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MICROECONOMIA

07.03.2022
Esame: scritto: 10 domande chiuse con tre risposte (+2 giusta, 0 sbagliata) + 3 domande aperte
(4 pt ciascuna); 60 minuti

Libro: vedi syllabus - CORE “Economics”

CAPITOLO 1 - ECONOMIA: MICRO E MACRO


L’economia politica si suddivide in due grandi gruppi:
• Microeconomia: scelte individuali degli agenti economici che operano nel mercato; (scelte
individuali di produzione, cioè le aziende; o di consumo, cioè le famiglie e i consumatori in
generale); e etti complessivi delle scelte degli agenti economici. Analizza come consumatori e
agenti agiscono in mercati concorrenziali e capiremo come l’interazione tra agenti retroagisca
su mercati diversi da quello concorrenziale.
• Macroeconomia: si concentra sul fenomeno aggregato, cioè un fenomeno che deriva
dall’aggregazione delle scelte di produzione e di consumo che agiscono sul sistema.
La macroeconomia è sempre micro fondata, cioè tutti i fenomeni della macroeconomia
sono derivati dalle relazioni capite con la microeconomia.

L’economia procede con un’ANALISI POSITIVA (≠analisi normativa, che cerca di individuare i
comportamenti necessari per raggiungere determinati obiettivi), cioè con un approccio che cerca
di rispondere a domande fattuali (reali) inerenti alle scelte economiche e agli esiti del mercato.

L’economia si limita ad analizzare la situazione attuale per capire cosa succederà.

SCARSITÀ
L’economia è una scienza che si occupa dell’allocazione e dei suoi e etti di risorse economiche
che sono scarse, per questo motivo avremo dei vincoli per gli agenti economici (consumatori e
imprese).

VINCOLI DI SCARSITÀ—> impongono di compiere tre scelte fondamentali:


1. Quanto produrre di ciascun bene e servizio
2. Come produrre i beni e i servizi scelti
3. Come distribuire il prodotto tra i consumatori

ALLOCAZIONE
ALLOCAZIONE DI RISORSE: determinare chi può usare una risorsa scarsa all’interno del mercato
di riferimento.
Signi ca quindi distribuire agli agenti economici i diritti di utilizzo dei fattori di produzione.
Le risorse principali per un’impresa saranno il fattore di produzione, ovvero il lavoro, il capitale e
tutte le risorse naturali che servono all’impresa per la produzione.
Per il consumatore il vincolo soggetto a problemi di scarsità è il reddito.

es. i produttori di automobili: devono pagare i dipendenti, le materie prime, i macchinari.


Le imprese scelgono quanto produrre sulla base dei loro vincoli di scarsità.

Imprese e consumatori agiscono nel mercato, quindi si decide chi detiene il diritto di utilizzo.

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ISTITUZIONI E CAPITALISMO
È fondamentale che vi siano istituzioni funzionanti.
Le istituzioni in economia includono tutto il set di leggi, convenzioni, norme sociali e giuridiche
che regolano le transazioni all’interno dei mercati.
In assenza di istituzioni funzionanti, che de niscano le regole del mercato, i mercati non
funzionerebbero.

Esistono vari modi per allocare le risorse:


• Sistemi di decisione decentrata (economie capitaliste), le decisioni allocative avvengono
nei mercati. L’allocazione delle risorse è decentrata, chi riceve cosa viene stabilito dalle regole
del mercato operante.
• Sistemi di decisione accentrata (economie comuniste), in cui le scelte allocative (chi riceve
cosa dallo scambio di mercato) non dipendono dai singoli mercati, ma vengono centralizzate,
perciò le scelte allocative sono prese da un ente. Si parla di catene di comando codi cate
(rappresentate dalle burocrazie statali con le loro articolazioni, ma anche dalle organizzazioni
interne delle imprese).

NON vi sono economie perfettamente decentrate o totalmente accentrate.

MERCATI
I mercati sono la forma più comune di decentralizzazione dell’attività economica; perché è
evidente che se osservassimo il come avvengono le transazioni economiche vedremo che la
maggior parte del potere economico è esercitato dal mercato che regola prezzi, quantità e
scambio di prodotti e servizi.
I mercati sono quindi un’istituzione economica che consente di acquistare beni e servizi,
precisando le modalità di scambio.
I mercati sono gestiti dagli agenti economici.

Un MERCATO è l’insieme delle attività e delle regole di scambio relative ad un gruppo di prodotti
entro certi con ni spazio-temporali.

• I prodotti appartengono ad uno stesso mercato quando sono altamente interscambiabili.


es. mercato delle automobili
• Un mercato è caratterizzato dalla presenza di venditori ed acquirenti
• L’elemento chiave che guida i mercati è il sistema di ssazione dei prezzi, perché permette
di comprendere ai due lati del mercato qual è il valore del bene scambiato. Permette di chiarire
la quantità di moneta necessaria per e ettuare uno scambio economico.

DIRITTO DI PROPRIETÀ: il mercato funziona solo se le istituzioni riescono a garantire una


protezione adeguata del diritto di proprietà, cioè di chi detiene l’utilizzo esclusivo di una
determinata risorsa.

MERCATI DEI FATTORI


In alcuni mercati i venditori sono famiglie e individui, mentre gli acquirenti sono le imprese.
Ad esempio, nel mercato del lavoro famiglie e individui vendono il proprio lavoro che è acquistato
dalle imprese.

In questi mercati il bene scambiato è un FATTORE PRODUTTIVO, cioè il lavoro.


I rapporti fra mercati dei fattori e mercati dei prodotti sono riassunti nel diagramma del circuito del
reddito.
Es. mercato del lavoro, che non è un bene/servizio noto, bensì è un fattore produttivo.

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ECONOMIA - SCIENZA SOCIALE
L’economia si concentra sul comportamento umano, cioè degli agenti economici:
- Microeconomia —> comportamento agenti economici
- Macroeconomia —> deriverà le implicazioni a livello aggregato a partire dalla microeconomia,
perciò dal comportamento degli agenti economici

È una scienza perché segue il metodo scienti co:


1. Osservazione dei fatti
2. Teorizzazione
3. Identi cazione delle implicazioni aggiuntive
4. Ulteriori osservazioni e veri che
5. Ra namento della teoria (si torna al 3) o sostituzione della teoria (si torna al 2)

TEORIA ECONOMICA: permette di teorizzare un fenomeno empirico che sia applicabile su larga
scala e deve valere per una serie di oggetti.

MODELLI ECONOMICI: permettono di sempli care la realtà economica che stiamo osservando.
Hanno dei rapporti causa-e etto delle variabili economiche.

IPOTESI SEMPLIFICATRICI
Permettono di formulare i modelli.
Nel formulare un modello economico ci si concentra sugli aspetti salienti che interessano per
analizzare il fenomeno in questione. Il scegliere di ricorrere a queste ipotesi sempli catrici
permette di concentrarsi solo sul fenomeno causa-e etto in analisi, il resto va trattato come
qualcosa che sta al di fuori del modello.
Tratteremo tutto ciò che viene lasciato fuori dal modello attraverso l’ipotesi sempli catrice:
“Ceteris paribus” (A parità di altre condizioni). Nei modelli economici che vedremo, ci
concentriamo sulle principali variabili di interesse, tralasciando tutto il resto al di fuori.

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CAPITOLO 2
CRESCITA PIL
Dal 1700 - rapida crescita nel PIL (in inglese GDP) - combinata ad una maggiore disuguaglianza
tra paesi.

Il PIL approssima il livello di benessere di una nazione.

RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
—> progresso tecnologico
Spiega la crescita esponenziale del PIL (vedi gra co sopra)

La rivoluzione industriale spiega un accresciuto benessere, favorito da:


1. Cambiamento tecnologico, che ha determinato un miglioramento della produttività dei
fattori produttivi; la rivoluzione industriale ha permesso alle imprese di innovare, aumentando
la capacità produttiva, diminuendo gli input necessari alla produzione. Le imprese sono state
costrette dal mercato all’innovazione; coloro che non hanno seguito il progresso, sono state
spinte fuori dal mercato, non sopravvivendo al cambiamento tecnologico.

2. Specializzazione produttiva delle imprese, ovvero il fatto che le imprese sono riuscite a
bene ciare delle economie di scopo e delle economie di scala, minimizzando i costi produttivi.
Si sono specializzate nella produzione di beni e servizi in cui avevano dei vantaggi competitivi,
in questo modo si aumenta la produttività dei propri fattori produttivi.

La rivoluzione industriale riesce a rompere quello che era il modello economico prevalente prima
della stessa. Il primo modello era quello di MALTHUS, che prevede la stagnazione continuativa nel
tempo no al 1800.

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Questo modello non è più valido, e si rende necessaria una nuova trattazione analitica che riesca
a spiegare il cambiamento.

Spiegazioni possibili della rivoluzione industriale in Inghilterra in quel periodo:


• Costo del lavoro (alto) e costo energia (basso)
• Illuminismo e rivoluzione scienti ca e conseguente trasformazione di conoscenze scienti che in
nuove macchine (J. Mokyr)
• Peculiarità delle istituzioni politiche e culturali britanniche (D. Landes)
• Spirito del capitalismo (M. Weber) e valori come propensione al lavoro ed al risparmio (G. Clark)
• Abbondanza di carbone (K. Pomeranz)

TEORIA DELLA PRODUZIONE


Tecnologia
Output: beni o servizi che un’impresa produce
Input (fattori produttivi): materiali, manodopera, terreni, macchinari che un’impresa utilizza per
produrre i propri output.

Tecnologia di produzione di un’impresa: descrive tutti i metodi a disposizione dell’impresa per


trasformare gli input in output.

INPUT —> TECNOLOGIA —> OUTPUT

Funzione di produzione
All’interno di un’impresa si possono avere diverse tecnologie di produzione, che porteranno alla
produzione di diverse combinazioni di produzione di output, dato un certo livello di input.
La tecnologia lega quindi input e output.

• Tecnologie di produzione di erenti possono portare a realizzare quantità di erenti di output, a


parità di impiego di input:
- una tecnologia/metodo di produzione è e ciente quando si evitano sprechi di fattori
produttivi
- Non può produrre una maggiore quantità di output usando lo stesso quantitativo di input:
non è possibile realizzare una produzione superiore attraverso il ricorso a metodi alternativi
- Può produrre una certa quantità di output con il quantitativo minimo di input.
La funzione di produzione è quindi la rappresentazione analitica della
FRONTIERA EFFICIENTE DI PRODUZIONE di un’impresa, che:
- Mostra le combinazioni input-output corrispondenti ai metodi di produzione e cienti
- Individua il più alto livello nell’insieme delle possibilità produttive per ogni dato livello di input
La tecnologia e ciente è espressa matematicamente dalla funzione di produzione:
Q = quantità di produzione di un’impresa

Funzione di produzione F: esprime la quantità massima di output Q che un’impresa può


produrre a partire da una data quantità di input, dato lo stato della tecnologia:

Output = F (input)

Una funzione di produzione descrive, in termini matematici, la frontiera e ciente di produzione di


un’impresa.
Mostra l’output massimo raggiungibile quando l’impresa opera in modo e ciente.

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Breve e Lungo periodo
Se consideriamo un processo produttivo in un dato periodo di tempo, la quantità impiegata di
alcuni input può essere modi cata, quella di altri input no.
• Input sso: input la cui quantità NON può essere modi cata nell’orizzonte temporale
considerato
• Input variabile: input la cui quantità PUÒ essere modi cata nell’orizzonte temporale
considerato

L = lavoro
K= costi capitali (beni tangibili di cui dispone l’impresa, es. macchinari)
D= domanda
Q= quantità output

Gli input possono essere FISSI o VARIABILI a seconda dell’orizzonte temporale considerato:
• BREVE PERIODO K è sso e L è variabile
- aumento D, aumento ore lavorate —> ricorso a ore di straordinari o contratti di
somministrazione
- Diminuzione D, diminuzione ore lavorate —> ricorso a cassa integrazione
Nel breve periodo è di cile variare il capitale investito.
• LUNGO PERIODO: tutti gli input sono variabili

La durata temporale del breve periodo dipende dalle caratteristiche del processo produttivo.
• Per aumentare Q nel breve periodo posso aumentare solo L, nché vi sarà spazio per i nuovi
dipendenti, poi andrà fatto un investimento K, possibile solo nel LUNGO periodo.

La funzione di produzione è diversa se ci troviamo nel breve o nel lungo periodo:


Funzione di produzione di LUNGO PERIODO
Q = f (L,K)
• Per capitale K intendiamo tutti gli input che non sono lavoro: materie prime, stabilimenti,
macchinari, beni durevoli in generale ecc.
• F (L,K): esprime la quantità massima di output Q che un’impresa può produrre con L unità di
lavoro e K unità di capitale
• Idea implicita nella F (L, K): posso (quasi sempre) produrre una certa quantità di output con
diverse combinazioni di L e K perfettamente divisibili (ore lavorate e ore di utilizzo macchinari)
• Es: produrre Q auto con meno operai L e più robot K (ristrutturazione aziendale: cambiamento
della combinazione di fattori)

I punti rappresentano la combinazione dei fattori produttivi, tutti appartenenti alla funzione di
produzione Q=4L1/2*K (è un esempio).
Si possono assegnare in nite combinazioni di L e K appartenenti alla funzione.

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10.03.2022
Funzioni di produzione:

BREVE PERIODO
In una funzione di produzione di breve periodo: se aumentiamo L (asse X) aumentano gli output
(asse Y).
I punti A, D, G, F rappresentano i punti massimi —> tutti i punti della funzione di produzione,
rappresentano l’output massimo che l’impresa è in grado di produrre, utilizzando i propri input in
maniera e ciente.
Curva da origine a punto F = funzione di produzione di breve periodo.
Tutto ciò che sta al di sopra della curva (area bianca) non è raggiungibile; nell’area azzurra si
trovano tutti gli output (=insieme delle possibilità produttive) che l’impresa è in grado di
raggiungere.

LUNGO PERIODO
I fattori produttivi (L e K) sono entrambi variabili.
A livello gra co si ragiona in tre dimensionI: K da zero a in nito; L da zero a in nito; Output
variano.
Vedi gra co a due dimensioni “Funzione di lungo periodo” (pag.6): si valutano le diverse
combinazioni di capitale e lavoro. Come riusciamo a riportare l’output Q all’interno di un gra co di
due dimensioni? La riportiamo con diversi isoquanti di produzione.

1) ISOQUANTI DI PRODUZIONE

Unendo tutte le combinazioni di input (L e K), che consentono di ottenere lo stesso volume di
produzione (Q) in maniera e ciente, otteniamo un ISOQUANTO. L’isoquanto unisce i punti
ipotizzando che il volume di produzione (in questo caso Q=16), sia ottenuto utilizzando gli input
produttivi in maniera e ciente.
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Data la tecnologia dell’impresa ci sarà una famiglia di isoquanti di produzione, ognuno associato a
un livello di quantità diverso.
Si possono tracciare più isoquanti di produzione più o meno distanti dall’origine. Sappiamo che i
fattori produttivi, se utilizzati in maniera crescente, permetteranno di produrre una quantità di
output crescente. Se si utilizzano più unità di L e K in maniera e ciente evidentemente
all’aumentare di L e K aumenterà la quantità prodotta.
• Gli isoquanti più vicini all’origine utilizzano meno fattori produttivi e producono meno Q
• Gli isoquanti più lontani dall’origine utilizzeranno più fattori produttivi e produrranno più Q

Con l’isoquanto si traccia il miglior utilizzo degli input associando allo stesso livello di qualità Q.
L’isoquanto di produzione vale solo nel lungo periodo.

Pendenza isoquanto (= Saggio marginale di sostituzione tecnica)


L’isoquanto permette di rappresentare in maniera gra ca la dotazione tecnologica dell’impresa,
che è ciò che permette di legare gli input agli output.
Ciò che è più di interesse è la misura della sua pendenza. L’isoquanto è una curva in cui la
pendenza non è costante. La pendenza di una curva la si può approssimare con la pendenza
della retta tangente alla curva in ogni suo punto. Il che signi ca che se immaginiamo di essere nel
punto (1;4) la pendenza dell’isoquanto in quel punto è pari alla pendenza della retta tangente
all’isoquanto in quel punto.
L’inclinazione è molto alta all’inizio e va via via calando lungo la curva dell’isoquanto. La pendenza
dell’isoquanto è quindi decrescente lungo l’isoquanto di produzione. Tutti gli isoquanti di
produzione sono sempre concavi e saranno sempre contraddistinti da una pendenza
decrescente lungo la curva.

Signi cato economico pendenza isoquanti: rapporto con cui un’impresa può sostituire un
fattore produttivo con un altro, mantenendo invariata la produzione.
Questo rapporto di sostituzione (pendenza) prende il nome di SAGGIO MARGINALE DI
SOSTITUZIONE TECNICA.
Gli input sono sostituibili: K ed L possono essere sostituiti per mantenere costante il livello di
produzione.

La pendenza dell’isoquanto indica in che misura occorre aumentare un input a fronte di una
riduzione unitaria dell’altro input per mantenere costante il prodotto totale.

Dal punto di vista geometrico, MRTS = -∆K/∆L = | ∆K / ∆L |


• Sostituisco unità di un fattore produttivo per aumentare unità dell’altro fattore produttivo per
compensare rimanendo lungo lo stesso isoquanto
• Es: MRTS = 3; se si toglie 1 unità di lavoro L va sostituita con 3 unità di capitale K per
mantenere il livello di produzione invariato

MRTS è decrescente:
• Se il lavoro è scarso, occorre molto capitale per compensare un’unità in meno di lavoro
• Se il lavoro è abbondante, basta poco capitale per compensare un’unità in meno di lavoro

2) MINIMIZZARE I COSTI
Capita la tecnologia (rappresentata dall’isoquanto) serve una seconda condizione:
la minimizzazione dei costi di produzione

I Costi (C)
Il costo totale (C) di un’impresa per produrre una certa quantità di output Q è rappresentato dalla
spesa necessaria per produrre, nel modo meno dispendioso possibile, quella quantità di
output.

Funzione di costo totale: C(Q) = Q2 + 2Q + 1


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La parte dopo l’uguale (=) cambia. L’importante è sapere che il costo totale è in funzione di Q.
Il costo totale può essere suddiviso in due tipi di costi:
• COSTI VARIABILI: costi degli input che variano insieme al livello della quantità prodotta
dall’impresa —> dipendono da Q
es. Lavoro, materie prime
• COSTI FISSI: costi degli input che non variano al variare del livello della quantità prodotta
es. capannone, licenza
Alcuni sono recuperabili (es. vendendo la licenza), altri sono irrecuperabili

Costi Opportunità VS Costi Contabili


COSTO OPPORTUNITÀ di una risorsa: mancato guadagno dovuto alla perdita dell’opportunità di
impiegare una risorsa nel modo alternativo migliore.
Costo d’uso del capitale: costo opportunità associato all’impiego di capitale proprio privo
di costi contabili (es. già ammortizzato)

Quando calcoliamo i costi che un’impresa sostiene per gli input consideriamo i costi opportunità
degli input, che possono di erire dai loro costi contabili.
Le decisioni economiche - ad esempio se tenere aperta o chiudere un’impresa - si prendono
tenendo conto dei costi opportunità degli input, non dei loro costi contabili.

Costi di Breve e Lungo periodo


COSTI DI BREVE PERIODO
Un solo input è variabile, il lavoro L. Il capitale è sso a un livello dato.
Il costo di breve periodo corrisponde al costo variabile di assumere i lavoratori necessari a
produrre una certa quantità di output + eventuali costi ssi del capitale. Dato K, la scelta di L è
“obbligata” dall’obiettivo Q.

C(Q) = costo del lavoro * unità di lavoro necessarie a produrre Q + costi ssi

COSTI DI LUNGO PERIODO


Nel lungo periodo sia lavoro L che capitale K sono variabili.
Il costo di lungo periodo corrisponderà al costo della combinazione e ciente meno costosa di
lavoro e capitale che permette di produrre una certa quantità di output. Più coppie di
combinazioni di L e K consentono di produrre Q.
Nel breve periodo vi sono costo irrecuperabili ssi, che nel lungo periodo vengono riassorbiti.

La determinazione di C(Q) nel lungo periodo è più complessa.


Nel lungo periodo sia lavoro, L, che capitale, K, sono variabili.
Per produrre Q l’impresa e ciente individua la combinazione di lavoro e capitale meno costosa
(dati i prezzi dei fattori produttivi) tra quelle che consentono di produrre Q in modo e ciente,
ovvero le coppie (L,K) che giacciono sull’isoquanto corrispondente all’output Q, ovvero tali che
Q = f (L,K)
Per calcolare il costo di una coppia (L,K) iniziamo con l’identi care tutte le possibili combinazioni
di lavoro e capitale che hanno lo stesso costo.
—> RETTA DI ISOCOSTO

RETTA DI ISOCOSTO
È la retta su cui giacciono tutte le combinazioni di L e K che, dati i prezzi dei fattori produttivi,
hanno lo stesso costo complessivo.
• Costo unitario di L: W (salari)
• Costo complessivo di L: W * unità di lavoro L
• Costo unitario di K: P (rendimento del capitale)
• Costo complessivo di K: P * unità di capitale K

Equazione retta di isocosto: C = (W * L) + (P * K)


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La retta di isocosto contiene tutte le combinazioni di input L e K che hanno lo stesso costo
(generico) per l’imprenditore, dato il costo dei fattori produttivi.

Per rappresentarla è necessario isolare K. Sugli assi avremo su X=Lavoro; Y=Capitale.

• Pendenza isocosto = prezzo relativo dei fattori = - W / P

In termini economici signi ca un costo opportunità che l’impresa a ronta quando sceglie di
impiegare unità di lavoro invece di unità di capitale.
Costo opportunità per l’impresa del lavoro in termini di capitale: se l’impresa impiega 1 unità di
lavoro in più sta rinunciando a W/P unità di capitale.

INTERCETTA VERTICALE: massima quantità di capitale acquistabile al costo C


L’intercetta verticale è quello in cui tutto il costo C è dedicato all’acquisto di K, rinunciando a L.

INTERCETTA ORIZZONTALE: massimo numero di lavoratori che si possono assumere al costo


C. L’impresa rinuncia completamente a K, spendendo tutto C per l’acquisto di lavoratori.

Al variare di C ho diverse rette di isocosto, ognuna delle quali corrisponde ad un diverso livello dei
costi. Quanto più l’isocosto è lontano dall’origine, tanto maggiore è la quantità di input
acquistabili e quindi tanto maggiore è il costo.

Le rette hanno la stessa inclinazione (-W/P). Diversi livelli


di costo sono una famiglia di rette di isocosto diverse,
ognuna associata al proprio livello di costo totale.
Variano le rette di isocosto al variare del costo. Ognuna
delle rette è associata a un diverso livello di costo.
Sappiamo ordinarle: rette più lontane dall’origine sono
associate a costi totali maggiori, perché acquistiamo più
fattori produttivi; rette di isocosto più vicine all’origine
degli assi sono associate a costi totali più bassi.

LA SCELTA PRODUTTIVA
UNIAMO TECNOLOGIA (ISOQUANTO) E COSTI (ISOCOSTI)

1. L’impresa cerca di produrre una data quantità al minimo costo.


—> minimizzazione costi
2. Deve scegliere una combinazione di input sull’isoquanto relativo all’output desiderato.
—> scelta ottimale dei fattori produttivi

La combinazione di input è di equilibrio se, cambiando la quantità impiegata di input, l’impresa:


- non riesce a produrre la quantità desiderata, oppure
- per produrla, spende più di quanto spenderebbe nella combinazione di equilibrio

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REGOLA DI NON-SOVRAPPOSIZIONE: la combinazione di fattori (L;K) è ottimale se l’area al di
sopra dell’isoquanto su cui giace non si sovrappone all’area al di sotto della retta di
isocosto su cui giace.

C e D non costituiscono un punto di equilibrio perché sarebbe sempre disponibile per l’impresa
un nuovo punto di equilibrio che le permette a parità di costi di produrre una quantità maggiore di
output, perché da C e D saremmo in grado di arrivare ad un isoquanto più alto associato a una
quantità maggiore di quello che vediamo, perché più lontano dall’origine.
L’impresa sceglie la scelta produttiva la combinazione capitale - lavoro pari al punto E, in cui
l’impresa è capace di minimizzare i costi, data la tecnologia disponibile.
Il punto di equilibrio è quello di tangenza tra l’isoquanto e l’isocosto più vicino all’origine.
Combinazione di fattori che consente di produrre la quantità desiderata al minor costo possibile.

A livello analitico signi ca che nel punto E si stanno eguagliando le due pendenze, perciò la
pendenza dell’isoquanto di produzione coincide con la pendenza dell’isocosto.
Nel punto di equilibrio E si veri ca che il tasso oggettivo di scambio tra i fattori produttivi (W/P)
eguaglia il tasso soggettivo dell’impresa (cioè il tasso marginale di sostituzione tecnica, che è il
valore a cui l’impresa può rinunciare a un fattore produttivo a favore di un altro).
Nel punto E l’impresa produce una quantità desiderata al minor costo possibile.

TORNANDO ALLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE


IN GRAN BRETAGNA CAMBIO DEI PREZZI RELATIVI

Prima della Rivoluzione Industriale, si aveva l’equilibrio


in B (più intensivo del fattore L che del fattore
energetico carbone).

Aumenta il costo relativo del lavoro


(w=10; P=20 a P’=5)
rendendo l’isocosto più ripido (ricordare la pendenza è
-W/P) e verso l’origine (da H, pendenza 1/2 a G,
pendenza 2).
Nuovo equilibrio in A, a seguito della rivoluzione
industriale.

Il punto A e B sono punti di equilibrio.

In B siamo prima della Rivoluzione Industriale, è associato a L=4 e K=2; utilizzo di lavoro più
intensivo rispetto al punto di equilibrio che otterremo a seguito della Rivoluzione Industriale.

Con la Rivoluzione Industriale (introduzione macchina a vapore e altre nuove tecnologie) tra i due
fattori produttivi il lavoro rimane quello più caro rispetto al capitale. A parità di salario, da che la

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macchina a vapore abbatte i costi delle materie prime, il lavoro diventa più caro rispetto al
capitale. Quindi è aumentato il “costo relativo del lavoro”, cioè il rapporto W/P.
A seguito della Rivoluzione Industriale si abbattono i costi del capitale P. P varia diminuendo, W
non varia, quindi il costo del lavoro rimane costando. Il costo relativo del lavoro aumenta, a fronte
della diminuzione del denominatore P, nella relazione W/P.

A livello analitico l’isocosto di produzione iniziale (H) non può più essere quello di equilibrio perché
è cambiata la pendenza dell’isocosto (W/P), a seguito della variazione di P.
Es. W/P iniziale è 10/20, cioè 0,5. Se subentra la rivoluzione industriale avremo un nuovo
isocosto, avente pendenza pari a W/P’=10/5, cioè 2.

A fronte della Rivoluzione Industriale la variazione nei prezzi delle materie prime, nei prezzi
energetici ha portato l’isocosto da H a un secondo isocosto più ripido, perché la pendenza è
andata aumentando per via della diminuzione del denominatore W/P. Quindi dal punto B cambia
l’isocosto e ci si troverebbe in un ipotetico nuovo punto di equilibrio in corrispondenza di un
isocosto più ripido F.

Le imprese introducono cambiamenti tecnologici che permettono di abbattere costi di produzione


per ogni unità di output prodotto. Si determina un nuovo equilibrio in corrispondenza di A, che si
troverà all’intersezione tra la retta continua G e un ipotetico isoquanto di produzione ad essa
tangente.
Il punto A (nuovo punto di equilibrio a seguito della rivoluzione industriale) è più intensivo del
fattore produttivo di capitale e meno unità di lavoro.

F ed H sono associate allo stesso valore di costo totale, che è stato abbattuto per mezzo del
cambiamento tecnologico introdotto.

DA B AD A
• Cambiamento tecnologico che riduce i costi di produzione variando equilibrio (tramite latrici via
via più tecnologiche)
• Variando anche i pro tti delle imprese che introducono questa innovazione per produrre metri di
tessuto
• pro tto= ricavi - costi: maggiore in A che sfrutta rendite da innovazione

Introducendo le innovazioni tecnologiche le imprese riescono a minimizzare i costi di produzione.


Quindi si abbattono i costi di produzione e si massimizzano i pro tti (Ricavi - Costi). A parità di
ricavi se si abbattono i costi di produzione si massimizzano i pro tti di impresa.

Costo= (W*L) + (P*K)

Le imprese che innovano a seguito della Rivoluzione Industriale riusciranno ad avere dei costi di
produzione inferiori rispetto alle imprese che non innovano.
Le imprese che sfruttano l’ondata di cambiamento tecnologico avranno un vantaggio competitivo
sulle imprese che non hanno seguito l’ondata, da che avremo imprese che producono con costi
pari a 80 che non innovano e imprese che innovano e producono con costi pari a 50.
Le imprese che hanno innovato hanno un vantaggio da sfruttare all’interno del mercato: RENDITA
DA INNOVAZIONE, che permette di spiegare il di erenziale nei pro tti che osserviamo tra le
imprese che hanno adottato innovazioni e le imprese che non hanno introdotto innovazioni.

Le imprese innovative sfruttano le RENDITE DA INNOVAZIONE.

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DISTRUZIONE CREATRICE
• J. Schumpeter (1883-1950) introduce il concetto di distruzione creatrice.
• Imprenditore= il primo attore nel mercato ad adottare la nuova tecnica (e a produrre in A)
• Così facendo, può sfruttare rendite da innovazione - introducendo nuovi prodotti e/o processi
produttivi nel mercato e rendendo obsolete le vecchie tecnologie
• Distruzione creatrice= le vecchie tecniche ed imprese obsolete vengono distrutte e nuove
imprese e tecniche create in moto incessante, causando boom e recessioni economiche in fase
di aggiustamento, generando miglioramenti nella produttività e quindi crescita economica.

Distruzione creatrice:
1. Distruzione tecniche produttive obsolete (prima della Rivoluzione) —> Escono dal mercato
tutte le imprese che continuano a utilizzare tecniche produttive obsolete, nonostante la
rivoluzione.
2. Creazione di nuove imprese che utilizzano tecniche produttive innovative —> nel tempo
riusciranno a rimanere all’interno del mercato.

Ci sono forme diverse di mercato:


- Monopolio: unica impresa che riesce a innovare continuamente, perciò “caccia” le imprese che
non riescono a conformarsi alle nuove tecniche produttive.
- Concorrenza perfetta: tante imprese
(Approfondito successivamente)

Perché in Gran Bretagna e non altrove?

W (rispetto a P) era più alto in GB che altrove (W/R maggiore direziona il cambiamento
tecnologico), questo provoca l’incentivo a sostituire i lavoratori con le macchine, fattore produttivo
più economico.
L’incentivo a innovare è avvenuto in Inghilterra, perché i lavoratori inglesi costavano di più degli
altri fattori produttivi.

Il combinato disposto di:


- Capacità innovativa
- Cambio dei prezzi relativi dei fattori
produttivi

—> Tecnologia cosiddetta “Energy Intensive”


che risparmia L in favore di K (fattore
produttivo relativamente meno caro)

13
PRIMA DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Modello di Malthus
Viene spiazzato dalla Rivoluzione Industriale. Il modello valeva perché i dati raccolti prima della
Rivoluzione Industriale sembravano dare veri ca empirica del modello.

Nel gra co sopra vediamo:


• Popolazione costante
• Stagnazione dei salari
Quando una variabile è costante allora si dice che è “stagnante”.
Prima della rivoluzione industriale si aveva una situazione di stagnazione sia nella popolazione sia
nel livello dei salari.
Ma dal 1750 la stagnazione viene meno e si perde la validità del modello di Malthus.

MODELLO DI MALTHUS
1. La popolazione aumenta se aumentano il benessere e gli standard di vita.
2. Tuttavia, se la terra coltivabile è disponibile in una quantità ssa (perciò si ha K sso) e la
popolazione aumenta (L sale), progressivamente crolla la produttività media del lavoro (Y/L;
dove Y=output totale producibile e L=numero agricoltori).

—> per via della legge dei rendimenti decrescenti del lavoro, Malthus deduce che se aumenta la
popolazione L (denominatore), progressivamente calerà la produttività media del lavoro, perciò
diminuirà necessariamente il reddito individuale portando lo standard di vita al livello di sussistenza
in equilibrio.
Popolazione e reddito rimarranno quindi invariati (stagnati) e questo si applica nel gra co
precedente no alla Rivoluzione Industriale.
Secondo Malthus, da che il capitale è sso e la produttività media è decrescente, non si osserverà
mai un aumento di popolazione, perché l’aumento determinerebbe un crollo nel reddito
disponibile, facendo crollare lo standard di vita. In un economia di sussistenza non si osserva
benessere demogra co.

• Eventuali cambiamenti tecnologici in Malthus vengono riassorbiti da aumenti in popolazione e


non in aumenti salariali che migliorino il tenore di vita

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fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
• Cadute nel tenore di vita trainano un calo demogra co e si ritorna in equilibrio
• In Malthus non è possibile osservare un aumento di reddito.

QUALCOSA CAMBIA:
La rivoluzione industriale ha permesso di abbandonare la legge della produttività media
decrescente del lavoro:
- Uscendo dalla trappola Malthusiana
- Tramite una rivoluzione industriale che favorisce un cambiamento tecnologico permanente e
incessante che, aumentando la produttività media del lavoro, permette di aumentare sia
popolazione che reddito (Y).

È un modello che vale ntanto che valgono le ipotesi sempli catrici che stanno alla base: prodotto
o produttività media del lavoro sempre decrescente.
La rivoluzione industriale rompe questa situazione e si ammette la possibilità che il prodotto
medio del lavoro possa essere costante o crescente, permettendo la possibilità di aumento dei
salari, un aumento del benessere, e quindi un aumento della popolazione.

Digressione: Prodotto Medio del Lavoro Decrescente

Data una funzione di produzione rappresentata:


Se teniamo la terra ssa e variamo il secondo input produttivo (L, aumentando la popolazione), e
rappresentiamo il rapporto (inclinazione OA e OB), questo decresce.
Inclinazione OA < inclinazione OB

Questa è la legge dei rendimenti decrescenti del lavoro o legge della produttività media del lavoro
decrescente.
Il prodotto medio del lavoro indica la quota di output che è attribuibile a ogni singolo lavoratore,
rapporto tra Y/L.

Data una generica funzione di produzione siamo in grado di leggere il valore relativo alla
produttività media del lavoro.
Nel breve periodo si può rappresentare una funzione di produzione come nel gra co sopra.
Funzione di produzione che mette in relazione l’output in ordinata (Kg di grano prodotto) e gli
input in ascissa (numero di contadini).
Il capitale è sso, quindi siamo nel breve periodo.
All’interno del modello di Malthus siamo sempre nel breve periodo.

