L’organizzazione industriale è la branca dell’economia che si occupa dello studio della concorrenza
imperfetta. Diverso dai concetti microeconomici di concorrenza perfetta (visione utopistica di mercati
popolati da tante piccole imprese e caratterizzati dall’efficienza economica) e monopolio puro (mercato
dominato da una sola impresa, in antitesi alla concorrenza perfetta). Si conosce appieno il funzionamento
della concorrenza perfetta, al contrario è meno chiaro ciò che accade nel caso più comune di concorrenza
imperfetta e in che misura il funzionamento di un mercato non perfettamente concorrenziale si avvicina o
si allontana dal funzionamento di uno perfettamente concorrenziale. Questa zona incerta rappresenta
l’ambito di studio dell’organizzazione industriale.
Uno dei motivi per cui l’analisi della concorrenza imperfetta risulta difficile è l’interdipendenza che
caratterizza le decisioni delle imprese nei mercati in cui esse operano, ovvero decisioni strategiche che
influenzeranno gli altri partecipanti del mercato (imprese rivali, fornitori, distributori…) come ad esempio
prezzo, design del prodotto, aumento della capacità produttiva e tante altre. La concorrenza imperfetta
avviene in un contesto di interdipendenza o situazione di interazione strategica, come la chiamano gli
economisti, il che comporta che anche la determinazione del comportamento ottimale di un’impresa
risulti difficile. Per capire la logica dell’interazione strategica si ricorre alla teoria dei giochi, che
fornisce il quadro necessario per un’analisi degli scenari in cui i partecipanti, o giocatori (imprese
concorrenti), riconoscono che le proprie azioni incidono su quelle degli altri giocatori e le azioni degli
altri incidono a loro volta sulle proprie; si studiano le implicazioni in termini di benessere e in che modo
la politica pubblica possa migliorare le allocazioni di mercato.
Per questo motivo studi recenti di organizzazione industriale utilizzano la teoria dei giochi per spiegare i
risultati di mercato in contesti di concorrenza imperfetta. Gli economisti dell’organizzazione
industriale analizzano le decisioni prese ogni giorno dalle imprese e cercano di estrapolare delle
previsioni per capire i risultati di mercato. L’obiettivo principale è quello di sviluppare un modo di
pensare, un quadro mentale applicabile in diverse situazioni, quindi si sviluppano ipotesi, modelli
economici e verifica empirica delle previsioni dei modelli.
RAGIONAMENTO ECONOMICO:
Metodo scientifico del ragionamento economico. Si fonda sull’idea di compiere ragionamenti rigorosi che
diano dei risultati specifici e precisi. Il ragionamento economico prevede delle ipotesi ad esempio quali
sono le imprese sul mercato, le variabili del contesto, intervento dello Stato di cui tenere conto…
Si parte compiendo ipotesi che andranno a definire il modello, poi si effettueranno scelte razionali da
parte di consumatori e imprese ai fini della massimizzazione del profitto reciproco. Una volta definite le
regole del gioco e le caratteristiche dei giocatori, questi interagiscono sulla scelta delle variabili
condizionandosi a vicenda arrivando così a dei risultati: in termini di output (ad esempio quantità
prodotta), profitti…i risultati dipendono dal tipo di modello scelto e possono essere valutati anche in
termini di efficienza compiendo analisi di tipo normativo.
Si ottengono sempre risultati precisi che vengono messi al vaglio della valutazione empirica, la quale
definisce se essi sono veri o meno. Ci dice in quali circostanze il modello è verificato e molte volte si
scopre che i modelli sono falsi grazie alla valutazione empirica; in questi casi bisogna ridiscutere le
ipotesi.
Questo approccio consente anche di compiere valutazioni normative, dopo aver dichiarato che il
modello è esatto: è equo? Funziona? Servono interventi da parte dello Stato?
1. CONCORRENZA PERFETTA:
Un’impresa perfettamente concorrenziale è un’impresa che considera il prezzo come dato (price taker):
non viene scelto dall’impresa, ma è determinato dall’interazione di tutte le imprese e i consumatori
presenti nel mercato del bene in questione e va oltre l’influenza di ciascuna delle imprese perfettamente
concorrenziali. Poiché un’impresa perfettamente concorrenziale non è in grado di influenzare il prezzo di
mercato al quale il bene viene venduto, l’impresa percepisce che a quel prezzo può vendere la quantità
che essa desidera (senza che la sua decisione influenzi il prezzo) e come produrla.
Ipotesi iniziali (tre condizioni fondamentali):
- omogeneità del prodotto à beni omogenei, tutte le imprese producono beni con le stesse
caratteristiche;
- no vincoli di capacità produttiva à gli input produttivi e la tecnologia sono liberamente
disponibili, quindi le imprese sanno come e cosa produrre;
- numerosi venditori à le imprese sono tante e di piccole dimensioni, questo perché l’offerta
potenziale del prodotto di ciascuna impresa è “piccola” rispetto alla domanda di mercato del
prodotto; se l’offerta di un bene da parte dei un’impresa fosse elevata rispetto al mercato, allora la
grande impresa in questione dovrebbe essere in grado di influenzare il prezzo al quale il bene
viene venduto.
Esempi di questi mercati: mercati in cui vendono spilli, CPU…
Ipotesi aggiuntive alle tre condizioni fondamentali:
- libertà di entrata à non vi sono barriere all’entrata;
- comportamento razionale, ma non interazione strategica à soggetti razionali, le imprese
vogliono massimizzare i propri profitti;
- rendimenti di scala decrescenti o costanti à aumentando congiuntamente tutti i fattori
produttivi, si avranno rendimenti di scala decrescenti se l’output aumenta in modo meno che
proporzionale o costanti se aumentano in modo costante. Questa ipotesi esclude che vi siano
economie di scala, altrimenti l’impresa più grande produrrebbe a costo medio più basso (non deve
verificarsi questa condizione);
- informazione perfetta e simmetria à riguardo alla natura dei beni (tutti i consumatori
conoscono i beni e come produrli) e della tecnologia (tutte le imprese sanno qual è la tecnologia
più efficiente, sanno usarla e adottarla).
Tutte queste ipotesi definiscono il contesto della concorrenza perfetta.
Evidenza empirica:
Il prezzo è uguale al costo marginale? Le imprese sono tutte efficienti? I profitti sono davvero tutti nulli?
i risultati precedentemente visti, sono verificati empiricamente?
- Profitti positivi e persistenti nel tempo (non nulli);
- In ogni settore vi sono simultanei tassi di entrata e di uscita, le imprese sia escono sia entrano, non
è vero che vi sia solo entrata o solo uscita;
- Dinamica industriale complessa: non tutte le imprese sono di piccola dimensione, vi sono varie
imprese e di dimensione differente. Normalmente vi è eterogeneità tra le imprese e la concorrenza
perfetta non riesce a spiegare la dinamica e la turbolenza della concorrenza industriale.
à il modello è quindi sbagliato, bisogna ridiscutere le ipotesi del modello (questo è il compito
dell’economia industriale, attraverso il metodo scientifico con modelli che rispecchiano la realtà).
Ipotesi sbagliate della concorrenza perfetta (strategie nei mercati diversi dalla concorrenza perfetta):
- Comportamento razionale, ma non interazione strategica (teoria dei giochi, oligopolio, cartelli,
collusione, deterrenza…);
- Omogeneità del prodotto: vi sono mercati con differenziazione del prodotto (concorrenza
monopolistica), discriminazione di prezzo;
- Informazione perfetta e simmetria riguardo alla natura dei beni e della tecnologia: informazione
imperfetta e asimmetria;
- Rendimenti di scala decrescenti o costanti: monopoli naturali e analisi della diffusione delle
tecnologie ed esternalità di rete;
- Libertà di entrata: modelli con barriere all’entrata esogene ed endogene, deterrenza…
ANALISI:
Come tutte le imprese, quelle perfettamente concorrenziali sceglieranno ciascuna il livello di output che
massimizza i propri profitti individuali, che vengono indicati come la differenza fra i ricavi e i costi totali
dell’impresa: P = R(Q) – CT(Q) = (P x q) – C(q).
I ricavi sono il prezzo di mercato P moltiplicato per l’output dell’impresa q; si presume che i costi totali
dell’impresa aumentino all’aumentare del livello di produzione, secondo la funzione C(q).
Il concetto di profitto che si sta utilizzando è quello di profitto economico e implica che vi siano ricavi
netti superiori all’ammontare necessario per pagare tutti gli input dell’impresa (capitale e lavoro), ovvero
nel profitto economico rientrano i costi opportunità: ciascun input deve essere pagato almeno quanto
potrebbe rendere nel suo migliore utilizzo alternativo e sono inclusi nella funzione di costo totale C(q).
Una condizione necessaria perché vi sia massimizzazione dei profitti è che l’impresa scelga un livello
di output tale che i ricavi ottenuti dall’ultima unità prodotta (ricavi marginali) siano pari ai costi
sostenuti per produrre quell’ultima unità (costi marginali). Questa condizione vale per la scelta del
livello di output di qualsiasi impresa, sia essa un’impresa perfettamente concorrenziale o una
monopolista: R¢(q) = C¢(q). Poiché i ricavi totali dipendono dalla quantità prodotta, anche i ricavi
marginali dipendono da q, come descrive la funzione dei ricavi marginali R¢(q).
L’impresa concorrenziale può vendere quanto desidera al prezzo di mercato corrente e quindi ciascuna
unità supplementare di output prodotta e venduta genera ricavi supplementari pari all’attuale prezzo di
mercato. La funzione di ricavo marginale di un’impresa concorrenziale è: R¢(q) = P.
Allo stesso modo, poiché il costo totale è una funzione dell’output totale q, anche la funzione del costo
marginale dipende da q, secondo la funzione C¢(q), che descrive il costo sostenuto dall’impresa per
ciascuna unita successiva di output prodotta.
costi C¢(q) = curva di CM = 10
costo marginale Produco con un costo pari a 60 e la
quantità pari a 6, quindi:
CM = curva di costo medio CM = 60/6 = 10
= CT x q Se si producesse 11, CM sale se costa di
più produrre la quantità aggiuntiva; se
invece la quantità aggiuntiva costa meno,
q
Punto di minimo della curva di CM CM scende.
2. MONOPOLIO:
Il monopolio puro è la situazione in cui vi è un unico venditore e quota di mercato dell’impresa uguale a
1. La curva di domanda del monopolista è identica alla curva di domanda del mercato e l’impresa
monopolista è in grado di influenzare il prezzo che riceve dalla vendita in questo mercato. La decisione
dell’output da parte del monopolista giocherà un ruolo decisivo nella determinazione del prezzo al quale
il mercato è in equilibrio:
- qi à produzione dell’impresa i;
- Qi à produzione di mercato;
- Si = qi/Q à quota di mercato, nel monopolio la quota di mercato è pari a 1.
Definizione più ampia: questione del potere di mercato, che è la capacità di fare un prezzo superiore al
costo marginale (P>c). L’impresa non è costretta a scegliere il prezzo, ma può farlo, è libera anche se non
ha una quota di mercato pari a 1 (Quota mkt=1 à monopolio puro).
