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ORGANIZZAZIONE INDUSTRIALE – CAP 1

L’organizzazione industriale è la branca dell’economia che si occupa dello studio della concorrenza
imperfetta. Diverso dai concetti microeconomici di concorrenza perfetta (visione utopistica di mercati
popolati da tante piccole imprese e caratterizzati dall’efficienza economica) e monopolio puro (mercato
dominato da una sola impresa, in antitesi alla concorrenza perfetta). Si conosce appieno il funzionamento
della concorrenza perfetta, al contrario è meno chiaro ciò che accade nel caso più comune di concorrenza
imperfetta e in che misura il funzionamento di un mercato non perfettamente concorrenziale si avvicina o
si allontana dal funzionamento di uno perfettamente concorrenziale. Questa zona incerta rappresenta
l’ambito di studio dell’organizzazione industriale.
Uno dei motivi per cui l’analisi della concorrenza imperfetta risulta difficile è l’interdipendenza che
caratterizza le decisioni delle imprese nei mercati in cui esse operano, ovvero decisioni strategiche che
influenzeranno gli altri partecipanti del mercato (imprese rivali, fornitori, distributori…) come ad esempio
prezzo, design del prodotto, aumento della capacità produttiva e tante altre. La concorrenza imperfetta
avviene in un contesto di interdipendenza o situazione di interazione strategica, come la chiamano gli
economisti, il che comporta che anche la determinazione del comportamento ottimale di un’impresa
risulti difficile. Per capire la logica dell’interazione strategica si ricorre alla teoria dei giochi, che
fornisce il quadro necessario per un’analisi degli scenari in cui i partecipanti, o giocatori (imprese
concorrenti), riconoscono che le proprie azioni incidono su quelle degli altri giocatori e le azioni degli
altri incidono a loro volta sulle proprie; si studiano le implicazioni in termini di benessere e in che modo
la politica pubblica possa migliorare le allocazioni di mercato.
Per questo motivo studi recenti di organizzazione industriale utilizzano la teoria dei giochi per spiegare i
risultati di mercato in contesti di concorrenza imperfetta. Gli economisti dell’organizzazione
industriale analizzano le decisioni prese ogni giorno dalle imprese e cercano di estrapolare delle
previsioni per capire i risultati di mercato. L’obiettivo principale è quello di sviluppare un modo di
pensare, un quadro mentale applicabile in diverse situazioni, quindi si sviluppano ipotesi, modelli
economici e verifica empirica delle previsioni dei modelli.

FONDAMENTI DI MICROECONOMIA – CAP 2

LE FORME DI MERCATO FONDAMENTALI:


- Concorrenza perfetta;
- Monopolio.
Sono i due estremi/modelli della performance del mercato.

RAGIONAMENTO ECONOMICO:
Metodo scientifico del ragionamento economico. Si fonda sull’idea di compiere ragionamenti rigorosi che
diano dei risultati specifici e precisi. Il ragionamento economico prevede delle ipotesi ad esempio quali
sono le imprese sul mercato, le variabili del contesto, intervento dello Stato di cui tenere conto…
Si parte compiendo ipotesi che andranno a definire il modello, poi si effettueranno scelte razionali da
parte di consumatori e imprese ai fini della massimizzazione del profitto reciproco. Una volta definite le
regole del gioco e le caratteristiche dei giocatori, questi interagiscono sulla scelta delle variabili
condizionandosi a vicenda arrivando così a dei risultati: in termini di output (ad esempio quantità
prodotta), profitti…i risultati dipendono dal tipo di modello scelto e possono essere valutati anche in
termini di efficienza compiendo analisi di tipo normativo.
Si ottengono sempre risultati precisi che vengono messi al vaglio della valutazione empirica, la quale
definisce se essi sono veri o meno. Ci dice in quali circostanze il modello è verificato e molte volte si
scopre che i modelli sono falsi grazie alla valutazione empirica; in questi casi bisogna ridiscutere le
ipotesi.
Questo approccio consente anche di compiere valutazioni normative, dopo aver dichiarato che il
modello è esatto: è equo? Funziona? Servono interventi da parte dello Stato?
1. CONCORRENZA PERFETTA:
Un’impresa perfettamente concorrenziale è un’impresa che considera il prezzo come dato (price taker):
non viene scelto dall’impresa, ma è determinato dall’interazione di tutte le imprese e i consumatori
presenti nel mercato del bene in questione e va oltre l’influenza di ciascuna delle imprese perfettamente
concorrenziali. Poiché un’impresa perfettamente concorrenziale non è in grado di influenzare il prezzo di
mercato al quale il bene viene venduto, l’impresa percepisce che a quel prezzo può vendere la quantità
che essa desidera (senza che la sua decisione influenzi il prezzo) e come produrla.
Ipotesi iniziali (tre condizioni fondamentali):
- omogeneità del prodotto à beni omogenei, tutte le imprese producono beni con le stesse
caratteristiche;
- no vincoli di capacità produttiva à gli input produttivi e la tecnologia sono liberamente
disponibili, quindi le imprese sanno come e cosa produrre;
- numerosi venditori à le imprese sono tante e di piccole dimensioni, questo perché l’offerta
potenziale del prodotto di ciascuna impresa è “piccola” rispetto alla domanda di mercato del
prodotto; se l’offerta di un bene da parte dei un’impresa fosse elevata rispetto al mercato, allora la
grande impresa in questione dovrebbe essere in grado di influenzare il prezzo al quale il bene
viene venduto.
Esempi di questi mercati: mercati in cui vendono spilli, CPU…
Ipotesi aggiuntive alle tre condizioni fondamentali:
- libertà di entrata à non vi sono barriere all’entrata;
- comportamento razionale, ma non interazione strategica à soggetti razionali, le imprese
vogliono massimizzare i propri profitti;
- rendimenti di scala decrescenti o costanti à aumentando congiuntamente tutti i fattori
produttivi, si avranno rendimenti di scala decrescenti se l’output aumenta in modo meno che
proporzionale o costanti se aumentano in modo costante. Questa ipotesi esclude che vi siano
economie di scala, altrimenti l’impresa più grande produrrebbe a costo medio più basso (non deve
verificarsi questa condizione);
- informazione perfetta e simmetria à riguardo alla natura dei beni (tutti i consumatori
conoscono i beni e come produrli) e della tecnologia (tutte le imprese sanno qual è la tecnologia
più efficiente, sanno usarla e adottarla).
Tutte queste ipotesi definiscono il contesto della concorrenza perfetta.

Risultati della concorrenza perfetta:


- il prezzo è uguale al costo marginale;
- vi è un numero di imprese efficiente, ovvero c’è il numero giusto di imprese. Ciò comporta che
tutte le imprese siano al massimo della loro efficienza in quanto operano nel punto di minimo
nella curva del costo medio (costo medio unitario più basso);
- extraprofitti nulli, lavoro e capitale vengono remunerati quindi non è corretto parlare solo di
profitto;
- fuori dall’equilibrio si osserva solo entrata o solo uscita, nel caso di uno shock positivo della
domanda, il prezzo si alza e quindi si alza dal punto di minimo del costo medio; le imprese
iniziano a fare extraprofitti positivi, non essendovi barriere all’entrata, altre imprese entrano nel
mercato. Nel caso di uno shock negativo, vi sono solo uscite di imprese;
- l’accesso all’informazione implica che gli impianti nel lungo periodo siano della stessa
dimensione: stessa tecnologia per essere efficienti, ma questo non implica che le imprese siano
tutte uguali.

Evidenza empirica:
Il prezzo è uguale al costo marginale? Le imprese sono tutte efficienti? I profitti sono davvero tutti nulli?
i risultati precedentemente visti, sono verificati empiricamente?
- Profitti positivi e persistenti nel tempo (non nulli);
- In ogni settore vi sono simultanei tassi di entrata e di uscita, le imprese sia escono sia entrano, non
è vero che vi sia solo entrata o solo uscita;
- Dinamica industriale complessa: non tutte le imprese sono di piccola dimensione, vi sono varie
imprese e di dimensione differente. Normalmente vi è eterogeneità tra le imprese e la concorrenza
perfetta non riesce a spiegare la dinamica e la turbolenza della concorrenza industriale.
à il modello è quindi sbagliato, bisogna ridiscutere le ipotesi del modello (questo è il compito
dell’economia industriale, attraverso il metodo scientifico con modelli che rispecchiano la realtà).

Ipotesi sbagliate della concorrenza perfetta (strategie nei mercati diversi dalla concorrenza perfetta):
- Comportamento razionale, ma non interazione strategica (teoria dei giochi, oligopolio, cartelli,
collusione, deterrenza…);
- Omogeneità del prodotto: vi sono mercati con differenziazione del prodotto (concorrenza
monopolistica), discriminazione di prezzo;
- Informazione perfetta e simmetria riguardo alla natura dei beni e della tecnologia: informazione
imperfetta e asimmetria;
- Rendimenti di scala decrescenti o costanti: monopoli naturali e analisi della diffusione delle
tecnologie ed esternalità di rete;
- Libertà di entrata: modelli con barriere all’entrata esogene ed endogene, deterrenza…

DALLA CONCORRENZA PERFETTA AL POTERE DI MERCATO:


La concorrenza perfetta serve per capire tre cose importanti (3 motivi):
1. Le imprese non vogliono creare un sistema di concorrenza perfetta perché non vogliono profitti
uguali a zero, ma positivi;
2. Aiuta a ragionare per differenza e ci spiega come analizzare i diversi settori;
3. Implicazioni normative: la concorrenza perfetta ha molte condizioni positive perché è la
situazione migliore possibile, in quanto le imprese sono nella loro produttività massima e sono
efficienti, il consumatore massimizza i propri profitti… Spesso viene utilizzato come punto di
riferimento normativo nel caso in cui un mercato non funzioni e molte norme dell’anti-trust si
rifanno a questo modello.
à questo ha fatto nascere un grande disguido economico: molti scambiano il libero mercato con la
concorrenza perfetta, ma sono diverse. Non sono sinonimi perché dovrebbero essere verificate tutte le
ipotesi della concorrenza perfetta e questo significherebbe ribaltare il mercato, imporre nuove
regolamentazioni piuttosto stringenti per far funzionare il mercato secondo la concorrenza perfetta.
Il libero mercato invece evocherebbe l’assenza di regole, che però in realtà vi sono regole che
regolamentano il libero scambio nel mercato.

ANALISI:
Come tutte le imprese, quelle perfettamente concorrenziali sceglieranno ciascuna il livello di output che
massimizza i propri profitti individuali, che vengono indicati come la differenza fra i ricavi e i costi totali
dell’impresa: P = R(Q) – CT(Q) = (P x q) – C(q).
I ricavi sono il prezzo di mercato P moltiplicato per l’output dell’impresa q; si presume che i costi totali
dell’impresa aumentino all’aumentare del livello di produzione, secondo la funzione C(q).
Il concetto di profitto che si sta utilizzando è quello di profitto economico e implica che vi siano ricavi
netti superiori all’ammontare necessario per pagare tutti gli input dell’impresa (capitale e lavoro), ovvero
nel profitto economico rientrano i costi opportunità: ciascun input deve essere pagato almeno quanto
potrebbe rendere nel suo migliore utilizzo alternativo e sono inclusi nella funzione di costo totale C(q).
Una condizione necessaria perché vi sia massimizzazione dei profitti è che l’impresa scelga un livello
di output tale che i ricavi ottenuti dall’ultima unità prodotta (ricavi marginali) siano pari ai costi
sostenuti per produrre quell’ultima unità (costi marginali). Questa condizione vale per la scelta del
livello di output di qualsiasi impresa, sia essa un’impresa perfettamente concorrenziale o una
monopolista: R¢(q) = C¢(q). Poiché i ricavi totali dipendono dalla quantità prodotta, anche i ricavi
marginali dipendono da q, come descrive la funzione dei ricavi marginali R¢(q).
L’impresa concorrenziale può vendere quanto desidera al prezzo di mercato corrente e quindi ciascuna
unità supplementare di output prodotta e venduta genera ricavi supplementari pari all’attuale prezzo di
mercato. La funzione di ricavo marginale di un’impresa concorrenziale è: R¢(q) = P.
Allo stesso modo, poiché il costo totale è una funzione dell’output totale q, anche la funzione del costo
marginale dipende da q, secondo la funzione C¢(q), che descrive il costo sostenuto dall’impresa per
ciascuna unita successiva di output prodotta.
costi C¢(q) = curva di CM = 10
costo marginale Produco con un costo pari a 60 e la
quantità pari a 6, quindi:
CM = curva di costo medio CM = 60/6 = 10
= CT x q Se si producesse 11, CM sale se costa di
più produrre la quantità aggiuntiva; se
invece la quantità aggiuntiva costa meno,
q
Punto di minimo della curva di CM CM scende.

Le figure a e b rappresentano rispettivamente il modello standard di impresa perfettamente


concorrenziale e il modello di mercato perfettamente concorrenziale nel quale l’impresa vende. Perché
qualsiasi mercato sia in equilibrio, la condizione di primo
ordine menzionata precedentemente deve essere soddisfatta
per ciascuna impresa. Nel mercato concorrenziale, per
ciascuna impresa il prezzo ricevuto per 1 unità di output è
esattamente pari al costo di produzione di tale output al
margine. La curva di domanda iniziale dell’industria è D1 e
il prezzo di mercato è PC. Un’impresa che produce l’output
qC sostiene un costo marginale di produzione C¢(qC)
esattamente pari a tale prezzo.
La produzione di 1 unità supplementare implicherebbe un costo supplementare, come indica la curva di
costo marginale C¢, che supera il prezzo al quale l’unità sarebbe venduta; al contrario la produzione di
una quantità inferiore a qC consentirebbe di risparmiare in termini di costi meno di quanto si
sacrificherebbe in termini di ricavi. Quando l’impresa produce qC e la vende al prezzo di mercato PC
massimizza i profitti, per cui non ha nessun incentivo a modificare il suo livello di output. In equilibrio
concorrenziale, ciascuna impresa deve produrre al punto in cui il suo costo marginale è esattamente pari
al suo prezzo.
Nel caso di uno shock positivo, la domanda di prodotto aumenta a D2 e il prezzo di mercato aumenta a
P1, ciascuna impresa riconsidererà il livello di output da produrre, aumentandolo a q1, dove P¢= C¢(q1).
Questo farà aumentare la produzione totale a Q1. Quindi all’aumentare del prezzo, è possibile calcolare in
che modo ciascuna impresa aggiusta il suo livello di output che massimizza i profitti spostando la sua
funzione di costo marginale fino a un punto in cui P = C¢(q) a questo nuovo prezzo, giungendo alla
funzione di offerta dell’industria S1, che indica l’output totale offerto in corrispondenza di ciascun dato
prezzo di mercato.
La condizione che ciascuna impresa produca al livello in cui il costo marginale è pari al prezzo di mercato
è pressoché l’unica richiesta per un equilibrio concorrenziale nel breve periodo; tuttavia, perché un
equilibrio sia di lungo periodo è necessario anche che ciascuna impresa ottenga profitti economici pari a
0, più precisamente che non superino l’ammontare richiesto per attrarre gli input di produzione
nell’industria. Nel caso di uno shock positivo, ovvero quando la domanda passa a D2, le imprese attive
nell’industria risponderanno aumentando l’output a q1, espandendo così la propria produzione e facendo
aumentare l’output di mercato a Q1. Questa risposta di breve periodo non soddisfa la condizione di
profitti pari a zero necessaria per un equilibrio concorrenziale di lungo periodo. Al prezzo P1, il prezzo di
mercato è pari al costo marginale di ciascuna impresa, ma supera il costo medio di ciascuna di esse.
Pertanto, ciascuna impresa ottiene profitti economici positivi pari a P1 – CM (q1). Tali profitti inducono
nuove imprese a entrare nel mercato. Tale espansione sposta la curva di offerta dell’industria verso
l’esterno S2 fino a che il prezzo di equilibrio non copre di nuovo esattamente il costo medio. Si
ristabilisce il prezzo iniziale PC e ciascuna impresa produce nuovamente l’output qC al quale il prezzo
dell’industria è pari sia al costo marginale dell’impresa sia al suo costo medio. L’output totale
dell’industria è ora maggiore Q¢C. Sebbene ciascuna impresa produca l’output QC, esse sono ora in
numero maggiore. Il fatto è che in un equilibrio di mercato di lungo periodo nessuna impresa è
incentivata a cambiare il suo piano di produzione e, nel lungo periodo, questo significa che nessuna
desidera entrare nel mercato o uscirne.

2. MONOPOLIO:
Il monopolio puro è la situazione in cui vi è un unico venditore e quota di mercato dell’impresa uguale a
1. La curva di domanda del monopolista è identica alla curva di domanda del mercato e l’impresa
monopolista è in grado di influenzare il prezzo che riceve dalla vendita in questo mercato. La decisione
dell’output da parte del monopolista giocherà un ruolo decisivo nella determinazione del prezzo al quale
il mercato è in equilibrio:
- qi à produzione dell’impresa i;
- Qi à produzione di mercato;
- Si = qi/Q à quota di mercato, nel monopolio la quota di mercato è pari a 1.
Definizione più ampia: questione del potere di mercato, che è la capacità di fare un prezzo superiore al
costo marginale (P>c). L’impresa non è costretta a scegliere il prezzo, ma può farlo, è libera anche se non
ha una quota di mercato pari a 1 (Quota mkt=1 à monopolio puro).
Da un lato vi sono imprese con una quota di mercato inferiore a 1, che possono fare il prezzo; dall’altro vi
sono imprese che hanno una quota di mercato quasi uguale a 1, ma non possono decidere il prezzo di
mercato. Ad esempio nei settori molto concentrati in cui la quota di mercato è altissima come Microsoft,
però non può fare il prezzo che vuole perché di sistemi operativi ce ne sono altri e poi perché i nuovi
prodotti Microsoft competono con quelli vecchi e quindi non possono distaccarsi troppo (“competono con
sé stessi”).

Cosa succede quando un’impresa può fare il prezzo? Nel caso del monopolista puro, il monopolista
può scegliere qualsiasi punto sulla curva di domanda e quindi sceglierà
congiuntamente prezzo e quantità. La pendenza negativa della curva di
domanda del monopolista indica che una maggiore produzione comporta un
calo del prezzo. Per un monopolista che vendeva Q1 ad un prezzo P1, un
aumento della produzione a Q2 farà si che il prezzo di equilibrio di mercato
scenda passando da P1 a P2. Il risvolto positivo è che, vendendo l’output
supplementare il monopolista otterrà ricavi supplementari. Il monopolista è
molto diverso dall’impresa concorrenziale, che ritiene che ogni unità
supplementare venduta comporterà ricavi marginali inferiori al prezzo
attuale. Poiché l’output supplementare può essere venduta solo se il prezzo scende, i ricavi marginali
derivanti dalla vendita di un’unità supplementare non corrisponderanno al prezzo di mercato, ma ad una
somma inferiore.
I guadagni in termini di ricavi corrispondono all’area G (corrisponde anche al prezzo P2 moltiplicato per
l’aumento dell’output Q2 – Q1) e la perdita corrisponde all’area L (ammontare dal quale il prezzo scende
P1 – P2 moltiplicato per il livello iniziale di output Q1). La variazione netta dei ricavi del monopolista
(ricavi marginali) è data da G – L.

Esempio:
Il ricavo totale = 100.
Per vendere un’unità aggiuntiva bisogna abbassare il
Pa prezzo a 9 e si riesce a vendere 11 unità. Il ricavo totale
successivo, dopo aver abbassato il prezzo sarà
10 9x11= 99. Quindi il ricavo marginale è diverso dal
prezzo e inferiore al precedente. Il problema della
9
massimizzazione del profitto deve tenere conto del fatto
Q che il ricavo marginale non è uguale al prezzo.
10 11
Questa situazione di monopolio può essere estesa a tutte le situazioni di mercato:
In un settore con un’impresa molto
Pa Domanda di mercato grande e tante altre imprese piccole, si
può pensare ad una situazione in cui le
Domanda residuale per l’impresa imprese piccole producono beni di
nicchia e l’impresa grande ha una
Q domanda ampia.
Vi è una produzione delle piccole imprese che diminuisce la domanda della grande impresa e si crea la
domanda residuale per l’impresa. Come per il monopolista, anche le imprese che hanno una domanda
inclinata negativamente e quindi possono fare il prezzo vale lo stesso discorso del potere di mercato; nel
caso in cui la domanda sia inclinata positivamente il prezzo è dato, quindi non vale il ragionamento.

Caso di domanda lineare:


P = a – bQ à curva di domanda lineare di mercato che descrive la
relazione fra l’ammontare che i consumatori sono disposti a pagare per 1
unità del bene e la quantità aggregata del bene consumato. L’intercetta A
rappresenta la massima disponibilità a pagare o il prezzo di riserva
massimo che ciascun consumatore sarà disposto a pagare per avere il bene
in questione; con prezzi di mercato superiori ad A, nessuno nel mercato in
questione sarà disposto ad acquistare il prodotto. A mano a mano che il
prezzo scende al di sotto di A, aumenterà la domanda di prodotto. Se il
prezzo di mercato del bene è PM, il consumatore vorrà acquistare una
quantità QM del bene. PM è il prezzo che ciascun consumatore pagherebbe per consumare l’ultima
(QMesima) unità del bene e quindi PM indica la disponibilità del consumatore a pagare al margine.
- C (Q) = F + cQ à curva di costo (F componente fisso, C è il costo marginale)
- C¢(Q) = C
- CMV = C

Semplificando la curva di domanda lineare rispetto alla precedente:


Pa La pendenza della curva di domanda del monopolista può
Area dei profitti essere espressa come DP/DQ:
del monopolista
PM - DP = P2 – P1
- DQ = Q2 – Q1
c La curva di domanda dell’impresa monopolista, che è anche
-b curva di domanda di mercato, descritta come relazione
Q lineare P = a – bQ, la pendenza è –b.
QM R¢(Q)

Il ricavo marginale deve essere inferiore al prezzo:


RT = R(Q) = P x Q = (a – bQ) x Q = aQ – bQ2
R¢(a) = a – 2bQ à ricavo marginale del monopolista è inferiore al prezzo attuale e nel caso di domanda
lineare, si dimostra una precisa correlazione fra prezzo e ricavi marginali: l’equazione per la funzione
dei ricavi marginali del monopolista ha la stessa intercetta del prezzo a, ma pendenza doppia -2b. Questo
significa che, quando la curva di domanda di mercato è lineare, la curva dei ricavi marginali del
monopolista parte dalla stessa intercetta verticale della curva di domanda, ma in ogni punto ha pendenza
doppia. La curva dei ricavi marginali del monopolista deve stare in ogni punto al di sotto della curva di
domanda inversa.

Si immagina un’impresa che vuole massimizzare il profitto e quindi il ricavo marginale (associato
all’ultima unità di output) deve eguagliare/coprire il costo marginale di produzione di tale unità. Questo
vale sia per l’impresa concorrenziale sia monopolista, la differenza è che per l’impresa monopolista i
ricavi marginali sono inferiori al prezzo. Quindi il potere di mercato dice che per massimizzare i profitti
per un’impresa monopolista: R¢(Q) = C¢(Q) i ricavi marginali devono essere pari ai costi marginali,
quindi il monopolista sceglie il prezzo PM e produce la quantità QM per massimizzare i propri profitti
(area gialla corrisponde ai profitti del monopolista).
Entra in gioco anche la funzione di costo medio dell’impresa monopolista: il costo unitario o medio di
produzione del livello di output QM, descritto sulla curva di costo medio CM(QM), è inferiore al prezzo
PM al quale il monopolista vende il bene. Questo significa che i ricavi totali sono superiori al costo totale
e quindi il monopolista ottiene profitti economici positivi.
Poiché il monopolista è l’unica impresa in questo mercato, e dal momento che si ipotizza che nessun’altra
impresa possa entrare nel mercato e offrire questo bene, i risultati di mercato sono di lungo periodo.
Ciascun consumatore acquista la quantità che vuole al prezzo PM e, date queste condizioni di costo, il
monopolista non è incentivato a vendere una quantità maggiore o minore. Anche nel lungo periodo, in
condizione di monopolio il prezzo di mercato non tende a uguagliare il costo unitario di produzione.

Implicazioni del ragionamento:


1. confronto con la concorrenza perfetta: permette di fare un confronto con modelli che
rappresentano mercati concorrenziali in termini di efficienza dei mercati e di ciò che viene distribuito. I
risultati di mercato sono efficienti quando non è possibile trovare piccole variazioni nella distribuzione di
capitali, manodopera, beni o servizi che migliorino il benessere di un individuo nel mercato senza
nuocere agli altri (ottimo paretiano). Non vi è inefficienza nel caso in cui per far arricchire qualcuno
bisogna far impoverire qualcun altro, ma si ha inefficienza nel caso in cui si possono immaginare delle
variazioni che consentano in qualche modo a una persona di avere più beni e a nessun altro averne di
meno. In quest’ultimo caso i risultati del mercato non sono efficienti ed è il caso del mercato
monopolizzato: si possono immaginare variazioni ai risultati di monopolio che apporterebbero di più ad
almeno un singolo individuo e niente in meno agli altri. Tuttavia, le forze di mercato non consentiranno
da sole di ottenere questo esisto nel caso del monopolista standard.
Per attuare il criterio dell’efficienza, è necessaria una misura del vantaggio in termini di ricchezza che
consumatori e imprese ricevono in un dato esito di mercato. Si utilizzano, a tal fine, i concetti di surplus
del consumatore e surplus del produttore. Il surplus del consumatore ottenuto dal consumo di 1 unità
del bene è definito come la differenza tra l’ammontare massimo che un
consumatore è disposto a pagare per quella unità e l’ammontare che il
consumatore di fatto paga. Il surplus del produttore ottenuto dalla
produzione di 1 singola unità del bene è la differenza fra l’ammontare
che il venditore riceve per tale unità del bene e i costi sostenuti per
produrlo.
Nel caso della concorrenza, QC unità del bene vengono vendute e
acquistate. L’ammontare massimo che un consumatore è disposto a
pagare per l’ultima unità (QCesima unità) è esattamente il prezzo di
equilibrio PC. Tuttavia, l’ammontare massimo che un consumatore è disposto a pagare per la prima,
seconda, terza…fino alla QCesima unità è maggiori di PC: questo perché a un dato volume delle vendite,
la curva di domanda è una misura precisa dell’ammontare massimo che un consumatore è disposto a
pagare per 1 unità supplementare. Pertanto, l’area al di sotto della curva di domanda ma al di sopra del
prezzo di equilibrio del mercato PC rappresenta il surplus per i consumatori. È la differenza fra quanto
sono disposti a pagare e quello che di fatto hanno pagato nell’esito concorrenziale.
Per produttori concorrenziali, la curva di offerta indica il costo marginale di produzione di ciascuna unità.
Come per il surplus del consumatore, si può costruire una misura del surplus del produttore.
Se non si è in grado di aumentare il surplus totale, non si può far arricchire qualcuno senza far impoverire
qualcun altro. Dal momento che è questo che avviene nel caso della concorrenza perfetta, il livello di
output perfettamente concorrenziale è efficiente. Invece nel caso del
monopolio, i risultati sono inefficienti: il surplus totale è un’area
inferiore a quella che si otterrebbe in concorrenza perfetta, il surplus
del produttore è maggiore rispetto alla concorrenza perfetta e il
surplus del consumatore è minore. Uno spostamento dal monopolio
alla concorrenza fa guadagnare il surplus del produttore, ma per
ottenere tale guadagno bisogna stabilire il prezzo concorrenziale PC
con la conseguente perdita di surplus da parte dell’impresa. La
perdita è ovviamente maggiore del guadagno. La riduzione di surplus del consumatore che il monopolio
causa non è semplicemente il risultato di un aumento del surplus del monopolista; al contrario, il calo del
surplus totale informa del fatto che il guadagno del monopolista è inferiore alla perdita del consumatore.
In sintesi, spostandosi da un’industria concorrenziale a una di monopolio, i consumatori perdono più di
quanto il monopolista guadagna in profitti. L’area del triangolo ombreggiato xyz è una misura esatta
dell’inefficienza nel caso del monopolio e rappresenta il surplus perso (perdita secca di monopolio –
DWL, Dead Weight Loss), non guadagnato da nessuno, a causa della monopolizzazione dell’industria. Se
questo output fosse prodotto, vi sarebbe modo di distribuirlo e far arricchire una persona senza far
diminuire i profitti del monopolista o il benessere di altri. Essa è una buona approssimazione dei guadagni
che si ottengono ristrutturando l’industria e rendendola concorrenziale. L’efficienza economica si
riferisce non al modo in cui il surplus è distribuito, ma al suo ammontare totale.

Conclusione: la fonte reale del problema del monopolio non è il fatto che sul mercato è presente soltanto
un’impresa, ma la vera causa dell’inefficienza è che l’impresa è grande rispetto alle dimensioni del
mercato. Per operare nel mercato, le imprese sono motivate dai profitti. Nel caso della concorrenza
perfetta, i profitti (pari a zero) di una singola impresa corrispondono al contributo di tale impresa al
surplus o al benessere creato dal fatto di operare nel mercato. Pertanto, il comportamento di
massimizzazione dei profitti porta a risultati di mercato efficienti. Al contrario, i profitti (elevati) di
un’impresa monopolista sono inferiori al surplus creato dalle operazioni di mercato. Di conseguenza, la
massimizzazione dei profitti nel caso del monopolio non comporta risultati efficienti del mercato.

NB: differenza e trade-off tra efficienza allocativa o statica (modo migliore per distribuire le risorse per
la produzione in un dato gruppo di beni e servizi a partire da una data tecnologia) ed efficienza dinamica
(distribuzione delle risorse in modo tale da promuovere lo sviluppo di nuovi beni e nuove tecniche
produttive). In questi ragionamenti si parla della prima, ovvero efficienza statica.

2. fa riflettere su quali sono le condizioni in cui il monopolista avrà più potere di mercato o meno.
A seconda delle caratteristiche del mercato, la differenza tra PM e c (area dei profitti) è più o meno alta.
Le imprese vogliono sapere quali sono i mercati in cui possono avere maggiore profitto e anche l’autorità
vuole saperlo per riuscire a proteggere i consumatori. Per fare profitti e quindi prezzi alti, date le
condizioni dell’offerta, bisogna guardare le condizioni di domanda, ovvero analizzare la
domanda/richiesta di consumatori. Regola dell’elasticità per capire quali sono i fattori economici che
determinano il livello del prezzo:
P – C à potere di mercato
(P – C) /P = 1/h à elasticità della domanda, ovvero misura della sensibilità della quantità richiesta ai
movimenti del prezzo:
h = variazione % Q / variazione % P = (DQ/Q) / (DP/P)
- elasticità alta, potere di mercato basso (tendenzialmente prezzi bassi);
- elasticità bassa, potere di mercato alto (domanda rigida, |h<1|) à ad esempio in presenza di beni
di prima necessità, “dipendenza”, consumatore abituato al suo utilizzo…il consumatore,
all’aumentare del prezzo, continuerà ad acquistare il bene.

STRUTTURA DI MERCATO E POTERE DI MERCATO – CAP 3

SCP – STRUTTURA COMPORTAMENTO PERFORMANCE:


Modello SCP empirico di comprensione della realtà alla base dell’economia industriale. La struttura di
mercato determina le scelte dei comportamenti delle imprese e in base a queste scelte esercitano diversi
poteri di profitto. La struttura determina la performance dell’impresa e il problema è quindi quello di
misurare la struttura di mercato e i relativi indici per misurare l’estensione del mercato (indici di
concentrazione). Il principio alla base del paradigma SCP era il vantaggio di considerare la concorrenza
perfetta e il monopolio come gli estremi opposti di strutture di mercato, lungo il quale si collocano tutti i
mercati. Una misura naturale della struttura di mercato è costituita dal livello di concentrazione, ovvero la
percentuale di produzione del mercato attribuibile alle più grandi imprese presenti in un’industria. La
struttura viene identificata con il livello di concentrazione.
Tutto questo permette di misurare il “mercato rilevante”, di ragionare su fattori economici relativi ad
esso, da cui parte l’analisi e le varie procedure dell’antitrust. Oltre a misurare il mercato, bisogna infine
misurare il potere di mercato.

Modello SCP deriva dalla teoria microeconomica: vi è un legame tra Struttura (concentrazione) e
Performance (redditività). Gli studiosi (anni ’30-40) notarono una correlazione positiva tra il tasso di
profitto dell’industria e la misura in cui la produzione era concentrata nelle mani di poche imprese: il
tasso di profitto decresce all’aumentare del numero di imprese; al diminuire del numero di imprese
(concentrazione industriale), si può osservare un aumento dei tassi di profitto. Quindi la concentrazione
alta si avvicina al caso limite del monopolio.
Questo tema ha fondato la politica antitrust degli USA (Sherman Act, 1890: vieta i contratti,
associazioni e collusioni tesi a restringere il commercio; inoltre dichiara illegale qualsiasi tentativo di
monopolizzare il mercato):
* Standard Oil à nel 1911 la Corte Suprema emette la sentenza secondo la quale l’impresa aveva
illegalmente monopolizzato l’industria di raffinazione del petrolio;
* Alcoa à maggiore produttore di alluminio nell’America settentrionale. Già prima del 1945 la
società era stata denunciata varie volte per violazione della normativa antitrust. Però nel 1945
Alcoa fu giudicata colpevole di monopolizzazione del mercato poiché la quota di mercato era pari
al 90%.
Sono stati divise a seguito di politiche dell’antitrust, per tenere i prezzi più bassi, aumentare il numero di
imprese e quindi di conseguenza aumentare il benessere dei consumatori.

Quali sono i Comportamenti che sono influenzati dalla struttura e che influenzano la performance?
- Barriere all’entrata: in parte sono strutturali/tecnologiche e attengono alla struttura del mercato,
in parte attengono ai comportamenti delle imprese e quindi le barriere possono essere indotte dalle
imprese che operano nel settore (ad esempio tramite R&S, pubblicità…);
- Collusione: se vi sono poche imprese nel mercato, queste imprese riusciranno con accordi
impliciti ad esempio riusciranno a tenere prezzi alti e a coordinarsi.
Si è consolidata l’idea che la concentrazione industriale sia legata a comportamenti che portano ad una
più alta profittabilità e l’intervento dell’antitrust è indirizzato a diminuire la concentrazione.

* U.S. Steel à sentenza ebbe un forte impatto sull’industria siderurgica e anche sulla legislazione
statunitense: impresa che, attraverso una serie di fusioni, era cresciuta fino a controllare oltre il
70% della capacità produttiva di acciaio, ma per la Corte non era considerata colpevole di
violazione della normativa antitrust. Secondo il Governo, non era stato individuato nessuno
sfruttamento del potere di monopolio né un tentativo di monopolizzazione: l’unico fatto
documentato era l’ampia fetta di mercato detenuta dalla U.S. Steel, ma “la legge non considera un
reato le semplici dimensioni”.
Quest’ultimo caso ha rappresentato un forte stimolo per lo sviluppo dell’organizzazione industriale: dopo
la sentenza, molti analisti giunsero alla conclusione che era necessaria una valida mappa economica
funzionale alla comprensione della concorrenza imperfetta. Questo inaugurò il campo dell’OI. I primi
studi si concentrarono su alcune domande chiave:
- Com’è organizzata la produzione dell’industria?
- Com’è strutturato il mercato?
- Quante imprese ci sono e quanto sono grandi l’una rispetto all’altra?
- Vi sono palesi barriere all’entrata?
Per raggiungere queste risposte (obiettivo), era necessario individuare non solo le caratteristiche
strutturali di un’industria, ma anche chiari legami fra struttura e risultati di mercato. Agli economisti
industriali servivano dati relativi a prezzi, profitti e struttura di mercato, per poi utilizzarli per identificare
relazioni statistiche fra varie strutture di mercato da un lato e performance industriale dall’altro.
Negli anni ’50-60 J.Bain (Harvard) fu tra i primi a capire che un’industria non poteva essere definita
esclusivamente in termini di concentrazione. In particolare, comprese che era necessario osservare, oltre
alla configurazione di mercato delle imprese esistenti nell’industria, anche la capacità delle nuove
imprese di entrare nel mercato. Voleva esattamente misurare la relazione tra struttura di mercato e livello
di profitto: confrontava tra settori, in modo qualitativo, il livello di concentrazione, barriere all’entrata e il
livello di profitto. Trova una relazione empirica tra struttura di mercato e performance. È vero che la
struttura è il risultato del comportamento, ma è difficile risolvere la questione nel quadro dell’approccio
SCP. Questa scuola, basata sulle analisi inter-settoriali, inizia ad essere fortemente screditata.
La crescente preoccupazione sulle falle del paradigma SCP e sulla politica pubblica da esso promossa
favorì la nascita di una nuova scuola di pensiero opposta, capeggiata da esperti legali ed economisti della
Chicago School: cominciarono a far notare che molte delle pratiche che i tribunali avevano considerato
dannose per la concorrenza e il benessere economico, se osservate attraverso la lente della strategia e
delle tattiche aziendali, potevano essere viste come un modo per migliorare l’efficienza economica e
arrecare benefici ai consumatori. La struttura è endogena, non è un dato come considerava Bain, e in
più vi sono comportamenti tra imprese che influenzano la struttura (ad esempio collusione, deterrenza…).
Il problema principale è che non poteva esserci una relazione causale fissa del tipo: S à C à P (basti
vedere che i comportamenti modificano la struttura). Il problema dell’antitrust non è quello di valutare la
struttura, ma i comportamenti/interazioni tra imprese che modificano la struttura stessa.
Oggi vi è un problema legato tra performance e struttura: se un’impresa ha successo, guadagna quote di
mercato, diventa sempre più grande, se è anche efficiente guadagna anche più profitti, quindi influenza i
comportamenti delle altre imprese andando così a modificare la struttura di mercato (si ribalta la relazione
casuale). Bisogna studiare SCP tutti insieme e non come dati o come una relazione.
L’economia industriale dagli anni ’70-80 si rivoluziona tramite l’impiego della Teoria dei Giochi:
strumento per comprendere l’interazione strategica delle imprese e fornisce un modo per modellare e
analizzare il comportamento delle imprese in mercati non perfettamente concorrenziali. Precedentemente
non si valutavano le interazioni strategiche.
Per questo motivo si vuole capire in che modo le imprese competono tra di loro quando hanno potere di
mercato, quali implicazioni ha tale concorrenza e quale potrebbe essere il ruolo della politica pubblica
nell’aiutare i mercati non perfettamente concorrenziali a raggiungere risultati più vicini all’ideale di
concorrenza perfetta. Il motivo per cui si studia l’organizzazione industriale è capire la concorrenza di
mercato in tutte le sue dimensioni.