Data una generica funzione di produzione siamo sempre in grado di capire quale sarà il valore
puntuale del rapporto tra output e numero di lavoratori a partire da un’inclinazione.
Se guardiamo la pendenza della retta OA e OB le due inclinazioni stanno dando in maniera diretta
una misura di Y/X.
Y= output; X= numero lavoratori
Quindi Output/numero lavoratori= valore della produttività media del lavoro.
15
fi
fi
fi
fi
fi
fi
Se costruiamo diverse rette che congiungano diversi punti della funzione di produzione, si ottiene
che con l’allontanarsi dall’origine, l’inclinazione delle rette si appiattisce sempre di più rispetto alle
rette iniziali. Questo signi ca che più ci allontaniamo lungo la funzione di produzione più il
prodotto medio del lavoro sta diminuendo, perché diminuendo sta il coe ciente angolare delle
rette che partono da O e si congiungono coi punti della funzione.
Se si ottiene un coe ciente che decresce vale la regola che valeva in Malthus di produttività
media del lavoro decrescente. Nell’economia pre Rivoluzione Industriale si aveva una funzione di
produzione concava, in cui all’aumentare degli input diminuiva progressivamente l’output unitario
prodotto da ogni input. Questa produttività del lavoro decrescente è la LEGGE DEI RENDIMENTI
DECRESCENTI DEL LAVORO.

Dopo la rivoluzione industriale avremo delle funzioni di produzione crescenti (quindi convesse) o
lineari; quindi stiamo rompendo la legge dei rendimenti decrescenti del lavoro.

In economia i salari ri ettono la produttività media del lavoro: a un lavoratore viene corrisposto un
salario che ri ette la sua produttività media del lavoro, per cui se la produttività media del lavoro
pre rivoluzione non cresceva, è evidente che i salari non potevano crescere.
La rivoluzione industriale fa sì che il cambiamento tecnologico aumenti la produttività media del
lavoro, con essa aumentino i salari, aumenti il benessere degli individui e si esca dalla trappola di
Malthus.

ECONOMIE DI SCALA E COSTI


COSTI
Costo Totale= (W*L)+(P*K)

C(Q) è crescente con il crescere dei costi variabili (Lavoro e Capitale) e cioè della quantità
prodotta.

Costi medi (AC)


Il costo medio (Average Cost) è il costo totale per unità di output prodotta.
AC(Q)= C(Q)/Q
Il costo medio è pari alla pendenza della retta che congiunge l’origine degli assi al punto sulla
curva di costo totale corrispondente a quel livello di output realizzabile.

La funzione di costo totale (gra co sx) ha output sulle ascisse e costi totali sulle ordinate, se
dividiamo C(Q)/Q otteniamo il costo medio.
Se immaginiamo di unire tutti i punti (A, B, D) della funzione di costo totale con l’origine degli assi
e immaginiamo di ottenere il valore della pendenza delle rette che uniscono l’origine con i punti
della funzione, possiamo derivare la rappresentazione gra ca della funzione di costo medio
(gra co dx). Essa ha l’output sulle ascisse, e il costo medio di produzione sulle ordinate. Punto A
(20;4.000), dove 4.000 deriva da (80.000/20 del gra co sx) e rappresenta il costo medio. Facendo
questo otterremo sempre un valore (in questo caso nel punto B), dove la funzione smette di

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fi
fl
fl
ffi
fi
fi
fi
fi
ffi
decrescere e inizia a crescere. Questo è il punto di minimo, alla cui dx si osserva un valore
crescente e alla sx un valore decrescente. Il punto di minimo in economia è molto rilevante:
B rappresenta la SCALA EFFICIENTE DI PRODUZIONE: identi ca la quantità generica Q che
può essere prodotta sostenendo il costo medio più basso possibile.
NB: non signi ca che produrre in B massimizza i pro tti.

Costi Marginali (MC)


Il costo marginale (Marginal Cost) è il costo aggiuntivo (piccola variazione di Q) che l’impresa deve
sostenere per produrre un’unità aggiuntiva di output (che ipotizziamo perfettamente divisibile per
semplicità):
MC(Q)= ∂C(Q) / ∂Q
• Produrre un’unità aggiuntiva di output non modi ca i ussi ma solo i costi variabili
• Per qualsiasi livello di output, il costo marginale dell’impresa è pari alla pendenza della curva di
costo totale.
Il costo marginale dice quanto marginalmente variamo i costi se variamo minimante di un ∂Q la
quantità che intendiamo produrre.
In questo caso, a partire da una funzione di costo totale, il costo marginale sarà sempre pari alla
derivata della funzione di costo in ogni punto, cioè all’inclinazione di un’ipotetica una retta
tangente in ogni suo punto.
Gra camente:

Relazione tra MC e AC
•Se MC(Q) < AC(Q), i costi
medi diminuiscono
(tratto AB)

•Se MC(Q) > AC(Q), i costi


medi aumentano
(Tratto BD)

•Se MC(Q) = AC(Q) siamo


nel punto di minimo della
curva di costo medio,
corrispondente alla scala
e ciente di produzione
(punto B)

La curva di costo marginale


e la curva di costo medio si
intersecano nella scala
e ciente di produzione,
cioè il punto di minimo dei
costi medi.

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ffi
ffi
fi
fi
fi
fi
fl
fi
ECONOMIE DI SCALA
Le economie e diseconomie di scala riguardano l’andamento dei costi medi nel lungo periodo.

ECONOMIE DI SCALA: quando aumentando la scala di produzione si possono risparmiare fattori


produttivi per unità di output prodotta (vantaggi tecnologici);

- I costi ssi incidono meno sul costo unitario (vantaggi di costo)


- Le imprese grandi negoziano prezzi minori nei fattori
- Economie di rete
- Costo medio decrescente nell’output

Si ha un’economia di scala ogni volta che aumentando l’output Q, l’impresa riesce a risparmiare i
suoi fattori produttivi.
Guardando i costi di lungo periodo, abbiamo economie di scala quando L e K costano
progressivamente meno.

DISECONOMIE DI SCALA: aumentando la scala output, aumenta meno che proporzionalmente


(es. allargando scala serve maggior L che comporta maggiore monitoraggio e manager; costo
medio crescente rispetto a Q)
Si ha diseconomia di scala quando all’aumentare dell’output, osserviamo un costo medio
crescente, quindi aumenta anziché diminuire.

NO EFFETTI DI SCALA: aumentando la scala produttiva, l’output aumenta della stessa


proporzione (costo medio costante rispetto a Q)

—> l’impresa ha economie di scala quando il suo costo totale aumenta meno che
proporzionalmente all’output.

ECONOMIE DI SCOPO
= Quando un’impresa riesce a risparmiare sui fattori produttivi, per mezzo della produzione
congiunta di prodotti diversi all’interno dello stesso processo produttivo.

Sono dette anche “Economie di diversi cazione”, perché dalla diversi cazione del processo
produttivo l’impresa riesce a bene ciare dell’allargamento della scala produttiva.
Es. impresa che produce contemporaneamente il bene A e il bene B utilizzando lo stesso
processo produttivo.

NB:
• Non dipende dalla scala ma dalla diversi cazione dei processi produttivi
• Entrambe utili a spiega la Rivoluzione Industriale: specializzazione produttiva sfruttando
economie di scala e /o economie di scopo —> aumentando produttività

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fi
fi
fi
fi
CAP 3 - TEORIA DEL CONSUMATORE
TEORIA DELLA PRODUZIONE:
La teoria della produzione permette di analizzare qual è la scelta produttiva dell’impresa, la quale
è vincolata dalla scarsità di risorse e dai suoi vincoli tecnologici.
È vincolata da:
1) Dotazione tecnologica dell’impresa: indica qual è il grado di sostituibilità tra i fattori
produttivi, data la tecnologia dell’impresa. (Analiticamente rappresentata dall’isoquanto di
produzione)
2) Necessità di minimizzare i costi, rappresentato analiticamente dalla retta di isocosto, che
permette di sintetizzare la struttura dei costi di un’impresa, e le permette di scegliere la
combinazione migliore.
La scelta produttiva dell’impresa sarà quella che: stante la sua tecnologia e stante il costo dei
fattori produttivi, che si sintetizza con W/P (rapporto di mercato tra costo salario e costo unitario
capitale), la scelta produttiva dell’impresa è quella in cui la sua capacità tecnologica incrocia il
costo di mercato dei fattori produttivi. L’impresa produce in quel punto secondo la sua scelta
produttiva, perché riesce a far incontrare la sua dotazione tecnologica e il suo costo di mercato.

Cosa riporta la funzione di produzione?

1. PRODUTTIVITÀ o PRODOTTO MARGINALE DEL LAVORO = inclinazione della retta tangente


alla funzione in un punto della funzione di produzione.
2. PRODUTTIVITÀ o PRODOTTO MEDIO DEL LAVORO = inclinazione della retta che unisce
l’origine ad un punto della funzione di produzione.

Cosa ci dice la produttività marginale?

A partire da una generica funzione di produzione di breve periodo (capitale costante), siamo
sempre in grado di tracciare la sua curva di prodotto medio del lavoro, in maniera speculare
rispetto a quello che abbiamo visto per i costi. A partire dalla curva di costo totale, avevamo
derivato la curva di costo medio e la curva di costo marginale.
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Abbiamo una funzione f(L).
• Gra co sx: su Y abbiamo Output e su X Lavoro
• Gra co dx: su Y abbiamo APL e su X Lavoro
Per ogni punto della funzione di produzione si può misurare l’Average Product of Labour (APL):
- In A abbiamo Q/L = 5/10 = 0,5; che nel secondo gra co è A’(10;0,5)
- In B abbiamo Q/L = 25/20 = 1,25; che nel secondo gra co è B’ (20;1,25)
- In C abbiamo Q/L =30/30 = 1; che nel secondo gra co è C’ (30;1)

PRODOTTO o PRODUTTIVITÀ MARGINALE DEL LAVORO (MPL)


Indica la variazione nella quantità di output (∆Q) che deriva dall’utilizzo di un’unità aggiuntiva di
lavoro (∆L). Quindi, a livello di equazione:

MPL = ∆Q / ∆L

∆L è una variazione molto piccola e intorno al punto ci chiediamo come varia l’output a fronte di
una variazione molto piccola nel numero di ore lavorate.
Se volessimo tracciare la curva MPL: si dovrebbe calcolare l’inclinazione delle diverse curve
tangenti ai diversi punti e così si ottengono A’, B’, C’.

Se valutassimo l’inclinazione delle diverse rette tangenti lungo la curva, si noterebbe come
l’inclinazione aumenta no a un certo punto, dal quale inizia a decrescere.

RENDIMENTI MARGINALI
Come varia il prodotto marginale del lavoro, e più generalmente di un qualunque altro input,
quando la quantità di tutti gli altri input è ssa?

Come varia MPL al variare di L, quando K è sso?


3 possibilità di rendimenti marginali:

1) Rendimenti marginali CRESCENTI: MPL aumenta all’aumentare di L.


es. studio: bene ciamo di rendimenti marginali crescenti nel lavoro se lavorando un’ora in
più la produttività marginale del lavoro cresce. Cioè se l’ora in più di lavoro è redditizia.

2) Rendimenti marginali COSTANTI: MPL non varia al variare di L.

3) Rendimenti marginali DECRESCENTI: MPL diminuisce all’aumentare di L


es. lavoriamo un’ora di studio in più, ma la produttività marginale di quell’ora in più è
negativa.

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fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
I rendimenti marginali ri ettono l’andamento della funzione di MPL. (Vedi gra co sopra a dx) nel
tratto crescente, a fronte di un aumento di L si hanno rendimenti marginali crescenti, dopo il punto
di massimo, se aumento L, MPL tende a diminuire, cioè inizia a decrescere.

• Quando l’impiego di lavoro è piccolo, al crescere di L, MPL cresce per un e etto di


specializzazione.
(L < 18 nel gra co di dx)

• Quando l’impiego di lavoro è grande, al crescere di L, MPL, cala per un e etto di ine cienza.
(L > 18 nel gra co di dx)

LEGGE DEI RENDIMENTI MARGINALI DECRESCENTI


= Dopo un certo punto di massimo la produttività marginale dei fattori produttivi diventerà
decrescente.

Se la quantità di tutti gli altri input è ssa, a partire da un certo punto MPL diminuirà:
- Anche se era inizialmente crescente o costante
- Aumenti successivi nell’impiego di un input producono aumenti sempre minori dell’output,
oltre una data quantità di input impiegata

Questo vale per la produttività marginale di tutti gli input (incluso K), sempre ipotizzando che la
quantità degli altri input sia ssa.

A partire da una funzione di produzione siamo in grado di tracciare anche la produttività media del
capitale e la produttività marginale. Anche per il capitale vale la legge dei rendimenti marginali
decrescenti.

Relazione tra APL e MPL


Ricordando che analiticamente in ogni punto della funzione di
produzione di breve periodo:

-APL = inclinazione della retta che congiunge il punto sulla


funzione di produzione con l’origine

-MPL = inclinazione della retta tangente alla funzione di


produzione

—> relazione tra APL e MPL:


• Quando MPL > APL —> APL è crescente (giace al di sotto di MPL)
• Quando MPL < APL—> APL è decrescente (giace al di sopra di MPL)
• Quando MPL = APL —> APL è massimo (interseca MPL e la retta tangente alla funzione di
produzione in questo punto passa per l’origine)

È sempre possibile tracciare le due curve, e relazionarle tra loro secondo una relazione che vale
sempre.

Se si rappresentano insieme le due curve, otteniamo il loro incontro in un punto: MPL interseca
sempre la curva APL nel punto di massimo della funzione di prodotto medio del lavoro (APL).

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fi
fi
fl
fi
fi
ff
fi
ffi
ff
Nel punto di intersezione a livello analitico MPL=APL, quindi il valore della produttività marginale
del lavoro è uguale alla produttività media del lavoro. Si veri ca quando la produttività media del
lavoro è al suo punto di massimo.

LA SCELTA DI CONSUMO
• PREFERENZE: cosa l’individuo desidera acquistare
Gli economisti le assumono come date. Le preferenze si esercitano su combinazioni (o panieri) di
beni. Un bene è qualsiasi oggetto, materiale (un cibo, un capo d’abbigliamento, una macchina) o
immateriale (accesso a internet, una telefonata) il cui utilizzo migliora il benessere di un soggetto
economico.

• VINCOLO DI BILANCIO: cosa l’individuo può permettersi di acquistare

—> SCELTA: l’individuo acquista la combinazione di beni preferita tra quelle che può permettersi
di acquistare.
La scelta dipende quindi dalle preferenze e il vincolo di bilancio. (Azzurro + giallo = verde 🤭 )

Combinazioni di beni
Si rappresentano combinazioni/panieri di beni:
es. panieri con due beni (zuppa, pane)
Il paniere di consumo è indicativo della combinazione di consumo di due beni. Le scelte di
consumo di un consumatore si limitano all’acquisto di due beni (nell’esempio zuppa e pane):
A(3, 2): 3 scodelle di zuppa, 2 etti di pane
B(4, 1): 4 scodelle di zuppa, 1 etto di pane

Un paniere contiene una combinazione di coppie di beni. Vengono rappresentati gra camente in
maniera ordinata su un asse cartesiano:

LE PREFERENZE:
Dati diversi panieri, ipotizziamo che l’individuo sia sempre in grado di scegliere, perché è un
agente economico perfettamente razionale:
• L’individuo preferisce A a B (A ≻ B)
• L’individuo preferisce B ad A (B ≻ A)
• L’individuo è indi erente tra A e B (A~B)
In realtà vi sarebbe un’altra possibilità: l’individuo non è in grado di scegliere. Ma noi non vedremo
questo caso!

Esistono dei princìpi che guidano le scelte dei consumatori:

PRINCIPIO DI COMPLETEZZA: quando gli vengono proposti due panieri il consumatore è sempre
in grado di dire quale preferisce o se è indi erente tra i due. Quindi vale sempre una delle tre
alternative elencate.

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ff
ff
fi
fi
PRINCIPIO DI TRANSITIVITÀ:
Se A è preferito a B, B è preferito a C, allora A è preferito a C
Se A ≻ B; B ≻ C; allora A ≻ C

PRINCIPIO DI NON SAZIETÀ:


Il consumatore non è mai sazio: un paniere contenente una quantità maggiore di uno dei due
beni, a parità dell’altro, è sempre preferito ad un paniere che ne contiene una quantità inferiore:
(4,2) preferito a (3,2)

Qualunque paniere nel giallo contiene almeno un’unità in meno di uno dei due beni. Il
consumatore non sceglierà mai i panieri nel giallo.
Il consumatore sceglierà sempre un paniere nell’area blu, perché ha sicuramente più unità di
consumo di pane e/o di zuppa.
Nelle aree con i punti di domanda non sappiamo cosa preferisce il consumatore, quindi si parlerà
di INDIFFERENZA DEL CONSUMATORE.

CURVA DI INDIFFERENZA

A (2;10) B(1;15)
Se uniamo tutti i punti in cui il consumatore è indi erente ai panieri di consumo otteniamo una
curva di indi erenza (in blu). Essa unisce tutte le combinazioni di beni, cui il consumatore è
indi erente nelle scelte di consumo.
Se ci spostiamo lungo la curva siamo in grado di quanti care quanto il consumatore è disposto a
scambiare un bene con un altro per avere lo stesso benessere. Se immaginiamo di chiedere al
consumatore “Se ti tolgo 1 scodella di zuppa (da 2 a 1), quanti etti di pane in più vuoi per la avere
la stessa soddisfazione del paniere A?” La risposta è 5, cioè la di erenza tra 15-10.
B è indi erente ad A.
Sappiamo che tutti i panieri a nord est (+) sono preferiti ad A e quelli a sud ovest (-) sono meno
preferiti rispetto ad A.
Così trovo che per il consumatore il paniere B(1;15) è indi erente ad A: A ~ B

La curva di indi erenza è l’insieme di tutti i panieri che sono indi erenti tra loro.

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ff
ff
ff
ff
ff
fi
ff
ff
ff
NB: a nché si possa parlare di curva, dobbiamo
ammettere che anche frazioni di beni siano scambiabili.
Altrimenti gli insiemi di tutti i panieri di beni indi erenti
fra loro sarebbero composti dai soli punti: A, B, C, D, E.

FAMIGLIA DI CURVE DI INDIFFERENZA: è un insieme di


curve che rappresentano il sistema di preferenze di un
individuo.
(Quelle più lontane dall’origine per il principio di non sazietà
sono preferite, perché danno un’utilità maggiore al
consumatore).
La curva F mostra quantità maggiori sia di pane che di zuppa.

PENDENZA
In generale, la pendenza di una curva è data dal rapporto tra la variazione della grandezza sulle
ordinate e la variazione della grandezza sulle ascisse:

∆Y / ∆X

Se la curva è espressa da una funzione derogabile Y=f(x); la pendenza è data da y’, cioè dalla
derivata prima della funzione y.

Se vale il principio di non sazietà, se aumenta la quantità di consumo di un bene deve diminuire
quella dell’altro perché il consumatore sia indi erente: pendenza negativa.

SAGGIO MARGINALE DI SOSTITUZIONE


MRS: è il rapporto al quale il consumatore è disposto a scambiare un’unità di x con un unità di y,
rimanendo sulla stessa curva di indi erenza.

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ffi
ff
ff
ff
Identi ca a livello gra co la pendenza della curva di indi erenza in ogni suo punto. È dato dal
rapporto ∆Y/∆X, cioè le variazioni di consumo del bene su y e del bene su x.

A livello economico identi ca il rapporto al quale il consumatore è disposto a rinunciare a un’unità


del bene x, a favore di unità del bene y. È il rapporto di scambio che permette di rimanere sulla
stessa curva di indi erenza.

Esempio:
Nel passaggio da A a B identi chiamo MRS= 6, quindi:
Per avere 1 scodella di zuppa (1 unità di x) in più sono disposto a rinunciare a 6 etti di pane (unità
di y), rimanendo sulla stessa curva di indi erenza. In altri termini, per me 1 scodella di zuppa (1
unità di x) in più vale MRS etti di pane (MRS unità di y) in meno.
Più ci si muove verso destra, meno pane mi serve per compensare eventuali rinunce.

Curve più o meno inclinate identi cano più o meno disponibilità di scambio tra i beni di consumo.
Il punto tra le diverse curve è l’utilità.
Lungo la curva il benessere del consumatore è costante, nonostante scelga diverse combinazioni
di beni.

21.03.2022
Lungo una curva
Non varia l’utilità complessiva, ma varia l’Utilità Marginale (MU), generata da variazioni piccole nel
consumo di uno dei due beni.

Spostandoci da sinistra a destra, lungo la curva:


1) Aumenta l’utilità perché si consuma una quantità maggiore del bene x
2) Diminuisce l’utilità perché si consuma una quantità minore del bene y
—> quindi
MRS = -dy / dx = MUx / MUy

Se ci muoviamo lungo una curva di indi erenza l’utilità complessiva non varia. Nei diversi punti
della curva stiamo associando un’utilità più scaturita da un bene o più scaturita da un altro bene.
Più consumiamo pane, più il livello di utilità è generato dalla componente pane.

Esempio:

x: ore di tempo libero


y: voto nale conseguito all’esame
Tracciando le diverse combinazioni siamo arrivati alle curve di indi erenza di un consumatore.
Siamo sempre ragionando in termini di scarsità di risorse.
Trade O : compromesso derivante dalla scarsità di risorse. Non si possono avere quantità
massime di entrambi i beni. Se vogliamo il massimo voto dobbiamo rinunciare a ore di tempo
libero.

25
fi
fi
f
ff
fi
fi
fi
fi
ff
ff
ff
ff
INDIVIDUI CON DIVERSE PREFERENZE
Se comparassimo le preferenze di un gruppo di persone, sicuramente avremmo diverse
preferenze, quindi diverse combinazioni di tempo libero e voto.
In economia sono rappresentate attraverso curve di indi erenza diverse.

Esempio:

L’individuo arancione ha preferenze diverse dall’individuo blu.


Guardando queste curve possiamo de nire quali sono le preferenze:
- A parità di dx (tratto AD=AD’), dy è maggiore per blu che per arancio, quindi ∆T è analogo.
- Blu sacri ca più volentieri voti e meno volentieri tempo libero di arancione.
Immaginiamo ∆T per i due consumatori uguale: per aumentare tempo libero devono rinunciare al
voto nale.
Da A a D’ —> ∆D’
La variazione osservata sul voto nale è molto diversa. Per il consumatore blu la rinuncia al voto
nale è molto maggiore che per il consumatore arancio, perché AD è molto più grande di ∆D’ sulle
y.
Tra i due consumatori il consumatore arancio, poiché è poco disponibile a rinunciare al voto,
esprime una preferenza verso il voto nale; mentre il consumatore blu è disposto a rinunciare al
voto a favore del tempo libero.

I VINCOLI
Come sceglie il consumatore tra i diversi panieri?

VINCOLO DI BILANCIO
Identi ca ciò che il consumatore può permettersi di acquistare.
È rappresentato da una retta che identi ca tutti i panieri che il consumatore può acquistare
—> PANIERI ACCESSIBILI

Il consumatore sceglie tra due beni:


1) x, che ha prezzo unitario px —> la spesa per l’acquisto del bene x è px*x
2) y, che ha prezzo unitario py —> la spesa per l’acquisto del bene y è py*y

Il reddito di cui dispone il consumatore è M, quindi può permettersi tutti i panieri che non costano
più di M, ovvero che soddisfano il VINCOLO:
px*x + py*y ≤ M

Se spende tutto il reddito, allora:


px*x + py*y = M

Price Taker= si prende il prezzo di mercato come dato e non si può modi care.

Lungo il vincolo di bilancio si ipotizza che il consumatore spenda tutto il reddito per l’acquisto di
beni.

26
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
ff
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L’area sotto e sulla retta di bilancio rappresenta l’insieme
dei panieri accessibili (detti anche ammissibili), non
spendendo tutto il reddito disponibile.
• Sotto la retta non spendo tutto il reddito:
Pxx + pyy < M

• Sopra la retta la spesa è superiore al reddito, quindi i


panieri appartenenti a tale area non possono essere
acquistati.

PENDENZA
La pendenza è una variabile cruciale: px/py identi ca il rapporto tra i due prezzi, ovvero il prezzo
relativo del bene x in termini del bene y.
Px/py= identi ca a quale tasso di mercato il consumatore può sostituire il bene x con il bene y,
mantenendo costante la spesa complessiva.

La pendenza, in valore assoluto, cioè |px/py|, ha un importante signi cato economico.


Px/py esprime il prezzo relativo di x in termini di y, cioè indica a quale tasso il consumatore può
sostituire sul mercato x con y mantenendo invariata la spesa.
- es. px=6; py=3 —> px/py=2
- Sul mercato posso sostituire 1 unità di x con 2 unità di y (mantenendo invariata la spesa
complessiva)
In generale: 1 unità di x, sul mercato, vale sempre px/py unità di y
px/py è una misura oggettiva che esprime il costo-opportunità tra i due beni.

La pendenza ci fa capire qual è il costo per il consumatore per l’utilizzo alternativo del reddito in
favore dell’acquisto di unità del bene x piuttosto che unità del bene y.

Da che il vincolo di bilancio si costruisce come una relazione tra y e x, relazione de nita dai valori
nell’equazione.
(Non consideriamo l’intercetta): Y = (-px/py)*X
px/py indica il costo opportunità derivante dall’utilizzo alternativo del proprio reddito qualora si
consumasse y o x. Immaginiamo di aumentare x. Per stare lungo lo stesso vincolo di bilancio, se
aumento x devo necessariamente rinunciare a y.
Se aumento x di 1 (quindi ∆x=1) l’equazione avrà che y= -px/py*∆1. Stante l’equazione che
abbiamo tracciato vale sempre che ciò che lega x e y è il coe ciente angolare. Qualunque
incremento unitario ∆1 sulla x genera una variazione in y pari a -px/py.

27
fi
fi
ffi
fi
fi
Se varia il reddito del consumatore varia uno degli elementi
costitutivi del reddito di bilancio. Avremo uno slittamento del
vincolo di bilancio o verso l’alto o verso il basso.

•Se aumenta il reddito M’>M avremo che il vincolo di bilancio


trasla verso l’alto.

•Se diminuisce il reddito M’’<M il vincolo di bilancio trasla


verso sinistra.

In entrambi i casi cambiano le intercette, ma non cambia la


pendenza (-p x /p y ) —> la retta di bilancio si sposta
parallelamente.

Se varia prezzo relativo x:


• Se px aumenta: la retta di bilancio ruota verso l’interno,
intorno all’intercetta verticale —> le possibilità di
consumo si contraggono

• Se px diminuisce: la retta di bilancio ruota verso


l’esterno, intorno all’intercetta verticale —> le possibilità
di consumo si espandono

In entrambi i casi cambiano la pendenza e l’intercetta


orizzontale —> la retta di bilancio ruota

Se varia prezzo relativo y:


•Se py aumenta: p’y>py: la retta di bilancio ruota verso
l’interno, intorno all’intercetta orizzontale —> le possibilità
di consumo di contraggono

•Se py diminuisce: p’’y<py: la retta di bilancio ruota verso


l’esterno, intorno all’intercetta orizzontale—> le possibilità
di consumo di espandono

In entrambi i casi, cambiano la pendenza e l’intercetta


verticale —> la retta di bilancio ruota

28
LA SCELTA DI CONSUMO
Date le preferenze ed il vincolo di bilancio

Equilibrio:
• Preferenze: il consumatore vorrebbe un paniere che stia sulla curva di indi erenza più alta
possibile (utilità maggiore)
• Vincolo di bilancio: il consumatore può acquistare i panieri che stanno sulla retta di bilancio o
sotto di essa

• Il consumatore sceglierà quel paniere che gli permette di raggiungere la curva di indi erenza più
alta possibile stando sulla retta di bilancio (principio di non-sazietà)
• Il paniere scelto è:
- Ottimo: massimizza l’utilità (il benessere) del consumatore dato il vincolo di bilancio
- Di equilibrio: il consumatore, scelto questo paniere, non ha incentivo a modi care la sua
scelta

Equilibrio gra co
Se immaginiamo di tracciare un vincolo di bilancio in rosso e diverse curve di indi erenza,
possiamo per esclusione determinare quali sono i punti
di equilibrio e quali non lo sono:
•Il punto a non è in equilibrio.
•Il punto b non è in equilibrio.
•Tra b e c vediamo che c dà benessere maggiore, pur
spendendo il reddito.
•Il processo termina nel punto E, di tangenza tra curva
di indi erenza e il vincolo di bilancio.
Nel punto E il consumatore sta spendendo tutto il
reddito per l’acquisto di un paniere, massimizzando la
sua utilità.
Nel punto E siamo certi di soddisfare i requisiti sulle
preferenze e sui vincoli di bilancio imposti all’inizio del
problema.
La scelta di consumo è determinata dalla tangenza tra la
curva di indi erenza e il vincolo di bilancio.

Si può arrivare alla stessa conclusione con la regola di non sovrapposizione.


L’equilibrio è quel punto che si viene a determinare non avendo aree di sovrapposizione tra l’area
al di sotto il vincolo di bilancio e l’area che sta alla destra della curva di indi erenza.
Nel gra co di dx C e D non sono equilibri, quindi l’unico equilibrio è in E, dove si veri ca la
condizione di tangenza tra le due curve.

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Interpretazione economica
In equilibrio MRS (inclinazione curva indi erenza) = px/py (inclinazione vincolo di bilancio)
- se MRS ≠ px/py il consumatore non è in equilibrio, cioè non sta massimizzando la sua utilità
Condizione di tangenza: MRS: rapporto a cui il consumatore è disposto a scambiare x con y: per
il consumatore 1 unità di x vale MRS unità di y.

Nel punto E abbiamo che l’inclinazione della curva di indi erenza eguaglia l’inclinazione del
vincolo di bilancio, il quale è tangente alla curva di indi erenza in quel punto.
Quindi, nel punto E il saggio marginale di sostituzione (pendenza curva di indi erenza) eguaglia il
rapporto tra px/py (pendenza vincolo di bilancio).

Px/py= rapporto oggettivo di mercato di scambio dei due beni


Il saggio marginale di sostituzione (inclinazione curva di indi erenza) identi ca il tasso di
sostituzione soggettivo per il consumatore, date le sue preferenze di consumo.
Se siamo in equilibrio MRS = px/py: si veri ca l’eguaglianza tra le valutazioni soggettive di
preferenza del consumatore con le valutazioni oggettive di mercato identi cate dal rapporto tra i
prezzi dei beni. Il punto di equilibrio permette di relazionare in maniera univoca MRS con px/py, da
che nel punto di equilibrio MRS=px/py, quindi ci sarà eguaglianza tra soggettività delle preferenze
del consumatore e oggettività dei vincoli di mercato.

px/py: rapporto a cui il consumatore può scambiare x con y: sul mercato 1 unità di x vale px/py

Se non fossimo in equilibrio (MRS>px/py) avremmo una non corrispondenza tra le preferenze
soggettive del consumatore e il rapporto oggettivo di mercato:
Se MRS > px/py: per il consumatore 1 unità di x vale di più di quanto quella stessa unità di x vale
per il mercato —> il consumatore sarà incentivato a comprare più unità di x, cedendo unità di y.
- es. se MRS=4 e px/py=1
- Per 1 unità di x in più è disposto a rinunciare a 4 unità di y
- Sul mercato per 1 unità di x in più, devo rinunciare solo a 1 unità di y; perché px/py=1
—> Cedo y, compro x: non sono in equilibrio

Quando non c’è eguaglianza tra le due signi ca che o il consumatore o il mercato valuta di più
uno dei due beni:
• Se MRS>px/py è il consumatore che valuta di più uno dei due beni; perciò il consumatore non
può essere in equilibrio
• Se MRS<px/py: il tasso a cui il consumatore è disposto a rinunciare un bene è minore del tasso
oggettivo di mercato

VARIAZIONI EQUILIBRIO
Le condizioni economiche (prezzi e reddito) cambiano spesso e ciò ci induce a modi care il
nostro comportamento.
Per capire come, bisogna stabilire qual era il paniere prima del cambiamento e confrontarlo con il
paniere scelto dopo il cambiamento, cioè dobbiamo confrontare i due panieri di equilibrio.

Ci concentriamo sulla domanda di x e consideriamo tre possibilità:


1. Varia il prezzo del bene (x)
2. Varia il prezzo dell’altro bene (y) - dipende da tipo di bene (sostituto, complementare,
incorrelato (non la vedremo)
3. Varia il reddito

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1 - VARIA IL PREZZO DEL BENE X (Px)
Quando il prezzo del bene x è p1, la retta di bilancio è R1 e l’equilibrio è in
E1.

Se il prezzo del bene varia diminuendo si passa da p1 a p2, e si osserva


una rotazione del vincolo di bilancio verso dx. La retta di bilancio diventa
R2 e l’equilibrio è in E2.

Nell’esempio, aumenta la quantità domandata sia di x che di y.

Questa non è una regola che si può generalizzare, ci si potrebbe trovare in un’altra situazione di
equilibrio, come in questo gra co:
A partire da una situazione iniziale in nero e immaginando una
diminuzione di px, si arriva alla situazione in rosso. E2 non è associato a
maggior consumo e maggiore domanda di x.
È possibile che la quantità domandata di x non aumenti a fronte di una
diminuzione di px.

Vi sono dei casi in cui la domanda del bene x rimane invariata o


addirittura cala a fronte di una riduzione di px.
Si deve scomporre l’e etto prezzo nelle sue componenti: si scompone
in reddito e sostituzione. Questo ci permetterà di comprendere perché
potremmo trovarci in una situazione come quella rappresentata.

CURVA PREZZO CONSUMO

La curva che unisce i panieri di equilibrio al variare del prezzo di x è detta curva prezzo-consumo
per il bene x.
Se tracciassimo una curva (in blu) che riesce ad unire tutti i punti di equilibrio che si vengono a
determinare quando varia il prezzo del bene x, otteniamo una curva che è chiamata CURVA
PREZZO CONSUMO PER IL BENE X, che mette in relazione i livelli di x con i diversi livelli di
prezzo del bene x.

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Questa variazione sostituisce il passaggio intermedio per determinare una seconda funzione che
è la curva di domanda del bene x (identi ca la domanda di mercato del bene, per diversi livelli di
prezzo di quel bene):

Immaginando di partire dalla situazione mostrata, a partire da questo gra co siamo sempre in
grado di trasporre in un secondo gra co la curva di domanda di un bene riportando sulle ascisse
la quantità domandata del bene x, quello che varia sono le ordinate. A partire dalla curva prezzo
consumo ci spostiamo nel gra co di destra, mettendo sulle ordinate il prezzo di x, precisamente si
riportano i valori di x e di px associati a punti di equilibrio nel gra co di sinistra.
Se (x1;Y1) lo riportiamo a dx avremo un p1, associato a x1;y1 e avremo un primo punto della curva
di domanda.