Da un lato vi sono imprese con una quota di mercato inferiore a 1, che possono fare il prezzo; dall’altro vi
sono imprese che hanno una quota di mercato quasi uguale a 1, ma non possono decidere il prezzo di
mercato. Ad esempio nei settori molto concentrati in cui la quota di mercato è altissima come Microsoft,
però non può fare il prezzo che vuole perché di sistemi operativi ce ne sono altri e poi perché i nuovi
prodotti Microsoft competono con quelli vecchi e quindi non possono distaccarsi troppo (“competono con
sé stessi”).
Cosa succede quando un’impresa può fare il prezzo? Nel caso del monopolista puro, il monopolista
può scegliere qualsiasi punto sulla curva di domanda e quindi sceglierà
congiuntamente prezzo e quantità. La pendenza negativa della curva di
domanda del monopolista indica che una maggiore produzione comporta un
calo del prezzo. Per un monopolista che vendeva Q1 ad un prezzo P1, un
aumento della produzione a Q2 farà si che il prezzo di equilibrio di mercato
scenda passando da P1 a P2. Il risvolto positivo è che, vendendo l’output
supplementare il monopolista otterrà ricavi supplementari. Il monopolista è
molto diverso dall’impresa concorrenziale, che ritiene che ogni unità
supplementare venduta comporterà ricavi marginali inferiori al prezzo
attuale. Poiché l’output supplementare può essere venduta solo se il prezzo scende, i ricavi marginali
derivanti dalla vendita di un’unità supplementare non corrisponderanno al prezzo di mercato, ma ad una
somma inferiore.
I guadagni in termini di ricavi corrispondono all’area G (corrisponde anche al prezzo P2 moltiplicato per
l’aumento dell’output Q2 – Q1) e la perdita corrisponde all’area L (ammontare dal quale il prezzo scende
P1 – P2 moltiplicato per il livello iniziale di output Q1). La variazione netta dei ricavi del monopolista
(ricavi marginali) è data da G – L.
Esempio:
Il ricavo totale = 100.
Per vendere un’unità aggiuntiva bisogna abbassare il
Pa prezzo a 9 e si riesce a vendere 11 unità. Il ricavo totale
successivo, dopo aver abbassato il prezzo sarà
10 9x11= 99. Quindi il ricavo marginale è diverso dal
prezzo e inferiore al precedente. Il problema della
9
massimizzazione del profitto deve tenere conto del fatto
Q che il ricavo marginale non è uguale al prezzo.
10 11
Questa situazione di monopolio può essere estesa a tutte le situazioni di mercato:
In un settore con un’impresa molto
Pa Domanda di mercato grande e tante altre imprese piccole, si
può pensare ad una situazione in cui le
Domanda residuale per l’impresa imprese piccole producono beni di
nicchia e l’impresa grande ha una
Q domanda ampia.
Vi è una produzione delle piccole imprese che diminuisce la domanda della grande impresa e si crea la
domanda residuale per l’impresa. Come per il monopolista, anche le imprese che hanno una domanda
inclinata negativamente e quindi possono fare il prezzo vale lo stesso discorso del potere di mercato; nel
caso in cui la domanda sia inclinata positivamente il prezzo è dato, quindi non vale il ragionamento.
Si immagina un’impresa che vuole massimizzare il profitto e quindi il ricavo marginale (associato
all’ultima unità di output) deve eguagliare/coprire il costo marginale di produzione di tale unità. Questo
vale sia per l’impresa concorrenziale sia monopolista, la differenza è che per l’impresa monopolista i
ricavi marginali sono inferiori al prezzo. Quindi il potere di mercato dice che per massimizzare i profitti
per un’impresa monopolista: R¢(Q) = C¢(Q) i ricavi marginali devono essere pari ai costi marginali,
quindi il monopolista sceglie il prezzo PM e produce la quantità QM per massimizzare i propri profitti
(area gialla corrisponde ai profitti del monopolista).
Entra in gioco anche la funzione di costo medio dell’impresa monopolista: il costo unitario o medio di
produzione del livello di output QM, descritto sulla curva di costo medio CM(QM), è inferiore al prezzo
PM al quale il monopolista vende il bene. Questo significa che i ricavi totali sono superiori al costo totale
e quindi il monopolista ottiene profitti economici positivi.
Poiché il monopolista è l’unica impresa in questo mercato, e dal momento che si ipotizza che nessun’altra
impresa possa entrare nel mercato e offrire questo bene, i risultati di mercato sono di lungo periodo.
Ciascun consumatore acquista la quantità che vuole al prezzo PM e, date queste condizioni di costo, il
monopolista non è incentivato a vendere una quantità maggiore o minore. Anche nel lungo periodo, in
condizione di monopolio il prezzo di mercato non tende a uguagliare il costo unitario di produzione.
Conclusione: la fonte reale del problema del monopolio non è il fatto che sul mercato è presente soltanto
un’impresa, ma la vera causa dell’inefficienza è che l’impresa è grande rispetto alle dimensioni del
mercato. Per operare nel mercato, le imprese sono motivate dai profitti. Nel caso della concorrenza
perfetta, i profitti (pari a zero) di una singola impresa corrispondono al contributo di tale impresa al
surplus o al benessere creato dal fatto di operare nel mercato. Pertanto, il comportamento di
massimizzazione dei profitti porta a risultati di mercato efficienti. Al contrario, i profitti (elevati) di
un’impresa monopolista sono inferiori al surplus creato dalle operazioni di mercato. Di conseguenza, la
massimizzazione dei profitti nel caso del monopolio non comporta risultati efficienti del mercato.
NB: differenza e trade-off tra efficienza allocativa o statica (modo migliore per distribuire le risorse per
la produzione in un dato gruppo di beni e servizi a partire da una data tecnologia) ed efficienza dinamica
(distribuzione delle risorse in modo tale da promuovere lo sviluppo di nuovi beni e nuove tecniche
produttive). In questi ragionamenti si parla della prima, ovvero efficienza statica.
2. fa riflettere su quali sono le condizioni in cui il monopolista avrà più potere di mercato o meno.
A seconda delle caratteristiche del mercato, la differenza tra PM e c (area dei profitti) è più o meno alta.
Le imprese vogliono sapere quali sono i mercati in cui possono avere maggiore profitto e anche l’autorità
vuole saperlo per riuscire a proteggere i consumatori. Per fare profitti e quindi prezzi alti, date le
condizioni dell’offerta, bisogna guardare le condizioni di domanda, ovvero analizzare la
domanda/richiesta di consumatori. Regola dell’elasticità per capire quali sono i fattori economici che
determinano il livello del prezzo:
P – C à potere di mercato
(P – C) /P = 1/h à elasticità della domanda, ovvero misura della sensibilità della quantità richiesta ai
movimenti del prezzo:
h = variazione % Q / variazione % P = (DQ/Q) / (DP/P)
- elasticità alta, potere di mercato basso (tendenzialmente prezzi bassi);
- elasticità bassa, potere di mercato alto (domanda rigida, |h<1|) à ad esempio in presenza di beni
di prima necessità, “dipendenza”, consumatore abituato al suo utilizzo…il consumatore,
all’aumentare del prezzo, continuerà ad acquistare il bene.
Modello SCP deriva dalla teoria microeconomica: vi è un legame tra Struttura (concentrazione) e
Performance (redditività). Gli studiosi (anni ’30-40) notarono una correlazione positiva tra il tasso di
profitto dell’industria e la misura in cui la produzione era concentrata nelle mani di poche imprese: il
tasso di profitto decresce all’aumentare del numero di imprese; al diminuire del numero di imprese
(concentrazione industriale), si può osservare un aumento dei tassi di profitto. Quindi la concentrazione
alta si avvicina al caso limite del monopolio.
Questo tema ha fondato la politica antitrust degli USA (Sherman Act, 1890: vieta i contratti,
associazioni e collusioni tesi a restringere il commercio; inoltre dichiara illegale qualsiasi tentativo di
monopolizzare il mercato):
* Standard Oil à nel 1911 la Corte Suprema emette la sentenza secondo la quale l’impresa aveva
illegalmente monopolizzato l’industria di raffinazione del petrolio;
* Alcoa à maggiore produttore di alluminio nell’America settentrionale. Già prima del 1945 la
società era stata denunciata varie volte per violazione della normativa antitrust. Però nel 1945
Alcoa fu giudicata colpevole di monopolizzazione del mercato poiché la quota di mercato era pari
al 90%.
Sono stati divise a seguito di politiche dell’antitrust, per tenere i prezzi più bassi, aumentare il numero di
imprese e quindi di conseguenza aumentare il benessere dei consumatori.
Quali sono i Comportamenti che sono influenzati dalla struttura e che influenzano la performance?
- Barriere all’entrata: in parte sono strutturali/tecnologiche e attengono alla struttura del mercato,
in parte attengono ai comportamenti delle imprese e quindi le barriere possono essere indotte dalle
imprese che operano nel settore (ad esempio tramite R&S, pubblicità…);
- Collusione: se vi sono poche imprese nel mercato, queste imprese riusciranno con accordi
impliciti ad esempio riusciranno a tenere prezzi alti e a coordinarsi.
Si è consolidata l’idea che la concentrazione industriale sia legata a comportamenti che portano ad una
più alta profittabilità e l’intervento dell’antitrust è indirizzato a diminuire la concentrazione.
* U.S. Steel à sentenza ebbe un forte impatto sull’industria siderurgica e anche sulla legislazione
statunitense: impresa che, attraverso una serie di fusioni, era cresciuta fino a controllare oltre il
70% della capacità produttiva di acciaio, ma per la Corte non era considerata colpevole di
violazione della normativa antitrust. Secondo il Governo, non era stato individuato nessuno
sfruttamento del potere di monopolio né un tentativo di monopolizzazione: l’unico fatto
documentato era l’ampia fetta di mercato detenuta dalla U.S. Steel, ma “la legge non considera un
reato le semplici dimensioni”.
Quest’ultimo caso ha rappresentato un forte stimolo per lo sviluppo dell’organizzazione industriale: dopo
la sentenza, molti analisti giunsero alla conclusione che era necessaria una valida mappa economica
funzionale alla comprensione della concorrenza imperfetta. Questo inaugurò il campo dell’OI. I primi
studi si concentrarono su alcune domande chiave:
- Com’è organizzata la produzione dell’industria?
- Com’è strutturato il mercato?
- Quante imprese ci sono e quanto sono grandi l’una rispetto all’altra?
- Vi sono palesi barriere all’entrata?
Per raggiungere queste risposte (obiettivo), era necessario individuare non solo le caratteristiche
strutturali di un’industria, ma anche chiari legami fra struttura e risultati di mercato. Agli economisti
industriali servivano dati relativi a prezzi, profitti e struttura di mercato, per poi utilizzarli per identificare
relazioni statistiche fra varie strutture di mercato da un lato e performance industriale dall’altro.
