nei mercati sono presenti rigidità (frizioni) che impediscono un’allocazione efficiente
delle risorse;
l’intervento pubblico è essenziale per liberare il sistema economico da trappole di
sottoccupazione.
Modelli economici
Per capire il funzionamento del sistema economico, gli economisti si affidano ai modelli cioè
formulazioni teoriche che semplificano la realtà in modo da rivelare come le variabili
esogene influenzino quelle endogene. Sono utili perché permettono di eliminare tutti i
dettagli irrilevanti, concentrando la nostra attenzione sulle correlazioni importanti.
Le variabili esogene sono quelle che il modello prende per date; le variabili endogene
sono quelle che il modello pretende di spiegare.
Valore Aggiunto
Il valore aggiunto di un’impresa è uguale al valore del suo prodotto (PIL) meno il valore dei
beni intermedi che ha dovuto acquistare per realizzarlo.
Poiché nel calcolo del PIL, il valore del bene intermedio è incorporato nel prezzo di mercato
del bene finale, per calcolare il Valore Aggiunto bisognerà escludere i beni intermedi dal
calcolo del PIL evitando così una doppia contabilizzazione
Esercizio:
Un allevatore vende 100g di carne a McDonald’s per 0,50€ e McDonald’s vende l’hamburger
a 1,50€.
Calcolare il PIL
Il PIL è 1,50€
Calcolare il Valore Aggiunto in ogni fase
Il valore aggiunto dell’allevatore è 0,50€ supponendo che non abbia effettuato spese per
l’acquisto di carne. Il valore aggiunto del McDonald’s è: 1,50€-0,50€ = 1,00€.
Valore aggiunto totale: 0,50 + 1,00 = 1,50€ che è uguale al prezzo del bene finale
Metodi di calcolo del PIL:
Avendo visto l’esercizio, è possibile notare come vi siano diversi modi per procedere al
calcolo del PIL:
1. Metodo del VALORE AGGIUNTO = somma dei valori aggiunti di tutte le imprese
che operano in una economia
2. Metodo del REDDITO = somma dei redditi percepiti nell’economia in un dato
periodo di tempo
3. Metodo della SPESA = somma della spesa per tutto ciò che viene prodotto e venduto
Prodotto Nazionale Lordo (PNL): reddito totale dei fattori produttivi nazionali
indipendentemente dalla localizzazione
- PNL = PIL + redditi netti dall'estero
PIL nominale e PIL reale
La variazione del PIL da un anno all’altro può dipendere da due fattori:
1. Variazione nella quantità prodotta di beni e servizi
2. Variazione del prezzo di beni e servizi
PIL NOMINALE: è il valore totale dei beni e servizi misurato a prezzi correnti
Esempio: PIL Nominale 2020 = Prezzi 2020 * Quantità 2020
PIL REALE: è il valore dei beni e servizi calcolato a prezzi costanti. È una misura più
efficace del benessere economico perché tiene conto della produzione di beni e servizi del
sistema senza essere influenzata dalle variazioni dei prezzi
Esempio: PIL Reale 2020 = Prezzi Anno Base (es. 2008) * Quantità 2020
Esercizio:
Calcolare il PIL reale per ogni anno utilizzando il 2017 come anno base:
Anno 2017: 30 * 900 + 100 * 192
Anno 2018: 30 * 1000 + 100 * 200
Anno 2019: 30 * 1050 + 100 * 205
Lezione 4 (Capitolo 2 – I Dati della Macroeconomia)
Le Componenti della Spesa (PIL) (Y = C + I + G + NX)
1. Consumo (C): valore di tutti i beni e servizi acquistati dalle famiglie. Include:
beni durevoli: sono quelli che possono essere utilizzati ripetutamente
per un periodo superiore a 1 anno (es. auto, elettrodomestici);
beni non durevoli: sono quelli che hanno una durata limitata come
gli alimenti e le bevande.
beni semidurevoli: hanno una vita attesa superiore a un anno, ma
inferiore a quella dei beni durevoli come ad es. vestiario
Servizi: lavori svolti da individui e imprese a favore dei consumatori
(es. servizi di ristorazione).
2. Investimento (I): che può essere definito come la spesa per l’acquisto di beni
capitali (fattori di produzione) o come la spesa per l’acquisto di beni utilizzabili
in futuro. Include:
investimento fisso delle imprese: è la spesa in impianti e
attrezzature che l’impresa utilizzerà per produrre beni e servizi;
investimento fisso residenziale: è la spesa per acquistare unità
abitative in nuova costruzione da parte di famiglie e proprietari di
immobili;
investimento in scorte: è la spesa per l’aumento delle scorte di tutte
le imprese.
Dato che per definizione qualunque spesa effettuata in un sistema economico rientra
in una di queste categorie, la loro somma deve corrispondere al PIL, indentificato con
il simbolo Y.
Quindi:
Y = C + I + G + NX
- Indice dei prezzi alla produzione: che misura il prezzo del paniere
medio di beni acquistato dalle imprese
- Deflatore del PIL: Il deflatore del PIL si definisce come il rapporto tra
PIL nominale e PIL reale, e misura la variazione dei prezzi rispetto ad un
anno base. Dato che Il PIL nominale misura il valore monetario corrente
della produzione aggregata dell’economia e Il PIL reale misura il valore
della produzione aggregata a prezzi costanti; il deflatore del PIL misura
il prezzo della produzione aggregata in rapporto ai prezzi dell’anno base.
Deflatore del PIL = (PIL nominale / PIL reale) x 100
Essendo l’IPC e il Deflatore del PIL dei valori che indicano il livello generale dei
prezzi in un determinato anno, la differenza tra Anno 2 e Anno 1 del livello generale
dei prezzi sarà il Tasso di Inflazione
Esercizio (Calcolo IPC):
Calcolare il Tasso di Inflazione dal 2017 al 2018, dal 2018 al 2019 e dal
2019 al 2020
Anno 2017-2018: 105,7 – 100 = 5,7%
Anno 2018-2019: 114,3 – 105,7 = 8,1%
Anno 2019-2010: 117,1 – 114,3 = 2,5%
Esercizio (Calcolo Deflatore del PIL):
Utilizzare il Deflatore del PIL per calcolare il tasso di inflazione dal 2018 al
2019, e dal 2019 al 2020.
Anno 2018-2019: 102,8 – 100 = 2,8%
Anno 2019-2010: 112,1 – 102,8 = 9,1%
Tasso di Inflazione
Utilizzando gli indici del livello generale dei prezzi si può calcolare l’inflazione, cioè
l’incremento percentuale del livello dei prezzi. Indicato con P il livello medio dei prezzi
(indice dei prezzi di riferimento):
(𝑷𝒕–𝑷𝒕−𝟏)
Tasso di inflazione = ∗ 𝟏𝟎𝟎
𝑷𝒕−𝟏
Ipotizziamo che i fattori siano disponibili in quantità fissa nel sistema economico:
K=K ,L=L
Tuttavia, se qualcuno inventa un modo più efficiente per produrre un bene, il risultato è
una maggiore quantità di prodotto per ogni dato livello dei fattori di produzione; di
conseguenza il processo tecnologico influenza la funzione di produzione.
Y = F ( K , L )= Y
Siccome abbiamo ipotizzato che i fattori di produzione e la tecnologia siano fisse, anche la
produzione aggregata sarà fissa.
Distribuzione del reddito nazionale
Poiché i fattori della produzione e la funzione di produzione insieme determinano
la produzione aggregata di beni e servizi, questi determinano anche il reddito nazionale
(ciò perché la produzione aggregata del sistema economico è uguale al reddito aggregato).
La distribuzione del reddito nazionale è determinata dai prezzi dei fattori, che sono le somme
corrisposte per la remunerazione dei fattori di produzione. In un sistema economico nel
quale i due fattori di produzione sono capitale e lavoro, i prezzi dei fattori sono i salari
percepiti dai lavoratori e le rendite percepite dai proprietari del capitale.
- Salario (W), remunerazione del lavoro L
- Rendita (R), remunerazione del capitale K
Poiché abbiamo ipotizzato che i fattori del sistema economico siano disponibili in quantità
fissa, avremo una curva di offerta verticale: indipendentemente dal prezzo, la quantità
offerta resta invariata. L’intersezione tra la curva di domanda del fattore (con pendenza
negativa) e la curva di offerta del fattore determina il prezzo di equilibrio del fattore stesso
Per comprendere la formazione dei prezzi dei fattori e la distribuzione del reddito bisogna
esaminare meglio la domanda dei fattori di produzione. Dato che la domanda dei fattori di
produzione proviene da migliaia di singole imprese che impiegano capitale e lavoro,
dobbiamo considerare le decisioni che deve affrontare l’impresa media riguardo
all’impiego dei fattori di produzione disponibili.
Le decisioni dell’impresa concorrenziale
Esaminando l’impresa media, possiamo ipotizzare che sia concorrenziale. Un’impresa
concorrenziale è piccola rispetto ai mercati in cui opera, al punto che le sue decisioni non
sono in grado di influenzare i prezzi di mercato. Ciò significa che l’impresa media produce
il bene e lo vende al prezzo di mercato. Poiché le imprese che producono tale bene sono
numerose, l’impresa media può vendere o non vendere qualunque quantità di quel bene
senza riuscire influenzarne il prezzo. Analogamente, non può influenzare il salario dei
lavoratori, a causa della moltitudine di imprese presenti nel mercato. Per l’impresa media
quindi il prezzo del bene che produce e il prezzo dei suoi fattori di produzione sono dettati
dalle condizioni del mercato.
Per produrre beni o servizi, l’impresa media ha bisogno di due fattori della produzione:
capitale e lavoro. Possiamo rappresentare la tecnologia a disposizione dell’impresa con la
funzione di produzione:
𝒀 = 𝑭(𝑲, 𝑳) dove: Y=numero di unità prodotte (produzione dell’impresa); K= numero di
macchine usate (quantità di capitale); L=numero di ore di lavoro prestate dai dipendenti
dell’impresa (quantità di lavoro).
L’impresa produce una quantità tanto maggiore quante più macchine possiede e quante più
ore fa lavorare i propri dipendenti.
L’impresa vende il suo prodotto al prezzo P, corrisponde ai lavoratori un salario W e
remunera il capitale con una rendita R.
L’obiettivo dell’impresa è massimizzare il profitto.
R - C → (P*Y) – ((W*L)+(R*K)) → PY = WL – RK
Se L = 7?
Y = ( PMK* K ) + ( PML* L )
Consumo (C)
G= G ,T= T
Equilibrio del Mercato: l’Offerta e la Domanda del
Prodotto Aggregato
Y – C ( Y – T ) – G = I (r)
S = I (r)
Il membro sinistro dell’equazione mostra che il risparmio nazionale dipende dal reddito Y e
dalle variabili di politica fiscale G e T. Per valori esogenamente determinati di Y, G, T anche
il risparmio nazionale S è fisso. Il membro destro dell’equazione afferma che la spesa
dell’investimento dipende dal tasso di interesse.
