La microeconomia è lo studio delle modalità con cui singoli agenti economici, quali consumatori,
lavoratori, imprese o manager, allocano risorse scarse tra usi alternativi.
Tale studio riguarda sia il comportamento di tali agenti che il modo in cui essi interagiscono dando
vita a sistemi più complessi come i mercati.
La microeconomia è una teoria delle scelte, sia quelle individuali sia quelle effettuate dalla società.
I modelli economici sono come mappe: semplificano l’elaborazione e la comprensione di concetti
complessi.
Un modello economico deve:
fornire una chiara rappresentazione della realtà
evidenziare le forze fondamentali alla base di un fenomeno.
Una variabile è esogena se il suo valore è dato in un certo modello, ossia se il suo valore è
determinato da processi esterni al modello.
Una variabile endogena è una variabile il cui valore è determinato internamente al modello.
La funzione obiettivo è la funzione che il soggetto decisore deve ottimizzare, cioè
massimizzare o minimizzare.
I vincoli rappresentano le restrizioni o i limiti imposti ai decisori.
Il comportamento può essere modellizzato come l’ottimizzazione di una funzione obiettivo sotto
uno o più vincoli.
L’ impatto marginale del cambiamento di una variabile esogena è l’impatto incrementale
dell’ultima unità della variabile esogena sulla variabile endogena.
L’equilibrio di un sistema è uno stato o una condizione che permane indefinitamente finché un
fattore esogeno al sistema rimane costante, ovvero fintanto che un agente esterno non sposta il
sistema dall’equilibrio.
L’equilibrio di un mercato competitivo è il punto nel quale la domanda eguaglia l’offerta (cioè il
punto nel quale le curve di domanda e offerta si intersecano).
La statica comparata esamina come un cambiamento in una variabile esogena influisce sul livello
di una variabile endogena. Essa consente di effettuare un’analisi del prima e del dopo comparando
due istantanee di un modello economico.
Il comportamento di un’economia aggrega il comportamento degli individui che la compongono.
Le decisioni individuali vengono regolate da quattro principi fondamentali. Altri tre principi
riguardano invece le interazioni tra individui.
1. Primo principio: Gli individui devono scegliere fra alternative (trade-off)
“Non esistono pasti gratis”, cioè per ottenere qualcosa che ci piace dobbiamo rinunciare a
qualcos’altro.
2. Secondo principio: Il costo di qualcosa è ciò a cui si deve rinunciare per ottenerla
Nel prendere una qualunque decisione si deve sempre considerare il costo-opportunità. Si
tratta di ciò a cui si deve rinunciare quando si prende una decisione e per calcolarlo occorre
considerare le alternative a disposizione.
3. Terzo principio: Gli individui razionali pensano al margine
Chi decide razionalmente intraprende un’azione solamente se il
beneficio marginale che ne trae è superiore al costo marginale.
Di solito la scelta non è fra tutto o niente ma su variazioni incrementali.
4. Quarto principio: Gli individui rispondono agli incentivi
Dato che gli individui prendono decisioni sulla base di costi e
benefici il loro comportamento cambia se questi si modificano.
5. Quinto principio: Lo scambio può essere vantaggioso per tutti. Gli individui (e gli Stati)
traggono beneficio dalla capacità di intrattenere rapporti di scambio.
Lo scambio permette la specializzazione individuale in ciò che si sa fare meglio e quindi
aumenta l’efficienza.
6. Sesto principio: I mercati sono di solito uno strumento efficace per organizzare l’attività
economica
Imprese e individui interagiscono nei mercati fondando le proprie decisioni sui prezzi e
sull’interesse personale. Si comportano come se fossero guidati da una “mano invisibile”
che li conduce verso il miglior risultato possibile, cioè il massimo benessere della società
nel suo complesso.
7. Settimo principio: A volte l’intervento dello Stato può migliorare il risultato del mercato
A cosa serve lo Stato se c’è la mano invisibile?
Lo Stato deve proteggerla: i mercati funzionano solo se i diritti di proprietà sono tutelati.
Inoltre, lo Stato può essere utile in presenza di fallimento del mercato (esternalità, potere
di mercato) o per promuovere obiettivi legati all’equità.
IL VINCOLO DI BILANCIO
L’insieme di bilancio è l’insieme delle combinazioni di consumo disponibili per un consumatore.
Linea di bilancio: insieme di panieri che un consumatore può acquistare spendendo tutto il suo
reddito disponibile.
Supponiamo che esistano n beni tra cui il consumatore può scegliere.
Indichiamo con il vettore (x1, x2,..., xn) il paniere di consumo contenente x1 unità del bene 1, x2
unità del bene 2 e così via fino a xn unità del bene n.
I prezzi dei beni sono noti e dati da p1,p2,..., pn.
Quando un consumatore può permettersi un paniere (x1, ... , xn) ai prezzi p1, ... , pn?
Quando la q.tà di moneta spesa per l’acquisto degli n beni non supera quella a sua disposizione,
ossia:
p1x1 + p2x2 + ... + pnxn ≤ m
dove m è il reddito (disponibile) del consumatore.
I panieri che si possono giust’appena acquistare formano il vincolo di bilancio. Si tratta dell’insieme
{(x1,...,xn)|x1≥0,...,xn ≥0e p1x1 +...+pnxn =m}.
Tassa ad valorem
La politica economica usa spesso strumenti, come le tasse, che modificano il vincolo del
consumatore.
La tassa sul valore grava sul valore (cioè sul prezzo) di un bene ed è di solito espressa in termini
percentuali.
Una tassa ad valorem sulle vendite con aliquota t aumenta tutti i prezzi da p a (1+t) p.
Una tassa sul valore del 5% aumenta il prezzo del 5%, da p a (p + 0,5p) = (1+0,05)p = 1,05p.
Se la tassa si applica su tutti i beni il vincolo cambia da
p1x1 + p2x2 = m a (1+t)p1x1 + (1+t)p2x2 = m cioè p1x1 + p2x2 = m/(1+t).
La tassa ad valorem ha avuto un effetto equivalente alla diminuzione di reddito da m a m/(1+t). È
come se fosse stata applicata una tassa sul reddito con aliquota 1-1/(1+t) cioè t/(1+t)
Prezzi relativi
Un bene numerario funge da unità di conto. Cambiando il numerario non cambia né il vincolo di
bilancio né l’insieme di bilancio.
Il vincolo per p1=2,p2=3,m=12 2x1+3x2 =12
è equivalente a: x1+ (3/2)x2=6
cioè al vincolo per p1 = 1, p2 = 3/2, m = 6.
Impostando p1=1, il bene1 diventa il numerario e definisce tutti i prezzi relativamente a p1
PREFERENZE
Un agente, di fronte ad un insieme di alternative possibili, sceglie sempre quella che preferisce.
Preferenze del consumatore: dati due panieri qualsiasi, forniscono delle indicazioni sulla
desiderabilità dell’uno rispetto all’altro, ipotizzando che i panieri siano acquistabili a costo zero.
Ordinamento delle preferenze
Supponiamo che confrontando due diversi panieri di consumo, x = (x1, x2) e y = (y1, y2), il
consumatore possa sempre ordinarli secondo la loro desiderabilità.
Il consumatore può, cioè, stabilire che uno dei panieri è migliore dell’altro o che è indifferente fra i
due.
Dati due panieri, si parla di:
– Preferenza stretta: se un paniere è inequivocabilmente preferito all’altro.
– Indifferenza: se si è ugualmente soddisfatti dai due panieri.
– Preferenza debole: se un paniere non è preferito all’altro (c’è indifferenza oppure si preferisce
uno all’altro).
> denota preferenza stretta;
x > y significa che il paniere x è strettamente preferito al paniere y.
~ denota indifferenza; x ~ y significa che x e y sono preferiti in ugual misura.
≥ denota preferenza debole; x ≥ y significa che x è preferito almeno tanto quanto y
N.B. Non sono segni di maggiore o minore. Sono simili, ma curvi.
Le relazioni di preferenza stretta, indifferenza e preferenza debole sono connesse fra di loro.
Se, per es.: x ≥ y e y ≥ x, concludiamo che x ~ y. x≥ y e non y ~ x, si conclude che x>y.
Assunzioni sulle preferenze
Normalmente si fanno delle assunzioni sulle relazioni di preferenza.
Alcune di queste sono fondamentali e vengono definiti “assiomi della teoria del consumatore”.
Vediamone tre:
Completezza: Per ogni due panieri x e y, è sempre possibile sostenere che
x≥y oppure y≥x oppure entrambi, nel qual caso il consumatore è indifferente fra x e y.
Riflessività: Ogni paniere è desiderabile almeno tanto quanto sé stesso, cioè x≥ x.
Transitività: Se x è desiderabile almeno tanto quanto y, e y è desiderabile almeno tanto
quanto z, allora x è desiderabile almeno tanto quanto z x≥ y e y≥ z x≥z.
Curve di indifferenza
Curva di indifferenza è una curva che unisce un insieme di panieri di consumo che danno al
consumatore lo stesso livello di soddisfazione.
L’intera teoria della scelta del consumatore può essere formulata in termini di preferenze che
soddisfino i 3 assiomi visti.
È utile rappresentare graficamente le preferenze per mezzo delle “curve di indifferenza”.
Si prenda un paniere di riferimento x’. L’insieme di tutti i panieri che per il consumatore sono
indifferenti rispetto a x’ formano la curva di indifferenza che contiene x’; cioè l’insieme di tutti i
panieri y ~ x’.
Poiché una “curva” di indifferenza non è sempre una curva un nome più adatto può essere quello
di insieme di indifferenza.
N.B. Le curve di indifferenza non si possono intersecare.
Pendenza
Quando una maggior quantità di una cosa è sempre apprezzata, quella cosa è detta bene.
Se ogni elemento del paniere è un bene le curve di indifferenza hanno pendenza negativa.
Quando una minor quantità di una cosa è sempre preferita, quella cosa è detta male.
Un bene ed un male= curva di indifferenza con inclinazione positiva.
Sazietà: un paniere strettamente preferito a qualsiasi altro è un punto di sazietà o punto di bliss.
Beni discreti
Un bene è infinitamente divisibile se può essere acquistato in qualunque quantità. Un bene è
discreto se si può prendere in unità 1, 2, 3, ... e così via.
