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CAPITOLO 1 – UNA PANORAMICA DELL’ORGANIZZAZIONE

INDUSTRIALE.

Definizione di organizzazione industriale


E’ quella disciplina economica che studia la struttura delle imprese e dei mercati e le loro
modalità di interazione, secondo un approccio più realistico, in cui si dà un peso più rilevante ai
fattori concreti (rispetto ai modelli microeconomici che sono puramente teorici).
Lo studio dell'organizzazione industriale cala nella realtà il modello della concorrenza perfetta,
considerando fattori quali l'informazione incompleta, i costi delle transazioni, i costi dovuti
all'aggiustamento dei prezzi, gli interventi pubblici e le barriere che ostacolano l'entrata dì nuove
imprese in un mercato.

Stiegler (1968)
Definisce l’E.I. parte della microeconomia che utilizza modelli teorici dei prezzi basati sul
comportamento delle imprese finalizzato alla max dei π per effettuare studi empirici sui mercati.

Obiettivi Descrivere:
- dinamiche competitive dei mercati
- comportamenti strategici dell'impresa (strategie sui prezzi, su pubblicità, etc)
- modalità di interazione tra imprese (esempio le modalità di interazione tra imprese oligopoliste
in un oligopolio).

Metodologia utilizzata. 1)
analisi teorica
2)Applicazioni delle teorie ai problemi del sistema economico e dell'industria àverifica dei
modelli teorici attraverso casi di esempi concreti

Modelli
Esistono almeno due approcci principali per affrontare lo studio dell'organizzazione industriale.

1)Il primo approccio, denominato struttura-comportamento-risultati (o anche


strutturacomportamento-performance) (anni 30) è prevalentemente descrittivo e atto a fornire una
visione di sintesi dell'organizzazione industriale; - Paradigma utilizzato fino agli anni 70.
- Secondo l'approccio struttura-comportamento-risultati, i risultati economici di un'industria (in
termini dei benefici prodotti per i consumatori) à dipendono dal comportamento delle imprese,
à che, a sua volta, è funzione della struttura (insieme dei fattori che determinano la
concorrenzialità di un mercato).
- Quindi conoscendo una certa struttura del mercatosi sanno già i risulatati che si ottengono.
- In questo modello la struttura del mercato è la variabile esogena.
- La struttura di un'industria dipende da alcuni fattori di base, quali la tecnologia e la domanda.
Per esempio, in un'industria la cui tecnologia è tale che il costo medio di produzione diminuisce
sempre all'aumentare della quantità prodotta, il mercato tende a consentire la sopravvivenza di
una sola impresa o, eventualmente, di un numero assai limitato di imprese. Nel caso in cui una

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sola impresa fornisca il bene nell'ambito del mercato (situazione di monopolio), il prezzo verrà
stabilito a un livello di gran lunga superiore rispetto ai costi marginali di produzione.

La Figura 1.1 illustra i rapporti tra struttura, comportamento e risultati economici, evidenziando
anche le interazioni con le condizioni di base e le politiche pubbliche. Le relazioni esistenti tra gli
elementi appartenenti ai cinque riquadri sono piuttosto complesse. Per esempio, le
regolamentazioni incidono sul numero di imprese operanti in un mercato, e dunque le imprese
possono cercare di influenzare le politiche pubbliche di regolamentazione al fine di aumentare i
propri profitti.
La ricerca empirica che fa riferimento a questo tipo di paradigma utilizza solitamente dati a
livello di mercato, verificando, per esempio, se nei mercati che presentano determinate
caratteristiche strutturali, quali un numero limitato di imprese, si riscontrino prezzi
particolarmente elevati, etc..

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- In definitiva: date certe caratteristiche strutturali del settore, le imprese adeguano il loro
comportamento (passivo) nell’ottica di ottenere certi risultati.

2) Nuovo paradigma teorico dell’E.I.


- Dopo gli anni 70 si ci è accorti che la variabile esogena non è la struttura del mercato ma sono i
comportamenti dell'imprenditore à che generano una certa struttura di mercato àottenendo
così certi risultati.
- Il comportamento dell'imprenditore è la variabile esogena.
- Comportamento à centralità del comportamento strategico delle imprese, ossia delle azioni
finalizzate a modificare il proprio vantaggio la struttura e il grado di concentrazione.
- Struttura à è influenzata dal comportamento dell'imprenditore.

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- Performance à può a sua volta influenzare il comportamento e quindi la struttura (es. attraverso
maggiori profitti si acquisisce un'altra impresa e quindi si aumenta il grado di concentrazione
del mercato).
- In definitiva: S-C-R si influenzano reciprocamente: >π à> acquisti di altre imprese del settore
che modificano la struttura (feed-backs).
- La nuova E.I. studia il comportamento strategico e non passivo delle imprese e gli effetti che
ne derivano sulla concorrenza in un'ottica di efficienza nella produzione e scambio basata sulla
razionalità dell'individuo.

Analisi empirica di modelli teorici astratti (es. concorrenza perfetta) tenuto conto di fattori quali:
informazione incompleta, costi di transazione, costi di aggiustamento dei prezzi, interventi
pubblici, barriere all'ingresso nel mercato.

E.I. àsi può allora definire come “ economia di concorrenza imperfetta” (oligopolio) àprezzi e
quantità non concorrenziali.

Modelli teorici recenti (Teoria sulla formazione dei prezzi).


L’approccio basato sulla teoria della formazione dei prezzi, si avvale di modelli
microeconomici al fine di spiegare il comportamento delle imprese e la struttura del mercato e
quindi il paradigma S-C-R.
I modelli basati sulla teoria della formazione dei prezzi spiegano i fenomeni di mercato attraverso
l'analisi degli incentivi economici cui si trovano di fronte i singoli individui e le singole imprese.
George J. Stigler (1968), un pioniere di questo approccio analitico, sosteneva che gli studiosi di
organizzazione industriale dovessero avvalersi della teoria microeconomica per effettuare studi
empirici relativi ai mercati e agli effetti delle politiche pubbliche; attualmente, la maggior parte
delle ricerche in tema di organizzazione industriale è rigorosamente basata sulla teoria
microeconomica.

Nel corso degli anni, in particolare, tre sviluppi teorici nell'ambito della microeconomia
hanno offerto, nelle loro applicazioni allo studio dell'organizzazione industriale, utili strumenti
per la spiegazione della struttura, del comportamento e della performance.
- l'analisi dei costi delle transazioni
- la teoria dei giochi
- l'analisi dei mercati contendibili.

·Costi di transazione
Si indicano i costi che devono essere sostenuti per effettuare uno scambio, al di là del prezzo del
bene scambiato (per esempio, le spese relative alla stesura e alla garanzia dell'osservanza dei
contratti).
L'approccio incentrato sui costi di transazione, facendo riferimento all'analisi microeconomica,
parte dalle differenze esistenti in tali costi per spiegare le differenze di struttura, comportamento e
risultati economici nelle diverse industrie.

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Coase.
Oltre 60 anni fa, Ronald H. Coase (1937) affermò che l'impresa e il mercato rappresentano due
mezzi diversi per organizzare l'attività economica.
Coase sottolineò che il ricorso al mercato implica determinati costi, i quali, a loro volta,
consentono di determinare la struttura del mercato.
Per esempio, se per un'impresa i costi di transazione relativi all'acquisto di materie prime e
semilavorati sono relativamente bassi, tale impresa tenderà a fornirsi da terzi piuttosto che a
produrre essa stessa i materiali di cui necessita.

Williamson
Oliver Wi1iamson (1975), uno dei principali fautori dell'approccio basato sui costi di transazione,
sostiene che alla base di questo tipo di analisi vi sono quattro principi:
1. Mercati e imprese rappresentano due mezzi diversi per portare a termine una serie dì
transazioni tra loro correlate. Per esempio, un'impresa può comprare sul mercato un determinato
prodotto o servizio di cui ha necessità, oppure produrlo da sé.
2. La comparazione tra il costo relativo del ricorso al mercato rispetto all'uso delle risorse
interne dell'impresa determina tendenzialmente il tipo di scelta.
3. I costi di transazione relativi alla stesura e alla garanzia dell'osservanza di contratti
complessi nell'ambito di un mercato dipendono da un lato:
- dai soggetti responsabili delle decisioni inerenti la transazione
-dall’altro, dalle caratteristiche oggettive di quel mercato.
4. L'insieme dei fattori umani e ambientali influenza i costi delle transazioni sia all'interno delle
singole imprese, sia nei mercati.
Questo approccio mira all'individuazione dei fattori ambientali e umani che spiegano sia
l'organizzazione interna delle imprese, sia quella dei mercati.
Più precisamente, i fattori ambientali chiave sono:
- l'incertezza
- il numero di imprese operanti nel mercato.
Mentre i fattori umani chiave sono:
- la razionalità limitata (Per razionalità limitata si intende la limitata capacità umana di prevedere
o risolvere problemi complessi).
- il comportamento opportunistico (imprese sfruttano la situazione. Esempio: un'impresa che
dipende da un'altra per l'approvvigionamento di un materiale essenziale al proprio processo
produttivo sarà suscettibile a un eventuale ricatto da parte di quest'ultima, in quanto
impossibilitata a operare in caso di mancata fornitura di tale materiale).

Nota:
- Se vi è un alto grado di incertezza oppure se il mercato è caratterizzato da poche imprese
operanti che si comportano in maniera opportunistica (ossia sfruttano la situazione) à Il ricorso
al mercato comporta elevati costi di transazione e le imprese saranno più propense alla
produzione interna rispetto alla dipendenza dal mercato.

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- Se si è presenza di un ridotto grado di incertezza, di un elevato numero di imprese (che
garantisce condizioni di concorrenza) e di una scarsa possibilità di comportamenti opportunistici
à la scelta dì affidarsi al mercato risulterà più probabile.


·Teoria dei giochi.
Un altro approccio che sta ottenendo grandi consensi tra gli economisti è quello della teoria dei
giochi (von Neumann e Morgenstera, 1944), che si avvale di modelli formali per analizzare i
fenomeni di conflitto e di cooperazione tra imprese e individui.
Nell'ambito di questo approccio, la concorrenza tra imprese è considerata come un gioco
distrategie, ovvero come l'interazione tra diversi piani di azione formulati dalle singole imprese
(per esempio la strategia di un'impresa può determinare il suo livello di produzione, il prezzo
praticato ai clienti e il livello degli investimenti pubblicitari).
Nell'ambito di questo gioco, le imprese competono per realizzare profitti.
La teoria dei giochi spiega i criteri in base ai quali le imprese decidono le proprie strategie e le
modalità secondo cui tali strategie, interagendo, determinano i profitti di ciascuna impresa. La
teoria dei giochi si presta ad analizzare situazioni che coinvolgono un numero relativamente
limitato di imprese.


·Mercati contendibili.
I mercati nei quali si può entrare facilmente e rapidamente quando i prezzi superano ì costi medi e
dai quali si può uscire con altrettanta rapidità quando i prezzi scendono ai di sotto dei costi medi
sono denominati mercati contendibili.
Nel caso di un numero limitato di imprese con facilità dì entrata e uscita, il mercato è contendibile
e può presentare le stesse caratteristiche di un mercato concorrenziale, in cui il prezzo è uguale al
costo marginale e l'analisi del comportamento strategico non è rilevante (esistono pochi esempi di
questo mercato).
Se invece il numero di imprese operanti in un mercato è limitato e sia l'entrata sia l'uscita
risultano difficoltose, il mercato non è contendibile e il comportamento strategico studiato dai
fautori della teoria dei giochi ha un'importanza considerevole.

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CAPITOLO 2 – L’IMPRESA E I COSTI

L’impresa
L'impresa è un'organizzazione produttiva che trasforma gli input (fattori di produzione) in output
(prodotti venduti sul mercato a un determinato prezzo).
Il profitto dell'impresa (π) è dato dalla differenza tra i ricavi derivanti dalla vendita dei beni
prodotti e i costi relativi all'acquisto delle risorse utilizzate per la produzione e la vendita.

L’impresa e i suoi obiettivi.

Studio dell’impresa sotto il profilo teorico.Teoria


neoclassica.
- Secondo la teoria neoclassica: X = f(y) (prodotto finale è una funzione degli input) e
l’obiettivo della maggior parte delle imprese è quello di max i profitti;
- Per massimizzare il profitto è necessario che l’impresa produca al minor costo possibile, in base
alla tecnologia disponibile e ai prezzi degli input.
- I dirigenti dunque devono far sì che l'impresa venda la quantità ottima di prodotto e realizzi
l'efficienza produttiva (cioè partendo dall'impiego di una certa quantità di fattori di produzione,
si deve ottenere la massima produzione possibile avvalendosi della tecnologia a disposizione in
quel momento).

Disincentivi alla ricerca della massimizzazione del profitto.


Può tuttavia accadere che l'obiettivo primario dei dirigenti non consista nella massimizzazione del
profitto (es. i dirigenti preferiscono lavorare in un'impresa di grandi dimensioni, a causa del
prestigio ed i benefici economici che ne derivano, potrebbero tendere alla massimizzazione delle
vendite e non dei profitti; oppure spendere denaro dell’impresa per uffici lussuosi, jet aziendali,
etc…)

Incentivi a favore della ricerca della massimizzazione del profitto.


- Se l'impresa viene gestita in modo inefficiente e non profittevole, essa corre il rischio di essere
soppiantata da altre imprese concorrenti, con conseguenze negative anche per i suoi dirigenti. -
si possono motivare i dirigenti a operare nell'ottica della massimizzazione del profitto, ad
esempio dandogli la proprietà di azioni dell'impresa per cui lavorano o altre forme di compensi
legati ai risultati aziendali.

Teoria della grande impresa manageriale.


- X = f(y, z) dove z = risorsa per coordinare i fattori della produzione (manager).
- Definizione di TGIM = insiemi di contratti per scambi principale e agente.
- Altra definizione di TGIM = insiemi di contratti che organizzano rapporti di autorità, ossia non
disciplinati dal contratto di lavoro (contratti incompleti; contratti affetti da moral hazard (ovvero
una forma di opportunismo post-contrattuale, che può portare gli individui a perseguire i propri
interessi a spese della controparte, confidando nella impossibilità, per quest'ultima, di verificare
la presenza di doloo negligenza); opportunismo).

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- Altra definizione di TGIM = impresa come capitale conoscitivo: trasferimento di conoscenza
tacita (da osservazione); esplicitazione in linguaggi formali (tradotti in codice); circolazione
delle conoscenze (esternalizzazione); internalizzazione delle conoscenze (by doing).
- Dunque l'impresa manageriale, secondo le moderne teorie, non va più interpretata solamente
come funzione tecnica (fabbrica), ma come l'istituzione che crea contratti, presenta capacità
organizzativa e accumula conoscenze.

Studio dell’impresa sotto il profilo empirico.

Organizzazione, proprietà e controllo.


La proprietà di un’impresa e il controllo sulle attività da essa svolte possono assumere forme
diverse.

Forme proprietarie.
Negli Stati Uniti, le tre forme legali più comuni per un'impresa sono:
l'impresa individuale ài proprietari sono responsabili in prima persona
la società di persone àdiretta dai proprietari la società per azioni
àazionisti dirigenti sono figure distinte.
Negli Stati Uniti, 1' 87% delle vendite sono realizzate dalle società per azioni anche se soltanto il
20% di tutte le imprese rientrano in questa forma giuridica. Mentre il 72% circa delle imprese
statunitensi sono imprese individuali e realizzano solo il 5% delle vendite complessive.

Separazione tra proprietà e controllo.


Il rapido e significativo aumento dell'importanza delle società per azioni suscitò, attorno agli anni
30 del secolo scorso, un acceso dibattito circa l'efficienza di tale forma organizzativa. Elemento
scatenante del dibattito fu, almeno in parte, la pubblicazione nel 1932 del libro di Berle e Means
“The Modern Corporation and Private Property” in cui gli autori sostenevano che il modello
organizzativo della società per azioni è causa della separazione tra proprietà e controllo ài
proprietari di una società per azioni, cioè gli azionisti, solitamente non coincidono con i dirigenti,
i quali sono invece dipendenti della società stessa.

In caso di separazione della proprietà dal controllo, può accadere che i dirigenti abbiano obiettivi
alternativi rispetto a quello della massimizzazione del profitto aziendale: per esempio; la
massimizzazione delle proprie remunerazioni, un ritmo di lavoro tranquillo, o anche degli uffici
lussuosi.
Secondo Berle e Means è impossibile prevedere il comportamento di una società per azioni
avvalendosi della tradizionale analisi economica fondata sul principio della massimizzazione
del profitto.

Tuttavia è bene che le grandi imprese sostengano dei costi di controllo, qualora tali costi vengano
compensati dai benefici derivanti dalle grandi dimensioni dell' impresa e dalla capacità di
procurarsi finanziamenti a basso prezzo.

Dimensioni dell'impresa.
La dimensione di un’impresa può essere valutata in ordine a :
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• livello della produzione
• numero di addetti
• numero delle unità produttive (stabilimenti)
Un'impresa può espandersi perché desidera produrre una quantità maggiore di output o perché
sceglie sia di produrre gli input sia di distribuire l'output.
Un fattore che limita il processo di espansione della produzione all'interno dell'impresa è il costo
che deve essere sostenuto per controllare costantemente che i dirigenti e gli altri dipendenti
operino in maniera efficiente e redditizia. La dimensione ottima di un'impresa dipende
essenzialmente dal compromesso tra queste due esigenze (cioè espandersi e mantenere bassi i
costi di controllo).

Fusioni e acquisizioni.
Un'impresa può espandersi:
- mediante l'investimento, come per esempio la costruzione di nuovi stabilimenti
- oppure mediante fusioni o acquisizioni, operazioni che consentono di combinare i capitali e le
attività di due o più imprese esistenti per creare una nuova impresa.

Esistono tre tipi di fusioni:


• fusioni verticali, in cui un’impresa si unisce con un suo fornitore;
• fusioni orizzontali in cui vi è l'unione di due imprese concorrenti nello stesso settore;
• fusioni conglomerali in cui l'operazione riguarda imprese operanti in settori diversi e non
correlati. ↓
Motivazioni sottostanti le fusioni e le acquisizioni.
La ragione principale di un’acquisizione di un'impresa è generalmente l'aumento atteso della
profittabilità, ma non tutte le fusioni conducono necessariamente a tale risultato.
Nelle sezioni seguenti confrontiamo le motivazioni relative alle fusioni che provocano un
aumento dell'efficienza con le motivazioni che non ottengono questo effetto.

- Fusioni che aumentano il livello di efficienza.


Esistono svariati motivi per cui l'acquisizione di un'impresa esistente può promuovere
l'efficienza.
Ø Aumento della dimensione ottimale:
L’ accorpamento di due imprese può portare a una riduzione delle ridondanze e allo
sfruttamento dei vantaggi derivanti dall' aumento delle dimensioni.
Per esempio, le due imprese potrebbero tagliare i costi di gestione, affidando a un unico
gruppo di dirigenti la gestione di entrambe.
Ø Sinergie:
Imprese che svolgono attività diverse ma complementari possono ricavare dei vantaggi
dalla fusione grazie alle conseguenti economie di scopo.
Lo svolgimento di due diverse attività da parte di una stessa impresa può risultare infatti
più economico rispetto al loro svolgimento effettuato separatamente da due imprese
specializzate (a causa della condivisione di risorse).
Ø Miglioramento del management:

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L'acquisizione di un'impresa mal gestita e l'inserimento di un management migliore è
fonte di profitto.
Gli investitori, individuate le imprese gestite in modo inefficiente, le acquisiscano a basso
prezzo, vi apportino dei miglioramenti, e quindi le rivendano o distribuiscono dividendi
più consistenti agli azionisti.

- Fusioni che riducono il livello di efficienza.


Alcune operazioni di fusione possono causare una riduzione sia dei livelli di efficienza sia di
profittabilità.
Questo tipo di fusioni possono aver luogo per varie ragioni:
Ø Ragioni fiscali:
Può accadere che alcune imprese decidano di realizzare una fusione che sicuramente non
porterà ad alcun aumento del livello di efficienza, ma solo per ragioni di natura fiscale.
Ø Sfruttamento:
Le imprese possono essere acquisite al fine di ottenere dei guadagni immediati, pur con la
prospettiva di perdite future.
Ø Potere di mercato o influenza politica:
Se un numero sufficiente di imprese operanti nella stessa industria si fondessero,
l'impresa risultante dovrebbe fare fronte a una minore concorrenza, acquisendo un
maggiore potere di mercato, che corrisponde alla capacità di un'impresa di stabilire un
prezzo superiore al livello concorrenziale (viene prodotta quantità troppo limitata di beni
a prezzi più elevati per i consumatori).
Anche quando le imprese coinvolte nella fusione non operano nella stessa industria, e
dunque non sussiste la possibilità di una riduzione della concorrenza, la loro unione
potrebbe tuttavia dare vita a una realtà politicamente significativa, in grado di influenzare
la legislazione a proprio vantaggio e, di conseguenza, a scapito del resto della società.


Evidenza empirica sull’efficienza e la profittabilità delle fusioni.
La questione circa gli effetti economici (positivi o negativi) della recente ondata di fusioni e
acquisizioni è stata al centro di un intenso dibattito.
Ovviamente le acquisizioni e le fusioni che promuovono l'efficienza produttiva sono quanto mai
desiderabili.
Esistono tuttavia molte preoccupazioni circa il fatto che:
- numerose fusioni e acquisizioni consistano unicamente in un cambiamento di proprietà
atto a produrre guadagni di breve termine per un piccolo gruppo di speculatori, niente affatto
interessati al buon andamento dell'impresa nel lungo periodo.
- si dà la possibilità di ottenere un maggior potere di mercato tramite simili operazioni, con
la conseguenza di un danno per i consumatori a causa dell'aumento dei prezzi che ne deriva.

Profitti per l'impresa acquisita.


Gli azionisti di un'impresa acquisita ricevono una somma dal 16 al 25% superiore al prezzo di
mercato delle azioni vigente prima dell'operazione di acquisizione.

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L'incremento del prezzo delle azioni di un'impresa acquisita avviene per lo più nel momento
immediatamente precedente al pubblico annuncio della transazione.

Effetti degli ostacoli alle acquisizioni.


Le tattiche adottate dal management al fine di impedire le acquisizioni da un lato riducono la
probabilità di riuscita dell'acquisizione, dall'altro aumentano il prezzo dell'acquisizione, quando
questa ha luogo. In caso di fallimento di un tentativo di acquisizione, l'aumento del prezzo delle
sue azioni, verificatosi in seguito all'elevata offerta del potenziale acquirente, è completamente
annullato e il prezzo si assesta sui livelli precedenti l'inizio dell'operazione.

Profitti per l'impresa acquirente.


Gli azionisti di un'impresa acquisitrice non hanno profitti sostanzialmente superiori alla media in
seguito all'esito positivo di un'acquisizione.

Concetti di costo.
Qualunque impresa ha bisogno di conoscere i propri costi di produzione al fine di prendere
decisioni corrette.
Esistono vari metodi di misurazione dei costi, e ciascun concetto di costo risulta essere più
adeguato all'analisi di alcuni problemi piuttosto che di altri.

Tipi di costo.
- Costo fisso (F) = è una spesa che non varia al variare del livello di produzione.
Un buon esempio di costo fisso é dato dall'affitto mensile che un commercialista paga per il
proprio ufficio a seguito della sottoscrizione di un contratto di affitto annuale; l'affitto mensile
dovrà infatti essere pagato a prescindere dal volume di affari del commercialista.
Costo non recuperabile (sunk cost) = La parte di costo fisso che non può essere recuperata.
Costi evitabili = I costi, inclusi quelli fissi, che non si devono pagare in caso di interruzione di
un'attività sono definiti costi evitabili. Un costo fisso che può essere evitato deve essere
considerato nel prendere una decisione
- Costi variabili (VC) = quei costi che variano al variare del livello di produzione (q). Per
questo motivo, normalmente sono indicati con VC(q), cioè come funzione della quantità
prodotta. In generale, a un aumento della produzione corrisponde un incremento del fabbisogno
di manodopera, energia elettrica e materie prime, per cui i costi variabili dipendono dai salari e
dai prezzi che un'impresa deve pagare per l'approvvigionamento degli input
- Costi totali (C) = sono dati dalla somma di tutti i costi fissi e variabili, per cui C = F + VC. -
Costo marginale (MC) = Strettamente legato ai concetti di costo totale e costo variabile è il
costo marginale, ovvero l'incremento di costo risultante dalla produzione di un'unità addizionale

di output. In formule MC = .
Siccome i costi fissi non variano all'aumentare del livello di produzione, l'incremento del costo
totale relativo all'aumento della produzione è pari al corrispondente incremento del costo
variabile.
- Costo medio (AC) (talvolta detto costo totale medio, ATC) equivale al rapporto tra costo totale
e quantità prodotta: AC = C(q)/q;
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- Costo variabile medio (AVC) = al rapporto tra costo variabile e quantità prodotta: AVC =
VC(q)/q;
- Costo fisso medio (AFC) = al rapporto tra costo fisso e quantità prodotta: AFC = F/q.

Il costo marginale (MC) è sempre inferiore al costo medio (AC)?


Benché il costo marginale dipende solo dai costi variabili mentre il costo medio dipende anche
dai costi fissi, non è necessariamente vero che, per qualunque livello di produzione, il costo
marginale sia inferiore al costo medio.
Il motivo per cui il costo marginale può essere superiore al costo medio è che esso si riferisce alle
variazioni di costo, e non ai livelli assoluti.
Esempio: Supponiamo di entrare in un supermercato per comprare della frutta. Abbiamo con noi
una borsa che riempiamo di mele, naturalmente di diverso peso. Il peso totale delle mele
contenute nella borsa e il relativo peso medio unitario saranno di facile determinazione.
Immaginiamo ora di mettere nella borsa una mela molto piccola. Il peso di questa mela
rappresenta l'incremento nel peso totale delle mele contenute nella borsa (peso marginale); in
questo caso il peso della piccola mela è inferiore rispetto al peso medio delle altre mele scelte, per
cui il peso medio diminuisce. Immaginiamo, al contrario, di aggiungere una mela piuttosto
grossa; in questo caso, il peso marginale è superiore, al peso medio delle mele contenute nella
borsa, per cui il peso medio aumenta. Come sì può osservare, il peso marginale dipende
esclusivamente dal peso dell'ultima mela aggiunta; al contrario, il peso medio (dopo l'aggiunta
dell'ultima mela) è in gran parte determinato dal peso delle mele già inserite nella borsa. Così
come il peso marginale nell'esempio appena considerato, il costo marginale può essere sia
superiore che inferiore al costo medio.

Al fine di illustrare più dettagliatamente la relazione esistente tra costo marginale, costo medio e
costo variabile medii, la Tabella 2.2 mostra come variano le diverse misure di costo all'aumentare
della produzione.

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Come si può osservare, in questo esempio:
- il costo fisso è pari a 100 indipendentemente dal fatto che l'impresa produca o meno ed è inoltre
un costo inevitabile anche in caso di cessazione dell'attività; ciò significa che il costo fisso non è
repuperabile.
- il costo variabile va da 0 a 108 per una produzione che cresce da 0 a 10 unità.
- Il costo totale (pari alla somma dei costi fissi e dei costi variabili) cresce da 100 a 208
all'aumentare dell'output da 0 a 10.
- Il costo marginale è equivalente all' aumento dei costi totali risultante dalla produzione di
un'unità addizionale di output; esso diminuisce all'inizio, raggiunge un valore minimo di 6 in
corrispondenza della produzione di 3 unità di output, quindi aumenta nuovamente.
- Il costo totale medio è sempre superiore al costo variabile medio, mentre il costo marginale può
essere inferiore, uguale o superiore al costo totale medio o al costo variabile medio, come
indicato nella tabella.
- Tra MC, AVC e AC esiste una relazione di tipo geometrico, visualizzata nella Figura 2.3.

Quando la curva MC è situata al di sotto della curva AVC à la curva AVC è decrescente; al
contrario, quando la curva MC è situata al di sopra, della curva AVC à la curva AVC è
crescente.
Quando MC uguaglia AVC, la curva AVC à è al suo punto di minimo;
le stesse considerazioni valgono anche per la curva AC.
L'esempio delle mele può essere nuovamente utilizzato per spiegare perché AC cresca quando
MC si trova al di sopra dì esso e decresca quando MC si trova al di sotto. Infatti, se si aggiunge
una mela di peso superiore rispetto al peso medio delle mele precedentemente scelte, il peso
medio delle mele contenute nella borsa aumenta; al contrario, se si aggiunge una mela di peso
inferiore al peso medio di quelle già selezionate, il peso medio diminuisce.
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- All’'aumentare della produzione, il costo fisso medio (AFC) tenda a zero e AVC e AC si
avvicinino.
- La curva di costo medio (di breve periodo) decresce fino ad una certa quantità e poi inizia a
crescere à Questo avviene perché, continuando ad aumentare il livello produttivo in un dato
stabilimento, la produzione diventa più costosa. Curve di questo tipo si ottengono nell'ipotesi
che i prezzi dei fattori di produzione (per esempio il salario dei lavoratori) siano costanti; se tali
prezzi dovessero aumentare, l'intera curva relativa al costo medio si sposterebbe verso l'alto.
(Tuttavia, non necessariamente la curva subirebbe una traslazione perfettamente ortogonale
rispetto all'asse delle ascisse, in quanto anche la quantità di output prodotta al costo minimo
potrebbe variare).

Tecnologia di produzione = Una curva di costo riassume in sé un'enorme quantità di


informazioni. Per esempio, sapendo come cambia la curva al variare dei salari o dei prezzi, degli
altri fattori, è possibile dedurre la tecnologia di produzione di un'impresa, cioè la relazione tra
fattori di produzione e la max quantità di output producibile a partire da un determinato insieme
di fattori di produzione.

Problematiche relative ai costi.


Analizziamo le problematiche connesse ai costi:

Elementi diversi dal livello di produzione.


I prezzi dei fattori di produzione e il livello della quantità prodotta non sono gli unici elementi a
influire sul costo.
Influisce sul costo totale anche la relativa velocità di produzione: produrre molto velocemente
comporta solitamente costi più elevati.
Bisogna inoltre considerare l'influenza esercitata dalla variazione del ritmo di produzione nel
tempo.
Per esempio, una produzione costante di 60 unità all'ora per 10 ore potrebbe comportare un costo
minore rispetto alla produzione di 100 unità all'ora per 2 ore più 50 unità all'ora per 8 ore, benché
in entrambi i casi sì abbia la stessa produzione complessiva di 600 unità.

Per un'impresa potrebbe risultare conveniente sostenere dei costi al fine di rendere il proprio
impianto facilmente adattabile a livelli di produzione diversi.
Nell’ipotesi di forti oscillazioni della domanda risulta più conveniente l’utilizzo di impianti con >
elasticità, in quanto si adattano meglio alla variazione della domanda (i costi medi minimi
crescono più lentamente ma rimangono costanti per più tempo) e, dunque sostenere costi di
adattabilità dell’impianto esistente.
Esempio: nel caso di un'attività di carattere stagionale, quale, per esempio, la produzione di
biglietti natalizi, il costo effettivo non si riferisce alla produzione della quantità di output relativa
a un periodo circoscritto, quanto piuttosto alla produzione delle diverse quantità richieste
nell'intero corso dell'anno. Se l'output fluttua tra 25 e 100 unità al mese, allora un impianto con
una curva simile a AC1 è più efficiente (cioè ha un costo totale inferiore, ed è più elastico poiché
il costo medio minimo oscilla meno al variare della produzione (25, 100)) rispetto a un altro con
una curva simile a AC2 (minore elasticità e meno conveniente nonostante il costo medio minimo

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più basso), nonostante il punto di minimo della curva AC2 sia più basso rispetto a quello della
curva AC1.

Breve periodo e lungo periodo.


Per breve periodoà si intende un lasso di tempo così breve da non consentire una variazione a
costo zero di alcuni tra i fattori di produzione impiegati.
Per lungo periodoà si intende un lasso temporale sufficientemente esteso da consentire una
variazione di tutti i fattori di produzione a costo zero.
Per esempio, alla fine dell' anno il commercialista che ha affittato un ufficio con contratto
annuale è libero sia di rinnovare il contratto di locazione che di affittare un ufficio diverso;
durante l'anno, invece, il contratto può essere sciolto solo pagando una penale, e comporta quindi
dei costi non recuperabili. In questo esempio specifico, il breve periodo corrisponde a meno di un
anno, mentre il lungo periodo corrisponde a un anno e oltre.
Un altro esempio si riferisce al macchinario esistente, la cui re-installazione implica un costo
piuttosto elevato. Se le macchine durano un anno, alla fine del quale si rende necessaria la
sostituzione, il numero di macchine installate può considerarsi predeterminato nel breve periodo,
corrispondente a un anno, ma non nel lungo periodo.
- Più in generale, il breve periodo può essere definito come il lasso di tempo durante il quale il
numero di macchine e lo spazio fisico (impianto) sono predeterminati e non possono essere
modificati se non a un costo estremamente elevato, che non risulterebbe in alcun caso
conveniente. Nel lungo periodo, essa può decidere di ridistribuire opportunamente il proprio
capitale, acquistando nuovi macchinari, eliminando quelli obsoleti, e anche traslocando le attività
in un nuovo stabilimento.


L'impresa deve quindi sostenere costi di aggiustamento tanto più elevati, quanto più rapido è
l'aggiustamento della propria capacità produttiva.
Mentre nel lungo periodo la configurazione di un'impresa può essere variata senza alcun tipo di
restrizione, nel breve periodo la rosa delle scelte possibili è invece piuttosto limitata.

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Per questo motivo il costo medio di lungo periodo risulta sempre uguale o inferiore al costo
medio di breve periodo.

Tale relazione tra costi di lungo e breve periodo implica che la curva di lungo periodo sia
costituita dall'inviluppo (curva che avvolge) delle curve di breve periodo; questo significa che la
curva di costo medio di lungo periodo (LRAC) è costituita dall'insieme delle sezioni delle
curve di costo medio di breve periodo (SRAC) che, per una determinata quantità di output
prodotto, consentono di produrre al costo più basso, come visualizzato nella Figura 2.5.

Dal grafico si evince che:


- nel breve periodo l'impresa può utilizzare soltanto un impianto di dimensioni fisse; come
si può osservare nella figura, esistono tre curve SRAC possibili, cioè AC1, AC2 e AC3.
- Si noti che LRAC non sempre coincide con il punto di minimo delle curve di costo medio
dì breve che la compongono.
Esempio: nella figura in questione, la soluzione più conveniente per produrre 100 unità è di
utilizzare l'impianto 2, benché a tale quantità di output non corrisponda il costo medio minimo
dell'impianto 2, ma piuttosto dell'impianto 3.
- Generalmente la curva di costo medio di lungo periodo è tracciata in modo tale che, oltre
(o al di sotto) un determinato livello di produzione, il costo medio cresce al crescere (o al
decrescere) dell'output; ciò equivale a dire che la dimensione efficiente dell'impresa, ossia la
produzione che minimizza il costo medio, è finita.

Costo opportunità.
Il costo opportunità di un’azione equivale al valore della miglior alternativa di utilizzo delle
risorse impiegate per quella determinata azione.
Per esempio, se un’impresa assume tre lavoratori pagando un salario orario pari a 10, il costo
orario totale della manodopera sarà pari a 30; in questo caso specifico, il costo opportunità
coincide con il costo monetario effettivamente sostenuto.
Altro esempio: supponiamo ora che uno dei tre lavoratori sia il titolare dell'impresa, che non
percepisce alcun salario. Anche in questo caso un economista sosterrebbe che il costo opportunità

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orario dei tre lavoratori è pari a 30 (e non a 20), ovvero che la manodopera utilizzata dall'impresa
in questione vale 30, poiché un'altra impresa le attribuirebbe tale valore.

I costi opportunità indicano la convenienza o meno a proseguire una determinata attività. Per
esempio, supponiamo che un'impresa possieda l'edificio in cui svolge la propria attività. Se
l'edificio in questione potesse essere affittato a terzi per 1.000 al mese, l'impresa dovrebbe
considerare tale somma come il costo relativo al proprio utilizzo dell'edificio; questo è infatti il
ricavo cui essa rinuncia decidendo di non dare in affitto l'edificio. Nel caso in cui l'impresa non
fosse in grado di "pagare a se stessa l'affitto di 1.000 (poiché così facendo otterrebbe un profitto
negativo), allora dovrebbe capire che sarebbe meglio cessare l'attività svolta e dare in affitto
l'edificio.


Sorprendentemente, se tutti i costi sono stimati in base al costo opportunità, è sufficiente che il
profitto sia nullo per far si che valga la pena continuare l'attività svolta.
Il costo opportunità stima tutte le risorse utilizzate a un prezzo che corrisponde alla massima
valutazione possibile all'esterno à Se i ricavi = costi, allora tutte le risorse (per esempio il tempo
del proprietario, oppure l'edificio di proprietà dell'impresa) sono correntemente utilizzate in modo
efficiente e non varrebbero di più qualora venissero utilizzate altrove.
Dunque indichiamo con Profitto normale: la remunerazione derivante dall’attività
dell’imprenditore appena sufficiente a coprire il costo opportunità dell’imprenditore.

Economie di scala.
Quando un'impresa aumenta il proprio livello di produzione, i costi medi possono mantenersi
costanti, aumentare o diminuire.
- Se i costi medi diminuiscono all’aumentare dell'output à si dice che l'impresa gode di
economie di scala (rendimenti di scala crescenti).
- Se i costi medi non variano al variare dell'output à l'impresa ha rendimenti di scala
costanti. - Se i costi medi aumentano all'aumentare dell'output, à l'impresa presenta
diseconomie di scala (rendimenti di scala decrescenti).

Nota: nel caso in cui un'impresa goda di economie di scala per qualsiasi livello di output,
risulterà efficiente che quell'impresa produca l'intero output relativo all'industria.

Cause delle economie di scala.


Normalmente vi è una riduzione dei costi medi di un’impresa, almeno inizialmente, in
corrispondenza dell'aumento del suo livello di output. Perche?
• i costi fissi di organizzazione non variano (quindi vi è una maggiore distribuzione dei
costi fissi) al variare del livello di output.
Per esempio, una casa editrice generalmente sostiene dei costi elevati per la
pubblicazione di un libro: costi di redazione, composizione, impaginazione e
preparazione delle lastre per la stampa; se si stampano 100 libri invece di 50, i costi di
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produzione non raddoppiano, in quanto i 50 libri in più comportano costi aggiuntivi
ridotti.
• All’aumentare della produzione, un'impresa può utilizzare il personale per mansioni più
specializzate. Per esempio, se un commercialista ha un'attività limitata, potrà occuparsi in
prima persona sia di fusioni, sia di fallimenti. Se lo studio si ingrandisce, un
commercialista potrà specializzarsi sulle fusioni e un altro potrà occuparsi esclusivamente
dei fallimenti, sviluppando ciascuno la propria competenza in un campo specifico.

I costi totali determinano l’esistenza di economie di scala


Se un'impresa gode in generale di economie di scala o meno dipende dal livello di incidenza delle
singole funzioni (produzione, marketing, R e S, etc..) sul totale dei costi.
Un tipico processo produttivo, almeno fino a un certo livello di output, è caratterizzato da
economie di scala, ma al crescere della produzione altre funzioni aziendali, quali
l'amministrazione, il controllo e il marketing, possono controbilanciare tali economie di scala; la
risultante di queste due tendenze porta alla determinazione di una dimensione ottimale per
l'impresa.

Esempio: supponiamo che un'impresa produca latte pastorizzato e lo spedisca ai negozi di


alimentari. A un numero più limitato di stabilimenti corrisponderà una lunghezza media del
tragitto da coprire per la consegna del latte maggiore, con costi di spedizione inevitabilmente più
elevati. Quindi, nonostante le sostanziali economie di scala di produzione, non è efficiente
disporre di un unico impianto, se i costi di trasporto sono molto elevati. La curva del costo totale
medio da prendere in considerazione è la risultante del costo di produzione del latte più il costo di
consegne ai clienti.

Analizziamo la figura 2.6:


- ACp rappresenta la curva dei costi medi di produzione, che inizialmente decresce,
indicando economie di scala nella produzione.
- ACt rappresenta la curva dei costi medi di trasporto delle materie prime all'impianto di
produzione e del latte ai clienti. In seguito alla produzione di elevate quantità di latte in un
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singolo stabilimento, le distanze da coprire con le spedizioni saranno piuttosto elevate, causando
un inevitabile aumento dei costi di trasporto.
- AC è la risultante delle due curve di costo, cioè la curva da prendere come riferimento per
determinare il livello di attività.
Dal grafico si evince che a parità di condizioni, la dimensione ottimale dello stabilimento
diminuisce all'aumentare dell'incidenza dei costi di trasporto. Nei settori caratterizzati da elevati
costi di trasporto è infatti piuttosto comune una struttura produttiva costituita da più stabilimenti
di piccole dimensioni.