Variazioni della Curva di Offerta (Risparmio S)
Se aumenta la spesa pubblica di ∆G, l’effetto immediato è un aumento della domanda di beni
e servizi di ammontare corrispondente a ∆G: ma poiché la produzione aggregata è fissa e
determinata dai fattori di produzione, l’aumento della spesa pubblica deve essere
compensato da una diminuzione dell’ammontare di altre componenti della domanda.
Dato che il reddito disponibile Y-T è invariato, il consumo C è invariato.
Quindi l’aumento della spesa pubblica deve essere compensato da una riduzione
dell’investimento di pari ammontare.
Per far sì che l’investimento diminuisca, il tasso di interesse deve aumentare.
Quindi l’aumento della spesa pubblica provoca un aumento del tasso di interesse e una
diminuzione della spesa per investimento: in questo caso si dice che la spesa pubblica ha un
effetto di spiazzamento (crowding out) sull’investimento.
Una riduzione del risparmio nazionale corrisponde a uno spostamento verso sinistra della
curva di offerta di fondi mutuabili disponibili per l’investimento (fig. 3.9). Al tasso di
interesse iniziale, la domanda di fondi mutuabili eccede l’offerta; perciò il tasso di interesse
d’equilibrio aumenta fino al punto in cui la curva di investimento interseca la nuova curva
di risparmio. In questo modo, un aumento della spesa pubblica provoca un aumento del
tasso di interesse da r1 a r2.
Se invece stessimo parlando di una riduzione delle imposte, poiché l’abbassamento delle
imposte fa aumentare il reddito disponibile di ∆T, il consumo aumenta di ∆T*PMC.
Il risparmio nazionale S, che è pari a Y – C – G, diminuisce di un ammontare corrispondente
all’aumento del consumo.
La diminuzione del risparmio provoca uno spostamento verso sinistra della curva di offerta
di fondi mutuabili, facendo aumentare il tasso di interesse di equilibrio e spiazzando la spesa
per investimento (fig. 3.9).
Variazioni della Curva della Domanda (Investimenti I)
Una delle forze che porta ad un aumento della domanda di investimento è l’innovazione
tecnologica: le imprese richiedono più risorse per accedere alle nuove tecnologie. La
domanda di investimento può cambiare anche a seguito di provvedimenti di politica fiscale
che incentivano o disincentivano gli investimenti (es. sgravi fiscali sui nuovi investimenti).
Un aumento della domanda di investimenti viene rappresentato da uno spostamento verso
destra (fig. 3.11. N.B.).
I tipi di moneta
1. Moneta a corso legale (o moneta fiat): è la moneta che non ha alcun valore intrinseco,
è definita “fiat” perché definita da un decreto del legislatore (fiat in latino significa ordine o
decreto). La moneta a corso legale è la norma nelle economie moderne.
2. Moneta merce: è la moneta che ha valore intrinseco. L’esempio più diffuso è l’oro. Se
l’economia utilizza l’oro o banconote convertibili in oro come moneta, si dice che ha adottato
un sistema aureo. L’oro è una forma di moneta merce perché può essere utilizzato oltre che
come moneta, per vari altri scopi, come produzione di gioielli ecc. Il sistema aureo era il
sistema più diffuso alla fine del diciannovesimo secolo.
L’offerta di moneta, come il livello della tassazione e il livello della spesa pubblica, è uno
strumento di politica economica.
Il controllo esercitato sull’offerta di moneta è detto politica monetaria. Nelle economie
avanzate la politica monetaria è delegata ad un’istituzione detta banca centrale.
Nei paesi che hanno adottato l’euro è la Banca Centrale Europea, nel Regno Unito è la Bank
Of England, negli USA è la Federal Reserve (spesso detta Fed).
In un sistema economico complesso è difficile tracciare una linea di demarcazione netta tra
ciò che costituisce moneta e ciò che non lo è.
Le principali misure dello stock di moneta, o “aggregati monetari”, in uso nell’area
dell’euro sono tre:
M1: è la più ristrettiva ed è composta dal circolante (quantità di banconote e
monete metalliche in circolazione) e dai depositi in conto corrente;
M2: comprende M1 + i depositi a più a lungo termine;
M3: include M2 e alcuni strumenti del mercato monetario, come le operazioni di
pronti contro termine e le quote di fondi comuni monetari.
Ruolo delle Banche nel Sistema Monetario
Le attività della banca sono rappresentate dai €1000 accantonati a riserva; le sue passività
dai €1000 che deve restituire ai depositanti su richiesta.
Prima della creazione della Prima Eurobanca l'offerta di moneta era rappresentata dai
€1000 di circolante; dopo la sua creazione l'offerta di moneta è costituita da €1000 di
depositi a vista.
€1 depositato in banca riduce il circolante di €1 e aumenta i depositi a vista di €1, e quindi
l’offerta di moneta rimane invariata.
Se le banchi trattengono a riserva il 100% dei depositi, il sistema bancario
non influenza l'offerta di moneta.
Scenario 2 - Sistema bancario a riserva frazionaria
Ora immaginiamo che le banche comincino a utilizzare il denaro ricevuto in deposito per
concedere prestiti ai nuclei familiari o alle imprese.
Il vantaggio per le banche è quello di poter chiedere un interesse sui prestiti concessi.
Impiegando una parte dei depositi per concedere prestiti le banche devono comunque
trattenere una parte dei depositi a riserve per far fronte a eventuali richieste di prelievo
da parte dei depositanti.
Ecco come si trasforma lo stato patrimoniale della Prima Eurobanca dopo aver
concesso un prestito
Da questo stato patrimoniale si evince che il rapporto riserve/depositi, cioè la frazione dei
depositi che la banca trattiene a riserva sia pari al 20%. A fronte di depositi per €1000 la
Prima Eurobanca trattiene a riserva €200 e da in prestito i rimanenti €800.
La Prima Eurobanca concedendo il prestito aumenta l'offerta di moneta di €800: prima
che il prestito venga concesso l'offerta di moneta è pari a €1000, equivalenti ai depositi
presso la Prima Eurobanca. Dopo la concessione del prestito l'offerta di moneta è pari a
€1800: i €1000 di depositi a vista più gli €800 detenuti da chi ha ottenuto il prestito.
Quindi in un sistema con riserva frazionaria il sistema bancario crea
moneta.
Ma la creazione di moneta non si ferma con la Prima Eurobanca. Se chi ha ricevuto il
prestito deposita il denaro presso un'altra banca, per esempio la Seconda Eurobanca, il
processo di creazione di moneta continua. Ecco lo stato patrimoniale della Seconda
Eurobanca:
La Seconda Eurobanca riceve €800 di depositi, nei trattiene a riserva il 20% (€160) e
concede prestiti per €640. In questo modo, la Seconda Eurobanca crea moneta in misura
di 640€.
Per quanto questo processo possa continuare all'infinito, questo processo non porta
alla creazione di una quantità infinita di moneta.
Se definiamo “rr” il rapporto riserve/depositi, la quantità di moneta che si può creare con
i €1000 originali è:
offerta totale di moneta= (1/rr)*1000€
Ogni euro di deposito genera 1/rr di moneta. Nel nostro esempio con rr=0,2, gli originari
€1000 depositati nel sistema bancario generano €5000 di moneta.
La capacità del sistema bancario di creare moneta è la principale differenza tra le banche
e le altre istituzioni finanziarie (es. mercato azionario, obbligazionario) perché solo le
banche sono legalmente autorizzate a creare attività come i depositi a vista che fanno parte
dell'offerta di moneta.
Perciò le banche sono le uniche istituzioni finanziarie che possono influenzare
direttamente l'offerta di moneta.
Il sistema bancario a riserva frazionaria, nonostante crei moneta, non genera tuttavia
ricchezza.
Dando in prestito una parte delle proprie riserve le banche offrono ai prenditori la
possibilità di compiere le transazioni aumentano per questa via l'offerta di moneta.
Ma i prenditori contraggono anche un debito nei confronti della banca per cui il prestito
non li rende più ricchi: quindi, la creazione di moneta attraverso il sistema
bancario aumenta la liquidità del sistema economico, ma non la sua ricchezza.
Modello dell’offerta di moneta
Per esaminare le determinanti dell'offerta di moneta utilizziamo un modello dell'offerta di
moneta in un sistema bancario a riserva frazionaria che ha 3 variabili esogene:
Questo modello mostra come l'offerta di moneta dipende dalla base monetaria dal
rapporto riserve depositi e dal rapporto circolante depositi e ci permetti di esaminare come
le politiche della banca centrale e le scelte delle banche e degli individui influenzino
l'offerta di moneta.
Cominciamo con la definizione dell'offerta di moneta e della base monetaria:
Offerta di moneta--> M=C+D
Base monetaria----> B=C+R
La prima equazione definisce l'offerta di moneta come la somma del circolante e depositi
a vista; la seconda definisce la base monetaria come la somma del circolante delle riserve
bancarie.
Per esprimere l'offerta di moneta come funzione delle tre variabili esogene (B, rr,
cr) dividiamo la prima equazione per la seconda e otteniamo:
𝑴 𝑪+𝑫
=
𝑩 𝑪+𝑹
Dividendo per D numeratore e denominatore del membro destro dell'espressione avremo:
𝑴 𝑪/𝑫 + 𝟏
=
𝑩 𝑪/𝑫 + 𝑹𝑫
Ma C/D non è altro che il rapporto circolante/depositi cr, e R/D il rapporto
riserve/depositi rr. Sostituendo e portando B dal membro sinistro al destro otteniamo:
𝒄𝒓 + 𝟏
𝑴= ∗𝑩
𝒄𝒓 + 𝒓𝒓
Questa equazione mostra come l'offerta di moneta dipende dalle tre variabili esogene che
abbiamo individuato.
Possiamo vedere ora come l'offerta di moneta sia proporzionale alla base monetaria: il
fattore di proporzionalità, (cr+1)/(cr+rr), viene di solito identificato con la lettera “m” ed
è chiamato moltiplicatore monetario. Possiamo quindi scrivere:
M = m*B
Ogni euro di base monetaria genera m euro di offerta di moneta. Avendo un effetto
moltiplicato sull'offerta di moneta la base monetaria viene spesso chiamata moneta ad
alto potenziale.
Esempio:
Strumenti di politica monetaria (Come la Banca Centrale
può variare la Base Monetaria)
2. Tasso di rifinanziamento
La Banca Centrale può anche determinare il tasso di interesse al quale è disposta a
finanziare le banche nel breve periodo.