Negli anni ’50-60 J.Bain (Harvard) fu tra i primi a capire che un’industria non poteva essere definita
esclusivamente in termini di concentrazione. In particolare, comprese che era necessario osservare, oltre
alla configurazione di mercato delle imprese esistenti nell’industria, anche la capacità delle nuove
imprese di entrare nel mercato. Voleva esattamente misurare la relazione tra struttura di mercato e livello
di profitto: confrontava tra settori, in modo qualitativo, il livello di concentrazione, barriere all’entrata e il
livello di profitto. Trova una relazione empirica tra struttura di mercato e performance. È vero che la
struttura è il risultato del comportamento, ma è difficile risolvere la questione nel quadro dell’approccio
SCP. Questa scuola, basata sulle analisi inter-settoriali, inizia ad essere fortemente screditata.
La crescente preoccupazione sulle falle del paradigma SCP e sulla politica pubblica da esso promossa
favorì la nascita di una nuova scuola di pensiero opposta, capeggiata da esperti legali ed economisti della
Chicago School: cominciarono a far notare che molte delle pratiche che i tribunali avevano considerato
dannose per la concorrenza e il benessere economico, se osservate attraverso la lente della strategia e
delle tattiche aziendali, potevano essere viste come un modo per migliorare l’efficienza economica e
arrecare benefici ai consumatori. La struttura è endogena, non è un dato come considerava Bain, e in
più vi sono comportamenti tra imprese che influenzano la struttura (ad esempio collusione, deterrenza…).
Il problema principale è che non poteva esserci una relazione causale fissa del tipo: S à C à P (basti
vedere che i comportamenti modificano la struttura). Il problema dell’antitrust non è quello di valutare la
struttura, ma i comportamenti/interazioni tra imprese che modificano la struttura stessa.
Oggi vi è un problema legato tra performance e struttura: se un’impresa ha successo, guadagna quote di
mercato, diventa sempre più grande, se è anche efficiente guadagna anche più profitti, quindi influenza i
comportamenti delle altre imprese andando così a modificare la struttura di mercato (si ribalta la relazione
casuale). Bisogna studiare SCP tutti insieme e non come dati o come una relazione.
L’economia industriale dagli anni ’70-80 si rivoluziona tramite l’impiego della Teoria dei Giochi:
strumento per comprendere l’interazione strategica delle imprese e fornisce un modo per modellare e
analizzare il comportamento delle imprese in mercati non perfettamente concorrenziali. Precedentemente
non si valutavano le interazioni strategiche.
Per questo motivo si vuole capire in che modo le imprese competono tra di loro quando hanno potere di
mercato, quali implicazioni ha tale concorrenza e quale potrebbe essere il ruolo della politica pubblica
nell’aiutare i mercati non perfettamente concorrenziali a raggiungere risultati più vicini all’ideale di
concorrenza perfetta. Il motivo per cui si studia l’organizzazione industriale è capire la concorrenza di
mercato in tutte le sue dimensioni.
3. indice di Herfindhal:
Alternativa al CRn mirata a riflettere in modo più completo le informazioni della curva di concentrazione
è l’indice di Herfindhal-Hirschman (HH), che per un’industria con n imprese, viene definito:
n
HH = S Si2 n = tutte le imprese nel mercato, si è la quota di mercato della singola impresa.
i=1
HH INTENSITÀ CONCORRENZA
Concorrenza perfetta Minore di 0,2 Forte
Concorrenza monopolistica Minore di 0,2 Forte ma dipende da differenziazione
Oligopolio Tra 0,2 e 0,6 Dipende
Monopolio Maggiore di 0,6 Debole (a meno di potenziali entranti)
4. indice di Lerner:
Indice per misurare la performance del mercato dal pdv dell’efficienza: misura quanto lontani sono i
risultati economici dall’ideale concorrenziale. L’indice di L riflette direttamente la discrepanza fra il
prezzo e il costo marginale, coglie gran parte di quello che importa sapere in termini di uso del potere di
mercato. Per un’impresa concorrenziale, l’indice di L è pari a zero, in quanto essa fissa un prezzo pari al
costo marginale. Per un monopolista si può dimostrate che l’indice di L è pari all’inverso dell’elasticità
della domanda: meno la domanda è elastica, maggiore è la distorsione fra prezzo e costo marginale.
1/h è l’inverso dell’elasticità della domanda. Meno la domanda è elastica, o minore è
(P–C) 1 h, maggiore è la differenza fra il prezzo di mercato e il costo marginale di produzione
–––––– = –– nel caso del monopolio. Un’impresa perfettamente concorrenziale ha una curva di
P h domanda infinitamente elastica o orizzontale, perché vende ad un prezzo pari al costo
marginale.
Per un’industria composta da un numero di imprese maggiore di uno (oligopolio), ma non elevato, il
calcolo dell’indice è più complesso e necessita di qualche indice medio:
Nel settore bisogna fare la media ponderata di tutti i mark-up nello stesso settore:
n imprese
n n
H è l’indice di Herfindahl messo in relazione
S Si x (P-Ci)/P = S Si x Si/h con il potere di mercato medio del settore.
i=1 i=1 L’indice di Lerner non è tanto una misura del
modo in cui è strutturata la produzione di
n
(P - S SiCi) /P = P – C/P C = trattino sopra un’industria, quanto una misura dei
i=1 risultati/performance di mercato. Maggiore è
H l’indice di L, più i risultati di mercato di
n
allontano dal caso della concorrenza e
P – C/P = (S SiSi) / h = H/h à L = ––
i=1 maggiore è il potere di mercato che viene
h
sfruttato.
L’indice di Lerner è un indicatore diretto del livello di concorrenza di un mercato. Tuttavia, anche
l’indice di L come gli indici strutturali è imperfetto. Soprattutto si scontra con il problema della
definizione del mercato (la stima dell’indice di L relativa a tutta l’industria potrebbe risultate difficile da
ottenere) e anche quando la definizione del mercato è abbastanza chiara, l’indice di L rimane difficile da
misurare. Anche la sua interpretazione può risultare ambigua:
1. L alto, potrebbe essere legato alla presenza di “sunk costs” e non necessariamente alla presenza
di un mercato concentrato: L alto in un contesto nel quale vi sono numerose imprese, nessuna
delle quali di dimensioni molto ampie. Sono costi irrecuperabili che le imprese tendenzialmente
devono spendere una tantum per entrare nel mercato (ad esempio per l’acquisto di una licenza per
operare in un nuovo mercato). Bisogna avere potere di mercato, ovvero un profitto nel lungo
periodo al fine di coprire i sunk costs irrecuperabili, quindi in certi mercati vi deve essere P>C
perché altrimenti le imprese non entrano nel mercato. L elevato può non essere segno di alta
concentrazione, ma rientrano anche altre variabili come i sunk costs e quindi potrebbe
erroneamente indicare poca concorrenza anche se nessuna impresa ha un significativo potere di
mercato.
2. L basso, è possibile che vi sia un’impresa che fa deterrenza, situazione molto inefficiente di
un’impresa non innovativa, ma molto importante nel mercato e quindi facendo prezzi bassi (in
quanto ha un elevato costo marginale) non permette ad altri di entrare nel mercato. L indica in
modo ingannevole parecchia concorrenza (che in realtà non c’è) in quanto il prezzo è basso
rispetto al costo marginale dell’impresa già presente sul mercato.
Sono due esempi in cui lo schema dell’indice di Lerner è vero che dipende dalla concentrazione ed
elasticità, ma non solo perché in alcuni casi non è così.
3. Estensione geografica:
I confini geografici di un mercato sono rilevanti per la definizione del mercato quanto lo sono le
caratteristiche del prodotto. Per esempio, nella realtà quasi tutti i quotidiani operano in mercati locali nei
quali di solito si trovano al massimo uno o due altri concorrenti.
Un problema collegato a considerazioni di carattere geografico è il commercio con l’estero, ovvero
quando il volume del commercio con l’estero è elevato, il relativo mercato potrebbe essere un mercato
globale, piuttosto che nazionale. Anche se si guarda esclusivamente al mercato nazionale, la presenza di
importazioni dall’estero può significare che la misurazione della quota di mercato dipenderà molto dal
fatto che si utilizzi il totale della produzione o il totale delle vendite.
4. Relazioni verticali:
Le misure strutturali HH e CR, come per l’estensione geografica, presentano problemi che dipendono
dalle relazioni fra imprese che operano in diversi stadi del processo produttivo. L’esistenza e la variabilità
di relazioni fra imprese (a monte/valle) può comportare una certa difficoltà nella misurazione della
struttura di mercato in ciascuno stadio della produzione.
Lo scopo di ricorrere a queste misure strutturali è quello di sintetizzare il modo in cui un’industria si
colloca rispetto all’ideale della concorrenza perfetta.
Per un monopolista, l’indice di Lerner è dato da L = (P – C)/P = 1/h. Quindi, in questo caso, la perdita
secca relativa alle vendite dell’industria sarà:
DWL = DWL/PQ = ½ x 1/h La perdita secca, per il monopolista, in rapporto ai ricavi e alle
Vendite attuali dell’industria è semplicemente la metà dell’indice di
Lerner o la metà dell’inverso dell’elasticità della domanda. L’idea è che mano a mano che aumenta
l’elasticità della domanda, la perdita di benessere si riduce perché altri beni sono progressivamente
considerati sostituti del bene monopolizzato.
Stimare l’elasticità è difficile in quanto servono molti dati, inoltre è necessario conoscere il costo
marginale, anch’esso complicato da stimare. Chi deve occuparsi dei mercati e dell’antitrust deve
confrontarsi con questi problemi empirici. Inoltre vi sono due problemi teorici:
1. stimando la perdita di benessere in questo modo, la stima è in eccesso perché tutta la costruzione
ha come riferimento la concorrenza perfetta (si stima la DWL in relazione alla concorrenza
perfetta, che però è un modello utopistico), la quale è poco probabile quindi è un punto di
riferimento poco plausibile;
2. anche i comportamenti di potere di mercato sono condizionati dalle norme antitrust e quindi non si
vede il potere di mercato che le imprese effettivamente esercitano, ma tengono sempre conto delle
norme antitrust e quindi le stime sono in difetto in quanto le norme antitrust limitano di fatto il
potere di mercato.
costo medio
economie di scala
S può essere indicato come l’inverso dell’elasticità del costo rispetto alla quantità prodotta, ovvero
misura l’aumento proporzionale di produzione che si ottiene in seguito a un aumento proporzionale dei
costi. Quanto maggiore è S rispetto a 1 (S >1 à economie di scala, CM sopra C¢), tanto maggiore è
l’entità delle economie di scala. Un aumento dell’1% della produzione si associa a un aumento dei costi
inferiore all’1%. Al contrario, quando S<1, ci si trova in presenza di diseconomie di scala (CM sotto C¢):
un aumento della produzione dell’1% comporta un aumento dei costi maggiore dell’1%. Quando S=1 non
vi sono né economie né diseconomie di scala, ma si dice che la tecnologia di produzione ha rendimenti di
scala costanti. Si definisce la scala minima efficiente come il più basso livello di produzione al quale le
economie di scala si esauriscono. La scala minima efficiente è q* nel grafico.