In definitiva, quanto maggiore è l'importanza delle economie di scala nella produzione, tanto più
elevata è la probabilità che il processo produttivo sia concentrato in un numero limitato di
impianti; più elevati sono i costi di trasporto (e più i consumatori sono sparsi sul territorio), più è
probabile che la produzione si effettui in vari stabilimenti, secondo un modello decentralizzato.

Misurazione delle economie di scala.


Si hanno delle economie di scala quando i costi medi diminuiscono all'aumentare del livello di
produzione.
Se costo marginale < al costo medio à siamo in presenza di economie di scala; Se
costo marginale > costo medio à siamo in presenza di diseconomie di scala.
Questo tipo di relazione suggerisce che una naturale unità di misura delle economie di scala è
data dal rapporto esistente tra costo medio e costo marginale; infatti se s = AC/MC, si avranno
economie di scala per s > 1, rendimenti di scala costanti per s = 1 e diseconomie di scala per s
<1.

Studi empirici sulle curve di costo.

La scala efficiente minima (SEM) di uno stabilimento = è il livello minimo di produzione che
permette di minimizzare i costi medi di lungo periodo.
La determinazione della scala efficiente minima di uno stabilimento, specialmente in relazione
alla totalità dì un mercato è utile per valutare il numero di imprese che potrebbero operare in quel
mercato.

Studi sulla sopravvivenza di un'impresa in un'industria.


Un altro approccio alla valutazione delle economie di scala è stato sviluppato da Stiegler (1968) a
partire dalla semplice quanto efficace osservazione secondo cui, se una particolare dimensione di
stabilimento è efficiente, con il trascorrere del tempo tutte le imprese operanti nell'industria
tenderanno ad avvicinarsi a quella dimensione àdunque qualsiasi dimensione di stabilimento o
di impresa che sopravvive nel tempo è efficiente
Nota: lo studio basato sulla sopravvivenza delle imprese individua la singola dimensione
efficiente solo nel caso in cui tutte le imprese operanti in un'industria sostengano costi simili (cioè
tipologie di costi simili) e producano beni simili. In caso contrario tale metodo non consentirà

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l'individuazione dell'unica dimensione efficiente, quanto piuttosto di una gamma di possibili
dimensioni efficienti, tante quante sono le tipologie di interesse presenti nell'industria.

Concetti di costo relativi a imprese multi prodotto.


La maggior parte delle imprese non offre un unico prodotto, ma una gamma di prodotti diversi,
tra loro collegati.
Impresa multiprodotto = è un'impresa che produce molti beni diversi.

Nota: va segnalato che l'analisi in termini di imprese multi prodotto è senz'altro più realistica e
che, in alcuni casi l'omissione di tale caratteristica potrebbe condurre a risultati o a provvedimenti
di regolamentazione inadeguati.

Adattamento dei tradizionali concetti di costo a un'impresa multi prodotto.


Nel caso di imprese multi prodotto si possono definire i concetti di costo in maniera simile a
quelli relativi all'impresa prodotto singolo.
Esempio: se l'impresa fabbrica q1 unità del prodotto A e q2 unità del prodotto B, il costo
marginale relativo alla produzione del prodotto A corrisponde al costo aggiuntivo sostenuto
dall'impresa per passare da una quantità di output q1 a una quantità q1 + 1, mantenendo costante
l’output q2 del prodotto B à dunque il costo marginale relativo al prodotto A non dipende
esclusivamente dal livello di output del prodotto A, ma anche da q2.

E il calcolo dei costi medi?


Sicuramente è meno agevole. Le difficoltà nascono nel tentativo di stabilire se il costo totale sia
da dividere per la quantità di output q1 del prodotto A o per la quantità q2 del prodotto B o per la
loro somma.

Economie di scopo.
E’ un concetto di costo proprio esclusivo delle imprese multi prodotto.
Economie di scopo = Quando la produzione congiunta di due prodotti risulta più conveniente
rispetto alla produzione separata di ciascuno dei due, si parla di economie di scopo.
Per esempio, del manzo si utilizzano sia la carne che il pellame; nonostante sia possibile, in
teoria, allevare alcuni manzi per il pellame e altri per la carne, con la tecnologia attuale questo
sarebbe inefficiente.

Ovvero:
X = (X1, X2) àfunzione di produzione multi prodotto.
C = C (X1, X2) à funzione di costo complessiva
Se: C (X1, X2) < C (X1, 0) + C (0, X2) à Economie di scopo
(Funzione di costo sub additiva)

Da cosa nascono le economie di scopo?


Le economie di scopo sono determinate da una serie di fattori, tra i quali:
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a) Indivisibilità di un input.
La produzione congiunta di 2 beni consente il pieno utilizzo di risorse che altrimenti resterebbero
sottoutilizzate (es. impianti per produzione stagionale; magazzini e mezzi di trasporto disponibili
per più prodotti simili)
b) La natura di bene pubblico di un determinato input.
(Es. la conoscenza e l’esperienza acquisita da un’impresa per un certo prodotto utilizzabile
vantaggiosamente per altri prodotti: conoscenze per la produzione di biscotti trasferite per
produrre merendine).
c) E’ rilevante l’impiego di fattori di produzione comuni.
Ad esempio l'informazione rappresenta senz'altro uno dei fattori produttivi più importanti per la
produzione e la vendita di prodotti correlati, in quanto le informazioni relative ad un prodotto
interesseranno con tutta probabilità anche un secondo prodotto connesso al primo.
In questi casi, risulta efficiente produrre e commercializzare i prodotti congiuntamente, in quanto
ciò consente di evitare una dispendiosa duplicazione di informazioni.

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CAPITOLO 3 – LA CONCORRENZA

La concorrenza perfetta
Anche se nel mondo reale la concorrenza perfetta si verifica raramente, essa viene studiata
perché rappresenta un ideale riferimento con cui paragonare i vari mercati.
Gli effetti benefici per la collettività di un'economia perfettamente concorrenziale spiegano il
motivo per cui gli economisti sono in genere attratti dalla concorrenza;

Definizione.
Organizzazione produttiva all’interno della quale ciascun individuo persegue il proprio
interesse, libero da vincoli e nell’ottica del massimo benessere della società.
Questa forma di mercato presenta un’ottima allocazione delle risorse fra le diverse attività e
tra i soggetti (efficienza paretiana = l’allocazione delle risorse tra i soggetti è efficiente in
senso paretiano quando non è possibile modificarne l’assetto senza peggiorare la condizione
di almeno un soggetto) fuori dall’intervento dello stato (mano invisibile)

Presupposti.
I principali presupposti della concorrenza perfetta sono dunque i seguenti:
• Bene omogeneo. Tutte le imprese vendono un prodotto identico. I consumatori considerano
uguali, e quindi indistinguibili i prodotti delle varie imprese.
• Informazione perfetta. I venditori e gli acquirenti dispongono di tutti i dati rilevanti sul
mercato, compresi il prezzo e la qualità del prodotto.
• Assenza di costi di transazione. Né gli acquirenti né i venditori devono sostenere costi o
tasse per far parte del mercato.
• Le imprese non fissano il prezzo (sono price taker). I venditori e gli acquirenti non riescono
a influenzare individualmente il prezzo al quale il prodotto può essere comprato o venduto
perché vi sono una pluralità di offerenti e vengono venduti beni omogenei.
• Assenza di esternalità. Ogni impresa sostiene i costi totali del processo produttivo, vale a
dire che non ci sono esternalità, ossia costi che un'impresa impone a un'altra senza pagare
alcuna compensazione.
(per esempio l'inquinamento prodotto da un'impresa, è un'esternalità se l'impresa non paga i
costi che il suo inquinamento produce alle altre imprese o ai consumatori.
• Assenza di barriere: entrate e uscite dal mercato sono libere.
• Divisibilità dell’output: Variazioni di prezzo generano variazioni di domanda e offerta.
• I beni non sono pubblici: il consumo di un soggetto non impedisce ad altri soggetti di
consumarlo ed inoltre è un bene che non ha prezzo.
• Pluralità di offerenti e consumatori: (Nota: poiché le imprese non fissano il prezzo, non
sempre è necessario ipotizzare la presenza di un gran numero di imprese (anche con poche
imprese presenti in una industria nessuna di esse potrebbe fissare prezzi elevati senza uscire
dal mercato).
Le elasticità e la curva di domanda residuale.

Per analizzare sia le industrie concorrenziali sia quelle non concorrenziali si farà spesso ricorso a due
concetti connessi tra loro:
1) l'elasticità della domanda o dell'offerta rispetto al prezzo
2) La curva di domanda di una singola impresa, cioè la curva di domanda residuale.

L’elasticità della domanda e dell'offerta.


Se si verifica uno spostamento della curva di domanda o della curva di offerta avremo una modifica
dell'equilibrio concorrenziale.
L'ampiezza di questa modifica dipende dalla forma della curva di domanda o di offerta.

Un concetto utilizzato per caratterizzare la forma della curva di domanda o di offerta è l'elasticità
della domanda o dell'offerta rispetto al prezzo (spesso l'espressione rispetto al prezzo viene
omessa).
L'elasticità della domanda = è la variazione percentuale della quantità domandata a fronte di una
piccola variazione del prezzo.

In simboli
L'elasticità dell'offerta = è la variazione percentuale della quantità offerta a fronte di una piccola
variazione del prezzo.
L'elasticità della domanda è sempre un numero negativo, mentre quella dell'offerta di solito è
positiva.

Distinguiamo poi tra:


- curva di domanda è elastica (ε > 1)àSe un aumento del prezzo dell' 1% porta a una
riduzione della quantità domandata superiore all' 1% (determinando così una diminuzione
dell'importo totale pagato nel mercato) la curva di domanda viene definita elastica.
- curva di domanda con elasticità unitaria (ε = 1)à In tal caso una variazione del prezzo
dell' 1% determina una variazione della quantità domandata dell' 1% e l'importo totale pagato (i
ricavi totali) rimane costante.
- curva di domanda è anelastica (ε < 1) à un aumento del prezzo dell'1% provoca una
diminuzione della quantità domandata inferiore all' 1% e l'importo totale pagato aumenta.

I fattori che influenzano l’elasticità della domanda e dell’offerta sono: -


il livello di output
- la disponibilità di prodotti sostituibili (dal lato della domanda)
Esempio: All'aumentare del numero di prodotti sostituibili i consumatori trovano più facile sostituire
un prodotto se il prezzo aumenta, il che rende la relativa curva dì domanda più elastica
- la flessibilità del processo produttivo (dal lato dell’offerta).
Esempio: più flessibile è il processo produttivo di un'impresa, più è probabile che l'impresa stessa
possa aumentare notevolmente la produzione in risposta a un incremento del prezzo, il che tende
a potenziare l'elasticità dell'offerta.
Equilibrio concorrenziale e benessere sociale.

L’efficienza.
L’equilibrio concorrenziale presenta caratteristiche di efficienza e benessere ottimali. Infatti, in
condizioni di equilibrio concorrenziale il mercato realizza l'ottima allocazione delle risorse tra le
imprese e l'efficienza dei consumi.
L’equilibrio concorrenziale presenta, in termini di prezzo e quantità, due caratteristiche desiderabili
dal punto di vista dell'efficienza:
1) La produzione è efficiente à infatti non esiste possibile allocazione migliore delle risorse
(lavoro, macchinari e materie prime) tra le imprese che possa aumentare la quantità di un
prodotto senza ridurre contemporaneamente la quantità di almeno un altro prodotto
2) il consumo è efficiente àil valore che un acquirente attribuisce al consumo del bene è
esattamente uguale al costo marginale sostenuto per produrlo (P=MC).

Il benessere
Descriviamo ora una misura del benessere comunemente utilizzata, dimostrando che la
concorrenza massimizza tale misura del benessere per ciascuna data distribuzione del reddito.
Illustreremo poi che l'allontanamento da una situazione di concorrenza implica l'abbassamento
del livello di benessere.

Un mercato che funziona secondo le regole della concorrenza realizza il massimo benessere (surplus
del consumatore e del produttore)


Surplus del consumatore.
Il surplus del consumatore = viene definito come la differenza tra quanto il consumatore sarebbe
disposto a spendere e l'importo effettivamente pagato per consumare le unità acquistate.
- Una curva di domanda dei beni riflette il valore che i consumatori attribuiscono al
consumo di unità aggiuntive di un bene. La curva di domanda nella Figura 3.6, per esempio,
indica che i consumatori pagherebbero 10 per 100 unità del bene, 8 per 200 unità e 6 per 300
unità.
- Nell'equilibrio concorrenziale illustrato nella Figura 3.6, i consumatori pagano 6 per 300
unità. Sarebbero stati disposti a spendere 4 in più per le prime 100 unità; 2 in più per le prime
200 unità e nessuna cifra aggiuntiva per 300 unità.
Il surplus totale del consumatore è l'area ombreggiata sotto la curva di domanda e sopra il prezzo
di equilibrio di 6, fino alla quantità di equilibrio di 300 unità . Quest'area è uguale a 900 = ((12 –
6) x 300) / 2.

Surplus del produttore.
In modo analogo, le imprese possono ricevere in cambio dei beni che esse vendono più di quanto sia
loro costato per produrli.
Il surplus del produttore = è la differenza tra il ricavo effettivo e il prezzo minimo sufficiente a
realizzare e vendere il prodotto.
La curva di offerta rappresenta il costo marginale di produzione dell'output. Nella Figura 3.6, per
esempio; costa 2 produrre 100 unità, 4 produrne 200 e 6 produrne 300.
Il surplus del produttore corrisponde all'area sopra la curva di offerta e sotto il prezzo di mercato
fino alla quantità venduta. Il surplus del produttore è l'area pari a 900, ossia quella sopra la curva
di offerta e sotto il prezzo di 6 fino a 300 unità.

Una misura del benessere di un mercato comunemente utilizzata è la somma del surplus del
consumatore e dei produttore.
La Figura 3.6 illustra che tale misura del benessere è massimizzata in una situazione di equilibrio
concorrenziale.
Nel punto di equilibrio il valore che un consumatore attribuisce al consumo aggiuntivo (P) è uguale al
costo marginale (MC) di quel bene.
Per esempio, se fosse prodotto un numero minore di unità, il benessere diminuirebbe, come
mostriamo nei prossimi paragrafi.

Perdita secca.
Perdita secca = Il costo sociale di un mercato che non funziona in modo efficiente viene definito
perdita secca (deadweight loss o DWL) ed è la somma delle riduzioni nei surplus del
consumatore e del produttore dovute a una deviazione dall'equilibrio concorrenziale.

Non ottimalità dell’equilibrio concorrenziale


Un mercato concorrenziale non massimizza il benessere sociale quando si verificano alcune
condizioni:

1)Imposta sul bene venduto.


- Nella Figura 3.7 l'equilibrio concorrenziale si trova al prezzo e alla quantità , alla quale il
valore che un consumatore attribuisce al consumo aggiuntivo è uguale al costo marginale di
produzione del bene (P=MC).
- Nel caso in cui lo stato tassasse questo bene o ne limitasse la vendita, cosa succederebbe?
-Supponiamo, per esempio, che lo stato esiga un'imposta T per unità del bene venduta.
Perciò, se un cliente paga p, lo stato se ne prende T, e l'impresa riceve p - T.
-L'esazione dell'imposta riduce la quantità venduta da a , mentre il prezzo che pagano i
consumatori sale a p* e quello che ricevono le imprese scende a p* - T.
-In questo equilibrio al netto d'imposta, la quantità venduta Q* < (quantità di equilibrio) e il
valore che i consumatori attribuiscono al consumo di un'unità addizionale p* > del MC di
produzione di un valore pari a T.
In questo nuovo equilibrio:
• I consumatori subiscono una perdita di surplus pari alle aree di A e B
·i venditori subiscono una perdita di surplus pari alle aree C e D
• Lo stato riceve un gettito fiscale pari alle aree A e C.
- Il trasferimento dai consumatori e dai produttori allo stato (il gettito fiscale pari ai rettangoli A e
C) è inferiore alla perdita congiunta di consumatori e produttori (A e B e C e D).
à Il costo aggiuntivo per la società a seguito dell'output ridotto e di un prezzo maggior del MC è la
perdita secca, pari alla somma dei triangoli B e D.
- Il triangolo della perdita secca rappresenta la perdita totale per la società se lo stato fa buon
uso del gettito fiscale.
Finché lo stato utilizza questo denaro in modo efficiente, il gettito fiscale non costituisce una perdita
di efficienza, ma piuttosto riflette una ridistribuzione del reddito da acquirenti e venditori del bene a
coloro che traggono beneficio dell'utilizzo che lo stato fa di tali fondi.

2)Presenza di barriere.
La facilità di entrata e di uscita svolge un ruolo decisivo nella determinazione della struttura del
mercato e delle conseguenti prestazioni delle imprese.
Esempio: Se le imprese che hanno lo stesso livello di efficienza di quelle già presentì nel mercato
non possono entrare facilmente nel mercato le imprese esistenti possono esercitare il proprio
potere di mercato fissando prezzi superiori ai costì marginali.

La Figura 3.8 illustra come una restrizione all'entrata possa determinare un prezzo superiore a quello
di equilibrio concorrenziale di lungo periodo.
- In questo mercato opera un gran numero di imprese che potrebbero produrre con curve di
costo identiche, come indica la parte (a) del grafico.
-La Figura 3.8b mostra due curve di offerta di lungo periodo per un mercato con imprese che hanno
gli stessi costi.
- In assenza di restrizioni all'entrata da parte dello stato, in questo mercato ci sotto 150
imprese. L'equilibrio concorrenziale è determinato dall'intersezione della curva di offerta per 150
imprese e la curva di domanda di mercato. Il prezzo di equilibrio è , e ciascuna impresa produce al
minimo della propria curva di costo medio di lungo periodo AC*.
- Se il governo limita il numero delle imprese nel mercato a 100, la curva dell'offerta di lungo
periodo si trova spostata a sinistra rispetto a quella originaria.
Con tale restrizione all'entrata, il nuovo prezzo di equilibrio è .
à La restrizione all'entrata implica dunque che i consumatori paghino un prezzo > al prezzo
concorrenziale senza restrizioni all'entrata po e consumino soltanto una quantità Q*, inferiore a
quella concorrenziale senza restrizioni all'entrata .
- L’area ombreggiata e indicata con DWL nella figura 3.8b rappresenta la perdita di benesere dovuta
alla restrizione all’entrata.
-Una restrizione all’entrata è inefficiente per 2 motivi:
1) perdita di efficienza dovuta dalla riduzione dell’output da a Q* 2)secondariamente,
in caso di restrizioni all’entrata il costo medio è maggiore
- Al contrario in caso di equilibrio concorrenziale (dove si incontra D con S 150 imprese) ciascuna
impresa produce al costo medio minimo
-Invece nel caso di equilibrio con barriere (dove si incontra D con S 100 imprese), il > ; la
quantità totale dell’industria Q* è < di ; la quantità di ciascuna impresa viene prodotta ad
un costo marginale di e ad un costo medio superiore a .
Inoltre va detto che il prezzo più elevato fa aumentare i π di ciascuna delle 100 imprese (la zona
ombreggiata nella figura 3.8b) sopra il livello che si sarebbe determinato se fosse stata consentita
l’entrata a tutte le 150 imprese (se l’entrata è libera ogni impresa produce ai costi medi minimi e i
profitti sono zero).

Definizione di barriere.
Barriere all’entrata = Si tratta di ostacoli di natura diversa all’ingresso di nuove imprese in un
mercato nel lungo periodo, imprese che sono attratte dalla presenza di extraprofitti (cioè il prezzo
praticato dalle imprese esistenti è maggiore del loro costo marginale).

La natura delle barriere.
a) Vincoli di tipo istituzionale (concessione amministrativa per l’avvio dell’attività. Oppure
un brevetto à Nella maggior parte dei sistemi brevettuali, il governo concede a un
inventore il diritto monopolistico di vendere la sua invenzione per un certo periodo. Il
brevetto crea un monopolio legale mediante una barriera all'entrata di lungo periodo. Per
competere con un'impresa che detiene un brevetto, il potenziale concorrente deve trovare
qualcosa di simile all'invenzione brevettata o ottenere la licenza dall'impresa che la
detiene. Poiché l'impresa detentrice ha il diritto di escludere chiunque dall'uso del
brevetto può impedire l'entrata nell'industria. Se l'attività di ricerca e sviluppo che ha
portato al brevetto non è praticabile dal potenziale entrante, quest'ultimo si trova di fronte
a un costo superiore a quello dell'impresa che ha brevettato.
b) Presenza di condizioni strutturali (es tecnologie)
c) Comportamenti strategici delle imprese insiders
d) Alte barriere all’uscita à Se è costoso uscire da un mercato, gli incentivi a entrarvi sono
ridotti. E' costoso uscire da un settore industriale se esistono costi che non si possono
recuperare.
Per esempio supponiamo che un'impresa per operare in un settore necessiti di attrezzatura
altamente specializzata che è difficilmente rivendibile. Un'impresa che progetta l'entrata
in questo settore può essere indotta a non entrare se sono possibili solo profitti nel breve
periodo.

↓ Le
cause (Bain 1956):
Bain (1956) è stato il pioniere del moderno approccio all'analisi delle barriere all'entrata e ha
individuato le tre seguenti cause di barriera:
• vantaggio assoluto di costo: Un vantaggio assoluto di costo consente a un'impresa già attiva sul
mercato di ricavare alti profitti senza temere l'ingresso di potenziali concorrenti.
Supponiamo per esempio che l'impresa A possa produrre a un costo unitario costante pari a 2,
mentre tutte le altre potenziali concorrenti potrebbero produrre a un costo unitario pari a 5.
L'impresa A può fissare il proprio prezzo a 4, che è superiore al costo unitario, ricavare un
profitto elevato e tuttavia non temere l'entrata di altre imprese.
• economie di produzione su larga scalache richiedono grandi investimenti di capitali;
Se un'impresa già attiva e una nuova impresa possono godere degli stessi benefici in termini di
economie di scala, perché l'impresa già attiva nel mercato potrebbe ottenere extra-profitti?
Alcuni sostengono che una nuova impresa avrebbe difficoltà a raccogliere i capitali (o non
sarebbe disposta a investire i propri) necessari per finanziare un investimento elevato.
Altri sostengono che se all'entrata sono connessi elevati costi irrecuperabili in caso di insuccesso,
le perdite dell'impresa sono notevoli. In tal caso la necessità di investimenti su larga scala che
prevedono notevoli costi irrecuperabili potrebbe costituire un disincentivo per il potenziale
entrante, perché le perdite possibili sarebbero molto elevate.
• differenziazione del prodotto: prodotti simili hanno caratteristiche differenti, perciò i consumatori
non li considerano perfetti sostituti (per esempio, i computer Apple non sono perfetti sostituti di
quelli IBM).
La differenziazione del prodotto (le imprese realizzano prodotti simili, ma non identici) può
creare una barriera all'entrata di lungo periodo. Per esempio, il fatto che i consumatori siano ben
disposti verso marchi affermati può rendere più difficile l'entrata per una nuova marca.
Naturalmente, il beneficio di questo può andare all' impresa che introduce per prima un nuovo
prodotto e che può quindi godere del vantaggio della prima mossa: infatti la prima impresa
sostiene costi di marketing inferiori perché non ha rivali.

3)Esternalità.
L'equilibrio concorrenziale non è ottimale quando un bene cui i consumatori attribuiscono un
valore non ha prezzo o ha il prezzo sbagliato. Purtroppo a molti beni (come le informazioni o
l'aria pura) o "mali' (come l'inquinamento o i rifiuti) non si può attribuire un prezzo: i beni e i
mali privi di prezzo vengono definiti esternalità.
Un’esternalità si genera quando i consumatori o le imprese non sostengono l'intero costo (o il
beneficio) derivante dal danno (o dal bene) che le loro azioni arrecano agli altri.
- Esternalità negative: il costo marginale privato (il costo di produzione effettivamente
sostenuto) connesso alla produzione di un'unità addizionale di prodotto è inferiore al costo
marginale sociale (la somma del costo marginale privato e del danno connesso all'inquinamento).
Tali distorsioni o produzioni inefficienti dovute alla determinazione inadeguata del prezzo vengono
definite fallimenti di mercato.
L’esempio più importante di esternalità negativa è l'inquinamento, che appunto è un male cui non
si può attribuire un prezzo. In assenza di normative statali, per esempio, le imprese manifatturiere
non pagano per l'inquinamento che creano, e pertanto, nel decidere il livello di output da
realizzare, ignorano il costo dell'inquinamento per la società.
- Esternalità positive: Un'azione non compensata che va a beneficio di altri rappresenta
un'esternalità positiva. Per esempio, quando si crea un bellissimo giardino osservabile dal
proprio vicino, quest'ultimo ne ricava un beneficio gratuito. Due esempi importanti di esternalità
positive comprendono le informazioni e le scoperte scientifiche, che possono andare a beneficio
immediato di molte persone. Quando Henry Ford ideò la catena di montaggio, altre imprese
beneficiarono dì questa innovazione senza ricompensarlo. Mentre si produce troppo in industrie
con esternalità negative, si può produrre troppo poco in settori con esternalità positive.

Alcune considerazioni
- Nell’ipotesi di esternalità negativa (inquinamento, diritti di proprietà non ben definiti1)
lo stato può intervenire a sostegno del mercato.
- Altri interventi dello stato (imposte, restrizioni al libero ingresso nel mercato) riducono
viceversa l’efficienza del mercato.
- I requisiti della concorrenza sono empiricamente soddisfatti solo da alcune industrie
(Esempio il settore del riciclaggio dell’acciaio è ritenuto concorrenziale. Le imprese del settore
raccolgono acciaio usato, lo lavorano e lo vendono alle acciaierie. L'entrata in questa industria è
facile e veloce, il prodotto venduto è piuttosto omogeneo e esistono quotazioni pubbliche dei
prezzi. Anche se, indubbiamente, i costi delle transazioni variano da impresa a impresa, il gran
numero dì venditori che agisce in modo indipendente indurrebbe la maggior parte degli
economisti a definire il settore ragionevolmente concorrenziale).

Utilità del modello della concorrenza perfetta.


La finalità dell’analisi della concorrenza è la workable competition (cioè si deve cercare di imitare le
imprese che raggiungono l’ottimalità di un settore)

Esiste una visione differente tra classici e neoclassici sulla natura degli ostacoli della concorrenza
(ossia la libertà di ingresso e di uscita dal mercato:
-Secondo i CLASSICI à gli ostacoli alla concorrenza sono da ricercare nei vincoli istituzionali
(monopolio da concessione governativa); ostacoli da asimmetria informativa.
-Secondo i NEOCLASSICI à gli ostacoli alla concorrenza sono da ricercare in vincoli non
istituzionali.

Gli sviluppi alla teoria concorrenziale.


Le critiche alla teoria concorrenziale riguardano:
- scarsa rilevanza empirica (da cui si è sviluppato il concetto di workable competition)
- scarsa attenzione al processo concorrenziale (non si tiene conto del fatto che il prezzo di equilibrio è
il frutto del processo concorrenziale)
- assunzione di perfetta conoscenza degli agenti
- scarsa fiducia al sistema del laissez-faire

I nuovi approcci:
A)Teoria evoluzionista (Alchian 1950) à concorrenza vista come un processo concorrenziale di
selezione delle imprese (darwin) che operano in condizioni di incertezza.
1
Si gode di diritti di proprietà quando sì possiede o si ha l'esclusiva per l'uso di un bene o un servizio. Per esempio,
potete godere di diritti di proprietà per una particolare automobile, ma nessun tratto chiaramente delimitato di una
strada appartiene solo a voi: le strade si condividono con gli altri; ogni guidatore rivendica un temporaneo diritto di
proprietà su una porzione di strada occupandola (impedendo quindi agli altri di occupare lo stesso spazio). La
competizione per assicurarsi lo spazio sulle strade può portare alla congestione del traffico (un'esternalità negativa),
che fa rallentare tutti i guidatori.
Nel caso in cui i diritti di proprietà siano chiaramente definiti in modo che non vi siano esternalità, i mercati
concorrenziali sono efficienti. Se invece i diritti di proprietà non sono ben definiti i mercati possono essere
inefficienti. Per esempio, se una società di software non può proteggere il proprio diritto di proprietà sui programmi
di computer impedendo che essi siano venduti da altre imprese, questi programmi rappresentano un'esternalità
positiva (la società di software non viene compensata per l'uso dei suoi programmi) e quindi vengono dedicate
troppo poche risorse alla produzione del software.
In particolare, egli ritiene che le imprese, operando in un mondo con informazione incompleta,
non potranno avere una conoscenza perfetta di tutti gli elementi necessari (non conosceranno la
funzione di domanda di mercato ed avranno informazioni incomplete circa le funzioni di costo
delle rivali e persino circa le proprie funzioni di costo) per risolvere i complessi calcoli impliciti
nell'ipotesi di comportamento massimizzante del modello di concorrenza perfetta. In tali
circostanze la previsione del modello di concorrenza perfetta, secondo cui l'interazione tra
imprese che massimizzano il profitto conduce ad un equilibrio (di lungo periodo) caratterizzato
dalla proprietà che il bene è prodotto al costo medio minimo, è di difficile realizzazione.
La teoria evoluzionista sostiene, tuttavia, che implicito nel modello di concorrenza perfetta sta
l'operare di un processo concorrenziale che ha la stessa efficacia di un meccanismo darwiniano di
selezione, mediante il quale le imprese meno efficienti che producono a costi più alti sono via via
eliminate dal mercato dalle imprese più efficienti che producono a costi più bassi.
B) Teoria di F. VAN HAYEK àil processo concorrenziale contribuisce ad accrescere
l’informazione limitata e non completa dei soggetti. Informazioni rilevanti (come il costo
minimo al quale un bene può essere prodotto, i gusti ed i desideri dei consumatori, etc.) non
possono correttamente essere considerate come date, perchè è solo tramite il processo di
concorrenza che potranno essere scoperte. La ricerca e la scoperta da parte degli agenti di queste
informazioni determinano l’occasione per generare maggiori profitti.
C) Teoria di SCHUMPETER (1967) àil processo concorrenziale genera innovazione e
nuovi equilibri. Egli rifiuta di concentrare la sua analisi sui beni da produrre e sulla tecnologia
utilizzata utilizzata per produrli, ma si concentra sulla figura dell’imprenditore.
CAPITOLO 4 – IL MONOPOLIO
Definizione
Un'impresa possiede il monopolio di un mercato se è l'unica fornitrice di un prodotto per il quale
non esistono sostituti diretti.
In un monopolio l'impresa vuole massimizzare i profitti, affronta una curva di domanda con
pendenza negativa e fissa un prezzo superiore al costo marginale. à Di conseguenza la q venduta
in questo mercato è minore di quella di un mercato concorrenziale (nel quale il prezzo è uguale al
costo marginale) e in questo modo si determina una perdita secca per la società.

Comportamento monopolistico

Massimizzazione dei profitti.


- Al pari di un’impresa concorrenziale, nel monopolio il livello di quantità prodotta è fissato
in modo da massimizzare i profitti.
- Nel monopolio la curva di domanda ha pendenza negativaà maggiore è la quantità
venduta e minore è il p di vendita.
Dunque il monopolista è vincolato a scegliere:
à Se fissa la quantità, il prezzo é determinato dalla curva di domanda del mercato. à
Se fissa il prezzo, è la quantità a essere stabilita dalla curva di domanda.

Esaminiamo la figura 4.1

- Data la curva di D della Figura 4.1, se il monopolista vuole vendere unità del proprio prodotto
deve far pagare il prezzo ; se invece vuole vendere un’unità in più deve abbassare il prezzo a
.
- Se il monopolista abbassa il prezzo a , i suoi ricavi possono aumentare o diminuire.
Egli ottiene un ricavo sull'unità aggiuntiva venduta al prezzo , l'area B nella figura.
Per vendere quell'unità aggiuntiva, però, deve ridurre il prezzo da a per le unità vendute in
precedenza , con conseguente perdita di ricavi pari all’area A à ( - ) .
- Nota: nell'analizzare il comportamento di un'impresa concorrenziale questa perdita di ricavi
dovuta all’applicazione di un prezzo inferiore non andava considerata, poiché un'impresa
concorrenziale affronta una curva di domanda orizzontale e il prezzo di vendita non cambia se
aumenta la quantità.

Nel caso di concorrenza abbiamo:

D = MDR (Ricavo medio) = MR = P

Mentre nel caso del monopolio abbiamo:

MDR(ricavo medio) = D = P

MR

Il ricavo medio è sempre uguale al prezzo del bene e questo vale sia per il monopolista che per
l’impresa concorrenziale.
Inoltre va segnalato che il MR è sempre < del P à questo perché:
• per ogni unità aggiuntiva venduta, il monopolista dovrà abbassare il p realizzando ricavi
marginali sempre minori rispetto al p di vendita.
• il prezzo si abbassa per tutta la quantità venduta e non solo per l’ultima (ciò significa che
se il monopolista vuole vendere un’unità in più di prodotto deve accontentarsi di un
prezzo più basso anche per le altre unità).

- Se l'area B > area A à vendere un’unità addizionale fa aumentare i ricavi.


Questi ricavi aggiuntivi che un’impresa ottiene quando produce un’unità in più di prodotto,
vengono definiti ricavi marginali (il ricavo marginale è la variazione nei ricavi derivante dalla
vendita di una unità aggiuntiva di prodotto) e risultano uguali all'area B meno l'area A.
- Da quanto visto sopra, poiché la curva di D ha pendenza negativa, si capisce che il MR (ricavo
marginale) è sempre inferiore al prezzo, in quanto il monopolista deve abbassare il prezzo se
vuole vendere una quantità aggiuntiva di bene.
( Invece, per un'impresa che opera in un'industria perfettamente concorrenziale il ricavo marginale
è pari al prezzo).
Potere di mercato e di monopolio.
Un monopolista che fissa un p >MC non necessariamente ottiene un profitto superiore a quello
concorrenziale (Per esempio, se un monopolista è sottoposto a un costo fisso, il suo profitto
potrebbe risultare nullo nonostante il prezzo che esso ha stabilito superi il costo marginale).
Definiamo allora potere di mercato = Ogni volta che un'impresa può fissare il prezzo di vendita del
proprio prodotto a un livello superiore al costo marginale senza incorrere in perdite, essa ha potere
di monopolio (o, alternativamente, potere di mercato).

Il comportamento monopolistico nel corso del tempo.


Nei mercati reali le curve di domanda si spostano nel corso del tempo e quindi un monopolista razionale
deve variare il prezzo del proprio prodotto in considerazione del tempo.
I consumatori possono presentare una curva di domanda più anelastica nel breve periodo e più
elastica nel lungo periodo (nel breve periodo e insisto limitazioni alla velocità con la quale i
consumatori, di fronte a un aumento di prezzo, possono sostituire un prodotto; perciò, se un
monopolista sfrutta la parte anelastica della curva di domanda di breve periodo e aumenta il prezzo,
è più probabile che i consumatori sostituiscano il prodotto scegliendone uno diverso in periodi
successivi) ↓
è più conveniente variare il p nel tratto in cui la curva di domanda di b.p. si presenta anelastica, evitando
così l'eccessiva ε nel l.p.
(Esempio: Il mercato del petrolio fornisce un esempio eccellente del tempo richiesto per sostituire
un prodotto: quando l'OPEC aumentò il prezzo del petrolio all'inizio degli anni Settanta, il consumo
totale di energia variò molto poco nel corso del primo anno, ma in quelli, successivi, a mano a mano
che i consumatori si adeguavano all'aumento di prezzo e iniziavano ad adottare misure di risparmio
energetico, la quantità domandata di petrolio diminuì notevolmente).

I costi e i benefici del monopolio.

La perdita secca di monopolio


Se un monopolista, ricercando la max di π, limita la q prodotta e aumenta il p > MC, la società subisce
una perdita secca di benessere. Perche? Per capirlo esaminiamo il grafico seguente:

Pm D

Π PS
Pc MC
MR

Qm Qc

- max di π à monopolista produce la q individuata dal punto di intersezione tra il ricavo


marginale e il costo marginale (MR= MC)
- Pm ≠ MC (ossia il divario tra il prezzo di monopolio e il costo marginale rappresenta la
differenza tra il valore (il prezzo) che gli acquirenti attribuiscono al prodotto e il costo marginale
per realizzarlo à Questo divario è simile a quello provocato da una tassa sul prodotto in un mercato
concorrenziale. In entrambi i casi il prezzo e l'output differiscono dai livelli concorrenziali e vi è
una deviazione tra il prezzo di chi domanda. (individuato sulla curva di domanda) e il prezzo di chi
offre (determinato sulla curva di costo marginale).
Il monopolio e un'imposta inefficiente differiscono, però, in merito alla destinazione dei
trasferimenti effettuati dai consumatori. Nel primo caso il monopolista mantiene i profitti di
monopolio, nel secondo caso il trasferimento è a favore dello Stato.
- Pm > Pc (ossia i consumatori devono pagare un prezzo di monopolio Pm > Pc prezzo
concorrenziale) àin questa situazione i consumatori perdono una quota di surplus pari a π + PS (la
somma dei profitti di monopolio e della perdita secca).
Essendo il profitto di monopolio π < inferiore a π + PS (perdita del surplus del consumatore), la
società è soggetta a una perdita secca di monopolio (il triangolo PS) pari alla differenza fra la
perdita del consumatore e il guadagno del monopolio.

La ricerca di posizioni di rendita.


La perdita secca PS per la società può crescere se il monopolista utilizza tutti o parte dei profitti
realizzati al fine di assicurarsi il monopolio, attraverso l'utilizzo di risorse reali. Se esistono profitti
di monopolio un'impresa è incentivata a spendere fino ad un importo pari a questi profitti per
ottenere il monopolio.
Ad esempio supponiamo che un'impresa possa ottenere il monopolio di un mercato convincendo il
governo ad approvare una legge che restringe l'entrata nel mercato stesso. L'uso delle risorse di
quest'impresa per mobilitare i gruppi di interesse e assumere avvocati ed economisti che sostengano
la causa di fronte ai legislatori è un costo per la società, perché queste risorse avrebbero potuto
essere impiegate proficuamente altrove.

poiché le imprese competono tra loro per ottenere la “ rendita” derivante dal monopolio (profitti di
monopolio), la spesa di risorse per conseguirla viene definita ricerca di posizione di rendita
(rentseeking).
àIn caso di ricerca di posizione di rendita, il calcolo della PS da monopolio deve comprendere
anche quella parte del trasferimento che è sperperato dall'interesse per ottenere il monopolio (PS +
almeno una parte dei π di monopolio).

I profitti di monopolio e la perdita secca variano al variare dell’elasticità della D.


I π di monopolio e il triangolo della PS dipendono dalla forma della curva di D (cioè dalla sua elasticità).
Analizziamo attraverso il grafico seguente questa relazione:
- Noi sappiamo che la curva di domanda lineare ha equazione p = a – bQ - La curva di D più
sottile è data dai parametri a= 60 e b=0,5.
- Con costi marginali e medi costanti MC = AC = 10 àmonopolista vende Qm = 50 unità a Pm
= 35.
Il π di monopolio è l'area A = 1250 ((50 x 35) – (50 x 10)), mentre la PS = 625
- Per variare l'elasticità della D ruotiamo verso l'alto ora la curva di D intorno al punto in cui la
vecchia curva di domanda interseca la retta MC, ossia a 100 unità.
àPoiché la curva di D è lineare, lo è anche la curva di MR, che interseca MC a una distanza pari
alla metà di quella in cui la curva di D interseca la stessa retta. Dunque mentre ruotiamo la curva di
D la quantità di equilibrio di monopolio che massimizza i profitti rimane invariata a 50 unità. - Così
facendo la nuova cura di domanda più spessa presenta una minore elasticità. Infatti il monopolio
vende la stessa quantità di prima Qm = 50 unità, ma a un prezzo maggiore Pm = 50 (mentre prima
era Pm = 35), sicché l'elasticità della D diminuisce.
- A seguito di questa rotazione verso l'alto della D, il π di monopolio aumenta ad A + B = 2000
e la PS aumenta a C + D = 1000.
à Più la curva di D diventa anelastica nel punto di equilibrio di monopolio, più gli individui non
sono disposti a rinunciare a questo bene. Il monopolista, rendendosi conto che ne esiste la
possibilità, aumenta il prezzo di equilibrio i profitti di monopolio salgono e contemporaneamente la
PS aumenta.

I benefici del monopolio.


I danni al benessere derivanti dal monopolio possono essere compensati da molti benefici che non sono
stati considerati nella precedente analisi statistica per stimare le perdite secche.
·Maggiori incentivi alla R&SàLa prospettiva di ottenere profitti di monopolio può indurre le
imprese a sviluppare nuovi prodotti, migliorare quelli esistenti o trovare metodi di
produzione a costi inferiori. Se non fosse per l'incentivo dei profitti di monopolio, le
imprese potrebbero innovare meno.
Esempio: Se un'impresa riesce a sviluppare un nuovo prodotto, può ottenere un brevetto che
proibisce ad altre imprese di utilizzare la tecnologia brevettata per un certo periodo. Se non
fosse per il brevetto, l'impresa innovativa potrebbe scoprire che, nel giro di alcune
settimane, altre imprese hanno copiato il nuovo prodotto. Essa otterrebbe allora un livello di
profitti non superiore a quello concorrenziale e non recupererebbe le spese di ricerca e
sviluppo sostenute, mentre le imprese che hanno copiato il prodotto non hanno dovuto
sostenere tali costi. La capacità di altre imprese di copiare un nuovo prodotto riduce
l'incentivo dell'impresa a investire in ricerca e sviluppo, perciò il sistema dei brevetti
rappresenta uno strumento per affrontare questo problema.
Nota: Naturalmente, se il monopolio non presentasse benefici compensativi, sarebbe preferibile la
concorrenza.

