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Lezione 1

Le tre domande della Politica Economica


1. Perché i responsabili politici dovrebbero intervenire?

Teoremi fondamentali dell'economia del benessere:


1. I mercati competitivi sono Pareto-efficienti
2. Qualsiasi allocazione efficiente può essere raggiunta da un equilibrio
competitivo
Allora perché l'intervento? 4 motivi principali:
1. Creazione/definizione dei mercati
2. Correzione di fallimenti del mercato
3. Soluzioni per la razionalità limitata
4. Redistribuzione

2. Come dovrebbero essere progettate le politiche?

Attraverso due momenti distinti:


1. Per prima cosa fissa un obiettivo
2. Quindi massimizzare questo obiettivo
Ma è più complicato di quanto sembra...
Per intervenire in economia il policy maker deve scegliere gli obiettivi e gli
strumenti.
i. Obiettivo. Il policy maker sceglie l'obiettivo da raggiungere (es. aumento dei
consumi).
ii. Strumento. Il policy maker decide quali strumenti utilizzare per
raggiungere l'obiettivo (es. riduzione delle imposte).
3. Quali sono gli effetti delle politiche economiche?

Effetti diretti e effetti indiretti

Programma del Corso


• Introduzione (cap. 1) e dati macroeconomia (cap. 2).
• Determinazione del reddito nazionale in economia chiusa (cap. 3) e in economia
aperta (cap. 6), sistema monetario e inflazione (cap. 4 e 5), disoccupazione e
mercato del lavoro (cap. 7 e 14).
• Domanda e offerta aggregata (cap. 10), modello IS-LM in economia chiusa (cap. 11)
e modello di Mundell-Fleming (cap. 13).
• Crescita economica (cap. 8 e 9), debito pubblico (cap. 16), effetti delle politiche
economiche (cap. 12), politiche di stabilizzazione (cap. 15) e aree valutarie (cap. 17).
• Fondamenti micro della macroeconomia: consumi (cap. 18), investimenti (cap. 19) e
sistema finanziario (cap. 20).
Lezione 2 (Capitolo 1 – La Macroeconomia come Scienza)
La politica economica:
1) analizza gli effetti economici delle decisioni dei:
 poteri pubblici (Stato, Banca Centrale Nazionali e in particolare la BCE, altre
istituzioni);
 soggetti privati (imprese, famiglie);
2) elabora dal punto di vista teorico ed empirico interventi destinati a modificare
l’andamento del sistema economico per raggiungere obiettivi prestabiliti (es. crescita
economica, contenimento dell’inflazione, ecc.).

Scuole di pensiero nella teoria economica:


Neoclassici:
 mercati sempre in equilibrio
 e temporaneamente in disequilibrio, è preferibile che siano lasciati liberi di
raggiungere nuovamente l’equilibrio;
(Neo-)Keynesiani:

 nei mercati sono presenti rigidità (frizioni) che impediscono un’allocazione efficiente
delle risorse;
 l’intervento pubblico è essenziale per liberare il sistema economico da trappole di
sottoccupazione.

Lo studio della politica economica presuppone la conoscenza dei fondamenti teorici


dell’economia politica, la quale riguarda lo studio della:

 microeconomia: è lo studio del modo in cui gli individui e le imprese prendono le


proprie decisioni di produzione e di consumo, e di come queste si influenzano
reciprocamente;
 macroeconomia: è lo studio dei fenomeni che riguardano il sistema economico
nel suo complesso (es. crescita del reddito; le variazioni dei prezzi, il tasso di
disoccupazione, ecc.). Essa si propone di spiegare gli accadimenti economici e di
individuare provvedimenti per migliorare l’andamento dell’economia.

Le variabili macroeconomiche sono grandezze riferite ad un intero sistema economico (es.


Paese, regione, ecc.). Le principali sono: la produzione aggregata (cioè la somma della
produzione di tutte le imprese; il reddito aggregato (cioè la somma del reddito di tutti gli
individui); indici dei prezzi e tasso d’inflazione; tassi di interesse; tasso di
cambio; saldo dei movimenti di merci (importazioni-esportazioni) e di capitali con il
resto del mondo; PIL; Disoccupazione; Moneta circolante.
Obiettivi di politica economica
1. Efficienza
2. Equità
3. Stabilità
1. Monetaria
2. Finanziaria
3. Reale
4. Crescita

Modelli economici
Per capire il funzionamento del sistema economico, gli economisti si affidano ai modelli cioè
formulazioni teoriche che semplificano la realtà in modo da rivelare come le variabili
esogene influenzino quelle endogene. Sono utili perché permettono di eliminare tutti i
dettagli irrilevanti, concentrando la nostra attenzione sulle correlazioni importanti.
Le variabili esogene sono quelle che il modello prende per date; le variabili endogene
sono quelle che il modello pretende di spiegare.

Il modello economico più famoso è: il modello di domanda e offerta di beni e servizi


ovvero spiega i fattori che determinano il prezzo di un bene (ad esempio la pizza) e la
quantità venduta
Esempio Modello Economico: Il Mercato della Pizza
Qd = numero di pizze domandate dagli acquirenti
Qo = numero di pizze offerte dai produttori
P= prezzo delle pizze
Y= reddito aggregato
Pf= prezzo della farina (input = fattore di produzione)

Qd = Qo ⇢ Qd = D(P, Y) ; Qo = O(P, Pf)


Prezzi: Flessibili versus Rigidi
• Market clearing: assunzione di prezzi flessibili che si “aggiustano” per eguagliare
offerta e domanda.
• Nel breve periodo molti prezzi sono invece rigidi (si modificano molto lentamente in
relazione a squilibri tra domanda ed offerta).
Esempio:
1. Contratti di lavoro che fissano i salari nominali per un periodo pluriennale
2. Prezzi dei prodotti invariati per periodi anche lunghi

L’andamento dell’economia dipende in parte dalla struttura dei prezzi:


• Nel lungo periodo: prezzi flessibili, market clearing, i mercati si aggiustano
rapidamente in risposta agli shock
• Se i prezzi sono rigidi (ipotesi di breve periodo), la domanda non potrà sempre
uguagliare l’offerta. Ciò spiega ad esempio
- Disoccupazione (eccesso di offerta di lavoro)
- Impossibilità occasionale delle imprese a vendere tutto ciò che esse
producono
Lezione 3 (Capitolo 2 – I Dati della Macroeconomia)
PIL
Il PIL (Prodotto Interno Lordo) è il valore dei prodotti e servizi realizzati all'interno di uno
Stato sovrano in un determinato arco di tempo (anno, mese, trimestre…).
Al PIL vengono di norma date 2 interpretazioni:
1°. la prima considera il PIL come il REDDITO TOTALE di tutti coloro che
partecipano al sistema economico;
2°. la seconda considera il PIL come la SPESA TOTALE per l’acquisto dei beni e dei
servizi finali prodotti dal sistema economico.
Il PIL usa i prezzi di mercato come unità di misura per sommare beni differenti. I beni
sono quelli finali, prodotti nel corso di un anno, all’interno dei confini geografici
di una nazione.

Flusso Circolare del Reddito


Immaginiamo un sistema economico che
produce un solo bene (il pane) con un unico
fattore di produzione (il lavoro),
rappresentando con un diagramma di flusso
circolare.
Il circuito interno del sistema rappresenta il
flusso di pane e lavoro: gli individui vendono
lavoro alle imprese; le imprese utilizzano il
lavoro per produrre pane; il pane viene
venduto agli individui.
Il circuito esterno del sistema rappresenta il
corrispondente flusso di moneta: gli individui
acquistano il pane dalle imprese; le imprese utilizzano parte del ricavato delle
vendite per pagare il salario ai lavoratori, e il rimanente costituisce il profitto dei
proprietari delle imprese (che sono a loro volta individui).
Flusso del Reddito semplificato
Senza tenere conto della Pubblica Amministrazione o del Resto del Mondo,
ipotizzando che le famiglie consumino tutto il proprio reddito (escluse le imposte,
che riducono il reddito disponibile, e il risparmio o investimenti in scorte),
trovandoci in un’economia chiusa agli scambi con l’estero e senza scorte, il reddito
totale (remunerazione di tutti i fattori produttivi) deve eguagliare la spesa
totale. Ogni transazione, infatti, può essere “letta” dal lato del venditore (reddito)
oppure da quello del compratore (spesa).
- Il PIL misura simultaneamente il reddito totale di un sistema
economico e la sua spesa semplicemente perché queste due quantità
sono in realtà la stessa cosa: per l’economia nel suo complesso il
reddito non può che essere uguale alla spesa.
Questo fatto, a propria volta, discende da una verità fondamentale: poiché in ogni
transazione ci sono un compratore e un venditore, ogni centesimo di spesa dei
compratori non può che essere un centesimo di reddito dei venditori.

Calcolo del PIL: beni non scambiati in un mercato


Nel calcolare il PIL, la maggior parte dei beni e servizi è valutata al rispettivo prezzo di
mercato. Alcuni beni e servizi, però, non vengono scambiati in un mercato, e perciò non
hanno un prezzo di mercato.
Per far sì che il PIL includa anche il valore di tali beni, bisogna stimarne il valore. La
stima viene detta VALORE DI IMPUTAZIONE.
Le imputazioni sono molto importanti per determinare il valore dei:
 servizi abitativi. Un individuo che prende in affitto un appartamento acquista
un servizio abitativo e fornisce un reddito al proprietario dell’immobile: il canone
d’affitto è parte del PIL. Il canone di affitto è parte del PIL sia come spesa
dell’affittuario sia come reddito del proprietario.
 servizi offerti dallo Stato. La contabilità nazionale include questi servizi nel
PIL valutandoli al costo. Ciò significa che i salari dei dipendenti e dei funzionari
pubblici sono utilizzati come misura del valore di ciò che producono.
 Beni e servizi scambiati nell’economia sommersa, cioè in quella parte del
sistema economico (detta anche economia in nero) che viene sottratta al
controllo dello stato con la finalità di evadere l’imposizione fiscale o perché
costituita da attività illegali (es. traffico di stupefacenti). Le dimensioni
dell’economia sommersa sono molto difficili da misurare, perché, per
definizione, le attività «in nero» non vengono registrate nei libri contabili. Per
includere nel PIL il reddito e la spesa riferiti alle attività dell’economia
sommersa, gli economisti devono stimarne il peso, con non poche imprecisioni
di calcolo.
Voci escluse dal PIL
Beni Intermedi = beni venduti ad altre imprese per essere utilizzati nei rispettivi
processi produttivi per produrre altri beni
Acquisto di beni usati (la vendita di un bene usato rappresenta il trasferimento di un
patrimonio, non un aumento del reddito di un sistema economico). Tuttavia, se vengono
rivenduti ad un prezzo superiore, generando quindi un valore aggiunto, il PIL aumenta di
tale valore.
Cosa accade alle scorte? Se un’impresa aumenta le scorte, l’investimento in scorte viene
considerato una spesa dei proprietari dell’impresa. Di conseguenza la produzione che finisce
in magazzino fa aumentare il PIL tanto quanto la produzione che viene venduta. Una vendita
delle scorte, invece, essendo una combinazione di spesa positiva (l’acquisto da parte del
consumatore) e negativa (la diminuzione delle scorte) non influenza il PIL (è una situazione
analoga ai beni usati).

Valore Aggiunto
Il valore aggiunto di un’impresa è uguale al valore del suo prodotto (PIL) meno il valore dei
beni intermedi che ha dovuto acquistare per realizzarlo.
Poiché nel calcolo del PIL, il valore del bene intermedio è incorporato nel prezzo di mercato
del bene finale, per calcolare il Valore Aggiunto bisognerà escludere i beni intermedi dal
calcolo del PIL evitando così una doppia contabilizzazione

Esercizio:
Un allevatore vende 100g di carne a McDonald’s per 0,50€ e McDonald’s vende l’hamburger
a 1,50€.
Calcolare il PIL
Il PIL è 1,50€
Calcolare il Valore Aggiunto in ogni fase
Il valore aggiunto dell’allevatore è 0,50€ supponendo che non abbia effettuato spese per
l’acquisto di carne. Il valore aggiunto del McDonald’s è: 1,50€-0,50€ = 1,00€.
Valore aggiunto totale: 0,50 + 1,00 = 1,50€ che è uguale al prezzo del bene finale
Metodi di calcolo del PIL:
Avendo visto l’esercizio, è possibile notare come vi siano diversi modi per procedere al
calcolo del PIL:
1. Metodo del VALORE AGGIUNTO = somma dei valori aggiunti di tutte le imprese
che operano in una economia
2. Metodo del REDDITO = somma dei redditi percepiti nell’economia in un dato
periodo di tempo
3. Metodo della SPESA = somma della spesa per tutto ciò che viene prodotto e venduto

Altre misure del reddito


Prodotto Interno Netto o PIN è dato dal PIL meno gli ammortamenti.
- PIN = PIL - ammortamenti

Prodotto Nazionale Netto: PNN = PNL – l’ammortamento del capitale (cioè la


stima della perdita di valore dello stock di impianti, attrezzature e fabbricati
residenziali verificatasi nel corso dell’anno).

Prodotto Nazionale Lordo (PNL): reddito totale dei fattori produttivi nazionali
indipendentemente dalla localizzazione
- PNL = PIL + redditi netti dall'estero
PIL nominale e PIL reale
La variazione del PIL da un anno all’altro può dipendere da due fattori:
1. Variazione nella quantità prodotta di beni e servizi
2. Variazione del prezzo di beni e servizi
PIL NOMINALE: è il valore totale dei beni e servizi misurato a prezzi correnti
Esempio: PIL Nominale 2020 = Prezzi 2020 * Quantità 2020
PIL REALE: è il valore dei beni e servizi calcolato a prezzi costanti. È una misura più
efficace del benessere economico perché tiene conto della produzione di beni e servizi del
sistema senza essere influenzata dalle variazioni dei prezzi
Esempio: PIL Reale 2020 = Prezzi Anno Base (es. 2008) * Quantità 2020

Esercizio:

2017 2018 2019 Calcolare il PIL Nominale per


ogni anno:
P Q P Q P Q
Anno 2017: 30 * 900 + 100 * 192
Burro €30 900 €31 1,000 €36 1,050
Anno 2018: 31 * 1000 + 102 * 200
Sedie €100 192 €102 200 €100 205 Anno 2019: 36 * 1050 + 100 * 205

Calcolare il PIL reale per ogni anno utilizzando il 2017 come anno base:
Anno 2017: 30 * 900 + 100 * 192
Anno 2018: 30 * 1000 + 100 * 200
Anno 2019: 30 * 1050 + 100 * 205
Lezione 4 (Capitolo 2 – I Dati della Macroeconomia)
Le Componenti della Spesa (PIL) (Y = C + I + G + NX)
1. Consumo (C): valore di tutti i beni e servizi acquistati dalle famiglie. Include:
 beni durevoli: sono quelli che possono essere utilizzati ripetutamente
per un periodo superiore a 1 anno (es. auto, elettrodomestici);
 beni non durevoli: sono quelli che hanno una durata limitata come
gli alimenti e le bevande.
 beni semidurevoli: hanno una vita attesa superiore a un anno, ma
inferiore a quella dei beni durevoli come ad es. vestiario
 Servizi: lavori svolti da individui e imprese a favore dei consumatori
(es. servizi di ristorazione).

2. Investimento (I): che può essere definito come la spesa per l’acquisto di beni
capitali (fattori di produzione) o come la spesa per l’acquisto di beni utilizzabili
in futuro. Include:
 investimento fisso delle imprese: è la spesa in impianti e
attrezzature che l’impresa utilizzerà per produrre beni e servizi;
 investimento fisso residenziale: è la spesa per acquistare unità
abitative in nuova costruzione da parte di famiglie e proprietari di
immobili;
 investimento in scorte: è la spesa per l’aumento delle scorte di tutte
le imprese.

(L’Investimento è la spesa per l’acquisizione di nuovo capitale


(flusso). Capitale è uno dei fattori della produzione. In ogni dato
momento del tempo l’economia possiede una data dotazione di capitale
(stock).)
Esempio (in assenza di deprezzamento)
1/1/2020: dotazione di capitale dell’economia = 500 miliardi di euro
Durante il 2020: Investimento = € 37 mld
1/1/2021: nuova dotazione di capitale = € 537 mld
3. Spesa Pubblica (G): include la spesa di tutte le componenti della P.A. per
l’acquisto di beni e servizi. La spesa pubblica esclude i trasferimenti verso i
cittadini (es. sussidi per la disoccupazione) perché non costituiscono spesa per
beni e servizi.

4. Esportazioni Nette (NX): corrispondono al valore dei beni e dei servizi


esportati in altri paesi meno il valore dei beni e dei servizi importati da altri
paesi. Quindi: NX = EX – IM. Includono anche il saldo dei consumi afferenti
ai flussi turistici.

Dato che per definizione qualunque spesa effettuata in un sistema economico rientra
in una di queste categorie, la loro somma deve corrispondere al PIL, indentificato con
il simbolo Y.
Quindi:
Y = C + I + G + NX

Y ≡ PIL = valore della produzione totale


C + I + G + NX = spesa aggregata
Livello dei prezzi
L’aumento generale dei prezzi viene chiamato INFLAZIONE ovvero un aumento
progressivo del livello medio generale dei prezzi, o anche diminuzione progressiva del
potere di acquisto (cioè del valore) della moneta.
Il livello generale dei prezzi può essere misurato attraverso diversi indici, tra cui:
- Indice dei prezzi al consumo IPC: è il prezzo relativo di un paniere di
beni e servizi acquistato dal consumatore medio rispetto al prezzo dello
stesso paniere nell’anno base. Quindi, l’indice indica quanto costa oggi
acquistare tale paniere di beni e servizi rispetto al costo dello stesso paniere
nell’anno base.

- Indice dei prezzi alla produzione: che misura il prezzo del paniere
medio di beni acquistato dalle imprese

- Deflatore del PIL: Il deflatore del PIL si definisce come il rapporto tra
PIL nominale e PIL reale, e misura la variazione dei prezzi rispetto ad un
anno base. Dato che Il PIL nominale misura il valore monetario corrente
della produzione aggregata dell’economia e Il PIL reale misura il valore
della produzione aggregata a prezzi costanti; il deflatore del PIL misura
il prezzo della produzione aggregata in rapporto ai prezzi dell’anno base.
Deflatore del PIL = (PIL nominale / PIL reale) x 100

Il Deflatore del PIL viene quindi utilizzato per deflazionare (ovvero


depurare dall’inflazione) il PIL Nominale:
PIL reale = (PIL nominale / deflatore del PIL)

Essendo l’IPC e il Deflatore del PIL dei valori che indicano il livello generale dei
prezzi in un determinato anno, la differenza tra Anno 2 e Anno 1 del livello generale
dei prezzi sarà il Tasso di Inflazione
Esercizio (Calcolo IPC):

Il Paniere contiene 20 Pizze e 10 Compact Disc


Calcolare il Costo del Paniere per ogni anno:
Anno 2017: 10*20 + 15*10 = 350
Anno 2018: 11*20 + 15*10 =370
Anno 2019: 12*20 + 16*10 =400
Anno 2020: 13*20 + 15*10 =410

Calcolare l’IPC utilizzando il 2017 come anno base:


Anno 2017: 350/350*100 =100
Anno 2018: 370/350*100 = 105,7
Anno 2019: 400/350*100 = 114,3
Anno 2020: 410/350*100 = 117,1

Calcolare il Tasso di Inflazione dal 2017 al 2018, dal 2018 al 2019 e dal
2019 al 2020
Anno 2017-2018: 105,7 – 100 = 5,7%
Anno 2018-2019: 114,3 – 105,7 = 8,1%
Anno 2019-2010: 117,1 – 114,3 = 2,5%
Esercizio (Calcolo Deflatore del PIL):

Calcolare il Deflatore del PIL per


ogni anno:
Anno 2018: 46200/46200 * 100 = 100
Anno 2019: 51400/50000 * 100 = 102,8
Anno 2020: 58300/52000 * 100 = 112,1

Utilizzare il Deflatore del PIL per calcolare il tasso di inflazione dal 2018 al
2019, e dal 2019 al 2020.
Anno 2018-2019: 102,8 – 100 = 2,8%
Anno 2019-2010: 112,1 – 102,8 = 9,1%
Tasso di Inflazione
Utilizzando gli indici del livello generale dei prezzi si può calcolare l’inflazione, cioè
l’incremento percentuale del livello dei prezzi. Indicato con P il livello medio dei prezzi
(indice dei prezzi di riferimento):
(𝑷𝒕–𝑷𝒕−𝟏)
Tasso di inflazione = ∗ 𝟏𝟎𝟎
𝑷𝒕−𝟏

IPC vs. Deflatore del PIL


Il deflatore misura il livello dei prezzi di tutti i beni e i servizi prodotti nel sistema
economico, mentre l’IPC misura il livello dei prezzi di tutti i beni e servizi acquistati dai
consumatori. Quindi un aumento del prezzo dei beni e servizi acquistati dalle imprese o
dalla P.A viene rilevato dal deflatore del PIL ma non dall’IPC
Il deflatore comprende solo beni e servizi prodotti nei confini nazionali. I beni importati
non fanno parte del PIL e perciò non vengono rilevati dal deflatore del PIL. Perciò
l’aumento del prezzo di un bene prodotto all’estero e venduto in Italia provoca una
variazione dell’IPC ma lascia invariato il deflatore del PIL
L’IPC è calcolato sulla base di un paniere fisso di beni (Indice di Laspeyres),
mentre il deflatore del PIL fa variare la composizione del paniere in funzione della
variazione della composizione del PIL, in quanto varia nel tempo (Indice di Paasche).

- Se i prezzi di beni diversi aumentano in misura diversa, un indice di


Laspeyres (IPC, paniere fisso) tende a sovrastimare l’aumento del
costo della vita, poiché non tiene conto del fatto che i consumatori
possono sostituire i beni il cui prezzo aumenta di più con altri meno
costosi.
- Al contrario, un indice di Paasche (deflatore del PIL, paniere variabile)
tende a sottostimare l’aumento del costo della vita perché anche
se tiene conto dell’effetto sostituzione, non riflette la riduzione del
benessere del consumatore derivata da tale sostituzione.

L’IPC sovrastima l’inflazione?


 Il primo dei problemi è la distorsione dell’IPC rispetto alla sostituzione
nel consumo. Essendo un indice dei prezzi a paniere fisso, l’IPC non tiene
conto della possibilità che i consumatori sostituiscano i beni che hanno subito i
maggiori aumenti di prezzo con beni meno costosi: perciò quando i prezzi
aumentano il costo della vita aumenta meno rapidamente dell’IPC;
 Il secondo problema è l’introduzione di nuovi beni. Quando vengono
lanciati nel mercato nuovi beni, il benessere del consumatore aumenta, poiché
ha una gamma di scelta più ampia. L’introduzione dei nuovi beni fa aumentare
il valore reale della moneta, ma l’incremento del potere di acquisto non viene
rilevato dall’IPC.
 Un terzo problema riguarda le variazioni non rilevate della qualità dei
beni. Quando l’impresa aumenta la qualità di un bene, il corrispondente
aumento di prezzo non riflette un aumento del costo della vita.
Indice dei prezzi al consumo armonizzato (IPCA)
Questo indice viene pubblicato dall’Eurostat ed è utilizzato per:
 calcolare le variazioni nel costo della vita di una famiglia media in ciascun paese;
 adeguare i contratti all’inflazione;
 rendere comparabile la misurazione del tasso di inflazione dei paesi Euro nei
diversi anni;
valutare il grado di convergenza dei tassi di inflazione nei paesi dell’Eurozona

Classificazione della popolazione


- Occupati (E): lavorano in cambio di remunerazione.
- Disoccupati (U): non lavorano ma sono in cerca di un lavoro.
• Frizionale
• Strutturale
• Stagionale
• Ciclica

- Economicamente inattivo (NL): non occupati né in cerca di


occupazione.
- Forza lavoro (L): ammontare di lavoratori disponibili per la produzione di
beni e servizi. L = E + U
-

Statistiche del mercato del lavoro


Tasso di disoccupazione (u)
- Percentuale della forza lavoro che risulta disoccupata
- U/L x 100
Tasso di partecipazione alla forza lavoro
- quota della popolazione (POP) adulta che partecipa alla forza lavoro
- L/POP x 100
Esercizio:
Popolazione adulta per gruppi:
Numero di occupati = 35,8 milioni
Numero di disoccupati = 3,8 milioni
Popolazione adulta = 82,5 milioni

Calcolare la Forza Lavoro


35,8 + 3,8 = 39,6

Calcolare il numero di persone non appartenenti alla forza lavoro


82,5 – 39,6 = 42,9

Calcolare il tasso di partecipazione alla forza lavoro


39,6/82,5*100 = 48%

Calcolare il tasso di disoccupazione


3,8/82,5*100 = 4,61%
Lezione 5 (Capitolo 3 – Il Reddito Nazionale)

Cosa determina la produzione aggregata di beni e servizi?


La produzione aggregata di beni e servizi di un sistema economico, cioè il suo PIL, dipende
da due aspetti:
 la quantità di fattori di produzione di cui l’economia dispone;
 la capacità di trasformare questi fattori di produzione in beni e servizi, come
rappresentato dalla funzione di produzione.

I Fattori di Produzione (FOP)


I fattori di produzione vengono utilizzati per produrre beni e servizi.
I due fattori di produzione più importanti sono:
 Capitale: è costituito da tutti gli attrezzi e gli utensili che i lavoratori utilizzano con
finalità produttive (es. la gru del costruttore, la calcolatrice del contabile ecc). E’
indicato col simbolo K.
 Lavoro: è costituito dal tempo che gli individui dedicano ad attività direttamente
produttive. E’ indicato col simbolo L.

Ipotizziamo che i fattori siano disponibili in quantità fissa nel sistema economico:

K=K ,L=L

Il simbolo di ciascun fattore di produzione è soprassegnato per indicare che la variabile ha


un valore fisso, esogenamente determinato.
Ipotizziamo anche che i fattori siano pienamente utilizzati senza che nessuna risorsa vada
sprecata.
Funzione di Produzione
La tecnologia di produzione disponibile determina il volume della produzione che si ottiene
per ogni data quantità di capitale e di lavoro. Gli economisti descrivono la tecnologia
disponibile con una funzione di produzione: definendo Y la produzione aggregata la
funzione di produzione è:
𝒀= 𝑭(𝑲,𝑳)
Questa equazione stabilisce che la produzione aggregata è una funzione della quantità di
capitale e di lavoro. La funzione di produzione descrive la tecnologia disponibile per
trasformare capitale e lavoro in beni e servizi.

In tale modello si ipotizza che:


- Tecnologia fissa
- Offerta dei fattori della produzione fissa
- Tecnologia con rendimenti di scala costanti
• Molte funzioni di produzione godono di una proprietà detta
rendimenti di scala costanti. Una funzione di produzione ha
rendimenti di scala costanti se a un aumento di uguale percentuale di
tutti i fattori di produzione corrisponde un aumento di pari percentuale
della produzione.
• Esempio: a fronte di un aumento del 10% del capitale e del lavoro la
produzione aggregata aumenta del 10%.
• La funzione di produzione a rendimenti di scala costanti è descritta
come: 𝑧Y = 𝐹(z𝐾,zL), per ogni z>0.
• Questa equazione stabilisce che, se moltiplichiamo la quantità sia di
capitale sia di lavoro per lo stesso fattore z, anche la produzione
aggregata viene moltiplicata per z.

Tuttavia, se qualcuno inventa un modo più efficiente per produrre un bene, il risultato è
una maggiore quantità di prodotto per ogni dato livello dei fattori di produzione; di
conseguenza il processo tecnologico influenza la funzione di produzione.