Se S >1 estesa per tutto il mercato, si ha un settore concentrato e questa situazione si chiama monopolio
naturale. Vi sono economie di scala lungo tutto il relativo intervallo di produzione, in quanto le
condizioni di domanda sono tali che la massima dimensione del mercato è inferiore a q* anche qualora il
prezzo scenda a zero. Il termine “naturale” riflette l’implicazione che il monopolio è un esito (quasi)
inevitabile per questo mercato, in quanto servire l’intero mercato risulta meno costoso per una singola
impresa piuttosto che per due o più imprese. Anche quando esse non siano estese a tutto il mercato, ma
semplicemente siano piuttosto ampie, potrebbe essere necessario per ragioni di efficienza che tutta la
produzione fosse effettuata da una sola impresa. In generale, maggiore è l’entità delle economie di scala,
maggiore è la quantità prodotta al quale il costo medio è minimizzato, minore è il numero di imprese che
possono operare in modo efficiente nel mercato. Perciò grandi economie di scala tenderanno a fare
emergere mercati concentrati.
(P – C) x (E / NxP) = F
(P – C)/P x (E/N) = F (P – C)/P è l’indice di Lerner
Il numero di equilibrio di imprese Ne, al quale ciascuna impresa che entra nel mercato copre appena il suo
costo irrecuperabile di entrata F, è data da:
la logica è che la struttura dell’industria è più concentrata in mercati nei quali i costi
irrecuperabili di entrata rappresentano una parte cospicua delle spese attese dei
consumatori. Conseguenza logica:
E=spesa totale=numero di imprese nel mercato à inversamente proporzionale al costo
fisso F (che sarebbe il costo di entrata sunk cost) à F, numero di imprese, concentrazione.
RIEPILOGO:
N = numero di imprese che vi sono nel mercato dipendono da due fattori fondamentali:
1. dimensione del mercato (relazione positiva: più grande sarà il mercato, più imprese);
2. costi fissi sunk (relazione negativa: più sono alti, più nel mercato sono necessari margini di
profitto positivi altrimenti non riescono a coprire i sunk, e quindi più alti sono meno imprese
entrano nel mercato).
Relazione tra numero di imprese, dimensione del mercato (E) e costi fissi (F): N = E/F.
Generalizzando N = Ö(E/F), relazione non lineare.
N = E/F N = Ö(E/F)
se E¢= 2E à N¢= E¢/F = 2E/F = 2N se E¢= 2E à N¢= Ö(E¢/F) = Ö(2E/F) < 2N
La scelta delle imprese per entrare nel mercato dipendono dai profitti unitari e dalla copertura dei costi
fissi. Nel momento in cui si raddoppia il mercato, i margini di profitto si assottigliano in quanto vi sono
più imprese e non vi possono essere il doppio delle imprese ogni volta, ma un po’ meno del doppio (vedi
formule sopra). Questo, nel riunire due mercati, dimostra che non vi stanno N imprese del primo mercato
e N imprese nel secondo mercato riunendo i mercati, alcune imprese dovranno uscire dal mercato stesso
(le meno efficienti escono dal mercato). I mercati comuni si dicono più efficienti perché fanno uscire dal
mercato le imprese meno efficienti ed essendoci più imprese, i prezzi sono più bassi.
NB: Ö2E/F è il Modello di Cournot, ovvero dimostra che le imprese entranti nel mercato scelgono la
capacità produttiva.
Quanto deve essere ampio un mercato per evitare di essere dominato da poche imprese? Dipende:
quando le economie di scala sono ampie, per esempio quando i costi irrecuperabili o fissi associati a
fattori di produzione non divisibili sono relativamente elevati, il mercato dovrà avere dimensioni
maggiori per accogliere un maggior numero di imprese. Perciò la relazione fra struttura e dimensioni del
mercato varierà a seconda del mercato specifico preso in esame. Se a un certo punto le economie di scala
si esauriscono e se i costi irrecuperabili di entrata non aumentano all’aumentare delle dimensioni del
mercato, si dovrebbe assistere a una diminuzione della concentrazione quando le dimensioni del mercato
diventano sufficientemente ampie.
Sutton però fornisce un’importante precisazione sul concetto che la concentrazione diminuisce
all’aumentare delle dimensioni del mercato come implica l’equazione. Nota che tale relazione sembra non
valere per diverse industrie, in particolar modo quelle fortemente concorrenziali e che fanno uso di
pubblicità, come ad esempio imprese di cibi confezionati, oppure R&S, come le imprese farmaceutiche.
Sutton sostiene che tali spese non sono solo irrecuperabili, ma anche endogene (costi fissi endogeni):
sono irrecuperabili per il fatto che, una volta che le spese per una campagna pubblicitaria o per la
progettazione sono state sostenute, non possono più essere recuperate; sono endogene per il fatto che, in
questo tipo di industrie, il costo irrecuperabile F non è fisso, ma aumenta all’aumentare delle dimensioni
del mercato. Fa l’esempio della pubblicità e dice che alcuni mercati sono concentrati e vi sono grandi
imprese che monopolizzano il mercato facendo tantissima pubblicità (vogliono escludere le altre imprese
sul mercato). Se un’altra impresa volesse competere con questa, dovrebbe sostenere gli stessi costi di
pubblicità altrimenti sarebbe “trasparente” sul mercato. Quindi i meccanismi di sunk cost permettono di
generare concentrazione, non basta un mercato grande per avere concentrazione.
NB: non sempre la relazione tra dimensione e numero di imprese è verificata, in quanto se vi sono costi
fissi endogeni, la relazione non funziona.
Nel mercato vi sono potenti economie di scala. Se nel settore si hanno due imprese, le quali producono
Q/2, entrambe avranno CM¢¢. È più efficiente avere una sola impresa, perché si hanno CM inferiori
rispetto alla situazione in cui vi sono due imprese. Producendo ad un CM più basso, anche il prezzo
rimarrà più basso. Tecnicamente conviene vi sia una sola impresa che permetta costi unitari più bassi. I
settori in cui si generano economie di scala e monopolio naturale sono i settori in cui vi sono grosse
infrastrutture e reti, in quanto le loro costruzioni sono il tipico costo fisso (enorme) che genera questi
livelli di economie di scala nel mercato. Ad esempio gas, reti stradali, elettricità…
Lo Stato ha costruito questi monopoli naturali per due motivi:
1. unico ente che aveva le risorse economiche per costruire queste strutture all’inizio dello sviluppo
economico;
2. molti di questi beni sono essenziali per lo sviluppo del Paese e quindi lo Stato deve anche
controllarne la produzione di questi settori.
Negli anni, questi monopoli naturali di gestione statale hanno mostrato delle difficoltà, inefficienze e si è
generato un uso politico del monopolio naturale (pesavano troppo nei bilanci degli Stati).
Nel secondo dopo guerra, molti Paesi hanno vissuto un’intensa attività di regolamentazione spesso
associata a nazionalizzazioni attraverso le quali lo Stato acquisiva il controllo in alcuni settori di utilità.
Queste nazionalizzazioni erano giustificate anche dalla considerazione che dovendo regolare un settore,
questo risultato fosse più facilmente conseguibile acquisendone la proprietà e quindi il controllo diretto.
Nel 1970/80 il processo di nazionalizzazione fu arrestato e ci fu un cambio culturale, ovvero una
tendenza alla deregolamentazione: Thatcher (PM Inghilterra) e Reagan (PM USA) hanno dato il via a
questa fase e hanno portato importanti regolamentazioni per i monopoli naturali liberalizzandoli. Poi
furono seguiti da altri Paesi come anche l’Italia. Questo è rischioso perché il monopolista vuole
massimizzare il proprio profitto e può essere un problema per i prodotti essenziali. Per risolvere questo
problema vi furono introdotte limitazioni del potere all’interno del monopolio naturale:
1. regolamentazione del monopolio à il monopolista può gestire la società all’interno di una
cerchia ristretta di possibilità imposte dallo Stato. Quest’ultimo regolamenta al fine di ridurre o
eliminare gli effetti indesiderabili sul benessere sociale di un eccessivo potere di mercato. Il
prezzo di monopolio porta a inefficienze allocative (causate da prezzi elevati e quantità troppo
basse rispetto all’ottimo sociale): il potere di mercato è uno delle cause di fallimento del
funzionamento dei mercati, assieme alle asimmetrie informative e alle esternalità. Il prezzo
fissato dal monopolista è più alto del costo marginale, ovvero l’output fissato dal monopolista è
inferiore rispetto all’output ottimale; un aumento dell’output farebbe aumentare il benessere
sociale, poiché la disponibilità marginale a pagare è più grande del costo marginale. Il potere di
mercato implica un funzionamento del mercato che non permette di ottenere il massimo benessere
sociale;
2. liberalizzazione à crea la concorrenza all’interno del settore e questo limita il potere del
monopolista. La concorrenza è un modo di raggiungere l’efficienza dalla quale tende ad
allontanarsi il prezzo di monopolio. Se i costi fissi sono alti, in generale se le economie di scala
sono significative, la concorrenza però può non essere una soluzione realistica.
Questo tipo di regolamentazione produce un problema in contesto di monopolio, ovvero l’impresa perde
la differenza tra CM e C¢ (Q), perde i costi fissi sostenuti. Si presentano due alternative (almeno 2) per
risolvere il problema dei profitti negativi delle imprese causate dalla regolamentazione:
* Si ripiana il bilancio dell’operatore con i trasferimenti, cioè sussidi all’impresa regolata, dal
bilancio pubblico, quindi da parte dello Stato. Genera comportamenti opportunistici da parte
delle imprese (perché è difficile quantificare i CF e potrebbero dichiarare F maggiori per avere
sussidi maggiori) e apre le porte alla “regulatory capture”: situazione in cui le imprese investono
risorse per influenzare le decisioni del regolamentatore, al punto che queste ultime finiscono per
massimizzare il profitto delle imprese regolamentate più che il benessere sociale (anche se il
regolamentatore fosse incorruttibile e non influenzabile, i costi sostenuti nel tentativo di
influenzarlo costituirebbero per la collettività un puro spreco di risorse).
Inoltre ci si scontra con politiche di bilancio pubblico che difficilmente
possono reggere questo tipo di trasferimento e dal pdv economico si
osserva che tali trasferimenti devono essere finanziati con maggiore
tassazione e che nella maggior parte dei casi la tassazione è distorsiva.
L’operazione di produrre distorsioni per eliminare distorsioni è una scelta
poco sensata. Per questo motivo il Marginal Cost Princing non è mai stato
adottato;
* Si modifica la regola del prezzo: vedi Average Cost Pricing.
NB: nella terminologia della teoria di regolamentazione, si dice che la regolamentazione del tasso di
rendimento è un meccanismo incentivante a bassa potenza: il prezzo varia nella stessa esatta misura in
cui varia il costo e questo minimizza gli incentivi a ridurre il costo. Diverso è il meccanismo
incentivante ad alta potenza: meccanismo per mezzo del quale il prezzo è fissato in anticipo e non
cambia mai, anche se il costo cambia (idea del price cap). Questo meccanismo fornisce il massimo
incentivo alla riduzione del costo, infatti un risparmio di costi di 1€ si traduce in un aumento dei profitti
di 1€.