Supponiamo che il bene 2 sia infinitamente divisibile (formaggio) mentre il bene 1 sia discreto
(giornali). Come si disegnano le curve di indifferenza? Le curve di indifferenza sono insiemi di
singoli punti.
Preferenze regolari
Si hanno preferenze regolari o “well- behaved” se queste sono monotone e convesse
Monotonicità: Maggiori quantità di un bene sono sempre preferite (non c’è sazietà e ogni
bene è un bene) → “più è meglio”.
Convessità: La media è preferita (almeno debolmente) agli estremi.
L’ipotesi che la media è preferita agli estremi viene mantenuta per qualsiasi peso t compreso fra 0
e 1, non solo 1⁄2.
Se x ~ y, allora tx+(1–t)y≥x per ogni 0 ≤ t ≤ 1.
Le preferenze sono strettamente convesse quando ogni mix z è strettamente preferito ai panieri
componenti x e y.
Le preferenze sono debolmente convesse se il mix z è almeno preferito tanto quanto i due panieri
estremi.
UTILITA’
Funzioni di utilità e curve di indifferenza
La funzione di utilità è una funzione che misura il livello di soddisfazione che un consumatore trae
da qualsiasi paniere di beni e servizi.
Relazioni di preferenza che soddisfino gli assiomi di completezza, riflessività e transitività e che
siano continue possono essere rappresentate da una funzione di utilità continua.
Continuità significa che piccoli cambiamenti nel paniere causano solo piccoli cambiamenti nel
livello di preferenza.
Una funzione di utilità U(x) rappresenta una relazione di preferenza se e solo se:
x’> x” U(x’)>U(x”)
x’< x” U(x’)<U(x”)
x’∼ x” U(x’)=U(x”)
L’utilità ha un significato esclusivamente ordinale.
Una curva di indifferenza contiene panieri ugualmente preferiti. Uguali preferenze ⇒ stesso livello
di utilità. Quindi tutti i panieri che si trovano su una curva di indifferenza danno lo stesso livello di
utilità.
Poiché è rilevante solo l’ordinamento dei panieri, possono esserci diversi modi di assegnare loro
valori di utilità. Se U(x1,x2) rappresenta un modo di assegnare valori di utilità ai panieri (x1,x2) →
moltiplicare U(x1,x2) per 2 è un modo altrettanto accettabile.
La moltiplicazione per 2 è un esempio di trasformazione monotona: cioè di un modo per
trasformare un insieme di numeri in un altro mantenendone invariato
l’ordine. Formalmente: f(U) è una trasformazione monotona di U se per ogni
U1 >U2→f(U1)> f(U2).
Se U è una funzione di utilità che rappresenta una relazione di preferenza e f è una funzione
sempre crescente, allora V = f(U) è una funzione di utilità che rappresenta le stesse preferenze; V è
una trasformazione monotona di U.
Ordinamento ordinale: ordinamento che indica se un consumatore preferisce un paniere a un
altro, ma non fornisce informazioni di tipo quantitativo sull’intensità delle preferenze.
Ordinamento cardinale: misura quantitativa dell’intensità della preferenza di un paniere rispetto
ad un altro.
SCELTA
Scelta ottima
Il principale postulato riguardante il comportamento di un agente economico è che egli sceglie
l’alternativa preferita fra tutte quelle disponibili.
Tutte le scelte disponibili costituiscono l’insieme di scelta.
Come viene scelto il paniere ottimale?
Il consumatore dovrebbe scegliere il paniere che si trova sulla curva di indifferenza più alta se non
avesse vincoli di reddito.
Quindi, dati i prezzi dei due beni (p1 e p2) e il suo reddito (m), cosa sceglierà il consumatore?
Per derivare il comportamento del consumatore occorre combinare l’insieme di bilancio con le
curve di indifferenza.
Per trovare la funzione di domanda di x2*, sostituiamo x1* nel vincolo di bilancio e otteniamo:
Quindi abbiamo trovato che le scelte ottime di un consumatore con preferenze Cobb-Douglas
sono:
In generale, quando x1* > 0 e x2* > 0, (x1*,x2*) esaurisce il budget, e le curve di indifferenza non
hanno angoli, le funzioni di domanda si ottengono risolvendo il seguente sistema di 2 equazioni:
(a) −p1/p2 = − UM1/UM2 (condizione di tangenza)
(b) p1x1* + p2x2* = m (vincolo di bilancio).
Ma se x1*=0? o se x2*=0?
Se x1* = 0 oppure x2* = 0, la scelta ottima (x1*,x2*) è una soluzione d’angolo o ottimo di frontiera.
Perfetti Complementi:
Il punto di ottimo nei perfetti complementi corrisponde al punto di vertice.
Determinazione algebrica della scelta ottima.
Sappiamo che il consumatore acquista sempre i due beni in un rapporto a:1 (ossia x2* = a x1*)
quali che siano i prezzi.
Sappiamo anche che il consumatore esaurisce il budget: p1x1* + p2x2* = m.
Il punto di ottimo allora equivale a: x1*=m/(p1+ap2); x2*=am/(p1+ap2).
Nella realtà possiamo osservare direttamente le scelte in corrispondenza di vari livelli di reddito e
di prezzo, ma non le preferenze.
Dalle scelte possiamo comunque stimare la funzione di utilità.
Questa può essere poi impiegata per valutare l’effetto di politiche economiche alternative.
DOMANDA
Proprietà delle funzioni di domanda
Esamineremo come varia la domanda di un bene al variare dei prezzi p1, p2 e del reddito m.
Faremo cioè un’analisi di statica comparata, mettendo a confronto la situazione precedente la
variazione con quella successiva.
Cambiamento di prezzo
Come cambia la domanda del bene 1 x1*(p1,p2,m) al variare di p1, tenendo p2 e m costanti?
Supponiamo che p1 aumenti, da p1’ a p1’’ e poi a p1’’’.
Fissiamo p2 e m. p1x1+p2x2= m. x2=m/p2-(p1/p2)x1.
Un aumento di p1 farà variare la pendenza e ruotare la retta di bilancio.
Ora ... per ogni valore di p1 indichiamo il livello ottimo di consumo (ossia la quantità domandata)
del bene 1.
In tal modo possiamo rappresentare la domanda del bene 1 come funzione di p1 se p2 e m sono
mantenuti costanti.
Congiungendo i punti di ottimo ottenuti al variare di p1 si ottiene la curva prezzo-consumo.
La curva che contiene tutti i panieri che max l’utilità al variare di p1, con p2 e m costanti, è la curva
prezzo-consumo. La curva di domanda ad essa associata descrive la scelta ottima del bene 1 in
funzione del suo prezzo.
Com’è la curva prezzo-consumo nel caso di preferenze Cobb-Douglas? Sia:
Notare che x2* non varia con p1 quindi la curva prezzo-consumo è piatta (e la curva di domanda
per il bene 1 è una iperbole equilatera).
Com’è la curva prezzo-consumo nel caso di perfetti complementi 1:1?
U(x1,x2)= minx1,x2.
Le funzioni di domanda per i beni 1 e 2, già trovate sono:
x1*(p1,p2,m)=x2*(p1,p2,m)= m/(p1,p2).
Con p2 e m costanti, un più alto p1 causa più piccoli x1* e x2* che sono domandati nella stessa
quantità.
Se p1 tende a infinito e x1*=x2* tende a 0
Se p1 tende a 0 (è gratis), x1*=x2*=m/p2 (la quantità dei 2 beni che si può consumare dipende
solo dal prezzo del bene 2).
La curva prezzo-consumo è una diagonale, dato che il consumatore domanda la stessa quantità dei
due beni.
Domanda Inversa
Di solito ci chiediamo “Dato il prezzo del bene 1 quant’è la quantità domandata?”
Ma ci si potrebbe porre la domanda inversa “A quale prezzo del bene 1 verrebbe richiesta una
data quantità del bene 1?
Derivare la funzione di domanda inversa di un bene significa considerare le quantità domandate
come date e chiedersi quale deve essere il prezzo del bene perché il consumatore scelga quella
quantità.
La funzione di domanda inversa rappresenta la stessa relazione della funzione di domanda diretta,
ma da un altro punto di vista.
Consideriamo, ad esempio, la domanda Cobb-Douglas del bene 1:
x1*= (a/a+b)(m/p1) è la funzione di domanda diretta.
p1=(a/a+b)(m/x1*) è la funzione di domanda inversa.
Variazioni di reddito
Come cambia il valore di x1*(p1, p2, m) al variare di m, tenendo sia p1 che p2 costanti?
Fissiamo p1 e p2 e facciamo variare m.
Supponiamo che all’inizio m=m’’’. Poi si riduce a m’’<m’’’. Poi si riduce a m’<m’’<m’’’.
Unendo i panieri domandati ottenuti in seguito allo spostamento della retta di bilancio otteniamo
la curva reddito-consumo.
Se teniamo fissi i prezzi dei beni e osserviamo le variazioni della domanda al variare del reddito,
otteniamo la cosiddetta curva di Engel.
Quindi, la curva di Engel rappresenta la domanda di un bene in funzione del reddito.
Preferenze Cobb-Douglas:
Le funzioni di domanda sono: x1*= (a/a+b)(m/p1) e x2*= (a/a+b)(m/p2).
La curva di Engel è (curva di domanda con la m portata a sinistra):
m= [(a+b)p1]/a * x1 Curva di Engel bene 1
m= [(a+b)p2]/b * x2 Curva di Engel bene 2
Perfetti complementi:
U (x1,x2)= min x1,x2. Funzioni di domanda: x1*=x2*=m/(p1+p2).
Portando m a sinistra si ha:
m=(p1+p2)x1* Curva di Engel bene 1.
m=(p1+p2)x2* Curva di Engel bene 2.
Le curve di Engel sono rette con pendenza (p1+p2).
Perfetti sostituti:
Supponiamo che m=p1x1* e x2*=0
La curva di Engel per il bene 1 è una retta con pendenza p1.
La curva di Engel per il bene 2 è una retta che si muove sull’asse delle y (dove si trova m).
Preferenze omotetiche
Le preferenze sono omotetiche se e solo se:
(x1,x2)<(y1,y2) (kx1, kx2)<(ky1,ky2) per ogni costante k>0
Nel caso di preferenza omotetiche, se il reddito varia di un fattore k il paniere domandato varia
nella stessa misura. Quindi, le curve di Engel sono rette: se m raddoppia, anche la domanda di ogni
bene raddoppia.
