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MICROECONOMIA 2021/2022

La microeconomia è lo studio delle modalità con cui singoli agenti economici, quali consumatori,
lavoratori, imprese o manager, allocano risorse scarse tra usi alternativi.
Tale studio riguarda sia il comportamento di tali agenti che il modo in cui essi interagiscono dando
vita a sistemi più complessi come i mercati.
La microeconomia è una teoria delle scelte, sia quelle individuali sia quelle effettuate dalla società.
I modelli economici sono come mappe: semplificano l’elaborazione e la comprensione di concetti
complessi.
Un modello economico deve:
 fornire una chiara rappresentazione della realtà
 evidenziare le forze fondamentali alla base di un fenomeno.
Una variabile è esogena se il suo valore è dato in un certo modello, ossia se il suo valore è
determinato da processi esterni al modello.
Una variabile endogena è una variabile il cui valore è determinato internamente al modello.
La funzione obiettivo è la funzione che il soggetto decisore deve ottimizzare, cioè
massimizzare o minimizzare.
I vincoli rappresentano le restrizioni o i limiti imposti ai decisori.
Il comportamento può essere modellizzato come l’ottimizzazione di una funzione obiettivo sotto
uno o più vincoli.
L’ impatto marginale del cambiamento di una variabile esogena è l’impatto incrementale
dell’ultima unità della variabile esogena sulla variabile endogena.
L’equilibrio di un sistema è uno stato o una condizione che permane indefinitamente finché un
fattore esogeno al sistema rimane costante, ovvero fintanto che un agente esterno non sposta il
sistema dall’equilibrio.
L’equilibrio di un mercato competitivo è il punto nel quale la domanda eguaglia l’offerta (cioè il
punto nel quale le curve di domanda e offerta si intersecano).
La statica comparata esamina come un cambiamento in una variabile esogena influisce sul livello
di una variabile endogena. Essa consente di effettuare un’analisi del prima e del dopo comparando
due istantanee di un modello economico.
Il comportamento di un’economia aggrega il comportamento degli individui che la compongono.
Le decisioni individuali vengono regolate da quattro principi fondamentali. Altri tre principi
riguardano invece le interazioni tra individui.
1. Primo principio: Gli individui devono scegliere fra alternative (trade-off)
“Non esistono pasti gratis”, cioè per ottenere qualcosa che ci piace dobbiamo rinunciare a
qualcos’altro.
2. Secondo principio: Il costo di qualcosa è ciò a cui si deve rinunciare per ottenerla
Nel prendere una qualunque decisione si deve sempre considerare il costo-opportunità. Si
tratta di ciò a cui si deve rinunciare quando si prende una decisione e per calcolarlo occorre
considerare le alternative a disposizione.
3. Terzo principio: Gli individui razionali pensano al margine
Chi decide razionalmente intraprende un’azione solamente se il
beneficio marginale che ne trae è superiore al costo marginale.
Di solito la scelta non è fra tutto o niente ma su variazioni incrementali.
4. Quarto principio: Gli individui rispondono agli incentivi
Dato che gli individui prendono decisioni sulla base di costi e
benefici il loro comportamento cambia se questi si modificano.
5. Quinto principio: Lo scambio può essere vantaggioso per tutti. Gli individui (e gli Stati)
traggono beneficio dalla capacità di intrattenere rapporti di scambio.
Lo scambio permette la specializzazione individuale in ciò che si sa fare meglio e quindi
aumenta l’efficienza.
6. Sesto principio: I mercati sono di solito uno strumento efficace per organizzare l’attività
economica
Imprese e individui interagiscono nei mercati fondando le proprie decisioni sui prezzi e
sull’interesse personale. Si comportano come se fossero guidati da una “mano invisibile”
che li conduce verso il miglior risultato possibile, cioè il massimo benessere della società
nel suo complesso.
7. Settimo principio: A volte l’intervento dello Stato può migliorare il risultato del mercato
A cosa serve lo Stato se c’è la mano invisibile?
Lo Stato deve proteggerla: i mercati funzionano solo se i diritti di proprietà sono tutelati.
Inoltre, lo Stato può essere utile in presenza di fallimento del mercato (esternalità, potere
di mercato) o per promuovere obiettivi legati all’equità.

IL VINCOLO DI BILANCIO
L’insieme di bilancio è l’insieme delle combinazioni di consumo disponibili per un consumatore.
Linea di bilancio: insieme di panieri che un consumatore può acquistare spendendo tutto il suo
reddito disponibile.
Supponiamo che esistano n beni tra cui il consumatore può scegliere.
Indichiamo con il vettore (x1, x2,..., xn) il paniere di consumo contenente x1 unità del bene 1, x2
unità del bene 2 e così via fino a xn unità del bene n.
I prezzi dei beni sono noti e dati da p1,p2,..., pn.

Quando un consumatore può permettersi un paniere (x1, ... , xn) ai prezzi p1, ... , pn?
Quando la q.tà di moneta spesa per l’acquisto degli n beni non supera quella a sua disposizione,
ossia:
p1x1 + p2x2 + ... + pnxn ≤ m
dove m è il reddito (disponibile) del consumatore.
I panieri che si possono giust’appena acquistare formano il vincolo di bilancio. Si tratta dell’insieme
{(x1,...,xn)|x1≥0,...,xn ≥0e p1x1 +...+pnxn =m}.

L’insieme di bilancio del consumatore è invece l’insieme di tutti i panieri acquistabili;


B(p1, ... , pn, m) = {(x1,...,xn)|x1 ≥0,...,xn ≥0 e p1x1 +...+pnxn ≤m}
Il vincolo di bilancio è il bordo superiore dell’insieme di bilancio.

Insieme e vincolo di bilancio per due beni:


Il vincolo è una retta: p1x1 + p2x2 = m
e rappresenta l’insieme dei panieri il cui costo è esattamente uguale a m.
Queste sono le combinazioni dei due beni per il cui acquisto il consumatore spende tutto il suo
reddito.
Come facciamo a tracciare la retta di bilancio: p1x1 + p2x2 = m?
Chiediamoci: quante unità del bene 2 il consumatore può acquistare se spende tutto m per
l’acquisto del bene 2? m/p2.
Come facciamo a tracciare la retta di bilancio: p1x1 + p2x2 = m?
Ora chiediamoci: quante unità del bene 1 il consumatore può acquistare se spende tutto m per il
bene 1? m/p1.
Per tracciare la retta di bilancio rappresentiamo i punti m/p2 e m/p1 sugli assi cartesiani e li
congiungiamo con una retta.
Tutti i panieri sopra la retta vincolo non sono acquistabili.
L’insieme di bilancio include anche la retta vincolo.
La pendenza della retta è il rapporto dei prezzi negativo. Se cambia il prezzo cambia anche la
pendenza.
Intercetta = m/p2
x2 = m/p2 – (p1/p2) x1: esprime il numero di unità del bene 2 che il consumatore deve acquistare
per essere sulla retta di bilancio, se acquista x1 unità del bene 1
La pendenza della retta di bilancio rappresenta il costo opportunità del consumo del bene 1.
Il costo dell’aumento del consumo del bene 1 è rappresentato dalla rinuncia all’opportunità di
consumare il bene 2.
Il costo opportunità di una unità addizionale del bene 1 è p1/p2 unità in meno del bene 2.
E il costo opportunità di un’unità addizionale del bene 2 è p2/p1 unità in meno del bene 1.
Quando m aumenta (reddito) l’insieme di bilancio aumenta, il nuovo vincolo è parallelo a quello
iniziale (stessa pendenza). Se invece m cala, cala anche l’insieme di bilancio.
Quando il reddito aumenta, nessuna scelta originale è persa e si aggiungono nuove scelte, quindi
un reddito più alto non può peggiorare la situazione di un consumatore.
Un calo del reddito potrebbe (e in genere è così) peggiorare la situazione di un consumatore.
Ridurre il prezzo di un bene fa ruotare verso l’alto il vincolo di bilancio.
Nessuna possibilità vecchia è persa e nuove scelte si aggiungono, quindi ridurre un prezzo non può
peggiorare la situazione di un consumatore.
Allo stesso modo, l’aumento di un prezzo ruota il vincolo verso l’interno, riduce la scelta e può
peggiorare la situazione di un consumatore (di solito la peggiora).

Tassa ad valorem
La politica economica usa spesso strumenti, come le tasse, che modificano il vincolo del
consumatore.
La tassa sul valore grava sul valore (cioè sul prezzo) di un bene ed è di solito espressa in termini
percentuali.
Una tassa ad valorem sulle vendite con aliquota t aumenta tutti i prezzi da p a (1+t) p.
Una tassa sul valore del 5% aumenta il prezzo del 5%, da p a (p + 0,5p) = (1+0,05)p = 1,05p.
Se la tassa si applica su tutti i beni il vincolo cambia da
p1x1 + p2x2 = m a (1+t)p1x1 + (1+t)p2x2 = m cioè p1x1 + p2x2 = m/(1+t).
La tassa ad valorem ha avuto un effetto equivalente alla diminuzione di reddito da m a m/(1+t). È
come se fosse stata applicata una tassa sul reddito con aliquota 1-1/(1+t) cioè t/(1+t)

Food Stamp Program


Food stamps: sono coupons per i meno abbienti che possono essere utilizzati per l’acquisto di
alimenti.
Qual è l’effetto di questi buoni alimentari sul vincolo di bilancio?
Supponiamo che
m = $100,
il prezzo dei generi alimentari (C per cibo) è pC = $1 e il prezzo di “altri beni” è pY = $1.
Il vincolo di bilancio, quindi, è: C + Y =100.
Supponiamo ora che una famiglia riceva un sussidio in buoni alimentari di $40 al mese.
Cosa significa questo? che può spendere in generi alimentari $40 in più al mese,
indipendentemente da quanto spende per gli “altri beni”.
La retta di bilancio si sposterà a destra di un tratto equivalente a $40.
La pendenza non cambia: spendere $1 in più di 40 in generi alimentari implica avere $1 in meno
per gli altri beni.
E se i buoni alimentari potessero essere venduti sul mercato nero a $0.50 ciascuno?
Se la famiglia vende tutti i buoni ha un reddito superiore a quello iniziale di $20.
Quindi l’intercetta verticale aumenta di 20.
La pendenza della retta di bilancio sarà: pC/pY = –0.5/1 = –1⁄2 finché la famiglia avrà speso $40 in
generi alimentari; dopo di che la retta tornerà ad avere inclinazione –1.
La retta di bilancio ha un “angolo”.

Prezzi relativi
Un bene numerario funge da unità di conto. Cambiando il numerario non cambia né il vincolo di
bilancio né l’insieme di bilancio.
Il vincolo per p1=2,p2=3,m=12 2x1+3x2 =12
è equivalente a: x1+ (3/2)x2=6
cioè al vincolo per p1 = 1, p2 = 3/2, m = 6.
Impostando p1=1, il bene1 diventa il numerario e definisce tutti i prezzi relativamente a p1

Forma del vincolo


Se i prezzi sono costanti il vincolo è una retta; se i prezzi non fossero costanti, il vincolo diventa
una curva.
Quando un prezzo è negativo (ovvero si viene pagati, generalmente per sopportare qualcosa) la
pendenza del vincolo è positiva. L’insieme di bilancio aumenta con le unità di x1 che si accettano.

PREFERENZE
Un agente, di fronte ad un insieme di alternative possibili, sceglie sempre quella che preferisce.
Preferenze del consumatore: dati due panieri qualsiasi, forniscono delle indicazioni sulla
desiderabilità dell’uno rispetto all’altro, ipotizzando che i panieri siano acquistabili a costo zero.
Ordinamento delle preferenze
Supponiamo che confrontando due diversi panieri di consumo, x = (x1, x2) e y = (y1, y2), il
consumatore possa sempre ordinarli secondo la loro desiderabilità.
Il consumatore può, cioè, stabilire che uno dei panieri è migliore dell’altro o che è indifferente fra i
due.
Dati due panieri, si parla di:
– Preferenza stretta: se un paniere è inequivocabilmente preferito all’altro.
– Indifferenza: se si è ugualmente soddisfatti dai due panieri.
– Preferenza debole: se un paniere non è preferito all’altro (c’è indifferenza oppure si preferisce
uno all’altro).
> denota preferenza stretta;
x > y significa che il paniere x è strettamente preferito al paniere y.
~ denota indifferenza; x ~ y significa che x e y sono preferiti in ugual misura.
≥ denota preferenza debole; x ≥ y significa che x è preferito almeno tanto quanto y
N.B. Non sono segni di maggiore o minore. Sono simili, ma curvi.
Le relazioni di preferenza stretta, indifferenza e preferenza debole sono connesse fra di loro.
Se, per es.: x ≥ y e y ≥ x, concludiamo che x ~ y. x≥ y e non y ~ x, si conclude che x>y.
Assunzioni sulle preferenze
Normalmente si fanno delle assunzioni sulle relazioni di preferenza.
Alcune di queste sono fondamentali e vengono definiti “assiomi della teoria del consumatore”.
Vediamone tre:
 Completezza: Per ogni due panieri x e y, è sempre possibile sostenere che
x≥y oppure y≥x oppure entrambi, nel qual caso il consumatore è indifferente fra x e y.
 Riflessività: Ogni paniere è desiderabile almeno tanto quanto sé stesso, cioè x≥ x.
 Transitività: Se x è desiderabile almeno tanto quanto y, e y è desiderabile almeno tanto
quanto z, allora x è desiderabile almeno tanto quanto z x≥ y e y≥ z x≥z.

Curve di indifferenza
Curva di indifferenza è una curva che unisce un insieme di panieri di consumo che danno al
consumatore lo stesso livello di soddisfazione.
L’intera teoria della scelta del consumatore può essere formulata in termini di preferenze che
soddisfino i 3 assiomi visti.
È utile rappresentare graficamente le preferenze per mezzo delle “curve di indifferenza”.
Si prenda un paniere di riferimento x’. L’insieme di tutti i panieri che per il consumatore sono
indifferenti rispetto a x’ formano la curva di indifferenza che contiene x’; cioè l’insieme di tutti i
panieri y ~ x’.
Poiché una “curva” di indifferenza non è sempre una curva un nome più adatto può essere quello
di insieme di indifferenza.
N.B. Le curve di indifferenza non si possono intersecare.

Pendenza
Quando una maggior quantità di una cosa è sempre apprezzata, quella cosa è detta bene.
Se ogni elemento del paniere è un bene le curve di indifferenza hanno pendenza negativa.
Quando una minor quantità di una cosa è sempre preferita, quella cosa è detta male.
Un bene ed un male= curva di indifferenza con inclinazione positiva.

Casi estremi: sostituti perfetti


Due beni sono perfetti sostituti se il consumatore è disposto a sostituire un bene con l’altro ad un
saggio costante.
x1 + x2 = costante
Le curve di indifferenza per beni sostituti perfetti sono rette parallele. Hanno inclinazione –1 solo
se i beni sono perfettamente equivalenti.

Casi estremi: perfetti complementi


Due beni sono perfetti complementi se vengono consumati congiuntamente in proporzione fissa
Le curve di indifferenza avranno quindi forma a L, il cui vertice si trova nel punto in cui il numero di
scarpe destre è uguale al numero di scarpe sinistre.

Sazietà: un paniere strettamente preferito a qualsiasi altro è un punto di sazietà o punto di bliss.

Beni discreti
Un bene è infinitamente divisibile se può essere acquistato in qualunque quantità. Un bene è
discreto se si può prendere in unità 1, 2, 3, ... e così via.
Supponiamo che il bene 2 sia infinitamente divisibile (formaggio) mentre il bene 1 sia discreto
(giornali). Come si disegnano le curve di indifferenza? Le curve di indifferenza sono insiemi di
singoli punti.
Preferenze regolari
Si hanno preferenze regolari o “well- behaved” se queste sono monotone e convesse
 Monotonicità: Maggiori quantità di un bene sono sempre preferite (non c’è sazietà e ogni
bene è un bene) → “più è meglio”.
 Convessità: La media è preferita (almeno debolmente) agli estremi.
L’ipotesi che la media è preferita agli estremi viene mantenuta per qualsiasi peso t compreso fra 0
e 1, non solo 1⁄2.
Se x ~ y, allora tx+(1–t)y≥x per ogni 0 ≤ t ≤ 1.
Le preferenze sono strettamente convesse quando ogni mix z è strettamente preferito ai panieri
componenti x e y.
Le preferenze sono debolmente convesse se il mix z è almeno preferito tanto quanto i due panieri
estremi.

Saggio marginale di sostituzione


L’inclinazione di una curva di indifferenza è il suo saggio marginale di sostituzione (SMS oppure
MRS dall’inglese Marginal Rate of Substitution).
Il saggio marginale di sostituzione è il tasso al quale il consumatore è disposto a rinunciare a un
bene per avere di più dell’altro bene, mantenendo l’utilità costante.
Come possiamo calcolare il MRS?
MRS in x’ è la pendenza della curva di indifferenza in x’.
Come calcoliamo la pendenza in x’?
Supponiamo di sottrarre al consumatore una piccola quantità del bene 1, Δx1, cedendogli Δx2 per
farlo rimanere sulla stessa curva di indifferenza. Δx2 /Δx1 è il saggio al quale il consumatore è
disposto a sostituire il bene 2 col bene 1.
Quindi, in x’, MRS è il tasso al quale il consumatore accetta di scambiare il bene 1 in cambio di una
“piccola” quantità in più del bene 2.
Con due beni la curva di indifferenza ha inclinazione negativa: MRS<0
Con un bene ed un male la curva di indifferenza ha inclinazione positiva: MRS>0
MRS aumenta sempre con x1 (diventa meno negativo) se e solo se le preferenze sono
strettamente convesse.
MRS diminuisce (diventa più negativo) all’aumentare di x1 con preferenze non convesse.
MRS non aumenta monotonicamente con x1: le preferenze non sono convesse.

UTILITA’
Funzioni di utilità e curve di indifferenza
La funzione di utilità è una funzione che misura il livello di soddisfazione che un consumatore trae
da qualsiasi paniere di beni e servizi.
Relazioni di preferenza che soddisfino gli assiomi di completezza, riflessività e transitività e che
siano continue possono essere rappresentate da una funzione di utilità continua.
Continuità significa che piccoli cambiamenti nel paniere causano solo piccoli cambiamenti nel
livello di preferenza.
Una funzione di utilità U(x) rappresenta una relazione di preferenza se e solo se:
x’> x” U(x’)>U(x”)
x’< x” U(x’)<U(x”)
x’∼ x” U(x’)=U(x”)
L’utilità ha un significato esclusivamente ordinale.
Una curva di indifferenza contiene panieri ugualmente preferiti. Uguali preferenze ⇒ stesso livello
di utilità. Quindi tutti i panieri che si trovano su una curva di indifferenza danno lo stesso livello di
utilità.
Poiché è rilevante solo l’ordinamento dei panieri, possono esserci diversi modi di assegnare loro
valori di utilità. Se U(x1,x2) rappresenta un modo di assegnare valori di utilità ai panieri (x1,x2) →
moltiplicare U(x1,x2) per 2 è un modo altrettanto accettabile.
La moltiplicazione per 2 è un esempio di trasformazione monotona: cioè di un modo per
trasformare un insieme di numeri in un altro mantenendone invariato
l’ordine. Formalmente: f(U) è una trasformazione monotona di U se per ogni
U1 >U2→f(U1)> f(U2).
Se U è una funzione di utilità che rappresenta una relazione di preferenza e f è una funzione
sempre crescente, allora V = f(U) è una funzione di utilità che rappresenta le stesse preferenze; V è
una trasformazione monotona di U.
Ordinamento ordinale: ordinamento che indica se un consumatore preferisce un paniere a un
altro, ma non fornisce informazioni di tipo quantitativo sull’intensità delle preferenze.
Ordinamento cardinale: misura quantitativa dell’intensità della preferenza di un paniere rispetto
ad un altro.

Particolari funzioni di utilità: Perfetti sostituti


Nel caso di perfetti sostituti con tasso di sostituzione unitario il consumatore è interessato solo alla
quantità totale dei due beni
E’ quindi naturale misurare l’utilità per mezzo della quantità totale dei beni: U(x1,x2) = x1 + x2.

Particolari funzioni di utilità: Perfetti complementi


Due beni possono essere perfetti complementi in rapporto diverso da 1:1.
Per es., il consumatore può desiderare 2 cucchiaini di zucchero per tazza di tè.
Se sono disponibili x1 tazze di tè e x2 cucchiaini di zucchero, il numero di tazze adeguatamente
zuccherate sarà: min{x1,1⁄2x2}.
Infatti, se le tazze di tè sono 5 e la metà dei cucchiaini di zucchero disponibili è 4 (meno delle tazze
di tè) si potranno bere solo 4 tazze di tè.
Il consumo di tè del consumatore (e quindi la sua utilità) dipende dal min fra tè e metà dello
zucchero disponibile.