L’Offerta Aggregata di Beni e Servizi


I fattori di produzione e la funzione di produzione insieme determinano la quantità
di beni e servizi offerti, che a sua volta equivale alla produzione aggregata dell’economia. In
termini matematici, questo si esprime come:

Y = F ( K , L )= Y

Siccome abbiamo ipotizzato che i fattori di produzione e la tecnologia siano fisse, anche la
produzione aggregata sarà fissa.
Distribuzione del reddito nazionale
Poiché i fattori della produzione e la funzione di produzione insieme determinano
la produzione aggregata di beni e servizi, questi determinano anche il reddito nazionale
(ciò perché la produzione aggregata del sistema economico è uguale al reddito aggregato).
La distribuzione del reddito nazionale è determinata dai prezzi dei fattori, che sono le somme
corrisposte per la remunerazione dei fattori di produzione. In un sistema economico nel
quale i due fattori di produzione sono capitale e lavoro, i prezzi dei fattori sono i salari
percepiti dai lavoratori e le rendite percepite dai proprietari del capitale.
- Salario (W), remunerazione del lavoro L
- Rendita (R), remunerazione del capitale K
Poiché abbiamo ipotizzato che i fattori del sistema economico siano disponibili in quantità
fissa, avremo una curva di offerta verticale: indipendentemente dal prezzo, la quantità
offerta resta invariata. L’intersezione tra la curva di domanda del fattore (con pendenza
negativa) e la curva di offerta del fattore determina il prezzo di equilibrio del fattore stesso

Per comprendere la formazione dei prezzi dei fattori e la distribuzione del reddito bisogna
esaminare meglio la domanda dei fattori di produzione. Dato che la domanda dei fattori di
produzione proviene da migliaia di singole imprese che impiegano capitale e lavoro,
dobbiamo considerare le decisioni che deve affrontare l’impresa media riguardo
all’impiego dei fattori di produzione disponibili.
Le decisioni dell’impresa concorrenziale
Esaminando l’impresa media, possiamo ipotizzare che sia concorrenziale. Un’impresa
concorrenziale è piccola rispetto ai mercati in cui opera, al punto che le sue decisioni non
sono in grado di influenzare i prezzi di mercato. Ciò significa che l’impresa media produce
il bene e lo vende al prezzo di mercato. Poiché le imprese che producono tale bene sono
numerose, l’impresa media può vendere o non vendere qualunque quantità di quel bene
senza riuscire influenzarne il prezzo. Analogamente, non può influenzare il salario dei
lavoratori, a causa della moltitudine di imprese presenti nel mercato. Per l’impresa media
quindi il prezzo del bene che produce e il prezzo dei suoi fattori di produzione sono dettati
dalle condizioni del mercato.
Per produrre beni o servizi, l’impresa media ha bisogno di due fattori della produzione:
capitale e lavoro. Possiamo rappresentare la tecnologia a disposizione dell’impresa con la
funzione di produzione:
𝒀 = 𝑭(𝑲, 𝑳) dove: Y=numero di unità prodotte (produzione dell’impresa); K= numero di
macchine usate (quantità di capitale); L=numero di ore di lavoro prestate dai dipendenti
dell’impresa (quantità di lavoro).
L’impresa produce una quantità tanto maggiore quante più macchine possiede e quante più
ore fa lavorare i propri dipendenti.
L’impresa vende il suo prodotto al prezzo P, corrisponde ai lavoratori un salario W e
remunera il capitale con una rendita R.
L’obiettivo dell’impresa è massimizzare il profitto.
R - C → (P*Y) – ((W*L)+(R*K)) → PY = WL – RK

Prodotto Marginale del Lavoro (PML)


Quanto più lavoro utilizza, tanto più l’impresa produce.
Il prodotto marginale del lavoro (PML) è la quantità aggiuntiva di prodotto che
l’impresa ottiene da ogni unità aggiuntiva di lavoro, tenendo fissa la quantità di capitale.
Possiamo esprimere questo concetto ricorrendo alla funzione di produzione e scrivendo:
PML = F(K,L+1) – F(K,L)
La maggior parte delle funzioni di produzione è caratterizzata da prodotto marginale
decrescente: tenendo fissa la quantità di capitale, il prodotto marginale del lavoro
diminuisce all’aumentare della quantità di lavoro impiegata. Questo perché si diventa meno
efficienti (esempio: troppi impiegati si ostacolano a vicenda in spazi piccoli, che restano
costanti in quanto fanno parte del capitale K).
Tenendo la quantità di capitale costante, la funzione di produzione descrive cosa accade al
volume della produzione se si fa variare la quantità di lavoro (fig. 3.3.). Il PML è uguale alla
pendenza della funzione di produzione: all’aumentare della quantità di lavoro utilizzata, la
pendenza della funzione di produzione diminuisce progressivamente, evidenziando un
prodotto marginale del lavoro decrescente.
A seconda dei rendimenti marginali (costanti, decrescenti o crescenti) esistono diversi tipi
di funzioni di produzione

Esercizio Parte 1 (PML):

Determinare il PML per ciascun livello di L

Rappresentare graficamente la funzione di produzione e la


curva del PML

Come sono i rendimenti marginali?


Fino a che punto un’impresa assumerà lavoro?

Nel decidere se assumere un lavoratore in più e volendo massimizzare il profitto, un’impresa


concorrenziale valuta l’impatto di questa decisione sul profitto stesso, mettendo a confronto
il ricavo addizionale che ottiene dall’aumento di produzione risultante dal lavoro
incrementale e la remunerazione aggiuntiva che dovrà corrispondere al lavoratore.
L’incremento del ricavo generato dall’utilizzo di unità addizionale di lavoro L dipende da 2
variabili: il PML e il prezzo del prodotto. Poiché un’unità aggiuntiva di lavoro produce PML
unità di prodotto e un’unità di prodotto viene venduta al prezzo P, il ricavo aggiuntivo è pari
a PML*P.
Il costo aggiuntivo di un’unità di lavoro è il salario W; quindi, la variazione del profitto
generata da un’unità in più di lavoro è pari a:
∆Profitto = ∆ricavo – ∆costo = (PML*P) – W
L’impresa sa che fino a quando il prodotto PML*P è superiore al salario W, l’unità aggiuntiva
di lavoro fa aumentare il profitto. Di conseguenza l’impresa continua ad assumere fino a
quando l’unità aggiuntiva di lavoro non produce più profitto, cioè fino a quando il PML
raggiunge il punto in cui il ricavo incrementale è uguale al salario.
Quindi la domanda di lavoro dell’impresa è determinata dall’uguaglianza:
PML*P = W che può essere anche espressa come: PML = W/P
W/P è il salario reale, cioè la remunerazione del lavoro misurata per unità di prodotto,
invece che in termini monetari.
Per massimizzare il profitto, l’impresa assume lavoratori fino al punto in cui il
PML è uguale al salario reale.
Come reagisce l’offerta di lavoro al variare del salario? Tramite:
- un effetto sostituzione del tempo libero con il lavoro.
- un effetto reddito, per cui pur lavorando meno l'individuo può conseguire
un reddito maggiore.
Esempio: il prezzo P di una pagnotta è 2€ e un lavoratore guadagna un salario W di 20€
l’ora. Il salario reale W/P è uguale quindi a 10€. L’impresa, quindi, continua ad assumere
finché il lavoratore aggiuntivo produce esattamente 10 pagnotte all’ora. Quando il PML
scende sotto 10 assumere non è più redditizio.
Esercizio Parte 2 (Domanda di Lavoro)
Si ipotizzi W/P = 6

Se L = 3, un’impresa dovrebbe assumere


più o meno lavoratori?

Se L = 7?

Il prodotto marginale del capitale (PMK)

Quanto più capitale utilizza, tanto più l’impresa produce.


Il prodotto marginale del capitale (PMK) è la quantità addizionale di prodotto che
l’impresa ottiene da ogni unità aggiuntiva di capitale, tenendo fissa la quantità di lavoro:
PMK = F(K+1,L) – F(K,L)
Pertanto, il PMK è pari alla differenza tra la quantità prodotta con K+1 unità di capitale e la
quantità prodotta con K unità di capitale.
Come il lavoro anche il capitale è soggetto alla legge del prodotto marginale
decrescente: cioè all’aumentare del capitale impiegato, tenendo fissa la quantità di lavoro,
il PMK diminuisce.
L’incremento di profitto che si ottiene dall’utilizzo di una macchina in più è pari alla
differenza tra il ricavo aggiuntivo ottenuto dalla vendita del prodotto incrementale e la
remunerazione della macchina aggiuntiva:
∆Profitto = ∆ricavo – ∆costo = (PMK*P) – R
Per massimizzare il profitto, l’impresa utilizzerà capitale in quantità tale per cui PMK è
uguale alla rendita reale del capitale:
PMK = R/P
La rendita reale del capitale è la rendita misurata in termini di prodotto, invece che in
termini monetari.
In sintesi, l’impresa concorrenziale che massimizza il profitto segue una regola molto
semplice nelle proprie decisioni di impiego dei fattori di produzione: l’impresa domanda
ciascun fattore di produzione in misura tale che il prodotto marginale del
fattore stesso sia uguale al suo prezzo in termini reali.

La Distribuzione del Reddito Nazionale


Se tutte le imprese del sistema economico sono concorrenziali e massimizzano il profitto,
ciascun fattore di produzione è remunerato in misura corrispondente al suo contributo
marginale al processo produttivo.
Il salario reale dei lavoratori W/P è uguale al PML e la rendita reale del capitale R/P è uguale
al PMK.
Di conseguenza, il monte salari reale è pari a PML*L e la rendita totale reale del
capitale a PMK*K.
Se la funzione di produzione gode della proprietà dei rendimenti di scala costanti, la
produzione aggregata si distribuisce tra la remunerazione del capitale e la
remunerazione del lavoro, sulla base delle rispettive produttività marginali:

Y = ( PMK* K ) + ( PML* L )

Con rendimenti di scala costanti:


Profitto economico = 0
Lezione 6 (Capitolo 3 – Il Reddito Nazionale)
Struttura del Modello per trovare l’Equilibrio di Mercato
Ipotizziamo di essere in un’economia chiusa (cioè un sistema economico che non
intrattiene rapporti commerciali con altri paesi) con Market Clearing, le esportazioni
nette sono nulle (NX=0).
La Domanda Aggregata di Beni e Servizi sarà:
Y = C + I + G.

Consumo (C)

Gli individui ricavano un reddito dal proprio lavoro


o dalla proprietà di beni capitali e, dopo aver
pagato le imposte, decidono come allocare quel che
rimane tra consumo e risparmio.
Si definisce reddito disponibile la parte di
reddito che rimane dopo il pagamento delle
imposte, ovvero Yd= Y–T.
Ipotizzando che il livello di consumo dipenda
direttamente dal livello del reddito disponibile (quanto più è elevato il reddito disponibile
tanto più il consumo è elevato), possiamo scrivere:
C = C(Y–T)
Questa equazione esprime il consumo in funzione del reddito disponibile. La relazione tra
consumo e reddito disponibile è chiamata funzione di consumo.

La propensione marginale al consumo (PMC) è la variazione del livello di consumo


che si verifica a fronte di un aumento unitario del reddito disponibile. Il valore della PMC è
compreso tra 0 ed 1. Rappresenta la pendenza della funzione di consumo
Investimenti (I)

Le imprese acquistano beni di investimento per


incrementare il proprio stock di capitale e per
sostituire il capitale esistente logorato dall’uso;
gli individui acquistano nuove abitazioni, che
fanno parte della spesa per investimento.
La quantità domandata di beni di investimento
dipende dal tasso di interesse, cioè dal costo
delle risorse necessarie per finanziare l’acquisto
di tali beni.
Se il tasso di interesse aumenta, il numero di progetti di investimento diminuisce e così
anche la quantità domandata di beni di investimento.
Gli economisti sono soliti distinguere tra tassi di interesse nominali e tassi di interesse reali.
La differenza è rilevante nel caso in cui il livello generale dei prezzi sia variabile:
 Il tasso di interesse nominale è quello abitualmente riportato sui giornali e nei
contratti, e corrisponde a quello che l’investitore deve pagare;
 Il tasso di interesse reale è il tasso di interesse nominale depurato dagli effetti
dell’inflazione: se il tasso nominale è dell’8% e il tasso di inflazione del 3%, il tasso
reale è del 5%. Misura il vero costo dell’indebitamento, e determina quindi la quantità
di investimento.
La Spesa Pubblica (G)

L’acquisto di beni e servizi rappresenta soltanto


una parte della spesa dello Stato, che comprende
anche i trasferimenti agli individui, come le
indennità di disoccupazione e le pensioni per
anziani e invalidi.
Diversamente dalla spesa pubblica per l’acquisto
di beni e servizi, i trasferimenti non sono effettuati
in cambio di una quota della produzione
aggregata di beni e servizi, perciò non sono
inclusi nella variabile G.
I trasferimenti influenzano solo indirettamente la domanda di beni e servizi.
Sono l’opposto delle imposte: mentre le imposte riducono il reddito disponibile degli
individui, i trasferimenti lo fanno aumentare. Perciò un aumento dei trasferimenti
finanziato da un aumento delle imposte lascia invariato il reddito disponibile.
Possiamo quindi ridefinire T come la differenza tra le imposte e i trasferimenti: in questo
modo il reddito disponibile Y–T include sia l’impatto negativo delle imposte sia quello
positivo dei trasferimenti.
Se la spesa pubblica per l’acquisto di beni e
servizi è uguale alle imposte meno i
trasferimenti, allora G=T, e il bilancio dello
stato è in pareggio.
Se G > T, lo stato ha un disavanzo di bilancio
che deve essere finanziato attraverso
l’emissione di titoli di stato sui mercati
finanziari.
Se G < T, lo stato ha un avanzo di bilancio che
può essere utilizzato per rimborsare il debito pregresso.
Si assume che spesa pubblica e imposte siano variabili esogene (fisse):

G= G ,T= T
Equilibrio del Mercato: l’Offerta e la Domanda del
Prodotto Aggregato

Sostituendo la funzione di consumo e la funzione di produzione nell’identità contabile del


reddito nazionale, otteniamo:
Y = C(Y–T) + I(r) + G
Poiché le variabili G e T sono esogene, in quanto determinate dalla politica fiscale, e poiché
il livello di produzione Y è determinato esogenamente dai fattori di produzione e dalla
funzione di produzione, possiamo scrivere:

Y = C ( Y – T ) + I(r) + G –> Equilibrio


L’equilibrio nei mercati finanziari: la domanda e l’offerta
di fondi mutuabili

Una sola attività: “fondi mutuabili”


– Domanda di fondi: investimenti
– Offerta di fondi: risparmio
– “prezzo” dei fondi: il tasso di interesse reale

Domanda di fondi: Investimenti (I)

Offerta di fondi: Risparmio (S)

Il termine Y – C – G è la produzione residua, cioè


quello che rimane una volta soddisfatta la domanda
di consumo e la spesa pubblica. Questa produzione
residua è detta risparmio nazionale o più
semplicemente risparmio S.
Possiamo suddividere il risparmio in 2 componenti,
una che rappresenta il risparmio del settore
privato e l’altra che rappresenta il risparmio del
settore pubblico:
privato pubblico
S=(Y–T–C)+(T–G)=I
Il termine ( Y – T – C ) è la differenza tra reddito disponibile e consumo, e corrisponde al
risparmio privato.
Il termine ( T – G ) è la differenza tra entrate dello stato e la spesa pubblica, e corrisponde
al risparmio pubblico (se lo stato spende più di quanto incassa attraverso la tassazione
generando un disavanzo di bilancio, il risparmio pubblico è negativo).
Il risparmio nazionale S è pari alla somma di risparmio privato e risparmio
pubblico.

Condizione di Equilibrio tramite il tasso di interesse (r)


Per vedere come il tasso di interesse porti i mercati
finanziari in condizione di equilibrio, sostituiamo la
funzione di consumo e la funzione di investimento
nell’identità contabile del reddito nazionale:
Y – C (Y – T ) – G = I (r)
Dato che G e T sono esogenamente determinati dalla
politica fiscale e Y è fisso e determinato dai fattori di
produzione e dalla funzione di produzione, possiamo riscrivere l’equazione come:

Y – C ( Y – T ) – G = I (r)

S = I (r)

Il membro sinistro dell’equazione mostra che il risparmio nazionale dipende dal reddito Y e
dalle variabili di politica fiscale G e T. Per valori esogenamente determinati di Y, G, T anche
il risparmio nazionale S è fisso. Il membro destro dell’equazione afferma che la spesa
dell’investimento dipende dal tasso di interesse.
Variazioni della Curva di Offerta (Risparmio S)
Se aumenta la spesa pubblica di ∆G, l’effetto immediato è un aumento della domanda di beni
e servizi di ammontare corrispondente a ∆G: ma poiché la produzione aggregata è fissa e
determinata dai fattori di produzione, l’aumento della spesa pubblica deve essere
compensato da una diminuzione dell’ammontare di altre componenti della domanda.
Dato che il reddito disponibile Y-T è invariato, il consumo C è invariato.
Quindi l’aumento della spesa pubblica deve essere compensato da una riduzione
dell’investimento di pari ammontare.
Per far sì che l’investimento diminuisca, il tasso di interesse deve aumentare.
Quindi l’aumento della spesa pubblica provoca un aumento del tasso di interesse e una
diminuzione della spesa per investimento: in questo caso si dice che la spesa pubblica ha un
effetto di spiazzamento (crowding out) sull’investimento.
Una riduzione del risparmio nazionale corrisponde a uno spostamento verso sinistra della
curva di offerta di fondi mutuabili disponibili per l’investimento (fig. 3.9). Al tasso di
interesse iniziale, la domanda di fondi mutuabili eccede l’offerta; perciò il tasso di interesse
d’equilibrio aumenta fino al punto in cui la curva di investimento interseca la nuova curva
di risparmio. In questo modo, un aumento della spesa pubblica provoca un aumento del
tasso di interesse da r1 a r2.

Se invece stessimo parlando di una riduzione delle imposte, poiché l’abbassamento delle
imposte fa aumentare il reddito disponibile di ∆T, il consumo aumenta di ∆T*PMC.
Il risparmio nazionale S, che è pari a Y – C – G, diminuisce di un ammontare corrispondente
all’aumento del consumo.
La diminuzione del risparmio provoca uno spostamento verso sinistra della curva di offerta
di fondi mutuabili, facendo aumentare il tasso di interesse di equilibrio e spiazzando la spesa
per investimento (fig. 3.9).
Variazioni della Curva della Domanda (Investimenti I)
Una delle forze che porta ad un aumento della domanda di investimento è l’innovazione
tecnologica: le imprese richiedono più risorse per accedere alle nuove tecnologie. La
domanda di investimento può cambiare anche a seguito di provvedimenti di politica fiscale
che incentivano o disincentivano gli investimenti (es. sgravi fiscali sui nuovi investimenti).
Un aumento della domanda di investimenti viene rappresentato da uno spostamento verso
destra (fig. 3.11. N.B.).

(Leggi Fiscali) Giungeremmo ad una conclusione diversa se modificassimo la funzione di


consumo, ipotizzando che anche il consumo – e quindi il suo reciproco, il risparmio –
dipenda dal tasso di interesse. Poiché il tasso di interesse rappresenta il rendimento del
risparmio (e il costo dell’indebitamento), un tasso di interesse più elevato porterebbe ad una
diminuzione del consumo e a un aumento del risparmio.
In questo caso la curva di risparmio avrebbe pendenza positiva invece che verticale.
L’aumento della domanda di investimento farebbe aumentare sia il tasso di interesse di
equilibrio sia la spesa per investimento.
L’aumento del tasso di interesse induce gli individui a risparmiare di più e a consumare
meno, liberando risorse per l’investimento. (fig. 3.12).
Lezione 7 (Capitolo 4 – Il Sistema Monetario)
La Moneta
«La moneta, in quanto moneta e non in quanto merce, è voluta non per il suo valore
intrinseco, ma per le cose che consente di acquistare.»
(Samuelson, Economia, Zanichelli, 1983, p. 255)
La moneta è lo stock di valori immediatamente disponibili per le transazioni ed ha 3
funzioni:
 Riserva di valore: la moneta rappresenta un mezzo per trasferire potere di
acquisto dal presente al futuro. Naturalmente la moneta è una riserva di valore
imperfetta: se i prezzi aumentano la quantità di beni e servizi che si possono
acquistare con una data quantità di moneta diminuisce.
 Unità di conto: la moneta rappresenta l’unità di misura con cui si esprimono i
prezzi e si rilevano i debiti. La moneta è il metro con cui si misurano le transazioni
economiche.
 Mezzo di scambio: la moneta è ciò che si utilizza per acquistare beni e servizi. La
facilità con cui la moneta può essere convertita in altre cose (beni e servizi) è detta
liquidità. In un’economia fondata sul baratto (priva della moneta) deve verificarsi
una doppia coincidenza di bisogni, cioè l’improbabile circostanza che due individui
abbiano ciascuno il bene desiderato dall’altro, nel momento e nel posto giusti.

I tipi di moneta
1. Moneta a corso legale (o moneta fiat): è la moneta che non ha alcun valore intrinseco,
è definita “fiat” perché definita da un decreto del legislatore (fiat in latino significa ordine o
decreto). La moneta a corso legale è la norma nelle economie moderne.
2. Moneta merce: è la moneta che ha valore intrinseco. L’esempio più diffuso è l’oro. Se
l’economia utilizza l’oro o banconote convertibili in oro come moneta, si dice che ha adottato
un sistema aureo. L’oro è una forma di moneta merce perché può essere utilizzato oltre che
come moneta, per vari altri scopi, come produzione di gioielli ecc. Il sistema aureo era il
sistema più diffuso alla fine del diciannovesimo secolo.

Storia della moneta: dal baratto alla moneta


Perché mai qualcuno dovrebbe attribuire valore a qualcosa che è intrinsecamente inutile?
La risposta è semplice: usare l’oro per le transazioni è costoso, perché la verifica del peso e
della purezza del metallo richiedono tempo.
Inoltre trasportare dei pezzi di carta è molto più facile che trasportare dell’oro che è molto
più pesante.
In fondo l’uso della moneta nelle transazioni è una convenzione sociale, nel senso che tutti
attribuiscono valore alla moneta a corso legale perché si aspettano che gli altri facciano
altrettanto.
Offerta di Moneta e Politica Monetaria

La quantità di moneta disponibile in un sistema


economico è detta offerta di moneta.
 Se nell’economia si adopera la moneta
merce, l’offerta è pari alla quantità disponibile di
quella merce.
 Se nell’economia si adopera la moneta a
corso legale (come nella maggior parte delle
economie contemporanee) l’offerta di moneta è
controllata dallo Stato, che ha il monopolio sulla
stampa delle banconote.

L’offerta di moneta, come il livello della tassazione e il livello della spesa pubblica, è uno
strumento di politica economica.
Il controllo esercitato sull’offerta di moneta è detto politica monetaria. Nelle economie
avanzate la politica monetaria è delegata ad un’istituzione detta banca centrale.
Nei paesi che hanno adottato l’euro è la Banca Centrale Europea, nel Regno Unito è la Bank
Of England, negli USA è la Federal Reserve (spesso detta Fed).

Quantità di Moneta (Aggregati Monetari)


Gli elementi da includere nel computo della quantità di moneta sono:
 Capitale Circolante che è la somma di tutte le banconote e le monete metalliche
in circolazione, utilizzate come mezzo di scambio in gran parte delle piccole
transazioni quotidiane.
 Depositi A Vista: sono i fondi che gli individui detengono in forma liquida sui conti
correnti bancari, ai quali il titolare può accedere semplicemente compilando un
assegno o usando la propria carta di debito (non è una forma di moneta, è solo un
metodo per trasferire moneta da un conto all'altro).

In un sistema economico complesso è difficile tracciare una linea di demarcazione netta tra
ciò che costituisce moneta e ciò che non lo è.
Le principali misure dello stock di moneta, o “aggregati monetari”, in uso nell’area
dell’euro sono tre:
 M1: è la più ristrettiva ed è composta dal circolante (quantità di banconote e
monete metalliche in circolazione) e dai depositi in conto corrente;
 M2: comprende M1 + i depositi a più a lungo termine;
 M3: include M2 e alcuni strumenti del mercato monetario, come le operazioni di
pronti contro termine e le quote di fondi comuni monetari.
Ruolo delle Banche nel Sistema Monetario

La Banca Centrale è responsabile dell’offerta di moneta, con riferimento alla base


monetaria (Mo), tuttavia è il istema bancario nel suo complesso che generà l’offerta di
moneta.
L'offerta di moneta è determinata non solo dalla politica della Banca Centrale, ma anche
dal comportamento degli individui (che detengono moneta) e dalle banche (dove la
moneta viene depositata).
L'offerta di moneta include sia il circolante nelle mani del pubblico sia i depositi bancari a
vista, come i conti correnti.
Se definiamo con M l'offerta di moneta, con C il circolante e con D i depositi a vista,
possiamo scrivere:
offerta di moneta= circolante+ depositi a vista
M= C+D
Per capire l'offerta di moneta, dobbiamo comprendere l’interazione tra il circolante e i
depositi a vista, e il modo in cui la Banca Centrale può influenzare queste due componenti
dell'offerta di moneta.

Tipologie di Sistemi bancari


Scenario 1 - Sistema bancario a riserva totale
Immaginiamo un mondo senza banche (con D=0) nel quale tutta la moneta ha la forma
di circolante e la quantità di moneta e data dall'ammontare del circolante nelle mani del
pubblico. Ipotizziamo che la quantità di moneta presente nell'economia sia di €1000.
Introduciamo adesso le banche ed immaginiamo inizialmente che le banche accettino
depositi ma non concedono prestiti: l'unico scopo delle banche e offrire un luogo sicuro in
cui tenere la moneta.
I depositi che le banche ricevono e non impiegano sono chiamati riserve: questo sistema
è detto sistema bancario a riserva totale.
Supponiamo che i nuclei familiari depositino tutti i €1000 presenti nel sistema economico
presso la Prima Eurobanca. Lo stato patrimoniale della Prima Eurobanca, cioè il
prospetto contabile che mette a confronto le attività e le passività, sarà:

Le attività della banca sono rappresentate dai €1000 accantonati a riserva; le sue passività
dai €1000 che deve restituire ai depositanti su richiesta.
Prima della creazione della Prima Eurobanca l'offerta di moneta era rappresentata dai
€1000 di circolante; dopo la sua creazione l'offerta di moneta è costituita da €1000 di
depositi a vista.
€1 depositato in banca riduce il circolante di €1 e aumenta i depositi a vista di €1, e quindi
l’offerta di moneta rimane invariata.
Se le banchi trattengono a riserva il 100% dei depositi, il sistema bancario
non influenza l'offerta di moneta.
Scenario 2 - Sistema bancario a riserva frazionaria
Ora immaginiamo che le banche comincino a utilizzare il denaro ricevuto in deposito per
concedere prestiti ai nuclei familiari o alle imprese.
Il vantaggio per le banche è quello di poter chiedere un interesse sui prestiti concessi.
Impiegando una parte dei depositi per concedere prestiti le banche devono comunque
trattenere una parte dei depositi a riserve per far fronte a eventuali richieste di prelievo
da parte dei depositanti.

Quando questo si verifica ci troviamo in presenza di un sistema bancario a riserva


frazionaria nel quale le banche tengono a riserva soltanto una frazione dei depositi.

Ecco come si trasforma lo stato patrimoniale della Prima Eurobanca dopo aver
concesso un prestito

Da questo stato patrimoniale si evince che il rapporto riserve/depositi, cioè la frazione dei
depositi che la banca trattiene a riserva sia pari al 20%. A fronte di depositi per €1000 la
Prima Eurobanca trattiene a riserva €200 e da in prestito i rimanenti €800.
La Prima Eurobanca concedendo il prestito aumenta l'offerta di moneta di €800: prima
che il prestito venga concesso l'offerta di moneta è pari a €1000, equivalenti ai depositi
presso la Prima Eurobanca. Dopo la concessione del prestito l'offerta di moneta è pari a
€1800: i €1000 di depositi a vista più gli €800 detenuti da chi ha ottenuto il prestito.
Quindi in un sistema con riserva frazionaria il sistema bancario crea
moneta.
Ma la creazione di moneta non si ferma con la Prima Eurobanca. Se chi ha ricevuto il
prestito deposita il denaro presso un'altra banca, per esempio la Seconda Eurobanca, il
processo di creazione di moneta continua. Ecco lo stato patrimoniale della Seconda
Eurobanca:
La Seconda Eurobanca riceve €800 di depositi, nei trattiene a riserva il 20% (€160) e
concede prestiti per €640. In questo modo, la Seconda Eurobanca crea moneta in misura
di 640€.
Per quanto questo processo possa continuare all'infinito, questo processo non porta
alla creazione di una quantità infinita di moneta.
Se definiamo “rr” il rapporto riserve/depositi, la quantità di moneta che si può creare con
i €1000 originali è:
offerta totale di moneta= (1/rr)*1000€

Ogni euro di deposito genera 1/rr di moneta. Nel nostro esempio con rr=0,2, gli originari
€1000 depositati nel sistema bancario generano €5000 di moneta.
La capacità del sistema bancario di creare moneta è la principale differenza tra le banche
e le altre istituzioni finanziarie (es. mercato azionario, obbligazionario) perché solo le
banche sono legalmente autorizzate a creare attività come i depositi a vista che fanno parte
dell'offerta di moneta.
Perciò le banche sono le uniche istituzioni finanziarie che possono influenzare
direttamente l'offerta di moneta.