Creare e mantenere un monopolio. Perché nasce l’impresa monopolistica?Esistono


molti modi in cui un'impresa può diventare e rimanere monopolista:
a) processo di fusione di più imprese che danno vita a ad un nuovo soggetto capace di imporre
una forte potere di mercato oppure più imprese separate formano un cartello
b) conoscenza esclusiva di particolari tecniche di produzione (> efficienza da <costi di
produzione) ↓
- Un’impresa può essere un monopolio perché essa soltanto conosce il modo per produrre un
determinato prodotto oppure può produrlo a un costo inferiore rispetto alle altre imprese.
Un’impresa può avere conoscenze particolari che le consentono di realizzare un prodotto nuovo o
migliore e cercare di mantenere segrete queste conoscenze in modo da impedire l'imitazione da
parte dei rivali.

- Un’impresa può avere conoscenze particolari delle tecniche di produzione che consentono di
realizzare lo stesso prodotto di un concorrente ad un costo inferiore rispetto alle altre imprese, le
quali potrebbero non riuscire a scoprire le tecniche di produzione dell'impresa efficiente. Questa
possibilità viene illustrata nel grafico sottostante.
- Inizialmente tutte le imprese nel mercato concorrenziale hanno un costo marginale costante
rn1 per tutte le imprese, sicché il p di equilibrio p1 è pari a m1 e la quantità di equilibrio è Q1.
- In questa situazione, un'impresa scopre una nuova tecnica di produzione che può mantenere
segreta, che le permette di ridurre i costi marginali da m1 a m0 (costo che le altre imprese non
possono mantenere).
Essa opera a fronte dì una curva di Dr (domanda residuale) orizzontale al livello p1 (pari a rn1) fino a
Q1 perché molte imprese possono produrre e vendere al prezzo m1.
Oltre Q1 la curva di Dr coincide con quella dell'industria (D), perché al di sotto di p1 nessun'altra
impresa può produrre con profitto.
- Se m0 è vicino a ml, l'impresa può massimizzare i profitti vendendo a un prezzo pari a p1.
- Tuttavia, nel caso in figura, m0 si trova abbastanza sotto rn1, e il prezzo di monopolio che
massimizza i profitti si trova sotto m1 ma sopra m0.
à Poiché la curva di Dr forma un angolo al livello di output Q1, la curva dei MR corrispondente è
discontinua in corrispondenza di tale livello di output. La curva dei ricavi marginali è orizzontale
nel punto in cui la curva di Dr è orizzontale e inclinata verso il basso quando la curva di Dr è
inclinata verso il basso. Per massimizzare i profitti, l'impresa che conosce il processo produttivo
segreto produce Q0 unità di output nel punto in cui la sua curva dei MR = MC e l'impresa fissa il
prezzo a P0 < pl = m1, sicché nessun'altra impresa rimane nel mercato.

c) lo Stato può tutelare un'impresa in vari modi:


Ø Brevetti (monopolio legale) à i brevetti (sono un diritto sulla proprietà intellettuale)
garantiscono all'impresa che ha scoperto un prodotto o una tecnica nuova un monopolio
legale. Un'impresa può ottenere un brevetto su un nuovo prodotto e impedire a qualsiasi
altra impresa di copiare il prodotto e competere con lei per un numero prefissato di anni.
Ø Limitazioni all’ingresso di nuove imprese (numero di licenze) à le limitazioni statali
all'entrata consentono almeno ad alcune imprese di produrre (e in questo senso non
determinano un monopolio), ma impediscono che le normali pressioni concorrenziali
facciano scendere il prezzo e i profitti a livelli concorrenziali.
Ø Barriere al commercio (imposte sulle importazioni) à es. la Cina impone una tariffa del
230% sulle sigarette importate con l’obiettivo di proteggere la China National tabacco
corporation, che contribuisce per il 12% ai ricavi dello stato cinese.
d) Capacità di produrre quanto richiesto dal mercato a un costo di produzione < rispetto a quello
sostenuto da 2 o più imprese (monopolio naturale).
In simboli: C(Q ) < C(q1) + C(q2) +….+C(qn) àfunzione di costo è subadditiva in Q (Q =q1 +
q2 +…qn).
Un monopolio naturale presenta spesso costi medi decrescenti e costi marginali costanti o
decrescenti nell'area in cui esso opera. Una curva dei costi medi strettamente decrescente
implica la subadditività (sebbene il contrario non è sempre vero).
Esempio: spesso si sostiene (ma non necessariamente a ragione) che le società di fornitura di
energia elettrica, di gas, telefoniche e di televisione via cavo rappresentino dei monopoli
naturali. Esiste un costo relativamènte elevato per la gestione di una linea elettrica o
telefonica per un'abitazione o un'impresa, ma costi marginali costanti o decrescenti per la
fornitura del servizio. Di conseguenza, il costo marginale è costante o diminuisce, e i costi
medi diminuiscono all'aumentare dell'output realizzando cosi’ delle economie di scala su
tutta la fornitura complessiva.

Il rapporto tra profitti e monopolio.


• Profitti superiori a quelli normali e monopolio sono sempre collegati?
à Può accadere che un’impresa che realizzi profitti superiori a quelli normali non abbia il
monopolio di mercato.
Esempio: La scarsità di una risorsa può portare alla determinazione di p molto elevati e coloro
che la possiedono ne traggono vantaggio.
• Il monopolio consente sempre di ottenere profitti superiori a quelli normali?
à Non è vero che il monopolio consenta sempre di realizzare extra profitti.
- Nel breve periodo può riportare delle perdite proprio come un'impresa
concorrenziale. Un monopolista a fronte di un'improvvisa diminuzione della D può
decidere di continuare a operare anche se ottiene profitti di breve periodo negativi (il p < al
costo medio) se però il p > CVM (costo variabile medio).
- Anche nel lungo periodo (viene valutato in relazione al b.p., ossia del tempo
necessario perché gli impianti e le attrezzature si consumino spingendo alla decisione di
sostituirli) il monopolista può registrare perdite, ma in questo caso l’impresa deciderà di
uscire dal mercato.
• Si dovrebbero consentire fusioni che creano monopoli in industrie che subiscono perdite di breve
periodo?
àNel breve periodo la fusione tra imprese in perdita consente a queste di fissare prezzi
superiori al livello concorrenziale, consentendo così alla nuova impresa di esercitare potere
di mercato e di eliminare le perdite.
Questa fusione però crea una perdita secca per la società. L’esistenza nel b.p. di costi
irrecuperabili che determinano delle perdite non può essere eliminata tramite la fusione.
Poichè quest’ultima non elimina i costi irrecuperabili, è inefficiente consentire alle imprese di
creare un monopolio e lasciar salire il prezzo.

Il monopsonio.
Un mercato in cui opera un singolo compratore viene definito un monopsonio.
La decisione dell'unico compratore in merito a quanto comprare influenza il p che deve pagare (proprio
come un monopolista, scegliendo il livello di output, influisce sul p di vendita).
Un monopsonista stabilisce quanto comprare proprio come un monopolista stabilisce quanto
produrre: aumenta la quantità acquistata del bene finché il valore del consumo aggiuntivo, come
appare dalla sua curva di domanda, è >= al MC da sostenere per consumare un'unità in più.

- In presenza di un mercato del lavoro concorrenziale, ogni impresa considera come dato il tasso
salariale e il costo marginale di assunzione di un nuovo lavoratore coincide semplicemente con il
tasso salariale.
- Supponiamo ora che vi sia un solo datore dì lavoro locale (monopsonista acquirente delle
prestazioni dì lavoro) che si trova di fronte a una curva di offerta di lavoro con pendenza positiva
come indicato nella Figura 4.5.
- Per assumere un lavoratore aggiuntivo il monopsonista non solo deve pagarlo a un tasso salariale
un po' più elevato, ma deve pagare anche tutti i lavoratori già assunti allo stesso tasso, perché
soltanto aumentando il salario sì può indurre altra manodopera a entrare nel mercato.
(Ad esempio: se il monopsonista deve aumentare il salario diciamo da 5 a 6 per indurre un altro
individuo a lavorare per l'impresa, il costo aggiuntivo di assunzione del lavoratore in più sarà 6 +
più l'aumento di 1 dei salari, che deve essere esteso a tutti i lavoratori originari.
- Il monopsonista assume il lavoratore aggiuntivo solo se il beneficio marginale, rappresentato dalla
curva di domanda, supera il MC di impiego di una persona in più.
- Per un monopsonista il MC sostenuto per acquistare unità aggiuntive (nel nostro caso assumere
altri lavoratori) è descritto da una curva di spesa marginale, analoga, dal punto di vista
economico, alla curva dei ricavi marginali.
- Essa si trova al di sopra della curva di offerta con pendenza positiva (come indicato nella Figura
4.5) perché il monopsonista deve aumentare il salario corrisposto a tutti i lavoratori se vuole
assumere una persona in più.
- Un monopsonista che massimizza i profitti assume Lm lavoratori, ossia il livello di occupazione in
cui i benefici marginali (rappresentati dai punti della curva di domanda) = spesa marginale. -
Poiché la curva di spesa marginale sì trova sopra la curva di offerta à il monopsonista assume
meno lavoratori di quanto farebbe un'industria concorrenziale, in cui l'occupazione sarebbe pari a
Lc lavoratori (determinata dall'intersezione tra la curva di D e quella di offerta). In altre parole, un
monopsonista limita l'output proprio come un monopolista.
- Il tasso salariale in monopsonio Wm < Wc (tasso salariale concorrenziale).
Utilizzando una definizione analoga a quella di potere di mercato possiamo definire il potere di
monopsonio come la capacità di fissare i salari (o i prezzi di altri input) sotto i livelli
concorrenziali.
- Nella soluzione di monopsonio (Lm, Wm) rappresentata nella Figura 4.5 abbiamo un divario tra la
curva di domanda e quella di offerta. Questo divario costituisce una perdita di efficienza.
Il triangolo della perdita secca di monopsonio indicato nella Figura. 4.5 è analogo alla perdita secca
derivante dal monopolio.

I mercati con una maggiore probabilità di realizzazione di un monopsonio sono quelli in cui le risorse
sono riservate a pochi impieghi.
Inoltre, anche se le risorse sono inizialmente incanalate verso un solo uso, come accade nel caso di
un macchinario realizzato su specifiche del cliente (o un impianto in una particolare zona che serve
un solo acquirente), il monopsonio può non perdurare nel lungo periodo. Infatti, nessun
imprenditore sarà disposto a produrre nuovi macchinari fatti apposta per un cliente specifico se
ottiene una remunerazione più bassa di quella ottenibile con la produzione di altre macchine. In
altre parole, poche risorse sono specializzate nel lungo periodo, e quindi è poco probabile che il
monopsonio possa durare nel lungo periodo.

L’impresa dominante circondata da imprese marginali di tipo concorrenziale.


Che cosa accade a un monopolista se altre imprese con costi più elevati entrano nel mercato?
- Definiamo impresa dominante = l’impresa che fissa il prezzo e si trova di fronte ad altre imprese più
piccole che invece sono price taker.
- Definiamo imprese marginali = le imprese più piccole che non fissano il prezzo e detengono
singolarmente una bassa quota di mercato.
- Per analizzare questi tipi di mercati opereremo in questo modo:
1) per prima cosa esaminiamo i fattori che permettono ad un’impresa di diventare dominante
2) Poi analizziamo come l’entrata di altre imprese limiti il potere di mercato dell’impresa dominante 3)
Infine studieremo 2 casi estremi:
a) nel primo l'entrata di altre imprese è impossibile
b) nel secondo l'entrata di imprese marginali concorrenziali si verifica in modo istantaneo. -
Le principali conclusioni di questa indagine sono due:
• l'impresa dominante che massimizza i profitti non ha interesse a fissare un p così basso dà far
uscire dal mercato tutte le imprese marginali concorrenziali,
• la presenza di imprese marginali o la minaccia di altre di entrare mantiene il prezzo
dell'impresa dominante più basso di quello di monopolio.

Perché alcune imprese sono dominanti?


Esistono almeno tre possibili ragioni:
1)Le imprese dominanti possono avete costi inferiori rispetto a quelle marginali. Le
cause di questo possono essere le seguenti:
• un'impresa può essere più efficiente delle altre (per esempio può avere una migliore gestione o una
migliore tecnologia che le consente di produrre a costi inferiori).
• un'impresa presente nell'industria sin dall'inizio può aver accumulato attraverso l'esperienza una serie di
conoscenze che la rendono più efficiente.
• un' impresa presente nell' industria sin dall'inizio ha avuto il tempo necessario per crescere in modo
ottimale (in presenza di costi dì aggiustamento) in modo da beneficiare delle economie di scala (
ripartisce i costi fissi su un numero maggiore di unità di prodotto, può avere costi medi di produzione
inferiori rispetto a quelli di un'impresa entrata di recente;
• lo stato potrebbe favorire l'impresa presente sin dall'inizio.

2) Impresa dominante può avere un prodotto migliore in un mercato in cui ogni impresa
produce articoli differenziati (ad es superiorità può essere dovuta alla reputazione raggiunta
mediante la pubblicità o alla fedeltà dei consumatori determinata dal fatto di essere presente
sul mercato da più tempo).
3) Un gruppo di imprese può agire in modo coordinato così da formare un'impresa
dominante (cartelli).
Esamineremo ora il modello impresa dominante / imprese marginali di tipo concorrenziale in base a due
ipotesi alternative sulla facilità di entrata.

A) Il modello con assenza di entrata di nuove imprese


- Consideriamo un'industria con un'impresa dominante e imprese marginali di tipo concorrenziale in cui
nessun'altra impresa marginale può entrare.
- I 2 risultati chiave che derivano dall'analisi di questo modello sono i seguenti:
(1) è più profittevole essere il gigante di quest'industria piuttosto che una semplice impresa
marginale;
(2) l'esistenza delle imprese marginali limita il potere di mercato dell'impresa dominante, vale a dire,
sarebbe più profittevole essere monopolisti
- Alla base del modello con assenza di entrata vi sono sei ipotesi fondamentali.
1. L'impresa è dominante perché è più efficiente.
2. Tutte le imprese, tranne quella dominante, sono price taker e determinano i loro livelli di output nel
punto in cui MC = p dell'industria.
3. Il numero (n) di imprese marginali è fisso: non si può verificare alcuna nuova entrata.
4. L'impresa dominante conosce la curva di domanda dell'industria D(p). Ciascuna impresa produce un
prodotto omogeneo, perciò in questo mercato c'è un solo prezzo.
5. l’impresa dominante conosce la curva di offerta delle imprese marginali, S(p), ossia, dato il prezzo
l'impresa dominante può prevedere l'output prodotto dall'insieme delle imprese marginali di tipo
concorrenziale.
6. La quantità prodotta da ciascuna impresa marginale è data dall’uguaglianza tra MC e p dell’industria.

Il ragionamento dell'impresa dominante.


- L’impresa dominante come sceglie il livello di output?
- Se questa decide di aumentare il prezzo, l’output dell’impresa dominante si riduce e
contemporaneamente cresce l’output delle imprese marginali dato che la loro curva di offerta,
S(p), è crescente in p.
à Di conseguenza l'output dell'industria diminuisce meno di quanto vorremmo e il p del settore aumenta
meno rispetto ad una situazione di monopolio.
Perciò:
Nel caso di monopolio à il monopolista deve semplicemente considerare la curva di domanda del
mercato (e la corrispondente curva dei-ricavi marginali) e la curva dei costi marginali per stabilire
l'output che massimizza i suoi profitti.
Nel caso di impresa dominante con imprese marginali à l'impresa-dominante deve considerare non solo
questi fattori, ma anche come le imprese marginali reagiscono alle sue scelte.
- Un modo conveniente per calcolare il livello ottimale dei prezzi consiste nel praticare il seguente
ragionamento:
Ø il monopolista lascia che le imprese marginali vendano quanto vogliono al prezzo di
mercato (il prezzo da noi fissato).
àTranne per livelli di prezzo molto elevati, l'insieme delle imprese marginali non è in grado di
produrre una q sufficiente a coprire tutta la D del mercato.
Ø La nostra impresa dominante gode allora di una posizione di monopolio rispetto alla
domanda residuale, e possiamo pertanto determinare l'output ottimale con una procedura in
due fasi: a) stabiliamo innanzitutto la curva dì domanda residuale della nostra impresa e b)
successivamente ci comportiamo come un monopolista relativamente a questa domanda
residuale. Questa procedura in due fasi può essere illustrata graficamente (analisi grafica
del comportamento dell’impresa dominante).

- In primis va determinata la curva di Dr di lungo periodo dell'impresa dominante.
La Figura 4.6 mostra due grafici:
(a) uno per un'impresa marginale di tipo concorrenziale rappresentativa
(b) uno per l'impresa dominante,
Il grafico (a) mostra la curva di domanda di mercato, D(p), e la curva di offerta di un' impresa marginale
di tipo concorrenziale che quindi non fissa il prezzo.
La curva di offerta dell'impresa marginale è la curva dei MC che giace al di sopra del punto di minimo
della curva di costo medio (pØ).
- Pertanto (pØ) è il prezzo di chiusura dell'impresa marginale.
(infatti:
§ Per livelli di prezzo superiori a (pØ) à ciascuna impresa marginale realizza profitti positivi
(indicati in figura con π)
§ Al prezzo (pØ) à ciascuna impresa marginale ottiene profitti pari a zero
§ Al di sotto di (pØ) à ciascuna impresa marginale chiude e quella dominante diventa
monopolista.
- La curva di offerta delle imprese marginali, S(p), = è la somma orizzontale delle curve di offerta delle
singole imprese marginali, vale a dire S(p) = n (p), dove n è il numero delle imprese e è l'output
dell'impresa marginale rappresentativa.
- La curva di Dr dell'impresa dominante è la differenza orizzontale tra la curva di D di mercato e la curva
di offerta delle imprese marginali: (p) = D(p) - S(p)
- Nella Figura 4.6b la curva di D di mercato si trova al di sopra della curva di Dr per livelli di prezzo
superiori a (pØ) e coincide invece con essa per livelli di prezzo inferiori a (pØ).
à Ciò equivale a dire che:
§ Se il prezzo superiore a (pØ) àle imprese marginali soddisfano parte o tutta la domanda di
mercato
§ Se il prezzo è inferiore a (pØ) à imprese marginali escono dal mercato e lasciano tutta la D
all'impresa dominante.
- A p* la q fornita dalle imprese marginali è = alla q richiesta dal mercato, sicché l'impresa
dominante non ha Dr.
- L'impresa dominante max π se sceglie un p (o, in modo equivalente, un livello di output) tale
per cui il suo MC = MR.
- La curva di MR dell'impresa dominante è derivata dalla curva di Dr e ha due sezioni
distinte: 1° sezione à le imprese marginali producono livelli di output positivi, la curva di Dr
dell'impresa dominante si trova al di sotto (ed è meno inclinata) della curva di D di mercato.
In questa parte del grafico la curva MRd dell'impresa dominante è meno inclinata della curva dei
MR che si trova in quella parte del grafico in cui la curva di Dr dell'impresa dominante e la curva di
D di mercato coincidono (è meno inclinata perché più la curva di D è elastica e più la curva di MR
si avvicina al prezzo (curva D)).
2° sezione à le imprese marginali non producono output in quanto la D di mercato è completamente
assorbita dalla Dr dell’impresa dominante..
In questa parte del grafico la curva MRd dell'impresa dominante è più inclinata della curva dei MR
che si trova nella sezione 1 (è più inclinata perché più la curva di D è rigida e più la curva di MR si
allontana dal prezzo (curva D)).
- L'impresa dominante si comporta come un monopolista in relazione alla domanda residuale;
fissa il prezzo (o l'output) in modo che il MC =RM. Poiché la curva dei ricavi marginali è
discontinua, possiamo avere due tipi di equilibrio; il verificarsi dell'uno o dell'altro dipende dalla
curva di MCd dell'impresa dominante.
Equilibrio impresa dominante - imprese marginali concorrenziali -
Consideriamo ora due possibili situazioni:
1) L’impresa dominante pratica un prezzo elevato, fa profitti positivi le imprese marginali fanno a loro
volta profitti positivi oppure sono in pareggio

- il primo tipo di equilibrio si verifica se i costi dell'impresa dominante non sono nettamente
inferiori a quelli delle imprese marginali
- l’impresa dominante sceglie di produrre il livello di output Qd (si ottiene dalla intersezione tra
MCd e il primo segmento della curva di MRd al prezzo di p (ottenuto dall'altezza della curva di Dr al
livello di output Qd).
- Qf ( offerta delle imprese marginali) = è dato dalla differenza tra la D DI mercato Q e l’output
dell'impresa dominante Qd, al prezzo p
- I profitti dell’impresa dominante (indicati nella figura 4.6b con ) sono massimizzati ad un
prezzo così elevato (p) che le imprese marginali ottengono profitti positivi, dato che p > (pØ) (profitti
mprese marginali indicati nella figura 4.6a con ).
Nota: La presenza di profitti positivi non induce nuove imprese a entrare in quanto in questo mercato, per
ipotesi, non possono entrare nuove imprese.
- Poiché il costo medio dell’impresa dominante (ACd) < ACf costo medio dell’impresa marginale
(infatti nel punto minimo ACd < (pØ))
à l'impresa dominante ottiene più profitti per unità venduta e vende un livello maggiore di output
rispetto a una singola impresa marginale, e quindi ricava anche maggiori profitti totali.
àPerciò l'impresa dominante max π ad un livello di p così elevato da perdere parte della propria quota di
mercato a favore delle imprese marginali.
- Impresa dominante non ha l'incentivo a fissare il p ad un livello così basso da spingere le
imprese marginali a uscire dal mercato, in quanto, così facendo aumenterebbe il numero di unità
vendute, ma realizzerebbe minori profitti.
- In definitiva l’impresa dominante ottiene profitti inferiori a quelli di monopolio à la
presenza di imprese marginali limita il suo potere e avvantaggia i consumatori
2) L’impresa fissa un prezzo basso, le imprese marginali chiudono per evitare di incorrere in perdite e
l'impresa dominante è un monopolista (impresa dominante monopolista)

- Supponiamo ora che l'impresa dominante abbia costi estremamente bassi rispetto alle
imprese marginali à la sua curva dei MC sia quindi MC*d nella Figura 4.6b.
- L'impresa dominante sceglie di produrre il livello di output Q*d (determinato dall’incontro
tra MC*d ed MR) al prezzo p**.
- Poiché p** si trova al di sotto del punto di chiusura delle imprese marginali (pØ)( = costo
medio minimo delle imprese marginali), queste non producono e perciò l'output dell'industria, Q*, è
uguale a quello dell’impresa dominante, Q*d
- In definitiva, l'impresa dominante fissa un prezzo di monopolio e per ipotesi nessuna
impresa marginale entra nel mercato. L'impresa dominante serve tutta la D del mercato, non viene
limitata dalla presenza di imprese marginali, e gode quindi di potere di monopolio.
B) Un modello con entrata libera e istantanea.
- In questo modello si mantengono tutte le ipotesi fatte precedentemente, tranne il fatto che un
numero illimitato di imprese marginali può entrare nel mercato (e questo avverrà se si possono
ottenere profitti positivi).
- In questo modello le imprese marginali non realizzano profitti nel lungo periodo: esse o
pareggiano o escono dal settore ( infatti se tutte le imprese marginali sono uguali, il p di mercato
nel lungo periodo non può salire oltre il loro costo medio minimo, e pertanto saranno al massimo
in pareggio).
- Poiché l'impresa dominante ha costi inferiori rispetto a quelle marginali, ottiene profitti positivi,
che però sono inferiori a quelli che avrebbe se non si verificasse alcuna entrata
- Ipotizziamo che le curve di costo delle imprese marginali di tipo concorrenziale siano le stesse di
prima. A mano a mano che cresce il numero di imprese nell'industria (n aumenta), la pendenza
della curva di offerta delle imprese marginali diminuisce, cioè la curva di offerta S(p) delle
imprese marginali diventa orizzontale, come indicato nella figura 4.7a (questo perché la pendenza
di S(p) è pari a n volte la pendenza dell'offerta di un'impresa rappresentativa, o curva dei MC).
- La curva di Dr dell’impresa dominante è orizzontale a (pØ), perciò la corrispondente curva di
ricavo marginale e anch'essa piatta (in un mercato concorrenziale un'impresa si trova di fronte a
una curva di D individuale orizzontale e, di conseguenza, a una curva dei MR = alla curva di D).
- Al di sotto di (pØ) la curva di Dr = D di mercato, con pendenza negativa, cosicché la
corrispondente curva dei MR ha anch'essa pendenza negativa.
(Ancora una volta la curva dei MR corrispondente alla curva di Dr ha una discontinuità in corrispondenza
dell'angolo della curva di Dr.
- Esistono anche in questo caso due possibili equilibri:
1) se il MC dell'impresa dominante è relativamente elevato (MCd nella figura 4.7b), il p di equilibrio è
(pØ), e una parte della D di mercato è servita dalle imprese marginali.

- A questo prezzo ogni impresa marginale ottiene profitti uguali a zero
- L’ammontare prodotto dalle imprese marginali dipende dalla struttura dei costi dell'impresa
dominante (cioè doce MCd interseca la curva dei MR), che determina la output dell'impresa
dominante Qd. Allora, nel loro insieme, le imprese marginali producono un livello di output Qf =
(Q - Qd).
- Perciò, se le imprese marginali entrano nel mercato ogni volta che sì possono ottenere profitti
positivi, quella dominante non può far pagare un p > al costo medio minimo di un'impresa
marginale.
L’impresa dominante potrà realizzare profitti positivi (mentre le imprese marginali sono solo in
pareggio).
(Nota: In precedenza abbiamo visto che se l'entrata non è possibile il p dell'impresa dominante è
fissato a un livello superiore a pØ. In questo caso, in cui l'entrata è possibile, il prezzo di equilìbrìo
è (pØ) e i consumatori ottengono il beneficio di un prezzo più basso proprio grazie alla libertà di
entrata.

2) se il MC dell'impresa dominante è inferiore (MC*d nella Figura 4.7b), il p di equilibrio è così basso
che nessuna impresa marginale rimane nell'industria.

Ad un p così basso nessuna impresa marginale rimane nell’industria e l’impresa dominante è
monopolista.
CAPITOLO 5 – I CARTELLI

- In tutti i modelli di oligopolio, le imprese oligopolistiche hanno un incentivo ad accordarsi


(colludere) per ridurre l’output al livello di monopolio e massimizzare i profitti complessivi:
àcooperazione tacita strategia cooperativa in condizioni di gioco ripetuto anche in assenza di
accordi espliciti.
àaccordo di cartello impegno formale tra le imprese per <q e >p.
- Un cartello è un'associazione tra imprese che decide esplicitamente di coordinare la
definizione dei prezzi o del livello di produzione. Un cartello che comprende tutte le imprese
appartenenti a un'industria forma un vero e proprio monopolio, e le imprese che ne fanno parte si
dividono i relativi profitti.
- I cartelli riducono il surplus totale ( l'incremento di surplus dei produttori è < della perdita di
surplus per i consumatori): minore efficienza nell'allocazione delle risorse.

Fortunatamente per i consumatori, benché le imprese abbiano un incentivo a coordinare le attività
per limitare l'output e aumentare i prezzi, ogni membro del cartello ha un incentivo a "scartellare",
ossia ogni impresa è tentata a produrre più di quanto stabilito nell'accordo (cartelli tendono a
infrangersi).

In questo caso il cartello può comportarsi come un'impresa dominante che si trova di fronte a un
insieme di imprese marginali di tipo concorrenziale (come abbiamo visto nel Capitolo 4 l'entrata di
nuove imprese marginali di tipo concorrenziale può portare alla distruzione del potere di mercato di
un'impresa dominante o di un cartello). Pertanto è possibile affermare che solo i cartelli stabili e che
operano in industrie in cui l'entrata è difficile possono mantenere il loro potere di mercato per
periodi di tempo tendenzialmente lunghi.

Perché si formano i cartelli?


Perché quando l'impresa entra a far parte di un cartello i suoi profitti dovrebbero salire?

- Nel caso della concorrenza ogni impresa considera il vantaggio che trae da una riduzione del
proprio output, ma non tiene conto degli eventuali guadagni delle altre imprese, che beneficiano
della diminuzione dell'output complessivo dell'industria, dato che una riduzione fa aumentare il
prezzo. - Un cartello invece tiene conto dei benefici per tutti i suoi membri derivanti dalla riduzione
dell'output di ciascuna impresa. Dì conseguenza un'industria concorrenziale (in cui ogni impresa
ignora il beneficio collettivo derivante dalla propria riduzione dell'output) produce più output di un
cartello.

I vantaggi del cartello: dimostrazione grafica.


-Illustriamo la natura di questo vantaggio collettivo del cartello (per tutte le imprese che aderiscono).
-Consideriamo due casi opposti:
1) innanzitutto supponiamo che un'industria sia costituita da molte imprese concorrenziali tutte
uguali, ciascuna delle quali non fissa il prezzo.
2) Poi ipotizziamo invece che tutte le imprese si uniscano per formare un cartello e operino
quindi come un monopolista.

57
-La Figura 5.la mostra la curva di MC di un’impresa tipica. La somma delle curve di costo
marginale delle singole imprese è la curva di offerta dell'industria, rappresentata nella Figura 5.lb (e
denominata MC) insieme alla curva di domanda dell'industria (D).
- L'output concorrenziale, Qc, è determinato dall'intersezione tra la curva di offerta (MC) e la curva
di domanda dell'industria (Figura 5.lb), ciascuna impresa produce qc unità di output (Figura 5.la) e
il prezzo dell'industria è pari a pc.
- Perché conviene al cartello ridurre l'output rispetto al livello concorrenziale?
In corrispondenza dell'output concorrenziale Qc il MC del cartello è maggiore dei ricavi marginali
(Figura 5.1b). àAl cartello conviene perciò ridurre l'output fino a quando i RM = MC, condizione
che garantisce la massimizzazione dei profitti.
Il cartello aumenta i profitti riducendo l'output complessivo a Qm dove MR è uguale a MC ed il
prezzo sale a pm.
- Poiché il cartello è costituito da n imprese tutte uguali, tale soluzione comporta che ciascuna
impresa riduca l'output a qm = Qm/n. In questo esempio le imprese si dividono equamente i profitti
aggiuntivi.
-Ma allora, perché ogni impresa concorrenziale non riduce il proprio output al di sotto del livello
concorrenziale? Perché in condizioni di equilibrio ogni impresa concorrenziale pone i RM = MC e
non ha incentivo ad abbassare ulteriormente l'output (se dovesse ridurre l'output di una unità,
perderebbe profitti perché il ricavo marginale sull'ultima unità prodotta (il prezzo) supererebbe il
costo marginale) perciò ogni impresa concorrenziale massimizza ì profitti al livello di output
concorrenziale,
- Il vantaggio connesso al coordinamento delle attività deriva dalla leggerissima pendenza della
curva di D dell'impresa concorrenziale (benché gli economisti affermino spesso che ogni impresa
concorrenziale agisce come se si trovasse di fronte a una curva di domanda orizzontale, e che
quindi non può aumentare il prezzo, riducendo l'output) à un'impresa concorrenziale che smette
di produrre fa aumentare di un piccolo importo il prezzo dell'industria. Questa leggera pendenza
può essere ignorata quando si parla di una singola impresa, ma non può essere giustamente
ignorata quando sì prendono in considerazione tutte le imprese congiuntamente.

Un'impresa concorrenziale ignora i benefici che essa reca alle altre imprese quando riduce il
proprio output e in questo modo fa salire il prezzo di mercato; essa non attribuisce alcun valore a
questi benefici. Essi sono un'esternalità

Internalizzazione delle esternalità positive in caso di cartello.
Operando in modo coordinato, i membri del cartello traggono vantaggio dalle riduzioni di output di
ciascuna impresa. Quando tutte le imprese appartengono al cartello, tutti i guadagni derivanti dalla
riduzione dell'output e dall'aumento del prezzo vengono attribuiti al cartello, che provvede a
ripartirli fra i membri. In questo caso l'esternalità creata da ciascuna impresa nel ridurre l'output è
stata "internalizzata" dal cartello, al quale conviene quindi ridurre l'output totale sotto il livello
concorrenziale, anche se non conviene a ogni impresa concorrenziale ridurre individualmente
l'output.

58
Ma ad un’impresa concorrenziale conviene oppure no entrare in un cartello?

La risposta non è univoca: il massimo per l’impresa sarebbe lasciare che tutte le altre imprese
dell'industria diano vita al cartello, di cui essa non farebbe parte.
à in questo caso si avrebbe una limitazione dell'output, un aumento del prezzo, e l’impresa
potrebbe scegliere liberamente il livello produttivo che massimizza il profitto. Ma ogni altra
impresa del settore fa esattamente lo stesso ragionamento.
Supponiamo però che le altre imprese dicano all’impresa concorrenziale che, se essa non
parteciperà al cartello, nessun'altra impresa si unirà al cartello e limiterà l'output. In questo caso
all’impresa concorrenziale converrà entrare nel cartello (che permette di fissare un prezzo più alto e
di ridurre la produzione) a patto che la perdita attesa dovuta alla scoperta da parte dello stato è
sufficientemente bassa.
Tuttavia ogni impresa del cartello ha interesse a produrre più output dì quanto previsto dall'accordo di
cartello e se tutte ragionassero in questi termini il cartello si infrangerebbe, dato che il successo di un
cartello si fonda sulla capacità di far rispettare l'accordo.
àLa Figura 5.1 spiega perché un'impresa ha l'incentivo a scartellare.
Come è stato illustrato in precedenza, i membri del cartello convengono dì limitare l'output a Qrn,
in modo da far salire il prezzo a pm, il prezzo di monopolio. La Figura 5.1a mostra le curve di costo
di una delle n imprese identiche dell'industria (e del cartello).
Il cartello vuole che ogni impresa produca qn= Qm/n di output. Ma al prezzo, pm, l'impresa
concorrenziale può massimizzare i profitti producendo q* unità di output (il punto in cui la sua
curva dei costi marginali è uguale a pm).
Perciò la soluzione ottimale per un impresa del cartello è quella di limitare l'output a q*, fermo
restando che le altre imprese continuino a produrre qm.
I cartelli hanno scarso effetto sui prezzi se i membri non collaborano.

Fattori che influenzano la formazione di cartelli


59
Una volta formato un cartello, il successo dello stesso dipende dalla capacità di far rispettare l'accordo
tra quanti vi partecipano, e dalle difficoltà di ingresso di nuove imprese all'interno dell'industria che
attua i cartelli.

Tre sono i fattori, che determinano la formazione di un cartello:


a)Domanda poco elastica: infatti più anelastica è la curva di domanda (verticale rispetto al p
attuale) cui si trova di fronte un cartello, più elevato è il prezzo che il cartello può fissare
consentendo > Ricavi e > π (riduzione della domanda, in %, è minore rispetto all'aumento del p).
La possibilità di fissare p alti dipende anche da:
à esistenza di sostituti stretti dei beni prodotti dal cartello;
à presenza di barriere all'ingresso di nuove imprese

b) La punizione attesa bassa: l’aspettativa di pagare multe elevate riduce gli incentivi alla
formazione di un cartello.
c) Costi di coordinamento bassi: Il costo di formazione e attuazione di un accordo deve essere
basso rispetto ai guadagni attesi.
Quattro fattori contribuiscono a mantenere basso il costo organizzativo, facilitando la creazione di un
cartello.
1) poche imprese devono essere coinvolte

Organizzare un incontro segreto senza che le autorità governative ne vengano a conoscenza è
relativamente facile quando poche imprese sono coinvolte.

2) l'industria deve essere altamente concentrata



Se alcune grandi imprese effettuano la maggior parte delle vendite in un'industria e se esse
coordinano le loro attività, possono aumentare il prezzo senza dover coinvolgere tutte le altre
imprese (più piccole) del settore.

3) tutte le imprese devono produrre un bene omogeneo



- Le imprese hanno più difficoltà ad accordarsi sui prezzi quando il prodotto di ogni impresa
ha qualità o proprietà diverse, perché, ogni volta che il prezzo viene modificato, devono essere
stabiliti i nuovi prezzi relativi.
- Per un cartello è più facile individuare le deviazioni dall'accordo quando si deve esaminare
solo un prezzo uniforme, mentre è relativamente difficile individuare un taglio segreto dei prezzi
ottenuto mediante un miglioramento della qualità; un'impresa potrebbe infatti migliorare la qualità,
mantenere costante il prezzo, e in questo modo aumentare le vendite senza violare espressamente
l'accordo sui prezzi.

4) deve esistere un'associazione di categoria.



Le associazioni di categoria, abbassando i costi relativi alle riunioni e al coordinamento delle attività
tra l'e imprese, facilitano la creazione e l'attuazione di cartelli.

60
Elementi di individuazione di possibili deviazioni dall’accordo di cartello. Vediamo
i fattori che contribuiscono ad individuare possibili deviazioni.
• Presenza di poche imprese nell'industria;
à un numero relativamente ridotto di imprese consente un maggior controllo sulle quantità
vendute. Le verifiche empiriche hanno smentito in parte questa ipotesi.

• Rendere noti i prezzi di ciascuna impresa a tutti i membri del cartello consente di scoprire più
facilmente possibili deviazioni.
à Specialmente se un' industria presenta frequenti variazioni della domanda, dei costi dei
fattori di produzione o di altro genere e i prezzi del settore subiscono frequenti adeguamenti. In
tal caso le deviazioni rispetto a un accordo di cartello possono essere difficili da individuare,
perché esse non sono facilmente distinguibili da altri fattori (esogeni) che provocano una
fluttuazione dei prezzi;

• Lo stato può aiutare ad identificare le deviazioni


àspesso infatti riporta riporta il risultato degli appalti sui contratti pubblici, perciò le deviazioni
possono essere immediatamente individuate

• Se alcune imprese sono integrate verticalmente (la stessa impresa produce i fattoti di
produzione, realizza il prodotto e lo vende al dettaglio) può essere difficile per il cartello
stabilire a quale punto della catena si verifica la deviazione.
Se invece tutte le imprese vendono allo stesso tipo di cliente (per esempio al. dettaglio), il
comportamento sleale è più facile da individuare.

Fattori che assicurano il mantenimento del cartello.


In determinate circostanze un cartello può trovare facile attuazione:
Ø la curva dei MC dei membri del cartello è relativamente anelastica

Se la sua curva dei costi marginali è quasi verticale, l'impresa non ha molto incentivo a deviare
dall'accordo, perché le costa troppo aumentare in modo sostanziale l'output.
È probabile che le curve di costo marginale siano pressoché verticali se le imprese operano a un
livello prossimo alla piena capacità

Ø se CF sono relativamente bassi rispetto ai CT



Se invece un'impresa sostiene CF elevati per costruire uno stabilimento, in cui successivamente la
produzione avviene a un MC costante per qualsiasi livello di output fino al raggiungimento della
piena capacità produttiva degli impianti. Questa impresa ha un'elevata capacità produttiva
inutilizzata quando la domanda diminuisce e ha, quindi, un forte incentivo ad abbassare il prezzo al
di sotto di quello previsto dal cartello per aumentare le vendite.

Ø se i clienti effettuano ordinativi piccoli e frequenti oppure se hanno lo stesso agente di


vendita.

- Se in un'industria ci sono molti clienti che effettuano piccoli acquisti, nessuna impresa ha un
incentivo ad abbassare i prezzi al di sotto del livello fissato dal cartello. Se lo fa senza annunciare la
riduzione, è improbabile che altri clienti apprendano della diminuzione dei prezzi e quindi le
vendite non saliranno di molto.

61
Al contrario, quando pochi clienti fanno ordinativi cospicui e infrequenti, un cartello ha difficoltà a
individuare e impedire le deviazioni dagli accordi.
- I cartelli legali cercano di impedire le deviazioni esigendo che un singolo agente venda
l'output di tutte le imprese.

Metodi per prevenire le deviazioni.


§Decidere su altri fattori oltre il prezzo.
àPer impedire le deviazioni, i cartelli devono accordarsi su altri fattori oltre che sul prezzo
di vendita.

§Dividere il mercato.
à Alcuni cartelli riescono a impedire le deviazioni assegnando a ciascuna impresa certi
acquirenti o zone geografiche, il che consente la facile individuazione delle deviazioni.

§ Mantenere fisse le quote di mercato


àsi fa in modo che i membri del cartello siano d'accordo sul mantenere fisse le quote di mercato
(per esempio ai livelli precedenti alla formazione del cartello).
Finché le, quote di mercato sono facilmente osservabili, nessuna impresa è incentivata a ridurre
il prezzo: se lo facesse, la sua quota di mercato aumenterebbe e le altre imprese avvierebbero la
conseguente rappresaglia.