Qualsiasi funzione di utilità del tipo:

con a>0 e b>0 è detta funzione di utilità Cobb-Douglas.

Utilità marginale e saggio marginale di sostituzione


L’utilità marginale è il saggio a cui l’utilità totale varia a seguito di un incremento nel livello del
consumo.
L’utilità marginale di un bene misura il saggio di variazione dell’utilità associato ad una variazione
molto piccola della quantità consumata di quel bene: MUi = ∂ U/∂ xi
Il MRS è il saggio al quale un consumatore è disposto a sostituire il bene 2 col bene 1 per rimanere
sulla stessa curva di indifferenza. Grazie alla funzione di utilità possiamo calcolarlo facilmente.
L’equazione generale di una curva di indifferenza è
U(x1,x2) = k, con k costante. Prendiamo in considerazione una variazione nel consumo di ciascun
bene. La variazione di utilità lungo una curva di indifferenza deve essere zero: dU = 0.
Quindi il differenziale totale di U(x1,x2):

dx2/dx1=−(∂U/∂x1)/ (∂ U/∂ x2) è il MRS


Ha segno negativo poiché se si ottiene una quantità maggiore del bene 1, si dovrà avere una
quantità minore del bene 2 per mantenere lo stesso livello di utilità.
Una funzione di utilità quasi lineare è del tipo U(x1,x2)=f(x1)+x2

SCELTA
Scelta ottima
Il principale postulato riguardante il comportamento di un agente economico è che egli sceglie
l’alternativa preferita fra tutte quelle disponibili.
Tutte le scelte disponibili costituiscono l’insieme di scelta.
Come viene scelto il paniere ottimale?
Il consumatore dovrebbe scegliere il paniere che si trova sulla curva di indifferenza più alta se non
avesse vincoli di reddito.
Quindi, dati i prezzi dei due beni (p1 e p2) e il suo reddito (m), cosa sceglierà il consumatore?
Per derivare il comportamento del consumatore occorre combinare l’insieme di bilancio con le
curve di indifferenza.

Scelta razionale vincolata


La scelta ottima, dati i prezzi e il reddito, è detta PANIERE DOMANDATO dal consumatore.
La FUNZIONE DI DOMANDA mette in relazione la scelta ottima con i diversi valori dei prezzi e dei
redditi e si rappresenta con: x1*(p1,p2,m) and x2*(p1,p2,m).
N.B. x1*= x1 ottimo, ovvero che finisce il budget disponibile.
Quando x1* > 0 e x2* > 0 (entrambi i beni vengono consumati), il paniere domandato è detto
interno.
Poiché la scelta ottima (cioè la quantità domandata) giace sul vincolo di bilancio, l’acquisto di
(x1*,x2*) esaurisce il budget: p1x1* + p2x2* = m.
Caratteristica essenziale di un ottimo interno:
in corrispondenza del paniere di consumo ottimale (x1*, x2*) le pendenze del vincolo di bilancio e
della curva di indifferenza sono uguali.
Quindi, (x1*,x2*) soddisfa 2 condizioni:
a) la pendenza del vincolo di bilancio, −p1/p2, e la pendenza della curva di indifferenza che
contiene (x *,x *) sono uguali nel punto (x1*,x2*);
b) il budget è esaurito: p1x1* + p2x2* = m

Determinazione dell’ottimo: il caso della Cobb-Douglas


Sappiamo che:

Funzione di domanda di x1*=

Per trovare la funzione di domanda di x2*, sostituiamo x1* nel vincolo di bilancio e otteniamo:

Quindi abbiamo trovato che le scelte ottime di un consumatore con preferenze Cobb-Douglas
sono:

In generale, quando x1* > 0 e x2* > 0, (x1*,x2*) esaurisce il budget, e le curve di indifferenza non
hanno angoli, le funzioni di domanda si ottengono risolvendo il seguente sistema di 2 equazioni:
(a) −p1/p2 = − UM1/UM2 (condizione di tangenza)
(b) p1x1* + p2x2* = m (vincolo di bilancio).
Ma se x1*=0? o se x2*=0?
Se x1* = 0 oppure x2* = 0, la scelta ottima (x1*,x2*) è una soluzione d’angolo o ottimo di frontiera.

Esempio di soluzione d’angolo: perfetti sostituti


Inclinazione = −p1/p2 con p1 >p2 p1/p2 >1 e MRS=-1
Il paniere ottimo corrisponde al punto in cui il consumatore spende tutto il suo reddito per
l’acquisto del bene 2.
Inclinazione = −p1/p2 con p1 <p2 p1/p2 <1 e MRS=-1
Il consumatore acquista solo il bene 1.
Quando U(x1,x2) = x1 + x2, il paniere acquistabile preferito è (x1*,x2*) dove
(x1*,x2*)= (m/p1, 0) se p1<p2
Oppure (x1*,x2*)= (0, m/p2,) se p1>p2
Tutti i panieri sul vincolo sono ugualmente preferiti e consentiti dal vincolo quando p1=p2.

Perfetti Complementi:
Il punto di ottimo nei perfetti complementi corrisponde al punto di vertice.
Determinazione algebrica della scelta ottima.
Sappiamo che il consumatore acquista sempre i due beni in un rapporto a:1 (ossia x2* = a x1*)
quali che siano i prezzi.
Sappiamo anche che il consumatore esaurisce il budget: p1x1* + p2x2* = m.
Il punto di ottimo allora equivale a: x1*=m/(p1+ap2); x2*=am/(p1+ap2).

Nella realtà possiamo osservare direttamente le scelte in corrispondenza di vari livelli di reddito e
di prezzo, ma non le preferenze.
Dalle scelte possiamo comunque stimare la funzione di utilità.
Questa può essere poi impiegata per valutare l’effetto di politiche economiche alternative.

DOMANDA
Proprietà delle funzioni di domanda
Esamineremo come varia la domanda di un bene al variare dei prezzi p1, p2 e del reddito m.
Faremo cioè un’analisi di statica comparata, mettendo a confronto la situazione precedente la
variazione con quella successiva.

Cambiamento di prezzo
Come cambia la domanda del bene 1 x1*(p1,p2,m) al variare di p1, tenendo p2 e m costanti?
Supponiamo che p1 aumenti, da p1’ a p1’’ e poi a p1’’’.
Fissiamo p2 e m. p1x1+p2x2= m. x2=m/p2-(p1/p2)x1.
Un aumento di p1 farà variare la pendenza e ruotare la retta di bilancio.
Ora ... per ogni valore di p1 indichiamo il livello ottimo di consumo (ossia la quantità domandata)
del bene 1.
In tal modo possiamo rappresentare la domanda del bene 1 come funzione di p1 se p2 e m sono
mantenuti costanti.
Congiungendo i punti di ottimo ottenuti al variare di p1 si ottiene la curva prezzo-consumo.
La curva che contiene tutti i panieri che max l’utilità al variare di p1, con p2 e m costanti, è la curva
prezzo-consumo. La curva di domanda ad essa associata descrive la scelta ottima del bene 1 in
funzione del suo prezzo.
Com’è la curva prezzo-consumo nel caso di preferenze Cobb-Douglas? Sia:

Le funzioni di domanda ordinarie per il bene 1 e 2 saranno:

Notare che x2* non varia con p1 quindi la curva prezzo-consumo è piatta (e la curva di domanda
per il bene 1 è una iperbole equilatera).
Com’è la curva prezzo-consumo nel caso di perfetti complementi 1:1?
U(x1,x2)= minx1,x2.
Le funzioni di domanda per i beni 1 e 2, già trovate sono:
x1*(p1,p2,m)=x2*(p1,p2,m)= m/(p1,p2).
Con p2 e m costanti, un più alto p1 causa più piccoli x1* e x2* che sono domandati nella stessa
quantità.
Se p1 tende a infinito e x1*=x2* tende a 0
Se p1 tende a 0 (è gratis), x1*=x2*=m/p2 (la quantità dei 2 beni che si può consumare dipende
solo dal prezzo del bene 2).
La curva prezzo-consumo è una diagonale, dato che il consumatore domanda la stessa quantità dei
due beni.

Com’è la curva prezzo-consumo nel caso di perfetti sostituti con MRS=1?


U(x1,x2)=x1+x2. Le curve di domanda ordinaria per i beni 1 e 2 sono:

Domanda Inversa
Di solito ci chiediamo “Dato il prezzo del bene 1 quant’è la quantità domandata?”
Ma ci si potrebbe porre la domanda inversa “A quale prezzo del bene 1 verrebbe richiesta una
data quantità del bene 1?
Derivare la funzione di domanda inversa di un bene significa considerare le quantità domandate
come date e chiedersi quale deve essere il prezzo del bene perché il consumatore scelga quella
quantità.
La funzione di domanda inversa rappresenta la stessa relazione della funzione di domanda diretta,
ma da un altro punto di vista.
Consideriamo, ad esempio, la domanda Cobb-Douglas del bene 1:
x1*= (a/a+b)(m/p1) è la funzione di domanda diretta.
p1=(a/a+b)(m/x1*) è la funzione di domanda inversa.

Scelta ottima: MRS = P1/P2. Quindi P1= MRS P2.


Supponiamo che il bene 2 sia la moneta a disposizione per l’acquisto degli altri beni (prezzo della
moneta = 1).
P1= MRS
Quindi il MRS è la quantità di moneta che l’individuo è disposto a cedere per ottenere una
quantità superiore di bene 1. In altre parole, rappresenta la disponibilità marginale a pagare.
Poiché P1 equivale al MRS, tale prezzo misura la disponibilità marginale a pagare.
In corrispondenza di ogni quantità x1, la funzione di domanda inversa ci dice a quanto il
consumatore è disposto a rinunciare degli altri beni per acquistare una quantità addizionale del
bene 1. Quando x1 è basso il consumatore è più disponibile a pagare.
La disponibilità marginale a pagare diminuisce all’aumentare del consumo di un bene.

Variazioni di reddito
Come cambia il valore di x1*(p1, p2, m) al variare di m, tenendo sia p1 che p2 costanti?
Fissiamo p1 e p2 e facciamo variare m.
Supponiamo che all’inizio m=m’’’. Poi si riduce a m’’<m’’’. Poi si riduce a m’<m’’<m’’’.
Unendo i panieri domandati ottenuti in seguito allo spostamento della retta di bilancio otteniamo
la curva reddito-consumo.
Se teniamo fissi i prezzi dei beni e osserviamo le variazioni della domanda al variare del reddito,
otteniamo la cosiddetta curva di Engel.
Quindi, la curva di Engel rappresenta la domanda di un bene in funzione del reddito.

Preferenze Cobb-Douglas:
Le funzioni di domanda sono: x1*= (a/a+b)(m/p1) e x2*= (a/a+b)(m/p2).
La curva di Engel è (curva di domanda con la m portata a sinistra):
m= [(a+b)p1]/a * x1 Curva di Engel bene 1
m= [(a+b)p2]/b * x2 Curva di Engel bene 2

Perfetti complementi:
U (x1,x2)= min x1,x2. Funzioni di domanda: x1*=x2*=m/(p1+p2).
Portando m a sinistra si ha:
m=(p1+p2)x1* Curva di Engel bene 1.
m=(p1+p2)x2* Curva di Engel bene 2.
Le curve di Engel sono rette con pendenza (p1+p2).

Perfetti sostituti:
Supponiamo che m=p1x1* e x2*=0
La curva di Engel per il bene 1 è una retta con pendenza p1.
La curva di Engel per il bene 2 è una retta che si muove sull’asse delle y (dove si trova m).

Preferenze omotetiche
Le preferenze sono omotetiche se e solo se:
(x1,x2)<(y1,y2) (kx1, kx2)<(ky1,ky2) per ogni costante k>0
Nel caso di preferenza omotetiche, se il reddito varia di un fattore k il paniere domandato varia
nella stessa misura. Quindi, le curve di Engel sono rette: se m raddoppia, anche la domanda di ogni
bene raddoppia.

Le preferenze quasi lineari NON sono omotetiche: U(x1, x2)=f(x1)+x2


Ogni curva di indifferenza è la trasposizione verticale di un’altra.
Se la curva di indifferenza è tangente alla retta di bilancio in (x1’, x2’), quando m aumenta, un’altra
curva di indifferenza deve essere tangente a (x1’, x2’ + k), per ogni costante k.
L’aumento del reddito non fa variare la domanda del bene 1 e il reddito addizionale viene speso
per consumare il bene 2.
La curva di Engel per il bene 1 è una retta verticale: la domanda del bene non cambia al variare del
reddito.

Beni normali e beni inferiori


Un bene la cui quantità domandata aumenta con il reddito è detto normale.
Quindi un bene normale ha una curva di Engel con inclinazione positiva.
Un bene del quale la quantità domandata diminuisce all’aumentare del reddito è detto bene
inferiore. Quindi un bene inferiore ha una curva di Engel con inclinazione negativa.
Beni ordinari e beni di Giffen
Un bene è ordinario se la quantità domandata di quel bene aumenta sempre al diminuire del suo
prezzo.
Se, per qualche valore del prezzo di un bene, la quantità domandata di quel bene aumenta
all’aumentare del prezzo, quel bene è detto bene di Giffen

Variazione del prezzo di un altro bene


Se un aumento di p2
– aumenta la domanda per il bene 1, il bene 1 è un sostituto del bene 2.
– riduce la domanda per il bene 1, il bene 1 è un complemento del bene 2.

PREFERENZE RIVELATE
Analisi delle preferenze rivelate
Supponiamo di osservare le scelte di consumo che fa un consumatore per diversi vincoli di
bilancio. Questo ci rivela informazioni sulle preferenze del consumatore. Possiamo usare queste
informazioni per testare l’ipotesi che il consumatore sceglie il paniere preferito fra quelli
disponibili e scoprire la struttura delle preferenze del consumatore.
Le preferenze non cambiano mentre si raccolgono i dati sulle scelte, sono strettamente convesse e
sono monotone. Insieme, convessità e monotonicità, implicano che il paniere è sempre uno solo
dato dal reddito.

Rivelazione diretta
Supponiamo che il paniere x* sia scelto quando anche il paniere y è consentito dal vincolo. Allora
x* si rivela direttamente come preferito a y (altrimenti si sarebbe scelto y).

Rivelazione indiretta
Supponiamo che x si riveli direttamente preferito a y, e y si riveli direttamente preferito a z. Allora,
per la proprietà della transitività, x è rivelato indirettamente preferito a z.

L’assioma debole (WARP)


Per applicare l’analisi delle preferenze rivelate, le scelte devono soddisfare due criteri: l’Assioma
Debole e l’Assioma Forte delle Preferenze Rivelate.
Se il paniere x si rivela direttamente preferito a y allora non può essere che il paniere y si riveli
direttamente preferito a x.
Scelte che violano la WARP sono inconsistenti con la razionalità economica.
La WARP è una condizione necessaria per applicare la razionalità economica per spiegare le scelte
osservate.

L’Assioma Forte (SARP)


Se il paniere x si rivela (direttamente o indirettamente) preferito al paniere y e x ≠ y, allora y non
può rivelarsi (direttamente o indirettamente) preferito a x.

EQUAZIONE DI SLUTSKY
Effetti di un cambio prezzo
Cosa succede ad un bene quando il suo prezzo varia?
Si hanno due effetti: il saggio al quale si può scambiare un bene con un altro varia e il potere
d’acquisto del reddito viene modificato.
Se il prezzo del bene 1 diminuisce, il bene 1 diventa relativamente meno costoso occorre
rinunciare a una quantità minore del bene 2 per acquistare il bene 1.
Il primo effetto – la variazione della domanda dovuta alla variazione del saggio di scambio tra i due
beni – viene definito effetto sostituzione.
Il secondo effetto – la variazione della domanda dovuta alla variazione del potere d’acquisto –
viene definito effetto reddito.
Slutsky dimostrò come la variazione complessiva della domanda in seguito a cambiamenti del
prezzo equivale alla somma dell’effetto di sostituzione e dell’effetto di reddito.
Slutsky isolò la variazione della domanda dovuta solamente al cambiamento nel prezzo relativo
chiedendosi:
“Qual è la variazione della domanda quando il reddito del consumatore viene cambiato in maniera
tale che, ai nuovi prezzi, si possa comprare proprio il paniere iniziale?”

Effetti di Slutsky per beni normali


La maggior parte dei beni sono normali (cioè la domanda aumenta con il reddito).
Gli effetti reddito e sostituzione si rafforzano a vicenda quando il prezzo di un bene normale varia.
Poiché sia l’effetto sostituzione che quello reddito aumentano la domanda di un bene quando il
suo prezzo cala, la curva di domanda di un bene normale è inclinata verso il basso.
La Legge della Curva di domanda inclinata verso il basso quindi si applica sempre ai beni normali.

Effetti di Slutsky per beni inferiori


Alcuni beni sono inferiori (cioè la domanda cala se il reddito cresce).
Gli effetti sostituzione e reddito vanno in direzione opposta quando il prezzo di un bene inferiore
varia.

Effetti di Slutsky per Beni di Giffen


In casi rari, per alcuni beni fortemente inferiori, l’effetto reddito potrebbe essere più forte
dell’effetto sostituzione, causando un aumento della quantità domandata all’aumentare del
prezzo. Questi beni sono detti beni di Giffen.
La scomposizione di Slutsky dell’effetto di un cambiamento del prezzo in puro effetto di
sostituzione e in effetto reddito spiega quindi perché la legge della domanda è violata nel caso di
beni estremamente inferiori.

Effetto sostituzione di Hicks


Qui il paniere intermedio si trova mantenendo invariato il livello di utilità iniziale.
Quindi il vincolo di bilancio finale verrà fatto traslare nel piano fino ad essere tangente alla curva di
indifferenza iniziale.

DOTAZIONE INIZIALE DI BENI


Comprare e vendere
Abbandoniamo l’ipotesi che il reddito sia dato. Il reddito è ottenuto vendendo ciò che si possiede
(beni o lavoro) Cosa sarà acquistato? Cosa sarà venduto? In che modo il reddito dipende dal
prezzo dei beni? Come possiamo mettere in relazione tutto ciò per spiegare l’effetto di un
cambiamento dei prezzi sulla domanda?

Dotazioni
L’insieme delle risorse di cui è dotato un consumatore all’inizio (cioè prima di presentarsi sul
mercato) è detto dotazione. Chiameremo questa dotazione iniziale omega: ω.
Quindi dati p1 e p2, il vincolo di bilancio per un consumatore con una dotazione è (ω1, ω2).
p1x1+p2x2=p1 ω1+p2 ω2. L’insieme di bilancio è:
(x1, x2)p1x1+p2x2 ≤ p1 ω1+p2 ω2, x1≥0, x2≥0.
p1(x1 −ω1)+p2(x2 −ω2) =0 questa è la domanda netta complessiva, che è la differenza fra ciò
che il consumatore effettivamente consuma e la sua dotazione iniziale, è pari a zero.

Equazione di Slutsky
variazioni della domanda causate da un cambiamento di prezzo sono la somma di un effetto
sostituzione puro, e un effetto di reddito.
Questo assumeva che il reddito y non cambiasse con i prezzi. Ma y = p1ω1 + p2ω2 cambia con il
prezzo. Come questo modifica l’equazione di Slutsky?
Un cambio in p1 o p2 cambia y=p1ω1+p2ω2 quindi ci sarà un effetto reddito in più detto effetto di
reddito di dotazione.
La scomposizione di Slutsky avrà quindi tre componenti un effetto sostituzione puro, un effetto di
reddito ordinario e un effetto di reddito di dotazione.
Complessivamente, variazioni della domanda causate da una variazione dei prezzi sono la somma
di:
 un puro effetto sostituzione
 un effetto di reddito ordinario
 un effetto di reddito di dotazione

Effetto di sostituzione di Hicks


Se la soluzione intermedia è l’ottimo che, ai nuovi prezzi, garantisce il livello di utilità iniziale
abbiamo l’effetto di sostituzione di Hicks e l’effetto di reddito ordinario di Hicks.
L’effetto di reddito di dotazione resterà ovviamente invariato.

SCELTA INTERTEMPORALE
Valori presenti e futuri
Dato il tasso di interesse r il valore futuro fra un periodo di €1 è: FV=1+r.
Dato un tasso di interesse r il valore futuro fra un periodo di €m è: FV=m(1+r).
Supponiamo che si possa pagare oggi per ottenere €1 all’inizio del prossimo periodo. Quanto si
dovrebbe pagare al max?
Se investissimo €1 oggi all’inizio del prossimo periodo avremmo €(1+r) > €1, quindi pagare €1 oggi
per €1 il prossimo periodo non è un buon affare.
Quanto si deve risparmiare oggi per avere €1 il prossimo periodo?
€m risparmiati oggi diventano €m(1+r) all’inizio del prossimo periodo, quindi si vuole un m tale che
m(1+r) = 1.
Quindi, m = 1/(1+r), il valore attuale di €1 all’inizio del prossimo periodo.
Quindi il valore attuale di €1 disponibile all’inizio del prossimo periodo è: PV= 1/1+r
E il valore attuale di €m disponibile all’inizio del prossimo periodo è: m/1+r

Il problema di scelta intertemporale


Siano m1 e m2 i redditi ricevuti rispettivamente nel periodo 1 e 2. Siano c1 e c2 i consumi
rispettivamente nel periodo 1 e 2. Siano p1 e p2 i prezzi del bene di consumo nel periodo 1 e 2.
Il problema di scelta intertemporale:
Dati i redditi m1 e m2, e dati i prezzi dei beni di consumo p1 e p2, quale è il miglior paniere di
consumo intertemporale (c1, c2)?
Per rispondere dobbiamo conoscere il vincolo di bilancio intertemporale e le preferenze
intertemporali di consumo.