INDICI DI CONCETRAZIONE PER MISURARE LA STRUTTURA DI MERCATO:


Dati:
- 1/n numero delle imprese;
- quota di mercato delle imprese.
Si vuole sintetizzare il modo in cui un’industria si colloca rispetto all’ideale della concorrenza perfetta. Vi
sono 3 indici di concentrazione:
1. curve di concentrazione:
Per misurare la struttura di un mercato e quindi la sua dimensione, si può utilizzare la quota di mercato:
si calcola la frazione della produzione totale dell’industria attribuibile all’impresa più grande, poi quella
attribuibile alla combinazione delle due imprese più grandi, poi alla combinazione delle tre imprese più
grandi e così via. In tal modo si ottiene la quota cumulativa della produzione totale dell’industria,
man mano che si includono imprese sempre più piccole. Rappresentando in un grafico questa relazione, si
ottiene la curva di concentrazione: descrive la misura in cui la produzione si concentra nelle mani di
soltanto poche imprese.
Sono riportate le curve di concentrazione di ciascuna delle tre industrie
rappresentative A, B, C. Le dimensioni delle imprese, ordinate secondo la
grandezza di ciascuna di esse, sono misurate lungo l’asse orizzontale dove la
prima impresa è quella di dimensioni maggiori. La quota cumulativa di
mercato è misurata sull’asse verticale.
A. 10 imprese con quote di mercato pari al 10%;
B. 21 imprese con quote di mercato pari al 55% per la più grande impresa e le
restanti 20 hanno una quota del 2,25% ciascuna;
C. 3 imprese con 25%, 5 imprese con 5% di quota del mercato.
Per l’industria B, le coordinate verticali che corrispondo ai valori orizzontali 1 e 2 sulla curva di
concentrazione dell’industria sono 55 e 57,25. Questo dipende dal fatto che l’impresa di dimensioni
maggiori ha il 55% di mercato e le due imprese di dimensioni maggiori insieme detengono il 57,25%.
Le curve di concentrazione sono un utile strumento illustrativo in quanto permettono di farsi un’idea di
come la produzione dell’industria sia distribuita fra le varie imprese.
NB: si può utilizzare solo se le imprese sono uguali.

2. indici di concentrazione o rapporto di concentrazione:


Indice che si basa sulle dimensioni delle imprese (rispetto all’industria) ed è il rapporto di concentrazione
Cm definito come la somma delle quote di mercato delle prime m imprese.
qi = produzione dell’impresa
Q = produzione di mercato
Si = qi / Q
m
Cm = S Si m è un numero arbitrario di imprese più grandi
i=1

Settore 1 Settore 2 Settore 3 Il rapporto di concentrazione delle prime n-imprese


C1 (n=1) 25% 55% 10% corrisponde a un determinato punto sulla curva di
C2 (n=2) 50% 57,25% 20% concentrazione dell’industria. Di conseguenza, il suo
C3 (n=3) 75% 60% 30% principale inconveniente è il fatto di trascurare le altre
informazioni della curva.
Vantaggi: facile reperibilità dei dati; svantaggi:
- problema della scelta di m;
- non necessariamente aumenta se un’impresa grande ne acquisisce una piccola;
- non aumenta se si riduce il numero di imprese.

3. indice di Herfindhal:
Alternativa al CRn mirata a riflettere in modo più completo le informazioni della curva di concentrazione
è l’indice di Herfindhal-Hirschman (HH), che per un’industria con n imprese, viene definito:
n
HH = S Si2 n = tutte le imprese nel mercato, si è la quota di mercato della singola impresa.
i=1

HH è la somma del quadrato delle quote di mercato di ciascuna impresa dell’industria/mercato ed è un


indicatore della concentrazione del potere economico. Se HH=1, è la situazione di monopolio puro,
con una sola impresa che realizza l’intera produzione. Questo indice riflette l’impatto sia della
combinazione di imprese di dimensioni diverse sia della concentrazione dell’attività in poche grandi
imprese. Piuttosto che riflettere un unico punto sulla curva di concentrazione, l’HH fornisce con un unico
dato un’idea più completa della forma di tale curva: riflette sia le dimensioni medie delle imprese sia la
disuguaglianza nelle dimensioni delle imprese che induce gli economisti a preferirlo ai semplici rapporti
di concentrazione.

HH INTENSITÀ CONCORRENZA
Concorrenza perfetta Minore di 0,2 Forte
Concorrenza monopolistica Minore di 0,2 Forte ma dipende da differenziazione
Oligopolio Tra 0,2 e 0,6 Dipende
Monopolio Maggiore di 0,6 Debole (a meno di potenziali entranti)

4. indice di Lerner:
Indice per misurare la performance del mercato dal pdv dell’efficienza: misura quanto lontani sono i
risultati economici dall’ideale concorrenziale. L’indice di L riflette direttamente la discrepanza fra il
prezzo e il costo marginale, coglie gran parte di quello che importa sapere in termini di uso del potere di
mercato. Per un’impresa concorrenziale, l’indice di L è pari a zero, in quanto essa fissa un prezzo pari al
costo marginale. Per un monopolista si può dimostrate che l’indice di L è pari all’inverso dell’elasticità
della domanda: meno la domanda è elastica, maggiore è la distorsione fra prezzo e costo marginale.
1/h è l’inverso dell’elasticità della domanda. Meno la domanda è elastica, o minore è
(P–C) 1 h, maggiore è la differenza fra il prezzo di mercato e il costo marginale di produzione
–––––– = –– nel caso del monopolio. Un’impresa perfettamente concorrenziale ha una curva di
P h domanda infinitamente elastica o orizzontale, perché vende ad un prezzo pari al costo
marginale.
Per un’industria composta da un numero di imprese maggiore di uno (oligopolio), ma non elevato, il
calcolo dell’indice è più complesso e necessita di qualche indice medio:

(P–C) Si L’elasticità è direttamente


––––– = –– proporzionale alla sua quota
P h di mercato:
Si = qi /Q

Nel settore bisogna fare la media ponderata di tutti i mark-up nello stesso settore:
n imprese
n n
H è l’indice di Herfindahl messo in relazione
S Si x (P-Ci)/P = S Si x Si/h con il potere di mercato medio del settore.
i=1 i=1 L’indice di Lerner non è tanto una misura del
modo in cui è strutturata la produzione di
n
(P - S SiCi) /P = P – C/P C = trattino sopra un’industria, quanto una misura dei
i=1 risultati/performance di mercato. Maggiore è
H l’indice di L, più i risultati di mercato di
n
allontano dal caso della concorrenza e
P – C/P = (S SiSi) / h = H/h à L = ––
i=1 maggiore è il potere di mercato che viene
h
sfruttato.

L’indice di Lerner è un indicatore diretto del livello di concorrenza di un mercato. Tuttavia, anche
l’indice di L come gli indici strutturali è imperfetto. Soprattutto si scontra con il problema della
definizione del mercato (la stima dell’indice di L relativa a tutta l’industria potrebbe risultate difficile da
ottenere) e anche quando la definizione del mercato è abbastanza chiara, l’indice di L rimane difficile da
misurare. Anche la sua interpretazione può risultare ambigua:
1. L alto, potrebbe essere legato alla presenza di “sunk costs” e non necessariamente alla presenza
di un mercato concentrato: L alto in un contesto nel quale vi sono numerose imprese, nessuna
delle quali di dimensioni molto ampie. Sono costi irrecuperabili che le imprese tendenzialmente
devono spendere una tantum per entrare nel mercato (ad esempio per l’acquisto di una licenza per
operare in un nuovo mercato). Bisogna avere potere di mercato, ovvero un profitto nel lungo
periodo al fine di coprire i sunk costs irrecuperabili, quindi in certi mercati vi deve essere P>C
perché altrimenti le imprese non entrano nel mercato. L elevato può non essere segno di alta
concentrazione, ma rientrano anche altre variabili come i sunk costs e quindi potrebbe
erroneamente indicare poca concorrenza anche se nessuna impresa ha un significativo potere di
mercato.
2. L basso, è possibile che vi sia un’impresa che fa deterrenza, situazione molto inefficiente di
un’impresa non innovativa, ma molto importante nel mercato e quindi facendo prezzi bassi (in
quanto ha un elevato costo marginale) non permette ad altri di entrare nel mercato. L indica in
modo ingannevole parecchia concorrenza (che in realtà non c’è) in quanto il prezzo è basso
rispetto al costo marginale dell’impresa già presente sul mercato.
Sono due esempi in cui lo schema dell’indice di Lerner è vero che dipende dalla concentrazione ed
elasticità, ma non solo perché in alcuni casi non è così.

CHE COS’È UN MERCATO? COME SI MISURA?


Per utilizzare i vari indici di concentrazione, servirebbe identificare un mercato ben definito (cosa non
facile). Se, per esempio, si identifica il mercato in modo eccessivamente ampio, allora gli indici di
concentrazione tendono a mostrare valori bassi; se si definisce il mercato in modo troppo ristretto, gli
indici tendono a mostrare elevata concentrazione. L’importanza di una corretta definizione di mercato è
evidente quando si considera il lavoro svolto dalle autorità antitrust in quanto ogni iniziativa a tutela della
concorrenza ha bisogno di una corretta definizione del mercato. Vi sono diversi metodi per la definizione
dei mercati:
1. Classificazioni standard (ISIC, NACE):
Metodo basato sulla classificazione standard della produzione: ISIC classificazione internazionale e
NACE europea. Le classificazioni e le suddivisioni si basano sulla somiglianza di processi produttivi. Il
sistema di classificazione consente di costruire dati relativi alla concentrazione. Prima però si deve
determinare come classificare le imprese che producono più di un solo prodotto: la procedura di base è
quella di classificare un’attività sulla base del suo prodotto principale, misurato in termini di vendite.
Una volta ottenuta in questo modo una classificazione di tutte le imprese, vengono calcolare le vendite
totali per ciascun mercato. In seguito, si calcoleranno le quote di mercato e gli indici di concentrazione.
Si compie una classificazione per capire la relazione economica tra i prodotti.

2. Relazioni di sostituibilità (mercato rilevante):


SSNIP RULE (Small but Significant and Not Transitory Increase in Price): test per cercare il mercato
rilevante, ovvero linee guida negli USA. Vi è la regola in cui il mercato rilevante è il più piccolo contesto,
un prodotto o gruppo di prodotti, area geografica…nel cui ambito è possibile, tenendo conto delle
esistenti possibilità di sostituzione, la creazione di un significativo grado di potere di mercato.
L’identificazione del mercato rilevante tramite SSNIP avviene attraverso un artificio logico:
A. Si cercano tutte le imprese che producono un certo prodotto o servizio: si procede immaginando
che nel mercato di studio esista una sola impresa monopolista, indipendentemente da quante sono
veramente le imprese operanti;
B. Costrutto ipotetico: supponiamo che queste imprese si fondano e operino come un unico
monopolista, ovvero un’unica impresa. Questo ipotetico gruppo di imprese alza il prezzo, può
farlo? Ha incentivo a farlo?
- se la risposta è si, si immagina che lo facciano per fare profitti e quindi facendolo tutti
alzano il prezzo e migliorare i propri profitti. Si è giunti al mercato rilevante, ovvero se
conviene aumentare il prezzo significa che il monopolista non teme più i concorrenti
perché è lui stesso a offrire i prodotti sostituti e quindi i consumatori che abbandonano il
prodotto il cui prezzo aumenta vanno comunque ad aumentare il suo profitto e non il
profitto dei rivali;
- se la risposta è no, vi sono altre imprese che influenzano il prezzo, il mercato è più ampio
di quello considerato inizialmente al punto 1. Se non conviene aumentare il prezzo,
significa che si stanno considerando confini di mercato troppo stretti cosicché l’aumento di
prezzo porta a una perdita troppo consistente di consumatori (e di quantità venduta) che si
spostano verso prodotti “limitrofi”, ovvero sostituti sia in termini merceologici sia
geografici.
Questo è il modo con cui le istituzioni antitrust cercano di costruire un mercato rilevante. Si trova il
mercato rilevante se:
§ l’elasticità al prezzo congiunto di tutte le imprese è bassa (tutte le imprese che hanno l’elasticità
bassa fanno parte del mercato rilevante);
§ è bassa l’elasticità incrociata rispetto a modifiche del prezzo di imprese terze (rispetto a quelle
considerate inizialmente) che producono potenziali sostituti. L’elasticità incrociata hij è la
variazione percentuale della domanda per il bene i che si produce in corrispondenza di una
variazione dell’1% del prezzo di un altro bene j.

3. Estensione geografica:
I confini geografici di un mercato sono rilevanti per la definizione del mercato quanto lo sono le
caratteristiche del prodotto. Per esempio, nella realtà quasi tutti i quotidiani operano in mercati locali nei
quali di solito si trovano al massimo uno o due altri concorrenti.
Un problema collegato a considerazioni di carattere geografico è il commercio con l’estero, ovvero
quando il volume del commercio con l’estero è elevato, il relativo mercato potrebbe essere un mercato
globale, piuttosto che nazionale. Anche se si guarda esclusivamente al mercato nazionale, la presenza di
importazioni dall’estero può significare che la misurazione della quota di mercato dipenderà molto dal
fatto che si utilizzi il totale della produzione o il totale delle vendite.
4. Relazioni verticali:
Le misure strutturali HH e CR, come per l’estensione geografica, presentano problemi che dipendono
dalle relazioni fra imprese che operano in diversi stadi del processo produttivo. L’esistenza e la variabilità
di relazioni fra imprese (a monte/valle) può comportare una certa difficoltà nella misurazione della
struttura di mercato in ciascuno stadio della produzione.
Lo scopo di ricorrere a queste misure strutturali è quello di sintetizzare il modo in cui un’industria si
colloca rispetto all’ideale della concorrenza perfetta.

MISURA DEL COSTO DEL POTERE DI MERCATO:


Come misuriamo il potere di mercato e quanto costa la concorrenza imperfetta?
In parte questo ragionamento è già stato fatto parlando di monopolio. Una domanda ricorrente nella
politica antitrust è quanto costosa risulti la concorrenza imperfetta per l’economia nel suo complesso. Se i
costi economici del potere di mercato sono elevati, allocare risorse per combattere l’abuso di tale potere
troverà una valida giustificazione; al contrario, se bassi, non vale la pena devolvere cospicue risorse per
l’applicazione delle normative antitrust, ma sarebbe meglio utilizzare le risorse per un utilizzo migliore
come sicurezza…
Gli economisti hanno una chiara misura della perdita economica causata dal potere di monopolio. Si tratta
della perdita secca (DWL), che risulta da un prezzo superiore al costo marginale (non solo in caso di
monopolio). Misurare tale perdita non è semplice perché è necessario stimare i costi e/o domanda e ogni
stima potrebbe essere suscettibile di errori; anche piccole variazioni delle stime possono comportare
grandi variazioni nel costo stimato in termini di benessere.
Graficamente è l’area la cui altezza è data dalla differenza tra prezzo P e il costo marginale C e la cui base
è data dalla differenza fra QC quantità concorrenziale che sarebbe venduta se P=C e l’effettiva quantità di
mercato Q che viene venduta al prezzo P. Pertanto la DWL:
DWL = ½ (P – C) x (QC – Q)
Conviene esprimere la perdita di benessere in rapporto ai ricavi totali delle vendite PxQ (=R, ricavi
totali):
DWL DWL 1 (P – C) (QC – Q)
–––– = ––––– = –– x –––––– x –––––––– (P-C)/P è l’indice di Lerner
R PxQ 2 P Q
Si ricordi che l’elasticità della domanda h è l’incremento proporzionale della quantità in risposta a un
dato decremento proporzionale del prezzo. Se il prezzo dovesse scendere dal suo attuale livello P al
livello concorrenziale P = C, la quantità aumenterebbe al livello concorrenziale QC. Ossia:

(QC – Q)/Q (QC – Q) (P – C) DWL


h = ––––––––– à –––––––– = h x –––––– à DWL = –––––– = ½ x h x L
(P – C)/P Q P PxQ

Per un monopolista, l’indice di Lerner è dato da L = (P – C)/P = 1/h. Quindi, in questo caso, la perdita
secca relativa alle vendite dell’industria sarà:
DWL = DWL/PQ = ½ x 1/h La perdita secca, per il monopolista, in rapporto ai ricavi e alle
Vendite attuali dell’industria è semplicemente la metà dell’indice di
Lerner o la metà dell’inverso dell’elasticità della domanda. L’idea è che mano a mano che aumenta
l’elasticità della domanda, la perdita di benessere si riduce perché altri beni sono progressivamente
considerati sostituti del bene monopolizzato.
Stimare l’elasticità è difficile in quanto servono molti dati, inoltre è necessario conoscere il costo
marginale, anch’esso complicato da stimare. Chi deve occuparsi dei mercati e dell’antitrust deve
confrontarsi con questi problemi empirici. Inoltre vi sono due problemi teorici:
1. stimando la perdita di benessere in questo modo, la stima è in eccesso perché tutta la costruzione
ha come riferimento la concorrenza perfetta (si stima la DWL in relazione alla concorrenza
perfetta, che però è un modello utopistico), la quale è poco probabile quindi è un punto di
riferimento poco plausibile;
2. anche i comportamenti di potere di mercato sono condizionati dalle norme antitrust e quindi non si
vede il potere di mercato che le imprese effettivamente esercitano, ma tengono sempre conto delle
norme antitrust e quindi le stime sono in difetto in quanto le norme antitrust limitano di fatto il
potere di mercato.

TECNOLOGIA E COSTI DI PRODUZIONE – CAP 4

FOCUS SULL’IMPRESA E STRUTTURA DI MERCATO:


Fino adesso abbiamo cercato di capire la struttura di mercato e il potere di mercato. Bisogna capire il
rapporto tra l’elasticità, concentrazione, numero di imprese e la possibilità di fare i profitti.
Quali sono gli elementi strutturali, legati alla singola impresa, che possono influenzare la struttura di
mercato? Perché una struttura di mercato è concentrata o meno? Abbiamo discusso i concetti
concorrenziali, ma non il perché.
Si ragiona sul rapporto struttura di mercato e tecnologia-costi, ovvero come gli aspetti tecnologici
possono influenzare i costi e come, sulla base di questi costi, possono osservarsi determinate strutture di
mercato. La tecnologia di un’impresa è una relazione di produzione che descrive in che modo una data
quantità di fattori produttivi viene trasformata nella quantità prodotta dall’impresa. Quest’ultima è
percepita come un’unità produttiva il cui obiettivo è la massimizzazione dei profitti, che a sua volta
implica la minimizzazione dei costi di produzione per una data quantità.

CONCETTI FONDAMENTALI DI COSTO:


La teoria microeconomica descrive un’impresa nei termini della sua tecnologia produttiva: l’impresa
che produce la quantità q di un unico prodotto è caratterizzata dalla sua funzione di produzione q = f (x1,
x2, …, xk). Questa funzione specifica la quantità q che l’impresa produce utilizzando k diversi fattori nella
quantità x1 per il primo fattore, x2 per il secondo e via dicendo fino al k-esimo fattore. La tecnologia
dipende dall’esatta forma della funzione f (…). La natura di tale tecnologia sarà a sua volta un fattore
determinante dei costi dell’impresa. L’impresa viene considerata come un’unica unità decisionale che
sceglie la quantità prodotta q e i fattori ad essa associati x1, x2, …, xk per massimizzare i profitti.
La relazione fra costi e quantità prodotta è descritta dalla funzione di costo (minimo) dell’impresa:
C(q) + F, dalla quale si possono derivare 3 concetti fondamentali di costo:
1. costo fisso: rappresentato dal termine F, che descrive un dato ammontare di spesa che l’impresa
deve sostenere in ciascun periodo e che non è collegato alla quantità di produzione. Ossia
l’impresa deve sostenere un costo F sia che produca 0 sia che produca 1000. Concetto diverso dal
costo variabile C(q), che varia al variare della quantità prodotta. Fra i costi che possono essere
considerati fissi vi sono quelli associati al finanziamento di un impianto di particolari dimensioni e
i costi di pubblicità (normalmente nel breve periodo);
2. costo medio: misura della spesa per unità produttiva ed è dato dal costo totale diviso per la
produzione totale. Questa misura di costo dipende dal livello di produzione
CM(q) = íC(q) + Fý/ q;
3. costo marginale: C¢(q) si calcola come l’aumento del costo totale sostenuto aumentando la
produzione di un’unità oppure può essere definito come il risparmio sul costo totale realizzato
quando l’impresa diminuisce la produzione di un’unità. Graficamente è la pendenza della
funzione di costo totale ed è definito dalla derivata C¢(q) = dC(q)/ dq;
4. sunk cost/costo irrecuperabile: come quello fisso, non è collegato alla quantità prodotta. A
differenza dei costi fissi, che vengono sostenuti in ogni periodo, il sunk cost viene sostenuto una
volta sola, di solito come prerequisito all’entrata nel mercato.

Grafico di una funzione di costo medio standard CM(q) e la corrispondente


funzione di costo marginale C¢(q). La massimizzazione dei profitti in un dato
periodo di tempo necessita che l’impresa produca al livello al quale i ricavi
marginali sono pari al costo marginale. Quindi il costo marginale è il concetto
di costo da usare per determinare quanto l’impresa deve produrre, a patto che l’impresa produca una certa
quantità.

COSTI E STRUTTURA DI MERCATO:


Vi sono 3 temi che riguardano il rapporto tra tecnologia-costi e influenza in modo determinante la
struttura di mercato:
1. ECONOMIE DI SCALA:

In quest’area, tra q1 e q*, vi sono economie di scala,


ovvero per tutto il tratto decrescente della curva di costo
medio, si hanno economie di scala.
All’aumentare della produzione, diminuisce il costo medio unitario di
produzione, ovvero il costo per unità di prodotto diminuisce all’aumentare
della scala delle operazioni. In questo caso si dice che vi sono economie di
scala; se invece i costi unitari aumentano all’aumentare della produzione, vi saranno diseconomie di
scala. La presenza di economie/diseconomie di scala dipende dalla tecnologia disponibile, in quanto
alcuni fattori produttivi non possono essere ridotti a bassi livelli di produzione.
Fonti dirette (cosa produce economie di scala) di economie di scala nei settori industriali:
- costi fissi elevati à generano economie di scala perché non dipendono dalla quantità e sono
l’elemento che si può “spalmare” su una più ampia quantità. Nei settori con costi fissi più alti,
l’indice di Herfindahl è più elevato (indice di concentrazione alto). Nel lungo periodo non ci sono
costi fissi, quindi non sempre sono un elemento fondamentale. Esempio: tutte le economie in cui
vi sono costi fissi enormi, come ad esempio la rete ferroviaria;
- curve di apprendimento àl’apprendimento dipende da quanto si ha prodotto nel percorso
dell’impresa, ovvero si mette in ascissa la cumulata della produzione. Mano a mano che si
produce, si assume esperienza e il costo medio scende:

costo medio

cumulata della produzione


- complementarietà degli input e specializzazione à le imprese diventano grandi se hanno
meccanismi di complementarietà e specializzazione che funzionano bene, oltre un dato livello
questo meccanismo non funziona più, perché si formano dei meccanismi complessi di
organizzazione che comprimono la produttività e i vantaggi che derivano dell’economia di scala.
Quindi l’impresa si assesta su una produzione ottima in cui non aumenta più per godere dei
vantaggi derivanti dall’economie di scala. Per molti processi produttivi, vi sono dei guadagni di
efficienza che derivano semplicemente dal fatto di essere effettuati su ampia scala. Le dimensioni
consentono una maggiore suddivisione della manodopera; questo a sua volta consente la
specializzazione e una produzione più efficiente.
- gestione delle scorte à costo consistente che si riesce a smaltire solo se si è una grande impresa.
Walmart: economie di scala nella rete di distribuzione e nella gestione delle scorte (capacità
logistica).
- cubo quadrato à alcuni processi produttivi dipendono dal quadrato e l’output dal cubo. È noto
che il costo di un container aumenterà in proporzione alla superficie, mentre la sua capacità
aumenterà in proporzione al volume. Il costo di materiale e manodopera dipende dalla superficie,
ma la quantità prodotta dipende dal volume: all’aumentare delle dimensioni del container
corrisponderà un aumento meno che proporzionale del costo, il che implica a sua volta che il costo
unitario diminuirà all’aumentare della produzione.
Rapporto tra costi ed economie di scala:
Qualunque sia l’origine delle economie di scala, il fatto che esse siano misurate da una diminuzione del
costo medio fornisce un modo preciso per misurarne l’esistenza. Un costo medio in diminuzione si
osserva solo se il costo marginale è inferiore al costo medio. Si può costruire un indice preciso
dell’entità dell’economia di scala definendo la misura S come il rapporto: S = CM(q)/ C¢(q).
C(Q) curva di costo totale Nella prima parte, il costo della produzione
di lungo periodo aumenta ma a tassi decrescenti; ad un certo
momento inizia ad aumentare a tassi
punto di minimo crescenti. Questo perché quando l’impresa
del costo medio cresce, iniziano a presentarsi costi fissi più
Q elevati come anche costi di
complementarietà e specializzazione.
C¢(Q) curva di costo marginale
costo medio CM curva di costo medio
decrescente Q*: l’impresa sceglie di fermarsi in
questo livello di produzione al fine di
prendersi tutti i vantaggi
Q* = dimensione ottima minima dell’economia di scala.

economie di scala
S può essere indicato come l’inverso dell’elasticità del costo rispetto alla quantità prodotta, ovvero
misura l’aumento proporzionale di produzione che si ottiene in seguito a un aumento proporzionale dei
costi. Quanto maggiore è S rispetto a 1 (S >1 à economie di scala, CM sopra C¢), tanto maggiore è
l’entità delle economie di scala. Un aumento dell’1% della produzione si associa a un aumento dei costi
inferiore all’1%. Al contrario, quando S<1, ci si trova in presenza di diseconomie di scala (CM sotto C¢):
un aumento della produzione dell’1% comporta un aumento dei costi maggiore dell’1%. Quando S=1 non
vi sono né economie né diseconomie di scala, ma si dice che la tecnologia di produzione ha rendimenti di
scala costanti. Si definisce la scala minima efficiente come il più basso livello di produzione al quale le
economie di scala si esauriscono. La scala minima efficiente è q* nel grafico.
Se S >1 estesa per tutto il mercato, si ha un settore concentrato e questa situazione si chiama monopolio
naturale. Vi sono economie di scala lungo tutto il relativo intervallo di produzione, in quanto le
condizioni di domanda sono tali che la massima dimensione del mercato è inferiore a q* anche qualora il
prezzo scenda a zero. Il termine “naturale” riflette l’implicazione che il monopolio è un esito (quasi)
inevitabile per questo mercato, in quanto servire l’intero mercato risulta meno costoso per una singola
impresa piuttosto che per due o più imprese. Anche quando esse non siano estese a tutto il mercato, ma
semplicemente siano piuttosto ampie, potrebbe essere necessario per ragioni di efficienza che tutta la
produzione fosse effettuata da una sola impresa. In generale, maggiore è l’entità delle economie di scala,
maggiore è la quantità prodotta al quale il costo medio è minimizzato, minore è il numero di imprese che
possono operare in modo efficiente nel mercato. Perciò grandi economie di scala tenderanno a fare
emergere mercati concentrati.

2. ECONOMIE DI SCOPO O VARIETÀ:


Si è in presenza di economie di scopo ogni volta che risulta meno costoso produrre un gruppo di beni
in una sola impresa piuttosto che lo stesso gruppo di beni in due o più imprese. Si pone il costo totale
di produzione di due beni indipendenti, q1 e q2, sia dato da C (q1, q2). Con due prodotti, esistono delle
economie di scopo se C (q1,0) + C (q2,0) – C (q1, q2) > 0. I primi due termini sono i costi totali di
produzione del prodotto 1 e del prodotto 2; il terzo termine è il costo totale per la produzione di questi
prodotti da parte della stessa impresa. Se tale differenza è positiva, vi sono delle economie di scopo, se è
negativa, vi sono delle diseconomie di scopo; invece se la differenza è pari a 0 non vi sono né economie
né diseconomie di scopo. Possono sorgere economie di scopo per due motivi principali:
1. Determinati prodotti condividono fattori produttivi comuni. Ad esempio per una ferrovia, il
fattore comune sono i binari necessari a offrire due servizi diversi come quello passeggeri e quello
merci. Anche per le spese pubblicitarie vale il ragionamento: la pubblicità arreca vantaggio a tutti
i prodotti dell’impresa, nella misura i cui tale pubblicità è volta a dare visibilità al marchio
dell’impresa;
2. Presenza di complementarietà nei costi, che si verifica quando la produzione di più di un solo
bene fa abbassare il costo di produzione di un secondo bene. Esistono molti modi in cui tali
interazioni possono verificarsi. Per esempio, dall’esplorazione e dalla trivellazione di un pozzo
petrolifero spesso si ottengono non soltanto petrolio, ma anche gas naturale. Pertanto, la
produzione di petrolio greggio farà abbassare il costo dell’esplorazione per la ricerca di gas
naturale. Allo stesso modo, per un’impresa che produce software per computer potrebbe risultare
semplice fornire anche servizi di consulenza informatica.
Si troveranno economie di scopo quando i beni prodotti fanno uso di tecniche produttive simili, dal
momento che in questo caso vi saranno probabilmente più fattori produttivi condivisi e maggiore
complementarietà nei costi.
Si chiamano anche economie di varietà in quanto è probabile vi siano probabilità massime nella
produzione congiunta di diverse varietà dello stesso bene, in tal caso le somiglianze nella produzione
sono importanti. Per esempio, la possibilità di risparmi sui costi dovuti alla condivisione di un fattore
comune o alla presenza di complementarietà nei costi appaiono chiare nel caso dell’impresa che produce
cereali per colazione, in quanto produce molte varietà di quello che essenzialmente è lo stesso prodotto a
base di cereali e frumento. In questo caso si parla di differenziazione del prodotto per intendere la
varietà.
Se vi sono delle economie di scopo, le imprese hanno forti incentivi a sfruttarle. Così facendo
abbasseranno i costi, riusciranno a sfruttare le economie di scala multiprodotto e a ottenere una migliore
corrispondenza fra i prodotti che offrono e quelli desiderati da specifici clienti. Si parla di modello di
produzione flessibile, ovvero unità produttive in grado di produrre una gamma di prodotti diversi con un
minimo di intervento manuale. Ne è esempio Benetton con la sua ampia gamma si maglioni, t-shirt e
jeans dalle mille colorazione. Il processo di colorazione è un sistema di produzione flessibile e utilizzano
apparecchiature computerizzate programmabili, procedendo alla colorazione poco prima della consegna.
Gli studiosi dimostrano che quando le economie di scopo sono molto importanti, sarà naturale per
ciascuna impresa dell’industria produrre l’intera gamma di k prodotti (k versioni possibili del bene).
Inoltre, la presenza di economie di scopo tende a far nascere anche importanti economie di scala
multiprodotto e questo suggerisce che l’industria sarà concentrata. La presenza di economie di scopo
nella produzione di prodotti differenziati tende a far aumentare la concentrazione di mercato di tali
industrie: meno costoso avere un numero minore di imprese che producono una gamma di prodotti
piuttosto che tante imprese che producono ciascun singolo prodotto separatamente. Ad esempio vi sono
importanti economie di scala nella produzione di corrente elettrica e importanti economie di scopo
nell’educazione universitaria e superiore.
3. SUNK COST:
I costi irrecuperabili influenzano anche la struttura di mercato, svolgendo un ruolo concettualmente simile
a quello delle economie di scala. Le imprese entrano in un mercato solo se ritengono di poter ottenere
almeno un pareggio. Questo significa che, se all’entrata sono associati dei costi irrecuperabili positivi, le
imprese devono ottenere profitti positivi in ciascun periodo successivo di effettiva operatività per coprirli.
In tal caso, l’impresa entrerà nel mercato. Questo discorso porta ad una definizione di equilibrio di lungo
periodo: le imprese smetteranno di entrare nell’industria, dunque il numero di imprese sarà al suo livello
di equilibrio, quando i profitti derivanti da ciascun periodo di operatività copriranno appena il costo
irrecuperabile iniziale connesso all’entrata. Ovviamente, maggiore è il numero di imprese entranti in un
mercato, più concorrenziale sarà il loro prezzo e minori saranno i profitti dell’impresa in ogni periodo di
effettiva operatività.
Che relazione c’è tra i sunk cost e la struttura di mercato? Logica per capire il ruolo dei sunk cost nella
determinazione della struttura di mercato: maggiore è il costo irrecuperabile, minore è il numero di
imprese presenti nel mercato in equilibrio. Un elevato costo irrecuperabile d’entrata richiede che ciascuna
impresa entrante nel mercato ottenga successivamente profitti elevati dalle sue operazioni in modo da
ripagare la spesa iniziale di entrata. Questo si verifica solo se il numero di imprese che entrano nel
mercato è basso, in modo che la concorrenza sia debole e il prezzo possa salire al di sopra del costo
marginale e del costo medio.
Esemplificazione dei sunk cost:
Mercato nel quale ciascuna impresa produce un bene identico e l’elasticità della domanda sia 1, quindi
h=1, lungo la curva di domanda. Questo significa che la spesa totale dei consumatori per il prodotto è
costante: una diminuzione dell’1% del prezzo è bilanciata da un aumento dell’1% della quantità venduta.
Si indica la spesa totale costante con E = P x Q, in quanto P è il prezzo di mercato e Q la produzione
totale di mercato. La produzione totale Q = N x qi, ovvero è pari alla produzione di ciascuna impresa qi
moltiplicata per il numero di imprese N.
Si immagina di essere in una situazione di potere di mercato quindi P > C¢(Q):
QM à Si = qi/Q = 1/N Si utilizza l’indice di Lerner in quanto è una
à (P – C) /P = 1/N misura dell’entità del potere di monopolio
nell’industria. Si ipotizza che esso diminuisca
L = (P – C) /P = Si/h
all’aumentare del numero N di imprese. Quindi
l’indice di Lerner dell’industria è negativamente
correlato al numero di imprese N. La formula (P – C) /P = 1/N descrive che il potere di mercato è
inversamente proporzionale al numero di imprese che vi sono nel mercato stesso: le imprese entrano nel
mercato se i costi irrecuperabili sono bassi, altrimenti non entrano. Per questo motivo è inversamente
proporzionale. Questa formula si può generalizzare:
(P – C) /P = A / Na A e a sono costanti positive arbitrarie (parametri)

qi = Q/N = (Q x P) / (N x P) = E / (N x P) E è la spesa totale


Quando le imprese riescono a coprire i costi F? Quando hanno forza di mercato per coprirli. Si ipotizza
che le imprese operino in un solo periodo, per cui la condizione di pareggio richiede che:
(P – C) x qi = F F è il costo di entrata irrecuperabile

(P – C) x (E / NxP) = F
(P – C)/P x (E/N) = F (P – C)/P è l’indice di Lerner

se P – C/P = 1/N allora E/N2 = F à N = Ö(E/F) è la relazione tra struttura di mercato,


costi fissi e numero di imprese.
Dalla formula generalizzata:
(P – C) /P = A / Na
A / Na x E/N = F
(AxE) / Na+1 = F à N = (AxE)/F 1/(a+1) se A=1 e a=1, allora N = Ö(E/F)

Il numero di equilibrio di imprese Ne, al quale ciascuna impresa che entra nel mercato copre appena il suo
costo irrecuperabile di entrata F, è data da:
la logica è che la struttura dell’industria è più concentrata in mercati nei quali i costi
irrecuperabili di entrata rappresentano una parte cospicua delle spese attese dei
consumatori. Conseguenza logica:
E=spesa totale=numero di imprese nel mercato à inversamente proporzionale al costo
fisso F (che sarebbe il costo di entrata sunk cost) à F­, numero di imprese­, concentrazione­.