PREFERENZE RIVELATE
Analisi delle preferenze rivelate
Supponiamo di osservare le scelte di consumo che fa un consumatore per diversi vincoli di
bilancio. Questo ci rivela informazioni sulle preferenze del consumatore. Possiamo usare queste
informazioni per testare l’ipotesi che il consumatore sceglie il paniere preferito fra quelli
disponibili e scoprire la struttura delle preferenze del consumatore.
Le preferenze non cambiano mentre si raccolgono i dati sulle scelte, sono strettamente convesse e
sono monotone. Insieme, convessità e monotonicità, implicano che il paniere è sempre uno solo
dato dal reddito.
Rivelazione diretta
Supponiamo che il paniere x* sia scelto quando anche il paniere y è consentito dal vincolo. Allora
x* si rivela direttamente come preferito a y (altrimenti si sarebbe scelto y).
Rivelazione indiretta
Supponiamo che x si riveli direttamente preferito a y, e y si riveli direttamente preferito a z. Allora,
per la proprietà della transitività, x è rivelato indirettamente preferito a z.
EQUAZIONE DI SLUTSKY
Effetti di un cambio prezzo
Cosa succede ad un bene quando il suo prezzo varia?
Si hanno due effetti: il saggio al quale si può scambiare un bene con un altro varia e il potere
d’acquisto del reddito viene modificato.
Se il prezzo del bene 1 diminuisce, il bene 1 diventa relativamente meno costoso occorre
rinunciare a una quantità minore del bene 2 per acquistare il bene 1.
Il primo effetto – la variazione della domanda dovuta alla variazione del saggio di scambio tra i due
beni – viene definito effetto sostituzione.
Il secondo effetto – la variazione della domanda dovuta alla variazione del potere d’acquisto –
viene definito effetto reddito.
Slutsky dimostrò come la variazione complessiva della domanda in seguito a cambiamenti del
prezzo equivale alla somma dell’effetto di sostituzione e dell’effetto di reddito.
Slutsky isolò la variazione della domanda dovuta solamente al cambiamento nel prezzo relativo
chiedendosi:
“Qual è la variazione della domanda quando il reddito del consumatore viene cambiato in maniera
tale che, ai nuovi prezzi, si possa comprare proprio il paniere iniziale?”
Dotazioni
L’insieme delle risorse di cui è dotato un consumatore all’inizio (cioè prima di presentarsi sul
mercato) è detto dotazione. Chiameremo questa dotazione iniziale omega: ω.
Quindi dati p1 e p2, il vincolo di bilancio per un consumatore con una dotazione è (ω1, ω2).
p1x1+p2x2=p1 ω1+p2 ω2. L’insieme di bilancio è:
(x1, x2)p1x1+p2x2 ≤ p1 ω1+p2 ω2, x1≥0, x2≥0.
p1(x1 −ω1)+p2(x2 −ω2) =0 questa è la domanda netta complessiva, che è la differenza fra ciò
che il consumatore effettivamente consuma e la sua dotazione iniziale, è pari a zero.
Equazione di Slutsky
variazioni della domanda causate da un cambiamento di prezzo sono la somma di un effetto
sostituzione puro, e un effetto di reddito.
Questo assumeva che il reddito y non cambiasse con i prezzi. Ma y = p1ω1 + p2ω2 cambia con il
prezzo. Come questo modifica l’equazione di Slutsky?
Un cambio in p1 o p2 cambia y=p1ω1+p2ω2 quindi ci sarà un effetto reddito in più detto effetto di
reddito di dotazione.
La scomposizione di Slutsky avrà quindi tre componenti un effetto sostituzione puro, un effetto di
reddito ordinario e un effetto di reddito di dotazione.
Complessivamente, variazioni della domanda causate da una variazione dei prezzi sono la somma
di:
un puro effetto sostituzione
un effetto di reddito ordinario
un effetto di reddito di dotazione
SCELTA INTERTEMPORALE
Valori presenti e futuri
Dato il tasso di interesse r il valore futuro fra un periodo di €1 è: FV=1+r.
Dato un tasso di interesse r il valore futuro fra un periodo di €m è: FV=m(1+r).
Supponiamo che si possa pagare oggi per ottenere €1 all’inizio del prossimo periodo. Quanto si
dovrebbe pagare al max?
Se investissimo €1 oggi all’inizio del prossimo periodo avremmo €(1+r) > €1, quindi pagare €1 oggi
per €1 il prossimo periodo non è un buon affare.
Quanto si deve risparmiare oggi per avere €1 il prossimo periodo?
€m risparmiati oggi diventano €m(1+r) all’inizio del prossimo periodo, quindi si vuole un m tale che
m(1+r) = 1.
Quindi, m = 1/(1+r), il valore attuale di €1 all’inizio del prossimo periodo.
Quindi il valore attuale di €1 disponibile all’inizio del prossimo periodo è: PV= 1/1+r
E il valore attuale di €m disponibile all’inizio del prossimo periodo è: m/1+r
(1+r)c1+c2=(1+r)m1+m2 è il vincolo di bilancio in termini di valore futuro dato che tutti i termini
c2 m2
sono portati al periodo 2. Una forma equivalente è c1+ =m1+
1+r 1+ r
che rappresenta il vincolo di bilancio in termini di valore attuale dal momento che tutti i termini
sono in valori attuali. Ora aggiungiamo i prezzi p1 e p2 per il consumo nei periodi 1 e 2.
Come cambia il vincolo di bilancio?
Scelta intertemporale
Data la sua dotazione (m1,m2) e i prezzi p1, p2 quale paniere di consumo intertemporale (c1*,c2*)
sarà scelto dal consumatore?
La max spesa possibile nel periodo 2 è: m2+(1+r)m1, quindi il max consumo possibile nel periodo 2
m2+ ( 1+r ) m1
è: c2= .
p2
m2
Allo stesso modo, la max spesa possibile nel periodo 1 è m1+ , quindi il max consumo
1+ r
m1+m 2/(1+r )
possibile nel periodo 1 è: c1= .
p1
Infine, se c1 unità sono consumate nel periodo 1 il consumatore spende p1c1 in 1, lasciando
m1 - p1c1 come risparmio del periodo 1. Il reddito disponibile nel periodo 2 sarà: m2+(1+r)(m1-
p1c1), quindi p2c2=m2+(1+r)(m1-p1c1).
Che diventa (1+r)p1c1+p2c2=(1+r)m1+m2. Questo è il vincolo di bilancio in termini di valore futuro
dal momento che tutti i termini sono espressi in valori del periodo 2. Si può anche scrivere in
p2 m2
termini di valore attuale: p1c1+ c2=m1+ .
1+ r 1+ r
Inflazione
Sia π il tasso di inflazione, dove p1(1+ π)=p2.
Possiamo semplificare l’analisi assumendo che p1=1 e quindi
p2 = 1+ π.
p2 m2 1+ π m2
Possiamo allora riscrivere il vincolo di bilancio p1c1+ c2=m1+ come c1+ c2=m1+ .
1+r 1+ r 1+r 1+r
1+r 1
Che diventa c2=- c1+ [m1(1+r)+m2], quindi la pendenza del vincolo di bilancio
1+ π 1+ π
1+r
intertemporale è – .
1+ π
Quando non c’è inflazione (p1=p2=1) la pendenza è -(1+r).
Se c’è inflazione, la pendenza del vincolo di bilancio è -(1+r)/(1+ π). Questo può essere scritto
1+r
come: –(1+ ρ)=- . ρ è detto tasso di interesse reale.
1+ π
r−π
Si ottiene: ρ= ..
1+ π
Rappresenta la quantità di consumo addizionale che si può ottenere nel periodo 2 rinunciando ad
una parte del consumo del periodo 1
Statica comparata
1+r
La pendenza del vincolo di bilancio è –(1+ ρ)=- .
1+ π
La retta si appiattisce se il tasso di interesse r cala o se l’inflazione π aumenta
(entrambi diminuiscono il tasso di interesse reale).
Un aumento dell’inflazione o un calo del tasso di interesse rende più piatta la retta del vincolo di
bilancio. Se il consumatore risparmia il risparmio e il benessere si riducono a causa del minor tasso
di interesse o della maggior inflazione.
Un aumento dell’inflazione o un calo del tasso di interesse appiattisce il vincolo di bilancio
INCERTEZZA
Cos’è incerto nei sistemi economici?
I prezzi di domani; la ricchezza futura; la disponibilità futura di beni; le azioni presenti e future
delle altre persone.
Quali sono le risposte razionali all’incertezza?
assicurarsi (salute, vita, auto); fare un piano di consumo condizionato, cioè stabilire cosa sarà
consumato in ogni diverso stato di natura
Possibili stati di Natura: “incidente automobilistico” (a); “nessun incidente” (na).
L’incidente avviene con probabilità πa La probabilità che non avvenga è πna.
πa + πna = 1. L’incidente causa una perdita di €L
Consumo condizionato
Un contratto attivo solo quando accade un particolare stato di Natura è detto contingente allo
stato. Un piano di consumo condizionato si implementa solo quando accade un particolare stato di
Natura.
Assicurazione equa
Assumiamo che l’entrata nel mercato delle assicurazioni sia senza costi.
Profitti attesi = 0.
γK - πaK - (1 - πa)0 = (γ - πa)K = 0.
Cioè libero ingresso ⇒ γ = πa.
Se il prezzo di $1 di assicurazione = probabilità di incidente, l’assicurazione è equa.
Se l’assicurazione è equa, le scelte razionali di assicurazione soddisfano:
(γ/1- γ)= (πa/1-πa)= [πaMU(ca)]/[ πanMU(cna)]
Cioè: MU(ca)=MU(cna). L’utilità marginale del consumo deve essere la stessa in entrambi gli stati.
Avversione al rischio ⇒ MU(c) ↓ as c ↑. Quindi Ca=Cna. Si ha assicurazione totale
Equazione non equa
Si assuma che gli assicuratori conseguano un profitto atteso.
Cioè γK-πaK-(1-πa)0=(γ-πa)K>0.
Quindi: (γ/1- γ)> (πa/1-πa), MU(Ca)>MU(Cna); quindi Ca<Cna.
Cioè una persona avversa al rischio non si assicura pienamente se l’assicurazione non è equa.
Prezzi di riserva
Prendiamo in considerazione un bene discreto; ossia un bene che può essere acquistato solo in
unità intere.