Se diminuisce il prezzo del bene x, la quantità domandata aumenta:


A destra si deve trovare un secondo punto che relazioni prezzo e quantità domandata.
Il prezzo nel passaggio da rette in nero a rette in rosso è diminuito.
Il secondo punto di equilibrio ha un valore x2 maggiore di quello iniziale associato a prezzi p2
inferiore a quello iniziale.

CURVA DI DOMANDA
La CURVA DI DOMANDA rappresenta la quantità del bene x che il consumatore vuole consumare
in corrispondenza di ciascun prezzo di x, ceteris paribus (a parità di condizioni, cioè reddito e
prezzo degli altri beni py costante).
Per la legge della domanda, tipicamente la curva di domanda individuale di un bene ha
inclinazione negativa, poiché tipicamente se il prezzo diminuisce, aumenta la domanda.

Dalla curva individuale di singoli consumatori aggregandole orizzontalmente otteniamo la curva di


domanda di mercato. Se immaginassimo di trovarci in una stanza e tracciare per ognuno dei
componenti una curva di domanda, otterremo curve di domanda diverse. Aggregando tutti i
consumatori nella stanza otterremmo per semplice aggregazione orizzontale la curva di domanda
di mercato, che è la somma delle parti che la costituiscono.

SE AUMENTA IL PREZZO DEL BENE X AUMENTA O DIMINUISCE IL CONSUMO DI X?


• Quando il prezzo di un bene diminuisce (aumenta), si producono due e etti che in uenzano la
domanda “del bene”:
- quel bene diventa relativamente più economico (costoso) rispetto agli altri beni (cambia il
saggio al quale si può scambiare un bene con l’altro)
- Il potere d’acquisto dei consumatori aumenta (diminuisce)
• Si possono quindi distinguere:
- E etto sostituzione (ES): variazione della domanda di un bene per e etto della variazione
del rapporto tra i prezzi relativi dei due beni (a parità di potere d’acquisto)
- E etto reddito (ER): variazione della domanda per e etto del mutato potere d’acquisto (a
parità di prezzi relativi). (Diminuisce il prezzo di uno dei due beni e aumenta il potere
d’acquisto dei consumatori, quindi per il mutato potere d’acquisto cambieranno le scelte di
acquisto del consumatore)
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Sebbene i due e etti avvengano simultaneamente, è utile analizzarli separatamente:
EFFETTO SOSTITUZIONE
L’e etto sostituzione opera in senso opposto rispetto alla variazione di prezzo intervenuta:
• se il prezzo diminuisce la quantità di x domandata aumenta
• se il prezzo aumenta, la quantità domandata diminuisce
Se si veri casse solo l’e etto sostituzione avremmo sempre la situazione sopra descritta della
legge della domanda. Quindi la curva di domanda sarebbe sempre negativamente inclinata.

EFFETTO REDDITO
= variazione in x determinata dalla variazione del potere d’acquisto del consumatore
Non agisce sempre nella stessa direzione.

Per capire quale sarà la direzione bisogna guardare alla natura del bene considerato:
Beni normali e beni non normali hanno direzioni opposte:
- Beni normali—> tutti i beni per cui l’e etto reddito operi come l’e etto sostituzione (direzione
opposta rispetto alla variazione avvenuta nel prezzo)
- Beni inferiori —> beni per cui la variazione nella quantità domandata ha la stessa direzione
della variazione osservata nel prezzo. Sono tutti i beni per cui aumenta la quantità domandata
se aumenta il prezzo di quel bene, violando di fatto la legge della domanda.
es. un bene per cui si veri ca una violazione della legge della domanda
Alcuni beni che consumeremmo solo per dati livelli di reddito, es. biglietto autobus, si
possono acquistare se aumenta il potere d’acquisto, però a un certo punto il consumatore
diventa ricco e smette di comprare i biglietti dell’autobus, e utilizza il mezzo proprio.
Questo rende il biglietto dell’autobus un bene per cui a un certo punto verrà violata la
legge della domanda.

Beni normali—> vale sempre la legge della domanda


Beni inferiori —> e etto sostituzione stabile; e etto reddito ha la stessa direzione della variazione
di prezzo intervenuta (aumenta prezzo, aumenta quantità domandata; diminuisce prezzo,
diminuisce quantità domandata)

Se l’e etto reddito > e etto sostituzione (nei beni inferiori) si veri ca una totale violazione della
legge della domanda.
BENI DI GIFFEN: permettono di mappare una situazione in cui aumenta la quantità domandata
anche quando ne è aumentato il prezzo

24.03.2022
3- VARIA IL REDDITO
Se aumenta il reddito: il vincolo di bilancio trasla verso destra, aumenta l’area che coincide con i
panieri accessibili. Se diminuisce trasla a sinistra verso l’origine degli assi.
Se si parla di reddito la curva si de nisce CURVA REDDITO-CONSUMO, che serve per ricavare
la CURVA DI ENGEL: si ricava a partire dalla curva reddito-consumo immaginando di far variare i
panieri di equilibrio a fronte della variazione di reddito del consumatore. Misura la quantità di x

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che il consumatore comanda al variare del reddito disponibile, a parità di altre condizioni (uniche
variabili: reddito disponibile e quantità domandata).

Curva reddito consumo:


Si parte da E1, immaginiamo di aumentare il reddito traslando il vincolo di bilancio verso dx, si
individua E2, poi E3 con altro aumento di reddito.
Unendo i punti di equilibrio si ottiene la curva in viola (CURVA REDDITO CONSUMO).

CURVA DI ENGEL BENI NORMALI: variabili: quantità X e reddito disponibile M.


La curva di Engel si costruisce come la curva di mercato. Si riporta x sulle ascisse in
corrispondenza di E1 ed E2, a dx riportiamo x1 minore di x2. Con riferimento al reddito abbiamo
ipotizzato che aumentasse da M1 a M2. Sulla destra riportiamo M2 che è maggiore di M1. Se
uniamo i punti (x1;M1) e (X2; M2) otteniamo i primi due punti della curva di Engel.

Nel caso dei beni normali (quantità aumenta con l’aumentare del reddito disponibile): si ottiene
una curva inclinata positivamente.

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CURVA DI ENGEL BENI INFERIORI: all’aumento del reddito disponibile la quantità domandata
decresce, quindi si ottiene una curva di Engel inclinata negativamente.

Se il reddito varia si possono avere due scenari:


1) Quantità aumenta, se bene normale
2) Quantità diminuisce, se bene inferiore

Un bene non è mai sempre inferiore, non esiste un bene inferiore per tutti i consumatori, ma lo
può diventare per dati valori di reddito.
Tutti i beni inferiori sono inferiori a un certo punto.
I beni sono normali e poi sono normali a un certo punto e diventano inferiori a un altro.

Se aumenta il prezzo del bene x: il prezzo relativo di x aumenta e per e etto sostituzione
aumenterà la quantità del bene domandata.

Se aumenta il prezzo di x: diminuisce il potere d'acquisto del consumatore e, per e etto reddito,
aumenta la quantità domandata di X solo se X è un bene inferiore.

DALLA SCELTA DI CONSUMO ALLA SCELTA DI


LAVORO
Nel mercato del lavoro i consumatori scelgono di destinare quote del loro tempo al lavoro,
ricevendo un salario.

Il modello d’o erta del lavoro è declinato in un modello di domanda di tempo libero.
O erta di lavoro= scelta dei consumatori di vendere unità orarie di tempo alle imprese che
richiedono tali fattori produttivi per ricevere un salario W.
Il lavoro non è un bene che l’individuo consuma nel mercato, perché il consumatore non acquista
i servizi lavorativi, ma li o re al mercato. Il lavoro è un male, perché più si o re lavoro, meno
tempo libero si avrà. Il tempo libero è un bene. Il lavoro è un male.
A partire dalla domanda di tempo libero deriveremo l’o erta di lavoro.
La domanda di tempo libero è l’altra faccia della medaglia dell’o erta di lavoro.

x= ore di tempo libero


y= C = tutti i beni di consumo che il consumatore vuole acquistare in un dato periodo di tempo.
Per consumare questi beni il consumatore deve percepire un reddito, perciò deve o rire servizi
lavorativi alle imprese, rinunciando al tempo libero.
Trade O : Più tempo libero voglio, meno beni posso acquistare. Meno tempo libero voglio, più
beni posso acquistare perché sto lavorando di più. Quindi la scelta è: quanto tempo libero voglio
avere e quanto voglio consumare.
Ore di tempo libero = tot ore a disposizione - ore di lavoro
A partire da questa equazione si modellano la domanda di tempo libero e le ore di lavoro.

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Quindi, la scelta dell’individuo è il paniere: tempo libero-consumo che preferisce e che
massimizza la propria utilità.

NOTAZIONE:
T : dotazione di tempo (ore totali)
N: ore dedicate al tempo libero
L = T - N : ore dedicate al lavoro
C: consumo di “tutti gli altri beni” (bene composito)

p: prezzo di C (indicatore dei prezzi al consumo)


w: salario reale orario (costo opportunità di N)
∏ : altri redditi (redditi non da lavoro)

• C ed n sono i due beni di consumo, su cui e ettuare la scelta - la funzione di U e le relative


curve di indi erenza già viste descrivono anche qui le preferenze individuali
• Determinato N —> l’o erta di lavoro (quantità di ore di lavoro o erte dal consumatore) si trova
come: L = T - N
Bisogna considerare che l’individuo possa consumare senza guadagnare. —> ∏

VINCOLO DI BILANCIO:
Un individuo può consumare quanto reddito ha a disposizione.
La spesa totale dell’individuo è: pC ≤ wL + ∏ = M

M dipende quindi da: reddito da lavoro + un’eventuale rendita


Quindi, secondo il vincolo di bilancio spendo in base a quanto dispongo: wL + ∏
Sulle ascisse abbiamo le ore di tempo libero, dato T come limite massimo fruibile.

Da sx a dx abbiamo le ore di tempo libero, cioè N.


Poiché le ore di lavoro L sono T - N, vuol dire che se leggiamo
da dx a sx, leggiamo la di erenza tra T - N ovvero le ore di
lavoro.

Il lavoratore non può lavorare più di T.


Se c’è una rendita in A possiamo consumare una certa quantità
di beni pur non lavorando, perché A è associato a T, quindi le
ore in A sono le ore di tempo libero massimo che un individuo
può avere a disposizione.
Per tutte le altre possibilità avremo una serie di panieri
accessibili (sotto la retta di bilancio) e di panieri non accessibili
(sopra la retta).
Inclinazione: -w/p

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Se riceveste un aumento di salario del 100% scegliereste di lavorare di più o di meno (favorendo
tempo libero)?
Più aumenta il salario, più il lavoratore che sceglie il tempo
libero, sceglie di rinunciare a parte del salario. Più è alto w
meno salario si riceve se non si lavora, quindi più costa il tempo
libero.

EFFETTO PREZZO: SOSTITUZIONE E REDDITO


Perché individui diversi rispondono diversamente a variazioni di salario?—> è possibile capirlo
scomponendo l’e etto di variazione di salario (e etto prezzo), scomponendolo in e etto
sostituzione ed e etto reddito.

• Una variazione del salario sposta il paniere ottimo.


• L’aumento del salario sta rendendo il lavoratore più ricco, mentre l’aumento di prezzi rendeva il
lavoratore più povero (nel modello del sistema dei prezzi).
• Se il salario w aumenta, aumenta potenzialmente il reddito del lavoratore, quindi aumenta il
potere d’acquisto
• Si inverte la lettura dell’e etto reddito
• A seguito dell’aumento del salario un lavoratore può decidere di lavorare di più o di meno
(diminuire o aumentare il suo tempo libero)
—> l’aumento del salario può essere vissuto come uno stimolo che fa lavorare di più (diminuisce
N)
—>viceversa il lavoratore può decidere di lavorare meno perché per mantenere il suo livello di
consumo sono necessarie meno ore di lavoro (aumenta N)

Si può scomporre l’e etto prezzo:


• EFFETTO SOSTITUZIONE: una variazione del salario varia i prezzi relativi dei due beni. Il
consumatore scambia unità del bene più caro con unità del bene più economico. Rispetta la
legge della domanda. Per e etto sostituzione:
- se il salario aumenta —> diminuisce N, cioè tempo libero;
- se il salario diminuisce —> aumenta N
• EFFETTO REDDITO: quota di e etto prezzo dovuto alla variazione del potere d’acquisto del
lavoratore.
- Se aumenta il salario il consumatore è più ricco, quindi aumenta il suo potere d’acquisto
- Se il salario diminuisce, il consumatore diventa più povero, quindi diminuisce il suo
potere d’acquisto
Il tempo libero può essere un bene normale o un bene inferiore in base ai livelli di reddito.
Segno opposto rispetto a lezione precedente che varia da individuo a individuo, a seconda delle
singole valutazioni che un individuo sta facendo.

Complessivamente se abbiamo un aumento di salario w osserveremo un aumento dell’o erta di


lavoro L, con riduzione di tempo libero N.
Ma, può succedere che l’aumento di salario può ridurre l’o erta di lavoro, quando l’e etto reddito
è prevalente (e etto reddito che aveva segno opposto rispetto ai beni di consumo). Succede
quando l’aumento del salario, aumentando il potere d’acquisto del consumatore, fa scegliere di
aumentare il tempo libero, anziché le ore di tempo lavorate.

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Se tracciassimo la curva di lavoro per diversi lavoratori, otterremmo che l’o erta di lavoro non
seguirà più la legge di domanda, ma andrà all’opposto assumendo una curva a gomito (backward
bending), a ermando che prevarrà la componente e etto reddito sulla componente e etto
sostituzione. L’aumento di salario determinerà un aumento dell’o erta di lavoro.
Quindi a un certo punto tracceremo la curva di o erta di lavoro che assume la forma a gomito,
che permette di spiegare quello che succede nei diversi Paesi da considerare.

Per livelli di reddito bassi, l’aumento del salario w farà aumentare l’o erta di lavoro. Quando i livelli
di reddito sono medio-alti l’individuo può scegliere di considerare la domanda di tempo libero
rinunciabile, rendendolo un bene inferiore.

La forma a gomito deriva dalla di erenza di segno di e etto sostituzione ed e etto reddito.
Da A si aumenta il salario w e si arriva a B, l’aumento di salario ha determinato una riduzione di
tempo libero. Inizialmente l’aumento di salario ha determinato che N è diminuito ed L è
aumentato; a un certo punto succederà l’opposto: a fronte di un aumento di salario, avremo un
nuovo punto di equilibrio C, che non è più associato ad aumento di tempo libero, il punto C è
associato a tempo libero inferiore a B.
Da B a C aumenta il salario, ma diminuisce il tempo libero, quindi aumenterà l’o erta di lavoro.
Unendo i diversi punti si ottiene la curva prezzo consumo.

Dalla curva prezzo consumo, si può tracciare la CURVA DOMANDA-TEMPO LIBERO:

Poiché abbiamo osservato che da A a B vediamo che il tempo libero è ridotto, a fronte
dell’aumento di salario. Da B a C è aumentato il salario ed era riaumentata la domanda di tempo
libero.

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Dalla curva domanda tempo libero, si può derivare la CURVA DELL’OFFERTA DI LAVORO:

Si mantengono le stesse ordinate, cioè gli stessi livelli di salario, ma cambia l’ordine in cui si
leggono le ascisse. Adesso il lavoro si legge da dx a sx.
Quindi A’’ ha in ascissa ha un valore T - 9 (cioè ore di tempo libero associate ad A).
A’’ è associato allo stesso livello di salario, ma in ascissa ha un valore T - 9.

Nell’o erta di lavoro il salario aumenta il potere d’acquisto.


Variazioni di prezzo del bene, fanno calare il reddito disponibile.
Il tempo libero potrebbe diventare un bene inferiore per alcuni consumatori.

Se il salario w aumenta, per e etto sostituzione: aumenta il costo opportunità del tempo libero e
diminuisce la domanda di tempo libero, aumentando l’o erta di lavoro.

Se il salario aumenta, per e etto reddito: aumenta il potere d’acquisto del lavoratore: N aumenta
se è un bene normale (diminuendo l’o erta di L).

Se il salario aumenta, aumenta l’o erta di lavoro se (indicare la sbagliata): N è un bene normale ed
e etto reddito è maggiore di e etto sostituzione.

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CAP 4 - LE INTERAZIONI TRA AGENTI
TEORIA DEI GIOCHI
Serve a spiegare le interazioni tra agenti e spiegare l’emergere di comportamenti opportunistici o
non opportunistici.
Gli agenti economici interagiscono tra loro nei mercati, e la teoria dei giochi permette di capire
l’outcome nale quando gli agenti interagiscono.

Verranno analizzate scelte dei singoli che in uiscono sul benessere degli altri.

Si parla di teoria dei giochi quando vi è interazione tra agenti e il risultato nale dipende dalle
scelte di un soggetto che dipendono anche dalle scelte dell’altro soggetto.

L’oggetto di analisi sono le SCELTE ECONOMICHE.


Quando vi è interazione strategica il problema è che l’outcome nale dipende anche da un
comportamento di altri individui con cui interagiamo nel mercato.
Gli individui devono riconoscere i propri vincoli e devono crearsi delle ASPETTATIVE su cosa
sceglieranno gli altri agenti economici con cui il singolo consumatore deve interagire.

Abbiamo poi in niti giochi disponibili:


- Giochi cooperativi: in cui gli agenti possono mettersi d’accordo sulla scelta nale da perseguire
- Giochi non cooperativi: non è previsto che gli attori cooperino tra loro
Nei giochi non cooperativi abbiamo:
- Giochi a uno stadio (a mosse simultanee): la scelta viene e ettuata indipendentemente dalle
scelte dell’altro attore (es. carta-forbice-sasso)
- Giochi a più stadi (o dinamici): quando almeno uno dei due giocatori osserva e sa le mosse
giocate dall’altro giocatore (es. scacchi)

Dilemma del prigioniero


2 soli giocatori e 2 mosse possibili
Oscar e Ruggero possono negare o confessare di aver compiuto un crimine.
In base al negare o confessare hanno vincite (pay o ). I numeri nelle caselle nell’esempio sono gli
anni di carcere moltiplicati per -1.
Trasformazione di anni di prigione in anni di libertà guadagnati.

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Strategia dominante: quando un giocatore
può detenere una strategia nel gioco che
rimane ottimale qualunque siano le scelte
e ettuate dall’altro.

La soluzione nale è confessare - confessare


nonostante sia la sub-ottimale. La strategia
migliore sarebbe quella di negare - negare.
Due giocatori razionali, se chiamati a
confessare o negare, arriveranno ad un esito
sub-ottimale, che non garantisce la maggiore
e cienza.

In assenza di coordinamento avremo SEMPRE un esito sub-ottimale.

Altruismo:
È possibile immaginare che gli individui non siano più concentrati sul proprio benessere, ma
diventino altruisti, interessandosi del benessere degli altri.
È possibile ammettere l’altruismo tra le preferenze dell’agente considerato.
Ragioniamo su pay o maggiori. Il benessere da massimizzare è anche quello dell’altro giocatore.

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Se volessimo formalizzare l’altruismo
nella teoria dei giochi, in un gra co
avremmo in ascissa uno dei due
giocatori e in ordinata l’altro.

Riportiamo ogni punto possibile dalla


matrice di dx al gra co di sx.

In corrispondenza del payo 4 e 1


(Anil usa terminator e Bala usa IPC).
Se loro fossero interessati al loro
benessere avremmo delle rette
verticali.
Se Anil è interessato solo al suo
benessere è indipendente dal payo
di Bala. Abbiamo delle curve di indi erenza che sono verticali (rette).
Se introducessimo che il payo di Anil è legato a quello di Bala si può modi care con una curva di
indi erenza che include la possibilità che Anil scelga tra Terminator e IPC anche sulla base del
benessere di Bala. Avremo una curva che permette ad Anil di aumentare l’utilità man mano che ci
si sposta verso dx.
Se quindi, Anil diventa altruista, la soluzione di ottimo sarebbe quella più lontana dall’origine, la
scelta ottimale è la IPC, in questo modo si massimizzano i payo congiunti.
Il gioco può cambiare poiché introducendo l’altruismo, si introduce una nuova variabile, e le
preferenze di un singolo sono conteggiate nei payo dell’altro soggetto. Introducendo le
preferenze si arriva all’outcome ottimale, in questo caso 3;3.

EQUILIBRIO DI NASH
Battaglia dei sessi:
Non è risolvibile per strategia dominante, ma secondo ELIMINAZIONE ITERATA DELLE
STRATEGIE DOMINATE.

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EQUILIBRI DI NASH: entrambi giocano la risposta ottima. È un pro lo di strategie (è una
coppia di strategie possibili) per il quale non esiste alcuna deviazione unilaterale (nessun giocatore
cambierà strategie dopo aver visto la strategia dell’altro) pro ttevole (deviando da questa
aumentano le vincite rispetto quelle di equilibrio).

Se si veri ca una situazione di EQUILIBRIO DI NASH, si veri cano due qualità:


1) È stabile: nessuno ha incentivi a cambiare strategia
2) Proprietà del non rimpianto: nessun giocatore rimpiange la scelta

Nel dilemma del prigioniero si era determinato un unico EQUILIBRIO DI NASH.

L’unico modo per uscire dalla battaglia dei sessi è quello di passare da gioco simultaneo a una
situazione in cui si include la possibilità di coordinamento oppure a un gioco dinamico cioè che
uno scelga dopo aver visto la scelta dell’altro giocatore. In quel caso si passa a un gioco in forma
estesa.

Se gli agenti non cooperano tra loro, tipicamente il risultato non è quello ottimale ed è ine ciente
secondo Pareto (vedi Cap. 5), contrariamente a quanto avviene nel modello concorrenziale.

Il gioco della battaglia dei sessi richiama il principio di equità, permette di trarre conclusioni sulle
scelte degli agenti economici.
Il dilemma del prigioniero e le sue estensioni vengono utilizzate per modellare problemi di
interazione strategica tra imprese, che avvengono in mercati dove vi sono poche imprese che si
trovano a competere, in cui i pro tti dell’una dipendono dalle scelte proprie, ma anche dalle altre
imprese.
Vale sempre che se due imprese non si coordinano, si raggiunge un risultato che non è ottimale. È
però possibile che le imprese si coordinino, creando ad esempio un cartello sui prezzi, superando
il problema della Pareto-e cienza che sorge nel dilemma del prigioniero.

DILEMMA DEL PRIGIONIERO E PROPRIETÀ COMUNI


“COMMONS”
Le scelte individuali di consumo dei consumatori portano ad un output nale che riduce il
benessere collettivo.

Rivalità: l’utilizzo da parte di alcuni incide sulla fruibilità di altri utenti su quel bene. Non c’è rivalità
se l’utilizzo di un bene da parte di un singolo non compromette la facoltà di altri di bene ciare di
quel bene.
Escludibilità: un bene è escludibile se si possono estromettere terzi dal consumo di quel bene.
Un bene non è escludibile se non si possono estromettere terzi dal consumo del bene.

Se uniamo le due possibilità mappiamo 4 tipi di beni:


- Beni privati—> oggetti dell’economia: sia rivali che escludibili; es. un pc
- Proprietà comuni “Commons” —> rivale e non escludibile; l’utilizzo di un bene incide sulla
capacità di altri di goderne ma non li esclude. es. la pesca. So rono del sovra utilizzo, non
riescono ad essere allocati secondo i metodi tradizionali di mercato.
- Bene di “club” —> non rivale ed escludibile. Si può escludere l’accesso a tale bene da parte di
terzi, pur sapendo che il bene non si deteriora all’aumentare dei fruitori. es. i social network,
club di tennis
- Bene pubblico —> non rivale e non escludibile. Es. l’aria pulita

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La non escludibilità che contraddistingue i commons e i beni pubblici determina questo problema
di sovra utilizzo potenziale della risorsa, quindi di un esito nale che non garantisce un’e cienza
paretiana.

I commons so rono del free riding, cioè beni per i quali non vi è escludibilità, andando a
danneggiare la collettività, perché la propria azione può retroagire sul benessere collettivo.
Se si pensa a un bene comune (es. aria pulita) sappiamo che se tutti ci comportassimo in maniera
sostenibile avremmo un certo grado di aria pulita. Sono incentivata a “inquinare” perché convinto
che il mio agire sbagliato da singolo non in uenza il benessere collettivo, quindi agisco da free
rider.
La collettività mantiene il bene collettivo e i free rider si comportano diversamente.
Se tutti gli attori diventassero free rider verrebbe eliminata l’esistenza del bene pubblico. La non
escludibilità dei beni fa sì che questi beni sfuggano al meccanismo di mercato e si creino degli
incentivi per taluni di operare da free rider. Oltre un certo limite di free rider il bene pubblico non è
più fruibile.

FALLIMENTO DI MERCATO: certi beni non sopravvivono al mercato.

Il fatto che i beni comuni possano essere utilizzati liberamente rischia di far arrivare alla Tragedy of
Commons (G.Hardin, 1968), secondo cui gli individui usano beni collettivi i cui diritti di proprietà
non sono noti.

Secondo Ostrom ci sono individui che hanno preferenze altruistiche che deviano la scelta e
portano il bene collettivo a non essere più esaurito.

Comportamenti da free rider si veri cano di più in giochi simultanei.

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CAP 5 - ALLOCAZIONI, EQUITÀ ED EFFICIENZA
L’equilibrio determinatosi a seguito di un qualunque tipo di gioco funziona solo se vi sono delle
istituzioni funzionanti che permettano di garantire il rispetto delle regole del gioco.

L’esito stesso del gioco (dell’interazione tra agenti) dipende esso stesso dalle istituzioni che
permettono di garantire l’accesso alle dotazioni e alle allocazioni iniziali di risorse. In presenza di
istituzioni solide e funzionanti vi può essere interazione tra agenti.
Sta alle istituzioni stabilire se le allocazioni, ciò che un individuo detiene o meno in un mercato, sia
e ciente o meno e de nire se le dotazioni nali siano eque o meno.

Le istituzioni possono garantire due tipologie di equità:


1) PROCEDURALE: l’equità tra gli individui avvenga a monte del gioco; far sì che l’interazione tra
gli individui sia proceduralmente equa. es. se le istituzioni volessero rispettare un’equità
procedurale farebbero sì che gli individui competano con gli stessi strumenti e dotazioni. Le
istituzioni possono garantire equità procedurale garantendo agli individui un equo accesso al
mercato.
2) SOSTANZIALE: le istituzioni si fanno garanti di garantire un benessere distribuito equamente
tra gli individui che partecipano al mercato, detti anche agenti economici.

Tra i due tipi di equità ci sono di erenze: possiamo immaginare allocazioni che siano e cienti
(che rispettino tutte le regole di mercato, cioè non sia possibile migliorare il benessere di uno
senza peggiorare quello di un altro), che sono completamente inique (che si osserva in economia
dello sviluppo quando si comparano economie di paesi diversi). Sta alle istituzioni decidere in
quale direzione garantire equità.

ALLOCAZIONI ED EFFICIENZA
I modelli di EQUILIBRIO ECONOMICO GENERALE si concentrano su un equilibrio “generale”, che
cioè si applica a più mercati in maniera contemporanea.
Questi modelli vogliono capire l’equilibrio (comprendere come agisce l’equilibrio di un mercato su
quello di un altro), ma anche capire le conseguenze che l’avere equilibrio in più mercati
comportano su due fattori:
1) Dotazioni iniziali, ovvero ciò che i consumatori detengono all’inizio (prima delle transazioni con
altri)
2) Allocazioni nali, ciò che i consumatori nali detengono alla ne della transazione e ettuata
nel mercato

DIRITTO DI PROPRIETÀ: il diritto che deriva da chi detiene un bene di scambiare liberamente nel
mercato questo bene. Racchiude tutti i diritti derivanti dall’avere un diritto esclusivo sopra questo
bene. Godo del diritto esclusivo di decidere cosa fare di questo bene.

I beni pubblici sono i beni sui quali non è chiaro chi detiene il diritto di proprietà; spesso questo
causa problemi. L’assenza di chiarezza sul diritto di proprietà fa sì che il bene esuli i meccanismi
di fallimento di mercato. Il mercato non riesce a garantire che questo bene sia prodotto e
mantenuto a un livello socialmente desiderabile e si crea un fallimento di mercato.

Le dotazioni iniziali dipendono dalla presenza o meno di diritti di proprietà, ma in uiscono


sull’equilibrio nale e sul benessere dei consumatori che scambiano questi beni nei modelli che
vedremo.
L’equilibrio nale è in uenzato dalle dotazioni iniziali. Chi detiene di più all’inizio sarà anche quello
che deterrà di più alla ne.

Le allocazioni nali (ciò che gli individui deterranno alla ne dello scambio) dipenderanno in larga
parte dalle dotazioni iniziali, ma anche da altri fattori, ad es. la capacità di un individuo di
negoziare scambi più favorevoli.

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Faremo riferimento a due modelli:
a) MODELLO DI PURO SCAMBIO: non ci sono i prezzi che regolano lo scambio, ma si
scambiano quote di allocazioni secondo baratto
b) MODELLO DI EQUILIBRIO ECONOMICO GENERALE DI TIPO CONCORRENZIALE: si
introducono i prezzi come meccanismo regolatore delle transazioni.
Entrambi i modelli sono spiegati attraverso la SCATOLA DI EDGEWORTH, uno strumento analitico
che permette di combinare più mercati in uno stesso setting.

1 - MODELLO DI PURO SCAMBIO:


Ci sono solo due agenti economici: A e B e due beni: x e y.
A e B sono due consumatori che partecipano a due mercati diversi, uno per il bene degli alimenti
(A) e uno per il bene delle bevande (B). Immaginiamo di essere in un mercato di puro scambio in
cui A e B possono scambiarsi alimenti e bevande.
In questo mercato si possono solo scambiare i beni, non se ne possono generare di nuovi.
A e B detengono quote iniziali dei due beni e possono scegliere di scambiare o meno quote
dell’uno e dell’altro bene a seconda delle loro preferenze.

Analiticamente esprime il concetto di ALLOCAZIONE una coppia di panieri di consumo detenuti


dai consumatori che stiamo considerando. Avremo per Anna (xA; yA), e per Bruno (xB; yB).

Non ammettiamo produzioni, ma ammettiamo la possibilità di scambiare barattando beni, qualora


gli individui preferissero dotazioni diverse da quelle iniziali.

Dobbiamo imporre dei vincoli:


1) la quantità di x presente nell’economia prima e dopo lo scambio deve essere la stessa:
xA+xB=xA+xB
2) La quantità di y presente nell’economia prima e dopo lo scambio deve essere la stessa:
yA+yB=yA+yB

Se si veri cano questi due vincoli un’allocazione è realizzabile.


I modelli di equilibrio economico generale mantengono le altre ipotesi e regole visti nella teoria del
consumatore. Avremo delle funzioni di utilità che rappresentano le preferenze dei due soggetti:
• UA(xA;yA): funzione di utilità di Anna
• UB(xB;yB): funzione di utilità di Bruno

SCATOLA DI EDGEWORTH
È una scatola introdotta da Edgeworth e perfezionata da Pareto in cui si riesce a rappresentare
simultaneamente l’equilibrio dei due consumatori.
È rappresentata tramite un rettangolo con base la somma delle dotazioni iniziali dei due
consumatori (xA+xB) e altezza (yA+yB)

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Dalla scatola si nota che l’allocazione iniziale di Anna può essere rappresentata nello stesso
gra co di Bruno. Nella scatola di Edgeworth possiamo rappresentare simultaneamente la
dotazione iniziale di alimenti e bevande di Anna e Bruno.

La scatola permette una rappresentazione unitaria di due consumatori e in unico punto


rappresentiamo la dotazione medesima dei due soggetti.
All’interno del rettangolo abbiamo in nite allocazioni possibili poiché in ogni punto della scatola
stiamo rispettando i vincoli su x e y di non poter avere più unità dei due beni pre e post scambio.
Tutte le allocazioni all’interno della scatola le de niamo realizzabili, poiché rispettano i vincoli,
imposti all’inizio del modello.

In un modello di puro scambio immaginiamo di avere un paniere generico f che possa essere
scambiato con il paniere iniziale d. È sempre possibile fare un passaggio da un paniere ad un altro
a seguito di uno scambio tra i due consumatori.

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Da d ad f leggiamo per Anna una rinuncia delle quote di y (vedi gra co), che cede a Bruno, dal
quale avrà in cambio delle quote di x. Bruno guadagna quote di y e cede quote di x.
In questo caso la freccia va verso il basso, è possibile che le preferenze di Anna siano opposte,
cioè rinunci a unità di x per favorire unità del bene y; in questo caso avremmo uno scambio che
va da d a g (più in alto a sx). Si può ammettere una direzione diversa qualora le preferenze dei due
consumatori siano opposte a quelle rappresentate.

LO SCAMBIO
Immaginiamo solo due curve di preferenza, una per Anna
e una per Bruno:
Sappiamo che Anna sarà favorevole ad uno scambio, se
lo stesso favorisce il suo benessere.
Anna è favorevole a qualunque scambio che la porti su
una curva di indi erenza più lontana dall’origine (area in
blu). Se Anna accetta uno scambio nell’area blu e Bruno
accetta uno scambio nell’area rossa—> ci sarà un’area
dove la blu e la rossa si sovrappongono, in cui sia Anna
che Bruno avranno interesse a scambiare beni.

L’area comune contiene tutti i panieri fattibili, cioè che entrambi i consumatori sarebbero disposti
ad accettare. In qualunque allocazione all’interno dell’area osserveremmo miglioramenti di
benessere per entrambi i consumatori se e ettuassero lo scambio.

MIGLIORAMENTI PARETIANI: ogni volta che nel passaggio da un’allocazione iniziale d ad una
qualunque altra allocazione nell’area evidenziata, almeno un consumatore aumenta la propria
utilità senza diminuire l’utilità dell’altro.
Date le preferenze dei consumatori sappiamo che c’è un’area in cui possiamo osservare scambi
migliorativi per il loro benessere.

Se immaginiamo di tracciare tutta la famiglia di curve di indi erenza abbiamo diverse possibilità in
cui si veri cano scambi vantaggiosi per i due consumatori.

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Da d a m ci sarà un miglioramento per entrambi. Da m è possibile spostarsi ad e, in
corrispondenza della tangenza tra la curva di indi erenza di Anna e quella di Bruno. Da m sono
possibili miglioramenti paretiani no a un punto oltre il quale non si raggiunge un miglioramento
per entrambi. Quindi il limite è e, che si chiama punto di equilibrio; qui non sono più possibili
scambi vantaggiosi, poiché il punto e rappresenta un’allocazione di equilibrio per i consumatori.