RIEPILOGO:
N = numero di imprese che vi sono nel mercato dipendono da due fattori fondamentali:
1. dimensione del mercato (relazione positiva: più grande sarà il mercato, più imprese);
2. costi fissi sunk (relazione negativa: più sono alti, più nel mercato sono necessari margini di
profitto positivi altrimenti non riescono a coprire i sunk, e quindi più alti sono meno imprese
entrano nel mercato).
Relazione tra numero di imprese, dimensione del mercato (E) e costi fissi (F): N = E/F.
Generalizzando N = Ö(E/F), relazione non lineare.
N = E/F N = Ö(E/F)
se E¢= 2E à N¢= E¢/F = 2E/F = 2N se E¢= 2E à N¢= Ö(E¢/F) = Ö(2E/F) < 2N
La scelta delle imprese per entrare nel mercato dipendono dai profitti unitari e dalla copertura dei costi
fissi. Nel momento in cui si raddoppia il mercato, i margini di profitto si assottigliano in quanto vi sono
più imprese e non vi possono essere il doppio delle imprese ogni volta, ma un po’ meno del doppio (vedi
formule sopra). Questo, nel riunire due mercati, dimostra che non vi stanno N imprese del primo mercato
e N imprese nel secondo mercato riunendo i mercati, alcune imprese dovranno uscire dal mercato stesso
(le meno efficienti escono dal mercato). I mercati comuni si dicono più efficienti perché fanno uscire dal
mercato le imprese meno efficienti ed essendoci più imprese, i prezzi sono più bassi.
NB: Ö2E/F è il Modello di Cournot, ovvero dimostra che le imprese entranti nel mercato scelgono la
capacità produttiva.

FATTORI NON DI COSTO CHE DETERMINANO LA STRUTTURA DELL’INDUSTRIA:


Fino a questo punto ci si è concentrati sul ruolo dei costi, in particolar modo sulle economie di scala e di
scopo, come principali fattori che determinano le dimensioni dell’impresa e la struttura
dell’industria. Vi sono altri fattori che giocano un ruolo importante:
1. dimensioni del mercato;
2. presenza di esternalità di rete sul lato della domanda: fenomeno per il quale la disponibilità da
parte del consumatore a pagare per un determinato bene o servizio aumenta all’aumentare del
numero degli altri consumatori che acquistano lo stesso prodotto. Le telecomunicazioni sono un
settore nel quale le esternalità di rete sono particolarmente importanti. I mercati con importanti
esternalità di rete saranno popolati da poche grandi imprese, ovvero avranno una struttura
concentrata, anche se non vi sono economie di scala dal lato dei costi. Molti analisti considerano
le esternalità di rete come un caso di economie di scala che esistono dal lato della domanda di
mercato;
3. ruolo delle politiche di governo: alcune politiche esplicite da parte del Governo a livello locale o
nazionale, spesso giocano un ruolo importante nella determinazione della struttura di mercato
(vedi regolamentazione e le politiche di accesso al mercato). Nella maggior parte dei casi, il ruolo
della politica di Governo è stato quello di aumentare la concentrazione di mercato.
Regolamentazioni come quelle applicate per tanto tempo ai mercati locali italiani dei taxi
(riduzione del numero di licenze concesse ai tassisti) e all’industria aerea americana (viene
limitata l’entrata su determinate linee aeree per favorire un elevato livello di concentrazione
nell’industria aerea) di solito riducono la possibilità per le nuove imprese di entrare nel mercato.
Tuttavia alcune politiche puntano a far aumentare il numero di imprese nell’industria in caso
serva una struttura di mercato più concorrenziale. La politica antitrust può far aumentare il
numero di imprese di un mercato bloccando le proposte di fusioni.
Per quanto riguarda il primo fattore, l’economista Sutton nota che se un’impresa debba essere di grandi
dimensioni per raggiungere la scala minima efficiente delle operazioni non implica necessariamente una
struttura fortemente concentrata, se il mercato in questione è abbastanza grande da accogliere molte
imprese di questo tipo. Nota che c’è alta concentrazione, ovvero numero basso di imprese, anche in
mercati molto grandi senza che questa concentrazione dipenda dalla struttura dei costi. Prendendo il
mercato della birra, in cui non vi sono economie di scala importanti, la legge sopra non vale perché il
numero di imprese N non è legato alla dimensione.
Analogamente, il fatto che sia meno costoso produrre molti prodotti diversi (o molte versioni dello stesso
prodotto) in una sola piuttosto che in molte imprese non implica necessariamente un mercato dominato da
poche imprese. La maggior parte delle aziende agricole produce più di una sola varietà di colture eppure
il settore agricolo rappresenta un’industria strutturata in modo molto concorrenziale, in parte perché il
mercato dei prodotti agricoli è ampio.

Quanto deve essere ampio un mercato per evitare di essere dominato da poche imprese? Dipende:
quando le economie di scala sono ampie, per esempio quando i costi irrecuperabili o fissi associati a
fattori di produzione non divisibili sono relativamente elevati, il mercato dovrà avere dimensioni
maggiori per accogliere un maggior numero di imprese. Perciò la relazione fra struttura e dimensioni del
mercato varierà a seconda del mercato specifico preso in esame. Se a un certo punto le economie di scala
si esauriscono e se i costi irrecuperabili di entrata non aumentano all’aumentare delle dimensioni del
mercato, si dovrebbe assistere a una diminuzione della concentrazione quando le dimensioni del mercato
diventano sufficientemente ampie.
Sutton però fornisce un’importante precisazione sul concetto che la concentrazione diminuisce
all’aumentare delle dimensioni del mercato come implica l’equazione. Nota che tale relazione sembra non
valere per diverse industrie, in particolar modo quelle fortemente concorrenziali e che fanno uso di
pubblicità, come ad esempio imprese di cibi confezionati, oppure R&S, come le imprese farmaceutiche.
Sutton sostiene che tali spese non sono solo irrecuperabili, ma anche endogene (costi fissi endogeni):
sono irrecuperabili per il fatto che, una volta che le spese per una campagna pubblicitaria o per la
progettazione sono state sostenute, non possono più essere recuperate; sono endogene per il fatto che, in
questo tipo di industrie, il costo irrecuperabile F non è fisso, ma aumenta all’aumentare delle dimensioni
del mercato. Fa l’esempio della pubblicità e dice che alcuni mercati sono concentrati e vi sono grandi
imprese che monopolizzano il mercato facendo tantissima pubblicità (vogliono escludere le altre imprese
sul mercato). Se un’altra impresa volesse competere con questa, dovrebbe sostenere gli stessi costi di
pubblicità altrimenti sarebbe “trasparente” sul mercato. Quindi i meccanismi di sunk cost permettono di
generare concentrazione, non basta un mercato grande per avere concentrazione.
NB: non sempre la relazione tra dimensione e numero di imprese è verificata, in quanto se vi sono costi
fissi endogeni, la relazione non funziona.

MONOPOLIO NATURALE E REGOLAMENTAZIONE – CAP 20


DEFINIZIONE DI MONOPOLIO NATURALE:
Il monopolio naturale è la situazione estrema in cui la struttura dei costi è tale che i costi sono
minimizzati con un solo produttore, ovvero è più efficiente
che vi sia una sola impresa in una determinata situazione. Le
caratteristiche del monopolio naturale riguardano l’offerta. È
la situazione in cui vi sono sempre forti economie di scala,
per tutta la dimensione di mercato, quindi i costi a causa di
queste economie di scala sono minimizzati dalla presenza di
una sola impresa.

P disponibilità a pagare di tutto il I CM sono decrescenti


mercato per tutto il tratto rilevante
che riguarda il mercato.
CM¢ è il livello di CM se
si produce Q¢.
CM¢¢ C¢(Q)
CM
CM¢ C
Q
Q/2 Q¢

Nel mercato vi sono potenti economie di scala. Se nel settore si hanno due imprese, le quali producono
Q/2, entrambe avranno CM¢¢. È più efficiente avere una sola impresa, perché si hanno CM inferiori
rispetto alla situazione in cui vi sono due imprese. Producendo ad un CM più basso, anche il prezzo
rimarrà più basso. Tecnicamente conviene vi sia una sola impresa che permetta costi unitari più bassi. I
settori in cui si generano economie di scala e monopolio naturale sono i settori in cui vi sono grosse
infrastrutture e reti, in quanto le loro costruzioni sono il tipico costo fisso (enorme) che genera questi
livelli di economie di scala nel mercato. Ad esempio gas, reti stradali, elettricità…
Lo Stato ha costruito questi monopoli naturali per due motivi:
1. unico ente che aveva le risorse economiche per costruire queste strutture all’inizio dello sviluppo
economico;
2. molti di questi beni sono essenziali per lo sviluppo del Paese e quindi lo Stato deve anche
controllarne la produzione di questi settori.
Negli anni, questi monopoli naturali di gestione statale hanno mostrato delle difficoltà, inefficienze e si è
generato un uso politico del monopolio naturale (pesavano troppo nei bilanci degli Stati).

Nel secondo dopo guerra, molti Paesi hanno vissuto un’intensa attività di regolamentazione spesso
associata a nazionalizzazioni attraverso le quali lo Stato acquisiva il controllo in alcuni settori di utilità.
Queste nazionalizzazioni erano giustificate anche dalla considerazione che dovendo regolare un settore,
questo risultato fosse più facilmente conseguibile acquisendone la proprietà e quindi il controllo diretto.
Nel 1970/80 il processo di nazionalizzazione fu arrestato e ci fu un cambio culturale, ovvero una
tendenza alla deregolamentazione: Thatcher (PM Inghilterra) e Reagan (PM USA) hanno dato il via a
questa fase e hanno portato importanti regolamentazioni per i monopoli naturali liberalizzandoli. Poi
furono seguiti da altri Paesi come anche l’Italia. Questo è rischioso perché il monopolista vuole
massimizzare il proprio profitto e può essere un problema per i prodotti essenziali. Per risolvere questo
problema vi furono introdotte limitazioni del potere all’interno del monopolio naturale:
1. regolamentazione del monopolio à il monopolista può gestire la società all’interno di una
cerchia ristretta di possibilità imposte dallo Stato. Quest’ultimo regolamenta al fine di ridurre o
eliminare gli effetti indesiderabili sul benessere sociale di un eccessivo potere di mercato. Il
prezzo di monopolio porta a inefficienze allocative (causate da prezzi elevati e quantità troppo
basse rispetto all’ottimo sociale): il potere di mercato è uno delle cause di fallimento del
funzionamento dei mercati, assieme alle asimmetrie informative e alle esternalità. Il prezzo
fissato dal monopolista è più alto del costo marginale, ovvero l’output fissato dal monopolista è
inferiore rispetto all’output ottimale; un aumento dell’output farebbe aumentare il benessere
sociale, poiché la disponibilità marginale a pagare è più grande del costo marginale. Il potere di
mercato implica un funzionamento del mercato che non permette di ottenere il massimo benessere
sociale;
2. liberalizzazione à crea la concorrenza all’interno del settore e questo limita il potere del
monopolista. La concorrenza è un modo di raggiungere l’efficienza dalla quale tende ad
allontanarsi il prezzo di monopolio. Se i costi fissi sono alti, in generale se le economie di scala
sono significative, la concorrenza però può non essere una soluzione realistica.

PROCESSO DI REGOLAMENTAZIONE DI UN MONOPOLIO NATURALE:


Regolamentazione del prezzo: lo Stato vende ad un privato il monopolio naturale però lo Stato impone
al monopolista il prezzo, che sarà un prezzo di:
1. MARGINAL COST PRICING:
Nel grafico sono rappresentati costo marginale C¢(q), costo
medio CM(q) e la domanda di un mercato D(q). Il massimo
benessere sociale è garantito solo quando il prezzo pagato dai
consumatori è pari al costo marginale, ovvero punto A
associato alla quantità q* e al prezzo p*. La prima soluzione
(più semplice) per regolamentare il monopolio naturale è
porre P = C (caso di concorrenza perfetta). Il problema è
che se il regolatore fissasse il prezzo al quale l’operatore può
vendere al livello p*, l’operatore produrrebbe in perdita (a
fronte di un ricavo pari all’area grigia, si troverebbe ad
affrontare un costo totale pari all’area grigia più l’area con i puntini). Il profitto economico
dell’operatore sarebbe quindi negativo (pari all’area con i puntini). Analiticamente:
P = (P x Q) – F – CQ
CT = F + CQ à P = (P – C) Q – F se P = C allora P = –F (perdita pari a – F)

Questo tipo di regolamentazione produce un problema in contesto di monopolio, ovvero l’impresa perde
la differenza tra CM e C¢ (Q), perde i costi fissi sostenuti. Si presentano due alternative (almeno 2) per
risolvere il problema dei profitti negativi delle imprese causate dalla regolamentazione:
* Si ripiana il bilancio dell’operatore con i trasferimenti, cioè sussidi all’impresa regolata, dal
bilancio pubblico, quindi da parte dello Stato. Genera comportamenti opportunistici da parte
delle imprese (perché è difficile quantificare i CF e potrebbero dichiarare F maggiori per avere
sussidi maggiori) e apre le porte alla “regulatory capture”: situazione in cui le imprese investono
risorse per influenzare le decisioni del regolamentatore, al punto che queste ultime finiscono per
massimizzare il profitto delle imprese regolamentate più che il benessere sociale (anche se il
regolamentatore fosse incorruttibile e non influenzabile, i costi sostenuti nel tentativo di
influenzarlo costituirebbero per la collettività un puro spreco di risorse).
Inoltre ci si scontra con politiche di bilancio pubblico che difficilmente
possono reggere questo tipo di trasferimento e dal pdv economico si
osserva che tali trasferimenti devono essere finanziati con maggiore
tassazione e che nella maggior parte dei casi la tassazione è distorsiva.
L’operazione di produrre distorsioni per eliminare distorsioni è una scelta
poco sensata. Per questo motivo il Marginal Cost Princing non è mai stato
adottato;
* Si modifica la regola del prezzo: vedi Average Cost Pricing.

Nel grafico viene rappresentata nuovamente la situazione di monopolio regolamentato e non


regolamentato. Si costringe il monopolista a fissare PR = C (R sta per regolamentato). L’output è
qR ed è raggiunta la massima efficienza allocativa (area E=0).

2. AVERAGE COST PRICING:


Dati i problemi della politica di uguagliare prezzo e costo marginale, un’alternativa è quella di imporre un
prezzo uguale al costo medio (P= CM). L’impresa è forzata a fissare il prezzo più basso
compatibilmente con il vincolo di fare profitti non negativi, ovvero prezzo uguale al costo medio. Quando
il costo medio è decrescente (per le economie di scala), il costo marginale è inferiore al costo medio. Solo
un prezzo pari al costo medio garantisce un bilancio in pareggio perché ogni unità prodotta viene venduta
ad un prezzo unitario pari al costo unitario.
È una soluzione intermedia tra quella del prezzo uguale al costo marginale e quella del monopolio non
regolamentato; in questo modo si riduce al massimo l’inefficienza allocativa. I profitti sono uguali a 0
(P=0), ma i fattori produttivi vengono remunerati. Il prezzo ottimo sarebbe PA, il quale garantisce al
contempo minima distorsione possibile e bilancio in pareggio.
Si generano due tipi di problemi con questo meccanismo di
regolamentazione:
* Le imprese potrebbero non avere incentivi a fare investimenti se il
loro profitto è uguale a 0;
* C’è un’assunzione implicita: lo Stato è in grado di osservare i
comportamenti e i CM delle imprese e l’onestà dell’impresa a esporre i
propri CM senza gonfiarli.
In realtà l’Average Cost Princing non è mai stato applicato in questo modo,
ma è stata impiegata una sua versione più articolata, ovvero il Rate of Return Regulation.

3. RATE OF RETURN REGULATION – Regolamentazione del tasso di rendimento:


Negli Stati Uniti (diffuso negli anni ’80), il meccanismo che in passato è stato usato più frequentemente
per regolamentare i servizi di pubblica utilità è quello della regolamentazione del tasso di rendimento:
meccanismo per mezzo del quale i prezzi sono fissati in modo da consentire all’impresa un equo tasso di
rendimento del capitale investito. In sostanza, il prezzo fissato dal regolatore veniva fissato in modo tale
che il ricavo complessivo R risultasse pari alle spese S relative alla produzione, più un’adeguata
remunerazione del capitale investito dall’operatore: R = S + rK, dove K è il capitale investito e r il tasso

r = (P – C)/ K se r = r* allora si abbassa P ¯ in maniera tale da riportare il prezzo al livello


prefissato. r* è il livello prefissato dal tasso di rendimento. Si abbassa P in
questo caso perché le imprese hanno un margine di profitto.
di rendimento concesso all’operatore. Una volta determinati R e K sulla base delle informazioni
disponibili nel bilancio dell’impresa, il regolatore fissa un valore r ritenuto equo o adeguato e, di
conseguenza, si determina l’ammontare complessivo del ricavo R he l’operatore può ottenere attraverso
più o meno sofisticate tariffe al consumatore.
Il problema è lo stesso dell’Average Cost Pricing (mancanza di innovazione e comportamenti
opportunistici), inoltre vi sono altri problemi:
* Dà all’impresa pochi incentivi a ridurre/minimizzare i costi di produzione. In effetti, se
l’impresa riduce i costi il prezzo fissato dal regolamentatore sarà corrispondentemente abbassato,
lasciando all’impresa lo stesso tasso di rendimento;
* Ritardo di regolamentazione: fra il momento in cui l’impresa riduce i suoi costi e quello in cui
entra in vigore il nuovo prezzo regolamentato, c’è un ritardo temporale, che potrebbe procurare
all’impresa un certo guadagno transitorio.
Anche se applicato, non ha mai funzionato. Alla fine degli anni ’90 quasi tutti i Paesi avevano
abbandonato questo metodo di regolamentazione a favore di una regolamentazione più “incentivante” e
basata sul tetto di prezzo o “Price Cap”.

NB: nella terminologia della teoria di regolamentazione, si dice che la regolamentazione del tasso di
rendimento è un meccanismo incentivante a bassa potenza: il prezzo varia nella stessa esatta misura in
cui varia il costo e questo minimizza gli incentivi a ridurre il costo. Diverso è il meccanismo
incentivante ad alta potenza: meccanismo per mezzo del quale il prezzo è fissato in anticipo e non
cambia mai, anche se il costo cambia (idea del price cap). Questo meccanismo fornisce il massimo
incentivo alla riduzione del costo, infatti un risparmio di costi di 1€ si traduce in un aumento dei profitti
di 1€.
à un meccanismo di regolamentazione ad alta potenza fornisce forti incentivi per riduzioni di costo
ma pochi incentivi per aumentare la qualità. Inoltre, implica un alto grado di rischio per l’impresa
regolamentata e richiede che il regolamentatore non sia facilmente condizionabile.

4. PRICE CAP:
Nasce come aggiustamento/estensione del Rate of Return Regulation. Non si modula il prezzo, ma si
decide in anticipo un prezzo (prezzo fissato in anticipo) e non cambia per un dato periodo di tempo.
Primo problema: per quanto tempo fissarlo? Questo permette alle imprese di creare profitti però mette in
gioco meccanismi di incentivi particolari. I prezzi vengono fissati in tassi di crescita in base all’inflazione
programmata dal Governo (calcolata sul Retail Price Index, RPI), quindi il prezzo ogni t anni viene
rivisto aumentandolo per l’inflazione (PPG), riducendolo per un fattore X predeterminato:

° ° ° ° Il pallino indica il tasso di crescita. X è il meccanismo che spinge l’impresa


P = PPG + ql – X all’efficienza (indicatore di produttività): costringe l’impresa regolata a
migliorare la propria efficienza durante l’arco temporale dei t anni. In più viene dato un premio per
la qualità, al fine di alzare il prezzo poco di più rispetto all’inflazione programmata: ql è premio
per il miglioramento della qualità del servizio.
Questo metodo spinge l’impresa a migliorare l’efficienza produttiva, in quanto l’operatore si rende conto
che all’interno del periodo di regolazione nel quale il prezzo non varia (regulatory lag), ogni guadagno di
efficienza che permette di ridurre i costi si traduce in un maggiore profitto dal momento che il prezzo
rimane invariato per t anni.
Limiti:
* Se il price cap è fissato frequentemente, si ritorna alla bassa potenza della regolamentazione del
tasso di rendimento;
* Incentivi a ridurre la qualità per risparmiare sui costi. L’impresa regolamentata, che non può
aumentare il prezzo, può avere un incentivo a ridurre la qualità.
CASO AUTOSTRADE

Servizi per cui il costo fisso è gigantesco e il costo marginale è bassissimo: una volta costruita
l’autostrada, non costa nulla avere uno o due passeggeri in più.
Chi dovrebbe pagare le autostrade? Stato oppure tramite concessioni ai privati, che hanno un ritorno
tramite il pagamento del pedaggio di coloro che usufruiscono dell’autostrada. Lo Stato si fa carico della
costruzione delle autostrade tramite la tassazione o concedendo ai privati per un periodo di tempo la
concessione, che consente di ricoprire i costi fissi di produzione e conseguire un eventuale profitto.
Le autostrade sono un monopolio naturale e un monopolio legale. Se l’autostrada è essenziale, viene
costruita dallo Stato; se opzionale, allora si può costruire pagandola in seguito con pedaggi.
Infrastruttura essenziale oppure opzionale?
Diverse modalità di finanziamento:
* fiscalità generale;
* vincolare le imposte sul carburante;
* pedaggi (domanda rigida, costi di esazione contenuti): i clienti pagano sempre il servizio e subito
dopo aver usufruito dello stesso. Sono quindi attività molto redditizie: la domanda è rigida.
Concessione: si utilizza molto in Italia la concessione ad un’impresa privata e l’autorità pubblica
definisce il progetto, in seguito avviene una specie di gara per l’affidamento al concessionario della
costruzione. Le norme che regolano le tariffe vanno decise ex-ante. Il concessionario si fa carico dei costi
(costruzione, manutenzione, gestione) e vince la gara chi offre tariffe più basse (data la durata della
concessione) o chi offre la durata minima della concessione (dato il pedaggio).
Alla fine della concessione l’opera dovrebbe rimanere pubblica e senza oneri, al limite può venire
richiesto un pedaggio minimo che copra i costi di transazione.
à in realtà in Italia questo non è mai successo.
Tariffe: due tipi diversi di Price Cap possibili.
1. tariffa remunerazione à Price Cap rinnovato frequentemente (tipicamente ogni 5 anni),
pedaggio fissato dallo Stato che si pone il problema di garantire una copertura dei costi e una
congrua remunerazione. È simile al Rate of Return Regulation.
2. tariffa scommessa à non guarda i profitti dell’impresa. Vi è una convenzione che regola la
tariffa iniziale e poi si fissano regole automatiche di aggiornamento/revisione del Price Cap (ad
esempio incremento inflazione, traffico…). È un Price Cap senza elementi di arbitrarietà
rinnovabili. È più rischiosa, ma allo stesso tempo più redditizia.

REGOLAMENTAZIONE NEL CASO DELLA AUTOSTRADE:


Attori principali:
* Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;
* ANAS S.p.A. (Azienda Nazionale Autonoma Strade): ruolo molto delicato perché da un lato
dovrebbe essere il regolamentatore, ovvero dalla parte dello Stato, ma allo stesso tempo si trova
anche in una posizione di vantaggio se le tariffe sono alte in quanto riceve più entrate. Quindi si
trova nel mezzo.
à vi sono diversi enti che, nel caso di progettazione e costruzione, intervengono in diversi punti
del percorso dando il loro parere.

AUTOSTRADE SPA:
Nasce nel 1950 come impresa dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), ente finanziato dallo
Stato per la costruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’IRI ha tenuto la proprietà, ma la
concessione veniva da una società pubblica: la struttura portante dell’attuale rete autostradale in Italia
risale agli ingenti investimenti effettuati da varie società pubbliche e private, tra le quali anche la società
Autostrade nel periodo 1955-75. La costruzione venne affidata alle stesse società che poi ne avrebbero
gestito il servizio, sulla base di una concessione basata sul Rate of Return. La concessione doveva
garantire all’operatore un adeguato rendimento di capitale e l’ammortamento del capitale investito.
Questo meccanismo di concessione con i pedaggi, ha fatto sì che Autostrade fosse una società
particolarmente redditizia per lo Stato, quindi ha sempre avuto ottimi rendimenti.
Fine degli anni ‘90, con l’ondata delle privatizzazioni, l’IRI viene dismesso e anche Autostrade SPA
viene venduto a privati ad una cifra altissima che incassò lo Stato. Nel 1997 la concessione di Autostrade
viene rinnovata fino al 2038, poi nel 1999 la società Autostrade viene privatizzata, venduta ad un prezzo
molto alto e viene introdotto il Price Cap. Si firma un accordo di regolamentazione per regolare i prezzi
dei pedaggi.
° ° ° °
P = PPG – X + ql
PRICE CAP AUTOSTRADE:
* Qual è il livello iniziale giusto delle tariffe?
Non c’era capitale netto residuo da ammortizzare in quanto l’ammortamento e la relativa remunerazione
in tariffa si erano già estinti intorno alla metà degli anni ’90. Sarebbero dovute calare le tariffe, ma ciò
non avvenne in quanto nello stesso periodo si passò alla regolazione Price Cap.
* Inflazione programmata dal governo (Ppg);
* X è un parametro variabile negoziato con Autostrade SPA, Ministero e ANAS. Deve essere
deciso:
1. Tenendo conto della remunerazione congrua del capitale investito;
2. Tenendo conto dei progetti di investimento futuri;
3. Modificazioni attese della produttività (traffico/costi operativi);
4. Variazioni attese della domanda e quindi sviluppo delle condizioni competitive dei mercati
in cui l’impresa opera.
à il problema è che tutti questi criteri sono di difficile applicazione.
* contributo che deriva dal miglioramento della qualità del servizio, frutto degli investimenti della
società (ql). Come ad esempio l’indice di pavimentazione, indice di incidentalità.
In realtà è difficilissimo avere dati precisi sulle tariffe, accordi, concessioni…difficile perché non vi è
trasparenza. C’è stata un’Indagine Ministeriale svolta dall’autorità di vigilanza che ha tentato di
rendere trasparenti tutti questi dati. La crescita complessiva media delle tariffe era stata di oltre il 22% tra
2000-05: l’indagine ha messo in evidenza disfunzioni del processo di Price Cap in quanto si facevano
troppi profitti rispetto agli investimenti (mancanza di un collegamento tariffe-investimenti). Inoltre
avevano dichiarato profitti inferiori rispetto a quelli effettivi (scostamento tra ricavi realizzati e ricavi
previsti nei piani finanziari), come anche le stime del traffico, e quindi le stime dei relativi proventi, erano
al ribasso. La conclusione è che c’erano grandi extra-profitti e crescita in borsa.
Il problema generale nei grandi meccanismi di regolamentazione è il “regulatory capture”: proposte di
valutazione del parametro X tra ANAS e NARS (Nucleo di Attuazione e Regolazione dei Servizi di
pubblica utilità) erano molto differenti, ANAS era sempre generoso nella decisione dei prezzi anche se
avrebbe dovuto essere il regolamentatore. Si evidenzia che l’ANAS aumentava le tariffe di troppo, per
questo ci fu un’indagine a riguardo.

Proposte di valutazione del fattore X:


2003 2004 2005 2006 2007
1. PROPOSTA ANAS 0,2 2,41 2,18 2,2 2,2
2. PROPOSTA NARS -3,63 -1,06 -1,32 -1,32 -1,32
° ° ° ° ° °
P = PPG – X + ql se PPG = 1% e ql = 1% allora P = 2% – X
1. Proposta ANAS 2004 = 2,41 à P = 2% + 2,41% = 4,4%
P è il prezzo dei pedaggi e quindi significa che le tariffe nel 2004 sono ste aumentate del 4,4%.
2. Proposta NARS 2004 = - 1,06 à P = 2% - 1, 06% = 0,94%

La “regulatory capture” si ha quando le imprese fanno investimenti per influenzare il regolamentatore:


comportamenti chiari illeciti quali la corruzione o semplicemente comportamenti non palesemente illeciti,
ma che comunque favoriscono l’impresa regolata, come per esempio una revisione delle tariffe regolate
che sia favorevole all’impresa. Vi è il rischio che il regolamentatore protegga più i profitti dell’impresa
che il benessere sociale. L’autorità di regolamentazione dovrebbe essere indipendente e quindi questa
rappresenta un grosso problema generale.
ALTRI METODI DI REGOLAMENTAZIONE DEL MERCATO:
1. Concorrenza Intermodale:
Si ha concorrenza intermodale quando si cerca di regolamentare un monopolio naturale mettendolo in
concorrenza con un altro monopolio naturale. Ad esempio tratta aerea MI-RO, creo un’altra tratta
ferroviaria MI-RO per creare concorrenza. Normalmente avviene nei trasporti e nelle trasmissioni
televisive.
2. Yardstick Competition:
Riguarda i monopoli regionali (ad esempio acqua, sistemi di trasporti regionali...). La regolamentazione,
dopo averli privatizzati, si basa su quello che stanno facendo le altre imprese attorno (nelle regioni
limitrofe) all’impresa in questione. Si decide il prezzo sulla base della media dei prezzi e dei costi delle
imprese limitrofe. Potrebbe mettere in moto un meccanismo virtuoso: se io regione sono più efficiente, ho
costi inferiori delle imprese nelle regioni limitrofe, allora faccio più profitti. Poi si diminuiscono i costi di
tutte le regioni limitrofe per abbassare i prezzi al fine di competere e cosi si abbassano tutti i prezzi.
Questa regolamentazione cerca di abbassare i prezzi restando nell’efficienza. La Yardstick Competition
viene utilizzata per definire il Price Cap.
3. Canone d’accesso:
Regola del prezzo efficiente delle componenti e riguarda i mezzi di produzione essenziali. Impresa 1 è
un’impresa integrata verticalmente e viene messa in concorrenza con un’altra senza però sdoppiare le reti.
Quindi l’impresa 2 prende in affitto la rete dell’impresa 1 integrata verticalmente. I prezzi sono
rispettivamente P1 e P2 e i costi marginali C1 e C2. Per operare, l’impresa 2 deve prendere in affitto la rete
e pagare un prezzo w. A che prezzo w deve essere affittata la rete? Il problema della regolamentazione sta
in w, ovvero nella sua fissazione. Il regolamentatore deve impostare il prezzo con il quale l’impresa 1
deve affittare la rete dell’impresa 2. Il prezzo w della rete deve permettere all’impresa 2 di operare e non
può essere superiore ad un determinato livello altrimenti la collocherebbe al di fuori del mercato. Vi è un
meccanismo di regolamentazione tale per cui:
w < P1–C1: l’affitto non può essere più grande di
questo parametro. Il prezzo efficiente della rete è
w = P1–C1.

P2 = P2 – (C2 – w)
P2 = P2 – C2 – P1 + C1
Se il prezzo di mercato è P=P1=P2, i profitti unitari
dell’impresa 2 sono: P2 = C1 – C2.
Quindi P2 >0 e C2 < C1. L’impresa 2 fa profitti solo
se ha costi marginali inferiori all’impresa 1.
NB: il prezzo fatto all’impresa 2 non può eccedere i profitti unitari che l’impresa 1 è in grado di fare.

DISCRIMINAZIONE DI PREZZO – CAP 5 E CAP 6


La discriminazione di prezzo è l’operazione di praticare prezzi diversi a consumatori diversi sullo
stesso bene. L’obiettivo è sapere cosa rende redditizia questa pratica e quando può essere applicata,
ovvero quali tattiche può attuare la discriminazione di prezzo in modo tale da ricavare profitti maggiori,
piuttosto che praticare a tutti lo stesso prezzo. Tuttavia, qualsiasi aumento dei profitti è frutto o di una
riduzione del surplus del consumatore o di un miglioramento dell’efficienza di mercato o della
combinazione di entrambi. Quindi si osservare anche le implicazioni della discriminazione di prezzo in
termini di benessere e sulla concorrenza.
NB: la discriminazione di prezzo non è spiegata da differenziali di costo, in quanto se un bene comporta
costi di produzione più elevati, allora siamo in presenza di differenziazione.
Ad esempio:
- Servizio sanitario - Trasporti (treni, aerei)
- Business/privato - Classi di prodotto
- Età, Disoccupati/militari, Anziani - Intertemporale
- Discriminazione geografica - Sconti sulle quantità

à decisione del prezzo su caratteristiche à decisione del prezzo su caratteristiche non


riconoscibili: discriminazione di III grado riconoscibili (i consumatori si autoselezionano
all’interno di una determinata “classe”):
discriminazione di II grado
Questi due tipi di discriminazione hanno caratteristiche diverse e anche i criteri di scelta dei prezzi nei
due casi sono diversi. L’abilità nel compiere discriminazione varia da impresa a impresa e da mercato a
mercato.
Un’impresa che ha potere di mercato da fronte a una curva di domanda con pendenza negativa, per cui
se pratica lo stesso prezzo a ciascun consumatore (caso standard dei prezzi non discriminatori), i ricavi
che ottiene dalla vendita di un’unità supplementare di output sono inferiori al prezzo praticato. Infatti, per
vendere l’unità supplementare, l’impresa dovrà abbassare il prezzo praticato non soltanto al consumatore
che acquista l’unità supplementare, ma anche a tutti gli altri consumatori. Il fatto di dover abbassare il
prezzo per tutti i consumatori al fine di accaparrarsi un ulteriore consumatore limita l’incentivo del
monopolista a servire un numero maggiore di consumatori. Di conseguenza, il monopolista standard
non soddisfa interamente la domanda e risulta essere inefficiente. I prezzi non discriminatori, oltre ad
essere una fonte di potenziale inefficienza, sono anche un limite alla capacità dell’impresa di estrarre
surplus del consumatore, in particolar modo da quei consumatori disposti a pagare molto il suo prodotto.
Se al monopolista si fa operare una discriminazione di prezzo, si scopre che si tratta di una potente
tecnica che permette all’impresa di ottenere profitti maggiori. In alcuni casi, la discriminazione potrebbe
indurre il monopolista a vendere una quantità maggiore di output e ad avvicinarsi agli esiti del
mercato concorrenziale. Quindi può essere che la discriminazione di prezzo renda un mercato
monopolizzato più efficiente.
Però la discriminazione non è facile, per ottenere buoni risultati discriminando, il monopolista deve
superare due ostacoli principali (condizioni generali per applicare discriminazione di prezzo):
1. Forma di conoscenza (anche vaga) delle caratteristiche dei consumatori: curve di domanda per
le diverse tipologie di consumatori, ovvero capire “chi è chi” sulla curva di domanda.
Quest’ultima riflette non solo le differenze nella disponibilità a pagare dei vari consumatori, ma
anche le differenze nella disponibilità a pagare quando un consumatore acquista una maggiore
quantità di prodotto. Il monopolista, per discriminare, deve possedere un maggior numero di
informazioni sui consumatori rispetto al classico modello standard. Quest’ultimo misura la
disponibilità a pagare il bene nel generico mercato al variare della quantità di bene venduto (no
discriminazione).
2. No arbitraggio (no mercato secondari): per operare efficientemente una discriminazione di
prezzo, il monopolista deve essere in grado di evitare che i consumatori ai quali viene offerto un
prezzo basso rivendano ciò che hanno acquistato ad altri consumatori ai quali il monopolista vuole
offrire un prezzo elevato. Dove non c’è arbitraggio, è facile trovare discriminazione.
Nella realtà è difficile che non vi sia arbitraggio in alcuni casi, in altri è dichiarato illegale
l’arbitraggio. Non conviene fare arbitraggio ad esempio quando vi sono costi di transazione: più
alti sono i costi di transazione e più basso è il livello di informazione del consumatore, più avviene
discriminazione di prezzo.

CLASSIFICAZIONE DI DISCRIMINAZIONE:
La tradizione economica vuole che le tecniche di discriminazione di prezzo siano classificate in tre
categorie principali (NB: discriminazione di I e II grado prezzi non lineari; III grado prezzi lineari):
1. DISCRIMINAZIONE DI I GRADO:
Si chiama anche discriminazione perfetta dei prezzi, in quanto si ha nel caso in cui un monopolista/
venditore è in grado di applicare a ciascuna unità di prodotto venduta il prezzo massimo che ciascun
consumatore è disposto a pagare. Si assume che il venditore conosca la disponibilità a pagare di tutti i
consumatori. Come si comporterebbe un monopolista discriminante in questa situazione?

P Al consumatore 1, il quale ha
Monopolista che discrimina la più alta disponibilità a
pagare, non gli si fa pagare PM
Monopolista che non discrimina (*), ma si arriva fino alla
curva di domanda per
comprendere tutta la sua
quantità aggiuntive disponibilità a pagare. Questo
PM perché vendo ad ogni
C¢(Q)
consumatore ad un prezzo che
ultima quantità corrisponde alla sua massima
aggiuntiva venduta disponibilità a pagare.

1 QM
Il monopolista che discrimina ha incentivo ad espandere la produzione in quanto può vendere a
consumatori aggiuntivi ad un prezzo più basso; questa operazione si arresta quando arriva alla curva di
costo marginale C¢(Q) (*). Il monopolista si fermerà in questo punto non aggiungendo più quantità
aggiuntive: ciascuna unità supplementare venduta genera ricavi esattamente pari al prezzo al quale viene
acquistata. Pertanto nella discriminazione di primo gradi, i ricavi marginali sono uguali al prezzo. Di
conseguenza per un monopolista di questo tipo, la regola della massimizzazione dei profitti (profitti pari
al costo marginale) comporta un livello di output al quale anche il prezzo è pari al costo marginale.
Questo si tratta del livello di output che sarebbe generato da un’industria concorrenziale.

Monopolista che non discrimina Monopolista che discrimina

SC è il surplus del consumatore, P è il surplus del produttore, ovvero il profitto. La discriminazione di


primo grado induce una maggiore diffusione del bene (si allarga la produzione) ma allo stesso tempo
comporta una ridistribuzione del surplus tutta nelle mani del produttore ed elimina la perdita secca del
monopolista. Questo tipo di discriminazione permette una riallocazione del benessere: fa aumentare il
benessere sociale anche se estrae tutto il surplus del consumatore, in quanto il venditore fornisce a
ciascun gruppo di consumatori la quantità socialmente efficiente, ovvero la quantità che sarebbe scelta se
il prezzo fosse fissato pari al costo marginale. Per questo motivo la discriminazione di prezzo di primo
grado fa sempre aumentare la quantità totale a un livello superiore a quello che sarebbe venduto nel caso
di prezzi uniformi. La situazione del monopolista che discrimina è più efficiente, anche se fittizia.