La Banca Centrale finanzia le banche commerciali nel breve periodo attraverso una
forma particolare di operazione di mercato aperto detta “operazione di pronti
contro termine” acquistando attività finanziarie non monetarie dalle banche
commerciali e impegnandosi contestualmente a rivenderle a una data futura ad un
prezzo predeterminato.
Così facendo la Banca Centrale concede un prestito nel quale i titoli obbligazionari
o le attività finanziarie non monetarie vengono ceduti dalle banche commerciali
finanziate a garanzia del prestito stesso.
La differenza tra il prezzo pagato dalla banca centrale e quello pagato dalla banca
commerciale è detta tasso di rifinanziamento dalla Banca Centrale Europea.
Il tasso di rifinanziamento è quindi il tasso di interesse al quale la BCE è disposta a
finanziare il settore bancario dell’area euro.
Supponiamo che a un certo punto gli individui perdano fiducia nel sistema
bancario e di conseguenza decidano di attingere ai propri depositi e detenere una
parte maggiore della propria ricchezza in forma immediatamente liquida: se questo
si verifica il sistema bancario perde riserve e crea meno moneta; l'offerta di moneta
diminuisce anche se la banca centrale non interviene.
Poiché più costa un bene che un individuo vuole acquistare e più questo risparmia per
comprarlo, possiamo dire che la quantità di moneta è strettamente correlata alle somme che
vengono scambiate nel corso delle transazioni.
Il collegamento tra transazioni e moneta è espresso dall’equazione dello scambio di
Fisher (è un’identità):
Moneta*velocità = prezzo*transazioni
M*V = P*T
Esercizio:
• T = 60 ; P = 1.
• A quanto ammonta la quantità di moneta
scambiata?
• Supponiamo che M sia pari a 20. Quanto
vale V?
Dalle Transazioni al Reddito
Di solito gli economisti modificano leggermente l’equazione dello scambio, perché misurare
l’esatto numero di transazioni è piuttosto difficile. Perciò il numero delle transazioni T viene
sostituito con la produzione aggregata Y del sistema economico.
Transazioni T e produzione aggregata Y sono strettamente correlate perché quanto più
l’economia produce, tanti più beni e servizi vengono scambiati. Tuttavia, occorre ricordare
che non si tratta della stessa variabile.
Il valore complessivo delle transazioni può essere misurato dal PIL nominale. Se
indichiamo con Y la produzione aggregata e con P il prezzo unitario, il valore monetario
della produzione aggregata è pari a P*Y che corrisponde al PIL nominale; e quindi Y è il
PIL reale e P il deflatore del PIL.
Domanda di moneta
La domanda di moneta dipende da due determinanti:
- Motivo transattivo
- Motivo speculativo
Secondo Keynes ogni persona può decidere di:
• tenere la moneta in forma liquida;
oppure
• investirla in obbligazioni.
• Quando i tassi di interessi sono alti, il soggetto tenderà ad investire in
obbligazioni (titoli) e la moneta tenuta in forma liquida si riduce, mentre
quando il tasso di interesse è basso, il soggetto preferirà conservare la
moneta in forma liquida e la domanda di moneta sarà elevata.
Il prezzo dei titoli e il tasso d’interesse sono inversamente proporzionali.
Esempio:
Supponiamo titoli da 1000€ emessi al 2,5%. Essi procureranno ai loro
possessori un reddito annuale di 25€
Supponiamo che il tasso d’interesse sui nuovi titoli sia aumentato al 5%,
un nuovo titolo da 1000 euro offra al suo possessore un reddito monetario
annuo di 50 euro.
In tal caso nessuno sarebbe disposto a pagare più di 500 euro per un titolo
che frutta soltanto 25 euro l’anno.
Funzione della Domanda di Moneta e l’Equazione dello
Scambio
Per analizzare gli effetti della moneta sul sistema economico spesso è utile esprimere la
quantità di moneta in termini della quantità di beni e servizi che può acquistare: questa
quantità è detta saldi monetari reali (M/P).
I saldi monetari reali misurano il potere d’acquisto dello stock di moneta.
Una funzione di domanda di moneta è un’equazione che spiega come si determina la
quantità di saldi monetari reali che gli individui desiderano detenere. Una semplice funzione
di domanda di moneta è:
(M/P)d = kY
Dove k è una costante che indica la quantità di moneta che gli individui desiderano
detenere per ogni unità di reddito. Questa equazione stabilisce che la quantità domandata di
saldi monetari reali è proporzionale al reddito reale.
Dall’equazione dello scambio si ricava, con alcuni passaggi algebrici, il collegamento
esistente tra domanda di moneta e velocità di circolazione della moneta.
Aggiungiamo alla funzione di domanda di moneta la condizione che la domanda di saldi
monetari reali deve essere uguale all’offerta, M/P.
(M/P) = kY
Se gli individui desiderano detenere molta moneta per ogni unità di reddito (cioè k è
elevato), la moneta cambia di mano molto raramente (cioè V assume valore
basso);
Se gli individui desiderano detenere poca moneta per ogni unità di reddito (cioè k è
basso), la moneta cambia mano molto frequentemente (cioè V assume valore
alto).
L’Ipotesi di Velocità Costante (Teoria Quantitativa della
Moneta)
Se ipotizziamo che la velocità di circolazione della moneta V sia costante, l’equazione dello
scambio si trasforma in un utile teoria degli effetti della moneta sul sistema economico, detta
“teoria quantitativa della moneta”.
Con V costante, l’equazione dello scambio può essere considerata come una teoria della
determinazione del PIL nominale. L’equazione dello scambio afferma che:
Disponiamo a questo punto di una teoria sulla determinazione del livello generale
dei prezzi nel sistema economico.
Questa teoria si fonda su 3 elementi fondamentali:
1. I fattori di produzione e la funzione di produzione determinano il livello della produzione
aggregata Y;
2. L’offerta di moneta M determina il valore nominale della produzione aggregata PY.
Questa conclusione discende dall’equazione dello scambio e dall’ipotesi che la velocità di
circolazione della moneta sia costante.
3. Il livello dei prezzi P è il rapporto tra il valore nominale della produzione aggregata PY e
la produzione aggregata Y.
In altre parole:
la capacità produttiva di un sistema economico determina il PIL reale;
la quantità di moneta determina il PIL nominale;
il deflatore del PIL è il rapporto tra PIL nominale e PIL reale.
Poiché la velocità V è per ipotesi fissa, la variazione dell’offerta di moneta comporta
una variazione proporzionale del PIL nominale.
Ma poiché i fattori e la funzione di produzione determinano il PIL reale, la variazione del
PIL nominale non può che comportare una variazione del livello generale dei
prezzi.
Quindi la teoria quantitativa implica che il livello dei prezzi sia proporzionale all’offerta di
moneta.
Poiché il tasso di inflazione è la variazione percentuale del livello dei prezzi, la teoria del
livello dei prezzi è anche una teoria del tasso di inflazione.
Perciò, la teoria quantitativa della moneta afferma che la banca centrale, controllando
l’offerta di moneta, ha il controllo assoluto del tasso di inflazione:
se la banca centrale mantiene stabile l’offerta di moneta, il livello dei prezzi è
stabile;
se la banca centrale aumenta rapidamente l’offerta di moneta, il livello dei prezzi
aumenta rapidamente.
Lezione 9 (Capitolo 5 – L’Inflazione: Cause e Effetti)
Signoraggio
“L’inflazione è sempre un fenomeno monetario” [Milton Friedman]
Se indichiamo con i il tasso di interesse nominale, con r il tasso di interesse reale e con π il
tasso di inflazione, il rapporto tra le tre variabili può essere descritto come:
r = i – π –> il tasso di interesse reale è pari alla differenza tra il tasso di interesse
nominale e il tasso di inflazione;
i = r + π –> il tasso di interesse nominale è pari alla somma tra il tasso di interesse
reale e il tasso di inflazione.
Questa equazione è nota come equazione di Fisher e mostra che il tasso di interesse
nominale può variare per due cause: per una variazione del tasso di interesse reale e
per una variazione del tasso di inflazione.
L’effetto Fisher
Possiamo utilizzare l’equazione di Fisher per sviluppare una teoria che spieghi il tasso di
interesse nominale.
Il tasso di interesse reale è determinato dall’equilibrio dei fondi mutuabili, perché si aggiusta
in modo da portare in equilibrio il risparmio e l’investimento (S=I).
La teoria quantitativa della moneta dimostra che il tasso di crescita della quantità di moneta
determina il tasso di inflazione.
L’equazione di Fisher ci dice che sommando il tasso di interesse reale e il tasso di inflazione
otteniamo il tasso nominale.
Creditori e debitori non possono prevedere con certezza il tasso di inflazione futuro ma hanno
delle aspettative sul suo andamento.
Detto π il tasso di inflazione futuro effettivo (noto solo dopo che si è verificato) e πe il tasso di
inflazione futuro atteso:
il tasso di interesse reale ex ante è i – πe
il tasso di interesse reale ex post è i – π
Se l’inflazione effettiva π si discosta dall’inflazione attesa πe i due tassi sono tra loro differenti.
Questa differenza modifica l’effetto di Fisher perché chiaramente il tasso di interesse
nominale non può adeguarsi all’inflazione effettiva, perché non è conosciuta quando viene
stabilito il tasso di interesse.
Perciò l’effetto di Fisher può, più correttamente essere scritto come: i = r + πe
il tasso di interesse reale ex ante r è determinato dall’equilibrio sul mercato dei beni
e servizi;
il tasso di interesse nominale i varia in relazione uno a uno con le variazioni
dell’inflazione attesa πe
Per denominare la domanda di moneta si ricorre alla lettera L perchè la moneta è l’attività
più liquida dell’economia, cioè quella più facilmente utilizzabile per le transazioni
(L=Liquidità).
Questa equazione afferma che la domanda di liquidità dei saldi monetari reali è una funzione
del reddito e del tasso di interesse nominale:
Più è elevato il reddito Y e più è elevata la domanda di saldi monetari reali;
Più è elevato il tasso nominale i e più è bassa la domanda di saldi monetari.
Moneta futura e prezzi correnti
La teoria quantitativa della moneta ci spiega che:
l’interazione della domanda e dell’offerta di moneta determina il livello dei prezzi di equilibrio
––> le variazioni del livello dei prezzi corrispondono al tasso di inflazione –––> l’inflazione
a sua volta influenza il tasso di interesse nominale attraverso l’effetto di Fisher ––> e poiché
il tasso di interesse nominale è il costo di detenere moneta, esso ha un effetto di
ritorno sulla domanda di moneta.