Il sistema bancario a riserva frazionaria, nonostante crei moneta, non genera tuttavia
ricchezza.
Dando in prestito una parte delle proprie riserve le banche offrono ai prenditori la
possibilità di compiere le transazioni aumentano per questa via l'offerta di moneta.
Ma i prenditori contraggono anche un debito nei confronti della banca per cui il prestito
non li rende più ricchi: quindi, la creazione di moneta attraverso il sistema
bancario aumenta la liquidità del sistema economico, ma non la sua ricchezza.
Modello dell’offerta di moneta
Per esaminare le determinanti dell'offerta di moneta utilizziamo un modello dell'offerta di
moneta in un sistema bancario a riserva frazionaria che ha 3 variabili esogene:

 la base monetaria “B”: che è la quantità totale


di denaro detenuta dal pubblico sotto forma di
circolante C è dalle banche come riserve R, ed è
controllata direttamente dalla Banca Centrale;
 il rapporto riserve/depositi “rr”: che la quota
dei depositi bancari che le banche trattengono a riserva
ed è determinato dalle politiche interne delle banche e
dalle leggi che regolano l'attività del sistema bancario;
 il rapporto circolante/depositi “cr”: che è la
quantità di circolante C che gli individui detengono in
misura percentuale dei loro depositi a vista D, e riflette le preferenze degli individui
sulla forma di moneta che desiderano detenere.

Questo modello mostra come l'offerta di moneta dipende dalla base monetaria dal
rapporto riserve depositi e dal rapporto circolante depositi e ci permetti di esaminare come
le politiche della banca centrale e le scelte delle banche e degli individui influenzino
l'offerta di moneta.
Cominciamo con la definizione dell'offerta di moneta e della base monetaria:
Offerta di moneta--> M=C+D
Base monetaria----> B=C+R
La prima equazione definisce l'offerta di moneta come la somma del circolante e depositi
a vista; la seconda definisce la base monetaria come la somma del circolante delle riserve
bancarie.
Per esprimere l'offerta di moneta come funzione delle tre variabili esogene (B, rr,
cr) dividiamo la prima equazione per la seconda e otteniamo:
𝑴 𝑪+𝑫
=
𝑩 𝑪+𝑹
Dividendo per D numeratore e denominatore del membro destro dell'espressione avremo:
𝑴 𝑪/𝑫 + 𝟏
=
𝑩 𝑪/𝑫 + 𝑹𝑫
Ma C/D non è altro che il rapporto circolante/depositi cr, e R/D il rapporto
riserve/depositi rr. Sostituendo e portando B dal membro sinistro al destro otteniamo:
𝒄𝒓 + 𝟏
𝑴= ∗𝑩
𝒄𝒓 + 𝒓𝒓
Questa equazione mostra come l'offerta di moneta dipende dalle tre variabili esogene che
abbiamo individuato.
Possiamo vedere ora come l'offerta di moneta sia proporzionale alla base monetaria: il
fattore di proporzionalità, (cr+1)/(cr+rr), viene di solito identificato con la lettera “m” ed
è chiamato moltiplicatore monetario. Possiamo quindi scrivere:
M = m*B
Ogni euro di base monetaria genera m euro di offerta di moneta. Avendo un effetto
moltiplicato sull'offerta di moneta la base monetaria viene spesso chiamata moneta ad
alto potenziale.

Variazioni dell’Offerta di Moneta al variare delle variabili


Possiamo ora vedere come vari l'offerta di moneta al variare di ciascuna delle tre variabili
esogene (B, rr, cr):

1. l'offerta di moneta è proporzionale alla base monetaria, quindi all'aumentare della


base monetaria l'offerta di moneta aumenta in misura proporzionale;
2. quanto minore è il rapporto riserve/depositi “rr” tanto più le banche possono
concedere prestiti e tanta più moneta crea il sistema bancario; Quindi al diminuire
del rapporto riserve/depositi il moltiplicatore monetario è l'offerta di moneta
aumentano;
3. quanto minore è il rapporto circolante/depositi “cr” tanto minore è la quota di base
monetaria che il pubblico detiene in forma di circolante, tanto maggiore è la quota
di base monetaria che finisce depositata nel sistema bancario, e tanta più moneta le
banche possono creare; quindi al diminuire del rapporto circolante e depositi il
moltiplicatore monetario e l'offerta di moneta aumentano.

Esempio:
Strumenti di politica monetaria (Come la Banca Centrale
può variare la Base Monetaria)

1. Operazioni di mercato aperto


La Banca Centrale può variare la quantità di moneta in circolazione nel sistema
economico acquistando o vendendo titoli obbligazionari tramite un processo noto
come operazioni di mercato aperto.
 se la Banca Centrale vuole aumentare l'offerta di moneta può creare
circolante e usarlo per acquistare titoli dal pubblico nel mercato
obbligazionario: a seguito dell'acquisto il pubblico detiene una maggiore
quantità di circolante;
 se la Banca Centrale vuole ridurre l'offerta di moneta può vendere titoli
obbligazionari al pubblico nel mercato obbligazionario: a seguito della
vendita la quantità di circolante detenuta dal pubblico diminuisce.

Queste operazioni di mercato aperto sono dette più precisamente operazioni di


mercato aperto a titolo definitivo per chi comportano l'acquisto (o la vendita) di
attività non monetarie dal (o al) settore bancario, senza un accordo di rivendita (o
di riacquisto) a una data successiva.

2. Tasso di rifinanziamento
La Banca Centrale può anche determinare il tasso di interesse al quale è disposta a
finanziare le banche nel breve periodo.

La Banca Centrale finanzia le banche commerciali nel breve periodo attraverso una
forma particolare di operazione di mercato aperto detta “operazione di pronti
contro termine” acquistando attività finanziarie non monetarie dalle banche
commerciali e impegnandosi contestualmente a rivenderle a una data futura ad un
prezzo predeterminato.
Così facendo la Banca Centrale concede un prestito nel quale i titoli obbligazionari
o le attività finanziarie non monetarie vengono ceduti dalle banche commerciali
finanziate a garanzia del prestito stesso.

La differenza tra il prezzo pagato dalla banca centrale e quello pagato dalla banca
commerciale è detta tasso di rifinanziamento dalla Banca Centrale Europea.
Il tasso di rifinanziamento è quindi il tasso di interesse al quale la BCE è disposta a
finanziare il settore bancario dell’area euro.

 Se la banca centrale aumenta il tasso di rifinanziamento, le banche


commerciali cercheranno di limitare gli impieghi invece di indebitarsi prezzo
la banca centrale per mantenere il livello desiderato di riserve, facendo così
contrarre l'offerta di moneta.
 Se, al contrario, la banca centrale abbatte il tasso di rifinanziamento, le
banche commerciali hanno un incentivo ad aumentare gli impieghi sapendo
di potersi indebitare a basso costo presso la banca centrale per mantenere il
livello desiderato di riserve, facendo aumentare l'offerta di moneta.
3. Obblighi di riserva
La Banca Centrale può influenzare l'offerta di moneta anche attraverso la
determinazione degli obblighi di riserva, cioè della quantità minima di riserve che
le banche commerciali devono detenere in rapporto ai depositi.

Gli obblighi di riserva determinano la quantità di moneta che il sistema bancario


può creare con ogni euro di depositi raccolto:
 se gli obblighi di riserva aumentano, le banche commerciali devono
detenere una maggiore quantità di riserve e devono quindi ridurre gli
impieghi che possono effettuare per ogni euro di depositi; di conseguenza il
coefficiente di riserva aumenta, il valore del moltiplicatore monetario
diminuisce e l'offerta di moneta si contrae.
 se gli obblighi di riserva diminuiscono, ciò riduce il rapporto
riserve/depositi, fa aumentare il valore del moltiplicatore monetario e
provoca una espansione dell'offerta di moneta.

Problemi nel controllo dell’Offerta di Moneta


Attraverso la determinazione del tasso di rifinanziamento e le relative operazioni di
mercato aperto le banche centrali possono esercitare un notevole controllo sulla offerta di
moneta che però non è assoluto perché le banche centrali si devono confrontare con 2
ordini di problemi dovuti al fatto che gran parte dell'offerta di moneta è creata attraverso
il sistema bancario a riserva frazionaria.

1. Il primo problema è che la Banca


Centrale non controlla la quantità di
moneta che gli individui decidono di
detenere sotto forma di depositi
bancari:
 quanto più denaro gli individui depositano
in banca tanto più gli Istituti bancari
dispongono di riserve e possono creare
moneta; e
 quanto meno denaro in individui decidono
di detenere sotto forma di depositi tantomeno
le banche possono creare moneta.

Supponiamo che a un certo punto gli individui perdano fiducia nel sistema
bancario e di conseguenza decidano di attingere ai propri depositi e detenere una
parte maggiore della propria ricchezza in forma immediatamente liquida: se questo
si verifica il sistema bancario perde riserve e crea meno moneta; l'offerta di moneta
diminuisce anche se la banca centrale non interviene.

2. Il secondo problema è che la Banca Centrale non ha alcuna potestà sulla


quota dei depositi che le banche commerciali decidono di impiegare:
 Il denaro depositato presso una banca crea moneta solo quando la banca
impiega parte di questo deposito per concedere un prestito.
 Poiché le banche commerciali possono decidere di detenere riserve in
eccesso, la Banca Centrale non può avere la certezza della quantità di moneta
creata dal sistema bancario.

Supponiamo che i Banchieri diventino improvvisamente più cauti e


decidano di concedere meno prestiti e detenere maggiori riserve. in questo caso il
sistema bancario crea meno moneta di quanta potrebbe e, a causa della decisione
delle banche commerciali, l’offerta di moneta si contrae.

Quindi in un sistema bancario a riserva frazionaria la quantità di moneta


nell'economia dipende in parte dal comportamento dei depositanti e delle
banche.
Dato che la Banca Centrale non può controllare o prevedere questi comportamenti non
può neanche avere un controllo assoluto sull’offerta di moneta.
Lezione 8 (Capitolo 5 – L’Inflazione: Cause e Effetti)
Neutralità della moneta
Neutralità della moneta: l’assenza di effetti permanenti della moneta sulle grandezze
reali dell’economia.

Le Transizioni e l’Equazione dello Scambio (Scambio di


Fisher)

Poiché più costa un bene che un individuo vuole acquistare e più questo risparmia per
comprarlo, possiamo dire che la quantità di moneta è strettamente correlata alle somme che
vengono scambiate nel corso delle transazioni.
Il collegamento tra transazioni e moneta è espresso dall’equazione dello scambio di
Fisher (è un’identità):
Moneta*velocità = prezzo*transazioni
M*V = P*T

 Il membro destro dell’equazione (P*T) si riferisce alle transazioni, ed è uguale alla


quantità di moneta scambiata in un anno.
 T rappresenta il numero totale delle transazioni che si verificano in un
determinato periodo di tempo, per esempio 1 anno.
 P è il prezzo della transazione media, cioè la quantità di moneta scambiata
mediamente in ogni transazione.

 Il membro sinistro (M*V) si riferisce alla moneta utilizzata per le transazioni.


 M è la quantità di moneta.
 V è la velocità di circolazione della moneta rispetto alle transazioni, e misura
la rapidità con cui la moneta circola nel sistema economico. Ci dice quante volte,
mediamente, un’unità di moneta (1€, 1£ ecc.) cambia di mano in un dato
periodo di tempo

Se aumenta M aumenta P e viceversa.

Esercizio:

• Equazione dello scambio di Fisher:


M*V = P*T

• T = 60 ; P = 1.
• A quanto ammonta la quantità di moneta
scambiata?
• Supponiamo che M sia pari a 20. Quanto
vale V?
Dalle Transazioni al Reddito

Di solito gli economisti modificano leggermente l’equazione dello scambio, perché misurare
l’esatto numero di transazioni è piuttosto difficile. Perciò il numero delle transazioni T viene
sostituito con la produzione aggregata Y del sistema economico.
Transazioni T e produzione aggregata Y sono strettamente correlate perché quanto più
l’economia produce, tanti più beni e servizi vengono scambiati. Tuttavia, occorre ricordare
che non si tratta della stessa variabile.

P = indice generale dei prezzi (deflatore del PIL)


Y = quantità di produzione (PIL reale)
P *Y = valore della produzione (PIL nominale)

Il valore complessivo delle transazioni può essere misurato dal PIL nominale. Se
indichiamo con Y la produzione aggregata e con P il prezzo unitario, il valore monetario
della produzione aggregata è pari a P*Y che corrisponde al PIL nominale; e quindi Y è il
PIL reale e P il deflatore del PIL.

Possiamo così riscrivere l’equazione dello scambio:


Moneta*velocità = prezzo*produzione aggregata
M*V = P*Y
Poiché Y è anche il reddito totale, in questa versione dell’equazione dello scambio V è detta
velocità di circolazione della moneta rispetto al reddito, che misura il numero di volte in cui
ogni banconota entra nel reddito di un individuo in un dato periodo di tempo.

Domanda di moneta
La domanda di moneta dipende da due determinanti:

• dal livello delle transazioni


• dal suo costo opportunità (perdita di interessi e profitti derivanti da impieghi
alternativi)

- Motivo transattivo

• I soggetti domandano una certa quantità di moneta per far fronte ai


propri acquisti.
• La quantità di moneta trattenuta dalle famiglie dipende dal
proprio reddito e dall’ intervallo di tempo che intercorre tra le diverse
entrate.
• La quantità di moneta trattenuta dalle imprese dipende dalla quantità di
transazioni poste in essere.
- Motivo precauzionale

• In condizioni di incertezza la moneta è detenuta dagli operatori economici a


titolo precauzionale per far fronte ad eventuali spese impreviste o alle
variazioni del reddito futuro.
• L'ammontare di moneta precauzionale consente agli agenti economici di
affrontare eventuali imprevisti, riducendo il rischio di trovarsi in una
situazione di scarsità inaspettata della liquidità disponibile.

- Motivo speculativo
Secondo Keynes ogni persona può decidere di:
• tenere la moneta in forma liquida;
oppure
• investirla in obbligazioni.
• Quando i tassi di interessi sono alti, il soggetto tenderà ad investire in
obbligazioni (titoli) e la moneta tenuta in forma liquida si riduce, mentre
quando il tasso di interesse è basso, il soggetto preferirà conservare la
moneta in forma liquida e la domanda di moneta sarà elevata.
Il prezzo dei titoli e il tasso d’interesse sono inversamente proporzionali.

Esempio:
Supponiamo titoli da 1000€ emessi al 2,5%. Essi procureranno ai loro
possessori un reddito annuale di 25€
Supponiamo che il tasso d’interesse sui nuovi titoli sia aumentato al 5%,
un nuovo titolo da 1000 euro offra al suo possessore un reddito monetario
annuo di 50 euro.
In tal caso nessuno sarebbe disposto a pagare più di 500 euro per un titolo
che frutta soltanto 25 euro l’anno.
Funzione della Domanda di Moneta e l’Equazione dello
Scambio
Per analizzare gli effetti della moneta sul sistema economico spesso è utile esprimere la
quantità di moneta in termini della quantità di beni e servizi che può acquistare: questa
quantità è detta saldi monetari reali (M/P).
I saldi monetari reali misurano il potere d’acquisto dello stock di moneta.
Una funzione di domanda di moneta è un’equazione che spiega come si determina la
quantità di saldi monetari reali che gli individui desiderano detenere. Una semplice funzione
di domanda di moneta è:
(M/P)d = kY
Dove k è una costante che indica la quantità di moneta che gli individui desiderano
detenere per ogni unità di reddito. Questa equazione stabilisce che la quantità domandata di
saldi monetari reali è proporzionale al reddito reale.
Dall’equazione dello scambio si ricava, con alcuni passaggi algebrici, il collegamento
esistente tra domanda di moneta e velocità di circolazione della moneta.
Aggiungiamo alla funzione di domanda di moneta la condizione che la domanda di saldi
monetari reali deve essere uguale all’offerta, M/P.
(M/P) = kY

Da cui M(1/k) = P*Y

che possiamo riscrivere come M*V = P*Y


Dove V = 1/k

 Se gli individui desiderano detenere molta moneta per ogni unità di reddito (cioè k è
elevato), la moneta cambia di mano molto raramente (cioè V assume valore
basso);
 Se gli individui desiderano detenere poca moneta per ogni unità di reddito (cioè k è
basso), la moneta cambia mano molto frequentemente (cioè V assume valore
alto).
L’Ipotesi di Velocità Costante (Teoria Quantitativa della
Moneta)
Se ipotizziamo che la velocità di circolazione della moneta V sia costante, l’equazione dello
scambio si trasforma in un utile teoria degli effetti della moneta sul sistema economico, detta
“teoria quantitativa della moneta”.

• Il potere di acquisto della moneta dipende dalla quantità di moneta in circolazione


in un dato momento. La teoria quantitativa della moneta è uno degli strumenti
più efficaci per spiegare in che modo la moneta influenzi il sistema economico nel
lungo periodo. È una teoria che stabilisce le relazioni tra quantità di moneta e altre
variabili economiche, come prezzi e reddito.

Con V costante, l’equazione dello scambio può essere considerata come una teoria della
determinazione del PIL nominale. L’equazione dello scambio afferma che:

Da questa equazione, una variazione della quantità di moneta M provoca necessariamente


una variazione proporzionale del PIL nominale (PY). Questo significa che se la velocità è
costante, la quantità di moneta determina il valore monetario della produzione
aggregata.

Moneta - Prezzi – Inflazione (Connessioni)

Disponiamo a questo punto di una teoria sulla determinazione del livello generale
dei prezzi nel sistema economico.
Questa teoria si fonda su 3 elementi fondamentali:
1. I fattori di produzione e la funzione di produzione determinano il livello della produzione
aggregata Y;
2. L’offerta di moneta M determina il valore nominale della produzione aggregata PY.
Questa conclusione discende dall’equazione dello scambio e dall’ipotesi che la velocità di
circolazione della moneta sia costante.
3. Il livello dei prezzi P è il rapporto tra il valore nominale della produzione aggregata PY e
la produzione aggregata Y.

In altre parole:
 la capacità produttiva di un sistema economico determina il PIL reale;
 la quantità di moneta determina il PIL nominale;
 il deflatore del PIL è il rapporto tra PIL nominale e PIL reale.
Poiché la velocità V è per ipotesi fissa, la variazione dell’offerta di moneta comporta
una variazione proporzionale del PIL nominale.
Ma poiché i fattori e la funzione di produzione determinano il PIL reale, la variazione del
PIL nominale non può che comportare una variazione del livello generale dei
prezzi.
Quindi la teoria quantitativa implica che il livello dei prezzi sia proporzionale all’offerta di
moneta.

Poiché il tasso di inflazione è la variazione percentuale del livello dei prezzi, la teoria del
livello dei prezzi è anche una teoria del tasso di inflazione.

L’equazione dello scambio scritta in termini di variazioni percentuali è:


∆%M + ∆%V = ∆%P + ∆%Y
dove:
 ∆%M è sotto il controllo della banca centrale;
 ∆%V riflette gli spostamenti della funzione di domanda di moneta, ma poiché V è
costante, ∆%V=0;
 ∆%P è il tasso di inflazione (è questa la variabile che l’equazione cerca di spiegare);
 ∆%Y dipende dalla crescita dei fattori di produzione e dal progresso tecnologico, che
sono dati.

Possiamo quindi affermare che la crescita dell’offerta di moneta determina il


tasso di inflazione.

Perciò, la teoria quantitativa della moneta afferma che la banca centrale, controllando
l’offerta di moneta, ha il controllo assoluto del tasso di inflazione:
 se la banca centrale mantiene stabile l’offerta di moneta, il livello dei prezzi è
stabile;
 se la banca centrale aumenta rapidamente l’offerta di moneta, il livello dei prezzi
aumenta rapidamente.
Lezione 9 (Capitolo 5 – L’Inflazione: Cause e Effetti)

Signoraggio
“L’inflazione è sempre un fenomeno monetario” [Milton Friedman]

L’aumento dell’offerta di moneta provoca inflazione. Allora potremmo domandarci perché


mai un governo vorrebbe aumentare l’offerta di moneta.
Partiamo da un fatto indiscutibile: tutti i governi spendono denaro. Alcuni lo fanno per
acquistare beni e servizi, altri per ridistribuire il reddito.

Un governo può finanziare la spesa pubblica in 3 modi:


 Aumentando le entrate, tramite aumento delle imposte;
 Indebitandosi con il pubblico, mediante l’emissione di titoli di Stato;
 Battendo moneta (=stampare moneta).

Il ricavo che si ottiene dal battere moneta è detto signoraggio.

Battere moneta per aumentare le entrate pubbliche equivale a imporre un’imposta di


inflazione pagata semplicemente da chiunque detenga moneta
L’inflazione in questo caso equivale quindi ad un’imposta sulla detenzione di moneta.

Secondo Keynes: L’inflazione è la forma di tassazione che il cittadino più difficilmente


riesce a evadere e che anche il governo più debole può applicare, quando ormai non può
ricorrere ad altro […]. L’onere dell’imposta è ampiamente diffuso e non può essere
facilmente evaso, non comporta spese di raccolta e incide, grossolanamente, in proporzione
alla ricchezza individuale. Non meraviglia che questi vantaggi superficiali esercitino un così
grande fascino sui ministri delle Finanze […]. John Maynard Keynes, 1923
Inflazione e tassi di interesse
I tassi di interesse sono tra le variabili macroeconomiche più importanti: essi sono i prezzi
che mettono in relazione il passato con il futuro.
Possiamo distinguere due tipi di tassi:
 Tasso di interesse nominale (i): è il tasso di interesse corrisposto dalla banca;
 Tasso di interesse reale (r): è l’incremento del potere di acquisto;

Se indichiamo con i il tasso di interesse nominale, con r il tasso di interesse reale e con π il
tasso di inflazione, il rapporto tra le tre variabili può essere descritto come:

 r = i – π –> il tasso di interesse reale è pari alla differenza tra il tasso di interesse
nominale e il tasso di inflazione;
 i = r + π –> il tasso di interesse nominale è pari alla somma tra il tasso di interesse
reale e il tasso di inflazione.
Questa equazione è nota come equazione di Fisher e mostra che il tasso di interesse
nominale può variare per due cause: per una variazione del tasso di interesse reale e
per una variazione del tasso di inflazione.

L’effetto Fisher
Possiamo utilizzare l’equazione di Fisher per sviluppare una teoria che spieghi il tasso di
interesse nominale.
Il tasso di interesse reale è determinato dall’equilibrio dei fondi mutuabili, perché si aggiusta
in modo da portare in equilibrio il risparmio e l’investimento (S=I).
La teoria quantitativa della moneta dimostra che il tasso di crescita della quantità di moneta
determina il tasso di inflazione.
L’equazione di Fisher ci dice che sommando il tasso di interesse reale e il tasso di inflazione
otteniamo il tasso nominale.

La teoria quantitativa della moneta e l’equazione di Fisher, insieme, ci dicono come la


crescita della quantità di moneta influenzi il tasso di interesse nominale:
 Secondo la teoria quantitativa, un aumento del tasso di crescita della moneta pari
all’1% genera un aumento del tasso di inflazione dell’1%.
 Secondo l’equazione di Fisher, un aumento dell’1% del tasso di inflazione provoca un
aumento dell’1% del tasso nominale.

Questa relazione uno a uno tra tasso di inflazione e tasso di interesse nominale viene
chiamata effetto di Fisher.
Esercizio:
Dati: V costante, M cresce al 5% annuo, Y cresce al 2% annuo, r = 4%.
a) Trovare i (tasso d’interesse nominale).
b) Trovare la variazione Δi se la BCE accresce l’offerta di moneta del 2% annuo.
c) Se il tasso di crescita di Y scende all’1% annuo:
• che succede a π?

• che deve fare la BCE per mantenere π costante?

Tassi di interesse reali ex-ante ed ex-post


Quando un creditore e un debitore si accordano su un tasso di interesse nominale, non
sanno quale sarà il tasso di inflazione prevalente per la durata del prestito.
Di conseguenza bisogna distinguere tra due diversi concetti di tasso di interesse reale:
 Tasso di interesse reale “ex ante”: è il tasso che le due parti si aspettano al
momento della stipula dell’accordo;
 Tasso di interesse reale “ex post”: è il tasso che effettivamente si realizza.

Creditori e debitori non possono prevedere con certezza il tasso di inflazione futuro ma hanno
delle aspettative sul suo andamento.
Detto π il tasso di inflazione futuro effettivo (noto solo dopo che si è verificato) e πe il tasso di
inflazione futuro atteso:
 il tasso di interesse reale ex ante è i – πe
 il tasso di interesse reale ex post è i – π

Se l’inflazione effettiva π si discosta dall’inflazione attesa πe i due tassi sono tra loro differenti.
Questa differenza modifica l’effetto di Fisher perché chiaramente il tasso di interesse
nominale non può adeguarsi all’inflazione effettiva, perché non è conosciuta quando viene
stabilito il tasso di interesse.
Perciò l’effetto di Fisher può, più correttamente essere scritto come: i = r + πe
 il tasso di interesse reale ex ante r è determinato dall’equilibrio sul mercato dei beni
e servizi;
 il tasso di interesse nominale i varia in relazione uno a uno con le variazioni
dell’inflazione attesa πe

Domanda di Moneta considerando anche l’Inflazione (Costo


di detenere moneta)
Sulla moneta che teniamo in tasca non guadagniamo nessun interesse. Se invece di tenerla in
forma liquida la usassimo per acquistare titoli di Stato o la depositassimo in un conto bancario
fruttifero, guadagneremmo il tasso di interesse nominale corrente.
Il tasso di interesse nominale è quindi il costo-opportunità di detenere moneta: è ciò a
cui rinunciamo nel preferire la moneta liquida ad un impiego fruttifero.
Le attività diverse dalla moneta, come i titoli di stato, hanno un rendimento reale r
La moneta ha un rendimento reale atteso di –πe, dato che il valore reale della moneta
diminuisce in misura equivalente all’incremento del livello generale dei prezzi.
Chi detiene moneta quindi rinuncia alla differenza tra questi due rendimenti: perciò, il costo
di detenere moneta è r – (–πe), che corrisponde al tasso di interesse nominale i individuato
da Fisher.
Come la quantità domandata di un bene dipende dal suo prezzo, la quantità di moneta
domandata dipende dal prezzo di detenere moneta (i).
Quindi la domanda di saldi monetari dipende sia dal reddito che dal tasso di interesse
nominale.
La domanda di moneta può essere descritta come: (M/P)d = L(i,Y)

Per denominare la domanda di moneta si ricorre alla lettera L perchè la moneta è l’attività
più liquida dell’economia, cioè quella più facilmente utilizzabile per le transazioni
(L=Liquidità).
Questa equazione afferma che la domanda di liquidità dei saldi monetari reali è una funzione
del reddito e del tasso di interesse nominale:
 Più è elevato il reddito Y e più è elevata la domanda di saldi monetari reali;
 Più è elevato il tasso nominale i e più è bassa la domanda di saldi monetari.
Moneta futura e prezzi correnti
La teoria quantitativa della moneta ci spiega che:
l’interazione della domanda e dell’offerta di moneta determina il livello dei prezzi di equilibrio
––> le variazioni del livello dei prezzi corrispondono al tasso di inflazione –––> l’inflazione
a sua volta influenza il tasso di interesse nominale attraverso l’effetto di Fisher ––> e poiché
il tasso di interesse nominale è il costo di detenere moneta, esso ha un effetto di
ritorno sulla domanda di moneta.

Questa ultima relazione influenza la nostra teoria sul livello dei prezzi e per capire come
eguagliamo, in primo luogo, l’offerta di moneta M/P e la domanda di saldi monetari reali
L(i,Y):
M/P = L(i,Y)
Usiamo poi la notazione di Fisher per sostituire al tasso nominale la somma del tasso di
interesse reale e dell’inflazione attesa: M/P = L(r+πe,Y)
Questa equazione stabilisce che il livello dei saldi monetari reali dipende dal
tasso di inflazione atteso
La teoria quantitativa della moneta afferma che l’offerta corrente di moneta determina il
livello corrente dei prezzi. Questa conclusione è solo parzialmente vera:
 se il tasso nominale e il livello del reddito sono costanti, il livello dei prezzi varia in
modo proporzionale all’offerta di moneta;
 ma il tasso di interesse non è costante, visto che dipende dall’inflazione attesa, che a
sua volta dipende dalla crescita dell’offerta di moneta.