§ Inserire nell’accordo clausole del tipo” garantiamo il prezzo più basso”.


àUna clausola del tipo “ garantiamo il prezzo più basso” in un contratto di fornitura lungo
termine oppure in un annuncio pubblicitario garantisce all'acquirente che, se un'altra impresa
offre un prezzo inferiore, il venditore gli venderà il bene allo stesso prezzo oppure lo libererà
dal contratto. Tale clausola rende difficili le deviazioni, perché gli acquirenti hanno l'incentivo
a informare i membri del cartello dell'esistenza di eventuali prezzi inferiori.

§ Stabilire i prezzi d’ intervento (trigger price).


Tutti i membri del cartello potrebbero convenire che se il prezzo di mercato scende oltre un
certo livello (detto prezzo di intervento), ogni impresa espanderà l'output al livello di quello
precedente il cartello, cioè abbandoneranno l'accordo di cartello. In questo caso un'impresa che
riduce il prezzo realizzerebbe un maggior profitto nel brevissimo periodo, ma anche una perdita
complessiva a causa della distruzione del cartello.
Le imprese potrebbero anche convenire di comportarsi in modo concorrenziale solo per un
periodo di tempo prefissato e di tornare poi al comportamento previsto dall'accordo, cosicchè
una fluttuazione casuale del prezzo non porterebbe alla distruzione del cartello.
In definitiva nessuna impresa può avere interesse a ridurre i prezzi poiché realizzerebbe solo
maggiori profitti nel breve periodo e nel complesso una perdita da distruzione del cartello.

Deviazioni dal cartello e benessere dei consumatori.


In precedenza abbiamo affermato che le imprese che formano un cartello sono incentivate a deviare
dall'accordo à in questo modo produrrebbero più del livello stabilito àquesto farebbe abbassare il
prezzo di mercato à ciò aumenterebbe il benessere dei consumatori.

62
Vediamo un esempio con funzioni lineari che ci permette di evidenziare gli effetti del mancato
rispetto delle regole di cartello da parte di alcune imprese.

- In questo esempio l'industria è composta da 50 imprese con funzioni di costo identiche,


supponiamo inoltre che in questo settore non possono entrare altre imprese.
- Delle 50 imprese presenti, j = 20 imprese non seguono l'accordo di riduzione dell'output; esse
producono quanto desiderano e sono price maker.
- Il cartello rappresenta un'impresa dominante che concorre con imprese marginali di tipo
concorrenziale (come è stato presentato nel Capitolo 4)
- La Dr cui si trova dì fronte il cartello si ottiene sottraendo dalla D di mercato la curva di
offerta delle imprese marginali.
à La Figura 5.2b mostra la curva di Dr (linea continua) che si trova sotto la curva di D del mercato
(linea tratteggiata) ai prezzi superiori al livello di chiusura delle imprese concorrenziali (p = 10).
(Nota: poiché le imprese del cartello hanno le stesse funzioni di costo di quelle non appartenenti al
cartello, neppure quest'ultimo può permettersi di produrre al di sotto di p =10, perciò la parte inferiore
della curva di domanda residuale non interessa).
- Il cartello che massimizza i profitti sceglie il proprio output, 240, nel punto in cui RM = MC
come indicato nella Figura 5.2b. à Questo output determina il prezzo delle imprese che appartengono
al cartello, 24, al quale il prodotto delle imprese che non appartengono al cartello è 280, come mostra
la Figura 5.2a.
- La Tabella 5.2 mostra le conseguenze sulle soluzioni di equilibrio di una variazione del
numero di imprese che appartengono al cartello.

63
- L'industria si trova in equilibrio concorrenziale se tutte le 50 imprese operano in modo
indipendente e rifiutano di entrare a far parte del cartello (j = 50).
à Il prezzo di mercato concorrenziale è allora più basso
à il surplus del consumatore e il benessere totale risultano massimizzati
- Invece se tutte le imprese entrano nel cartello (j = 0), il cartello è un monopolio.
àIl p di monopolio è > e la q sarà < e π maggiori di quelli concorrenziali.
àsi avrebbe anche < surplus del consumatore e < benessere sociale (perdita secca)
- In definitiva i consumatori traggono beneficio se le imprese rifiutano di far parte di un cartello. Se
anche una sola impresa rifiuta di far parte del cartello, i consumatori se ne avvantaggiano grazie a <
p.

64
CAPITOLO 6 – L’OLIGOPOLIO

Definizione di oligopolio
- Con questo termine intendiamo definire quei mercati in cui è presente un numero ridotto di
imprese medio grandi che operano in modo indipendente, essendo però consapevoli l'una
dell'esistenza dell'altra. Ossia le decisioni di una impresa oligopolista influenzano il
comportamento e il risultato delle altre (A differenza del monopolio e della concorrenza).
L'oligopolio quindi differisce dalla concorrenza in quanto un'impresa deve tenere conto del
comportamento dei rivali per stabilire quale sia la strategia ottimale da seguire.
- Ruolo fondamentale dei meccanismi strategici di interazione fra le imprese: la teoria dei giochi.
- I modelli di oligopolio (Cournot, Bertrand e Von Stackelberg) costituiscono “giochi” di
strategie ( scelta di output e p) delle imprese, basati sulle aspettative di comportamento di altre
imprese e finalizzati alla massimizzazione del π (vincita) attraverso l'eguaglianza tra MC e RM
atteso.

Ipotesi di base comuni nei modelli di oligopolio.


1) Il p è un dato per i consumatori.
2) Tutte le imprese producono prodotti omogenei (identici).
3) Barriere all’ingresso nell'industria, permettono che il n. di imprese rimanga costante nel tempo.
4) Le imprese nel loro insieme hanno potere di mercato: possono fissare il p > MC.
5) Ogni impresa stabilisce solo il prezzo o l'output (non la pubblicità o altre variabili).

Elementi di differenziazione nei modelli di oligopolio.


a) Tipologia di azioni svolte dalle imprese (per esempio fissare i prezzi o gli output). - fissare i
p (Bertrand)
- fissare le q ( Cournot e Von stackelberg)
b) per l'ordine con cui tali azioni possono essere svolte.
- contemporaneamente alle altre imprese (Cournot e Bertrand)
- priorità di un’impresa sulle altre (Von Stackelberg)
c) Per la durata del gioco
- Modelli uniperiodali, cioè di un solo periodo (Cournot, Bertrand e Von Stackelberg). Es.
mercato rappresentato da una fiera dei prodotti artigianali, di durata di un solo giorno, in cui
tutte le imprese dì un paese si incontrano soltanto una volta.
- Modelli multiperiodali, cioè di piu’ periodi: es. 2 negozi ubicati vicino che concorrono tra loro
giorno dopo giorno.

A)I modelli di oligopolio uniperiodali (o statici).


Si tratta di modelli adeguati per mercati che durano solo per brevi periodi di tempo.
Tutti i modelli di oligopolio uniperiodali utilizzano il concetto di equilibrio di Nash ( un insieme
di strategie e definito equilibrio di Nash se, mantenendo costanti le strategie di tutte le altre

65
imprese, nessuna impresa può ottenere una vincita (profitto) maggiore variando la propria
strategia. Ne consegue che in un equilibrio di Nash nessuna impresa vuole cambiare strategia.

1)Il modello di Cournot


Cournot (1963) ipotizza che ciascuna impresa agisce in modo indipendente e tenta di massimizzare i
profitti scegliendo il proprio livello di output.
Per ogni livello di output concorrente previsto, ogni impresa fisserà il proprio livello di output ottimale
(funzione di reazione o di risposta ottimale).
L'analisi inizia con il caso del duopolio, e passa poi a considerare cosa accade al crescere del numero
delle imprese.

Un duopolio alla Cournot


Le ipotesi alla base del modello sono:
v Nessuna entrata: solo due imprese sono attive e non è possibile l'entrata di un'altra impresa.
v Omogeneità del prodotto industriale: le imprese producono prodotti identici (omogenei), perciò
Q = q1 + q2
v Un solo periodo: questo mercato e le 2 imprese sono attive per un solo periodo.
v Domanda del mercato è una funzione lineare del prezzo: ed è data da Q=1.000-1.000p (6.1)
v Costi: ogni impresa ha un MC costante e CF = 0 (dunque MC = AC).
v Ogni impresa è in grado di produrre un livello di output sufficiente a servire l'intera domanda
di mercato.

Quale strategia dovrebbe usare l'impresa 1 per scegliere il suo livello di output?
- La risposta dipende da quello che l'impresa 1 ritiene sarà il comportamento dell'impresa 2.

66
- Se l'impresa 1 è convinta che l'impresa 2 venderà q2 meloni, può stabilire la quantità q1 che
massimizza il suo profitto.
à L'impresa 1 può vendere una quantità pari alla D del mercato, meno q2, in altre parole, essa affronta
una curva di domanda residuale data da: q1=Q(p) -q2 (6.2)
- Come mostra la Figura 6.1, la curva di Dr sì ottiene spostando verso sinistra di q2 unità la
curva di D del mercato. Quindi la curva di Dr interseca l'asse orizzontale a 760 (1.000 – 240,
visto che supponiamo che q2 = 240).
- L'impresa 1 ha un monopolio su quei consumatori la cui domanda non è soddisfatta
dall'impresa 2 e per massimizzare il suo profitto produce il livello q1, che corrisponde al punto in
cui la curva dei RM basata sulla curva di Dr interseca la curva dei MC.
- I livelli di q1 che massimizzano i profitti in corrispondenza delle diverse aspettative in
merito al valore di q2 sono:

67
-Possiamo riassumere il rapporto tra la quantità che massimizza i profitti dell'impresa 1 e la
quantità dell'impresa 2 con un'equazione: q1 = Rl (q2) (6.3) che viene definita funzione di
risposta ottimale (o funzione di reazione), che mostra la migliore azione da parte di un'impresa
date le sue convinzioni sull'azione dell'impresa rivale.
à Per derivare la funzione di risposta ottimale è necessario esprimere algebricamente il punto in cui
si ha l'intersezione tra la curva dei RM e la curva dei MC.
§ La curva di Dr dell'impresa 1 è lineare, perciò anche la curva dei RM è lineare e ha il
doppio della pendenza della curva di Dr; dunque la curva RM taglia l'asse della quantità
a metà della quantità della curva di Dr (si veda il Capitolo 4).
§ Nella Figura 6.1, dove q2 è uguale a 240, la curva di Dr interseca la curva orizzontale
MC a q1 = 480 ( In generale, la curva di Dr interseca la curva dei MC a 720 - q2 (720
perché la D di mercato interseca MC a q = 720).
§ La curva dei RMi relativi alla curva di DR interseca la curva dei costi marginali a metà di
720 - q2, o nel punto in cui q1 = 2401

àQuindi la funzione di risposta ottima dell'impresa 1 è: q1= R1 (q2) = 360 – q2/2 (6.4)

1
Se l'impresa 2 produce q2 = 240, la curva di Dr della prima impresa è q1 = Q (p) – q2 = (1.000 -
l.000p) - 240 = 760 – 1.000p, oppure p = 0,76 - 0,001q1. Perciò, il ricavo della prima impresa è
R = pq1 = 0,76q1 – 0,001q12, sicché la funzione di ricavo marginale residuate è dR/dq1 = 0,76
0,002q1. Il ricavo marginale residuale è pari al costo marginale dove 0,76 - 0,002q1 = 0,28 à q1
=240.
68
- Come indicato nella Figura 6.2. Se q2 = 0, l'impresa 1 produce q1 = R1 (0) = 360, il livello di
output di monopolio. La curva di Dr di un'impresa che opera alla Cournot e che non fronteggia
alcuna concorrenza è la curva di D del mercato. Poiché quest'ultima interseca la curva dei MC a 720
à allora la curva dei ricavi marginali di monopolio taglia la curva dei costi marginali a metà di
quella quantità, cioè a 360.
Viceversa, l'impresa 1 cessa di produrre se ritiene che q2 = 720.
- La funzione di risposta ottimale dell'impresa 2 è derivata in modo analogo. Le imprese sono
identiche (stessi costi, prodotti omogenei), perciò la funzione ottimale dell'impresa 2 è speculare
rispetto a quella dell'impresa 1, ovvero: q2 = R2(ql) = 360 – q1/2 (6,5)
- Come mostra la Figura 6.2, le funzioni di risposta ottimale delle due imprese si incontrano
una sola volta nel punto in cui q1 = q2 = 240

Equilibriodi Cournot.
Il punto di intersezione (di coordinate 240, 240) delle funzioni di risposta ottimale è detto
equilibrio di Cournot. In questo tipo di equilibrio ogni impresa vende la quantità che massimizza i
suoi profitti date le sue aspettative (corrette) sulla scelta dell'output dell'altra impresa, ossia
questa è la risposta ottimale al livello di output dell'altra impresa.
Un'impresa non è disposta a produrre in un punto che non si trovi sulla sua funzione di risposta
ottimale, perché farlo significherebbe ottenere un profitto inferiore. L'unico punto in cui entrambe
le imprese si trovano sulla propria funzione di risposta ottimale è dato dall'intersezione tra le
rispettive funzioni. Un punto in cui non si ha intersezione non può essere un equilibrio.

Nell'equilibrio di Cournot, l'output totale del mercato è 240 + 240 = 480 e il prezzo è 0,52.
In un modello uniperiodale in cui le imprese scelgono solo i livelli di output, qualsiasi livello di output
tale per cui nessuna impresa ha incentivo a cambiare è, per definizione, un equilibrio di Cournot.
69
Nota: Poiché l'equilibrio di Cournot è un caso particolare dell'equilibrio di Nash, in cui le imprese
hanno strategie relative alle quantità, esso viene spesso definito equilibrio di CournotNash o
equilibrio di Nash nelle quantità.

Confronto tra l'equilibrio di Cournot e l'ottimo sociale.(DA INTEGRARE CON GRAFICO


QUADERNO)
Qual è l'esito del confronto tra l'equilibrio di Cournot e quello dell'ottimo sociale, in cui il p = MC
(come accade nell'equilibrio concorrenziale)?

Se entrambe le imprese fissano un p =MC, ossia 0,28, ottengono π =0 per ogni bene venduto (Ottimo
sociale).
Ad un prezzo di 0,28 sono domandati dal mercato 720 beni (questo viene determinato
dall'intersezione tra la curva MC e la curva di domanda del mercato nella Figura 6.1). Se le
imprese dividessero le vendite totali, ciascuna di esse produrrebbe 360 beni, creando surplus per il
consumatore.
L'equilibrio del duopolio alla Cournot si trova quindi tra quello concorrenziale e quello monopolistico.

70
Tre o più imprese nel modello di Cournot
- Se ci sono n >= 2 imprese identiche, si può utilizzare lo stesso tipo di analisi per derivare
l'equilibrio di Cournot.
- La funzione di risposta ottimale dell'impresa 1 è q1 = R1 (q2,...,qn).
- Se le altre (n - 1) imprese producono una quantità identica di output, q, la funzione di risposta
ottimale dell'impresa 1 è q1 = 360 - q(n - 1)/2. Le altre imprese hanno funzioni di risposta
ottimale simili, e la quantità di equilibrio di Cournot sarà distribuita tra n imprese. - Al crescere
del numero delle imprese:
§ciascuna di esse produrrà < output § cresce
l'output complessivo dell'industria § quindi
scende il prezzo.
- Se il numero di imprese è estremamente grande, l'output per impresa, il prezzo dell'industria e
l'output dell'industria si avvicinano ai livelli socialmente ottimi. I consumatori godono di un
maggiore benessere (hanno prezzi inferiori e un surplus maggiore) e le imprese ottengono π
inferiori al crescere del numero di imprese.
- In sintesi, il modello di Cournot contempla come casi estremi il monopolio e la concorrenza e
la sua soluzione di equilibrio si avvicina all’equilibrio concorrenziale al crescere del numero
delle imprese.

2)Il modello di Bertrand


- Critiche al modello di Cournot: imprese fissano i p e non le q (Cournot, facendo scegliere alle
imprese l'output e non il prezzo, non riesce a spiegare esplicitamente il meccanismo mediante il
quale vengono determinati i prezzi).
-Nel modello di Bertrand le imprese fissano i p anziché q.
Se i consumatori hanno informazioni complete e si rendono dunque conto che le imprese producono
prodotti omogenei, acquisteranno dall'impresa che fissa il p più basso.
Nel modello di Bertrand ogni impresa ritiene che il p del rivale sia fisso; in questo modo, con un
leggero taglio dei p, l'impresa è in grado di servire tutto il mercato, sottraendo al rivale la sua
quota di mercato.
Nell'equilibrio di Bertrand, come vedremo in seguito, le imprese ottengono π = 0 e nessuna può
incrementarli aumentando o diminuendo il p
à In altre parole, il p di equilibrio, se esiste, è pari a quello dell'ottimo sociale (equilibrio
concorrenziale).

Un esempio.
- Per illustrare l'equilibrio di Bertrand facciamo le stesse ipotesi dell'esempio di Cournot:
(nessuna entrata; prodotti omogenei; periodo unico; stessa curva di domanda (che possiamo
riscrivere come p = 1- 0,001 Q); stesso MC costante pari a 0,28).
71
L'unica variazione importante è che le imprese ora fissano i p invece delle q.
Ogni impresa è disposta a vendere la q richiesta al p che essa ha fissato.

- Supponiamo che l'impresa 1 pratichi un prezzo p1 > MC (che è 0,28).


à Se l'impresa 1 riesce a vendere a questo p ottiene un π positivo.
- Poiché entrambe le imprese producono prodotti identici avremo che:
Ø Se p2 < p1 à tutti i consumatori acquistano dall'impresa 2 e dunque la curva di Dr (la linea
più spessa) dell'impresa 2 è 0 quando p2 > pl
Ø Se p2 > p1 à nessuno acquista dall'impresa 2 e dunque la Dr dell’impresa 2 è uguale a
D del mercato
Ø Se p2 = p1à I consumatori sono indifferenti tra le due imprese e dunque Dr dell’impresa 2
è orizzontale
- Se entrambe le imprese praticano lo stesso p, supponiamo che si spartiscano l'intera D del
mercato in parti uguali. Nella Figura 6.4 dove la domanda dell'impresa 1 è orizzontale (con p2
= p1), metà linea orizzontale è tratteggiata per indicare che l'impresa 1 vende solo meta, della
quantità totale richiesta.
- Quando entrambe le imprese fissano un p pari al MC di 0,28, nessuna delle due ottiene un
incremento nei profitti modificando il p. (Se un'impresa abbassa il prezzo ottiene una perdita
(perché il prezzo è inferiore al costo marginale e medio); se una delle due imprese aumenta il
prezzo, non vende nulla).

L'unico possibile equilibrio di Bertrand o equilibrio di Nash nei prezzi è p = MC = 0,28. -
Questo risultato è illustrato nella Figura 6.5, utilizzando le funzioni di risposta ottimale nello
spazio dei prezzi (sugli assi abbiamo i p delle imprese).

72
- Dato un qualsiasi prezzo p1 che l'impresa 2 ritiene sarà praticato dall'impresa 1, l'impresa 2
vuole fissare un prezzo p2 < di p1 ma nello stesso tempo > di MC, vale a dire che la funzione di
risposta ottimale dell'impresa 2 si trova leggermente sotto la bisettrice degli assi (lungo la quale
i due prezzi sono identici) a partire dal punto con coordinate (0,28, 0,28).
- Analogamente, la funzione di risposta ottimale dell'impresa 1 si trova leggermente al di sopra
della bisettrice degli assi e sopra 0,28.
- Se l'impresa 1 fissa p1 sotto 0,28, l'impresa 2 non reagisce perché non può ottenere un profitto.
- L'unica intersezione di queste funzioni di risposta ottimale (e quindi l'unico equilibrio) si ha
nel punto in cui il p = MC.
àin questo caso le imprese ricavano π = 0, perciò l'equilibrio di Bertrand per beni omogenei
coincide con quello che porta all'ottimo sociale (l'equilibrio concorrenziale), e i consumatori
preferiscono l'equilibrio di Bertrand a quello di Cournot o di cartello.
- Dunque in situazione di equilibrio i duopolisti, non cooperando e seguendo comportamenti
tipicamente concorrenziali, fissano un p favorevole solo ai consumatori (paradosso di
Bertrand) e dannoso per entrambi.

Aspetti critici del modello (generati dalle ipotesi di base scarsamente presenti nella realtà).
a) Omogeneità del prodottoà se le imprese differenziano i loro prodotti, il p di equilibrio del
modello di Bertrand > del MC.
b) Mercato dura un solo periodoàse i mercati durano per più periodì, il p di equilibrio si
avvicinerà probabilmente al prezzo di monopolio (anche se le imprese fissano i prezzi invece
delle quantità).
Da ciò: convenienza per i giocatori ad assumere un atteggiamento cooperativo,
diversamente da quanto sostenuto da Bertrand, in relazione al quale il p di vendita
comune si manterrà > MC ( in caso di non cooperazione, battaglia di p e π = 0).
c) Capacità produttiva illimitataà p pari al costo marginale non è più un equilibrio di
Bertrand se le imprese hanno capacità produttiva limitata.

I vincoli di capacità nel modello di Bertrand: il modello di Edgeworth.

73
- Nel 1897 Francis Edgeworth mostrò che, se le imprese hanno capacità produttiva limitata,
non esiste equilibrio statico di Bertrand con un p unico e le imprese con p bassi non riescono a
soddisfare l’intera D di mercato.
-Illustriamo graficamente un esempio del modello di Edgeworth

- supponiamo che il precedente esempio di Bertrand sia modificato in modo che la capacità
produttiva massima di ciascuna impresa sia 360, pari alla metà della quantità richiesta dal
mercato a un p uguale al MC.
à Ciò significa che:
§al p di 0,28, le curve di AC e MC di ogni impresa sono orizzontali fino a 360 unità e poi
diventano verticali (perché il costo dì produzione dell'unità successiva di output è
infinito).
- Con capacità limitate, anche se la D di mercato (720) viene soddisfatta (360 per ogni impresa),
l'equilibrio originale di Bertrand (pl = p2 = 0,28, Q = 720) non è più un equilibrio.
àPerché vi sia un equilibrio nessuna delle due imprese dovrebbe avere un incentivo a modificare il
proprio p.
Invece all'equilibrio proposto ogni impresa vuole aumentare il p.

↓ vediamo un esempio

Supponiamo che l'impresa 1 ritenga che l'impresa 2 fisserà un prezzo p2 = MC = 0,28.


Quale prezzo dovrebbe fissare l'impresa 1 per max il π?
ü l'impresa 1 non vuole abbassare il p sotto MC perché subirebbe una perdita.
ü Se l'impresa 1 aumenta il p, tutti i consumatori vogliono acquistare dalla impresa 2. Ma
l’impresa 2 ha capacità produttiva limitata e può soddisfare solo metà mercato.
àl’impresa 1 affronta una Dr positiva data da tutti quei consumatori che non possono
acquistare dall'impresa 2, come indicato nella Figura 6.6.
La Dr che affronta l'impresa 1 è la D di mercato meno le 360 unità vendute dall'impresa 2
(in cui solo la porzione che si trova sopra i MC interessa l'impresa 1).
74
L'impresa 1 può max i π agendo come un monopolista in relazione alla propria domanda
residuale. Dunque il suo RM = MC quando il p = 0,46, un livello in cui l'impresa ottiene
profitti positivi (mentre l'impresa 2 ha π = 0).
à Dunque questa scelta migliora il profitto dell’impresa 1 e pertanto l'equilibrio originario di
Bertrand non è un equilibrio quando le imprese hanno capacità limitata. - Ma allora esiste un
altro prezzo di equilibrio?
No non esiste. Se anche l’impresa 1 fissa p = 0,46 o <0,46, le azioni di risposta dell’impresa 2
porteranno alla conclusione che non esiste una condixione di equilibrio stabile, con un solo
prezzo, quando la capacità produttiva è limitata.

3)Il modello di Von Stackelberg.


- Nel modello dì von Stackelberg, le imprese fissano l'output e una di esse agisce prima delle
altre.
- L'impresa leader (per esempio, l'impresa che scopre e sviluppa un nuovo prodotto possiede il
vantaggio della prima mossa) sceglie il proprio livello di output e poi le altre (imprese follower)
sono libere di fissare le quantità ottimali dato l'output del leader (che loro conoscono).

Un esempio
- Supponiamo che l'impresa 2 sia l’impresa follower e che l'impresa 1 sia quella leader.
- l’impresa leader sa che, una volta fissato il proprio output, q1, l'impresa follower userà la sua
funzione di risposta ottimale alla Cournot per scegliere l'output che massimizza i suoi profitti,
ossia q2 = R2 (q1).
- Il leader sceglie quindi q1 in modo da max i suoi profitti soggetto al vincolo che l'impresa
follower sceglierà di produrre un livello di output collocato sulla sua funzione di risposta
ottimale alla Cournot.
- Nell'equilibrio di von Stackelberg il leader ottiene un π maggiore e il follower uno minore
rispetto all'equilibrio di Cournot. In sintesi, sapere in anticipo come si comporterà il proprio
rivale consente al leader di avvantaggiarsi a spese del follower. -Vediamolo graficamente:

75
- Poiché le imprese hanno costi identici, l'impresa 1 conosce la funzione di risposta ottimale alla
Coumot dell'impresa 2, R2 (q1), illustrata nella Figura 6.7b.
à Ciò significa che il leader sa quanto produrrà il follower, perciò può calcolare la combinazione q1
q2 che le consente di max i π, data Q = q1 + q2 la produzione totale.
- Sottraendo l'output del follower dalla D di mercato, il leader calcola la sua curva di Dr (Figura
6.7a) à Il leader sceglie l'output, q1, dove il suo RM (basato sulla sua curva di Dr) è uguale al
MC. L'impresa 1 massimizza i π producendo 360 unità (Figura 6.7a).
L'impresa 2 produce solo 180 unità, un livello di output determinato sostituendo il valore di 360 nella
sua funzione di risposta ottimale (Figura 6.7b).
- In definitiva facciamo un confronto tra l'equilibrio di von Stackelberg e gli altri equilibri:
§ L'output totale del modello di von Stackelberg (540 unità) è > di quello nel modello di
Cournot (480), ma inferiore a quello dell'ottimo sociale (equilibrio concorrenziale, pari a
720)
§ Il prezzo nel modello di von Stackelberg, 0,46, è superiore a quello concorrenziale, 0,28, ma
inferiore a quello di Cournot, 0,52
§ Il surplus del consumatore è quindi più elevato nel duopolio di von Stackelberg, rispetto a
quello che si determina nel modello di Cournot, ma è inferiore a quello corrispondente
all'ottimo sociale.
§ I π aggregati sono = 0 nella situazione di ottimo sociale, maggiori nel duopolio di von
Stackelberg ed ancora piu’ alti nel duopolio di Cournot.
§ L’output complessivo in Cournot è suddiviso tra le 2 imprese in parti uguali, mentre in von
stackelberg le quote sono differenti (2/3 e 1/3)

76
§ Rispetto al modello di cournot, l’impresa 1 realizza π maggiori rispetto all’impresa 2 à
asimmetria informativa, a vantaggio dell'impresa leader che, prevedendo la funzione di
reazione del follone alla sua prima mossa, è in grado di effettuare la scelta più conveniente
per lui e meno vantaggiosa per il follone.

La teoria dei giochi.


Gioco: Un gioco è una particolare situazione di competizione tra giocatori (ossia coloro che
adottano le scelte strategiche, nel nostro caso le imprese) in cui è importante il comportamento
strategico. Ogni impresa elabora una strategia che adotterà per competere con altre imprese. La
vincita di ogni impresa (la ricompensa ricevuta alla fine del gioco, ossia i profitti) dipende dalle
azioni di tutte le imprese.

La teoria dei giochi: La teoria dei giochi analizza le interazioni tra individui razionali che
prendono decisioni e che non sono in grado di prevedere con certezza gli esiti delle loro
decisioni.
I modelli di comportamento oligopolistico possono essere considerati giochi di strategie o di
azioni (quali la determinazione dei livelli di output, di prezzo o di pubblicità). I giochi
oligopolistici presentano tre elementi comuni:
1. Ci sono due o più imprese (giocatori).
2. Ogni impresa tenta di massimizzare il proprio profitto (vincita).
3. Ogni impresa è consapevole che le azioni dei rivali possono influire sul suo profitto.
Il terzo elemento è essenziale: i mercati oligopolistici differiscono da quelli concorrenziali e
monopolistici perché le azioni di ogni impresa influiscono in modo significativo sui profitti dei
rivali. (per esempio: gli oligopolisti possono costituire cartelli allo scopo di svolgere azioni che li
avvantaggiano reciprocamente; ma poiché gli interessi di una singola impresa sono, diversi da
quelli delle altre, l'esito migliore per l'impresa non coincide sempre con l'interesse collettivo).
B)I modelli di oligopolio multi periodale
- Il più importante sviluppo avvenuto recentemente in teoria dei giochi riguarda l'analisi di giochi
ripetuti o multiperiodali.
- In un gioco multiperiodale le imprese possono utilizzare strategie complesse in cui il
comportamento adottato in un particolare periodo (t) dipende dall'esito del gioco in periodi
precedenti (t-1).
(Nota: I giochi ripetuti in cui i giocatori conoscono le azioni svolte dai rivali nei periodi
precedenti e fanno dipendere le azioni da adottare in un periodo dai comportamenti precedenti
vengono definiti supergiochi).
- Il principale vantaggio di un modello multiperiodale à è che consente interazioni più
complesse e realistiche tra le imprese rispetto a un modello uniperiodale.
Per esempio, si potrebbero verificare dei comportamenti che segnalano la volontà di evitare
condizioni di concorrenzialità: un'impresa può segnalare a un'altra che vuole evitare una forte
concorrenza riducendo l'output per alcuni periodi. Se l'altra impresa risponde a sua volta
riducendo l'output, entrambe possono aumentare i prezzi. Se invece una delle due aumenta
l'output, l'altra può vendicarsi incrementando il proprio (e riducendo il prezzo) per un certo
periodo.di tempo, in modo da punire il trasgressore.

77
- Nei modelli multiperiodali, proprio per la possibilità di inviare segnali e di punire i rivali e le
deviazioni, le imprese che, in un modello statico, produrrebbero al livello di Cournot-Nash,
possono limitare ulteriormente l'output e ottenere maggiori π.
àQuesto risultato può essere illustrato mediante un gioco particolare detto "dilemma del prigioniero",
che viene ripetuto un numero infinito di volte.

- Supponiamo che nell'esempio di Cournot fatto in precedenza le imprese possano: §o scegliere
un livello di output collusivo (ognuna produce 180 unità) §oppure scegliere il livello di
Cournot (ognuna produce, 240 unità).
Inoltre le due imprese scelgono e producono simultaneamente.
- Le loro azioni e le loro vincite, che dipendono dalle strategie di entrambe, sono sintetizzate
nella Figura 6.9a.

- il π dell’ impresa 1 è indicato in alto a destra; il π dell’impresa 2 è indicato in basso a sinistra di


ciascun riquadro.
Se entrambe le imprese decidono di produrre 240 unità, ognuna ricava un profitto di 57,60;
se entrambe scelgono di produrre 180 unità, ottengono un profitto di 64,80; etc.
- Ogni impresa deve scegliere la propria azione o strategia senza sapere che cosa farà l'altra, vale
a dire che le imprese sono impegnate in un gioco a informazione imperfetta, in cui
un’impresa si trova a scegliere un'azione senza poter osservare la mossa simultanea (o
precedente) della rivale.

78
- Le opzioni a disposizione dell'impresa 1 sono indicate nella Figura 6.9b, che è la
rappresentazione in forma estesa del gioco.
In questo particolare albero decisionale l'impresa 2 non muove prima dell'impresa 1: le due
imprese muovono contemporaneamente àció significa che l'impresa 1 non sa quale strategia
adotterà l'impresa 2. (Nella figura la vincita dell'impresa 1 è indicata per prima). Come sceglierà
la sua strategia l'impresa l?
Qualunque si la scelta dell’impresa 2, l’impresa 1 ha convenienza a scegliere di produrre il
livello di produzione maggiore (240). Quindi la strategia output elevato è quella che consente
all’impresa 1 di ottenere > π; essa è dunque una strategia dominante (Nella teoria dei giochi,
una strategiasi dice dominante se porta alla vittoria, o per meglio dire alla massimizzazione del
profittoo alla minimizzazione della perdita, il giocatore che la segue indipendentemente dalle
mosse del suo avversario).
-La tabella delle vincite è simmetrica, perciò la strategia output elevato è dominante anche per l'impresa
2.
- Entrambe le imprese utilizzano la strategia output elevato, che rappresenta un equilibrio di
Nash delle strategie (Data la strategia dell'impressa 2, l'impresa 1 non ha incentivo a
modificare la sua e viceversa). Poiché nessuna delle due imprese vuole cambiare strategia di
produzione, data la strategia del rivale, entrambe le imprese producono un output elevato e
questo è un equilibrio di Nash.
- Questo equilibrio non massimizza però la vincita collettiva dei giocatori. Infatti le due imprese
guadagnerebbero di più se potessero collaborare e utilizzare entrambe la strategia output basso
(180, 180).
àSe il gioco viene giocato una volta sola, il suo esito non è ottimale dal punto di vista collettivo
dei giocatori. Questo gioco è denominato dilemma del prigioniero, proprio perché entrambe le
imprese hanno strategie dominanti che portano a un vincita inferiore a quella che esse
otterrebbero collaborando.
- Se il gioco uniperiodale del dilemma del prigioniero viene ripetuto all'infinito aumenta la
probabilità che il p in un dato periodo sia maggiore di quello in un gioco uniperiodale.
Nel gioco uniperiodale del dilemma del prigioniero ogni impresa considerava data la strategia del
rivale e ipotizzava di non poterla influenzare. Se questo gioco viene ripetuto, però, ogni impresa
può tentare di influenzare il comportamento del rivale segnalando e minacciando una punizione.
Poiché entrambe le imprese ottengono un beneficio abbassando il livello di output, hanno un
incentivo a comunicare per evitare il problema del dilemma del prigioniero, che deriva appunto
da una mancanza di cooperazione. Poiché le leggi antitrust considerano illegali le comunicazioni
dirette, le imprese possono cercare di comunicare indirettamente mediante la scelta della
strategia se (e solo se) il gioco viene ripetuto.
Per esempio un'impresa può utilizzare una strategia multiperiodale che consiste nel fissare una
quantità bassa (o un prezzo alto) anche a scapito di ottenere perdite per alcuni periodi, proprio
per segnalare la disponibilità alla collusione.
Analogamente, un'impresa può minacciare dì punire il rivale se non collude.
- Nota: non tutti i giochi multiperiodali portano però alla collusione. Il tipo di equilibrio che si ha
in un gioco ripetuto dipende dall'abilità del giocatore di effettuare minacce efficaci ad altri
giocatori che non intendono collaborare. L'efficacia della minaccia dipende da:

79
§ tasso di interesse àSe i tassi di interesse sono così elevati che i profitti nei periodi futuri
varranno decisamente meno dei profitti correnti, la punizione che verrà adottata in futuro
non ha molta importanza e quindi non produce effetti sulla condotta presente.
§ dalla durata del gioco à Più sono i periodi ancora da giocare, maggiore è la punizione
complessiva che può essere inflitta al trasgressore, dato che essa si può estendere su tanti
periodi.
§ dalla credibilità della minaccia stessa à se la minaccia non è credibile nel senso che l'
impresa 2 non crede che l'impresa 1 infliggerà davvero la punizione nei periodi futuri,
l'impresa 2 ignora del tutto la minaccia.

80
CAPITOLO 7 – DIFFERENZIAZIONE DEI PRODOTTI E CONCORENZA
MONOPOLISTICA

Definizione di concorrenza monopolistica.


Tale struttura di mercato unisce le caratteristiche del monopolio (le imprese hanno potere di
mercato, cioè hanno la capacità di aumentare i prezzi al di sopra del MC perché vendono prodotti
differenziati) e della concorrenza ( strategia dei prezzi, libertà di ingresso di nuove imprese; se le
differenziazioni sono minime, i beni saranno quasi omogenei, la domanda piatta e i π nulli).

Un'industria presenta concorrenza monopolistica se esiste:


§ libertà di entrataàSe le imprese entrano nell'industria ogni volta che esiste la possibilità
di realizzare profitti positivi, nel lungo periodo ogni impresa otterrà un livello di profitti
pari a zero, come in un'industria concorrenziale
§ ogni impresa affronta una curva di Dr (domanda residuale) con pendenza negativaà
l’impresa ha potere di mercato.
Una ragione per cui un'impresa affronta una curva di Dr con pendenza negativa è che i
consumatori considerano il suo prodotto diverso da quello di altre imprese dell'industria.
In molte industrie, infatti, i prodotti sono tipicamente eterogenei o differenziati: i
consumatori li considerano sostituti imperfetti. In questo caso, un'impresa può vendere a
un prezzo superiore a quello dei rivali senza perdere tutti i clienti.
(Nota: a differenza delle industrie con prodotti omogenei o indifferenziati, prodotti
ritenuti identici dai consumatori, che li considerano quindi perfetti sostituti l'uno
dell'altro).

Risultati dell’analisi dell’industria in concorrenza monopolistica.


- Se le imprese producono beni differenziati, l'entrata di una nuova impresa favorisce i consumatori per
due motivi:
1) fa abbassare i prezzi
1) aumenta la varietà dei prodotti tra i quali scegliere.
Entrambi questi effetti sono illustrati nei modelli di concorrenza monopolistica.

Modelli di concorrenza monopolistica (con entrata libera e prodotti differenziati).


Esistono due tipi principali di modelli con entrata libera e prodotti differenziati.
1) Il modello del consumatore rappresentativoàtutte le imprese sono in concorrenza tra
loro per vendere a tutti i consumatori (esempio: nel mercato dei ristoranti le imprese
producono prodotti differenziati (per esempio i ristoranti che si differenziano per l'offerta
di menù basati su cucine tipiche nazionali diverse), ma tutte concorrono per gli stessi
clienti).
2) Il modello spaziale o di localizzazioneà ogni consumatore preferisce prodotti che
presentano determinate caratteristiche o vengono venduti da imprese situate vicino a lui
ed è disposto a pagare un differenziale di prezzo per ottenere questo tipo di prodotti.
Inoltre, il consumatore può non essere molto interessato al prezzo di alcuni degli altri
prodotti venduti nel mercato.

81
Nel modello di localizzazione la D di un bene può essere indipendente (se i beni non sono
sostituti stretti) o notevolmente dipendente (se invece sono sostituti stretti) dal prezzo di
un altro bene.
Prodotti differenziati.
Lo studio di un’industria con prodotti differenziati si basa su due concetti fondamentali:
• I prodotti sono differenziati perché i consumatori li percepiscono diversi anche se
qualitativamente questi sono uguali (esempio: molti consumatori preferiscono
nettamente la Coca-Cola alla Pepsi-Cola e viceversa, ma hanno difficoltà a differenziarle
in base al gusto).
Nota: Invece vanno considerati prodotti omogenei dal punto di vista economico quei
prodotti che i consumatori considerano identici ma che sono chimicamente o fisicamente
diversi.
• Il p di un bene differenziato influenza maggiormente il p di un altro bene quando i due
prodotti sono sostituti stretti (es. Pepsi cola e coca Cola) rispetto a quando non lo sono
(es. Coca Cola e Sprite).

L’effetto della differenziazione sulla curva di D di un’impresa.


Approcci nell’analisi della differenziazione.
Esistono due approcci per analizzare la differenziazione:
1) la teoria standard del consumatore presentata nei testi di microeconomia à le preferenze
dei consumatori vengono espresse in relazione ai beni: scelgono tra il gelato e la torta o
tra marche di gelato e di torta (L’approccio del prodotto può essere usato solo nel
modello del consumatore caratteristico).
2) In una formulazione alternativa à i consumatori hanno preferenze in relazione alle
proprietà o caratteristiche dei beni (modello di Lancaster). (L’approccio delle
caratteristiche può essere usato sia per il modello del consumatore caratteristico che per i
modelli di localizzazione).
Ad esempio: Alcuni consumatori amano la cioccolata, una caratteristica posseduta da
alcuni gelati e da alcune torte. Questi consumatori preferiscono il gelato o la torta al
cioccolato al gelato alla crema o alla torta paradiso.

Va poi fatta una distinzione tra:


àdifferenziazione verticale: se tutte le peculiarità che caratterizzano due beni sono maggiormente
presenti in uno di essi, rispetto all’altro.
àdifferenziazione orizzontale: se nessuno dei 2 beni presenta maggiori caratteristiche (non è ritenuto
migliore dai consumatori).

L’effetto della differenziazione sulla curva di D di un’impresa.


- Nelle industrie con prodotti indifferenziati à la D di un’impresa dipende solo dall’offerta
totale dei rivali.
- Nelle industrie con prodotti differenziati àla D di un’impresa dipende, invece,
dall’offerta di ciascun rivale considerato singolarmente.