Vincolo di bilancio intertemporale


Per cominciare ignoriamo gli effetti dei prezzi assumendo che: p1 = p2 = €1.
Supponiamo che il consumatore scelga di non risparmiare, ne di prendere a prestito.
Cosa sarà consumato nel periodo 1? c1 = m1.
Cosa sarà consumato nel periodo 2? c2 = m2.
Quindi (c1, c2) = (m1, m2) è il paniere di consumo se il consumatore sceglie di non risparmiare o
prendere a prestito.
Ora supponiamo che il consumatore non spenda nulla in consumo nel periodo 1; cioè che c1 = 0 e
che il consumatore risparmi s1 = m1.
Il tasso di interesse è r.
Quanto consumerà nel periodo 2?
Il reddito del periodo 2 è m2.
Il risparmio più interessi del periodo 1 ammonta a (1 + r )m1.
Quindi il reddito totale disponibile nel periodo 2 è m2 + (1 + r )m1.
Quindi il consumo nel periodo 2 è c2=m2+(1+r)m1
Supponiamo che il consumatore spenda tutto ciò che può per il consumo del periodo 1 (c2 = 0).
Quant’è il max che può prendere a prestito nel periodo 1 dato il suo reddito nel periodo 2 di €m2?
Sia b1 l’ammontare preso a prestito nel periodo 1.
Solo €m2 saranno disponibili nel periodo 2 per restituire €b1 presi a prestito nel periodo 1.
Quindi b1(1 + r ) = m2. Cioè b1 = m2 / (1 + r ).
m2
Quindi il max consumo possibile nel periodo 1 è c1=m1+ .
1+ r
Supponiamo che c1 unità siano consumate nel periodo 1. Questo costa €c1 e fa risparmiare
m1- c1. Il consumo nel periodo 2 sarà: c2=m2+(1+r)(m1-c1).
Che è: c2= -(1+r)c1+m2+(1+r)m1.

(1+r)c1+c2=(1+r)m1+m2 è il vincolo di bilancio in termini di valore futuro dato che tutti i termini
c2 m2
sono portati al periodo 2. Una forma equivalente è c1+ =m1+
1+r 1+ r
che rappresenta il vincolo di bilancio in termini di valore attuale dal momento che tutti i termini
sono in valori attuali. Ora aggiungiamo i prezzi p1 e p2 per il consumo nei periodi 1 e 2.
Come cambia il vincolo di bilancio?

Scelta intertemporale
Data la sua dotazione (m1,m2) e i prezzi p1, p2 quale paniere di consumo intertemporale (c1*,c2*)
sarà scelto dal consumatore?
La max spesa possibile nel periodo 2 è: m2+(1+r)m1, quindi il max consumo possibile nel periodo 2
m2+ ( 1+r ) m1
è: c2= .
p2
m2
Allo stesso modo, la max spesa possibile nel periodo 1 è m1+ , quindi il max consumo
1+ r
m1+m 2/(1+r )
possibile nel periodo 1 è: c1= .
p1
Infine, se c1 unità sono consumate nel periodo 1 il consumatore spende p1c1 in 1, lasciando
m1 - p1c1 come risparmio del periodo 1. Il reddito disponibile nel periodo 2 sarà: m2+(1+r)(m1-
p1c1), quindi p2c2=m2+(1+r)(m1-p1c1).
Che diventa (1+r)p1c1+p2c2=(1+r)m1+m2. Questo è il vincolo di bilancio in termini di valore futuro
dal momento che tutti i termini sono espressi in valori del periodo 2. Si può anche scrivere in
p2 m2
termini di valore attuale: p1c1+ c2=m1+ .
1+ r 1+ r

Inflazione
Sia π il tasso di inflazione, dove p1(1+ π)=p2.
Possiamo semplificare l’analisi assumendo che p1=1 e quindi
p2 = 1+ π.
p2 m2 1+ π m2
Possiamo allora riscrivere il vincolo di bilancio p1c1+ c2=m1+ come c1+ c2=m1+ .
1+r 1+ r 1+r 1+r
1+r 1
Che diventa c2=- c1+ [m1(1+r)+m2], quindi la pendenza del vincolo di bilancio
1+ π 1+ π
1+r
intertemporale è – .
1+ π
Quando non c’è inflazione (p1=p2=1) la pendenza è -(1+r).
Se c’è inflazione, la pendenza del vincolo di bilancio è -(1+r)/(1+ π). Questo può essere scritto
1+r
come: –(1+ ρ)=- . ρ è detto tasso di interesse reale.
1+ π
r−π
Si ottiene: ρ= ..
1+ π
Rappresenta la quantità di consumo addizionale che si può ottenere nel periodo 2 rinunciando ad
una parte del consumo del periodo 1

Statica comparata
1+r
La pendenza del vincolo di bilancio è –(1+ ρ)=- .
1+ π
La retta si appiattisce se il tasso di interesse r cala o se l’inflazione π aumenta
(entrambi diminuiscono il tasso di interesse reale).
Un aumento dell’inflazione o un calo del tasso di interesse rende più piatta la retta del vincolo di
bilancio. Se il consumatore risparmia il risparmio e il benessere si riducono a causa del minor tasso
di interesse o della maggior inflazione.
Un aumento dell’inflazione o un calo del tasso di interesse appiattisce il vincolo di bilancio

Equazione di Slutsky e scelta intertemporale


Come nel caso di una variazione di prezzo, anche in seguito ad una variazione del tasso di interesse
reale vi sarà un effetto di reddito ed un effetto di sostituzione.
Se aumenta il tasso di interesse l’effetto di sostituzione determina un minor consumo nel periodo
corrente. L’effetto di reddito dipende dalla condizione di partenza.
Se l’individuo era un risparmiatore, continuerà a risparmiare (preferenze rivelate) e l’effetto
reddito è positivo. Se prendeva a prestito dovrà pagare più interessi, quindi, dovrà consumare
meno: effetto reddito negativo.

INCERTEZZA
Cos’è incerto nei sistemi economici?
I prezzi di domani; la ricchezza futura; la disponibilità futura di beni; le azioni presenti e future
delle altre persone.
Quali sono le risposte razionali all’incertezza?
assicurarsi (salute, vita, auto); fare un piano di consumo condizionato, cioè stabilire cosa sarà
consumato in ogni diverso stato di natura
Possibili stati di Natura: “incidente automobilistico” (a); “nessun incidente” (na).
L’incidente avviene con probabilità πa La probabilità che non avvenga è πna.
πa + πna = 1. L’incidente causa una perdita di €L

Consumo condizionato
Un contratto attivo solo quando accade un particolare stato di Natura è detto contingente allo
stato. Un piano di consumo condizionato si implementa solo quando accade un particolare stato di
Natura.

Vincolo di bilancio condizionato


Ogni €1 di assicurazione per gli incidenti costa γ.
I consumatori hanno €m di ricchezza. Cna è il consumo in caso di nessun incidente.
Ca è il consumo nel caso di incidente. Senza assicurazione: Ca = m – L; Cna = m; L=danno.
Comprando €K di assicurazione: Cna = m – γK; Ca =m-L-γK+K=m-L+(1-γ)K
K=(Ca-m+L)/(1-γ) Cna= (m- γL/1- γ) – (γ/1- γ)Ca

Preferenze con incertezza


Le preferenze per i consumi in stati di natura diversi dipenderanno in generale dalla probabilità
che questi si verifichino. U=u(c1, c2, π1, π2)
La funzione di utilità attesa è una somma ponderata dell’utilità del consumo nei due stati dove i
pesi sono le probabilità. Piani di consumo condizionati che danno la stessa utilità attesa lasciano il
consumatore indifferente.
Qual è il SMS di una curva di indifferenza?
Sia c1 il consumo con prob. π1 e c2 con prob. π2 (π1 +π2 =1).
EU = π1U(c1) + π2U(c2). Nel caso di EU costante, dEU = 0.
dEU =π1MU(c1)dc1 +π2MU(c2)dc2
dEU=0⇒π1MU(c1)dc1+π2MU(c2)dc2 =0
⇒π1MU(c1)dc1 = −π2MU(c2)dc2
⇒(dc2/dc1)= - [π1MU(c1)/ π2MU(c2]

Scelta con incertezza


Qual è la scelta razionale in caso di incertezza?
Scegliere il miglior piano di consumo condizionato che ci si può permettere.

Assicurazione equa
Assumiamo che l’entrata nel mercato delle assicurazioni sia senza costi.
Profitti attesi = 0.
γK - πaK - (1 - πa)0 = (γ - πa)K = 0.
Cioè libero ingresso ⇒ γ = πa.
Se il prezzo di $1 di assicurazione = probabilità di incidente, l’assicurazione è equa.
Se l’assicurazione è equa, le scelte razionali di assicurazione soddisfano:
(γ/1- γ)= (πa/1-πa)= [πaMU(ca)]/[ πanMU(cna)]
Cioè: MU(ca)=MU(cna). L’utilità marginale del consumo deve essere la stessa in entrambi gli stati.
Avversione al rischio ⇒ MU(c) ↓ as c ↑. Quindi Ca=Cna. Si ha assicurazione totale
Equazione non equa
Si assuma che gli assicuratori conseguano un profitto atteso.
Cioè γK-πaK-(1-πa)0=(γ-πa)K>0.
Quindi: (γ/1- γ)> (πa/1-πa), MU(Ca)>MU(Cna); quindi Ca<Cna.
Cioè una persona avversa al rischio non si assicura pienamente se l’assicurazione non è equa.

SURPLUS DEL CONSUMATORE


Il surplus del consumatore è usato per misurare variazioni dell’utilità dovute a variazioni nei prezzi.
Altri modi per misurare tali variazioni:
– Variazione equivalente
– Variazione compensativa
Solo in un caso particolare queste tre misure coincidono.

Prezzi di riserva
Prendiamo in considerazione un bene discreto; ossia un bene che può essere acquistato solo in
unità intere.
Esiste un prezzo massimo r1 al quale il consumatore è disposto a comprare la prima unità del
bene. A tale prezzo l'individuo è indifferente tra comprare e non comprare.
Il prezzo massimo r1 viene definito prezzo di riserva per la prima unità del bene.
Una volta che il consumatore ha 1 unità del bene, ci sarà un prezzo massimo r2 al quale egli è
disposto a comprare la seconda unità del bene. r2 è il suo prezzo di riserva per la seconda unità del
bene.
Una volta che il consumatore ha n–1 unità del bene, ci sarà un prezzo massimo rn al quale egli è
disposto a comprare la n-ma unità del bene. rn è il suo prezzo di riserva per la n-ma unità del
bene.
In ciascun caso, il prezzo di riserva misura, in termini monetari, l’incremento dell’utilità necessario
ad indurre il consumatore a scegliere un’unità addizionale del bene.
Possiamo quindi dire che i prezzi di riserva sono il corrispettivo monetario dell’utilità marginale
associata ad ogni unità addizionale del bene.
r1 =corrispettivo monetario dell’utilità marginale della prima unità del bene.
r2 =corrispettivo monetario dell’utilità marginale della seconda unità del bene
rn =corrispettivo monetario dell’utilità marginale della n-ma unità del bene.

Guadagni di utilità monetari


Supponiamo che il prezzo del bene discreto sia p.
In questo caso, il consumatore assegna valore r1 al consumo della prima unità del bene, ma per
acquistarla deve pagare p.
Gli resta così un guadagno di utilità pari a r1 − p.
Il valore assegnato alla seconda unità è r2, ma di nuovo deve pagare p cosicché il guadagno di
utilità è r2 – p.
Sommando il guadagno di utilità derivante dalle n unità scelte, l’incremento totale di utilità è:
r1 –p+r2 –p+...rn –p= r1+...+rn –np

Surplus del consumatore


L’area compresa fra la funzione di domanda e il prezzo (che corrisponde all’area del guadagno
netto di utilità sotto la curva dei prezzi di riserva) si chiama surplus del consumatore
− una misura del beneficio netto derivante dal consumo.
La superficie al di sotto della funzione di domanda è un’approssimazione dell’utilità perché, in
generale, il prezzo al quale si è disposti ad acquistare un bene (domanda inversa) dipende anche
dal reddito.
Ma se la funzione di utilità è quasi-lineare non si verifica alcun “effetto di reddito”: una variazione
del reddito non modifica la domanda (curva di Engel verticale).
In questo caso, i prezzi rappresentati dalla funzione di domanda inversa corrispondono ai “prezzi
di riserva” e quindi alle utilità marginali in termini monetari.
Il surplus del consumatore è pertanto una misura monetaria esatta dell’utilità soltanto nel caso di
una funzione di utilità quasi-lineare.
Funzione di utilità quasi-lineare: U(x1, x2)=v(x1)+x2
Assumiamo p2=1. Quindi il problema del consumatore è di massimizzare.
Con vincolo p1x1+x2=m. Cioè sostituendo per x2: max v(x1)+m-p1x1.
La condizione del primo ordine è: v’(x1) – p1=0
Quindi: p1=v’(x1).
Questa è l’equazione della funzione di domanda per il bene 1: p1 non dipende da m ed è pari alla
UM derivante dal consumo di x1.

Variazioni del surplus


In genere siamo più interessati alle variazioni del surplus del consumatore che al suo valore
assoluto.
Variazione compensativa e variazione equivalente
Altre due misure monetarie del cambiamento totale di utilità causato da
una variazione del prezzo, sono:
– la variazione compensativa
– la variazione equivalente.

Variazione compensativa
p1 aumenta.
Di quanto reddito addizionale c’è bisogno, ai nuovi prezzi, per ripristinare il livello di utilità iniziale
del consumatore (cioè per tornare sulla CdI iniziale)?
La quantità di moneta che si dovrebbe dare ad un consumatore per compensarlo dell’aumento del
prezzo si chiama variazione compensativa.

Variazione equivalente
p1 aumenta.
Di quanto reddito in meno c’è bisogno, ai prezzi originari, per ottenere lo stesso livello di utilità
finale?
La quantità di moneta che un consumatore pagherebbe per evitare l’aumento del prezzo si chiama
variazione equivalente.

Surplus del consumatore, variazione compensativa ed equivalente


Quando le preferenze del consumatore sono quasi-lineari le tre misure sono uguali.
Es. consideriamo la variazione nel surplus del consumatore quando p1 aumenta da p1’ a p1”.
Se U(x1, x2)=v(x1)+x2 si ha: SC(p1)=v(x1)-v(0)-p1x1.
Quindi la variazione del SC quando p1 aumenta da p1’ a p1’’ è:
v(x1')−v(0)−p1'x1' −[v(x1'')−v(0)−p1''x1'']= v(x1')−v(x1'')−(p1'x1' −p1''x1'')
Adesso si consideri la variazione compensativa quando p1 ↑ da p1’ a p1” e quindi la quantità
domandata ↓ da x1’ a x1”.
• L’utilità totale, dato p1, è v ( x1*(p1))+m – p1x1*(p1)
La VC è l’extra reddito che, ai nuovi prezzi, mantiene invariata l’utilità che il consumatore otteneva
con i vecchi prezzi. Cioè, la quantità di moneta addizionale tale che l’utilità dopo la variazione resti
identica a quella iniziale: v(x1'')+m+VC−p1''x1'' =v(x1')+m−p1'x1'
Risolvendo per VC otteniamo: VC=v(x1')−v(x1'')−(p1'x1' −p1''x1'')= SC

Si consideri infine la variazione equivalente quando p1 ↑ da p1’ a p1” e quindi la quantità


domandata ↓ da x1’ a x1”.
• L’utilità totale, dato p1, è: v(x1*(p1)) +m – p1x1*(p1).
La VE è la quantità di moneta che un consumatore pagherebbe per evitare l’aumento del prezzo.
Cioè, la somma che deve essere sottratta al consumatore, in corrispondenza del vecchio prezzo,
affinché la sua utilità sia uguale a quella in corrispondenza del nuovo prezzo:
v(x1')+m−VE−p1'x1' =v(x1'')+m−p1''x1'' risolvendo per VE otteniamo:
VE=v(x1')−v(x1'')−(p1'x1' −p1''x1'')= VC= ∆SC
Quindi se il consumatore ha utilità quasi- lineare: VC = VE = ∆SC.
Altrimenti, in genere: VE < ∆SC < VC.

Surplus del produttore


La curva di offerta rappresenta la quantità che viene offerta in corrispondenza di ciascun prezzo.
Come l’area al di sotto della curva di domanda misura il surplus di coloro che domandano un bene,
l’area al di sopra della curva di offerta misura il surplus di coloro che offrono un bene.
Consideriamo la funzione di offerta inversa di un bene discreto.
Il produttore è disposto a vendere la prima unità del bene al prezzo ps(1), ma ne ricava in effetti il
prezzo p*.
Egualmente, egli è disposto a vendere la seconda unità al prezzo ps(2), ma ne ricava ancora p*.
Possiamo continuare fino all’ultima unità, che sarà disposto a vendere esattamente al prezzo
ps(x*) = p.
La differenza fra la somma minima alla quale il produttore sarebbe disposto a vendere x* e quella
che effettivamente ottiene è il surplus netto del produttore.

ASTE
Tipi di aste:
 Asta all’inglese: le offerte sono pubbliche, il prezzo aumenta fino a che non ci sono ulteriori
offerte più alte, il miglior offerente vince e si aggiudica il bene, il vincitore paga ciò che ha
offerto.
 Asta a offerta segreta o in busta chiusa: le offerte sono segrete, vengono fatte tutte allo
stesso tempo, l’offerta più alta vince, il vincitore paga ciò che ha offerto.
 Asta filatelica o asta di Vickrey: le offerte sono segrete, vengono fatte tutte allo stesso
tempo, l’offerta più alta vince, il vincitore paga il prezzo corrispondente all’offerta
immediatamente più bassa alla sua.
 Asta all’olandese: il banditore parte da un prezzo alto e lo diminuisce gradatamente fino a
che qualcuno non sia disposto ad acquistare il bene, il primo partecipante che accetta vince
e paga il prezzo raggiunto.
 Aste a valore privato: ogni potenziale compratore sa con certezza qual è la sua propria
valutazione del bene in vendita, tutte le valutazioni sono indipendenti dalle altre.
 Aste a valore comune: il bene in vendita ha lo stesso valore per ogni potenziale acquirente,
potenziali acquirenti differiscono nelle stime che fanno di questo valore comune

Efficienza
Efficienza paretiana: L’oggetto deve essere venduto al compratore che attribuisce al bene il valore
più elevato.
L’asta all’inglese è efficiente, infatti se un compratore con valutazione bassa stesse per comprare il
bene, il compratore con più alta valutazione potrebbe farsi avanti e offrire di più.
L’asta all’olandese potrebbe non essere efficiente. Nessun compratore conosce il valore che gli
altri attribuiscono a quel bene e quindi il compratore con la valutazione più alta potrebbe
aspettare troppo e perdere l’offerta a favore di un altro.
L’asta a offerta segreta potrebbe non essere efficiente. Nessun compratore conosce il valore che
gli altri attribuiscono a quel bene e quindi il compratore con la valutazione più alta potrebbe offrire
troppo poco e perdere a favore di un altro.
L’asta di Vickrey è Pareto efficiente anche se nessun compratore conosce le valutazioni degli altri.

Asta di Vickrey
Nessun offerente conosce che valore gli altri attribuiscono al bene.
Cionondimeno, è razionale per ogni offerente fare un’offerta pari all’effettivo valore
attribuito al bene. Perchè?
Es. due offerenti con valutazioni v1 e v2. Le offerte sono b1 e b2.
Il payoff atteso del primo partecipante è (v1 − b2) Pr(win) + 0 × Pr(lose) =(v −b )Pr(b ≥b ).
Guadagno atteso del primo partecipante (v −b )Pr(b ≥b ).
Come è massimizzato?
Se v1 > b2, vorrà max la probabilità di vincere fissare b1 = v1.
Se v1 < b2, vorrà minimizzare la probabilità di vincere fissare b1 = v1.
In ciascun caso “dire la verità” è la strategia migliore!
Dal momento che “dire la verità” è la miglior strategia per ogni partecipante, l’offerente con la
valutazione più alta vincerà.
Quindi questo tipo di asta è Pareto- efficiente.
Inoltre consente di ottenere lo stesso risultato di un’asta all’inglese senza le iterazioni.