à un meccanismo di regolamentazione ad alta potenza fornisce forti incentivi per riduzioni di costo
ma pochi incentivi per aumentare la qualità. Inoltre, implica un alto grado di rischio per l’impresa
regolamentata e richiede che il regolamentatore non sia facilmente condizionabile.
4. PRICE CAP:
Nasce come aggiustamento/estensione del Rate of Return Regulation. Non si modula il prezzo, ma si
decide in anticipo un prezzo (prezzo fissato in anticipo) e non cambia per un dato periodo di tempo.
Primo problema: per quanto tempo fissarlo? Questo permette alle imprese di creare profitti però mette in
gioco meccanismi di incentivi particolari. I prezzi vengono fissati in tassi di crescita in base all’inflazione
programmata dal Governo (calcolata sul Retail Price Index, RPI), quindi il prezzo ogni t anni viene
rivisto aumentandolo per l’inflazione (PPG), riducendolo per un fattore X predeterminato:
Servizi per cui il costo fisso è gigantesco e il costo marginale è bassissimo: una volta costruita
l’autostrada, non costa nulla avere uno o due passeggeri in più.
Chi dovrebbe pagare le autostrade? Stato oppure tramite concessioni ai privati, che hanno un ritorno
tramite il pagamento del pedaggio di coloro che usufruiscono dell’autostrada. Lo Stato si fa carico della
costruzione delle autostrade tramite la tassazione o concedendo ai privati per un periodo di tempo la
concessione, che consente di ricoprire i costi fissi di produzione e conseguire un eventuale profitto.
Le autostrade sono un monopolio naturale e un monopolio legale. Se l’autostrada è essenziale, viene
costruita dallo Stato; se opzionale, allora si può costruire pagandola in seguito con pedaggi.
Infrastruttura essenziale oppure opzionale?
Diverse modalità di finanziamento:
* fiscalità generale;
* vincolare le imposte sul carburante;
* pedaggi (domanda rigida, costi di esazione contenuti): i clienti pagano sempre il servizio e subito
dopo aver usufruito dello stesso. Sono quindi attività molto redditizie: la domanda è rigida.
Concessione: si utilizza molto in Italia la concessione ad un’impresa privata e l’autorità pubblica
definisce il progetto, in seguito avviene una specie di gara per l’affidamento al concessionario della
costruzione. Le norme che regolano le tariffe vanno decise ex-ante. Il concessionario si fa carico dei costi
(costruzione, manutenzione, gestione) e vince la gara chi offre tariffe più basse (data la durata della
concessione) o chi offre la durata minima della concessione (dato il pedaggio).
Alla fine della concessione l’opera dovrebbe rimanere pubblica e senza oneri, al limite può venire
richiesto un pedaggio minimo che copra i costi di transazione.
à in realtà in Italia questo non è mai successo.
Tariffe: due tipi diversi di Price Cap possibili.
1. tariffa remunerazione à Price Cap rinnovato frequentemente (tipicamente ogni 5 anni),
pedaggio fissato dallo Stato che si pone il problema di garantire una copertura dei costi e una
congrua remunerazione. È simile al Rate of Return Regulation.
2. tariffa scommessa à non guarda i profitti dell’impresa. Vi è una convenzione che regola la
tariffa iniziale e poi si fissano regole automatiche di aggiornamento/revisione del Price Cap (ad
esempio incremento inflazione, traffico…). È un Price Cap senza elementi di arbitrarietà
rinnovabili. È più rischiosa, ma allo stesso tempo più redditizia.
AUTOSTRADE SPA:
Nasce nel 1950 come impresa dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), ente finanziato dallo
Stato per la costruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’IRI ha tenuto la proprietà, ma la
concessione veniva da una società pubblica: la struttura portante dell’attuale rete autostradale in Italia
risale agli ingenti investimenti effettuati da varie società pubbliche e private, tra le quali anche la società
Autostrade nel periodo 1955-75. La costruzione venne affidata alle stesse società che poi ne avrebbero
gestito il servizio, sulla base di una concessione basata sul Rate of Return. La concessione doveva
garantire all’operatore un adeguato rendimento di capitale e l’ammortamento del capitale investito.
Questo meccanismo di concessione con i pedaggi, ha fatto sì che Autostrade fosse una società
particolarmente redditizia per lo Stato, quindi ha sempre avuto ottimi rendimenti.
Fine degli anni ‘90, con l’ondata delle privatizzazioni, l’IRI viene dismesso e anche Autostrade SPA
viene venduto a privati ad una cifra altissima che incassò lo Stato. Nel 1997 la concessione di Autostrade
viene rinnovata fino al 2038, poi nel 1999 la società Autostrade viene privatizzata, venduta ad un prezzo
molto alto e viene introdotto il Price Cap. Si firma un accordo di regolamentazione per regolare i prezzi
dei pedaggi.
° ° ° °
P = PPG – X + ql
PRICE CAP AUTOSTRADE:
* Qual è il livello iniziale giusto delle tariffe?
Non c’era capitale netto residuo da ammortizzare in quanto l’ammortamento e la relativa remunerazione
in tariffa si erano già estinti intorno alla metà degli anni ’90. Sarebbero dovute calare le tariffe, ma ciò
non avvenne in quanto nello stesso periodo si passò alla regolazione Price Cap.
* Inflazione programmata dal governo (Ppg);
* X è un parametro variabile negoziato con Autostrade SPA, Ministero e ANAS. Deve essere
deciso:
1. Tenendo conto della remunerazione congrua del capitale investito;
2. Tenendo conto dei progetti di investimento futuri;
3. Modificazioni attese della produttività (traffico/costi operativi);
4. Variazioni attese della domanda e quindi sviluppo delle condizioni competitive dei mercati
in cui l’impresa opera.
à il problema è che tutti questi criteri sono di difficile applicazione.
* contributo che deriva dal miglioramento della qualità del servizio, frutto degli investimenti della
società (ql). Come ad esempio l’indice di pavimentazione, indice di incidentalità.
In realtà è difficilissimo avere dati precisi sulle tariffe, accordi, concessioni…difficile perché non vi è
trasparenza. C’è stata un’Indagine Ministeriale svolta dall’autorità di vigilanza che ha tentato di
rendere trasparenti tutti questi dati. La crescita complessiva media delle tariffe era stata di oltre il 22% tra
2000-05: l’indagine ha messo in evidenza disfunzioni del processo di Price Cap in quanto si facevano
troppi profitti rispetto agli investimenti (mancanza di un collegamento tariffe-investimenti). Inoltre
avevano dichiarato profitti inferiori rispetto a quelli effettivi (scostamento tra ricavi realizzati e ricavi
previsti nei piani finanziari), come anche le stime del traffico, e quindi le stime dei relativi proventi, erano
al ribasso. La conclusione è che c’erano grandi extra-profitti e crescita in borsa.
Il problema generale nei grandi meccanismi di regolamentazione è il “regulatory capture”: proposte di
valutazione del parametro X tra ANAS e NARS (Nucleo di Attuazione e Regolazione dei Servizi di
pubblica utilità) erano molto differenti, ANAS era sempre generoso nella decisione dei prezzi anche se
avrebbe dovuto essere il regolamentatore. Si evidenzia che l’ANAS aumentava le tariffe di troppo, per
questo ci fu un’indagine a riguardo.
P2 = P2 – (C2 – w)
P2 = P2 – C2 – P1 + C1
Se il prezzo di mercato è P=P1=P2, i profitti unitari
dell’impresa 2 sono: P2 = C1 – C2.
Quindi P2 >0 e C2 < C1. L’impresa 2 fa profitti solo
se ha costi marginali inferiori all’impresa 1.
NB: il prezzo fatto all’impresa 2 non può eccedere i profitti unitari che l’impresa 1 è in grado di fare.
CLASSIFICAZIONE DI DISCRIMINAZIONE:
La tradizione economica vuole che le tecniche di discriminazione di prezzo siano classificate in tre
categorie principali (NB: discriminazione di I e II grado prezzi non lineari; III grado prezzi lineari):
1. DISCRIMINAZIONE DI I GRADO:
Si chiama anche discriminazione perfetta dei prezzi, in quanto si ha nel caso in cui un monopolista/
venditore è in grado di applicare a ciascuna unità di prodotto venduta il prezzo massimo che ciascun
consumatore è disposto a pagare. Si assume che il venditore conosca la disponibilità a pagare di tutti i
consumatori. Come si comporterebbe un monopolista discriminante in questa situazione?
P Al consumatore 1, il quale ha
Monopolista che discrimina la più alta disponibilità a
pagare, non gli si fa pagare PM
Monopolista che non discrimina (*), ma si arriva fino alla
curva di domanda per
comprendere tutta la sua
quantità aggiuntive disponibilità a pagare. Questo
PM perché vendo ad ogni
C¢(Q)
consumatore ad un prezzo che
ultima quantità corrisponde alla sua massima
aggiuntiva venduta disponibilità a pagare.
1 QM
Il monopolista che discrimina ha incentivo ad espandere la produzione in quanto può vendere a
consumatori aggiuntivi ad un prezzo più basso; questa operazione si arresta quando arriva alla curva di
costo marginale C¢(Q) (*). Il monopolista si fermerà in questo punto non aggiungendo più quantità
aggiuntive: ciascuna unità supplementare venduta genera ricavi esattamente pari al prezzo al quale viene
acquistata. Pertanto nella discriminazione di primo gradi, i ricavi marginali sono uguali al prezzo. Di
conseguenza per un monopolista di questo tipo, la regola della massimizzazione dei profitti (profitti pari
al costo marginale) comporta un livello di output al quale anche il prezzo è pari al costo marginale.
Questo si tratta del livello di output che sarebbe generato da un’industria concorrenziale.
manager studenti
P1
P2
curva di costo
marginale
Q1 Q2
Curva di domanda rigida Curva di domanda elastica
à prezzi più alti à prezzi più bassi
Analiticamente:
* Due gruppi di consumatori: 1, 2;
* Due curve di domanda: P1(Y1), P2(Y2);
* Costi di produzione uguali: C (Y1 + Y2).
L’impresa vuole massimizzare il profitto e sceglie
P = P1(Y1) xY1 + P2(Y2) xY2 - C (Y1 + Y2) Y1 e Y2 per massimizzare i profitti, quindi si hanno
due curve di ricavo marginale diverse (* nel
RICAVI TOTALI COSTI TOTALI grafico).
Per massimizzare il profitto, il ricavo marginale
deve essere sempre pari al costo marginale in ciascun mercato servito dal monopolista. Se in un
particolare mercato questo non avviene, l’ultima unità venduta nel mercato genererebbe in costi più o
meno di quanto genererebbe in ricavi, per cui in quel mercato un aumento o una riduzione della
produzione totale farebbe aumentare i profitti (senza che il monopolista debba aumentare la produzione).