2. DISCRIMINAZIONE DI III GRADO:


Estensione della discriminazione di I grado, il venditore in questo caso riconosce direttamente le
caratteristiche dei consumatori e decidono di vendere lo stesso bene a prezzi diversi a diversi gruppi di
consumatori. Questo tipo di politica dei prezzi è la più frequente e prende il nome di prezzi lineari: i
consumatori che fanno parte di un gruppo sono liberi di acquistare la quantità che desiderano al prezzo
unitario indicato, per cui il prezzo medio unitario pagato da ciascun consumatore è pari al prezzo
marginale dell’ultima unità acquistata. Ad esempio sconti per gli anziani e ingressi gratuiti per i bambini,
biglietti delle compagnie aeree, menù speciali dei ristoranti… Un tratto distintivo di tutte le tecniche di
discriminazione di prezzo di terzo grado è che il monopolista conosce alcune caratteristiche dei
consumatori facilmente osservabili che rispecchiano bene le differenze nella disposizione del
consumatore a pagare, caratteristiche che possono essere efficacemente utilizzate per dividere il mercato
in due o più gruppi, a ciascuno dei quali sarà applicato un prezzo diverso.
Una volta identificati e separati i vari gruppi di consumatori, la regola generale che caratterizza la
discriminazione è che ai consumatori per i quali l’elasticità della domanda è bassa vanno applicati
prezzi più elevati rispetto a quelli praticati ai consumatori per i quali l’elasticità della domanda è
relativamente elevata:

manager studenti
P1

P2
curva di costo
marginale
Q1 Q2
Curva di domanda rigida Curva di domanda elastica
à prezzi più alti à prezzi più bassi

Analiticamente:
* Due gruppi di consumatori: 1, 2;
* Due curve di domanda: P1(Y1), P2(Y2);
* Costi di produzione uguali: C (Y1 + Y2).
L’impresa vuole massimizzare il profitto e sceglie
P = P1(Y1) xY1 + P2(Y2) xY2 - C (Y1 + Y2) Y1 e Y2 per massimizzare i profitti, quindi si hanno
due curve di ricavo marginale diverse (* nel
RICAVI TOTALI COSTI TOTALI grafico).
Per massimizzare il profitto, il ricavo marginale
deve essere sempre pari al costo marginale in ciascun mercato servito dal monopolista. Se in un
particolare mercato questo non avviene, l’ultima unità venduta nel mercato genererebbe in costi più o
meno di quanto genererebbe in ricavi, per cui in quel mercato un aumento o una riduzione della
produzione totale farebbe aumentare i profitti (senza che il monopolista debba aumentare la produzione).
Due condizioni:
dP d P1
1. ¾¾ = ¾¾ x Y1 + P1 – C¢(Y) = 0 si calcolano le derivate parziali che devono essere
d Y1 d Y1 poste uguali a zero affinché vengano massimizzati i
dP d P2 profitti.
2. ¾¾ = ¾¾ x Y2 + P2 – C¢(Y) = 0
d Y2 d Y2

1. P1 (1 – 1/h1) = C¢(Y1) à P1 (1 – 1/h1) = P2 (1 – 1/h2)


2. P2 (1 – 1/h2) = C¢(Y2) P1 > P2 Û h2 > h1

La discriminazione di prezzo di terzo grado non è altro che l’estensione della regola dell’elasticità vista in
monopolio: vi è un legame tra prezzo stabilito ed elasticità della domanda in uno specifico segmento
di mercato. Maggiore è h più elastica è la domanda del mercato. Il prezzo sarà certamente minore nel
mercato con maggiore elasticità della domanda. L’idea è che i prezzi devono essere inferiori nei mercati
nei quali i consumatori sono sensibili al prezzo, in quanto un aumento del prezzo implicherebbe la perdita
di troppi clienti, andando ad annullare qualsiasi guadagno in termini di appropriazione del surplus per
ogni singolo consumatore. In altre parole, quando i consumatori sono sensibili al prezzo, la strategia di
abbassare il prezzo può di fatto aumentare il surplus totale del monopolista, in quanto comporta molti
costi aggiuntivi.
1. DISCRIMINAZIONE DI PREZZO DI II GRADO:
Si vende lo stesso bene a prezzi diversi a diversi gruppi di consumatori. Le imprese voglio fare prezzi
diversi ma i consumatori non sono direttamente riconoscibili quindi devono creare un “menù” di tariffe
affinché il consumatore si autoselezioni. Le imprese utilizzano un sistema di prezzi non lineari
composto da una tariffa a due stadi: parte fissa (f) e parte variabile/a consumo p (il prezzo deve sempre
essere uguale a C). Si utilizza questa duplice tariffa per fare discriminazione di prezzo. Vi è un’ampissima
varietà di tariffazione. Quale composizione di parte fissa e consumo? Quale menù di tariffazione
comporre? Il monopolista discriminante può raggiungere l’obiettivo di appropriarsi del surplus del
consumatore applicando la tariffa a due stadi e fissare la parte fissa del prezzo in base al surplus del
consumatore (CS): SC = f > CS. Il surplus del consumatore coincide con il canone di accesso il
monopolista per fare profitti più alti, abbassa il prezzo al costo marginale, aumentando così la quantità e
allo stesso modo aumentano i profitti, che derivano esclusivamente dal prezzo del canone di accesso,
altrimenti i profitti sarebbero nulli (senza canone di accesso) perché il bene o servizio è venduto al prezzo
di costo.

Vi sono due tipi di consumatori eterogenei (1, 2) e due tipi di tariffe a due stadi (1, 2). Per ogni P,
CS2 > CS1 (ipotesi): il consumatore usa il bene 2 più intensamente e il consumatore 1 dallo stesso bene ne
ricava meno valore. Il sistema di tariffe seguente può funzionare?
- f1 = CS1 e P=C;
- f2 = CS2 e P=C.
Vi è un rischio di cannibalizzazione: con due tariffe è possibile che alcuni utenti non acquistino la tariffa
pensata per loro (i tipi di consumatori non sono identificabili). Per evitare la cannibalizzazione, è
importante rispettare i due vincoli della discriminazione di prezzo di II grado:
1. vincolo di incentivazione: i consumatori del tipo i devono preferire la tariffa del tipo i, tariffa
pensata e adattata a loro. Il consumatore 1 preferisce la tariffa 1 e il consumatore 2 preferisce la
tariffa 2.
à f1 = CS1(P1) e P1>C (il canone di ingresso f1 deve essere necessariamente basso per rispettare
il vincolo 1 e P1>C serve per rendere meno appetibile la tariffa per quelli ad alto reddito),
ricordando che il consumatore 1 è quello a basso reddito;
2. vincolo di partecipazione: l’acquisto deve essere preferito al non acquisto, ovvero tutti
preferiscono Q>0 rispetto a Q=0.
à f1 < f2 < CS2(P2) e P2=C (bisogna lasciare un po’ di surplus al consumatore 2 per rispettare il
vincolo 2).

Esempio:

Quali tariffe offrire in un jazz club?


Due gruppi distinguibili per differenze di reddito:
1. anziani à QA = 16 – P, hanno curve di domanda maggiori dato che lavorano;
2. giovani à QG = 12 – P.
Costo marginale del consumatore = 4.
I diversi tipi di clienti del club sono distinguibili per una caratteristica facilmente osservabile se si guarda
l’età, il reddito è meno osservabile. Inoltre, il club ha la possibilità di negare l’accesso a quanti non
pagano la tariffa a loro assegnata.

Tariffe:
1. monopolista che non discrimina:
Discriminazione di prezzo di I grado, si discrimina sul prezzo ponendolo uguale per tutti. Si
considerano le domande come unica.
Q = QA + QG = 28 – 2P à domanda inversa: P = 14 – ½Q
P = P = Q allora P = (14 – ½Q) Q = 14Q – ½Q2
Ricavo marginale (derivata rispetto a Q) = 14 – Q = C à 14 – Q = 4 allora Q = 10
P = 14 – ½ (10) = 9:
- QA = 18 – 9 = 7 16
ANZIANI GIOVANI
- QG = 12 – 9 = 3
12
24,5
PM = (P – Q) Q = (9 – 4) 10 = 50: 4,5
P=9
- PA = 35 35 15
CSA = (16 – 9) x7 /2 = 24,5
C¢=4
- PG = 15
CSG = (12 – 9) x 3 /2 = 4,5 7 16 3 12
2. tariffa a due stadi:
Come si fa per aumentare il profitto?
- Se anziani à canone di entrata = 24,5 = CSA
- Se giovani à canone di entrata = 4,5 = CSB

NB: il meccanismo della tariffa a due parti può essere utilizzato per far aumentare i profitti portandoli a
un livello superiore rispetto a quelli ottenuti con prezzi uniformi, ma non è in grado di far ottenere gli
stessi risultati come in precedenza perché risolvere i problemi di identificazione e arbitraggio è costoso: è
possibile che il monopolista riesca a mettere a punto una strategia di prezzo che induca alcuni clienti a
rivelare chi sono e che li distingua sulla base dei loro acquisti, ma l’unico modo per farlo implicherebbe
dei costi, che si traducono in una minore estrazione di surplus (discriminazione di prezzo di II grado).

Con P=C à P = 50 + 29 = 79 migliora il profitto


16
ANZIANI GIOVANI CSA = (12x12) /2 = 72
12 CSG = (12x8) /2 = 32
72 32 PM = CSA + CSG + (P – Q) Q
C¢=4 = 72+32-104 = 0
120 48
12 8
Il profitto è zero perché qualsiasi tentativo di attuare la strategia di discriminazione di prezzo, facendo
pagare ai clienti con reddito elevato una quota di ingresso di 72€ mentre a quelli con reddito basso una di
32€, sarà inutile: ciascun cliente potrebbe dichiarare di avere un reddito basso per pagare la quota di
ingresso inferiore e non esiste un metodo ovvio (o lecito) per far sì che il proprietario possa imporre la
quota più elevata. Questo è sempre il caso di discriminazione con prezzi personalizzati in base al reddito.
La disponibilità a pagare nell’esempio sopra sarà:
- Disponibilità a pagare anziani à 72 + (4x12) = 120
- Disponibilità a pagare giovani à 32 + (4x8) = 64

3. ingresso limitato ai consumatori ad alto reddito:


Il monopolista potrebbe decidere di limitare l’ingresso esclusivamente ai clienti con reddito elevato,
stabilendo una quota di ingresso di 72€ (CSA) oppure offrendo 12 consumazioni a 120€ (nuovo pacchetto
di ingresso). Sceglieranno di pagare la quota di ingresso di 72€, quindi il profitto sarà P = 72, ma in tal
modo perderebbe le vendite ai clienti a basso reddito e i profitti che ne risulterebbero.

4. Block Pricing:
Si fissa la quota di ingresso più bassa offrendo un pacchetto a 64€ compreso di 8 consumazioni per
attrarre entrambi i consumatori (unico pacchetto). Il profitto sarà PM = 32 + 32 = 64. I clienti con
domanda bassa si sa che sono disposti a pagare 64€ per 8 consumazioni, quindi il proprietario del club è
in grado di offrire un pacchetto che consiste nell’ingresso più 8 consumazioni a un prezzo di 64€
(pacchetto G). Questo pacchetto attrarrà i consumatori con domanda bassa e consentirà di estrarre il
surplus di 32€ da ciascuno di loro. Il problema è che anche i clienti con domanda elevata saranno disposti
16 a pagare questo pacchetto, in quanto la loro disponibilità a pagare
32 l’ingresso più 8 consumazioni è pari a 96€. Sebbene il proprietario
8 ottenga profitti di 32€ anche dai clienti con domanda elevata che
64 acquistano questo pacchetti (vi è un unico pacchetto), questi ultimi
8 16 continueranno ad avere un surplus di: CSA = 96-64 = 32.

5. Menu Pricing:
La strategia ottimale per il proprietario è quella di offrire un secondo pacchetto indirizzato ai clienti con
domanda alta. Egli sa che sono disposti a pagare un totale di 120€ per 12 consumazioni, ma sa anche che
non può far pagare 12 consumazioni a 120€ in quanto i clienti con domanda elevata non saranno disposti
a pagare un importo così elevato, dal momento che possono acquistare il pacchetto di 8 consumazione a
64€ e avere un surplus del consumatore di 32€. Perché un pacchetto alternativo attragga i clienti con
domanda elevata, deve rispondere al requisito che gli economisti chiamano “compatibilità degli
incentivi”: qualsiasi pacchetto alternativo deve anche consentire ai clienti con domanda elevata di
ottenere un surplus di almeno 32€.
Si offre un nuovo pacchetto ai consumatori anziani: 120 – 32 = 88 con 12 consumazioni. I clienti con
domanda elevata attribuiscono all’ingresso più 12 consumazioni un valore di 120€, quindi offrendo tutto
questo ad un prezzo più basso di 88€ potrebbero essere convinti a rinunciare al pacchetto di 64€ con 8
consumazioni, in quanto otterrebbero ugualmente un surplus pari a 32. In questo modo aumentano anche i
profitti del proprietario:
- PA = 88 – (12x4) = 40
àPM = 40 + 32 = 72
- PG = 64 – (8x4) = 32
Queste due tariffe (menù di opzioni) sono impiegate dal proprietario per risolvere i problemi di
identificazione e arbitraggio, inducendo i clienti stessi a rivelare chi sono tramite gli acquisti che
effettuano. Sul secondo pacchetto viene effettuato uno sconto sulle quantità.

6. Discriminazione di II grado:
Tariffa migliorativa rispetto al caso precedente. Che cosa succederebbe se il proprietario del club
decidesse di offrire un numero minore di consumazioni, per esempio 7, nel pacchetto progettato per i
clienti con domanda bassa/alta?
16 GIOVANI: P=5
ANZIANI GIOVANI Disponibilità a pagare:
12
24,5 24,5 + 35 = 59,5
9 NB: 24,5 = (7x7)/ 2
24,5
63 5
35 PG = 59,5 – (7x4) = 31,5
7 12
7 16

ANZIANI: P=9
Disponibilità a pagare: 24,5 + 63 = 87,5 à CSA = 87,5 – 59,5 = 28
Il proprietario può aumentare il prezzo di questo secondo pacchetto al fine di lasciare un CS minore,
ovvero offre un ingresso con 12 consumazioni portandolo a 120-28 = 92, facendo salire i profitti tratti da
ciascuno di questi pacchetti a 44€:
offro 12 consumazioni: 120 – 28 = 92 à nuovo pacchetto
PA = 92 – 48 = 44 à PM = 31,5 + 44 = 75,5 (maggiore rispetto a 72€ dell’offerta precedente)

In questo modo si restringe l’offerta diminuendo CS in modo da alzare P. qualsiasi pacchetto ideato per
attirare clienti con domanda bassa limita la capacità del monopolista di estrarre surplus dai clienti con
domanda elevata. Di conseguenza, per il monopolista risulterà più redditizio ridurre il numero di offerte
ai clienti con domanda bassa, dal momento che questo gli consentirà di aumentare il prezzo al quale fa
pagare il pacchetto destinato ai clienti con domanda elevata. Se il monopolista abbia o meno incentivo a
servire i clienti con domanda bassa dipenderà dal numero di consumatori con domanda bassa rispetto a
quelli con domanda elevata.

TARIFFE 1 2 3 4 5 6
Q 10 20 12 16 20 19
P 9 4 - - - -
QA 7 12 12 8 12 12
QG 3 0 0 8 8 7
P 50 104 72 64 72 75,5
CSA 24,5 0 0 32 32 28
CSG 4,5 0 0 0 0 0
PMEDIO(A) 9 120/12 = 10 10 8 88/12 = 7,3 92/12 = 7,66
PMEDIO(G) 9 64/8 = 8 - 8 64/8 = 8 59,5/7 = 8,5

DIVERSI METODI PER FARE DISCRIMINAZIONE DI PREZZO DI II GRADO:


La discriminazione di II grado può avvenire per:
* CLASSI DI PRODOTTO (VERSIONING):
Tutte le possibili strategie dell’esempio sopra. È diverso dalla differenziazione perché il costo marginale
di produzione per le diverse classi di prodotto è simile e normalmente si riduce la qualità dei prodotti che
già si offrono, ad esempio per abbassare i costi e quindi si conseguenza il prezzo.
Ogni volta che si introduce una nuova versione, aumenta il rischio di cannibalizzazione. In generale, le
versioni più economiche del prodotto attraggono tutti. Strategie delle imprese:
- Ridurre il prezzo dei prodotti di fascia alta e la qualità dei prodotti di fascia bassa;
- Evitare la possibilità di arbitraggio;
- Versioni on-line e versioni off-line.
* CONFEZIONI DI PRODOTTI (BUNDLING):
Raggruppamento di prodotto che permette di estendere il potere di monopolio esistente, normalmente la
maggior parte di imprese vende più di un solo bene e il raggruppamento (bundling) e la vendita abbinata
(tie-in sale) di diversi prodotti da parte delle imprese è un fenomeno frequente. La vendita abbinata è
l’acquisto di un certo ammontare di un bene (il bene al quale si abbina) avviene a condizione che venga
acquistato un secondo prodotto (bene abbinato). Ad esempio la stampante che ha bisogno di cartucce
specifiche adatte alla marca della stessa.
Vi sono due tipologie di bundling:
1. puro à o si compra tutto o niente (solo la confezione è disponibile);
2. misto à sono disponibili sia la confezione sia il prodotto singolo.
Il vincolo di fare bundling puro o misto dipende dalla concorrenza e dal tipo di mercato: più un’impresa
ha potere di mercato, più ha possibilità di fare bundling.

Esempio:
- Due consumatori eterogenei: 1 contabile che ha bisogno di un software per i bilanci e 1 scrittore
che ha bisogno di un processore di testi;
- 2 prodotti: excel e word;
- 2 disponibilità a pagare:
EXCEL WORD
CONTABILE 100 60 Disponibilità a pagare complessiva = 160 ciascuno
SCRITTORE 60 100

Quale prezzo applicare al fine di massimizzare i profitti?


1. Vendo entrambi i pacchetti a 100€, il contabile acquista excel e lo scrittore word:
P = 100 + 100 = 200
2. Vendo entrambi a 60€:
P = (60 x 2) + (60 x 2) = 240 CS = 40 + 40 = 80
à Come si fa ad appropriarsi di CS=80? Basta vendere i prodotti congiuntamente a 160:
P = 160 + 160 = 320 bundling
Il bundling permette di estrarre un surplus maggiore ed evita la necessità di far pagare un prezzo più
basso all’emittente per indurlo ad acquistare il bene.

* DISCRIMINAZIONE INTERTEMPORALE (BENI DUREVOLI):


Le domande in questo caso sono: acquistare o non acquistare? Quando acquistare? È una strategia
pericolosa perché comporta il problema che se fatta in modo eccessivo la discriminazione, si ritarda il
consumo e quindi i consumatori stesso non acquisteranno subito. Il secondo problema riguarda la
“competizione con sé stessi” (ad esempio cosa mi serve un altro paio di jeans se ce li ho già?). Le imprese
affrontando questi problemi con diverse strategie:
- Garanzia prezzo minimo: ad esempio pago oggi 100 avendo la garanzia che se nei prossimi 2
anni il prezzo rimane lo stesso, se no mi verrà consegnata la differenza;
- Affitto o leasing;
- Differenziazione.

ANALISI NORMATIVA SULLA DISCRIMINAZIONE:


Per la discriminazione di prezzo di II grado l’analisi normativa varia da caso a caso. Vi sono due dilemmi
che il legislatore deve affrontare per capire se un mercato è buono o meno in presenza di discriminazione.
Per l’UE questa presenza di discriminazione non è ottima in quanto l’Europa è pro mercato libero, ovvero
si vogliono vendere prodotti in tutti i Paesi dell’UE allo stesso prezzo.
1. Dilemma 1 à tradeoff tra efficienza e surplus del consumatore. La discriminazione di prezzo
diminuisce il surplus del consumatore.
2. Dilemma 2 à tradeoff tra equità e accesso. Se vi è un prezzo unico per tutti, si è in presenza di
una situazione equa. Però se tutti pagano lo stesso prezzo, in condizioni di potere di mercato, i
prezzi sono più alti.
Non vi è un messaggio chiaro se la discriminazione di prezzo sia positiva o negativa per il mercato.
“Una condizione necessaria (ma non sufficiente) affinché la discriminazione di II grado aumenti il
benessere del consumatore, è che faccia aumentare la quantità totale di output”.

LIBERALIZZAZIONE DEL MERCATO DELL’ENERGIA


ELETTRICA
Dagli anni ’70 c’è stato il boom della liberalizzazione; prima il “Trattato di Roma”, creazione dell’UE, si
dava importanza agli istituti pubblici.
Anni ’50 e ’60 si nazionalizzano i servizi pubblici, ma soprattutto interi settori produttivi come ad
esempio quello siderurgico e dare a singole imprese la gestione di questi settori. Queste imprese hanno
natura pubblica.
Anni ’70 la protagonista dell’inversione di rotta è la Thatcher (partito conservatore/liberista) che fa una
riforma verso privatizzazioni e liberalizzazioni: operazione legislativa diretta a creare le condizioni per
lo sviluppo di un mercato concorrenziale. Poi le privatizzazioni si diffondono in Europa e nel ’85 “Libro
bianco” in cui si scrive che la creazione del mercato unico europeo: aumentare il surplus del consumatore
e il profitto delle imprese.
Nel ’96 si crea il primo pacchetto energia che non mira ancora a liberalizzare ma a smantellare i
monopoli nazionali che sono integrati verticalmente. Poi viene seguito da altri due: quello del 2003
permette agli utenti ad acquistare energia sui mercati; quello del 2006 lo permette di fare anche agli utenti
privati. La liberalizzazione viene utilizzata per sostituire il mercato pubblico con quello privato.
L’esito di questo cambiamento non si sa perché sono risultati che non si riescono a misurare e c’è una
grande carenza di dati. Per creare questo dato di riferimento per vedere quanto ha prodotto la
liberalizzazione è complicato.
CARATTERISTICHE DEL MERCATO:
* Mercato difficile perché l’energia elettrica non è accumulabile. Il momento dell’erogazione
coincide con il momento del consumo. Questo non permette di ammortizzare cambiamenti nella
domanda.
* La domanda varia nel tempo in modo inatteso, ad esempio per un evento meteorologico
improvviso.
* Domanda e offerta si incontrano nella rete di trasmissione tramite un mezzo fisico. In ogni
momento la capacità di trasmissione è data. La rete è un vincolo alla quantità domandata/offerta.
* La rete deve essere sempre in equilibrio altrimenti si ha un blackout.
Il mercato dell’energia elettrica è un monopolio naturale e l’energia è un bene primario. Come
collegare queste due caratteristiche? Il monopolista deve contrattare con chiunque ne faccia richiesta
perché l’energia è un bene necessario. È un mercato inefficiente e produce un fallimento di mercato. Si
risolve in due modi:
1. Regolamentazione: organismo regolatore che interviene ex ante determinando quali sono le
imprese che possono esercitare il monopolio e che prezzi/tariffe possono applicare;
2. Liberalizzazione: tentativo di eliminare il monopolio e le barriere permettendo alle imprese di
concorrere tra loro in una rete molto fitta di monitoraggio con interventi ex post.

LIBERALIZZAZIONE:
Operazione legislativa diretta a creare le condizioni per lo sviluppo di un mercato concorrenziale. Come si
ottiene la liberalizzazione di un mercato di questo tipo?
Le fasi della produzione (supply chain) sono diverse:
1. Generazione: output deve essere convertito in alta tensione per essere convogliato nelle reti di
trasmissione;
2. Trasmissione: fanno viaggiare l’energia nelle lunghe reti;
3. Distribuzione: trasformazione dell’energia ad alta tensione a bassa tensione e quindi si passa a
parlare di distribuzione per trasportare l’energia ai consumatori;
4. Supply: l’energia viene venduta ai retailer i quali secondo la loro tariffazione vendono l’energia a
privati o industriali;
5. Consumo.
Il mercato viene diviso in 4 sottomercati/segmenti in cui agisce la liberalizzazione:
1. Generazione: il mercato della generazione è libero e chiunque può installare una centrale
elettrica. Unico vincolo dell’UE è che non possono produrre più del 50%. Mercato sul quale
intervengono i consumatori, ad esempio se si installano fotovoltaici…;
2. Trasmissione e distribuzione: divisa in due parti (separazione tra proprietà e gestione della
rete) e strettamente regolamentata. In Italia avviene ancora nel regime di monopolio nazionale.
La rete di trasmissione è un’infrastruttura fondamentale per il funzionamento di un Paese e deve
essere tutelata per quanto riguarda la sicurezza. Vengono esercitate da due enti diversi:
3. Vendita (retail): mercato libero (quasi). Libero perché non vi son barriere all’entrata come
anche le politiche di prezzo non sono regolamentate e i consumatori possono scegliere l’offerta
contrattuale che preferiscono.
Regolatore: AEEG.

Benefici attesi del mercato retail:


* Efficienza à abbattimento di prezzi e costi, migliore organizzazione del settore. La pubblicità
crea inefficienza in quanto le imprese competono per accaparrarsi clientela e quindi mettono in
atto comportamenti opportunistici;
* Differenziazione à nuove tipologie di contratti e nuovi servizi;
* Innovazione à smart meters e smart houses and apps. Introduzione dei contatori intelligenti ed
inviano ai fornitori i dettagli dei consumi al fine di creare servizi ad hoc. Successo poco in EU nel
2009 che ha richiesto di sostituire i contatori vecchi con i smart meters, esito dell’introduzione di
una legge e non del mercato libero. In realtà questa legislazione viene pagata dai consumatori che
per 15 anni spalma il costo dell’innovazione.
Si riescono a misurare questi benefici e quali sono gli indicatori?
Nessuna misura è perfetta per misurare perfettamente l’esito della liberalizzazione. Vi è un elenco di
indici ma manca un peso relativo, non si sa quale elemento sia più importante da misurare, sono tutti gli
indici sullo stesso livello.

IL MERCATO ITALIANO:
La liberalizzazione inizia nel 1999 (decreto Bersani) e prosegue con lo smantellamento del monopolio
integrato verticalmente (Enel) e con la creazione di un mercato retail concorrenziale. Si completa nel
2007 (accesso al mercato libero per i consumatori finali) ed è sottoposta a regolamentazione temporanea
fino al primo gennaio 2018: tutti i consumatori verranno immessi sul mercato libero. Fino a quella data i
consumatori potranno scegliere tra il mercato con tariffa regolamentata (maggior tutela) e i contratti sul
mercato libero.

DIFFERENZIAZIONE IN MONOPOLIO – CAP 7

La maggior parte delle imprese vende più di un solo prodotto. L’incentivo da parte delle imprese a offrire
molte varietà, di quello che essenzialmente è lo stesso prodotto, è un modo per l’impresa di riuscire a
vendere a clienti con gusti diversi. Più precisamente per indurre un consumatore a effettuare un acquisto,
l’impresa deve commercializzare un prodotto che si avvicini ragionevolmente alla versione che il
consumatore preferisce. Quando un’impresa offre una gamma di prodotti in risposta ai diversi gusti dei
consumatori si parla di differenziazione orizzontale del prodotto.
I consumatori non differiscono per le caratteristiche che ritengono desiderabili, ma per il valore che
attribuiscono alla caratteristica desiderata, ossia quanto sono disposti a pagare per avere un servizio
aggiuntivo al prodotto. Quando l’impresa risponde alla diversa disponibilità da parte dei consumatori a
pagare la qualità di un prodotto offrendo diverse qualità dello stesso, si parla di differenziazione
verticale del prodotto.

DIFFERENZIAZIONE ORIZZONTALE DEL PRODOTTO:


Si prende in esame un mercato nel quale i consumatori si differenziano per caratteristiche, che ai loro
occhi, rendono il prodotto attraente, pur rimanendo più o meno simili in relazione alla disponibilità a
pagare.
Vi è un modello spaziale della differenziazione del prodotto, sviluppato per la prima volta da
Hotelling: il modello tiene conto della collocazione geografica dei punti vendita e degli spostamenti che i
consumatori devono effettuare compresi di costi di spostamento. I consumatori sono disposti a pagare di
più un prodotto commercializzato vicino alla loro posizione geografica.
Questo modello può essere generalizzato pensando allo spazio geografico come “spazio delle
caratteristiche del prodotto” nel quale la “localizzazione” di ciascun consumatore riflette l’insieme delle
caratteristiche preferite del prodotto. I costi di spostamento del modello geografico possono essere intesi
come costi psichici (o costi in termini di utilità) che il consumatore sostiene qualora debba acquistare un
bene le cui caratteristiche sono distinti da quelle da lui preferite. Quindi preferirà acquistare i prodotti che
più si avvicinano al suo ideale di prodotto.

§ Monopolio e differenziazione orizzontale:


N consumatori uniformemente distribuiti lungo la
linea (ascissa), il monopolista deve decidere in che
modo servire i consumatori per ottenere maggiori
profitti: quale gamma di prodotti immettere sul
mercato e quanto farli pagare? Si ha il caso in cui il
monopolista non opera discriminazione di prezzo. I
consumatori si recano in un punto vendita sostenendo i
costi di trasporto (T), i consumatori sono identici
tranne per la loro collocazione geografica. Si ipotizza
che, in ciascun periodo, ogni consumatore è disposto ad acquistare esattamente una unità del prodotto
venduto dal monopolista, a patto che il prezzo pagato comprensivo dei costi di trasporto (prezzo pieno)
sia inferiore al suo prezzo di riserva V.
Il monopolista sceglie di posizionare il suo unico punto vendita al centro. Quale prezzo applicare? L’asse
verticale indica il prezzo: il prezzo pieno pagato dal consumatore è costituito da una parte fissa decisa dal
monopolista e il costo di trasporto che i consumatori sostengono (inteso A/R) in riferimento ad una
distanza X: prezzo pieno = P1 + TX indicato dalla retta a forma di Y. Chi è al centro paga P1, chi si trova
in una distanza superiore a X1 non acquisterà il prodotto in quanto supera la sua disponibilità a pagare.
- X = (V – P1) / T distanza;
- Q (P1, N) = 2X1N = 2N/T x (V – P1) domanda totale per il prodotto del monopolista. 2X1N
sono i consumatori disposti ad acquistare il prodotto situati a destra e sinistra del centro.

Nonostante l’assunto che ciascun consumatore acquista


esattamente una unità del prodotto del monopolista o nessuna,
la funzione di domanda nell’equazione indica che la domanda
aggregata aumenta mano a mano che il monopolista
abbassa il prezzo. Quando il prezzo scende da P1 a P2, la
domanda aumenta in quanto un numero maggiore di
consumatori è disposto ad acquistare il prodotto ad un prezzo
inferiore. Ora tutti i consumatori entro la distanza X2 acquistano il prodotto.
Qual è il prezzo più elevato che il monopolista può stabilire rimanendo in grado di vendere a tutti gli N
clienti? Il prezzo che i consumatori che si trovano più distanti sono disposti a pagare. Questi pagano
P+T/2 per cui acquisteranno solo se P+T/2 £ V. Per un negozio dislocato al centro, il prezzo massimo
che il monopolista può far pagare è: P (N, 1) = V – T/2. I costi per il monopolista sono:
- C per unità venduta; à P (N, 1) = N x (V – T/2 – C) – F profitti
- Costi fissi di avviamento pari a F.
La posizione centrale rende più facile raggiungere tutti i clienti, se l’impresa si sposta dal centro, l’unico
modo per continuare a servire l’intera linea è abbassare il prezzo al di sotto di V – T/2.

§ Oligopolio e differenziazione orizzontale:


Si prende in esame il caso in cui vi siamo n punti vendita distribuiti lunga la linea ed è come se il
monopolista dividesse il mercato in due mercati separati, quello di sinistra e quello di destra. Si comporta
con la stessa logica vista precedentemente.
- P (N, n) = V – T/2n
- P (N, n) = N x (V – T/2n – C) – F
Mano a mano che il numero di punti vendita n aumenta, il prezzo praticato dal monopolista in ciascun
negozio si avvicina sempre di più al prezzo di riserva V del consumatore. Quindi, aumentando il numero
di negozi, il monopolista è in grado di far pagare a ciascun consumatore un prezzo molto vicino alla sua
disponibilità massima a pagare (V) e quindi di assicurarsi una maggiore porzione di surplus del
consumatore.
Un monopolista, anche se non vi sono economie di scopo, è incentivato a offrire molte varietà del
prodotto in quanto può sfruttare l’ampia gamma di gusti del consumatore facendo pagare a ciascuno di
essi un prezzo elevato in virtù del fatto che a ciascuno viene offerta una varietà che si avvicina molto alla
sua tipologia preferita. Vi è però un fattore che limita la proliferazione di varietà o punti vendita. Il
fatto di aggiungere punti vendita consente al monopolista di aumentare i prezzi, ma l’allestimento di ogni
nuovo negozio o la creazione di una nuova variante del prodotto comportano anche die costi di
avviamento. Se il monopolista decide di avere n+1 punti vendita, i suoi profitti diventano:
P (N, n) = N x (V – T/2(n+1) – C) – (n+1)F à n (n+1) = TN/2F
Il monopolista deve bilanciare l’aumento del prezzo e dei ricavi connessi alla maggiore varietà dei
prodotti con i costi supplementari a essa collegati. Ci si aspetta di trovare una maggiore varietà di
prodotti:
* in un mercato in cui vi sono molti consumatori (N elevato);
* i costi di avviamento sono bassi (F basso);
* dove i consumatori hanno preferenze fortemente distinte riguardo le caratteristiche del prodotto (T
elevato). Sono molto attaccati alla loro tipologia di prodotto preferita o alla posizione di negozio
che non sono disposti ad acquistare altri prodotti che si allontanino dalle sue preferenze.
Se il monopolista vuole continuare ad attrarre i consumatori, deve avvicinare i prodotti alla domanda di
ciascun singolo consumatore, offrire una gamma più ampia di varianti del prodotto o disporre di un
numero maggiore di punti vendita. In questo mercato, aggiungere un nuovo negozio non significa
necessariamente aumentare l’offerta totale del prodotto, ma sostituire parte della varietà esistente con una
varietà alternativa che più si avvicina ai gusti specifici di alcuni clienti.

§ Varietà di prodotti:
La quantità, talvolta esagerata, di varietà di prodotti fa sorgere la domanda: varietà di prodotti offerta è
eccessiva o il monopolista fornisce il livello di varietà di prodotto coerente con la massimizzazione del
benessere sociale? Il livello socialmente ottimale di varietà del prodotto è descrivibile tramite il concetto
di efficienza, in base al quale occorre massimizzare il surplus totale netto. Una volta che tutti gli N
consumatori sono serviti, solo due fattori variano mano a mano che si aggiungono nuovi negozi o varietà
di prodotto: un fattore è il costo di trasporto sostenuto dal consumatore. Mano a mano che vengono
aggiunti nuovi negozi, un numero maggiore di consumatori si trova più vicino a un negozio e questo
costo si abbassa (risvolto positivo). L’aggiunta di un maggior numero di negozi comporta un costo
supplementare di avviamento F per ciascun negozio (risvolto negativo).
Sarà socialmente vantaggioso aggiungere un negozio supplementare agli n esistenti fin tanto che:
n (n+1) < TN/4F si aggiungerà un negozio supplementare fintanto che i costi diminuiscono perché
l’obiettivo è minimizzare il costo totale. Però la condizione in cui il monopolista vuole aggiungere un
negozio supplementare è n (n+1) = TN/2F ovviamente maggiore della quantità socialmente ottima:
significa che il monopolista è incentivato ad ampliare la varietà del prodotto anche quando i guadagni
sociale connessi a tale ampliamento si sono esauriti. Quindi il monopolista sceglie di immettere sul
mercato troppe varietà di prodotto.
Il motivo di base per cui un monopolista porta a una varietà eccessiva è che l’impresa massimizza i
profitti, non il surplus totale. Il monopolista, quando decide di aprire un altro negozio, bilancia il costo
supplementare di avviamento con i ricavi supplementari connessi alla possibilità di aumentare il prezzo.
Dal pdv dell’efficienza questi ricavi supplementari non rappresentano un guadagno netto, ma
semplicemente un trasferimento di surplus dai consumatori al monopolista. Il vero ottimo sociale
bilancerebbe il costo di avviamento di un negozio supplementare con l riduzione dei costi di trasporto che
ne risulta. Questo criterio comporterà l’apertura di un numero minore di negozi rispetto al criterio
utilizzato dal monopolista.
Riassunto: il fatto di avere negozi supplementari attrae il monopolista in quanto gli consente di far pagare
un prezzo elevato ai consumatori distanti; il monopolista con un solo negozio può raggiungere quei
consumatori soltanto offrendo una forte riduzione del prezzo, che si estenderebbe a tutti i consumatori.
Una varietà è più vantaggiosa: il monopolista si spinge oltre l’ottimo in quanto, pur riducendo il surplus
totale, riesce ad appropriarsi di una quantità molto maggiore di esso.