Prezzo di riserva
L’offerta sotto la quale il venditore non è disposto a scendere
Il prezzo di riserva può consentire di raggiungere l’obiettivo di max del profitto
Tuttavia il risultato potrebbe non essere efficiente

Aste a valore comune


L’oggetto ha lo stesso valore per ogni potenziale acquirente.
Gli acquirenti potenziali differiscono per le loro stime di questo valore.
La stima del partecipante i è: vi =v+εi
Dove v è il valore comune e εi è l’errore di stima del partecipante i.
Se ogni partecipante è “sincero”, il vincitore è quello con l’errore più grande
Quindi un vincitore “sincero” in media paga più del vero valore: la maledizione del vincitore.
Quindi la strategia ottima consiste nell’offrire una somma inferiore al proprio valore stimato.
Una stima è non distorta quando il suo valore medio coincide con il vero valore della variabile
stimata. Anche se la stima è non distorta, il vincitore è sempre colui che la stima più alta
Più alto è il numero dei concorrenti, più è probabile che il vincitore abbia fatto un’offerta troppo
alta.

DOMANDA DI MERCATO
Si pensi ad un’economia che contiene n consumatori, indicizzati con i = 1, ... ,n.
La funzione di domanda del bene j da parte del consumatore i è: xj* i (p1, p2, mi)
Se i consumatori considerano i prezzi come dati, la domanda di mercato del bene j è:
n
xj( p 1, p 2 ,m1 … , mn )=∑ xj ¿ i (p 1 , p 2 , mi).
i=1
Se tutti i consumatori sono uguali: xj (p1, p2, M)=n xj* (p1, p2, m) dove M=n*m.
La curva di domanda di mercato è la “somma orizzontale” delle curve di domanda individuali.

Elasticità
L’elasticità misura la sensibilità o reattività di una variabile rispetto ad un’altra.
%Δ X x1− X
L’elasticità della variabile X rispetto alla variabile Y è ε x , y = dove % Δ X = 0
×100
%ΔY X0
Applicazioni economiche dell’elasticità:
Viene impiegata per misurare la sensibilità della
– quantità domandata del bene i rispetto al suo prezzo (elasticità della domanda al proprio
prezzo),
– domanda del bene i rispetto al prezzo del bene j (elasticità incrociata al prezzo),
– domanda del bene i rispetto al reddito (elasticità della domanda al reddito),
– quantità fornita del bene i rispetto al prezzo del bene i (elasticità dell’offerta al proprio prezzo),
– quantità fornita del bene i rispetto al salario (elasticità dell’offerta rispetto al prezzo del lavoro).

Elasticità rispetto al prezzo


La misura più naturale della reattività di una funzione di domanda è rappresentata dalla sua
inclinazione che è il rapporto fra la variazione della quantità domandata e la variazione del prezzo.
Perché non usare la pendenza della curva di domanda per misurare la sensibilità della quantità
domandata al prezzo?
Perché la sua grandezza dipende dall’unità di misura (arbitraria) della domanda e del prezzo.
ε
¿ è un rapporto fra percentuali e quindi prescinde dall’unità di misura adottata.
¿
%Δ X 1
x∗¿ p =
1 1
%ΔY 1

Elasticità di arco
Una elasticità “media” al proprio prezzo della domanda del bene i su un intervallo di valori di pi è
detta elasticità di arco, di solito calcolata considerando il punto di mezzo.

L’elasticità calcolata per un singolo valore di pi è detta elasticità puntuale.


Elasticità e domanda
Se l’elasticità della domanda di un bene è maggiore di uno in valore assoluto (o minore di –1)
diciamo che la domanda di quel bene è elastica: un aumento del prezzo pari a 1% fa diminuire la
domanda di un valore maggiore di 1%.
Se l’elasticità della domanda di un bene è minore di uno in valore assoluto (o compreso fra –1 e 0)
diciamo che la domanda di quel bene è inelastica: un aumento del prezzo pari a 1% fa diminuire la
domanda di un valore minore di 1%.
Se l’elasticità della domanda di un bene è uguale a –1, si ha una domanda con elasticità unitaria:
un aumento del prezzo pari a 1% fa diminuire la domanda di un valore pari a 1%.
Notate che il segno dell’elasticità della domanda è generalmente negativo (poiché la curva di
domanda ha pendenza negativa).
Si tende comunque ad omettere il segno e a considerare il valore assoluto.
Si considera “più elastica” una domanda con elasticità −3 che una con elasticità −2.

Elasticità e ricavo
Il ricavo corrisponde al prodotto del prezzo di un bene per la quantità venduta: R(p) = p ∙ X*(p).
Se l’aumento del prezzo causa una riduzione sufficientemente piccola della quantità domandata, il
ricavo dei venditori aumenta. Quindi, una domanda inelastica comporta un aumento dei ricavi
all’aumentare dei prezzi.
Se, invece, all’aumentare del prezzo la quantità domandata diminuisce considerevolmente, il
ricavo del venditore diminuisce.
Quindi una domanda elastica al proprio prezzo comporta una diminuzione dei ricavi all’aumentare
dei prezzi. Esiste un’utile relazione fra l’elasticità e la variazione dei ricavi.

dR ¿
= X ( p ) [1+ ε ]
dp
Se ε=−1, si ha dR/dp=0 una variazione del prezzo non altera il ricavo del venditore.
Ma se−1<ε≤0, si ha dR/dp>0 se la domanda è inelastica, un aumento del prezzo aumenta il ricavo.
E se ε<−1, si ha dR/dp<0 se la domanda è elastica, un aumento del prezzo riduce il ricavo.
Riassumendo:
Domanda inelastica al prezzo: l’aumento del prezzo aumenta il ricavo.
Elasticità al prezzo unitaria: l’aumento del prezzo non cambia il ricavo.
Domanda elastica al prezzo: l’aumento del prezzo diminuisce il ricavo.

Elasticità e ricavo marginale


Ora studiamo come varia il ricavo al variare della quantità venduta.
Il ricavo marginale è il saggio al quale varia il ricavo al cambiare del numero di unità vendute:
dR ( q )
MR(q)=
dq
p(q) denota la funzione di domanda inversa del venditore; cioè il prezzo al quale il venditore può
vendere q unità.
Il ricavo totale e marginale possono quindi scriversi come: R(q) = p(q) × q
dp( q)
MR(q)= q+ p( q)
dq
q dp( q)
Moltiplicando il primo termine per p(q)/p(q), l’espressione diventa: MR(q)=p(q)[1+ ]
p (q) dq
dq p 1
Notando che ε = × allora MR(q)=p(q)[1+ ]
dp q ε
Dice che il saggio al quale il ricavo varia se le unità vendute (q) variano dipende dalla elasticità
rispetto al prezzo della domanda, cioè dalla reattività della quantità domandata al prezzo.
Se ε=−1si ha MR(q)=0 vendere una unità aggiuntiva non influenza il ricavo.
Se −1 < ε ≤ 0 cioè inelastica si ha MR(q) < 0 vendere un’ulteriore unità riduce il ricavo.
Se ε < −1 cioè elastica si ha MR(q) > 0 vendere un’ulteriore unità aumenta il ricavo.
Il significato di tutto questo è piuttosto intuitivo:
se la domanda non è sensibile al prezzo, cioè è inelastica, per aumentare l’output si devono ridurre
i prezzi in modo consistente, e quindi i ricavi diminuiranno.
Cioè coerente con le conclusioni raggiunte a proposito della variazione dei ricavi al variare del
prezzo poiché un aumento delle quantità si traduce in un calo del prezzo.

Curva del ricavo marginale


Consideriamo una curva di domanda(inversa) lineare:
p(q) = a – bq. Il ricavo “totale” è: R(q) = p(q) ∙ q = (a – bq) ∙ q MR(q) = –bq + (a – bq) = a – 2bq.
La curva del MR ha la stessa intercetta verticale della curva di domanda, ma ha pendenza doppia.

Elasticità rispetto al reddito m


% ∆ x¿
εx*,m =
%∆m
Positiva per i beni normali (la cui domanda cresce all’aumentare di m).
Negativa per i beni inferiori (la cui domanda cala all’aumentare di m).
Maggiore di uno per i beni di lusso.
In media, uguale a 1.

EQUILIBRIO
Fare un’analisi dell’equilibrio significa studiare come variano i prezzi fino a rendere compatibili le
scelte di domanda e offerta degli agenti economici.
Per fare un’analisi di equilibrio, dobbiamo considerare l’offerta di mercato.
La curva di offerta, S(p), ci dice la quantità di un bene che si è disposti a offrire in corrispondenza di
ogni p.
Supponiamo che esista un certo numero di consumatori di un bene.
Date le curve di domanda individuali, possiamo sommarle per ottenere la curva di domanda di
mercato D(p).
Analogamente, se esistono più persone che offrono il bene, possiamo sommare le curve di offerta
individuali per ottenere la curva di offerta di mercato S(p).
I consumatori e gli offerenti individuali pensano di non avere nessun controllo sui prezzi → li
assumono come dati.
Quindi prendono le decisioni migliori possibili dati quei prezzi.
Un mercato in cui gli agenti economici considerano p al di fuori del loro controllo è definito
mercato concorrenziale.
Sebbene il prezzo in un mercato concorrenziale sia indipendente dalle azioni di ciascun agente
economico, sono le azioni degli agenti, considerati globalmente, a determinarlo.
Il prezzo di equilibrio di un bene è il prezzo p* in corrispondenza del quale la domanda di mercato
è uguale all’offerta di mercato.
Geometricamente, il prezzo di equilibrio è il punto nel quale la curva di domanda di mercato e la
curva di offerta di mercato si intersecano.
Il prezzo di equilibrio sarà quindi il prezzo p*che risolve l’equazione: D(p*) = S(p*)
Perché un tale prezzo è di equilibrio?
In economia si ha una situazione di equilibrio se – tutti gli individui (ossia consumatori & venditori)
effettuano la miglior scelta possibile e il comportamento di ciascuno è coerente con quello degli
altri.
Le curve di domanda e offerta rappresentano le scelte ottimali di consumatori e offerenti
rispettivamente.
Il fatto che le due curve si intersechino in p* indica non solo che tutti fanno la scelta migliore, ma
anche che il comportamento di consumatori e offerenti è compatibile.
Per qualsiasi prezzo diverso da quello in cui D=S, queste due condizioni non si verificano.
Fuori da p*: non tutti scelgono ottimamente e le scelte non sono compatibili.
Pertanto, se p≠p*, il comportamento di almeno una parte del mercato tenderà a cambiare.
Alcuni offerenti non riescono a vendere la quantità attesa.
L’unico modo per vendere una quantità maggiore è abbassare il prezzo.
Ma se tutti gli offerenti vendono gli stessi beni e alcuni li offrono a un prezzo minore, anche gli altri
dovranno adeguarsi. Quindi l’eccesso di offerta tende a ridurre il prezzo di mercato.
Alcuni offerenti si accorgono che possono vendere a prezzi maggiori di p’’ ai consumatori
insoddisfatti.
A mano a mano che un numero maggiore di offerenti diventa consapevole di questo, il prezzo di
mercato sarà spinto verso l’alto fino al punto in corrispondenza del quale la domanda eguaglia
l’offerta.
Un esempio di calcolo dell’equilibrio di mercato: domanda e offerta lineari.
D(p) = a − bp
S(p) = c + dp
Al prezzo di equilibrio p*: D(p*) = S(p*). Quindi per determinare p*, occorre risolvere l’equazione:
a−c
a-bp*=c+dp*. a-c=p*(b+d) Ossia: p*=
b +d
La quantità domandata (e offerta) in equilibrio sarà pertanto:
a−c a ( b+d ) −b(a−c ) ad +bc
q*=D(p*)= a-b = =
b +d b+ d b +d
Il problema può essere risolto anche usando le curve di domanda e di offerta inverse:
cioè individuando la quantità in corrispondenza della quale i consumatori sono disposti a pagare lo
stesso prezzo che gli offerenti richiedono per fornire quella quantità.
Determiniamo prima l’equazione della curva di domanda inversa (che, in generale, ci dice in
corrispondenza di quale prezzo sarà domandata la quantità q)?
Sostituiamo q a D(p) nella funzione di domanda “diretta” e risolviamo per p:
a−q
q = D(p) = a – bp q – a = –bp ovvero pd(q)=
b
In maniera simile ricaviamo l’equazione della curva di offerta inversa.
Sostituiamo q a S(p) nella funzione di offerta “diretta” e risolviamo per p:
q−c
q = S(p) = c + dp q – c = dp ovvero ps(q)=
d
In equilibrio, il prezzo di domanda è uguale a quello di offerta. Quindi: pd(q)=ps(q)
ad +bc
Da cui: q*= che è la stessa soluzione di prima
b +d
Consideriamo ora due casi speciali.
1) Offerta fissa: viene offerta una quantità data, indipendente dal prezzo di mercato → la curva di
offerta è una retta verticale.
2) Offerta estremamente reattiva al prezzo: viene offerta qualsiasi quantità a un prezzo costante
→ la curva di offerta è una retta orizzontale.

Statica comparata
Dopo aver individuato un equilibrio (usando la condizione D = S), possiamo esaminare come
questo equilibrio varia al variare delle curve di domanda e offerta
Se la curva di domanda si sposta verso sinistra sia il prezzo che la quantità di equilibrio
diminuiscono.
Se, invece, è la curva di offerta a spostarsi verso sinistra la quantità di equilibrio diminuisce, ma il
prezzo di equilibrio aumenta.

Tasse
Introduciamo le tasse nel sistema per studiare come queste influenzano l’equilibrio di mercato.
L’elemento da tener presente è che quando viene introdotta una tassa, si hanno due prezzi: il
prezzo pagato dal compratore e quello percepito dall’offerente.
Le tasse possono essere di diversi tipi:
Una tassa sulla quantità è pagata su ogni unità acquistata o venduta.
Una tassa sul valore è una percentuale sulle vendite.

Tasse di quantità
Consideriamo come si modifica l’equilibrio di mercato quando viene introdotta una tassa sulle
quantità.
Sia t l’ammontare della tassa per ogni unità venduta.
La tassa t alza il prezzo pagato dai compratori, pb, rispetto a quello percepito dai venditori, ps:
pb − ps = t
Anche con la tassa il mercato deve essere in equilibrio, che è descritto dalle seguenti condizioni:
pb −ps = t e D(pb) = S(ps)
Queste condizioni si applicano sia nel caso in cui la tassa venga pagata dagli offerenti sia nel caso
in cui venga pagata dai compratori.
La tassa alza la curva di offerta di mercato, il prezzo pagato dai compratori aumenta e la quantità
scambiata diminuisce.
Supponiamo che la curva di domanda e di offerta di mercato siano lineari.
D(pb ) = a − bpb S(ps ) = c + dps
Con la tassa, l’equilibrio di mercato soddisfa pb=ps+t e D(pb)=S(ps) pb=ps+t e a-bpb=c+dps
a−c−bt a−c+ dt
Sostituendo per pb si ottiene a − b(ps + t) = c + dps ⇒ ps = pb=
b+ d b+d
La quantità domandata (e offerta) in equilibrio sarà pertanto:
a ( b+d ) −b(a−c +dt ) ad +bc−bdt
qt= ovvero qt=
b +d b+ d
All’aumentare di t: ps cala; pb aumenta e qt cala.
dt
La tassa unitaria pagata dal consumatore è: pb-p* ovvero
b+d
bt
La tassa unitaria pagata dall’offerente è: p*-ps ovvero
b+d
ad +bc−bdt
L’ammontare complessivo della tassa è: T=tqt=t
b+ d

Trasferimento di una tassa e elasticità


L’incidenza della tassazione su compratori e offerenti dipende dall’elasticità relativa di domanda e
offerta al proprio prezzo.
L’onere fiscale ricade più pesantemente sulla componente del mercato meno elastica (o più
rigida).
Δq
q∗¿
Intorno a p = p*, l’elasticità della domanda al proprio prezzo è: εD ≈ ¿ ovvero pb-p*=
p∗¿
pb− ¿¿
p∗¿
p∗¿
Δq× ¿
εD × q∗¿ ¿
Δq
q∗¿
Intorno a p = p*, l’elasticità dell’offerta al proprio prezzo è: εS ≈ ¿ ovvero ps-p*=
p∗¿
ps− ¿¿
p∗¿
p∗¿
Δq× ¿
εs× q∗¿ ¿
εS
Incidenza sui compratori relativamente agli offerenti ≈−
εD
Ricordando che εD< 0 (−εS/εD >0) , la frazione di tassa pagata dai consumatori aumenta
all’aumentare dell’elasticità dell’offerta al prezzo,
al diminuire dell’elasticità della domanda al prezzo (cioè più diventa rigida).
Al diminuire della elasticità della domanda al prezzo, la tassa incide sempre più sui compratori.
Quando εD<=0 (domanda rigida) i compratori pagano tutta la tassa.
Allo stesso modo, la frazione di tassa pagata degli offerenti aumenta al diminuire dell’elasticità
dell’offerta al prezzo, all’aumentare dell’elasticità della domanda al prezzo.

Perdita netta e elasticità


Applicare una tassa su un bene riduce la quantità scambiata.
L’output perduto rappresenta il costo sociale della tassa ed è dato dalla perdita di surplus del
consumatore e del produttore.
La perdita complessiva di surplus è detta perdita netta, o onere in eccesso.
La perdita netta dovuta ad una tassa aumenta se la domanda di mercato o l’offerta di mercato
diventa più elastica al prezzo.
Se εD=0 oppure εS=0, la perdita netta è pari a zero.

TECNOLOGIA
Quando un’impresa compie delle scelte, tiene conto di molti vincoli:
vincoli imposti dai clienti e dai concorrenti, vincoli naturali.
Consideriamo innanzitutto i vincoli naturali, quelli imposti dalla tecnologia.
Una tecnologia è un processo tramite il quale degli input (detti anche fattori produttivi: terra,
lavoro, capitale e materie prime) sono trasformati in un output.
Di solito diverse tecnologie possono essere impiegate per produrre lo stesso output. Qual è la
tecnologia migliore? Come confrontiamo le tecnologie?
xi denota la quantità usata di input i. Una combinazione di input è un vettore (x1, x2, ... , xn) che ci
dice quanto viene usato di ogni input. Es. (x1, x2, x3) = (6, 0, 9) significa che vengono usate 6 unità
del primo input e 9 unità del terzo.
Denotiamo con y il livello di output. La funzione di produzione definisce il massimo ammontare di
output conseguibile data una combinazione di input: y = f(x1,..,xn).

Insieme di produzione
L’insieme di produzione è costituito da tutti i “piani di produzione fattibili” (= da tutte le
combinazioni di input e output tecnicamente realizzabili). Un piano di produzione è fattibile se:
y ≤ f(x1,…,xn)
(y è non maggiore del massimo possibile → è tecnicamente possibile produrre y usando la
combinazione di input data).

Supponiamo che la funzione di produzione sia: y=f(x1,x2)= 2 x11 /3 x 1/2 3 dove x1 e x2= livelli di input;
y= livello output.
L’output massimo ottenibile dalla combinazione di input (x1, x2)= (1,8) è: y=2 X 11 /3 X 81/ 3=4
1 1
L’output massimo ottenibile da (x1, x2)= (8, 8) è: y=2 X 8 3 X 8 3 =8

Isoquanti
Possiamo pensare di ottenere y con diverse combinazioni di input.
L’insieme di tutte le combinazioni di input esattamente sufficienti a produrre una data quantità di
output è detto isoquanto.
È la stessa idea che sta alla base delle CdI, ma gli isoquanti si riferiscono all’output prodotto (che è
misurabile).
In generale, tanto maggiore è il numero di isoquanti noti, tanto maggiori sono le nostre
informazioni circa la tecnologia.
L’insieme completo degli isoquanti è detto mappa degli isoquanti.
Questa mappa è equivalente alla funzione di produzione (rappresentano lo stesso concetto).
Con una funzione Cobb – Douglas, gli isoquanti si avvicinano asintoticamente (non li toccano mai).
Gli isoquanti sono una famiglia di iperboli.

Esempi di tecnologia: proporzioni fisse


Consideriamo il “centro assistenza clienti” di una data impresa.
Supponiamo che sia organizzato in modo tale che una “unità di risposta” alle chiamate debba
essere composta da due impiegati e un computer.
È questo il caso di una funzione di produzione “a proporzioni fisse”.