Due condizioni:
dP d P1
1. ¾¾ = ¾¾ x Y1 + P1 – C¢(Y) = 0 si calcolano le derivate parziali che devono essere
d Y1 d Y1 poste uguali a zero affinché vengano massimizzati i
dP d P2 profitti.
2. ¾¾ = ¾¾ x Y2 + P2 – C¢(Y) = 0
d Y2 d Y2
La discriminazione di prezzo di terzo grado non è altro che l’estensione della regola dell’elasticità vista in
monopolio: vi è un legame tra prezzo stabilito ed elasticità della domanda in uno specifico segmento
di mercato. Maggiore è h più elastica è la domanda del mercato. Il prezzo sarà certamente minore nel
mercato con maggiore elasticità della domanda. L’idea è che i prezzi devono essere inferiori nei mercati
nei quali i consumatori sono sensibili al prezzo, in quanto un aumento del prezzo implicherebbe la perdita
di troppi clienti, andando ad annullare qualsiasi guadagno in termini di appropriazione del surplus per
ogni singolo consumatore. In altre parole, quando i consumatori sono sensibili al prezzo, la strategia di
abbassare il prezzo può di fatto aumentare il surplus totale del monopolista, in quanto comporta molti
costi aggiuntivi.
1. DISCRIMINAZIONE DI PREZZO DI II GRADO:
Si vende lo stesso bene a prezzi diversi a diversi gruppi di consumatori. Le imprese voglio fare prezzi
diversi ma i consumatori non sono direttamente riconoscibili quindi devono creare un “menù” di tariffe
affinché il consumatore si autoselezioni. Le imprese utilizzano un sistema di prezzi non lineari
composto da una tariffa a due stadi: parte fissa (f) e parte variabile/a consumo p (il prezzo deve sempre
essere uguale a C). Si utilizza questa duplice tariffa per fare discriminazione di prezzo. Vi è un’ampissima
varietà di tariffazione. Quale composizione di parte fissa e consumo? Quale menù di tariffazione
comporre? Il monopolista discriminante può raggiungere l’obiettivo di appropriarsi del surplus del
consumatore applicando la tariffa a due stadi e fissare la parte fissa del prezzo in base al surplus del
consumatore (CS): SC = f > CS. Il surplus del consumatore coincide con il canone di accesso il
monopolista per fare profitti più alti, abbassa il prezzo al costo marginale, aumentando così la quantità e
allo stesso modo aumentano i profitti, che derivano esclusivamente dal prezzo del canone di accesso,
altrimenti i profitti sarebbero nulli (senza canone di accesso) perché il bene o servizio è venduto al prezzo
di costo.
Vi sono due tipi di consumatori eterogenei (1, 2) e due tipi di tariffe a due stadi (1, 2). Per ogni P,
CS2 > CS1 (ipotesi): il consumatore usa il bene 2 più intensamente e il consumatore 1 dallo stesso bene ne
ricava meno valore. Il sistema di tariffe seguente può funzionare?
- f1 = CS1 e P=C;
- f2 = CS2 e P=C.
Vi è un rischio di cannibalizzazione: con due tariffe è possibile che alcuni utenti non acquistino la tariffa
pensata per loro (i tipi di consumatori non sono identificabili). Per evitare la cannibalizzazione, è
importante rispettare i due vincoli della discriminazione di prezzo di II grado:
1. vincolo di incentivazione: i consumatori del tipo i devono preferire la tariffa del tipo i, tariffa
pensata e adattata a loro. Il consumatore 1 preferisce la tariffa 1 e il consumatore 2 preferisce la
tariffa 2.
à f1 = CS1(P1) e P1>C (il canone di ingresso f1 deve essere necessariamente basso per rispettare
il vincolo 1 e P1>C serve per rendere meno appetibile la tariffa per quelli ad alto reddito),
ricordando che il consumatore 1 è quello a basso reddito;
2. vincolo di partecipazione: l’acquisto deve essere preferito al non acquisto, ovvero tutti
preferiscono Q>0 rispetto a Q=0.
à f1 < f2 < CS2(P2) e P2=C (bisogna lasciare un po’ di surplus al consumatore 2 per rispettare il
vincolo 2).
Esempio:
Tariffe:
1. monopolista che non discrimina:
Discriminazione di prezzo di I grado, si discrimina sul prezzo ponendolo uguale per tutti. Si
considerano le domande come unica.
Q = QA + QG = 28 – 2P à domanda inversa: P = 14 – ½Q
P = P = Q allora P = (14 – ½Q) Q = 14Q – ½Q2
Ricavo marginale (derivata rispetto a Q) = 14 – Q = C à 14 – Q = 4 allora Q = 10
P = 14 – ½ (10) = 9:
- QA = 18 – 9 = 7 16
ANZIANI GIOVANI
- QG = 12 – 9 = 3
12
24,5
PM = (P – Q) Q = (9 – 4) 10 = 50: 4,5
P=9
- PA = 35 35 15
CSA = (16 – 9) x7 /2 = 24,5
C¢=4
- PG = 15
CSG = (12 – 9) x 3 /2 = 4,5 7 16 3 12
2. tariffa a due stadi:
Come si fa per aumentare il profitto?
- Se anziani à canone di entrata = 24,5 = CSA
- Se giovani à canone di entrata = 4,5 = CSB
NB: il meccanismo della tariffa a due parti può essere utilizzato per far aumentare i profitti portandoli a
un livello superiore rispetto a quelli ottenuti con prezzi uniformi, ma non è in grado di far ottenere gli
stessi risultati come in precedenza perché risolvere i problemi di identificazione e arbitraggio è costoso: è
possibile che il monopolista riesca a mettere a punto una strategia di prezzo che induca alcuni clienti a
rivelare chi sono e che li distingua sulla base dei loro acquisti, ma l’unico modo per farlo implicherebbe
dei costi, che si traducono in una minore estrazione di surplus (discriminazione di prezzo di II grado).
4. Block Pricing:
Si fissa la quota di ingresso più bassa offrendo un pacchetto a 64€ compreso di 8 consumazioni per
attrarre entrambi i consumatori (unico pacchetto). Il profitto sarà PM = 32 + 32 = 64. I clienti con
domanda bassa si sa che sono disposti a pagare 64€ per 8 consumazioni, quindi il proprietario del club è
in grado di offrire un pacchetto che consiste nell’ingresso più 8 consumazioni a un prezzo di 64€
(pacchetto G). Questo pacchetto attrarrà i consumatori con domanda bassa e consentirà di estrarre il
surplus di 32€ da ciascuno di loro. Il problema è che anche i clienti con domanda elevata saranno disposti
16 a pagare questo pacchetto, in quanto la loro disponibilità a pagare
32 l’ingresso più 8 consumazioni è pari a 96€. Sebbene il proprietario
8 ottenga profitti di 32€ anche dai clienti con domanda elevata che
64 acquistano questo pacchetti (vi è un unico pacchetto), questi ultimi
8 16 continueranno ad avere un surplus di: CSA = 96-64 = 32.
5. Menu Pricing:
La strategia ottimale per il proprietario è quella di offrire un secondo pacchetto indirizzato ai clienti con
domanda alta. Egli sa che sono disposti a pagare un totale di 120€ per 12 consumazioni, ma sa anche che
non può far pagare 12 consumazioni a 120€ in quanto i clienti con domanda elevata non saranno disposti
a pagare un importo così elevato, dal momento che possono acquistare il pacchetto di 8 consumazione a
64€ e avere un surplus del consumatore di 32€. Perché un pacchetto alternativo attragga i clienti con
domanda elevata, deve rispondere al requisito che gli economisti chiamano “compatibilità degli
incentivi”: qualsiasi pacchetto alternativo deve anche consentire ai clienti con domanda elevata di
ottenere un surplus di almeno 32€.
Si offre un nuovo pacchetto ai consumatori anziani: 120 – 32 = 88 con 12 consumazioni. I clienti con
domanda elevata attribuiscono all’ingresso più 12 consumazioni un valore di 120€, quindi offrendo tutto
questo ad un prezzo più basso di 88€ potrebbero essere convinti a rinunciare al pacchetto di 64€ con 8
consumazioni, in quanto otterrebbero ugualmente un surplus pari a 32. In questo modo aumentano anche i
profitti del proprietario:
- PA = 88 – (12x4) = 40
àPM = 40 + 32 = 72
- PG = 64 – (8x4) = 32
Queste due tariffe (menù di opzioni) sono impiegate dal proprietario per risolvere i problemi di
identificazione e arbitraggio, inducendo i clienti stessi a rivelare chi sono tramite gli acquisti che
effettuano. Sul secondo pacchetto viene effettuato uno sconto sulle quantità.
6. Discriminazione di II grado:
Tariffa migliorativa rispetto al caso precedente. Che cosa succederebbe se il proprietario del club
decidesse di offrire un numero minore di consumazioni, per esempio 7, nel pacchetto progettato per i
clienti con domanda bassa/alta?
16 GIOVANI: P=5
ANZIANI GIOVANI Disponibilità a pagare:
12
24,5 24,5 + 35 = 59,5
9 NB: 24,5 = (7x7)/ 2
24,5
63 5
35 PG = 59,5 – (7x4) = 31,5
7 12
7 16
ANZIANI: P=9
Disponibilità a pagare: 24,5 + 63 = 87,5 à CSA = 87,5 – 59,5 = 28
Il proprietario può aumentare il prezzo di questo secondo pacchetto al fine di lasciare un CS minore,
ovvero offre un ingresso con 12 consumazioni portandolo a 120-28 = 92, facendo salire i profitti tratti da
ciascuno di questi pacchetti a 44€:
offro 12 consumazioni: 120 – 28 = 92 à nuovo pacchetto
PA = 92 – 48 = 44 à PM = 31,5 + 44 = 75,5 (maggiore rispetto a 72€ dell’offerta precedente)
In questo modo si restringe l’offerta diminuendo CS in modo da alzare P. qualsiasi pacchetto ideato per
attirare clienti con domanda bassa limita la capacità del monopolista di estrarre surplus dai clienti con
domanda elevata. Di conseguenza, per il monopolista risulterà più redditizio ridurre il numero di offerte
ai clienti con domanda bassa, dal momento che questo gli consentirà di aumentare il prezzo al quale fa
pagare il pacchetto destinato ai clienti con domanda elevata. Se il monopolista abbia o meno incentivo a
servire i clienti con domanda bassa dipenderà dal numero di consumatori con domanda bassa rispetto a
quelli con domanda elevata.
TARIFFE 1 2 3 4 5 6
Q 10 20 12 16 20 19
P 9 4 - - - -
QA 7 12 12 8 12 12
QG 3 0 0 8 8 7
P 50 104 72 64 72 75,5
CSA 24,5 0 0 32 32 28
CSG 4,5 0 0 0 0 0
PMEDIO(A) 9 120/12 = 10 10 8 88/12 = 7,3 92/12 = 7,66
PMEDIO(G) 9 64/8 = 8 - 8 64/8 = 8 59,5/7 = 8,5
Esempio:
- Due consumatori eterogenei: 1 contabile che ha bisogno di un software per i bilanci e 1 scrittore
che ha bisogno di un processore di testi;
- 2 prodotti: excel e word;
- 2 disponibilità a pagare:
EXCEL WORD
CONTABILE 100 60 Disponibilità a pagare complessiva = 160 ciascuno
SCRITTORE 60 100
LIBERALIZZAZIONE:
Operazione legislativa diretta a creare le condizioni per lo sviluppo di un mercato concorrenziale. Come si
ottiene la liberalizzazione di un mercato di questo tipo?