Questa ultima relazione influenza la nostra teoria sul livello dei prezzi e per capire come
eguagliamo, in primo luogo, l’offerta di moneta M/P e la domanda di saldi monetari reali
L(i,Y):
M/P = L(i,Y)
Usiamo poi la notazione di Fisher per sostituire al tasso nominale la somma del tasso di
interesse reale e dell’inflazione attesa: M/P = L(r+πe,Y)
Questa equazione stabilisce che il livello dei saldi monetari reali dipende dal
tasso di inflazione atteso
La teoria quantitativa della moneta afferma che l’offerta corrente di moneta determina il
livello corrente dei prezzi. Questa conclusione è solo parzialmente vera:
se il tasso nominale e il livello del reddito sono costanti, il livello dei prezzi varia in
modo proporzionale all’offerta di moneta;
ma il tasso di interesse non è costante, visto che dipende dall’inflazione attesa, che a
sua volta dipende dalla crescita dell’offerta di moneta.
Questa equazione generale della domanda di moneta implica che il livello dei prezzi dipenda
non soltanto dall’offerta corrente di moneta, ma anche dall’offerta di moneta attesa per
il futuro. Per capire come supponiamo che la banca centrale annunci di voler aumentare in
futuro l’offerta di moneta:
questo annuncio genera aspettative di un aumento della quantità di moneta e,
quindi, di inflazione più elevata;
attraverso l’effetto di Fisher, questo aumento dell’inflazione attesa fa aumentare il
tasso di interesse nominale che, a propria volta, fa diminuire
immediatamente la domanda di saldi monetari reali.
Ma, dato che la banca centrale non ha ancora variato la quantità di moneta, la
diminuzione della domanda di saldi monetari reali provoca un aumento del livello
generale dei prezzi (per ridurre l’offerta reale di moneta e ripristinare equilibrio sul
mercato della moneta);
Quindi, le aspettative di una futura crescita dell’offerta di moneta fanno aumentare il livello
corrente dei prezzi.
M => πe => i => (M/P)d => P
Costi sociali dell’inflazione attesa
L’inflazione attesa presenta 5 costi sociali principali:
Costo delle suole: un tasso di inflazione elevato comporta tassi di interesse
nominale più alti che, a loro volta, provocano un abbassamento dei saldi monetari
reali. Se gli individui detengono meno moneta, devono recarsi più di frequente in
banca. Ciò aumenta le scomodità e le perdite di tempo. Si definisce costo delle suole a
livello metaforico perché andando più spesso in banca si consumano di più le suole
delle scarpe;
Costi di menu (listino): con l’inflazione elevata, le imprese cambiano più spesso il
listino prezzi dei loro prodotti. Modificare i prezzi risulta a volte molto costoso,
esempio il ristorante, che deve continuamente stampare nuovi menu.
Distorsione dei prezzi relativi (tasse): dovendo sostenere i costo dl menu le
imprese non variano i prezzi continuamente, ma in modo sporadico: più è elevata
l’inflazione e più sono variabili i prezzi relativi. Quindi, provocando la variabilità dei
prezzi relativi, l’inflazione può portare ad un’allocazione inefficiente delle risorse a
livello microeconomico.
Trattamento fiscale non equo: molte disposizioni del sistema tributario non
tengono conto degli effetti dell’inflazione che può alterare il carico fiscale degli
individui in modi che possono contrastare le intenzioni del legislatore.
Scomodità di vivere in un mondo in cui il livello dei prezzi cambia
continuamente: la moneta è l’unità di riferimento con cui misuriamo le transazioni
economiche. In presenza di inflazione, questa unità cambia continuamente.
, alcuni economisti ritengono che un inflazione moderata, con un tasso di 2-3% annuo
possa portare dei benefici:
1. Un argomento a favore di un’inflazione moderata parte dall’osservazione che i tagli ai
salari nominali sono un fatto molto raro: le imprese sono poco propense a
proporli, e i lavoratori non sono disposti ad accettarli.
Questo fatto suggerisce che un modesto livello di inflazione potrebbe favorire il
buon funzionamento dei mercati del lavoro.
2. L’offerta e la domanda di diversi tipi di lavoro cambiano in continuazione. A volte un
aumento dell’offerta o la diminuzione della domanda provocano una flessione del
salario reale di equilibrio per un gruppo di lavoratori: se il salario nominale non può
essere ridotto contrattualmente, l’unico modo per decurtare il salario reale è lasciare
che lo faccia l’inflazione.
Senza inflazione il salario reale resterebbe bloccato al di sopra del livello di equilibrio
provocando un aumento della disoccupazione: quindi un modesto livello di
inflazione consente di riportare in equilibrio il mercato del lavoro senza
riduzioni del salario nominale.
Iperinflazione
Si definisce iperinflazione un tasso di inflazione che superi il 50% al mese
Fenomeni di iperinflazione comportano per la società un costo drammaticamente elevato:
Tutti i costi sono amplificati (suola, menu ecc);
la moneta perde la propria funzione di riserva di valore, unità di conto e mezzo di
scambio;
gli agenti, al posto della moneta, preferiscono il baratto e monete non ufficiali, più
stabili (come le sigarette o la valuta straniera) che sostituiscono progressivamente la
moneta ufficiale.
Dicotomia classica
Secondo la teoria macroeconomia classica, la moneta è neutrale: ciò significa che l’offerta
di moneta non influenza le variabili reali (sono le variabili misurate in unità fisiche, come
le quantità [es. PIL reale] e i prezzi relativi [es. tasso di interesse reale]).
Per questa ragione la macroeconomia classica permette di studiare le variabili reali senza
prendere in considerazione l’offerta di moneta.
L’equilibrio nel mercato monetario determina solo il livello dei prezzi e, di conseguenza, tutte
le variabili nominali (variabili espresse in termini monetari (es. salario nominale, livello
dei prezzi, tasso di inflazione ecc.).
La separazione teorica tra variabili reali e nominali è detta dicotomia classica.
Lezione 10 (Capitolo 6 – L’Economia Aperta)
L’Economia Aperta
«Quali che siano i vantaggi, naturali o acquisiti, che un paese ha su un altro, in questo
contesto non ha alcuna rilevanza. Nella misura in cui un paese gode di tali vantaggi e l’altro
vuole goderne, sarà sempre più vantaggioso per quest’ultimo acquistare dal primo,
piuttosto che produrre.»
Adam Smith, La ricchezza delle nazioni
In un’economia chiusa tutta la produzione viene venduta entro i confini nazionali, e la
spesa si divide in: consumo, investimento e spesa pubblica. In un economia aperta
invece, una parte della produzione viene venduta entro i confini nazionali e una parte
esportata all’estero, ed in questo caso la spesa Y si divide in, consumi di beni e servizi
nazionali (Cd), investimento in beni e servizi nazionali(Id), spesa pubblica per
l’acquisto di beni e servizi nazionali(Gd) ed esportazioni di beni e servizi nazionali
(EX).
Y=Cd+Id+Gd+EX
Flussi internazionali dei capitali
S-I=NX
• economia “piccola”
• perfetta mobilità dei capitali
• Produzione fissa
• Consumo funzione del reddito disponibile
NX = Y – C – G – I ➔ S – I
NX = Y - C (Y – T) – G – I(r*) = S – I(r*)
Conclusione Generale
In conclusione, possiamo quindi affermare che, i provvedimenti che fanno aumentare
l’investimento o diminuire il risparmio tendono a creare un disavanzo commerciale,
mentre quelli che fanno diminuire l’investimento o aumentare il risparmio
producono un avanzo commerciale.
Lezione 11 (Capitolo 6 – L’Economia Aperta)
Tasso di cambio nominale
e = prezzo della valuta domestica in termini di una valuta estera.
se ε>1 = i beni nazionali sono più cari dei beni esteri, quindi aumentano le
importazioni e diminuiscono le esportazioni, quindi il valore delle esportazioni
diminuisce.
Se ε<1= i beni nazionali sono più conveniente dei beni esteri, quindi
aumentano le esportazioni e diminuiscono le importazioni, quindi il valore
delle esportazioni aumenta.
domanda di investimento
politiche commerciali
Politica fiscale interna
L’impatto della politica fiscale interna, ci mostra cosa succede al tasso di
cambio reale se il governo aumenta la spesa pubblica o riduce le tasse.
Il tasso di cambio nominale dipende quindi dal tasso di cambio reale e dal livello dei
prezzi nei due Paesi. Un aumento di P, porta ad una diminuzione del tasso di cambio
nominale, perché la moneta nazionale vale di meno. Mentre un aumento dei prezzi esteri
P*, porta un aumento del tasso di cambio nominale, perché la moneta nazionale vale di
più.
Pertanto:
il numero degli individui che trovano una nuova occupazione è fU;
il numero degli individui che perdono il lavoro è sE.
Se il tasso di disoccupazione non aumenta e non diminuisce, cioè, se il mercato del lavoro
si trova in uno stato stazionario, il numero degli individui che trovano una nuova
occupazione è, in ogni dato mese, uguale a quello degli individui che perdono il lavoro
dalla definizione di forza lavoro sappiamo che E = L – U, cioè che il numero degli
occupati è uguale alla differenza tra il numero dei partecipanti alla forza lavoro e quello
dei disoccupati;
se nella condizione di stato stazionario, sostituiamo (L – U) a E, otteniamo: fU = s(L –
U);
per risolvere rispetto al tasso di disoccupazione dividiamo entrambi i membri per L,
ottenendo:
U/L=s/s+f
Questa equazione mostra che il tasso di disoccupazione di stato stazionario U/L, dipende
dal tasso di separazione s e dal tasso di collocamento f:
Più è elevato s e più è alto il tasso di disoccupazione.
Più è elevato f e più è basso il tasso di disoccupazione.
gli uffici di collocamento diffondo informazioni sui posti di lavoro vacanti per
trovare un impiego ai disoccupati con maggiore efficienza;
i programmi pubblici di riqualificazione professionale facilitano il passaggio
di lavoratori da settori in declino a settori emergenti.
Quando questi provvedimenti si rivelano efficaci, il tasso di collocamento sale e il tasso
naturale di disoccupazione scende.
Altri provvedimenti di politica economica contribuiscono ad aumentare la disoccupazione
frizionale aumentando così il tasso naturale di disoccupazione:
Se il salario reale è al di sopra del livello che assicura l’equilibrio tra domanda e offerta, la
quantità offerta di lavoro (famiglie offrono lavoro) è maggiore della quantità domandata
dalle imprese che devono così razionare i posti di lavoro disponibili tra i lavoratori. La
rigidità dei salari riduce il tasso di collocamento e accresce il tasso di disoccupazione
naturale.
La disoccupazione che risulta dalla rigidità dei salari e dal razionamento dei posti di lavoro
è detta disoccupazione strutturale.
Le cause della rigidità salariale sono 3:
le leggi sul salario minimo;
il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali;
il salario di efficienza.