{ 1
}
La forma della funzione è y=min x 1 , x 2 dove x1= impiegati, x2= computer.
2
Infatti, se si hanno 4 impiegati e 3 PC: l’output è determinato dai 4 impiegati (che possono usare 2
PC), ed è il minimo fra 1⁄2 di 4 e 3, cioè 2 (unità di risposta).
Se, invece, si hanno 10 impiegati e 3 PC: l’output è determinato dai 3 PC (che possono essere usati
da 6 impiegati), ossia dal minimo fra 1⁄2 di 10 e 3, cioè 3.
La formulazione generale di una funzione di produzione a proporzioni fisse è:
y= min { a 1 x 1 , a 2 x 2, … anxn }

Esempi di tecnologia: perfetti sostituti


Cavalli da tiro (x1) e muli (x2) possono svolgere le stesse mansioni in alcuni lavori agricoli: sono
“perfetti sostituti”. La quantità di output prodotto dipende dal numero totale di animali disponibili
(non dal loro tipo).
La formulazione generale di una funzione di produzione con input perfetti sostituti è:
y = a1 x1 + a2x2 +… + an xn.

Prodotto marginale
Data la funzione di produzione y = f(x1, ... xn), il prodotto (o produttività) marginale del fattore i –
indicato con MPi – misura la variazione di y derivante da un incremento infinitesimale di i, fermi
∂y
restando tutti gli altri fattori: MPi=
∂ xi
Il concetto di prodotto marginale è simile a quello di utilità marginale, fatta eccezione per la natura
ordinale della utilità.
Qui trattiamo di prodotto fisico: il prodotto marginale di un fattore è un numero preciso che, in
linea di principio, può essere misurato.
Di solito il prodotto marginale di un input dipende dalla quantità impiegata degli altri input.
Produttività decrescente
Legge della produttività marginale decrescente: quando tutti gli altri input sono mantenuti fissi,
incrementare l’impiego di un input comporta un incremento sempre minore dell’output.
In termini formali: la derivata seconda di y rispetto a xi è negativa.

Rendimenti di scala
Il prodotto marginale rappresenta il cambiamento nel livello di output al variare di un singolo
input.
I rendimenti di scala descrivono come varia il livello di output al variare di tutti gli input nella
stessa proporzione (es.: tutti gli input raddoppiano, o si dimezzano).
Se una variazione pari a k di tutti gli input comporta una variazione pari a k dell’output, la
tecnologia rappresentata dalla funzione di produzione esibisce rendimenti di scala costanti.
Quindi, f esibisce RdS costanti se: f(kx1,kx2,..,kxn) = kf(x1,x2,…,xn)
Se una variazione pari a k di tutti gli input comporta una variazione minore di k dell’output, la
tecnologia esibisce rendimenti di scala decrescenti.
Quindi, f esibisce RdS decrescenti se: f(kx1,kx2,…,kxn) < kf(x1,x2,…,xn)
Se una variazione pari a k di tutti gli input comporta una variaz. maggiore di k dell’output, la
tecnologia esibisce rendimenti di scala crescenti.
Quindi, f esibisce RdS crescenti se: f(kx1,kx2,…,kxn) > kf(x1,x2,…,xn)
Una medesima tecnologia può esibire, ‘localmente’, diversi tipi di rendimenti di scala
La funzione di produzione con perfetti sostituti è:
y = a1 x1 + a2x2 + …+ an xn. Aumentando tutti gli input di k, l’output
diventa: k(a1x1+a2x2+….+anxn)=ky
Esibisce rendimenti di scala costanti.
La funzione di produzione con perfetti complementi è:
y = min{a1x1,a2x2,..,anxn}. Aumentando tutti gli input di k, l’output
diventa: k(min a1x1,a2x2…,anxn)= ky
Esibisce rendimenti di scala costanti.
Quando c’è una Cobb – Douglas vi sono rendimenti:
 costanti se a1+...+an =1
 crescenti se a1+ ... + an > 1
 decrescenti se a1+ ... + an < 1.
Quando tutti gli input aumentano in proporzione fra loro → ciascun input ha a disposizione lo
stesso ammontare degli altri input per produrre l’output.
Pertanto, non c’è necessariamente una diminuzione dei prodotti marginali, che possono rimanere
costanti o aumentare.

Saggio tecnico di sostituzione (TRS=technical rate of substitution)


È il saggio al quale l’impresa deve sostituire un input con un altro per mantenere costante il livello
dell’output. È uguale all’inclinazione dell’isoquanto.
Per esprimere analiticamente il TRS, ricorriamo allo stesso procedimento usato per determinare
l’inclinazione delle curve di indifferenza. Consideriamo una funzione di produzione con due soli
input: y = f(x1,x2). Una piccola variazione (dx1, dx2) nell’impiego dei fattori causa una variazione
∂y ∂y
nel livello di output pari a: dy = dx 1+ dx 2
∂ x1 ∂ x2
Poiché vogliamo muoverci lungo l’isoquanto, il livello di output non varia quindi:
∂y ∂y ∂y −∂ y MP 1
0¿ dx 1+ dx 2 che risolta diventa dx 2= dx 1 =-
∂x1 ∂ x2 ∂x 2 ∂ x1 MP 2

Tecnologie well – behaved


Una tecnologia well-behaved è monotona, convessa.
Monotonicità: aumentando la quantità impiegata di uno degli input, si produce un livello di output
almeno uguale a quello iniziale.
Convessità: se le combinazioni di input x’ e x” producono entrambe y unità di output, allora la loro
media ponderata tx’ + (1 – t)x” produrrà almeno y unità di output, per qualsiasi 0 < t < 1.

Lungo e breve periodo


Quando l’impresa prende decisioni basate su un orizzonte di breve periodo alcuni fattori sono fissi,
il loro livello non può essere variato: esistono restrizioni di qualche tipo nella scelta di (almeno) un
livello di input.
Nel caso invece di decisioni con un orizzonte di lungo periodo, tutti i fattori sono considerati
variabili ed il loro livello è determinato dall’impresa: non esistono restrizioni nella scelta di tutti i
livelli di input.
Esempi di restrizioni che creano circostanze di breve periodo:
temporanea impossibilità di installare o rimuovere macchinari;
leggi che impediscono licenziamenti;
particolari regolamenti o vincoli che si applicano in un Paese.
Si può pensare al lungo periodo come ad una situazione nella quale un’impresa sceglie
liberamente in quale circostanza di breve periodo situarsi.
Consideriamo un esempio di restrizione di breve periodo:
supponiamo che il livello di input 2 sia fisso mentre quello dell’input 1 rimane variabile.
1 /3 1 /3
y=x 1 x2 sia la funzione di produzione di lungo periodo
Se x2=1 la funzione di produzione di breve periodo è: y=x 11 /3 1= x 1/1 3
Se x2=10 la funzione di produzione di breve periodo è: y=x 11 /3 101/ 3

MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO


Supponiamo che l’impresa operi in un mercato concorrenziale: ritiene di non avere influenza sui
prezzi di output ed input.
Un’impresa usa gli input j = 1...,m per ottenere i prodotti i = 1,...n.
I livelli di output sono y1,...,yn.
I livelli di input sono x1,...,xm.
I prezzi del prodotto sono p1,...,pn.
I prezzi degli input sono w1,...,wm.
Il profitto economico generato dal piano di produzione (x1,...,xm,y1,...,yn) è definito come la
differenza fra ricavi e costi: =p1y1+…+pnyn – w1x1-….- wmxm.
I livelli di output e input sono solitamente flussi.
– Es.: x1 potrebbe essere il numero di unità di lavoro usate all’ora.
– y1 potrebbe essere il numero di automobili prodotte all’ora.
Di conseguenza, anche il profitto è di solito un flusso; es. la quantità di dollari guadagnate in
un’ora.
Il processo produttivo di un’impresa continua spesso per un lungo periodo di tempo.
Dobbiamo pertanto valutare un flusso di costi e ricavi in diversi periodi di tempo.
Per fare ciò, usiamo il concetto di valore attuale, supponendo che il flusso dei profitti futuri
dell’impresa sia noto a tutti → non vi è incertezza.
Se si trascura l’incertezza, il valore attuale di un’impresa coincide con il valore attuale del flusso di
profitti.
Supponiamo che il flusso di profitti sia 0, 1, 2, ... e r sia il tasso di interesse.
1 2
Allora il valore attuale del flusso di profitti è: PV=0+ 1+ r + +…
( 1+r )2
Come si massimizza il profitto?
Supponiamo che un’impresa sia in una circostanza di breve periodo e che la quantità dell’input 2
~
sia fissa: x2= x 2
~
La sua funzione di produzione di breve periodo sarà: y=f(x1, x 2 ).
Il costo fisso (costo il cui ammontare è indipendente dalla quantità prodotta) pertanto è:
FC=w2 ~ x 2 e la funzione dei profitti sarà =py-w1x1-w2 ~ x 2.
Il problema di massimizzazione del profitto dell’impresa può scriversi come:
max pf(x1, ~ x 2) – w1x1 – w2~x2
CPO: derivata prima rispetto a x1 pari a 0:
∂π
= pMP ( x 1 , ~ x 2 )−w 1=0 → pMP 1 ( x 1 , ~
x 2 )=w1
∂x 1
Per massimizzare il profitto l’impresa deve scegliere x1 così da eguagliare il valore del prodotto
marginale dell’input al suo prezzo.
La stessa condizione può essere ottenuta graficamente, utilizzando le “rette di isoprofitto”.
Risolviamo l’espressione del profitto per y così da esprimere l’output come funzione di x1:
π + w 2~
x2 w1
y= + x 1 questa equazione rappresenta le rette di isoprofitto.
p p
Una retta di isoprofitto contiene tutti i piani di produzione che danno luogo al medesimo livello di
profitto.
Al variare di π si ottiene un fascio di rette parallele, ciascuna con:
w1
pendenza
p
π + w 2~ x2
intercetta verticale pari a
p
L’intercetta verticale corrisponde alla somma (divisa per p) del profitto e dei costi fissi.
Poiché i costi fissi non variano, la sola cosa che varia, da una retta di isoprofitto a un’altra, è il
livello dei profitti. Quindi, a livelli di profitto più alti corrispondono rette di isoprofitto con
intercette verticali più elevate.
Il problema dell’impresa è: localizzare il piano di produzione che consente di raggiungere il più alto
isoprofitto possibile dato il vincolo sulla scelta dei piani di produzione.
Qual è il vincolo? La funzione di produzione.
La pendenza della funzione di produzione rappresenta il prodotto marginale di x1 (quanto varia y
se incrementiamo marginalmente l’input 1): MP1. Quindi la condizione di ottimo è:
w1
MP1= p X MP1=w1
p

Statica comparata
Dall’equazione della retta di isoprofitto di periodo notiamo che un aumento di p implica: una
riduzione dell’intercetta verticale, un appiattimento della retta(pendenza↓).
Un aumento del prezzo dell’output causa
un aumento nel livello di output: la curva di offerta dell’impresa ha inclinazione positiva;
un aumento nel livello dell’input variabile: la curva di domanda dell’impresa per il suo input
variabile si sposta vs l’alto.
Cosa accade al piano di produzione che massimizza il profitto nel breve periodo al cambiare del
prezzo (w1) dell’input variabile?
notiamo che un aumento di w1 implica: nessun cambiamento dell’intercetta, un aumento della
pendenza.
Un aumento del prezzo dell’input variabile causa
un calo nel livello di output 􏰂 la curva di offerta dell’impresa si sposta vs sinistra;
un calo nel livello dell’input variabile􏰂la curva di domanda dell’impresa per il suo input variabile ha
pendenza negativa.

Max del profitto nel lungo periodo


Per scegliere ottimamente le quantità dei fattori da impiegare, (x1*, x2*), l’impresa deve porre il
valore del prodotto marginale di ogni fattore uguale al suo prezzo.

Massimizzazione del profitto e rendimenti di scala


Supponiamo che un’impresa abbia scelto un livello di output y* che max il profitto nel lungo
periodo e che questo sia prodotto impiegando quantità (x1*, x2*) di input.
Il profitto dell’impresa, quindi, sarà: *= py*-w1x1*-w2x2*
Supponiamo che la tecnologia dell’impresa esibisca RdS costanti
In equilibrio, il profitto sia positivo.
Che succede se l’impresa raddoppia la quantità di input che utilizza?
Il livello di output raddoppierà (per l’hp di RdS costanti); e anche il profitto raddoppierà.
Ma, allora, l’hp che la scelta iniziale è ottimale viene contraddetta!
La contraddizione nasce dall’aver assunto che il profitto fosse positivo.
Se fosse nullo non vi sarebbe alcun problema perché 0 x 2 = 0.
Quindi per un’impresa che opera in condizioni di concorrenza a RdS costanti, il solo ragionevole
livello di profitto nel lungo periodo è zero.
Se le imprese tendono a max il profitto, come è possibile che nel lungo periodo il profitto sia nullo?
In realtà, non può essere altrimenti. Perché? Se un’impresa tentasse di espandersi illimitatamente
potrebbe arrivare a dominare il mercato e quindi il comportamento concorrenziale (prendere il
prezzo come dato) non avrebbe alcuna ragione di essere; oppure altre imprese potrebbero
imitarla; ma se tutte le imprese aumentano il proprio output, il prezzo e il profitto diminuiranno.

MINIMIZZAZIONE DEI COSTI


Un’impresa minimizza i costi se produce un dato livello di output al costo totale più basso
possibile.
Supponiamo che l’impresa usi solo due input, x1 e x2, i cui prezzi sono w1 e w2.
Vogliamo individuare il modo più economico per produrre un dato livello y di output.
Se f(x1,x2) è la funzione di produzione dell’impresa, il problema di minimizzazione dei costi può
scriversi come: min w1x1+w2x2 con x1, x2≥0 sotto il vincolo f(x1, x2)=y
La soluzione del problema di minimizzazione dei costi– ossia i costi minimi necessari per produrre
y – dipenderà da w1, w2 e y, e viene quindi espressa come c(w1, w2, y).
Questa funzione è nota come funzione di costo: esprime i costi più bassi che l’impresa deve
sostenere se vuole produrre y, quando i prezzi degli input sono w1 e w2.

Rette di isocosto
I costi li rappresentiamo tramite le rette di isocosto: combinazioni di input che danno luogo allo
stesso costo di produzione C, vale a dire: w1x1 + w2x2 = C.
C w1
Risolvendo per x2, otteniamo: x 2= − x1
w2 w2
Questa è l’equazione della retta di isocosto che
C −w 1
ha intercetta verticale: ; e pendenza .
w2 w2
Dati w1 e w2, al variare di C otterremo un insieme di rette di isocosto.
Il problema di minimizzazione dei costi può riformularsi come segue:
date tutte le combinazioni di input che consentono di produrre y, quale costa meno?
Si tratta di individuare sull’isoquanto il punto al quale è associata la retta di isocosto più bassa
possibile.
Isoquanto: tutte le combinazioni di fattori che permettono di ottenere y (il livello di output dato).
Pendenza isoquanto = pendenza isocosto, ossia
Saggio tecnico di sostituzione (TRS) = Rapporto tra prezzi dei fattori
Per individuare una soluzione interna (x1*>0, x2*>0), occorre quindi mettere a sistema:
f(x1*, x2*)=y
¿ ¿
−MP 1 ( x 1 x 2 ) −w 1
TRS x1*, x2*= = e risolvere per x1* e x2*
MP 2 ( x 1 x 2 )
¿ ¿
w2

Funzioni di domanda
I livelli scelti di input (che min i costi) dipendono dai prezzi e dalla quantità di output che l’impresa
intende produrre. Vengono pertanto indicati con x1*(w1,w2,y) e x2*(w1,w2,y).
Queste scelte sono dette funzioni di domanda condizionata dei fattori o domande derivate dei
fattori.
Misurano la relazione fra i prezzi, l’output e la scelta ottimale dei fattori condizionata dalla
produzione di un certo livello y di output.
In pratica, la domanda condizionata dei fattori dà le scelte di min. dei costi in corrispondenza di un
dato livello di output.

Sentiero di espansione: È il luogo dei punti di tangenza tra una famiglia di isoquanti ed un fascio di
isocosti. È quindi costituito da tutte le combinazioni di input efficienti (nel senso che min i costi)
per diversi livelli di prodotto.

Rendimenti di scala e costo medio


La funzione del costo medio esprime il costo unitario di produzione di y unità di output:
c (w 1, w 2 , y )
AC ( w 1 , w 2 , y ) =
y
Il tipo di rendimenti di scala determina come il costo medio cambia al variare del livello di
produzione. Supponiamo che l’impresa produca y’ unità di output.
Come cambia il costo medio se produce 2y’ unità di output?
Se ha rendimenti di scala costanti, raddoppiare il livello di output da y’ a 2y’ richiede il raddoppio
delle quantità di fattori impiegati. I costi di produzione raddoppiano. Il costo medio non cambia
Se ha rendimenti di scala crescenti, raddoppiare il livello di output da y’ a 2y’ richiede meno del
doppio dei fattori impiegati.
I costi di produzione aumentano meno del doppio. Il costo medio diminuisce all’aumentare
dell’output.
Se ha rendimenti di scala decrescenti, raddoppiare il livello di output da y’ a 2y’ richiede più del
doppio dei fattori impiegati.
I costi di produzione aumentano più del doppio. Il costo medio aumenta all’aumentare dell’output.

Costi di breve e di lungo periodo


La funzione di costo di breve periodo rappresenta il costo min che deve essere sostenuto per
produrre una data quantità di output, variando l’impiego dei soli fattori variabili.
La funzione di costo di lungo periodo esprime il costo min che deve essere sostenuto per produrre
una data quantità di output, variando l’impiego di tutti i fattori.
Che differenza c’è fra i due tipi di costo?
Supponiamo che nel breve periodo l’input 2 sia fisso a x2’ unità e non possa cambiare.
Il problema di min dei costi di lungo periodo è:
min w1x1+w2x2 con x1, x2≥0 sotto il vincolo f(x1, x2)=y
Il problema di min dei costi di breve periodo è:
min w1x1+w2x’2 con x1≥0 sotto il vincolo f(x1, x’2)=y
Il problema di min dei costi nel breve periodo è uguale a quello di lungo periodo con l’extra vincolo
x2 = x2’. Se la scelta di lungo periodo per x2 fosse x2’ → l’extra vincolo x2 = x2’ non si porrebbe:
il costo totale di breve e lungo periodo per produrre y unità di output sarebbe lo stesso.
Il problema di min dei costi nel breve periodo è dunque diverso da quello di lungo periodo
se la domanda di breve periodo del fattore 2 è ≠ da quella di lungo periodo.
Allora l’impresa sosterrà, nel breve periodo, costi maggiori di quelli di lungo periodo.
I costi di breve periodo superano sempre quelli di lungo periodo ad eccezione del livello di output
in corrispondenza del quale il vincolo di breve periodo sull’input ‘fisso’ è uguale alla quantità
dell’input scelta nel lungo periodo.
Quindi la curva di costo di breve periodo ha sempre un punto in comune con quella di lungo
periodo, ed è, in ogni altro punto, più alta.

CURVE DI COSTO
Tipi di curve di costo
 Costi totali, costi fissi, costi variabili
 Costi medi (totali, fissi e variabili)
 Costi marginali
Che relazione c’è fra queste curve?
E fra curve di breve e di lungo periodo?

Costo totale, fisso e variabile


Con il termine costo fisso si indica l'insieme dei costi il cui ammontare è indipendente dalla
quantità prodotta; es.: macchinari, contrazione di un’ipoteca, assicurazione.
Anche quando lo stabilimento è chiuso e gli impianti non sono in funzione, devono comunque
essere sostenuti dall’impresa. Li denotiamo con F.
Il costo fisso si contrappone al costo variabile, il cui ammontare dipende direttamente dalla
quantità prodotta; tanto maggiore è la produzione tanto superiori saranno questi costi, che
indichiamo con cv(y).
I costi totali c(y) (costi minimi che devono essere sostenuti per produrre y unità di output)
corrispondono sempre alla somma dei costi fissi e dei costi variabili: c(y) = F + cv (y).

Costi medi
I costi medi si riferiscono al costo di una singola unità di output.
La funzione di costo medio variabile misura i costi variabili per unità di prodotto. Dunque, non è
altro che il costo variabile diviso per la produzione totale: AVC(y) = cv(y)/y.
Quando y=1, il costo medio variabile coincide con il costo variabile.
Se la produzione fosse organizzata in modo efficiente, AVC potrebbe all’inizio diminuire.
Ma, nel breve periodo, con almeno un input fisso, si applica la legge della produttività marginale
decrescente → il costo medio variabile, da un certo punto in poi, cresce all’aumentare dell’output.
Supponiamo che i costi fissi derivino unicamente dal pagamento dell’affitto per un edificio di date
dimensioni. In tal caso, aumentando la produzione, i costi medi variabili possono, per un certo
periodo, rimanere costanti. Ma, quando l’edificio è sfruttato al max, questi costi subiranno un
forte aumento.
La funzione di costo medio fisso misura i costi fissi per unità di prodotto:
AFC(y) = F/y
I costi fissi hanno un peso via via minore al crescere della produzione:
– sono molto alti quando la produzione è bassa (se y → 0, AFC(y) → ∞);
– tendono a zero al crescere dell'output (se y → ∞, AFC(y) →0).
Infine, la funzione di costo medio totale che misura il costo totale, c(y), per unità di prodotto:
AC(y) = c(y)/y.
Dato che il costo totale corrisponde alla somma di costi fissi e variabili, si ha: AC(y) = F/y + cv(y)/y.
L’andamento della curva sarà il seguente: l’iniziale diminuzione dipende dalla diminuzione dei costi
medi fissi. Il successivo aumento è dovuto all’aumento, nel breve periodo, dei costi medi variabili.
La combinazione di questi due effetti produce un andamento a U.