Le fasi della produzione (supply chain) sono diverse:
1. Generazione: output deve essere convertito in alta tensione per essere convogliato nelle reti di
trasmissione;
2. Trasmissione: fanno viaggiare l’energia nelle lunghe reti;
3. Distribuzione: trasformazione dell’energia ad alta tensione a bassa tensione e quindi si passa a
parlare di distribuzione per trasportare l’energia ai consumatori;
4. Supply: l’energia viene venduta ai retailer i quali secondo la loro tariffazione vendono l’energia a
privati o industriali;
5. Consumo.
Il mercato viene diviso in 4 sottomercati/segmenti in cui agisce la liberalizzazione:
1. Generazione: il mercato della generazione è libero e chiunque può installare una centrale
elettrica. Unico vincolo dell’UE è che non possono produrre più del 50%. Mercato sul quale
intervengono i consumatori, ad esempio se si installano fotovoltaici…;
2. Trasmissione e distribuzione: divisa in due parti (separazione tra proprietà e gestione della
rete) e strettamente regolamentata. In Italia avviene ancora nel regime di monopolio nazionale.
La rete di trasmissione è un’infrastruttura fondamentale per il funzionamento di un Paese e deve
essere tutelata per quanto riguarda la sicurezza. Vengono esercitate da due enti diversi:
3. Vendita (retail): mercato libero (quasi). Libero perché non vi son barriere all’entrata come
anche le politiche di prezzo non sono regolamentate e i consumatori possono scegliere l’offerta
contrattuale che preferiscono.
Regolatore: AEEG.
IL MERCATO ITALIANO:
La liberalizzazione inizia nel 1999 (decreto Bersani) e prosegue con lo smantellamento del monopolio
integrato verticalmente (Enel) e con la creazione di un mercato retail concorrenziale. Si completa nel
2007 (accesso al mercato libero per i consumatori finali) ed è sottoposta a regolamentazione temporanea
fino al primo gennaio 2018: tutti i consumatori verranno immessi sul mercato libero. Fino a quella data i
consumatori potranno scegliere tra il mercato con tariffa regolamentata (maggior tutela) e i contratti sul
mercato libero.
La maggior parte delle imprese vende più di un solo prodotto. L’incentivo da parte delle imprese a offrire
molte varietà, di quello che essenzialmente è lo stesso prodotto, è un modo per l’impresa di riuscire a
vendere a clienti con gusti diversi. Più precisamente per indurre un consumatore a effettuare un acquisto,
l’impresa deve commercializzare un prodotto che si avvicini ragionevolmente alla versione che il
consumatore preferisce. Quando un’impresa offre una gamma di prodotti in risposta ai diversi gusti dei
consumatori si parla di differenziazione orizzontale del prodotto.
I consumatori non differiscono per le caratteristiche che ritengono desiderabili, ma per il valore che
attribuiscono alla caratteristica desiderata, ossia quanto sono disposti a pagare per avere un servizio
aggiuntivo al prodotto. Quando l’impresa risponde alla diversa disponibilità da parte dei consumatori a
pagare la qualità di un prodotto offrendo diverse qualità dello stesso, si parla di differenziazione
verticale del prodotto.
§ Varietà di prodotti:
La quantità, talvolta esagerata, di varietà di prodotti fa sorgere la domanda: varietà di prodotti offerta è
eccessiva o il monopolista fornisce il livello di varietà di prodotto coerente con la massimizzazione del
benessere sociale? Il livello socialmente ottimale di varietà del prodotto è descrivibile tramite il concetto
di efficienza, in base al quale occorre massimizzare il surplus totale netto. Una volta che tutti gli N
consumatori sono serviti, solo due fattori variano mano a mano che si aggiungono nuovi negozi o varietà
di prodotto: un fattore è il costo di trasporto sostenuto dal consumatore. Mano a mano che vengono
aggiunti nuovi negozi, un numero maggiore di consumatori si trova più vicino a un negozio e questo
costo si abbassa (risvolto positivo). L’aggiunta di un maggior numero di negozi comporta un costo
supplementare di avviamento F per ciascun negozio (risvolto negativo).
Sarà socialmente vantaggioso aggiungere un negozio supplementare agli n esistenti fin tanto che:
n (n+1) < TN/4F si aggiungerà un negozio supplementare fintanto che i costi diminuiscono perché
l’obiettivo è minimizzare il costo totale. Però la condizione in cui il monopolista vuole aggiungere un
negozio supplementare è n (n+1) = TN/2F ovviamente maggiore della quantità socialmente ottima:
significa che il monopolista è incentivato ad ampliare la varietà del prodotto anche quando i guadagni
sociale connessi a tale ampliamento si sono esauriti. Quindi il monopolista sceglie di immettere sul
mercato troppe varietà di prodotto.
Il motivo di base per cui un monopolista porta a una varietà eccessiva è che l’impresa massimizza i
profitti, non il surplus totale. Il monopolista, quando decide di aprire un altro negozio, bilancia il costo
supplementare di avviamento con i ricavi supplementari connessi alla possibilità di aumentare il prezzo.
Dal pdv dell’efficienza questi ricavi supplementari non rappresentano un guadagno netto, ma
semplicemente un trasferimento di surplus dai consumatori al monopolista. Il vero ottimo sociale
bilancerebbe il costo di avviamento di un negozio supplementare con l riduzione dei costi di trasporto che
ne risulta. Questo criterio comporterà l’apertura di un numero minore di negozi rispetto al criterio
utilizzato dal monopolista.
Riassunto: il fatto di avere negozi supplementari attrae il monopolista in quanto gli consente di far pagare
un prezzo elevato ai consumatori distanti; il monopolista con un solo negozio può raggiungere quei
consumatori soltanto offrendo una forte riduzione del prezzo, che si estenderebbe a tutti i consumatori.
Una varietà è più vantaggiosa: il monopolista si spinge oltre l’ottimo in quanto, pur riducendo il surplus
totale, riesce ad appropriarsi di una quantità molto maggiore di esso.
Non fa K 0;0 0; M( r - S)
S Rt x PM; genera l'incentivo (WTP, Willigness to Pay, ossia disponibilità a pagare):
• Al crescere di T, i profitti aumentano
• Più il brevetto è ampio, più si hanno incentivi
• Perdita di benessere • Decentralizzazione
• Viene mitigata dalla discriminazione di • Non c’è una negoziazione con una autorità, decide
prezzo; l'impresa
• Difficile da implementare • Il costo dell’innovazione ricade sugli utilizzatori
• Trade-off: • non sui contribuenti
o Mercato comune
o Questioni di equità
Trade-offs - Brevetti
• Efficienza dinamica verso efficienza statica
• Durata e ampiezza ottimale
o durata: numero di anni in cui è valido il brevetto.
o Ampiezza (scope - breadth) è la porzione di prodotto o tecnologia che può essere prodotta (il grado di
novità richiesto)
o Numero di rivendicazioni (claims) nel brevetto.
• Tutti questi elementi, più il livello effettivo di enforcement, influenzano i costi e i benefici sociali del sistema
brevettuale
La giustificazione economica CLASSICA dei brevetti
• Soluzione ai fallimento del mercato nel generare innovazione
• Non-rivalità + limitata escludibilità della conoscenza riducono gli incentivi a produrla; creazione di IPRs come
second best solution:
• Aumento del welfare (efficienza dinamica): IPRs incoraggia l’attività inventiva
• Diminuzione del welfare (inefficienza statica): concorrenza limitata nei settori dove I brevetti sono importanti
• Disclosure: obblighi di divulgazione di informazioni; l'alternativa è il segreto industriale
• Bilanciamenti: durata limitata + parziale codificazione (manterrebbe la conoscenza come bene pubblico):
rende possibile la concorrenza perfetta dopo che il brevetto è scaduto
Nuove giustificazioni
Due fattori rilevanti influenzano l’uso dei brevetti:
• Cumulatività = un’invenzione è una base per un’altra invenzione
• Complessità e integrazione = diverse invenzioni devono essere integrate per poter fare un prodotto (es. IT,
elettronica)
I brevetti incoraggiano la concorrenza attraverso l'ingresso di nuove imprese specializzate (R&D contractors,
consulenti, start up accademiche)
I brevetti potrebbero soffocare l'innovazione perché in tecnologie complesse e cumulative il rischio di violare un
brevetto scoraggia l'innovazione
La brevettazione strategica e aumento dei costi endogeni
In sintesi (in azzurro le ‘nuove’ giustificazioni, in bianco l'approccio classico)
Effetti su Positivi Negativi
Innovazione Incentivi per investimenti in R&S impedisce la combinazione di nuove idee e invenzioni;
aumenta i costi di transazione;
inibisce invenzione cumulativa
2 Concorrenza fra portafogli di brevetti in industrie con prodotti complessi possono creare barriere
all’entrata
–Difficile valutare l’estensione dei diritti (vd. Caso Apple-Samsung)
–Brevetti difensivi e la costruzione di portafogli brevettuali impongono una "tassa" sull'innovazione
– Vedere per esempio: JULY 1, 2009 Toyota Builds Thicket of Patents Around Hybrid To Block Competitors,
wsj
3 Il problema della qualità dei brevetti. Se è bassa si ha potere di mercato senza benefici sociali
–Software, nanotecnologie
–Se i brevetti sono costosi il problema è più limitato (EPO vs. USPTO)
NEGLI STATI UNITI
Aumento del 7% all’anno di casi aperti di violazione brevetti (almeno 4000 nel 2011)
Il valore mediano dei danni pagati nel 2011:
16 billions dollar (più tutto il resto)
5 Problemi nei paesi in via di sviluppo: accesso ai farmaci essenziali, gestione delle risorse naturali,
conoscenza tradizionale
–Accordi TRIPs and accordi bilaterali
–Importazioni parallele e licenze obbligatorie.
•Distinguere costi e benefici del sistema da quelle che sono propriamente “patologie”
ESTERNALITA DI RETE – CAP 19
Per molti beni e servizi il valore del loro utilizzo per un consumatore aumenta man mano che altri consumatori lo
acquistano e se ne servono. I Networks sono sistemi il cui valore per un utilizzatore dipende dal numero di altri
utilizzatori:
- Standards
- Sistemi di trasporto e comunicazione (treni, strade, fax)
- Sistemi hardware - software
Questi effetti di rete modificano la concorrenza nell’industria e l’esito nel mercato; possono essere diretti se le
reti sono reali e le connessioni visibili (fax, telefono, email) oppure indirette (hardware – software) riguardano
prodotti complementari, reti virtuali i cui feedback positivi passano attraverso i prezzi e la varietà (domanda e
offerta). L’esternalità di rete agiscono in modo simile alle economie di scala (alti costi fissi, bassi costi marginali e
rendimenti crescenti nella funzione di produzione), tranne per il fatto che agiscono sul lato della domanda, creano
forti incentivi per le imprese a operare su larga scala (progresso tecnico e prezzi dei fattori e dei beni decrescono
al crescere del settore).