EFFICIENZA (nel punto E)


L’allocazione in e è Pareto E ciente. Un’allocazione è Pareto E ciente quando un individuo può
aumentare il proprio benessere solo a scapito del benessere dell’altro individuo.
Nel punto e lo scambio si arresta e quindi costituisce un punto di equilibrio in senso paretiano. Il
punto è e ciente in termini paretiani.
Si ha un equilibrio perché vi è coincidenza nei saggi marginali di sostituzione dei due consumatori.

Abbiamo ipotetici punti e cienti perché lo scambio ha permesso un miglioramento per almeno
uno dei due senza svantaggiare l’altro.

Vi sono in niti punti (in gra co solo 3) in cui si può osservare una tangenza tra la curva di
indi erenza di Anna e la curva di indi erenza di Bruno. Vi saranno in niti punti E tante quante
saranno i punti in cui si veri ca la tangenza delle curve di indi erenza di uno con le curve di
indi erenza dell’altro.
Questo fa sì che non ci sia un punto di equilibrio univoco, si può parlare di una curva di equilibri
possibili che chiameremo CURVA DEI CONTRATTI che è l’insieme dei punti in cui l’allocazione è
detta Pareto E ciente.

Lungo questa curva dei contratti leggiamo tutti i possibili punti E in cui verosimilmente si
osserverebbe uno scambio. Date le informazioni disponibili non conosciamo il punto esatto in cui
avverrà lo scambio.

NUCLEO
= costituisce un tratto della curva dei contratti all’interno dell’area che rappresenta gli scambi
accettabili per entrambi i consumatori. È lungo il nucleo che si veri cherà l’equilibrio nale in un
modello di puro scambio.
Nel punto d, che corrispondeva all’allocazione iniziale dei beni x e y per i consumatori A e B,
tracciamo la curva dei contratti formatasi dai punti paretiani. Sappiamo che lo scambio avverrà
nell’area “comune” e lungo la curva dei contratti, perché è solo lì che si veri ca l’equilibrio in
senso paretiano. Lo scambio porterà in un’area al di sopra della curva di indi erenza di Anna e
sotto la curva di indi erenza di Bruno, ma solo nel tratto in verde, che è un tratto della curva dei
contratti nell’area che prende il nome di NUCLEO.
Il NUCLEO è l’insieme delle allocazioni Pareto e cienti che è possibile raggiungere data
l’allocazione iniziale d, ottenendo miglioramenti paretiani per entrambi.
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Il dove avverrà non è determinabile in un modello di puro scambio.

Il modello di puro scambio dice che è sempre possibile da una dotazione iniziale arrivare a
un’allocazione nale, ma è di cile determinare quale sarà la dotazione nale.

2 - EQUILIBRIO ECONOMICO GENERALE (di tipo


concorrenziale)
Aggiunge al modello di puro scambio un meccanismo che permetta di regolare la contrattazione
e che sia diverso dal potere negoziale delle parti, il quale determinava l’esito nale del baratto nel
modello precedente.
La contrattazione sarà a data al meccanismo dei prezzi di mercato.
Avremo due consumatori con i relativi vincoli di bilancio, e lasciamo che siano i prezzi di alimenti e
prezzi di bevande a determinare l’esito nale della contrattazione. Dati i prezzi dei due beni i
consumatori sceglieranno quanto acquistare di un bene e quanto dell’altro bene scambiare.

Quando vi è equilibrio nel mercato dei due beni tra domanda e o erta, i due consumatori
procederanno alla compravendita dei beni. Lo scambio nell’EEG sarà uno scambio vero e proprio
regolato dal meccanismo dei prezzi.
Se non vi è equilibrio nel mercato dell’alimentare o nel mercato delle bevande (se domanda e
o erta di alimenti o di bevande di eriscono) vi sarà eccesso di domanda (quando domanda di
bene supera quantità disponibile), e il prezzo salirà per riassorbire l’eccesso di domanda, no ad
arrivare al punto in cui si rideterminerà un nuovo equilibrio.
Ogni qualvolta si veri ca il disequilibrio (contraddistinto da eccesso di domanda o eccesso di
o erta) sarà il meccanismo dei prezzi a riequilibrare la situazione no a giungere ad un prezzo in
cui domanda e o erta si rincontrano e si eguagliano.

Se c’è più domanda dei beni disponibili ci sarà una variazione del prezzo che andrà a
riequilibrarsi.
In un sistema tipico delle economie di mercato, i prezzi saliranno e scenderanno no a quando
domanda e o erta si incontrano. Quando siamo in equilibrio possiamo scambiare i beni.

Il punto del modello EEG è che possiamo comprare quantità di alimenti o bevande a partire dalle
nostre dotazioni iniziali, scambiando parte della nostra dotazione iniziale ad un prezzo che
corrisponde al prezzo di mercato. Se scambiamo alimenti per ricevere bevande, con il ricavato
della vendita di alimentari possiamo comprare bevande pagandole py.

Per ogni individuo nel modello concorrenziale inseriamo un parametro aggiuntivo:


VINCOLO DI BILANCIO: impone per ogni individuo che il valore del paniere acquistato sia pari al
valore della sua dotazione iniziale. Ovvero: la spesa complessiva che un individuo può permettersi
di fare all’interno del modello sia pari al reddito che può ricevere all’interno del modello. Poiché
l’unico modello di scambio sono i prezzi, il vincolo avrà inclinazione -px/py.

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Nella scatola di Edgeworth avremo un unico vincolo di bilancio, che se letto sotto Anna avremo le
preferenze di Anna e il vincolo di Anna e se letto sotto Bruno avremo le preferenze di Bruno e il
vincolo di Bruno.
Il vincolo di bilancio è unico (per Anna e Bruno) perché i prezzi dei beni sono gli stessi.
Quindi px/py non varia se consideriamo Anna o Bruno, quindi il vincolo di bilancio è unico per i
consumatori considerati.

Nel modello concorrenziale il vincolo di bilancio permette di dirci quale sarà l’equilibrio di mercato
per Anna e quale per Bruno ottenuti rispettivamente al punto di tangenza tra il vincolo di bilancio e
la curva di indi erenza di Anna (a) e di Bruno (b).
Se osserviamo i punti a, b, d sappiamo che:
• in d abbiamo le dotazioni iniziali sia per Anna che per Bruno;
• in a avrebbe un equilibrio Anna, cioè Anna detiene inizialmente una quantità di x,
corrispondente a d, ma vorrebbe consumare una quantità data da intersezione di vincolo di
bilancio e curva di indi erenza. Quindi Anna domanda una certa quantità di x (xA-xA).
• Bruno ha un equilibrio in b. Bruno ha in dotazione iniziale più quantità del bene x (xB) rispetto a
quelle che vorrebbe (xB). In altri termini, Bruno è disposto ad o rire una certa quantità del bene
x, quindi un’o erta netta che si legge nel tratto xB>xB.
Non c’è un equilibrio tra ciò che vorrebbero Anna e Bruno.
La domanda netta di Anna > o erta netta di Bruno.
Dati i prezzi in questo contesto non si potrà mai giungere a una situazione di equilibrio da che la
domanda di Anna sarà maggiore rispetto all’o erta di Bruno.

Poiché vi sono eccesso di domanda e o erta, in un mercato il prezzo del bene in cui si osserva un
eccesso di domanda, il prezzo di x salirà progressivamente (perché domanda>o erta), quindi il
prezzo di y scenderà determinando un nuovo vincolo di bilancio più inclinato di quello iniziale (px/
py).
Se il vincolo di bilancio diventa più inclinato, si riduce progressivamente l’eccesso di domanda, e
riducendo e allineando progressivamente l’eccesso di domanda con l’o erta netta di x.
Quello che osserviamo nei mercati è che c’è un meccanismo auto regolatore dei prezzi che farà sì
che si giungerà a un punto di equilibrio nale in cui l’eccesso di domanda ha determinato un
aumento dei prezzi no a quando domanda e o erta si saranno eguagliate.

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Quindi—> si determinerà un nuovo vincolo di bilancio con un’inclinazione tale da permettere un
riequilibrio tra la domanda netta del bene x da parte di un consumatore e l’o erta netta del bene x
da parte dell’altro consumatore.

Si arriverà all’equilibrio nale e, in cui domanda netta di x di Anna coincide con l’o erta netta di x
di Bruno. In “e”, determineremo il punto nale d’arrivo nel modello EEG di tipo concorrenziale. È
un punto d’equilibrio unico in questo modello. È un equilibrio migliorativo in termini paretiani, è
unica perché in e si ha anche l’equilibrio di mercato.
Questo punto è dato da un’allocazione di beni associati ad un livello di prezzi (px/py), che
governano quell’equilibrio, ovvero i prezzi che si sono autoregolati per far incontrare domanda e
o erta.

Primo teorema dell’economia del benessere


Dice che: l’equilibrio concorrenziale sarà lungo la curva dei contratti. Signi ca che l’allocazione
raggiunta in un EEG concorrenziale è Pareto e ciente. —> in termini economici: poiché
l’allocazione raggiunta in un equilibrio economico generale è lungo la curva dei contratti, quindi
Pareto e ciente, signi ca che in forme di mercato concorrenziali (di concorrenza perfetta) i prezzi
sono un meccanismo regolatore che funziona, e che permette di far incontrare progressivamente
nel tempo domanda e o erta. I prezzi nei mercati si aggiustano liberamente per compensare
eccessi di domanda o di o erta, no a quando si eguagliano. Quando questo accade si raggiunge
un punto di equilibrio e cace per i mercati.

Secondo teorema dell’economia del benessere


Si chiede se: data un’allocazione Pareto-e ciente, questa può essere raggiunta come un
equilibrio concorrenziale.
La risposta è sì.
—> Se le preferenze di tutti sono regolari, avremo sempre che per ogni punto e di allocazione
Pareto-e ciente (che si trova sulla curva dei contratti) troveremo sempre una coppia di prezzi px e
py e una dotazione iniziale d, che permetterà al mercato di raggiungere un punto di equilibrio,
tramite il sistema di regolazione dei prezzi. Questo equilibrio sarà un equilibrio nel mercato
concorrenziale.

IMPLICAZIONI
Il mercato ha una mano invisibile che permette di raggiungere l’e cienza, ma non permette in
alcun modo di raggiungere né equità sostanziale né equità procedurale.
L’unico meccanismo da introdurre in un mercato per rispondere a criteri di equità è un intervento
governativo che ristabilisca criteri di equità, se un sistema è iniquo pur essendo e ciente.

Se estendiamo il secondo teorema del benessere possiamo capire cosa lasciare al mercato e
cosa lasciare alle istituzioni. Il mercato porta all’e cienza, ma sta allo stato e alle istituzioni
cercare di far perseguire criteri di equità.

Quanto detto per i due teoremi vale se valgono le ipotesi dei due teoremi:
- Tutti i mercati sono perfettamente concorrenziali
- Gli scambi avvengono solo in equilibrio
- Le preferenze siano regolari
- Gli agenti hanno a disposizione tutte le informazioni rilevanti
Ogni qualvolta una di queste ipotesi viene meno non valgono più le considerazioni fatte per i due
teoremi.

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DISUGUAGLIANZA
Ciò che si osserva nella realtà è che i mercati non sono sempre e cienti e le allocazioni nali non
sono eque.
Si osserva spesso la presenza di disuguaglianza nei redditi, tra paesi diversi. Vi è assenza di
equità nella distribuzione di risorse.
La disuguaglianza deriva da assenza di equità nella distribuzione di allocazioni iniziali e nali. Essa
può essere visualizzata e misurata attraverso la Curva di Lorenz (disuguaglianza misurata tra
paesi) e il Coe ciente di Gini (quanta disuguaglianza tra paesi diversi).

CURVA DI LORENZ
Rappresenta gra camente la distribuzione della ricchezza in un Paese.
Permette di visualizzare immediatamente quanto diseguale sia la distribuzione dei redditi nella
popolazione considerata.
Sulle X: quota di popolazione Paese, distribuita per il grado di ricchezza (vicino origine più povera)
Sulle Y: quota di ricchezza detenuta dalle diverse fasce della popolazione
Nella bisettrice (inclinazione 45°) leggeremmo la distribuzione dei redditi se ci fosse perfetta
uguaglianza nella distribuzione, in cui ogni quota ipotetica di popolazione sulle x accede alla
stessa frazione di reddito che leggiamo sulle y (in un mondo equo il 10% della popolazione
avrebbe il 10% del reddito, e così via).
Tutto ciò che devia dalla bisettrice è indicativo di una distribuzione iniqua delle risorse. La curva di
Lorenz parte dalla bisettrice e permette di visualizzare la disuguaglianza a partire da tutte le
deviazioni che sussistono in quel paese a partire dalla bisettrice.

Esempio:
Area B: la quota dei ricchi (10% popolazione) detiene il 100% dei redditi
Area A: 90% popolazione non detiene nulla
C’è molta discrepanza tra la perfetta uguaglianza, se fossimo sulla bisettrice e la reale situazione.
La curva di Lorenz è solo uno strumento gra co, che permette di visualizzare la situazione in un
paese.

COEFFICIENTE DI GINI
A partire dalla curva di Lorenz si riesce a costruire una quanti cazione numerica della
disuguaglianza, a partire dalla misura dell’area A (tra bisettrice e curva) e l’area B (sotto curva).
Il coe ciente di Gini è dato dal rapporto:
[A / (A+B)]
A è tanto più grande quanto una società è iniqua.
Il coe ciente di Gini parte dall’assunzione che distribuzioni più diseguali hanno un’area maggiore
che sta tra la bisettrice e la curva (Area A) e dà una misurazione sintetica tramite un indicatore di
quanto la società sia iniqua.
Varia tra 0 (perfetta eguaglianza: Lorenz è la bisettrice) e 1 (massima disuguaglianza).
Permette di e ettuare misurazioni tra paesi diversi e quanti care quanto un paese sia equo o
meno.
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CAP 7,8 - LE IMPRESE: MASSIMIZZAZIONE
PROFITTO
MASSIMIZZAZIONE PROFITTO
In un mercato di concorrenza perfetta in cui ci sono più produttori che vendono un prodotto,
subiscono maggiormente la concorrenza.
Nel monopolio abbiamo un solo produttore, questo non subisce la concorrenza di altre imprese.

De niamo il pro tto economico come la di erenza tra ricavi totali (R) e costi totali (C).

Pro tto economico (∏) = Ricavi totali (R) - Costi totali (C)

Ricavi totali e Costi totali crescono al crescere della quantità prodotta.


—> il pro tto economico stesso si può esprimere in funzione di Q.
Quindi: ∏(Q)= R(Q)-C(Q)

R(Q)= Ricavo totale di un’impresa. Coincide con quanto l’impresa riesce ad incassare attraverso
la vendita di unità di output all’interno di un generico mercato.
La funzione di ricavo varia col variare della quantità secondo il prezzo.
Ricavi Totali = Prezzo * Quantità venduta

Per massimizzare la funzione di pro tto bisogna massimizzare la distanza tra Ricavi e Costi. (Più
l’azienda separa i ricavi dai costi più massimizza il suo pro tto).
Come?
Immaginiamo di chiederci come vari il pro tto per piccole variazioni della quantità prodotta (∂Q) e
cerchiamo di capire:
• in quali condizioni il pro tto può ancora crescere;
• in quali condizioni il pro tto decresce;
• in quali condizioni il pro tto è massimo

Se ragioniamo al margine signi ca riformulare la condizione di massimizzazione del pro tto per
piccoli ∂Q, sapendo che questa è una piccola variazione in Q.
Immaginiamo di dividere tutta l’equazione per ∂Q:
∂R(Q)/∂Q - ∂C(Q)/∂Q = funzione di pro tto—> il pro tto è massimizzato quando R/∂Q=C/∂Q
Questa trasformazione permette di capire quando la funzione di pro tto sarà massima, cioè
quando il ricavo marginale (ricavo aggiuntivo che deriva dalla vendita di ∂(Q)) è uguale al costo
marginale.

MR (Ricavo Marginale) dipende dalla forma di mercato considerata.

∂C(Q)/∂Q= Costo Marginale


∂R(Q)/∂Q= Ricavo Marginale

REGOLA DELLA QUANTITÀ


L’impresa massimizza i pro tti producendo la quantità Q* in corrispondenza della quale: MR=MC;
dove Q*= Quantità desiderata.

Nel tratto crescente sappiamo che: ∂∏(Q)/∂Q > 0


Nel punto di massimo ∂∏(Q)/∂Q = 0
Nel tratto decrescente ∂∏(Q)/∂Q < 0
Questo signi ca che per qualunque funzione di pro tto, l’impresa deve trovare Q*, in
corrispondenza del quale il pro tto è massimo. Questo punto si trova dove MR=MC, perché se
l’impresa si trovasse in un punto sul tratto crescente avremmo che MR>MC, quindi se l’impresa
aumenta di una piccola quantità può ancora migliorare in termini di ricavi. L’aumentare una

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piccola quantità fa avere un incremento sui Ricavi che è maggiore rispetto ai Costi, quindi nel
tratto crescente il pro tto dell’impresa può ancora crescere a fronte di aumenti di produzione.
Questa crescita dura no al punto di massimo. Se si andasse oltre andremmo nel tratto
decrescente, dove MC>MR. In qualunque punto alla destra del punto di massimo all’impresa non
converrebbe più aumentare la produzione, poiché in qualunque punto del tratto decrescente
MC>MR.

REGOLA DI CESSAZIONE DELL’ATTIVITÀ


All’impresa conviene sempre produrre Q*?
La regola indica se, una volta determinata Q*, convenga o non convenga produrre.
Per capire come funziona la regola di cessazione dell’attività l’azienda sa qual è la Q*, in un
secondo momento l’azienda deve chiedersi se conviene o meno arrivare a quella produzione.
L’azienda sceglie di produrre Q* se e solo se non subisse perdite economiche (pro tti negativi)
producendo Q*.
L’impresa produce la quantità che massimizza il suo pro tto se e solo se quella quantità è
associata ad un pro tto positivo.
Qualora la Q* consenta all’impresa di subire solo perdite, la scelta più conveniente per l’impresa è
quella di interrompere la produzione, perciò cessare l’attività.

Nella regola della quantità ragionavamo al margine, valutavamo se per ogni unità addizionale di Q
l’azienda potesse aumentare i suoi pro tti; nella regola di cessazione dell’attività ragioniamo in
termini di variazione media, in particolare, cerchiamo di capire se, in corrispondenza di Q*, i
pro tti (∏) siano >, <, o = a zero.
Se i pro tti < 0 —> azienda subisce perdite, quindi cesserà di produrre.

In termini di media quindi ci chiediamo se in corrispondenza di Q* il Ricavo medio (=Ricavo


Totale / Qtà prodotte) superi o non superi il Costo Medio (AC= Costo Totale / Q; è il costo di ogni
unità prodotta).
Ricavo Medio = media dei Ricavi conseguiti tramite la produzione di una Quantità. Dato che
conosciamo Q*, per ogni livello di Q* siamo in grado di determinare il Ricavo Medio e il Costo
Medio associati a quella quantità.

Regola di cessazione dell’attività —> L’impresa osserva pro tti positivi


se (∏ > o = 0)
cioè
se AR(Q*) > o = AC(Q*)

Ci può essere un prezzo di mercato che permette di coprire i costi—> l’impresa produce Q*
Se prezzo di vendita < costo medio di produzione —> l’impresa non produce, perché subirebbe
perdite economiche
Se i pro tti sono pari a zero —> l’impresa può scegliere di produrre o no. Se scegliesse di
produrre non avrebbe pro tti positivi, ma coprirebbe solo i costi di produzione. In questo caso
l’impresa è quindi “indi erente” tra produrre e non produrre.

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MASSIMIZZAZIONE PROFITTO ED IMPRESE
Le imprese sono sempre soggette alle due regole di quantità e cessazione dell’attività. Le due
regole varranno sempre in qualsiasi forma di mercato.
La forma di mercato in cui un’impresa opera di erenzia la sua capacità di risolvere e dirimere la
regola della quantità. Per capire come questo è possibile di erenziamo le forme di mercato sulla
base di un criterio guida, cioè se l’impresa gode o non gode di potere contrattuale in una forma di
mercato. In base a questo cambieranno le sue scelte circa la massimizzazione del pro tto sotto la
regola della quantità.

Gode o non gode di potere di mercato signi ca distinguere tra:


• Imprese price-taker, ovvero concorrenziali: le loro scelte di produzione non hanno alcuna
in uenza sul prezzo di mercato. Non possono modi care il prezzo di mercato. Un’impresa price-
taker sceglierà di produrre Q* prendendo come dato il prezzo di mercato, non potendolo
modi care. Non detiene alcun potere di mercato, perché non può in uenzare il prezzo di
mercato.
• Imprese price-maker, ovvero detengono potere di mercato: imprese che in virtù del loro
potere di mercato riescono ad in uenzare il prezzo di vendita dei beni e quindi le scelte di
produzione di imprese Price-maker riescono a determinare il prezzo di vendita di un determinato
bene.
La scelta di produrre o non produrre è strettamente correlata col potere di mercato di cui
un’impresa può o non può godere.

FORME DI MERCATO
Nelle diverse forme di mercato che caratterizzano le regole del gioco in cui un’impresa si trova a
competere. Le due regole dette nora che determinano la massimizzazione del pro tto vanno
declinate a seconda che l’impresa detenga o no potere di mercato e quanto.
• CONCORRENZA PERFETTA (o mercato concorrenziale): ha come elemento chiave la presenza
di molti consumatori e molte imprese. Sia compratori che venditori sono price-taker. Nessuno
possiede potere di mercato, nessuno può determinare il prezzo al di fuori dell’equilibrio.
• MONOPOLIO: le imprese detengono potere di mercato. Abbiamo imprese Price-maker che
determinano il prezzo di vendita. In questo caso vi è UNA SOLA IMPRESA che opera, e che
detiene potere di mercato, perché non subisce concorrenza. In virtù di questo fatto è in grado di
determinare un prezzo di vendita che massimizzi i suoi pro tti.
• OLIGOPOLIO: pochi venditori e molti compratori
• CONCORRENZA MONOPOLISTICA: molti venditori, molti compratori, beni non omogenei
• MONOPSONIO: molti venditori, ma il potere di mercato è esercitato dai compratori. Vi è un solo
compratore. (Sbarrato perché non lo faremo)

MASSIMIZZAZIONE PROFITTO IN MERCATI


CONCORRENZIALI
CONCORRENZA PERFETTA
1. Molti consumatori che fungono da compratori. Tutti price-taker.
2. Molti venditori e piccoli rispetto al mercato. Tutti price-taker.
3. Beni omogenei: il bene prodotto da un’impresa A sia assimilabile in tutto e per tutto dalle
imprese B, C, D. Non vi è di erenziazione dei prodotti. I beni sono tutti simili tra loro. L’unico
elemento che determina la vendita o meno di un prodotto è il prezzo di mercato. Il bene è
perfettamente sostituibile con quello di un’altra impresa.
4. Non ci sono barriere all’ingresso, che limitano l’accesso al mercato ad altre imprese. Non ci
sono licenze, quindi ostacoli legali; tecnologici; economici. Quindi c’è libertà di entrata sul
mercato. Si immagina che vi sia perfetta informazione, senza la necessità di intermediari.
I mercati puramente concorrenziali sono di cili da osservare. È un mercato ideale. Molti mercati si
avvicinano a questo modello, ma nessuno è completamente di concorrenza perfetta.
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È un mercato ideale, perché è un mercato a cui tendere quando si parla di benessere, poiché lo si
massimizza.

In un mercato concorrenziale l’impresa è PRICE-TAKER. Abbiamo molte imprese che competono


tra loro, sono molto piccole e non in uenzano il prezzo di mercato, se prese singolarmente.
Immaginiamo di avere in nite imprese che scelgono di produrre o non produrre sulla base dei
propri vincoli e subiscono il prezzo di vendita P.
Ciò signi ca che il prezzo P, che l’impresa subisce, è esattamente il prezzo che si viene a
determinare nel mercato di riferimento.
Dall’intersezione di domanda e o erta di un bene si determina il prezzo di equilibrio, che è quello
che le imprese concorrenziali subiranno in questo mercato. Le imprese concorrenziali non
possono deviare dal prezzo di equilibrio.

Se l’impresa non può modi care il prezzo P, allora può aumentare i propri ricavi aumentando la
produzione di un fattore pari al prezzo di mercato. Se l’impresa aumenta la produzione (∆Q)
osserveremo una variazione di ricavi ∆R che sarà pari a P*∆Q; ricordando che R=P*Q.

Per le imprese price-taker, immaginando di avere un prezzo di mercato (quindi sso, retta blu nel
gra co). In Q l’impresa vende n unità di Q a un prezzo P. Ogni ∆Q aggiuntiva è venduta a un
prezzo unitario P. Aumentando la produzione all’in nito il prezzo rimane sempre P. Signi ca che i
ricavi aggiuntivi derivanti dalla vendita aggiuntiva sono pari a P*∆Q.
Formalmente, signi ca che possiamo espandere i ricavi di un’impresa analizzando l’area in
arancino che sta tra il livello generale dei prezzi e la variazione della quantità prodotta.
In termini analitici signi ca che i ricavi marginali (MR) di un’impresa, poiché il ricavo totale varia
sempre a fronte della variazione della Q prodotta, essi sono sempre uguali al prezzo di vendita di
quel bene. MR è sempre pari al prezzo.

La regola della quantità per


l’impresa concorrenziale gode di
una proprietà aggiuntiva: poiché
l’impresa concorrenziale è Price
take, quindi P=MR, la regola
della quantità relativa alla
massimizzazione del pro tto può
essere scritta come:
P=MR=MC
Nella forma di mercato
concorrenziale l’impresa
massimizza il suo pro tto quando
produce Q*, per la quale il prezzo
di vendita a mercato P coincide
con il suo preciso costo
marginale di produzione.
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In un mercato concorrenziale la regola della cessazione attività l’impresa produce se P>AC(Q*).

Se Q* permette di produrre
vendendo ad un prezzo maggiore
del costo medio, allora l’impresa
produce. Se P<AC(Q*) l’impresa
cessa di produrre.

Gra camente: MR=P=Dimp


Siamo in grado di individuare i
costi medi e il costo marginale. MC
interseca sempre AC nel punto di
minimo di AC.
L’ i m p r e s a p r o d u r r à Q * c h e
massimizza il pro tto, in cui P
interseca MC.
Se l’impresa produce in questo punto avrà dei ricavi totali dati dall’area in azzurro + l’area in
arancio. Per produrre questa quantità l’impresa sostiene dei costi: in corrispondenza di A la
quantità interseca la curva di costo medio in B. Ci chiediamo qual è il costo medio associato a Q*,
e rispondiamo gra camente spostando Q* che si era determinata in A, la portiamo in B sulla
funzione di costo medio.
Proiettiamo B sulle ordinate, abbiamo il costo medio sostenuto per produrre quella quantità Q*.
Questo signi ca che siamo in grado di determinare l’area di costo totale, che corrisponde a
AC*(Q*). L’area in arancione identi ca l’area dei costi totali dell’impresa. L’area in azzurro identi ca
la divergenza tra i ricavi e i costi, cioè i pro tti. In questo caso l’impresa produrrà, perché ha dei
pro tti.

FUNZIONE DI OFFERTA DELL’IMPRESA


Indica la quantità o erta dall’impresa per ogni livello di prezzo di mercato. La funzione di o erta
lega la quantità o erta dall’impresa ai diversi livelli di prezzo.

Qs= f(P) —> cresce col crescere del prezzo di mercato


Legge dell’o erta: la quantità prodotta da un’impresa aumenta o resta invariata all’aumentare del
prezzo di mercato.
Sappiamo determinare quale sarà la funzione di o erta dell’impresa a partire da due condizioni:
• Se l’impresa riesce a coprire i suoi costi medi, l’impresa produce
• Se l’impresa non riesce a coprire i suoi costi medi, l’impresa non produce

Si può tracciare la curva di o erta dell’impresa (S), come il tratto della curva di costo marginale
che sta almeno al di sopra del minimo dei costi di produzione.
Dalla regola della quantità sappiamo che l’impresa produrrà una quantità tale da eguagliare il
costo marginale, quindi sappiamo che l’o erta si muoverà lungo la curva di costo marginale.
L’impresa non troverà mai conveniente produrre in qualunque punto che sia al di sotto del punto
di minimo della curva di costo medio (detta anche scala e ciente di produzione).
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Unendo la regola della quantità e la regola di cessazione dell’attività determiniamo la curva di
o erta dell’impresa, come il tratto della curva di costo marginale che sta al di sopra del punto di
minimo dei costi medi (scala e ciente di produzione).
Al di sotto della curva di costo medio avremo sempre che i prezzi possibili di mercato saranno
sempre minori di AC. In un qualunque punto del tratto verticale (0;ACmin), ovvero qualunque punto
che sta al di sotto dei costi medi strutturalmente l’impresa subirebbe delle perdite economiche,
perché il prezzo di mercato sarebbe inferiore ai costi medi che deve sostenere per pagare quelle
unità.
• Dalla regola della quantità: la curva di o erta dell’impresa coincide con la sua funzione di costo
marginale
• Dalla regola di cessazione dell’attività: la curva di o erta dell’impresa non è veri cata per i tratti
di curva di costo marginale che stanno al di sotto del minimo dei costi medi.

07.04.2022
EQUILIBRIO CONCORRENZIALE
Equilibrio: serve per de nire quale sarà il punto di convergenza in un mercato tra domanda e
o erta, in particolare domanda di mercato (prezzo di mercato e quantità domandata per ogni
livello di prezzo) e curva di o erta di mercato (aggregazione delle singole o erte d’impresa).
Aggrega singoli consumatori e singole imprese. Permette di capire come consumatori e produttori
agiscano all’interno dei con ni di un mercato.
In generale, l’equilibrio mette insieme il comportamento razionale di consumatori e di produttori.

Gli elementi caratterizzanti il punto di equilibrio:


1. I consumatori stanno comprando la quantità ottimale del bene in oggetto dato il prezzo
2. I venditori stanno producendo la quantità che massimizza il loro bene cio dato il prezzo
3. In quel punto si veri ca che i venditori sono disposti a vendere quantità positive del bene a
quel prezzo, i compratori acquistano certe quantità di bene a quel prezzo.

Sia i consumatori che i venditori stanno “giocando” la loro scelta migliore, come de nito
dall’equilibrio di Nash nella teoria dei giochi.

DOMANDA DI MERCATO
Per trovare la domanda di mercato (relazione tra tutta quantità domandata in un mercato) bisogna
sommare orizzontalmente tutte le domande individuali per ogni dato prezzo. Signi ca immaginarci
che la domanda di mercato sia data dalla sommatoria orizzontale di tutti i consumatori che
partecipano a questo mercato.

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OFFERTA DI MERCATO
Si sommano orizzontalmente le quantità o erte dalle singole imprese a pari prezzi.

Nel lungo periodo altre imprese entreranno in questo mercato. Per ogni livello di prezzo, l’o erta
di mercato aumenterà. Via via se immaginiamo di partire dalla situazione di aggregazione
orizzontale e immaginiamo che per ogni livello di prezzo si aggiungano nuove imprese otteniamo
che l’o erta di mercato andrà appiattendosi.
L’ingesso di nuove imprese determinerà l’appiattimento progressivo della curva di o erta.
Evidentemente questo processo a un certo punto si arresta, quando non c’è più incentivo
economico per l’entrata di nuove imprese in questo mercato.
Nuove imprese nel lungo periodo entrano in un mercato concorrenziale nché si ottengono pro tti
positivi da questo mercato. Fino a quando il prezzo rimane al di sopra del punto di minimo dei
costi medi.
La curva di o erta di lungo periodo si appiattisce no a coincidere col valore del punto di minimo
dei costi medi, e quindi si interrompe l’ingresso del mercato di nuove imprese.
Il nostro equilibrio di riferimento è quello di breve periodo.

SURPLUS
È una misura di benessere. Si misura sia sul lato produttori sia sul lato consumatori.

• Surplus produttore: la curva di o erta indica in ogni suo punto il prezzo minimo per l’impresa o il
prezzo di riserva a cui l’impresa è disposta a produrre per ogni dato livello di prezzo associato a
ogni livello di quantità. La curva di o erta indica anche il limite (prezzo di riserva) che indica per
quali livello di prezzo minimi l’impresa è disposta a produrre unità positive del bene. È evidente
che ci sarà un’area compresa tra prezzo di mercato e prezzo di riserva, la quale identi ca la
di erenza tra la somma minima a cui l’impresa è disposta ad o rire quella quantità e la somma
e ettiva che l’impresa riceve o rendo quella quantità nel mercato.

• Surplus consumatore: quanto i consumatori traggono dal mercato.

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PERDITA SECCA
Il mercato concorrenziale è un mercato in cui si massimizza il surplus del produttore e il surplus
del consumatore, cioè il surplus totale.
Quando ci si trova in situazioni di equilibrio che deviano dall’equilibrio concorrenziale ci si trova in
situazioni in cui l’equilibrio non è più in grado di massimizzare il surplus dei produttori e quello dei
consumatori. In queste situazioni si veri ca la “perdita secca”, che è quanti cabile come tutta la
perdita di surplus (benessere) che deriva da situazioni di equilibrio non e cienti.

La perdita secca si spiega anche in termini economici. La determinazione dell’equilibrio in


concorrenza perfetta è partita dall’ipotesi che sia produttori che consumatori stavano
massimizzando le loro funzioni. Se entrambi gli agenti massimizzano utilità e pro tti permettono di
trovare un equilibrio di mercato, in cui il benessere si massimizza.
C’è una parte di consumatori che non riesce a partecipare al mercato, perché non disposta a
pagare il prezzo stabilito dal mercato. Allo stesso modo ci sono delle imprese che non riescono a
partecipare a questo mercato. Ci sono delle imprese (lato dx curva o era) che avrebbero voluto
un prezzo maggiore del prezzo di equilibrio.

Sono possibili interventi redistribuivi, però il costo da pagare per ogni intervento pubblico è
sempre quanti cato in termini di perdita secca. Quando c’è un intervento pubblico si veri ca
sempre una perdita secca.

VARIAZIONI EQUILIBRIO
Il punto di equilibrio rimane tendenzialmente stabile in un mercato concorrenziale, ma varia col
variare di domanda e o erta. Si potrebbe veri care è che avvenga un cambiamento tecnologico
che migliori la capacità tecnologica delle imprese, abbattendo costi produttivi e costi marginali,
arrivando a una nuova curva di o erta, che permetterà di vendere le stesse quantità di bene a un
prezzo inferiore a quello prima del cambiamento tecnologico.