82
In generale, possiamo indicare la curva di D inversa dell’impresa i (sia per beni differenziati che
indifferenziati) come: pi = D (q1,…, qn) (7.1) (nota: la curva di D diretta è q = D(p)). àCiò
significa che il prezzo pi che l'impresa i fa pagare per il suo prodotto dipende dalla q venduta del
suo prodotto e dalla q venduta di tutti gli altri (n - 1) prodotti.

- Nel caso in cui i prodotti siano differenziati à questa espressione non può essere
semplificata. Si può anche scrivere la curva di D dell'impresa i come funzione dei prezzi dei
prodotti di ogni rivale, q1= D (p1, p2...., pn).
- Nel caso di prodotti omogenei àl’espressione 7.1 può essere semplificata. I consumatori
non sono disposti a pagare di più per il prodotto di un'impresa rispetto a quello dì un'altra, perciò
tutte le imprese devono praticare lo stesso prezzo, p, se vogliono vendere tutti i loro prodotti.
Nel caso di prodotti indifferenziati importa solo l'output totale del mercato, Q = q1 + q2 +... +
qn,, nella determinazione del prezzo, p. In questo caso, l'equazione inversa della domanda
residuale può essere scritta come segue: pi = p = D (q1 + q2 +... + qn) = D (Q)

I modelli di concorrenza monopolistica

A)Il modello del consumatore rappresentativo

- Il primo modello di concorrenza monopolistica fu elaborato da Chamberlin (1933) ed è un modello


del consumatore rappresentativo in cui il consumatore tipico considera tutti prodotti venduti sul
mercato ugualmente sostituiti, e pertanto simmetrici.
- Questo modello può essere utilizzato per esaminare industrie con prodotti differenziati o
indifferenziati.
- l’analisi mostra che, indipendentemente dal fatto che i prodotti siano differenziati o meno, i p di
equilibrio e il numero di prodotti (cioè le varietà) nell'equilibrio di concorrenza monopolistica non
coincidono con l'ottimo sociale.

Il modello del consumatore rappresentativo con prodotti indifferenziati.


- In questa versione del modello del consumatore rappresentativo i beni sono omogenei (hanno tutti le
stesse caratteristiche)
- Analogamente ai modelli di oligopolioàil comportamento delle imprese e volto alla max del π
attraverso l’eguaglianza RMr = MC
- A differenza dei modelli di oligopolio à qui le imprese entrano liberamente nell'industria fino a
quando l'entrata risulta essere profittevole (determinazione endogena del numero delle imprese).
Nell’oligopolio il numero di imprese viene determinato arbitrariamente al di fuori del modello
perché le imprese esistenti, lo Stato o qualche altra variabile impediscono l'entrata
(determinazione esogena del numero delle imprese).

Un esempio con il modello di Cournot.


Per illustrare come il modello di concorrenza con beni omogenei differisca da quello di
oligopolio viene modificato il modello di Cournot-Nash dell'oligopolio non cooperativo per
consentire l’entrata; per il resto le ipotesi sono quelli già viste:

83
v Equilibrio di cournot: in condizioni di equilibrio nessuna impresa vuole variare il proprio
livello di output e ognuna si attende che i rivali producano al loro attuale livello.
v Omogeneità: l’ output è omogeneo.
v Domanda: la domanda del mercato, Q, e in funzione del prezzo di mercato, p:Q = 1000 – 1000p
v Costi: ogni impresa ha una funzione di costo pari a: C 8q) = 0,28q + F
Con q = output dell’impresa e F = il costo fisso; il MC è costante e pari a = 0,28.

- L’ipotesi di un numero fisso di imprese viene sostituita dalla condizione di entrata: le imprese
entrano nel mercato quando i profitti sono positivi ed escono quando sono negativi.

- Il MC è una retta orizzontale al livello di 0,28, mentre AC (costo medio) si può calcolare così:

AC = = 0,28 +
All’aumento dell’output i F vengono ripartiti tra un numero sempre maggiore di unità, quindi i
costi medi fissi scendono, e il costo medio consiste principalmente nei costi medi variabili. Di
conseguenza, a livelli di output più bassi, AC si trova bene sopra MC mentre si avvicina a MC
(che coincide con i costi medi variabili) al crescere di q, come mostra l figura 7.1.
- La condizione di entrata vuole che le imprese entrano nell'industria finché i profitti sono positivi: π
= pq – C (q) = 0
- Perciò, in equilibrio il costo medio dì ciascuna impresa è uguale al prezzo: AC = p (nel nostro caso a
p = 0,36).
- Qual è il numero di imprese in equilibrio?
Per stabilire il numero di imprese analizziamo il grafico.
- La figura 7.1 mostra la curva di domanda residuale Dr (8), i ciascuna delle otto imprese, e la
corrispondente curva dei RMr (8).

84
L’impresa max i π producendo q = 80 unità di output in modo tale che RM = MC e così vende il
proprio output al p = 0,36.
La curva AC dell’impresa è tangente alla curva di D ( p = 0,36 = AC), perciò l’impresa ha profitti nulli.
- Se ci sono solo sette imprese nell'industria, a un'impresa conviene entrare ; la curva di D di una delle
sette imprese alla Cournot, Dr (7) interseca AC, per cui si ha una regione ombreggiata in cui i costi
medi sono inferiori al p indicato sulla curva di Dr. Un’impresa che opera in un punto all'interno di
questa regione ricava un profitto positivo perché il p > AC.

Costi fissi inferiori


- Come varia questo equilibrio di concorrenza monopolistica se ogni impresa incorre in CF inferiori?
- Con costi fissi <, il numero di imprese in equilibrio in concorrenza monopolistica cresce. Il numero
cresce perché crescono i π, visto che una riduzione del costo fisso dell'impresa non influisce sui
ricavi totali, ma riduce effettivamente i costi totali.
La riduzione dei CF non influenza il livello di output in quanto ogni impresa fissa il proprio
output a un livello in cui RMr = MC, e né MRr né MC sono influenzati da una variazione del CF.
- Graficamente, con costi fissi inferiori la curva AC si trova direttamente al di sotto di quella
indicata nella figura 7.1. Affinchè la curva AC sia tangente alla curva di Dr anche quest'ultima
deve essere più bassa.
à L'unico modo per ottenere una curva di Dr più bassa deriva dall'avere più imprese nell'industria.
- Per quanto detto risulta che, se i CF = 0, il numero di imprese diventa illimitato e quest'industria
in concorrenza monopolistica in cui viene applicato il modello di Cournot diventa perfettamente
concorrenziale. - In sintesi:
§ un aumento nei costi fissi à fa salire il p di equilibrio > MC e q dell’industria <
§ costi fissi = 0 à nell'industria entra un numero di imprese sufficiente a spingere il p = MC, che
rappresenta la soluzione concorrenziale.

Il benessere con prodotti indifferenziati.


- Quali differenze emergono tra questo equilibrio e quello dell'ottimo sociale in cui viene
massimizzato il benessere?
- Con questo equilibrio di concorrenza monopolistica sorgono due problemi in termini di
benessere:
ü si giunge ad un p > MC e dunque l'industria produce troppo poco output totale
ü numero di imprese in equilibrio è troppo elevato à quando i MC non aumentano il numero di
imprese di equilibrio è troppo elevato rispetto a quello ottimo.
Ogni impresa aggiuntiva deve infatti pagare un costo fisso, F, e perciò i CF sostenuti
globalmente dalle imprese sono eccessivi dal punto di vista del benessere collettivo. - In questo
caso la soluzione di firs-best (è la migliore soluzione possibile per la società) consiste nel
sovvenzionare un'impresa perché produca tutto l'output ed esigere che il p sia fissato a un livello
pari al MC.

85
- La Figura 7.2 illustra la soluzione di first-best e le curve di MC e AC di una singola impresa con,
per es., costi fissi pari a 6,40.
- Nell'equilibrio di first-best l'impresa viene regolata in modo da fissare il p = MC = 0,28, e i
consumatori acquistano q* = 720 unità di output (L'output socialmente ottimo supera di 80 unità
quello della concorrenza monopolistica di 640).
- A p = 0,28 l'impresa è in perdita perché il p < AC (p = 0,28 < MC + F/ q* = 0,28 + 6,40/720 =
0,2889), perciò lo Stato deve sovvenzionare l'impresa se vuole che rimanga in attività.
- La zona ombreggiata nella Figura 7.2 rappresenta la perdita sovvenzionata = F = 6,40 = 0,0089 x
720.
- Con un numero elevato di imprese, ciascuna di esse produce una quota di output < di quella che
rende minimi i AC, e quindi si ha un numero troppo elevato dì piccole imprese rispetto a quello
che coincide con l'ottimo sociale (lo stesso livello di output potrebbe essere realizzato in modo
più economico con un numero inferiore dì imprese).
- Di solito lo stato non è in grado di regolare un'industria in modo da raggiungere la soluzione di
ftrst-best e massimizzare in questo modo il benessere della società.
Per esempio:
ü può essere politicamente impraticabile sovvenzionare un monopolio quale quello
dell'azienda locale per l'energia elettrica.
ü lo stato può riuscire a controllare il numero di imprese, ma, può non essere in grado di
costringerle a produrre più della quantità che massimizza i loro profitti, se non è disposto
a sovvenzionarle.
- Scegliendo il numero ottimale di imprese lo stato può raggiungere la soluzione di second-best,
ossia il miglior risultato possibile, soggetto a un vincolo che viola una delle condizioni necessarie
per ottenere il risultato di first-best.
Ad es. lo stato porrà dei vincoli all’ingresso à si avrà un < numero di imprese à< spese per i
CF (per la società) à> benessere possibile, senza sovvenzioni statali àbenché il benessere non
sia elevato quanto nel caso dell'equilibrio di first-best, è più elevato di quello che si determina
nell'equilibrio di concorrenza monopolistica privo di limitazioni.

Il modello del consumatore rappresentativo con prodotti differenziati.


- Nel caso di imprese che producono prodotti differenziati (eterogenei), gli aspetti essenziali del
modello di concorrenza monopolistica rimangono invariati:
86
§ La max dei profitti è ancora determinata dalla regola RMr = MC
§ l'entrata si verifica solo fino al punto in cui i profitti sono positivi.
- L'unica modifica al modello, dovuta alla differenziazione dei prodotti, sta nel fatto che la curva di
D dell'impresa (e quindi la sua curva MRr) dipende dalle singole q prodotte da ciascuna delle
concorrenti anziché unicamente dalla q totale.
- Per semplicità, per quanto i prodotti sono differenziati, si ipotizza che la forma generale delle
curve di D di ciascuna impresa sia identica.
- L'effetto principale della differenziazione sta nel fatto che ogni impresa ha una curva di D con
pendenza negativa più rigida che in condizioni di omogeneità, perché gli altri prodotti sono
sostituti meno stretti à Questa maggiore pendenza dà all'impresa più potere di mercato ( capacità
di fissare p > MC).

Il benessere con prodotti differenziati.


- L'equilibrio di concorrenza monopolistica con prodotti differenziati presenta due problemi:
• il prezzo non è ottimale à p > MC
• la varietà (cioè il numero di prodotti disponibili per i consumatori) non è ottimale à nel
caso di prodotti differenziati ci può essere troppo poca (perché non tutti i prodotti
possono essere realizzabili (anche se il prezzo è superiore ai costi variabili delle
imprese) se i costi fissi sono tanto elevati da generare delle perdite) o troppa varietà.
- Va poi detto che, nel caso di prodotti differenziati, poichè la varietà è desiderata, è improbabile
che risulti ottimale regolare i mercati in modo che vi sia una sola impresa che faccia pagare un p
= MC.
I costi fissi determinano una varietà troppo bassa di prodotti.
- Quando un’impresa presenta un MC che non aumenta rapidamente e ha CF elevati, opera nella parte
con pendenza negativa della propria curva di AC.

87
- La Figura 7.3 mostra perché solo alcuni beni sono prodotti quando la curva dei AC è strettamente
decrescente.
- La figura 7.3a mostra un prodotto con costi maggiori; la figura 7.3b mostra un prodotto con costi
minori.
- In entrambi i grafici della Figura 7.3 la collettività ottiene un maggiore benessere se entrambi i
prodotti vengono realizzati: il beneficio sociale > costi sociali.
§ Nella Figura 7.3a il costo medio (AC) interseca la curva di D, perciò produrre è proficuo. Il
profitto dell'impresa, π è > 0 alla quantità q* perché AC < p*.
La somma del surplus, del consumatore (CS) e dei ricavi (π + C) meno i costi sociali (C) è
uguale al benessere (CS + π), che è positivo.
§ Nella Figura 7.3b la curva AC si trova in ogni suo punto sopra quella di D, perciò i costi totali
superano i ricavi totali a tutti i livelli di output.
à Pertanto il prodotto non viene realizzato.
Tuttavia sarebbe socialmente auspicabile produrre il prodotto à il benessere sociale
(surplus del consumatore, E + B, più ricavi R) meno i costi (R + B + D) è uguale a (E-
D), ed è positivo, dato che l'area E è maggiore dell'area D.
Il motivo per cui il prodotto non viene realizzato, anche se è socialmente desiderabile, sta
nel fatto che l'impresa se producesse, subirebbe solo delle perdite (profitti negativi, B +
D).
- Se non ci fossero costi fissi e i costi marginali fossero costanti, allora, il AC = MC ed un bene la cui
produzione fosse socialmente ottimale, garantirebbe alle imprese anche un profitto.

Determinazione del numero ottimale di prodotti (equilibrio tra varietà di prodotti e q di ogni
prodotto).

88
- L'equilibrio ottimale richiede che sussista un compromesso tra:
• il numero dì prodotti realizzati
• e la q di ogni bene prodotto, che è determinata dal prezzo.
- Per semplicità supponiamo che il numero di prodotti, n, rispecchi pienamente il valore della varietà:
cioè che più imprese o prodotti sono presenti, maggiore è il benessere dei consumatori, a parità di
altre condizioni.
- Se tutti i beni vengono prodotti con la stessa funzione di costo e hanno la medesima curva di D, in
condizioni di equilibro il livello q di output è lo stesso per ciascun prodotto.
- I dati essenziali relativi all'equilibrio possono essere riassunti dal numero di prodotti, n, e dall'output
per marca, q.
- Per illustrare il compromesso tra varietà e quantità, supponiamo che l'economia presenti 100 unità di
output e che ognuna di queste possa essere prodotta con un MC = 1 e CF = 5.
- La frontiera delle possibilità di produzione (PPF) rappresenta le possibili combinazioni del numero di
prodotti e quantità per prodotto che si possono realizzare con gli input totali a disposizione della
società.
- Le preferenze della società tra quantità e varietà sono riassunte dalle curve di indifferenza indicate
nella Figura 7.4.
Il punto O = (q*, n*), punto di tangenza tra la curva PPF e la curva di indifferenza (la curva di
indifferenza in microeconomiaè l'insieme di x e y che garantiscono al consumatore lo stesso
livello di utilità), rappresenta la scelta ottimale della società.
- In qualsiasi punto su qualsiasi curva di indifferenza che si trova sotto la curva di indifferenza passante
per il punto 0 la società vede ridotto il proprio benessere.
- I punti sulle curve di indifferenza poste al di sopra di quella che passa per il punto D sono al di fuori
della PPF e quindi non possono essere prodotti.
- Il punto B sulla PPF rappresenta un possibile equilibrio di concorrenza monopolistica. In quel punto
l'industria produce troppo pochi prodotti, ma più output per prodotto rispetto al livello ottimale.
- Nel punto A sulla PPP l'industria produce più prodotti rispetto al livello ottimale, ma meno, output per
prodotto.
- La scelta della combinazione ottimale tra varietà e quantità dipende: §dalle preferenze dell'economia
§ e dalle funzioni di produzione dei beni.

89
B)Modelli di localizzazione (o spaziali)
- I modelli di localizzazione (o spaziali) sono modelli di concorrenza monopolistica in cui i
consumatori ritengono che il prodotto di ciascuna impresa abbia una particolare collocazione nello
spazio geografico (o caratteristico). Più vicini sono due prodotti nello spazio geografico o
caratteristico, più sono sostituibili.
In questi modelli i consumatori sono a loro volta, collocati nello spazio geografico perché risulta
loro costoso fare acquisti in negozi più lontani da casa o, alternativamente, perché traggono meno
piacere da prodotti le cui caratteristiche si discostano dal loro ideale.

- Esiste un’analogia tra le scelte dell’impresa di localizzazione nello:


a) Spazio delle caratteristiche:
àimprese differenti perché offrono beni con caratteristiche diverse;
àla distanza è data dal grado di differenziazione dei beni

b) Spazio fisico:
àimprese differenti perché posizionate in punti diversi (rispetto al consumatore)
àla distanza tra di loro e una distanza fisica

- Analogamente per i consumatori:


a) Spazio delle caratteristiche (perdita di utilità quando ci allontaniamo dal bene desiderato):
àLa collocazione esprime il grado di preferenza per una certa caratteristica;
à la scelta ricadrà sull'impresa che a parità di prezzo è più vicina con il suo prodotto, alle sue
preferenze;
b)Spazio fisico:
àLa loro localizzazione avverrà in punti diversi di uno spazio
àLa scelta ricadrà sull'impresa che, a parità di prezzo, è localizzata più vicino
(minimizzazione dei costi di trasporto)

1)Il modello di localizzazione di Hotelling


- Hotteling sviluppò un modello per spiegare la localizzazione e il comportamento delle imprese nella
determinazione dei prezzi.
- In questo modello i prodotti differiscono per la localizzazione dei negozi di vendita e il p praticato.

- I dati:

90
§ Supponiamo che vi sia una città tutta estesa in lunghezza, con una sola strada, di lunghezza
prefissata.
§ I consumatori sono distribuiti uniformemente lungo questa strada. A parte la localizzazione,
tutti i consumatori sono identici e ognuno di essi acquista un cono di gelato in ogni periodo di
tempo.
§ 2 negozi vendono coni gelato identici: il negozio 1 è situato ad a chilometri di distanza da
un'estremità della città (l'estremità sinistra nella Figura 7.5) e il negozio 2 a b chilometri di
distanza dall'altra estremità (destra) della città.
§ ogni consumatore acquista dal negozio meno caro tenendo conto dei costi di trasporto
(c).
§ il consumatore i vive a x chilometri di distanza dal negozio 1 e a y chilometri dì distanza dal
negozio 2.

- Scelta del consumatore:


§ se p1 + C(x) < p2 + C(y) à scelto il 1° negozio
§ se p1 + C(x) > p2 + C(y) à scelto il 2° negozio
§ se p1 + C(x) = p2 + C(y) à scelta indifferente per i
- Se i p praticati dai due negozi sono diversi, i consumatori più vicini al 1° negozio sceglieranno il 2°
negozio quando il > costo di trasporto è più che compensato dal < prezzo di vendita praticato.
Dunque, in hotteling, un'impresa può fissare un p > rispetto a quello del concorrente senza uscire dal
mercato se la localizzazione (costi di trasporto differenti) rendono il prodotto diverso sebbene
omogeneo.
- Rendita di posizione per l'impresa più vicina ai consumatori, che consente margini di manovra sul p
e una quota della D complessiva, anche con p > di quelli delle imprese concorrenti.
- In questa situazione le scelte delle imprese potranno riguardare:
a) la scelta del prezzo. Fissata la localizzazione dei due negozi e lasciando le imprese libere di
variare i prezzi, maggiore è il divario tra p1 e p2, tanto minore sarà la quota della domanda
complessiva assorbita dall'impresa che fissa il p più alto. Tale quota tenderà a 0 solo se il divario
tra i prezzi e >= del costo di trasporto.
In questa situazione si può stabilire un equilibrio di Nash.

b)la scelta della localizzazione. Fissato il prezzo del bene (per es. viene fissato dallo Stato) e
tenuto conto che i consumatori sceglieranno le imprese collocate più vicine, l'impresa che entra
(es. il 1° negozio) si posizionerà appena a sinistra del 2° negozio (per avvicinarsi al maggior
numero di clienti). Se le imprese possono modificare la loro localizzazione ciascuna di esse si
sposterà fino a soddisfare il 50% della domanda totale (equilibrio di Nash) collocandosi vicino al
centro dello spazio.
- Il modello di Hotelling illustra un punto importante: le proprietà dell'equilibrio di Bertrand
discusse nel capitolo precedente solo valide solo quando due imprese vendono prodotti
perfettamente omogenei.
Supponiamo però che i due negozi siano localizzati in a e b, come indicato nella Figura 7.5. Se il
negozio 1 fa pagare meno del negozio 2, quest'ultimo ha comunque un certo numero di clienti
perché per parecchi di questi è molto più vicino del negozio 1 e alcuni di loro sono disposti a
pagare di più per la comodità della vicinanza.

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Perciò Hotelling sottolinea che il prezzo di equilibrio di Bertrand é uguale al costo marginale
solo se i prodotti sono omogenei (situati nello stesso luogo nello spazio del prodotto o
geografico). In un modello più generale di prodotti differenziati, imprese con aspettative di
Bertrand possono far pagare prezzi diversi, tutti superiori al costo marginale. In sintesi, la
differenziazione dà alle imprese potere di mercato.
Purtroppo è possibile dimostrare che quando le imprese possono cambiare i prezzi e la loro
localizzazione senza incorrere in costi, l'equilibrio non esiste.

2)Il modello della circonferenza di Salop


- In diversi modelli, successivi a quello base di Hotelling, sono state introdotte delle modifiche
per poter ottenere un equilibrio.
- Uno dei più interessanti e meglio conosciuti è il modello della circonferenza di Salop, che
introduce due variazioni importanti rispetto a quello di Hotelling:
1) le imprese sono situate lungo una circonferenza anziché lungo una retta (il motivo del
cambiamento è che il cerchio non ha punti estremi, cioè è pressappoco equivalente a una linea
infinitamente lunga senza punti terminali).
2) presenza di un bene esterno indifferenziato (es. tra i diversi tipi di gelato c’è un venditore
di pizza) in concorrenza con i beni differenziati (il prodotto differenziato potrebbe essere
costituito da marche (o gusti) di gelato diversi) collocati lungo la circonferenza.

La scelta dei consumatori.


- Supponiamo che i clienti siano localizzati in un cerchio di circonferenza unitaria.
Per semplicità ciascun cliente compra esattamente un cono di gelato.
- La localizzazione di un cliente, t*, rappresenta il tipo di gelato preferito dal cliente.
- Il consumo di un bene t (es. gelato al limone) diverso da quello preferito t* (es. gelato al pistacchio)
genera la seguente funzione di utilità: U(t, t*) = u – c │t - t*│ (7.9)
Dove u à è l'utilità derivante dal gusto di gelato preferito dal consumatore (il gusto situato nello stesso
punto, t*, lungo la circonferenza);
│t - t*│ à è la distanza del prodotto t dal gusto preferito t* del cliente; c àè il tasso al quale la
deviazione dal tipo di gelato preferito riduce il benessere del consumatore.
- La funzione di utilità del consumatore è indicata nella Figura 7.6. (dove un arco di circonferenza, è
stato raddrizzato per ottenere una linea).

92
- La figura mostra che in t = t* + u/c e in t = t* - u/c ( si ottengono ponendo U(t, t*) = 0) il
consumatore ha un'utilità pari a zero.
Esso mostra inoltre che il benessere che il consumatore riceve dal consumo di un prodotto situato a
destra o a sinistra di quello ottimale è inferiore a quello che egli ottiene consumando il prodotto
preferito t*.
- Obiettivo del consumatore: max il proprio surplus U(t, t*) - p, cioè la differenza tra il benessere
(l'utilità) derivante dal consumare un prodotto situato in t e il p da pagare per quel prodotto.
( In altre parole, se il gusto di gelato preferito è il cioccolato, ma il gelato alla stracciatella costa
la metà, potremmo comprare quest'ultimo perché la perdita in termini di utilità è inferiore al
guadagno derivante dall'acquisto del prodotto più conveniente).
Perciò effettuiamo quello che viene definito il migliore acquisto, ossia compriamo il prodotto che
fornisce la migliore combinazione in termini di p e qualità.
- Si potrebbe anche decidere di acquistare il bene esterno, la pizza margherita, se quest'ultima
rappresenta un migliore acquisto, cioè garantisce un maggiore surplus.
à Supponiamo che il surplus derivante dalla pizza margherita (il benessere derivante dal
consumarla meno il suo prezzo) sia k. Allora il consumatore acquisterà un bene differenziato
(piuttosto che un bene esterno) solo se il surplus supera k:

max i [U(t, t*) - pi ] >= k (7.10)

(dove l'espressione al primo membro della disequazione è il surplus derivante dal consumo del
tipo di gelato che rappresenta il migliore acquisto e quello al secondo membro è il surplus
derivante dal consumo della pizza margherita).
- Anche nel caso in cui il tipo ideale di gelato per il consumatore viene prodotto (localizzato a t*)
e venduto al prezzo p*, il consumatore lo acquisterà solo se il surplus derivante dal suo consumo
sarà maggiore di k (surplus bene esterno): u - p* > k oppure, esplicitando l'espressione rispetto a
p* à u – k >= p*.
93
à Di conseguenza il consumatore ha un prezzo di riserva, v = u – k che è il prezzo più elevato che è
disposto a pagare per il tipo preferito di gelato.
Estendendo il ragionamento agli altri tipi di gelato, il consumatore ha un prezzo di riserva, v, per ogni
tipo di prodotto.
- In definitiva, un consumatore acquisterà il bene differenziato, ritenuto migliore acquisto, solo se il
surplus netto derivante dal consumo di questo bene meno il surplus derivante dal consumo del bene
esterno è positivo:

Max i [v - c │t - t*│- pi] >= 0 (7.11)


L'Equazione 7.11 si ottiene sottraendo u da entrambi i membri dell'Equazione 7.10, sostituendo
successivamente U (t, t*) con l'Equazione 7.9 e ponendo v = u – k

Il comportamento delle imprese ed equilibrio simmetrico.


- L'equilibrio simmetrico in questo modello dipende da dove sono localizzate le imprese e da come
fissano il prezzo.
- A parità dì altre condizioni, ogni impresa vuole collocarsi il più lontano possibile dai concorrenti più
stretti: più distanti sono gli altri negozi, maggiore è il potere di mercato relativo ai clienti situati
vicino al negozio.
- In seguito al tentativo di posizionarsi il più lontano possibile, i negozi finiscono per essere
equidistanti l'uno dall'altro.
- Essendo equidistanti quale p fa pagare ciascun negozio)?
Salop che una particolare impresa (quella situata.nel punto più basso della circonferenza) faccia pagare
il prezzo p e i suoi due più vicini concorrenti p^, come indicato nella Figura 7.7.

Figura 7.7 Mercato circolare


In che modo il produttore dovrebbe fissare il prezzo p?
La.risposta dipende dal numero di imprese presenti. Consideriamo innanzitutto il caso
a) in cui le imprese siano relativamente poche
b) per passare poi a un mercato con molte più imprese.

La regione di monopolio

94
- Se esistono relativamente poche imprese, esse non sono in concorrenza tra loro per gli stessi
consumatori.
à Ogni impresa è un monopolista locale e vende a tutti i consumatori vicini.
- Ciò significa che ogni monopolista vende solo a quei consumatori che dal consumo del suo tipo di
gelato ricavano un surplus maggiore di quello che otterrebbero consumando la pizza margherita
(bene esterno).
à Consideriamo un consumatore posto a una distanza x = │t - t* │dall'impresa che vende il tipo di
gelato posto in t a un prezzo p.
Egli è disposto ad acquistare quel tipo di gelato solo se il suo surplus è non negativo: v
- cx - p >= 0 (utilizzando l'espressione del surplus dell'Equazione 7.11).
Perciò, esplicitando l'espressione rispetto a x, la distanza massima, xm, alla quale un consumatore può
essere posto rispetto a quel tipo t di gelato in modo da comperarlo è:

xm

Questa distanza xm viene determinata graficamente nella Figura 7.8°

- Maggiore è la distanza, x, tra il tipo di gelato considerato e il tipo preferito dal


consumatore, minore è il surplus netto del consumatore.
- Quando il tipo di gelato si trova a distanza xm dalla localizzazione preferita del
consumatore, il suo surplus netto derivante dal consumo del tipo i è pari a 0 (il punto in cui la
retta del surplus interseca l'asse delle ascisse), perciò il consumatore è indifferente tra acquistare
o non acquistare. - L'impresa che vende il gelato del tipo t si assicura tutti i consumatori che non
si trovano a una distanza superiore a xm da entrambi i lati della sua posizione.

La regione concorrenziale
95
- Se ci sono più imprese, la localizzazione vicina rende le imprese concorrenziali - Nella
scelta del p, ogni impresa dovrà tenere conto del p praticato dai rivali.
- Quando le imprese sono in concorrenza tra loro, un'impresa non si assicura tutti i clienti
che preferiscono il suo tipo di gelato al bene esterno, ma ne perde alcuni a vantaggio dei due
rivali più vicini. àQuei clienti che sono localizzati nel mercato potenziale di ognuna delle due
imprese vicine (quelli collocati nelle areee di intersezione della figura 7.8b) acquistano da quella
che consente loro di ottenere il surplus netto più elevato.
- Entrambi i concorrenti più vicini all'impresa che stiamo considerando distano 1/n e,
supponiamo, fanno pagare p^.
Quanto vende l'impresa che stiamo considerando se fissa il prezzo a p? Sì assicura tutti i clienti
entro la distanza xc, dove xc, è tale che i consumatori ottengono la stessa utilità dal consumo del
tipo di gelato prodotto dall'impresa e da quelli prodotti dai rivali più vicini:

v – cxc - p = v- c( 1/n - xc – p^) (7.14)

- il primo membro dell'Equazione 7.14 è l'utilità netta derivante dal consumo del gelato prodotto
dall'impresa selezionata.
- mentre il secondo membro rappresenta l'utilità netta derivante dal consumo del gelato del rivale più
vicino (perché un consumatore che dista xc dall'impresa considerata dista l/n - xc dall'impresa, rivale
più vicina).
- La Figura 7.8b mostra come il limite della regione concorrenziale, xc, sia determinato dal punto in cui
non vi è differenza tra i due beni, in cui l'Equazione 7.14 è uguale per entrambi. Nel punto in cui si
intersecano le rette del surplus netto relativo alle due imprese rivali, per un consumatore è indifferente
acquistare una marca o l'altra.

Tipi di equilibrio nel modello della circonferenza


- Se i p sono elevati à le regioni di domanda delle imprese non coincidono perché ogni impresa
costituisce un monopolio locale.
- Se i p diminuiscono à cresce la domanda, le regioni si sovrappongono e inizia la concorrenza tra le
imprese.
- Le regioni di domanda relative al monopolio e alla concorrenza sono indicate nella Figura 7.9.

96
- A prezzi superiori a p^ la regione di domanda è monopolistica
- A prezzi inferiori a p^ l'impresa è in concorrenza con le imprese più vicine.
- Salop dimostra che, quando le imprese hanno MC costanti e CF, esiste un equilibrio di Nash
simmetrico in cui nessuna impresa vuole modificare il proprio p e nessuna impresa aggiuntiva vuole
entrare nel mercato; Ciò significa che tutte le imprese fanno pagare lo stesso prezzo in condizioni di
equilibrio e sono situate a una distanza l/n l'una dall'altra.
- Salop dimostra che, come accade nei modelli del consumatore rappresentativo, nella regione
concorrenziale:
§ all'aumento dei costi fissi àabbiamo meno imprese in equilibrio, perciò i p salgono e
minore varietà rispetto a quella di equilibrio
§ all’aumento del costo marginale à fa aumentare il p di un importo uguale (tutti gli
aumenti di costo sono trasferiti ai consumatori), ma la varietà di equilibrio rimane
immutata.
- Nell'angolo della curva di domanda dove il prezzo è p^, nella figura 7.9, però, un aumento sia dei CF
che dei MC (es. per via di un’imposta)
àriduce il numero di imprese (la varietà)
à ma abbassa il prezzo (l'angolo sì sposta verso il basso e a destra).

97
CAPITOLO 8 – STRUTTURA INDUSTRIALE E RISULTATI ECONOMICI

- Le teorie dei mercati concorrenziali e non concorrenziali affermano che, meno concorrenza
si trova di fronte un'impresa, maggiore è il suo potere di mercato (cioè la sua capacità di fissare il p
>
MC

Stuttura-Comportamenti-Risultati economici
- Per molti decenni gli economisti hanno condotto studi di struttura-comportamento-risultati
economici (SCR) per studiare il rapporto tra i risultati economici e la struttura del mercato.
Il tradizionale approccio struttura - comportamenti – risultati economici agli studi di organizzazione
industriale, fu introdotto da Edward Mason:
• il risultato economico del mercatoà rappresenta la capacità del mercato di produrre
benefici per i consumatori (per esempio, un mercato ha buoni risultati se i p = CM).
• La struttura di mercatoàconsiste invece in quei fattori che determinano la concorrenzialità
del mercato (es. numero imprese concorrenti, barriere all’entrata, etc…). La struttura del
mercato è influenzata da fattori come la tecnologia e la D di mercato e a sua volta influisce
sul risultato economico mediante il à·comportamento o condotta delle imprese.
- L’approccio struttura - comportamento - risultati economici si compone di 3 diverse fasi di
analisi: 1) misurazione dei risultati economici attraverso alcuni indicatori.
2) misurazione della struttura industriale.
3) evidenze empiriche che mettono in relazione i risultati economici con la struttura industriale.

Critiche all’approccio analitico SCR.


- A causa del fatto che la natura di queste correlazioni di solito non viene spiegata in dettaglio,
molti economisti criticano l'approccio SCR in quanto più descrittivo che analitico
- Stiegler (1968) sostiene che gli economisti dovrebbero usare modelli delle teorie
microeconomiche dei prezzi basati sul comportamento della massimizzazione dei profitti.
- Altri hanno suggerito di sostituire il paradigma SCR con analisi che sottolineino il ruolo
della teoria dei giochi (Von neumann e Morgenstern)

1)Misurazioni dei risultati economici


- Due diverse misurazioni riflettono, direttamente o indirettamente, i profitti o il rapporto tra p
e costi, da cui dedurre il grado di concorrenzialità di un'industria.

A)il tasso di rendimento



- Tasso di rendimento è basato sui profitti ricavati per ogni euro di investimento - I profitti
presi in considerazione sono quelli economici e non contabili dati da:
Ricavi – Costo opportunità à π = R – ( costo del lavoro, costo dei materiali, costo del capitale
(affitti).
Il costo del capitale è pari ai canoni annui d'affitto, se tutto il capitale fisso è in affitto.
Quando i canoni di affitto non sono direttamente disponibili l'economista deve calcolarli
implicitamente prima di calcolare il profitto economico.
à

98
ü Nel calcolo del canone di affitto implicito il capitale fisso dovrebbe essere valutato al costo
di sostituzione, che è il costo di lungo periodo che si deve sostenere per acquistare un bene
di qualità paragonabile.
ü Il canone di affitto deve fornire al proprietario del capitale un certo tasso di rendimento (r)
dopo aver detratta l'ammortamento delle attrezzature (δ).
ü Per tale motivo un canone di affitto (per curo di capitale) può essere espresso sotto forma di
tasso di rendimento realizzato, r, più il tasso di ammortamento, δ.
ü il valore del capitale è pkK, dove pk è il prezzo del capitale e K è la quantità di capitale.

Se dunque il canone di affitto è pari a r + δ, il profittò è:


π = R – costi del lavoro – costi dei materiali – (r + δ) pkK
- Ne deriva che il tasso di rendimento realizzato è quel valore di r che rende nullo il profitto
economico.
à Ponendo r = 0 e risolvendo rispetto a r l'equazione precedente si ha:

Pertanto il tasso di rendimento realizzato è il profitto netto diviso per il valore del capitale fisso,
(dove il profitto netto consiste nei ricavi meno i costi del lavoro meno ì costi dei materiali e meno
l'ammortamento).

Problemi nel calcolo dei tassi di rendimento


-Il calcolo corretto dei tassi di rendimento pone molte difficoltà:
§ il capitale dì solito non viene valutato in modo appropriato perché sì usano definizioni
contabili piuttosto che economiche.
§ solitamente l'ammortamento non viene misurato in modo adeguato.
§ Il terzo problema riguarda la valutazione delle attività di pubblicità e di ricerca e sviluppo
(R&S).
Se un'impresa ha sostenuto spese annuali in pubblicità (di cui ha detratto inizialmente l'intero
costo) e poi non ha effettuato detrazioni negli anni seguenti; il tasso di rendimento ottenuto
sarebbe artificiosamente basso nell'anno iniziale e troppo elevato negli anni successivi.
§ Spesso non si tiene conto dell’inflazione nel calcolo del rendimento.

B)il margine pezzo-costo o Indice di Lerner del potere di mercato.



- Per evitare i problemi connessi al calcolo dei tassi di rendimento, molti economisti utilizzano una
misura diversa della performance, l'indice di Lerner o margine prezzo-costo (p - MC)/p che
rappresenta il potere di mercato di un’impresa.

99
L’indice di Lerner misura infatti il rapporto tra il margine di π unitario (p – MC) e il prezzo p. - Il
margine prezzo-costo per un'impresa che massimizza i profitti è uguale al reciproco con segno
negativo dell'elasticità della domanda al prezzo, ε, dell'impresa (ome abbiamo visto nel Capitolo 4):

L=
Il valore di L è tanto più elevato quanto maggiore è la differenza tra p e MC (potere di mercato). p--
MC I
p e (8.2)
- Nota: Purtroppo, poichè la misura dei MC è raramente disponibile, molti ricercatori utilizzano il
margine prezzo-costo medio variabile invece dell'apposito margine prezzo-costo marginale. - Il
calcolo dell’indice di Lerner presenta qualche difficoltà se dalla singola impresa si passa ad un
intero settore industriale ( con più imprese, con funzioni di costo differenti e valori di MC e di
indice di Lerner).

Imprese Quota di mercato P MC Indice di Lerner


( S)
1 35% 2 1 0,5
2 25% 2 1,2 0,4
3 22% 2 1,4 0,3
4 18% 2 1,5 0,25

Allora l’indice medio del settore sarà:

L= ossia:
Media ponderata degli indici delle singole imprese, utilizzando come pesi le rispettive quote di
mercato.
L = (0,35 * 0,5) + (0,25*0,4) + (0,22 * 0,3) + (0,18 * 0,25) = 0,386

2) Misurazione della struttura del mercato

- Per esaminare in che modo varino i risultati economici al variare della struttura del mercato,
utilizziamo di seguito degli indicatori che esprimono il grado di concorrenzialità di un’industria.

A)Concentrazione industriale
- Nella maggior parte degli studi SCR la variabile strutturale che si mette in rilievo è la
concentrazione industriale.
Quest'ultima si misura di solito in funzione delle quote di mercato di alcune o di tutte le imprese del
settore.
- La variabile più comunemente usata per misurare la struttura del mercato di un'industria è il
rapporto di concentrazione delle prime quattro imprese (C4), che rappresenta la quota delle vendite
realizzata dalle quattro imprese principali dell'industria.

Cm
- Punto debole:
§ Arbitrarietà della scelta del numero di imprese
100
§ Possibilità di ottenere risultati opposti per 2 diversi valori di m in 2 diversi settori industriali.

Imprese QM Settore A QM Settore B


1 32% 35%
2 20% 30%
3 20% 13%
4 15% 10%
5 13% 4%

Se sommassimo la QM delle prime 4 imprese il settore B sarebbe più concentrato (QM A = 82 e


QM B = 88); mentre se sommassimo le QM delle prime 5 imprese, il settore A sarebbe più
concentrato ( QM A = 95 e QM B = 92)
- In alternativa, per misurare la concentrazione, sarebbe possibile utilizzare l'indice di
Herfindahl-Hirschman (HHI), che è uguale alla somma del quadrato delle quote di mercato di
ciascuna impresa dell'industria.

H= S2i

Il valore di H è compreso tra 0 < H < 1. 0 se c’è concentrazione minima e 1 se c’è concentrazione
massima.

L’indice di H è in relazione con l’indice di Lerner. Ossia il potere di mercato e dunque L è tanto
maggiore quando: à quanto maggiore è H
àquanto minore è l’elasticità della domanda rispetto al prezzo

Problemi comuni alle misure della concentrazione.


- Purtroppo le misure della concentrazione presentano due gravi problemi.
1) Innanzitutto, molti fattori influiscono sulle misure della concentrazione dei venditori. Per
esempio, la profittabilità può influire sul grado di concentrazione di un'industria dato che incentiva
l'entrata. Una delle questioni fondamentali citate nell'introduzione di questo capitolo riguarda la
possibilità che una struttura di mercato meno concorrenziale "determini" profitti più alti. La verifica
dì questa ipotesi è significativa solo se la struttura influenza i profitti, ma non viceversa. In altre
parole, questa teoria dovrebbe essere verificata utilizzando misure esogene della struttura, dove per
esogeno si intende che la struttura viene stabilita prima della profittabilità e che quest'ultima non
influisce su di essa.