Questa equazione generale della domanda di moneta implica che il livello dei prezzi dipenda
non soltanto dall’offerta corrente di moneta, ma anche dall’offerta di moneta attesa per
il futuro. Per capire come supponiamo che la banca centrale annunci di voler aumentare in
futuro l’offerta di moneta:
 questo annuncio genera aspettative di un aumento della quantità di moneta e,
quindi, di inflazione più elevata;
 attraverso l’effetto di Fisher, questo aumento dell’inflazione attesa fa aumentare il
tasso di interesse nominale che, a propria volta, fa diminuire
immediatamente la domanda di saldi monetari reali.
 Ma, dato che la banca centrale non ha ancora variato la quantità di moneta, la
diminuzione della domanda di saldi monetari reali provoca un aumento del livello
generale dei prezzi (per ridurre l’offerta reale di moneta e ripristinare equilibrio sul
mercato della moneta);
Quindi, le aspettative di una futura crescita dell’offerta di moneta fanno aumentare il livello
corrente dei prezzi.
M =>  πe => i => (M/P)d =>  P
Costi sociali dell’inflazione attesa
L’inflazione attesa presenta 5 costi sociali principali:
 Costo delle suole: un tasso di inflazione elevato comporta tassi di interesse
nominale più alti che, a loro volta, provocano un abbassamento dei saldi monetari
reali. Se gli individui detengono meno moneta, devono recarsi più di frequente in
banca. Ciò aumenta le scomodità e le perdite di tempo. Si definisce costo delle suole a
livello metaforico perché andando più spesso in banca si consumano di più le suole
delle scarpe;
 Costi di menu (listino): con l’inflazione elevata, le imprese cambiano più spesso il
listino prezzi dei loro prodotti. Modificare i prezzi risulta a volte molto costoso,
esempio il ristorante, che deve continuamente stampare nuovi menu.
 Distorsione dei prezzi relativi (tasse): dovendo sostenere i costo dl menu le
imprese non variano i prezzi continuamente, ma in modo sporadico: più è elevata
l’inflazione e più sono variabili i prezzi relativi. Quindi, provocando la variabilità dei
prezzi relativi, l’inflazione può portare ad un’allocazione inefficiente delle risorse a
livello microeconomico.
 Trattamento fiscale non equo: molte disposizioni del sistema tributario non
tengono conto degli effetti dell’inflazione che può alterare il carico fiscale degli
individui in modi che possono contrastare le intenzioni del legislatore.
 Scomodità di vivere in un mondo in cui il livello dei prezzi cambia
continuamente: la moneta è l’unità di riferimento con cui misuriamo le transazioni
economiche. In presenza di inflazione, questa unità cambia continuamente.

Costi dell’inflazione inattesa


1. Tutti i costi dell’inflazione attesa;
2. Redistribuisce arbitrariamente la ricchezza tra gli individui: ad esempio, nel
caso dei prestiti a lungo termine, le controparti di solito definiscono un tasso di interesse
nominale, che si basa sul tasso di inflazione atteso nel momento della stipula del contratto.

Se l’inflazione ha andamento diverso da quello atteso, il tasso reale ex post è diverso da


quello previsto:
 se l’inflazione effettiva è più alta di quella attesa, il debitore ci guadagna perché
ripaga il prestito con una moneta che ha valore più basso;
 se l’inflazione effettiva è più bassa di quella attesa, ci guadagna il creditore perché
le rate di rimborso avranno un valore reale superiore a quello previsto;
3. Aumenta l’incertezza: più è variabile il tasso di inflazione e più è l’incertezza che i
creditori e i debitori devono affrontare. Dato che la maggior parte degli individui è avversa
al rischio (cioè non ama l’incertezza), l’imprevedibilità generata da un’inflazione
fortemente variabile danneggia tutti.
Beneficio di una bassa inflazione

, alcuni economisti ritengono che un inflazione moderata, con un tasso di 2-3% annuo
possa portare dei benefici:
1. Un argomento a favore di un’inflazione moderata parte dall’osservazione che i tagli ai
salari nominali sono un fatto molto raro: le imprese sono poco propense a
proporli, e i lavoratori non sono disposti ad accettarli.
Questo fatto suggerisce che un modesto livello di inflazione potrebbe favorire il
buon funzionamento dei mercati del lavoro.
2. L’offerta e la domanda di diversi tipi di lavoro cambiano in continuazione. A volte un
aumento dell’offerta o la diminuzione della domanda provocano una flessione del
salario reale di equilibrio per un gruppo di lavoratori: se il salario nominale non può
essere ridotto contrattualmente, l’unico modo per decurtare il salario reale è lasciare
che lo faccia l’inflazione.
Senza inflazione il salario reale resterebbe bloccato al di sopra del livello di equilibrio
provocando un aumento della disoccupazione: quindi un modesto livello di
inflazione consente di riportare in equilibrio il mercato del lavoro senza
riduzioni del salario nominale.

Iperinflazione
Si definisce iperinflazione un tasso di inflazione che superi il 50% al mese
Fenomeni di iperinflazione comportano per la società un costo drammaticamente elevato:
 Tutti i costi sono amplificati (suola, menu ecc);
 la moneta perde la propria funzione di riserva di valore, unità di conto e mezzo di
scambio;
 gli agenti, al posto della moneta, preferiscono il baratto e monete non ufficiali, più
stabili (come le sigarette o la valuta straniera) che sostituiscono progressivamente la
moneta ufficiale.

I fenomeni dell’iperinflazione sono dovuti ad una crescita eccessiva dell’offerta di


moneta: quando la banca centrale stampa moneta in maniera eccessiva si genera
iperinflazione. Per fermarla è sufficiente che la banca centrale riduca il tasso di crescita della
moneta.
La maggior parte dei fenomeni di iperinflazione si innesca nel momento in cui lo stato non
dispone di entrate sufficienti per coprire la spesa pubblica. Il governo, pur volendo
finanziare l’eccesso di spesa con l’emissione di titoli del debito pubblico, potrebbe trovarsi
nella condizione di non ottenere più credito, magari perché i creditori considerano il governo
potenzialmente insolvente.
A questo punto il governo per coprire il disavanzo stampa moneta e il risultato è una rapida
crescita dell’offerta di moneta e, di conseguenza, l’iperinflazione che comporta un aggravio
del problema fiscale: le imposte pagate in ritardo fanno diminuire le entrate fiscali reali,
mettendo il governo nelle condizioni di potersi finanziare unicamente con il signoraggio.
La creazione sfrenata di moneta conduce all’iperinflazione che, a sua volta, provoca un
peggioramento del disavanzo di bilancio, stimolando un ancora più rapida crescita degli
aggregati monetari.
La fine dell’iperinflazione di solito coincide con una riforma fiscale, che riduce la spesa
pubblica e aumenta le imposte: la riforma fiscale riduce la necessità di ricorrere al signoraggio
per finanziare la spesa, permettendo di ridurre la crescita dell’offerta di moneta.

Dicotomia classica
Secondo la teoria macroeconomia classica, la moneta è neutrale: ciò significa che l’offerta
di moneta non influenza le variabili reali (sono le variabili misurate in unità fisiche, come
le quantità [es. PIL reale] e i prezzi relativi [es. tasso di interesse reale]).
Per questa ragione la macroeconomia classica permette di studiare le variabili reali senza
prendere in considerazione l’offerta di moneta.
L’equilibrio nel mercato monetario determina solo il livello dei prezzi e, di conseguenza, tutte
le variabili nominali (variabili espresse in termini monetari (es. salario nominale, livello
dei prezzi, tasso di inflazione ecc.).
La separazione teorica tra variabili reali e nominali è detta dicotomia classica.
Lezione 10 (Capitolo 6 – L’Economia Aperta)

L’Economia Aperta
«Quali che siano i vantaggi, naturali o acquisiti, che un paese ha su un altro, in questo
contesto non ha alcuna rilevanza. Nella misura in cui un paese gode di tali vantaggi e l’altro
vuole goderne, sarà sempre più vantaggioso per quest’ultimo acquistare dal primo,
piuttosto che produrre.»
Adam Smith, La ricchezza delle nazioni
In un’economia chiusa tutta la produzione viene venduta entro i confini nazionali, e la
spesa si divide in: consumo, investimento e spesa pubblica. In un economia aperta
invece, una parte della produzione viene venduta entro i confini nazionali e una parte
esportata all’estero, ed in questo caso la spesa Y si divide in, consumi di beni e servizi
nazionali (Cd), investimento in beni e servizi nazionali(Id), spesa pubblica per
l’acquisto di beni e servizi nazionali(Gd) ed esportazioni di beni e servizi nazionali
(EX).

Y=Cd+Id+Gd+EX
Flussi internazionali dei capitali

Si può affermare per definizione che le esportazioni nette di un’economia aperta,


sono uguali alla differenza tra risparmio nazionale ed investimento.

S-I=NX

Modello dei fondi mutuabili in economia aperta


Costruiamo un modello che si concentrerà sul risparmio e sull’investimento.
Ipotesi per economia aperta:

• economia “piccola”
• perfetta mobilità dei capitali

• tasso di interesse prevalente (r) = tasso di interesse mondiale (r*) ➔ (r esogeno).

Ipotesi uguali al modello per l’economia chiusa

• Produzione fissa
• Consumo funzione del reddito disponibile

• Investimenti funzione del tasso di interesse reale

• Variabili della politica fiscale esogene


• Risparmio nazionale costante ed indipendente dal tasso di interesse reale
Con identità contabile:
NX = Y – (C + I + G )

NX = Y – C – G – I ➔ S – I

NX = Y - C (Y – T) – G – I(r*) = S – I(r*)

Partendo da questo grafico possiamo registrare delle variazioni dovute:

 alla politica fiscale interna

 alla politica fiscale estera

 ad un aumento della domanda di investimento


Politica fiscale interna
L’impatto della politica fiscale interna, ci mostra cosa accade all’economia
aperta se il governo aumenta la nostra spesa pubblica, o apporta una diminuzione
delle tasse.

Un aumento della spesa pubblica (G)


riduce il risparmio nazionale. Dato che il
tasso di interesse non è cambiato,
l’investimento rimane invariato. Ma una
riduzione di S con I invariato implica
una diminuzione di NX, cosi l’economia
passa ad una situazione di disavanzo
commerciale.

Una diminuzione della pressione


fiscale (T), fa aumentare il reddito
disponibile stimolando il consumo, e
riducendo così il risparmio. Anche in questo caso una riduzione del risparmio implica
una diminuzione di NX, perché NX=S-I

Politica fiscale estera


L’impatto di una politica fiscale estera, ci mostra cosa accade all’economia aperta
quando i governi degli altri paesi aumentano la propria spesa pubblica.

L’aumento della loro spesa


pubblica porta ad una riduzione
del risparmio mondiale e quindi
si verifica un innalzamento del
tasso di interesse mondiale.
L’aumento del tasso di interesse,
fa aumentare quindi il costo
dell’indebitamento e riduce
l’investimento nella nostra
piccola economia aperta. Il risparmio nazionale non varia, ma come abbiamo detto riduce
l’investimento ed abbiamo che S>I. la diminuzione di I, provoca un aumento di NX,
perché NX=S-I, e quindi si registra un avanzo commerciale nella nostra piccola economia
aperta.
Incremento nella domanda di investimenti
Un aumento della domanda di investimento, ci mostra cosa accade agli
investimenti quando lo stato decide di stimolare gli investimenti concedendo sgravi
fiscali.

Se l’investimento aumenta, ed il risparmio rimane invariato, il maggiore investimento


deve essere finanziato attraverso l’indebitamento estero, generando così un flusso netto
di capitali negativo, cioè all’aumentare di I, corrisponde una diminuzione di NX. Quindi
partendo da un saldo commerciale nullo, uno spostamento verso destra della curva di
investimento provoca un disavanzo commerciale.

Conclusione Generale
In conclusione, possiamo quindi affermare che, i provvedimenti che fanno aumentare
l’investimento o diminuire il risparmio tendono a creare un disavanzo commerciale,
mentre quelli che fanno diminuire l’investimento o aumentare il risparmio
producono un avanzo commerciale.
Lezione 11 (Capitolo 6 – L’Economia Aperta)
Tasso di cambio nominale
e = prezzo della valuta domestica in termini di una valuta estera.

Tasso di cambio reale


ε = prezzo relativo dei beni domestici in termini di quelli espressi nella stessa valuta.
Il Tasso di Cambio Reale è il prezzo relativo dei beni di due paesi. Esso misura il
rapporto al quale possiamo scambiare i beni prodotti in un paese, con quelli prodotti
nell’altro. Il tasso di cambio reale è chiamato anche ragione di scambio. Esso è
uguale a:

se ε>1 = i beni nazionali sono più cari dei beni esteri, quindi aumentano le
importazioni e diminuiscono le esportazioni, quindi il valore delle esportazioni
diminuisce.

Se ε<1= i beni nazionali sono più conveniente dei beni esteri, quindi
aumentano le esportazioni e diminuiscono le importazioni, quindi il valore
delle esportazioni aumenta.

Se ε=0 i prezzi sono uguali.


Determinanti del tasso di cambio reale

Possiamo rappresentare su di un grafico la relazione tra il tasso di cambio reale, e le


esportazioni nette.

Il tasso di cambio reale è correlato


alle esportazioni nette. Ad un tasso di
cambio reale più basso
corrispondono beni e servizi
nazionali meno costosi rispetto a
quelli esteri e quindi le importazioni
nette sono più consistenti. Le
esportazioni nette devono essere
uguale al deflusso netto di capitali
NX=S-I. la curva che descrive la
relazione tra le esportazioni nette ed
il tasso di cambio reale, ha la
pendenza negativa perché al
diminuire del tasso di cambio, le
esportazioni nette aumentano, a causa della diminuzione del prezzo dei beni. La retta che
descrive la differenza tra risparmio ed investimento S-I è verticale, perché entrambi non
dipendono dal tasso di cambio. L’ intersezione tra le curve dà il tasso di cambio reale di
equilibrio.
Partendo da questo grafico possiamo registrare delle variazioni del tasso di cambio reale
dovute a:
 politica fiscale interna

 politica fiscale estera

 domanda di investimento

 politiche commerciali
Politica fiscale interna
L’impatto della politica fiscale interna, ci mostra cosa succede al tasso di
cambio reale se il governo aumenta la spesa pubblica o riduce le tasse.

Un aumento della spesa pubblica o


una riduzione delle tasse, porta ad
una riduzione del risparmio
nazionale e di conseguenza una
riduzione di NX. La retta verticale
si sposta verso sinistra e fa
diminuire l’offerta di valuta
nazionale, provocando un
innalzamento del tasso di cambio
reale di equilibrio. I beni nazionali
diventano quindi più costosi e
diminuiscono le esportazioni, aumentando le importazioni, andando a ridurre così le
esportazioni nette.

Politica fiscale estera


L’impatto di una politica fiscale estera, ci mostra cosa accade al tasso di cambio
reale se un paese straniero aumenta la spesa pubblica o diminuisce le tasse.

Un aumento della spesa pubblica


o una diminuzione delle imposte,
porta ad una diminuzione del
risparmio mondiale, facendo
aumentale il tasso di interesse
mondiale. L’aumento del tasso di
interesse mondiale fa diminuire
l’investimento interno facendo
aumentare le esportazioni nette.
La retta verticale si sposta verso
destra, facendo aumentare l’offerta di valuta, il tasso di cambio reale di equilibrio
diminuisce e quindi i nostri beni risultano essere meno costosi, portando ad un aumento
delle esportazioni nette.
Incremento nella domanda di investimenti
Gli Spostamenti della domanda di investimento, ci mostrano cosa accade al tasso
di cambio reale se la domanda interna di investimento aumenta, per un provvedimento
del governo che concede gravi fiscali agli investimenti.

Un aumento della domanda di


investimenti aumenta gli
investimenti per ogni livello del
tasso di interesse mondiale. Un
aumento di I, provoca un
abbassamento di S-I e quindi di NX.
Così si genera un disavanzo
commerciale. La retta verticale, si
sposta verso sinistra, facendo
aumentare il tasso di cambio reale di equilibrio, in questo caso quindi i beni nazionali
diventano più costosi e le esportazioni nette diminuiscono.

Politiche Commerciali per ridurre le importazioni


Le politiche commerciali consistono in provvedimenti di politica economica che
hanno come obbiettivo quello di influenzare la quantità di beni e servizi esportate o
importante. Nella maggior parte dei casi, tali politiche hanno come obbiettivo quello di
proteggere le imprese nazionali dalla concorrenza esterna, attraverso ad esempio
l’imposizione dei dazi, oppure limitando la quantità delle importazioni. Se immaginiamo
che il governo proibisca le importazioni, possiamo vedere che ad una diminuzione delle
importazioni corrisponde un aumento delle esportazioni nette. La curva delle
esportazioni nette quindi si sposta verso destra. Possiamo vedere che si registra un
aumento del tasso di cambio reale ma le esportazioni nette restano invariate, perché la
politica protezionistica non influenza nel il risparmio ne l’investimento.
Determinanti del tasso di cambio nominale
Il tasso di cambio nominale è:
e= ε * (P/P*)

Il tasso di cambio nominale dipende quindi dal tasso di cambio reale e dal livello dei
prezzi nei due Paesi. Un aumento di P, porta ad una diminuzione del tasso di cambio
nominale, perché la moneta nazionale vale di meno. Mentre un aumento dei prezzi esteri
P*, porta un aumento del tasso di cambio nominale, perché la moneta nazionale vale di
più.

Se vogliamo riscrivere le equazioni in termini di variazioni possiamo scrivere:

∆%e = ∆% ε +∆%P* - ∆%P

L’equazione stabilisce che la variazione percentuale del tasso di cambio nominale, è


uguale alla somma della variazione percentuale del tasso di cambio reale e del
differenziale dei tassi di inflazione dei due paesi.

Parità dei poteri d’acquisto (PPA)


Secondo la legge del prezzo unico, uno stesso bene non può essere venduto a due
prezzi diversi in luoghi diversi nello stesso momento. Tale legge applicata agli scambi
internazionali viene chiamata parità del potere d’acquisto, e secondo tale legge se è
possibile l’arbitraggio, una unità di una qualsiasi valuta deve avere lo stesso potere
d’acquisto in ogni paese. Se con un euro fosse possibile acquistare più frumento
all’interno che all’esterno, si potrebbe realizzare un profitto acquistando frumento
all’interno per rivenderlo all’estero. Lo stesso vale nel caso opposto. Dunque questa
mania di arbitraggio fa si che il prezzo del frumento si uniformi in tutti i paesi. Tale legge
fa si che le esportazioni nette siano molto sensibili ai minimi movimenti del tasso di
cambio e questa sensibilità può essere rappresentata con una curva molto piatta.
Tuttavia, nella realtà:
Lezione 12 (Capitolo 7 –La Disoccupazione)
Tasso naturale di disoccupazione (tasso di disoccupazione
di stato stazionario)
Il Tasso naturale di disoccupazione è il tasso medio di disoccupazione attorno al quale
fluttua l’economia (tasso di lungo periodo).
- Durante le recessioni il tasso effettivo di disoccupazione supera il
tasso naturale.
- Durante le espansioni il tasso effettivo di disoccupazione è inferiore
a quello naturale

Ogni giorno qualcuno viene licenziato o lascia volontariamente il posto di lavoro e


qualcun’altro trova una nuova occupazione.
Questo flusso e riflusso continuo determina la percentuale della forza lavoro disoccupata.
Sviluppiamo un modello della dinamica della forza lavoro per spiegare il tasso naturale di
disoccupazione.
Definiamo L la forza lavoro (L) che è uguale alla somma di occupati (E; employement)
e disoccupati (U; unemployement):
L=E+U
Secondo questa notazione, il tasso di disoccupazione è: U/L

Per individuare le determinanti del tasso di disoccupazione naturale


ipotizziamo che la forza lavoro L sia fissa e ci concentriamo sulla transizione
dei singoli individui dalla situazione di occupazione a quella di
disoccupazione e viceversa.
Definiamo quindi:
 s: tasso di separazione dal lavoro, cioè la frazione di individui occupati che perdono
il lavoro ogni mese;
 f: tasso di collocamento al lavoro, cioè la frazione di individui disoccupati che trova
una nuova occupazione ogni mese.
 Insieme il tasso di separazione s e il tasso di collocamento f determinano il tasso di
disoccupazione.

Pertanto:
 il numero degli individui che trovano una nuova occupazione è fU;
 il numero degli individui che perdono il lavoro è sE.
Se il tasso di disoccupazione non aumenta e non diminuisce, cioè, se il mercato del lavoro
si trova in uno stato stazionario, il numero degli individui che trovano una nuova
occupazione è, in ogni dato mese, uguale a quello degli individui che perdono il lavoro

Per cui possiamo indicare la condizione di stato stazionario come:


fU = sE

Da questa equazione possiamo ricavare il tasso naturale di disoccupazione (o tasso di


disoccupazione di stato stazionario):

 dalla definizione di forza lavoro sappiamo che E = L – U, cioè che il numero degli
occupati è uguale alla differenza tra il numero dei partecipanti alla forza lavoro e quello
dei disoccupati;
 se nella condizione di stato stazionario, sostituiamo (L – U) a E, otteniamo: fU = s(L –
U);
 per risolvere rispetto al tasso di disoccupazione dividiamo entrambi i membri per L,
ottenendo:
U/L=s/s+f

Questa equazione mostra che il tasso di disoccupazione di stato stazionario U/L, dipende
dal tasso di separazione s e dal tasso di collocamento f:
 Più è elevato s e più è alto il tasso di disoccupazione.
 Più è elevato f e più è basso il tasso di disoccupazione.

Qualsiasi provvedimento teso a ridurre il tasso naturale


di disoccupazione deve mirare ad abbattere il tasso di
separazione o ad incrementare il tasso di collocamento;
quindi, tutti i provvedimenti che influenzano il tasso di
separazione o il tasso di collocamento influenzano anche
il tasso di disoccupazione.
Perché esiste la disoccupazione?
Se trovare un lavoro fosse immediato, il tasso di collocamento sarebbe pari ad 1 ed il tasso
ci disoccupazione naturale sarebbe prossimo allo zero

Due possibili cause della disoccupazione (per cui f<0) sono:


 la ricerca del lavoro;
 la rigidità dei salari.

Ricerca di lavoro e Disoccupazione Frizionale


La disoccupazione causata dal tempo necessario a trovare una nuova occupazione è
chiamata disoccupazione frizionale.

 I lavoratori hanno preferenze e competenze diverse e i posti di lavoro hanno


caratteristiche non omogenee.
 Inoltre, il flusso di informazioni sui lavoratori disponibili e sui posti vacanti è
imperfetto (asimmetria informativa) e la mobilità geografica dei lavoratori non è
istantanea.
 Per tutte queste ragioni, la ricerca di un posto di lavoro richiede tempo ed energie, e
questo tende a ridurre il tasso di collocamento al lavoro.

In un’economia in continua evoluzione una certa quantità di disoccupazione frizionale è


inevitabile. Per molte ragioni, la domanda di beni e i servizi delle imprese e delle famiglie
varia nel tempo e di conseguenza varia anche la domanda di lavoro per produrre quei beni
e servizi.
In gergo economico una variazione della composizione della domanda di lavoro tra settori
o aree geografiche diverse è detta riallocazione settoriale. Essendo un processo
continuo, e poiché ai lavoratori occorre tempo per passare da un settore all’altro, c’è sempre
una certa quantità di disoccupazione frizionale.

La Politica Economica e la Disoccupazione Frizionale


Molti provvedimenti di politica economica mirano a ridurre il tasso naturale di
disoccupazione agendo sulla disoccupazione frizionale:

 gli uffici di collocamento diffondo informazioni sui posti di lavoro vacanti per
trovare un impiego ai disoccupati con maggiore efficienza;
 i programmi pubblici di riqualificazione professionale facilitano il passaggio
di lavoratori da settori in declino a settori emergenti.
 Quando questi provvedimenti si rivelano efficaci, il tasso di collocamento sale e il tasso
naturale di disoccupazione scende.
Altri provvedimenti di politica economica contribuiscono ad aumentare la disoccupazione
frizionale aumentando così il tasso naturale di disoccupazione:

 uno di questi è l’assicurazione contro la disoccupazione, che consente ai


disoccupati di continuare a percepire una parte del loro salario per un certo periodo di
tempo dopo aver perso il lavoro. La somma pagata al lavoratore disoccupato è detta
indennità di disoccupazione.
 Il lavoratore che percepisce un’indennità è meno incentivato a cercare una
nuova occupazione e ha molte provabilità di rifiutare un’offerta che ritiene
inadeguata alle proprie competenze. Questi comportamenti riducono il tasso di
collocamento.
 Inoltre sapendo che una parte del proprio reddito è coperta dall’assicurazione
contro la disoccupazione, i lavoratori hanno meno interesse a cercare posti
di lavoro con prospettive di occupazione duratura e a negoziare con il datore di
lavoro garanzie di sicurezza occupazionale. Questi comportamenti aumentano
il tasso di separazione dal lavoro.
 Il fatto che il sussidio di disoccupazione aumenti la disoccupazione frizionale
non significa che sia un provvedimento sbagliato: presenta il vantaggio di
rendere meno incerto il reddito percepito dai lavoratori; ed inoltre, inducendo
i disoccupati a rifiutare le offerte meno adeguate, favoriscono una migliore
corrispondenza tra le caratteristiche dei lavoratori e quelle richieste dalle
mansioni che ricoprono.
Rigidità salariali e Disoccupazione Strutturale
Una seconda causa di disoccupazione è la rigidità dei salari, cioè l’incapacità dei salari di
aggiustarsi istantaneamente facendo sì che la domanda di lavoro sia uguale all’offerta di
lavoro. I salari non sono perfettamente flessibili: a volte restano bloccati ad un livello
superiore al salario di equilibrio.

Se il salario reale è al di sopra del livello che assicura l’equilibrio tra domanda e offerta, la
quantità offerta di lavoro (famiglie offrono lavoro) è maggiore della quantità domandata
dalle imprese che devono così razionare i posti di lavoro disponibili tra i lavoratori. La
rigidità dei salari riduce il tasso di collocamento e accresce il tasso di disoccupazione
naturale.
La disoccupazione che risulta dalla rigidità dei salari e dal razionamento dei posti di lavoro
è detta disoccupazione strutturale.
Le cause della rigidità salariale sono 3:
 le leggi sul salario minimo;
 il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali;
 il salario di efficienza.
Le leggi sul salario minimo (Causa 1 della rigidità salariale)
L’azione del governo provoca la rigidità dei salari nel momento in cui impedisce ai salari di
scendere fino a raggiungere il livello di equilibrio.
Le leggi sul salario minimo, stabiliscono un minimo legale ai salari che le imprese possono
corrispondere ai propri dipendenti.
Per la maggior parte dei lavoratori il salario minimo non è vincolante, perché la loro
retribuzione è ben superiore al minimo legale.
Ma per alcuni lavoratori, soprattutto quelli privi di qualificazione ed esperienza (come i
giovani), il salario minimo fa lievitare la remunerazione sopra il livello di equilibrio,
riducendo la quantità di lavoro domandata dalle imprese.

I Sindacati e la contrazione collettiva (Causa 2 della rigidità


salariale)
Una seconda causa di rigidità salariale è il potere monopolistico esercitato dai
sindacati per assicurare ai propri associati un salario più elevato.
I salari dei lavoratori sindacalizzati vengono determinati non dall’equilibrio tra domanda e
offerta, ma dalla contrattazione tra i rappresentanti dei sindacati e delle imprese.
Spesso i contratti collettivi di lavoro riescono a fissare i salari a un livello superiore a quello
di equilibrio, lasciando alle imprese la possibilità di decidere quanti lavoratori assumere. Il
risultato è una diminuzione del numero di lavoratori assunti, un più basso tasso di
collocamento al lavoro e un aumento della disoccupazione strutturale.
I sindacati possono influenzare anche i salari corrisposti dalle imprese i cui lavoratori non
sono sindacalizzati: la minaccia di sindacalizzazione spinge i salari al di sopra del
livello di equilibrio, dato che le imprese non amano avere a che fare con i sindacati.
La disoccupazione provocata dai sindacati e dalla minaccia di sindacalizzazione è causa di
conflitto tra due diversi gruppi di lavoratori: insider e outsider:
 Gli insider (lavoratori che sono stati già assunti da un’impresa) tipicamente desiderano
tenere alti i salari;
 il costo dei salari più alti ricade sugli outsider (o lavoratori disoccupati), che
preferirebbero salari più bassi così da aumentare la domanda di lavoro da parte delle
imprese.
Il Salario di Efficienza (Causa 3 della rigidità salariale)
Le teorie sul salario di efficienza sono 4, e sono la terza causa di rigidità dei salari.
Secondo queste teorie i salari elevati rendono i lavoratori più produttivi.
1°. Un prima teoria, applicabile solo nei paesi più poveri, mette in relazione la retribuzione
con la buona nutrizione: il lavoratore meglio pagato può permettersi un’alimentazione
più salutare, e un lavoratore più sano è un lavoratore più produttivo.
2°. Una seconda teoria afferma che salari più elevati riducono il tasso di rotazione
(turnover) dei lavoratori. Più è elevato lo stipendio offerto al lavoratore, più è alto
l’incentivo ad essere fedeli all’impresa, riducendo così il tempo e le risorse da dedicare
alla selezione del personale e all’addestramento di nuovi assunti.
3°. Una terza teoria afferma che la qualità media della forza lavoro dipende dal livello
dei salari offerti ai dipendenti: se un’impresa riduce i salari, i suoi dipendenti migliori
potrebbero trovare lavoro altrove e all’impresa resterebbero solo i lavoratori peggiori,
che non hanno molte alternative occupazionali. Questa situazione sfavorevole è
definita “selezione avversa”;
4°. Una quarta teoria afferma salari alti spingono i lavoratori ad impegnarsi di più.
Secondo questa teoria le imprese non riescono a controllare sempre l’impegno profuso
dai loro dipendenti che devono decidere autonomamente quanto impegnarsi. Questo
è un esempio di rischio morale cioè della tendenza degli individui a non comportarsi
correttamente quando il loro comportamento non viene sorvegliato.