Le leggi sul salario minimo (Causa 1 della rigidità salariale)
L’azione del governo provoca la rigidità dei salari nel momento in cui impedisce ai salari di
scendere fino a raggiungere il livello di equilibrio.
Le leggi sul salario minimo, stabiliscono un minimo legale ai salari che le imprese possono
corrispondere ai propri dipendenti.
Per la maggior parte dei lavoratori il salario minimo non è vincolante, perché la loro
retribuzione è ben superiore al minimo legale.
Ma per alcuni lavoratori, soprattutto quelli privi di qualificazione ed esperienza (come i
giovani), il salario minimo fa lievitare la remunerazione sopra il livello di equilibrio,
riducendo la quantità di lavoro domandata dalle imprese.
Queste 4 teorie sono accomunate da uno stesso tema: più i salari sono alti e più l’impresa
è efficiente, e quindi può essere favorevole mantenere i salari sopra il livello di equilibrio
della domanda e offerta di lavoro.
A un salario superiore al livello di equilibrio corrisponde un tasso di collocamento più basso
e un aumento della disoccupazione strutturale.
Nel modello di Solow l’offerta di beni si basa sulla funzione di produzione Y=F(K, L).
• K non è più fisso: aumenta con gli investimenti e si riduce per effetto del
deprezzamento.
• L non è più fisso: la crescita della popolazione fa aumentare la forza lavoro.
• Funzione del consumo (C) semplice
• Spesa pubblica (G) e tassazione (T) sono assenti
Come già detto, l’investimento per occupato i è pari a sy. Sostituendo a y la funzione di
produzione possiamo esprimere l’investimento per occupato in funzione dello stock di capitale
per occupato:
i = sf(k)
Tale equazione mette in relazione lo stock di capitale k con l’accumulazione di nuovo capitale
i.
Per ogni valore di k la quantità di prodotto è determinata dalla funzione di produzione f(k) e
l’allocazione del prodotto tra consumo e investimento è determinata dal saggio di risparmio s.
Per includere l’ammortamento ipotizziamo che una certa frazione δ dello stock si logori ogni
anno. δ indica il tasso di ammortamento. Il capitale che si logora ogni anno è δk.
• ↑ s ⇒ ↑ k*
• Poiché y = f(k) allora ↑ k* ⇒ ↑ y*
• Il modello di Solow dimostra che Paesi con saggi di risparmio maggiori avranno
nel lungo periodo livelli del capitale e del reddito per addetto maggiori.
• Disavanzi di bilancio persistenti (risparmio pubblico negativo) avranno un effetto
negativo sulla crescita dell’economia
Ipotizziamo che l’economia sia in uno stato stazionario con saggio di risparmio s1 e uno stock
di k1*. Se il saggio di risparmio aumenta da s1 a s2, la curva sf(k) si sposta verso l’alto. Nel
momento in cui il saggio di risparmio aumenta anche l’investimento aumenta, ma stock di
capitale e ammortamento restano invariati. L’investimento è dunque maggiore
dell’ammortamento e lo stock di capitale cresce fino a raggiungere il nuovo stato stazionario
k2*.
Partendo dal concetto di M come Offerta di Moneta, dal quale deriva la domanda aggregata
di moneta (domanda aggregata di beni e servizi, non a caso la funzione si eguaglia con Y
ovvero reddito totale ovvero PIL), è importante valutare eventuali spostamenti della curva di
domanda.
Partendo dalla teoria quantitativa della moneta, ovvero dalla formula della domanda
aggregata, in cui Y rappresenta la domanda aggregata (ovvero le trasazioni).
MV = PY
Poiché la velocità di circolazione V si suppone costante possiamo scrivere Y = V(M/P) che
espressa come funzione generica: Y = (M/P)
Pertanto, è possibile notare che esiste
una relazione inversa tra il livello
dei prezzi P e la produzione
aggregata Y.
Per Lungo Periodo si intende quando i prezzi sono flessibili, e pertanto questi si
aggiusteranno per uguagliare domanda e offerta.
Sapendo che (Lezione 5) la funziona di produzione Y = F (K ,L) dipende dal livello
tecnologico e dai fattori produttivi, ma non dal livello dei prezzi (…dicotomia classica), nel
lungo periodo la funzione di offerta aggregata OALP è verticale in corrispondenza del livello
di pieno impiego dei fattori produttivi.
Per Breve Periodo si intende quando i prezzi non sono flessibili, e pertanto sono fissati
a un livello predeterminato. Non si aggiustano per uguagliare domanda e offerta.
Assumendo che i prezzi siano vischiosi a un livello predeterminato P*, a quel prezzo le
imprese sono disposte ad offrire tutta la quantità domandata … ovvero:
Nel breve periodo la funzione di offerta aggregata OABP è orizzontale in corrispondenza del
livello di prezzi P*.
Le politiche di stabilizzazione
Per Shock si intende qualsiasi evento esogeno che provochi uno spostamento di una delle
due di DA o OA.
Shock di domanda. Esempio: L’introduzione delle carte di credito riduce la
domanda di moneta ed equivale a un aumento dell’offerta di M. La curva DA si
sposta verso l’alto.
Shock di offerta. Variazione esogena dei costi di produzione (detti anche shock da
prezzi). Esempi di shock negativi:
• Un’alluvione o una carestia
• I costi di produzione aumentano per gli shock petroliferi o normative
ambientali
• La conflittualità sindacale fa aumentare i salari
Uno Shock sulla domanda aggregata e sull’offerta aggregata causano fluttuazioni
economiche nel PIL e nella disoccupazione nel breve periodo.
Le politiche di stabilizzazione sono tutti i provvedimenti tesi a ridurre l’ampiezza delle
fluttuazioni di breve periodo.
La politica monetaria è una componente importante delle politiche di stabilizzazione.
I responsabili della politica economica possono cercare di stabilizzare l’economia
cambiando l’offerta di moneta per accomodare gli shock di offerta.
Il modello IS-LM
Obiettivi:
Studio della domanda aggregata nel breve periodo in una economia chiusa (NX = 0)
Analisi degli shock di domanda
Determinazione del reddito di equilibrio
Predisposizione delle politiche di stabilizzazione
Variabili endogene:
Reddito nazionale Y
Tasso di interesse r
Componenti della domanda: C, I
Variabili esogene:
Prezzi P
Politica fiscale: G, T
Politica monetaria: M
La curva IS: investimenti e risparmio
Il secondo elemento della croce keynesiana è l’ipotesi che l’economia si trovi in equilibrio se
spesa effettiva e spesa programmata sono uguali.
Questa ipotesi si basa sull’idea che quando gli individui sono soddisfatti, non hanno
interesse a modificare le cose. Ricordano che Y, essendo il PIL, è uguale non solo al reddito
totale, ma anche alla spesa totale per l’acquisto di beni e servizi, possiamo scrivere la
condizione di equilibrio come:
Spesa effettiva = spesa programmata
Y=E
La retta con pendenza di 45° passante per l’origine degli assi (retta della spesa effettiva),
nella figura 10.3, è il luogo dei punti in cui questa condizione è rispettata (tutti i punti hanno
l’ascissa uguale all’ordinata, quindi tutti i punti sono possibili punti di equilibrio).
Aggiungendo al diagramma la curva di spesa programmata si ottiene la croce Keynesiana:
in questo caso l’equilibrio corrisponde al punto A, dove la curva di spesa programmata
interseca la retta a 45° di spesa effettiva.
La politica fiscale e il moltiplicatore: La spesa pubblica G
Consideriamo come viene influenzata l’economia da una variazione della spesa pubblica.
Poiché la spesa pubblica è una delle componenti della spesa aggregata, un aumento della
spesa pubblica si traduce in un più elevato livello di spesa programmata per ogni dato livello
di reddito.
Se la spesa pubblica aumenta di una quantità ΔG, la curva di spesa programmata si sposta
verso l’alto in misura ΔG, come in fig.10.5. Di conseguenza, l’equilibrio di sposta dal punto A
al punto B.
Questo grafico mostra come un aumento della spesa pubblica provochi un aumento più che
proporzionale del reddito: quindi ∆Y è maggiore di ∆G.
Il rapporto ΔY/ΔG, detto moltiplicatore della spesa pubblica, ci dice quanto aumenta
il reddito a fronte dell’incremento di 1€ della spesa pubblica. Il moltiplicatore della spesa
pubblica ha un valore superiore ad 1
ΔY/ΔG >1
Quanto è grande il moltiplicatore? Per rispondere a questa domanda dobbiamo seguire tutti
i passaggi del processo di aggiustamento conseguente ad una variazione della spesa pubblica
∆G.
Il processo ha inizio con un aumento della spesa pubblica ΔG, che fa aumentare il reddito, il
quale fa aumentare i consumi di PMC*∆G. L’incremento del consumo di PMC*∆G fa aumentare
la spesa e il reddito di un ammontare corrispondente che, a sua volta, fa aumentare di nuovo
il consumo in misura pari a PMC*(PMC*∆G) e così via.
ΔY 1
Esempio: se la PMC è 0,6 il moltiplicatore è: ΔG = (1–0,6) = 2,5; un aumento di 1€ della spesa
pubblica comporta un aumento del reddito di equilibrio di 2.5€.
La politica fiscale e il moltiplicatore: Le Imposte
Consideriamo gli effetti sul reddito di equilibrio di una variazione delle imposte. Una
diminuzione delle imposte di ∆T fa aumentare il reddito disponibile (Y-T) di un ammontare
∆T e quindi il consumo di PMC*ΔT.
Per ogni dato livello di reddito Y, la spesa programmata è più elevata (fig.10.6). La curva di
spesa programmata si sposta verso l’alto in misura corrispondente a PMC*ΔT e l’equilibrio
dell’economia si sposta dal punto A al punto B.
Come un aumento della spesa pubblica, anche una riduzione delle imposte ha un effetto
amplificato sul reddito.
L’effetto complessivo sul reddito di una variazione delle imposte è:
∆𝑌 − 𝑃𝑀𝐶
=
∆𝑇 (1 − 𝑃𝑀𝐶)
Esempio: data una PMC di 0,6, il moltiplicatore delle imposte è: ΔY/ΔT= –0,6/(1–0,6)
= –1,5. Una riduzione delle imposte pari a 1€ fa aumentare il reddito di equilibrio di 1,5€.
Derivazione della Curva IS (Il Tasso di Interesse,
L’Investimento e la Curva IS)
Per stabilire come varia il reddito al variare del tasso di interesse, possiamo combinare la
funzione di investimento con la croce keynesiana.
Poiché l’investimento è correlato negativamente col tasso di interesse, un aumento del tasso
da r1 a r2 riduce l’investimento da I(r1)a I(r2). Tale riduzione dell’investimento programmato
provoca uno spostamento della curva di spesa programmata verso il basso. Lo
spostamento della funzione di spesa programmata provoca una flessione del livello di reddito da Y1
a Y2.