Esiste un prezzo massimo r1 al quale il consumatore è disposto a comprare la prima unità del
bene. A tale prezzo l'individuo è indifferente tra comprare e non comprare.
Il prezzo massimo r1 viene definito prezzo di riserva per la prima unità del bene.
Una volta che il consumatore ha 1 unità del bene, ci sarà un prezzo massimo r2 al quale egli è
disposto a comprare la seconda unità del bene. r2 è il suo prezzo di riserva per la seconda unità del
bene.
Una volta che il consumatore ha n–1 unità del bene, ci sarà un prezzo massimo rn al quale egli è
disposto a comprare la n-ma unità del bene. rn è il suo prezzo di riserva per la n-ma unità del
bene.
In ciascun caso, il prezzo di riserva misura, in termini monetari, l’incremento dell’utilità necessario
ad indurre il consumatore a scegliere un’unità addizionale del bene.
Possiamo quindi dire che i prezzi di riserva sono il corrispettivo monetario dell’utilità marginale
associata ad ogni unità addizionale del bene.
r1 =corrispettivo monetario dell’utilità marginale della prima unità del bene.
r2 =corrispettivo monetario dell’utilità marginale della seconda unità del bene
rn =corrispettivo monetario dell’utilità marginale della n-ma unità del bene.
Variazione compensativa
p1 aumenta.
Di quanto reddito addizionale c’è bisogno, ai nuovi prezzi, per ripristinare il livello di utilità iniziale
del consumatore (cioè per tornare sulla CdI iniziale)?
La quantità di moneta che si dovrebbe dare ad un consumatore per compensarlo dell’aumento del
prezzo si chiama variazione compensativa.
Variazione equivalente
p1 aumenta.
Di quanto reddito in meno c’è bisogno, ai prezzi originari, per ottenere lo stesso livello di utilità
finale?
La quantità di moneta che un consumatore pagherebbe per evitare l’aumento del prezzo si chiama
variazione equivalente.
ASTE
Tipi di aste:
Asta all’inglese: le offerte sono pubbliche, il prezzo aumenta fino a che non ci sono ulteriori
offerte più alte, il miglior offerente vince e si aggiudica il bene, il vincitore paga ciò che ha
offerto.
Asta a offerta segreta o in busta chiusa: le offerte sono segrete, vengono fatte tutte allo
stesso tempo, l’offerta più alta vince, il vincitore paga ciò che ha offerto.
Asta filatelica o asta di Vickrey: le offerte sono segrete, vengono fatte tutte allo stesso
tempo, l’offerta più alta vince, il vincitore paga il prezzo corrispondente all’offerta
immediatamente più bassa alla sua.
Asta all’olandese: il banditore parte da un prezzo alto e lo diminuisce gradatamente fino a
che qualcuno non sia disposto ad acquistare il bene, il primo partecipante che accetta vince
e paga il prezzo raggiunto.
Aste a valore privato: ogni potenziale compratore sa con certezza qual è la sua propria
valutazione del bene in vendita, tutte le valutazioni sono indipendenti dalle altre.
Aste a valore comune: il bene in vendita ha lo stesso valore per ogni potenziale acquirente,
potenziali acquirenti differiscono nelle stime che fanno di questo valore comune
Efficienza
Efficienza paretiana: L’oggetto deve essere venduto al compratore che attribuisce al bene il valore
più elevato.
L’asta all’inglese è efficiente, infatti se un compratore con valutazione bassa stesse per comprare il
bene, il compratore con più alta valutazione potrebbe farsi avanti e offrire di più.
L’asta all’olandese potrebbe non essere efficiente. Nessun compratore conosce il valore che gli
altri attribuiscono a quel bene e quindi il compratore con la valutazione più alta potrebbe
aspettare troppo e perdere l’offerta a favore di un altro.
L’asta a offerta segreta potrebbe non essere efficiente. Nessun compratore conosce il valore che
gli altri attribuiscono a quel bene e quindi il compratore con la valutazione più alta potrebbe offrire
troppo poco e perdere a favore di un altro.
L’asta di Vickrey è Pareto efficiente anche se nessun compratore conosce le valutazioni degli altri.
Asta di Vickrey
Nessun offerente conosce che valore gli altri attribuiscono al bene.
Cionondimeno, è razionale per ogni offerente fare un’offerta pari all’effettivo valore
attribuito al bene. Perchè?
Es. due offerenti con valutazioni v1 e v2. Le offerte sono b1 e b2.
Il payoff atteso del primo partecipante è (v1 − b2) Pr(win) + 0 × Pr(lose) =(v −b )Pr(b ≥b ).
Guadagno atteso del primo partecipante (v −b )Pr(b ≥b ).
Come è massimizzato?
Se v1 > b2, vorrà max la probabilità di vincere fissare b1 = v1.
Se v1 < b2, vorrà minimizzare la probabilità di vincere fissare b1 = v1.
In ciascun caso “dire la verità” è la strategia migliore!
Dal momento che “dire la verità” è la miglior strategia per ogni partecipante, l’offerente con la
valutazione più alta vincerà.
Quindi questo tipo di asta è Pareto- efficiente.
Inoltre consente di ottenere lo stesso risultato di un’asta all’inglese senza le iterazioni.
Prezzo di riserva
L’offerta sotto la quale il venditore non è disposto a scendere
Il prezzo di riserva può consentire di raggiungere l’obiettivo di max del profitto
Tuttavia il risultato potrebbe non essere efficiente
DOMANDA DI MERCATO
Si pensi ad un’economia che contiene n consumatori, indicizzati con i = 1, ... ,n.
La funzione di domanda del bene j da parte del consumatore i è: xj* i (p1, p2, mi)
Se i consumatori considerano i prezzi come dati, la domanda di mercato del bene j è:
n
xj( p 1, p 2 ,m1 … , mn )=∑ xj ¿ i (p 1 , p 2 , mi).
i=1
Se tutti i consumatori sono uguali: xj (p1, p2, M)=n xj* (p1, p2, m) dove M=n*m.
La curva di domanda di mercato è la “somma orizzontale” delle curve di domanda individuali.
Elasticità
L’elasticità misura la sensibilità o reattività di una variabile rispetto ad un’altra.
%Δ X x1− X
L’elasticità della variabile X rispetto alla variabile Y è ε x , y = dove % Δ X = 0
×100
%ΔY X0
Applicazioni economiche dell’elasticità:
Viene impiegata per misurare la sensibilità della
– quantità domandata del bene i rispetto al suo prezzo (elasticità della domanda al proprio
prezzo),
– domanda del bene i rispetto al prezzo del bene j (elasticità incrociata al prezzo),
– domanda del bene i rispetto al reddito (elasticità della domanda al reddito),
– quantità fornita del bene i rispetto al prezzo del bene i (elasticità dell’offerta al proprio prezzo),
– quantità fornita del bene i rispetto al salario (elasticità dell’offerta rispetto al prezzo del lavoro).
Elasticità di arco
Una elasticità “media” al proprio prezzo della domanda del bene i su un intervallo di valori di pi è
detta elasticità di arco, di solito calcolata considerando il punto di mezzo.
Elasticità e ricavo
Il ricavo corrisponde al prodotto del prezzo di un bene per la quantità venduta: R(p) = p ∙ X*(p).
Se l’aumento del prezzo causa una riduzione sufficientemente piccola della quantità domandata, il
ricavo dei venditori aumenta. Quindi, una domanda inelastica comporta un aumento dei ricavi
all’aumentare dei prezzi.
Se, invece, all’aumentare del prezzo la quantità domandata diminuisce considerevolmente, il
ricavo del venditore diminuisce.
Quindi una domanda elastica al proprio prezzo comporta una diminuzione dei ricavi all’aumentare
dei prezzi. Esiste un’utile relazione fra l’elasticità e la variazione dei ricavi.
dR ¿
= X ( p ) [1+ ε ]
dp
Se ε=−1, si ha dR/dp=0 una variazione del prezzo non altera il ricavo del venditore.
Ma se−1<ε≤0, si ha dR/dp>0 se la domanda è inelastica, un aumento del prezzo aumenta il ricavo.
E se ε<−1, si ha dR/dp<0 se la domanda è elastica, un aumento del prezzo riduce il ricavo.
Riassumendo:
Domanda inelastica al prezzo: l’aumento del prezzo aumenta il ricavo.
Elasticità al prezzo unitaria: l’aumento del prezzo non cambia il ricavo.
Domanda elastica al prezzo: l’aumento del prezzo diminuisce il ricavo.
EQUILIBRIO
Fare un’analisi dell’equilibrio significa studiare come variano i prezzi fino a rendere compatibili le
scelte di domanda e offerta degli agenti economici.
Per fare un’analisi di equilibrio, dobbiamo considerare l’offerta di mercato.
La curva di offerta, S(p), ci dice la quantità di un bene che si è disposti a offrire in corrispondenza di
ogni p.
Supponiamo che esista un certo numero di consumatori di un bene.
Date le curve di domanda individuali, possiamo sommarle per ottenere la curva di domanda di
mercato D(p).
Analogamente, se esistono più persone che offrono il bene, possiamo sommare le curve di offerta
individuali per ottenere la curva di offerta di mercato S(p).
I consumatori e gli offerenti individuali pensano di non avere nessun controllo sui prezzi → li
assumono come dati.
Quindi prendono le decisioni migliori possibili dati quei prezzi.
Un mercato in cui gli agenti economici considerano p al di fuori del loro controllo è definito
mercato concorrenziale.
Sebbene il prezzo in un mercato concorrenziale sia indipendente dalle azioni di ciascun agente
economico, sono le azioni degli agenti, considerati globalmente, a determinarlo.
Il prezzo di equilibrio di un bene è il prezzo p* in corrispondenza del quale la domanda di mercato
è uguale all’offerta di mercato.
Geometricamente, il prezzo di equilibrio è il punto nel quale la curva di domanda di mercato e la
curva di offerta di mercato si intersecano.
Il prezzo di equilibrio sarà quindi il prezzo p*che risolve l’equazione: D(p*) = S(p*)
Perché un tale prezzo è di equilibrio?
In economia si ha una situazione di equilibrio se – tutti gli individui (ossia consumatori & venditori)
effettuano la miglior scelta possibile e il comportamento di ciascuno è coerente con quello degli
altri.
Le curve di domanda e offerta rappresentano le scelte ottimali di consumatori e offerenti
rispettivamente.