Queste 4 teorie sono accomunate da uno stesso tema: più i salari sono alti e più l’impresa
è efficiente, e quindi può essere favorevole mantenere i salari sopra il livello di equilibrio
della domanda e offerta di lavoro.
A un salario superiore al livello di equilibrio corrisponde un tasso di collocamento più basso
e un aumento della disoccupazione strutturale.

Durata della Disoccupazione


La disoccupazione di breve durata è soprattutto frizionale mentre la disoccupazione di
lunga durata e soprattutto strutturale, solitamente conseguente al processo di
riallocazione settoriale. Abbassare il tasso naturale di disoccupazione significa
programmare politiche che incidano sulla disoccupazione di lunga durata

Persistenza della disoccupazione


Si parla di Isteresi quando vi è l’incapacità di tornare alla condizione iniziale sopo la
cessazione dello shock. Pertanto, sia la crescita che la persistenza delle disoccupazione
non sono attribuibili ad una singola causa:
- Le rigidità dei salari
- La predita di competenze del capitale umano
- L’erosione della capacità produttiva
Lezione 13 (Capitolo 8 – La Crescita Economica)
Concetti sulla Crescita Economica
• La crescita rapida del reddito pro capite è un fenomeno recente.
• La crescita del Pil pro capite e della produttività è discontinua.
• La convergenza non è un fenomeno generalizzato.
• La relazione tra crescita e disuguaglianza non è stabile (tempo e spazio).
• Il progresso tecnologico può aumentare la disuguaglianza.

Come misurare la crescita e lo sviluppo?


• PIL reale e nominale
• Deflatore del PIL e PIL pro capite
• Problemi del Pil: una misura di crescita equa e sostenibile
• Indice di sviluppo umano (ISU) misura il benessere in maniera più accurata,
tenendo conto di molti aspetti non contabilizzati nel PIL come l'alfabetizzazione e
la speranza di vita.

Importanza della crescita


• Paesi poveri
– Ridurre il tasso di mortalità infantile
– Ridurre la povertà
– Creare nuovi mercati di sbocco per produzione paesi ricchi
• Paesi ricchi
– Aumentare il reddito pro capite

L’Offerta di Beni e la Funzione di Produzione (Modello


della crescita di Solow)
Il modello della crescita di Solow permette di descrivere come la crescita dello stock di
capitale, la crescita della forza lavoro e il progresso tecnologico interagiscono nel sistema
economico, influenzando la crescita della produzione di beni e servizi.

Nel modello di Solow l’offerta di beni si basa sulla funzione di produzione Y=F(K, L).
• K non è più fisso: aumenta con gli investimenti e si riduce per effetto del
deprezzamento.
• L non è più fisso: la crescita della popolazione fa aumentare la forza lavoro.
• Funzione del consumo (C) semplice
• Spesa pubblica (G) e tassazione (T) sono assenti

Il modello ipotizza che la funzione di produzione abbia rendimenti di scala costanti


zY=F(zk, zL). La funzione di produzione a rendimenti costanti ci permette di analizzare
tutte le variabili del sistema economico in relazione alla dimensione della forza lavoro:
basta definire z=1/L e sostituire nell’equazione precedente per ottenere:
Y/L = F(K/L, 1)
Questa equazione ci dice che il prodotto per occupato Y/L è una funzione della quantità
di capitale per occupato K/L. L’ipotesi di rendimenti costanti implica che le dimensioni
dell’economia non influenzano il rapporto tra prodotto per occupato e capitale per occupato.
Poiché le dimensioni dell’economia sono irrilevanti è conveniente esprimere le variabili in
termini “per occupato” indicandole con lettere minuscole. Perciò il prodotto per occupato
è y=Y/L e il capitale per occupato è k=K/L.
Quindi la funzione di produzione diventa: y = f(k) dove f(k) = F(k,1).

La pendenza di questa funzione rappresenta la quantità addizionale di prodotto che un


lavoratore produce quando riceve un’unità aggiuntiva di capitale. Questa quantità è il PMK.
Più il capitale cresce più il PMK si abbassa. Quando k è basso il lavoratore dispone di poco
capitale per lavorare e un’unità aggiuntiva di k genera una quantità elevata di prodotto
aggiuntivo. Se k è alto, la produzione è più contenuta.
La Domanda di Beni e la Funzione di Consumo (Modello
della crescita di Solow)
Nel modello di Solow il prodotto per occupato y si divide tra il consumo per occupato
c e l’investimento per occupato i:
y = c+i
Questa equazione è la versione “per occupato” dell’identità contabile del reddito nazionale che
vale in ogni sistema economico. In questa versione sono state omesse spesa pubblica ed
esportazioni nette.
Il modello di Solow ipotizza che ogni individuo risparmi una frazione s del proprio reddito
e ne consumi una frazione pari a (1-s). Possiamo esprimere questo concetto con la
funzione di consumo:
c = (1–s)y
Dove il saggio di risparmio s ha un valore compreso tra 0 ed 1. Vi sono molti
provvedimenti di politica economica che possono influenzare il saggio di risparmio. Per il
momento ipotizziamo che s sia dato. Per stabilire quali siano le implicazioni di questa funzione
di consumo in termini di investimento sostituiamo (1-s)y a c nell’identità contabile:
y = (1–s)y+i
Da cui i = sy. Questa equazione mostra che l’investimento è uguale al risparmio.
La Crescita dello Stock di Capitale e lo stato Stazionario
Lo stock di capitale è una determinante fondamentale della produzione aggregata. Lo stock
può variare nel tempo e le variazioni possono condizionare la crescita economica. Lo stock di
capitale viene influenzato da due elementi:

 Investimento: si riferisce alla spesa per nuovi impianti e attrezzature, e provoca un


aumento dello stock di capitale.
 Ammortamento: si riferisce al logoramento dei beni capitali in uso e determina una
diminuzione dello stock di capitale.

Come già detto, l’investimento per occupato i è pari a sy. Sostituendo a y la funzione di
produzione possiamo esprimere l’investimento per occupato in funzione dello stock di capitale
per occupato:
i = sf(k)
Tale equazione mette in relazione lo stock di capitale k con l’accumulazione di nuovo capitale
i.
Per ogni valore di k la quantità di prodotto è determinata dalla funzione di produzione f(k) e
l’allocazione del prodotto tra consumo e investimento è determinata dal saggio di risparmio s.
Per includere l’ammortamento ipotizziamo che una certa frazione δ dello stock si logori ogni
anno. δ indica il tasso di ammortamento. Il capitale che si logora ogni anno è δk.

Possiamo esprimere l’effetto dell’investimento e dell’ammortamento sullo stock di capitale


attraverso l’equazione:
variazione dello stock di capitale = investimento – ammortamento –––> ∆k = i–
δk

Poiché l’investimento è uguale a sf(k) abbiamo:


∆k = sf(k) – δk
Più è elevato lo stock di capitale e più sono elevati il prodotto e l’investimento. Più è elevato il
capitale e più è elevato l’ammortamento. Esiste un solo livello dello stock k* per il quale
l’investimento è uguale all’ammortamento. A tale livello lo stock rimane costante nel tempo, e
chiamiamo k* livello di capitale in stato stazionario. Lo stato stazionario rappresenta
l’equilibrio di lungo periodo di ogni sistema economico.
Lezione 14 (Capitolo 8 – La Crescita Economica)

L’influenza del risparmio sulla crescita


Per capire meglio le ragioni delle differenze internazionali nella crescita economica, dobbiamo
considerare anche l’effetto di un diverso saggio di risparmio. Cosa succede in un sistema
economico se il saggio di risparmio aumenta? (fig.7.5)

• ↑ s ⇒ ↑ k*
• Poiché y = f(k) allora ↑ k* ⇒ ↑ y*
• Il modello di Solow dimostra che Paesi con saggi di risparmio maggiori avranno
nel lungo periodo livelli del capitale e del reddito per addetto maggiori.
• Disavanzi di bilancio persistenti (risparmio pubblico negativo) avranno un effetto
negativo sulla crescita dell’economia

Ipotizziamo che l’economia sia in uno stato stazionario con saggio di risparmio s1 e uno stock
di k1*. Se il saggio di risparmio aumenta da s1 a s2, la curva sf(k) si sposta verso l’alto. Nel
momento in cui il saggio di risparmio aumenta anche l’investimento aumenta, ma stock di
capitale e ammortamento restano invariati. L’investimento è dunque maggiore
dell’ammortamento e lo stock di capitale cresce fino a raggiungere il nuovo stato stazionario
k2*.

Secondo il modello di Solow, il saggio di risparmio è una determinante fondamentale dello


stock capitale di stato stazionario:

• se il saggio di risparmio è elevato, l’economia ha uno stock di capitale e una


produzione aggregata più elevati;
• se è contenuto, stock di capitale e produzione aggregata sono più bassi. Siamo così in
grado di stabilire che una diminuzione del saggio di risparmio provoca una riduzione
dello stock di capitale e del reddito nazionale. Per questa ragione molti economisti
sono contrari al perdurare nel tempo del disavanzo di bilancio pubblico.

Stato Stazionario con crescita demografica


In che modo la crescita demografica influenza lo stato stazionario?

La crescita demografica modifica il modello di Solow in 3 modi:

 Contribuisce a dare una spiegazione a fenomeni di crescita sostenuta e


persistente: nello stato stazionario, con la popolazione in crescita, il capitale per occupato
e il prodotto aggregato per occupato sono costanti: ma dato che la forza lavoro aumenta a
un tasso n, il capitale totale e il prodotto aggregato totale crescono al medesimo tasso n;
 Contribuisce a spiegare perché alcuni paesi siano più ricchi di altri.
Consideriamo gli effetti di una crescita demografica: un aumento da n1 a n2 riduce il livello
di capitale per occupato di stato stazionario da k1* a k2*. Poiché k* è più basso e y=f(k*),
anche il livello di y è più basso. Quindi secondo Solow, i paesi con un tasso di crescita
demografica più elevato hanno livelli di PIL pro capite più bassi.
 La crescita demografica influenza il criterio di determinazione del livello di
capitale aureo. Perché? Ricordiamo che il consumo per occupato è pari a c=y-i. Poiché il
prodotto di stato stazionario è f(k*) e l’investimento di stato stazionario è (δ+n)k*, possiamo
esprimere il consumo di stato stazionario come c*=f(k*)-(δ+n)k*. Adoperando la stessa
procedura usata in precedenza, scopriamo che il livello di k* che massimizza il consumo è
quello per cui PMK=δ+n, oppure in via equivalente, PMK-δ=n. Nello stato stazionario di
regola aurea, il PMK al netto dell’ammortamento è uguale al tasso di crescita
demografica.
Lezione 15 (Capitolo 9 – La Crescita Economica: il progresso
tecnologico e la politica economica)
Lezione 16 (Capitolo 10 – Introduzione alle Fluttuazioni
Economiche)

Modello della Domanda Aggregata

Partendo dal concetto di M come Offerta di Moneta, dal quale deriva la domanda aggregata
di moneta (domanda aggregata di beni e servizi, non a caso la funzione si eguaglia con Y
ovvero reddito totale ovvero PIL), è importante valutare eventuali spostamenti della curva di
domanda.
Partendo dalla teoria quantitativa della moneta, ovvero dalla formula della domanda
aggregata, in cui Y rappresenta la domanda aggregata (ovvero le trasazioni).
MV = PY
Poiché la velocità di circolazione V si suppone costante possiamo scrivere Y = V(M/P) che
espressa come funzione generica: Y = (M/P)
Pertanto, è possibile notare che esiste
una relazione inversa tra il livello
dei prezzi P e la produzione
aggregata Y.

Spostamenti della curva di Domanda Aggregata (in


funzione dell’Offerta di Moneta)
Punto di Equilibrio (Offerta Aggregata nel lungo periodo)

Per Lungo Periodo si intende quando i prezzi sono flessibili, e pertanto questi si
aggiusteranno per uguagliare domanda e offerta.
Sapendo che (Lezione 5) la funziona di produzione Y = F (K ,L) dipende dal livello
tecnologico e dai fattori produttivi, ma non dal livello dei prezzi (…dicotomia classica), nel
lungo periodo la funzione di offerta aggregata OALP è verticale in corrispondenza del livello
di pieno impiego dei fattori produttivi.

Prendendo in considerazione gli spostamenti della curva di domanda aggregata dovuti ad


una variazione dell’offerta di moneta, e la retta di offerta aggregata, è possibile sovrapporli
per ottenere una situazione di equilibrio.

Nel Lungo Periodo, una riduzione di M


(Offerta di Moneta) farà traslare la
curva della Domanda Aggregata verso
sinistra (contrazione), riducendo il
livello dei prezzi. Tuttavia, questa
riduzione di M non cambierà la
produzione aggregata (Reddito o PIL)
Punto di Equilibrio (Offerta Aggregata nel breve periodo)

Per Breve Periodo si intende quando i prezzi non sono flessibili, e pertanto sono fissati
a un livello predeterminato. Non si aggiustano per uguagliare domanda e offerta.
Assumendo che i prezzi siano vischiosi a un livello predeterminato P*, a quel prezzo le
imprese sono disposte ad offrire tutta la quantità domandata … ovvero:
Nel breve periodo la funzione di offerta aggregata OABP è orizzontale in corrispondenza del
livello di prezzi P*.

Prendendo in considerazione gli spostamenti della curva di domanda aggregata dovuti ad


una variazione dell’offerta di moneta, e la retta di offerta aggregata, è possibile sovrapporli
per ottenere una situazione di equilibrio
Nel Breve Periodo, una riduzione
di M (Offerta di Moneta) farà
traslare la curva della Domanda
Aggregata verso sinistra
(contrazione), provocando una
diminuzione della produzione
aggregata (Reddito o PIL).
Considerando che nel Breve
Periodo i prezzi non sono
flessibili, la contrazione della
domanda aggregata non
provocherà una riduzione del
livello dei prezzi.
L’equilibrio macroeconomico nel lungo periodo

Contrazione ed Espansione della Domanda Aggregata


nell’equilibrio macroeconomico del lungo periodo

Le politiche di stabilizzazione

Per Shock si intende qualsiasi evento esogeno che provochi uno spostamento di una delle
due di DA o OA.
 Shock di domanda. Esempio: L’introduzione delle carte di credito riduce la
domanda di moneta ed equivale a un aumento dell’offerta di M. La curva DA si
sposta verso l’alto.
 Shock di offerta. Variazione esogena dei costi di produzione (detti anche shock da
prezzi). Esempi di shock negativi:
• Un’alluvione o una carestia
• I costi di produzione aumentano per gli shock petroliferi o normative
ambientali
• La conflittualità sindacale fa aumentare i salari
Uno Shock sulla domanda aggregata e sull’offerta aggregata causano fluttuazioni
economiche nel PIL e nella disoccupazione nel breve periodo.
Le politiche di stabilizzazione sono tutti i provvedimenti tesi a ridurre l’ampiezza delle
fluttuazioni di breve periodo.
La politica monetaria è una componente importante delle politiche di stabilizzazione.
I responsabili della politica economica possono cercare di stabilizzare l’economia
cambiando l’offerta di moneta per accomodare gli shock di offerta.

Uno Shock negativo dell’offerta:


In questo caso, il responsabile
politiche ha due possibili opzioni:
 Tenere costante la DA ed attendere
che con il tempo i prezzi si aggiustano
per riportare l’occupazione e la
produzione al livello naturale.
 Espandere la DA per accelerare il
ritorno dell’economia all’equilibrio di
lungo periodo.
Lezione 17 (Capitolo 11 – Il Mercato dei Beni: La Curva IS)

Logica dell’analisi DA-OA e IS-LM

 Nel lungo periodo (DA-OA di lungo periodo):


 I prezzi sono flessibili
 La produzione è di pieno impiego (disoccupazione pari al tasso
naturale) e dipende dalla tecnologia e dai fattori disponibili
 Nel breve periodo:
 Prezzi fissi
 La produzione dipende dalla domanda aggregata
 Gli shock e le politiche di stabilizzazione influiscono sulla
produzione
 Una produzione inferiore a quella di pieno impiego è associata a
disoccupazione

Il modello IS-LM

Obiettivi:
Studio della domanda aggregata nel breve periodo in una economia chiusa (NX = 0)
Analisi degli shock di domanda
Determinazione del reddito di equilibrio
Predisposizione delle politiche di stabilizzazione

Variabili endogene:
 Reddito nazionale Y
 Tasso di interesse r
 Componenti della domanda: C, I

Variabili esogene:
 Prezzi P
 Politica fiscale: G, T
 Politica monetaria: M
La curva IS: investimenti e risparmio

La curva IS rappresenta le combinazioni di tasso di interesse e reddito per cui il


mercato di beni e servizi è in equilibrio.
Per derivare la IS usiamo la croce keynesiana: un semplice strumento grafico per
determinare l’equilibrio tra spesa programmata e spesa effettiva.
Nella Teoria Generale Keynes ha ipotizzato che il reddito totale prodotto da un sistema
economico, in un’economia chiusa, nel breve periodo sia determinato dalla spesa delle
imprese, dello Stato e degli individui: quanto più gli individui desiderano spendere, tanti
più beni e servizi le imprese riescono a vendere; quanto più le imprese vendono, tanto
più devono aumentare la produzione e assumere lavoratori.
Quindi, secondo Keynes, il problema durante le fasi recessive e depressive sarebbe una
spesa inadeguata.

Modello della Croce Keynesiana

Cominciamo a derivare il modello della croce keynesiana distinguendo tra:


 Spesa effettiva: è la somma di denaro che gli individui, le imprese e la P.A spendono
per acquistare beni e servizi; questa grandezza rappresenta il PIL (Y);
 Spesa Programmata: è la somma che gli individui, le imprese e la P.A vorrebbero
spendere per acquistare beni e servizi. È il primo elemento della croce keynesiana.

La differenza tra spesa effettiva e spesa programmata può essere attribuita


all’investimento non programmato in scorte al quale le imprese sono costrette se le
vendite sono diverse dal previsto: se vendono meno prodotti di quanto avevano stimato, le
scorte aumentano automaticamente; al contrario, se le vendite eccedono le previsioni, le
scorte diminuiscono automaticamente.
Dato che queste variazioni non programmate delle scorte vengono computate come spesa
per investimento delle imprese, la spesa effettiva può essere diversa da quella programmata.
Consideriamo le determinanti della spesa programmata.
Se ipotizziamo che l’economia sia chiusa, in modo che le esportazioni nette siano nulle,
possiamo descrivere la spesa programmata “E” come la somma del consumo “C”,
dell’investimento programmato “I” e della spesa pubblica “G”.

𝐒𝐩𝐞𝐬𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐠𝐫𝐚𝐦𝐦𝐚𝐭𝐚 => 𝐄 = 𝐂 + 𝐈 + 𝐆

In quest’equazione introduciamo la funzione del consumo che afferma che il consumo è


funzione del reddito disponibile (Y–T), a sua volta pari alla differenza tra il reddito Y e le
imposte T:
𝐂 = 𝐂(𝐘– 𝐓)

Ipotizziamo che l’investimento programmato sia esogenamente determinato (fisso):


I= I
Ipotizziamo che anche la politica fiscale, cioè il livello della spesa pubblica e della
tassazione, sia fissa:
G= G e T= T

Combinando gli elementi di queste equazioni otteniamo:

𝐒𝐩𝐞𝐬𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐠𝐫𝐚𝐦𝐦𝐚𝐭𝐚 => E = C ( Y – T ) + I + G

Quest’equazione ci dice che la spesa programmata è funzione del reddito Y,


dell’investimento programmato I e delle variabili di politica fiscale G e T .

Il secondo elemento della croce keynesiana è l’ipotesi che l’economia si trovi in equilibrio se
spesa effettiva e spesa programmata sono uguali.
Questa ipotesi si basa sull’idea che quando gli individui sono soddisfatti, non hanno
interesse a modificare le cose. Ricordano che Y, essendo il PIL, è uguale non solo al reddito
totale, ma anche alla spesa totale per l’acquisto di beni e servizi, possiamo scrivere la
condizione di equilibrio come:
Spesa effettiva = spesa programmata
Y=E

La retta con pendenza di 45° passante per l’origine degli assi (retta della spesa effettiva),
nella figura 10.3, è il luogo dei punti in cui questa condizione è rispettata (tutti i punti hanno
l’ascissa uguale all’ordinata, quindi tutti i punti sono possibili punti di equilibrio).
Aggiungendo al diagramma la curva di spesa programmata si ottiene la croce Keynesiana:
in questo caso l’equilibrio corrisponde al punto A, dove la curva di spesa programmata
interseca la retta a 45° di spesa effettiva.
La politica fiscale e il moltiplicatore: La spesa pubblica G
Consideriamo come viene influenzata l’economia da una variazione della spesa pubblica.
Poiché la spesa pubblica è una delle componenti della spesa aggregata, un aumento della
spesa pubblica si traduce in un più elevato livello di spesa programmata per ogni dato livello
di reddito.
Se la spesa pubblica aumenta di una quantità ΔG, la curva di spesa programmata si sposta
verso l’alto in misura ΔG, come in fig.10.5. Di conseguenza, l’equilibrio di sposta dal punto A
al punto B.

Questo grafico mostra come un aumento della spesa pubblica provochi un aumento più che
proporzionale del reddito: quindi ∆Y è maggiore di ∆G.
Il rapporto ΔY/ΔG, detto moltiplicatore della spesa pubblica, ci dice quanto aumenta
il reddito a fronte dell’incremento di 1€ della spesa pubblica. Il moltiplicatore della spesa
pubblica ha un valore superiore ad 1

ΔY/ΔG >1

La politica fiscale ha un effetto amplificato sull’economia perché, secondo la funzione del


consumo
C=C(Y–T)
l’aumento del reddito provoca un aumento del consumo; così, quando un incremento della
spesa pubblica fa aumentare il reddito, fa aumentare anche il consumo che, a sua volta, fa
aumentare ulteriormente il reddito e così via.
Quindi, in questo modello, un aumento della spesa pubblica G provoca un aumento più che
proporzionale del reddito Y.

Quanto è grande il moltiplicatore? Per rispondere a questa domanda dobbiamo seguire tutti
i passaggi del processo di aggiustamento conseguente ad una variazione della spesa pubblica
∆G.
Il processo ha inizio con un aumento della spesa pubblica ΔG, che fa aumentare il reddito, il
quale fa aumentare i consumi di PMC*∆G. L’incremento del consumo di PMC*∆G fa aumentare
la spesa e il reddito di un ammontare corrispondente che, a sua volta, fa aumentare di nuovo
il consumo in misura pari a PMC*(PMC*∆G) e così via.

Il moltiplicatore della spesa pubblica è pari a:


𝚫𝒀 𝟏
=
𝚫𝑮 (𝟏– 𝑷𝑴𝑪)

ΔY 1
Esempio: se la PMC è 0,6 il moltiplicatore è: ΔG = (1–0,6) = 2,5; un aumento di 1€ della spesa
pubblica comporta un aumento del reddito di equilibrio di 2.5€.
La politica fiscale e il moltiplicatore: Le Imposte
Consideriamo gli effetti sul reddito di equilibrio di una variazione delle imposte. Una
diminuzione delle imposte di ∆T fa aumentare il reddito disponibile (Y-T) di un ammontare
∆T e quindi il consumo di PMC*ΔT.
Per ogni dato livello di reddito Y, la spesa programmata è più elevata (fig.10.6). La curva di
spesa programmata si sposta verso l’alto in misura corrispondente a PMC*ΔT e l’equilibrio
dell’economia si sposta dal punto A al punto B.
Come un aumento della spesa pubblica, anche una riduzione delle imposte ha un effetto
amplificato sul reddito.
L’effetto complessivo sul reddito di una variazione delle imposte è:
∆𝑌 − 𝑃𝑀𝐶
=
∆𝑇 (1 − 𝑃𝑀𝐶)

Questa equazione rappresenta il moltiplicatore delle imposte, cioè la misura della


variazione del reddito a fronte ad una variazione unitaria delle imposte. Il segno negativo
indica che il reddito si muove in senso opposto rispetto alle imposte.

Il moltiplicatore delle imposte è:


 negativo, perché un aumento delle imposte riduce la spesa per consumi e quindi il
reddito di equilibrio;
 maggiore di 1 (in valore assoluto), perché una variazione delle tasse ha un effetto
multiplo sul reddito;
 minore del moltiplicatore della spesa pubblica, perché i consumatori
risparmiano una frazione (1–PMC) del taglio delle imposte, quindi l’incremento
iniziale nella spesa derivante dalla riduzione delle imposte è minore di quello
derivante da un uguale incremento della spesa pubblica G [es. Se il governo spende
1€, questo viene speso integralmente; se invece il governo riduce le imposte delle
famiglie di 1€, una parte di quell’euro viene risparmiata].

Esempio: data una PMC di 0,6, il moltiplicatore delle imposte è: ΔY/ΔT= –0,6/(1–0,6)
= –1,5. Una riduzione delle imposte pari a 1€ fa aumentare il reddito di equilibrio di 1,5€.
Derivazione della Curva IS (Il Tasso di Interesse,
L’Investimento e la Curva IS)

Il modello della croce keynesiana si fonda sulla semplificazione che il livello


dell’investimento I sia fisso. Ma una delle relazioni economiche più importanti è quella che
lega l’investimento I al tasso di interesse r. Per integrare nel modello questa relazione tra
investimento e tasso di interesse, definiamo il livello di investimento programmato
come:
I = I(r)

Poiché il tasso di interesse è il costo del finanziamento di un progetto di investimento, un


aumento del tasso di interesse riduce l’investimento programmato, quindi la curva di
investimento programmato ha pendenza negativa.

Per stabilire come varia il reddito al variare del tasso di interesse, possiamo combinare la
funzione di investimento con la croce keynesiana.
Poiché l’investimento è correlato negativamente col tasso di interesse, un aumento del tasso
da r1 a r2 riduce l’investimento da I(r1)a I(r2). Tale riduzione dell’investimento programmato
provoca uno spostamento della curva di spesa programmata verso il basso. Lo
spostamento della funzione di spesa programmata provoca una flessione del livello di reddito da Y1
a Y2.
Quindi un aumento del tasso di interesse riduce il livello del reddito: r => I => E =>
Y

La curva IS sintetizza la relazione tra tasso di interesse e livello di reddito, integrando


l’interazione tra r e I espressa dalla funzione di investimento e l’interazione tra I e Y illustrata
dalla croce keynesiana.
Ogni punto della curva IS rappresenta un equilibrio nel mercato dei beni e la curva
descrive come il livello di equilibrio del reddito dipende dal tasso di interesse.
Poiché un aumento del tasso di interesse provoca una diminuzione dell’investimento
programmato, che a sua volta provoca una diminuzione del reddito, la curva IS ha
pendenza negativa.

L’equazione della curva IS è: Y = C ( Y – T ) + I(r) + G

Una riduzione del tasso di interesse, al contrario, induce le imprese ad aumentare la spesa
per investimenti, quindi una riduzione del tasso da r1 a r2 aumenta il livello di investimento
da I(r1) a I(r2). Tale aumento dell’investimento programmato provoca uno spostamento
verso l’alto della curva di spesa programmata (in misura corrispondente a ∆I) generando
un eccesso di domanda nel mercato dei beni e servizi. Lo spostamento della funzione di
spesa programmata provoca un aumento del livello di reddito (prodotto) da Y 1 a Y2, per
ripristinare l’equilibrio di mercato.
Quindi una riduzione del tasso di interesse aumenta il livello del reddito: r => I => E
=> Y

Interpretazione economica

 La curva IS ha pendenza negativa.


 Una riduzione del tasso di interesse induce le imprese ad aumentare gli investimenti
e questo aumenta la spesa programmata E.
 Per mantenere l’equilibrio sul mercato dei beni il prodotto (ovvero la spesa effettiva
Y) deve aumentare.
 Ergo: minori tassi di interesse sono associati a maggiori livelli di produzione lungo
la curva IS.