VARIAZIONI E INTERVENTI PUBBLICI: TASSE


L’equilibrio non è necessariamente equo. Qualora vi siano interventi pubblici in economia volti a
ricostituire l’equità, questo avverrà sempre a scapito dell’e cienza (benessere). Si genera quindi
un’area di perdita secca che quanti ca quanto benessere si sta perdendo a fronte dell’intervento
pubblico.

In economia ci sono diversi scenari di intervento pubblico:


Il caso più tipico è quello di INTRODUZIONE DI TASSE, le quali possono agire sui beni o sul
reddito. Noi analizzeremo solo l’e etto di tasse sui beni.
Le tasse sui beni possono essere:
- Ad valorem: agiscono in maniera percentuale sul valore del bene. Si paga una tassa al crescere
del valore del prezzo del bene (es. IVA 4%; 10%; 22%)
- Sulla quantità: tributi ssi che vengono corrisposti per ogni unità del bene che viene acquistata
(se agisce sul consumatore); o che viene venduta (agisce sul produttore). Fa sì che il prezzo
pagato da un agente economico di erisca da ciò che intasca l’altro agente economico dopo
che è stata introdotta la tassa.

Ci concentriamo su una tassa che fa sì che il prezzo pagato dal consumatore P1 sia maggiore di
ciò che intasca l’impresa dopo che è stata pagata l’imposta P0.
L’imposta crea una divergenza tra P1 (prezzo pagato dal consumatore) e P0 (ciò che riceve
l’impresa dopo il pagamento della tassa). La tassa sulla quantità T è quindi ciò che incassa lo
stato.
L’introduzione di una tassa sulla quantità genera una discrasia tra il prezzo di mercato (che
diverge per e etto della tassa); si crea una separazione tra ciò che il consumatore paga P1 e ciò
che il venditore riceve P0, e la di erenza tra questi due valori è la tassa T, che lo stato incassa.

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Se immaginiamo di introdurre una tassa bisogna chiarire che vi è di erenza sostanziale tra :
• incidenza di diritto o nominale di una tassa: identi ca chi tra consumatore e produttore subirà
l’onere della tassa; in termini economici non conta quasi nulla; e
• incidenza di fatto di una tassa (dipende dalla sensibilità di domanda e o erta a variazioni di
prezzo = elasticità). Su chi concretamente ricadrà l’onere della tassa.
La stessa tassa imposta su produttori o consumatori agirà sempre di più sul lato meno sensibile
del mercato.

Introduciamo una tassa sul lato o erta: formalmente immaginiamo una tassa che ricade sui
produttori, e si cambierà l’equilibrio di
mercato passando da A a B. Questa tassa
ha come e etto di variare l’equilibrio e
di erenziare tra il prezzo pagato dai
consumatori P1 per le unità di bene Q1 e il
prezzo ricevuto dai produttori P 0 che
leggiamo quando la quantità interseca la
curva di o erta.
La tassa T crea di erenza tra prezzo pagato
dai consumatori e prezzo ricevuto dai
produttori.
Il prezzo di equilibrio iniziale era quello
associato ad A, cioè P*. Osserviamo che:
•P1≠P*
•P0≠P*
•P1>P0
•Benché la tassa incidesse di diritto
nominalmente sul produttore ad essere colpiti dalla tassa sono anche i consumatori. Lo
vediamo perché P1>P* e P0<P*.
L’introduzione di una tassa genera subito una perdita di e cienza pari all’area nel triangolino
(DWL) a sx del punto di equilibrio.

INCIDENZA TASSA
L’incidenza di fatto è l’unica che conta.
Come capire chi subirà di più una tassa? L’incidenza di fatto di una tassa dipenderà dalla
sensibilità relativa della domanda e dell’o erta di mercato.
ELASTICITÀ= sensibilità relativa della domanda e dell’o erta al prezzo e concluderemo che
l’incidenza di fatto della tassa va a colpire di più il lato meno elastico (=sensibile) del mercato, il
lato meno reattivo del mercato a variazioni di prezzo.
• Se la domanda è meno elastica dell’o erta, l’incidenza della tassa ricadrà di più sui consumatori
che sui produttori.
• Se la domanda di un bene è molto elastica, la tassa colpirà meno la domanda. Se la domanda è
molto sensibile a variazioni di prezzo, signi ca che introdurre una tassa farà crollare
immediatamente la domanda di mercato.
Per non far crollare le vendite, i produttori ribassano i prezzi per non subire un crollo di prezzi.

ELASTICITÀ
In generale misura la sensibilità di una data curva a variazione di prezzo, quindi si può parlare di
elasticità della domanda chiedendosi quanto è sensibile la domanda di mercato a variazioni di
prezzo oppure si può parlare di o erta chiedendosi quanto è sensibile l’o erta di mercato a
variazioni di prezzo.

È data dal rapporto di (variazione % di y / variazione % di x).

L’elasticità della domanda è (∆Q/∆P)*(P/Q)


De niamo una domanda elastica quella che si contrae tanto più il prezzo sale o la domanda si
espande se il prezzo di mercato diminuisce.
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Per la legge della domanda perché prezzo e quantità sono legati negativamente, l’elasticità della
domanda avrà valore negativo per ri ettere la relazione tra P e Q.

Maggiore è |Ed|, maggiore è la variazione % della quantità domandata a seguito di una variazione
unitaria di prezzo, ovvero D è più “sensibile” a variazioni di prezzo.

• Se Ed=0 la domanda è insensibile a variazioni di prezzo. Se il prezzo varia, la quantità


domandata rimane costante.

L’elasticità dell’o erta è (∆Q/∆P)*(P/Q)


È una misura di quanto sia l’o erta sensibile a variazioni di prezzo. Il valore atteso dell’elasticità
dell’o erta è positivo.
Si possono avere diversi gradi di elasticità quando la quantità o erta varia in maniera più che
proporzionale rispetto a variazioni di prezzo.

L’incidenza di fatto della tassazione dipenderà da questi valori di elasticità di domanda e o erta di
mercato. La tassa di fatto andrà a colpire il lato meno elastico del mercato, quindi chi tra domanda
e o erta ha un’elasticità minore.
• Se l’elasticità della domanda rispetto al prezzo fosse maggiore dell’elasticità dell’o erta rispetto
al prezzo, signi ca che la domanda di mercato è più sensibile a variazioni di prezzo, perciò i
consumatori saranno più reattivi alle variazioni di prezzo indotte dalla tassazioni, quindi
necessariamente la tassa ricadrà sui produttori, che sono meno sensibili a variazioni di prezzo.
• Se l’elasticità dell’o erta rispetto al prezzo fosse maggiore dell’elasticità della domanda rispetto
al prezzo avremmo che l’o erta è il lato del mercato più sensibile a variazioni di prezzo; perciò
l’incidenza di fatto della tassa andrà a gravare di più sui consumatori che sui produttori.

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1. In caso di domanda perfettamente elastica
(gra camente piatta), i consumatori non subiscono la
tassa, ma ricade interamente sui produttori.

2. Se l’o erta è perfettamente inelastica (gra camente


verticale), i consumatori consumano le stesse quantità
allo stesso prezzo e i produttori ricevono la stessa
quantità, ma ad un prezzo maggiore, quindi la tassa
ricade sui produttori, non sensibili a variazioni di prezzo.

3. Se l’o erta è perfettamente elastica (gra camente


piatta) (domanda lato meno sensibile a variazioni di
prezzo), a seguito di una tassa, si crea un nuovo equilibrio
in cui si scambia una quantità minore ad un prezzo
maggiore. In questo caso il prezzo percepito dai
produttori rimane P0, mentre i consumatori pagano un
prezzo maggiore P0+T. Il lato meno sensibile del mercato
sono i consumatori.

4. Se la domanda è perfettamente inelastica


(gra camente verticale)

La tassa graverà tanto più sulla curva che è meno elastica.

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11.04.22
MASSIMIZZAZIONE PROFITTO IN MERCATI NON
CONCORRENZIALI (Imprese price-maker/setter)
Il prezzo di vendita dei beni è determinato dalle imprese, in virtù del loro potere di mercato. Esse
riescono a vendere ad un prezzo maggiore rispetto a quello di un’impresa price-taker.

Non avremo in niti venditori, ma abbiamo un numero di venditori che è limitato.

IMPRESE PRICE-MAKER —> I venditori/produttori hanno potere di mercato, cioè la


possibilità delle imprese di ssare un prezzo diverso da quello di concorrenza perfetta.
Le imprese price-maker sfruttano il loro potere di mercato e ssano un prezzo superiore ai costi di
produzione.

Nelle forme che vedremo (Monopolio, Oligopolio, Impresa Monopolistica) c’è sempre la possibilità
delle imprese di sfruttare il prezzo in ritorno economico (pro tto).
C’è una stretta relazione tra potere di mercato (capacità di un’impresa di estrarre rendita
economica) ed elasticità di mercato, che indica quanto mercato è sensibile a variazioni di prezzo.
Il potere di mercato di cui un’impresa può bene ciare dipende da quanto è elastico il mercato, in
particolare sul lato della domanda.

MONOPOLIO
Una forma di mercato che è antitetica rispetto alla concorrenza perfetta, perché non ci sono n
imprese che competono tra loro, ma vi è una sola impresa che opera in quel mercato.
Se nel mercato opera una sola impresa, signi ca che non subisce la concorrenza di nessuno e
detiene una forza contrattuale, che è il potere di mercato, che permette al monopolista di ssare il
prezzo.
Se nella concorrenza perfetta ogni tentativo di applicare prezzo superiore al costo marginale si
usciva dal mercato, questo non accade nel monopolio, perché l’unica impresa è quella operativa.
Questa impresa detiene tutte le vendite di quel bene in quel mercato.

COME SI DIVENTA MONOPOLISTA?


1) Monopolio Legale: sono le istituzioni a garantire che vi sia un’unica impresa operante in quel
mercato. (—> Stato). Ad esempio si può creare un monopolio quando lo stato concede ad
un’unica impresa di produrre un bene.
2) Monopolio sulle Risorse: quando l’impresa monopolista è l’unica a detenere risorse
essenziali (input produttivi) per la produzione. Ad esempio se in un mercato c’è un’unica
impresa ad avere accesso all’acqua, essa diventerà l’unica impresa a commerciare bottiglie
d’acqua.
3) Monopolio Naturale: imprese che bene ciano di imponenti economie di scala, fanno sì che
l’impresa bene ci del monopolio naturale (de nizione che si dà a un contesto in cui l’impresa

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bene cia di economie di scala imponenti, tipicamente l’impresa è molto grande e sfrutta
economie di scala nella produzione di grandi quantità). Esso fa quindi riferimento ai costi
medi. Se l’impresa è grande, naturalmente diventerà monopolista, perché imprese piccole non
riusciranno a bene ciare di costi bassi. Essa crea quindi barriere all’entrata, vietando
l’ingresso al mercato di altre imprese. es. EssilorLuxottica
4) Bene Unico: l’impresa è l’unica a vendere un bene di erenziato rispetto ai beni che
producono le altre. L’essere l’unica ad esempio a produrre un prodotto innovativo e unico, fa
sì che emerga un monopolio ogni qualvolta che l’impresa rimane l’unica a produrre quel bene.
es. Microsoft, che deteneva l’86% delle licenze vendute per computer; in questo modo ha
creato un bene quasi unico, che altri non riescono a creare o non riescono a competere in
maniera sostanziale.

Il monopolio si contraddistingue quindi per l’emergere di un’unica impresa, che crea barriere
all’ingresso e i compratori sono price-taker, subiscono quindi il prezzo ssato dal monopolista.

Il monopolio è una forma di mercato vietata per legge, è di cile capire se siamo in presenza o
meno di monopolio perché è di cile capire e delimitare quale sia il mercato di riferimento in cui
un’impresa sta operando da eventualmente monopolista.
La linea guida è che un produttore è monopolista vende a mercato un bene o servizio per il quale
non esistono sostituti in quel mercato di riferimento.

Il monopolista non ha più di fronte una


domanda piatta a livello del prezzo di
mercato (come accade per le imprese
price-taker), poiché essendo Price-maker
fa sì che il monopolista si trovi di fronte la
curva di domanda di mercato, che è la
funzione di domanda di mercato.
Il monopolista può fare un prezzo, che sia
maggiore ai suoi costi marginali. Nel
determinare il prezzo di vendita deve
tenere a mente la domanda di quel
mercato, ovvero la disponibilità dei
consumatori di pagare in quel mercato.
Signi ca che cambiano i ricavi marginali che un monopolista può estrarre nel mercato.

Nel caso dell’impresa price-taker avevamo


visto che la curva di domanda era piatta e
avevamo dedotto che il ricavo possibile
dell’impresa poteva aumentare, qualora
aumentasse la quantità o erta. L’impresa
price-taker sa che aumenta il ricavo con
l’aumentare della quantità venduta.
Nelle imprese price-maker esse possono
aumentare il ricavo con l’aumentare della
quantità venduta, ma anche da che
fronteggio una curva inclinata
negativamente e non più piatta, l’impresa
sa che se vuole aumentare le vendite,
ovvero aumentare i ricavi, questo avviene al
costo di dover abbassare il prezzo. Se
un’impresa price-maker vuole aumentare i suoi ricavi avrà l’e etto espansione del prodotto, pari
all’area A, ma anche un e etto contrario chiamato e etto di riduzione di prezzo, poiché per
aumentare la quantità venduta l’impresa deve necessariamente diminuire il prezzo di vendita di un
ammontare dato dalla curva di mercato che l’impresa fronteggia. Nell’area blu si evidenzia l’e etto
riduzione prezzo.

Il ricavo marginale dipenderà dall’e etto espansione del prodotto (Q+∆Q) e il ricavo marginale
dipende negativamente dall’e etto riduzione del prezzo P(Q+∆Q), necessariamente inferiore a
P(Q).
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Questa variazione di ricavo avrà una componente positiva (area A) e una componente negativa
(area B). Se aumenta la produzione di ∆Q il ricavo totale aumenta nell’area A, però il ricavo totale
diminuisce dell’area B.

Se nell’impresa price-taker, avendo la curva di domanda piatta la curva di ricavo marginale


coincideva con il prezzo, questo non vale nell’impresa price-maker, dove il prezzo è diverso dal
ricavo marginale, perché la curva di domanda è inclinata negativamente.

Il ricavo del monopolista sarà sempre al di sotto della curva di domanda di mercato.
La prima condizione di massimizzazione del pro tto (regola della quantità) voleva che ricavo
marginale = costo marginale. Nel monopolio MR=MC si genera in una nuova curva, che sta al di
sotto della curva di domanda di mercato.

Sulla base di questo capiamo come l’impresa monopolista massimizzi il suo pro tto:
• REGOLA DELLA QUANTITÀ: l’impresa monopolista produce Q* dove MR=MC, con P≠MR; il
monopolista sfrutterà il proprio potere di mercato per ssare un prezzo che genera un pro tto
molto ampio.
• REGOLA DI CESSAZIONE DELL’ATTIVITÀ: l’impresa per massimizzare il pro tto non deve
subire perdite producendo Q*. Anche per il monopolio l’impresa produce Q* se e solo se P
associato a Q* è maggiore dei costi medi.
Quindi: MR(Q*) = MC(Q*) se P>AC(Q*)
Come per impresa price-taker

EQUILIBRIO DEL MONOPOLIO:

Quando valutiamo gra camente l’equilibrio del monopolista avremo solo la curva di domanda di
mercato e quattro elementi da considerare:
Nel gra co (X= quantità; Y= prezzo)
1) La curva di domanda di mercato = D
2) La curva dei ricavi marginali = MR (sotto la curva di domanda!!!)
A questo punto l’impresa decide come e quanto produrre:
3) Curva di costo medio= AC
4) Curva dei costi marginali= MC
MC interseca sempre AC nel punto di minimo.
MC ed AC sono i costi speci ci per l’impresa monopolista.

Bisogna determinare l’equilibrio:


1- Regola della quantità:
Q* si trova nell’intersezione di MR e MC. In questo punto si massimizza il pro tto del monopolista.

Il prezzo deve essere al livello massimo raggiungibile, è un prezzo che sta lungo la domanda di
mercato, raggiungendo il punto più alto di Q* si ottiene P*. Quindi il pro tto massimizzato
dell’impresa è nel punto (Q*;P*).
In equilibrio di monopolio il prezzo ssato è maggiore dei costi marginali, il monopolista riesce a
vendere ogni unità aggiuntiva ad un prezzo maggiore del costo di produzione.

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2- Regola di cessazione dell’attività:
Bisogna determinare se conviene o no produrre Q* vendendola a P*. Se P*>AC l’impresa osserva
pro tti positivi.
Riportando sulle ordinate AC(Q*) si ottengono i costi per produrre quella quantità, in questo modo
Q* sta al di sopra di AC e l’impresa produce massimizzando il suo pro tto. Non cesserà l’attività,
perché l’impresa ha pro tti positivi.
Il quadratino in alto è il pro tto. Tutta la di erenza tra P* e AC.

A partire dall’equilibrio possiamo dire che:


Esiste una stretta relazione tra la capacità del monopolista di estrarre ricavi e la sensibilità del
mercato a variazioni di prezzo, ovvero elasticità della domanda rispetto a prezzo di mercato.
Siamo sempre in grado di studiare la relazione tra ricavo marginale ed elasticità della domanda.
Ed= Elasticità domanda
MR= P (1+1/Ed)
Il ricavo marginale che il monopolista è in grado di estrarre da un mercato coincide con una quota
che è il prezzo di mercato P, mediato dal ruolo dell’elasticità della domanda.

Considerando che:
MR = P (1+1/Ed)
1) Il ricavo marginale è sempre inferiore al prezzo, perché Ed è un numero negativo
2) Se aumenta l’elasticità della domanda di mercato (Ed), 1/Ed diminuisce e MR si avvicina a P. Più
la domanda è elastica, più è bassa la componente di e etto riduzione prezzo. Se la domanda è
molto elastica allora è piatta, cioè in elasticità = -∞, si annulla l’e etto riduzione prezzo e si torna
alla concorrenza perfetta.
3) Necessariamente per massimizzare il proprio pro tto il monopolista deve produrre Q* in un
punto in cui la domanda è elastica e dove non è inelastica.
Dall’equazione sappiamo che necessariamente il punto di equilibrio è in MC=MR, i prezzi sono
sempre maggiori di zero e questo fa sì che l’unico punto in cui ha senso l’uguaglianza è quando
l’elasticità della domanda coincide con un tratto in cui la domanda è elastica.
Questo signi ca che se tracciamo una curva di domanda negativa, il monopolista si trova in un
equilibrio possibile solo nei punti della curva di domanda in cui si osserva un’elasticità in valore
assoluto positivo (un tratto di domanda elastica).
L’equilibrio del monopolista sarà sempre in un tratto elastico della curva di domanda, perché?
Lungo una curva di domanda l’elasticità varia. C’è sempre un equilibrio che sta nel tratto elastico
della domanda.

FISSAZIONE DEL PREZZO: Indice di Lerner o Mark Up o Margine Prezzo-Costo


Più il prezzo supera il costo marginale più è verosimile che ci troviamo in un mercato non
concorrenziale, perché l’impresa sta dimostrando di detenere potere di mercato.
Siamo o non siamo in un monopolio? Possiamo rispondere introducendo una misura del potere di
mercato che si chiama MARK UP.
Segnala che l’oggetto di interesse è il di erenziale dell’impresa che riesce a fare con il suo prezzo
sopra i suoi costi marginali.
È detto anche INDICE DI LERNER o MARGINE PREZZO-COSTO.
È un indice che viene misurato come rapporto tra (PREZZO - COSTO MARGINALE) / PREZZO.
Tanto più P è maggiore di MC, più alto sarà il margine dell’impresa, più l’impresa detiene potere di
mercato.
Possiamo quanti care la presenza o meno di potere di mercato, per capire se siamo o non siamo
in un mercato di monopolio.

Il mark up dipende dall’elasticità della domanda di mercato.


In particolare:
(P-MC)/P = -1/Ed

Più è bassa l’elasticità (meno è sensibile la domanda di mercato a variazioni nel prezzo), più
cresce il margine possibile dell’impresa. Quando la domanda è poco elastica (reagisce poco a
variazioni di prezzo), l’impresa sa che i consumatori non sono reattivi, anche ssando un prezzo
molto alto i consumatori non abbasseranno la quantità domandata.
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La capacità di un monopolista di sfruttare i ritorni economici in un mercato monopolistico cresce
tanto più il mercato di riferimento è inelastico.
Se la domanda è molto elastica, i consumatori riducono drasticamente la quantità domanda se il
monopolista aumenta il prezzo.

Vi è una relazione diretta tra margine ed elasticità della domanda di mercato.


Il mark up del monopolista cresce al decrescere dell’elasticità del mercato.

MONOPOLIO ED EFFICIENZA
Se comparassimo l’equilibrio nel monopolio e nella concorrenza perfetta:

La quantità scambiata in Concorrenza Perfetta è maggiore di quella nel Monopolio.


Il prezzo nel Monopolio è sempre maggiore di quello in Concorrenza Perfetta.

Se compariamo i due mercati, il monopolio comporta sempre ad una perdita di e cienza.


Essa la quanti chiamo come un’area data da una somma tra C ed E che chiamiamo PERDITA
SECCA DI MONOPOLIO. In monopolio si sta peggio che in concorrenza perfetta.
In concorrenza perfetta il consumatore avrebbe un surplus di A, B, D.
In monopolio abbiamo equilibrio in EM.
C + E —> perdita di surplus sia per consumatore che per produttore
Il nuovo surplus dei consumatori coincide con il triangolo A (sotto curva di domanda e sopra
quantità domandata)
Il surplus del produttore è B+D, ma in concorrenza perfetta B era surplus del consumatore.
Fissando un prezzo maggiore, tutta l’area B rimane surplus dell’economia, ma non è più parte del
benessere dei consumatori, ma va a fomentare il benessere dei produttori.

In monopolio si sta peggio perché si crea perdita secca del monopolio, e anche i consumatori
stanno ancora peggio perché perdono surplus trasferito ai monopolisti produttori.

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DISCRIMINAZIONE DI PREZZO
La perdita secca si azzera se il monopolista pratica la DISCRIMINAZIONE DI PREZZO, cioè
di erenziare i prezzi tra consumatori diversi.
Il prezzo non sarà più di equilibrio, ma ci saranno tanti prezzi diversi, tanta quanta è la capacità del
monopolista di captare informazioni dai consumatori e praticare prezzi diversi.
Più si pratica discriminazione di prezzo, più aumenta la quantità venduta.
L’impresa aumenta i suoi pro tti e incontra la curva di domanda in diversi punti.

Non avremmo più perdita secca di benessere, se il monopolista riuscisse a discriminare i prezzi.
Non si ha perdita di benessere, ma il surplus del consumatore va interamente al produttore.
21.04.2022

1. L’impresa concorrenziale massimizza il pro tto: producendo la quantità in corrispondenza


della quale il ricavo marginale eguaglia il prezzo, il costo marginale ed è superiore (o uguale) al
costo medio.

ALTRE FORME DI MERCATO CON POTERE DI


MERCATO: OLIGOPOLIO
Si trova tra la Concorrenza Perfetta e il Monopolio.
L’oligopolio è un mercato in cui abbiamo pochi venditori con potere di mercato, i quali vendono
beni sostituti, che vengono venduti a seconda dell’interazione strategica che si veri ca con le altre
imprese.

La ssazione del prezzo dipende dalle scelte strategiche fatte dalle altre imprese con cui si
compete.

Poiché vi è un certo grado di sostituibilità dei beni, l’impresa riesce a diventare Price maker.
= è un mercato in cui operano pochi produttori e sono tutti Price maker.

Non solo le imprese sono Price maker, ma sono tra loro strettamente interconnesse, poiché vi è
una forte interazione strategica, da che ciò che fa l’impresa con cui competo determina ciò che
riesco a vendere, a quanto riesco a vendere, de nendo di fatto il ricavo dell’impresa.

Vi sono diverse forme di mercato:


- Se l’interazione strategica dipende solo dal prezzo di vendita si parla di Oligopolio Bertrand.
Le imprese competeranno sul prezzo ribassando il prezzo di vendita il più possibile così da
cacciare l’altra impresa fuori dal mercato. La loro competizione è incentrata sulla ssazione di
un prezzo, in modo da far uscire le altre imprese dal nostro mercato. La ssazione del prezzo
per un oligopolista deve bilanciare il trade o tra prezzo alto per massimizzare il pro tto e
prezzo basso per scacciare le altre imprese oligopoliste che non resistono in un mercato se il
prezzo è così basso.
- Oligopolio Cournot —> concorrenza sulla quantità
- Oligopolio Stackelberg —> concorrenza sulla quantità
La di erenza tra questi ultimi è che Cournot prevede un’interazione strategica simultanea tra
imprese, mentre quello di Stackelberg prevede che un’impresa possa decidere in maniera
sequenziale le quantità da produrre rispetto alle altre. Entrambi i modelli centrano la competizione
sulla quantità. L’impresa cerca di sfruttare le economie di scala e produrre dei quantitativi di
output tanto più maggiori possibili se comparati con le altre imprese con cui compete.
In ogni caso, otterremo delle ine cienze (perdite di benessere), sappiamo che ci troviamo in una
situazione di prezzo intermedia tra prezzo di monopolio e di concorrenza perfetta.

Come per il monopolio, anche per l’oligopolio, la normativa antitrust cerca di limitare l’emergere di
situazioni di oligopolio.
È sempre di cile capire quando ci sia una situazione di abuso di posizione dominante.

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ALTRE FORME DI MERCATO CON POTERE DI
MERCATO: CONCORRENZA MONOPOLISTICA
Si contraddistingue per:
1) La presenza di molte imprese —> molta concorrenza
2) Vi è assenza di interazione strategica—> a di erenza dell’oligopolio, non è importante
conoscere ciò che fanno le altre imprese operanti in quel mercato. Le decisioni di prezzo delle
altre imprese non incidono direttamente sulle scelte produttive della singola impresa.
3) A di erenza dell’oligopolio, nel mercato di concorrenza monopolistica vi è libertà di entrata e
uscita dal mercato, grazie all’assenza di barriere sia in ingresso che in uscita.
4) I beni sono prodotti in maniera di erenziata, se in CP abbiamo prodotti omogenei, in CM
abbiamo prodotti di erenziati (come in oligopolio). Ogni singola impresa può ssare un suo
prezzo a seconda della curva di domanda che si trova di fronte, a seconda del suo prodotto
di erenziato. Le imprese che operano in mercati di CM a rontano una curva di domanda
inclinata negativamente, cioè sono Price maker. Fissano un prezzo che risponde alla domanda
di mercato che incontrano per il singolo bene.
Es. negozi al dettaglio: piccole gastronomie, bar in zone turistiche. Situazioni in cui gli operatori
sono molti, però c’è un certo grado di fedeltà del consumatore verso quell’esercizio commerciale.
Fa sì che il prodotto che vende, un gestore sia percepito dal consumatore come di erenziato
rispetto agli altri. In virtù di questa percezione di erenziata, ogni singolo esercente compete con
gli altri esercenti potendo ssare dei prezzi maggiori di quelli che sarebbero stati ssati in
concorrenza perfetta.

Nel gra co (possiamo tralasciarlo):


Nel breve periodo vi sia un margine di pro tto, che è quello della situazione di monopolio. Ogni
singolo esercente agisce come se fosse monopolista. Si riesce a delizzare il cliente ed avere un
pro tto.

Il mercato di CM è tale da avere un certo grado di concorrenza. Nel lungo periodo, altri esercizi
ravvedono la possibilità di avere pro tti, e non avendo barriere all’ingresso, entreranno in questo
mercato no ad erodere i margini di pro tto. Nel lungo periodo la CM raggiunge un punto in cui si
è molto vicini alla CP, in cui i pro tti diventano nulli, ma il prezzo di vendita rimane di erenziato.
Poiché il prezzo sarà sempre al di sopra del costo marginale, non siamo in concorrenza perfetta,
in CM si mantiene un potere di mercato che fa ssare alle imprese un prezzo maggiore al loro
costo marginale.

CONFRONTO TRA MERCATI


Compariamo i diversi punti di equilibrio
possibili:
M= Monopolio
CP= Concorrenza Perfetta
OC= Oligopolio Cournot
OS= Oligopolio Stackelberg
OB= Oligopolio Bertrand

In termini di e cienza, abbiamo che CP


massimizza il benessere, M minimizza il
benessere e in mezzo abbiamo le forme di
oligopolio che hanno diversi gradi di
e cienza.
Se il monopolista fosse in grado di operare la discriminazione perfetta di prezzo, ovvero vendere i
beni che produce a prezzi perfettamente di erenziati per incontrare le diverse disponibilità di
pagare di tutti i consumatori, avremmo che la quantità prodotta sarebbe simile a quella di CP
venduta a un prezzo simile, ma dato che siamo in M in termini di e cienza avremmo che il surplus
del consumatore è stato rubato dal monopolista. Complessivamente l’economia sta uguale,
perché non c’è perdita secca, però in CP il surplus è ripartito più o meno equamente, in M tutto il
surplus va al monopolista, lasciando il consumatore senza benessere.

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CAP 6 - LE IMPRESE
IMPRESA
L’impresa non è un’azienda sotto il pro lo giuridico. Sotto il pro lo giuridico un’azienda è il
complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
L’imprenditore è chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al ne della
produzione e dello scambio di beni o di servizi. (art. 2135 c.c.)
In economia aziendale si considera come si organizza l’azienda, la sua gestione e la sua
rilevazione.

L’economia politica elabora la TEORIA DELL’IMPRESA, al ne di formalizzare meglio la


comprensione dei mercati oggetto di studio della disciplina economica.
I modelli di produzione che abbiamo visto assumevano che le imprese fossero agenti
perfettamente razionali, l’impresa aveva la funzione di massimizzare il pro tto e riusciva ad avere
tutte le informazioni utili per massimizzare il suo pro tto.
In realtà, l’impresa non può essere trattata al pari del consumatore come agente perfettamente
omogeneo, perché l’impresa è data dalla complessità degli agenti economici che vi lavorano
all’interno, i quali devono essere coordinati. Questi attori possono potenzialmente perseguire degli
obiettivi che sono diversi dall’obiettivo di massimizzazione del pro tto che abbiamo attribuito
all’impresa.
L’idea di introdurre una teoria dell’impresa è quella di aprire il box impresa per comprendere che
all’interno della stessa vi sono diversi attori con ruoli e obiettivi diversi, che perseguono obiettivi
sensibilmente diversi. A partire dalla di erenza di obiettivi si formula una teoria dell’impresa
necessaria a comprendere meglio il pacchetto che nora abbiamo trattato come omogeneo.

Il punto di partenza di una TEORIA DELL’IMPRESA è che l’impresa NON è un agente omogeneo,
ma è formata da diversi attori che potrebbero trovarsi in con itto tra loro.
L’impresa può essere vista anche come un meccanismo di coordinamento. Di fatto l’impresa si
posiziona tra l’essere un agente economico e l’essere un meccanismo di coordinamento ( nora
avevamo considerato il mercato in quanto tale).
Se il mercato è un meccanismo di coordinamento tramite il meccanismo di ssazione dei prezzi,
l’impresa al suo interno è un’organizzazione che si deve coordinare tramite sistemi di incentivi e
sistemi di centralizzazione e autorità che permettono all’organizzazione di funzionare.

All’interno delle imprese serve un coordinamento che permette all’impresa di funzionare e poi di
perseguire gli obiettivi di massimizzazione del pro tto trattati nora.
Le imprese hanno in comune l’essere meccanismi di coordinamento. Tutto il potere nelle imprese
è concentrato, mentre nel mercato il potere è completamente decentrato, perché sono gli agenti
che operano in quel mercato a de nire il prezzo di mercato.

L’impresa si di erenzia molto dal mercato perché non è governata dal meccanismo dei prezzi,
cosa che succede nel mercato. L’impresa in quanto organizzazione si contraddistingue per il fatto
che non tutti gli attori che vi appartengono hanno gli stessi interessi, quindi l’impresa ha dei
problemi di organizzazione al suo interno che provocano problemi di controllo e monitoraggio.

Le imprese sono organizzazioni.


La teoria dell’impresa si è posta di comprendere il perché debba nascere questa organizzazione
detta IMPRESA.
La teoria dell’impresa si struttura su due concetti, basati sulla razionalità limitata, ovvero che le
imprese sono caratterizzate da informazione imperfetta. Quando si va a massimizzare il pro tto le
imprese non godono di tutta la razionalità perfetta di cui godeva il consumatore, perché al loro
interno si osservano dei con itti.

1. STRADA CONTRATTUALISTA: nasce dal riconoscimento del problema dei contratti


incompleti e dal problema di asimmetria informativa. L’impresa come organizzazione deve
nascere per contratti incompleti o per asimmetria informativa. La strada contrattualista ipotizza
che l’impresa nasca per superare i problemi di incompletezza contrattuale, e in particolare che
nasca per coordinare le transazioni economiche quando i contratti sono incompleti, poiché è
solo l’impresa in quanto organizzazione che riesce a minimizzare i costi per reperire le
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necessarie informazioni quando i contratti sono incompleti. L’impresa nasce per minimizzare
i “costi di transazione”, cioè quei costi sostenuti dall’impresa quando opera nei mercati.
Quando nasce, l’impresa deve minimizzare:
• i costi ex post (si incontrano per eseguire contratti incompleti) e
• i costi ex ante (per stipulare dei contratti che per loro natura saranno incompleti, ed evitare
le ricadute economiche causate da questo.)
Secondo la strada contrattualista i contratti incompleti forzano la nascita dell’impresa, al ne di
abbattere i costi di transazione e operare nel mercato in maniera e ciente.

2. STRADA NON-CONTRATTUALISTA: cerca di spiegare perché nascono le imprese sotto il


pro lo degli individui. Cerca di spiegare perché individui che lavorano in un’impresa agiscono in
un modo piuttosto che in un altro. L’impresa riduce i costi di transazione, facilitando la gestione
delle transazioni tra agenti interni. Si migliora il processo di scelta che guida gli individui operanti
in un’impresa rispetto a che queste scelte debbano essere prese all’interno di un mercato.
Non vedremo questa teoria.

1. APPROCCIO CONTRATTUALISTICO
Incertezza
Per de nire i contratti incompleti bisogna de nire la di erenza tra incertezza e rischio.
Ogniqualvolta il grado di incertezza sia misurabile = RISCHIO
Quando l’incertezza non è misurabile, e non si ha una scala di probabilità del rischio si parla di
INCERTEZZA. Le sue probabilità di manifestazione non sono note.

L’incertezza non quanti cabile in termini probabilistici. Incertezza unita al fatto che vi è simmetria
informativa può essere in principio superata legalmente dalla nascita di un contratto.
I contratti sono incompleti per natura, perché non tutto è de nibile, non tutti i rischi e i casi
possono essere de niti.
Quando si parla di mercato del lavoro ad esempio abbiamo evidenza dell’incompletezza
contrattuale; mentre in un contratto di vendita si scambia un bene a fronte di un pagamento; il
mercato del lavoro trasferisce ore in maniera temporanea, a fronte di un salario.
La natura diversa tra contratti di lavoro e contratti di compravendita aiuterà nella spiegazione.