2) Il secondo problema è che molte misure dì concentrazione sono distorte a causa dì


definizioni improprie dl mercato.
Il mercato rilevante per un prodotto include tutti i prodotti che influenzano in modo significativo il
prezzo di quel prodotto.
Perché la concentrazione industriale sia un indicatore significativo della performance, l'industria su
cui viene misurata deve riferirsi al mercato rilevante. In caso contrario, la concentrazione di
un'industria non ha implicazioni ai fini della fissazione del prezzo.

B)Barriere all'entrata
- Il fattore strutturale probabilmente più importante nel determinare la performance industriale è la
capacità delle imprese dì entrare nell'industria.
101
- Nei settori con barriere all'entrata sostanziali di lungo periodo, i p si mantengono più elevati
rispetto a quelli concorrenziali.
- Le variabili comunemente usate per approssimare le barriere all'entrata comprendono:
• la dimensione efficiente minima dell'impresa
• l'intensità di pubblicità;
• l'intensità dì capitale,
• e le stime soggettive della difficoltà di entrata in industrie specifiche
- Secondo studi empirici, in assenza di barriere all'entrata o all'uscita di lungo periodo, i tassi di
rendimento nelle industrie dovrebbero essere convergenti.

C)La sindacalizzazione
- sindacati forti possono portare a π < perché crescono i w (salari) e i p proprio a seguito della
crescita dei w.
- Rendendo costosa l’espansione della forza lavoro, i sindacati possono impedire che la
concorrenza all’interno dell’industria faccia aumentare l’output e la diminuzione dei π.

3) Evidenze empiriche sulle relazioni tra struttura industriale e risultati economici.


- Esistono centinaia di studi che tentano di mettere in relazione la struttura con ciascuna delle
principali misure dei risultati economici del mercato.
- una vasta letteratura mostra che il tasso di rendimento per le industrie piu’ concentrate è maggiore.
- I profitti sembrano superiori in industrie con elevata concentrazione e alte barriere all'entrata. -
Innumerevoli analisi empiriche sembrano confermare una relazione causale diretta tra grado di
concentrazione (indici di Lerner ed Herfindhal) à e potere di mercato.
Si conferma dunque l’ipotesi base del paradigma SCR: elementi esogeni come la concentrazione
(cioè la stuttura del mercato) influenza i risultati economici. Le. prove che presenta sono coerenti
con questa ipotesi.
- Tuttavia studi più recenti sembrano mettere in discussione l’esistenza di un rapporto significativo
tra π, concentrazione e barriere.

Il ruolo delle importazioni – esportazioni.


- Per alcuni paesi dove il commercio internazionale assume particolare rilevanza, i rapporti di
concentrazione possono non essere economicamente significativi quale misura del potere di
mercato se sono fondati unicamente sulla concentrazione interna.
La relativa concorrenza può infatti provenire da imprese situate all'esterno di un dato paese.

Risultati economici e struttura nelle singole industrie.


- Gli studi di SCR si basano su dati cross-section (relativi cioè a più industrie in un dato periodo di
tempo) più che su dati di un'industria particolare nel corso del tempo.
- Una maggiore verifica della solidità del teorema SCR può provenire dall’indagine empirica su
un'industria nel corso del tempo oppure della stessa industria in diverse localizzazioni.
- Questo perché gli studi cross- section presentano 2 grossi problemi:
1) la relazione struttura-risultati economici può non essere valida per tutte le industrie
à gradi di ε della domanda diversi per ogni industria generano un potere di mercato (margine
prezzo costo) differenti in ciascuna di esse.
2) Definizione non adeguata dei rapporto di concentrazione non porta ad alcuna correlazione tra
risultati economici e concentrazione nei diversi mercati. - Qui di seguito analizzeremo due studi
settoriali.

102
Compagnie aeree.
- In questo settore i costi di entrata in rotte che collegano due città sembrerebbero essere bassi per le
compagnie già operative. Basta infatti far volare un aereo da dove è localizzato attualmente verso
la nuova località di partenza del volo e la nuova destinazione.
- Nonostante l' apparente facilità dì entrata, però, gli studi sul settore del traffico aereo mostrano
immancabilmente che emerge un rapporto stretto tra “concentrazione” (dominio di una rotta da
parte di 1 o più imprese) e risultati economici (tariffe > dei costi)

Ferrovie.
- Nel settore ferroviario vi sono maggiori costi.
Infatti costruire una ferrovia è ormai così costoso che è probabile che un nuovo grande sistema
ferroviario non sarà mai realizzato. Pertanto si può supporre che il numero di concorrenti sia una
variabile completamente esogena ( difficile avere nuovi ingressi).
- tuttavia relazione poco significativa tra struttura e risultati economici àtariffe quasi invariate al
crescere della concentrazione.


Conclusioni.
- Nel complesso gli studi empirici non sembrano confermare sufficientemente la relazione tra
struttura e risultati economici.
- Le possibili spiegazioni riguardano i possibili difetti di cui sono affetti molti studi SCR:
1) Problemi connessi alla raccolta dei dati e alla costruzione degli indici di lerner
e di Herfindhal.
àLe misure della concentrazione e dei risultati economici spesso sono distorte a causa
dell'impropria aggregazione di prodotti diversi tra loro. Poiché la maggior parte delle imprese vende
più di un prodotto, qualsiasi stima dei profitti o dei margini prezzo-costo per un'impresa riflette le
medie relative a prodotti diversi. Per un'impresa che produce prodotti appartenenti a varie industrie
le statistiche aggregate possono essere fuorvianti.
àStudio del rapporto di concentrazione – risultati economici si basa su una presunta relazione
lineare. Per esempio se oltre un certo livello di concentrazione un aumento del rapporto di
concentrazione ha un effetto minore sui risultati economici, il rapporto tra questi ultimi e la
concentrazione può essere rappresentato da una curva a forma di S anziché da una retta.

2) Problemi concettuali.
à i risultati economici vengono riferiti ad effetti generati nel breve periodo, a differenza di quanto
previsto nella costruzione teorica SCR, che è di lungo periodo.
à Problema di molti studi SCR sta nel fatto che le variabili strutturali non sono esogene.
Molti ricercatori, dopo aver trovato un legame tra profitti elevati (o tassi di rendimento elevati o alti
margini prezzo-costo) e elevati rapporti di concentrazione desumono erroneamente che tassi di
concentrazione alti portino a riduzioni del benessere perché "determinano" profitti elevati.
In realtà potrebbe avvenire proprio il contrario, ovvero in mercato profittevoli attirano le imprese più
grandi e efficienti e si determina una maggiore concentrazione (es. piccole imprese acquisite da
grandi imprese. Dunque il successo di un’impresa si spiega non per la concentrazione industriale ma
per la sua capacità di attirare i consumatori (es vende a prezzi piu’ bassi o beni di maggior qualità).
Se la concentrazione non è una misura esogena, una stima del rapporto tra profitti e concentrazione,
che presuppone che la concentrazione influisca sui profitti e non viceversa, porta a quella che viene
definita una distorsione di simultaneità nelle stime.

103
Approccio moderno all’analisi SCR.
- L'originaria teoria S-C-R mirava a stabilire una relazione sistematica fra prezzo e concentrazione;
tuttavia, come abbiamo già rilevato, a essa è possibile muovere molte critiche fra cui — la più
importante - il fatto che, essendo la stessa concentrazione determinata dalle condizioni economiche
del settore, essa non può essere utilizzata per spiegare i risultati economci.
- La relazione tra i 2 indici (L e Herfindhal), che rappresenta la principale formalizzazione teorica
del paradigma SCR non riesce a spiegare il rapporto tra strutture risultati.
- Gli studi empirici non tengono conto, infatti, di possibili relazioni inverse e di un possibile
comportamento strategicodelle imprese.
Questi elementi sembrano spiegare bene gli insufficienti risultati delle verifiche empiriche del
paradigma SCR.
- Da ciò nuove formalizzazioni che tengono conto del ruolo fondamentale della condotta aziendale.
Infatti il fenomeno secondo cui il potere di mercato si riduce all'aumentare del numero di imprese
(paradigma SCR) è confermato solo se si accetta l'ipotesi che le imprese effettuano le loro scelte in
modo non cooperativo.
Infatti a parità di numero di imprese e di ε della domanda, i settori possono infatti registrare un
diverso potere di mercato a causa del diverso grado di collusione fra imprese.
- Si è sviluppato un nuovo approccio che si basa sul paradigma SCR attraverso l’utilizzo di modelli
sistematici di comportamento concorrenziale nei settori industriali.

Il modello di Sutton esamina le implicazioni della dimensione del mercato sulla concorrenza (cioè
una variazione del numero delle imprese porta a > o < concentrazione?).
- La nostra trattazione della teoria di Sutton considererà due casi distinti:
§ Ipotesi A à il costo di entrata di un'impresa rappresenta un costo esogeno non recuperabile.
In questo caso, ciascuna impresa deve spendere un ammontare fisso F per entrare nel settore
industriale.
§ Ipotesi B à il costo di entrata di un'impresa rappresenta un costo endogeno non
recuperabile. In questo caso, invece, l'ammontare che un'impresa deve spendere per entrare
nel settore è variabile e deciso dall'impresa nel tentativo di cambiare il livello gradimento del
suo prodotto alterandone alcune caratteristiche.

Ipotesi A.
- Cominciamo dall'analisi di un mercato in cui le imprese producono un prodotto omogeneo (ossia
uno in cui l'unica variabile su cui le imprese possono concorrere è il p e non la qualità). - Costi di
entrata fissi esogeni, non recuperabili; costo marginale, m, costante.
- L’equilibrio finale e le possibili variazioni generate dall’incremento del numero di imprese
(dimensione del mercato) dipendono dal tipo di concorrenza che si assume (dunque in questo
modello è fondamentale il comportamento concorrenziale)
- Per chiarire questo concetto, Sutton considerò tre tipi di concorrenza:
§ Il cartello à presenta il livello di concorrenza più basso poichè tutte le imprese colludono in
modo esplicito per stabilire un prezzo di monopolio pm.
Il profitto totale del cartello, o profitto di monopolio, viene diviso fra un numero n di
imprese.
Indipendentemente dal numero di imprese n, il prezzo rimane fisso a pm.
Le imprese producono la quantità q di monopolio.
Il profitto di ciascuna impresa diminuisce all'aumentare di n, perché il profitto totale di
monopolio deve essere diviso per un numero sempre maggiore di imprese.
Nel punto di equilibrio n, il profitto totale del cartello tende ad annullarsi.
104
§ Oligopolio alla Cournot à Un tipo di mercato maggiormente concorrenziale è quello
rappresentato da un oligopolio alla Cournot.
Il prezzo di Cournot p scende a all'aumentare del numero di imprese fino ad eguagliare il m
(costo marginale).
Ciascuna impresa sceglie la quota q che max i π e dunque le imprese non colludono:
π = (p – m) – F.
Quindi in condizioni di libera entrata si raggiungerà un equilibrio (dato dalla contemporanea
presenza di un certo numero n di imprese) in cui il profitto di ciascuna impresa è pari a zero.
§ Oligopolio alla Bertrand à è la forma che presenta la maggiore concorrenza.
Solo alcune imprese partecipano al cartello (ipotesi intermedia di collusione parziale) e si
accordano per produrre una q di output > della q di monopolio.
Il p = m per n >1.
In tal caso, l'unico equilibrio con entrata libera si verifica in presenza di un'impresa con
profitti positivi.
Nel caso in cui subentri una seconda impresa, il prezzo si avvicina al costo marginale, per-
cui il profitto diventa negativo (a causa dei costi fissi) con il conseguente fallimento
dell'impresa.
- Per ciascun modello di concorrenza, la Figura 8.1 mostra le modalità secondo le quali il prezzo
varia all'aumentare di n.
Come illustra la figura, con n <1 il prezzo si abbassa man mano che la concorrenza diventa più
"spietata", laddove la concorrenza alla Bertrand è quella più spietata mentre quella di cartello la più
debole.
-Dunque il potere di mercato (p) delle imprese non dipende soltanto dal grado di concentrazione del
settore e dalla ε della domanda, ma anche dal grado di collusione fra le imprese stesse.
- concentrazione ed elasticità (fattori strutturali) e capacità di colludere (fattore di comportamento)
influenzano il potere di mercato (p)

Ad una elevata concentrazione può dunque accompagnarsi un basso livello di potere di mercato:
esempio, i duopolisti alla Bertrand non colludono e si comportano come fossero in concorrenza
perfetta.

105
Ipotesi A con beni eterogenei.
- Il caso dei costi fissi esogeni con prodotti eterogenei ha risultati molto meno chiari rispetto al caso
dei costi fissi esogeni con un prodotto omogeneo.
- In un modello con prodotti eterogenei, la concentrazione del mercato dipende da quanti prodotti
diversi un'impresa è in grado di produrre.
Il risultato principale cui è giunto Sutton per i prodotti eterogenei è che la concorrenza, in genere,
diminuisce (minore dimensione del mercato) muovendosi da un prodotto omogeneo a uno
eterogeneo e così la concentrazione tende a diminuire.

Un confronto tra dimensioni del mercato e concentrazione in equilibrio

- La Figura 8.2 riporta una misura della concentrazione del settore industriale in equilibrio, 1/n,
rispetto alla, dimensione s del mercato per ciascun modello di concorrenza, là dove per
concentrazione di mercato in equilibrio intendiamo che n è tale che il profitto totale è pari a zero.
- La Figura 8.2 riporta due risultati interessanti:
1) La concentrazione diminuisce all'aumentare delle dimensioni del mercato per tutti i tipi di
mercato per quello maggiormente concorrenziale (Bertrand).
L'intuizione che sta alla base di questo risultato è che i mercati più grandi possono accogliere un
maggior numero di imprese.
2) Per ciascuna data dimensione del mercato, la concentrazione, in equilibrio, è tanto maggiore
quanto maggiore è la concorrenza.
La concentrazione è meno elevata nel cartello, nonostante quest'ultimo presenti il p più elevato.
Il motivo è che una concorrenza spietata implica un prezzo poco elevato, il che scoraggia l'entrata.
Questo risultato illustra che il puntare unicamente sulla concentrazione per fare delle asserzioni sul
prezzo e sulla concorrenza può portare a conclusioni erronee.

Ipotesi B (costi variabili di entrata endogeni, non recuperabili).

106
- Nella maggior parte dei mercati, le imprese sono in concorrenza non solo per quanto riguarda i
prezzi, ma anche per altre dimensioni del prodotto, come qualità, affidabilità, ricerca e sviluppo e
attività promozionale.
- Poniamo W = un indice della qualità, nel quale confluiscono in modo generico tutte le
informazioni sul prodotto.
- La nuova ipotesi fondamentale è che un'impresa può spendere denaro per migliorare W.
Le imprese possono contendersi i clienti investendo denaro nel miglioramento di W del prodotto,
abbassando il p del prodotto o entrambi.
- Ipotizziamo che le imprese fissino il livello degli investimenti (endogeneità dei costi) al fine di
fissare il livello di qualità sul quale assestarsi.
- La spesa per il miglioramento della qualità può avere due importanti effetti:
à fa aumentare il CF dell'impresa e il suo MC di produzione.
à Attrae i clienti che prima acquistavano un prodotto dì qualità meno elevata, quindi vi è una
maggiore dimensione del mercato.
- Questi, due effetti possono combinarsi per invertire i risultati descritti nel precedente paragrafo,
dove a un aumento della dimensione comportava una diminuzione della concentrazione in
equilibrio.
In questo caso, invece, all'aumentare delle dimensioni s, le imprese hanno un incentivo a competere
migliorando la qualità W del loro prodotto. Per aumentare la qualità, l'impresa deve sostenere
maggiori costi non recuperabili, una circostanza che riduce l'incentivo da parte di nuove imprese a
entrare nel settore. Di conseguenza, all'aumentare delle dimensioni del mercato, non
necessariamente la concentrazione diminuisce.
- Dunque i mercati di dimensioni maggiori avranno sempre prodotti di qualità più elevata.

A patto che si introducano questa ipotesi:
§Le preferenze dei consumatori si devono basare sulla qualità (passano da prodotti di qualità
poco elevata a prodotti di qualità più elevata).
Pèr stabilire quando questa ipotesi è valida, Sutton utilizza un modello di differenziazione
verticale (ovvero tutti i consumatori concordano su una classificazione dei prodotti in base
alla qualità W, e preferiscono un prodotto di qualità elevata a uno di bassa qualità).
Supponiamo che il surplus di un consumatore derivante da un bene di qualità W sia pari a U
= βW - p(W), dove β è un parametro che riflette il peso che i consumatori assegnano alla
qualità e p (W) è il prezzo del prodotto di qualità W.
La W ottimale per ciascun consumatore dipende dalla funzione di prezzo p(W), che rivela in
che modo i prezzi aumentano all'aumentare di W e dalla preferenza β dei consumatori per la
qualità.
Sutton dimostra che, fintanto che p(W) e il MC di produzione di un prodotto di qualità elevata non
aumentano in modo troppo veloce all'aumentare di W, l'equilibrio ha tre sorprendenti proprietà:
a) le imprese che producono la qualità superiore sul mercato sono quelle di dimensioni
maggiori.
b) Al crescere del mercato cresce la qualità di equilibrio (migliorano i prodotti migliori, mentre
scompaiono i beni di qualità inferiore).
c) con qualità più elevata la concentrazione resterà elevata perché un numero minore di imprese
può permettersi di rimanere nel settore.

- In definitiva: Anche nell’ipotesi di differenziazione, il mercato al crescere della sua dimensione


tende a mantenere un grado di concentrazione elevato.

107
Approcci moderni alla misurazione dei risultati economici.
- I moderni approcci empirici respingono le tradizionali misure dei risultati economici perché queste
contengono notevoli errori dovuti a problemi di natura contabile.
- Il potere di mercato viene stimato utilizzando modelli basati su teorie formali di comportamento
volto alla massimizzazione de profitti (descritto nei capitoli precedenti).
- Gli studiosi utilizzano sia modelli statici che modelli multiperiodali per stimare il potere di
mercato. Analizziamo alcuni di questi modelli:

a) Stima dei costi marginali utilizzando dati sui costi.


- Il calcolo diretto del markup prezzo-costo (potere di mercato), in mancanza di dati disponibili sui
MC può essere fatto stimando i MC attraverso l’utilizzo di dati sui costi totali che vengono divisi
per l’output dell’impresa

b) Stima del markup con l'utilizzo di un modello relativo a un'industria.


- In mancanza di dati sui costi, il markup prezzo-costo può essere calcolato attraverso un modello di
comportamento di un’industria, ossia osservando le variazioni del p e delle q nel tempo, date certe
assunzioni sulle curve di D e sui MC.

- Per la maggior parte delle industrie disponiamo di informazioni sufficienti per stimare la curva di
D.
- Supponiamo che in un'industria particolare la curva sia come la D1 nella Figura 8.3.
- Supponiamo, inoltre, che il MC dell'industria sia costante, anche se non ne sappiamo il livello. -
Attualmente l'equilibrio dell'industria, il punto E* nella Figura 8.3, si trova al prezzo p* e alla
quantità Q*.
- Tale equilibrio potrebbe:
à essere realizzato da un'industria concorrenziale con un MC relativamente elevato (MCc) à o da
un monopolista con un MC relativamente basso (MCm), che interseca la curva dei ricavi marginali
del monopolista, MR1, in Q*.
- Sulla base soltanto di queste informazioni non possiamo individuare (determinare) il costo
marginale e il markup prezzo-costo.
- Se nel periodo successivo (t+1) la nuova curva di domanda, D, si trova a destra di Dl ed è
D2, possiamo stabilire se l'industria è concorrenziale o monopolistica.
àSe l'industria è concorrenziale il nuovo equilibrio si trova nel punto Ec, perciò il prezzo rimane
costante, pc = p*, e l'output aumenta notevolmente fino a Qc

108
( In altre parole, osservando che lo spostamento della D non fa variare il p sappiamo che il MC
dell'industria è MCe e che il margine prezzo-costo di Lerner, (p - MC)/p, è uguale a 0).
à Se invece lo spostamento della domanda porta a un nuovo equilibrio nel punto Em, il p aumenta
da p* a pm, e la quantità aumenta solo fino a Qm.
Questo aumento del p è coerente con un comportamento monopolistico e quindi c’è potere di
mercato.

c)Metodi indiretti.
- Alcuni economisti utilizzano le variazioni di p connesse a variazioni dei costi per verificare
se un'industria è concorrenziale senza fare ipotesi dettagliate sulla forma delle curve di D e offerta. -
esempio; in una industria concorrenziale, se il MC si sposta verso l'alto di un certo importo, anche il
p crescerà nella stessa misura perché il prezzo è uguale al costo marginale.

d)Modelli multiperiodali.
-. Un modello multiperiodale dovrebbe essere usato per stimare il potere di mercato se:
§ le imprese, nello stabilire le loro strategie, tengono conto del comportamento tenuto in
passato.
§ i costi di aggiustamento sono significativi, tanto che i costi in questo periodo dipendono
dalle decisioni prese nei periodi precedenti.
- Gli economisti utilizzano almeno due tipi di modelli multiperiodali per stimare il potere di
mercato: a) modelli di comportamento collusivo e b) modelli di comportamento con costi di
aggiustamento.

a) modelli di comportamento collusivo.


Stigler sosteneva che l'opportunità e il desiderio delle imprese oligopolistiche di colludere
(perlomeno tacitamente) fornisce la base per spiegare tutto il comportamento di oligopolio.
In questa teoria i prezzi al dì sotto del livello di monopolio sono dovuti a fallimenti nella completa
attuazione del cartello.
In questo contesto, anche la struttura del mercato è importante. Per esempio, più sono le imprese in
un'industria, più è difficile individuare se una qualsiasi di esse scartelli, perciò è possibile
imbrogliare dì più e il prezzo medio è inferiore.

b) modelli di comportamento con costi di aggiustamento.


Se le imprese presentano notevoli costi di aggiustamento (es. derivanti dalla formazione dì nuovi
lavoratori) allora per massimizzare i profitti di lungo periodo devono pianificare le proprie azioni
per molti periodi.
Analogamente, i costi delle imprese possono diminuire nel corso del tempo se sì ha il cosiddetto
learning by doing (i costi diminuiscono insieme alla produzione perché i lavoratori diventano più
abili nel proprio lavoro in seguito all'esperienza acquisita o a mano a mnano che vengono scoperti
modi migliori di produrre); le azioni di un'impresa in questo periodo influiscono sui suoi costi e
profitti in periodi successivi.

- In definitiva: gli approcci più recenti ,sia teorici che empirici, rappresentano un importante
tentativo di superare la rigidità del paradigma SCR.
-

109
CAPITOLO 9 – DISCRIMINAZIONE DEL PREZZO
- La discriminazione del prezzo è un tipo di prezzo non uniforme utilizzato da un' impresa con
potere di mercato per massimizzare i suoi profitti.
La strategia consiste nel far pagare ai consumatori diversi prezzi unitari differenti per lo stesso
prodotto oppure far pagare a un singolo cliente un prezzo che varia a seconda delle quantità che
acquista.
- Non tutte le differenze di prezzo sono dovute a discriminazione del prezzo.
àAlcune di esse, per esempio, riflettono differenze di prodotto o differenze di costo nel fornire il
prodotto.

Incentivi e condizioni per la discriminazione del prezzo.

Profitto e discriminazione del prezzo.


- Un'impresa discrimina il prezzo per aumentare i profitti.
- Perché la discriminazione del prezzo consente di aumentare i profitti?
à La discriminazione del p è una strategia conveniente per l'impresa perché i consutnatori che
assegnano un valore elevato al bene lo pagano di più di quanto farebbero se i p fossero uniformi. -
Vediamo graficamente perché esiste un vantaggio nel discriminare il prezzo:

MC

B
Pm
Pc C

A D
RM

QmQc

- Nell’ipotesi di p uniformi, il monopolista max il π con MC = RM, con combinazioni p/q , di


cui può fissare una sola variabile.
- Ogni incremento di produzione provoca un < p non solo per l’unità aggiuntiva, ma anche per
tutte le unità prodotte precedentemente e non ancora vendute.
Da ciò: RM < p poiché ∆R = P∆Q (ovvero > R sa > Q) + Q∆P (<R da <P).
- Per livelli inferiori alla quantità di monopolio (Qm), i MC < RM e al monopolista conviene
aumentare la produzione.
- Raggiunta la quantità di monopolio (Qm), ogni unità di output in più determina unaperdita
poiché la componente negativa prevale.
- Nell’ipotesi di vendita, ad un p inferiore, limitata all’ultima unità il monopolista avrebbe
convenienza a produrre unità aggiuntive fintanto che il p rimane > MC, realizzando π incrementali
sull’ultima unità venduta (i ricavi precedenti non si modificano).
-La discriminazione del p, per diverse unità dello stesso prodotto, minimizza dunque l’effetto
megativo generato dall’incremento delle vendite sui RM àprezzi via via inferiori, per ogni unità
aggiuntiva, assieme a prezzi inalterati per le unità precedenti, accrescono i ricavi addizionali e il π
del monopolista.
110
Condizioni per poter discriminare.
- Perché la discriminazione del prezzo abbia successo sono necessarie tre condizioni: a)
Un'impresa deve avere potere di mercato
àossia deve poter fissare il p al di sopra dei costi marginali e realizzare profitti, altrimenti non potrà
mai riuscire a far pagare ad alcun consumatore più del prezzo di concorrenza.

b) Disporre di elementi di conoscenza sulla disponibilità a pagare dei singoli consumatori o di


gruppi di essi.

c) Impedire l’arbitraggio.
àUn'impresa deve essere in grado di impedire o limitare la rivendita dei beni da parte dei clienti
che pagano un prezzo inferiore a coloro che pagano un prezzo maggiore (arbitraggio).

Ostacoli alle rivendite.


- Vediamo i motivi per i quali rivendere il prodotto può essere difficile o impossibile per i
consumatoti:
§ Servizi.
La maggior parte del servizi non può essere rivenduta.
Un dentista, per esempio, può far pagare a un cliente un prezzo molto elevato e a un altro
uno molto basso, ma è impossibile effettuare una rivendita.
§ Garanzie.
Un produttore potrebbe stabilire che la garanzia su un prodotto è valida solo per il primo
acquirente, il che impone un maggior costo a colui che compera un prodotto da un
precedente acquirente.
§ Adulterazione.
Un produttore può adulterare un bene per renderlo inadatto ad altri usi.
Esempio: L'alcol si può bere e si può usare per scopi medicinali. Supponiamo che esso venga
prodotto da un monopolista, che vuole far pagare un p più elevato a coloro che bevono
alcolici e un p inferiore a coloro che usano l'alcol per scopi medicinali.
Il monopolista può impedire agli utenti per scopi medicinali la rivendita adulterando l'alcol
medicinale (aggiungendo ingredienti che lo rendano inadatto all'uso interno, ma ne
preservino le proprietà medicinali).
§ Costi di transazione.
Se i consumatori incorrono in costi elevati di transazione per rivendere il prodotto, le
rivendite sono meno probabili.
Esempio: esempio importante di costo di transazione sono i dazi doganali (che un governo
impone sulle merci importate).
Un produttore che voglia far pagare un prezzo elevato negli Stati Uniti e uno basso in
Europa dovrebbe preoccuparsi della rivendita dall'Europa agli Stati Uniti. Tuttavia un dazio
o un costo di trasporto elevato, che deve essere pagato da chiunque importi il prodotto
dall'Europa agli Stati Uniti, riduce o elimina le rivendite.
§ Clausole contrattuali.
All'interno delle proprie condizioni di vendita, un'impresa può impedire contrattualmente la
rivendita.
§ Integrazione verticale.

111
Supponiamo che un produttore voglia vendere una materia prima a p diversi a produttori
differenti che la utilizzano nel loro processo produttivo.
I produttori del bene A (che pagano di meno) sarebbero incentivati a vendere ai produttori
del bene B (che pagano di più) la materia prima acquistata ad un prezzo più basso.
Allora l’impresa che detiene la materia prima potrebbe eliminare il problema della rivendita
integrandosi verticalmente con l’impresa che produce il bene A.
§ Intervento del governo.
Il governo può emanare delle leggi che consentono alle imprese di un'industria
concorrenziale di agire collettivamente per impedire la rivendita.

Tipologie di discriminazione del prezzo.


- Esistono vari metodi per far pagare prezzi non uniformi.
- Il criterio di discriminazione del monopolista dipende dal tipo di informazioni di cui esso dispone
circa la disponibilità a pagare dei vari consumatori.
- Tutti i metodi di discriminazione del prezzo vengono adottati per estrarre il surplus del
consumatore.

1)La Discriminazione di 1° grado (o discriminazione perfetta del prezzo).


- La discriminazione perfetta del prezzo si verifica quando un monopolista conosce esattamente la
disponibilità a pagare di ogni singolo consumatore e riesce a far pagare a ciascuno un p uguale al
livello massimo che egli è disposto a corrispondere per ogni unità di prodotto.

Ogni consumatore acquista una sola unità.

- Supponiamo che ogni consumatore domandi solo un'unità di prodotto, e che abbia una
disponibilità a pagare diversa dagli altri.
- Pertanto, la curva di D ha pendenza negativa (come indicato nella Figura 9.1.)
- Supponiamo inoltre che l'impresa conosca la disponibilità a pagare di ciascun consumatore.
- Se può impedire la rivendita, l'impresa fa pagare a ciascun consumatore un p tale che: P = alla
disponibilità a pagare massima per quel consumatore à il cliente rimane senza surplus.

112
- L'impresa continua a vendere fino a quando il p = MC di produzione (assunti per semplicità come
costanti à MC = m).
- Il monopolista perfettamente discriminante:
à vende Q* unità
à mentre il consumatore marginale paga p* (come indicato nella Figura 9.1.) - Un'industria
concorrenziale:
à vende Q* unità,
à ma farebbe pagare a tutti un unico prezzo, p* = MC.
- La differenza sta nel fatto che:
§ il monopolista perfettamente discriminante à fa pagare a tutti i consumatori tranne quello
marginale più di p*, perciò non esiste surplus del consumatore.
§ Un’industria concorrenziale à il surplus del consumatore (l'area sotto la curva di domanda e
sopra p* nella Figura 9.1) viene invece massimizzato in condizioni di concorrenza. - Un
monopolista non discriminante:
à fa pagare un prezzo unitario, pm, e produce Qm ( nel punto in cui i suoi RM = MC)
à i consumatori ottengono una piccola parte del surplus del consumatore (l'area sotto la curva di
domanda e sopra pm), che è inferiore a quello che essi ottengono in condizioni di concorrenza.
- In definitiva:
In un monopolio con discriminazione dei prezzi, come avviene in un settore perfettamente
concorrenziale, si produce una quantità di output tale da max il surplus totale e realizzare la piena
efficienza allocativa delle risorse.
Ciò che cambia è la distribuzione del surplus tra consumatori e produttori, assorbito totalmente da
quest’ultimi (discriminazione perfetta per il monopolista).

Ogni consumatore acquista più di una unità.


- Come opera la discriminazione perfetta del prezzo quando i consumatori sono identici, ma
richiedono più unità a mano a mano che il prezzo scende?
- Supponiamo che ogni consumatore sia identico a tutti gli altri e abbia una curva di domanda con
pendenza negativa e che la curva di domanda nella Figura 9.1 rifletta quella di ciascun
consumatore invece di rappresentare quella aggregata del mercato.
- Ipotizziamo ancora che i costi marginali siano costanti e pari a m.
- Un monopolista perfettamente discriminante fa pagare un prezzo diverso per ciascuna unità del
prodotto venduta e quindi, praticando prezzi diversi a seconda delle quantità acquistate, ottiene
tutto il surplus del consumatore da ciascun cliente.
à Il monopolista fa pagare un p elevato per la prima unità consumata, un p più basso per l'unità
successiva e così via fino a quando fa pagare m, il costo marginale, per l'ultima unità.
In altre parole, il monopolista fissa i p che decide di far pagare in modo che essi coincidano con la
curva di domanda di ogni cliente.

- Nota: dato che la discriminazione perfetta del prezzo richiede conoscenze dettagliate sui singoli
acquirenti, è più probabile che si verifichi quando si realizzano singoli accordi.
Per esempio, un venditore di automobili può chiedere ai potenziali acquirenti notizie sul loro
lavoro, su dove abitano e su dove svolgono abitualmente il loro shopping nel tentativo di stimare
quale sia la cifra massima che essi sono disposti a pagare.
2)Discriminazione di 3° grado (prezzi diversi per gruppi diversi).
- Un'impresa che non ha informazioni sufficienti per individuare ogni cliente e stabilire quanto sia
disposto a pagare, non è in grado di praticare la discriminazione del prezzo di 1° grado e quindi
estrarre tutto il surplus del consumatore.
113
- L'impresa può avere però informazioni sufficienti per effettuare una discriminazione imperfetta
del prezzo.
- Se un'impresa può stabilire se un particolare cliente appartiene a un gruppo anziché a un altro, con
la condizione che le elasticità della domanda aggregata dei due gruppi siano diverse.
Se è possibile impedire (o limitare) la rivendita tra i due gruppi.
Se l'impresa conosce la curva di domanda aggregata di ciascun gruppo.

Risulta remunerativo fissare prezzi diversi per i due gruppi (discriminazione di 3° grado).
Il monopolista fa pagare ai consumatori dei gruppi diversi differenti prezzi unitari (in relazione alla
elasticità della D).
- Se il monopolista ha costì marginali e medi costanti e pari a m, i suoi profitti sono:
π = [p1 (Q1) – m]Q1 + [p2 (Q2) - m)Q2 (9.1)

in cui:
p1(Q1) àè il p che il monopolista fa pagare al gruppo 1 se vuole vendere Q1 unità
p2 (Q2) à è il p che il monopolista fa pagare al gruppo 2 se vuole vendere Q2 unità.
- I profitti totali sono pari a π = π1 + π2 con π1 = [(p1-m)Q1] e π2 = [(p2 - m)Q2].
- Il monopolista max i π totali (Equazione 9.1) massimizzando i profitti derivanti dalle vendite
separate a ciascuno dei gruppi.
àIl monopolista fa pagare un prezzo unitario a ogni membro di un dato gruppo. In
altre parole, il monopolista max i π quando:

MR1 = m à poiché MR1 = p1 (1 + (1/ε1)) à MR1 = p1 (1 + (1/ε1)) = m (9.2a)

MR2 = m àpoiché MR2 = p2 (1 + (1/ε2)) à MR2 = p2 (1 + (1/ε2)) = m (9.2b)


- Dato che i costi marginali, m, sono gli stessi sia nell'Equazione 9.2a sia nella 9.2b, ne consegue
che il monopolista che max i profitti ottiene gli stessi MR nei due mercati: MR1 = MR2.
- La decisione di p del monopolista discriminante è illustrata nella Figura 9.2, che mostra la D dei
due gruppi di consumatori.
(Nota: La curva dì domanda per il gruppo 2 sul lato sinistro del grafico è stata spostata verso sinistra
di 180 gradi in modo che si possa leggere in direzione opposta rispetto a quella del gruppo 1 sul lato
destro.

- Porre i RM = MC per ciascuna curva di D assicura la decisione di prezzo e output ottimale (pl,
Q1) e (p2, Q2).
114
- Possiamo riscrivere le Equazioni 9.2a e 9.2b come segue:

(9.3a)

(9.3b)
In altre parole, il markup percentuale del prezzo di ciascun gruppo è inversamente proporzionale
all'elasticità della domanda.
àPiù elevata è l'elasticità della domanda del gruppo, minore è il prezzo che gli viene praticato.
àMeno elevata è l’elasticità della domanda del gruppo, maggiore è il prezzo che gli viene praticato.
- Le equazioni 9,3a e 9.3b possono essere combinate per mostrare che il rapporto di prezzo per i
due gruppi dipende dalle rispettive elasticità:

Per esempio, se il gruppo 1 ha una domanda quasi perfettamente elastica (ε1 = - ∞) e il gruppo 2 ha
ε2 = - 2, allora pl/p2 = l/2 àcioè al gruppo 2, quello con la domanda relativamente anelastica,
viene fatto pagare il doppio rispetto al gruppo 1.

Altri metodi di discriminazione del prezzo di terzo grado.


- Le imprese possono praticare la discriminazione del prezzo di 3° grado in altri modi più
sofisticati. - Per esempio, in molti mercati alcuni consumatori sono meglio informati di altri sui
prezzi. Un modo che le imprese hanno per poter praticare prezzi diversi ai consumatori consiste
nel fissare un prezzo di listino elevato. L'impresa fa pagare il prezzo di listino a meno che un
cliente non reclami perché il prezzo del prodotto è superiore a quello di, altri negozi. In caso di
reclamo il negozio pratica il prezzo più basso. Questo metodo di fissazione del prezzo porta i
consumatori disinformati a pagare prezzi più elevati rispetto a quelli informati.
- Un altro esempio di discriminazione del prezzo di terzo grado prevede che si sfrutti il diverso
valore attribuito dai clienti al tempo.
Chi ha stipendi elevati e alto reddito dà maggior valore al tempo di chi ha stipendi bassi e reddito
basso. Un modo astuto per discriminare il prezzo tra questi due gruppi consiste nel fare un'offerta
speciale che esiga che i consumatori, per usufruirne, debbano impiegare del tempo.
- Sfruttare la diversa propensione dei consumatori ad attendere per consumare un nuovo
prodotto.
Per esempio, alcuni insistono nel voler essere fra i primi a vedere un nuovo film o a entrare in
possesso di un dispositivo elettronico di ultima generazione. Tali acquirenti pagano un prezzo
maggiore rispetto agli altri nel caso in cui i prezzi scendano nel corso del tempo. Non tutte le
imprese con potere di mercato possono tuttavia effettuare con profitto delle discriminazioni di
prezzo nel corso del tempo.

Effetti di benessere della discriminazione del prezzo.


- La discriminazione perfetta di 1° grado à genera un livello di output efficiente (di tipo
concorrenziale), ma influisce sulla distribuzione del reddito: consumatori sono più poveri poiché il
surplus va interamente al monopolista.
- La discriminazione di 3° grado à i consumatori finiscono con l'avere meno soldi che in
condizioni di concorrenza.

115
Inoltre, dalle equazioni 9.3a e 9.3b, sappiamo che i p > MC, perciò non sono efficienti come nella
concorrenza perfetta o nella discriminazione perfetta del prezzo.
- Nota: la discriminazione del prezzo di terzo grado, però, può essere migliore o peggiore dal punto
di vista dell'efficienza rispetto alla situazione che si determina con un monopolista non
discriminante (a seconda della forma delle curve di D e di costo).
- Nella discriminazione di terzo grado sono presenti tre fonti di inefficienza: a) p> MC e q < di
quella concorrenziale
b) Inefficienza nel consumo.
Dato che consumatori diversi pagano p unitari diversi per lo stesso prodotto, la disponibilità
marginale a pagare di ciascun consumatore non è la stessa. Questo determina inefficienza a causa
delle opportunità non sfruttate di ulteriore commercio.
c) Una terza fonte di inefficienza sta nel fatto che i consumatoti devono, in alcuni casi, impiegare
risorse per ottenere un prezzo basso, risorse che non vanno però a beneficio dell'impresa.
Per esempio, un consumatore può essere costretto ad aspettare in coda per ottenere, il prezzo basso.

116
CAPITOLO 10 – METODI COMPLESSI PER LA DETERMINAZIONEDEL
PREZZO

Prezzi non lineari.


- Si ha un prezzo non lineare quando la spesa totale di un consumatore per un prodotto non
aumenta in modo lineare (ossia proporzionalmente) con la quantità acquistata.
Infatti il p unitario varia al variare del numero di unità acquistate dal cliente.
- Analizzeremo in questo capitolo dei metodi più complessi di discriminazione del prezzo
come: - Tariffa in due partià un'impresa fa pagare a un consumatore una quota fissa (la prima
parte della tariffa) per il solo diritto ad acquistare un numero illimitato di unità, pagando poi queste
unità a un prezzo prestabilito (la seconda parte della tariffa).
Per esempio, un circolo sportivo può far pagare ai soci una quota annuale di iscrizione e quote
aggiuntive per l'uso di particolari strutture.
- Sconti sulla quantitàà il prezzo varia con il numero di unità del bene acquistate dal cliente.
- Vendite abbinate di due (o più) benià con questo metodo un cliente può acquistare un prodotto
solo se ne acquista anche un altro.
Esempio: le macchine fotografiche potrebbero essere vendute a condizione che gli acquirenti
acquistino le pellicole dal venditore.
- Discriminazione della qualitàà viene offerto un prodotto di alta qualità a un prezzo
elevato ai consumatori che attribuiscono un valore elevato al bene, e un prodotto di bassa qualità a
un prezzo ridotto agli altri consumatori.
In questo modo l’impresa fa pagare prezzi più elevati a coloro che sono disposti a farlo.
- Inoltre illustreremo come questi metodi di fissazione del prezzo consentano alle imprese dì
aumentare i propri profitti, a condizione che esse abbiano potere di mercato e possano controllare o
impedire la rivendita.