Il fatto che le due curve si intersechino in p* indica non solo che tutti fanno la scelta migliore, ma
anche che il comportamento di consumatori e offerenti è compatibile.
Per qualsiasi prezzo diverso da quello in cui D=S, queste due condizioni non si verificano.
Fuori da p*: non tutti scelgono ottimamente e le scelte non sono compatibili.
Pertanto, se p≠p*, il comportamento di almeno una parte del mercato tenderà a cambiare.
Alcuni offerenti non riescono a vendere la quantità attesa.
L’unico modo per vendere una quantità maggiore è abbassare il prezzo.
Ma se tutti gli offerenti vendono gli stessi beni e alcuni li offrono a un prezzo minore, anche gli altri
dovranno adeguarsi. Quindi l’eccesso di offerta tende a ridurre il prezzo di mercato.
Alcuni offerenti si accorgono che possono vendere a prezzi maggiori di p’’ ai consumatori
insoddisfatti.
A mano a mano che un numero maggiore di offerenti diventa consapevole di questo, il prezzo di
mercato sarà spinto verso l’alto fino al punto in corrispondenza del quale la domanda eguaglia
l’offerta.
Un esempio di calcolo dell’equilibrio di mercato: domanda e offerta lineari.
D(p) = a − bp
S(p) = c + dp
Al prezzo di equilibrio p*: D(p*) = S(p*). Quindi per determinare p*, occorre risolvere l’equazione:
a−c
a-bp*=c+dp*. a-c=p*(b+d) Ossia: p*=
b +d
La quantità domandata (e offerta) in equilibrio sarà pertanto:
a−c a ( b+d ) −b(a−c ) ad +bc
q*=D(p*)= a-b = =
b +d b+ d b +d
Il problema può essere risolto anche usando le curve di domanda e di offerta inverse:
cioè individuando la quantità in corrispondenza della quale i consumatori sono disposti a pagare lo
stesso prezzo che gli offerenti richiedono per fornire quella quantità.
Determiniamo prima l’equazione della curva di domanda inversa (che, in generale, ci dice in
corrispondenza di quale prezzo sarà domandata la quantità q)?
Sostituiamo q a D(p) nella funzione di domanda “diretta” e risolviamo per p:
a−q
q = D(p) = a – bp q – a = –bp ovvero pd(q)=
b
In maniera simile ricaviamo l’equazione della curva di offerta inversa.
Sostituiamo q a S(p) nella funzione di offerta “diretta” e risolviamo per p:
q−c
q = S(p) = c + dp q – c = dp ovvero ps(q)=
d
In equilibrio, il prezzo di domanda è uguale a quello di offerta. Quindi: pd(q)=ps(q)
ad +bc
Da cui: q*= che è la stessa soluzione di prima
b +d
Consideriamo ora due casi speciali.
1) Offerta fissa: viene offerta una quantità data, indipendente dal prezzo di mercato → la curva di
offerta è una retta verticale.
2) Offerta estremamente reattiva al prezzo: viene offerta qualsiasi quantità a un prezzo costante
→ la curva di offerta è una retta orizzontale.
Statica comparata
Dopo aver individuato un equilibrio (usando la condizione D = S), possiamo esaminare come
questo equilibrio varia al variare delle curve di domanda e offerta
Se la curva di domanda si sposta verso sinistra sia il prezzo che la quantità di equilibrio
diminuiscono.
Se, invece, è la curva di offerta a spostarsi verso sinistra la quantità di equilibrio diminuisce, ma il
prezzo di equilibrio aumenta.
Tasse
Introduciamo le tasse nel sistema per studiare come queste influenzano l’equilibrio di mercato.
L’elemento da tener presente è che quando viene introdotta una tassa, si hanno due prezzi: il
prezzo pagato dal compratore e quello percepito dall’offerente.
Le tasse possono essere di diversi tipi:
Una tassa sulla quantità è pagata su ogni unità acquistata o venduta.
Una tassa sul valore è una percentuale sulle vendite.
Tasse di quantità
Consideriamo come si modifica l’equilibrio di mercato quando viene introdotta una tassa sulle
quantità.
Sia t l’ammontare della tassa per ogni unità venduta.
La tassa t alza il prezzo pagato dai compratori, pb, rispetto a quello percepito dai venditori, ps:
pb − ps = t
Anche con la tassa il mercato deve essere in equilibrio, che è descritto dalle seguenti condizioni:
pb −ps = t e D(pb) = S(ps)
Queste condizioni si applicano sia nel caso in cui la tassa venga pagata dagli offerenti sia nel caso
in cui venga pagata dai compratori.
La tassa alza la curva di offerta di mercato, il prezzo pagato dai compratori aumenta e la quantità
scambiata diminuisce.
Supponiamo che la curva di domanda e di offerta di mercato siano lineari.
D(pb ) = a − bpb S(ps ) = c + dps
Con la tassa, l’equilibrio di mercato soddisfa pb=ps+t e D(pb)=S(ps) pb=ps+t e a-bpb=c+dps
a−c−bt a−c+ dt
Sostituendo per pb si ottiene a − b(ps + t) = c + dps ⇒ ps = pb=
b+ d b+d
La quantità domandata (e offerta) in equilibrio sarà pertanto:
a ( b+d ) −b(a−c +dt ) ad +bc−bdt
qt= ovvero qt=
b +d b+ d
All’aumentare di t: ps cala; pb aumenta e qt cala.
dt
La tassa unitaria pagata dal consumatore è: pb-p* ovvero
b+d
bt
La tassa unitaria pagata dall’offerente è: p*-ps ovvero
b+d
ad +bc−bdt
L’ammontare complessivo della tassa è: T=tqt=t
b+ d
TECNOLOGIA
Quando un’impresa compie delle scelte, tiene conto di molti vincoli:
vincoli imposti dai clienti e dai concorrenti, vincoli naturali.
Consideriamo innanzitutto i vincoli naturali, quelli imposti dalla tecnologia.
Una tecnologia è un processo tramite il quale degli input (detti anche fattori produttivi: terra,
lavoro, capitale e materie prime) sono trasformati in un output.
Di solito diverse tecnologie possono essere impiegate per produrre lo stesso output. Qual è la
tecnologia migliore? Come confrontiamo le tecnologie?
xi denota la quantità usata di input i. Una combinazione di input è un vettore (x1, x2, ... , xn) che ci
dice quanto viene usato di ogni input. Es. (x1, x2, x3) = (6, 0, 9) significa che vengono usate 6 unità
del primo input e 9 unità del terzo.
Denotiamo con y il livello di output. La funzione di produzione definisce il massimo ammontare di
output conseguibile data una combinazione di input: y = f(x1,..,xn).
Insieme di produzione
L’insieme di produzione è costituito da tutti i “piani di produzione fattibili” (= da tutte le
combinazioni di input e output tecnicamente realizzabili). Un piano di produzione è fattibile se:
y ≤ f(x1,…,xn)
(y è non maggiore del massimo possibile → è tecnicamente possibile produrre y usando la
combinazione di input data).
Supponiamo che la funzione di produzione sia: y=f(x1,x2)= 2 x11 /3 x 1/2 3 dove x1 e x2= livelli di input;
y= livello output.
L’output massimo ottenibile dalla combinazione di input (x1, x2)= (1,8) è: y=2 X 11 /3 X 81/ 3=4
1 1
L’output massimo ottenibile da (x1, x2)= (8, 8) è: y=2 X 8 3 X 8 3 =8
Isoquanti
Possiamo pensare di ottenere y con diverse combinazioni di input.
L’insieme di tutte le combinazioni di input esattamente sufficienti a produrre una data quantità di
output è detto isoquanto.
È la stessa idea che sta alla base delle CdI, ma gli isoquanti si riferiscono all’output prodotto (che è
misurabile).
In generale, tanto maggiore è il numero di isoquanti noti, tanto maggiori sono le nostre
informazioni circa la tecnologia.
L’insieme completo degli isoquanti è detto mappa degli isoquanti.
Questa mappa è equivalente alla funzione di produzione (rappresentano lo stesso concetto).
Con una funzione Cobb – Douglas, gli isoquanti si avvicinano asintoticamente (non li toccano mai).
Gli isoquanti sono una famiglia di iperboli.
{ 1
}
La forma della funzione è y=min x 1 , x 2 dove x1= impiegati, x2= computer.
2
Infatti, se si hanno 4 impiegati e 3 PC: l’output è determinato dai 4 impiegati (che possono usare 2
PC), ed è il minimo fra 1⁄2 di 4 e 3, cioè 2 (unità di risposta).
Se, invece, si hanno 10 impiegati e 3 PC: l’output è determinato dai 3 PC (che possono essere usati
da 6 impiegati), ossia dal minimo fra 1⁄2 di 10 e 3, cioè 3.
La formulazione generale di una funzione di produzione a proporzioni fisse è:
y= min { a 1 x 1 , a 2 x 2, … anxn }
Prodotto marginale
Data la funzione di produzione y = f(x1, ... xn), il prodotto (o produttività) marginale del fattore i –
indicato con MPi – misura la variazione di y derivante da un incremento infinitesimale di i, fermi
∂y
restando tutti gli altri fattori: MPi=
∂ xi
Il concetto di prodotto marginale è simile a quello di utilità marginale, fatta eccezione per la natura
ordinale della utilità.
Qui trattiamo di prodotto fisico: il prodotto marginale di un fattore è un numero preciso che, in
linea di principio, può essere misurato.
Di solito il prodotto marginale di un input dipende dalla quantità impiegata degli altri input.
Produttività decrescente
Legge della produttività marginale decrescente: quando tutti gli altri input sono mantenuti fissi,
incrementare l’impiego di un input comporta un incremento sempre minore dell’output.
In termini formali: la derivata seconda di y rispetto a xi è negativa.
Rendimenti di scala
Il prodotto marginale rappresenta il cambiamento nel livello di output al variare di un singolo
input.
I rendimenti di scala descrivono come varia il livello di output al variare di tutti gli input nella
stessa proporzione (es.: tutti gli input raddoppiano, o si dimezzano).
Se una variazione pari a k di tutti gli input comporta una variazione pari a k dell’output, la
tecnologia rappresentata dalla funzione di produzione esibisce rendimenti di scala costanti.