Costo marginale
l costo marginale è il tasso di variazione del costo di produzione variabile al variare del livello di
∂ cv ( y)
output. Cioè: MC ( y )=
∂y
Dato che la funzione del costo totale è c(y)=F + cv(y) e il costo fisso F non varia al cambiare del
∂ c( y)
livello di output: MC ( y )=
∂y
MC è la pendenza sia della funzione del costo variabile che di quella del costo totale.
Per tracciare la curva del costo marginale dobbiamo studiare come questa è legata al costo medio
variabile. Supponiamo che la curva del costo medio variabile abbia andamento ad U: prima
decresce, raggiunge un min e poi cresce.
Quando il costo medio variabile è decrescente, il costo di una unità addizionale di produzione (il
costo marginale) è inferiore alla media calcolata fino a quel punto. Quindi: MC(y) < AVC(y).
Quando il costo medio variabile è crescente, il costo di una unità addizionale di prod.ne è
superiore alla media calcolata fino a quel punto. Quindi: MC(y) > AVC(y).
Pertanto, il costo marginale si trova:
– al di sotto di AVC quando AVC decresce (ossia a sinistra del suo punto di min);
– al di sopra di AVC quando AVC cresce (ossia a destra del suo punto di min).
Ne consegue che la curva del costo marginale interseca la curva di costo medio variabile nel suo
punto di minimo.
Quindi, come già visto, quando il costo marginale supera il costo medio variabile → la curva del
costo variabile medio è crescente (derivata prima maggiore di 0).
Se il costo marginale è minore del costo medio variabile → la curva del costo variabile medio è
decrescente.
Lo stesso vale per la curva del costo medio ATC(y) = c(y)/y.
La curva del costo marginale si trova:
– al di sotto di ATC(y) quando il costo medio decresce (ossia a sinistra del suo punto di min);
– al di sopra di ATC(y) quando il costo medio cresce (ossia a destra del suo punto di min).
Ne consegue che la curva del costo marginale interseca la curva di costo medio nel suo punto di
minimo.
Esiste una relazione anche fra costo marginale MC(y) e costo variabile cv(y).
Poiché il costo marginale è la derivata di cv(y), cv(y) è l’integrale di MC(y).
Questo significa che l’area al di sotto della curva del costo marginale, determinata in
corrispondenza di ogni livello y di output, rappresenta il costo variabile di produzione di y.

Costi totali di lungo periodo


Nel lungo periodo la distinzione tra costi fissi e costi variabili non esiste più perché sappiamo che,
per definizione, tutti i fattori sono variabili.
L’impresa si può muovere lungo il sentiero di espansione della produzione (non ha più il vincolo
rappresentato dal livello fisso di un input).
Per qualsiasi livello di output, la sua domanda “condizionata” di input verrà scelta per minimizzare
i costi totali di produzione.
La funzione di costo di lungo periodo coincide con la funzione di costo di breve periodo in
corrispondenza delle scelte ottime degli input fissi.
Supponiamo che ci siano due input x1 e x2 e che x2 sia quello fisso nel breve periodo.
Supponiamo anche che l’impresa possa essere in una delle 3 possibili situazioni di breve periodo:
x2 = x2′ o x2 = x2′′ o x2 = x2′′′ con x2′′′ > x2′′ > x2′.
Una quantità maggiore dell’input fisso aumenta il costo fisso (intercetta) e riduce la pendenza
della curva di costo totale di breve periodo.
La pendenza di cS(y) è uguale al costo marginale, che indica di quanto varia il costo (variabile)
totale se aumentiamo marginalmente l’output.
Poiché una unità addizionale del fattore variabile 1 dà MP1 unità di output in più, la quantità
addizionale di input 1 necessaria per produrre una unità in più di output è 1/MP1.
Ogni unità di input1 costa w1, quindi il costo aggiuntivo per la produzione di una unità di output in
più è MC = w1/MP1.
Questa è l’inclinazione della curva di costo totale.
Poiché un aumento del fattore fisso aumenta la produttività marginale dell’input variabile, MP1,
(es: più terra a ogni lavoratore) il costo mg diminuisce se x2 aumenta.
La curva di costo totale di lungo periodo è costituita dalle parti inferiori delle curve di costo totale
di breve periodo.
La curva di costo totale di lungo periodo è l’inviluppo delle curve di costo totale di breve periodo.
Se l’input 2 è disponibile in quantità continue c’è un’infinità di curve di costo totale di breve
periodo. Ma la curva di costo totale di lungo periodo è ancora l’inviluppo di tutte le curve di costo
totale di breve periodo.

Costi medi di lungo periodo


Per un qualunque livello di output y, la curva di costo totale di lungo periodo dà sempre il più
basso costo totale di produzione possibile.
Perciò, la curva di costo medio di lungo periodo dà sempre il più basso costo medio possibile.
Quindi anche la curva di costo medio di lungo periodo è l’inviluppo delle curve di costo medio di
breve periodo.

Costi marginali di lungo periodo


Il MC di lungo periodo coincide con quello di breve periodo lungo i tratti “appropriati”, ossia quelli
associati al costo medio di lungo periodo.
Per ogni livello di output y>0, il costo marginale di lungo periodo è pari al costo marginale per il
breve periodo scelto dall’impresa.
Questo è sempre vero, per quanti e quali siano i livelli di input fisso scelti nel breve periodo.

OFFERTA DELL’IMPRESA
Ogni impresa prende due decisioni importanti:
1) quanto produrre
2) quale prezzo praticare.
Se un’impresa che massimizza il profitto non avesse vincoli, stabilirebbe prezzi molto alti e
produrrebbe quantità elevate.
Ma le scelte dell’impresa sono condizionate da due ordini di vincoli.
Primo, i vincoli tecnologici che sono riassunti dalla funzione di produzione e si traducono in vincoli
economici, rappresentati dalla funzione di costo.
Secondo, il vincolo di mercato:
– l’impresa può vendere solo quanto i consumatori sono disposti ad acquistare e
– la domanda di mercato che l’impresa può soddisfare dipende dal numero di altre imprese
presenti sul mercato.

Curva di domanda per l’impresa


Se l’impresa fissa un prezzo p, potrà vendere solo una determinata quantità di output y.
La relazione tra prezzo fissato dall’impresa e la quantità venduta è detta curva di domanda per
l’impresa.
Se nel mercato fosse presente una sola impresa, la sua curva di domanda sarebbe identica alla
domanda di mercato [che esprime quanto i consumatori sono disposti ad acquistare ad ogni
prezzo]. La domanda di mercato riassume pertanto i vincoli di mercato per l’unica impresa che vi
opera.

Forme di mercato
Se sono presenti invece anche altre imprese, quando l’impresa fa le sue scelte deve prevedere il
comportamento dei concorrenti.
L’espressione forme di mercato si riferisce al modo in cui le imprese interagiscono nel prendere le
decisioni relative a prezzo e output.
Una delle più semplici forme di mercato è rappresentata dalla concorrenza perfetta, che
costituisce anche un termine di paragone per altre forme.
Un mk è perfettamente concorrenziale quando ciascuna impresa assume che il prezzo di mercato
sia indipendente dalla quantità che essa decide di produrre.
L’impresa perfettamente concorrenziale è price- taker (ossia subisce il prezzo di mk) e decide solo
quanto produrre, in quanto qualsiasi sia la quantità prodotta, questa verrà venduta al prezzo di
mercato.
Monopolio: Un solo venditore che determina la quantità offerta e il prezzo.
Oligopolio: Poche imprese e le decisioni di ciascuna influenzano i profitti delle altre.
Concorrenza monopolistica: Molte imprese, il prodotto delle quali è “differenziato”.

La curva di domanda per un’impresa concorrenziale è


• orizzontale in corrispondenza del prezzo di mercato, al quale può vendere qualsiasi quantità di
prodotto;
• nulla a un prezzo maggiore di quello di mk;
• pari all’intera domanda di mercato se vende al di sotto del prezzo di mercato.

Offerta dell’impresa nel breve periodo


Per ipotesi, ogni impresa concorrenziale intende massimizzare il proprio profitto e si trova nel
breve periodo. Quale quantità di output deciderà allora di produrre/offrire?
La quantità che risolve il problema: max πs ( y )= py−cs ( y ) con y ≥ 0
La condizione del primo ordine per una soluzione interna (y* > 0) è che la derivata prima sia pari a
∂ πs ( y )
0: = p−MCs ( y )=0 cioè p=MCs(y)
∂y
Quindi, un’impresa concorrenziale che intende massimizzare il profitto sceglierà un livello di
output tale che il suo costo marginale è uguale al prezzo di mercato.
La condizione del secondo ordine per una soluzione interna (y* > 0) richiede che la derivata
¿
dMCs( y s )
seconda sia negativa: >0
dy
In un punto di massimo profitto, la curva del MC deve essere crescente.
Ma non tutti i punti sul tratto crescente della curva MC massimizzano il profitto.
Il profitto derivante dalla produzione di un livello positivo di output è: s (y) =py − cv(y) − F.
Se l’impresa non produce, il suo profitto è: s (0) =py − cv(0) – F = -F
Quindi l’impresa sceglie un livello positivo di output solo se: py − cv (y) − F ≥ −F.
Cioè solo se: p ≥ AVCs ( y )
Quindi solo i punti del tratto crescente della curva del costo marginale al di sopra della curva del
costo medio variabile appartengono alla curva di offerta di un’impresa concorrenziale.
Chiusura non significa uscita dal mercato:
– l’impresa non produce ma fa ancora parte dell’industria e sopporta il costo fisso.
Uscire significa lasciare l’industria e può avvenire solo nel lungo periodo.

Profitto e surplus del produttore


Dato il prezzo di mercato, è possibile individuare – risolvendo la condizione p = MCS(y) – il livello
ottimo di produzione dell’impresa, e da quest’ultimo ottenere il profitto.
Il sovrappiù del produttore è l’accumulazione, unità per unità di output, di ricavi addizionali meno i
costi addizionali.
Quindi il surplus del produttore è: PS(p)=py*(p)-cv(y*(p)). Cioè, PS=Ricavo - Costo Variabile.
PS = Ricavo – Costo Variabile
Profitto = Ricavo – Costo Totale = Ricavo – Costo Fisso- Costo Variabile
PS = Profitto + Costo Fisso
Solo se il costo fisso è zero (cioè nel lungo periodo) PS e profitto sono la stessa cosa.

Offerta dell’impresa nel lungo periodo


La curva di offerta di lungo periodo esprime la quantità ottima di output che un’impresa
concorrenziale può produrre se è libera di variare l’impiego di qualunque fattore fisso nel breve
periodo. Il profitto nel lungo periodo è: (y) = py − c(y); dove c(y) consiste solo di costi variabili.
Quindi, nel lungo periodo, l’impresa decide la quantità da offrire massimizzando il profitto di lungo
periodo: max  (y) = py − c(y). Con y ≥0
Le condizioni del primo e secondo ordine sono:
∂ MC ( y)
p=MC(y) e >0
∂y
Le due condizioni sono analoghe a quelle di breve periodo:
la curva di offerta di lungo periodo di un’impresa concorrenziale che massimizza il profitto
coincide con il tratto crescente della sua curva del costo marginale di lungo periodo.
Inoltre, nel lungo periodo, una delle scelte a disposizione dell’impresa è quella di cessare l’attività
uscendo dall’industria. L’impresa non sostiene costi fissi e quindi i suoi profitti non devono essere
negativi. Ossia: p≥AC(y)
Ne deriva che il tratto rilevante della curva di offerta di lungo periodo è costituto dal tratto
crescente della curva del costo marginale di lungo periodo che si trova al di sopra della curva del
costo medio di lungo periodo. [È coerente con quanto avviene nel breve periodo in cui il prezzo si
trova al di sopra del costo medio variabile.]
Dato che è libera di variare l’impiego di qualunque fattore → se il prezzo dell’output varia,
l’impresa ha maggiori possibilità di far variare le proprie scelte nel lungo che nel breve periodo.
Questo suggerisce che la curva di offerta di lungo periodo sia più “sensibile” al prezzo – cioè più
elastica – della curva di offerta di breve periodo.
OFFERTA DELL’INDUSTRIA
Dato che ogni impresa nell’industria è price- taker, la quantità totale offerta ad un dato prezzo è la
somma delle quantità offerte a quel prezzo dalle singole imprese.

Offerta di breve periodo


Nel breve periodo il numero delle imprese afferenti ad una certa industria è fisso.
Sia n tale numero i=1,…,n. Sia Si(p) la funzione di offerta dell’impresa i.
n
L’offerta di breve dell’intera industria è: S ( p )=∑ Si( p)
i=1
Per determinare l’equilibrio dell’industria nel breve periodo basta intersecare la curva di offerta di
mercato con la curva di domanda di mercato. L’intersezione rappresenta il prezzo di equilibrio p*,
che è considerato come dato dalla singola impresa.
Stabilito p*, si esamina cosa succede perle singole imprese in termini di output e profitti.
Nel breve periodo non ci sono né entrate né uscite dall’industria. Quindi, in equilibrio di breve,
alcune imprese possono ottenere profitti positivi, altre profitti nulli, altre ancora possono subire
perdite.

Equilibrio dell’industria nel lungo


Nel lungo periodo, in concorrenza perfetta, nuove imprese possono entrare nell’industria e le
imprese già presenti possono uscire.
L’equilibrio di lungo periodo deve quindi tener conto delle possibilità di libera entrata e uscita.
È la presenza di profitti positivi che attrae nuove imprese verso l’industria.
Il profitto è positivo quando il prezzo di mercato p* è superiore al minimo del costo medio: p* >
min AC(y).
Supponiamo che inizialmente il numero (n) di imprese operanti sul mercato sia tale che i > 0.
Supponiamo anche che
– il numero dei potenziali produttori sia praticamente illimitato;
– tutti siano in grado di utilizzare la stessa tecnologia, cioè che tutti abbiano le stesse curve di
costo;
– i prezzi degli input rimangano invariati qualunque sia n.
Nuove imprese entrano nell’industria per ottenere profitti positivi
¿
n ↑ ; S ↑ ; p ↓; πi( y )↓
Questo processo di entrata termina quando il profitto di tutte le imprese che operano
¿
nell’industria è pari a zero. πi=0 per ognii→ p =minAC ( y )
La libertà di entrata alza il numero delle imprese fino a che il prezzo di mercato diventa pari al
minimo della curva dei costi medi di lungo periodo.
Pertanto, se la tecnologia di un’industria è disponibile a tutti i produttori e un numero illimitato di
imprese sono pronte a entrare nell’industria utilizzando tale tecnologia il prezzo di equilibrio nel
lungo periodo è dato dal minimo del costo medio.
Nell’equilibrio di lungo periodo, ogni impresa realizza un profitto nullo.
Quando il profitto è zero nessuna impresa è incentivata ad uscire e nessuna è incentivata ad
entrare, quindi il mercato è in equilibrio.
In corrispondenza dell’equilibrio di lungo periodo sarà presente nell’industria il numero massimo
di imprese compatibile con profitti nulli.

Curva di offerta nel lungo periodo


Nel lungo periodo con entrata libera:
• Se p*>min AC(y), l’offerta di mercato di lungo periodo è illimitata (infinite imprese possono
entrare nel mercato).
• Se p*<min AC(y), l’offerta di mercato di lungo periodo è pari a zero (cioè non entrano nuove
imprese e quelle operanti escono dall’industria).
Nel lungo periodo con entrata libera:
• Se p*=min AC(y), le imprese sono complessivamente disposte a offrire qualunque quantità (cioè
l’offerta aggregata può essere cambiata aggiustando il numero delle imprese).
Ciò equivale ad affermare che, per un numero di imprese sul mercato sufficientemente elevato:
la curva di offerta dell’industria nel lungo periodo è una retta orizzontale in corrispondenza di un
prezzo uguale al minimo del costo medio.
Al “rimpicciolirsi” di ogni impresa relativamente all’industria, la curva di offerta dell’industria di
lungo periodo si avvicina ad una linea orizzontale all’altezza del min di AC(y).
¿ Y ← offerta aggregata
Il # di imprese operanti nel lungo periodo (n*) è: n = ¿
yi ← offertaindividuale
Le variazioni dell’offerta aggregata nel lungo periodo sono dovute esclusivamente all’ingresso e
all’uscita di imprese dal mercato. Ogni impresa nel mercato produce la stessa quantità, yi*

Implicazioni di una tassa nel lungo


Nell’equilibrio di breve periodo, l’onere fiscale è di solito diviso tra compratori e venditori e
l’incidenza della tassa dipende dall’elasticità della domanda e dell’offerta al proprio prezzo.
Nel lungo periodo, i compratori pagano tutta la tassa.

Fattori fissi e rendita economica


Se vi è libertà di entrata i profitti nel lungo periodo si annullano.
Ma in alcune industrie vi sono barriere all’entrata: il # delle imprese è fisso.
La spiegazione più comune è che, anche nel lungo periodo, alcuni fattori produttivi sono disponibili
in quantità fissa (petrolio o minerali per l’industria estrattiva; terra per l’agricoltura).
In altri casi, la disponibilità di un fattore è limitata, non dalla natura, ma dalla legge (per es.: licenze
per i taxi, le farmacie ... ).
Si pensi ad un’impresa che ha bisogno di una licenza per operare.
La licenza è un costo fisso di lungo periodo, F.
Il costo totale di lungo periodo, quindi è: c(y) = F + cv(y).
E il costo medio è: AC(y) = AFC(y) + AVC(y).
Se il prezzo del prodotto è p*, un’impresa già operante nell’industria ottiene profitti positivi e
un’altra impresa è disposta a pagare un prezzo alto per la licenza. Il prezzo che si è disposti a
pagare per la licenza sale finché la curva del costo medio incluso il costo della licenza diventa
AC(y).
La rendita economica è la differenza tra ciò che le imprese sono disposte a pagare per un fattore e
il minimo necessario per ottenerlo.
Una licenza è un semplice pezzo di carta; produrla non costa nulla. Il costo fisso pagato al
proprietario della licenza è la rendita economica: rendita = F = p*y* − cv(y*).

MONOPOLIO
Confronto concorrenza perfetta e monopolio
La differenza fondamentale fra imprese perfettamente concorrenziali ed imprese monopoliste
risiede nella curva di domanda che fronteggiano.
L’impresa perfettamente concorrenziale fronteggia una curva di domanda perfettamente elastica
in corrispondenza del prezzo di mercato: a p* l’impresa può vendere la quantità di prodotto che
desidera. l monopolista fronteggia una curva di domanda con pendenza negativa.
Un aumento di p causa una riduzione di y.
Quindi, sebbene un monopolista abbia potere di mercato (può fissare p) non aumenta il prezzo a
dismisura perché deve considerare la reazione dei consumatori così come rappresentata dalla
curva di domanda di mercato. La curva di domanda funziona da vincolo per il monopolista.
Massimizzazione del profitto
Tutto ciò che un’impresa con potere di mercato può fare è scegliere la combinazione prezzo-
quantità sulla curva di domanda che massimizza i suoi profitti.
L’obiettivo fondamentale di un’impresa monopolista, al pari di un’impresa perfettamente
concorrenziale, è pertanto massimizzare il proprio profitto.
Siano p(y) la funzione di domanda inversa e c(y) la funzione di costo.
Sia R(y)=p(y)y la funzione del ricavo.
Il problema di massimizzazione del profitto per il monopolista sarà: max (y) = max R(y) − c(y).
∂ π ( y) ∂ R ( y ) ∂ c ( y )
Condizione di primo ordine: = − =0
∂y ∂y ∂y
∂R(y)/∂y è il ricavo marginale (saggio al quale varia il ricavo al cambiare del numero di unità
vendute).
∂c(y)/∂y è il costo marginale. Quindi un monopolista che intende massimizzare il profitto produce
in corrispondenza di un punto in cui il ricavo marginale è uguale al costo marginale cioè:
RM(y) = MC(y).
Nel caso di un’impresa concorrenziale il ricavo marginale è uguale al prezzo:
la vendita di una unità di prodotto in più fornisce ricavi aggiuntivi (marginali) sempre uguali al
prezzo.
Quindi, in concorrenza perfetta, la stessa condizione di massimo profitto si riduce a “p = MC”.
Per un monopolista, invece, la vendita di una unità in più comporta un abbassamento del prezzo di
vendita su tutte le unità vendute precedentemente.
Il ricavo marginale del monopolista è quindi il prezzo di vendita della nuova unità meno la perdita
dovuta alle variazioni di prezzo su quelle precedenti.