Contratti incompleti
Sono detti incompleti perché non sempre sono veri cabili ed eseguibili in maniera certa. Qualora
si presentino controversie rispetto all’esecuzione di azioni scritte, ci possono essere spesso delle
componenti non eseguibili e chiare nel contratto (come l’esserci di circostanze impreviste).
Cause possibili:
- Circostanze non previste per incapacità degli agenti
- Circostanze non previste perché incerte
- Circostanza non previste deliberatamente per rendere il contratto adattabile
- Circostante non concordate
- Assenza di giudice preposto/istituzioni
- altre…

Attività speci che nei contratti incompleti


Williamson parla di approccio contrattualistico in termini di contratti e di costi di transazioni
incentrandosi sul problema dell’economia sulla transazione.
Cerca di spiegare la nascita delle imprese a partire dal fatto che le imprese operano per attività
speci che (asset speci ci) che richiedono investimenti speci ci e che sono impossibili da tradurre
in un contratto.
La teoria di Williamson parte dal riconoscere che le imprese svolgono attività speci che per le
quali servono degli investimenti speci ci.
Il problema è che l’impresa deve produrre facendo investimenti, però questi asset non sono
riutilizzabili facilmente se non comportando una diminuzione del loro valore.
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Il fatto che le imprese debbano sempre e ettuare investimenti speci ci fa sì che si crei sempre un
problema di relazione e di transazioni tra due imprese che idealmente sono governate da
contratti, ma fattivamente i contratti sono incompleti. Si possono creare situazioni di
opportunismo da parte di agenti economici che non possono essere risolti dal contratto.
Si crea una RELAZIONE TRA PRINCIPALE ED AGENTE, in cui si crea una discrasia tra due
imprese che ora riconosciamo essere diversi agenti economici. Chi e ettua investimenti speci ci
di fatto sta subendo un rischio non quanti cabile (incertezza) perché può subire dalla controparte
la decisione di ridecidere o interrompere il contratto, rinunciando a una parte dei propri guadagni.
Ipoteticamente più è rigido un contratto (le clausole sono chiare) meglio è per ridurre questo
rischio, ma meno è suscettibile a riadattamento per imprevisti.
Complessivamente, quello che si osserva è che incertezza e incompletezza naturale dei contratti
induce le imprese a fare investimenti speci ci sempre più bassi perché non c’è certezza
nell’evolversi di un contratto tra due imprese.

Pertanto, serve una forma di coordinamento che regoli le situazioni descritte: in cui i contratti non
possono garantire in maniera certa che la produzione avverrà e i prezzi da soli non permettono di
superare questo ostacolo.
A partire da queste possibili forme di coordinamento si fa nascere l’impresa atta a produrre un
determinato bene. Si può immaginare che uno dei due contraenti se è incerto circa l’esecuzione
di un contratto, è possibile che l’impresa A acquisti la B al ne di concludere il contratto senza
rischi.

I contratti incompleti ed i con itti


Il punto cruciale nella TEORIA DELL’IMPRESA è che a nché quest’organizzazione che si crea
funzioni, devono funzionare tutte le relazioni al suo interno.
In realtà, però, si creano spesso dei problemi perché gli attori al suo interno hanno diversi
interessi che non sempre convergono.

MODELLI PRINCIPALE-AGENTE
Nasce dalla separazione della proprietà dell’impresa e del controllo dell’impresa. Tipicamente
proprietà e controllo nelle imprese grandi sono a date a due persone diverse.
Vi è una relazione tra proprietà e controllo, che perseguono interessi diversi. Questo potrebbe
causare con itti.
Il PRINCIPALE è la persona per conto della quale l’AGENTE svolge un lavoro.
I modelli principale-agente analizzano tutte le relazioni tra i due ogniqualvolta siamo in presenza di
contratti incompleti, che determinano dei problemi di coordinamento.
In un impresa i problemi nascono nel momento in cui il principale a da un lavoro all’agente, e il
primo non può controllare l’operato del secondo. Si creano dei problemi che il modello principale-
agente cerca di modellare.

Si possono creare due forme di con itto:


1) Tra proprietà e controllo: chi detiene la proprietà e chi la gestisce
2) Tra impresa e dipendenti

Questi modelli sono necessari perché c’è sempre un’azione nascosta, che si veri cano ogni
qualvolta il contratto è incompleto, poiché uno dei due agenti, l’agente, compie delle azioni non
facilmente veri cabili da parte del principale.
I modelli cercano di modellare situazioni in cui vi siano due agenti e vi siano problemi di azione
nascosta e asimmetria tali da creare problemi di con ittualità all’interno dell’impresa.

CONFLITTO 1 - Tra CdA (proprietà) e Manager (controllo)


Il Consiglio di Amministrazione decide la strategia di lungo periodo.
I Manager danno attuazione alle decisioni del board attribuendo mansioni e monitorando i
dipendenti.

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Da che il CdA e Manager sono separati, si creano dei problemi all’interno dell’impresa di
AZZARDO MORALE, perché chi mette i fondi (CdA) è diverso da chi prende le decisioni operative
(Manager). Può succedere che i manager rispondano a obiettivi diversi da quelli del CdA.
Da che i pro tti sono della proprietà si crea un con itto con chi la gestisce.
Le azioni dei manager rispondono alla necessità di massimizzare la funzione obiettivo, e allo
stesso tempo le sue azioni impattano sui pro tti. Non è automatico che il manager bene ci di ciò.

Soluzioni al con itto: per uscire dal con itto vi sono due strade, che permettono di riallineare gli
interesse tra le due parti:
1) Legare il salario dei manager ai pro tti—> creando contratti più completi, costringendo i
manager a legarsi al pro tto
2) Aumentare il monitoraggio —> se il problema è di asimmetria informativa

CONFLITTO 2 - IMPRESA E DIPENDENTI


I Manager danno attuazioni alle decisioni del Board attribuendo mansioni e monitorando i
dipendenti.
I Dipendenti a volte hanno accesso a informazioni che i manager non conoscono e viceversa.
Anche in questo caso il con itto si spiega grazie a problemi di asimmetria informativa.
All’interno dei diversi livelli gerarchici non tutti sanno veri care la corretta realizzazione delle
mansioni.
In generale, l’agente ha più informazioni circa le proprie azioni, rispetto al principale. Questo crea
le basi per modellare le relazioni tra impresa e dipendenti.

In questo caso, la fonte principale del con itto è che il mercato del lavoro è diverso dal mercato di
compravendita dei beni.
Da un lato il manager può scegliere di abbassare i costi, dall’altro lato il dipendente può scegliere
di non dedicare impegno massimo a fronte di un minore stipendio.
Anche in questo caso, il con itto nasce dall’incompletezza dei contratti:
- Non tutte le attività sono veri cabili
- Non si può monitorare il dipendente in maniera perfetta
- Non si può sapere ex ante quali mansioni future si richiederanno al dipendente
- Di fatto, contratti a cottimo sono spariti (legati alla produttività)
Soluzioni al con itto: sistema di incentivi può aiutare a risolvere il con itto.
Dare i giusti incentivi può riallineare interessi del dipendente e della direzioni. L’impresa può
mantenere un salario basso, ma allo stesso modo, più il salario è basso meno il lavoratore
dedicherà impegno. Bisogna trovare un giusto compromesso tra la necessità di massimizzare i
pro tti e ottenere un buon livello di impegno del lavoratore.

INFORMAZIONE ASIMMETRICA: nel rapporto impresa dipendenti è riassumibile in un problema


di coordinamento tra principale (impresa) e agente (dipendente), in cui quest’ultimo ha le
informazioni necessarie a svolgere il lavoro; ma il principale non avrà mai controllo perfetto circa
le decisioni del lavoratore.
Tanto più l’impresa è piccola, tanto minore sarà il problema di informazione asimmetrica e quindi
sarà più facile risolvere il problema.
Poiché per i dipendenti la funzione da massimizzare non è quella dell’impresa, si crea un con itto,
acerbato dalla presenza di informazione asimmetrica.
Tutti i dipendenti possono scegliere il massimo impegno al lavoro, come possono non farlo, non
destinando al lavoro il pieno delle proprie potenzialità, qualcosa che l’impresa non può
dimostrare.
Sappiamo che i contratti di lavoro per loro natura sono incompleti, quindi è necessario trovare una
soluzione più economica che esuli dalla mera redazione del contratto di lavoro tra impresa e
dipendenti. Da che il contratto di lavoro è incompleto per sua natura, è necessario trovare un
sistema che permetta di trovare una soluzione al con itto impresa-dipendenti.

Si giunge così alla:


RENDITA DA OCCUPAZIONE
= di erenza tra il valore attribuito al posto di lavoro ed il valore attribuito all’opzione di riserva dal
lavoratore.

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È una misura del costo netto di perdere il lavoro del dipendente. Include i costi associati alla
ricerca di un nuovo lavoro, una perdita di stipendio di mesi di inattività, perdita di assicurazioni,
quanti cazioni del costo sociale attribuito dal lavoratore al suo lavoro, include anche
considerazione circa gli eventuali sussidi alla disoccupazione.
Più è alta la rendita da occupazione (di erenza valore attribuito al posto di lavoro e valore
attribuito alla soluzione alternativa) tanto maggiore sarà la paura di perdere il lavoro, maggiore
sarà l’impegno dedicato all’attività lavorativa.

Allo stesso modo, per comprendere come risolvere il con itto, dobbiamo capire cos’è:
SALARIO DI RISERVA
= quel livello di salario che permette al lavoratore di compensare la perdita del posto di lavoro,
lasciando il lavoratore indi erente tra la scelta di lavorare e la scelta di non lavorare.
Il valore dell’azione più prossima è de nito salario di riserva.
Per determinare il salario ottimale sappiamo che la contrattazione tra impresa e dipendente deve
arrivare ad un salario pagato almeno pari ad almeno il minimo salario di riserva. Altrimenti
osserveremmo un impegno nullo da parte dei lavoratori verso la mansione a loro attribuita. Se non
si raggiunge il minimo salario di riserva, il contratto non sarebbe incentivante per i lavoratori, e
non permetterebbe la risoluzione del con itto impresa-dipendenti.

28.04.2022
CALCOLARE RENDITA DA OCCUPAZIONE
La rendita da occupazione è la di erenza tra il bene cio che deriva dalla partecipazione al
mercato del lavoro e la disutilità generata dal lavoro (aumentare le ore lavorative per il lavoratore,
ne diminuisce le sue ore di tempo libero).
Se volessimo quanti care mette insieme: di erenza tra il salario orario percepito - l’eventuale
presenza di un sussidio di disoccupazione - la disutilità implicita nel lavorare (=costo del lavoro).

COME SI STABILISCE IL SALARIO (W)


Modello dell’e etto disciplinante del salario
A partire da questo modello si può determinare il salario ottimale da corrispondere a un
dipendente.
Bisogna immaginare un gioco in cui gli attori sono il principale (l’impresa) e un dipendente, cioè
l’agente Il gioco è in maniera sequenziale, e si ripete ntanto che il dipendente lavora (rimane
occupato).
Ci sono delle azioni che portano a dei payo . Ci sono due attori che possono scegliere azioni
diverse:
• Il principale ssa un grado di salario W, che viene corrisposto in maniera invariata ntanto che
l’impegno del dipendente è invariato.
• L’agente ha come azione quello di scegliere un livello di impegno commisurato al livello di
salario che riceve.
Se si riesce a trovare un equilibrio tra questi payo si può arrivare all’equilibrio di Nash, che si
determina qualora l’agente scelga un livello di impegno che sia la risposta ottima al salario che
viene o erto dall’impresa. Nel modello dell’e etto disciplinante del salario dobbiamo quindi
considerare: (1) salario corrisposto e (2) livello di impegno dell’agente nel suo lavoro.

Si può modellare la scelta dell’agente di dedicare crescenti livelli di impegno nel lavoro come un
qualcosa che dipende dal salario che le viene corrisposto.
Intuitivamente maggiore sarà il salario corrisposto, maggiore sarà l’impegno nell’attività lavorativa.
Vi è una relazione crescente tra impegno profuso e salario corrisposto, che si può rappresentare
con una curva che relaziona diversi grado di impegno per ora lavorativa (su Y) con salario orario
corrisposto W (su X).
Si può rappresentare la risposta ottima dell’agente per i diversi livelli di salario che l’impresa le
o re, come possibile azione nel nostro modello di teoria dei giochi.
Se guardiamo l’asse Y possiamo avere diversi livelli di impegno orario, in questo esempio da 0 a
1.
Sull’asse X si trova il livello di salario che l’impresa corrisponde al dipendente.

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Se modelliamo diversi gradi di impegno per diversi livelli di salario, si calcola qual è l’impegno
dell’agente a un dato salario.
Notiamo la presenza del salario di riserva
(in questo caso=6), e sappiamo che il
salario e ettivo deve essere superiore al
salario di riserva. La curva di risposta
ottima parte dal punto del salario di
riserva, che ha valore 6. Nell’area in
arancio ci sono tutte le combinazioni di
impegno e salario dell’agente.

CURVA DI RISPOSTA OTTIMA


All’aumentare del salario, aumenta
l’incentivo all’impegno e la rendita da
occupazione.
Il trade o dell’agente è impegnarsi a
su cienza se il lavoro paga un buon
stipendio; il trade o per l’impresa è che per impegni maggiori deve corrispondere salari maggiori.

Per come è strutturata la curva abbiamo anche in questo caso dei rendimenti marginali
decrescenti, poiché più aumenta il salario (in prossimità di K e punti successivi) più decresce
progressivamente l’impegno profuso in maniera proporzionale.

MINIMIZZARE I COSTI
Il problema di determinare il salario ottimale W passa dalla questione di minimizzare i costi.
Come si minimizzano i costi in questo contesto?
Sappiamo che l’impresa vuole minimizzare i costi di produzione per massimizzare i pro tti,
tenendo su cientemente bassi i salari.
Sappiamo che l’agente (dipendente) non è un semplice input produttivo, ma è meno produttiva
per salari bassi. La minimizzazione dei costi di produzione per l’impresa passa necessariamente
dalla determinazione della combinazione più e ciente tra salario W ed impegno E.
Il problema di agente e impresa è determinare una combinazione ottimale tra un livello di salario
W e un livello di impegno E per l’impresa e per l’agente.

ISOCOSTI PER DIVERSI LIVELLI DI IMPEGNO


Si può introdurre questo elemento che agisce insieme alla curva di risposta ottima per l’agente
che permette di risolvere il trade o .
È una funzione che permette di modellare la relazione tra impegno e salario e associarla a diversi
livelli di costo, ovvero quanto l’impresa deve pagare il dipendente per quel grado di impegno
produttivo.
A livello gra co vediamo una serie di rette con inclinazione costante, che è E / W. Si introduce
quindi una retta che ha come coe ciente
angolare E/W. Questa inclinazione costante
rappresenta il tasso a cui l’impresa riesce ad
aumentare il salario in cambio di impegno
profuso.

Immaginiamo di poter avere in nite rette,


possiamo immaginarci di dare interpretazione
sintetica di tre casi limite:
•In blu scuro l’impegno costa meno
•In azzurro intermedio abbiamo il costo medio
dell’impegno
•In azzurrino abbiamo costo alto dell’impegno

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Più è piatta la retta, più l’impegno costa caro per l’impresa. (Verso la retta più chiara)
Più è inclinata la retta, più l’impegno è economico per l’impresa. (Verso la retta più scura)

MASSIMIZZAZIONE PROFITTO
Il problema di gioco tra principale ed agente è
combinare la risposta ottima dell’agente a
fronte dei livelli di salario, con gli interessi
dell’impresa, cioè quelli di raggiungere la retta
blu più alta possibile, dove si ha il minor
costo unitario dell’impegno.
Unendo questi due elementi (interessi agente
e interessi azienda) si arriverà ad un punto di
equilibrio dato dalla tangenza tra le rette di
costo con inclinazione E/W e la curva di
risposta ottima dell’agente (quella in rosso).
Il punto A determina il salario di e cienza,
perché è stato determinato come il salario
ottimale e ciente, perché permette di
raggiungere il massimo grado possibile di
impegno del dipendente.

Se riusciamo ad arrivare ad A, possiamo considerarlo in equilibrio di Nash, stabile, pareto-


e ciente. L’impresa sa determinare il salario ottimale per far sì che il dipendente abbia quel livello
di impegno ritenendo quel salario giusto, e di cilmente si perderà questo equilibrio.
Ogni deviazione unilaterale da questo punto determinerà una rottura dell’equilibrio.

Disoccupazione
Questo modello funziona solo se c’è un certo grado di disoccupazione nell’economia.
Se il dipendente potesse subito ritrovare un lavoro, invece di trascorrere un periodo da
disoccupata, la sua rendita da occupazione andrebbe a zero. Se non c’è disoccupazione ci
sarebbe rendita da occupazione pari a zero.
Se non c’è disoccupazione alcuna in un’economia, quindi non c’è rendita da occupazione, non
riusciremmo a modellare l’e etto disciplinante del salario, poiché la curva rossa tornerebbe a
gradi di impegno nullo.
Il dipendente si aspetta un certo livello di disoccupazione.
Questa disoccupazione è involontaria= chi è senza lavoro, ma preferirebbe essere occupato ad
un salario e a condizioni di lavoro identiche a quelle di lavoratori occupati con le sue
caratteristiche.

Questo equilibrio di Nash può variare qualora varino le condizioni che lo sottendono.
Varia se varia la risposta ottima del dipendente ai diversi gradi di salario.
Come può variare la risposta ottima?
• Presenza o meno di sussidi di disoccupazione
• Presenza più o meno alta di disoccupazione nell’economia considerata
Se non c’è disoccupazione o la disoccupazione non è molto alta, il costo di perdere il lavoro è
meno alto.

Il licenziamento comporta un lungo periodo di disoccupazione, che abbatterà il salario di riserva,


aumentando la rendita da occupazione, determinando un cambio nella curva di risposta ottima e
un cambio nell’equilibrio.
Uno studio ha mostrato che e ettivamente in un periodo contraddistinto da recessione
economica, in cui aumentava il livello di disoccupazione, saliva anche l’aspettativa circa la durata
del periodo di disoccupazione per ogni singolo dipendente. L’aumento del tasso di
disoccupazione è stato associato positivamente con un aumento della produttività dei lavoratori
impegnati. Più è alto il tasso di disoccupazione, più è alto l’impegno profuso, maggiore è quindi la
produttività dei lavoratori.

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Questo modello trova una validazione empirica circa la bontà delle sue previsioni, cioè che più
aumenta la disoccupazione, più varia il salario d’e cienza, più aumenta la produttività dei
lavoratori.

CURVA DELLA FISSAZIONE DEL SALARIO


= relaziona il salario reale (W/P) per diversi gradi di occupazione nella popolazione considerata.

Questa curva riporta sulle ascisse la proporzione di popolazione attiva che sta lavorando, e
sull’asse delle ordinate il salario reale corrisposto.

La curva relaziona direttamente diversi livelli di salario con diversi livelli di disoccupazione.
• Più è basso il tasso di disoccupazione, maggiore dovrà essere il salario corrisposto.
• Più ci si sposta a sx della curva, quindi maggiore è il tasso di disoccupazione, più basso può
essere il salario reale corrisposto. In altre parole, il salario reale cresce col crescere del grado di
popolazione in età lavorativa.

Se immaginiamo di tracciare diversi gradi di disoccupazione vediamo che per disoccupazione


bassa il salario è WH. A disoccupazione crescente il salario è WL, più basso del precedente.

A questo gra co si arriva a partire dal modello dell’e etto disciplinante del salario, riportando i
punti in questo nuovo gra co, aggregando tutti i lavoratori, in cui si relazionano salario e
popolazione in età lavorativa.

Il modello funziona se esiste un certo grado di disoccupazione involontaria.

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MACROECONOMIA
CAP 9 - DISOCCUPAZIONE, OCCUPAZIONE,
INATTIVITÀ: ALCUNE DEFINIZIONI (selezione)
La macroeconomia è microfondata.

OCCUPAZIONE
TASSO DI OCCUPAZIONE: rapporto tra il numero di individui occupati e la popolazione in età
lavorativa (15-64 anni)

DISOCCUPAZIONE
DISOCCUPATO: stato di una persona che, pur potendo lavorare ed essendo disponibile a farlo, si
trova senza lavoro (nelle settimane precedenti la rilevazione) e rispetta le condizioni:
1. Essere senza lavoro
2. Essere disponibili a farlo
3. Star cercando lavoro; compiere azioni speci che di ricerca di un lavoro

TASSO DI DISOCCUPAZIONE: rapporto tra il numero di disoccupati e la dimensione della forza


lavoro

FORZA LAVORO: popolazione in età lavorativa - popolazione inattiva


POPOLAZIONE INATTIVA: chi non è occupato e non cerca attivamente un lavoro

TASSO DI ATTIVITÀ
TASSO DI ATTIVITÀ: rapporto tra individui nella forza lavoro (occupati+disoccupati) e la
popolazione in età lavorativa

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02.05.2022
CAP 10 - BANCHE, MONETA E MERCATO DEL
CREDITO
DEFINIZIONI:
REDDITO (LORDO): misura di usso (misura che riporta un valore misurato in un dato intervallo
di tempo). Ammontare di denaro ricevuto in un intervallo di tempo come quota guadagno ottenuta
sul mercato, come frutto di investimenti o ricevuto dallo Stato.

RICCHEZZA: misura di stock in un dato istante. Massimo ammontare che un individuo è in grado
di consumare senza prendere denaro a prestito, dopo aver pagato i debiti ed incassato dai
creditori.
- Aumenta quando individuo risparmia: spesa complessiva in beni di consumo e servizi
(=consumi) è inferiore al reddito.
- Nel tempo è soggetta a deprezzamento: riduzione di valore dello stock di ricchezza.
REDDITO NETTO: somma massima consumabile senza modi care il livello di ricchezza.
Reddito lordo- deprezzamento (riduzione di valore dello stock di ricchezza nel tempo)

CONSUMI: quota di ricchezza destinata a beni di consumo e servizi


RISPARMI: quota di reddito che non è spesa in consumi
INVESTIMENTO: azione di acquisto di beni capitale, che aumentano il valore nel tempo

Se il denaro ha un costo, è chiaro che il costo del denaro è ciò che regola la scelta tra consumo e
risparmio in un dato tempo.
La scelta di consumo nel tempo t0 è da intendersi sempre in termini di costo opportunità, signi ca
sacri care a risparmio oggi e scelte di consumo in futuro. Se consumo oggi, sto rinunciando ad
un eventuale rendita data da quella quota che sto consumando invece di risparmiare, traendone
bene cio economico.
Costo-opportunità è spiegato a partire dal costo del denaro, cioè il tasso di interesse. Se
consumo tutto il reddito non sto risparmiando, quindi non sto concedendo credito a nessuno, e
per questo non ho rendita da risparmio.
L’eventuale quota investita (risparmiata) avrà un valore maggiore in futuro.
• Più è atteso il ritorno dal mio investimento, tanto più sarò incentivato a risparmiare.
• Più basso è il ritorno atteso dagli investimenti, tanto maggiore è l’incentivo a consumare oggi.

TASSO DI INTERESSE: misura puntuale del costo opportunità associato alle scelte di consumo o
scelte di risparmio in un periodo di tempo iniziale t0.
Se consumo tutto il reddito, sto rinunciando a una quota di potere d’acquisto futura che si
genererebbe se decidessi di investire i soldi invece di consumarli.
Spendere oggi tutto il reddito disponibile signi ca rinunciare a consumi futuri pari a 1+r. Il
presente e il futuro, t0 e t1, sono legati dal tasso di interesse, da 1+r, cioè il costo opportunità di
spendere in t0 quote di consumo. 1+r è ciò che rinuncio di ottenere in futuro se scelgo oggi di
spendere.
Maggiore è il tasso di interesse, minore sarà il consumo in t0 e maggiore sarà il consumo futuro.

Valore atteso di un investimento = K / (1+r)

MODELLO DEL CICLO VITALE


Ipotizza di avere t0 e t1 e due panieri identici che racchiudono tutti i consumi possibili del
consumatore C0 e C1.
Paniere intertemporale: (C0; C1)
Avremo delle preferenze del consumatore, espresse con curve di indi erenza (inclinazione saggio
marginale di sostituzione, tra consumo presente e consumo futuro).

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Come vincolo economico si introduce il vincolo di bilancio intertemporale: vincolo sulle risorse
che lega il consumo delle risorse presenti e le risorse future.

MODELLO DEL CICLO VITALE


IPOTESI DEL MODELLO:

Nel PANIERE DELLE DOTAZIONI il consumatore spende nel presente il suo reddito M0 e nel futuro
il reddito M1. Quindi il consumatore non sta facendo ricorso al mercato del credito.

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CONSUMATORE MUTUATARIO: Se il
consumatore si indebita, si trova nel
punto giallo A, in cui il suo consumo
presente è maggiore del suo reddito
disponibile. L’individuo sceglie di
indebitarsi oggi, consumando più del
reddito disponibile, a scapito del
consumo futuro.

CONSUMATORE RISPARMIATORE:
nel punto verde in B, il consumatore
sceglie di risparmiare oggi
consumando di meno, a favore di
quote di consumo maggiori in futuro.
Infatti C0B > M1

02.05.2022
VINCOLO DI BILANCIO INTERTEMPORALE
= vincolo che incorpora il valore attuale e il valore futuro atteso delle somme disponibili per il
consumatore. Come si costruisce il vincolo di bilancio intertemporale?
A partire dalla regola chiave già introdotta:
Consumo spendendo tutto il mio reddito disponibile, solo che nel modello del ciclo vitale
consideriamo due forme di consumo: consumo presente e consumo futuro e due forme di
reddito: reddito presente e reddito futuro.
A sinistra si trova il valore futuro del consumo, a destra il valore futuro del reddito:

C0(1+r)+C1= M0(1+r)+M1

Da questa relazione possiamo derivare la formula per rappresentare il vincolo di bilancio


intertemporale:

C1 = M1+(M0-C0)(1+r)

Il vincolo di bilancio passa nei punti rosso, giallo e verde tracciati prima. Ha un’inclinazione pari a

-(1+r), che identi ca il costo opportunità.


Questo vincolo di bilancio ha tre punti di interesse:
1) L’intercetta orizzontale, cioè M0+M1/1+r. Essa rappresenta il valore presente del reddito
complessivo, ovvero il punto di intercetta orizzontale identi ca complessivamente (sommando
reddito presente e futuro) quanto di C0 posso consumare indebitandomi. In questo punto il
consumatore consuma tutto il reddito presente e futuro per l’acquisto di C0, lo capiamo

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perché C è l’attività resa possibile dal reddito presente (0;M0) + reddito futuro
attualizzato(M0;M0+M1/1+r)
2) Il paniere delle dotazioni: il consumatore consuma nel presente il suo reddito presente e nel
futuro il suo reddito futuro. L’intercetta verticale nel punto D, indica il valore futuro del reddito
complessivo. In essa leggiamo l’acquisto futuro di beni in t1 associati a C1 possibile se nel
presente non consumiamo nulla. In D possiamo consumare una prima quota di reddito futuro
e una quota di M0(1+r) investito e attualizzato sul futuro. Da (0;M1) leggiamo il valore puntuale
M1 (reddito futuro). Da M1 a D leggiamo il valore attualizzato sul futuro del reddito presente.

Tra D e il punto rosso (paniere delle dotazioni) abbiamo gli equilibri dei risparmiatori. Alla dx del
paniere delle dotazioni (tra paniere delle dotazioni e punto C) abbiamo i punti di equilibrio dei
consumatori mutuatari, cioè che scelgono di indebitarsi nel presente, e che consumano di più
rispetto al reddito disponibile.
I diversi punti di equilibrio si determinano dall’intersezione tra la retta di bilancio intertemporale e
le preferenze dei consumatori espresse dalle curve di indi erenza.

Se il consumatore ha delle preferenze che lo portano ad un punto di equilibrio come a sx avremo


un equilibrio mutuatario, quindi il consumatore si indebita di una somma pari alla di erenza tra C0
e M0. Nel presente si consuma di più, e in futuro si consumerà meno del reddito disponibile in
futuro.
Debito:
C0-M0
C1<M1

Se le preferenze del consumatore sottendono un equilibrio da risparmiatore, si ha un risparmio


(M0-C0) e avremo che se risparmiamo nel presente, in futuro avremo C1>M1, cioè potremo
spendere più del reddito disponibile.

LE BANCHE
= chi permette al consumatore di scegliere se consumare oggi o domani.

Le banche funzionano attraverso l’istituzione della moneta (=mezzo di pagamento utilizzato per
l’acquisto di beni o servizi). Vi appartengono le banconote e i depositi bancari, gli assegni, e tutti
gli strumenti utilizzabili per l’acquisto di beni o servizi nei mercati.
In generale si può dire che la moneta è l’istituzione che permette di trasferire nel tempo il potere
d’acquisto dei consumatori. Da che chi riceve la moneta può utilizzare la moneta per lo stesso
motivo per cui l’ha ricevuta, si dice che si “trasferisce nel tempo il potere d’acquisto”.
A nché la moneta funzioni, è necessario che ci sia ducia da parte degli operatori in un sistema
economico nella propria moneta. È necessario che ci si di del fatto che una banconota ricevuta
oggi, mi permetterà domani di far valere la banconota in termini di potere d’acquisto, senza subire
delle perdite.
I sistemi che conosciamo garantiscono che la moneta sia un mezzo stabile e quindi di scambio
a dabile.

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In un sistema economico in cui la moneta crei ducia nei consumatori:
Si può de nire in un sistema economico lo STOCK DI MONETA: è dato dalla somma tra la moneta
circolante, ovvero tutte le banconote e gli assegni emessi + i depositi bancari, ovvero tutti i redditi
non tradotti in maniera circolante, ma depositati all’interno delle banche, che in futuro potrebbero
diventare moneta, oppure no.

FUNZIONI DELLA MONETA:


1. Mezzo di pagamento: utilizzata per compiere transazioni nei mercati
2. Unità di conto: permette di misurare e di quanti care la di erenza di valore tra beni e servizi
scambiati in un mercato. La moneta ha unità di conto perché ci ritorna il valore economico dei
diversi beni scambiati in un mercato. (Es valore di 1lt latte e valore 500g di farina, comparabili
tramite il prezzo)
3. Riserva di valore: ogni qualvolta investiamo denaro sappiamo che per mezzo della moneta
riusciamo a garantire certezza circa il valore del denaro futuro.

Quindi, si detiene moneta per:


1. Motivo transazionale: I consumatori detengono moneta per e ettuare transazioni.
2. Motivo precauzionale: deteniamo moneta in maniera precauzionale per eventuali spese future
che volessimo intraprendere
3. Motivo speculativo: applica quando si detiene come investimento una moneta diversa dal
sistema economico in cui operiamo. Il ne del detenere moneta estera è ricevere in futuro una
somma maggiore di quella investita per l’acquisto di moneta estera, da che speculiamo che
questa moneta abbia in futuro valore maggiore.

Si crea così la DOMANDA DI MONETA di famiglie e imprese:


LA MONETA: Domanda e O erta
Il sistema economico chiede domanda di moneta, e sulla base di questo si determina un equilibrio
nel mercato della moneta.
Avremo una curva di domanda di moneta che si intersecherà con l’o erta di moneta.

Quali sono le variabili che stimolano la domanda di moneta?


Abbiamo 3 macro variabili:
1. Tasso di interesse: a seconda del livello di r, si detiene più o meno moneta
2. Reddito: a seconda del livello generale di reddito, si detiene più o meno moneta
3. Livello generale dei prezzi: vedi in azione, che in uisce direttamente sulla domanda di
moneta. Più sono alti i prezzi, più è alta la domanda di moneta e ettuata da parte dei
consumatori.

La domanda si incontra con l’o erta, però quest’ultima funziona diversamente rispetto alla curva
di o erta in teoria del consumatore. Per quanto riguarda l’Eurozona è la BCE che si occupa di
controllare e regolare l’o erta nominale di moneta e così controlla r. È la BCE ad e ettuare l’o erta
di moneta in maniera puntuale controllando r. L’o erta non è una curva, ma è demandata da
un’istituzione, che fa variare l’o erta, per garantire stabilità monetaria nei 27 paesi membri.
Come fa? Lo fa attraverso 3 canali principali:
A) Vende titoli di stato pubblici (detti titoli di debito pubblici): fa variare la base monetaria.
B) Modi ca del coe ciente di riserva obbligatoria: modi cando questo coe ciente, ovvero
l’ammontare monetario che le banche nazionali dell’Eurozona devono detenere
obbligatoriamente al loro interno. È un valore puntuale, de nito per ogni stato. È ssato con la
logica che si permetta di evitare che lo stato vada in banca rotta (non è in grado di pagare i
suoi debiti). Quando si cerca di modi care r, facendo variare il coe ciente di riserva
obbligatoria. Se si aumenta (banche detengono più moneta), si abbassa la moneta circolante.
Se si diminuisce, aumenta l’o erta di moneta circolante.
C) Modi cando il tasso u ciale di sconto (o tasso di riferimento) applicato alle banche
ordinarie: ovvero il tasso di interesse che viene applicato dalle e alle banche ordinarie quando
emettono prestiti. Si può far variare il tasso di interesse generale r, modi cando questo tasso.
La Banca d’Italia produce la quantità di banconote in euro a essa assegnata.
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BANCA
Se la banca come istituzione permette agli individui di trasferire denaro tra presente e futuro, la
banca in stretto senso è l’impresa che opera nel mercato del credito e che trae pro tti dal suo
appartenere al mercato del credito.
Nella realtà abbiamo:
1) Banca Centrale Europea: con l’obiettivo la stabilizzazione del mercato
2) Banche Nazionali: Banca d’Italia, funzione di stabilizzazione. Non operano per fare pro tto
3) Banche Ordinarie: intese come u ci. Questo tipo di banche sono da intendersi come quelle
imprese che operano nel mercato del credito al ne di ottenere pro tti. Operano pro tti
sfruttando la di erenza tra il tasso di interesse passivo (che la banca deve pagare sui propri
depositi) e il tasso di interesse attivo (che le banche chiedono a famiglie e imprese, una volta
che queste chiedono alla banca una somma a debito). In quanto impresa, la banca è soggetta
ai rischi di impresa, perciò può fallire sotto talune circostanze.

RISCHI DI IMPRESA PRINCIPALI PER UNA BANCA QUANDO PRESTA DENARO:


1) Rischio di liquidità: contraddistingue quelle banche che prestano più denaro rispetto a quello
che posseggono. Hanno un problema di liquidità perché uscite > stock monetario disponibile
2) Rischio di default: imputabile ai debitori, che sono insolventi verso la banca.
Dai potenziali rischi di impresa si può creare un problema di NATURA PRINCIPALE-AGENTE.