Es: Ebay la società di aste online; nasce come piccola impresa start up nel 1995, attualmente conta 10 milioni di
utenti registrati. Prima degli anni ’90 la vendita diretta di molti articoli era limitata, a causa dei costi elevati
collegati alla necessità di far incontrare potenziali acquirenti e venditori. Nel 2000 grazie a Internet, questi
problemi vennero meno: facilitò la diffusione di un’enorme quantità di info a un gran numero di acquirenti e
venditori in breve tempo.
Quando il valore di un prodotto per un consumatore aumenta all’aumentare nel numero degli altri consumatori
che lo utilizzano, si dice che il mercato in questione presenta delle esternalità di rete.
HP: al cliente viene fatto pagare un unico prezzo P per collegarsi alla rete; F il numero massimo di
!
utenti/consumatori potenzialmente disposti ad acquistare il prodotto; f = numero di clienti effettivamente
"
serviti (frazione del mercato che viene servita). Tutti i consumatori concordano che il servizio abbia un valore
tanto maggiore quanto maggiore è la frazione f del mercato che vi aderisce (se tutti acquistano f = 1). Indichiamo
vi il valore intrinseco attribuito da parte dell’iesimo consumatore (unitamente distribuite fra 0 e 1).
0 𝑠𝑒 𝑓𝑣𝑖 < 𝑃
La domanda da parte del consumatore i per il collegamento al servizio è:
1 𝑠𝑒 𝑓𝑣𝑖 ≥ 𝑃
La disponibilità a pagare (WTP) per il servizio da parte del consumatore fvi, aumenta all’aumentare della frazione
dei potenziali acquirenti f che hanno aderito al servizio. Il cliente però non tiene conto dei benefici esterni che
crea entrando nella rete: migliorerebbe l’utilità per tutti gli altri utenti.
Calcolo della frazione del mercato che aderirà al servizio per ciascun dato prezzo P: partendo dalla valutazione di
riserva 𝒗′i ossia quel consumatore indifferente ad aderire o meno al servizio, per cui 𝒗′i = P/f.
𝒗2𝒊
La frazione di consumatori con una valutazione inferiore 𝒗′i: 𝒇 = .
𝑽
𝒗7 𝒊 𝑷
La frazione di consumatori con una valutazione superiore e che acquisteranno: 𝒇 = 𝟏 − =𝟏−
𝑽 𝑽𝒇
Risolvendo per P, si ottiene la funzione inversa di domanda: 𝑷 = 𝑽𝒇(𝟏 − 𝒇)
Funzione crescente: all’aumentare di f, i consumatori hanno
disponibilità a pagare maggiore. Al prezzo P, se un numero minore
di fL consumatori aderisce alla rete, l’equilibrio scenderà a f = 0; se
invece un numero maggiore di fL consumatori vi aderisce,
l’equilibrio salirà a fH.
;< A
= 𝑉 − 2𝑉𝑓; 𝑉 − 1𝑉𝑓 = 0; 𝑓 = da cui è possibile calcolare il
;= B
A
prezzo 𝑃 = 𝑉
C
fL: massa critica; fin tanto che si può stabilire una frazione di utenti
leggermente maggiore rispetto a questa soglia, la rete crescerà e conterrà la frazione elevata, fH. Al di sotto di
questa soglia, il meccanismo non entra in funzione e quindi l’equilibrio ritorna a f = 0, gli utenti vengono meno e
la rete fallisce. Quando la funzione diventa decrescente, la disponibilità a pagare è minore perché i consumatori
hanno vi piccolo. Per oltrepassare tale vincolo, l’impresa può offrire il prodotto gratuitamente per un periodo
limitato di tempo o politiche di marketing per farlo conoscere.
!
HP MONOPOLIO: massimizza il suo profilo (MC = 0) e i costi fissi siano F; 𝜋 = 𝑃𝐹𝑁 − 𝐹; 𝑓 =
"
Dato un prezzo 𝑷 = 𝑽𝒇 𝟏 − 𝒇 stessa curva di domanda, allora 𝜋 = 𝑉𝑓 1 − 𝑓 𝑓𝑁 = 𝑉 1 − 𝑓 𝑁 = 𝑉𝑓^2𝑁 −
𝑉𝑓^3
IJ
= 2VfN – 3Vf2N = 0; 2 – 3f = 0; f* = 2/3 è la scelta ottimale della quota di mercato. La massa critica è f = 1/3.
I=
grafico 1 – è efficiente dal pdv sociale solo se MC = 0; WTP > 0 socialmente il prodotto viene acquistato, ma
questo non avviene perché il monopolista fa un prezzo più alto: INEFFICIENZA.
LOCK IN: inefficienza potenziale, la tecnologia adottata potrebbe avere un pay off di lungo periodo minore per gli
utilizzatori.
- Lock in tecnologico: switching costs (s) elevati per la tecnologia che è rimasta indietro;
o se v ≥ c ma anche v ≤ c + s
Modello di Arthur (lock in tecnologico senza switching costs, quindi possono cambiare tecnologia senza costi)
Contesto in cui vi sono due tecnologie diverse (A – B) e i consumatori possono scegliere tra le due; due tipi di
consumatori a – b. La preferenza intrinseca è per uno dei due standard, allo stesso tempo vi sono esternalità di
rete e quindi scelgo la tecnologica più utilizzata. Rendimenti assoluti (utilità di base u) e rendimenti relativi
(dipendono dal numero di utilizzatori della rispettiva tecnologia na e nb)
A B
a u + na n b
b na u + nb
- Se na = nb : a compra A; b compra B
- a preferisce B se nb > u + na ; nb – na > u; barriera di assorbimento: sorpassata u il mercato si cristallizza su
B
Processo di adozione sequenziale: se arriva a, poi arriva b … se arrivano tanti a assieme e superano la soglia U,
allora il processo diventa irreversibile e tutti sceglieranno A (anche i consumatori b). il modello è rilevante per due
motivi:
1. può esserci convergenza irreversibile di una tecnologia solo come causa del processo di adozione, con cui
si ha “lock in” in una specifica tecnologia (processo irreversibile di uno STANDARD, che non è detto sia il
migliore – caso Querty)
2. nel processo di adozione è importante la sequenza specifica di eventi: “path dependency”, il risultato
finale dipende da processi che sono intrinsecamente storici (sequenze specifiche nel tempo).
HISTORICAL ACCIDENTS: possono esservi anche degli eventi storici casuali che determinano il processo di
adozione (sequenza casuale).
CONCORRENZA FRA SISTEMI E GUERRA PER GLI STANDARD
Documento elaborato attraverso il consenso delle parti interessate, approvato dagli enti, che contiene
specificazioni tecniche o criteri che devono essere utilizzati come regole, linee guida perché materiali, prodotti,
processi e servizi siano adatti al loro scopo. Vi è la necessitò di un coordinamento; i vantaggi degli standard sono:
- migliore qualità e affidabilità
- maggiore compatibilità ed interoperabilità
- riduzione del numero di modelli diversi e dei costi
- miglioramento dell’efficienza di distribuzione e facilità di manutenzione
Due problemi:
1. una volta adottato uno standard, soprattutto da parte dello stato è difficile cambiare
2. spesso le imprese hanno vantaggio nella produzione, ma non sono contente perché vi è maggiore
concorrenza e i margini di profitto potrebbero scendere; le imprese cercano di scappare da questi
attraverso le strategie di differenziazione (caso Apple)
TRADE OFF standardizzazione e varietà:
- si riduce il grado di differenziazione del prodotto à competizione di prezzo àprofitti si riducono
- aumenta la disponibilità a pagare dei consumatori à profitti aumentano
Lo standard può essere definito in modo specifico (concorrenza di prezzo) o generico (diverse varietà del
prodotto). Le imprese devono decidere se concorrere nel o per il mercato:
- concorrenza negli standard è forte le imprese preferiscono la compatibilità
- concorrenza nel prodotto è forte le imprese preferiscono l’incompatibilità
Domande:
1. Come è influenzata l’adozione di nuovi standard dalle preferenze dei consumatori?
a. Inerzia eccessiva: preferenza per compatibilità (manca la massa critica sulle nuove tecnologie
quindi c’è incompleta info delle preferenze altrui e paura del lock in per tecnologie inferiori)
b. Mobilità eccessiva: gli utenti adottano una tecnologia inferiore a causa dell’”effetto valanga”
2. Quali sono le tipologie di situazioni in cui si può trovare un’impresa e quali sono le strategie ottimali?
a. Negoziazione/guerra per gli standard
STANDARD PROPRIETARIO vs COMPATIBILITA: due imprese A e B, due tecnologie t1 e t2; tre possibili interazioni
strategiche:
1. Zuppa e pan bagnato: esternalità di rete meno importanti; il mercato esiste anche con standard diversi).
Non c’è un equilibrio, la strategia ottimale è la guerra per lo standard, oppure:
B\A T1 T2
T1 ∏(A) = 3; ∏(B) = 3 ∏(A) = 6; ∏(B) = 7
T2 ∏(A) = 8; ∏(B) = 5 ∏(A) = 2; ∏(B) = 2
o First mover advantage: creare una massa critica, una base installata di utenti (competizione di
prezzo per ottenere la leadership e avere un vantaggio iniziale); es. IBM + Windows
o Attrarre fornitori di prodotti complementari: aumentare il valore del network per i consumatori
i. Es. Apple: ha perso il suo vantaggio iniziale per il desiderio di evitare cloni del suo sistema
operativo, vincolo che ha limitato la penetrazione e ha ridotto gli incentivi da parte degli
sviluppatori di software a produrne di compatibili
o Vaporware: preannuncia nuovi prodotto al fine di scoraggiare i consumatori ad acquistare il
prodotto del concorrente
o Commitment sui prezzi: mantenere i prezzi costanti nel lungo periodo (vantaggioso se vi sono
economie di scala)
2. Guerra dei sessi: le imprese devono per forza mettersi d’accordo; esternalità di rete importanti + profitti
da compatibilità > profitti da concorrenza; due equilibri nessuno dei quali socialmente superiore
A\B T1 T2
T1 ∏(A) = 10; ∏(B) = 8 ∏(A) = 5; ∏(B) = 4
T2 ∏(A) = 6; ∏(B) = 5 ∏(A) = 8; ∏(B) = 10
o Concorrenza: crea massa critica, una base di utenti installata
o Cooperazione: licenza, sviluppo cooperativo, tecnologie ibride
3. Fratellino rompiscatole: leader vs follower à non ci sono equilibri. Strategie:
o Proprietà intellettuale (patent thickets)
o Cambiare spesso tecnologie (lead time)