La Politica Fiscale e la Curva IS

La curva IS mostra, per ogni dato livello del tasso di interesse, il livello di reddito che
garantisce l’equilibrio del mercato dei beni. Dalla croce keynesiana sappiamo che il livello
del reddito dipende anche dalla spesa pubblica G e dalle imposte T.
La curva IS è tracciata per una data politica fiscale: cioè, nel costruire la curva IS si
prendono per dati i valori di G e T. Quando la politica fiscale cambia, la curva IS si sposta.
Usiamo la croce keynesiana per dimostrare come un aumento della spesa pubblica da G 1 a
G2 fa spostare la curva IS (figura 10.8). Il grafico è tracciato per un dato tasso di interesse
r (fisso) e quindi per un dato livello di investimento programmato.

La croce keynesiana ci mostra come la variazione della politica fiscale accresca la spesa
programmata e, quindi, il reddito da Y1 a Y2. Di conseguenza, un aumento della spesa
pubblica provoca uno spostamento verso destra della curva IS.
Anche una diminuzione delle imposte espande la spesa e il reddito, determinando uno
spostamento verso destra della curva IS.
Una diminuzione della spesa pubblica o un aumento delle imposte contrare la spesa e il
reddito provocando uno spostamento verso sinistra della curva IS.

In sintesi, la curva IS mostra le combinazioni di tasso di interesse e livello di reddito


coerenti con l’equilibrio nel mercato dei beni e dei servizi. La curva IS è tracciata per una
data politica fiscale. Le variazioni della politica fiscale che determinano un aumento della
domanda di beni e servizi provocano uno spostamento della curva IS verso destra, le
variazioni che provocano una contrazione di domanda di beni e servizi causano uno
spostamento della curva IS verso sinistra.
Lezione 18 (Capitolo 11 – Il Modello IS-LM)
Fondi Mutuabili e Curva IS
Dall’equivalenza tra domanda e offerta di beni e servizi e domanda e offerta di fondi
mutuabili (cap.3, lezione 6), discende un’ulteriore interpretazione della curva IS.
L’identità contabile del reddito nazionale può essere scritta come:

Y– C – G = I da cui S = I
Il membro sinistro dell’equazione è il risparmio nazionale S, il membro destro
l’investimento.
Il risparmio nazionale (S=Y-C-G) rappresenta l’offerta di fondi mutuabili, mentre
l’investimento I ne rappresenta la domanda.
Per vedere come dal mercato dei fondi mutuabili si derivi la curva IS sostituiamo
nell’equazione la funzione del consumo a C e la funzione dell’investimento a I:
Y – C(Y–T) – G = I(r)

Il membro sinistro dell’equazione mostra che l’offerta di fondi mutuabili dipende dal
reddito e dalla politica fiscale; il membro destro mostra che la domanda di fondi mutuabili
dipende dal tasso di interesse.
Possiamo interpretare la curva IS come la rappresentazione del tasso di interesse che
mantiene in equilibrio il mercato dei fondi mutuabili per ogni dato livello di reddito (figura
10.9).
Quando il reddito aumenta da Y1 a Y2, il risparmio nazionale (Y-C-G) aumenta. Il consumo
aumenta in misura inferiore al reddito essendo la PMC è inferiore a 1.
L’aumento dell’offerta di fondi mutuabili provoca una riduzione del tasso di interesse da r1 a r2.
La curva IS riassume la relazione tra le due variabili: a un reddito più elevato corrisponde
un maggior risparmio al quale corrisponde a sua volta un più basso tasso di interesse di
equilibrio. Perciò la curva IS ha pendenza negativa.
Questa interpretazione alternativa spiega anche perché una variazione della politica fiscale
provochi uno spostamento della curva IS.
Un aumento della spesa pubblica o una riduzione delle imposte riducono il risparmio
nazionale per ogni dato livello di reddito.
La minore offerta di fondi spinge verso l’alto il tasso di interesse di equilibrio e poiché il tasso
di interesse aumenta per ogni dato livello di reddito, a fronte di una politica fiscale espansiva
la curva IS si sposta verso destra.

Il mercato dei saldi monetari reali; La curva LM: liquidità e


moneta

Nella Teoria generale, Keynes ha presentato una spiegazione di come si determini il tasso di
interesse nel breve periodo. Tale teoria è nota come «teoria della preferenza per la
liquidità», perché afferma che il tasso di interesse si aggiusti per equilibrare la domanda
e l’offerta della moneta (che è l’attività più liquida del sistema economico).
Così come la croce keynesiana è il fondamento della curva IS, la teoria della preferenza
per la liquidità è il fondamento della curva LM.
Per sviluppare questa teoria partiamo dall’offerta di saldi monetari reali (cap.5, lezione
8). Se M è l’offerta di moneta e P il livello generale dei prezzi, M/P è l’offerta di saldi
monetari reali.
La teoria della preferenza della liquidità ipotizza che l’offerta di saldi monetari reali sia
fissa, ovvero che:

(M/P)o = M / P
L’offerta di moneta M è una variabile esogena perché la politica monetaria è stabilita
autonomamente dalla banca centrale; anche il livello dei prezzi P è una variabile esogena
perché il modello IS-LM fa riferimento al breve periodo quando i prezzi sono fissi.
Queste ipotesi implicano che l’offerta dei saldi monetari reali sia fissa e che non dipenda
dal tasso di interesse. Così quando rappresentiamo l’offerta di saldi monetari otteniamo una
retta verticale (fig. 10.10).

Secondo la teoria della preferenza per la liquidità, il tasso di interesse r è una delle
determinanti della quantità di moneta che gli individui desiderano detenere. Il tasso di
interesse rappresenta infatti il costo-opportunità di detenere moneta, ovvero il
rendimento a cui si rinuncia per detenere una parte della propria ricchezza sotto forma di
moneta, che non corrisponde interessi, piuttosto che in titoli obbligazionari o in depositi
bancari fruttiferi.
Se il tasso aumenta, gli individui desiderano detenere una quantità inferiore di moneta,
per cui possiamo esprimere la domanda di saldi monetari reali come:
(M/P)d = L(r)
Il Reddito, la Domanda di Moneta e la Derivazione della
Curva LM

Possiamo utilizzare la teoria della preferenza per la liquidità per derivare la curva LM,
ricordando che la domanda di moneta dipende anche dal reddito Y oltre che dal tasso di
interesse.
Quando il reddito è elevato, la spesa è elevata, e gli individui effettuano un maggior
numero di transazioni che richiedono l’uso della moneta. Perciò a un più elevato livello di
reddito è associata una maggiore domanda di moneta (per motivi transattivi). Possiamo
esprimere algebricamente questo concetto scrivendo:
(M/P)d = L(r,Y)
La quantità domandata di saldi monetari reali è inversamente correlata al tasso di interesse
e positivamente correlata al livello di reddito.
Usando la teoria della preferenza per la liquidità, possiamo stabilire cosa accade al tasso di
interesse di equilibrio quando varia il livello del reddito (fig. 10.12).
Se il reddito aumenta da Y1 a Y2, ciò provoca uno spostamento verso destra della curva di
domanda di moneta.
Poiché l’offerta di saldi monetari è costante (fissata dalla banca centrale), al tasso di interesse
di equilibrio si realizza un eccesso di domanda di moneta nel mercato. Il tasso di equilibrio
deve aumentare (riducendo così la domanda di moneta per motivi speculativi) da r1 a r2 per
riportare in equilibrio il mercato monetario. Perciò, secondo la teoria della preferenza per
la liquidità, a un reddito più elevato corrisponde un tasso di interesse più elevato.
La curva LM riassume la relazione tra livello di reddito e tasso di interesse. Ciascun punto
della curva LM rappresenta un equilibrio del mercato della moneta; la curva stessa
descrive come il tasso di interesse di equilibrio dipenda dal reddito. Quanto più è elevato il
reddito, tanto maggiore è la domanda di saldi monetari reali e tanto più aumenta il tasso
di interesse di equilibrio. Perciò la curva LM ha pendenza positiva.
Politica monetaria e traslazione della LM

La curva LM indica quale sia il livello del tasso di interesse che porta in equilibrio il mercato
della moneta per ogni dato livello di reddito. Tuttavia, il tasso di interesse di equilibrio
dipende anche dall’offerta di saldi monetari reali M/P.
Ciò significa che la curva LM è tracciata per una data offerta di saldi monetari reali M/P: se
i saldi monetari reali variano – per esempio, se la banca centrale modifica l’offerta di moneta
– la curva LM si sposta.
Possiamo ricorrere alla teoria della preferenza per la liquidità per comprendere l’influenza
della politica monetaria sulla curva LM.

Supponiamo che la banca centrale riduce l’offerta di moneta da M1 a M2, facendo diminuire
l’offerta di saldi monetari reali da M1/P a M2/P. tenendo costante il livello del reddito e,
quindi la curva di domanda di saldi monetari reali, vediamo che una contrazione dell’offerta
di saldi monetari reali spinge al rialzo il tasso di interesse che assicura l’equilibrio del
mercato monetario.
Quindi, una diminuzione dell’offerta di moneta provoca uno spostamento verso l’alto della
curva LM.

 Se il tasso di interesse è superiore al livello di equilibrio, la quantità offerta


di saldi monetari reali eccede la quantità domandata; perciò gli individui che
detengono l’eccesso di offerta di moneta cercano di liberarsene convertendo una parte
delle proprie attività non remunerate in depositi bancari fruttiferi o in titoli
obbligazionari. Le banche e gli emittenti di obbligazioni, che preferiscono
corrispondere interessi bassi, reagiscono all’eccesso di offerta di fondi mutuabili
abbassando il tasso di interesse che corrispondono.
 Se il tasso di interesse è inferiore al livello di equilibrio, la quantità
domandata di moneta è superiore alla quantità offerta e gli individui convertono parte
delle proprie attività remunerate in attività non remunerate, riducendo l’offerta di
fondi mutabili e spingendo al rialzo il tasso di interesse che banche ed emittenti di
titoli obbligazionari devono corrispondere per attrarre i fondi più scarsi.

Quindi, secondo la teoria della preferenza per la liquidità, una diminuzione


dell’offerta di moneta provoca un aumento del tasso di interesse; mentre un
aumento dell’offerta di moneta fa diminuire il tasso di interesse.
In sintesi, la curva LM descrive le combinazioni di tasso di interesse e livello di reddito
coerenti con l’equilibrio nel mercato dei saldi monetari reali. La curva LM è tracciata per
una data offerta di saldi monetari reali. Una diminuzione dell’offerta di saldi monetari
reali provoca uno spostamento della curva LM verso l’alto; un aumento dei saldi monetari
reali ne provoca lo spostamento verso il basso.

L’equazione della curva LM è: M / P = L (r ,Y)

Equilibrio IS-LM di breve periodo

Per capire l’equilibrio generale dell’economia per un dato livello dei prezzi dobbiamo
considerare sia l’equilibrio nel mercato dei beni sia l’equilibrio nel mercato della moneta:
quindi dobbiamo usare contemporaneamente la curva IS e la curva LM.

Le due equazioni del modello sono:


 IS: Y = C ( Y – T ) + I(r) + G
 LM: M / P = L (r ,Y)
L’equilibrio dell’economia è dato dal punto di intersezione tra le curve IS-LM.
Questo punto individua il tasso di interesse r e il livello del reddito Y che soddisfano
simultaneamente le condizioni di equilibrio nel mercato dei beni e dei servizi e nel mercato
dei saldi monetari reali, per dati valori della spesa pubblica, delle imposte, dell’offerta di
moneta e del livello generale dei prezzi.
In corrispondenza dell’intersezione, la spesa effettiva è uguale alla spesa programmata, e la
domanda di saldi monetari reali è uguale all’offerta.
Lezione 19 (Capitolo 12 – Modello IS-LM e politica economica)
Politica fiscale espansiva: aumento della spesa pubblica

In questo caso, prendendo in considerazione l’equilibrio macroeconomico tra IS e LM, un


aumento della Spesa Pubblica farà aumentare la Spesa Effettiva rispetto alla Spesa
Programmata. Se la spesa aumenta di ΔG, il reddito aumenta in misura pari a ΔG/(1-PMC).

L’aumento del reddito genera un incremento della domanda di moneta che, data l’offerta
costante, causa un incremento del tasso di interesse.
L’aumento di r causa una riduzione degli investimenti (spiazzamento) e quindi una
contrazione del reddito.
L’aumento finale del reddito è inferiore a quello iniziale per effetto dello spiazzamento
degli investimenti da parte della spesa pubblica

Politica fiscale espansiva: riduzione delle imposte

Se le imposte diminuiscono di ΔT, tale riduzione stimola i consumatori a spendere di più, e


perciò aumenta la spesa programmata. Una riduzione delle imposte di ΔT genera un
aumento del reddito di ΔT*PMC/(1-PMC). Perciò (fig.11.2) la curva IS si sposta verso destra
di tale misura e l’equilibrio passa da A a B.
Poiché gli individui non consumano tutto il reddito aggiuntivo derivante dal taglio delle
imposte, ma solo una quota pari alla PMC, l’incremento del reddito è inferiore a quello
ottenuto da un aumento della spesa pubblica di pari ammontare.
Gli effetti finali sul tasso di interesse e sul reddito di equilibrio sono quindi inferiori
rispetto alla manovra di politica fiscale realizzata con incremento di G.

Politica monetaria: un incremento di M

Un aumento di M provoca un aumento dei saldi monetari M/P, poiché nel breve periodo P
è fisso. Secondo la teoria della preferenza per la liquidità, per ogni livello di reddito un
aumento dei saldi monetari provoca un abbassamento del tasso di interesse e perciò la
curva LM si sposta verso il basso

Si realizza un eccesso di offerta di moneta poiché la produzione non è mutata.


Per la teoria della preferenza della liquidità gli individui acquisteranno titoli ed il tasso di
interesse si abbasserà.
La riduzione di r incentiva un incremento degli investimenti e quindi un aumento del
reddito (meccanismo di trasmissione della moneta).
L’equilibrio viene raggiunto ad un livello più basso del tasso di interesse ed un livello più
alto del reddito.
Interazione tra politica monetaria e fiscale

I responsabili della politica economica che governano i due strumenti (politica monetaria e
fiscale) sono consapevoli ciascuno delle mosse dell’altro: perciò una variazione di uno dei
due strumenti può influenzare le scelte che intervengono sull’altro, e questa interdipendenza
può alterare l’effetto di un provvedimento. Per esempio, se il Parlamento aumenta le
imposte, che effetto abbiamo sull’economia? Secondo il modello IS-LM la risposta dipende
dalla reazione della banca centrale. Nella figura 11.4 sono illustrate tre tra le numerose
possibilità.
Gli shock nel modello IS-LM

 Gli shock della curva IS sono variazioni esogene della domanda di beni e servizi.
Alcuni economisti come Keynes affermano che tali variazioni della domanda possano
derivare da cosiddetti istinti animali degli investitori: ondate esogene di ottimismo o
pessimismo. Se l’impresa è pessimista investe meno e provoca una contrazione della
funzione dell’investimento che si sposta verso sinistra, che a sua volta riduce la spesa
programmata e sposta la curva IS a sinistra, riducendo reddito e occupazione. Oppure
in caso di ottimismo, magari la gente spende di più quindi la funzione di consumo si
sposta verso l’alto facendo aumentare la spesa programmata e spostando la curva IS
verso destra producendo un aumento del reddito.

 Gli shock della curva LM sono generati da variazioni della domanda di moneta.
Esempio, gli individui desiderano detenere maggior quantità di moneta. Se aumenta
la domanda di moneta aumenta il tasso di interesse, e quindi la curva LM si sposta
verso l’alto aumentando il tasso di interesse e deprimendo il reddito. In sintesi,
diversi tipi di eventi possono causare fluttuazioni economiche tramite lo spostamento
della curva IS o LM.

Quale strumento di politica monetaria usa la BC?


Perché la banca centrale fissa il tasso di interesse e non l’offerta di moneta?
1) Tassi di interesse si misurano più facilmente di un qualsiasi aggregato monetario
(M1, M2, M3).
2) Banca centrale ipotizza che gli shock della LM prevalgano su quelli della IS. Il tasso
di interesse è quindi un migliore strumento per stabilizzare l’economia.

Modello IS-LM e domanda aggregata DA


Ricaviamo la curva di domanda aggregata usando il modello IS-LM. In primo luogo usiamo
il modello per stabilire perché il reddito nazionale diminuisca all’aumentare del livello
generale dei prezzi (perché la curva di domanda aggregata abbia pendenza negativa). In
secondo luogo per capire perché la curva di domanda aggregata abbia pendenza negativa:
prendiamo in considerazione ciò che accade nel modello IS-LM a fronte di una variazione
del livello generale dei prezzi (fig11.5). Per ogni data offerta di moneta M un più elevato
livello dei prezzi P riduce i saldi monetari reali M/P. La curva di domanda aggregata traccia
l’insieme dei punti di equilibrio definiti dal modello IS-LM al variare del livello dei prezzi.
Cosa provoca lo spostamento della curva di domanda aggregata? Poiché tale curva altro non
è che una sintesi dei possibili equilibri del modello IS-LM, gli eventi (a parità dei prezzi) che
provocano uno spostamento della curva IS o della curva LM provocano anche uno
spostamento della curva di domanda aggregata.
Il Modello IS-LM nel Breve e Lungo Periodo

Il grafico di domanda e offerta aggregata mostra come nel punto C la quantità domandata di
beni e servizi sia uguale al livello naturale del prodotto aggregato. L’ipotesi keynesiana è
rappresentata dal punto K, è che il livello dei prezzi sia fisso e che in funzione della politica
monetaria, fiscale e di altre determinanti della domanda aggregata, il prodotto possa deviare
dal suo livello naturale.
L’ipotesi classica è rappresentata dal punto C, ed è che il livello dei prezzi sia perfettamente
flessibile, e che i prezzi si aggiustino in modo da garantire che il reddito nazionale sia sempre
al livello naturale. Quale ipotesi è la più appropriata? Dipende dall’orizzonte temporale
considerato. L’ipotesi classica è più verosimile nel lungo periodo, l’ipotesi keynesiana è più
adatta per il breve periodo.

L’economia si muove dal breve al lungo periodo per effetto dell’aggiustamento dei prezzi
In sintesi
La curva DA
 Relazione tra P e il modello IS-LM e la determinazione del Y di breve
periodo.
 Ha pendenza negativa perché:
P  (M/P )  r  I  Y
 Le espansioni fiscali spostano la curva IS verso destra, aumentano il reddito
e spostano la curva DA a destra.
 Politiche monetarie espansive spostano la curva LM a destra e spostano la
DA a destra.
Gli shock alla IS o LM spostano la DA.
Lezione 20 (Capitolo 13 – Economia Aperta rivisitata: Modello
Mundell-Flaming)
Il modello di Mundell-Fleming

Variabili endogene:
• Reddito nazionale Y
• Tasso di cambio e
• Componenti della domanda: C, I, NX
Variabili esogene:
• Tasso di interesse. Pari a quello mondiale: r* = r
• Prezzi P
• Variabili fiscali: G, T
Offerta di moneta: M

 Il tasso di interesse interno è pari a quello mondiale se l’economia è aperta, piccola e


non esistono restrizioni ai movimenti di capitali.
 Se il tasso di interesse nazionale r fosse superiore al tasso di interesse
mondiale r* si verificherebbe una enorme entrata di capitali nel paese.
 Gli arbitraggisti otterrebbero profitti a rischio nullo. Questa maggiore offerta di
fondi mutuabili porta a una riduzione del tasso di interesse interno fino a che: r* =
r
 Nel breve periodo sia i prezzi nazionali sia quelli esteri sono fissi. Quindi la
relazione tra il tasso di cambio nominale e e il tasso di cambio reale e non
cambia.
 Per questo parleremo (per il momento) genericamente di tasso di cambio
denotato con e.
 I cambi fissi sono un regime di tassi di cambio. Il tasso di cambio tra la moneta
nazionale e le valute straniere è deciso dall'autorità monetaria nazionale.
 La rivalutazione è l'intervento della banca centrale in regime di cambi fissi per
aumentare il valore della moneta nazionale.
 La svalutazione è l'intervento della banca centrale in regime di cambi fissi per
ridurre il valore della moneta nazionale.
 I cambi flessibili sono un regime di tassi di cambio in cui i tassi possono variare
liberamente.
 La valuta nazionale si apprezza quando il tasso di cambio si riduce.
 La valuta nazionale si deprezza quando il tasso di cambio aumenta.
L’investimento è correlato negativamente con il tasso di interesse e le esportazioni sono
correlate positivamente con il tasso di cambio e. e rappresenta il tasso di cambio nominale
e come abbiamo già detto rappresenta la quantità di moneta estera necessari per acquistare
una unità monetaria nazionale. Mentre indichiamo con ἐ il tasso di cambio reale che come
sappiamo è uguale a eP / P* dove P è il livello dei prezzi interni e P* il livello dei prezzi
esterni. In questo modello ipotizziamo che i prezzi sia fisso, in modo che il tasso di cambio
reale sia proporzionale al tasso di cambio nominale.

Y= C(Y-T) + I(r) + G + NX (e)


Con questa equazione indichiamo la IS, che ha pendenza negativa perché all’aumentare
de tasso di cambio le esportazioni nette diminuiscono facendo diminuire anche il livello
del reddito aggregato. Alla diminuzione del tasso di cambio le esportazioni aumentano,
facendo aumentare anche il livello del reddito aggregato.

M/P = L(r*,Y)

Questa equazione indica invece l’equazione LM, dove la domanda dei saldi monetari è in
relazione invecersa con il tasso di interesse e in relazione diretta con Y. L’offerta di
moneta è controllata dalla banca centrale e il livello dei prezzi è determinato
esogenamente. Tale curva può essere rappresentata in modo verticale perché il tasso di
cambio non compare nell’equazione.
I tassi di cambio e la loro variazione

Il tasso di cambio rappresenta il prezzo relativo delle attività nazionali e di quelle estere.
• Se la domanda di euro è superiore all’offerta allora il prezzo degli euro (valore)
aumenta.
→ Il tasso di cambio si appezza ed e cresce.
• Se la domanda di euro è inferiore all’offerta il prezzo degli euro (valore) cala.
→ Il tasso di cambio si deprezza ed e si riduce.

Economia aperta in Regime di tassi di cambio flessibili

Il sistema più diffuso nelle piccole economie del mondo è il redime dei tassi fluttuanti. Il
tasso di cambio si aggiusta in modo da garantire simultaneamente l’equilibrio nel
mercato dei beni e nel mercato della moneta. I tre provvedimenti che possono influenzare
l’equilibrio sono: la politica fiscale, la politica monetaria e la politica commerciale

LA POLITICA FISCALE

 Una politica fiscale espansiva fa spostare la IS verso destra, il tasso di cambio


si apprezza ed il reddito rimane inalterato. (tale provvedimento in una piccola
economia chiusa avrebbe fatto aumentare il reddito, perché la LM è rappresentata
con una retta verticale positiva.) Appena il tasso di interesse aumenta al di sopra
del livello prevalente nei mercati internazionali r*, affluiscono capitale dall’estero,
che fa aumentare la domanda di valuta interna nel mercato dei cambi, facendo
aumentare il valore. L’apprezzamento della valuta interna rende i beni nazionali
più costosi, facendo contrarre le esportazioni nette. La diminuzione delle
esportazioni compensa gli effetti della politica fiscale espansiva, e tale politica
risulta incapace di influenzare il reddito. Questo è dovuto perché nell’economia
aperta vi è un solo livello di reddito che va a soddisfare le condizioni di equilibrio
con il mercato della moneta, per tale motivo tale livello di reddito non è sensibile
alla politica fiscale.
 Una politica fiscale restrittiva fa spostare la IS verso sinistra, il tasso di
cambio si deprezza ed il reddito rimane inalterato. Appena il tasso di interesse
diminuisce al di dotto del livello fissato nei mercati internazionali r*,
defluiscono capitali all’estero, che fa diminuire la domanda di valuta interna nel
mercato dei cambi, facendone diminuire il valore. Il deprezzamento della valuta
interna rende i beni nazionali più conveniente, facendo aumentare le
esportazioni nette. L’aumento delle esportazioni compensa gli effetti della
politica fiscale restrittiva, e tale politica risulta incapace di influenzare il
reddito. Questo è dovuto al fatto che in economia aperta vi è solo un livello di
reddito che va a soddisfare le condizioni di equilibrio con il mercato della
moneta, per tale motivo tale livello di reddito non è sensibile alla politica fiscale

 In cambi flessibili la politica fiscale non può espandere il reddito nel breve
periodo.
o Economia chiusa: l’espansione fiscale spiazza gli investimenti ma solo
parzialmente.
o Economia aperta con cambi flessibili: l’espansione fiscale induce
un apprezzamento del tasso di cambio e spiazza le esportazioni nette
completamente.

LA POLITICA MONETARIA

 Supponiamo una politica monetaria espansiva, ad un livello di prezzi fisso,


comporta un aumento dei saldi monetari reali, che provoca uno spostamento verso
destra della curva LM. Di conseguenza si registra un aumento del reddito ed un
deprezzamento del tasso di cambio. Non appena si registra un aumento dell’offerta
di moneta vi è una pressione al ribasso del tasso di interesse interno, che crea un
deflusso di capitali verso l’estero alla ricerca di migliori opportunità di rendimento.
Il deflusso di capitali impedisce la caduta del tasso di interesse. Il deflusso di
capitale fa aumentare l’offerta di valuta nazionale nel mercato dei cambi e così la
valuta si deprezza. Questo rende i beni nazionali più convenienti e aumentano le
esportazioni nette.
 Una politica monetaria restrittiva, ad un livello di prezzi fisso, comporta una
diminuzione dei saldi monetari reali, che provoca uno spostamento verso sinistra
della curva LM. Di conseguenza si registra una diminuzione del reddito ed un
apprezzamento del tasso di cambio. Non appena si registra una diminuzione
dell’offerta di moneta, vi è una pressione al rialzo del tasso di interesse interno, che
crea un afflusso di capitali dall’estero. L’afflusso di capitali fa diminuire l’offerta di
valuta nazionale nel mercato dei cambi così la valuta si apprezza. Questo rende i
beni nazionali meno convenienti e porta ad una diminuzione delle esportazioni
nette.

 In cambi flessibili la politica monetaria può espandere il reddito nel breve


periodo. Il meccanismo di trasmissione è diverso:
o Economia chiusa: l’espansione monetaria riduce il tasso di interesse e
stimola gli investimenti
o Economia aperta con cambi flessibili: l’espansione monetaria induce
un deprezzamento del tasso di cambio e un aumento delle esportazioni nette
(gli investimenti non cambiano).

LA POLITICA COMMERCIALE

 Una politica commerciale restrittiva prevede l’imposizione di un dazio o il


contingentamento delle importazioni. Una riduzione delle importazioni crea un
aumento delle esportazioni nette. Questo porta a spostare la curva delle
esportazioni nette verso destra, che porta ad un aumento verso destra della curva
IS. Poiché la curva LM è verticale, le restrizioni agli scambi internazionali non
hanno effetto sul reddito, ma fanno apprezzare il tasso di cambio. Dato che le
esportazioni sono una componente del PIL, lo spostamento verso destra della curva
delle esportazioni nette esercita una pressione al rialzo del reddito Y, che a sua volta
fa aumentare la domanda di moneta e spinge al rialzo il tasso di interesse r. il
capitale straniero affluisce nel paese spingendo il tasso di interesse al ribasso e
riportandolo al livello r* stabilito nei mercati internazionali. L’apprezzamento della
valuta nazionale rendi i beni di produzione interna più costosi, NX diminuisce e il
reddito ritorna al reddito di partenza.
 Una politica commerciale espansiva prevede l’abolizione di un dazio o
l’aumento delle importazioni. Un aumento delle importazioni crea una diminuzione
delle esportazioni nette. Questo porta a spostare la curva delle esportazioni nette
verso sinistra, che porta ad una diminuzione verso sinistra della curva IS. Poiché la
LM è verticale, l’aumento degli scambi internazionali non ha effetto sul reddito, ma
fanno deprezzare il tasso di cambio. Dato che le esportazioni sono una componente
del PIL, lo spostamento verso sinistra della curva delle esportazioni nette esercita
una pressione al ribasso del reddito Y, che a sua volta da diminuire la domanda di
moneta e spinge al ribasso il tasso di interesse r. il capitale straniero defluisce dal
pese spingendo il tasso di interesse al rialzo e riportando r* al livello stabilito nei
mercati internazionali. Il deprezzamento della valuta nazionale rendi i beni di
produzione interna più conveniente, NX aumenta ed il reddito ritorna a quello di
partenza.