Quando una banca rischia il fallimento, succede che il patrimonio netto (Equity) diventa negativo e
a fronte dei due rischi essa stessa diventa insolvente, perché non riesce a ripagare i suoi debiti in
maniera centralizzata.
Il PN è negativo quando le Attività > Passività, cioè Asset (prestiti concessi) > Liabilities
(prestiti ottenuti dalla banca). Ogni banca viene valutata sulla base della sua a dabilità
nanziaria, misurata da un rapporto di indebitamento (LEVERAGE), ovvero tra il totale degli Asset
e il suo Patrimonio Netto.

ACCESSO AL CREDITO: PRINCIPALE-AGENTE


In termini economici il punto è che prestare denaro è un’attività rischiosa, perché la banca nel
prestare denaro è sempre soggetta al rischio di default, ovvero che il debito non venga ripagato.
C’è sempre un rischio principale-agente. Prestare denaro pone la banca ad un rischio, modellabile
tramite il modello di rischio principale (banca)-agente (impresa o consumatore).
Si può modellare questa relazione perché sappiamo che tra banca e creditore sussiste un
problema di asimmetria informativa, o sappiamo già che non c’è completezza informativa tra il
principale circa la restituzione del denaro da parte del debitore. La banca non saprà mai con
estrema certezza se chi ha chiesto il prestito lo userà per fruttare l’investimento per restituirlo,
maggiorato degli interessi.
Il contratto tra banca e debitore non sarà mai abbastanza completo da non incorrere in problemi
di default.
Esiste sempre asimmetria informativa e i contratti stipulati sono per loro natura incompleti.

Le possibili soluzioni sono due:


1) SOLUZIONE DI EQUITY: il principale chiede all’agente di contribuire al progetto di
investimento, introducendo capitale proprio, riducendo il rischio di default.
2) SOLUZIONE DI COLLATERAL: il principale per concedere un prestito chiede all’agente una
garanzia patrimoniale (es. ipoteca sulla casa), riducendo il rischio di default.

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SE L’AGENTE É MENO RICCO
Il problema economico porta al paradosso. Un agente chiede soldi se è povero e quindi si
osserva che nei sistemi economici le banche tendono a prestare soldi a chi è mediamente ricco.
Per ridurre il rischio di default le banche tendono a prestare a chi è mediamente ricco.

Quando l’agente è povero non vi sono soluzioni al problema principale-agente.


• Se A è ricco ci sono soluzioni, vedi soluzione di Equity e soluzione di collateral.
• Se A è povero non ci sono soluzioni.
Questo problema è noto come RAZIONAMENTO DEL CREDITO: le richieste dei soggetti più
poveri sono rigettate, oppure vengono create delle condizioni di accesso al credito, più
svantaggiose (accesso limitato al credito). Chi è povero ha meno probabilità di accedere al
credito.

Complessivamente questi problemi aumentano le diseguaglianze tra paesi.


Una soluzione non economica è stata trovata tramite la pratica del MICROCREDITO (Nobel Pace
2006 a Muhammad Yunus), nanziamenti piccoli a piccoli imprenditori in Bangladesh,
permettendo agli agenti, che tradizionalmente sarebbero rimasti esclusi, di accedere al mercato
tramite la Grameen Bank, specializzata in emissione di microcredito. Da parte di questi piccoli
imprenditori era molto probabile osservare un ritorno del credito.

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CAP 12 - MERCATI, EFFICIENZA E POLITICHE
PUBBLICHE
I mercati, seppur in equilibrio, potrebbero subire fallimenti.
L’equilibrio detto e ciente, non è e ciente per tutti, quindi si parla di fallimento di mercato.
Il mercato fallisce nell’allocazione delle risorse, che è il compito principale che noi demandiamo al
mercato.

FALLIMENTO DI MERCATO
=quando il mercato non garantisce e cienza nell’allocazione delle risorse.
In senso paretiano signi ca che non è possibile migliorare il benessere di un soggetto senza
peggiorare quello di un altro.
Un mercato fallisce quando i diritti di proprietà sui beni sono assenti o non sono chiaramente
de niti. Se non si stabilisce chi detiene il diritto esclusivo su di un bene si può incorrere in un
fallimento di mercato. Quando veri catosi per i beni pubblici, il rischio di sovrapproduzione e
sovra utilizzo di risorse scarse, è un esempio di fallimento di mercato, indotto dall’assenza o
debolezza dei diritti di proprietà.
es. presenza di esternalità, vedi sotto

Il mercato può fallire quando le istituzioni sono deboli o assenti.


Può fallire quando ci sono problemi di modelli di agenzia e asimmetria informativa, se non si
giunge a una soluzione.
Tipicamente vi può essere fallimento di mercato quando c’è un problema di azione nascosta e
azzardo morale, e attributi nascosti (es. se facciamo un’assicurazione sulla vita, si crea un
problema tra principale-agente, in cui l’assicuratore non conosce lo stato di salute puntuale
dell’agente economico; creando così un problema di asimmetria nascosta).

Si possono avere fallimenti di mercato, quando è la forma di mercato in cui operano le imprese, il
prezzo di mercato è maggiore del costo marginale, si ha perdita secca in certe forme di mercato,
che corrisponde con l’area di benessere che consumatori o produttori perdono in forme di
mercato diverse da quella concorrenziale.
05.05.2022

ESTERNALITÀ E RIMEDI
ESTERNALITÀ: ogni qualvolta l’azione di un agente economico (consumatore, o produttore)
incidono direttamente sul benessere di altri agenti economici, ovvero altri agenti che operano in
quel sistema economico di riferimento.

Si ha un’azione che ricade su altri agenti. Questa azione sfugge dal sistema di mediazione dei
prezzi di mercato. Essa non è quanti cata economicamente in termini di prezzo. Può avere una
ricaduta negativa, creando un danno (ESTERNALITÀ NEGATIVA); oppure può creare bene cio ad
altri (ESTERNALITÀ POSITIVA).
Le esternalità negative sono tali se si scarica un costo esterno sulla società da parte dell’azione
che l’agente economico ha intrapreso.

Si possono osservare esternalità negative (danni causati ad altri) sia sotto il pro lo della
produzione, quando è l’azione di una o più imprese a creare danno economico sulla collettività,
diminuendo il benessere. (es. inquinamento: imprese che producono inquinando immettendo
nell’ambiente sostanze nocive, stanno creando un costo esterno scaricato sulla collettività e non
stanno supportando il costo di questo inquinamento, perché scaricato esternamente sulla
collettività che opera intorno all’impresa). Sotto il pro lo del consumo, si ha esternalità negativa
quando le azioni dei consumatori creano un danno alla collettività. (es. utilizzare in maniera
eccessiva l’automobile, crea danno alla collettività sotto il pro lo ambientale, peggiorando la
qualità dell’aria, ma anche sotto altri pro li, come quello della congestione stradale)

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Si possono osservare esternalità positive, quando le azioni sono a vantaggio della collettività,
avendo un bene cio esterno. In termini di produzione, un esempio è l’attività economica creata da
un’impresa che va a vantaggio della collettività (attività ricerca, assunzione personale, acquisto e
vendita di brevetti), perché l’investimento in nuova attività permette conoscenza che sarà
utilizzata anche da altre imprese.
Sotto il pro lo del consumo si ha esternalità positiva, ad es. la vaccinazione contro malattie
infettive, andando a vantaggio della collettività, abbassando la probabilità di potersi contagiare.

Queste esternalità non si possono monetizzare, quindi si parla di FALLIMENTO DI MERCATO.

In presenza di esternalità pone davanti a un problema riguardo al diritto di proprietà. Se siamo in


presenza di esternalità, da che il prezzo di vendita non ri etterà più il costo o il bene cio sociale
che l’azione determina, il risultato economico d’equilibrio non sarà e ciente per la collettività, e
quindi le scelte di massimizzazione di benessere che gli agenti economici fanno non portano a
equilibri massimizzanti per la collettività. L’unico benessere che viene massimizzato nel caso di
esternalità negativa per la produzione è quello dell’impresa produttrice, che sta inquinando.
L’impresa massimizza il suo output, ma in presenza di esternalità negativa, non è il benessere che
avrebbe massimizzato la collettività.
Mancando un mercato, chi sta facendo scelte economiche, non sta considerando costi e bene ci
scaricati sulla collettività a partire dalle proprie scelte.

ESEMPIO ESTERNALITÀ / PRODUZIONE: PESTICIDI


In presenza di esternalità si crea:
- quantità massimizzante per il singolo (Q*); ri ette l’ottimo individuale
- quantità desiderata dalla comunità, cioè quantità socialmente desiderabile; in grado di
internalizzare il costo (esternalità negativa) e il bene cio (esternalità positiva)

Come si determina la quantità socialmente desiderabile?


Se un’impresa utilizza pesticidi chimici, inquinando i territori, si crea una di erenziazione nei costi:
• Un primo costo è il COSTO MARGINALE PRIVATO (MPC), costo sostenuto dall’impresa
sostenuto per la produzione dell’output. Non tiene conto del danno arrecato all’ambiente
dall’attività produttiva.
• COSTO ESTERNO MARGINALE (MEC): quanti cazione di costo (danno economico) arrecato
dall’attività produttiva sulla società esterna.
È possibile costruire il COSTO MARGINALE SOCIALE (MSC), dato dalla somma tra MPC+MEC.

Siamo sempre in grado di rappresentare MSC sommando il valore arrecato dal danno al CMP.
Possiamo capire quale sarebbe la QUANTITÀ SOCIALMENTE DESIDERABILE, introducendo
all’intento della nostra trattazione anche la curva di domanda per poter trovare i due punti di
equilibrio, quello privato e l’equilibrio socialmente desiderabile, dati dall’intersezione della curva di
domanda e MSC.

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In presenza di esternalità negative sulla
produzione abbiamo una curva di domanda
inclinata negativamente. Abbiamo curva in rosso
MC(Q), che coincide con l’o erta (S) e MPC;
determina un equilibrio E associato a Q*.
Se l’azione utilizza pesticidi sulla produzione,
possiamo tracciare una curva MSC (in verde nel
gra co). Essa permette di capire che l’equilibrio
trovatosi nel mercato diverge da E, perché
l’equilibrio e ciente (desiderabile dalla società),
associato a Q e ciente è minore rispetto a
quando la società non considera il danno.
L’introduzione di MSC permette di capire che in
presenza di esternalità negative, il mercato produce una quantità maggiore rispetto a quella
socialmente desiderabile, poiché la produzione causa un danno alla collettività.
Inoltre, non solo la quantità scambiata è maggiore di quella socialmente desiderabile, ma P* è
minore del Prezzo socialmente desiderabile. Il prezzo di mercato non è in grado di ri ettere i danni
ambientali che vengono scaricati sulla collettività.

Se in presenza di esternalità negativa stiamo scambiando una quantità maggiore rispetto a quella
desiderabile, questo crea un danno per la collettività, in economia si ha perdita di surplus per la
collettività. In questo caso sappiamo anche che abbiamo un’area di perdita secca, che è la
perdita di surplus generatasi dall’attività produttiva eccessiva rispetto a quella socialmente
desiderabile. Se Qe è un danno per gli altri (guardiamo curva verde) possiamo quanti care
nell’area del triangolo che ha come altezza (Q*-Qe ) il danno per la produzione di ogni unità
aggiuntiva, il danno arrecato sulla collettività.
Altezza triangolo (Q*-Qe )
Base triangolo (P-P*)

Se abbiamo un’esternalità positiva


sulla produzione avremo una curva di
domanda che non varia, una curva di
o erta in rosso. All’intersezione tra
domanda e o erta si crea Q*. Se
questa azione andava a bene cio di
altri, abbiamo una nuova curva MSC
che tiene conto degli e etti sociali.
In caso di esternalità positiva si crea
un nuovo equilibrio Ee , associato a
Q e (socialmente desiderabile).
Valutando i due equilibri abbiamo che
la Qe è maggiore di Q*, che il
mercato avrebbe scambiato se lasciato libero, ovvero la collettività vorrebbe che fosse prodotta
un quantità maggiore del bene in questione, perché crea bene co.
In termini di prezzo, P* (a cui viene scambiato il bene) è maggiore di Pe .
Pertanto, in presenza di esternalità positiva siamo in presenza di una perdita di e cienza (un
fallimento di mercato, perché equilibrio E non è quello socialmente e ciente), quanti chiamo la
mancata e cienza in termini di perdita secca, osserviamo un fallimento di mercato.
L’area di perdita secca è quanti cabile da tutte le unità di bene che la società vorrebbe che
fossero scambiate, ma il mercato non è in grado di scambiare e produrre. La collettività vorrebbe
che si producesse Qe . Per ogni quantità di bene che sta tra Q* e Qe si crea una diminuzione di
surplus. Altezza triangolo (Q*-Qe ); base (P* e P).

Nell’esempio del libro, in rosa abbiamo MPC e in verde MSC, se l’equilibrio era in A, si dice che
l’impresa produce a un P=400; poiché c’è un costo marginale esterno=270. Non è pareto-
e ciente perché il prezzo dovrebbe essere maggiore e pari a 400+270=670. Questo costo
marginale esterno porta il mercato a sovra produrre banane, arrecando un danno alla collettività
che il mercato non è in grado di interiorizzare con il sistema di mediazione dei prezzi.

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ESEMPIO ESTERNALITÀ POSITIVA/CONSUMO
Succede che sarà la
domanda ad avere un
problema di non riuscire a
ri ettere completamente il
bene cio creato nel
mercato.
In presenza di esternalità
positiva al consumo ci sarà
una curva di domanda che
ri ette bene cio marginale
privato.

Se consideriamo il bene cio marginale dell’istruzione, si può introdurre una curva MEB (in blu),
MSB (in verde) curva da considerare per studiare la divergenza tra mercato lasciato libero e
quantità socialmente desiderabile dalla società.
Avremo all’intersezione tra MC=S e MB=D abbiamo il primo equilibrio E, associato alla quantità
Q*.
Se introduciamo considerazioni circa il bene cio marginale sociale, MSB intersecata con MC=S
abbiamo l’equilibrio Ee , associata a Qe .
In presenza di esternalità positiva del consumo avremo che la quantità socialmente desiderabile è
maggiore rispetto alla quantità scambiata nel mercato e quindi avremo una perdita di benessere
derivante da ogni unità di Q socialmente desiderabile, ma che il mercato non produce, cioè ogni
quantità tra Q* e Q.
Il triangolo che viene a crearsi è la perdita secca.

ESEMPIO ESTERNALITÀ NEGATIVA/CONSUMO


Quando l’attività di consumo va a danno
della collettività.
Se fossimo nel mercato libero si ha
intersezione tra MB e MC, creando E,
associato a Q*.
Da che si crea un danno esterno si ha
MSB(Q), al di sotto di MB.
Dall’intersezione di MSB e MC si genera
l’equilibrio socialmente desiderabile Ee .
Q* è maggiore di Qe . La collettività
vorrebbe quindi che la quantità scambiata
nel mercato sia inferiore, perciò si crea
nuovamente un’area di perdita secca.

POSSIBILI RIMEDI ALL’ESTERNALITÀ


1 - NEGOZIAZIONE
Cercare di ristabilire chiarezza circa chi detenga il diritto di proprietà su quel bene. Questo
permette alle parti di negoziare ripristinando il livello socialmente desiderabile di scambio di quel
bene, associato all’esternalità.
Se siamo in grado di de nire i diritti di proprietà sul bene e permettere alle parti di negoziare
liberamente, le parti possono stabilire un accordo per garantire e cienza nel sistema economico.
La negoziazione è un rimedio possibile solo se si riesce a stabilire chi detiene il diritto sulla risorsa
e la negoziazione può funzionare bene se e solo se non vi sono costi di transazione. La
negoziazione è una soluzione QUANDO NON CI SONO COSTI DI TRANSAZIONE, necessari a far
applicare il contratto, acquisire informazioni, ecc.
È un rimedio ipotetico, realizzabile solo se ci sono le due condizioni sopra descritte.
È di cilmente applicabile nella realtà, per il primo dei due requisiti. È anche di cile essere in
assenza di costi di transazione, perché le parti per negoziare hanno bisogno di intermediari, quali
gli avvocati, che costituiscono un costo.
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TEOREMA DI COASE (—>negoziazione)
Se siamo in presenza di esternalità, in principio, è sempre possibile e ettuare delle transazioni
economiche compensative, che permettono di ristabilire l’ottimo sociale.
La negoziazione (contrattazione tra le parti) può essere un rimedio in presenza di esternalità. Ogni
volta che si veri ca un’ine cienza nel mercato è in principio possibile negoziare tra le parti un
accordo che preveda delle transazioni economiche tra le parti in modo da ripristinare l’equilibrio
e ciente, qualora l’equilibrio di mercato fosse socialmente ine ciente.
“Senza frizioni” means che “non ci sono costi di transazione”.
Per il teorema di Coase, è inin uente il chi detenga il diritto di proprietà, ciò che è importante per
determinare l’equilibrio pareto-e ciente è che sia evidente che il diritto di proprietà sia assegnato
in maniera chiara ed univoca. Ciò che conta è che la transazione avvenga senza frizioni, senza
costi aggiuntivi. Se le parti si possono mettere d’accordo liberamente ed è chiaro di chi è il diritto
di proprietà, allora le parti possono negoziare ritornando a una quantità prodotta del bene pari a
quella socialmente desiderabile.

Esso imputa di fatto la perdita di e cienza associata all’esternalità ad un problema di de nizione


di diritto di proprietà. Il senso del teorema di Coase è legato al problema di diritto di proprietà e
non al problema di e cienza del mercato. Pertanto, secondo il teorema e le sue applicazioni, il
fallimento di mercato generato dalle esternalità non dipende dal cattivo funzionamento di
mercato, ma dipende dall’assenza di un mercato per determinati beni, quindi dipende dal fatto
che certi beni sfuggono al meccanismo allocativo di mercato.
Il problema per cui si è reso necessario trovare una soluzione è che questi beni non hanno un
mercato, perciò si è creata un’esternalità. Se si riesce a de nire il diritto di proprietà su questi
beni, si può porre rimedio all’esternalità.

Tutto questo funziona se non vi sono FRIZIONI, cioè costi di transazione.


Sappiamo che molto spesso le frizioni ci sono, perché la contrattazione tra le parti ha costi di
transazione.
Casi:
1. La contrattazione può richiedere tempo e sforzi, nonché i costi di servizi come avvocati e
negoziatori.
2. L’assegnazione dei diritti di proprietà può essere ambigua, quindi entrambe le parti potrebbero
legittimamente credere di avere un certo diritto sopra quel bene.
3. Asimmetria informativa: le parti possono disporre di informazioni limitate circa i costi e i
bene ci altrui, tale limite può bloccare le transazioni.
4. I contratti e cienti possono essere di cili da applicare.

2 - POLITICHE PUBBLICHE
È lo stato a porre rimedio alla presenza di esternalità tramite meccanismi che ripristinino
l’equilibrio a livelli socialmente desiderabili.
1. Introduzione di quote sulla produzione (es. imporre una quantità massima che l’impresa
può produrre, questa Q, a nché la politica sia e cace, deve avvicinarsi il più possibile a Qe
de nita prima e lontana il più possibile da Q*)
2. Forzare l’impresa a compensare “la parte debole” per le perdite subite, le politiche
fungono da tramite per facilitare la negoziazione
3. Introduzione di una tassa Pigouviana, ovvero una tassa che permette di quanti care
esattamente il valore del danno ambientale associato alla produzione e far sì che l’impresa
paghi per ogni quantità prodotta una tassa che ri ette esattamente il costo marginale esterno
MEC. Introducendo una tassa pigouviana pari a MEC stiamo rendendo la curva di costo
marginale privato, la stessa di costo marginale sociale, forzando il produttore a considerare i
costi sociali, perché li stiamo quanti cando in maniera puntuale tramite la tassa, e quindi si
obbliga il produttore a confrontarsi con la curva di costo marginale sociale. In questo modo si
fa internalizzare l’esternalità che si è prodotta. es. carbon tax
Limiti tassa Pigouviana:
- Valore da dare alla tassa, perché non si può quanti care l’ammontare del danno ambientale
- Sovra o sotto stimando la compensazione/risarcimento della tassa
- Misurazione: di cile misurare MSC
- Lobby: il gruppo con più potere negoziale può essere favorito nelle negoziazioni
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APPROCCI IBRIDI
es. EUROPEAN TRADING SCHEME (ETS): meccanismo di negoziazione per i diritti ad inquinare,
adottato per il 27 paesi membri+ Norvegia, UK, Lichtenstein e Islanda. Ibrido perché unisce Cap
(quota sulla produzione [1]) & Trade (approccio di mercato). All’interno ha un limite sulla
produzione.
Per ogni paese membro è ssato una produzione massima di emissioni, gli stati membri scaricano
sui loro impianti produttivi una quota inquinante, per i settori altamente intensivi in termini di
emissioni in un periodo di tempo.
Fissato il tetto (CAP) si crea la seconda parte (TRADE).
Si è creato un mercato di trading in cui gli impianti produttivi possono scambiare il loro limite ad
inquinare (CARBON MARKET). Chi emette più della quota assegnata, sono costretti a comprare
diritti ad inquinare, venduti dalle imprese che emettono meno della quota loro assegnata. Si crea
un mercato del diritto di inquinare che permette di scambiare quote eccedenti.

L’idea è quella di creare un mercato per un bene che non aveva un mercato, lasciando che questo
mercato si equilibri da solo.

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CAP 13 - FLUTTUAZIONI ECONOMICHE E
DISOCCUPAZIONE
09.05.2022
PIL - Prodotto Interno Lordo
In inglese GDP= Gross Domestic Product
È la variabile macroeconomica principale utilizzata per misurare la ricchezza di una nazione.
Perché? Perché misura ciò che è de nito il valore dell’insieme di beni e servizi che sono
prodotti in una nazione.
Una corretta de nizione di PIL=
Misura il valore, a prezzi correnti e costanti, dell’insieme di beni e servizi nali prodotti in un
determinato intervallo di tempo sul territorio nazionale di un paese.
• Finali: signi ca che i beni e servizi che noi consideriamo per misurare il PIL è inclusivo solo dei
beni e servizi nali, perciò sono esclusi tutti i beni e servizi considerati intermedi. Pertanto, se
consideriamo solo i beni e servizi nali, signi ca che stiamo escludendo dal PIL tutti gli input
produttivi che vengono prodotti da alcune imprese e non sono immessi direttamente nel
mercato, perché utilizzati come input intermedi da altre imprese.
Il PIL misura quindi il “valore aggiunto”, cioè il valore che la produzione riesce a creare
aggiuntivo oltre ai beni intermedi. È costruito al netto dei beni intermedi.
• Lordo: perché include la quota di beni strumentali, che servono al processo produttivo (es.
macchinari) che nel tempo sono soggetti a deprezzamento, poiché con il loro utilizzo il valore di
questo capitale diminuisce. Il PIL misura anche la quota di beni strumentali soggetta a
deprezzamento, perciò è lordo. (Obsolescenza tecnologica= uno strumento che diventa
“vecchio” in senso tecnologico; in economia l’obsolescenza tecnologica è detta
“ammortamento”).
Se volessimo escludere la quota di obsolescenza tecnologica possiamo introdurre la
misura del PIN (Prodotto Interno Netto), che si ottiene sottraendo al PIL la quota di
ammortamenti.
• Prodotti in un determinato territorio nazionale: il PIL è geogra camente circoscritto ai con ni
nazionali di un Paese. Ciò che conta è la localizzazione geogra ca uguale dei fattori produttivi.
Se un’impresa è registrata in USA, ma opera in Italia, viene conteggiata all’interno del PIL
italiano.

A partire dal PIL si può produrre il Prodotto Nazionale Lordo= misura il valore della produzione di
beni e servizi realizzata da fattori produttivi con una data residenza (= PIL italiano + redditi netti
dall’estero, prodotti all’estero da persone italiane).

Quando si parla di ricchezza si utilizza come misura quella del PIL.

• Prodotti in un determinato intervallo di tempo: generalmente su base annuale.

Questo valore è espresso in due modi:


• A PREZZI CORRENTI: il prezzo di riferimento è il prezzo che viene rilevato nell’anno considerato
per il mercato di riferimento. Fotografa il PIL in un anno con prezzi di quell’anno.
—> PIL NOMINALE
• A PREZZI COSTANTI: il PIL è misurato tenendo conto del fatto che negli anni il livello generale
dei prezzi subisce variazioni, tiene in considerazione processi di in azione. È espresso in
riferimento al valore generale dei prezzi di un anno di riferimento antecedente la rilevazione. Si
calcola poi il valore del PIL facendo riferimento al valore dei prezzi osservati in quell’anno di
riferimento, antecedente la rilevazione.
—> PIL REALE

NB: non tiene in alcun modo conto di impatti ambientali e distribuzione economica all’interno dei
singoli Paesi.

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Modello di determinazione del PIL
Dice come si giunge a un determinato valore di PIL.
È fondato sul breve periodo.
È fondato sul principio di Keynes della DOMANDA EFFETTIVA: il livello di equilibrio del PIL è
determinato dalla domanda aggregata di beni e servizi, ovvero la domanda complessiva di
un’economia. Nel modello keynesiano il PIL è determinato dalla domanda complessiva di beni e
servizi. Se la domanda aumenta, le imprese sfruttano una capacità produttiva che era inutilizzata,
aumentando l’o erta di beni e servizi aggregata, generando un aumento del PIL come
conseguenza.
In assenza di domanda aggregata, si veri ca una contrazione del PIL, perché l’eccesso di
capacità produttiva delle imprese non viene sfruttato nell’economia.

Contabilità nazionale
PIL = AD = C + I + G + X - M
AD= domanda aggregata
+C= consumi nali delle famiglie: acquisti di beni e servizi e ettuati dalle famiglie.
+I= investimenti ssi lordi delle imprese: spese delle imprese in beni capitali (macchinari,
attrezzature, edi ci commerciali). Vengono contabilizzate anche le scorte. Le imprese decidono
cosa fare dei pro tti: distribuirli, risparmiare, investire in Italia o all’estero (FDI- investimento diretto
estero; in questo secondo caso non si contabilizza in Italia)
+G= spesa pubblica: spesa per consumi (es. salari dipendenti PA) ed investimenti (es.
costruzione infrastrutture) da parte dello Stato. La spesa pubblica è nanziata tramite le imposte.

Senza scambi con l’estero ci fermeremmo a G, se permettiamo scambi con l’estero, allora:
+X= esportazione di beni e servizi: beni e servizi prodotti internamente che vengono acquistati
da famiglie/imprese e PA di altri paesi; tutto ciò che viene venduto fuori dai con ni nazionali.
-M= importazione di beni e servizi (sottratte perché prodotte in un’altra contabilità nazionale):
beni e servizi prodotti da altri Paesi che vengono acquistati da famiglie/imprese e PA nazionali.
Bilancia commerciale (X-M):
Se M>X —> disavanzo commerciale
Se M<X—> avanzo commerciale

Vengono stimate le componenti della domanda aggregata. L’equazione è anche detta “conto
delle risorse e degli impieghi”.
L’ISTAT permette di quanti care le misure aggregate per l’intera economia italiana. La contabilità
nazionale è strutturata in una serie di conti.
Noi ci concentriamo sulle primarie, tra cui quella qui sopra.

Questa equazione quanti ca le diverse componenti della domanda aggregata.

TASSO DI CRESCITA
∂PIL = (PIL2022-PIL2021) / PIL2021

Si può sempre scomporre il tasso di crescita del PIL.


Cosa contribuisce di più al PIL? Se valutiamo i tassi di crescita, scomponendo il PIL nelle sue
componenti, osserviamo che tendenzialmente gli investimenti hanno un e etto molto maggiore
sui tassi di crescita rispetto ai consumi.
Si può misurare il PIL in termini di livello o in crescita/recessione.
• Nel primo caso possiamo chiederci quanto quel livello di PIL sia imputabile a ogni componente.
In questo caso prevale il consumo.
• In termini di crescita, scomponiamo le componenti, vediamo che gli investimenti hanno un ruolo
determinante.
Tutte le componenti della domanda aggregata sono cruciali nelle analisi di crescita o recessione
economica.

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INFLAZIONE
= aumento nel livello generale dei prezzi dell’economia, in un dato tempo (solitamente un anno).
Perché vi sia in azione, deve essere un aumento generalizzato (cioè su più beni considerati) dei
prezzi.
L’in azione tende ad essere più elevata nei paesi a basso reddito.

Se si registra una diminuzione del livello generale dei prezzi —> DEFLAZIONE

I paesi ad alto reddito sono mediamente più stabili nei prezzi rispetto ai paesi con basso reddito.
Ciò che si osserva è che i paesi a basso reddito subiscono dei processi di in azione più elevati
rispetto ai paesi ad alto reddito.
I paesi ad alto reddito, attraverso le politiche monetarie, riescono a mantenere costante
l’in azione che è intorno al 2%, motivo anche per cui i paesi OECD (quelli più ricchi) subiscono
meno l’in azione.

Come capire se c’è in azione o no?


Esistono diversi indicatori, ognuno dei quali ha pregi, ma anche limiti. Vedremo due modi:
1. INDICE DEI PREZZI AL CONSUMO (IPC): misura il livello generale dei prezzi che i
consumatori devono pagare per i servizi, incluse le imposte sui consumi (IVA) sulla base della
media ponderata dei prezzi di un paniere di beni rappresentativo dei consumi della
popolazione.
Per l’Italia è calcolato dall’ISTAT. Esso cerca di valutare se ci sia o meno un aumento generalizzato
dei prezzi. Bisogna sapere quali sono le voci rilevanti per decidere se vi è in azione o meno.
Si costruisce un paniere di beni di consumo. All’interno del paniere vengono messi tutti i i beni
che caratterizzano la spesa tipo di famiglie/imprese di una nazione inclusa l’IVA. A partire da
questo paniere si valuta tramite opportuno monitoraggio il livello generale dei prezzi e variazioni
nel livello dei prezzi.
In Italia il paniere rappresentativo include circa 1.700 beni.
Il paniere varia nel tempo, di anno in anno, col variare delle preferenze dei consumatori.
Bisogna permettere all’indice di includere o escludere beni quando “passano di moda”.
Esistono diversi indici, tra cui: NIC (collettività delle famiglie); FOI (consumi di operai e impiegati);
IPCA (indice livelli prezzi al consumo armonizzato, paniere costruito dai paesi europei). Cambia la
quota di ponderazione di ogni singola voce.

2. DEFLATTORE DEL PIL: si concentra sul cambiamento di tutti i prezzi di beni e servizi di
un’economia.
È il rapporto tra il (PIL NOMINALE e il PIL REALE) * 100.
Permette comparazioni più dirette tra paesi.

Ci interessa l’in azione, perché retroagisce sulle variabili macroeconomiche.


Il business cycle rappresenta il processo di crescita o recessione economica intorno alla misura
del PIL.
La crescita economica non è mai omogenea.
Le contrazioni sono seguite da periodi di crescita economica.
C’è una correlazione tra crescita del PIL e tasso di disoccupazione.

LEGGE DI OKUN
= al diminuire del tasso di crescita del PIL, cresce il tasso di disoccupazione.
= se aumenta il tasso di crescita del PIL, diminuisce il tasso di disoccupazione
Il coe ciente di Okun misura empiricamente la relazione tra crescita del PIL e disoccupazione.

Le diverse componenti della domanda aggregata subiscono uttuazioni più o meno ampie
all’interno di un ciclo economico.
Si osserva che i consumi di imprese e famiglie sono più o meno stabili nel tempo, mentre gli
investimenti (ovvero acquisto di beni capitali) sono una componente molto volatile, come si
osserva nel gra co (slide “shock e investimenti cap. 13).

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12.05.2022
CAP 14 - POLITICA FISCALE
La spesa pubblica (G) può avere un importante ruolo nella stabilizzazione dell’economia.
Le politiche scali riescono a creare stabilizzazione dell’economia, cioè rendere il ciclo economico
meno uttuante.
Il tasso di crescita del PIL è meno scostante grazie ad interventi pubblici, cioè G (spesa pubblica),
nanziata tramite un sistema di tassazione. La spesa pubblica è chiamata POLITICA FISCALE,
quando lo stato e ettua spesa pubblica, si parla di POLITICA FISCALE ESPANSIVA.

MOLTIPLICATORE
= un meccanismo d’azione che permette che una data variazione nella spesa per e etto
moltiplicativo determini una variazione nella domanda aggregata più o meno ampia.
Il moltiplicatore viene sempre associato ad un incremento di spesa. Permette di valutare qual è
l’e etto economico associato ad un aumento di spesa sulla variabile della domanda aggregata.

Se un aumento di spesa del 10% comportasse un aumento del PIL del 10% non parleremmo di
moltiplicatore. Il concetto economico di moltiplicatore è che tendenzialmente un aumento di
spesa può comportare un aumento sulla domanda aggregata detto moltiplicativo, cioè
proporzionalmente più consistente rispetto all’incremento di spesa osservato.
Se l’obiettivo di politica scale è quello di trainare crescita economica, i moltiplicatori keynesiani
permettono di capire perché si osserva un aumento più che proporzionale sulla domanda
aggregata a fronte di un aumento di spesa pubblica.
Il concetto economico di moltiplicatore cerca di spiegare come le diverse componenti della
domanda aggregata siano tra loro collegate, come variazioni in una componente trascinino
variazioni anche nelle altre componenti.
Ciò che si osserva complessivamente nell’economia è che vi sono degli e etti moltiplicativi
nell’economia, che si osservano ogni qualvolta che una delle componenti crei un aumento più che
proporzionale nella domanda aggregata, perciò nel PIL.
È un meccanismo economico che spiega la variazione sulla domanda aggregata indotta dalla
variazione di una delle componenti della domanda aggregata. Se la variazione indotta sulla
domanda aggregata fosse pari a 1 non parleremmo di e etto moltiplicativo.
Si parla di e etto moltiplicativo quando la variazione indotta sulla domanda aggregata dalla
variazione di una delle componenti è maggiore di 1.
Il moltiplicatore aumenta gli shock che si osservano sulle componenti sulla domanda aggregata.
Quanti cheremo due moltiplicatori immaginando prima un economia chiusa (#1) e poi in
economia aperta (#2)

MOLTIPLICATORE DEL REDDITO #1 (economia chiusa)


In economia chiusa:
AD = C + I
Scomponiamo i consumi C:
•C0= consumo autonomo (o consumo di
sussistenza); ammontare sso che non
dipende dai redditi degli individui.