Quindi un aumento del tasso di interesse riduce il livello del reddito: r => I => E =>
Y
Una riduzione del tasso di interesse, al contrario, induce le imprese ad aumentare la spesa
per investimenti, quindi una riduzione del tasso da r1 a r2 aumenta il livello di investimento
da I(r1) a I(r2). Tale aumento dell’investimento programmato provoca uno spostamento
verso l’alto della curva di spesa programmata (in misura corrispondente a ∆I) generando
un eccesso di domanda nel mercato dei beni e servizi. Lo spostamento della funzione di
spesa programmata provoca un aumento del livello di reddito (prodotto) da Y 1 a Y2, per
ripristinare l’equilibrio di mercato.
Quindi una riduzione del tasso di interesse aumenta il livello del reddito: r => I => E
=> Y
Interpretazione economica
La curva IS mostra, per ogni dato livello del tasso di interesse, il livello di reddito che
garantisce l’equilibrio del mercato dei beni. Dalla croce keynesiana sappiamo che il livello
del reddito dipende anche dalla spesa pubblica G e dalle imposte T.
La curva IS è tracciata per una data politica fiscale: cioè, nel costruire la curva IS si
prendono per dati i valori di G e T. Quando la politica fiscale cambia, la curva IS si sposta.
Usiamo la croce keynesiana per dimostrare come un aumento della spesa pubblica da G 1 a
G2 fa spostare la curva IS (figura 10.8). Il grafico è tracciato per un dato tasso di interesse
r (fisso) e quindi per un dato livello di investimento programmato.
La croce keynesiana ci mostra come la variazione della politica fiscale accresca la spesa
programmata e, quindi, il reddito da Y1 a Y2. Di conseguenza, un aumento della spesa
pubblica provoca uno spostamento verso destra della curva IS.
Anche una diminuzione delle imposte espande la spesa e il reddito, determinando uno
spostamento verso destra della curva IS.
Una diminuzione della spesa pubblica o un aumento delle imposte contrare la spesa e il
reddito provocando uno spostamento verso sinistra della curva IS.
Y– C – G = I da cui S = I
Il membro sinistro dell’equazione è il risparmio nazionale S, il membro destro
l’investimento.
Il risparmio nazionale (S=Y-C-G) rappresenta l’offerta di fondi mutuabili, mentre
l’investimento I ne rappresenta la domanda.
Per vedere come dal mercato dei fondi mutuabili si derivi la curva IS sostituiamo
nell’equazione la funzione del consumo a C e la funzione dell’investimento a I:
Y – C(Y–T) – G = I(r)
Il membro sinistro dell’equazione mostra che l’offerta di fondi mutuabili dipende dal
reddito e dalla politica fiscale; il membro destro mostra che la domanda di fondi mutuabili
dipende dal tasso di interesse.
Possiamo interpretare la curva IS come la rappresentazione del tasso di interesse che
mantiene in equilibrio il mercato dei fondi mutuabili per ogni dato livello di reddito (figura
10.9).
Quando il reddito aumenta da Y1 a Y2, il risparmio nazionale (Y-C-G) aumenta. Il consumo
aumenta in misura inferiore al reddito essendo la PMC è inferiore a 1.
L’aumento dell’offerta di fondi mutuabili provoca una riduzione del tasso di interesse da r1 a r2.
La curva IS riassume la relazione tra le due variabili: a un reddito più elevato corrisponde
un maggior risparmio al quale corrisponde a sua volta un più basso tasso di interesse di
equilibrio. Perciò la curva IS ha pendenza negativa.
Questa interpretazione alternativa spiega anche perché una variazione della politica fiscale
provochi uno spostamento della curva IS.
Un aumento della spesa pubblica o una riduzione delle imposte riducono il risparmio
nazionale per ogni dato livello di reddito.
La minore offerta di fondi spinge verso l’alto il tasso di interesse di equilibrio e poiché il tasso
di interesse aumenta per ogni dato livello di reddito, a fronte di una politica fiscale espansiva
la curva IS si sposta verso destra.
Nella Teoria generale, Keynes ha presentato una spiegazione di come si determini il tasso di
interesse nel breve periodo. Tale teoria è nota come «teoria della preferenza per la
liquidità», perché afferma che il tasso di interesse si aggiusti per equilibrare la domanda
e l’offerta della moneta (che è l’attività più liquida del sistema economico).
Così come la croce keynesiana è il fondamento della curva IS, la teoria della preferenza
per la liquidità è il fondamento della curva LM.
Per sviluppare questa teoria partiamo dall’offerta di saldi monetari reali (cap.5, lezione
8). Se M è l’offerta di moneta e P il livello generale dei prezzi, M/P è l’offerta di saldi
monetari reali.
La teoria della preferenza della liquidità ipotizza che l’offerta di saldi monetari reali sia
fissa, ovvero che:
(M/P)o = M / P
L’offerta di moneta M è una variabile esogena perché la politica monetaria è stabilita
autonomamente dalla banca centrale; anche il livello dei prezzi P è una variabile esogena
perché il modello IS-LM fa riferimento al breve periodo quando i prezzi sono fissi.
Queste ipotesi implicano che l’offerta dei saldi monetari reali sia fissa e che non dipenda
dal tasso di interesse. Così quando rappresentiamo l’offerta di saldi monetari otteniamo una
retta verticale (fig. 10.10).
Secondo la teoria della preferenza per la liquidità, il tasso di interesse r è una delle
determinanti della quantità di moneta che gli individui desiderano detenere. Il tasso di
interesse rappresenta infatti il costo-opportunità di detenere moneta, ovvero il
rendimento a cui si rinuncia per detenere una parte della propria ricchezza sotto forma di
moneta, che non corrisponde interessi, piuttosto che in titoli obbligazionari o in depositi
bancari fruttiferi.
Se il tasso aumenta, gli individui desiderano detenere una quantità inferiore di moneta,
per cui possiamo esprimere la domanda di saldi monetari reali come:
(M/P)d = L(r)
Il Reddito, la Domanda di Moneta e la Derivazione della
Curva LM
Possiamo utilizzare la teoria della preferenza per la liquidità per derivare la curva LM,
ricordando che la domanda di moneta dipende anche dal reddito Y oltre che dal tasso di
interesse.
Quando il reddito è elevato, la spesa è elevata, e gli individui effettuano un maggior
numero di transazioni che richiedono l’uso della moneta. Perciò a un più elevato livello di
reddito è associata una maggiore domanda di moneta (per motivi transattivi). Possiamo
esprimere algebricamente questo concetto scrivendo:
(M/P)d = L(r,Y)
La quantità domandata di saldi monetari reali è inversamente correlata al tasso di interesse
e positivamente correlata al livello di reddito.
Usando la teoria della preferenza per la liquidità, possiamo stabilire cosa accade al tasso di
interesse di equilibrio quando varia il livello del reddito (fig. 10.12).
Se il reddito aumenta da Y1 a Y2, ciò provoca uno spostamento verso destra della curva di
domanda di moneta.
Poiché l’offerta di saldi monetari è costante (fissata dalla banca centrale), al tasso di interesse
di equilibrio si realizza un eccesso di domanda di moneta nel mercato. Il tasso di equilibrio
deve aumentare (riducendo così la domanda di moneta per motivi speculativi) da r1 a r2 per
riportare in equilibrio il mercato monetario. Perciò, secondo la teoria della preferenza per
la liquidità, a un reddito più elevato corrisponde un tasso di interesse più elevato.
La curva LM riassume la relazione tra livello di reddito e tasso di interesse. Ciascun punto
della curva LM rappresenta un equilibrio del mercato della moneta; la curva stessa
descrive come il tasso di interesse di equilibrio dipenda dal reddito. Quanto più è elevato il
reddito, tanto maggiore è la domanda di saldi monetari reali e tanto più aumenta il tasso
di interesse di equilibrio. Perciò la curva LM ha pendenza positiva.
Politica monetaria e traslazione della LM
La curva LM indica quale sia il livello del tasso di interesse che porta in equilibrio il mercato
della moneta per ogni dato livello di reddito. Tuttavia, il tasso di interesse di equilibrio
dipende anche dall’offerta di saldi monetari reali M/P.
Ciò significa che la curva LM è tracciata per una data offerta di saldi monetari reali M/P: se
i saldi monetari reali variano – per esempio, se la banca centrale modifica l’offerta di moneta
– la curva LM si sposta.
Possiamo ricorrere alla teoria della preferenza per la liquidità per comprendere l’influenza
della politica monetaria sulla curva LM.
Supponiamo che la banca centrale riduce l’offerta di moneta da M1 a M2, facendo diminuire
l’offerta di saldi monetari reali da M1/P a M2/P. tenendo costante il livello del reddito e,
quindi la curva di domanda di saldi monetari reali, vediamo che una contrazione dell’offerta
di saldi monetari reali spinge al rialzo il tasso di interesse che assicura l’equilibrio del
mercato monetario.
Quindi, una diminuzione dell’offerta di moneta provoca uno spostamento verso l’alto della
curva LM.
Per capire l’equilibrio generale dell’economia per un dato livello dei prezzi dobbiamo
considerare sia l’equilibrio nel mercato dei beni sia l’equilibrio nel mercato della moneta:
quindi dobbiamo usare contemporaneamente la curva IS e la curva LM.
L’aumento del reddito genera un incremento della domanda di moneta che, data l’offerta
costante, causa un incremento del tasso di interesse.
L’aumento di r causa una riduzione degli investimenti (spiazzamento) e quindi una
contrazione del reddito.
L’aumento finale del reddito è inferiore a quello iniziale per effetto dello spiazzamento
degli investimenti da parte della spesa pubblica
Un aumento di M provoca un aumento dei saldi monetari M/P, poiché nel breve periodo P
è fisso. Secondo la teoria della preferenza per la liquidità, per ogni livello di reddito un
aumento dei saldi monetari provoca un abbassamento del tasso di interesse e perciò la
curva LM si sposta verso il basso
I responsabili della politica economica che governano i due strumenti (politica monetaria e
fiscale) sono consapevoli ciascuno delle mosse dell’altro: perciò una variazione di uno dei
due strumenti può influenzare le scelte che intervengono sull’altro, e questa interdipendenza
può alterare l’effetto di un provvedimento. Per esempio, se il Parlamento aumenta le
imposte, che effetto abbiamo sull’economia? Secondo il modello IS-LM la risposta dipende
dalla reazione della banca centrale. Nella figura 11.4 sono illustrate tre tra le numerose
possibilità.
Gli shock nel modello IS-LM
Gli shock della curva IS sono variazioni esogene della domanda di beni e servizi.