 Dettagli sulla politica commerciale


o Non cambia reddito e occupazione.
o Rende il paese più chiuso: si riducono sia le importazioni sia le esportazioni.
o La domanda aggregata si sposta dalle importazioni ai produttori interni.
o I settori esportatori producono meno (aumenta la disoccupazione)
o I settori non esportatori producono di più (riduce la disoccupazione)
o I cambiamenti strutturali possono aumentare la disoccupazione frizionale.
Lezione 21 (Capitolo 13 – Economia Aperta rivisitata:
Modello Mundell-Flaming)
Economia aperta in Regime di tassi di cambio flessibili
In un regime di cambi fissi la banca centrale dichiara il valore di tasso di cambio stabilito,
ed è disposta a vendere o acquistare valuta nazionale per far ritornare il tasso di cambio al
livello prestabilito. In tale regime è fissato il tasso di cambio nominale mentre il tasso di
cambio reale può essere fisso o reale. La politica fiscale, monetaria e commerciale possono
influenzare il tasso di cambio, portando la banca centrale ad intervenire in misura diversa
In questo modo la banca centrale perde la capacità di controllare la politica monetaria.
L’offerta di moneta M è determinata dall’esigenza di mantenere costante il cambio e non
può essere controllata liberamente dalla banca centrale.
• In un regime di cambi fissi, la banca
centrale è pronta ad acquistare o
vendere valuta domestica ad un tasso
predeterminato.
• Nel modello Mundell-Fleming, la
banca centrale sposta la curva LM* per
mantenere e al livello preannunciato.
• Il regime di cambi fissi stabilisce il
tasso di cambio nominale, mentre il
tasso di cambio reale nel lungo
periodo, quando i prezzi sono flessibili,
può variare.
LA POLITICA FISCALE

 Una politica fiscale espansiva, fa spostare la curva IS, verso destra,


provocando una pressione a rialzo sul tasso di cambio prefissato. Gli arbitraggisti
reagiscono immediatamente vendendo valuta estera alla banca centrale,
inducendo ad un espansione monetaria. Ciò induce la curva LM, a spostarsi verso
destra. Quindi una politica fiscale espansiva in regime di tasso di cambio fisso, fa
aumentare il reddito aggregato.

 Una politica fiscale restrittiva, fa spostare la curva IS, verso sinistra


provocando una pressione al ribasso sul tasso di cambio prefissato. Gli arbitraggisti
reagiscono immediatamente acquistando valuta estera dalla banca centrale,
inducendo ad una restrizione monetaria. Ciò induce la curva LM, a spostarsi verso
sinistra. Quindi una politica fiscale restrittiva in regime di tasso di cambio fisso, fa
diminuire il reddito aggregato.

 In cambi fissi la politica fiscale può espandere il reddito nel breve periodo.
o Economia chiusa: l’espansione fiscale spiazza gli investimenti ma solo
parzialmente.
o Economia aperta con cambi fissi: l’espansione fiscale induce un
apprezzamento del tasso di cambio e costringe la banca centrale a
intervenire. Il tasso di cambio non cambia e la produzione cresce.

LA POLITICA MONETARIA

 Una politica monetaria espansiva, provoca un aumento dell’offerta di


moneta, attraverso ad esempio l’acquisto di titoli dal pubblico. Questo fa spostare
la curva LM verso destra, abbassando il tasso di cambio. Dato che però
quest’ultimo è prefissato, gli arbitraggisti intervengono immediatamente
vendendo valuta nazionale alla banca centrale, provocando così una contrazione
dell’offerta di moneta che riporta la LM, al punto di partenza. In un regime di tassi
fissi la politica monetaria non ha alcun effetto, ma ha il compito semplicemente di
riportare il tasso di cambio al livello predeterminato.
 Una politica monetaria restrittiva, provoca una diminuzione dell’offerta di
moneta, attraverso ad esempio la vendita di titoli dal pubblico. Questo fa spostare
la curva LM, verso sinistra, aumentando il tasso di cambio. Dato che però questo
ultimo è prefissato, gli arbitraggisti intervengono immediatamente acquistando
valuta nazionale alla banca centrale, provocando così una espansione dell’offerta
monetaria che riporta la LM al punto di partenza. In un redime di tassi fissi la
politica monetaria non ha alcun effetto, ma ha il compito semplicemente di
riportare il tasso di cambio al livello predeterminato.

 In cambi fissi la politica monetaria non può espandere il reddito nel breve
periodo.
o Economia chiusa: l’espansione monetaria riduce il tasso di interesse e
stimola gli investimenti
o Economia aperta con cambi fissi: l’espansione monetaria induce un
deprezzamento del tasso di cambio ma la banca centrale è costretta a
intervenire comprando valuta nazionale. L’unico effetto è una riduzione
delle riserve di valuta estera

LA POLITICA COMMERCIALE

 Una politica commerciale restrittiva, attraverso l’imposizione di un dazio


oppure un contingentamento delle importazioni portano ad uno spostamento
verso destra della curva delle esportazioni nette e quindi uno spostamento della
curva IS, verso destra. Lo spostamento della IS provoca una pressione al rialzo
sul tasso di cambio. Per mantenere il tasso di cambio fisso, la LM deve spostarsi
verso destra.
 Una politica commerciale espansiva, attraverso l’eliminazione dei dazi
oppure un aumento dello importazioni porta ad uno spostamento verso sinistra
della curva delle esportazioni nette e quindi uno spostamento verso sinistra
della curva IS. Lo spostamento della IS provoca una pressione al ribasso sul
tasso di cambio. Per mantenere il tasso di cambio fisso, la LM deve spostarsi
verso sinistra.

 Dettagli sulla politica commerciale


o Aumenta reddito e occupazione
o Migliora la bilancia commerciale
o La domanda aggregata si sposta dalle importazioni ai produttori interni:
o Le importazioni si riducono
o Le esportazioni aumentano
o L’aumento di reddito è a scapito dei paesi esteri

La politica economica nel modello di Mundell-Fleming:


Una sintesi
Tassi di cambio fissi o flessibili?
Tassi di cambio flessibili:
 La politica monetaria può essere utilizzata per obiettivi diversi: controllo
dell’inflazione e stabilizzazione del reddito.
Tassi di cambio fissi:
 Riduce l’incertezza e la volatilità rendendo le transazioni internazionali più facili.
 Disciplina la politica monetaria perché previene una crescita eccessiva di moneta e
le iperinflazioni.

Il modello di Mundell-Fleming: La curva di domanda


aggregata DA

Inizialmente abbiamo analizzato il modello di Mundell-Fleming a un livello di prezzi


fissi. Per derivare la curva DA consideriamo l’impatto di una variazione di P:
Con prezzi variabili e ed  non sono proporzionali. È necessario riscrivere il modello di
Mundell-Fleming come funzione di 
In sintesi

 Il modello di Mundell-Fleming
 Politica fiscale
 Politica monetaria
 Politica commerciale
 Dal breve al lungo periodo: la curva DA
Lezione 22 (Capitolo 14 – Offerta Aggregata e trade-off di
breve periodo tra inflazione e disoccupazione)
Variazioni di P non cambiano il prodotto. In realtà il reddito e la produzione offerta
dipendono dal livello dei prezzi. Le imprese sono disposte a offrire un prodotto maggiore
se possono aumentare i prezzi
Questo è verso soltanto nel breve periodo.
Nel lungo periodo le variabili monetarie sono neutrali (teoria classica).

I tre modelli di offerta aggregata


Nei tre modelli di offerta aggregata alcune imperfezioni del mercato provocano una
deviazione della produzione aggregata dal suo livello naturale.
Di conseguenza la curva di OABP ha pendenza positiva e gli spostamenti della domanda
aggregata provocano fluttuazione della produzione aggregata. Questi scostamenti
temporanei di Y dal suo livello naturale rappresentano le fasi di espansione e recessione del
ciclo economico.
I tre modelli seguono un percorso teorico differente, ma il risultato è il medesimo in tutti i
casi: una curva di offerta aggregata di breve periodo descritta dalla seguente equazione:

Y = Ӯ + α(P-Pe )
Dove Y è il prodotto aggregato, Y (soprassegnato) è il livello naturale del prodotto aggregato,
P il livello dei prezzi e Pe il livello atteso dei prezzi. Secondo questa equazione, il prodotto
aggregato Y si discosta dal suo livello naturale quando il livello dei prezzi si discosta dal suo
valore atteso. Il parametro α indica la sensibilità del prodotto aggregato alle variazioni
inattese del livello dei prezzi; 1/α è la pendenza della curva di offerta aggregata.
La curva di offerta aggregata di breve periodo ha pendenza positiva, che può essere
spiegata con 3 modelli: prezzi vischiosi, salari vischiosi e informazione
imperfetta

Il modello con prezzi vischiosi


La prima spiegazione della pendenza positiva della curva di offerta aggregata di breve
periodo è il modello dei prezzi vischiosi.
Questo modello enfatizza il fatto che le imprese non adeguano istantaneamente i prezzi dei
propri prodotti a fronte di variazioni della domanda.
Questo modello ci incoraggia a rinunciare all’ipotesi di concorrenza perfetta. In concorrenza
perfetta, infatti, le imprese prendono il prezzo per dato e non lo determinano né possono
condizionarlo in alcun modo.
Consideriamo il processo di determinazione del prezzo di una tipica impresa. Dobbiamo
implicitamente ipotizzare che ogni impresa abbia un pò di potere di monopolio.
Il prezzo desiderato dell’impresa p dipende da due variabili macroeconomiche:
 Il livello generale dei prezzi P: più è alto più elevati sono i costi e quindi più elevato il
prezzo che si desidera praticare.
 Il livello del reddito aggregato Y: più è elevato, maggiore è la domanda dei prodotti.
Poiché il costo marginale aumenta con l’aumentare della produzione, più è alta la
domanda più è alto il prezzo che l’impresa desidera applicare.

Il modello con salari vischiosi


Il modello dei salari vischiosi illustra le implicazioni della rigidità dei salari nominali per
l’offerta aggregata.
Ipotizziamo che i lavoratori e le imprese negozino e definiscano il livello del salario nominale
prima di conoscere quale sarà il livello dei prezzi nel periodo di validità dell’accordo. I
lavoratori e le imprese stabiliscono il salario nominale W sulla base del salario reale obiettivo
ω e delle rispettive aspettative sul livello dei prezzi Pe.
Il salario nominale che scaturisce dall’accordo tra le parti è:

W=w* P e

Una volta determinato il salario nominale e prima che vengano assunti i lavoratori, le
imprese vengono a conoscenza del livello effettivo dei prezzi, P. Il salario reale risulta quindi
pari a:
W/P = w * P e /P
Questa equazione dimostra che il salario reale differisce dal salario nominale se il livello
atteso dei prezzi differisce dal livello effettivo dei prezzi.
L’ipotesi finale del modello dei salari vischiosi è che l’occupazione sia determinata dalla
quantità di lavoro domandata dalle imprese. Possiamo descrivere le decisioni di assunzione
delle imprese con la funzione di domanda di lavoro:
L = Ld (W/P)
Secondo la quale quanto minore è il salario reale, tanto maggiore è la quantità di lavoro
utilizzata dalle imprese.
Il salario reale dovrebbe essere anticiclico: dovrebbe variare in direzione opposta al reddito
nel corso del ciclo economico.

 Nelle espansioni, quando i P crescono, il salario reale dovrebbe calare.


 Nelle recessioni, quando i P calano il salario reale dovrebbe crescere.
Il modello con informazione imperfetta
Tutti i salari e i prezzi sono perfettamente flessibili e tutti i mercati sono in equilibrio. Ogni
impresa produce un solo bene e consuma molti beni (ad es. prodotti intermedi e fattori di
produzione). Ogni impresa conosce il prezzo nominale del bene che produce ma non conosce
il livello aggregato dei prezzi.
Quindi non conosce il prezzo relativo del bene che produce.
A causa di questa informazione imperfetta, a volte confondono le variazioni del livello
generale dei prezzi con variazioni dei prezzi relativi; questa confusione influenza le decisioni
sulla quantità di beni o servizi da offrire, generando nel breve periodo una relazione diretta
tra il livello dei prezzi e il prodotto.
Quando i prezzi aumentano in modo inatteso, tutti i produttori osservano l’incremento dei
prezzi dei beni che producono e ne deducono, in modo razionale ma errato, che anche i loro
prezzi relativi siano aumentati.
Perciò lavorano di più per aumentare la produzione. Per riassumere, il modello
dell’informazione imperfetta afferma che quando i prezzi effettivi sono superiori ai prezzi
attesi, le imprese aumentano la produzione
Offerta aggregata di breve periodo e implicazioni
I tre modelli dell’offerta aggregata di breve periodo partono da presupposti differenti ma
hanno implicazioni analoghe per il prodotto aggregato. Queste implicazioni possono essere
sintetizzate nell’equazione:

Y = Ӯ + α(P-Pe )
Questa equazione afferma che quando il livello dei prezzi differisce dal suo valore atteso, il
prodotto si discosta dal suo livello naturale. Se il livello effettivo dei prezzi è più elevato del
livello atteso, il prodotto aggregato è superiore al suo livello naturale; se il livello effettivo
dei prezzi è inferiore al livello atteso, il prodotto aggregato è inferiore al suo livello naturale.
La fig. 13.3 esprime questa relazione.

Analizziamo ora le interazioni dell’offerta aggregata con la domanda aggregata. La figura


13.4 utilizza l’equazione dell’offerta aggregata per mostrare come l’economia reagisca ad un
aumento inatteso della domanda aggregata attribuibile per esempio ad un’espansione
monetaria inattesa. Questa analisi evidenzia un principio importante, valido per tutti e tre i
modelli di offerta aggregata. La neutralità della moneta nel lungo periodo e la non neutralità
della moneta nel breve periodo sono perfettamente compatibili. La non neutralità della
moneta nel breve periodo è rappresentata dallo spostamento dell’equilibrio da A a B; la
neutralità della moneta nel lungo periodo è rappresentata dal movimento da A a C.
Inflazione e disoccupazione: Curva di Phillips
Due importanti obiettivi dei responsabili della politica economica sono il contenimento
dell’inflazione e della disoccupazione, ma questi due obiettivi sono spesso in conflitto tra
loro.
 Un aumento del prodotto riduce la disoccupazione, perché le imprese impiegano più
lavoro per aumentare la produzione;
 Un aumento del livello dei prezzi rispetto al periodo precedente significa una
maggiore inflazione.

 Perciò, quando i responsabili della politica economica fanno muovere l’economia


verso l’alto lungo la curva di offerta aggregata di breve periodo, la disoccupazione
diminuisce e l’inflazione aumenta.
 Viceversa, quando una contrazione della domanda aggregata sposta l’economia verso
il basso lungo la curva di offerta aggregata, l’inflazione diminuisce e la disoccupazione
aumenta.

Questo trade-off tra inflazione e disoccupazione è detto curva di Phillips. E’ una conseguenza
della curva di offerta aggregata di breve periodo: quando un provvedimento di politica
economica fa muovere l’economia lungo la curva di offerta aggregata di breve periodo,
l’inflazione e la disoccupazione si muovono in direzioni opposte. La curva di Phillips è un
buon modo per rappresentare la curva di offerta aggregata, perché l’inflazione e la
disoccupazione sono misure molto importanti della performance di un sistema economico.

Derivare la Curva di Phillips


La curva di Phillips afferma che l’inflazione dipende da 3 elementi:
 l’inflazione attesa;
 lo scostamento della disoccupazione dal suo livello naturale, detto disoccupazione
ciclica;
 gli shock dell’offerta.

Questi 3 elementi sono espressi dalla seguente equazione:


π = πe – β(u – un) + v
dove:
β = parametro che misura la sensibilità dell’inflazione alla disoccupazione ciclica u-un=
disoccupazione ciclica
v= shock dell’offerta
• Curva OAB : prodotto dipende da cambiamenti inattesi del livello dei prezzi
• Curva di Phillips: disoccupazione dipende da cambiamenti inattesi nel tasso di
inflazione (trade-off tra inflazione e disoccupazione).

Le aspettative adattive e l’inerzia dell’inflazione


Un’ipotesi semplice e spesso plausibile è che gli individui formino le proprie aspettative di
inflazione sulla base dei dati osservati nei periodi più recenti. Questa è l’ipotesi delle
aspettative adattive.
Ad esempio, se gli individui si aspettano che i prezzi aumentino allo stesso tasso dell’anno
scorso, possiamo scrivere la curva di Phillips come:
πe=π-1

Questa equazione stabilisce che l’inflazione dipende dall’inflazione del periodo precedente,
dalla disoccupazione ciclica e dagli shock dell’offerta. π-1 implica che l’inflazione abbia un
andamento inerziale, ovvero che l’inflazione continui a muoversi fino a quando qualcosa
non la blocchi. Questa inerzia è provocata dal fatto che l’inflazione passata influenza le
aspettative di inflazione futura. Nel modello di domanda e offerta aggregata l’inerzia
dell’inflazione può essere interpretata come un continuo spostamento verso l’alto delle curve
di domanda e offerta aggregata.
• In assenza di shock di offerta o disoccupazione ciclica l’inflazione rimane al
tasso corrente.
• L’inflazione passata influenza le aspettative corrente su quella futura che,
infine, influisce sulla determinazione di prezzi e salari.
• Se u = un l’inflazione non accelera:
• un è detto NAIRU (Non Accelerating Inflation Rate of Unemployment)
Perché l’inflazione aumenta o diminuisce
Il secondo e il terzo termine dell’equazione della curva di Phillips illustrano le due forze che
possono modificare il tasso di inflazione.
 Shock Positivi della Domanda: Il secondo termine, ovvero ci dice che
l’occupazione ciclica (ovvero la deviazione della disoccupazione dal suo tasso
naturale) esercita una pressione al rialzo o al ribasso sul tasso di inflazione. Una
diminuzione della disoccupazione spinge l’inflazione verso l’alto: questo fenomeno è
detto inflazione trainata della domanda, perché la causa di questo tipo di
inflazione è l’elevata domanda aggregata. Un aumento della disoccupazione spinge
l’inflazione verso il basso. Il parametro β è la misura della reattività dell’inflazione
alla disoccupazione ciclica.

 Shock dell’Offerta: Il terzo termine, ovvero v, mostra che l’inflazione può


aumentare o diminuire anche a causa di shock dell’offerta. Uno shock negativo
dell’offerta (aumento mondiale del prezzo del petrolio) implica un valore positivo di
v e un aumento dell’inflazione. Tale fenomeno è detto inflazione spinta dei costi,
perché gli shock negativi dell’offerta contribuiscono tendenzialmente ad aumentare i
costi di produzione. Uno shock positivo dell’offerta rende v negativo e spinge
l’inflazione verso il basso.

Curva di Phillips di breve periodo


L’inflazione attesa e gli shock dell’offerta non sono controllabili dalle autorità di politica
economica, che possono agire soltanto sulla domanda aggregata per influenzare il prodotto,
l’occupazione e l’inflazione.
La politica economica può espandere la domanda aggregata per abbassare la
disoccupazione, facendo però aumentare l’inflazione; oppure può contrarre la domanda
aggregata, riducendo il tasso di inflazione e generando maggiore disoccupazione.
La posizione della curva di Phillips di breve periodo dipende dalle aspettative
di inflazione: se l’inflazione attesa aumenta la curva si sposta verso l’alto e il trade-off tra
inflazione e disoccupazione diviene meno favorevole: per ogni dato tasso di disoccupazione
il tasso di inflazione è più elevato. (13.7) Poiché gli individui aggiustano nel tempo le proprie
aspettative, il trade-off tra inflazione e disoccupazione sussiste solo nel breve periodo.

La Disinflazione ed il tasso di sacrificio


Per ridurre l’inflazione i responsabili della politica economica possono contrarre la
domanda aggregata portando la disoccupazione al di sopra del suo tasso naturale.
Il tasso di sacrificio misura la percentuale di PIL che è necessario sacrificare per potere
ridurre l’inflazione del 1%.
Stime del tasso di sacrificio: 5
Se si vuole ridurre l’inflazione dal 6% al 2%:
• Il tasso di sacrificio è 5, quindi la riduzione dell’inflazione di 4 punti richiede una
perdita del 4  5 = 20% di PIL annuo.

Aspettative razionali e la possibilità di una disinflazione


indolore
Se le aspettative sono adattative le persone basano le loro aspettative di inflazione futura
sull’osservazione di quella corrente.
Aspettative razionali:
Le persone basano le loro aspettative di inflazione futura su:
• tutta l’informazione loro disponibile
• aspettative di politiche economiche future
Secondo la teoria delle aspettative razionali, una modifica della politica monetaria o della
politica fiscale spinge gli individui a modificare le proprie aspettative e quindi ogni
valutazione di efficacia di un provvedimento di politica economica deve tenere conto
dell’effetto sulle aspettative.
I sostenitori dell’ipotesi delle aspettative razionali affermano che la curva di Phillips di breve
periodo non rappresenti accuratamente le opzioni a disposizione dei responsabili di politica
economica; se questi ultimi fossero credibilmente impegnati a ridurre l’inflazione, gli
individui riconoscendo la genuinità del loro impegno, correggerebbero rapidamente le loro
aspettative di inflazione.
L’inflazione diminuirebbe così senza far aumentare la disoccupazione e il reddito.

L’ipotesi del tasso naturale e l’ipotesi alternativa


dell’Isteresi

Una politica anti-inflazionistica credibile presenterebbe costi assai inferiori a quelli stimabili
con il tasso di sacrificio.
Nei casi più estremi si può immaginare di ridurre il tasso di inflazione senza provocare una
recessione. Una disinflazione indolore deve essere fondata su due elementi:
 Il programma di riduzione deve essere annunciato prima che i lavoratori e le imprese
che determinano i prezzi e i salari abbiano formato le proprie aspettative
 Lavoratori e imprese devono credere nel governo.

L’analisi del costo della disinflazione (e delle fluttuazione di breve periodo) si fonda su
un’ipotesi, detta ipotesi del tasso naturale.
Questa ipotesi può essere riassunta nella seguente frase: le fluttuazioni della domanda
aggregata influenzano il prodotto aggregato e l’occupazione soltanto nel breve
periodo. Nel lungo periodo l’economia tende ai livelli di prodotto aggregato e
di occupazione descritti dal modello classico.
L’ipotesi del tasso naturale permette agli economisti di analizzare separatamente gli sviluppi
dell’economia di breve e lungo periodo ed è una delle espressioni della dicotomia classica.
Gli studiosi hanno evidenziato numerosi meccanismi attraverso i quali una recessione può
lasciare segni indelebili nel tessuto economico, alterando il tasso naturale di disoccupazione.
Il termine utilizzato per descrivere la permanenza degli effetti di fenomeni storici sul tasso
naturale è detto isteresi.

• Shock negativi possono fare crescere u naturale e l’economia può non


recuperare:
• Perdita di capitale umano: La produttività dei disoccupati si
deteriora con il tempo e trovare un altro lavoro può risultare molto
difficile alla fine della recessione.
• I disoccupati possono perdere potere nell’influire sulla
determinazione dei salari: gli insider (lavoratori impiegati) possono
contrattare salari più elevati per se stessi. Quindi gli outsider possono
trasformarsi da disoccupati frizionali in disoccupati strutturali.
Lezione 23 (Capitolo 15 – Le Politiche di Stabilizzazione)

Le politiche di stabilizzazione; Politiche attive o politiche


passive?

A sostegno delle politiche attive:


• Necessità di stabilizzazione dell’economia.

A sostegno delle politiche passive:


• Ritardi delle politiche economiche
• Ritardo interno: Tempo che intercorre tra lo shock e l’attuazione della
politica.
• Identificazione dello shock
• L’attuazione della politica richiede tempo,
soprattutto quella fiscale (iter parlamentare)
• Ritardo esterno: Tempo necessario affinché la politica abbia effetto.
• I ritardi sono lunghi e variabili e possono finire per incidere in una realtà
che è già mutata

• Difficoltà ed errori di previsione: I ritardi portano a politiche economiche basate


sulle previsioni della congiuntura economica futura. Pertanto, vi sono degli
strumenti:
• Indicatori economici: monitoraggio delle variabili economiche che anticipano
il ciclo.
• Modelli econometrici: per predisporre le politiche, cercano di prevedere
(stimandolo) il valore delle variabili endogene sulla base del valore dei dati
esogeni (ad esempio, prezzo del petrolio e valore del tasso di cambio).
• Ignoranza e aspettative: critica di Lucas.
• Le previsioni macroeconomiche si basano sulla stima di parametri dei
modelli con dati storici. Queste predizioni non sono valide se le politiche
economiche cambiano le relazioni fondamentali tra le variabili
macroeconomiche. In particolare, le politiche economiche influiscono sulle
aspettative che il pubblico si forma.
• Esempio. La curva di Phillips con aspettative razionali implica: La
disinflazione può essere attuata con bassi tassi di sacrificio. Non esiste una
relazione inversa tra disoccupazione e inflazione: una politica economica
cambia le aspettative sui prezzi e la variazione delle aspettative rende la
politica inefficace.

Politiche discrezionali o regole?


Un secondo argomento di discussione tra gli economisti è se la politica economica debba
essere discrezionale o governata da regole predeterminate.
 la politica economica è governata da regole se responsabili delle politiche
economiche annunciano con anticipo quali saranno i provvedimenti attuati nelle
diverse situazioni e poi si attengono a questa linea di condotta.

o Politici male informati o incompetenti.


o Scelte basate su opportunità politica: a volte gli interessi dei politici non
coincidono con quelli della società
o Ciclo economico politico.

 la politica economica è discrezionale se il governo e la Banca Centrale sono liberi


di reagire agli eventi come ritengono più opportuno, scegliendo di volta in volta la
linea di condotta più appropriata.

o Le politiche discrezionali sono più flessibili delle regole. Questo può essere uno
svantaggio in presenza di problemi di incoerenza temporale.
o Def: Incentivo del policy maker di modificare una politica precedentemente
annunciata dopo che i privati hanno agito sulla base di quegli annunci.
o Riduce la credibilità dei policy maker e l’efficacia delle politiche economiche.
o Esempi di incoerenza temporale della politica economica sono:
 Bassa inflazione e formazione delle aspettative
 Tassazione dei redditi da capitale e tassazione degli investimenti
 Monopoli temporanei e brevetti alla ricerca (medicinali).
Le regole per la politica monetaria
a) Tasso di crescita dell’offerta di moneta costante
Friedman: ritengono che una crescita lenta e costante dell’offerta di moneta porterebbe
alla stabilità del prodotto aggregato, dell’occupazione e dei prezzi, tuttavia, una crescita
costante dell’offerta di moneta stabilizza l’economia solo a condizione che la velocità di
circolazione della moneta sia costante
b) Tasso di crescita del PIL nominale
Secondo tale regola, la banca centrale deve stabilire e annunciare un sentiero di crescita
del PIL nominale: se il PIL nominale supera il livello obiettivo, la banca centrale riduce
la crescita monetaria per raffreddare la domanda aggregata; se rimane al di sotto del
livello obiettivo, la banca centrale aumenta la crescita monetaria per stimolare la
domanda aggregata. Poiché il perseguimento di un livello obiettivo del PIL nominale
permette alla politica monetaria di adeguarsi alle variazioni della velocità di
circolazione della moneta, la maggior parte degli economisti ritiene che questo possa
produrre una maggiore stabilità del prodotto aggregato e dei prezzi rispetto alla regola
monetarista.

c) Tasso di inflazione costante


La banca centrale dichiara il proprio obiettivo di inflazione (di solito un tasso molto
basso) e adegua l’offerta di moneta nel caso in cui l’inflazione effettiva si discosti dal
tasso obiettivo. Come l’obiettivo di PIL nominale, l’obiettivo di inflazione isola
l’economia dalle variazioni della velocità di circolazione della moneta; inoltre ha
l’indubbio vantaggio politico di essere facilmente comprensibile per il grande pubblico.

d) La regola di Taylor
L’economista John Taylor ha proposto una semplice regola per determinare il tasso di
interesse ufficiale:
tasso di interesse nominale ufficiale= inflazione+2,0+0,5(inflazione–2)–
0,5(output gap)
L’output gap è la differenza tra il livello naturale stimato del PIL e la misura rilevata del
PIL reale.
La regola di Taylor stabilisce quindi che il tasso di interesse ufficiale reale – o il tasso di
interesse ufficiale nominale al netto dell’inflazione – debba essere determinato in
funzione dell’inflazione e del differenziale del PIL.
Secondo questa regola, il tasso di interesse ufficiale reale è pari al 2% se l’inflazione è del
2% e il PIL è al suo livello naturale; per ogni punto percentuale di inflazione al di sopra
del 2%, il tasso di interesse ufficiale reale deve aumentare di mezzo punto.
L’indipendenza della banca centrale
La presenza di regole non è tuttavia condizione sufficiente. È necessario che i policy maker
non soffrano di mancanza di credibilità nel seguire queste regole.
Una regola di politica monetaria annunciata dalla banca centrale funziona soltanto se
l’annuncio è credibile.
La credibilità dipende in parte dal grado di indipendenza della banca centrale.