•C1= consumo proporzionale al reddito; C


aumenta se aumenta il reddito + C1*Y
Propensione marginale al consumo=
parametro che moltiplica il reddito,
quando de niamo consumi variabili,
quindi maggiore sarà C1, maggiore sarà
l’incremento dei consumi che osserviamo
se aumenta il reddito.
0 < C1 < 1

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I consumi sono rappresentati:
C = C0 + C1*Y

I consumi autonomi (C0) sono l’intercetta verticale. L’inclinazione è data dalla propensione
marginale al consumo (C1).

I = investimenti dell’impresa
Gli investimenti delle imprese sono indipendenti dal reddito, perciò vengono trattati come una
componente ssa, perché appunto non varia al variare del reddito.

La Domanda Aggregata è data quindi da:


AD = (C0 + C1*Y) + I

La retta della domanda aggregata è pari alla retta dei Consumi; con la stessa inclinazione traslata
verso l’alto del valore degli investimenti.

Ciò che separa la prima retta (consumi) e la seconda retta (domanda aggregata) è il valore degli
investimenti che trattiamo come sso.

La terza retta (in nero nel gra co) è inclinata di 45°. È una retta strumentale, perché costruita
come bisettrice degli assi. Questa bisettrice ha una funzione strumentale che permette di trovare
qual è l’equilibrio nel mercato dei beni, da che questa bisettrice ha inclinazione 45°, raccoglierà
tutti i punti in cui y=x.
La si inserisce perché si introduce nel sistema il principio della DOMANDA EFFETTIVA, secondo
cui il PIL=AD. Dove il PIL=AD? In tutti i punti lungo la bisettrice.
Tracciata la bisettrice e la curva di Domanda Aggregata (la rossa più in alto) si può tradurre la
Domanda E ettiva nel punto A, in cui la curva di AD interseca la bisettrice, cioè punto in cui
PIL=AD. Fuori dall’equilibrio ci saranno domande aggregate che non sono in equilibrio. Al di fuori
di A ci sono domande aggregate che non coincidono col PIL.

Questo tipo di modello permette di capire meglio cosa succede all’equilibrio quando intercorrono
variazioni nella domanda aggregata, perché a un certo punto si osserverà qualche e etto
moltiplicativo.

NELL’ECONOMIA CHIUSA (no esportazioni, no importazioni):


Se varia una delle componenti della domanda aggregata, cosa succede all’equilibrio?
1. Se diminuiscono gli investimenti (da I a I’): poiché gli investimenti stavano nell’intercetta
verticale, il primo e etto si osserverà proprio sull’intercetta verticale, la quale diminuirà e
quindi diventa C0+I’, con I’< I. Il primo e etto è quello di traslare AD iniziale verso il basso,
quindi si determinerà un crollo degli investimenti no al punto B, che gra camente è il punto
che sta sotto ad A.
Questo crollo non può avvenire come crollo isolato, ma retroagisce sulle altre variabili
economiche e fa sì che vi sarà un crollo anche nel PIL, conseguente al crollo di domanda
aggregata.

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Il crollo degli investimenti causa un crollo nella produzione, che farà crollare i redditi. Le
imprese saranno costrette a licenziare i dipendenti, perciò caleranno i consumi.

2. L’e etto complessivo sull’economia porterà l’equilibrio nel punto C, in cui AD osservata in B
incontra l’equilibrio tra domanda aggregata e PIL.

3. Da A a C, c’è stato un crollo degli investimenti che ha determinato anche un crollo nel PIL, che
si chiude in C, ma può espandersi ulteriormente. Può succedere che il crollo dei redditi nelle
famiglie che sono state licenziate per far fronte al crollo della produzione nelle imprese, può
comportare una minore probabilità che ottengano del credito dalle banche. Il crollo degli
investimenti che ha agito sulla produzione, può tradursi in una crisi del mercato del credito. Il
crollo degli investimenti porta con sé un crollo di tutte le variabili macroeconomiche della
domanda aggregata.

4. In Z si ha un nuovo equilibrio, in cui AD e PIL hanno un crollo molto maggiore rispetto a ciò che
avviene in B con il solo crollo degli investimenti.

Il MOLTIPLICATORE KEYNESIANO permette di quanti care l’e etto aggregato di una variazione
di una componente della domanda aggregata.
Se moltiplicatore > 1 —> AD cambia più che proporzionalmente rispetto alla variazione in I.

Qual è il valore puntuale del moltiplicatore?


In equilibrio:
Y = AD, con AD = C0 + C1 * Y + I

Portando a sx tutto ciò che ha a che vedere col PIL (Y):

(1 - C1) * Y = C0 + I

Y = [1 / (1-C1)] * (C0+I)
In verde si trova il moltiplicatore.
Sappiamo sempre che: 0 < C1 < 1

Il valore del moltiplicatore ha come risultato un valore sempre maggiore di 1.


Se aumentiamo gli investimenti di un valore K, quindi I’=K*I, sappiamo con certezza, per via
dell’e etto moltiplicativo, che il nuovo PIL di equilibrio Y’ sarà maggiore di KY.

C0 + I = Domanda Autonoma (perché indipendente dal reddito; ricordarsi che C0 sono i consumi
di sussistenza)

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Qualunque sia la variazione sulla domanda autonoma, sappiamo che il PIL aumenta più che
proporzionalmente.

INVESTIMENTI
Li trattiamo come ssi perché non dipendono direttamente dal reddito Y, ma da altre variabili.
Da cosa dipendono? Sappiamo che gli investimenti delle imprese dipendono da tre fattori:
1. TASSO DI SCONTO INTERTEMPORALE (p): rendimento che l’impresa si attende se
investisse i soldi che ha a disposizione in attività nanziarie invece che in attività produttive
2. TASSO DI INTERESSE (r)
3. TASSO DI RENDIMENTO ATTESO DI UN INVESTIMENTO (∏): quanto pro tto l’impresa si
attende dall’investimento.
Oltre a questi tre tassi giocano un ruolo importante anche: fattori di contesto, prezzi dei fattori
produttivi, contesto istituzionale.

Il tasso di interesse (r) è determinante:


Se troppo alto, all’impresa non conviene investire in beni capitali, per favorire altri investimenti
nanziari.
Si può modellare con una funzione decrescente di investimento aggregato, che noi non vedremo.

Domanda aggregata e disoccupazione


Variazioni in AD crea variazioni nel tasso di disoccupazione.
Periodi di espansione economica e recessione economica causano variazione nei tassi di
occupazione e disoccupazione.

Nei periodi di espansione economica si avrà una crescita del tasso di occupazione;
contrariamente si avrà una crescita del tasso di disoccupazione.

Si dice che la disoccupazione segue il ciclo economico e si parla di disoccupazione ciclica. Si fa


dipendere la disoccupazione dall’andamento del ciclo economico, che sale e scende, quindi ci si
aspetta che la disoccupazione sia ciclica.

RUOLO DELLO STATO E DELL’ESTERO NELL’ECONOMIA


APERTA (sì esportazioni, sì importazioni):
BILANCIO DELLO STATO
ENTRATE:
• Imposte sul reddito (proporzionali o a somma ssa)
• Imposte sui consumi (es. IVA)
• Imposte sulla ricchezza (es. imposta di successione)

USCITE:
• Spesa pubblica per consumi pubblici (assistenza sanitaria, istruzione, difesa, investimenti
infrastrutturali)
• Trasferimenti di sistemi previdenziali (es. sussidi di disoccupazione, NASPI, reddito di
cittadinanza, sussidi invalidità, pensioni)
• Interessi sul debito pubblico (non entra in G)

Se ENTRATE > USCITE —> avanzo primario


Se USCITE > ENTRATE —> disavanzo primario o de cit

Il ciclo economico determina anche uttuazioni in avanzi e disavanzi primari di uno stato, che
seguono il ciclo economico.
In una fase di recessione economica le tasse riscosse sono inferiori, e si crea maggiore
disavanzo.
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In una fase di espansione economica, aumentano le entrate Y e quindi l’avanzo primario.

Non solo i de cit segue l’andamento del ciclo economico, ma la sua presenza ha delle
conseguenze monetarie rilevanti.
Se lo stato è in de cit, lo stato deve indebitarsi per riuscire a sostenere la propria spesa pubblica.
Se spende più di quanto ha in cassa, deve necessariamente nanziarsi in un mercato del credito.

Si parla di debito pubblico quando lo stato accumula in maniera continuativa de cit di bilancio. Si
crea uno stock di debito pubblico, che forza lo stato a doversi nanziare in un mercato apposito,
quindi a indebitarsi per sostenere la spesa pubblica.
Lo stato per sostenere la spesa si nanzia con il canale dell’emissione dei titoli di stato, che
vengono acquistati da famiglie, imprese ed istituti nanziari.

I titoli di stato hanno un rischio di insolvenza molto basso, quindi hanno rendimento basso.
SPREAD= di erenza di rendimento tra un titolo di stato tedesco (considerato il più stabile) rispetto
al rendimento del titolo di stato italiano.
Quando un paese si nanzia in de cit e accumula un debito pubblico, per sostenere ulteriormente
la propria spesa, oltre alle entrate, lo stato deve pagare gli interessi.
I titoli di stato hanno un rendimento molto basso. In periodi di crisi economica il rendimento del
titolo di stato schizza alle stelle.
La spesa pubblica G, dipende direttamente dalle entrate, ma anche dal bilancio dello stato. È più
possibile fare spesa pubblica più il bilancio di uno stato è in ordine.
Il debito dipende direttamente dal ciclo economico.

PATTO EUROPEO DI STABILITÀ


I paesi Europei non possono spendere quanto vogliono. Ma hanno dei vincoli, de niti dal patto
europeo di stabilità.
Entrato in vigore il 01.01.2013.
Vi sono tre macro obiettivi di politica economica:
- Perseguire il pareggio di bilancio—> non bisogna creare disavanzo; ma entrate=uscite
- Rapporto debito/PIL: 60% —> debito cumulato non deve superare il 60% del PIL
- Rapporto de cit/PIL: 3% —> se si fa disavanzo primario, il rapporto non deve superare il 3%
16.05.2022
ECONOMIA APERTA CON INTERVENTO STATO #2
AD = C + I + G + X - M

Alcune variabili sono trattate come esogene (I, G, X), perché non dipendono dal reddito. Gli
investimenti I sono ssi, quindi sono esogeni. Anche la spesa pubblica G è esogena.
Le esportazioni X non dipendono dal reddito, quindi sono anch’esse una variabile esogena,
dipendono dalla domanda aggregata di quei beni nel mondo.
Consumi e Importazioni sono variabili endogene, perché dipendono dal reddito. Sono f(y).

Per costruire il moltiplicatore dobbiamo esplicitare le due variabili:

• CONSUMI: spesa per consumi delle famiglie dipende dal reddito disponibile.
Consumi = C0 + C1*Y
Includendo lo stato, abbiamo delle forme di tassazione, che andranno a ridurre il reddito
disponibile dei consumatori.
Quindi se permettiamo allo stato di intervenire, i consumi saranno ridotti di ciò che famiglie e
imprese versano allo stato sotto forma di tasse, riducendo il reddito disponibile.

Tassazione proporzionale al reddito: cresce al crescere del reddito (es. IRPEF). Signi ca decurtare
i consumi della quota che famiglie e imprese versano allo stato sotto forma di tasse, riducendo il
reddito disponibile.

Nel modello si introduce un’aliquota t (0 < t < 1), la quale nanzia G.

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Perciò:
C = C0 + C1 * Y - C1 * t * Y
C = C0 + C1 * ( 1 - t ) * Y
Più è alto il valore di t, più bassi saranno i consumi variabili, perciò più bassi saranno i consumi
complessivi.

• IMPORTAZIONI: capacità di un’economia di comprare beni e servizi dal mondo. Dipende da


reddito disponibile di famiglie e imprese dello stato che stiamo considerando. Più è alto il
reddito, più le famiglie sono in grado di comprare beni e servizi dall’estero.

M=m*Y

Con m = coe ciente = propensione marginale alle importazioni


0<m<1
Più è alto m, più sensibili sono le importazioni ai diversi livelli di PIL. Più è alto m, più alte sono le
importazioni osservate in conseguenza alla crescita di PIL.
Le importazioni M entrano nella domanda aggregata con segno negativo, perché si tratta di beni
prodotti altrove, quindi sono spese per consumi che riducono la domanda aggregata nazionale.

Si può giungere al modello sostituendo a C ed M con:


—> AD = C0 + C1 * (1 - t) * Y + G + I + X - m * Y

Quindi la formula nale:


Y = 1 / [1-C1(1-t)+m] * (C0+I+G+X)

In verde si trova il moltiplicatore.

Se la domanda autonoma (C0+I+X) aumenta di k, Y non aumenta di k: aumenta del moltiplicatore *


k.

Più cresce la propensione marginale alle importazioni (M), più abbasseremo la domanda
aggregata nel nostro paese; allo stesso modo: più crescono le esportazioni, più aumenterà la
nostra domanda aggregata.

Comparazione moltiplicatori
Il secondo si contraddistingue per l’aggiunta di t ed m.
• Se aumenta t, l’aliquota scale, allora si riduce il valore del moltiplicatore. Quindi più è alta
l’aliquota, più è basso l’e etto moltiplicativo sul PIL.

Complessivamente stiamo comparando i due moltiplicatori, e tendenzialmente il moltiplicatore


aperto con spesa pubblica (#2) sarà inferiore rispetto al primo moltiplicatore di economia chiusa.
#1. Perché il moltiplicatore del secondo moltiplicatore avrà sempre un valore maggiore del
denominatore del primo.
Gli e etti moltiplicativi sono più bassi quanto più l’economia è aperta se confrontati con
un’economia chiusa.
Le economie moderne sono tipicamente aperte, quindi il moltiplicatore più realistico è il secondo
(#2).

IMPLICAZIONI DEL MOLTIPLICATORE:


POLITICHE FISCALI
In entrambi i casi il punto è che per e etto moltiplicativo, la variazione di una o più componenti
della domanda aggregata, retroagisce aumentando la domanda aggregata, aumentando il PIL in
maniera più che proporzionale.

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Gli interventi dello stato in economia riescono, sfruttando il principio del moltiplicatore, a
stabilizzare le economie, la domanda aggregata.
Quando abbiamo scomposto il PIL abbiamo visto che la quota maggiore era imputabile ai
consumi. Complessivamente la spesa pubblica è un valore residuale, basso.
G entra direttamente di un ammontare più basso di C e I, diventa cruciale stabilizzare la domanda
aggregata.
La spesa pubblica vuole stabilizzare domanda aggregata, perciò il PIL.
Da che la spesa pubblica è meno uttuante di consumi e investimenti, e non è in uenzata da
variabili esterne, perché determinata dai governi, benché ha un e etto a livello quantitativo
minore, ha un ruolo cruciale in termini di stabilizzazione. Riesce anche a stabilizzare i consumi e
gli investimenti.

Tramite politiche espansive, lo stato riesce a stabilizzare i consumi o gli investimenti. Come?
Se gli investimenti dipendono molto dalle aspettative, si possono migliorare queste aspettative sul
futuro delle imprese (variabile determinante nel muovere gli investimenti), le quali faranno
aumentare gli investimenti.
La spesa pubblica può anche stabilizzare i consumi: lo stato può, tramite politiche scali
espansive, fornire degli strumenti aggiuntivi a famiglie e imprese che permettano di consumare
anche in periodi di recessioni economica. Ad es. se lo stato fornisce contributi alle famiglie tipo
sussidi di disoccupazione, lo stato riesce a far sì che le famiglie abbiano consumi meno volatili
quando la disoccupazione è crescente. Si ha una fonte di reddito, nonostante le famiglie siano
disoccupate, smussando la funzione di consumo, rendendola meno volatile e subisce meno
shock in caso di recessioni improvvise.

Come lo capiamo dal moltiplicatore?


La politica scale aumenta direttamente dalla domanda aggregata e indirettamente aumentano C
e I, quindi se l’aumento di PIL è più che proporzionale rispetto all’aumento di una delle voci della
AD, signi ca che aumentare la spesa pubblica avrà un peso maggiore sul ruolo del moltiplicatore,
con un aumento di PIL. Il moltiplicatore, in qualsiasi forma espresso, sta dicendo che le politiche
scali espansive sono cruciali per stabilizzare l’economia, perché favoriscono un ritorno
moltiplicativo sul PIL, delle diverse voci che costituiscono la domanda aggregata sul PIL.

La politica scale funziona in maniera moltiplicativa.


Si cerca di favorire interventi attivi di politica scale.

PARADOSSO DELLA PARSIMONIA


= se uno stato è troppo parsimonioso, questo in realtà peggiora la sua situazione economica.
Individuo parsimonioso sceglie di risparmiare, quindi consuma meno. Tipicamente lo fa in periodi
di recessione economica in maniera precauzionale. Siamo indotti a pensare che questo avvenga a
bene cio dell’economia.
Se analizziamo l’economia, però, aggregando tutti gli individui che tutti insieme in periodo
recessivo scelgono di risparmiare, complessivamente, la quota dei risparmi totali (sommando
risparmi individuali) si ridurrà. Ovvero: gli individui iniziano a risparmiare complessivamente, quello
che chiamiamo risparmio aggregato, sarebbe più basso rispetto a ciò che avremmo osservato se
qualcuno avesse speso. Perché tutte le voci macroeconomiche sono tra loro collegate, quindi
calerebbero i consumi, di conseguenza cala la domanda aggregata, il PIL, ci saranno più
licenziamenti, quindi ancora più persone ridurranno i consumi. Si entrerà in un circolo vizioso in
cui progressivamente il PIL diminuisce, così come i consumi.
Ecco perché il nome “paradosso della parsimonia”, il motivo è che per e etto moltiplicatore
calerebbe la ricchezza dell’interno sistema economico.

In fasi recessive, quando l’economia va male, sarebbe meglio superare il pareggio di bilancio per
favorire dei de cit di bilancio. In fasi recessive sarebbe meglio che G > entrate scali, perché se
siamo in fasi recessive, le politiche scali riescono a stabilizzare l’economia ed evitare grandi
shock. Fare politiche scali è fondamentale, è auspicabile che in termini macro economici, gli stati
favoriscano politiche scali anche se non sono in pareggio.
Gli shock, se non stabilizzati, comporterebbe situazioni peggiori del pareggio di bilancio.
In politica economica si tende a suggerire l’utilizzo di politiche scali espansive quando
l’economia va male, per interrompere la spirale negativa che agisce su tutte le componenti di AD.
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Quando l’economia va bene andrebbe tenuto conto del pareggio di bilancio come obiettivo di
politica macro economica. G dev’essere pari a t.
Sono da favorire le politiche scali anti-cicliche, cioè che vanno in direzione opposta rispetto al
ciclo economico, per essere il più e caci possibili.

POLITICA DI AUSTERITÀ
Se lo stato applicasse politiche di austerità, ovvero spendere meno in spesa pubblica rispetto a
ciò che viene incassato, vedremmo e etti peggiori.
A livello gra co si ha un equilibrio in A, e
da uno shock sui consumi, che determina
un cambiamento nei consumi, in questo
contesto il governo decida di premiare il
pareggio di bilancio, applicando politiche
di austerità, in cui si spende meno di
quello che si incassa.
In un contesto di recessività se si applica
una politica di austerità succede che
anziché avere un nuovo equilibrio in B, la
scelta del governo comporterebbe un
nuovo equilibrio associato all’equilibrio nel
mercato dei beni peggiore, rispetto a
quello che si osserva nel crollo dei
consumi.
Il nuovo equilibrio sarebbe in C, in un
punto peggiore di A e di B, perché andrebbe a danneggiare la domanda aggregata e più che
proporzionalmente il PIL di equilibrio.
Se lo stato riduce G causa un e etto sul PIL maggiore che il valore della riduzione.
Quindi, politiche di austerità in periodi recessivi aumentano la recessione perché per e etto
moltiplicativo la politica recessiva aumenterà gli e etti negativi, che il crollo dei consumi in questo
esempio ha causato.

Se c’è recessione economica, signi ca che le entrate dello stato diminuiscono. Determinare un
crollo nei redditi, signi ca determinare un crollo nelle entrate scali, che lo stato può utilizzare per
fare spesa pubblica. Alimentare la recessione, applicando politiche di austerità, diminuisce la
possibilità di spesa pubblica futura.

AUTARCHIA
Tendenzialmente m (propensione marginale alle esportazioni) è abbastanza bassa, più bassa della
propensione ai consumi. La conclusione è che convenga agli stati avere una certa apertura verso
gli altri stati.
Può succedere che m sia maggiore di C1. Quindi un sistema economico sia troppo aperto agli
scambi con l’estero. Quello stato importa più di quanto consuma. Solitamente non si osserva
questa situazione. Se si osservasse avremmo che tendenzialmente il valore complessivo del
moltiplicatore può essere quanti cato in un valore prossimo o inferiore all’1, ovvero il
moltiplicatore non è più moltiplicativo.
Se il moltiplicatore è inferiore all’1 non è più moltiplicativo. Questo succede se m è molto
maggiore a C1. Se ciò succede e si opera in politica scale espansiva per stimolare i consumi, si
può avere il rischio di favorire le importazioni piuttosto del consumo di beni nazionali.
Questa politica scale, operata in cui la società è più propensa a importare, favorirebbe il
miglioramento del PIL delle parti del mondo da cui importiamo. Tanto più le economie sono aperte
(m alto), tanto meno è facile utilizzare politiche scali espansive in fasi recessive per stimolare la
crescita economica no al punto limite in cui politiche scali espansive possono andare a favorire
completamente il PIL del resto del mondo e quindi abbattere la nostra domanda aggregata.
Vi sono esempi storici in cui m > C1. I francesi aumentarono i consumi, ma di beni stranieri:
Giappone (elettronica), Germania (auto): importazioni +18%.

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SPIAZZAMENTO
Le politiche scali devono evitare di favorire un e etto spiazzamento negli investimenti, detto
anche crowd-out.
= le politiche scali devono evitare di sostituirsi agli investimenti che le imprese avrebbero fatto in
assenza di quelle politiche scali. G non deve sostituirsi a I.

In un contesto in cui le risorse non sono completamente utilizzate, allora la spesa pubblica può
essere e cace, tipicamente accade.
Le politiche scali spingono le imprese a mobilitare le risorse che hanno e che non stanno
utilizzando, ma che potrebbero investire.
Può succedere che sia stata raggiunta la piena utilizzazione delle capacità produttive, quindi le
imprese stanno investendo il massimo che potrebbero investire. Le politiche scali in questo
punto sono ine caci perché come ritorno non hanno un aumento degli investimenti delle imprese
e quindi le politiche scali rischiano di avere come contropartita un e etto spiazzamento:
ovvero anziché far fare nuovi investimenti alle imprese, le imprese sostituiscono i propri
investimenti con la quota di spesa pubblica che il governo sta mettendo, vani cando
l’introduzione della politica scale.

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CAP 15 - POLITICA MONETARIA
Non è nelle mani dei singoli governi (nell’UE), come lo è la politica scale.
Ha come oggetto principale l’in azione. (Liv prezzi sale di una certa percentuale annua)

• In azione crescente: l’in azione è in aumento ad un tasso crescente.


Es. 2% in t0; 4% in t1; 6% in t2.

• In azione decrescente: l’in azione decresce ad un tasso che rallenta (disin azione).

In azione e de azione hanno impatti economici, che sono oggetto di politica monetaria.
L’in azione riduce il potere d’acquisto delle persone.

L’in azione può avere un e etto nel mercato del credito, da che l’in azione è strettamente legata
col tasso di interesse.
Bisogna di erenziare tra due tipologie di consumatori:
- Debitore: mutuatario —> in azione riduce il debito in termini reali
- Creditore: risparmiatore—> in azione riduce il potere d’acquisto perché riceveranno meno in
termini reali dai debitori
Essi sono impattati dall’in azione in modo diverso.

Quando l’in azione è molto volatile si genera incertezza crescente nelle aspettative delle imprese,
che può portare ad un crollo degli investimenti. L’in azione fuori controllo può avere conseguenze
sui consumi e un e etto sugli investimenti, abbattendoli.

È meglio avere de azione, cioè far abbassare il livello dei prezzi? NOOOOO
Perché anche la de azione ha impatti negativi sull’economia, perché le famiglie possono
aspettarsi che i prezzi caleranno, posticipando un consumo presente in un momento futuro.

19.05.2022
INFLAZIONE E OCCUPAZIONE
CURVA DI PHILIPS: mette in relazione le due variabili di in azione e disoccupazione, mostrando
che c’è una relazione inversa tra disoccupazione e in azione.
Philips osserva che tendenzialmente al crescere dell’una, l’altra variabile decresce.
La curva di Philips dice che c’è una relazione negativa tra le due variabili macroeconomiche di
in azione e disoccupazione. Con un alto livello occupazionale, questo comporterà cambiamenti
macroeconomici che determineranno una spinta in azionistica.
I meccanismi che Philips adotta per spiegare la relazione passano dai salari reali dei lavoratori.
L’intuizione è che quando cresce l’occupazione aumenta il potere contrattuale dei lavoratori, e più
elevati saranno i salari reali di questi lavoratori.
Il salario elevato raggiunto nella negoziazione del mercato del lavoro, farà alzare i costi di
produzione, perché il lavoro è uno dei due input produttivi. Alzandosi i costi della produzione,
aumenteranno i prezzi di vendita dei beni, di conseguenza si veri cherà un aumento generalizzato
dei prezzi, comportando in azione.

Esiste un trade-o tra disoccupazione e in azione.


Se vogliamo fare delle politiche monetarie bisogna tenere presente questo trade o . Spingere per
un elevato tasso di occupazione, comporterà un generale innalzamento dei prezzi.
Bisogna accettare che perché ci sia trade-o , ci sia un certo livello di disoccupazione nelle
economie moderne.

Il modello di Philips mostra l’evoluzione di in azione e disoccupazione per diversi stati:


Friedman in una sua analisi mostra che a partire dalla curva di Philips, se si osservano governi
che cercano di abbattere la disoccupazione, comporterà un in azione crescente rispetto al livello
di in azione che si sarebbe osservato se lo stato non fosse intervenuto con l’obiettivo di abbattere
la disoccupazione.
L’unico tasso di disoccupazione stabile che le economie potranno osservare, è quello che si crea
nell’equilibrio del mercato del lavoro, detto tasso di disoccupazione naturale. Deviazioni da
questo tasso, comporteranno peggioramenti nell’in azione.
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Questo meccanismo di aumento di livello occupazionale, viene anche detto spirale salari-prezzi.
Da che i salari spinti in alto comportano (se crescono) una crescita nel livello generale dei prezzi.
Se si vuole ridurre il livello dei prezzi, bisogna accettare un certo livello di disoccupazione, cioè la
disoccupazione naturale.

POLITICA MONETARIA
Hanno come obiettivo primario la stabilizzazione dell’in azione.

Gli stati Europei non hanno potere in materia di politica monetaria, poiché questa operazione è
nelle mani della Banca Centrale Europea.
• Se si espande l’o erta di moneta si osservano le politiche monetarie espansive.
• Se si contrae l’o erta di moneta si osservano le politiche monetarie restrittive.

Gli stati non possono controllare la quantità di banconote immesse nel mercato, l’unico attore che
può controllare questa cosa è la BCE.

L’obiettivo della BCE non sarà mai quello di contrastare il fenomeno della crescente
disoccupazione, e nemmeno quello di generare crescita economica.

• Si aumenta l’o erta di moneta—> la spinta è quella a una diminuzione del tasso di interesse;
quando il tasso di interesse è sopra il 2%.
• Si diminuisce l’o erta di moneta—> l’attesa è che aumenti il tasso di interesse; quando il tasso
di interesse è sotto il 2%.
Questo avviene se l’in azione attesa è diversa dal livello desiderato, cioè del 2%.

Il lavoro delle banche centrali è capire quali interventi e ettuare per mantenere una stabilizzazione
dell’in azione, che garantisca stabilizzazione nell’economia.
Qualunque e etto della politica monetaria ricade inevitabilmente sulla domanda aggregata.
Se cambia l’in azione, cambia il tasso di interesse, quindi si cambia la domanda aggregata, che
ricade sul PIL.
La politica monetaria agisce sull’in azione, facendo ricadere gli e etti sul mercato dei beni,
agendo su tutte le componenti della domanda aggregata, ad eccezione della spesa pubblica.

In gra co:
Partendo dall’equilibrio in A, AD è pari
al PIL.
Immaginiamo che si osservi uno shock
nei consumi che porta AD ad
abbassarsi. Consumi decrescono
passando da C a C’.
Si abbassa AD, lungo una retta più
bassa associata a un livello di consumi
inferiore.

Può succedere che si scelga di


intervenire con una politica scale
oppure con una politica monetaria, che
cercherà di stabilizzare l’economia
lavorando sul tasso di interesse.
La politica monetaria fa abbassare il
tasso di interesse da r a r’, abbassandolo succede che osserveremo come reazione delle imprese
un maggior investimento in investimenti sici. La politica monetaria può permettere di tornare a un
punto di equilibrio quanto più prossimo possibile all’equilibrio iniziale A. Nel gra co si aumentano
gli investimenti, no all’equilibrio iniziale. Si passa prima da A a B, per il crollo dei consumi.
Si applica politica monetaria, che abbassa interessi, quindi si ritorna al punto di equilibrio in A.

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QUANTITATIVE EASING
= strumento di politica monetaria
È stata una politica monetaria atipica adottata dalla BCE. È aggressiva perché molto espansiva.
Molto rischiosa perché comporta rischi in azionistici.
È una politica rischiosa, attuale, perché utilizzata dalla BCE. È rischiosa ma contestualizzata in un
periodo storico in cui l’in azione era tendenzialmente bassa.
Se l’in azione è basse il potenziale di una politica monetaria era molto basso.
Il periodo storico in cui è stata adottata era caratterizzato da ….

Draghi disse “Whatever it takes” quando c’era bassa in azione, si andò verso questo quantitative
easing, con lo scopo di salvare la moneta unica.

= ALLEGGERIMENTO QUANTITATIVO = bisogna alleggerire gli stati che hanno venduto i propri
titoli di stato ai mercati nanziari, e avendo debiti elevati, hanno subito uttuazioni nel costo del
debito crescenti nel tempo.
L’Italia era fortemente indebitata, e il potere era anche in mano ai mercati nanziari, e i mercati
hanno iniziato a speculare sul debito, facendo costare di più il debito perché alzavano il tasso di
interesse.
Togliendo parte del debito dal mercato nanziario e spostandolo nella BCE per garantire maggiore
stabilità.
La BCE compra obbligazioni e attività nanziare da parte delle banche nazionali e le tiene al suo
interno, così facendo sta attuando una politica monetaria, aumentando o erta di moneta e
abbassando il tasso di interesse.
L’acquisto è incentrato su titoli di stato e obbligazioni, assorbendoli al suo interno, per evitare che
vengano lasciati nel mercato nanziario, in cui erano soggetti a volatilità dei prezzi.

Gli interessi sul debito che l’Italia deve pagare sono diversi se venduti a mercati nanziari che
fanno speculazione (in cui si pagano interesse più alti) rispetto alla vendita alla BCE.
Nel 2015 la BCE si impegnava ad acquistare titoli di stato per 60 miliardi al mese.

Oggi è chiamato Pandemic Emergency Purchase Programme.

UNIONE DI POLITICHE
Politica scale e politica monetaria sono combinate in caso di shock.
Non si osserverà un equilibrio di mercato dei beni e un equilibrio di mercato di moneta.

Il livello di PIL osservato è al netto di politiche monetarie e scali che agiscono congiuntamente in
una data economia.

Demandare una politica monetaria a un ente terzo imparziale sia rischioso perché toglie allo stato
potere di uscire da recessione economica qualora si presentasse. Si potrebbe pensare di non
lasciare la politica monetaria in mano ad un ente terzo.
Certe volte alcuni stati si lamentano delle politiche della BCE, perché questi stati vorrebbero
politiche più espansive rispetto a ciò a cui sono vincolate.

In realtà l’economia funziona molto meglio quanto più le banche centrali sono indipendenti dai
governi.
• Funzionano meglio le economie che a dano la politica monetaria ad un ente terzo.
• Funzionano meglio quanto più la banca è indipendente dal volere dei singoli stati.

L’indipendenza delle banche centrali è un fattore chiave per tenere basso il livello di in azione.

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Avendo la BCE nei paesi dell’area Euro si
osserva un trend comune tra gli stati, infatti
l’in azione segue lo stesso ritmo in tutti gli
stati.

Se non avessimo la BCE si osserverebbero


tassi di in azione completamente diversi per
ogni stato membro.

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Domande aperte:

1) AFFINCHÉ SIA EFFICACE, COME DEVE ESSERE QUANTIFICATA UNA TASSA PIGOUVIANA?
In presenza di esternalità negativa della produzione, quanti cata di un valore pari al costo esterno
marginale, scaricato sulla società.

2) SPIEGARE CON UN ESEMPIO PERCHè I PROBLEMI DI AGENZIA ED ASIMMETRIA


INFORMATIVA DETERMINANO UN FALLIMENTO DI MERCATO:
Nel mercato assicurativo c’è un problema principale agente, nelle polizze sulla vita, l’assicuratore
non sa se gode di buona salute o meno, situa nascosta strategicamente dal cliente, risulta un
fallimento di mercato perché le polizze costeranno di più perché devono internalizzare costi
aggiuntivi per attributi nascosti. Altro esempio: assicurazione kasko, fallimento di mercato perché
il mercato non è libero da problemi di agenzia. Chi stipula kasko hanno comportamenti meno
corretti. Il prezzo non è e ciente, ma è più alto, informazioni nascoste circa il comportamento alla
guida. Altro esempio: automobili usate: il prezzo di queste viene ssato a un livello che non è mai
lasciato libero. Il prezzo dopo l’acquisto crolla e se cerchiamo di vendere l’auto anche ben
funzionante, di cilmente vediamo un prezzo di vendita come quello a cui l’abbiamo pagata. Il
mercato è distorto verso le azioni nascoste di chi partecipa a quel mercato, più dannose rispetto
al dichiarato.

3) ILLUSTRARE GLI EFFETTI SULL’OFFERTA DI LAVORO GENERATI DA UN AUMENTO DI


SALARIO PER RISPONDERE ALLA DOMANDA: SE AUMENTA IL SALARIO ORARIO,
L’OFFERTA DI LAVORO AUMENTA SEMPRE
No, se aumenta il salario l’o erta di lavoro non aumenta sempre.
La curva di o erta del lavoro ha un andamento a gomito.
L’o erta di lavoro, a seguito di un variazione di salario, subisce una variazione prezzo che si
scompone in e etto reddito ed e etto reddito. Speci care i due e etti. Dire che hanno direzione
opposta nel mercato del lavoro. L’andamento dell’o erta di lavoro dipende anche da quale dei
due e etti è prevalente. O erta di lavoro cresce al crescere del salario quando…………..

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