare reddito dalle
generazioni passate e di non lasciare eredità alle generazioni future).
Y1
PV C =Y 0 +( )=PV Y
1+r
FV C =(1+ r) Y 0 +Y 1=FV Y
106
Al contrario, tutti i punti posti sul vincolo di bilancio intertemporale a destra di W rappresentano dei
piani di consumo con risparmio negativo nel periodo corrente (in questo caso, quindi, il soggetto
consuma una parte maggiore di reddito nel 1° periodo) e un consumo minore nel periodo futuro.
La dotazione dei redditi da lavoro e il tasso di interesse (r) di mercato sono considerati
esogeni, cioè non dipendono dalle scelte dell’individuo.
Quando il tasso di interesse cambia (aumenta o diminuisce), il vincolo intertemporale di bilancio (y)
ruota intorno alla dotazione dei redditi da lavoro W. Ne deriva, quindi, che il valore attuale del
reddito da lavoro dell’intera vita si riduce o aumenta. La variazione del tasso di interesse (r) che
determina una variazione del valore attuale del reddito da lavoro ( PV Y ) è nota come EFFETTO
CAPITALE UMANO o EFFETTO RICCHEZZA. In particolare, distinguiamo due casi:
2. Diminuzione del tasso di interesse da r a r’ . Una diminuzione del tasso di interesse da r a r’’
determina, invece, una rotazione del vincolo intertemporale di bilancio intorno alla dotazione
dei redditi da lavoro (W) verso sinistra da y a y’’. Ne deriva, quindi, che il valore attuale del
reddito da lavoro dell’intera vita ( PV Y ) aumenta da M 0 a M ' ' 0. La pendenza del vincolo
intertemporale di bilancio prima della riduzione del tasso di interesse (y) è pari a −( 1+ r) .
L’intercetta orizzontale del nuovo vincolo intertemporale di bilancio (y’’), a seguito di una
riduzione del tasso di interesse da r a r’’, è M ' ' 0. La pendenza del nuovo vincolo
intertemporale di bilancio (y’’), a seguito di una riduzione del tasso di interesse da r a r’’, è pari
a −( 1+ r ' ' ) .
In seguito ad una variazione della dotazione dei redditi da lavoro (W), mantenendo costante il
tasso di interesse (r), il vincolo intertemporale di bilancio originario (y) si sposta parallelamente
verso l’esterno oppure verso l’interno. In particolare, un aumento della dotazione dei redditi da
lavoro da W a W’ determina uno spostamento parallelo verso l’esterno del vincolo intertemporale
di bilancio da y a y’’’. Al contrario, una diminuzione della dotazione dei redditi da lavoro da W a W’’
108
determina uno spostamento parallelo verso l’interno del vincolo intertemporale di bilancio da y a
y’’’’. La figura 9.2 riporta gli spostamenti paralleli del vincolo intertemporale di bilancio in seguito ad
una variazione della dotazione dei redditi da lavoro (W).
Scelta intertemporale
Ipotizziamo che il soggetto conosca il proprio vincolo intertemporale di bilancio e, quindi, anche il
proprio reddito corrente (Y 0 ) e futuro (Y 1). Il soggetto sceglie, quindi, il proprio piano di consumo
massimizzando una funzione di utilità, i cui argomenti sono: il consumo presente ( C 0) e il consumo
futuro (C 1).
Nella figura 9.3 le preferenze intertemporali sono rappresentate graficamente da una mappa di