Alcuni economisti come Keynes affermano che tali variazioni della domanda possano
derivare da cosiddetti istinti animali degli investitori: ondate esogene di ottimismo o
pessimismo. Se l’impresa è pessimista investe meno e provoca una contrazione della
funzione dell’investimento che si sposta verso sinistra, che a sua volta riduce la spesa
programmata e sposta la curva IS a sinistra, riducendo reddito e occupazione. Oppure
in caso di ottimismo, magari la gente spende di più quindi la funzione di consumo si
sposta verso l’alto facendo aumentare la spesa programmata e spostando la curva IS
verso destra producendo un aumento del reddito.
Gli shock della curva LM sono generati da variazioni della domanda di moneta.
Esempio, gli individui desiderano detenere maggior quantità di moneta. Se aumenta
la domanda di moneta aumenta il tasso di interesse, e quindi la curva LM si sposta
verso l’alto aumentando il tasso di interesse e deprimendo il reddito. In sintesi,
diversi tipi di eventi possono causare fluttuazioni economiche tramite lo spostamento
della curva IS o LM.
Il grafico di domanda e offerta aggregata mostra come nel punto C la quantità domandata di
beni e servizi sia uguale al livello naturale del prodotto aggregato. L’ipotesi keynesiana è
rappresentata dal punto K, è che il livello dei prezzi sia fisso e che in funzione della politica
monetaria, fiscale e di altre determinanti della domanda aggregata, il prodotto possa deviare
dal suo livello naturale.
L’ipotesi classica è rappresentata dal punto C, ed è che il livello dei prezzi sia perfettamente
flessibile, e che i prezzi si aggiustino in modo da garantire che il reddito nazionale sia sempre
al livello naturale. Quale ipotesi è la più appropriata? Dipende dall’orizzonte temporale
considerato. L’ipotesi classica è più verosimile nel lungo periodo, l’ipotesi keynesiana è più
adatta per il breve periodo.
L’economia si muove dal breve al lungo periodo per effetto dell’aggiustamento dei prezzi
In sintesi
La curva DA
Relazione tra P e il modello IS-LM e la determinazione del Y di breve
periodo.
Ha pendenza negativa perché:
P (M/P ) r I Y
Le espansioni fiscali spostano la curva IS verso destra, aumentano il reddito
e spostano la curva DA a destra.
Politiche monetarie espansive spostano la curva LM a destra e spostano la
DA a destra.
Gli shock alla IS o LM spostano la DA.
Lezione 20 (Capitolo 13 – Economia Aperta rivisitata: Modello
Mundell-Flaming)
Il modello di Mundell-Fleming
Variabili endogene:
• Reddito nazionale Y
• Tasso di cambio e
• Componenti della domanda: C, I, NX
Variabili esogene:
• Tasso di interesse. Pari a quello mondiale: r* = r
• Prezzi P
• Variabili fiscali: G, T
Offerta di moneta: M
M/P = L(r*,Y)
Questa equazione indica invece l’equazione LM, dove la domanda dei saldi monetari è in
relazione invecersa con il tasso di interesse e in relazione diretta con Y. L’offerta di
moneta è controllata dalla banca centrale e il livello dei prezzi è determinato
esogenamente. Tale curva può essere rappresentata in modo verticale perché il tasso di
cambio non compare nell’equazione.
I tassi di cambio e la loro variazione
Il tasso di cambio rappresenta il prezzo relativo delle attività nazionali e di quelle estere.
• Se la domanda di euro è superiore all’offerta allora il prezzo degli euro (valore)
aumenta.
→ Il tasso di cambio si appezza ed e cresce.
• Se la domanda di euro è inferiore all’offerta il prezzo degli euro (valore) cala.
→ Il tasso di cambio si deprezza ed e si riduce.
Il sistema più diffuso nelle piccole economie del mondo è il redime dei tassi fluttuanti. Il
tasso di cambio si aggiusta in modo da garantire simultaneamente l’equilibrio nel
mercato dei beni e nel mercato della moneta. I tre provvedimenti che possono influenzare
l’equilibrio sono: la politica fiscale, la politica monetaria e la politica commerciale
LA POLITICA FISCALE
In cambi flessibili la politica fiscale non può espandere il reddito nel breve
periodo.
o Economia chiusa: l’espansione fiscale spiazza gli investimenti ma solo
parzialmente.
o Economia aperta con cambi flessibili: l’espansione fiscale induce
un apprezzamento del tasso di cambio e spiazza le esportazioni nette
completamente.
LA POLITICA MONETARIA
LA POLITICA COMMERCIALE
In cambi fissi la politica fiscale può espandere il reddito nel breve periodo.
o Economia chiusa: l’espansione fiscale spiazza gli investimenti ma solo
parzialmente.
o Economia aperta con cambi fissi: l’espansione fiscale induce un
apprezzamento del tasso di cambio e costringe la banca centrale a
intervenire. Il tasso di cambio non cambia e la produzione cresce.
LA POLITICA MONETARIA
In cambi fissi la politica monetaria non può espandere il reddito nel breve
periodo.
o Economia chiusa: l’espansione monetaria riduce il tasso di interesse e
stimola gli investimenti
o Economia aperta con cambi fissi: l’espansione monetaria induce un
deprezzamento del tasso di cambio ma la banca centrale è costretta a
intervenire comprando valuta nazionale. L’unico effetto è una riduzione
delle riserve di valuta estera
LA POLITICA COMMERCIALE
Il modello di Mundell-Fleming
Politica fiscale
Politica monetaria
Politica commerciale
Dal breve al lungo periodo: la curva DA
Lezione 22 (Capitolo 14 – Offerta Aggregata e trade-off di
breve periodo tra inflazione e disoccupazione)
Variazioni di P non cambiano il prodotto. In realtà il reddito e la produzione offerta
dipendono dal livello dei prezzi. Le imprese sono disposte a offrire un prodotto maggiore
se possono aumentare i prezzi
Questo è verso soltanto nel breve periodo.
Nel lungo periodo le variabili monetarie sono neutrali (teoria classica).
Y = Ӯ + α(P-Pe )
Dove Y è il prodotto aggregato, Y (soprassegnato) è il livello naturale del prodotto aggregato,
P il livello dei prezzi e Pe il livello atteso dei prezzi. Secondo questa equazione, il prodotto
aggregato Y si discosta dal suo livello naturale quando il livello dei prezzi si discosta dal suo
valore atteso. Il parametro α indica la sensibilità del prodotto aggregato alle variazioni
inattese del livello dei prezzi; 1/α è la pendenza della curva di offerta aggregata.
La curva di offerta aggregata di breve periodo ha pendenza positiva, che può essere
spiegata con 3 modelli: prezzi vischiosi, salari vischiosi e informazione
imperfetta
W=w* P e
Una volta determinato il salario nominale e prima che vengano assunti i lavoratori, le
imprese vengono a conoscenza del livello effettivo dei prezzi, P. Il salario reale risulta quindi
pari a:
W/P = w * P e /P
Questa equazione dimostra che il salario reale differisce dal salario nominale se il livello
atteso dei prezzi differisce dal livello effettivo dei prezzi.
L’ipotesi finale del modello dei salari vischiosi è che l’occupazione sia determinata dalla
quantità di lavoro domandata dalle imprese. Possiamo descrivere le decisioni di assunzione
delle imprese con la funzione di domanda di lavoro:
L = Ld (W/P)
Secondo la quale quanto minore è il salario reale, tanto maggiore è la quantità di lavoro
utilizzata dalle imprese.
Il salario reale dovrebbe essere anticiclico: dovrebbe variare in direzione opposta al reddito
nel corso del ciclo economico.
Y = Ӯ + α(P-Pe )
Questa equazione afferma che quando il livello dei prezzi differisce dal suo valore atteso, il
prodotto si discosta dal suo livello naturale. Se il livello effettivo dei prezzi è più elevato del
livello atteso, il prodotto aggregato è superiore al suo livello naturale; se il livello effettivo
dei prezzi è inferiore al livello atteso, il prodotto aggregato è inferiore al suo livello naturale.
La fig. 13.3 esprime questa relazione.
Questo trade-off tra inflazione e disoccupazione è detto curva di Phillips. E’ una conseguenza
della curva di offerta aggregata di breve periodo: quando un provvedimento di politica
economica fa muovere l’economia lungo la curva di offerta aggregata di breve periodo,
l’inflazione e la disoccupazione si muovono in direzioni opposte. La curva di Phillips è un
buon modo per rappresentare la curva di offerta aggregata, perché l’inflazione e la
disoccupazione sono misure molto importanti della performance di un sistema economico.
Questa equazione stabilisce che l’inflazione dipende dall’inflazione del periodo precedente,
dalla disoccupazione ciclica e dagli shock dell’offerta. π-1 implica che l’inflazione abbia un
andamento inerziale, ovvero che l’inflazione continui a muoversi fino a quando qualcosa
non la blocchi. Questa inerzia è provocata dal fatto che l’inflazione passata influenza le
aspettative di inflazione futura. Nel modello di domanda e offerta aggregata l’inerzia
dell’inflazione può essere interpretata come un continuo spostamento verso l’alto delle curve
di domanda e offerta aggregata.
• In assenza di shock di offerta o disoccupazione ciclica l’inflazione rimane al
tasso corrente.
• L’inflazione passata influenza le aspettative corrente su quella futura che,
infine, influisce sulla determinazione di prezzi e salari.
• Se u = un l’inflazione non accelera:
• un è detto NAIRU (Non Accelerating Inflation Rate of Unemployment)
Perché l’inflazione aumenta o diminuisce
Il secondo e il terzo termine dell’equazione della curva di Phillips illustrano le due forze che
possono modificare il tasso di inflazione.
Shock Positivi della Domanda: Il secondo termine, ovvero ci dice che
l’occupazione ciclica (ovvero la deviazione della disoccupazione dal suo tasso
naturale) esercita una pressione al rialzo o al ribasso sul tasso di inflazione. Una
diminuzione della disoccupazione spinge l’inflazione verso l’alto: questo fenomeno è
detto inflazione trainata della domanda, perché la causa di questo tipo di
inflazione è l’elevata domanda aggregata. Un aumento della disoccupazione spinge
l’inflazione verso il basso. Il parametro β è la misura della reattività dell’inflazione
alla disoccupazione ciclica.
Una politica anti-inflazionistica credibile presenterebbe costi assai inferiori a quelli stimabili
con il tasso di sacrificio.
Nei casi più estremi si può immaginare di ridurre il tasso di inflazione senza provocare una
recessione. Una disinflazione indolore deve essere fondata su due elementi:
Il programma di riduzione deve essere annunciato prima che i lavoratori e le imprese
che determinano i prezzi e i salari abbiano formato le proprie aspettative
Lavoratori e imprese devono credere nel governo.
L’analisi del costo della disinflazione (e delle fluttuazione di breve periodo) si fonda su
un’ipotesi, detta ipotesi del tasso naturale.