Quindi, f esibisce RdS costanti se: f(kx1,kx2,..,kxn) = kf(x1,x2,…,xn)
Se una variazione pari a k di tutti gli input comporta una variazione minore di k dell’output, la
tecnologia esibisce rendimenti di scala decrescenti.
Quindi, f esibisce RdS decrescenti se: f(kx1,kx2,…,kxn) < kf(x1,x2,…,xn)
Se una variazione pari a k di tutti gli input comporta una variaz. maggiore di k dell’output, la
tecnologia esibisce rendimenti di scala crescenti.
Quindi, f esibisce RdS crescenti se: f(kx1,kx2,…,kxn) > kf(x1,x2,…,xn)
Una medesima tecnologia può esibire, ‘localmente’, diversi tipi di rendimenti di scala
La funzione di produzione con perfetti sostituti è:
y = a1 x1 + a2x2 + …+ an xn. Aumentando tutti gli input di k, l’output
diventa: k(a1x1+a2x2+….+anxn)=ky
Esibisce rendimenti di scala costanti.
La funzione di produzione con perfetti complementi è:
y = min{a1x1,a2x2,..,anxn}. Aumentando tutti gli input di k, l’output
diventa: k(min a1x1,a2x2…,anxn)= ky
Esibisce rendimenti di scala costanti.
Quando c’è una Cobb – Douglas vi sono rendimenti:
costanti se a1+...+an =1
crescenti se a1+ ... + an > 1
decrescenti se a1+ ... + an < 1.
Quando tutti gli input aumentano in proporzione fra loro → ciascun input ha a disposizione lo
stesso ammontare degli altri input per produrre l’output.
Pertanto, non c’è necessariamente una diminuzione dei prodotti marginali, che possono rimanere
costanti o aumentare.
Statica comparata
Dall’equazione della retta di isoprofitto di periodo notiamo che un aumento di p implica: una
riduzione dell’intercetta verticale, un appiattimento della retta(pendenza↓).
Un aumento del prezzo dell’output causa
un aumento nel livello di output: la curva di offerta dell’impresa ha inclinazione positiva;
un aumento nel livello dell’input variabile: la curva di domanda dell’impresa per il suo input
variabile si sposta vs l’alto.
Cosa accade al piano di produzione che massimizza il profitto nel breve periodo al cambiare del
prezzo (w1) dell’input variabile?
notiamo che un aumento di w1 implica: nessun cambiamento dell’intercetta, un aumento della
pendenza.
Un aumento del prezzo dell’input variabile causa
un calo nel livello di output la curva di offerta dell’impresa si sposta vs sinistra;
un calo nel livello dell’input variabilela curva di domanda dell’impresa per il suo input variabile ha
pendenza negativa.
Rette di isocosto
I costi li rappresentiamo tramite le rette di isocosto: combinazioni di input che danno luogo allo
stesso costo di produzione C, vale a dire: w1x1 + w2x2 = C.
C w1
Risolvendo per x2, otteniamo: x 2= − x1
w2 w2
Questa è l’equazione della retta di isocosto che
C −w 1
ha intercetta verticale: ; e pendenza .
w2 w2
Dati w1 e w2, al variare di C otterremo un insieme di rette di isocosto.
Il problema di minimizzazione dei costi può riformularsi come segue:
date tutte le combinazioni di input che consentono di produrre y, quale costa meno?
Si tratta di individuare sull’isoquanto il punto al quale è associata la retta di isocosto più bassa
possibile.
Isoquanto: tutte le combinazioni di fattori che permettono di ottenere y (il livello di output dato).
Pendenza isoquanto = pendenza isocosto, ossia
Saggio tecnico di sostituzione (TRS) = Rapporto tra prezzi dei fattori
Per individuare una soluzione interna (x1*>0, x2*>0), occorre quindi mettere a sistema:
f(x1*, x2*)=y
¿ ¿
−MP 1 ( x 1 x 2 ) −w 1
TRS x1*, x2*= = e risolvere per x1* e x2*
MP 2 ( x 1 x 2 )
¿ ¿
w2
Funzioni di domanda
I livelli scelti di input (che min i costi) dipendono dai prezzi e dalla quantità di output che l’impresa
intende produrre. Vengono pertanto indicati con x1*(w1,w2,y) e x2*(w1,w2,y).
Queste scelte sono dette funzioni di domanda condizionata dei fattori o domande derivate dei
fattori.
Misurano la relazione fra i prezzi, l’output e la scelta ottimale dei fattori condizionata dalla
produzione di un certo livello y di output.
In pratica, la domanda condizionata dei fattori dà le scelte di min. dei costi in corrispondenza di un
dato livello di output.
Sentiero di espansione: È il luogo dei punti di tangenza tra una famiglia di isoquanti ed un fascio di
isocosti. È quindi costituito da tutte le combinazioni di input efficienti (nel senso che min i costi)
per diversi livelli di prodotto.
CURVE DI COSTO
Tipi di curve di costo
Costi totali, costi fissi, costi variabili
Costi medi (totali, fissi e variabili)
Costi marginali
Che relazione c’è fra queste curve?
E fra curve di breve e di lungo periodo?
Costi medi
I costi medi si riferiscono al costo di una singola unità di output.
La funzione di costo medio variabile misura i costi variabili per unità di prodotto. Dunque, non è
altro che il costo variabile diviso per la produzione totale: AVC(y) = cv(y)/y.
Quando y=1, il costo medio variabile coincide con il costo variabile.
Se la produzione fosse organizzata in modo efficiente, AVC potrebbe all’inizio diminuire.
Ma, nel breve periodo, con almeno un input fisso, si applica la legge della produttività marginale
decrescente → il costo medio variabile, da un certo punto in poi, cresce all’aumentare dell’output.
Supponiamo che i costi fissi derivino unicamente dal pagamento dell’affitto per un edificio di date
dimensioni. In tal caso, aumentando la produzione, i costi medi variabili possono, per un certo
periodo, rimanere costanti. Ma, quando l’edificio è sfruttato al max, questi costi subiranno un
forte aumento.
La funzione di costo medio fisso misura i costi fissi per unità di prodotto:
AFC(y) = F/y
I costi fissi hanno un peso via via minore al crescere della produzione:
– sono molto alti quando la produzione è bassa (se y → 0, AFC(y) → ∞);
– tendono a zero al crescere dell'output (se y → ∞, AFC(y) →0).
Infine, la funzione di costo medio totale che misura il costo totale, c(y), per unità di prodotto:
AC(y) = c(y)/y.
Dato che il costo totale corrisponde alla somma di costi fissi e variabili, si ha: AC(y) = F/y + cv(y)/y.
L’andamento della curva sarà il seguente: l’iniziale diminuzione dipende dalla diminuzione dei costi
medi fissi. Il successivo aumento è dovuto all’aumento, nel breve periodo, dei costi medi variabili.
La combinazione di questi due effetti produce un andamento a U.
Costo marginale
l costo marginale è il tasso di variazione del costo di produzione variabile al variare del livello di
∂ cv ( y)
output. Cioè: MC ( y )=
∂y
Dato che la funzione del costo totale è c(y)=F + cv(y) e il costo fisso F non varia al cambiare del
∂ c( y)
livello di output: MC ( y )=
∂y
MC è la pendenza sia della funzione del costo variabile che di quella del costo totale.
Per tracciare la curva del costo marginale dobbiamo studiare come questa è legata al costo medio
variabile. Supponiamo che la curva del costo medio variabile abbia andamento ad U: prima
decresce, raggiunge un min e poi cresce.
Quando il costo medio variabile è decrescente, il costo di una unità addizionale di produzione (il
costo marginale) è inferiore alla media calcolata fino a quel punto. Quindi: MC(y) < AVC(y).
Quando il costo medio variabile è crescente, il costo di una unità addizionale di prod.ne è
superiore alla media calcolata fino a quel punto. Quindi: MC(y) > AVC(y).
Pertanto, il costo marginale si trova:
– al di sotto di AVC quando AVC decresce (ossia a sinistra del suo punto di min);
– al di sopra di AVC quando AVC cresce (ossia a destra del suo punto di min).
Ne consegue che la curva del costo marginale interseca la curva di costo medio variabile nel suo
punto di minimo.
Quindi, come già visto, quando il costo marginale supera il costo medio variabile → la curva del
costo variabile medio è crescente (derivata prima maggiore di 0).
Se il costo marginale è minore del costo medio variabile → la curva del costo variabile medio è
decrescente.
Lo stesso vale per la curva del costo medio ATC(y) = c(y)/y.
La curva del costo marginale si trova:
– al di sotto di ATC(y) quando il costo medio decresce (ossia a sinistra del suo punto di min);
– al di sopra di ATC(y) quando il costo medio cresce (ossia a destra del suo punto di min).
Ne consegue che la curva del costo marginale interseca la curva di costo medio nel suo punto di
minimo.
Esiste una relazione anche fra costo marginale MC(y) e costo variabile cv(y).
Poiché il costo marginale è la derivata di cv(y), cv(y) è l’integrale di MC(y).
Questo significa che l’area al di sotto della curva del costo marginale, determinata in
corrispondenza di ogni livello y di output, rappresenta il costo variabile di produzione di y.
OFFERTA DELL’IMPRESA
Ogni impresa prende due decisioni importanti:
1) quanto produrre
2) quale prezzo praticare.
Se un’impresa che massimizza il profitto non avesse vincoli, stabilirebbe prezzi molto alti e
produrrebbe quantità elevate.
Ma le scelte dell’impresa sono condizionate da due ordini di vincoli.
Primo, i vincoli tecnologici che sono riassunti dalla funzione di produzione e si traducono in vincoli
economici, rappresentati dalla funzione di costo.
Secondo, il vincolo di mercato:
– l’impresa può vendere solo quanto i consumatori sono disposti ad acquistare e
– la domanda di mercato che l’impresa può soddisfare dipende dal numero di altre imprese
presenti sul mercato.
Forme di mercato
Se sono presenti invece anche altre imprese, quando l’impresa fa le sue scelte deve prevedere il
comportamento dei concorrenti.
L’espressione forme di mercato si riferisce al modo in cui le imprese interagiscono nel prendere le
decisioni relative a prezzo e output.
Una delle più semplici forme di mercato è rappresentata dalla concorrenza perfetta, che
costituisce anche un termine di paragone per altre forme.
Un mk è perfettamente concorrenziale quando ciascuna impresa assume che il prezzo di mercato
sia indipendente dalla quantità che essa decide di produrre.