3)Discriminazione di 2° grado.
- I p non lineari vengono utilizzati per attuare una discriminazione del prezzo di secondo
grado, mediante la quale un'impresa, in grado di impedire o quanto meno controllare la rivendita tra
i singoli consumatori, fa pagare a clienti diversi prezzi diversi, pur non conoscendo la D dei singoli.
à Difficoltà nella scelta del p da applicare.
- Proposta di una pluralità di offerte (p) che rende esplicita la disponibilità a pagare del
consumatore.
- In sintesi: a differenza dei 2 casi precedenti, con la discriminazione di 2° grado il p non varia in
funzione dl consumatore, ma della quantità che acquista.

Nota: Differenze tra discriminazioni di prezzo.


1° Grado) Perfetta conoscenza del p massimo che può pagare ogni consumatore.
3° Grado) Perfetta conoscenza dei gruppi e di quanto sono disposti a pagare.
2° Grado) Mancata conoscenza della disponibilità a pagare di ogni consumatore o gruppo di
consumatori.

A)Tariffa unica in 2 parti (club, telefonini, ecc)


- Un'impresa che utilizza una tariffa in due parti fa pagare ai consumatori una somma fissa per avere
il diritto ad acquistare i prodotti e un prezzo unitario per l'uso dei prodotti à P = F (quota fissa) +
pQ (quantità utilizzata dal cliente).

117
- Per esempio: I club di tennis, fanno pagare un canone fisso di abbonamento mensile e un prezzo
per l'uso che dipende dal numero di ore in cui il socio gioca a tennis. Distinguiamo 2 casi:

1)Curva di D unica per tutti i consumatori ( che sono tutti uguali).


- Nel caso di curva di D unica a MC costanti l’imprenditore potrebbe:
SCELTA A: fissare un p unico

B
Pm

A C
MC
Pc
MR D

Qm Qc

- Il monopolista fissa Pm dato dall’uguaglianza MC = MR - I profitti sono dati dall’area A.


- Il surplus del consumatore è l’area B.
- Perdita netta di surplus è data dall’area C.
- B + C à perdita di surplus per il monopolista rispetto ad una situazione di concorrenza perfetta.

SCELTA B: fissare una tariffa in 2 parti.


-In sostanza il monopolista fa pagare una tariffa in 2 parti in cui ogni cliente paga una quota fissa per
il solo diritto ad acquistare il bene più un prezzo unitario per ogni unità consumata. à In questo
modo si può estrarre tutto il surplus del consumatore.
- Se il prezzo = Pm allora la quota fissa F = B e i π = A+B (viene assorbito il surplus B)
- La Q ottimale è la quantità di output che massimizza il surplus totale ( A+B+C)
à ed è la quantità Qc dove p = MC e la quota fissa F = A+B+C e π = A+B+C -
Dunque con un p< il monopolista bende una quota > e stabilisce F >.
- In definitiva: la tariffa in due parti accresce il π, assorbendo tutto il surplus del consumatore (B) e
azzerando la perdita di surplus (C) generata dalla condizione di monopolio.

118
2)Curva di D differente per 2 tipologie di consumatori.
- Di solito, però, esiste più di un tipo dì consumatore e l'impresa non è in grado di distinguere i vari
tipi.
- Supponiamo che esistano soltanto consumatori di due tipi e che le relative curve di D siano quelle
presentate nella Figura 10.1.

- Un cliente del tipo 2 è disposto a comprare di più al livello di prezzo p rispetto a un cliente del tipo
1 e beneficia di un maggior surplus (T2> T1) di un cliente del tipo 1.
- La soluzione ottimale per un impresa che pratica un prezzo unitario p sarebbe quella di:
• far pagare a un cliente del tipo 1 à una quota fissa pari a T1.
• far pagare a un cliente del tipo 2 à una quota fissa pari a T2.
-Ma l’impresa non è in grado di distinguere tra un tipo di cliente e l'altro e fa pagare una tariffa in
due parti unica che consiste di un prezzo unitario pari a p e di una somma fissa T, la quale però non
può superare T1 se vuole che i clienti del tipo 1 comprino il prodotto.
- In molti casi l'impresa può ottenere profitti più elevati concentrandosi sui clienti del tipo 2,
lasciando che quelli del tipo 1 decidano di non acquistare il prodotto.
- Meno simili sono i consumatori del tipo 1 a quelli del tipo 2, più è difficile per l'impresa ottenere il
surplus del consumatore dai clienti del tipo 2 con una tariffa unica in due parti.

La tariffa in due parti doppie.


- Identificare il meccanismo di fissazione di un p non lineare che porti un'impresa a max i profitti di
monopolio è un'operazione complessa.
- Illustriamo un esempio per mostrare i concetti fondamentali.

119
- Supponiamo che un'impresa conosca le curve di D di due tipi di consumatori (del tipo 1 e del tipo
2) e la prevalenza dei due tipi di consumatori nella popolazione, ma non conosca a quale tipo
appartenga ogni singolo consumatore.
- L'impresa può offrire ai consumatori la possibilità di scegliere tra due listini diversi di tariffe in
due parti.
àOgni consumatore sceglie o autoseleziona il listino che corrisponde al livello più elevato di
utilità.
- I due listini sono presentati nella Figura 10.2 sotto forma di linee rette tratteggiate.
Le intercette sull'asse delle ordinate corrispondono alla quota fissa F prevista dalla tariffa in due
parti e la pendenza delle curve rappresenta i costi marginali costanti (che crescono di più per il
listino 1).
à il listino 1 viene scelto da chi vuole acquistare poche unità del bene.
à il listino 2 viene scelto da chi vuole acquistare maggiori unità del bene.
- Seguendo questo ragionamento i consumatori scelgono sempre 1' "inviluppo" inferiore delle due
curve che è rappresentato da una linea ad angolo.
- L'impresa sceglie la tariffa in due parti doppia (i due listini) in modo tale da massimizzare i
profitti.
- L'incapacità dell'impresa dì individuare la disponibilità a pagare dei singoli clienti pone dei vincoli
alla politica di fissazione del prezzo.
àSe l'impresa sapesse quali consumatori appartengono a ciascun gruppo (e potesse impedire la
rivendita), potrebbe elaborare una tariffa in due parti per ogni gruppo.
- Noi sappiamo che la politica ottimale, quando l'impresa è in possesso delle informazioni
necessarie, consiste nel praticare a ciascun consumatore un p = MC = m e assicurarsi il surplus di
ogni consumatore facendo pagare una quota fissa pari al surplus.
- Ritornando alla figura 10.1 se l’impresa fissasse due tariffe in due parti:
una pari a (T1, m) e l'altra pari a (T2, m), e se i due tipi di consumatori presentano curve di D come
indicato nella Figura 10.1, nessuno di loro sceglierebbe mai la seconda tariffa in due parti perché
T2> T1.
- Dunque visto che i consumatori scelgono sempre (e in questo modo si autoselezionano) la
struttura di prezzo che è migliore per loro à la capacità dell'impresa di discriminare il prezzo è
vincolata.

L'impresa allora elabora la propria struttura dei prezzi in modo da max i π, ma condizionata al
vincolo di autoselezione, ossia a una restrizione della struttura dei prezzi dell'impresa tale per cui i
consumatori dì qualsiasi gruppo non devono preferire la tariffa in due parti di un altro gruppo.

120
- Analizziamo ora la soluzione ottimale in cui il monopolista serve entrambi i tipi di consumatori.
- Supponiamo, per esempio, che a ogni dato prezzo i consumatori del tipo 2 domandino un maggior
numero di unita dei consumatori del tipo 1, come indicato nella Figura 10.1.
- La politica ottimale dell'impresa consiste nel fare in modo che:
I clienti del tipo 2 àpaghino una quota fissa T2>T1 e che il prezzo marginale dei consumatori del
tipo 2, p2, sia p2<p1.
I clienti del tipo 1 à paghino una quota fissa T1<T2 e che il prezzo marginale dei consumatori del
tipo 1, p1, sia p1<p2.

Offrendo un prezzo basso a chi ha una D elevata, i clienti ottengono un grande surplus dei
consumatore, che l'impresa si assicura mediante T2.
Questo T'2 elevato scoraggia gli acquirenti di piccole quantità (del tipo 1), che preferiscono pagare
un prezzo marginale più alto per le quantità più piccole che comprano.

- I ristoranti rappresentano un ottimo esempio di uso delle tariffe in due parti per dividere i
consumatori in gruppi.

- La Figura 10.3 distingue tra clienti del tipo 1 e del tipo 2.


- Il consumatore del tipo 2 preferisce la tariffa (T2, p2) a quella (T1, p1) perché, anche se la quota
fissa pari a T2 >T1, il p è inferiore (p2 <p1) e quindi il surplus del consumatore rimanente è più
alto con la tariffa 2.
- Analogamente, i consumatori del tipo 1 preferiscono (T1, p1) a (T2, p2); il loro surplus del
consumatore rimanente è più elevato con la tariffa (T1, p1) perché possono sfruttare la quota fissa
bassa.
- In definitiva: l’utilizzo di tariffe in 2 parti genera π, per il monopolista, più elevati di quelli ottenuti
fissando il p unico di monopolio Pm, anche se registra un costo (< surplus).

B) Sconti sulla quantità (3x2)


- Anche in questo caso il p è non lineare (si riduce se q>).
- Presenza di segmenti di mercato differenti (diversa ε).
- Difficoltà di definire, per il monopolista, l'appartenenza dei consumatori ai diversi gruppi.
- Mancanza di dati discriminanti oggettivi.
- Scelta e autoselezione per i consumatori che manifestano l'appartenenza al gruppo o segmento di
mercato.

121
C) Vendite abbinate a più beni.
- Una vendita abbinata di due (o più) beni è una vendita in cui un consumatore può acquistare un
prodotto solo se ne acquista anche un altro.
- Le vendite abbinate possono essere utilizzate per discriminare il p.
Come accade nel caso di tutti i meccanismi di discriminazione del prezzo, il motivo per cui
l'abbinamento può far aumentare i profitti è che consente all'imprese dì far pagare p più alti ai
consumatori che attribuiscono un valore elevato al bene.

Motivi generali (anche non connesse alla discriminazione del prezzo) alla base delle vendite
abbinate.
- Le vendite abbinate possono essere usate per:
§ Aumentare l'efficienza.
Le vendite abbinate possono essere usate per aumentare l'efficienza.
Esempio: un'automobile, che potrebbe essere considerata come un involucro comprendente un
motore, pneumatici e una carrozzeria, potrebbe essere venduta separatamente, ma dato che i
consumatori desiderano prodotti assemblati, questi vengono venduti abbinati.

§ Consentono di evitare i controlli sui prezzi.

§ Praticare tagli segreti sui prezzi.


Un' impresa che opera in un oligopolio, per esempio, potrebbe trovare conveniente concedere sconti
sui prezzi senza che i concorrenti lo sappiano.
Essa può farlo vendendo un prodotto al prezzo di oligopolio, ma abbinando quella vendita a un altro
prodotto con un prezzo molto basso.

§ Garantire la qualità.
La Kodak, per esempio, sosteneva di aver abbinato lo sviluppo dei negativi alla vendita delle
pellicole perché non riteneva che i negozi fotografici indipendenti potessero effettuare il servizio
con una professionalità pari alla sua

§ Per discriminare i prezzi.


- Le vendite abbinate possono essere utilizzate per aumentare i profitti di monopolio.
Dunque se un'impresa detiene il monopolio di un prodotto, può essere in grado di aumentare i propri
profitti abbinando un altro bene alla vendita del prodotto monopolizzato. - Esistono due tipi
piuttosto comuni di vendite abbinate:
1) Raggruppamento o vendita abbinata” a pacchetto”àsi verifica quando due o più
prodotti vengono venduti solo in proporzioni fisse (per esempio un negozio esige che, se
acquistate un barattolo di caffè, doppiate comprare anche un pacco di zucchero).
2) Vendita abbinata vincolata àai clienti che comprano un prodotto da un'impresa
viene chiesto di effettuare tutti i loro acquisti di un altro prodotto da quel imprese (per
esempio un negozio esige che chi acquista i suoi pc, acquisti da lui anche i software).
- Molto spesso le D dei beni abbinati sono correlate (interdipendenza dei p e delle relative D).
( Per esempio, il valore di una macchina fotografica dipende dalla disponibilità della pellicola.
Il p di quest'ultima influisce sulla D di macchine fotografiche e viceversa).
- Questa correlazione della domanda crea incentivi a discriminare il p mediante abbinamenti "a
pacchetto" e abbinamenti vincolati.

122
- Prima di illustrare questo aspetto, esaminiamo innanzitutto la max dei π con D correlate senza
vendite abbinate.

Massimizzazione dei profitti con D correlate.


- Supponiamo che un'impresa detenga il monopolio di due prodotti, A e B.
- Essendo le D correlate, la D di A dipende sia da Pa sia da Pb.
Analogamente, la D di B dipende da Pa e da Pb.
- I costi MC di produzione dei prodotti A e B sono mA e mB; i prezzi corrispondenti sono Pa e Pb, e
le curve di D corrispondenti sono DA(Pa, Pb) e DB (Pa, Pb).
- Il profitto derivante dalla vendita di A è: πA(Pa, Pb) = (Pa - ma) DA(Pa, Pb).
- Analogamente, il profitto derivante dalla vendita di B é: πB(Pa, Pb) = (Pb - mb) DB(Pa, Pb).
- Il problema del monopolista è quello di max i profitti derivanti dalle vendite dei due prodotti, π,
che dipendono dai due prezzi:

π (Pa, Pb) = πA(Pa, Pb) + πB(Pa, Pb) = (Pa - ma) DA(Pa, Pb) + (Pb - mb) DB(Pa, Pb) (10.1)

- Nella scelta dei p ottimali da praticare il monopolista deve tener conto che esiste questa
correlazione tra i beni (cioè analizzare come influisce il prezzo di A sui profitti generati da B e
viceversa).
- Il problema del monopolista è illustrato nella Figura 10.6.

- La curva di D di A si sposta verso l'esterno a mano a mano che il prezzo di B scende da 5 a 4.


Modificando il prezzo PB, il monopolista può riuscire a spostare verso l'esterno la curva di DA in
modo da ottenere un π sufficientemente grande dalle ulteriori vendite di A più che compensato da
qualsiasi riduzione dei profitti derivanti dai prezzi minori per il bene B (Se Pa varia, anche DB si
sposta).
- In definitiva: un monopolista di due prodotti correlati tra di loro può discriminare i p fissando
almeno un p > a quello che fisserebbero due monopolisti distinti per un bene, e un p< per l’altro
bene.
Ad esempio i Pb ad un p<MC per vendere il bene A ad un p>.

Abbinamenti "a pacchetto" con D correlate.


- Se le D sono correlate, gli abbinamenti "a pacchetto" sono un metodo che il monopolista può
utilizzare per evitare il comportamento inefficiente da parte dei consumatori e quindi aumentare i
suoi π.
Per esempio, le automobili sono fatte di alluminio e acciaio.

123
La disponibilità dei produttori di automobili a pagare per l'alluminio dipende dal prezzo
dell'acciaio. Quindi, se è possibile realizzare l'output utilizzando proporzioni variabili dei due fattori
produttivi, le domande di questi ultimi sono correlate.
Supponiamo che l'industria automobilistica e quella dell'acciaio siano di tipo concorrenziale, e che
l'alluminio sia invece fornito da un monopolista.
I produttori di automobili scelgono una combinazione di alluminio e acciaio basata sul rapporto tra il
prezzo di monopolio dell'alluminio e il prezzo concorrenziale dell'acciaio.
Dato che il prezzo dell'alluminio è relativamente alto (più alto di quello concorrenziale) essi
utilizzano una quantità relativamente troppo elevata di acciaio e troppo bassa di alluminio, quindi la
produzione automobilistica è inefficiente.
Inoltre, e questo è il problema del monopolista dell'alluminio, viene acquistato un quantitativo
relativamente basso di tale materiale.
Il monopolista dell'alluminio potrebbe costringere i produttori di automobili a stipulare contratti che
li vincolano a utilizzare una quantità relativamente maggiore di alluminio. Per esempio, potrebbe
costringerli a usare la proporzione efficiente tra alluminio e acciaio (il rapporto che si sceglierebbe
se tutte le industrie fossero concorrenziali). Il monopolista potrebbe imporre questa restrizione
imponendo ai produttori di automobili di acquistare la quantità efficiente di acciaio presso la sua
impresa, che si approvvigiona invece sul mercato concorrenziale dell'acciaio.

Abbinamenti vincolati con D correlate.


- Nell’abbinamento vincolato i consumatori acquistano un prodotto e viene poi richiesto loro di
effettuare tutti i loro acquisti di qualche altro prodotto connesso dallo stesso produttore.
- In un abbinamento vincolato tipico, l'impresa fissa un p per il prodotto primario e ne fa pagare uno
elevato (superiore a quello concorrenziale) per il prodotto connesso.
- Pertanto, un elemento decisivo per max i profitti in caso di abbinamento vincolato è che i
consumatori abbiano D con volumi diversi.
- Analizzeremo ora i motivi per cui gli abbinamenti vincolati possono essere remunerativi.

124
- Supponiamo che un'impresa sviluppi un nuovo macchinario che cuce automaticamente i bottoni
sulle camicie.
- Prima dell'invenzione. di questo macchinario, i bottoni erano cuciti a mano e il costo del lavoro era
pari a 0,01 per bottone.
- Supponiamo inoltre che un produttore di dimensioni elevate faccia applicare 10.000 bottoni
all'anno à Egli è disposto a pagare la somma di 100 l'anno per il macchinario perché gli fa
risparmiare 100 costo del lavoro.
- Un altro produttore che usa solo 1.000 bottoni sarebbe invece disposto a pagare al massimo 10
all'anno per il macchinario.
- Per semplicità, supponiamo che il macchinario duri solo un anno e che il numero totale di bottoni
che ciascun produttore fa applicare alle camicie nello stesso periodo rimanga invariato a seguito di
questa invenzione.
- La curva di D del macchinario, DM(pM,pB), dipende dal prezzo della macchina, pM, e dal prezzo
dei bottoni, pB. Quest'ultimo è pari a 0,05 (Figura 10.7a).
- Supponiamo che il monopolista che produce il macchinario decida di consentire alle imprese di
usare gratuitamente questo nuovo processo a condizione che acquistino tutti i bottoni da lui per un
prezzo pari a pB = 0,06, che è superiore di 0,01 al prezzo concorrenziale.
à In altre parole, il monopolista abbina la vendita dei bottoni a quella del macchinario e fa pagare
un sovrapprezzo pari, a 0,01 per ciascun bottone. Qualsiasi impresa cui serva la macchina accetta
queste condizioni perché la macchina le fa risparmiare una somma pari a 0,01 per bottone.
- In seguito a questo abbinamento i maggiori consumatori di bottoni pagano un prezzo reale più alto.
Per esempio, l'impresa che domanda 10.000 bottoni paga in realtà un prezzo di 100 per il
macchinario; l'impresa che domanda solo. 1.000 bottoni, invece, paga solo 10.
- In altre parole, un abbinamento tra bottoni e macchine consente al monopolista di far pagare
p diversi per il macchinario, praticando un prezzo maggiore a coloro che attribuiscono un
valore elevato al macchinario.
125
- E’possibile mettere in relazione questo esempio di abbinamento tra macchinario e bottoni con
l'analisi effettuata in precedenza delle curve di D correlate.
- Se il monopolista fa pagare 0,06 per bottone e estrae tutto il surplus del consumatore, i clienti non
sono disposti a pagare per il macchinario (la curva di D è la retta tratteggiata che giace sopra l'asse
delle ascisse nella Figura 10.7a).
- L'impiego del macchinario fa spostare verso l'esterno la curva di domanda di bottoni.
Se il macchinario viene concesso gratuitamente, la curva della D di bottoni si sposta verso l'alto di
0,01 in più rispetto a dove si trovava prima dell'invenzione del macchinario (nella Figura 10.7b la
linea tratteggiata può essere intesa come la domanda di bottoni quando il prezzo dei macchinari è
talmente elevato che nessuno ne acquista uno, mentre la linea spessa può essere intesa come la
domanda di bottoni quando il prezzo dei macchinari è pari zero).
Analogamente, a mano a mano che il p del macchinario aumenta, la curva di domanda di bottoni
scende al suo livello iniziale.
- Pertanto l'abbinamento, in base al quale si pongono pM = 0 e pB = 0,06, fa spostare la curva di
domanda del macchinario verso il basso e quella dei bottoni verso l'alto rispetto alle posizioni in
cui si troverebbero se pM> 0 e pB = 0,05.
- L'abbinamento consente dunque all'impresa di discriminare perfettamente il prezzo, perciò è più
remunerativo che fissare qualsiasi prezzo uniforme positivo per il macchinario e non vendere
bottoni (o venderli al prezzo concorrenziale).

D)Discriminazione della qualità.


- Quando i consumatori preferiscono livelli diversi di qualità, il monopolista manipola la qualità dei
prodotti sul mercato per estrarre il surplus del consumatore.
Il monopolista segue i principi che abbiamo esaminato in precedenza in relazione alla
discriminazione del prezzo e sceglie la gamma dì qualità che gli' consente di far pagare un prezzo
alto a coloro che attribuiscono un valore elevato al prodotto; e un prezzo basso a coloro che gli
attribuiscono un valore basso.
- Esempio: Il monopolista di automobili, può scegliere di produrre solo macchine di qualità molto
alta e molto bassa. Non fornendo sostituti stretti delle auto di qualità elevata, il monopolista può
ottenere profitti più elevati dalla loro vendita di quanto potrebbe realizzare nel caso in cui
producesse anche auto di qualità medie a prezzo contenuto. Queste ultime infatti potrebbero essere
buoni sostituti delle macchine di alta qualità e prezzo elevato. In questo modo l'impresa può far
pagare un prezzo elevato per la macchina di alta qualità senza preoccuparsi che i consumatori la
sostituiscono con un'auto di qualità e prezzi bassi, dato che non la considereranno un sostituto
stretto.

126
CAPITOLO 11 – COMPORTAMENTO STRATEGICO

Definizione di comportamento strategico.


- Il comportamento strategico è un insieme di azioni che un'impresa intraprende per influenzare
la situazione di mercato in modo tale da aumentare i propri profitti.

La situazione di mercato consiste di tutti i fattori che influiscono sull'esito di mercato (prezzi,
quantità, profitti, benessere), comprese le aspettative dei clienti e dei rivali, il numero dì
concorrenti effettivi e potenziali, la tecnologia di produzione di ciascuna impresa e i costi o la
velocità con la quale un concorrente può entrare nell'industria.

- Esamineremo due tipi di comportamento strategico:


v Non Cooperativo à Il comportamento strategico non cooperativo consiste nelle azioni
svolte da una singola impresa per max i π migliorando la sua posizione rispetto a quella
dei rivali.
Questo tipo di comportamento in genere fa aumentare i profitti di un'impresa e
diminuisce quelli delle imprese concorrenti.
v e cooperativo à Il comportamento strategico cooperativo consiste in azioni che rendono
più facile alle imprese di un'industria coordinare le proprie iniziative e limitare il
dinamismo competitivo.
Questo tipo di comportamento incrementa i profitti di tutte le imprese di un mercato
riducendo la concorrenza.

A) Il comportamento strategico non cooperativo.


- Affinchè la strategia non cooperativ abbia successo devono essere soddisfatte 2 condizioni:
1) Vantaggio della prima mossa (asimmetria tra le imprese)
à l’impresa deve di solito avere un vantaggio sui propri rivali. Per esempio deve essere ingrado
di agire prima dei concorrenti.
2) Impegno vincolante.
àL’impresa deve perseguire una minaccia credibile agli occhi della concorrente, attuando una
strategia che sia razionale.
Vincolandosi a svolgere l'azione minacciata, in modo tale da non poter cambiare comportamento
anche se effettivamente lo si vorrebbe modificare, un'impresa può rendere credibile la propria
minaccia.

- Analizziamo adesso 4 strategia molto comuni:


1) La politica predatoria dei prezzi
2) La fissazione di un prezzo-limite
3) gli investimenti effettuati per abbassare i propri costi
4) i comportamenti adottati per aumentare i costi dei concorrenti
- Queste strategie risultano essere efficaci quando la presenza di barriere a una rapida entrata e
uscita impediscono a un'altra impresa identica di utilizzare la stessa strategia.

127
àsenza queste barriere non può esserci asimmetria tra le imprese e questi comportamenti
strategici non sono efficaci.

1)Le politiche predatorie dei prezzi.

Definizione. Un’impresa adotta una politica predatoria dei prezzi quando, in una prima fase,
riduce il proprio p a un livello molto basso per spingere i concorrenti a uscire dal mercato e per
scoraggiare l'entrata da parte di potenziali imprese; in una seconda fase, quando i rivali sono
usciti dal mercato, aumenta il p.
Dunque l'impresa incorre in perdite di breve periodo per ottenere profitti di lungo periodo.
Questa strategia può avere successo solo se l'impresa, durante il periodo è in cui tiene un prezzo
basso, riesce a mantenerlo più a lungo dei concorrenti.
Qualora l'impresa riesca eliminare i concorrenti attuali e poi aumenti il p, si crea un incentivo
perché nuove imprese entrino nell'industria. Dunque, l'impresa esistente dovrà abbassare
nuovamente il p per costringere queste nuove impresa uscire dal mercato e dovrà attuare una
strategia credibile.

- Di seguito esaminiamo 2 casi distinti:


Ø Modello con imprese tutte ugualià in cui è poco probabile che la politica predatoria dei
prezzi abbia successo;
Ø Modello in cui un'impresa gode di un vantaggio della prima mossa sui rivalià perciò la
politica predatoria dei prezzi può essere conveniente.

Le politiche predatorie dei prezzi con imprese tutte uguali.


- Analizziamo se il comportamento predatorio ha senso se le imprese sono identiche.
- Nel periodo in cui l'impresa esistente pratica prezzi predatori incorre in perdite > di quelle di un
rivale egualmente efficiente.
- Illustriamo graficamente questo risultato:

128
- Supponiamo che vi siano solo due imprese, una già presente e un'altra entrata di recente, con
funzioni di costo identiche, come indicato nella Figura 11.1.
- L'impresa esistente abbassa il prezzo di mercato fino a p* per infliggere delle perdite al rivale e
spingerlo a uscire dal mercato. Perché il prezzo di mercato rimanga al livello p*, devono essere
vendute q* unità di output, come mostra la curva di domanda della Figura 11.1.
- Se il concorrente non esce dall'industria e produce qe unità, per le quali p* = MC, subisce una
perdita pari all'area A della figura.
- Per mantenere il prezzo al livello p*, l' incumbent deve produrre qi = q* - qe unità in modo che
l'output totale dell'industria sia q*.
- In questo modo l'impresa esistente produce a un MC più elevato di quello del suo concorrente e
subisce perdite totali pari all'area A più l'area B.
àDi conseguenza, la perdita dell'impresa già presente è maggiore di quella del concorrente, di
un importo pari all'area B.
- I consumatori traggono un beneficio durante il periodo in cui si hanno politiche predatorie dei
prezzi perché riescono ad acquistare il prodotto al prezzo p'* che è < al p di duopolio.
- In definitiva, perrché le politiche predatorie dei prezzi abbiano successo occorre che l'impresa
sia convinta che il rivale che sta attuando la politica predatoria manterrà il prezzo basso per
tutto il tempo necessario a spingerla fuori dal mercato. Ma poiché l'azione che l'incumbent si
propone di effettuare abbassando il prezzo a p* non viene considerata razionale, non risulta
essere credibile.
-Analizziamo quali sono le strategie utilizzate dall’impresa entrate in un mercato contro le
politiche predatorie dei prezzi:
• Cercare di convincere l'incumbent a fondersi con essa
à in modo da poter praticare da subito un p elevato ed evitare il costoso periodo di
politiche predatorie dei prezzi.
• Stipulare contratti con gli acquirenti prima dell'entrata.
àcioè si determina prima dell’entrata un p < del p praticato dall’incumbent. In questo
modo, una diminuzione del p da parte dell'impresa esistente non sarebbe dannosa, perché
le vendite verrebbero effettuate al prezzo prestabilito.
• Diminuire l'output nei periodi in cui vengono attuate politiche predatorie dei prezzi. à in
modo tale da ridurre le perdite.
• Uscita dal settore, se ciò si può fare senza senza incorrere in costi (mercati contendibili) e
reimpiegare il proprio capitale in un altro settore industriale. Quando poi l'impresa già
presente aumenta il p, il rivale entra di nuovo nell'industria.

Le politiche predatorie dei prezzi quando un'impresa ha un vantaggio.


- Perché la politica predatoria abbia successo l'impresa che la attua deve avere un vantaggio
intrinseco sui rivali.
- Ma che tipo di vantaggio deve avere?
Si possono avere:
§ Asimmetrie reali.

129
L’incumbent ad es. ha una struttura dei costi migliore o una maggiore disponibilità di
risorse.
§ Asimmetrie percepite.
Informazione incompleta sull’impresa esistente, tale da far ritenere alla concorrente di
non poter competere e di uscire dal settore.
Vediamo perché in questo caso una strategia predatoria dei p potrebbe avere successo.

- Supponiamo, per esempio, che l'impresa dominante possa avere sia costi elevati sia costi bassi,
e che solo lei conosca il livello effettivo dei suoi costi. In seguito all'entrata, l'impresa esistente
può abbassare il prezzo per due ragioni ragioni:
1) I'incumbent ha davvero costi più bassi della concorrente.
àcome visto, la riduzione dei p rappresenta una mossa concorrenziale vantaggiosa da perseguire
(si max i profitti nel lungo periodo).
2)L’incumbent fa credere alla concorrente di avere costi più bassi di lei.
àFissando prezzi <MC l’impresa esistente lancia un messaggio di aggressività all’altra impresa ,
scoraggiando l’ingresso di nuove imprese concorrenti. Infatti non essendo nota la struttura dei
costi dell’impresa incumbent, fissare p > MC potrebbe essere un segnale di efficienza.
Invece, un'impresa entrante, che non ha mai deciso p prima dell'entrata, non può influenzare le
aspettative dell'impresa già presente sul suo livello di efficienza, e ciò crea una naturale
asimmetria tra le imprese.

Comportamento predatorio, benessere sociale e leggi antitrust.


- Vantaggio per i consumatori è solo nel breve periodo (>q e < p); ma nel lungo periodo minor
benessere per p molto piu’ elevati.
- I prezzi predatori sono definiti dalla legislazione antitrust come una strategia illegale.
- Vi è molta difficoltà ad individuare un comportamento oggettivamente predatorio.
- L'ampia letteratura economica e giuridica indica varie norme per stabilire se un'impresa stia
attuando politiche predatorie dei prezzi.
- Molti tribunali hanno adottato una regola proposta da Areeda e Turner (1975):
ü le politiche di prezzo di un'impresa sono predatone se il p < MC di breve periodo. La
logica che sta alla base di questa regola è che nessuna impresa decide mai di operare a un
livello in cui il prezzo è inferiore al costo marginale di breve periodo a meno che abbia un
motivo strategico per farlo.
ü Areeda e Turner suggeriscono inoltre l'uso dei costi medi variabili quale indicatore
approssimativo dei costi marginali di breve periodo se questi ultimi non si possono
determinare a causa dei dati limitati a disposizione.
- Non sempre tuttavia p<Mc testimoniano un intento predatorio:
§ P più bassi per lanciare un nuovo prodotto Molto.
à spesso un'impresa, entrando in un'industria, cerca di creare un interesse dei
consumatori per i suoi prodotti e dunque per creare domanda, praticando dei prezzi
promozionali.
§ P piu’ bassi per segnalare al mercato che l’impresa è disponibile a fornire tale prodotto
in futuro.

130
§ à Un'impresa infatti può temere che i suoi potenziali clienti possano acquistare il
prodotto di un concorrente e non essere disposti in seguito a cambiare prodotto, anche se
l'impresa sarà in grado di produrre in modo efficiente.
§ Il p può sembrare più basso dei MC di breve periodo quando sì verifica una situazione
produttiva denominata imparare facendo (learning by doing.
à Fissando inizialmente un prezzo molto basso, l'impresa riesce a realizzare un
livello elevato di vendite e quindi ad accumulare l'esperienza necessaria ad abbassare
successivamente i costi. Anche se il prezzo corrente è inferiore ai costi unitari attuali di
produzione, la prospettiva di ridurre questi ultimi in futuro accumulando esperienza
giustifica un livello di prezzo basso proprio come investimento vitale per l'impresa.
- La sicurezza di politiche di prezzo predatorie si ha solo in presenza di situazioni in cui
un'impresa è stata costretta a uscire dall'industria e l'impresa sospettata di avere attuato la
politica predatoria abbia aumentato il prezzo.

2)Strategie di prezzo limite.


- Un'impresa attua una strategia di prezzo limite se fissa il p e l'output in modo che non rimanga
domanda sufficiente a un'altra impresa per entrare con profitto nel mercato. - Nei modelli del
prezzo limite (Bain, Modegliani, Sylos-Labini) - Le condizioni di questi modelli sono:
v In un settore opera un’impresa e un potenziale entrante.
v Entrambi sostengono gli stessi costi 8stessa tecnologia)
v il potenziale entrante ritiene che l’impresa esistente non cambierà il suo livello di output
dopo la sua entrata
- Pertanto, un'impresa che contempli l'opportunità di entrare ritiene che l'output totale
dell'industria sarà pari al proprio più quello attuale dell'impresa già presente.
à L'output aggiuntivo, però, farà scendere il p.
- In questo modello l'impresa esistente, date le aspettative del potenziale entrante e avendo
il vantaggio della prima mossa, sceglie il livello di output (e quindi il p connesso) in modo da
eliminare l'incentivo del rivale a entrare (ogni output in più farà abbassare il p sotto AC). àla
strategia allora consiste nel porsi “al limite” nella combinazione prezzo-quantità in modo da non
lasciare domanda sufficiente per realizzare π al potenziale entrante. - Vediamo graficamente:

131
- Abbiamo detto che l'impresa già presente e la potenziale entrante hanno la stessa curva dei
costi medi, AC (Figura 11.2).
- Se D è la domanda complessiva di mercato e l'incumbent produce qi unità (e continuerà a
farlo in caso di entrata di un'altra impresa), la curva di D che affronta l'impresa entrante sarà
uguale alla curva di D del mercato meno qi.
- Se l'impresa potenziale entrante sceglie di non entrare, l'impresa già presente vende le
proprie unità qi al prezzo p*, come indica la Figura .11.2.
- Se invece la nuova impresa entra nell'industria e produce qe unità di prodotto, l'output
totale dell'industria è pari a qe + qi e il prezzo di mercato è p-.
- A causa della scelta di produrre qi da parte dell'impresa già presente, p- è appena uguale
ai costi medi per la produzione di qe unità dell'impresa potenziale entrante e per quest'ultima è
indifferente entrare o non entrare (pertanto, presumibilmente non entra).
- Se la quantità qi viene scelta in modo che la curva di Dr che fronteggia l'impresa
potenziale entrante si trovi appena sotto (o sia uguale) alla curva dei costi medi, l'impresa
entrante non è in grado di produrre una quantità tale da ottenere un profitto positivo
nell'industria.
- Come indicato nella Figura 11.2, l'impresa esistente può vendere qi a p*, che è superiore
al costo medio di produzione, eppure non indurre l'entrata di un'altra impresa. In altre parole, il
potenziale prezzo limite p- impedisce l’entrata.
- In effetti, l'impresa già presente non devo produrre qi per impedire l'entrata, deve solo
convincere la potenziale entrante che produrrà qi se si verifica l'entrata.

Strategia di prezzo limite dinamica.


- Se un'impresa fissa i p (o le q) nel corso del tempo in modo tale da ridurre o eliminare gli
incentivi dei concorrenti a entrare nel mercato, attua una strategia di prezzo limite dinamica. -
Benché un'impresa dominante possa essere in grado di fissare un p estremamente elevato e
mantenerlo nel lungo periodo, può decidere di non farlo.
à Un p molto elevato attira infatti altre imprese marginali, facendo scendere il p di mercato. -
Spesso all'impresa dominante conviene fissare inizialmente un p elevato e poi abbassarlo

132
lentamente mano a mano che si verifica l'entrata. Benché il p elevato aumenti il ritmo di entrata,
per l'impresa dominante i profitti odierni (dati i tassi di interesse positivi) valgono più di quelli
futuri.

3)Investimenti per ridurre i propri costi di produzione.


- Nel modello che presenteremo un'impresa già presente nel mercato può modifica la situazione
di mercato ottenendo un miglioramento della propria struttura dei costi.
In questo modo si rende negativo il π dell’entrante e si scoraggia il suo ingresso nel mercato. -
Prenderemo in esame tre diversi esempi.
1)Investimento in attività di ricerca e sviluppo.
- Supponiamo che vi siano due periodi e due imprese con funzioni di costo iniziali identiche. -
Nel Periodo 1 (t) l'impresa già presente è monopolista e può investire nell'attività di (R&S) al
fine di abbassare i costi nel Periodo 2 (t+1).
- Nel periodo 2 si può verificare l'entrata della seconda impresa.
- L'asimmetria di questo modello deriva dall'ipotesi che solo l'impresa esistente, e non quella
entrante, possa investire in R&S per ridurre i costi.
à Questa asimmetria si verifica naturalmente quando un'impresa si trova in un mercato prima di
un'altra.
- Ma l'impresa già presente è incentivata a investire nelle attività dì R&S per abbassare i
costi nel Periodo 2?
In assenza di investimento, per l’impresa esistente i costi sono uguali nei 2 periodi, e i costi
dell’entrante nel 2° periso sono uguali ai costi dell’impresa esistente nel 1° periodo.
- Un confronto tra i π realizzati in equilibrio con o senza investimento in ReS da parte
dell’impresa esistente, mostra che il potenziale entrante deciderà comunque di entrare nel
mercato (con o senza investimenti dell’esistente).
àall’impresa già presente sul mercato converrà investire in ReS poiché il π totale, nei 2 periodi,
è maggiore di quello che realizzerebbe senza l’investimento (i minori profitti del 1° periodo,
generati dalla spesa per la ReS, saranno compensati da maggiori profitti generati da minori costi
marginali nel 2° periodo).

2) Investimenti in pubblicità (costi non recuperabili)


- E’ condizione necessaria che l’ammontare di tali costi sia tale da rendere il π dell’entrante
negativo.
- E’ altresì necessario che il π conseguito dall’impresa esistente, al netto dei costi non
recuperabili sia > del π che avrebbe realizzato in un duopolio alla Cournot, in assenza di tali
costi à in caso contrario converrà tenere un atteggiamento accomodante e lasciare entrare la
concorrente.

3)Learning by doing

133
- L’impresa già presente ha un incentivo a vendere più di quanto farebbe normalmente nel
periodo 1 per acquisire esperienza e abbassare il costo unitario rispetto a quello del rivale nel
periodo 2.
- Per aumentare le vendite nel periodo 1, l'impresa già presente deve vendere a un p
inferiore a quello che altrimenti praticherebbe.
- Pertanto il π nel periodo 1 è < rispetto al caso in cui mantenesse i p a livello più alto; ma
questi profitti minori sono compensati dai maggiori profitti che si conseguono nei periodi
successivi, a seguito dell’effetto imparare facendo (learning by doing).
- In definitiva possiamo considerare l'effetto imparare facendo come un investimento che
consente alle imprese di realizzare maggiori profitti nei periodi successivi.
- Tempi di apprendimento troppo veloci o troppo lenti rendono poco elevato il vantaggio
della prima mossa.

4) Come far aumentare i costi delle concorrenti.


- Si tratta di strategie predatorie non di prezzo, finalizzate ad aumentare il differenziale tra i costi
dell’impresa presente e i costi delle concorrenti (attraverso l’aumento dei costi delle concorrenti).

Strategie per far aumentare il differenziale dei costi.


§Metodi diretti.
à Un’impresa può far salire in modo diretto i costi dei concorrenti se riesce a interferire con
i metodi di produzione o di vendita dei concorrenti.
(Es. un’impresa sleale che sostiene dei costi per far salire quelli del concorrente, deve bilanciare
le maggiori spese sostenute per il sabotaggio con il beneficio derivante dall'aumento dei costi del
concorrente).

§ Interferenza mediante la regolamentazione governativa.


à Molte normative del governo prevedono esenzioni per le imprese esistenti e rendono più
oneroso per le nuove imprese operare in un'industria.
(Es. Alcune normative ambientali stabiliscono requisiti più onerosi sulle nuove attrezzature
rispetto a quelle già operative nel mercato e quindi favoriscono le imprese esistenti rispetto a
quelle entranti).

§ La produzione di prodotti complementari.


à A volte un'impresa esistente fabbrica due prodotti che vanno usati insieme, mentre quella
entrante ne produce solo uno (esempi di prodotti reciprocamente complementari sono una
macchina fotografica e la pellicola oppure un computer e le periferiche).
Nel caso in cui i prodotti debbano essere utilizzati insieme, l'impresa già presente può creare
svantaggi a quella entrante mediante un legame contrattuale in base al quale il consumatore deve
acquistare entrambi i prodotti dall'impresa già esistente.

§ Aumento dei costi di cambiamento (switching cost).