Questa ipotesi può essere riassunta nella seguente frase: le fluttuazioni della domanda
aggregata influenzano il prodotto aggregato e l’occupazione soltanto nel breve
periodo. Nel lungo periodo l’economia tende ai livelli di prodotto aggregato e
di occupazione descritti dal modello classico.
L’ipotesi del tasso naturale permette agli economisti di analizzare separatamente gli sviluppi
dell’economia di breve e lungo periodo ed è una delle espressioni della dicotomia classica.
Gli studiosi hanno evidenziato numerosi meccanismi attraverso i quali una recessione può
lasciare segni indelebili nel tessuto economico, alterando il tasso naturale di disoccupazione.
Il termine utilizzato per descrivere la permanenza degli effetti di fenomeni storici sul tasso
naturale è detto isteresi.
o Le politiche discrezionali sono più flessibili delle regole. Questo può essere uno
svantaggio in presenza di problemi di incoerenza temporale.
o Def: Incentivo del policy maker di modificare una politica precedentemente
annunciata dopo che i privati hanno agito sulla base di quegli annunci.
o Riduce la credibilità dei policy maker e l’efficacia delle politiche economiche.
o Esempi di incoerenza temporale della politica economica sono:
Bassa inflazione e formazione delle aspettative
Tassazione dei redditi da capitale e tassazione degli investimenti
Monopoli temporanei e brevetti alla ricerca (medicinali).
Le regole per la politica monetaria
a) Tasso di crescita dell’offerta di moneta costante
Friedman: ritengono che una crescita lenta e costante dell’offerta di moneta porterebbe
alla stabilità del prodotto aggregato, dell’occupazione e dei prezzi, tuttavia, una crescita
costante dell’offerta di moneta stabilizza l’economia solo a condizione che la velocità di
circolazione della moneta sia costante
b) Tasso di crescita del PIL nominale
Secondo tale regola, la banca centrale deve stabilire e annunciare un sentiero di crescita
del PIL nominale: se il PIL nominale supera il livello obiettivo, la banca centrale riduce
la crescita monetaria per raffreddare la domanda aggregata; se rimane al di sotto del
livello obiettivo, la banca centrale aumenta la crescita monetaria per stimolare la
domanda aggregata. Poiché il perseguimento di un livello obiettivo del PIL nominale
permette alla politica monetaria di adeguarsi alle variazioni della velocità di
circolazione della moneta, la maggior parte degli economisti ritiene che questo possa
produrre una maggiore stabilità del prodotto aggregato e dei prezzi rispetto alla regola
monetarista.
d) La regola di Taylor
L’economista John Taylor ha proposto una semplice regola per determinare il tasso di
interesse ufficiale:
tasso di interesse nominale ufficiale= inflazione+2,0+0,5(inflazione–2)–
0,5(output gap)
L’output gap è la differenza tra il livello naturale stimato del PIL e la misura rilevata del
PIL reale.
La regola di Taylor stabilisce quindi che il tasso di interesse ufficiale reale – o il tasso di
interesse ufficiale nominale al netto dell’inflazione – debba essere determinato in
funzione dell’inflazione e del differenziale del PIL.
Secondo questa regola, il tasso di interesse ufficiale reale è pari al 2% se l’inflazione è del
2% e il PIL è al suo livello naturale; per ogni punto percentuale di inflazione al di sopra
del 2%, il tasso di interesse ufficiale reale deve aumentare di mezzo punto.
L’indipendenza della banca centrale
La presenza di regole non è tuttavia condizione sufficiente. È necessario che i policy maker
non soffrano di mancanza di credibilità nel seguire queste regole.
Una regola di politica monetaria annunciata dalla banca centrale funziona soltanto se
l’annuncio è credibile.
La credibilità dipende in parte dal grado di indipendenza della banca centrale.
Sintesi
La politica economica dovrebbe essere attiva o passiva?
Politiche discrezionali
Regole di politica
Lezione 24 (Capitolo 16 – Il Debito Pubblico)
Il debito pubblico (D) è l’ammontare di denaro che il governo ha preso a prestito attraverso
il collocamento di titoli pubblici.
Lo stato prende a prestito per finanziare il disavanzo pubblico (B) rappresentato dalla
differenza tra entrate e uscite: B = G – T – rD ––> vincolo del bilancio pubblico ––>
G – T = Disavanzo primario (d)
B = disavanzo pubblico al tempo t
G = spesa primaria
T = entrate tributarie e non
r = tasso di interesse reale
D = debito pubblico pregresso
I problemi di misurazione
Il deficit del bilancio pubblico è pari alla differenza tra spesa pubblica ed entrate tributarie,
nonché alla quantità di nuovo debito che lo Stato deve emettere per finanziare la propria
attività. Vi sono però alcuni problemi legati alla misura standard del deficit di bilancio.
L’INFLAZIONE: Il deficit di bilancio deve essere misurato non come variazione del
debito pubblico nominale, ma come variazione del debito pubblico reale. Il deficit così
come viene normalmente misurato, non è corretto per l’inflazione. Per capire quanto
può essere grave questa distorsione, consideriamo il seguente esempio: supponiamo
che il debito pubblico sia stabile e il bilancio sia in pareggio: il debito nominale
aumenta allo stesso tasso di inflazione, ovvero ΔD/D=π. (D è lo stock del debito
pubblico). Perciò ΔD=πD. Il governo quindi rilevando una variazione del debito
nominale ΔD riferisce l’esistenza di un deficit pari a πD, ma molti economisti
ritengono che questo sia il valore della sovrastima del deficit.
I BENI PATRIMONIALI:
o Conteggiare il valore dei beni capitali posseduti dallo Stato: debito patrimoniale
o La spesa pubblica che aumenta il patrimonio non aumenta il debito
o La vendita di patrimonio pubblico non riduce il debito
o Se lo stato vende un palazzo per ridurre il debito pubblico, con le procedure
contabili attuali l’operazione riduce il deficit, ma tale operazione è scorretta,
prima o poi i beni da vendere finiscono. Usando la contabilità patrimoniale
invece la riduzione del debito si compensa con la riduzione delle attività
patrimoniali. La maggiore difficoltà di tale metodo è quella di determinare
quali spese sostenute dallo stato debbano essere considerate spese in conto
capitale.
IL CICLO ECONOMICO:
Crisi di Indebitamento
La storia insegna che i modi per ridurre il debito sono:
a) modificare le entrate e le spese per ottenere avanzi primari ricorrenti;
b) ridurre il valore reale del debito con l’inflazione;
c) ridurre il valore reale del debito con la crescita del PIL;
d) penalizzare i detentori dei titoli di stato mantenendo i tassi di interesse a livelli
artificiosamente bassi;
e) fare default, ripudiando il debito.
Politica fiscale
In un’area valutaria, e ancor più in un’unione monetaria, i governi possono raggiungere
l’obiettivo della stabilizzazione del reddito utilizzando due tipologie di strumenti,
separatamente o miscelandoli opportunamente.
1. Politiche di bilancio anticicliche (trasferimenti inter-temporali).
2. Trasferimenti inter-regionali dalle regioni* depresse a quelle in forte
crescita. Tale politica richiede la costituzione di un “bilancio federale”.
*regioni = Paesi o parti di Paesi appartenenti all’area valutaria
Il Patto di Stabilità
Il Patto di stabilità e crescita (PSC) è un pacchetto di regole formali alle
quali si suppone che i paesi membri della UEM debbano attenersi nella
condotta della politica fiscale nazionale.
Le 2 principali componenti sono:
1. I paesi membri devono puntare al pareggio dei conti pubblici
2. I paesi membri con un disavanzo dei conti pubblici superiore al 3% del PIL sono
soggetti ad ammende che possono ammontare fino allo 0,5% del PIL, fatto salvo
il caso in cui il paese si trovi in circostanze eccezionali, come calamità naturali
o profonde recessioni, durante le quali il PIL diminuisce di più del 2% in un solo
anno.
Tale patto è stato imposto per eliminare il problema del free rider o del rischio morale
associato all’eccesso di spesa e di indebitamento da parte di un paese membro,
semplicemente limitando la quantità di spesa pubblica che non è finanziata da imposte.
Lezione 26 (Capitolo 18 – Il consumo)
Le congetture di Keynes
1. 0 < PMC < 1
2. PMedC diminuisce all’aumentare del reddito
con PMedC = propensione media al consumo = C/Y
3. il reddito disponibile è la principale determinate del consumo
Sulla base di queste tre ipotesi, la funzione di consumo keynesiana viene spesso scritta
come:
C = C + cY con C>0 e 0<c>1
I vincoli all’indebitamento
• Nella teoria di Fisher, la tempistica del reddito è meno importante perché il
consumatore può prendere in prestito e prestare in base ai periodi.
• Esempio: se un consumatore apprende che il suo reddito futuro
aumenterà, può distribuire il consumo extra su entrambi i periodi
prendendo in prestito nel periodo corrente.
• Tuttavia, se il consumatore deve affrontare vincoli di liquidità potrebbe non
essere in grado di aumentare il consumo corrente e il suo consumo potrebbe
comportarsi come nella teoria keynesiana anche se è razionale e lungimirante.
Lezione 27 (Capitolo 18 – Il consumo)
L’ipotesi del ciclo di vita di Modigliani
Modello in base al quale i consumatori tendono a risparmiare in età giovanile
e adulta parte del loro reddito, da destinare ai consumi al termine della loro
vita lavorativa.
La teoria presuppone, quindi, l’esistenza di un mercato del credito
sviluppato, grazie al quale le famiglie giovani possono finanziare livelli di
consumo elevati.
Y = YP + YT
dove Y = reddito corrente
YP = reddito permanente, reddito medio che le persone si aspettano persisterà nel futuro.
YT = reddito transitorio, variazioni temporanee dal reddito medio.
La funzione di consumo del reddito permanete può risolvere il dilemma del consumo:
PMedC = C/Y = aY P/Y
• Le famiglie ad alto reddito hanno in media un reddito transitorio più elevato
rispetto alle famiglie a basso reddito, la PMedC sarà inferiore nelle famiglie
ad alto reddito.
Nel lungo periodo, la variazione del reddito è dovuta principalmente, se non
esclusivamente, alla variazione del reddito permanente, il che implica un PMedC stabile
Reddito permanente vs. ciclo di vita
Entrambi: le persone cercano di ottenere un consumo regolare di fronte al cambiamento
del reddito corrente.
Ipotesi del ciclo di vita: il reddito corrente cambia sistematicamente mentre le persone
si affrontano fasi diverse del loro ciclo di vita.
Ipotesi del reddito permanente: il reddito corrente è soggetto a fluttuazioni casuali e
transitorie. Entrambi possono spiegare il dilemma del consumo.