DIFFERENZIAZIONE VERTICALE DEL PRODOTTO:


Scelta che riguarda la qualità e si ha quando un’impresa decide di fornire una qualità diversa di un bene e
tutti i consumatori percepiscono tale qualità. Il problema economico si riduce a capire come cambia la
funzione di domanda al variare della qualità del prodotto: dipende dal tipo di bene.
L’analisi economica si traduce in un’analisi della domanda a seconda dei consumatori e della qualità che
si vuole aumentare.
OLIGOPOLIO
Oligopolio è il mercato popolato da più di una sola impresa, nei quali le azioni di un’impresa possono cambiare il
contesto di mercato non solo per l’impresa che le compie, ma per tutte. È un mercato caratterizzato da
interazione strategica: mercato in cui vi è un insieme finito di imprese, nel quale le scelte delle imprese si
condizionano a vicenda. Lo strumento standard di analisi è la Teoria dei Giochi, con la quale si analizzeranno le
decisioni strategiche delle imprese, consapevoli del fatto che le loro azioni influenzeranno le altre imprese nel
mercato.

RIPASSO DELLA TEORIA DEI GIOCHI:
La decisione o piano d’azione da parte di ciascun giocatore prende il nome di strategia e l’insieme di strategie di
un’impresa prende il nome di combinazione strategica o profilo di strategie. Un dato profilo determina l’esito del
gioco che costituisce i payoff o guadagni finali ottenuti da ciascun giocatore, i quali possono essere interpretati
come i profitti di ciascuna impresa. Sebbene possano esserci molti risultati possibili, non tutti saranno esiti di
equilibrio. Per equilibrio si intende un profilo di strategie tale che nessuna impresa sia incentivata a cambiare la
propria strategia attuale (equilibrio di Nash).
Due tipi di situazioni:
1. Giochi in forma normale à giochi che durano un periodo solo e in cui le scelte sono tendenzialmente
simultanee tra i vari attori. Servono per studiare i primi modelli di oligopolio. Due tipi di giochi:
- Dilemma del Prigioniero;
- Guerra dei sessi.
2. Giochi in forma estesa à serve la forma estesa per i giochi sequenziali e dinamici in cui le imprese
prendono decisioni una dopo l’altra in un’ottica intertemporale. Fondamentali per studiare la collusione,
la deterrenza all’entrata e le barriere.

1. GIOCHI IN FORMA NORMALE:

DILEMMA DEL PRIGIONIERO:
Due prigionieri che hanno commesso un delitto e questi sono posti di fronte a delle scelte: confessare o tacere,
collaborare o non collaborare. L’esito del gioco non è ottimo in quanto non possono collaborare, ma devono
scegliere ciò che è migliore per sé stessi.
Le scelte che devono intraprendere sono delle azioni ed è una scelta unica. Normalmente le azioni sono diverse
dalle strategie, perché nella realtà le strategie sono un piano di azione, presuppone la considerazione di una serie
di azioni in corrispondenza di tutte le possibili scelte che gli altri giocatori possono fare (giochi più complessi di
quello normale).
A/B CONFESSARE TACERE Esiti (payoff) in termini di anni di prigione, è dunque un
CONFESSARE - 5 ; -5 0 ; -20 payoff negativo (meno). Mettendosi nei panni di A, se B
confessa, è meglio scegliere confessare e sceglie -5.
TACERE -20 ; 0 -1 ; -1
Anche il giocatore B, se A confessa, decide di
confessare. Confessare è quindi una strategia
dominante per entrambi, in quanto è sempre migliore, tacere invece è una strategia dominata e si può eliminare.
L’esito sarà confessare per entrambi (-5;-5), ma non è l’esito migliore per i giocatori, in quanto se avessero
taciuto, avrebbero avuto un payoff migliore (-1;-1), in quanto migliorerebbe la situazione di entrambi (equilibrio
Paretiano).
L’esito (-5;-5) è un equilibrio di Nash, coppia di strategie in cui la scelta del giocatore A è ottima data la scelta di B,
allo stesso tempo la scelta del giocatore B è ottima data la scelta di A. L’equilibrio di Nash si ha normalmente in
presenza di strategie dominanti e non è un equilibrio cooperativo.
L’equilibrio di Nash è subottimale per chi giochi, ma potrebbe essere ottimo per la società: per il prigioniero è
meglio stare 1 anno in carcere invece che 5, per la società il contrario in quanto se ha compiuto un delitto, è
giusto che sia prigioniero più anni. L’equilibrio di Nash riguarda tutti gli esempi con esternalità negative.
GUERRA DEI SESSI:
Due imprese, Delta e American, 60 consumatori che hanno un prezzo di riserva (willness to pay, WTP) pari a 500,
120 consumatori che hanno una WTP pari a 220. Il costo unitario di produzione è uguale a 200 e l’aereo ha 200
posti. Siamo in una situazione di concorrenza in cui le imprese devono decidere il prezzo e hanno la possibilità di
scegliete due azioni (prezzo alto PH, prezzo basso PL):
- PH = 500;
DELTA / AMERICAN P H P L
- PL = 220.
P H 9.000 ; 9.000 0 ; 3.600
P L 3.600 ; 0 1.800 ; 1.800

* Se entrambe le imprese fanno un prezzo alto, si avrà un prezzo pari a 500. Dividendosi il mercato in due
parti uguali (60 consumatori totali), avranno 30 passeggeri ciascuno. I profitti (margine unitario) saranno:
(P – C) = 500 – 200 = 300 à P = 300 x 30 = 9.000
* Se un’impresa applica un prezzo alto e l’altro un prezzo basso, tutti i consumatori vanno dall’impresa che
avrà il prezzo più basso; una avrà 0 consumatori e l’altra 180. Quindi:
(P – C) = 220 – 200 = 20 à P = 20 x 180 = 3.600
* Se entrambe applicano un prezzo basso, si divideranno tutti i consumatori (180 consumatori): 90
consumatori per ciascuna impresa. I profitti saranno:
(P – C) = 180 – 90 = 90 à P = 90 x 180 = 1.800
Per trovare l’equilibrio di Nash, bisogna vedere se vi sono strategie dominanti. Vi sono due imprese (A e B) e una
delle strategie di A è tale da non essere mai una strategia di massimizzazione del prezzo, indipendentemente dalla
scelta fatta da B. In altre parole per l’impresa A esiste sempre una strategia alternativa che consente di ottenere
profitti maggiori rispetto alla strategia in questione; la strategia A è dominata e non sarà mai scelta. Una strategia
dominante è una strategia che consente a un’impresa di avere risultati migliori rispetto a tutte le altre sue
strategie indipendentemente da quello che fanno i rivali. Questo non implica che una strategia dominante faccia
sì che un’impresa ottenga profitti maggiori rispetto ai suoi concorrenti, ma soltanto che scegliendola essa faccia la
scelta migliore possibile per sé.
In questo gioco non vi sono né strategie dominanti, né strategie dominate. In questo caso vi sono due equilibri di
Nash. Dal gioco non si può capire quale equilibrio si manifesti nella realtà. Cosa succede nella realtà? I
consumatori preferirebbero pagare un prezzo basso, che però alle imprese non conviene.

MODELLI DI OLIGOPOLIO:
Quali sono le scelte che fanno le imprese in un contesto strategico? Le due scelte principali che le imprese
intraprendono riguardano:
- Quantità Q – Modello di Cournot, l’impresa sceglie la quantità da produrre. Ad esempio settore di
produzione dell’acciaio perché il prezzo generato sul mercato dipende dalle scelte della capacità
produttiva. I profitti dipendono dal prezzo, il quale dipende in maniera fondamentale dalla capacità
produttiva che si è scelta;
- Prezzo P – Modello di Bertrand, l’impresa sceglie il prezzo che applicherà all’output. Ad esempio
Software, CPU, Memorie…settori in cui non vi sono vincoli di capacità produttiva, la quantità può variare
liberamente, e il mercato viene creato dal prezzo.
Si avrà l’equilibrio di Nash quando, data una combinazione di prezzi (uno per ogni impresa) o una combinazione
di livelli di produzione, nessuna impresa vuole cambiare la propria decisione riguardante prezzo/quantità, date le
decisioni di tutte le altre imprese.

In che modo un monopolista può prevedere quale sarà la risposta dei suoi rivali a una determinata azione? Il
modo migliore è essere in possesso di informazioni riguardanti la struttura di mercato e le scelte strategiche
disponibili per le altre imprese. In una situazione simmetrica, dove tutte le imprese sono identiche, tali
informazioni sono facilmente reperibili. Talvolta, anche quando le imprese non sono simmetriche, hanno
comunque una certa “esperienza” o sono in possesso di altre informazioni per cui possono essere sicure riguardo
il comportamento dei propri rivali.
Un altro degli elementi principali che determina l’esito del gioco è la dimensione temporale dell’interazione
strategica. In un oligopolio formato da due imprese (duopolio) l’interazione strategica può essere sequenziale:
ciascuna impresa fa la propria mossa in ordine e, quando arriva il suo turno, deve pensare strategicamente in che
modo la mossa che sta per compiere influenzerà la mossa successiva dell’altra impresa e in che modo tale
reazione si ripercuoterà in seguito sulle scelte future (giochi dinamici). In alternativa, i due giocatori possono
effettuare le loro scelte simultaneamente, agendo senza conoscere la mossa fatta dall’altro giocatore. Ma anche
se la scelta dell’altro giocatore non è nota, il fatto di conoscere le scelte strategiche disponibili al rivale consente a
un giocatore di pensare in modo razionale e strategico sulla possibile scelta da parte dei rivali (giochi statici).
In tutti i casi la scelta strategica deve essere razionale: sulla base delle sue previsioni delle azioni dei rivali,
l’impresa sceglie le azioni in grado di massimizzare i propri profitti compiendo una scelta ottimale.

MODELLO DI COURNOT – CONCORRENZA SULLE QUANTITÀ:
Il modello di duopolio di Cournot anticipa il concetto di equilibrio di Nash. Si considera l’esempio in cui un’unica
impresa desideri entrare in un mercato attualmente servito da un monopolista ed è in grado di offrire un
prodotto identico a quello del monopolista già presente sul mercato e di produrlo allo stesso costo unitario. Il
monopolista produce al livello in cui il prezzo è maggiore rispetto al costo marginale, quindi il prezzo supera
anche il costo marginale del potenziale nuovo arrivato. Quest’ultimo riterrà di poter vendere in modo redditizio
una certa quantità nel mercato, ma secondo il ragionamento di Cournot terrà conto dell’output venduto dal
monopolista.
Se si verificasse l’entrata e la nuova impresa producesse l’output scelto, il monopolista reagirebbe in quanto
prima dell’entrata aveva scelto un output in grado di massimizzare i profitti ipotizzando che non vi fossero rivali;
ora l’ex monopolista dovrà ottimizzare il suo livello di output scegliendone uno nuovo e nel far questo, sceglierà
un livello di output che massimizza i profitti sulla base dell’output venduta dalla nuova impresa rivale.
Il processo secondo il quale ciascuna impresa sceglie un livello di output sulla base del livello di output scelto da
parte dell’altra imprese deve essere ripetuto. Cournot ha indicato le rappresentazioni grafiche di queste risposte
“curve di reazione”: ciascuna impresa ha la propria curva di reazione. La prova che Cournot abbia anticipato Nash
è data dal fatto che egli descrisse l’esito di equilibrio di questo processo come la coppia di livelli di output alla
quale la scelta dell’output da parte di ciascuna impresa è la risposta che massimizza i profitti alla quantità scelta
dall’altra.
Un altro aspetto interessante del modello è il fatto che il prezzo di equilibrio che deriva dalle scelte dell’output
delle due imprese è al di sotto di quello dell’esito di monopolio puro; tuttavia è al di sopra di quello che si
verificherebbe se vi fossero molte imprese, non solo due, e prevalesse la concorrenza perfetta.

ANALISI DI COURNOT:
Vi sono 2 imprese, la concorrenza è sulle quantità (la scelta strategica rilevante è decidere quanto produrre), bene
omogeneo, scelte simultanee (diverso dai modelli dinamici). Le due imprese sono diverse nella loro tecnologia di
produzione: MC1=C1 e MC2=C2.
La curva di domanda inversa dell’industria è lineare e può essere descritta da: P = a– bQ = a– b (q1+q2), Q è la
somma delle quantità prodotte da ciascuna delle due imprese (quantità totale venduta nel mercato), q1 è la
quantità di output scelta dall’impresa 1 già operante nel mercato e q2 è la quantità scelta dall’impresa 2, il nuovo
concorrente:
- CT1 = F + C1q1
- CT2 = F + C2q2
Decidono quanto produrre sulla base della teoria di massimizzazione dei profitti secondo la quale i ricavi marginali
devono essere uguali ai costi marginali: R¢=C¢ e P = RT – CT.
Dato che P = a – b (q1+q2) allora RT1 = P × Q = {a – b (q1+q2)} × q1= aq1 – bq12 – bq1q2
R¢1 = d RT1 / d q2 = a – bq2 – 2bq1


Dato che R¢1 = C1 allora a – bq2 – 2bq1 = C1

à q1 = {(a – C1) / 2b} – q2/2

FUNZIONE DI REAZIONE IMPRESA 1
L’equazione descrive la scelta ottimale dell’output da parte dell’impresa 1 per ogni scelta di q2 dell’impresa
concorrente. La relazione è di tipo negativo, in quanto ogni incremento dell’output dell’impresa 2 fa abbassare la
domanda e le curve dei ricavi marginali dell’impresa 1. È possibile rielaborare in modo simmetrico la curva di
domanda dell’industria per dimostrare che la domanda individuale dell’impresa 2 dipende analogamente dalla
scelta dell’output da parte dell’impresa 1:

q2 = {(a – C2) / 2b} – q1/2 FUNZIONE DI REAZIONE IMPRESA 2

Considerando la curva di reazione dell’impresa 1, quella che
inizialmente era il monopolista. La curva rivela che se l’impresa 2 non
produce niente, l’impresa 1 dovrebbe produrre la quantità ottimale (a –
C)/2b, che è il livello di produzione ottimale per il monopolio senza
concorrenti, ovvero quello che l’impresa 1 produce inizialmente.
Si consideri la curva di reazione dell’impresa 2, essa indica che se
l’impresa 1 producesse al presunto livello (a – C)/2b, la cosa migliore per
l’impresa 2 sarebbe produrre al livello (a – C)/4b per entrare nel
mercato. Se l’impresa 2 sceglie quel livello, l’impresa 1 non otterrà più il migliore risultato per sé producendo al
livello di monopolio, ma massimizzerà i profitti scegliendo la quantità q1 = 3 (a – C)/8b.
Nessuno degli output o delle combinazioni strategiche appena descritte corrisponde a un esito di equilibrio. In
ciascuno dei casi, la reazione di un’impresa si basa su una scelta di output da parte dell’altra impresa che non è la
reazione ottimale da parte di quell’altra impresa. Perché l’esito sia un equilibrio, deve avvenire che ciascuna
impresa risponda in modo ottimale alla scelta del proprio rivale. L’equilibrio necessita che entrambe le imprese
siano sulle loro rispettive curve di reazione e questo avviene solo in corrispondenza di un’intersezione delle due
curve di reazione.
Assumendo C1 = C2 = C (costo marginale costante), l’equilibrio di Nash sarà caratterizzato dalle seguenti quantità
(calcolate dal sistema). L’equilibrio di Cournot/Nash è dato dalle quantità:
- q1* = (a – C)/3b
- q2* = (a – C)/3b
Nel grafico è il punto di intersezione delle due curve di reazione. Risultati di Cournot:
2 IMPRESE n IMPRESE
Qi = 1/3 [(a–C)/b] qi = 1/(n+1) [(a–C)/b]
Q = 2/3 [(a–C)/b] Q = n/(n+1) [(a–C)/b]
P = 1/3 (a+2C) P = [(a+nC) / (n+1)]
Pi = 1/qb (a–C)2 – F Pi = 1/b [(a–C)/(n+1)]2 – F
Se n ® ¥ Se n = 1
qi ® 0 q = 1/2[(a–C)/b]
Se n­, P¯, quindi il P dipende Q = (a–C)/b Q = 1/2 [(a–C)/b]
dal numero di imprese nel P = C P = (a+C)/2 > Cournot
mercato! Pi ® 0 Pi = 1/4b (a–C)2 – F
CONCORRENZA PERFETTA MONOPOLIO
Il modello di duopolio di Cournot ha un unico equilibrio di Nash, che è l’esito del gioco.

Un altro elemento importante da valutare è che nel modello di Cournot ciascuna impresa produce il suo output di
equilibrio di Nash di (a – C)/3b, il che implica che l’output totale dell’industria è 2(a – C)/3b, chiaramente
maggiore dell’output di monopolio per l’industria che sarebbe QM = (a – C)/2b e al contempo minore dell’output
perfettamente concorrenziale QC = (a – C)/b.
Di conseguenza, il prezzo di equilibrio nel modello di Cournot è P = (a+2C)/3, minore del prezzo di monopolio PM =
(a+C)/2 e maggiore del prezzo concorrenziale PC = C.
Il modello di duopolio di Cournot implica che il risultato dell’interazione tra due imprese sia un output
dell’industria maggiore e a un prezzo minore rispetto a quanto avverrebbe in situazione di monopolio, ma
inferiore a quello che si ottiene in una situazione di concorrenza perfetta.

NB: se le due imprese colludessero, si avrebbe una massimizzazione
dei profitti congiunti. Produrrebbero la stessa quantità di
monopolio: q=(1/4)[(a–C)/b]. È un equilibrio il punto di collusione?
In realtà non può essere realistica in questo contesto, perché se
producesse davvero questa quantità, l’impresa ottima sarebbe
un’altra e maggiore rispetto a quella di collusione (simile al dilemma
del prigioniero).
L’offerta complessiva è maggiore rispetto alla situazione di
monopolio, quindi il prezzo è minore.

ANALISI n ® ¥ – CASO CON MOLTE IMPRESE:
L’aggiunta di una seconda impresa allontana l’impresa ex monopolista dall’esito di monopolio, avvicinandola a
quello che si ottiene in caso di concorrenza perfetta. L’introduzione di una terza imprese o più avvicinerebbe
ancora di più l’industria all’ideale concorrenziale? Dalla tabella precedente si ha:
- Q* = n/(n+1) [(a–C)/b]
- P* = [(a+nC) / (n+1)]
Quando il numero di imprese in un’industria diventa molto elevato, il prezzo di equilibrio P* converge verso il
costo marginale C. Questo è uguale al risultato perfettamente concorrenziale. Inoltre anche l’output totale
dell’industria è analogamente vicino all’output concorrenziale quando n è elevato.
Mano a mano che aumenta il numero di imprese identiche che vendono nel mercato, l’output di equilibrio di
Cournot del mercato continua a salati e il prezzo a scendere, fino a che, con molte imprese (ciascuna impresa
diventa più piccola rispetto al mercato), ci si avvicina all’equilibrio concorrenziale. Gli esiti di mercato migliorano
quando diminuisce la concentrazione del mercato e ci si avvicina allo standard concorrenziale.
Nel caso di imprese non identiche con costi marginali diversi, si ha che la risposta ottimale di ciascuna impresa
riflette il proprio specifico costo marginale: la posizione nel grafico della funzione di risposta ottimale di ciascuna
impresa è influenzata dal suo costo marginale. Il grafico illustra la funzione di
risposta ottimale di ciascuna impresa ipotizzando inizialmente che ciascuna
abbia costi identici; poi il costo unitario dell’impresa 2 aumenta producendo un
abbassamento dell’output ottimale dell’impresa 2 per ciascun livello di q1
(spostamento curva di risposta dell’impresa 2 verso l’interno). Questa variazione
della funzione di risposta ottimale dell’impresa 2 incide sugli output di equilibrio
che le due imprese sceglieranno. Un aumento del costo marginale dell’impresa 2
comporta un nuovo equilibrio nel quale l’impresa 1 produce più di quanto
faceva nell’equilibrio iniziale, mentre l’impresa 2 produce meno. Le variazioni
però non sono bilanciate: l’output dell’impresa 2 diminuisce di più di quanto
aumenti la produzione dell’impresa 1, per cui il nuovo equilibrio è caratterizzato,
rispetto all’equilibrio inziale, da una minore quantità complessiva di output.
L’impresa con costi marginali inferiori avrà l’output maggiore. Nel modello di Cournot, le imprese con costi più
elevati hanno quote di mercato e profitti minori. Questo significa che un’impresa alla Cournot trae vantaggio
quando i costi dei suoi rivali aumentano. Inoltre quando i costi variano da impresa a impresa, l’output di equilibrio
di Cournot Q* non soltanto è troppo basso (ossia inferiore al livello concorrenziale), ma è anche prodotto in modo
non efficiente. Questo perché una produzione efficiente da parte di due o più imprese richiederebbe che l’output
fosse distribuito in modo tale che, nella configurazione finale, il costo marginale di ciascuna impresa fosse lo
stesso. Tuttavia, l’equilibrio di Cournot non richiede che i costi marginali delle imprese siano eguagliati. Pertanto,
la distribuzione dell’output in equilibrio di Cournot con costi diversi per le varie imprese non è efficiente.

CONCENTRAZIONE E REDDIVITÀ NEL MODELLO DI COURNOT:
Si è la quota di mercato della i-esima impresa in equilibrio, h è l’elasticità del prezzo alla
(P – C) Si domanda nell’industria. È l’indice di Lerner del potere di mercato: maggiore è il potere di
¾¾¾ = ¾¾ mercato dell’impresa i, maggiore è la sua capacità di mantenere i prezzi al di sopra del costo
P h marginale.
L’equazione è un ulteriore implicazione del modello di Cournot esteso al caso di molte
(P – C) H imprese con costi diversi: indica che un’impresa che produce in un’industria dove la
domanda è relativamente anelastica e dove ha una quota di mercato relativamente ampia,
¾¾¾ = ¾¾
sarà anche un’impresa con un livello sostanziale di potere di mercato, misurato dall’indice di
P h
Lerner o dalla distorsione prezzo-costo marginale dell’impresa.
La prima equazione riguarda il potere di mercato a livello dell’impresa. Dato il paradigma SCP che collega il
potere di mercato, misurato dall’indice di Lerner, alla struttura dell’industria, si può estendere la relazione (prima
equazione a livello dell’impresa i-esima) a livello dell’intera industria.
La seconda equazione mette in evidenza l’indice di Herfindahl definito come misura della concentrazione: mano
a mano che la concentrazione aumenta, anche i prezzi aumentano sempre più al di sopra del costo marginale
(medio).

ANALISI NORMATIVA:
* CS: se n­, CS­ rispetto al monopolio (viene massimizzato il CS).
* Profitti totali:
- massimi in monopolio;
- 0 in concorrenza perfetta;
- intermedi in Cournot.
* DWL data dal potere di mercato:
- massima in monopolio;
- 0 in concorrenza perfetta;
- intermedia in Cournot.
se n­, DWL ¯

MODELLO DI BERTRAND – CONCORRENZA DEI PREZZI:
Il modello standard di duopolio di Cournot, riformulato in termini di strategie di prezzi piuttosto che delle
quantità, prende il nome di Modello di Bertrand. Ciascuna impresa sceglie il prezzo da applicare, non vi sono
vincoli alla capacità produttiva perché i costi marginali sono bassi oppure i beni sono semplici, quindi l’impresa
sceglie anche la quantità da produrre.
Tendenzialmente questi mercati sono simili alla concorrenza perfetta e i beni hanno prezzi molto bassi, i profitti
sono prossimi allo 0. Vi sono due imprese che scelgono le loro strategie simultaneamente. Ciascuno produce lo
stesso identico bene allo steso costo marginale costante c e conosce la struttura della domanda di mercato.
Ipotesi del modello:
- bene omogeneo;
- scelte di prezzo simultanee (gioco simile al “Dilemma del prigioniero”);
- MC1 = MC2 (costi marginali uguali) e domanda Q = D(P).
Situazioni:
1. se P1<P2, ovvero l’impresa 1 fa un prezzo minore dell’impresa 2:
q1 = D(P1) e q2 = 0, l’impresa 1 si prende tutto il mercato. Questo perché il bene è omogeneo, quindi i
consumatori andranno dall’impresa che offre il bene con il prezzo minore. L’impresa 2 non servirà alcun
cliente.
2. Se P1>P2 allora q1 = 0 e q2 = D(P2).
3. Se P1 = P2 = P allora q1 = q2 = D(P). Le due imprese si dividono equamente il mercato. Quando entrambe le
imprese fanno pagare un prezzo identico, lo stesso numero di clienti si rivolgerà a ciascuno dei due
produttori.
La strategia ottimale dell’impresa è quella di fare un prezzo più basso del concorrente per accaparrarsi tutti i
consumatori. Curve di reazione:

P1


PM

P1’


P1


MC1


45° P2’’
P2 P2’= PM
MC1

* Linea arancione à curva di reazione ottima dell’impresa 1 in funzione del prezzo dell’impresa 2;
* Linea blu à curva di reazione ottima dell’impresa 2 in funzione del prezzo dell’impresa 1.
* Le imprese non sceglieranno mai un prezzo minore del costo marginale, in quanto non sarebbe una
risposta ottima;
* Se l’impresa 2 sceglie un prezzo P2’’ molto alto, all’impresa 1 conviene sempre scegliere un PM perché è il
prezzo che gli massimizza i profitti. La curva di reazione si ferma in quanto non ha più convenienza ad
alzare i prezzi (curva continua orizzontale).
* Se l’impresa 2 sceglie un PM, all’impresa 1 conviene scegliere un prezzo P1’ leggermente più basso del PM
per prendersi tutto il mercato.
La logica è quella di fare un prezzo leggermente più basso di quello del concorrente, mai inferiore al MC o
superiore al PM. Questo ragionamento vale per entrambe le imprese. Anche in questo caso vi è l’equilibrio di
Nash (stella) denominato equilibrio di Nash Bertrand (P=MC), punto in cui nessuna delle due sarà incentivata a
cambiare. I prezzi più alti del punto di equilibrio, mettono in atto un meccanismo che induce le imprese ad
abbassare i prezzi fino ad arrivare al prezzo più basso, ovvero P=MC (prezzo uguale al costo marginale).
Per questo motivo si dice che il modello sia simile al modello di concorrenza perfetta. La differenza è che ora,
invece di molte imprese di piccole dimensioni come in concorrenza perfetta, vi sono solo due imprese e ciascuna
di grandi dimensioni rispetto al mercato.

Risultati del Modello di Bertrand:
1. P = 0;
2. La collusione non esiste;
à Nell’equilibrio di Nash però le imprese non hanno il profitto maggiore perché se colludessero al fine di fissare
entrambe un PM per avere un P = 0 rispetto alla situazione P=CM. Quindi vi è incentivo alla collusione, anche se
questo non sarebbe un punto di equilibrio.
3. Se le imprese sono simmetriche, si può rappresentare il modello in modo differente:
MC1 ¹ MC2 , C1<C2 la curva di domanda sarà,

P Essendo imprese simmetriche, vince quella più
efficiente. L’impresa in questo caso fa un prezzo P
C 2 leggermente più basso del costo marginale
P dell’impresa 2 (C2), la quale deve per forza
P scegliere un prezzo P= C2 in quanto è il prezzo più
C 2
basso possibile, altrimenti avrebbe P<0.
Relazione tra numero di imprese e livello di Q
profitto (implicazione): non vi è relazione fra numero di imprese e livello di P. Molti economisti si basano su
questa supposizione per dire che bastano 2 imprese per avere concorrenza.
Il risultato più importante del modello di Bertrand è P = 0 (solo se i costi marginali sono simili). È un paradosso in
quanto si ha concorrenza sui prezzi ma profitti nulli (Paradosso di Bertrand). Nella realtà, con concorrenza sui
prezzi, i profitti dovrebbero essere positivi. Il modello ha suscitato molti dibattiti perché non riesce a spiegare
alcuni risultati che si hanno nella realtà, come ad esempio P > 0.
Bisogna ridiscutere le ipotesi (al fine di dimostrare quando P>0):
1. Bene omogeneo à beni differenziati (concorrenza con beni differenziati);
2. Scelte simultanee/scelta uniperiodale à scelte ripetute nel tempo (interazione strategica). L’interazione
prolungata induce la possibilità di avere profitti maggiori;
3. Non vi sono vincoli alla capacità à ci sono sempre vincoli alla capacità produttiva;
4. Non vi sono barriere all’entrata à nella realtà ci sono barriere all’entrata.

IPOTESI 3 – VINCOLI ALLA CAPACITÀ PRODUTTIVA:
- q1 £ k1
- q2 £ k2 k1 e k2 sono i vincoli alla capacità produttiva
- MC = 0 K = k1 + k2 capacità produttiva complessiva
Situazione iniziale in cui con P* le imprese operano alla massima
capacità produttiva e fanno P>0.
È un equilibrio di Nash? Le imprese hanno incentivo a modificare la
situazione? Se l’impresa 2 ha convenienza a fare un prezzo più basso di
P* allora il punto non è un equilibrio di Nash.
Se le imprese producono alla massima capacità produttiva, il prezzo è
P*. l’impresa 2 ha una curva di domanda iniziale meno la parte
prodotta dall’impresa 1, basta togliere k1 dalla domanda totale e si
ottiene la domanda residuale dell’impresa 2.
L’impresa 2 non ha incentivo a modificare il prezzo P*, né a porlo più basso, né più alto perché in quest’ultimo
caso dovrebbe produrre di meno, ovvero se alza il prezzo, diminuiscono i P in quanto si ha una diminuzione nella
quantità più che proporzionale.
Risultato: l’equilibrio è un equilibrio di Nash perché le imprese non hanno incentivo a deviare le scelte effettuate.
Se vi sono vincoli, il modello di Bertrand non vale più perché richiede P=0, invece in questo caso si hanno P>0.
Una possibile spiegazione della presenza di profitti positivi è data dal fatto che vi siano vincoli alla capacità
produttiva, però potrebbe non essere solo questo il motivo.
I vincoli di capacità vengono scelti dall’impresa che decidere quanto produrre. Quindi i vincoli sono endogeni e
sono scelti dall’impresa stessa, quindi si guarderà il modello che spiega la scelta della capacità produttiva, ovvero
il modello di Cournot (modello a due stadi). Endogenizzando il vincolo di capacità produttiva, si ritorna al
modello di Cournot con tutti i risultati: P>0, che dipendono dal numero di imprese che vi sono nel mercato.
È un gioco a due fasi:
1. Prima fase: le due imprese scelgono il livello di capacità. Nessuna impresa acquisirà capacità sufficiente
a servire l’intero mercato quando i prezzi, nella fase due, vengono fissati pari al costo marginale;
2. Seconda fase: competono sui prezzi.
Se nessuna delle due imprese acquisisce quella grande capacità, la soluzione di Bertrand di ciascuna impresa che
fa pagare u prezzo pari al costo marginale non può essere un equilibrio di Nash. L’equilibrio in un modello di
competizione dei prezzi con vincoli di capacità produttiva conduce lontano dall’esito base di Bertrand,
avvicinando a quello del modello di Cournot.

IPOTESI 1 – CONCORRENZA DI PREZZO CON PRODOTTI DIFFERENZIATI:
Vi sono due imprese che producono beni differenziati. Scelta a due stadi:
1. Due imprese differenziate che si fanno concorrenza sul prezzo. Si avrà un equilibrio di Nash con P>0. Ci si
allontana dalla concorrenza perfetta e dal Modello di Bertrand differenziando per avere positivi.
2. Scelta di posizionamento.
NB: il concetto di posizione funziona come metafora per qualsiasi differenza qualitativa fra prodotti. Invece di
avere due negozi geograficamente distinti, si può pensare a due prodotti commercializzati da due diversi imprese
che si differenziano per qualche caratteristica.

Vi sono 2 imprese, N consumatori, t è il costo unitario (costo per unità di misura) del trasporto per il
consumatore e può rappresentare in generale il costo psichico (quanto il prodotto/servizio si allontana da quello
desiderato dal consumatore, in termini di disutilità). Il modello di localizzazione geografica:

Come nel modello base di Bertrand, le due imprese competono per
accaparrarsi i clienti stabilendo rispettivamente prezzi P1 e P2, scelti
simultaneamente. Quello che interessa è trovare una soluzione di
equilibrio di Nash al gioco. Le imprese abbasseranno il prezzo (per
ottenere profitti postivi) sulla base delle scelte delle altre imprese e
dovranno anche tenere conto della funzione di utilità del consumatore
(t è la disutilità).
L’impresa 2 fa un prezzo P2<P1. Xm è il consumatore marginale, ovvero
è indifferente se acquistare dall’impresa 1 o dall’impresa 2; in
entrambi i casi ottiene lo stesso CS. Vi è una suddivisione di mercato
tra le due imprese: in corrispondenza di ciascun gruppo di prezzi P1 e
P2, tutti i consumatori a sinistra di Xm acquistano dall’impresa 1,
mentre tutti quelli alla destra acquistano dall’impresa 2. Xm è la
porzione di mercato che acquista dall’impresa 1, mentre (1 – Xm) quella che acquista dall’impresa 2.
L’impresa variando il prezzo, produce una variazione della domanda, che è inclinata negativamente: l’impresa
sceglie P e Q, quindi si è di nuovo in una situazione di potere di mercato. Se il prezzo dell’impresa è P1’, l’impresa
1 rischia di non vendere nulla e se l’impresa sceglie un prezzo P>P1’, non venderà a nessun consumatore.
P1’ = P2 + t: il consumatore è indifferente se acquistare dall’impresa 1 o dall’impresa 2. Se invece l’impresa
abbassa il prezzo a P1’’, il consumatore indifferente sarà Xm’ e il mercato dell’impresa 1 aumenta.

Curva di domanda impresa 1 – D1(P1|P2):

Curva di domanda decrescente: l’impresa sceglie esattamente come un’impresa
con potere di mercato e sceglierà una quantità che le permetta di vendere il bene
ad un prezzo più alto, data però la scelta dell’altra impresa. Se P2 aumenta, la
curva di domanda si abbassa e l’impresa 2 guadagna mercato a discapito
dell’impresa 1.

Vi è un equilibrio di Nash in questa situazione?
Bisogna costruire le curve di reazione ottime delle imprese; quando vi è
intersezione tra le curve, si ha l’equilibrio di Nash.
Sebbene i consumatori differiscano quanto alla variante o posizione del bene che essi considerano il migliore, o il
loro prodotto ideale, essi attribuiscono un identico prezzo di riserva V al loro prodotto preferito. Si ipotizzi che V
sia molto maggiore del costo unitario di produzione, c. Si presume che ciascun consumatore acquisti almeno una
unità di prodotto. Se il consumatore x acquista un bene che non corrisponde al suo ideale, è soggetto a una
perdita di utilità. Nello specifico, il consumatore x sostiene il costo tX se consuma il bene 1 (posizionato in
corrispondenza di X=0) e il costo t(1–X) se consuma il bene 2 (posizionato in corrispondenza di X=1). Se il
consumatore acquista:
- Il bene 1 al prezzo P1, ha un CS = V – P1 – tX1;
- Il bene 2 al prezzo P2, ha un CS = V – P2 – t(1–X2).
Il consumatore acquisterà il bene che gli offre il maggior CS, ammesso che esso sia maggiore di 0. Quando l’intero
mercato viene servito, ci sarà un consumatore marginale Xm per il quale è indifferente acquistare dall’impresa 1 o
2. In entrambi i casi ottiene lo stesso CS. Dal pdv algebrico, questo significa che il consumatore Xm:

V – P1 – tX1 = V – P2 – t(1–X2) perché i CS sono indifferenti e si pongono uguali


L’equazione può essere risolta per trovare l’indirizzo o la posizione del consumatore marginale Xm:

- Xm (P1, P2) = (P2 – P1 + t) / 2t consumatori che acquistano dall’impresa 1


- (1 – X m ) = (P 1 – P 2 + t) / 2t consumatori che acquistano dall’impresa 2

Maggiore è P 2 rispetto a P1, più i consumatori andranno dall’impresa 1 e viceversa. Se invece P1=P2, le imprese si
dividono esattamente il mercato a metà. Le funzioni di domanda delle imprese saranno:
si moltiplicano le formule precedenti per N al fine di ottenere
- D1(P1, P2) = [(P2 – P1 + t) /2t ]×N il livello della domanda. Le funzioni di domanda di ciascuna
- + impresa sono decrescenti nel proprio prezzo, ma crescenti in
- D2(P1, P2) = [(P1 – P2 + t) /2t ]×N quello del concorrente. A differenza del modello di Bertrand,
+ - la funzione di domanda alla quale ciascuna impresa fa fronte
è continua sia in P1 sia in P2. Questo perché quando i beni

sono differenziati, una decisione per esempio dell’impresa 1 di stabilire P1 leggermente superiore a quello del
concorrente P2, non comporta che l’impresa 1 perda tutti i suoi clienti, ma solo una parte di essi; l’altra parte di
consumatori preferiranno sempre acquistare il bene 1 anche al prezzo più elevato, semplicemente perché
preferiscono quella versione del bene rispetto a quello commercializzato dall’impresa 2. La continuità delle
funzioni di domanda si trasmette alle funzioni dei profitti:
- P1(P1, P2) = (P1–c) × [(P2 – P1 + t) /2t]×N
- P2(P1, P2) = (P2–c) × [(P1 – P2 + t) /2t]×N

Per calcolare la strategia di prezzo con risposta ottimale dell’impresa 1, è necessario capire come variano i profitti
dell’impresa 1 quando varia il prezzo P1 in risposta a un dato prezzo P2 stabilito dall’impresa 2. Il modo più
semplice per farlo consiste nel considerare la derivata della funzione dei profitti rispetto a P1. Imponendo la
derivata pari a 0, è possibile risolverla nel prezzo ottenendo la risposta ottimale dell’impresa 1, P1* rispetto a un
dato prezzo P2 stabilito dall’impresa 2. Ovviamente, anche applicando attentamente il metodo di soluzione
alternativo, che consiste nel convertire la curva di domanda dell’impresa 1 nella sua forma inversa e nel risolverla
nel punto al quale i ricavi marginali pareggiano con il costo marginale, si ottiene lo stesso risultato corretto.
Dall’equazione della funzione di domanda è possibile scrivere la funzione di domanda inversa dell’impresa 1 dato
P2 stabilito dall’impresa 2:

P1 = P2 + t – (2t/N)×X funzione di domanda inverna impresa 1
R1¢ = dRT/dX = P2 + t – (4t/N)×X curva dei ricavi marginali impresa 1


Per la massimizzazione dei profitti, bisogna porre ricavo marginale uguale al costo marginale (R¢=c):
scelta del prezzo ottimo che massimizza i
P2 + t – (4t/N)×X = c à P1* = (P2 + t + c) /2 profitti data la scelta del concorrente. Le
P2* = (P1 + t + c) /2 funzioni di risposta

ottima delle imprese hanno pendenza positiva. La coppia di prezzi in equilibrio (P1*, P2*) è un equilibrio di Nash:
P1* è la risposta ottimale da parte dell’impresa 1 a P2* e viceversa.