Sintesi
 La politica economica dovrebbe essere attiva o passiva?
 Politiche discrezionali
 Regole di politica
Lezione 24 (Capitolo 16 – Il Debito Pubblico)
Il debito pubblico (D) è l’ammontare di denaro che il governo ha preso a prestito attraverso
il collocamento di titoli pubblici.
Lo stato prende a prestito per finanziare il disavanzo pubblico (B) rappresentato dalla
differenza tra entrate e uscite: B = G – T – rD ––> vincolo del bilancio pubblico ––>
G – T = Disavanzo primario (d)
 B = disavanzo pubblico al tempo t
 G = spesa primaria
 T = entrate tributarie e non
 r = tasso di interesse reale
D = debito pubblico pregresso

I problemi di misurazione
Il deficit del bilancio pubblico è pari alla differenza tra spesa pubblica ed entrate tributarie,
nonché alla quantità di nuovo debito che lo Stato deve emettere per finanziare la propria
attività. Vi sono però alcuni problemi legati alla misura standard del deficit di bilancio.

 L’INFLAZIONE: Il deficit di bilancio deve essere misurato non come variazione del
debito pubblico nominale, ma come variazione del debito pubblico reale. Il deficit così
come viene normalmente misurato, non è corretto per l’inflazione. Per capire quanto
può essere grave questa distorsione, consideriamo il seguente esempio: supponiamo
che il debito pubblico sia stabile e il bilancio sia in pareggio: il debito nominale
aumenta allo stesso tasso di inflazione, ovvero ΔD/D=π. (D è lo stock del debito
pubblico). Perciò ΔD=πD. Il governo quindi rilevando una variazione del debito
nominale ΔD riferisce l’esistenza di un deficit pari a πD, ma molti economisti
ritengono che questo sia il valore della sovrastima del deficit.
 I BENI PATRIMONIALI:

o Conteggiare il valore dei beni capitali posseduti dallo Stato: debito patrimoniale
o La spesa pubblica che aumenta il patrimonio non aumenta il debito
o La vendita di patrimonio pubblico non riduce il debito
o Se lo stato vende un palazzo per ridurre il debito pubblico, con le procedure
contabili attuali l’operazione riduce il deficit, ma tale operazione è scorretta,
prima o poi i beni da vendere finiscono. Usando la contabilità patrimoniale
invece la riduzione del debito si compensa con la riduzione delle attività
patrimoniali. La maggiore difficoltà di tale metodo è quella di determinare
quali spese sostenute dallo stato debbano essere considerate spese in conto
capitale.

 LE PASSIVITA’ NON CONTABILIZZATE: secondo alcuni economisti, le attuali


misurazioni del deficit non contabilizzano alcune passività importanti, come le
pensioni. In sostanza i dipendenti pubblici forniscono un prestito allo stato. Le loro
pensioni future rappresentano una passività in nulla differente dal normale debito
pubblico, eppure questa passività non è inclusa nel computo del debito, e
l’accumulazione di questa passività non è inclusa nel disavanzo del bilancio.

 IL CICLO ECONOMICO:

o Lo stabilizzatore automatico riduce le entrate (T): il deficit aumenta


durante le recessioni e cala nelle fasi espansive
o Molte variazioni del deficit si determinano automaticamente, in reazione alle
fluttuazioni cicliche dell’economia. Queste variazioni automatiche del deficit
non sono errori di misurazione in senso stretto, perché quando la recessione
fa aumentare la spesa pubblica e diminuire le entrate fiscali, il governo
effettivamente si indebita di più; tuttavia queste variazioni rendono più
difficile monitorare i cambiamenti della politica fiscale attraverso il deficit di
bilancio, perché questo può aumentare o diminuire indipendentemente dalle
azioni del governo, solo a causa della mutata congiuntura economica. Per
risolvere il problema, alcune nazioni provvedono al computo del deficit di
bilancio aggiustato per il ciclo economico, stimando a quanto
ammonterebbero la spesa pubblica e le entrate tributarie se l’economia si
trovasse al tasso naturale di disoccupazione e al livello naturale di prodotto
aggregato.
L’interpretazione tradizionale del debito pubblico
Supponiamo che le imposte vengano ridotte del 20%, senza ridurre la spesa pubblica,
aumentando così il deficit di bilancio
Quali sono gli effetti di T  quindi, deficit ?

 Teoria classica (lungo periodo)


o S , l’offerta di fondi mutuabili cala e r e I(r)
o Poiché I , in stato stazionario (modello di Solow): y

 Teoria keynesiana (breve periodo):


o La IS , e y 
o Nel tempo P  e y fino al livello naturale.
o In una economia aperta: S , e D è finanziato con debito estero: NX(e) ,
disavanzo delle partite correnti.

L’interpretazione ricardiana del debito pubblico


Supponiamo che le imposte vengano ridotte del 20%, senza ridurre la spesa pubblica,
aumentando così il deficit di bilancio. Cosa succede all’economia e al benessere economico
del paese?
Il governo sta finanziando il taglio delle imposte con il debito; in futuro prima o poi dovrà
aumentare nuovamente le tasse per rimborsare il debito e gli interessi accumulati.
Il consumatore lungimirante capisce che un abbattimento delle imposte non riduce il carico
fiscale, ma lo trasla nel futuro e perciò non lo incoraggia a spendere di più.
Il principio generale è che il debito pubblico è concettualmente uguale a un
futuro aumento delle imposte: dunque finanziare la spesa pubblica con il
debito non ha effetti diversi dal finanziarla con l’imposizione fiscale. Questa
interpretazione è detta equivalenza ricardiana.
L’implicazione di questa equazione è che un taglio delle imposte finanziato con il debito
lascia inalterato il consumo. Gli individui risparmiano il reddito aggiuntivo per coprire i
futuri obblighi contributivi.
L’aumento del risparmio privato compensa la diminuzione del risparmio pubblico. Il
risparmio nazionale pari alla somma tra pubblico e privato rimane quindi inalterato e la
riduzione delle imposte non ha alcuno degli effetti previsti dall’interpretazione tradizionale.
Un taglio delle imposte ha effetti reali soltanto se accompagnato da una politica
credibile di riduzione della spesa pubblica futura. In questo caso la ricchezza
netta dei consumatori cresce.
L’equivalenza ricardiana non funziona nei casi in cui:
 I consumatori sono miopi e non perfettamente razionali (E’ possibile che
alcuni individui decidano quanto risparmiare seguendo regole empiriche non
propriamente razionali. Una riduzione delle imposte finanziata con l’indebitamento
indurrà l’individuo a ritenere che il suo reddito permanente sia aumentato, anche se
non è vero. La riduzione delle imposte darà quindi luogo ad un aumento del consumo
e ad una diminuzione del risparmio nazionale)
 Esistono vincoli all’indebitamento (Secondo la logica ricardiana un taglio delle
imposte finanziato col debito pubblico aumenta il reddito corrente ma non quello
permanente. Tuttavia i tradizionalisti credono che per tutti gli individui che si
confrontano con vincoli all’indebitamento (un limite all’ammontare dei prestiti a cui
si può accedere), il reddito corrente abbia un’importanza maggiore di quello
permanente. Un individuo che volesse consumare di più del suo reddito attuale
potrebbe farlo solo se avesse la possibilità di indebitarsi. Se non può indebitarsi, la
capacità di spesa è determinata dal suo reddito corrente. In questo caso un taglio delle
imposte fa aumentare il reddito corrente e quindi il consumo)
 Il debito verrà ripagato dalle generazioni future (e non esiste perfetto
altruismo intergenerazionale). (il consumatore si aspetta che l’onere delle
imposte implicite nel debito pubblico non ricada su di lui, ma sulle generazioni future.
Se il governo diminuisce le imposte, il debito pubblico non è altro che un
trasferimento di ricchezza dal domani all’oggi. In un’ottica prettamente egoistica, le
generazioni attuali preferiscono consumare con la riduzione delle tasse perché gli
effetti negativi non ricadranno su di loro, ma sulle generazioni future)

Altre interpretazioni del debito pubblico


Vi sono 3 ragioni per cui una politica fiscale ottimale possa a volte giustificare un deficit o
un surplus del bilancio pubblico:
 STABILIZZAZIONE: Un surplus o un deficit di bilancio possono contribuire a
stabilizzare l’economia. Un vincolo di bilancio in pareggio annullerebbe le doti di
stabilizzazione automatica implicite nel sistema delle imposte e dei trasferimenti.
Quando l’economia entra in recessione, le imposte diminuiscono e i trasferimenti
aumentano automaticamente. Questi automatismi stabilizzano l’economia anche se
spingono il bilancio verso il deficit. Se il pareggio fosse vincolante, aumenterebbero
le imposte riducendo ulteriormente la domanda aggregata.

 PREREQUAZIONE FISCALE: Il deficit e il surplus possono essere utilizzati per


correggere le distorsioni degli incentivi provocate dal sistema fiscale. Elevate aliquote
fiscali comportano un costo per la società, poiché scoraggiano l’attività economica.
Per mantenere le aliquote inalterate (o per meglio dire realizzare una prerequazione
fiscale) in anni di bassi redditi o di spesa elevata un bilancio in deficit è necessario.
 RIDISTRIBUZIONE INTERGENERAZIONALE: Il deficit può essere usato per
traslare il carico fiscale dalle generazioni attuali a quelle future. Se un governo
migliora la dotazione di infrastrutture di un sistema economico, magari costruendo
nuove strade, ospedali e scuole, oltre che agli attuali contribuenti ciò porterà
vantaggio anche alle generazioni future. Quindi perché deve essere una sola
generazione a pagare il conto? Anche quelle future devono pagare la loro quota.

Crisi di Indebitamento
La storia insegna che i modi per ridurre il debito sono:
a) modificare le entrate e le spese per ottenere avanzi primari ricorrenti;
b) ridurre il valore reale del debito con l’inflazione;
c) ridurre il valore reale del debito con la crescita del PIL;
d) penalizzare i detentori dei titoli di stato mantenendo i tassi di interesse a livelli
artificiosamente bassi;
e) fare default, ripudiando il debito.

• Solvibilità: il governo è capace di ripagare tutte le obbligazioni finanziarie


• Sostenibilità: la politica economica attuale e le previsioni disponibili garantiscono
solvibilità futura.
• Default Strategico: decisione razionale a seguito di una crisi di insolvenza
• Rinegoziazione del debito per modificare le scadenze, l’ammontare o il tasso di
interesse.
Lezione 25 (Capitolo 17 – Aree Valutarie Unione Monetaria
Europea)

Area valutaria e Unione moneta


• Area Valutaria: area geografica cui appartengono Paesi che hanno fissato il tasso
di cambio tra le proprie valute (può essere comunque prevista una oscillazione
intorno alla parità centrale o l’uscita temporanea di ciascun Paese).
• Unione Monetaria: si fissano irrevocabilmente i tassi di cambio e le valute
nazionali sono sostituite da una valuta comune (usata negli scambi). La politica
monetaria è demandata ad un’autorità sovranazionale (nell’UME è la BCE).

Benefici della moneta unica


A. La riduzione dei costi di transazione negli scambi commerciali: uno dei
benefici diretti della moneta unica è la riduzione dei costi di transazione associati agli
scambi commerciali tra i paesi membri dell’area valutaria.
B. La riduzione della discriminazione di prezzo: Secondo alcuni, se i beni hanno
prezzi espressi nella stessa moneta, è più difficile praticare prezzi diversi in paesi
diversi.
C. La riduzione della variabilita’ del tasso di cambio: Un altro beneficio è la
riduzione della variabilità del tasso di cambio, con la conseguente riduzione
dell’incertezza, che deriva dall’adozione della moneta unica. La riduzione
dell’incertezza provocata dall’eliminazione delle fluttuazioni dei tassi di cambio può
avere ripercussioni positive anche sull’investimento, soprattutto nel caso delle
imprese che esportano una parte consistente della propria produzione in altri paesi
dell’area dell’euro; infatti la minore incertezza relativa agli incassi permette a queste
imprese di pianificare il proprio futuro con minore incertezza facendo apparire meno
rischioso l’investimento.

Costi della moneta unica


 La perdita dell’autonomia nella conduzione della politica monetaria;
 impossibilità di usare la politica valutaria per correggere squilibri derivanti da
shock asimmetrici della domanda aggregata.
Shock asimmetrico della domanda aggregata
Supponiamo per esempio che si verifichi un cambiamento delle preferenze dei consumatori
nell'area valutaria: i beni prodotti da un paese per esempio la Germania diventano meno
appetibili e desiderati di quelli prodotti in un altro paese per esempio la Francia.
Uno shock asimmetrico della domanda che
provochi un aumento della domanda
aggregata in Francia è una sua contrazione
in Germania spinge la curva di domanda
aggregata francese verso destra e la curva
di domanda aggregata tedesca verso
sinistra.
La produzione aggregata scende al di sotto
del suo livello naturale in Germania e sale
al di sopra del suo livello naturale in Francia. Quindi la Germania entra in una fase recessiva
e la Francia in una fase espansiva.
Lo shock espansivo della domanda in Francia porta un aumento dei prezzi e con il
progressivo adeguarsi dei prezzi attesi e prezzi effettivi la curva di offerta aggregata di breve
periodo si sposta verso sinistra e la produzione aggregata francese torno a livello naturale.
In Germania accade il contrario cioè lo shock restrittivo della domanda provoca una
diminuzione dei prezzi e, con il progressivo adeguarsi delle aspettative, a uno spostamento
verso destra della curva di offerta aggregata di breve periodo che riporta la produzione
aggregata tedesca al livello naturale.
Le fluttuazioni della produzione
aggregata e della disoccupazione nei due
paesi tendono a creare tensioni
all'interno dell'Unione monetaria perché
in Germania aumenterebbe la
disoccupazione e in Francia
aumenterebbe l'inflazione.
I responsabili delle politiche economiche
tedeschi preoccupati per l'aumento della
disoccupazione preferirebbero una
diminuzione del Tasso interesse al fine di sostenere la domanda aggregata nel proprio
paese; quelli francesi preoccupati della aumento dell'inflazione tenderebbero a privilegiare
un aumento del Tasso interesse al fine di raffreddare la domanda aggregata francese.
La Banca Centrale Europea che fissa il tasso di interesse per l'intera area dell'Euro non
sarebbe in grado di soddisfare le esigenze di entrambi i Paesi: molto probabilmente stabilire
ebbe un livello del tasso di interesse più elevato di quello gradito alla Germania è più basso
di quello che la Francia avrebbe preferito. L'unica possibilità è una politica monetaria di
compromesso.
Tuttavia se la Germania e la Francia avessero mantenuto la propria moneta e un regime di
tassi di cambio fluttuanti le fluttuazioni di breve periodo della domanda aggregata sarebbero
state attenuate dalle variazioni del tasso di cambio.
In un'unione monetaria questo meccanismo di aggiustamento non è possibile dal momento
che Francia e Germania hanno la stessa moneta è l'euro. Il meglio che si può fare è aspettare
che salari e prezzi in Francia in Germania si adeguino completamente allo shock
asimmetrico della domanda in modo che la curva di offerta aggregata di ciascuno dei due
paesi si sposti.

Teoria delle aree valutarie ottimali


o Le caratteristiche che riducono i costi della moneta unica
- Flessibilità dei salari reali (riduce tempi per l’aggiustamento di lungo
periodo verso il livello naturale di produzione);
- Mobilità dei fattori della produzione (modifica il livello naturale della
produzione nei due Paesi evitando pressioni sui prezzi a seguito di shock
asimmetrici; Mundell);
- Sincronia degli shock (Kenen, 1969).
o Le caratteristiche che aumentano i vantaggi della Moneta Unica
- Elevato grado di apertura al commercio internazionale (↓ costi di
transazione, minore variabilità del prodotto; McKinnon, 1963).
Unione Monetaria Europea è area valutaria ottimale?
• Il grado di integrazione commerciale dei paesi dell’UE è decisamente variabile
ma, comunque, piuttosto elevato.
• I mercati del lavoro dell’Europa continentale siano tra i più rigidi al mondo.
• Il lavoro ha una scarsa mobilità all’interno dell’UE.
• I settori bancari nazionali sono rimasti in buona misura segregati e la penetrazione
transfrontaliera rimane marginale.
Le indagini empiriche mostrano che l’UME attualmente non rappresenta ancora un’area
valutaria ottimale a causa soprattutto della bassa flessibilità dei salari (contrattazione
collettiva, presenza di sindacati) e della bassa mobilità del lavoro.
Tuttavia, il processo di integrazione commerciale favorito dalla moneta unica potrebbe
portare ad una convergenza verso i criteri necessari.
In generale se dovessero emergere forti divergenze del ciclo economico tra i paesi
dell’area euro, si avvertirebbe fortemente la mancanza di una politica monetaria e di
una politica di cambio indipendenti. Per questa ragione molti economisti affermano che
l’Europa non sia un’area valutaria ottimale.

Politica fiscale
In un’area valutaria, e ancor più in un’unione monetaria, i governi possono raggiungere
l’obiettivo della stabilizzazione del reddito utilizzando due tipologie di strumenti,
separatamente o miscelandoli opportunamente.
1. Politiche di bilancio anticicliche (trasferimenti inter-temporali).
2. Trasferimenti inter-regionali dalle regioni* depresse a quelle in forte
crescita. Tale politica richiede la costituzione di un “bilancio federale”.
*regioni = Paesi o parti di Paesi appartenenti all’area valutaria

• In assenza di bilanci centralizzati, il ricorso a stabilizzatori automatici produce


variazioni del disavanzo pubblico. ➔ Problemi di “sostenibilità”
• In un’unione monetaria il finanziamento del disavanzo mediante debito
pubblico è incentivato da:
 “signoraggio condiviso” (impossibilità per ciascun Paese di ricorrere
all’emissione di nuova moneta
 principio della solidarietà (sforzi compiuti dai Paesi aderenti all’unione
monetaria per evitare l’insolvibilità del singolo Paese) ➔ problema di free
riding
• Eccessiva emissione di debito ed aumento tasso di interesse pagato anche dai Paesi
partner richiedono l’imposizione di regole per la politica fiscale
Restrizioni alla politica fiscale dell’UME
• Regole fissate in occasione del Trattato di Maastricht (1991) e Patto di Stabilità e
Crescita (Amsterdam, 1997).
• Clausola di “non salvataggio” = responsabilità individuale nell’ambito della politica
di bilancio (né l’Unione né i singoli Sati rispondono per gli impegni presi da un altro
membro).
• Il Trattato di Maastricht obbliga incondizionatamente ciascun Paese a non
presentare un disavanzo eccessivo rispetto al PIL.
• Consiglio della BCE valutava la possibilità di ammettere il Paese nella prima fase
dell’integrazione verificando il rispetto dei parametri di disavanzo e debito pubblico

Il Patto di Stabilità
Il Patto di stabilità e crescita (PSC) è un pacchetto di regole formali alle
quali si suppone che i paesi membri della UEM debbano attenersi nella
condotta della politica fiscale nazionale.
Le 2 principali componenti sono:
1. I paesi membri devono puntare al pareggio dei conti pubblici
2. I paesi membri con un disavanzo dei conti pubblici superiore al 3% del PIL sono
soggetti ad ammende che possono ammontare fino allo 0,5% del PIL, fatto salvo
il caso in cui il paese si trovi in circostanze eccezionali, come calamità naturali
o profonde recessioni, durante le quali il PIL diminuisce di più del 2% in un solo
anno.

Tale patto è stato imposto per eliminare il problema del free rider o del rischio morale
associato all’eccesso di spesa e di indebitamento da parte di un paese membro,
semplicemente limitando la quantità di spesa pubblica che non è finanziata da imposte.
Lezione 26 (Capitolo 18 – Il consumo)

Le congetture di Keynes
1. 0 < PMC < 1
2. PMedC diminuisce all’aumentare del reddito
con PMedC = propensione media al consumo = C/Y
3. il reddito disponibile è la principale determinate del consumo
Sulla base di queste tre ipotesi, la funzione di consumo keynesiana viene spesso scritta
come:
C = C + cY con C>0 e 0<c>1

I primi successi empirici


Famiglie con redditi alti:
Consumano maggiormente
 PMC > 0
Risparmiano maggiormente
 PMC < 1
Risparmiano una frazione crescente del loro reddito
 PMedC  quando Y 
Forte correlazione tra reddito e consumo
 il reddito sembrava essere la principale determinante del consumo
Problemi con la funzione di consumo Keynesiana
Sulla base della funzione di consumo keynesiana, gli economisti ipotizzano che C cresce
più lentamente di Y nel tempo.
Questa previsione non si è avverata:
• con l'aumento dei redditi, la PMedC non è diminuita e C è cresciuto altrettanto
velocemente.
• Simon Kuznets ha dimostrato che C/Y era molto stabile nei dati di serie storiche di
lungo periodo.

Irving Fisher e la scelta intertemporale


 Presume che il consumatore guardi al futuro per massimizzare la propria
soddisfazione attraverso scelte che abbracciano un ampio orizzonte temporale.
 Le scelte del consumatore sono soggette a un vincolo di bilancio
intertemporale, una misura delle risorse totali disponibili per il consumo
presente e futuro.

Il modello a due periodi (Derivare il vicolo di bilancio


intertemporale)
Periodo 1: presente
Periodo 2: futuro
Notazione
Y1,2 è il reddito nel periodo 1,2
C1,2 è il consumo nel periodo 1,2
S = Y1 - C1 è il risparmio nel periodo 1
(S < 0 se il consumatore prende in prestito nel periodo 1)
r = tasso di interesse
Keynes vs. Fisher
 Keynes: il consumo corrente dipende solo dal reddito corrente
 Fisher: Il consumo corrente dipende solo dal valore attuale del reddito
complessivo. La tempistica del reddito è irrilevante perché il consumatore può
prendere in prestito o prestare tra periodi.

Gli effetti sul consumo delle variazioni del tasso di


interesse
Gli economisti scompongono l’effetto di un aumento del tasso di interesse reale sul
consumo in due elementi:
• L’effetto di reddito è la variazione del consumo che risulta dal passaggio a una
curva di indifferenza più alta.
• L’effetto di sostituzione è la variazione del consumo che deriva dal cambiamento
del prezzo relativo del consumo nei due periodi (tasso di interesse).

I vincoli all’indebitamento
• Nella teoria di Fisher, la tempistica del reddito è meno importante perché il
consumatore può prendere in prestito e prestare in base ai periodi.
• Esempio: se un consumatore apprende che il suo reddito futuro
aumenterà, può distribuire il consumo extra su entrambi i periodi
prendendo in prestito nel periodo corrente.
• Tuttavia, se il consumatore deve affrontare vincoli di liquidità potrebbe non
essere in grado di aumentare il consumo corrente e il suo consumo potrebbe
comportarsi come nella teoria keynesiana anche se è razionale e lungimirante.
Lezione 27 (Capitolo 18 – Il consumo)
L’ipotesi del ciclo di vita di Modigliani
 Modello in base al quale i consumatori tendono a risparmiare in età giovanile
e adulta parte del loro reddito, da destinare ai consumi al termine della loro
vita lavorativa.
 La teoria presuppone, quindi, l’esistenza di un mercato del credito
sviluppato, grazie al quale le famiglie giovani possono finanziare livelli di
consumo elevati.

Il modello del ciclo di vita


Il modello base:
• W = ricchezza iniziale
• Y = reddito annuo fino al pensionamento (assunto costante)
• R = numero di anni fino al pensionamento
• T = durata in anni
Presupposti:
• tasso di interesse reale nullo (per semplicità)
• il livellamento dei consumi è ottimale
Risorse totali = W + RY
Per ottenere un consumo regolare, il consumatore divide le sue risorse equamente nel
tempo:
C = (W + RY )/T oppure
C = aW + bY
dove
a = (1/T) è la propensione marginale al consumo associata alla ricchezza
b = (R/T) è la propensione marginale al consumo associata al reddito

L’ipotesi del ciclo di vita può risolvere il dilemma del consumo:


• La PmedC nella funzione di consumo del ciclo di vita è C/Y = a(W/Y ) + b
Tra le famiglie, la ricchezza non varia quanto il reddito, quindi le famiglie ad alto reddito
dovrebbero avere un PmedC inferiore rispetto alle famiglie a basso reddito.
Nel tempo, la ricchezza aggregata e il reddito crescono insieme, facendo sì che la PmedC
rimanga stabile.
L’ipotesi del reddito permanente di Friedman

Y = YP + YT
dove Y = reddito corrente
YP = reddito permanente, reddito medio che le persone si aspettano persisterà nel futuro.
YT = reddito transitorio, variazioni temporanee dal reddito medio.

I consumatori utilizzano il risparmio e l'indebitamento per regolare i consumi in risposta ai


cambiamenti transitori del reddito.
• La funzione di consumo del reddito permanente: C = aY P
dove a è la frazione del reddito permanente che le persone consumano all'anno.
…il consumo è proporzionale al reddito permanente.

La funzione di consumo del reddito permanete può risolvere il dilemma del consumo:
PMedC = C/Y = aY P/Y
• Le famiglie ad alto reddito hanno in media un reddito transitorio più elevato
rispetto alle famiglie a basso reddito, la PMedC sarà inferiore nelle famiglie
ad alto reddito.
Nel lungo periodo, la variazione del reddito è dovuta principalmente, se non
esclusivamente, alla variazione del reddito permanente, il che implica un PMedC stabile
Reddito permanente vs. ciclo di vita
Entrambi: le persone cercano di ottenere un consumo regolare di fronte al cambiamento
del reddito corrente.

Ipotesi del ciclo di vita: il reddito corrente cambia sistematicamente mentre le persone
si affrontano fasi diverse del loro ciclo di vita.
Ipotesi del reddito permanente: il reddito corrente è soggetto a fluttuazioni casuali e
transitorie. Entrambi possono spiegare il dilemma del consumo.

L’ipotesi del percorso casuale di Hall


La teoria si fonda sul modello di Fisher della scelta intertemporale e sull’idea che il
consumatore previdente prenda le proprie decisioni di consumo non soltanto sulla base del
proprio reddito corrente, ma anche del reddito atteso in futuro.
Hall aggiunge l'ipotesi di aspettative razionali, secondo cui le persone utilizzano tutte le
informazioni disponibili per prevedere variabili future come il reddito.
Se l’ipotesi del reddito permanente è corretta e i consumatori hanno aspettative razionali,
il consumo dovrebbe seguire un percorso casuale: i cambiamenti nel consumo dovrebbero
essere imprevedibili.
• Un cambiamento nel reddito o nella ricchezza che era stato anticipato è già
stato preso in considerazione nel reddito permanente previsto, quindi non
cambierà il consumo.
• Solo cambiamenti imprevisti nel reddito o nella ricchezza che alterano il
reddito permanente previsto modificheranno i consumi.
• Implicazioni: Se il consumatore ubbidisce all’ipotesi del reddito permanente e ha
aspettative razionali, solo gli interventi imprevisti di politica economica
influenzano il consumo; e questi interventi manifestano i propri effetti nel
momento in cui agiscono sulle aspettative.

Il desiderio di gratificazione immediata di Laibson


Le teorie da Fisher a Hall presumono che i consumatori siano razionali e agiscano per
massimizzare l'utilità nel corso della vita.
Studi recenti di David Laibson e altri considerano la psicologia dei consumatori.
Il desiderio della gratificazione istantanea spiegherebbe perché le persone non risparmiano
tanto quanto sarebbe ottimale
Due domande e incoerenza temporale
1. Preferiresti: (A) una barretta di cioccolato oggi o (B) due barrette di
cioccolato domani?
2. Preferiresti (A) una barretta di cioccolato in 100 giorni o (B) due barrette di
cioccolato in 101 giorni?
Negli studi, la maggior parte delle persone ha risposto A alla domanda 1 e B alla domanda
2. Una persona che si trova di fronte alla domanda 2 può scegliere B. 100 giorni dopo,
quando si trova di fronte alla domanda 1, l'attrazione della gratificazione immediata può
indurlo a cambiare idea.

In sintesi (Lezione 26 e Lezione 27)


 Funzione del consumo Keynesiana
 Il vincolo intertemporale di Fisher e la scelta ottima
 L’ipotesi del ciclo di vita di Modigliani
 L’ipotesi del reddito permanete di Friedman
 L’ipotesi del percorso casuale di Hall
 Il desiderio di gratificazione immediata di Laibson
Lezione 28 (Capitolo 19 – L’Investimento)

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