Monopolio e elasticità della domanda


Supponiamo che la domanda di mercato diventi meno sensibile a cambiamenti di prezzo (cioè
elasticità diventa meno negativa o domanda più rigida).
Abbiamo già visto che si può esprimere il ricavo marginale in funzione dell’elasticità:
1
MR ( y )= py [1+ ]
ε ( y)
¿ MC ( y ¿ )
¿ 1 p ( y )=
La condizione di massimo profitto diventa: p( y )[1+ ] =MC( y ¿ ) o 1
ε ( y) 1+
ε ( y)
Se ε(y*)=−3, si ha p(y*)=3/2MC(y*).
Se ε(y*)=−2, si ha p(y*)=2MC(y*).
Così se MC è costante quando l’elasticità aumenta (ossia la domanda diviene più rigida), al
monopolista conviene aumentare il prezzo.
Inoltre, questa equazione rende chiara la relazione fra monopolio e concorrenza.
In concorrenza ε=∞; cosicché 1/ε=0 e l’equazione si riduce a p(y*) = MC(y*).
Si noti che il monopolista non sceglierà mai di produrre nei tratti in cui la domanda è inelastica:
se ε>−1, allora 1/ε<−1 e [1+1/ε]<0;
il ricavo marginale è negativo e non può essere uguale al costo marginale.

Markup
¿ ¿
¿ MC ( y ) ε( y )
p ( y )= =MC ( y ¿ ) ¿
Usando questo risultato: 1 1+ ε ( y )
1+
ε ( y)
possiamo esprimere la politica di prezzo ottimale del monopolista dicendo che:
il prezzo è un markup, o ricarico, sul costo marginale, la cui ampiezza dipende dalla elasticità della
domanda.
¿
ε(y )
Il markup è: ¿ dato che Ɛ(y*)<-1, il markup è >1
1+ ε ( y )
Il markup è funzione crescente Ɛ(y*). È tanto più alto quanto più la domanda è inelastica.

Effetto di una tassa sul monopolista


Come varia il prezzo se viene introdotta una tassa sulla quantità pari a $t?
Il costo marginale aumenterà di un ammontare pari a t e questo fa calare il livello di output che
max il profitto. L’introduzione della tassa sposta il MC verso l’alto di un ammontare pari a t.
La produzione cala. Il prezzo aumenta.
Può il monopolista “scaricare” la tassa sul prezzo e farla pagare ai consumatori?
Supponiamo che il costo marginale di produzione sia costante e pari a k e che la curva di domanda

abbia elasticità costante e pari a ε. Senza tassa, il prezzo è: p(y*) =
1+ ε
(k +t ) ε
La tassa aumenta il costo marginale a (k+t), cambiando il prezzo che max π a: p ( y ) =
t
1+ε
L’ammontare di tassa scaricato sul prezzo è: p ( y ) −¿ p(y*)
t

(k + t )ε kε tε
p ( y ) −¿ p(y*)=
t
− =
1+ε 1+ ε 1+ ε
È la tassa “scaricata” sul prezzo.
Poiché ε<−1,ε/(1+ε)>1.
Quindi il monopolista aumenta il prezzo in misura superiore all’ammontare della tassa!
Consideriamo ora una tassa sui profitti.
In questo caso, il monopolista deve pagare una quota t del suo profitto, che quindi passa da
 (y*) a (1–t)  (y*).
Il problema diviene: max(1–t) [p(y) y – c(y)] che non cambia le decisioni ottimali!
La tassa sui profitti è, quindi, neutrale.

Inefficienza del monopolio


Un mercato è Pareto efficiente se non è possibile operare alcuna riallocazione a vantaggio di
qualcuno senza danneggiare qualcun altro.
L’equilibrio concorrenziale è Pareto efficiente perché il beneficio marginale per la collettività (non
per il produttore) è esattamente uguale al costo marginale.
Il costo marginale è il costo di un’unità aggiuntiva ed è lo stesso per la collettività e per il
monopolista.
Il beneficio marginale per la collettività è l’importo massimo che gli individui sono disposti a pagare
per acquistare un’unità in più – valore indicato sulla curva di domanda.
Il monopolista nel massimizzare il profitto confronta
– il costo marginale di produzione con il proprio beneficio marginale (il ricavo marginale)
– che è inferiore al beneficio marginale per il consumatore (sulla curva di domanda).
Questa discrepanza fra
il valore che la società assegna a un’unità in più di prodotto e il valore che essa ha per il
monopolista si traduce in una perdita di benessere, che rende il monopolio inefficiente.
Si verifica una perdita di surplus economico poiché il livello di output che massimizza il profitto del
monopolista è minore di quello socialmente ottimale.
Il monopolista riduce la quantità prodotta per aumentare il prezzo ma non riesce ad appropriarsi
di tutta la perdita di benessere dei consumatori.

Monopolio naturale
Un’industria è un monopolio naturale quando un’unica impresa è in grado di produrre la quantità
complessivamente domandata a un costo medio inferiore a quello che dovrebbero sostenere più
imprese produttrici.
In questo caso, è la struttura produttiva stessa (insieme con la dimensione del mk) a richiedere
un’unica impresa per poter minimizzare i costi e, quindi, produrre in modo efficiente.
D’altra parte, come ogni monopolista che massimizza il profitto, il monopolista naturale causa una
perdita netta.
Una possibile soluzione è la regolamentazione, cioè la fissazione del prezzo da parte dell’autorità
pubblica.
Però, nel caso di monopolio naturale, il costo marginale è minore del costo medio.
Di conseguenza, non è ottimale fissare p=MC perché indurremmo l’impresa a produrre in perdita.
Una soluzione alternativa è fissare un prezzo pari al costo medio:
in questo modo la produzione sarebbe maggiore che in monopolio non regolamentato (quindi
perdita di surplus minore), e l’impresa avrebbe profitti nulli.
Problema principale: necessità di conoscere i costi dell’impresa, informazione spesso privata del
monopolista.

COMPORTAMENTO MONOPOLISTICO
Un monopolista discrimina i prezzi se fissa più di un prezzo per il proprio output.
Es.: sconti per anziani e studenti; diverse edizioni di un libro; buoni sconto.
Sebbene la discriminazione di prezzo venga attuata per ottenere profitti maggiori, può portare ad
un’allocazione socialmente efficiente.
Generalmente, l’analisi economica distingue tra:
– discriminazione dei prezzi di primo grado;
– discriminazione dei prezzi di secondo grado;
– discriminazione dei prezzi di terzo grado.

Discriminazione di primo grado


L’impresa vende ogni unità di prodotto al prezzo massimo che ogni singolo consumatore è
disposto a spendere, ossia al prezzo di riserva di ogni consumatore.
Curva di domanda può interpretarsi come una curva della “disponibilità a pagare”.
Se il monopolista può osservare la disponibilità a pagare di ogni consumatore, può discriminare
“perfettamente” i prezzi.
Pertanto, un monopolista perfettamente discriminante (il quale è in grado di vendere ogni unità
prodotta al relativo prezzo di riserva) è Pareto-efficiente, ma si appropria dell’intero surplus.

Discriminazione di secondo grado


Sebbene interessante dal punto di vista teorico, perché fornisce l’esempio di un meccanismo di
allocazione di risorse, diverso da quello di un mercato concorrenziale, in cui si ha ugualmente
efficienza paretiana, la discriminazione “perfetta” dei prezzi rappresenta un’astrazione.
Il problema principale consiste nella difficoltà di valutare la disponibilità a pagare (WTP) dei singoli
consumatori.
Con la discriminazione dei prezzi di secondo grado
– unità diverse di output sono vendute a prezzi diversi,
– ma ogni consumatore che acquista la stessa quantità di output paga lo stesso prezzo.
Questo tipo di discriminazione viene attuata facendo in modo che i consumatori si
autoselezionino. Importante non l’identità ma la quantità.
Es. sconti per le vendite all’ingrosso, metano, elettricità.
Ma per stabilire i prezzi il monopolista deve conoscere le curve di domanda, cioè la loro WTP, e
rivolgersi esattamente a quel tipo.
Qual è il problema? Che il tipo2 (con maggior WTP) può fingere di essere il tipo 1 (con minor WTP)
ed il venditore non può distinguerli.

Discriminazione di terzo grado


Con la discriminazione dei prezzi di terzo grado
– il prezzo pagato dai consumatori che appartengono ad un certo gruppo è lo stesso per
qualunque quantità acquistata,
– ma il prezzo è diverso da un gruppo all’altro.
Di fatto è la più diffusa: si fissano prezzi diversi che massimizzano il profitto in mercati separati.
Esempi: entrata al cinema per studenti, sconto anziani sui treni.
Come può il monopolista determinare i prezzi ottimi in ciascun mercato?
Supponiamo che il monopolista
– sia in grado di identificare due gruppi di consumatori (due mercati)
– e possa vendere a ciascun gruppo uno stesso bene a un prezzo diverso.
I consumatori di ciascun mercato non possano rivendere il bene.
Siano y1 e y2 le quantità fornita al gruppo 1 e al gruppo 2, rispettivamente.
Siano p1(y1) e p2(y2) le funzioni di domanda inversa, rispettivamente, del gruppo 1 e 2.
Sia c(y1+y2) il costo di produzione dell’output.
Problema di massimizzazione del monopolista: max p1(y1)y1 +p2(y2)y2 −c(y1 +y2)
La soluzione ottima sarà: MR1(y1) = MC(y1+y2); MR2(y2) = MC(y1+y2)
Significato: il ricavo marginale deve eguagliare il costo marginale in ciascun mercato. Quindi, la
vendita di un bene nel mercato 1 o nel mercato 2 deve comportare uno stesso aumento del ricavo.
Il monopolista fissa il prezzo più alto nel mercato in cui la domanda è meno sensibile al prezzo
(anche se p ↑, la domanda ↓ meno).

Confezioni di beni (Bundling)


È un’altra strategia volta a selezionare i consumatori e realizzare una discriminazione di prezzo.
Consiste nel vendere due o più prodotti e/o servizi in una singola confezione ad un prezzo speciale.
Si distinguono bundling ‘puro’ (intero pacchetto o niente) e ‘misto’ (intero pacchetto o parte di
esso).
Quando si vende a molte persone differenti, il prezzo è determinato dall’acquirente con la minore
WTP.
L'offerta congiunta di Word ed Excel permette di ridurre la dispersione della disponibilità a pagare,
e quindi consente al monopolista di fissare un prezzo più alto per il pacchetto dei due beni.

Tariffe in due parti


Una tariffa in due parti consiste in una parte fissa, p1, più un prezzo p2 per ogni unità di prodotto
acquistata. Quindi il costo per l’acquisto di x unità di prodotto è p1 + p2x.
Qual è il valore più alto che p1 può assumere?
Poiché p1 è la “tariffa di ingresso”, può essere al max pari al surplus che il consumatore guadagna
entrando nel mercato.
Il monopolista max il profitto quando, usando una tariffa a due parti, fissa il prezzo per unità pari al
costo marginale e il prezzo fisso pari al surplus del consumatore.
Una tariffa a due parti che max il profitto dà un risultato efficiente (p = MC), ma il monopolista si
appropria di tutto il surplus.

Concorrenza monopolistica
È una forma di mercato “intermedia” che presenta alcune delle caratteristiche della concorrenza
perfetta ed altre del monopolio.
Caratteristiche principali:
Molti venditori: ci sono molte imprese che competono per accaparrarsi gli stessi clienti.
Libertà di entrata ed uscita: non esistono restrizioni all’ingresso ed all’uscita dal mercato; il
numero di imprese varia finché gli extra-profitti sono diversi da zero.
Differenziazione del prodotto: ciascuna impresa produce un prodotto che differisce in parte da
quello delle altre imprese. Pertanto, ciascuna impresa fronteggia una curva di domanda specifica
per quella varietà di prodotto ed inclinata negativamente (come in monopolio). Nel breve periodo
l’impresa MC segue la stessa regola di max del π del monopolista.
Questo perché nel breve periodo non esiste concorrenza per quella particolare varietà del
prodotto. La domanda per una certa varietà sarà tanto meno elastica al prezzo quanto più il bene
è differenziato.
Quindi nell’equilibrio di breve periodo:
– l’impresa monopolistica produce la quantità y* tale che MR(y*) = MC(y*);
– vende ad un prezzo superiore al costo medio; – ottiene profitti positivi.
L’ottenimento di π > 0 incoraggia l’ingresso di nuove imprese (ciascuna che produce una diversa
varietà del prodotto).
Per effetto dell’ingresso:
– aumenta il numero di prodotti offerti;
– si riduce la domanda disponibile per le imprese già esistenti e quindi le rispettive curve di
domanda si spostano a sinistra;
– al ridursi della domanda per ciascuna impresa, anche il profitto si riduce fino a zero.
L’equilibrio di lungo periodo della concorrenza monopolistica ha due proprietà.
1. Come in monopolio, p* > MC (perché max profitto richiede che MR = MC).
2. Come in concorrenza perfetta, p* = AC (la libertà di entrata e di uscita fa sì che in un eq. di lungo
periodo i profitti debbano essere nulli).

MERCATO DEI FATTORI


Un’impresa perfettamente competitiva è price-taker nei suoi mercati del prodotto e dei fattori.
Compra unità addizionali del fattore i finchè il costo aggiuntivo dell’ultima unità è uguale il ricavo
aggiuntivo generato da quella unità: MRPi (xi*) = wi
Per l’impresa competitiva questo ricavo aggiuntivo, cioè il valore del prodotto marginale derivante
da una unità di input i, è: MRPi (xi*) =p X MPi(xi). MRP è detto ricavo marginale del prodotto.
Supponiamo che l’impresa usi 2 fattori per produrre un solo output.
La funzione di produzione è y = f(x1,x2).
Quindi il profitto è pari a  (x1,x2) = p(y)y− w1x1 − w2x2.
La quantità di fattori impiegati che massimizzano il profitto è:
d ( p ( y ) y) d ( p( y) y)
∗∂ y ∗∂ y
∂π dy ∂π dy
= −w 1=0 e = −w 2=0
∂x 1 ∂x1 ∂ x2 ∂x 2
d(p(y)y)/dy = MR(y) < p per ogni y > 0 quindi la curva del ricavo marginale del prodotto per un
monopolista si trova al di sotto per ogni y >0 di quella di un’impresa concorrenziale.
Al margine l’impiego di una unità addizionale di fattore ha un valore inferiore per il monopolista
perché aumenta la quantità prodotta MA diminuisce il prezzo (che invece resta invariato in libera
concorrenza).

Monopsonio
Un solo acquirente (price-maker nei confronti del fattore).
Assumiamo per semplicità: mercato del prodotto concorrenziale, un solo fattore.
Max profitto: max [p f(x) – w(x) x] ovvero p MPx = w’(x) x + w(x)
ricavo marginale = costo marginale
N.B. Il costo marginale w’(x) x + w(x) è superiore al prezzo del fattore w(x) e quindi la quantità di
fattore impiegata sarà minore di quella scelta se l’impresa fosse concorrenziale sul mercato dei
fattori.

OLIGOPOLIO
L’oligopolio è una forma di mercato in cui poche grandi imprese interagiscono in modo strategico,
ossia cercando di anticipare la scelta delle imprese concorrenti.
Mentre sia in concorrenza perfetta che in monopolio le imprese max i profitti in presenza di un
solo vincolo esogeno (il prezzo di mercato o la curva di domanda)
Nel caso dell’oligopolio, oltre al vincolo della domanda di mercato, emergono considerazioni
strategiche sulle azioni delle altre imprese nel mercato.
Ogni scelta che l’impresa oligopolistica effettua può avere conseguenze diverse a seconda delle
azioni delle altre imprese.
Di conseguenza, il problema fondamentale dell’impresa oligopolistica è quello di formulare
aspettative sul comportamento delle altre imprese.
La concorrenza oligopolistica può assumere diverse forme a seconda che:
– la variabile strategica usata per competere sia il prezzo oppure la quantità;
– esista un’impresa leader;
– esistano incentivi alla collusione.
Consideriamo innanzitutto la situazione in cui le imprese competono scegliendo quanto produrre.

Modello di Cournot: Hp di base del modello sono le seguenti:


1) Il numero delle imprese è contenuto; noi assumeremo solo 2 imprese (duopolio).
2) Le decisioni delle imprese riguardano il livello del proprio output.
3) Il prodotto offerto è omogeneo.
4) Le decisioni di produzione sono prese simultaneamente ed indipendentemente dalle imprese.

Determinazione simultanea della quantità


Consideriamo una situazione di duopolio in cui due imprese (l’impresa 1 e l’impresa 2) offrono lo
stesso prodotto.
Se 1 produce y1 unità e 2 produce y2 unità, la quantità totale offerta è pari a: y1 + y2. Il prezzo di
mercato sarà funzione di questa quantità: p(y1+ y2).
Le funzioni di costo delle due imprese siano: c1(y1) e c2(y2).
Supponiamo che 1 consideri il livello di produzione di 2, y2, come dato.
Quindi 1 vede la sua funzione del profitto come: 1(y1;y2) = p(y1 + y2)y1 − c1(y1).
Dato y2, quale livello di output y1 massimizza il profitto di 1?
La funzione di domanda di mercato inversa sia: p(yT)=60−yT (yT =y1 +y2)
e le funzioni di costo siano c 1 ( y 1 )= y 12 e c 2 ( y 2 )=15 y 2+ y 22
Perciò, il livello di output che max i profitti di 1 deve risolvere la seguente CPO:
∂π 1
=60−2 y 1− y 2−2 y 1=0 da cui y 1=15− y 2
∂ y1 4
Questa equazione rende evidente come la scelta ottima di 1 dipenda da y2.
In generale, a ogni scelta di 2 (y2) corrisponderà un diverso y1.
Poiché descrive la reazione di 1 al livello di output scelto da 2, questa funzione è detta funzione di
reazione: y1 = R1 (y2).
Un equilibrio si ha quando il livello di produzione di ciascuna impresa è la migliore risposta al
livello di produzione dell’altra, così che nessuna vuole deviare dal suo livello di output.
Una coppia di livelli di output (y1*,y2*)è quindi un equilibrio di Cournot se
y1*=R1(y2*) e y2*=R2(y1*)
Nell’equilibrio di Cournot:
– ciascuna impresa massimizza il profitto, date le sue aspettative circa la scelta dell’altra impresa;
– tali aspettative si realizzano e quindi nessuna impresa ha interesse a deviare.
In generale, per calcolare l’equilibrio di Cournot, occorre:
– derivare le funzioni di reazione delle due imprese y1 = R1 (y2) e y2 = R2(y1);
– e poi sostituire l’una nell’altra.

Curve di isoprofitto
Per avere un’intuizione grafica della derivazione delle scelte ottimali delle imprese è utile
disegnare la mappa delle curve di isoprofitto.
Una singola curva di isoprofitto per l'impresa i (=1, 2) è data dall’equazione: i(y1, y2) = costante.
Così una curva di isoprofitto della impresa 1 è l’insieme delle coppie di output (y1, y2) che danno
ad 1 lo stesso livello di profitto 1.

Collusione
I profitti che derivano da un equilibrio di Cournot sono forse i maggiori che le imprese possano
conseguire complessivamente?
Questo significa che esiste un incentivo per entrambe le imprese ad abbassare la produzione e
“cooperare”. Questo tipo di comportamento (accordarsi per programmare una strategia comune)
è detto collusione. Imprese che colludono formano un “accordo” detto cartello.
Se le imprese decidono di fare un cartello, qual è il modo migliore di farlo?
Supponiamo che le imprese vogliano max il profitto complessivo e dividerlo fra loro → si
comportano congiuntamente come un monopolista.
Devono scegliere insieme i livelli di produzione y1 e y2 che max
m(y1,y2) = p(y1 + y2)(y1 + y2) − c1(y1) − c2(y2).
Le imprese non possono fare peggio con la collusione che da sole, dato che possono sempre
scegliere di produrre in corrispondenza dell’equilibrio di Cournot.
In altre parole, la collusione deve garantire un livello di profitti almeno pari a quello di Cournot.
Quindi, se le imprese scelgono simultaneamente la quantità da produrre, un cartello volto a max il
profitto congiunto è instabile: ciascuna impresa ha incentivo a romperlo.

Ordine del gioco


Il modello di Cournot suppone che le imprese decidano simultaneamente ed indipendentemente
quanto produrre.
Tuttavia, ci possono essere industrie nelle quali una delle imprese è dominante (leader) e quindi
sceglie per prima il proprio livello di output.
Le altre imprese (i followers) osservano la scelta dell’impresa leader e decidono a loro volta
quanto produrre.
Questo tipo di competizione in cui le imprese oligopoliste scelgono quanto produrre in sequenza è
detta concorrenza alla Stackelberg.