P1* = P2*= t+c: in equilibrio, ciascuna impresa fa pagare un prezzo che è pari al
costo unitario di produzione più una somma t, il costo utilità/valore che il
consumatore attribuisce al fatto di ottenere la versione preferita del prodotto. A
questi prezzi, le imprese si suddividono il mercato. Il consumatore si trova in x =
1/2 e i profitti ottenuti da ciascuna impresa sono gli stessi e sono pari a:
P = (P–C)× 1/2 N dato che (P–C)=t à P = t × 1/2 N
Vi è sempre un meccanismo che, nel caso le imprese abbassino/aumentino il
prezzo, si mette in moto e riporta la situazione all’equilibrio di Nash.

Il potere di mercato è direttamente proporzionale a t, quindi se t aumenta, spostarsi costa molto e si dà
maggiore valore ai prodotti a cui si attribuisce più preferenza, ovvero meno disposto sarà il consumatore ad
acquistare il prodotto “lontano” dalla sua posizione, dal suo prodotto o dal suo modello preferiti.
Interpretazione: i profitti delle imprese dipendono da quanto sono specifiche le preferenze del consumatore.
- Se t è elevato, la concorrenza dei prezzi fra le due imprese si attenua: un valore elevato di t significa che
la differenziazione del prodotto rende la concorrenza dei prezzi molto meno intensa. Le imprese possono
fare un prezzo alto in quanto i consumatori acquisterebbero ugualmente (situazione simile al monopolio);
- t diminuisce, i consumatori attribuiscono meno valore al fatto di ottenere il loro prodotto preferito; essi
sono attratti dai prezzi più bassi, il che intensifica la concorrenza dei prezzi;
- Nel caso limite t=0, la differenziazione del prodotto non ha valore agli occhi dei consumatori, i quali
trattano tutti i beni come essenzialmente identici. La concorrenza dei prezzi diventa agguerrita e porta i
prezzi al costo marginale proprio come nel modello originario di Bertrand (beni omogenei).
La differenziazione è un elemento importante per generare profitti alti. Le preferenze dei consumatori sono
endogene e quindi le imprese cercano di influenzare le preferenze dei consumatori attraverso strategie di
marketing per indurre e influenzare le preferenze e avvicinare i consumatori verso la propria impresa.


Modelli assimilabili a quello appena visto:
* I consumatori non sono perfettamente informati sui prezzi, quindi devono effettuare un costo di ricerca
(t);
* I consumatori sostengono un costo per cambiare prodotto e quindi sostengono dei costi di rimpiazzo
(switching cost) t.
Entrambi questi costi possono essere influenzati dalle imprese per aumentare t, quindi i prezzi e di conseguenza i
profitti.

2. GIOCHI IN FORMA ESTESA:

IPOTESI 2 – DIFFERENZIAZIONE DEI PRODOTTI COME COMPETIZIONE A STADI:
Uno dei fattori più rilevanti che caratterizza la competizione tra le imprese è la complessa sequenza di decisioni
che queste devono prendere nel tempo. Le scelte relative a quantità da produrre e prezzi sono solo alcune di
queste decisioni e spesso hanno luogo dopo che altre importanti decisioni, anche delle imprese rivali, sono già
state prese ad esempio quelle relative all’entrata nel mercato. I giochi nei quali le imprese che vi prendono parte
compiono le loro azioni in momenti diversi nel tempo (ovvero in periodi diversi, chiamati stadi del gioco)
assumono il nome di giochi dinamici.

SCELTA DI POSIZIONAMENTO – SECONDO STADIO:
Le imprese non si trovano più alle estremità, ma possono spostarsi “fisicamente”. L’impresa 1 si sposta verso
destra, la curva si abbassa e guadagna una parte di mercato (da Xm a Xm’). L’effetto diretto porta l’impresa 1 ad
avvicinarsi all’impresa 2 per portarle via consumatori.
L’impresa 2, in seguito a questo spostamento, si sposterà a
sua volta verso il centro, tornando così alla situazione di
equilibrio di Nash. I prezzi risultano essere tanto più bassi
tanto più bassi quanto più le imprese sono vicine tra loro.
Quando i due negozi sono più vicini tra loro, i prodotti sono
meno differenziati e la più intensa competizione di prezzo che
ne risulta obbliga le imprese ad abbassare i prezzi. Si può
indicare questo come l’effetto strategico della
differenziazione dei prodotti, che passa attraverso la reazione
sui prezzi per prodotti più o meno differenziati. Questo
processo di avvicinamento ha degli incentivi continui. Se entrambe le imprese si spostano verso il centro:
Entrambe le imprese convergono al centro, in cui il costo di trasporto t è
nullo, sono sullo stesso posto e quindi si ritorna al modello di bene
omogeneo (Modello di Bertrand). In questa situazione il pezzo scende fino
a trovarsi uguale al costo marginale. Se P=0, l’incentivo è di nuovo quello
di differenziarsi per scappare dal modello di Bertrand. Vi è una coincidenza
sia di forze che spingono a differenziarsi sia a concorrere sul prezzo.
Questa è una dinamica che caratterizza i mercati costituiti da beni
differenziati. Si parla di effetto:
*Diretto: imitazione, voler essere uguali ai concorrenti. Con mercati molto
differenziati, si cerca di “rubare” caratteristiche del concorrente per accaparrarsi più concorrenti;
* Strategico: differenziazione. Se i beni sono omogenei e i mercati molto competitivi, le imprese devono
differenziarsi.
Se si tiene conto di entrambi questi modelli, è impossibile trovare un equilibrio perché vi è un meccanismo
dinamico. Questo esempio dimostra il “principio della massima differenziazione”: quando prevale l’effetto
strategico (ovvero di prezzo) sull’effetto diretto, come in questo caso, allora l’equilibrio implica che le imprese si
collochino agli estremi differenziandosi il più possibile. L’effetto strategico sarà tanto elevato quanto più i
consumatori saranno sensibili a variazioni di prezzo; ciò accade quando i costi aumentano più che
proporzionalmente con la distanza. Per convincere un consumatore lontano ad acquistare, ogni impresa deve
essere molto competitiva offrendo un prezzo più basso dell’impresa rivale, che da parte sua si comporta allo
stesso modo, con l’effetto che la competizione sui prezzi sarà molto intensa. Per evitare tutto ciò, le imprese
preferiscono differenziarsi maggiormente, così da ridurre il più possibile la competizione di prezzo. Quest’analisi
ha permesso di identificare in sequenza le scelte ottimali delle imprese rispetto alla varietà o localizzazione del
proprio prodotto e le conseguenti scelte di prezzo.

IPOTESI 4 – BARRIERE ALL’ENTRATA – COMPORTAMENTI DI DETERRENZA:
Strategie che le imprese già presenti nel mercato possono utilizzare per ridurre la pressione competitiva oppure
ostacolare l’entrata nel mercato di nuovi concorrenti e ottenere profitti superiori a quelli concorrenziali. In questo
caso, l’interazione strategica avviene tra un’impresa dominante o insediata che già opera sul mercato, ha un
potere di mercato molto elevato e riesce a fare profitti alti per molto tempo, e potenziali o effettivi nuovi
concorrenti o entranti. La possibilità che le grandi imprese già presenti sul mercato possano eliminare o impedire
l’entrata nel mercato stesso dei loro concorrenti ha destato numerose preoccupazioni, che hanno ispirato la
creazione delle leggi antitrust e che da sempre hanno un ruolo centrale nelle dispute in materia antitrust. In base
alla generalità delle norme antitrust è illegale monopolizzare o tentare di monopolizzare qualsiasi tipo di attività
economica. Perché questa norma venga applicata è necessario comprendere quali possano essere le iniziative
adottate da un’impresa per “monopolizzare” il mercato. Questo tipo di comportamento è un’attività di
deterrenza o espulsione delle imprese.
* Entrata: inizio della produzione e delle vendite da parte di una nuova impresa in un mercato;
- Nuove imprese (startup);
- Imprese già attive in altri mercati e settori (diversificazione). L’acquisizione non è inclusa.
* Uscita: si verifica quando un’impresa smette di produrre e vendere.

Fatti stilizzati:
Critica ad alcuni modelli di base visti:
- Entrata e uscita sono un fenomeno pervasivo e contemporaneo, vi è sempre corrispondenza tra entrata e
uscita;
- Le imprese entranti sono di dimensione più piccoli, tendono a non crescere e rimanere tali. Nella maggior
parte dei casi, le startup falliscono nei primi 3-4 anni;
- I fenomeni di entrata e di uscita variano sensibilmente a seconda dei settori.

Cosa determina il numero di imprese in un mercato?
N = ÖE/F formula che serve per calcolare il “numero giusto” di imprese in un mercato, non per calcolare o
evidenziare le barriere all’entrata. I due fattori più importanti che determinano il numero di imprese nel mercato
sono:
1. Dimensione del mercato (E): a parità di F, mi aspetto settori più concentrati in paesi piccoli;
2. Costi fissi (F): influenzano la scala minima efficiente ed economie di scala. A parità di E, mi aspetto settori
più concentrati con F più elevati.

DECISIONE DI ENTRATA:
Un’impresa che massimizza il profitto entra nel mercato se i sunk cost sono inferiori al valore attuale dei profitti
attesi dopo l’entrata, ovvero se i sunk cost sono ammortizzabili dalle entrate successive. La barriera all’entrata
deve agire:
- sui sunk cost di entrata (costi di marketing, apprendimento, accesso a risorse chiave…), che l’impresa
insediata ha già sostenuto e l’impresa entrante deve sostenere per poter entrare nel mercato;
- o sui profitti attesi post-entrata (deterrenza e problema della credibilità delle minacce).

Quali fattori ostacolano veramente l’entrata?
Vi sono barriere all’entrata quando non si può entrare in un mercato in cui vi sono opportunità di profitto, ma
imprese o altri fattori ne impediscono l’entrata. Vi sono diverse definizioni di barriere all’entrata:
* “…there is a lot of confusion and when not confusion there is disagreement…” (McAfee, 2004);
* le barriere all’entrata sono le condizioni che permettono alle imprese già presenti nel mercato di ottenere
extraprofitti senza attrarre nuove imprese (Bain, 1956);
* sono un costo di produzione che deve essere sostenuto da un’impresa che cerca di entrare sul mercato
ma non grava sulle imprese già presenti nel settore (Stigler, 1968).

Si possono distinguere due categorie/tipologie di barriere all’entrata:
1. barriere strutturali o esogene: non dipendono da elementi concorrenziali o comportamenti delle
imprese, ma derivano da condizioni interne al mercato come fattori tecnologici e istituzionali.
- economie di scala e di scopo (F): collegate ai sunk cost che sono quasi sempre endogeni se decisi
dall’impresa per entrare nel mercato perché dipendono da quello che stanno facendo le imprese
insediate, quindi la scelta va valutata in un mercato concorrenziale;
- economie di apprendimento: dipendono dalla tipologia di produzione. È più difficile entrare in un
mercato quando vi sono skills e apprendimento alti;
- barriere legali-amministrative;
- barriere geografiche: fisiche, fiscali, linguistiche, culturali;
- controllo risorse essenziali: know-how tecnologico, materie prime, distribuzione e localizzazioni;
brevetti, segreto industriale; contratti di esclusiva. Sono sempre oggetto di scelte endogene nel
lungo periodo (esogene nel breve periodo) come risultato delle scelte delle strategie dei
concorrenti.
2. barriere strategiche (pratiche predatorie): qualunque strategia che ha come obiettivo specifico quello di
scoraggiare altre imprese dal competere in un mercato. Una strategia è considerata predatoria se la
strategia adottata risulta profittevole solo nel caso in cui determini l’uscita del rivale dal mercato o
scoraggi l’entrata di un potenziale concorrente.

PRATICHE PREDATORIE:
Vengono guardate queste azioni delle imprese da parte dell’antitrust, piuttosto che elementi strutturali.
L’antitrust è interessato a concorrenti che generano mercati inefficienti, abuso di posizione dominante, tutti i
comportamenti che alterano la concorrenza, solo se producono inefficienza. Le pratiche predatorie sono pratiche
di costruzione di barriere all’entrata:
1. prezzo limite e il problema delle minacce;
2. pratiche che scoraggiano l’entrata rendendo credibile un comportamento aggressivo in caso di entrata.
Pratiche che scoraggiano l’entrata aumentando i costi dei rivali ed effettivamente convengono per
costruire barriere all’entrata:
- over-investimento in capacità: l’impresa insediata, se entra la concorrente, espande la
produzione e fa un prezzo più basso escludendola dal mercato;
- proliferazione dei prodotti: occupare tanto spazio;
- tying/bundling (pacchetti di prodotto);
- clausole contrattuali;
- contratti in esclusiva.
Sono tutte strategie che aumentano i costi di entrata per le imprese entranti.
3. prezzi predatori.

1. PREZZO LIMITE:
Modello di Sylos-Labini (variante del Modello di Stackelberg in cui la variante strategica è la quantità). Per essere
definito predatorio, un comportamento deve in apparenza ridurre il profitto dell’impresa predatrice e sembrare
“irrazionale”. L’elemento razionale di tale condotta consisterebbe nel profitto aggiuntivo che l’impresa
predatrice otterrebbe qualora il suo comportamento desse i risultati sperati. Quando un’impresa fissa un prezzo
“irrazionalmente” basso in modo che le altre imprese concorrenti non possano competere, si parla di fissazione di
prezzo predatorio: casi in cui le imprese concorrenti vengono escluse dal mercato. Anche fissare un prezzo molto
basso per dissuadere le altre imprese dall’entrare nel mercato è da considerarsi un comportamento predatorio e
il prezzo che viene fissato come deterrente alla possibile entrata di concorrenti viene definito prezzo limite PL. In
molti casi non è conveniente scegliere un PL perché l’impresa potrebbe avere profitti minori rispetto alla
situazione di duopolio che si creerebbe con l’entrata dell’impresa concorrente. Quindi il prezzo limite potrebbe
essere una barriera all’entrata non efficace. Ipotesi:
- Nel mercato vi è l’impresa insediata monopolista I (incumbent) o un cartello di imprese;
- La tecnologia comporta forti economie di scala;
- I è minacciata da un’unica potenziale impresa entrante E, che ha accesso alla stessa struttura dei costi,
ovvero stessa tecnologia;
- Non vi sono altri vincoli come ad esempio non vi sono vincoli amministrativi;
- Prodotto omogeneo (no differenziazione);
- Le due imprese concorrono sulle quantità;
- Timing delle scelte (“Postulato di Sylos-Labini”): vi è un tempo t0 in cui I sceglie la produzione. In t1,
osservata la scelta di I, E decide di entrare o meno nel mercato scegliendo la propria quantità prodotta.
Una volta entrata, si forma il nuovo prezzo di mercato. A seguito dell’entrata, I non cambia più la
produzione, che rimane costante. Sylos-Labini giustifica questa scelta dicendo che le scelte sulla
produzione sono costose e non vengono modificate velocemente (questo però dipende, non proprio
vero).
Le imprese hanno accesso alla medesima tecnologia, quindi
hanno gli stessi livelli di CM.
Qual è il prezzo e la quantità che l’impresa I deve scegliere per
non far entrare E? Se I decide prima una produzione QL,
l’impresa entrante agendo da follower può soddisfare la
domanda residua. Posto che l’impresa I mantenga la propria
quantità al livello QL, la cosa migliore che può fare E sarebbe
entrare producendo la quantità QE. L’idea è che la domanda
residuale deve essere al massimo tangente alla curva dei CM.
Tale quantità si aggiungerebbe a quella dell’insediata e il prezzo
post-entrata si ridurrebbe allo stesso livello dei costi medi con la conseguenza che i profitti dell’entrante
sarebbero uguale a zero. In altre parole, producendo la quantità QL, l’insediata toglie spazio all’entrante, vale a
dire che non le permette di entrare con una quantità sufficiente a coprire i suoi costi. A tali condizioni ad E non
conviene entrare. Per essere sicuro di tenere fuori l’entrante, ad I basta fissare una quantità appena superiore a
QL; ciò garantirebbe all’entrante profitti negativi per qualunque quantità prodotta.

I ha la possibilità di sfruttare la sua posizione di leader per produrre una quantità tale per cui non esista
convenienza per l’impresa E ad entrare nel mercato producendo una quantità positiva. L’impresa E sa che la
propria entrata farà scendere il prezzo, poiché la sua quantità si aggiunge a quella prodotto da I. L’entrante trova
profittevole entrare solo se il prezzo post-entrata resta sufficientemente elevato da permetterle di coprire i suoi
costi. Se E entrasse, potrebbe produrre solo QE e avrebbe P=0, quindi rende svantaggioso entrare nel mercato: se
I produce una quantità abbastanza alta (quantità limite) è possibile che per l’impresa E non esista alcuna quantità
positiva che assicuri profitti maggiori di zero ed è perciò conveniente non entrare sul mercato.
Se I mantiene QL per non far entrare E nel mercato, allora è un comportamento rilevante per l’antitrust. PL non è
però la strategia migliore, vi sono delle alternative che potrebbero funzionare meglio della “guerra dei prezzi e
delle quantità”.


Critiche al modello del prezzo limite:
* Non è necessariamente vero che il prezzo limite costituisca la strategia migliore per l’impresa I: la
quantità e il prezzo limite non sono necessariamente il risultato di una scelta che massimizza i profitti da
parte di I. Se i costi fissi e le economie di scala sono molto bassi, la quantità limite potrebbe essere così
ampia (e il prezzo limite così basso) da generare profitti inferiori a quelli che il monopolista avrebbe
accomodando l’entrata. Si può dimostrare che, a seconda dell’entità dei costi fissi, si possono avere tre
tipi di comportamento (alternative migliori) da parte dell’impresa insediata che massimizza i profitti:
- Entrata bloccata;
- Entrata impedita (quantità limite);
- Entrata accomodata.
* La minaccia di continuare a produrre la quantità limite non è credibile e di conseguenza il postulato di
Sylos-Labini implica che il concorrente potenziale formuli congetture irrazionali circa il comportamento
dell’impresa insediata: l’impresa I producendo QL minaccia in pratica di mantenere tale quantità anche
dopo l’entrata di E. In questo modo, se l’impresa E entrasse il prezzo di mercato scenderebbe a un livello
tale da non consentire a quest’ultima di coprire i costi. Tuttavia, la minaccia dell’insediata non è credibile,
in quanto se l’entrante decidesse effettivamente di entrare, la caduta del prezzo provocherebbe una
riduzione dei profitti anche per l’insediata. In tali circostanze, potrebbe essere più conveniente per
l’insediata fare spazio all’entrante, ossia ridurre la propria quantità al di sotto della quantità limite
(producendo, ad esempio, la quantità di Cournot).

2. STRATEGIE CREDIBILI DI DETERRENZA:
Bisogna dimostrare che I produce profitti più alti rispetto alla situazione che si creerebbe se E entrasse nel
mercato. Per essere razionale questa “strategia irrazionale” bisogna creare delle minacce credibili. Se l’impresa
insediata vuole rendere credibile la sua minaccia deve obbligarsi a mantenere la quantità limite QL anche se
l’entrante dovesse entrare sul mercato: deve vincolarsi ad un comportamento ostile verso l’entrante. La minaccia
di produrre QL potrebbe non essere credibile e quindi E entrerebbe ugualmente; all’impresa I, in seguito
all’entrata di E, non conviene continuare a produrre QL e nel periodo successivo ritorna alla situazione di Cournot,
in quanto i profitti sono troppo bassi, e all’equilibrio di Nash con profitti positivi in duopolio. L’insediata può
intraprendere un investimento in risorse che la costringa a trovare più conveniente operare (eventualmente
anche in perdita) producendo QL, qualora l’entrante decidesse di entrare, anziché ridurre QL, accomoda l’entrata.
Il problema della credibilità delle minacce è quello di creare dei vincoli che rendano vera la strategia, quindi gli
impegni/investimenti devono essere (condizioni fondamentali):
§ Visibili: aumento capacità produttiva, moltiplicazione delle rotte, investimenti in pubblicità, costi di R&S.
E deve comprendere che l’investimento modifica la struttura dei playoff dell’impresa insediata in modo
tale da renderla più aggressiva nel caso di entrata del concorrente potenziale;
§ Credibili, ovvero irreversibili. Un investimento è irreversibile qualora non possa essere utilizzato da
un’altra impresa o altro mercato. Il valore dell’investimento non può essere realizzato sul mercato,
ovvero si configura come un costo non recuperabile (sunk cost).
Entrambi gli impegni riguardano i sunk cost, i quali sono costi visibili, credibili ed irreversibili. Il fatto di sostenere
costi fissi rende la strategia credibile. L’impresa è incentivata a sostenere sunk cost per non far entrare i
concorrenti, che sono dei costi legati ad investimenti che producono benefici su un orizzonte temporale lungo,
ma che non possono mai essere recuperati tramite la loro vendita ad un’altra impresa o l’utilizzo in un altro
mercato. Sono molti gli investimenti che possono soddisfare questi criteri e ai quali possono essere associate
barriere all’entrata:
- investimento irreversibile in capacità produttiva in eccesso;
- spese in R&S;
- spese promozionali (sconti, promozioni…);
- campagne pubblicitarie;
- differenziazione del prodotto.
Un simile tipo di investimento si configura come una barriera strategica all’entrata, ovvero un comportamento
espressamente messo in atto al fine di ridurre il livello della concorrenza potenziale. queste barriere sono
costruite con l’esplicito intento di limitare l’entrata e ridurre il livello della concorrenza potenziale. La possibilità
per l’impresa insediata di erigere barriere all’entrata dipende dal fatto che essa sia in grado di attuare scelte
strategiche prima che tutte le altre imprese abbiano deciso se entrare o meno sul mercato.

Quando è conveniente per l’Incumbent creare barriere endogene?
I benefici di “intimidire” il concorrente possono superare i costi dell’investimento irreversibili. Possibili effetti
negativi sul benessere. Il potere di mercato guadagnato danneggia i consumatori (diminuzione del surplus).

CASO ALCOA (1945) – ESEMPIO REALE:
Una delle decisioni più celebri nella storia dell’antitrust americano, nel 1945 una Corte d’appello della Seconda
Circoscrizione degli USA emise una delle sentenze più famose nella storia dei processi antitrust. Il processo
vedeva imputato la Aluminium Co. of America (ALCOA), che aveva illecitamente monopolizzato il mercato
interno dell’alluminio e dei prodotti. Aveva aumentato di 8 volte la capacità tra il 1912 e il 1934: stipulato dei
contratti con aziende elettriche per la fornitura di grandi quantità di energia inserendo nel contratto clausole
restrittive che proibivano alle aziende elettriche di fornire energia ad altri produttori di alluminio; di aver formato
un cartello con altri produttori stranieri per suddividere il mercato mondiale dell’alluminio in regioni precise e
riservare le vendite in ciascuna regione a un solo componente del cartello. Avevano portato avanti queste
pratiche nel tempo nonostante il divieto imposto nel 1912. In seguito a tali aumenti non c’era stata più entrata
nel mercato dell’alluminio, soprattutto per aver aumentato così tanto la sua capacità da tenere fuori dal mercato
tutti i concorrenti. La Corte accusò Alcoa di “monopolizzazione illegittima” attuata attraverso l’espansione di
capacità. Per rimediare furono venduti a due nuove imprese impianti pubblici usati per produrre alluminio
durante la guerra e si riuscì a creare un mercato più competitivo.

3. PREZZI PREDATORI:
Prezzo molto basso per far uscire dal mercato i concorrenti. Difficile distinguere il prezzo predatorio da una
normale situazione di concorrenza dei prezzi. Bisogna capire se l’impresa ha impiegato un prezzo predatorio.
Ipotizziamo che ci siano due imprese: I (incumbent), E (entrante). Azioni:
* I: fare o non fare un investimento irreversibile (spendere c in pubblicità) per prendersi l’impegno
vincolante a rispondere alla minaccia di entrata;
* E: entrare (spendendo c, se I spende c) o non entrare nel mercato.
I pay-off: per I (se E non entra) il valore dei profitti è 7. Se E entra e I accomoda i profitti sono 3. Se E entrasse e vi
fosse la guerra dei prezzi il livello dei profitti andrebbe a zero.

E/I NON FA PUBBLICITÀ FA PUBBLICITÀ Casi:
PM – PC ≥ PC
ENTRA 3 ; 3 (3–c) ; (3–c) - caso in cui
la minaccia à PM = 2PC
v1 ; v1 v1–c ; v1–c
NON ENTRA 0 ; 7 0 ; (7–c) non è PM = 7 PC = 7
0 ; v0 0 ; v0–c credibile: E (C si riferisce al duopolio)

entra e I
accomoda;
- valore minimo di c che scoraggia l’entrata: c≥3 (c≥v1);
I decide di sostenere c=3? Si, perché in questo modo non fa entrare E in quanto 7–3≥3.
La coppia di azioni (fa pubblicità, non entra) rappresenta l’esito in cui la barriera strategica all’entrata da parte di I
scoraggia l’ingresso di E nel mercato.
L’investimento irreversibile vincolante rende una minaccia di guerra di prezzo credibile e riesce a bloccare
l’entrataà Maggiore potere di mercato ed effetti di welfare negativi.
Comportamenti aggressivi di deterrenza sono probabili se il settore è tale che i profitti di monopolio sono
maggiori della somma dei profitti di oligopolio (es. 7>3+3), cioè i profitti congiunti nel mercato sono massimizzati
con l’esistenza di una singola impresa. Questa condizione è rispettata in tutti i casi in cui:
- vi è normale concorrenza sulle quantità;
- se vi sono economie di scala e le imprese operano lungo il tratto decrescente della curva di costo medio.


(0;10): profitti di monopolio



(0;7): profitti di duopolio




Gioco dinamico in forma estesa: un profilo di strategie è perfetto nei sottogiochi se la strategia di ciascun
giocatore è una risposta ottimale alle strategie degli altri giocatori per ciascuno dei sottogiochi dell’intero gioco.
L’unico equilibrio sarebbe entra, accomoda. Risolvendo a ritroso il gioco, per l’impresa I non vi è modo di
minacciare credibilmente con una risposta aggressiva all’entrata con un abbassamento del prezzo. Il fatto che
l’estensione del gioco a molti mercati (distribuiti nel tempo e nello spazio) ed altri rivali potrebbe non
comportare un esito diverso, è un noto risultato che Selten denomina “The chain paradox” (paradosso della
catena dei negozi): l’unico equilibrio perfetto nei sottogiochi è quello in cui si verifica l’entrata e mai l’ostacolo
all’entrata. Se finisse così la vicenda, il comportamento predatorio sarebbe di poco interesse. Però vi sono dei
modi per rendere credibile la minaccia di ostacolare l’entrata. I tentativi predatori da parte di un’impresa,
indipendentemente dalla forma che assumono, funzioneranno soltanto se sono credibili agli occhi dei rivali
effettivi e potenziali, influenzando quindi la loro opinione sulla concorrenza nel mercato.

Se nella seconda freccia i PI = 0, conviene all’impresa insediata continuare con la sua strategia di “guerra di
prezzo”? Anche se l’impresa operasse in più mercati diversi, l’esito sarebbe sempre lo stesso in quanto il gioco
verrebbe replicato n volte in modo sequenziale e in ogni stadio del gioco, l’impresa I vuole costruirsi una
reputazione aggressiva compiendo guerra di prezzo. Si immagina la situazione i cui vi siano 20 mercati, ovvero 20
stadi del gioco e l’impresa ne abbia già giocati 19. Nel penultimo stadio non vi è alcuna reputazione da costruire e
quindi nell’ultimo stadio l’impresa I accomoderà l’entrata dell’impresa E. Però risolvendo il gioco a ritroso, se E sa
che il suo ingresso verrà accomodato nell’ultimo stadio, allora entrerà sempre in ogni gioco. è proprio questo il
paradosso “The chain store”: vi sarà sempre un ultimo stadio del gioco in cui si dimostra che conviene
accomodare. Ragionando a ritroso si dimostra che le minacce di “guerra di prezzo” nei diversi mercati, stadi del
gioco, non è credibile. Per non far entrare E, I deve creare delle barriere endogene credibili, sostenendo sunk
cost e cambiando così i playoff del gioco: spende c=3 in pubblicità. Vale la pena sostenere questi costi per
l’impresa I in quanto il PI = 7 è sempre meglio di PI = 0. Condizioni per far sì che la soluzione abbia senso:
- succede tutte le volte in cui il profitto di monopolio è maggiore di tutte le situazioni in cui vi sarebbe un
profitto di duopolio (PM>PD);
- la minaccia di G non è credibile perché troppo costosa (-3;-3).

CASO DIANO – ESEMPIO REALE:


Pratica: prezzi predatori, tesi all’estromissione dal mercato di un concorrente e pertanto annoverata tra le
pratiche escludenti.
Attori:
1. DIANO: servizio di trasporto sulla rotta Reggio Calabria-Messina;
2. NGI: congiuntamente controllata dalle società Tourist e Caronte, le quali, pur essendo società distinte,
hanno costruito un’unica entità economica in virtù di un processo di concentrazione economica che ha
consentito loro di mettere in comune le necessarie risorse per l’espletamento dell’attività. Serva un’altra
rotta “alternativa”, in cui opera come monopolista.
NGI ha iniziato a operare sulla stessa rotta di DIANO, quest’ultima si lamenta del fatto che i prezzi praticati dalla
concorrente NGI su tale rotta fossero artificialmente bassi e avessero come unico scopo quello di estrometterla
dal mercato. L’impresa predatrice NGI era attiva su due mercati, mentre l’impresa predata DIANO unicamente su
uno.
L’AGCM osserva che la NGI era in una posizione dominante e di abuso in relazione alle tariffe applicate e agli orari
di partenza dei traghetti:
* Tariffe: quasi sempre al di sotto delle tariffe applicate dalla concorrente DIANO, inoltre pari quasi al 50%
in meno delle tariffe applicate sulla rotta alternativa;
* Orari di partenza: le corse venivano definite da NGI in modo tale da anticipare di 10 minuti quelle fissate
da DIANO.
L’AGCM ha rilevato che le tariffe applicate da NGI sulla rotta Reggio Calabria-Messina producevano ricavi
insufficienti a coprire i costi incrementali sia di breve che di lungo periodo. Quindi la strategia di prezzo posta in
essere da NGI palesava intenti predatori. I ricavi insufficienti (prezzi sottocosto: misurando i costi marginali, se i
prezzi sono inferiori al costo marginale, allora è un prezzo sottocosto) venivano compensati dai ricavi ottenuti su
un’altra rotta in cui operava: in condizioni monopolistiche e con elevate barriere all’entrata che le garantivano
risorse finanziarie tali da sostenere la battaglia (predatoria) sull’altro seguente di mercato.
Secondo l’Autorità, il gruppo Tourist-Caronte era riuscito a preservare la posizione dominante sul mercato, si era
creato una reputazione di Incumbent aggressivo e aveva scoraggiato l’ingresso di potenziali concorrenti.
Sanzione: restituire la perdita subita a DIANO e alzare le tariffe.

COMPORTAMENTO PREDATORIO:
Scuola di Chicago: hanno cercato di dimostrare che i prezzi predatori non dovrebbero esistere in mercati che
funzionano bene. Due linee di argomentazione:
1. esiste sempre un’alternativa migliore dall’utilizzo del prezzo predatorio, ovvero comprare l’impresa che si
vuole predare;
2. la predazione non si dovrebbe mai osservare perché non è conveniente.
Tuttavia, a partire dagli anni ’90, ha cominciato a farsi strada una nuova scuola di pensiero (“Post-Chicago
School”) secondo la quale le tattiche predatorie non sono da considerarsi teoricamente impossibile e anzi vanno
viste come vere e proprie minacce da valutare con attenzione.

Si immaginano due imprese: A (ha i capitali, ha sostenuto sunk cost), B (prende a prestito, non ha ancora
sostenuto i sunk costi). Vi sono due periodi: primo e secondo. Differente dal gioco precedente, un nuovo
elemento è che ognuna delle imprese debba sostenere un sunk cost in ciascun periodo sul mercato. Tale somma
deve essere pagata in anticipo, all’inizio di ciascun periodo. Diversamente da A, che dispone di un capitale di
risparmio interno proveniente dalla sua lunga attività sul mercato; B non ha fondi interni e quindi deve prenderli
in prestito da un settore bancario concorrenziale.

A questo punto viene introdotto nel mercato un elemento di incertezza. Indipendentemente da quello che fa A,
esiste una probabilità del 50% per ciascun periodo che B abbia successo e ottenga un profitto operativo elevato
pari a 200, ma al contempo esiste anche una probabilità del 50% che quest’ultima non abbia successo e che
ottenga un profitto più basso pari a 100. Nel primo caso il profitto netto equivale a 200 - 132,5 che deve restituire
alla banca per il prestito concesso; nel secondo caso non guadagna nulla.

EB (R) = 0,5(200-132,5) + 0,5(100-100) = 33,75 rendimento atteso di B


Impresa A:
- PD = 150 se B sta nel mercato (profitto di duopolio); PM = 320 se B esce dal mercato (profitto di
monopolio).
Una possibile strategia dell’impresa A potrebbe essere quella di sostenere una guerra di prezzo, riducendo i
prezzi, sacrificando parte del profitto, ma aumentando la probabilità di insuccesso dell’impresa B.
In questo caso avrà interesse A a ridurre i prezzi per ridurre le possibilità di successo di B?

1. primo periodo: prezzi bassi e perdite. Altrimenti accetta la concorrenza duopolistica normale.
2. secondo periodo: se B esce, il monopolista fa profitti; altrimenti si torna alla situazione del primo periodo.
Non vi è incentivo ad accomodare se nell’ultimo gioco, entrambe le imprese, sanno che B entrerà nel
mercato.
La risposta alla domanda è no, in quanto indipendentemente da quanto possa accadere nel primo periodo, si sa
che B vorrà rimanere nel mercato per il secondo periodo e nessun tentativo predatorio da parte di A nel primo
periodo potrà impedirlo. A capirà che B è entrata nel mercato con lo scopo di rimanervi e quindi non avrà alcuna
ragione per fissare un prezzo predatorio perdendo una parte del proprio profitto nel primo periodo. Quindi non vi
sarà alcun comportamento predatorio.

Condizioni di McGee per la fissazione di prezzi predatori, che ha senso solo al verificarsi di due condizioni:
* l’aumento del profitto successivo al comportamento predatorio (in termini di valore attuale) sia
sufficiente a compensare il predatore dalla perdita subita durante la guerra dei prezzi predatori. Ciò
equivale al requisito che la strategia predatoria sia perfetta nei sottogiochi;
* McGee notò che, anche se il primo requisito fosse soddisfatto, esisterebbe un secondo requisito che una
strategia predatoria dovrebbe soddisfare e cioè che non esista una strategia più vantaggiosa in termini di
profitto per raggiungere lo stesso scopo.
L’attenzione di McGee si concentrò su questo punto e giunse alla conclusione che una fusione è sempre più
vantaggiosa rispetto alla fissazione di prezzi predatori. Quindi tale pratica non dovrebbe avere luogo.