L’impresa perfettamente concorrenziale è price- taker (ossia subisce il prezzo di mk) e decide solo
quanto produrre, in quanto qualsiasi sia la quantità prodotta, questa verrà venduta al prezzo di
mercato.
Monopolio: Un solo venditore che determina la quantità offerta e il prezzo.
Oligopolio: Poche imprese e le decisioni di ciascuna influenzano i profitti delle altre.
Concorrenza monopolistica: Molte imprese, il prodotto delle quali è “differenziato”.
MONOPOLIO
Confronto concorrenza perfetta e monopolio
La differenza fondamentale fra imprese perfettamente concorrenziali ed imprese monopoliste
risiede nella curva di domanda che fronteggiano.
L’impresa perfettamente concorrenziale fronteggia una curva di domanda perfettamente elastica
in corrispondenza del prezzo di mercato: a p* l’impresa può vendere la quantità di prodotto che
desidera. l monopolista fronteggia una curva di domanda con pendenza negativa.
Un aumento di p causa una riduzione di y.
Quindi, sebbene un monopolista abbia potere di mercato (può fissare p) non aumenta il prezzo a
dismisura perché deve considerare la reazione dei consumatori così come rappresentata dalla
curva di domanda di mercato. La curva di domanda funziona da vincolo per il monopolista.
Massimizzazione del profitto
Tutto ciò che un’impresa con potere di mercato può fare è scegliere la combinazione prezzo-
quantità sulla curva di domanda che massimizza i suoi profitti.
L’obiettivo fondamentale di un’impresa monopolista, al pari di un’impresa perfettamente
concorrenziale, è pertanto massimizzare il proprio profitto.
Siano p(y) la funzione di domanda inversa e c(y) la funzione di costo.
Sia R(y)=p(y)y la funzione del ricavo.
Il problema di massimizzazione del profitto per il monopolista sarà: max (y) = max R(y) − c(y).
∂ π ( y) ∂ R ( y ) ∂ c ( y )
Condizione di primo ordine: = − =0
∂y ∂y ∂y
∂R(y)/∂y è il ricavo marginale (saggio al quale varia il ricavo al cambiare del numero di unità
vendute).
∂c(y)/∂y è il costo marginale. Quindi un monopolista che intende massimizzare il profitto produce
in corrispondenza di un punto in cui il ricavo marginale è uguale al costo marginale cioè:
RM(y) = MC(y).
Nel caso di un’impresa concorrenziale il ricavo marginale è uguale al prezzo:
la vendita di una unità di prodotto in più fornisce ricavi aggiuntivi (marginali) sempre uguali al
prezzo.
Quindi, in concorrenza perfetta, la stessa condizione di massimo profitto si riduce a “p = MC”.
Per un monopolista, invece, la vendita di una unità in più comporta un abbassamento del prezzo di
vendita su tutte le unità vendute precedentemente.
Il ricavo marginale del monopolista è quindi il prezzo di vendita della nuova unità meno la perdita
dovuta alle variazioni di prezzo su quelle precedenti.
Markup
¿ ¿
¿ MC ( y ) ε( y )
p ( y )= =MC ( y ¿ ) ¿
Usando questo risultato: 1 1+ ε ( y )
1+
ε ( y)
possiamo esprimere la politica di prezzo ottimale del monopolista dicendo che:
il prezzo è un markup, o ricarico, sul costo marginale, la cui ampiezza dipende dalla elasticità della
domanda.
¿
ε(y )
Il markup è: ¿ dato che Ɛ(y*)<-1, il markup è >1
1+ ε ( y )
Il markup è funzione crescente Ɛ(y*). È tanto più alto quanto più la domanda è inelastica.
(k + t )ε kε tε
p ( y ) −¿ p(y*)=
t
− =
1+ε 1+ ε 1+ ε
È la tassa “scaricata” sul prezzo.
Poiché ε<−1,ε/(1+ε)>1.
Quindi il monopolista aumenta il prezzo in misura superiore all’ammontare della tassa!
Consideriamo ora una tassa sui profitti.
In questo caso, il monopolista deve pagare una quota t del suo profitto, che quindi passa da
(y*) a (1–t) (y*).
Il problema diviene: max(1–t) [p(y) y – c(y)] che non cambia le decisioni ottimali!
La tassa sui profitti è, quindi, neutrale.
Monopolio naturale
Un’industria è un monopolio naturale quando un’unica impresa è in grado di produrre la quantità
complessivamente domandata a un costo medio inferiore a quello che dovrebbero sostenere più
imprese produttrici.
In questo caso, è la struttura produttiva stessa (insieme con la dimensione del mk) a richiedere
un’unica impresa per poter minimizzare i costi e, quindi, produrre in modo efficiente.
D’altra parte, come ogni monopolista che massimizza il profitto, il monopolista naturale causa una
perdita netta.
Una possibile soluzione è la regolamentazione, cioè la fissazione del prezzo da parte dell’autorità
pubblica.
Però, nel caso di monopolio naturale, il costo marginale è minore del costo medio.
Di conseguenza, non è ottimale fissare p=MC perché indurremmo l’impresa a produrre in perdita.
Una soluzione alternativa è fissare un prezzo pari al costo medio:
in questo modo la produzione sarebbe maggiore che in monopolio non regolamentato (quindi
perdita di surplus minore), e l’impresa avrebbe profitti nulli.
Problema principale: necessità di conoscere i costi dell’impresa, informazione spesso privata del
monopolista.
COMPORTAMENTO MONOPOLISTICO
Un monopolista discrimina i prezzi se fissa più di un prezzo per il proprio output.
Es.: sconti per anziani e studenti; diverse edizioni di un libro; buoni sconto.
Sebbene la discriminazione di prezzo venga attuata per ottenere profitti maggiori, può portare ad
un’allocazione socialmente efficiente.
Generalmente, l’analisi economica distingue tra:
– discriminazione dei prezzi di primo grado;
– discriminazione dei prezzi di secondo grado;
– discriminazione dei prezzi di terzo grado.
Concorrenza monopolistica
È una forma di mercato “intermedia” che presenta alcune delle caratteristiche della concorrenza
perfetta ed altre del monopolio.
Caratteristiche principali:
Molti venditori: ci sono molte imprese che competono per accaparrarsi gli stessi clienti.
Libertà di entrata ed uscita: non esistono restrizioni all’ingresso ed all’uscita dal mercato; il
numero di imprese varia finché gli extra-profitti sono diversi da zero.
Differenziazione del prodotto: ciascuna impresa produce un prodotto che differisce in parte da
quello delle altre imprese. Pertanto, ciascuna impresa fronteggia una curva di domanda specifica
per quella varietà di prodotto ed inclinata negativamente (come in monopolio). Nel breve periodo
l’impresa MC segue la stessa regola di max del π del monopolista.
Questo perché nel breve periodo non esiste concorrenza per quella particolare varietà del
prodotto. La domanda per una certa varietà sarà tanto meno elastica al prezzo quanto più il bene
è differenziato.
Quindi nell’equilibrio di breve periodo:
– l’impresa monopolistica produce la quantità y* tale che MR(y*) = MC(y*);
– vende ad un prezzo superiore al costo medio; – ottiene profitti positivi.
L’ottenimento di π > 0 incoraggia l’ingresso di nuove imprese (ciascuna che produce una diversa
varietà del prodotto).
Per effetto dell’ingresso:
– aumenta il numero di prodotti offerti;
– si riduce la domanda disponibile per le imprese già esistenti e quindi le rispettive curve di
domanda si spostano a sinistra;
– al ridursi della domanda per ciascuna impresa, anche il profitto si riduce fino a zero.
L’equilibrio di lungo periodo della concorrenza monopolistica ha due proprietà.
1. Come in monopolio, p* > MC (perché max profitto richiede che MR = MC).
2. Come in concorrenza perfetta, p* = AC (la libertà di entrata e di uscita fa sì che in un eq. di lungo
periodo i profitti debbano essere nulli).
Monopsonio
Un solo acquirente (price-maker nei confronti del fattore).
Assumiamo per semplicità: mercato del prodotto concorrenziale, un solo fattore.
Max profitto: max [p f(x) – w(x) x] ovvero p MPx = w’(x) x + w(x)
ricavo marginale = costo marginale
N.B. Il costo marginale w’(x) x + w(x) è superiore al prezzo del fattore w(x) e quindi la quantità di
fattore impiegata sarà minore di quella scelta se l’impresa fosse concorrenziale sul mercato dei
fattori.
OLIGOPOLIO
L’oligopolio è una forma di mercato in cui poche grandi imprese interagiscono in modo strategico,
ossia cercando di anticipare la scelta delle imprese concorrenti.
Mentre sia in concorrenza perfetta che in monopolio le imprese max i profitti in presenza di un
solo vincolo esogeno (il prezzo di mercato o la curva di domanda)
Nel caso dell’oligopolio, oltre al vincolo della domanda di mercato, emergono considerazioni
strategiche sulle azioni delle altre imprese nel mercato.
Ogni scelta che l’impresa oligopolistica effettua può avere conseguenze diverse a seconda delle
azioni delle altre imprese.
Di conseguenza, il problema fondamentale dell’impresa oligopolistica è quello di formulare
aspettative sul comportamento delle altre imprese.
La concorrenza oligopolistica può assumere diverse forme a seconda che:
– la variabile strategica usata per competere sia il prezzo oppure la quantità;
– esista un’impresa leader;
– esistano incentivi alla collusione.
Consideriamo innanzitutto la situazione in cui le imprese competono scegliendo quanto produrre.
Curve di isoprofitto
Per avere un’intuizione grafica della derivazione delle scelte ottimali delle imprese è utile
disegnare la mappa delle curve di isoprofitto.
Una singola curva di isoprofitto per l'impresa i (=1, 2) è data dall’equazione: i(y1, y2) = costante.
Così una curva di isoprofitto della impresa 1 è l’insieme delle coppie di output (y1, y2) che danno
ad 1 lo stesso livello di profitto 1.
Collusione
I profitti che derivano da un equilibrio di Cournot sono forse i maggiori che le imprese possano
conseguire complessivamente?
Questo significa che esiste un incentivo per entrambe le imprese ad abbassare la produzione e
“cooperare”. Questo tipo di comportamento (accordarsi per programmare una strategia comune)
è detto collusione. Imprese che colludono formano un “accordo” detto cartello.