Leadership di quantità
Manteniamo inalterate le ipotesi del modello di Cournot tranne che le due imprese ora decidono
in sequenza.
In particolare, supponiamo che l’impresa 1 sia leader e l’impresa 2 sia follower. È meglio essere il
leader o il follower?
Il problema del follower
L’impresa follower si comporta come nel modello di Cournot:
per ogni possibile quantità scelta dalla rivale, l’impresa 2 sceglie quanto produrre sulla base della
propria funzione di reazione R2(y1), dove y1 è ora nota.
Il problema del leader
L’impresa leader 1 anticipa le risposte ottimali del follower.
Quindi, nel decidere quanto produrre, sostituisce y2 con la funzione di reazione dell’impresa 2
R2(y1).
Il problema del leader
La funzione dei profitti di 1 diventa:  s(y )=p(y +R (y ))y −c (y ).
Per massimizzare il suo profitto, 1 sceglie y1 in modo tale che ∂1S/∂y1 = 0.
Il leader può realizzare un profitto almeno uguale a quello corrispondente all’equilibrio di
Cournot?
Certo perché il leader può sempre scegliere di produrre quanto prescritto dall’equilibrio di
Cournot. Se non lo fa, significa che deve guadagnare almeno lo stesso (mai di meno).

Determinazione simultanea dei prezzi


La competizione fra imprese potrebbe svolgersi usando strategie di prezzo (cioè fissando il prezzo)
anziché di quantità.
Questo tipo di competizione in cui le imprese oligopoliste scelgono i prezzi simultaneamente è
detta concorrenza alla Bertrand.
Il costo marginale di ogni impresa sia costante e pari a c.
Se le imprese scelgono simultaneamente i loro prezzi, c’è un solo equilibrio (di Nash):
le imprese fissano i loro prezzi al livello del costo marginale c.
Supponiamo che un’impresa fissi il suo prezzo ad un livello più alto di quello dell’altra.
L’impresa con il prezzo più alto non avrebbe alcun cliente (i prodotti sono omogenei).
Quindi, in equilibrio, le imprese devono fissare lo stesso prezzo.
Supponiamo che il prezzo comune fissato dalle imprese sia maggiore del costo marginale c.
Un’impresa potrebbe abbassare il suo prezzo anche di un po’ e prendersi tutto il mercato,
aumentando il suo profitto.
Il solo prezzo comune che previene questo comportamento è c. Quindi questo è il solo equilibrio.
E se, invece di decidere simultaneamente il prezzo, un’impresa decidesse per prima e l’altra dopo?
Si avrebbe una leadership di prezzo, in cui l’impresa che fissa il suo prezzo prima è il leader.
L’impresa leader deve essere di grandi dimensioni, più efficiente dell’altra.
Leadership di prezzo
Problema del follower
Hp: il leader abbia fissato il prezzo p.
Il follower considera questo prezzo come dato e sceglie il livello di output che massimizza il suo
profitto.
Questa scelta coincide con quella di un’impresa concorrenziale (ma qui è dovuto al fatto che p è
stato fissato dal leader).
Per max il profitto, il follower deve scegliere un livello di output tale che MC = p.
In questo modo si determinala funzione di offerta per il follower, chiamiamola SF(p).
Problema del leader
L’impresa leader riconosce che, se fissa il prezzo p, l’offerta del follower sarà SF(p).
Ciò significa che il leader potrà vendere la quantità di output SL(p) = D(p) –SF(p).
Questa espressione rappresenta la funzione di domanda residuale per il leader.
Supponiamo che il leader sostenga un costo marginale costante pari a c.
Quindi, in corrispondenza del prezzo p, il profitto del leader è:
L (p) = p(D(p) − SF (p)) − c(D(p) − SF (p)) = (p − c)SL .
Per ottenere il max profitto, l’impresa leader si comporterà come un monopolista:
sceglierà un livello di output e un prezzo in modo che MR = MC.
Ma deve prendere in considerazione il ricavo mg associato alla funzione di domanda residuale.

TEORIA DEI GIOCHI


La teoria dei giochi offre gli strumenti matematici per analizzare situazioni in cui l’utilità dei vari
individui dipende non solo dalle proprie azioni, ma anche dalle azioni degli altri.
Studia il problema dell’interazione strategica
Un’impresa oligopolista, che deve decidere se ridurre i prezzi o aumentare le spese pubblicitarie,
dovrà valutare le risposte dei suoi rivali e la sua scelta dipenderà dalle sue aspettative sul
comportamento dei rivali.
Ogni gioco è definito da tre elementi:
1) il numero dei giocatori,
2) l’insieme delle possibili azioni (o strategie) a disposizione di ogni giocatore,
3) Il payoff ottenuto da ciascun giocatore, in termini di utilità o vincita, per ogni possibile esito del
gioco.
Quando il gioco coinvolge solamente due giocatori, tutti gli elementi del gioco possono essere
rappresentati con una matrice a 2 dimensioni, dove
– le strategie di un giocatore sono le righe,
– le strategie dell’altro giocatore le colonne,
– all’interno delle varie celle sono indicati i payoff associati al profilo di strategie corrispondente.

Equilibrio di Nash
In generale, un profilo di strategie è un equilibrio di Nash se la scelta di ogni giocatore è ottima
data la scelta (ottima) dell’altro.
In altri termini, nessun giocatore ha interesse a cambiare la propria scelta dato quello che fa
l’altro.

Dilemma del prigioniero


Per capire se i risultati preferiti sono anche quelli scelti, consideriamo un gioco famoso: il Dilemma
del Prigioniero.
Due persone, Berto e Caio, che commettono un delitto vengono arrestate dalla polizia.
Il Pubblico Ministero sa che i due hanno commesso il delitto, ma ha prove sufficienti per farli
condannare a 5 anni di prigione per un reato minore.
Allora, per indurli a confessare, li separa e presenta a ciascuno la seguente offerta:
«Se tu confessi ed il tuo compagno non confessa, tu starai in prigione per 1 anno mentre il tuo
compagno sconterà 30 anni.
Se tu non confessi mentre il tuo compagno confessa, sarà lui a stare dentro per 1 anno mentre tu
finirai in prigione per 30 anni. Se entrambi confessate, entrambi andrete in prigione per 10 anni.»
Entrambi i criminali sanno che se rimangono zitti, tutti e due staranno in prigione per 5 anni.
Che cosa dovrebbero fare Caio e Berto?
Questo è un gioco a mosse simultanee con due giocatori, ciascuno dei quali ha due strategie:
“rimanere zitto” e “confessare”.

Giochi sequenziali
I giochi sequenziali (detti anche giochi informa estesa) vengono descritti utilizzando un diagramma
ad albero che tiene conto della sequenza con cui vengono prese le decisioni, ed illustrai payoff
associati ad ogni possibile combinazione di scelte.
Questo modo di procedere per trovare l’equilibrio nei giochi in forma estesa è definito induzione a
ritroso. In maniera intuitiva, l’idea è la seguente.
Si parte dalla fine e si suppone che il giocatore che è chiamato a giocare per ultimo scelga la
strategia che gli offre il payoff maggiore.
Chi deve giocare per penultimo sa quindi cosa farà l’ultimo giocatore e si comporta come se fosse
lui l’ultimo a giocare.
In questo modo si procede passo dopo passo. In conclusione, il giocatore che è chiamato a
scegliere per primo sa già cosa succederà in corrispondenza di ogni sua scelta.

Strategie pure
Finora abbiamo assunto che i giocatori scelgano la propria strategia in modo definitivo.
Cioè, ogni giocatore attua la propria scelta e poi vi si attiene rigidamente.
In questo caso, si parla di strategia pura.

Strategie miste
Possiamo invece supporre che i giocatori scelgano le proprie azioni in modo casuale, secondo una
distribuzione di probabilità. Una strategia in cui un giocatore assegna probabilità positiva a
ciascuna azione possibile è detta strategia mista.
Se gioca una strategia mista, invece di giocare solo Up o Down, il giocatore A seleziona una
distribuzione di probabilità (πU,1-πU), cioè con probabilità πU giocherà Up e con probabilità 1-πU
Down. La strategia mista di B è(πL,1-πL), cioè con probabilità πL giocherà Left e con probabilità 1-
πL giocherà Right.

Esistenza dell’equilibrio di Nash


Si può dimostrare che un gioco con un numero finito di giocatori, ciascuno con un numero finito di
strategie pure, ha almeno un eq. di Nash.
Quindi se il gioco non ha un equilibrio di Nash in strategie pure deve avere almeno un equilibrio di
Nash in strategie miste.

INFORMAZIONE ASIMMETRICA
In mercati perfettamente competitivi, tutti gli agenti sono perfettamente informati circa i beni
scambiati (sia i compratori che i venditori conoscono la qualità del bene).
Ma...pensate al mercato dei servizi medici, delle assicurazioni o delle macchine usate.
Un medico è più informato sulle pratiche mediche del paziente (compratore).
Un individuo che vuole assicurarsi (vita, auto) conosce meglio il rischio che corre rispetto
all’assicuratore (venditore).
Il possessore di una macchina usata la conosce meglio di un potenziale acquirente.
Laddove un lato del mercato ha maggiori informazioni rispetto all’altro e può trarre vantaggio da
questa condizione si parla di asimmetria informativa.
L’informazione asimmetrica si può manifestare sotto forma di caratteristiche nascoste del bene o
servizio oggetto della transazione.
In questo caso si produce il fenomeno della selezione avversa (adverse selection).
Oppure si può manifestare sotto forma di azioni nascoste quando una delle parti compie un’azione
che ha effetti sulla controparte senza che questa lo sappia. In questo caso si produce il fenomeno
dell’azzardo morale (moral hazard).

Selezione avversa
Per selezione avversa si intende un processo per cui vengono “scacciati” dal mercato i beni che
possiedono le qualità preferite e rimangono quelli con le qualità meno desiderate.
Un equilibrio nel quale solo un tipo di bene è scambiato, oppure entrambi ma il compratore sa
distinguere fra essi, si dice equilibrio separating.
Un equilibrio nel quale entrambi i tipi di bene sono venduti e i compratori non sanno distinguere
fra essi si dice equilibrio pooling.

Teoria dei segnali


La selezione avversa è il risultato di una mancanza di informazione.
L’informazione potrebbe essere migliorata dai venditori di alta qualità attraverso segnali credibili
di questa caratteristica. Es. garanzie, credenziali, lettere di presentazione.
Consideriamo un mercato del lavoro con due tipi di lavoratori: alte/basse capacità.
Il prodotto marginale di un lavoratore ad alta capacità è MPH.
Il prodotto marginale di un lavoratore a bassa capacità è MPL< MPH.
Una frazione h di tutti i lavoratori ha alte capacità.
Ogni lavoratore è pagato in misura pari al suo prodotto marginale.
Se le imprese conoscessero il tipo di lavoratore che impiegano, pagherebbero un lavoratore
ad alta capacità wH = MPH; a bassa capacità wL= MPL.
Se le imprese non possono distinguere i lavoratori, pagano a ognuno il salario pooling e cioè il
prodotto marginale atteso: wP =(1−h)MPL +hMPH (<MPH)
Quindi i lavoratori ad alta abilità hanno un incentivo a “segnalare” questa loro caratteristica.
I lavoratori possono acquisire “istruzione”. L’istruzione ha un costo unitario di cH per i lavoratori
più abili. Ha un costo unitario di cL (> cH) per i lavoratori meno abili.
Supponiamo inoltre che l’istruzione non abbia effetti sulla produttività dei lavoratori.
Il costo dell’istruzione rappresenta quindi una perdita netta per la società.
I lavoratori ad alta capacità sceglieranno di comprare eH unità di istruzione se (i) wH – wL > cHeH,
(ii) wH – wL < cLeH.
La condizione (i) dice che la differenza di salario deve essere tale da rendere l’investimento in
istruzione conveniente per i lavoratori H.
La condizione (ii) dice che la differenza di salario deve essere tale da non consentire ai lavoratori L
di acquisire lo stesso livello di istruzione di H.
wH −wL wH −wl
Insieme implicano: < eH <
cL cH
Ottenere questo livello di istruzione segnala credibilmente un’alta capacità, consentendo ai
lavoratori più abili di separarsi da quelli meno abili.
I lavoratori a bassa abilità saranno pagati wL = MPL.
La segnalazione può migliorare l’informazione nel mercato.
Ma l’istruzione è costosa e non porta ad un aumento della produttività dei lavoratori. • Quindi c’è
un problema di efficienza.

Azzardo morale
L’azzardo morale è un’altra conseguenza dell’informazione asimmetrica.
In questo caso una parte del mercato non può osservare il comportamento della controparte, con
conseguente rischio di comportamento sleale.
Differenza tra selezione avversa e azzardo morale
− selezione avversa: problema di informazione nascosta;
− azzardo morale: problema di azione nascosta.

SCAMBIO
Iniziamo lo studio della teoria dell’equazione economico generale.
– che ha per obiettivo quello di spiegare come la domanda e l'offerta interagiscono nei vari
mercati per determinare i prezzi dei beni.
Hp semplificatrici: considereremo
• mk concorrenziali in cui gli individui prendono i prezzi come dati;
• economia senza produzione in cui gli individui hanno dotazioni fisse di beni e devono decidere
quanto scambiare;
• solo 2 consumatori e 2 beni.
Indichiamo con A e B i 2 consumatori.
Le loro dotazioni dei beni 1 e 2 siano: ϖ A =(ϖ 1 A , ϖ 2 A ) e ϖ B=(ϖ 1B , ϖ 2B )
Edgeworth ha elaborato (e Bowley ha perfezionato) un diagramma, detto scatola di Edgeworth,
per mostrare tutte le possibili allocazioni fra A e B delle quantità totali disponibili dei due beni.
A A
x 1 , x 2 denota un’allocazione per il consumatore A.
B B
x 1 , x 2 denota un’allocazione per il consumatore B.
Un’allocazione è possibile se e solo se: x 1 A + x 2 A ≤ ϖ 1 A +ϖ 2 A e x 1 B + x 2 B ≤ ϖ 1B + ϖ 2B
La quantità totale consumata di ciascun bene non eccede quella disponibile.
Un’allocazione che migliora il benessere di un consumatore senza ridurre quello di un altro è detta
migliore in senso paretiano.
Dal momento che ogni consumatore può rifiutarsi di scambiare i beni, le sole allocazioni possibili in
seguito allo scambio sono quelle migliori in senso paretiano.

Ottimo paretiano
Quando non saranno più possibili ulteriori miglioramenti dallo scambio?
Quando l’area in cui la soddisfazione di A è maggiore è disgiunta da quella in cui è maggiore la
soddisfazione di B.
Ossia l’area al di sopra della CdI di A non deve intersecare l’area al di sopra della CdI di B.
Le due CdI devono essere tangenti.
Quali sono dunque tutte le allocazioni Pareto- ottimali?
Quelle che si trovano in corrispondenza dei punti di tangenza tra le curve di indifferenza di A e B.
L'insieme delle allocazioni Pareto-efficienti (ovvero il luogo dei punti in cui non è possibile
migliorare la situazione di uno scambista senza peggiorare quella dell’altro) si chiama curva dei
contratti o insieme di Pareto.

Il Core
Il core è l’insieme di tutte le allocazioni Pareto- efficienti che migliorano il benessere di entrambi i
consumatori rispetto alla loro dotazione iniziale.
Uno scambio “razionale” dovrebbe raggiungere un’allocazione che sta nel core.
Ma quale fra le tante possibili?
Si consideri sempre lo scambio in mercati perfettamente competitivi.
Ogni consumatore è un price-taker che cerca di massimizzare la sua utilità dati p1, p2 e la sua
dotazione (dato, cioè, il vincolo di bilancio).

Scambio e mercati competitivi


Si dice che il mercato i(i=1,2) è in equilibrio se la quantità totale del bene i che ogni scambista è
disposto ad acquistare ai prezzi correnti (xi A + xi B) è uguale alla quantità totale disponibile (ωi A +
ωi B). L’equilibrio generale si ha quando i prezzi p1 e p2 sono tali per cui entrambi i mercati sono in
equilibrio.
Nel mk 1: x 1¿ A + x 1¿ B=ϖ 1 A +ϖ 1B Nel mk2: x 2¿ A + x 2 ¿B ≤ ϖ 2B +ϖ 2 B
Quindi l’equilibrio generale (o Walrasiano) indica un sistema di prezzi (p1*, p2*) in corrispondenza
dei quali:
– ogni consumatore sceglie il paniere preferito fra quelli che può acquistare;
– e le scelte dei consumatori (prese come un tutto) sono compatibili, nel senso che D = S in ogni
mercato (non c’è eccesso di D in alcun mercato).
Quindi ai prezzi p1 e p2 correnti c’è un:
– eccesso di offerta del bene 1;
– eccesso di domanda del bene 2.
Nessuno dei due mercati è in equilibrio e quindi i prezzi p1 e p2 non sono compatibili con
l’equilibrio generale.
Dato che c’è un eccesso di offerta per il bene 1, p1 diminuirà.
Dato che c’è un eccesso di domanda per il bene 2, p2 aumenterà.
Poiché l’inclinazione del vincolo di bilancio è p1/p2, il vincolo ruoterà attorno alla dotazione e
diventerà meno verticale.
Ai nuovi prezzi p1 e p2→D=S in entrambi i mercati e gli scambisti max la loro utilità. C’è equazione
generale. Lo scambio in mercati competitivi ha portato ad un’allocazione Pareto-efficiente. Questo
è ciò che dice il Primo teorema fondamentale dell’Economia del Benessere.

Primo teorema fondamentale dell’economia del benessere


Se le preferenze sono convesse, lo scambio in mercati perfettamente concorrenziali conduce ad
un’allocazione Pareto-efficiente. Dunque l’equilibrio in un mercato concorrenziale è Pareto-
efficiente. Il teorema vale anche per modelli più complessi con n beni ed m consumatori.
Pertanto, anche in casi più realistici, tutto ciò di cui ha bisogno un consumatore per prendere le
sue decisioni sono i prezzi ed il risultato finale sarà efficiente.
Il mk concorrenziale è, quindi, un ottimo meccanismo di allocazione delle risorse.
“Teorema della mano invisibile” di A. Smith!

Secondo teorema fondamentale dell’economia del benessere


Al primo Teorema fa seguito il secondo che afferma:
qualunque allocazione Pareto-efficiente (cioè ogni punto sulla curva dei contratti) può essere
raggiunta attraverso lo scambio in mercati competitivi se le allocazioni vengono re-distribuite
appropriatamente fra i consumatori.
Con preferenze convesse, per qualunque allocazione Pareto-efficiente, esiste un vettore dei prezzi
e un’allocazione iniziale che rende quell’allocazione raggiungibile attraverso lo scambio in mercati
competitivi.
Dunque, ogni allocazione Pareto-efficiente può corrispondere ad un equilibrio concorrenziale.
Qualunque distribuzione ritenuta “equa” può essere realizzata in mercati concorrenziali re-
distribuendo opportunamente le dotazioni senza toccare i prezzi.
Questo è importante perché modificare i prezzi (es: introdurre una tassa) può avere effetti
distorsivi.
Ma se siamo in grado di redistribuire le risorse, perché non portarle direttamente sul risultato
finale desiderato?
Problema: il governo non conosce la forma delle curve di indifferenza!
Il secondo teorema consente di considerare separatamente il problema della distribuzione e
quello dell’efficienza.

Legge di Walras
Sappiamo che, in equilibrio, D=S in ogni mercato: xi ¿ A + xi¿ B =ϖi A + ϖiB
E questo implica che, in ogni mk, l’eccesso di domanda aggregato è nullo:
¿A ¿B A B
xi + xi −ϖi −ϖi =0
Si può dimostrare che se l’eccesso di D aggregato del bene 1 è nullo, lo è anche l’eccesso di D
aggregato del bene 2.
Ciò significa che: se un mercato è in equilibrio, lo è anche l’altro.
Per dimostrarlo, usiamo la legge di Walras.
La legge di Walras è un’identità; cioè un’affermazione che è vera per ogni insieme di prezzi positivi
(di equilibrio e non).
Legge di walras: il valore dell’eccesso di domanda aggregata è identicamente uguale a zero per
qualunque insieme di prezzi positivi p1 e p2.
Un’implicazione della legge di Walras per un’economia di puro scambio con soli due beni è che se
un mercato è in equilibrio anche l’altro lo deve essere. In generale, se ci sono n mercati, basta
trovare un vettore dei prezzi in corrispondenza dei quali (n−1) mercati sono in eq. per essere certi
che anche il mercato n-mo è in equilibrio.
Quindi una seconda implicazione della legge per un’economia di puro scambio con due beni è che
l’eccesso di offerta in un mercato implica un eccesso di domanda nell’altro mercato.

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