COMPORTAMENTO PREDATORIO E INFORMAZIONE IMPERFETTA:
Se vi è razionalità e perfetta informazione nel mercato (mercati finanziari efficienti), si segue l’ipotesi della Scuola
di Chicago. Il problema è da ricercare nei mercati non efficienti. Vi sono due modelli che dimostrano la
convenienza a fare prezzi predatori in caso di asimmetrie informative (giochi articolati su due periodi in cui
un’impresa dispone di alcune informazioni che l’altra impresa non possiede, entrambe sono consapevoli di questa
asimmetria informativa):
1. Teorie finanziarie dei prezzi predatori (Bolton);
2. Asimmetrie informative fra I ed E riguardo ai costi:
Milgrom e Roberts presentano un proprio modello secondo il quale la nuova impresa non conosce il costo di
produzione dell’impresa già attiva. La pratica, in questo contesto, di stabilire un prezzo basso per impedire
l’entrata del potenziale concorrente potrebbe non essere semplice. E conosce il proprio costo unitario e la
domanda di mercato in ciascun periodo, ma non conosce il costo unitario di I; quest’ultima invece conosce il
proprio costo unitario, quello di E è la domanda di mercato in ciascun periodo. Ciascuna impresa sa che tutto ciò è
noto a entrambe. Dal pdv di E, il costo unitario di I potrebbe essere alto o basso, a seconda di fattori quali la
competenza dei suoi dirigenti, la qualità degli impianti di produzione o i prezzi dei fattori produttivi che I ha
concordato con i suoi fornitori. Tutte queste informazioni non sono accessibili ad un’impresa esterna. Anche se E
non conosce il costo unitario di I, dispone di informazioni sulla probabilità che I sia un tipo di impresa a costi
elevati o costi bassi. In particolare sa che esiste una probabilità:
- r che I abbia costi bassi;
- (1 – r) che I abbia costi elevati.
I profitti di I nel secondo periodo dipendono sia dal suo costo unitario sia dal fatto che E entri nel mercato o
meno. Se I sarà da sola nel secondo periodo, stabilità il prezzo di monopolio più adeguato alla sua struttura dei
costi, dal momento che l’entrata di un potenziale concorrente non costituisce più un pericolo. Se nel secondo
periodo il concorrente entra nel mercato, I ne risente: se I è un’impresa a costi bassi, guadagnerà un tot; ma se ha
i costi elevati guadagnerà ancora meno quando E è presente nel mercato. Se E entra nel mercato e compete
contro un’impresa inefficiente e a costi elevati, ottiene un profitto positivo; ma se l’impresa già esistente ha costi
bassi, l’entrante avrà come risultato una perdita.
Figura 12.1

Natura è il giocatore che effettua la prima mossa e determina il costo dell’impresa già presente sul mercato. Vi
sono 3 possibilità per I/M:
1. impresa a costi elevati che fissa un PM per il primo periodo conforme ai suoi costi elevati;
2. impresa a costi elevati, ma che decida di stabilire un prezzo più basso, adatto per un’impresa più
efficiente in termini di costi;
3. sia un’impresa a costi bassi e che stabilisca il PM più basso conforme ai suoi costi bassi (da escludere).
Perché mai un’impresa a costi elevati già presente sul mercato dovrebbe stabilire un prezzo al di sotto di quello
ottimale che comporterebbe un profitto minore? Così facendo, essa potrebbe influenzare la decisione del
potenziale concorrente di entrare nel mercato nel secondo periodo. E potrebbe fare il seguente ragionamento:
“Se I applica un prezzo elevato durante il primo periodo, vuol dire che si tratta di un’impresa poco efficiente e a
costi elevati, quindi mi conviene entrare. Se invece applica un prezzo basso, deve trattarsi di un’impresa efficiente
in termini di costi, e in questo caso mi conviene rimanere fuori dal mercato”. In questa situazione, un’impresa a
costi elevati già presente sul mercato è notevolmente incentivata a fingersi un’impresa a costi bassi fissando nel
primo periodo il prezzo basso di monopolio. Questo sacrificio (profitto più basso rispetto a quello che avrebbe
applicando un PM che supporta i suoi costi) sarà ricompensato nel secondo periodo, in quanto scoraggia l’entrata
e consente a I di ottenere un profitto elevato.
Quindi un’impresa a costi bassi già presente sul mercato non stabilirà mai il prezzo di monopolio conforma a
un’impresa a costi elevati in fase iniziale: tale scelta non massimizzerebbe i profitti nel breve periodo e per di più
favorirebbe l’entrata del potenziale concorrente.
E crede che “un prezzo basso significhi costi bassi e un prezzo alto costi alti”, la sua decisione se entrare o meno
nel mercato, potrà essere facilmente influenzata da I e quindi la credenza di E potrebbe anche essere sbagliata
rispetto alla reale situazione: se I ha prezzi bassi, E deduce solo che I potrebbe essere un’impresa a costi bassi con
probabilità r o un’impresa a costi elevati con probabilità (1 – r).

E (R) = r × 0 + (1 – r) × PD PD = profitto di deviazione, E (R) = profitto atteso

L’impresa E sta nel mercato solo se la somma del profitto del primo periodo e quello del secondo periodo sono
uguali a 0 (PDprimo periodo + PDsecondo periodo = 0). Se I non fa nulla, avranno profitti di duopolio.
Se I decide di applicare un prezzo predatorio:
1. primo periodo: E (R) = – L;
2. secondo periodo: E (R) = r × PM + (1 – r) × PD.

Se [– L + r × PM + (1 – r) × PD] > PDprimo periodo + PDsecondo periodo allora la predazione è efficace. Se la situazione di
duopolio è alla Bertrand (caso estremo), allora ci sarà maggiore possibilità che il prezzo predatorio sia efficace.
Il modello di Milgrom e Roberts dimostra come la fissazione di prezzi predatori possa essere razionale o possa far
parte di una strategia perfetta nei sottogiochi in un gioco dinamico. Quando i giocatori, che si tratti di investitori o
concorrenti, non dispongono di un’informazione completa, le imprese già presenti sul mercato potrebbero vedere
in un comportamento predatorio uno strumento efficace per eliminare la concorrenza.

ALTRE PRATICHE PREDATORIE – CONTRATTI COME BARRIERE ALL’ENTRATA:
L’analisi svolta del procedimento antitrust a carico di Microsoft si è concentrata principalmente sulla pratica da
parte di Microsoft di aver abbinato Internet Explorer al suo sistema operativo Windows, nel tentativo di
estromettere Netscape dal mercato dei browser. Tale comportamento può essere considerato predatorio, ma
non è l’unica pratica predatoria di cui fu accusata Microsoft, in quanto aveva anche concluso accordi con diversi
produttori di computer, precludendo così ai suoi concorrenti la possibilità di entrare nel mercato dei sistemi
operativi, del quale deteneva praticamente il monopolio. L’idea era di accordi formali che prevedevano il
pagamento di penali per il mancato rispetto del contratto tra un’impresa monopolistica e i suoi compratori, sono
da considerare strumenti predatori per scoraggiare l’entrata di potenziali concorrenti nel mercato del
monopolista.
Qualsiasi contratto deve offrire al fornitore e al compratore un qualche beneficio (ad esempio sottoforma di
maggiori servizi di assistenza o riparazione) e favorire quindi una maggiore efficienza.
Contratti di esclusiva a lungo termine o contratti vincolanti come strumenti predatori. I primi sono un
meccanismo che bloccano l’entrata ed è un contratto che si estende su due periodi, ovvero è a lungo termine e
viene stipulato nel primo periodo, prima che un potenziale concorrente possa entrare e ingrandirsi nel periodo
successivo. Quando l’impresa concorrente entra nel secondo periodo, incontra molte difficoltà ad attirare
potenziali clienti perché questi ultimi sono già vincolati da un contratto con il monopolista iniziale. I contratti
vincolanti sono contratti che vengono estesi su due o più mercati, non periodi: un venditore già presente su un
mercato potrebbe stipulare con i suoi clienti dei contratti che li vincolino efficacemente a sé in un secondo
mercato. Una delle motivazioni principali per stabilire dei vincoli è l’attuazione di una discriminazione di prezzo
efficace, non un intento predatorio. Questi due contratti sono totalmente diversi, non sono equivalenti.
È per questo motivo che ogni volta che un’impresa dispone di un considerevole potere nel mercato di un
prodotto vincolante e obbliga il compratore ad acquistare il prodotto vincolato come condizione necessaria per
ottenere il bene desiderato, quasi sempre questo tipo di comportamento è visto come una violazione delle leggi
antitrust.

POLITICHE PUBBLICHE CONTRO IL COMPORTAMENTO PREDATORIO:
A seguito dei modelli sviluppati dalla Scuola di Chicago, c’è stata molta prudenza nel valutare l’esistenza dei prezzi
predatori. Si sono definiti due criteri che si dovrebbe verificare:
1. dimostrazione vendita sottocosto:
2. dimostrazione della possibilità di esercitare potere di mercato dopo la predazione, quindi avere una
prospettiva ragionevole di poter recuperare le perdite subite durante il periodo predatorio.

Criteri/regole utilizzati per scoprire le strategie predatorie in quanto di difficile individuazione:
* Areeda & Turner:
Il prezzo è predatorio se è inferiore al costo marginale di breve periodo approssimato dal costo medio variabile di
breve periodo. Nella pratica però il costo medio variabile può essere notevolmente inferiore rispetto al costo
marginale di breve periodo, quindi un’impresa potrebbe stabilire un prezzo inferiore al proprio costo marinale
attuale, ma pur sempre superiore al proprio costo medio. Così facendo l’impresa agirebbe entro i limiti legali
consentiti dalla regola anche se il suo prezzo inferiore al costo marginale di breve periodo sarebbe giudicato
predatorio da molti economisti (limite)
* Baumol:
Si concentra principalmente sul comportamento dei prezzi dell’impresa già presenta prima dell’entrata e dopo
l’uscita di un concorrente. In sostanza, questa regola richiede che qualsiasi riduzione di prezzo da parte di
un’impresa già presente sul mercato in risposta all’entrata di un concorrente debba essere “quasi permanente”,
ad esempio durare per un periodo di 5 anni almeno. Se la riduzione di prezzo indotta dall’entrata viene annullata
in tutta fretta in seguito all’uscita dal mercato del concorrente, la regola di Baumol giudica il comportamento
predatorio.

COLLUSIONE e cartelli

CASO PARAFFINA:
La paraffina è un derivato del petrolio utilizzato per fabbricare cere e viene prodotto dalle più grandi imprese
petrolifere. È un bene omogeneo, non cambia nel tempo e anche il suo uso è standard, come le sue
caratteristiche. Tra i 1992-2005 è stato creato un cartello della paraffina per la fissazione del prezzo e la
ripartizione del mercato. Le imprese coinvolte erano: ENI, AxxonMobil, MOL, Sasol (leader del cartello), Total,
Hansen&Rosenthal, Tudapetrol, Repsol, RWE, le quali si incontravano in lussuosi hotel in varie città europee per
riunirsi e discutere segretamente dei prezzi, ripartizione dei mercati e/o clienti e scambiarsi informazioni sensibili.
Il cartello è stato considerato un’infrazione particolarmente grave alle norme antitrust contenute nel Trattato CE.

CASO SIMVASTATINA:
Tra 1998-99 l’Autorità ha svolto un’intensa attività di tutela e promozione della concorrenza nel settore
farmaceutico. Tale attività si colloca nel contesto della relativamente recente liberalizzazione avvenuta a fine
1995 del prezzo dei farmaci di fascia C. L’indagine conoscitiva sul settore farmaceutico conclusa dall’autorità nel
1997 aveva evidenziato che, nel biennio successivo alla liberalizzazione, il 50% delle specialità medicinali collocate
in fascia C ha registrato un aumento di prezzo. Una maggiore concorrenza sperata tra le imprese, non ha portato
al desiderato effetto positivo per i consumatori. Nell’analizzare le cause di tale risultato, l’Autorità ha sottolineato
che si possono distinguere le responsabilità connesse ai comportamenti delle imprese da quelle derivanti da un
quadro incompleto di liberalizzazione. Nel corso dell’anno sono state riscontrate tra intese restrittive della
concorrenza tra imprese farmaceutiche volte alla determinazione dei prezzi: Sigmatau, Gentili e Mediolanum. La
Simvastatina è principio attivo per cura ipercolesterolemia ed è stato il principale farmaco di fascia C preso come
oggetto del procedimento istruttorio avviato dall’Autorità per accertare eventuali violazioni. Il brevetto della
simvastatina è detenuto dalla società statunitense Merck&Co Inc., che controlla in Italia la Merck&Sharp&Dohme
Italia e Neopharmed. Tale società commercializza il farmaco con un proprio marchio (Sinvacor) e attraverso
contratti di licenza e fornitura con Sigmatau, Gentili e Mediolanum: queste imprese commercializzavano farmaci a
base dello stesso principio attivo ma con una diversa denominazione commerciale.
La pratica della commercializzazione, da parte di imprese diverse, di specialità medicinali merceologicamente
identiche con nomi commerciali differenti, viene denominata co-marketing (accordo). Tale pratica consente di
utilizzare le forze di vendita di due o più imprese per la commercializzazione, con marchi distinti, di un medesimo
prodotto. Per il licenziante e produttore del principio attivo, l’obiettivo è quello di raggiungere la massima
espansione delle vendite; questo obiettivo viene perseguito mediante la differenziazione dei nomi commerciali, la
quale incentiva i vari licenziatari a impegnarsi nella promozione del prodotto presso i medici. Ne deriva che le
imprese collegate da un rapporto di comarketing in linea di principio dovrebbero essere concorrenti tra loro,
nonostante l’identità merceologica dei rispettivi prodotti, in relazione sia alle strategie di prezzo che a quelle
relativa all’attività promozionale.
à l’Autorità ha osservato che le confezioni di classe C risultavano con aumenti di prezzo di pari entità in modo
quasi perfettamente contestuale. È stato ritenuto che le condotte riscontrate fossero riconducibili a una pratica
concordata (collusione tacita) avente per oggetto la fissazione del prezzo delle confezioni in classe C considerata
lesiva della concorrenza. L’Autorità ha inflitto sanzioni amministrative pecuniarie alle imprese.

COLLUSIONE:
Il motivo per cui i manager delle aziende scelgono di violare la legge e di stipulare accordi collusivi di fissazione del
prezzo, rischiando ammende e persino la reclusione, è il profitto. Le imprese concorrenti prendono atto del fatto
che, limitando la concorrenza, potrebbero riuscire a riprodurre l’esito di monopolio e massimizzare i loro profitti
congiunti. Gli accordi collusivi sono vietati dal “Trattato di Roma” del 1957 (legge antitrust europea art. 18).
In ciascun accordo collusivo di fissazione del prezzo ciascun partecipante deve resistere alla forte tentazione di
deviare dall’accordo di cartello. Perché questa tentazione è forte? Quando tutte le altre imprese fanno pagare un
prezzo elevato, ciascuna impresa non può fare a meno di prendere atto del fatto che può ottenere enormi profitti
facendo pagare un prezzo più basso togliendo clienti alle imprese che praticano il prezzo elevato. Inoltre, ciascuna
impresa non solo riconoscere questa opportunità per sé stessa, ma sarà anche consapevole del fatto che anche gli
altri membri del cartello sono tentati a fare la stessa cosa. Pertanto, il timore che anche gli altri membri del
cartello devino dall’accordo agisce come potente incentivo a deviare pria che lo facciano gli altri.
Se l’accordo di collusione fosse un contratto con validità legale, il fatto di deviare non sarebbe un problema.
Tuttavia, secondo la legge antitrust statunitense, gli accordi di fissazione del prezzo sono illegali di per sé, per cui
non esiste un modo accettabile per difendersi dalle deviazioni. Per cui le imprese non possono sostenere che la
collusione abbia una qualche “spiegazione ragionevole” o che la fissazione del prezzo sia necessaria a prevenire la
concorrenza disastrosa che comporterebbe la monopolizzazione dell’industria. I membri del cartello non possono
appellarsi alle corti per dare applicazione ai loro accordi, il che fa sorgere la questione di come le imprese
applichino e mettano in atto effettivamente gli accordi collusivi stipulati. Questo rende più difficile dimostrare
l’esistenza di un reato per le autorità antitrust.

DILEMMA DEL CARTELLO:
Collusione: coordinamento strategico delle imprese attuato per massimizzare i profitti attraverso un aumento
dei prezzi e una riduzione di quantità. Può prendere la forma di cartello (forma istituzionalizzata, come il cartello
internazionale OPEC), accordi segreti o taciti.
La motivazione che spinge le imprese alla formazione di un cartello per la fissazione del prezzo è che i profitti di
un monopolista sono i profitti massimi che un’industria è in grado di ottenere e i membri del cartello, agendo
come unica entità, sperano di ottenere i profitti di monopolio come gruppo.
Il disincentivo che le imprese hanno per formare un cartello per aumentare i prezzi e mantenere i prezzi più
elevati è che al prezzo stabilito dal cartello, il margine prezzo-costo di ciascuna impresa è relativamente elevato,
con prezzi molto superiori al costo marginale. Questo conferisce a ciascuna singola impresa un forte incentivo in
termini di profitto a vendere una quantità di output leggermente maggiore, l’output supplementare presenta sul
mercato non sarà di quantità leggermente maggiore, ma molto maggiore. Il prezzo di mercato scenderà e
l’accordo di fissazione del prezzo verrà meno. Un altro fattore che complica la fissazione del prezzo è il timore
della scoperta del cartello e della persecuzione ai termini di legge. La maggior parte delle legislazioni antitrust
considera illegali i comportamenti collusivi: non esiste difesa e le imprese che aderiscono all’accordo sono
esposte a sanzioni penali potenzialmente pesanti. Di conseguenza, eventuali accordi di cartello fra imprese
devono necessariamente essere mantenuti segreti in modo da ridurre la possibilità di essere scoperti. Quanto più
segreto è l’accordo, ossia quanto più nascoste sono le azioni delle imprese, tanto maggiori sono le opportunità
che si presentano alle imprese di deviare dall’accordo e di vendere una quantità maggiore di output senza essere
scoperte.

1. Scelta delle quantità – Cournot:
ALFA | BETA Cooperazione Defezione Modello base di duopolio alla Cournot: due
Cooperazione (1800 ; 1800) (1300 ; 2000) imprese identiche, ciascuna delle quali produceva
Defezione (2000 ; 1300) (1600 ; 1600) lo stesso bene e sosteneva gli stessi costi di
produzione. I profitti ottenuti dalla cooperazione
di entrambe le imprese formando un cartello sono maggiori (1800;1800) di quelli ottenuti nell’esito non
cooperativo alla Cournot-Nash (1600;1600). L’equilibrio di Nash-Cournot non è Pareto efficiente per le imprese,
ma più efficiente per la società in quanto il surplus del consumatore è alto. Il problema per le imprese è che
l’esisto collusivo (quantità sostenuta con il cartello non è una coppia di risposta ottimale: non è la migliore
risposta dell’impresa 1 alla produzione da parte dell’impresa 2 e viceversa) non può essere sostenuto da nessuna
strategia di equilibrio disponibile per queste imprese, in quanto ciascuna di esse ha un più forte incentivo in
termini di profitto a violare l’accordo di cooperazione piuttosto che attenervisi.

2. Scelta del prezzo – Bertrand:
ALFA | BETA Cooperazione Defezione Se le due imprese interagiscono in modo non
Cooperazione (1800 ; 1800) (0 ; 3600) cooperativo, la concorrenza per accaparrarsi i
Defezione (3600 ; 0) (100 ; 100) clienti fa scendere i prezzi al costo marginale.
L’equilibrio di Nash-Bertrand non è Pareto
efficiente per le imprese, ma efficiente per la società in quanto il surplus del consumatore è massimizzato. L’esito
di Bertrand prevede che entrambe le imprese stabiliscano un prezzo per avere profitti P=0. Se le imprese
stipulano un accordo di fissazione del prezzo, otterranno i profitti massimi dell’industria concordando di stabilire
il prezzo di monopolio con esito (1800;1800). La tentazione di deviare l’accordo qui è ancora maggiore in quanto
un’impresa può accaparrarsi l’intero mercato nel caso in cui stabilisse un prezzo più basso rispetto all’altra
impresa (ad esempio 0;3600). L’unico equilibrio di Nash, come nel caso di Cournot, prevede che entrambe le
imprese devino dall’accordo di cartello e facciano pagare un prezzo che è arbitrariamente vicino al costo
marginale, ottenendo profitti arbitrariamente vicini a 0 piuttosto che i rendimenti molto maggiori che entrambe
otterrebbero se potessero far applicare il loro accordo.

I giochi descritti sono esempi di situazioni nelle quali i partecipanti hanno entrambi la possibilità di ottenere dei
guadagni che non possono essere realizzati a causa di un conflitto di interessi. Tali giochi prendono il nome di
“dilemma del prigioniero”.

Ciascuna delle imprese ha un interesse comune a cooperare e a raggiungere l’esito di monopolio. Se un’impresa
coopera e presta fede all’accordo, l’altra impresa può ottenere profitti molto maggiori deviando dall’accordo e
producendo una quantità maggiore di output nel caso di Cournot o abbassando il prezzo nel caso di Bertrand. È
necessario che le imprese guardino alla loro interazione strategica da una prospettiva diversa, Ossia da un punto
di vista dinamico nel quale l’interazione strategica si ripete nel corso del tempo: “giochi ripetuti”. Due condizioni:
- Possibilità di osservare periodicamente il comportamento delle altre imprese e quindi di individuare
eventuali deviazioni dall’accordo. È cruciale il ruolo delle informazioni. Se l’impresa devia, il prezzo
diminuisce e in futuro i profitti diminuiranno.
- Esistenza di un meccanismo credibile di punizione delle deviazioni dall’accordo.

Due possibilità:
1. Numero finito: prima o poi prevalgono atteggiamenti di deviazione (comportamenti opportunistici). In
realtà il risultato sarà sempre l'equilibrio di Nash/Bertrand uni periodale, con prezzo uguale al costo
marginale e profitti tendenzialmente uguali a zero. Il gioco a tempo t finale equivale al gioco uni periodale
in cui conviene deviare, quindi anticiperanno al tempo t - 1 la strategia e così via.
• Se ci sono risorse esauribili o non rinnovabili (petrolio o gas)
• Più imprese che operano con brevetti sullo stesso mercato
• Management in scadenza (accordi spesso legati a persone specifiche)
• Prodotti alla fine del loro ciclo di vita
Il problema di questa strategia è che soffre del problema sostanziale di credibilità (non è perfetta sotto
giochi) che interessava molte delle minacce predatorie. Entrambe le imprese si rendono conto che l’unico
esito razionale nella seconda ripetizione è l’equilibrio non cooperativo nel quale ciascuna impresa ottiene
un profitto pari a 1600.
2. Numero infinito (es paraffina): non sanno quando questa interazione finirà, non hanno un orizzonte
temporale finito. È molto probabile che la collusione si verifichi in queste condizioni. Vi è motivo per
pensare che la ripetizione successiva sarà giocata in modo cooperativo, quindi vi è motivo per cooperare nel
presente.

HP: due imprese. Sicuramente esiste un equilibrio di Nash - Bertrand in tutti i periodi, in quanto non c'è incentivo
a deviare (p = MC; profitti = 0). Trigger strategy: un giocatore effettuerà l’azione di cooperazione concordata fra i
giocatori a patto che tutti gli altri giocatori abbiano sempre prestato fede all’accordo ma, qualora uno dei
giocatori dovesse deviare, egli ritornerà all’equilibrio di Nash è per sempre:
• se Pa = Pm, allora Pb = Pm
• Se Pa < Pm, allora Pb = MC
Per ogni periodo ci sono tre tipi di profitto, PD > PM > PN:
• PD DEVIAZIONE
• PM CARTELLO: accordo di fissazione del prezzo
• PN NASH BERTRAND
Verrà applicato il fattore di sconto R flusso di cassa attesa di ciascun periodo; sappiamo che esiste una probabilità
p che l’interazione di mercato continui nel periodo successivo.
r = pR: fattore di sconto corretto per tener conto della probabilità, riflette il tasso di interesse e la previsione
dell’impresa riguardo alla probabilità il mercato continui. Il valore attuale atteso dei profitti è:
V (p) = p/(1 – pR) = p/(1 - r).
Si consideri una possibile deviazione dall'accordo da parte dell'impresa 2; se l'impresa 1 si attiene all'accordo di
cooperazione, l'impresa 2 può aumentare i suoi profitti in quel periodo. Tale guadagno dura soltanto per un solo
periodo perché l'impresa 1 reagisce, nel periodo successivo, passando l'equilibrio di Nash. Il risultato è che al
periodo I profitti elevati seguo numero infinito di periodi nei quali profitti tendono a zero. Il guadagno è un
aumento dei profitti immediato, ma circoscritto al solo periodo; la perdita è una diminuzione dei profitti
successiva.
Il valore attuale dei profitti con il mantenimento del cartello: VC = PM + rPM + r2PM + … = PM(1 + r + r2 + …) =
PM/(1 - r) = VC
Il valore attuale dei profitti in caso di deviazione: VD = PD + rPN + r2PN + …. = PD + [rPN/(1-r)] = VD
La deviazione del cartello non è redditizia, per cui il cartello è sostenibile, purché VC > VD
Il valore critico di r al di sopra del quale non conviene deviare è:
PM/(1-p) > [PD + pPN x (1/1-p)]
PM > PD (1 - p) + pPN
PM - PD > p (PN - PD)
PD - PM < p(PD - PN)
r > r' = (PD - PM)/(PD - PN) VINCOLO DI NON DEVIAZIONE
La deviazione dell'accordo di cartello comporta un guadagno immediato di PD - PN. La punizione è una perdita di
profitti di PM - PN. Il valore attuale della perdita è PM - PN/(1 - r). Il suo valore attuale ad oggi è rPM - PN/(1 - r).
Un cartello con vita indefinita è tanto più sostenibile quanto maggiore è la probabilità che le imprese
continuino a interagire e quanto minore è il tasso di interesse e il tasso di sconto sufficientemente alto (folk
theorems).

Vi sono due obiezioni alle trigger strategies:
1. Tali strategie si basano sull'assunto che la deviazione dall'accordo di cartello sia scoperta rapidamente e che
la punizione si è mediata; in realtà richiede molto tempo, ciò consente al colpevole di beneficiare dei
guadagni per più periodi, il che fa aumentare l'incentivo a deviare dall'accordo di cartello.
2. La strategia è severa e spietata in quanto non consente che si facciano degli errori; se la domanda incerta, i
membri del cartello non saranno in grado di capire se una variazione del loro output è la conseguenza della
normale fare accedere mercato o della deviazione da parte di altri membri.

Fattori che facilitano la collusione:
- Frequenza di fissazione del prezzo: se è bassa, la probabilità di collusione è più bassa
- Concentrazione nell’industria
o Primo caso: PN = 0; PD = 2PM
r' = 2PN - PM/2PN = ½
Se r = 1; R = r; R > 1/2; [1/(1 +i)] > 1/2
In questo modello sembrerebbe esistere sempre collusione, se ci sono due imprese
o Secondo caso: PN = 0; ci sono più imprese che colludono; PD = n x PM
r' = (n x PN - PM)/n x PN = 1 - 1/n
Se n aumenta, [1 - 1/n] aumenta, la soglia è più alta quindi la collusione è meno probabile; profitti
di cartello saranno più bassi quindi ho incentivo a deviare. In linea con le teorie di SCP in cui il
profitto che le imprese possono fare dipende dal numero delle imprese sul mercato.
- Tasso di crescita del mercato: più è alto g, più la probabilità di collusione è alta. Aumentano i profitti
derivanti dal cartello rispetto a quelli da deviazione che invece rimarranno sostanzialmente costanti.
- Simmetria tra imprese in termini di costi marginali A -> MC = Ca; B -> MC = Cb; Ca < Cb; se c’è asimmetria,
la collusione è meno probabile: l’impresa A produrrebbe tutto l’output dell’industria, escludendo
l’impresa B dal mercato (gioco alla Bertrand), non avrebbe convenienza a creare un cartello.

Altre ipotesi possono essere:
o Preferenze intertemporali
o Prodotto differenziati






- Interazione in diversi mercati: la collusione diventa più facile, la probabilità aumenta. Ca < Cb nel mercato
1; Ca > Cb nel mercato 2. Al diminuire delle asimmetrie potenzialmente distruttive per la collusione,
maggiore sarà l’informazione, quindi più facilmente ci sarà probabilità di collusione (clausola del
consumatore favorito e di non concorrenza).

Le imprese diventano leader dell'industria portando avanti la ricerca e sviluppo finalizzata all'innovazione delle
tecnologie produttive ho dei prodotti che esse forniscono.
Schumpeter era un economista e uno storico. Affermava che la concorrenza è indotta dal nuovo prodotto, dalla
nuova tecnologia, dalla nuova fonte di offerta. Egli ha ipotizzato che con maggiore probabilità saranno le imprese
di grandi dimensioni a effettuare ricerca e sviluppo e che inoltre saranno monopoliste o oligopoliste. I benefici di
mercati dominati da grosse imprese derivano dai guadagni connessi alla molto maggiore efficienza dinamica dello
sviluppo dei nuovi prodotti e nuove tecnologie.

Una struttura di mercato concentrata, piuttosto che una concorrenziale, fornisce un migliore contesto per lo
sviluppo di innovazioni; potrebbero implicare che le imprese che fanno Maggiore ricerche sviluppo diventino di
grandi dimensioni. Dal momento che l'introduzione di nuovi prodotti O processi implica la distruzione di quelli già
esistenti, Schumpeter ha dato il nome di distruzione creatrice. Quali sono gli incentivi connessi all'attività
innovativa E in che modo variano in base alle dimensioni dell'impresa e alla struttura di mercato?

Una determinata innovazione rappresenta un bene pubblico per cui l'efficienza impone che l'accesso adesso non
sia limitato, per evitare che nascano dei monopoli. Se lo Stato non proteggesse gli innovatori dall'imitazione,
potrebbero esserci pochi incentivi a effettuare il duro lavoro. Brevetti e diritti d'autore conferiscono il diritto di
proprietà che consente agli innovatori di limitare l'utilizzo delle loro idee. Il detentore può agire come un
monopolista E ottenere un profitto di monopolio. Se questo può creare un incentivo a effettuare ricerca, il
monopolio che genera il profitto riduce il surplus totale portandolo a un valore inferiore a quello che sarebbe
potuto essere grazie all'innovazione.

La ricerca e sviluppo È composta da tre attività correlate: la ricerca di base, Nella quale rientrano studi finalizzati a
migliorare le conoscenze di base; la ricerca applicata, implica un considerevole in tutte di ingegneria ed è
finalizzata a un uso più pratico e specifico; lo sviluppo, l'obiettivo è il passaggio da un prototipo a un prodotto che
sia utilizzabile da parte dei consumatori e si presti alla produzione di massa.

Ci sono due tipologie:
• Innovazioni di processo, sono le scoperte di nuovi metodi più economici per produrre beni già esistenti
o Innovazioni drastiche, sono quelle che riducono il costo unitario di un'impresa in modo tale che farà
sempre pagare un prezzo inferiore a quello degli altri concorrenti
o Innovazione non drastica, può ottenere un qualche vantaggio di costo rispetto ai propri rivali, ma non
abbastanza elevato da consentirle di praticare prezzi da monopolista senza il timore della
concorrenza.
• Innovazioni di prodotto, sono la creazione di nuovi beni

Esempio: P = 120 - Q domanda di mercato, costo marginale costante di 80, Concorrenza alla Bertrand, prezzo 80,
Output totale 40. Si supponga che un'impresa acceda a un'innovazione di processo che ne riduce i costi marginali
a 20: se l'innovatore fosse solo nel mercato, Stabilire ben il prezzo di monopolio corrispondente al costo
marginale (20), R' = 120 - 2Q Deve essere uguale al costo marginale, quindi l'output è di 50 e il prezzo è 70.
L'innovazione è drastica in quanto la riduzione del costo è così elevata che l'impresa innovatrice può far pagare
l'intero prezzo di monopolio pur rimanendo in grado di sostenere costi marginali inferiori a quelli di tutte le altre
imprese.
Si supponga l'innovazione riduca i costi marginali a 60: impresa innovatrice desidera produrre un output è di 30 a
un prezzo the 90; le restanti imprese possono stabilire un prezzo inferiore, pur mantenendo un profitto. L'impresa
innovatrice può ora stabilire un pezzo di 80 E un output è di 40 che le consente di eliminare le altre imprese
abbassando il prezzo.

STRUTTURA DI MERCATO E INCENTIVI ALL'INNOVAZIONE
• Teoria dello sviluppo economico (1912), faro sul ruolo dell'imprenditore. È lui che entra nel mercato con
una nuova visione, cambiando la concorrenza e rendendo i prodotti esistenti obsoleti. Lascia presumere
l'importanza del piccolo imprenditore (es Edison, figura dell'inventore-imprenditore)
• Capitalismo, socialismo e democrazia (1942), ha notato lo sviluppo della grande impresa industriale e la
formalizzazione dei processi di R&S. L'innovazione non più data dall'inventore ma dall'organizzazione
dell'impresa. Il primo suggerisce che le strutture di mercato poco concentrate sono quello più propense
all'innovazione. Il secondo sembra suggerire che nei mercati maggiormente concentrati stimolano
l'innovazione e la concorrenza. Rimane nella letteratura come ipotesi Shumpeteriana: nella struttura di
mercato particolarmente concentrate è più probabile osservare il cambiamento tecnologico. La relazione
tra tensione e potere di mercato: i mercati concentrati hanno maggiori costi per il consumatore ma può
essere una struttura più favorevole per l'innovazione.

Arrow (1962): cerca di dimostrare che l'innovazione è tipica dei mercati concorrenziali.
Qual è il potenziale beneficio sociale in questa innovazione? Che valore ha per la società?
Si formuli per ipotesi che ciascuna impresa abbia
un costo marginale di 80; tenendo presente che la
domanda di mercato è la stessa vista
precedentemente, il prezzo attuale è di 80.
Un'impresa scopre un nuovo processo produttivo
facendo ricerca al certo costo K, che riduce il
costo marginale di produzione a 60 (protetta da
un brevetto di durata illimitata).
Un pianificatore sociale ha come obiettivo la
massimizzazione del surplus sociale totale (la
somma del surplus del produttore e del consumatore) E ha il potere di imporre I prezzi; l'ottimo sociale richiede
che il prezzo sia stabilito pari al costo marginale.
• Prima dell'innovazione: il surplus del consumatore a un prezzo di 80 è CS0 = 40 x 40/2 = 800
• Dopo l'innovazione: il surplus del consumatore aumenta a CS1 = 60 x 60/2=1.800 dato un prezzo pari a 60
• DCS = 1800 - 800 = 1000

Il valore attuale totale del surplus supplementare creato dall'innovazione: Vp = 1000/(1 - R); R = 1/1+i
Quanto maggiore è rispetto al valore attuale delle spese associate alla scoperta del processo, tanto più
desiderabile è l'innovazione.
Un'impresa da un'innovazione e la brevetta per un tempo infinito. La sua strategia ottimale consiste nel vendere a
un prezzo leggermente inferiore rispetto ai suoi precedenti concorrenti, facendoli uscire dal mercato e ottenendo
un vero e proprio monopolio. L'output totale dell'industria rimane identico a quello precedentemente adottato:
di conseguenza impresa otterrà Pi = (80 - 60) × 40 = 800.
Il valore attuale di un'impresa concorrenziale: VC =
800/(1 - R); indica quanto le imprese sarebbero
disposte a pagare per una licenza di brevetto (soglia
massima). Impresa concorrenziale considera
esclusivamente i profitti che è in grado di ottenere
grazie all'innovazione, ignorando il beneficio
supplementare in termini di maggiore surplus del
consumatore indotto dall'innovazione.

Nel caso di un monopolista il guadagno derivante
dall'introduzione dell'innovazione corrisponde al profitto supplementare che realizza per il fatto di essere in grado
di produrre auto costo marginale inferiore. Il monopolista produce un output di 20 e stabilisce un prezzo di 100
ottenendo profitti pari a 400. Dopo l'innovazione l'output risulta aumentato a 30 unità, il prezzo ridotto a 90 e i
profitti per ciascun periodo a 900. Il valore attuale che il monopolista attribuisce all'innovazione: Vm = 500/(1 - R),
incentivo per il monopolista a pagare la licenza.

VP > VC > VM : un'impresa concorrenziale attribuisce
all'innovazione un valore maggiore rispetto al monopolista, il
quale ottiene già un profitto di monopolio con la tecnologia
in essere (cannibalizzazione); l'introduzione del nuovo
processo degrada la tecnologia preesistente, Il monopolista
quindi ignora l'aumento della surplus del consumatore:
effetto di rimpiazzo.
Il guadagno sociale derivante da un'innovazione supera il
guadagno di un'impresa in concorrenza alla
Bertrand/Cournot che a sua volta supera il guadagno di un
monopolista.

Gilbert & Newberg (1982) analizzano la concorrenza shumpeteriana in un contesto dinamico.
Il monopolista è sempre minacciato dall'entrata potenziale di un'altra impresa (l'incentivo a pagare per la licenza
diventerebbe 900); si supponga che la tecnologia attuale consenta di produrre alcun costo marginale di 60; il
monopolista e il potenziale entrante partecipano a un gioco a tre stadi:

• Primo stadio: impresa già presente decidere se
effettuare o meno la ricerca che riduce il costo
marginale a 30; altrimenti il costo marginale senza
innovazione è 60.
• Secondo stadio: un potenziale entrante decidere
se entrare o meno;
• Terzo stadio: l'impresa già presente non ha
effettuato la ricerca quindi la nuova impresa scegliere
se effettuare o meno alla ricerca.
Risolvendo il gioco a ritroso, è possibile calcolare quanto vale l'innovazione per le due imprese:
• Nuova impresa, l'innovazione fa aumentare i profitti per ciascun periodo portandoli da 400 a 1600: Ve =
1200/(1 - R)
• Impresa già esistente, l'assenza di innovazione comporterà l'entrata da parte dell'impresa innovativa, a
patto soltanto che il costo dell'innovazione sia inferiore alle suo valore attuale. Intel caso ottiene profitti per
ciascun periodo pari a 100; invece se l'impresa già presenti sul mercato in nove, Ottiene profitti per ciascun
periodo pari a 1600: Vi = 1500/(1 - R).

Ve < Vi pertanto il monopolista è maggiormente incentivato a innovare. Indipendentemente dal fatto che
l'innovazione da parte di un'impresa monopolista già presente permetta di mantenere o meno quel monopolio,
l'impresa già presente attribuisce all'innovazione un valore maggiore rispetto a un'impresa che potenzialmente
entra sul mercato. Migliorarsi è meglio che essere rimpiazzati da un nuovo arrivato. Questo effetto è chiamato
effetto di efficienza.

Ora l'innovazione scoraggia l'entrata, consentendo all'impresa già presente sul mercato di mantenere la sua
posizione di monopolio con profitti pari a 2025; la mancata innovazione da parte sua comporta l'entrata da parte
della nuova impresa e profitti pari a 100.
Il valore attuale del monopolista: Vm' = 1925/(1 - R).