Se le imprese decidono di fare un cartello, qual è il modo migliore di farlo?
Supponiamo che le imprese vogliano max il profitto complessivo e dividerlo fra loro → si
comportano congiuntamente come un monopolista.
Devono scegliere insieme i livelli di produzione y1 e y2 che max
m(y1,y2) = p(y1 + y2)(y1 + y2) − c1(y1) − c2(y2).
Le imprese non possono fare peggio con la collusione che da sole, dato che possono sempre
scegliere di produrre in corrispondenza dell’equilibrio di Cournot.
In altre parole, la collusione deve garantire un livello di profitti almeno pari a quello di Cournot.
Quindi, se le imprese scelgono simultaneamente la quantità da produrre, un cartello volto a max il
profitto congiunto è instabile: ciascuna impresa ha incentivo a romperlo.
Leadership di quantità
Manteniamo inalterate le ipotesi del modello di Cournot tranne che le due imprese ora decidono
in sequenza.
In particolare, supponiamo che l’impresa 1 sia leader e l’impresa 2 sia follower. È meglio essere il
leader o il follower?
Il problema del follower
L’impresa follower si comporta come nel modello di Cournot:
per ogni possibile quantità scelta dalla rivale, l’impresa 2 sceglie quanto produrre sulla base della
propria funzione di reazione R2(y1), dove y1 è ora nota.
Il problema del leader
L’impresa leader 1 anticipa le risposte ottimali del follower.
Quindi, nel decidere quanto produrre, sostituisce y2 con la funzione di reazione dell’impresa 2
R2(y1).
Il problema del leader
La funzione dei profitti di 1 diventa: s(y )=p(y +R (y ))y −c (y ).
Per massimizzare il suo profitto, 1 sceglie y1 in modo tale che ∂1S/∂y1 = 0.
Il leader può realizzare un profitto almeno uguale a quello corrispondente all’equilibrio di
Cournot?
Certo perché il leader può sempre scegliere di produrre quanto prescritto dall’equilibrio di
Cournot. Se non lo fa, significa che deve guadagnare almeno lo stesso (mai di meno).
Equilibrio di Nash
In generale, un profilo di strategie è un equilibrio di Nash se la scelta di ogni giocatore è ottima
data la scelta (ottima) dell’altro.
In altri termini, nessun giocatore ha interesse a cambiare la propria scelta dato quello che fa
l’altro.
Giochi sequenziali
I giochi sequenziali (detti anche giochi informa estesa) vengono descritti utilizzando un diagramma
ad albero che tiene conto della sequenza con cui vengono prese le decisioni, ed illustrai payoff
associati ad ogni possibile combinazione di scelte.
Questo modo di procedere per trovare l’equilibrio nei giochi in forma estesa è definito induzione a
ritroso. In maniera intuitiva, l’idea è la seguente.
Si parte dalla fine e si suppone che il giocatore che è chiamato a giocare per ultimo scelga la
strategia che gli offre il payoff maggiore.
Chi deve giocare per penultimo sa quindi cosa farà l’ultimo giocatore e si comporta come se fosse
lui l’ultimo a giocare.
In questo modo si procede passo dopo passo. In conclusione, il giocatore che è chiamato a
scegliere per primo sa già cosa succederà in corrispondenza di ogni sua scelta.
Strategie pure
Finora abbiamo assunto che i giocatori scelgano la propria strategia in modo definitivo.
Cioè, ogni giocatore attua la propria scelta e poi vi si attiene rigidamente.
In questo caso, si parla di strategia pura.
Strategie miste
Possiamo invece supporre che i giocatori scelgano le proprie azioni in modo casuale, secondo una
distribuzione di probabilità. Una strategia in cui un giocatore assegna probabilità positiva a
ciascuna azione possibile è detta strategia mista.
Se gioca una strategia mista, invece di giocare solo Up o Down, il giocatore A seleziona una
distribuzione di probabilità (πU,1-πU), cioè con probabilità πU giocherà Up e con probabilità 1-πU
Down. La strategia mista di B è(πL,1-πL), cioè con probabilità πL giocherà Left e con probabilità 1-
πL giocherà Right.
INFORMAZIONE ASIMMETRICA
In mercati perfettamente competitivi, tutti gli agenti sono perfettamente informati circa i beni
scambiati (sia i compratori che i venditori conoscono la qualità del bene).
Ma...pensate al mercato dei servizi medici, delle assicurazioni o delle macchine usate.
Un medico è più informato sulle pratiche mediche del paziente (compratore).
Un individuo che vuole assicurarsi (vita, auto) conosce meglio il rischio che corre rispetto
all’assicuratore (venditore).
Il possessore di una macchina usata la conosce meglio di un potenziale acquirente.
Laddove un lato del mercato ha maggiori informazioni rispetto all’altro e può trarre vantaggio da
questa condizione si parla di asimmetria informativa.
L’informazione asimmetrica si può manifestare sotto forma di caratteristiche nascoste del bene o
servizio oggetto della transazione.
In questo caso si produce il fenomeno della selezione avversa (adverse selection).
Oppure si può manifestare sotto forma di azioni nascoste quando una delle parti compie un’azione
che ha effetti sulla controparte senza che questa lo sappia. In questo caso si produce il fenomeno
dell’azzardo morale (moral hazard).
Selezione avversa
Per selezione avversa si intende un processo per cui vengono “scacciati” dal mercato i beni che
possiedono le qualità preferite e rimangono quelli con le qualità meno desiderate.
Un equilibrio nel quale solo un tipo di bene è scambiato, oppure entrambi ma il compratore sa
distinguere fra essi, si dice equilibrio separating.
Un equilibrio nel quale entrambi i tipi di bene sono venduti e i compratori non sanno distinguere
fra essi si dice equilibrio pooling.
Azzardo morale
L’azzardo morale è un’altra conseguenza dell’informazione asimmetrica.
In questo caso una parte del mercato non può osservare il comportamento della controparte, con
conseguente rischio di comportamento sleale.
Differenza tra selezione avversa e azzardo morale
− selezione avversa: problema di informazione nascosta;
− azzardo morale: problema di azione nascosta.
SCAMBIO
Iniziamo lo studio della teoria dell’equazione economico generale.
– che ha per obiettivo quello di spiegare come la domanda e l'offerta interagiscono nei vari
mercati per determinare i prezzi dei beni.
Hp semplificatrici: considereremo
• mk concorrenziali in cui gli individui prendono i prezzi come dati;
• economia senza produzione in cui gli individui hanno dotazioni fisse di beni e devono decidere
quanto scambiare;
• solo 2 consumatori e 2 beni.
Indichiamo con A e B i 2 consumatori.
Le loro dotazioni dei beni 1 e 2 siano: ϖ A =(ϖ 1 A , ϖ 2 A ) e ϖ B=(ϖ 1B , ϖ 2B )
Edgeworth ha elaborato (e Bowley ha perfezionato) un diagramma, detto scatola di Edgeworth,
per mostrare tutte le possibili allocazioni fra A e B delle quantità totali disponibili dei due beni.
A A
x 1 , x 2 denota un’allocazione per il consumatore A.
B B
x 1 , x 2 denota un’allocazione per il consumatore B.
Un’allocazione è possibile se e solo se: x 1 A + x 2 A ≤ ϖ 1 A +ϖ 2 A e x 1 B + x 2 B ≤ ϖ 1B + ϖ 2B
La quantità totale consumata di ciascun bene non eccede quella disponibile.
Un’allocazione che migliora il benessere di un consumatore senza ridurre quello di un altro è detta
migliore in senso paretiano.
Dal momento che ogni consumatore può rifiutarsi di scambiare i beni, le sole allocazioni possibili in
seguito allo scambio sono quelle migliori in senso paretiano.
Ottimo paretiano
Quando non saranno più possibili ulteriori miglioramenti dallo scambio?
Quando l’area in cui la soddisfazione di A è maggiore è disgiunta da quella in cui è maggiore la
soddisfazione di B.
Ossia l’area al di sopra della CdI di A non deve intersecare l’area al di sopra della CdI di B.
Le due CdI devono essere tangenti.
Quali sono dunque tutte le allocazioni Pareto- ottimali?
Quelle che si trovano in corrispondenza dei punti di tangenza tra le curve di indifferenza di A e B.
L'insieme delle allocazioni Pareto-efficienti (ovvero il luogo dei punti in cui non è possibile
migliorare la situazione di uno scambista senza peggiorare quella dell’altro) si chiama curva dei
contratti o insieme di Pareto.
Il Core
Il core è l’insieme di tutte le allocazioni Pareto- efficienti che migliorano il benessere di entrambi i
consumatori rispetto alla loro dotazione iniziale.
Uno scambio “razionale” dovrebbe raggiungere un’allocazione che sta nel core.
Ma quale fra le tante possibili?
Si consideri sempre lo scambio in mercati perfettamente competitivi.
Ogni consumatore è un price-taker che cerca di massimizzare la sua utilità dati p1, p2 e la sua
dotazione (dato, cioè, il vincolo di bilancio).
Legge di Walras
Sappiamo che, in equilibrio, D=S in ogni mercato: xi ¿ A + xi¿ B =ϖi A + ϖiB
E questo implica che, in ogni mk, l’eccesso di domanda aggregato è nullo:
¿A ¿B A B
xi + xi −ϖi −ϖi =0
Si può dimostrare che se l’eccesso di D aggregato del bene 1 è nullo, lo è anche l’eccesso di D
aggregato del bene 2.
Ciò significa che: se un mercato è in equilibrio, lo è anche l’altro.
Per dimostrarlo, usiamo la legge di Walras.
La legge di Walras è un’identità; cioè un’affermazione che è vera per ogni insieme di prezzi positivi
(di equilibrio e non).
Legge di walras: il valore dell’eccesso di domanda aggregata è identicamente uguale a zero per
qualunque insieme di prezzi positivi p1 e p2.
Un’implicazione della legge di Walras per un’economia di puro scambio con soli due beni è che se
un mercato è in equilibrio anche l’altro lo deve essere. In generale, se ci sono n mercati, basta
trovare un vettore dei prezzi in corrispondenza dei quali (n−1) mercati sono in eq. per essere certi
che anche il mercato n-mo è in equilibrio.
Quindi una seconda implicazione della legge per un’economia di puro scambio con due beni è che
l’eccesso di offerta in un mercato implica un eccesso di domanda nell’altro mercato.