Dasgupta e Stigliz (1980) ipotizzano un'industria composta da N identiche imprese alla Cournot, ciascuna delle
quali deve determinare il livello di output qi da produrre e l'ammontare Xi da destinare alla ricerca; il beneficio di
questa spesa consente di abbassare il costo unitario di produzione C. il costo unitario è una funzione decrescente
dell'ammontare che spende in ricerca
ci = (Xi); dc(Xi)/dXi < 0
Pi = p x qi - c(Xi)qi - Xi = RT - costo della ricerca - costo fisso
X* costo scelto dalle imprese è descritto dalla funzione, c(X*):
l'esito in questo modello simmetrico è un margine prezzo/costo di
equilibrio o indice di Lerner: [P - c(X*)]/P = Si/Elasticità
1. Si = 1/n prima condizione di equilibrio -> Per cui: P(1 -
1/nE) = c(X*) (R' = MC)
2. Seconda condizione di equilibrio indica la scelta ottima per la spesa in attività di ricerca (X*): dPi/dXi -> (-
dc(Xi)/dXi)qi = 1
Se un incremento della spesa in ricerca riduce il costo marginale, il valore della variazione del costo a
seguito di un euro supplementare di spesa è negativo. Il lato sinistro è positivo e pari all'intero beneficio
marginale di € 1 supplementare di spesa; a livello di equilibrio X*, il beneficio marginale è esattamente pari
al costo marginale.


Conclusioni:
A. Un aumento del numero di imprese nell'industria, farà diminuire l'ammontare che ciascuna impresa sarà
disposta a spendere in ricerca. Il motivo è che l'aumento fa diminuire l'ammontare ciascuna impresa
sceglierà di produrre. Il beneficio marginale della spesa è direttamente proporzionale al volume dell'output;
X* diminuirà all'aumentare del numero di imprese.

B. Il fattore determinante è l'elasticità della domanda di mercato; perché la spesa aumenti l'elasticità deve
essere elevata. Quando la domanda è elastica, non farà diminuire troppo il prezzo e non farà neanche
diminuire di molto il ricavo marginale. Se elasticità della domanda di mercato diminuisce all'aumentare
dell'output, l'aumento del numero di imprese porterà a una riduzione della spesa totale in ricerca:
concentrazione favorisce innovazione.

C. Nel lungo periodo, la libera entrata comporterà un aumento del numero di imprese fino a che ciascuna non
ottiene profitti pari a zero P(Q*)q* - c(X*)q* - X* = 0
Rispetto al numero di equilibrio di imprese nell'industria n*: P(Q*)Q* - c(X*)Q* - n*X* = 0
Ogni impresa ha una quota di mercato pari a 1/n, l'esito di questo modello è:
(n*X*)/(P x Q*) = 1/(n*E) spesa dell'industria in ricerca e sviluppo come quota delle vendite dell'industria.
Suggerisce che la quota dei ricavi delle vendite totali di un'industria rispetto alla spesa sarà probabilmente
minore nelle industrie meno concentrate.

Prove empiriche a favore dell'ipotesi schumpeteriana
Sembra che l'intensità della ricerca aumenti all'aumentare della concentrazione industriale, ma soltanto fino a un
valore piuttosto basso, dopo il quale i tentativi di ricerca sembra stabilizzarsi o persino calare in percentuale
rispetto i ricavi.
Una volta che le imprese raggiungono dimensioni relativamente piccole e i mercati raggiungono un livello
relativamente basso di concentrazione, gli eventuali effetti positivi delle dimensioni dell'impresa o della
concentrazione del mercato sull'attività innovativa attendono a svanire.

1. Di conseguenza le misure di tali opportunità tecnologiche tendono a essere strettamente correlate a livello
di concentrazione industriale; essa riflette gli effetti positivi sull'innovazione che si accompagnano agli
aumenti delle opportunità di progressi tecnici.
2. Un fattore rilevante È il brevetto: numero effettivo di innovazioni, probabilmente misurato dal numero di
brevetti che un'impresa acquisisce. Le imprese di grandi dimensioni fanno in proporzione più ricerche
sviluppo rispetto a quelli di piccole dimensioni, Ma ottengono mila innovazioni.
3. Una terza questione è il carattere endogeno della struttura di mercato: caso Alcoa e Microsoft; le imprese
di grandi dimensioni e imposizioni di dominanza sono anche imprese in possesso di molti brevetti.

È l'attività innovativa che comporta il potere di mercato; Se le imprese che riescono a dominare i mercati in cui
operano E riescono a crescere in virtù delle abilità imprenditoriali e dei progressi della tecnica, l'applicazione
potrebbe essere piuttosto contraria al modello di Schumpeter.

Brevetti
Le informazioni riguardanti una determinata innovazione rappresenta non bene pubblico e si vorrebbe quindi che
si diffondessero; ma senza una protezione dagli imitatori potrebbero esserci pochi incentivi al tentativo costoso e
incerto.

Durata ottimale
Nel regno unito Stati Uniti e Europa, la legge garantisce una protezione di vent'anni dalla presentazione della
richiesta. Spetta poi al titolare del brevetto accertarsi che esso sia rinnovato durante la sua vita e che non venga
violato. È necessario trovare un equilibrio fra la capacità da parte dell'innovatore di trovare un rendimento dal
suo investimento in ricerca e i benefici che i consumatori otterranno una volta che il brevetto sarà scaduto e la
conoscenza sarà pubblica (maggiori incentivi comportano maggiore benessere).

Nordhaus (1969): se un'impresa investe in ricerca (x) esso può ridurre i suoi costi operativi unitari portandoli a (c -
x). Il corso della ricerca all'intensità x è r(x). Tali costi aumentano all'aumentare dell'intensità del livello di ricerca a
un tasso crescente: ciò significa che [dr(x)/dx > 0]; la ricerca risulta costosa e implica rendimenti decrescenti.
Un innovatore di successo sarà in grado di produrre a un costo unitario inferiore a (c - x), eliminando tutti i suoi
rivali stabilendo un prezzo appena un centesimo inferiore rispetto quello attuale. Oppure può concedere in
licenza la sua scoperta e in cambio ottenere il pagamento della stessa somma;
Rappresenta i guadagni connessi all'innovazione durante e dopo il
periodo di protezione brevettuale. L'innovatore riceve i profitti
dell'area A per T anni in cui il brevetto in vigore. A scadenza, la
concorrenza abbassa il prezzo a (c - x), I consumatori ottengono sotto
forma di surplus del consumatore i profitti dell'area A + B. Più lunga è
la durata del brevetto, più lungo è il periodo nel quale innovatore
ottiene il profitto A e maggiore è il suo incentivo a effettuare la
ricerca.
Il valore attuale del profitto dell'innovatore: Vi(x;T) = S Rtpm(x;T) = (1 - Rt)/(1 - R)pm(x;T)
Il valore netto della ricerca per l'innovatore è: Vi (x;T) - r(x) - per determinare il livello ottimo x*


Per seguire in modo ottimale T*, l'ufficio brevetti opera per
una durata che massimizza l'aumento del surplus sociale
dati livelli di ricerca scelti dalle imprese. SS aumento del
surplus sociale per ciascun periodo. Il valore attuale
dell'aumento del surplus è: SS(X;T) = [R^T/1 - R]ss(X;T)
Surplus sociale netto totale è: NS(X*(T);T) = Vi(X*(T);T) +
SS(X*(T);T) - r(X*(T))
Sicuramente la durata ottimale di un brevetto
è finita; un aumento induce una maggiore
ricerca e un maggiore surplus netto attualizzato
per produttore e consumatori. Se la durata del
brevetto è zero, i rendimenti dell'innovatore
sono anch'essi pari a zero. Se si aumenta la
durata del brevetto portandola a un valore T >
0 si indurrà l'innovazione e quindi un qualche
aumento del surplus totale, ma oltre un certo
limite si avrà come risultato una riduzione del
surplus sociale netto. Questo è dovuto:
• Rendimenti decrescenti derivanti
dall'attività di ricerca: ci vorranno aumenti
sempre maggiore di per ottenere un
determinato risparmio
• Se la durata tende all'infinito, il surplus sociale tende a zero
• Attualizzazione: I benefici del consumatore indicati con area B, Saranno realizzati soltanto dopo che il
brevetto giungerà scadenza; se la durata molto lunga il valore attuale sarà esiguo.

Ampiezza ottimale
L'idea è quella di stabilire il livello minimo di differenziazione rispetto un processo già esistente perché essa non
incorra nella violazione di un brevetto esistente. Quanto maggiore è questo livello minimo, tanto più difficile
risulterà per le altre imprese creare un sostituto. La scelta è fra un sistema nel quale i brevetti avranno una durata
breve ma un'ampia copertura e una durata lunga ma una copertura molto ristretta. Queste scelte implicano la
ricerca di un equilibrio: Gilbert e Shapiro (1990) definiscono l'ampiezza del brevetto come la misura in cui il
titolare può far pagare un prezzo superiore al costo marginale. I brevetti più ampi diminuiscono le alternative di
prodotti sostituti e consentono un margine più elevato. Essi dimostrano che il brevetto ottimale deve avere
un'ampiezza molto ristretta ma durata infinita; l'unico modo per evitare questa discontinuità di prezzi consiste
mantenere questo al di sopra del costo marginale in tutti mercati per periodi del futuro infinito.
Gallini (1992) motiva la scelta di brevetti ampi e di breve durata. In presenza di questi brevetti limitazione è meno
interessante, In quanto le imprese trovano che sia meno costoso aspettare che brevetto giunga scadenza,
piuttosto che fare tentativi al fine di imitarlo.
I costi di duplicazione comportano però una probabile inefficienza di mercato: guerra tra imprese al fine di
arrivare per primi al brevetto; doppie spese e doppia ricerca per la stessa innovazione, ma solo uno vince. Bisogna
capire come far funzionare bene questo mercato in modo da eliminare questi costi di duplicazione:
• Innovazioni cumulative (non singole)
• RTA (Reach Through Agreement): la licenza d'uso fa si che il monopolista accumuli profitti dalla vendita
diretta e indiretta (ha diritto a una percentuale sulle vendite delle imprese che utilizzano la licenza)
• Broad Patents: potrebbero facilitare gli accordi ex ante, mettendo i brevetti all'interno di un unico
portafoglio, suddivisi per argomento.
In generale ci mostra che l'eterogeneità è ampia; ogni industria ha propri paradigmi di produzione e tecnologia.



Gare per i brevetti (patent race)
Si considerano le implicazioni di un sistema di brevetti nel generare una gara nella quale l'unica cosa importante è
arrivare per primi. Impresa che per prima compie rinnovazione vince la gara e fa richiesta di un brevetto che le
concede diritti in esclusiva sulla propria invenzione. Il perdente avrà speso risorse ricerca sviluppo senza
rendimento alcuno.
HP: domanda di mercato P = A - BQ; ammontare fisso K (sunk cost); r probabilità che l'innovazione vada a buon
fine; il fattore di sconto tende a zero.
1. Se nessuna delle due imprese tenta di sviluppare uno prodotto, nessuno entrerà in questo nuovo mercato e
di conseguenza i profitti saranno pari a zero.
2. Se le imprese effettuano la ricerca e hanno successo nel produrre innovazione, si sa che i loro profitti
saranno profitti di duopolio Cournot al costo marginale c: Pb = Pe = (A - c)2/9B
3. Se un'impresa al successo nella ricerca mentre l'altra no, la prima sarà un monopolista del nuovo mercato
ottenendo i profitti di monopolio: Pb = (A - c)2/4B = PM

A seconda se creino o meno una divisione di ricerca: se è solo un'impresa ad avere R&S, i suoi profitti attesi sono
formati da due componenti:
• Profitto se la divisione di ricerca non ha successo, è pari a zero e si produce con una probabilità (1 - r)
• Profitto sulla divisione di ricerca successo, è pari al profitto di monopolio E si produce con una probabilità r
Di conseguenza il profitto atteso della prima impresa se è l'unica impresa creare la divisione di ricerca:
Pb = r(A - c)2/4B - K = rPM - K = M(r - K/M) = M( r - S) in cui S = K/M e indica la quota dei profitti di
monopolio necessaria per creare la divisione di ricerca e sviluppo

4. Se entrambe le imprese creano delle divisioni di ricerca, il profitto atteso per ciascuna è dato:
o Profitto se la divisione di ricerca a successo, mentre nella rivale non ha successo, è pari a (A - c)2/4B, si
produce con una probabilità r(1 - r)
o Profitto se entrambe le divisioni hanno successo, è pari (A - c)2/9B, si produce con probabilità r2
Pb = Pe = [(A - c)2/36B]r(9 - 5r) - K = r(1 - r)M + r2[(A - c)2/9B] - K = [r - r2(5/9) - S]M , profitto atteso di
ciascuna delle imprese entrambe condivisioni di ricerca.

Matrice dei pay-off che consente di identificare gli equilibri di Nash:
B\E Non fa K K

Non fa K 0;0 0; M( r - S)

K M( r - S); 0 [r - r2(5/9) - S]M; [r - r2(5/9) - S]M


Tre possibilità:
1. Nessuna delle imprese vuole creare una divisione (K = 0): richiede che M(r - S) < 0, S > r; la probabilità di
successo è inferiore alla frazione del profitto di monopolio necessario per finanziare la ricerca
2. Soltanto un'impresa vuole creare una divisione: devono essere soddisfatte due condizioni
a. La prima impresa si aspetta di ottenere un profitto maggiore dato che la seconda non investirà
ricerca; essa necessita che S < r
b. La seconda impresa non si aspetta che la sua spesa sia redditizia dato che la prima investe in ricerca;
richiede che S > r(9 - 5r)/9
3. Entrambe le imprese voglio stabilire una divisione: ci si aspetta di ottenere un profitto atteso maggiore
rispetto quello connesso al fatto di non investire; richiede che S < r(9 - 5r)/9

Economia della proprietà intellettuale
L’economia è sempre più basata sulla conoscenza, su beni intangibili e sulle innovazioni. Sfide nuove, grande
enfasi sui diritti di proprietà intellettuale (IPRs), ma sono adatti alla nuova economia? Le economie sono sempre
più integrate questo richiede una visione globale sugli effetti economici degli IPRs.

Fondamentali
I sistemi di diritti di proprietà intellettuale (ma vale per le istituzioni in generale) non sono stati creati da alcun
agente razionale che in modo coerente cerca di massimizzare il benessere sociale. Sono il risultato di processi
intrinsecamente storici (path-dependency - dipendenza dal sentiero, risultato di una sequenza specifica di eventi)
con conseguenze intenzionali e non intenzionali. Riflettono il conflitto di diverse parti interessate.
Il ruolo degli economisti è quello di individuare i principali problemi di efficienza allocativa e di uguaglianza
distributiva, attraverso l'analisi normativa.


L’origine del brevetto
Litterae Patentes: i monopoli di ogni tipo concessi dalle autorità (specialmente i re) per stimolare
l'imprenditorialità (+ aumentare le tasse correlate). Molte testimonianze di brevetti usati a Venezia, in Francia e
Inghilterra al fine attrarre artigiani stranieri.
• PROBLEMA ECONOMICO 1: importazione della tecnologia: Unica novità locale richiesta:
o La divulgazione attraverso l'apprendistato da cui la lunghezza del brevetto: 7 anni (era la durata
normale dei contratti di apprendistato)
• PROBLEMA ECONOMICO 2: proteggere il maestro straniero dalla concorrenza locale dai suoi ex apprendisti.
o Il monopolio non riguardava necessariamente invenzioni
o Nessuna descrizione astratta dell'invenzione, ma l'ispezione formale dei locali di produzione da parte
delle autorità
Il brevetto non nasce come incentivo a innovare; per esempio il Copyright non nasce come diritto di proteggere
gli scrittori, ma come permesso ad utilizzare l'elaborato. L'obiettivo non era proteggere, ma controllare ciò che
veniva copiato e stampato.

Eterogeneità fra paesi
UK
Giacomo I Stuart è sotto attacco da parte del Parlamento
Il Re è accusato di aver abusato del suo potere di concedere "privilegi"
1623 Statuto dei Monopoli, da parte del Parlamento (i cui membri ambiscono a liberalizzare le attività
economiche).
Tutti i monopoli vengono annullati tranne quelli sulle invenzioni durata non discrezionale (14 + 7 anni): la parola
«patent» rimane solo per le invenzioni
Giustificazione economica di tipo utilitaristico vicino alla teoria economica «classica».

FRANCIA
La Rivoluzione abolisce tutti i privilegi concessi dal re
Brevetti su invenzioni ("brevets") sono esentati in quanto considerati "diritti morali"

USA
Rivoluzione si verifica prima che in Francia, ma c’è influenza dell'Illuminismo
Abolizione dei monopoli con l’espulsione degli inglesi
I brevetti sulle invenzioni sono salvaguardati: mix di giustificazioni inglesi (utilitarismo) e di principi francesi (diritti
morali)
Richiesta di descrizione al contrario di produzione + tirocinio:
È l'idea, non la macchina, che garantisce protezione
Principio novità "assoluta" richiede confronto a "prior art" (nascita della moderna procedura di esame)

Manifesto della "giustificazione utilitaristica" della PI: non esiste alcun diritto morale dell'individuo sulla propria
invenzione; l'idea è un bene pubblico non rivale.
Un individuo può possederla in esclusiva finché la tiene per sé, ma nel momento in cui viene esplicitata diventa
possesso di tutti, e colui che apprende non può espropriare se stesso di essa.
Il suo carattere peculiare è che nessuno ne possiede di meno se gli altri ne vengono in possesso.
Le idee devono diffondersi liberamente da una all'altra parte del mondo, per l'istruzione morale e reciproca
dell'uomo, e il miglioramento della sua condizione. Le invenzioni quindi non possono, in natura, essere oggetto di
proprietà. La società può dare un diritto esclusivo per i profitti che ne derivano, come un incoraggiamento agli
uomini a perseguire le idee che possono produrre utilità, ma questo può o non può essere fatto, secondo la
volontà e la convenienza della società, senza pretesa o reclamo da parte nessuno.

Germania: privilegi reali (incl. brevetti) sono sopravvissuti in tutti gli Stati -> auto abolizione (invece di
armonizzazione), insieme con la creazione di Zollverein -> Bismarck accetterà abolizione nel 1868. Diventerà poi il
modello per i sistemi brevettuali occidentali

Svizzera: referendum fallito di introdurre i brevetti nel 1849, 1815, 1854, 1863, 1882, successo solo nel 1887

Paesi Bassi: l'abolizione nel 1867; reintroduzione nel 1910. A seguito del dibattito sull’evoluzione del settore
fotografico in Francia e Regno Unito

Inghilterra: nel 1872 la Camera dei Lord approva la riduzione della protezione brevettuale a 7 anni (ma House of
Commons la abroga nel 1874)


Viviamo in un ERA PRO BREVETTO: grande ampliamento e il rafforzamento seguono tre traiettorie
1. Subject matter: espansione del dominio delle cose brevettate; precedentemente non potevano essere
brevettate: invenzioni basate sulla scienza (Exp. biologia), software, genetica
2. Geografico: espansione dei paesi a livello globale (TRIPs)
3. Titolarità del brevetto: espansione università ed enti di ricerca pubblici

Le legislazioni sono il risultato di un processo storico di negoziazione, ma non si sa se questo sistema sia efficiente
e giusto.
Le forze principali che stanno dietro al cambiamento sono:
1. La politica US per creare nuovi "mercati per le tecnologie" e trasferimento di tecnologie università-
industria.
2. Desiderio da parte delle multinazionali di garantire mercati esteri ai prodotti brevettati (e copyright)
3. Pressione delle aziende farmaceutiche per estendere la tutela dei brevetti di fronte alle crescenti costi di R
& S

La giustificazione economica
La legislazione brevettuale serve per avere incentivi e innovare. L’obiettivo di policy: creazione e diffusione di
conoscenza utile. La teoria si basa sul fallimento di mercato:
La conoscenza è tendenzialmente non rivale e non esclusiva, ha alti costi fissi e una volta prodotta, il costo
marginale è bassissimo, perché quasi sempre la conoscenza è infinitamente riproducibile. Non è sempre un bene
pubblico assoluto, ma entro certi limiti.
L'idea è di affrontare i problemi della creazione di beni pubblici da parte del mercato: devono essere forniti dallo
Stato tramite la tassazione.
Diverse soluzioni possibili al problema dei beni pubblici
Sussidi, Partecipazioni diretta alla produzione del bene, Monopoli privati regolamentati, Premi (Prizes), Diritti di
proprietà/Brevetti (istituzione per generare nuove conoscenze e valutare l'efficacia e l'efficienza).

Costi e benefici IPRs - Viene prodotto solo se al bene pubblico viene associato un diritto di monopolio (profitti
moltiplicati per la durata del brevetto)


S Rt x PM; genera l'incentivo (WTP, Willigness to Pay, ossia disponibilità a pagare):
• Al crescere di T, i profitti aumentano
• Più il brevetto è ampio, più si hanno incentivi
• Perdita di benessere • Decentralizzazione
• Viene mitigata dalla discriminazione di • Non c’è una negoziazione con una autorità, decide
prezzo; l'impresa
• Difficile da implementare • Il costo dell’innovazione ricade sugli utilizzatori
• Trade-off: • non sui contribuenti
o Mercato comune
o Questioni di equità
Trade-offs - Brevetti
• Efficienza dinamica verso efficienza statica
• Durata e ampiezza ottimale
o durata: numero di anni in cui è valido il brevetto.
o Ampiezza (scope - breadth) è la porzione di prodotto o tecnologia che può essere prodotta (il grado di
novità richiesto)
o Numero di rivendicazioni (claims) nel brevetto.
• Tutti questi elementi, più il livello effettivo di enforcement, influenzano i costi e i benefici sociali del sistema
brevettuale

La giustificazione economica CLASSICA dei brevetti
• Soluzione ai fallimento del mercato nel generare innovazione
• Non-rivalità + limitata escludibilità della conoscenza riducono gli incentivi a produrla; creazione di IPRs come
second best solution:
• Aumento del welfare (efficienza dinamica): IPRs incoraggia l’attività inventiva
• Diminuzione del welfare (inefficienza statica): concorrenza limitata nei settori dove I brevetti sono importanti
• Disclosure: obblighi di divulgazione di informazioni; l'alternativa è il segreto industriale
• Bilanciamenti: durata limitata + parziale codificazione (manterrebbe la conoscenza come bene pubblico):
rende possibile la concorrenza perfetta dopo che il brevetto è scaduto
Nuove giustificazioni
Due fattori rilevanti influenzano l’uso dei brevetti:
• Cumulatività = un’invenzione è una base per un’altra invenzione
• Complessità e integrazione = diverse invenzioni devono essere integrate per poter fare un prodotto (es. IT,
elettronica)

I brevetti incoraggiano la concorrenza attraverso l'ingresso di nuove imprese specializzate (R&D contractors,
consulenti, start up accademiche)
I brevetti potrebbero soffocare l'innovazione perché in tecnologie complesse e cumulative il rischio di violare un
brevetto scoraggia l'innovazione
La brevettazione strategica e aumento dei costi endogeni

In sintesi (in azzurro le ‘nuove’ giustificazioni, in bianco l'approccio classico)
Effetti su Positivi Negativi

Innovazione Incentivi per investimenti in R&S impedisce la combinazione di nuove idee e invenzioni;
aumenta i costi di transazione;
inibisce invenzione cumulativa

Concorrenza facilita l'ingresso di nuove o piccole Crea un monopolio e limita l’accesso.


imprese con assets limitati; Il monopolio potrebbe essere duraturo.
consente disintegrazione verticale

Le patologie: come si viene a creare nella realtà rispetto alla giustificazione economica?
1 Accesso ristretto a monte alle scoperte fondamentali (Bayh-Dole Act - in biomedicina)
Domande importanti sulla brevettabilità degli strumenti di ricerca e sul trasferimento di conoscenze
dall’università all’industria
La tragedia degli anti-commons per attività terapeutiche e diagnostiche

2 Concorrenza fra portafogli di brevetti in industrie con prodotti complessi possono creare barriere
all’entrata
–Difficile valutare l’estensione dei diritti (vd. Caso Apple-Samsung)
–Brevetti difensivi e la costruzione di portafogli brevettuali impongono una "tassa" sull'innovazione
– Vedere per esempio: JULY 1, 2009 Toyota Builds Thicket of Patents Around Hybrid To Block Competitors,
wsj

3 Il problema della qualità dei brevetti. Se è bassa si ha potere di mercato senza benefici sociali
–Software, nanotecnologie
–Se i brevetti sono costosi il problema è più limitato (EPO vs. USPTO)
NEGLI STATI UNITI
Aumento del 7% all’anno di casi aperti di violazione brevetti (almeno 4000 nel 2011)
Il valore mediano dei danni pagati nel 2011:
16 billions dollar (più tutto il resto)

4 Sharks, trolls, submarines & divisionals


La strategia dei troll (caso blackberry)
•deposito di brevetti che sfuggono alla sorveglianza delle grandi imprese… che finiscono per violarli
– submarine patents
– US continuations, EU divisionals
•nessuna intenzione di impegnarsi nella produzione: utili ricavati dai danni pagati per l’infrazione (o da
licenze offerte dalle grandi imprese per risolvere la causa)
•Sfruttano e abusano i rimedi esistenti per I casi di violazione:
– injunctive relief (provvedimento ingiuntivo)
– “ordinary licensing fee” damages
– “infringers’ profits” damages

Le attuali regole vanno a beneficio dei troll
•Ordinary license fee à profitti dei troll sono proporzionali ai profitti della grande impresa
•Profitti del contraffattore à troll ottiene tutti i profitti della grande impresa (meno una «giusta
deduzione")
•Preliminary injunction à mette l'autore della violazione in una posizione contrattuale molto debole (costi
negoziali e perdite elevate a causa del potenziale arresto dell’attività)

5 Problemi nei paesi in via di sviluppo: accesso ai farmaci essenziali, gestione delle risorse naturali,
conoscenza tradizionale
–Accordi TRIPs and accordi bilaterali
–Importazioni parallele e licenze obbligatorie.
•Distinguere costi e benefici del sistema da quelle che sono propriamente “patologie”

ESTERNALITA DI RETE – CAP 19
Per molti beni e servizi il valore del loro utilizzo per un consumatore aumenta man mano che altri consumatori lo
acquistano e se ne servono. I Networks sono sistemi il cui valore per un utilizzatore dipende dal numero di altri
utilizzatori:
- Standards
- Sistemi di trasporto e comunicazione (treni, strade, fax)
- Sistemi hardware - software
Questi effetti di rete modificano la concorrenza nell’industria e l’esito nel mercato; possono essere diretti se le
reti sono reali e le connessioni visibili (fax, telefono, email) oppure indirette (hardware – software) riguardano
prodotti complementari, reti virtuali i cui feedback positivi passano attraverso i prezzi e la varietà (domanda e
offerta). L’esternalità di rete agiscono in modo simile alle economie di scala (alti costi fissi, bassi costi marginali e
rendimenti crescenti nella funzione di produzione), tranne per il fatto che agiscono sul lato della domanda, creano
forti incentivi per le imprese a operare su larga scala (progresso tecnico e prezzi dei fattori e dei beni decrescono
al crescere del settore).

Es: Ebay la società di aste online; nasce come piccola impresa start up nel 1995, attualmente conta 10 milioni di
utenti registrati. Prima degli anni ’90 la vendita diretta di molti articoli era limitata, a causa dei costi elevati
collegati alla necessità di far incontrare potenziali acquirenti e venditori. Nel 2000 grazie a Internet, questi
problemi vennero meno: facilitò la diffusione di un’enorme quantità di info a un gran numero di acquirenti e
venditori in breve tempo.
Quando il valore di un prodotto per un consumatore aumenta all’aumentare nel numero degli altri consumatori
che lo utilizzano, si dice che il mercato in questione presenta delle esternalità di rete.

HP: al cliente viene fatto pagare un unico prezzo P per collegarsi alla rete; F il numero massimo di
!
utenti/consumatori potenzialmente disposti ad acquistare il prodotto; f = numero di clienti effettivamente
"
serviti (frazione del mercato che viene servita). Tutti i consumatori concordano che il servizio abbia un valore
tanto maggiore quanto maggiore è la frazione f del mercato che vi aderisce (se tutti acquistano f = 1). Indichiamo
vi il valore intrinseco attribuito da parte dell’iesimo consumatore (unitamente distribuite fra 0 e 1).
0 𝑠𝑒 𝑓𝑣𝑖 < 𝑃
La domanda da parte del consumatore i per il collegamento al servizio è:
1 𝑠𝑒 𝑓𝑣𝑖 ≥ 𝑃
La disponibilità a pagare (WTP) per il servizio da parte del consumatore fvi, aumenta all’aumentare della frazione
dei potenziali acquirenti f che hanno aderito al servizio. Il cliente però non tiene conto dei benefici esterni che
crea entrando nella rete: migliorerebbe l’utilità per tutti gli altri utenti.

Calcolo della frazione del mercato che aderirà al servizio per ciascun dato prezzo P: partendo dalla valutazione di
riserva 𝒗′i ossia quel consumatore indifferente ad aderire o meno al servizio, per cui 𝒗′i = P/f.
𝒗2𝒊
La frazione di consumatori con una valutazione inferiore 𝒗′i: 𝒇 = .
𝑽
𝒗7 𝒊 𝑷
La frazione di consumatori con una valutazione superiore e che acquisteranno: 𝒇 = 𝟏 − =𝟏−
𝑽 𝑽𝒇
Risolvendo per P, si ottiene la funzione inversa di domanda: 𝑷 = 𝑽𝒇(𝟏 − 𝒇)
Funzione crescente: all’aumentare di f, i consumatori hanno
disponibilità a pagare maggiore. Al prezzo P, se un numero minore
di fL consumatori aderisce alla rete, l’equilibrio scenderà a f = 0; se
invece un numero maggiore di fL consumatori vi aderisce,
l’equilibrio salirà a fH.
;< A
= 𝑉 − 2𝑉𝑓; 𝑉 − 1𝑉𝑓 = 0; 𝑓 = da cui è possibile calcolare il
;= B
A
prezzo 𝑃 = 𝑉
C
fL: massa critica; fin tanto che si può stabilire una frazione di utenti
leggermente maggiore rispetto a questa soglia, la rete crescerà e conterrà la frazione elevata, fH. Al di sotto di
questa soglia, il meccanismo non entra in funzione e quindi l’equilibrio ritorna a f = 0, gli utenti vengono meno e
la rete fallisce. Quando la funzione diventa decrescente, la disponibilità a pagare è minore perché i consumatori
hanno vi piccolo. Per oltrepassare tale vincolo, l’impresa può offrire il prodotto gratuitamente per un periodo
limitato di tempo o politiche di marketing per farlo conoscere.

!
HP MONOPOLIO: massimizza il suo profilo (MC = 0) e i costi fissi siano F; 𝜋 = 𝑃𝐹𝑁 − 𝐹; 𝑓 =
"
Dato un prezzo 𝑷 = 𝑽𝒇 𝟏 − 𝒇 stessa curva di domanda, allora 𝜋 = 𝑉𝑓 1 − 𝑓 𝑓𝑁 = 𝑉 1 − 𝑓 𝑁 = 𝑉𝑓^2𝑁 −
𝑉𝑓^3
IJ
= 2VfN – 3Vf2N = 0; 2 – 3f = 0; f* = 2/3 è la scelta ottimale della quota di mercato. La massa critica è f = 1/3.
I=
grafico 1 – è efficiente dal pdv sociale solo se MC = 0; WTP > 0 socialmente il prodotto viene acquistato, ma
questo non avviene perché il monopolista fa un prezzo più alto: INEFFICIENZA.

LOCK IN: inefficienza potenziale, la tecnologia adottata potrebbe avere un pay off di lungo periodo minore per gli
utilizzatori.
- Lock in tecnologico: switching costs (s) elevati per la tecnologia che è rimasta indietro;
o se v ≥ c ma anche v ≤ c + s

Modello di Arthur (lock in tecnologico senza switching costs, quindi possono cambiare tecnologia senza costi)
Contesto in cui vi sono due tecnologie diverse (A – B) e i consumatori possono scegliere tra le due; due tipi di
consumatori a – b. La preferenza intrinseca è per uno dei due standard, allo stesso tempo vi sono esternalità di
rete e quindi scelgo la tecnologica più utilizzata. Rendimenti assoluti (utilità di base u) e rendimenti relativi
(dipendono dal numero di utilizzatori della rispettiva tecnologia na e nb)
A B
a u + na n b
b na u + nb
- Se na = nb : a compra A; b compra B
- a preferisce B se nb > u + na ; nb – na > u; barriera di assorbimento: sorpassata u il mercato si cristallizza su
B

Processo di adozione sequenziale: se arriva a, poi arriva b … se arrivano tanti a assieme e superano la soglia U,
allora il processo diventa irreversibile e tutti sceglieranno A (anche i consumatori b). il modello è rilevante per due
motivi:
1. può esserci convergenza irreversibile di una tecnologia solo come causa del processo di adozione, con cui
si ha “lock in” in una specifica tecnologia (processo irreversibile di uno STANDARD, che non è detto sia il
migliore – caso Querty)
2. nel processo di adozione è importante la sequenza specifica di eventi: “path dependency”, il risultato
finale dipende da processi che sono intrinsecamente storici (sequenze specifiche nel tempo).

HISTORICAL ACCIDENTS: possono esservi anche degli eventi storici casuali che determinano il processo di
adozione (sequenza casuale).

CONCORRENZA FRA SISTEMI E GUERRA PER GLI STANDARD
Documento elaborato attraverso il consenso delle parti interessate, approvato dagli enti, che contiene
specificazioni tecniche o criteri che devono essere utilizzati come regole, linee guida perché materiali, prodotti,
processi e servizi siano adatti al loro scopo. Vi è la necessitò di un coordinamento; i vantaggi degli standard sono:
- migliore qualità e affidabilità
- maggiore compatibilità ed interoperabilità
- riduzione del numero di modelli diversi e dei costi
- miglioramento dell’efficienza di distribuzione e facilità di manutenzione

Due problemi:
1. una volta adottato uno standard, soprattutto da parte dello stato è difficile cambiare
2. spesso le imprese hanno vantaggio nella produzione, ma non sono contente perché vi è maggiore
concorrenza e i margini di profitto potrebbero scendere; le imprese cercano di scappare da questi
attraverso le strategie di differenziazione (caso Apple)

TRADE OFF standardizzazione e varietà:
- si riduce il grado di differenziazione del prodotto à competizione di prezzo àprofitti si riducono
- aumenta la disponibilità a pagare dei consumatori à profitti aumentano
Lo standard può essere definito in modo specifico (concorrenza di prezzo) o generico (diverse varietà del
prodotto). Le imprese devono decidere se concorrere nel o per il mercato:
- concorrenza negli standard è forte le imprese preferiscono la compatibilità
- concorrenza nel prodotto è forte le imprese preferiscono l’incompatibilità

Domande:
1. Come è influenzata l’adozione di nuovi standard dalle preferenze dei consumatori?
a. Inerzia eccessiva: preferenza per compatibilità (manca la massa critica sulle nuove tecnologie
quindi c’è incompleta info delle preferenze altrui e paura del lock in per tecnologie inferiori)
b. Mobilità eccessiva: gli utenti adottano una tecnologia inferiore a causa dell’”effetto valanga”
2. Quali sono le tipologie di situazioni in cui si può trovare un’impresa e quali sono le strategie ottimali?
a. Negoziazione/guerra per gli standard

STANDARD PROPRIETARIO vs COMPATIBILITA: due imprese A e B, due tecnologie t1 e t2; tre possibili interazioni
strategiche:

1. Zuppa e pan bagnato: esternalità di rete meno importanti; il mercato esiste anche con standard diversi).
Non c’è un equilibrio, la strategia ottimale è la guerra per lo standard, oppure:
B\A T1 T2
T1 ∏(A) = 3; ∏(B) = 3 ∏(A) = 6; ∏(B) = 7
T2 ∏(A) = 8; ∏(B) = 5 ∏(A) = 2; ∏(B) = 2

o First mover advantage: creare una massa critica, una base installata di utenti (competizione di
prezzo per ottenere la leadership e avere un vantaggio iniziale); es. IBM + Windows
o Attrarre fornitori di prodotti complementari: aumentare il valore del network per i consumatori
i. Es. Apple: ha perso il suo vantaggio iniziale per il desiderio di evitare cloni del suo sistema
operativo, vincolo che ha limitato la penetrazione e ha ridotto gli incentivi da parte degli
sviluppatori di software a produrne di compatibili
o Vaporware: preannuncia nuovi prodotto al fine di scoraggiare i consumatori ad acquistare il
prodotto del concorrente
o Commitment sui prezzi: mantenere i prezzi costanti nel lungo periodo (vantaggioso se vi sono
economie di scala)
2. Guerra dei sessi: le imprese devono per forza mettersi d’accordo; esternalità di rete importanti + profitti
da compatibilità > profitti da concorrenza; due equilibri nessuno dei quali socialmente superiore
A\B T1 T2
T1 ∏(A) = 10; ∏(B) = 8 ∏(A) = 5; ∏(B) = 4
T2 ∏(A) = 6; ∏(B) = 5 ∏(A) = 8; ∏(B) = 10
o Concorrenza: crea massa critica, una base di utenti installata
o Cooperazione: licenza, sviluppo cooperativo, tecnologie ibride

3. Fratellino rompiscatole: leader vs follower à non ci sono equilibri. Strategie:
o Proprietà intellettuale (patent thickets)
o Cambiare spesso tecnologie (lead time)

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