à Un'impresa può rendere difficile per i consumatori che acquistano il suo prodotto passare
in futuro al prodotto di un'impresa entrante.
Ciò significa che l'impresa già presente può riuscire a far aumentare i costi di marketing
dell’impresa entrante per attrarre clienti.
134
(Es. apposita configurazione del prodotto può rendere impossibile utilizzare su un altro computer
software realizzati per un tipo particolare di elaboratore).

§ Aumentare i salari o i prezzi di altri input.


à Un'impresa esistente che utilizza una diversa tecnologia di produzione rispetto a quella
dei suoi concorrenti può riuscire a far aumentare sproporzionatamente i costi di questi ultimi
facendo salire il costo di un particolare input per tutte le imprese dell' industria.
Se, per esempio, un'impresa concorrente utilizza più lavoro per prodotto unitario di quanto faccia
l'impresa già presente, i costi di questa salgono meno di quelli dell'impresa entrante in seguito a
un aumento dei salari.
Questo comportamento strategico sfrutta la naturale asimmetria della produzione e presuppone
che l'impresa esistente possa influenzare i salari (es. forte sostegno a favore dell’attività dei
sindacati).
Vediamo un esempio grafico di come l'aumento dei costi di un concorrente possa accrescere i
profitti di un'impresa già presente anche se i suoi costi aumentano.

- Prendiamo il caso di un'impresa esistente che utilizza meno lavoro per unità di prodotto di un
concorrente.
- Supponiamo che l'impresa già presente abbia costi marginali (e medi) costanti pari a rn fino al
raggiungimento della piena capacità, data dal livello di output qi ( A quel punto ì costi
marginali diventano infinitamente grandi, come indicato nella Figura 11.5).
- Inoltre nel mercato esistono molti concorrenti, le imprese marginali di tipo concorrenziale,
tutte con gli stessi costi marginali costanti, mi, come mostra la figura.
- In assenza di comportamento strategico (o costo strategico) il p di equilibrio dell'industria è ml
e per l'impresa già presente risulta ottimale produrre alla capacità qi, alla quale ricava profitti
pari a (m1-m)qi.
- Supponiamo ora che l'impresa esistente possa far salire il tasso salariale dell'industria.
à l'aumento dei salari avrà un effetto diverso sui costi marginali delle imprese.
- Es. nel caso estremo in cui i costi marginali dell'impresa esistente non variano e quelli dei
concorrenti salgono da m1 a rn2.

135
àIl prezzo di equilibrio passa da m1 a m2, il livello ottimale di produzione dell'impresa già
presente rimane invariato a qi e i suoi profitti salgono a (m2 - m)qi.
- Dunque comportandosi in modo strategico e aumentando i costi delle imprese marginali
di tipo concorrenziale da m1 a m2, l'impresa esistente riesce a aumentare i propri profitti.
E questo vale anche se l’aumento dei salari le fa salire i costi, a patto che l’incremento dei costi
< al profitto aggiuntivo indicato nella Figura 11.5.

Far aumentare i costi di tutte le imprese.


- L'impresa esistente può trovare conveniente far aumentare i costi di tutte le imprese, compresi i
suoi.
- Spesso esiste una naturale asimmetria tra un'impresa già presente e le potenziali entranti in
quanto la prima ha già sostenuto quelle spese (cioè i costi irrecuperabili) che rendono
improbabile la sua uscita dall'industria. à Questo vantaggio strategico crea all'impresa già
esistente degli incentivi a effettuare delle spese per tenere le imprese entranti fuori
dall'industria. - Vediamo il seguente esempio, illustrato nella Figura 11.6.

- Prima dell'entrata l'impresa ottiene profitti di monopolio, πm =100.


- Con l'entrata l'impresa già presente e quella entrante insieme ottengono complessivamente un
profitto di duopolio, πd = 80, inferiore a πm, perché le imprese non possono colludere
perfettamente.
- Se l'impresa già presente e quella entrante si dividono equamente i profitti di duopolio, la
seconda sarebbe disposta a spendere πd /2 = 40 per entrare nell'industria, mentre la prima
pagherebbe πm - πd /2 = 60 per tenere fuori l'impresa entrante (Questa asimmetria è naturale,
poichè è sempre più vantaggioso per il monopolista tenere fuori l'impresa entrante di quanto lo
sia per quest'ultima entrare).
- Se l'impresa già presente può far salire di 50 i costi dell'impresa entrante nonché i suoi (es.
attraverso una regolamentazione governativa che fa salire di 50 sia i suoi ché i costi del
concorrente; oppure, potrebbe spendere 50 in pubblicità), i profitti della prima sono pari a 50 se

136
l'entrata non si verifica e le perdite sono pari a 10 se questa si verifica. Con questi maggiori
costi il concorrente perde 10 se entra, e perciò non lo fa.

B) Il comportamento strategico cooperativo.


- L’applicazione di strategie cooperative porta ad un aumento dei π per tutte le imprese e ad
una minore concorrenza.
- Il comportamento strategico cooperativo prevede che le imprese coordinino le loro azioni
nell’ottica di incrementare il p di oligoplio, avvicinandolo a quello monopolistico.
- La teoria del comportamento strategico cooperativo si fonda sulla teoria dei cartelli,
secondo la quale i profitti di oligopolio dipendono dalla capacità di ciascun membro del cartello
di assicurare agli altri che non sta tentando di sottrarre clienti all'impresa rivale (mediante p piu’
bassi).

Prassi commerciali che facilitano la collusione.

1)Prezzi uniformi.
- Se a tutti i clienti di un'impresa viene fatto pagare un p uniforme, è costoso per l'impresa
tentare di rubare i clienti a un concorrente offrendo loro un prezzo leggermente inferiore.
à Infatti il p leggermente inferiore, dato il carattere uniforme dei prezzi, deve essere applicato a
tutti i clienti dell'impresa, riducendo così i guadagni che l'impresa potrebbe realizzare sottraendo
i clienti al rivale.

2)Penalizzazione da sconti sui prezzi.


- Un modo più drastico per ridurre l'incentivo di un'impresa a rubare i clienti a un'altra
abbassando il p sta nel fatto che ogni impresa adotti una politica in base alla quale qualsiasi p
inferiore viene esteso non solo agli attuali clienti dell'impresa ma anche a tutti i clienti relativi a
un certo periodo di tempo.

3)Preavviso di variazione dei prezzi.


- I cartelli hanno difficoltà a mantenere un accordo sui prezzi quando questi ultimi sono
frequentemente soggetti a variazioni. Al momento della variazione di prezzo le imprese non si
fidano l'una dell'altra perché è probabile che ciascuna venda a prezzi diversi.
- Supponiamo che è previsto che, in un settore oligopolistico, i p di un oligopolio debbano
aumentare. Quale impresa dovrebbe aumentare per prima il p?
La prima impresa ad aumentare il p si trova in serio svantaggio perché perde quote di mercato a
causa del p relativamente elevato. Ovviamente, se dopo un certo periodo di tempo ì concorrenti
uguagliano il p più elevato, a tutte le imprese convengono i p più alti.
Un modo per ovviare a questo problema consiste nel dare un preavviso degli aumenti di prezzo,
una tattica che consente ad altre imprese dell'industria di decidere se sottoscrivere l'aumento dei
prezzi prima che entri in vigore. Se le concorrenti decidono di non sottoscriverlo, l'impresa che

137
ha annunciato l'aumento può annullarlo. In tali circostanze le imprese non realizzano mai prezzi
diversi sul mercato, e questo elimina il disincentivo ad aumentarli.

5)Scambi di informazioni.
- Gli scambi di informazioni tra le imprese possono facilitare la formazione di cartelli oppure
promuovere l'efficienza delle imprese.

6)Sistema dei prezzi alla consegna e sistema dei prezzi FOB (free on board o franco a
bordo).
- Si tratta di p legati alla distanza dell’acquirente e danno una > garanzia di collusione, anche se
non sempre è realizzabile.
- Prezzo alla consegna à Si ha un sistema dei prezzi alla consegna quando il prezzo totale alla
consegna = un prezzo corrente di mercato nel punto base (specifica località designata) + il
trasporto a partire dal punto base.
Questo sistema facilita la collusione perché impedisce a imprese rivali di concedere segretamente
sconti mascherati da tariffe di trasporto più basse à Costringere tutte le imprese a far pagare lo
stesso costo di trasporto o lo stesso prezzo rende facile individuare le deviazioni da un accordo
collusivo sui prezzi.
- Prezzi FOB (sistema dei prezzi che molti economisti prevedono debba emergere in un mercato
concorrenziale) à il sistema di prezzi FOB prevede che l'acquirente paga un prezzo free-
onboard (FOB, franco a bordo), con cui il venditore carica la merce sul vettore di trasporto
senza costo per l'acquirente, più l'effettivo costo di trasporto.
In base a tale sistema la tariffa di trasporto varia a seconda della localizzazione di un acquirente
e i venditori potrebbero ridurre il prezzo facendo pagare meno per il trasporto.
In tali sistemi dei prezzi le imprese di località diverse di solito offrono prezzi diversi a un
acquirente, cosicché è difficile imporre un accordo collusivo.
- Un grande svantaggio della collusione attuata mediante l'impiego dì prezzi alla consegna sta nel
fatto che non è in grado di ripartire il mercato tra i venditori (cioè di segmentare il mercato).
àSupponiamo, per esempio, che vi siano due venditori di acciaio, uno a Torino e l'altro a
Brescia. Se Brescia è il punto base del prezzo alla consegna, potrebbe essere proficuo per
un'acciaieria di Torino o di Brescia vendere l'acciaio vicino a Torino. In tal caso non vi sarebbero
interferenze dovute a imbrogli se si vedesse l'acciaieria di Brescia vendere nella zona di Torino.
- Invece con prezzi FOB creano segmentazione: i consumatori più vicini a Torino comprerebbero
dall'acciaieria di Torino e quelli più vicini a Brescia da quella localizzata a Brescia, questo
perché le imprese fanno pagare alla maggior parte degli acquirenti prezzi diversi (a differenza
del p alla consegna, dove tutte le imprese praticano lo stesso p).
- Analizziamo la figura 11.7.

138
- Supponiamo che ciascuna impresa sia d'accordo di far pagare lo stesso prezzo FOB più gli
effettivi costi di trasporto.
- Le rette dei prezzi rappresentano il prezzo che un acquirente deve pagare in qualsiasi località e
questi aumentano man mano che ci si allontana dalla sede di ogni impresa, per mostrare che i
costi dì trasporto salgono con la distanza. Tutti i clienti a ovest di Milano acquistano da Torino
e tutti quelli a est di Milano da Brescia. In un equilibrio con prezzi FOB tutte le imprese devono
far pagare all'acquirente marginale lo stesso prezzo (130 a Milano nella Figura 11,7). In punti
diversi da Milano, però, le imprese situate a Brescia e Torino fanno pagare prezzi diversi se
questi sono FOB.
à Se si notasse che l'acciaieria di Brescia vende nella zona di Torino, si dedurrebbe che non sta
osservando I'accordo sui prezzi FOB.
- Per contro, con prezzi alla consegna tutte le imprese praticano lo stesso prezzo e non c'è
divisione netta di mercato.
- In generale, maggiore è la distanza tra le imprese e più importanti sono le spese di
trasporto, migliori sono i prezzi FOB come mezzo di allocazione del mercato e di collusione
rispetto ai prezzi alla consegna.

139
CAPITOLO 12 – INTEGRAZIONE VERTICALE E
RESTRIZIONI VERTICALI

Definizione.
Il termine integrazione verticale descrive la scelta di un'impresa di realizzare al proprio interno più
stadi successivi di produzione o distribuzione di beni e servizi.
L’impresa che attua questa scelta strategica è detta integrata verticalmente (assenza di transazioni
con altre imprese).

- In assenza di integrazione, più imprese partecipano al processo produttivo: impresa a monte


(input) e impresa a valle (prodotto finito).
- L’impresa integrata controlla direttamente le variabili da cui dipende il livello della D (p,
pubblicità, qualità del prodotto) à miglioramento della sua performance.
Ovviamente l’impresa deciderà di integrarsi verticalmente solo se benefici > costi di integrazione.

Perché le imprese si integrano verticalmente?


L’integrazione verticale presenta notevoli vantaggi:
1)Riduzione dei costi di transazione.
- Integrandosi verticalmente un' impresa può ridurre i costì di transazione, per esempio può evitare
quelli che si sostengono per la stipulazione e applicazione dei contratti.
Quando questi costi sono elevati, un'impresa può ottenere un vantaggio per sé tenendo un
comportamento opportunistico à Le possibilità di sfruttare a proprio vantaggio una determinata
situazione sono maggiori quando un'impresa dipende da un'altra.
( Per esempio, per far fronte a un aumento improvviso della domanda un produttore di automobili
ha bisogno di altre forniture. Se c'è un solo fornitore di un componente essenziale, quest'ultimo può
aumentare i prezzi e il produttore di automobili non può rivolgersi a nessun altro fornitore nel breve
periodo).
- Un modo per ridurre questi costi di transazione elevati è che l'impresa si integri verticalmente e
svolga l'attività internamente.
- Esistono 3 situazioni in cui i costi sono tali da rendere desiderabile l'integrazione verticale: ØBeni
capitali specialistici.
Un bene capitale specialistico viene realizzato, su misura per uno o alcuni acquirenti particolari. Se
per esempio, un fornitore ha costruito su misura i propri impianti per soddisfare le esigenze di un
particolare acquirente. Quel fornitore sarà alla mercé dell'acquirente se dovessero sorgere contrasti
dopo la costruzione dello stabilimento.

Ø Transazioni che prevedono informazioni.


Può essere difficile stipulare un contratto che dà all'impresa fornitrice gli incentivi adeguati per
raccogliere le informazioni. Per esempio, se un'impresa paga a un'altra una quota fissa per ottenere
informazioni sui mercati di recente sviluppo, quest'ultima impresa non ha incentivi a essere molto
produttiva e l'acquirente non ha modo di stabilire se il fornitore ha fatto un buon lavoro oppure no.
Questi problemi si possono evitare con l'integrazione verticale.

Ø Necessità di un ampio coordinamento tra le imprese.


- Questa necessità si manifesta sopratutto nelle industrie dotate di reti, come le compagnie aeree e le
ferrovie.
à Una ferrovia ha infatti una domanda di traffico sulle sue linee principali che dipende molto dallo
sviluppo del traffico delle linee secondarie. Anche se potrebbe essere possibile elaborare un sistema
140
di prezzi per ogni collegamento della rete ferroviaria, tale sistema potrebbe essere'molto complicato.
Pertanto, le compagnie ferroviarie hanno un incentivo a fondersi per risolvere in modo semplice
questi problemi di coordinamento. 2) Costanza della fornitura.
- Un'impresa può integrarsi verticalmente per garantirsi la costante fornitura di un fattore di
produzione fondamentale, o acquistando un'impresa che produceva tale fattore o creando essa
stessa una nuova attività produttiva.
3) Correzione dei fallimenti di mercato.
- Un'impresa può integrarsi verticalmente per, correggere i fallimenti di mercato dovuti alla
presenza di esternalità, internalizzandole.
Es. la McDonald's, possedendo o controllando tutti i suoi ristoranti può essere sicura di fornire ìl
servizio a una qualità uniforme, e questo le crea una buona reputazione (esternalità positiva).
4) Possibilità di eludere i controlli imposti dallo Stato (su p , tasse e regolamenti).
- Integrandosi verticalmente un'impresa può riuscire a evitare le restrizioni, le normative e le tasse
governative, spostando per esempio i π nel distretto con aliquote fiscali più basse.
- Per evitare controlli sui p, un’impresa si può integrare verticalmente in quanto le transazioni
all'interno di un'impresa non sono oggetto dei controlli sui prezzi.
5) Acquisizione di potere di mercato (ossia accrescere i profitti di monopolio).
- Può avvenire in 2 modi:
a) Il fornitore unico di un fattore di produzione essenziale può integrarsi a valle acquistando le
imprese produttrici per monopolizzare il mercato del prodotto finale e quindi aumentare i propri
profitti di monopolio.
O analogamente, un'impresa può tentare di acquistare, a monte, il fornitore unico per accrescere i
profitti congiunti.
b) un fornitore monopolistico integrato verticalmente può riuscire a discriminare il prezzo.

A)Integrazione verticale per monopolizzare un'altra industria.


- Quando conviene integrarsi a valle per accrescere il potere di monopolio?
La risposta dipende dal processo produttivo, come indica il modello seguente.

- Nell'industria illustrata nella Figura 12.1 i consumatori acquistano al prezzo p, Q unità di un bene
prodotto in modo concorrenziale.
- L'industria concorrenziale produce quel bene utilizzando una funzione di produzione, f, che
141
dipende dai fattori di produzione: energia, E, e lavoro, L: Q = f(E, L) (12.1) -
Questi input sono venduti alle imprese concorrenziali rispettivamente:
• E viene venduta al prezzo e
• L viene venduto al prezzo w.
- Le imprese che forniscono input vengono definite imprese a monte; mentre le imprese che
producono il bene sono dette imprese a valle.
- Facciamo 5 ipotesi sull’industria in figura 12.1:
§ Rendimenti di scala costanti
àla funzione di produzione, f(E, L), mostra rendimenti di scala costanti ( se entrambi i fattori di
produzione vengono raddoppiati, raddoppia anche l'output).
§ Gli input vengono prodotti a un costo marginale costante.
à le imprese produttrici possono acquistare quanto lavoro, L, vogliono a un salario pari a w.
L'energia, E, viene prodotta a un costo marginale costante pari a m.
§ Monopolio a monte.
à esiste un' unica impresa a monte che fornisce energia e non e possibile l'entrata di altre
imprese.
§ Concorrenza a valle.
à L'industria a valle è concorrenziale.
§Costi dell'integrazione verticale.
à All'integrazione verticale sono
connessi dei costi (come quelli di
negoziazione e le parcelle degli
avvocati). Pertanto, a meno che si
ricavino benefici dall'integrazione
verticale, l'impresa non la effettua.
- In quali altre condizioni conviene al fornitore monopolistico di E integrarsi a valle e subentrare
nella produzione?
àLa risposta dipende dal fatto che l'industria abbia una funzione di produzione con proporzioni
fisse (o a coefficienti fissi) o una funzione di produzione con proporzioni variabili (o a coefficienti
variabili).
- In una funzione di produzione con proporzioni fisseà gli input sono sempre usati nelle stesse
proporzioni, che sono quindi indipendenti dai prezzi relativi dei fattori.
- In una funzione di produzione con proporzioni variabiliàun fattore può essere sostituito con
un altro, pertanto il rapporto tra i fattori utilizzati è sensibile ai prezzi relativi dei fattori.
- Date le ipotesi fatte, si hanno due risultati fondamentali:
1. Se nel processo produttivo a valle si utilizzano proporzioni fisse à il monopolista a
monte non ha incentivo a integrarsi verticalmente. Ottiene infatti gli stessi profitti
indipendentemente dall'integrazione.
2. Se invece nel processo produttivo a valle si usano proporzioni variabili à il
monopolista ha incentivo a integrarsi verticalmente. Attua l'integrazione se l'aumento dei
profitti supera i costi di integrazione.

- Esamineremo in sequenza il caso con funzione di produzione con proporzioni fisse e variabili.

A.1.) Funzione di produzione con proporzioni fisse.


- In un processo produttivo con proporzioni fisse dei fattori è impossibile sostituire un fattore con
un altro (le industrie produttrici acquistano i dolci da un mercato di input e le scatole di cartone per
contenerli da un altro: esse acquistano un dolce e una scatola per produrre un dolce confezionato

142
in scatola. Anche se il costo del dolce raddoppia mentre quello delle scatole rimane invariato,
l'impresa produttrice continua a utilizzare nelle stesse proporzioni dolci e scatole (una scatola per
ogni dolce) in quanto non può sostituire i dolci con le scatole).
- Graficamente, questo processo produttivo ha un isoquanto (una curva che mostra le varie
combinazioni dei fattori produttivi che determinano un dato livello di output) a forma di L, come
indicato nella Figura 12.2. (Se l'impresa ha due scatole e un dolce o una scatola e due dolci, può
realizzare sempre solo un dolce in scatola).

- Nella figura è indicata anche una retta di isocosto (che mostra le varie combinazioni dei fattori
produttivi che comportano lo stesso livello di spesa), dove i prezzi dei dolci e delle scatole sono
uguali (1 a 1) e-un'altra retta di isocosto in cui i dolci costano tre volte le scatole (3 a 1).
àIndipendentemente dal p relativo dei due fattori, la combinazione che minimizza i costi consiste
nell'uso di un dolce e una scatola per realizzare un dolce in scatola: in quel punto entrambe le
curve di isocosto sono tangenti alla curva di isoquanto.

- Confrontiamo dunque i profitti che il monopolista dell'energia realizza se si integra verticalmente


e se non si integra.
- Per semplicità supponiamo che siano necessarie 1 unità di E e 1 unità di L per produrre 1 unità di
Q.
- Il costo che il monopolista integrato deve sostenere per produrre un'unità di Q è m + w (m = costo
per produrre 1 unità E ed w = costo per affittare 1 unità di L).
Questo costo per unità o costo marginale, MCQ = m + w è prodotto nel gafico, parte a.
- Nella figura è rappresentata la curva di D inversa del prodotto finito, p(Q) e la curva
corrispondente dei ricavi marginali MRQ.
- Il monopolista integrato max i π producendo Q* unita di output in modo che: MCQ = m + w =
MRQ.
- Il monopolista fa pagare un prezzo p* e ottiene π pari a: π*= [p* - (m+w)]Q* (12.2).
- Possiamo confrontare il caso di un'industria integrata verticalmente e quello in cui il monopolista
dell'energia vende a un'industria concorrenziale.

143
- Il MCE per la produzione di E del monopolista dell'energia non integrato è m (Figura 12.3b). - Il
monopolista affronta una funzione di domanda inversa, e(E), del suo prodotto da parte
dell'industria concorrenziale;
- La curva corrispondente dei ricavi marginali è MRE.
- Le curve relative al mercato dell'output riportate nella Figura 12.3a sono indicate anche nella
Figura 12.3b come linee tratteggiate ai fini del confronto.
- La curva di D del monopolista a monte può essere derivata da quella dell' industria concorrenziale
a valle.
Il monopolista considera la curva di D come il prezzo più alto, e, che può far pagare alle imprese a
valle per una data quantità di E.
Il prezzo che un'impresa concorrenziale a valle ottiene per una unità di output è p.
Per produrre quell'unità di output, deve spendere w per un'unità di lavoro. Pertanto, il massimo che
pagherà per un 1 unità di E è e = p - w.
àDi conseguenza, la curva di D del monopolista dei fattori produttivi è uguale alla curva di D
dell'industria concorrenziale (p (Q)) meno w.
(Come indica la figura, e(E) (la curva di D del monopolista) è semplicemente p(Q) - w (cioè la
curva di D dell’industria, spostata verso sinistra di un segmento pari a w).
- Il monopolista dell'energia fissa il proprio output al livello E* in modo tale che MRE = MCE ( =
m).
- il monopolista dell'energia max i π, con:
(e(E) - m)E = ((p(E) - w) – m)E, che sono identici a ciò che massimizza il monopolista integrato
verticalmente, ossia l'Equazione 12.2, perché E* = Q*.
In altre parole, l'output dell'industria e la quantità di energia utilizzata sono le stesse
indipendentemente dal fatto che l'industria sia integrata verticalmente o non lo sia.
- I profitti del monopolista dell'energia (riquadro in Figura 12.3b), rimangono invariati e sono:

π* = (e*- m)E* = ((p* - w) – m)E*

à Il monopolista ora ottiene e (che è pari a p* - w), invece di p* per unità venduta, ma i suoi
costi sono pari solo a m anziché a m + w per unità prodotta.

144
In definitiva: visto che l'impresa a monte ottiene gli stessi profitti indipendentemente
dall'integrazione, se quest'ultima comporta il sostenimento di un costo, l'impresa decide dì non
integrarsi.
à da questo ne scaturisce che quando il monopolista non integrato aumenta il prezzo di
un'unità di E di un importo pari a 1, i costi marginali dell'impresa a valle (m + w) aumentano di 1,
pertanto anche il prezzo praticato ai consumatori sale di l.
In altre parole, il monopolista dell'energia può controllare perfettamente il prezzo finale che i
consumatori pagano ( e lo controlla perché le imprese a valle non possono sostituire con un altro
fattore l’input fornito dal monopolista) senza bisogno di integrarsi verticalmente.

A.2) Funzione di produzione con proporzioni variabili.


- I risultati sono diversi se l'industria concorrenziale a valle affronta una funzione di produzione con
proporzioni variabili. à l'industria a valle, se il p del fattore fornito dal monopolista aumenta, può
sostituirlo con un altro fattore produttivo.
- La Figura 12.4 mostra l'isoquanto di una funzione di produzione con proporzioni variabili.

- Man mano che i costi relativi dei fattori produttivi cambiano, come indicato da una variazione
della pendenza della curva di isocosto, le imprese di quell' industria sostituiscono il fattore più
costoso con una quantità maggiore dei fattore meno caro in quel momento.
- Con una funzione di produzione con proporzioni variabili, se il monopolista dell'energia aumenta
il prezzo per l'industria concorrenziale a valle, le imprese dì quell'industria sostituiscono l'energia
con una maggiore quantità di lavoro.
Se il monopolista aumenta il prezzo di un importo pari a 1, il prezzo del prodotto finito non aumenta
necessariamente di una somma pari a 1 e la quantità di E utilizzata diminuisce più di quanto accada
a Q.
- In sintesi, se le imprese a valle hanno la capacità di sostituire gli input (con un processo produttivo
con proporzioni variabili), il monopolista non ha il completo controllo dell'industria a valle: ogni
volta che aumenta il prezzo, l'industria a valle sostituisce il suo fattore con'un altro input e questa
sostituzione riduce i π del monopolista.
- Se l'impresa a monte si integra verticalmente in modo da monopolizzare l'industria a valle, ha un
controllo completo e pertanto i suoi π aumentano. Se questi salgono più del costo dell'integrazione
verticale, l'impresa deciderà di integrarsi.

B)La discriminazione del prezzo.


145
- Un fornitore monopolistico può integrarsi verticalmente in modo da discriminare con successo il
prezzo, in quanto l'integrazione verticale può essere usata per impedire che il prodotto possa
essere rivenduto.

- Per esempio, i panetti di alluminio vengono impiegati nella realizzazione di molti prodotti. Per
semplicità, supponiamo che i panetti di alluminio siano usati solo per produrre filo di alluminio e
aerei.
Se il monopolista dell'alluminio fa pagare un p più elevato ai produttori di aerei senza integrarsi, i
produttori di filo di alluminio possono acquistare i panetti di alluminio a un prezzo relativamente
basso e rivenderli ai produttori di aerei a un p inferiore a quello praticato dal monopolista.
Per impedire questa rivendita, il monopolista dell'alluminio può integrarsi a valle e diventare
l'unico produttore di filo di alluminio. Allora può praticare un prezzo molto alto per i panetti di
alluminio ai produttoti di aerei senza preoccuparsi della rivendita da parte dei produttori di
alluminio.

6) Eliminazione del potere di mercato di un’altra impresa.


- Un'impresa che subisce il potere di mercato di un'altra impresa può integrarsi verticalmente per
evitare tale potere.

Per esempio, supponiamo che un fattore produttivo essenziale per il nostro processo produttivo sia
prodotto da una sola impresa. Se quest'impresa fa pagare un p alto, al livello di monopolio,
dovremmo stabilire se è efficiente, rispetto ai costi derivanti da questa operazione, integrarsi
verticalmente a monte e produrre internamente quel fattore. Per esempio, potremmo costruire un
nuovo stabilimento produttivo proprio per produrre quel fattore.
Se, invece di costruire un nuovo stabilimento, la nostra impresa cerca di acquistare il fornitore,
otterrà un beneficio, cioè profitti congiunti dell'impresa acquirente e dì quella fornitrice
aumenteranno solo se la produzione ha proporzioni variabili.

Restrizioni verticali.
- Si tratta di accordi tra imprese a monte e imprese a valle, regolati da contratti che vincolano le
scelte di quest’ultima, sia in ordine ai p da praticare che all’area in cui operare.
- Il produttore impone queste restrizioni per ottenere un risultato di mercato vicino a quello che
avrebbe con l'integrazione verticale, che magari non è realizzabile.
Esempi di restrizioni verticali sono la richiesta che il distributore venda un numero minimo di
unità; che i distributori non siano situati l'uno vicino all'altro; che non vendano prodotti
concorrenziali; che non pratichino un prezzo inferiore a un certo prezzo prestabilito.
- Perché si adottano le restrizioni invece di realizzare un' integrazione verticale?
I produttori spesso fanno affidamento su imprese indipendenti per la distribuzione dei loro prodotti
invece di effettuarla in proprio perché i costi da sostenere per controllare i dipendenti nei punti
vendita sono molto maggiori dei costi connessi all'utilizzo di imprese indipendenti.
- Gli economisti descrivono il rapporto tra produttore e distributore come un rapporto
mandantemandatario o principale-agente: il principale assume l'agente per svolgere un incarico,
ma non è in grado di controllare completamente il suo operato.

146
à In questo caso il produttore (il principale) stipula un contratto con i distributori (gli agenti)
affinché essi vendano il suo prodotto. Il produttore non può sorvegliare completamente l'effettivo
impegno dei distributori nella fase di vendita e pertanto egli è consapevole che essi possono trarne
un vantaggio personale.

Problemi connessi all’utilizzo dei distributori, da parte del produttore, per vendere i suoi prodotti
aldettaglio.
- Quando la distribuzione comporta dei costi e il produttore utilizza dei distributori per vendere i
suoi prodotti al dettaglio, sorgono solitamente quattro problemi:
2) Alcuni distributori possono "fare i furbi" approfittando dell'impegno degli altri distributori nella
promozione delle vendite.
3) Alcuni produttori possono "fare i furbi" a scapito di altri produttori.
4) Tra i distributori può esserci una mancanza di coordinamento che determina un'esternalità..

1)Il doppio markup di monopolio (detto anche doppia marginalizzazione).


- Il doppio markup di monopolio è originato originato dalla presenza di monopolisti in successione
nella produzione e nella distribuzione.
- Se il produttore e il distributore sono entrambi monopolisti, ciascuno dì essi impone un markup di
monopolio (la differenza tra il prezzo e i costi marginali è positiva), pertanto i consumatori
fronteggiano due markup anziché uno.
- Questo doppio markup fornisce un incentivo alle imprese a integrarsi verticalmente o utilizzare le
restrizioni verticali per promuovere l'efficienza.
Un esempio numerico di perdita di benessere dovuta al doppio markup di monopolio.
- Per illustrare l'effetto dell'esistenza di un doppio markup di monopolio, mettiamo a confronto un
mercato in cui un produttore è integrato verticalmente nella distribuzione con un mercato in cui
operano due monopoli in successione.
- Sia i consumatori che le imprese subiranno delle perdite di benessere a causa del doppio markup.

Figura 12.5: Monopolio sia nella distribuzione che nella produzione

- Supponiamo che il produttore-distributore monopolistico integrato verticalmente affronti una


curva di domanda D1, come mostra la figura 12.5a.

147
- L'impresa produce Q* unità in modo da porre i (costi marginali) m = MR1. - Per semplicità
grafica supponiamo che i costi di distribuzione siano nulli.
- I π* = (p* - m)Q*.
- Supponiamo ora che il produttore monopolistico a monte utilizzi un'impresa monopolistica a valle
per distribuire il suo prodotto.
- Dato che ogni impresa aggiunge un markup di monopolio ai propri costi unitari, si determina un
doppio markup di monopolio.
àil produttore fa pagare al distributore il prezzo all’ingrosso, p2 (dato dalla somma m + markup),
per unità venduta.
àil distributore, che fronteggia D1, applica anch’egli un markup al suo MC (che sarebbe p2) e
vende al prezzo p1 una quantità Q1 (dove MC (che è p2) = MR1).
- Dato che si ipotizza che i costi di distribuzione siano pari a 0 e le domande siano lineari, p2 = p*. -
Il numero di unità di prodotto domandate dal distributore è dato dall’intersezione tra la curva di
domanda D2 e il prezzo p2 (prezzo all’ingrosso).
- La curva di D del produttore, D2 è uguale alla curva MR1 (ricavi marginali del produttore). - Il
produttore max i suoi π scegliendo il livello di output, Q2, in modo che MC (che è m) = MR2 (i
suoi ricavi marginali). I π del produttore sono dati dall’area π2.
- I π del distributore sono dati dall’area π1.
- La Figura 12.5b mostra il determinarsi del doppio markup.
-In assenza di integrazione il π complessivo delle 2 imprese è inferiore (12<16), così come il
benessere dei consumatori (acquistano Q2 che è < Q* unità ad un prezzo maggiore (infatti p1 >
p*).

Restrizioni verticali per ridurre il doppio markup.


- Queste perdite di benessere forniscono un grande incentivo all'integrazione.
- Non sempre, però, l'integrazione è attuabile (per esempio, se il produttore è giapponese e il
distributore è italiano, può essere troppo costoso per l'impresa giapponese integrarsi verticalmente
nella distribuzione).
- Un'alternativa è usare le restrizioni verticali, visto che potrebbero risolvere il problema insito nei
monopoli in successione secondo cui il distributore ha un incentivo a limitare l'output e in questo
modo aumentare il prezzo. Il produttore non vuole che il suo distributore riduca ulteriormente
l'output o che aumenti il prezzo, pl, oltre il prezzo all'ingrosso, p2, perché i profitti derivanti dal
markup del distributore vanno a quest'ultimo e non al produttore.
Il produttore desidera che il sistema di distribuzione sia il più efficiente possibile (in altre parole, un
sistema con il minimo markup del distributore).
- Esaminiamo 3 tipi di restrizioni verticali che i produttori possono utilizzare per indurre un
distributore monopolistico a comportarsi in modo più concorrenziale.
a) Fissazione, da parte del produttore, di un p massimo al dettaglio che è (= p^) che dovrà
applicare il distributore.

Così facendo, il produttore impedisce al distributore di far salire il suo prezzo molto al di sopra di
quello all'ingrosso, p2.
Di conseguenza, il distributore vende un numero maggiore di unità rispetto a quelle in cui lui
massimizzerebbe i profitti.

b) Imposizione al distributore di una quota minima di vendite (incentivo a > output e < p).

148
c) Far pagare al distributore una tariffa a 2 stadi: un p per il prodotto (il p all’ingrosso) e
una somma per il diritto di venderlo (tassa di concessione o franchising).

2)Free-riding tra i distributori.


- In un tipico accordo di distribuzione numerose imprese indipendenti distribuiscono il prodotto di
un'impresa produttrice.
- Il free-riding si ha quando i benefici da attività promozionali eseguite da alcuni distributori
avvantaggiano altri distributori a un costo pari a zero.
- Esempio: Supponiamo che un distributore pubblicizzi molto il bene di un produttore, bene che
però è venduto anche da un altro distributore. Il primo distributore crea la domanda del bene, che
va a beneficio di entrambi i distributori, mentre il secondo distributore non sostiene alcun costo.
In questa situazione, il primo distributore è scarsamente incentivato a investire in pubblicità,
perché non gode di tutti i benefici derivanti da questa attività.
- Esempio: La vendita di molti beni durevoli (per esempio automobili) richiede un grande salone per
esporre i prodotti, in modo che i consumatori possano scegliere il modello che soddisfa meglio le
loro particolari esigenze. Ovviamente, questi saloni hanno un costo, come anche il campionario in
esposizione. Se solo un distributore ha una bella sala di esposizione, con tutta la gamma dei
prodotti, i clienti si recheranno là per decidere quale prodotto acquistare, ma possono poi decidere
di acquistare da altri distributori con sale di esposizione meno belle e scorte più ridotte. Questi
distributori possono far pagare un prezzo più basso del primo distributore perché i loro costi sono
inferiori. Pertanto, nessun rivenditore ha un incentivo a tenere una sala d'esposizione con tutta la
gamma dei prodotti.
- Esempio: Se un distributore ha un personale di vendita altamente qualificato, i clienti che vanno da
quel distributore apprendono molto sulle caratteristiche del prodotto. Alcuni di loro in seguito
possono acquistare a un prezzo inferiore da un distributore (spesso una società di vendita per
corrispondenza o un’impresa via internet).

Restrizioni verticali contro il free-riding.


- Poiché la possibilità di free riding riduce l'incentivo dei distributori a promuovere il prodotto,
l'impresa produttrice utilizza una varietà di restrizioni verticali per tentare di risolvere questo
problema.
a) Monopolio locale.
Il monopolio locale si ha quando un distributore è l'unico a poter vendere un prodotto in una
regione: il distributore ottiene diritti di monopolio sui clienti che acquistano in quel territorio. Il
monopolio locale di solito include, la promessa da parte dei produttori che non sarà consentito ad
altri distributori di collocarsi entro una certa distanza dal distributore esistente.

b) Limitazione del numero dei distributori (limiti alla concorrenza).


L'effetto di questa limitazione è simile a quello del monopolio, locale. In altre parole, viene ridotta
la concorrenza potenziale, e in questo modo i vantaggi derivanti dall'impegno a vendere ricadono
maggiormente sul distributore.

c) Imposizione di un prezzo minimo al dettaglio.


Con tale accordo, il produttore fissa un prezzo minimo che può essere praticato dai dettaglianti. I
vincoli sul prezzo minimo spostano la concorrenza tra i distributori sull'impegno a vendere anziché
sulla riduzione dei prezzi.

d) Accollarsi la pubblicità al posto del distributore.

149
Se il produttore si fa carico dell'impegno a vendere e gestisce direttamente la pubblicità, non deve
preoccuparsi che qualcuno tra i distributori faccia il furbo sfruttando l'impegno a vendere degli altri.
Un produttore che fa pubblicità e stimola la domanda del suo prodotto può addebitare questo
servizio a ciascun distributore mediante prezzi all'ingrosso più elevati o un canone di concessione
più alto.

3)Free-riding tra i produttori.


- Si possono avere anche dei comportamenti sleali di produttori in concorrenza tra di loro.
- Supponiamo per esempio che due produttori concorrenti usino entrambi lo stesso distributore per
vendere il loro prodotto e che un produttore conduca una massiccia campagna pubblicitaria per
indurre i consumatori ad andare dal distributore ad acquistare il prodotto.
Anche il secondo produttore beneficia del maggior flusso di clienti senza aver sostenuto alcun
costo: il produttore che fa meno pubblicità può praticare prezzi piu’ bassi e ottenere profitti più
elevati.
- La soluzione a questi problemi consiste nel creare un sistema che consenta ai produttori di vedere
pienamente ricompensati i loro impegni a vendere. Una soluzione comune, la vendita in esclusiva,
prevede che i produttori impediscano ai loro distributori di vendere i prodotti di imprese
concorrenti.

4)Esternalità dovute alla mancanza di coordinamento tra i distributori.


- Un produttore che fa affidamento su distributori indipendenti che sono in concorrenza tra loro di
solito ha un incentivo a coordinare o limitare tale concorrenza.
( Per esempio, i distributori sono spesso in concorrenza tra loro relativamente alla localizzazione. La
localizzazione ottimale dal punto di vista del produttore può essere però diversa da quella che si
determina in condizioni di concorrenza monopolistica tra dettaglianti indipendenti.
Un produttore vuole assicurarsi che i suoi prodotti siano disponibili ovunque esiste una domanda
potenziale. Per esempio, vendendo anche in località non remunerative, il produttore può impedire
agli acquirenti dì provare altri prodotti e quindi che si determini una fedeltà a prodotti non suoi.
Questa strategia può infatti permettergli di aumentare i suoi profitti in altre zone, e quindi i profitti
totali).
Dunque in generale, coordinare i p, gli impegni a vendere e le localizzazioni dei distributori genera
> profitti per il produttore.

Gli effetti delle restrizioni verticali.


- In generale i produttori utilizzano varie combinazioni di restrizioni verticali per ridurre i problemi
legati al doppio markup di monopolio, al free riding e alla concorrenza tra distributori.
à Queste restrizioni di solito:
Ø limitano il grado di concorrenza in un mercato
Ø e incoraggiano allo stesso tempo lo stimolo ad aumentare la domanda.
- La correlazione tra i 2 effetti può rendere o meno desiderabile la strategia delle restrizioni
verticali.

Effetti desiderabili delle restrizioni verticali.


- Vantaggi a favore delle imprese e dei consumatori a seguito di > output e < prezzi desiderati
dal produttore per incentivare le vendite in alcuni mercati.

Effetti ambigui delle restrizioni verticali.

150
-Ambiguità degli effetti generata dal diverso grado di desiderabilità del prodotto da parte dei
consumatori.

Esempio: Immaginiamo due gruppi dì acquirenti: quelli che sanno come usare un prodotto (utenti
esperti) e quelli che non lo sanno (principianti). Se non viene fornito alcun addestramento, gli utenti
esperti acquistano il prodotto al prezzo di 10 e i principianti rinunciano a comprarlo.
In presenza di restrizioni verticali che consentono ai principianti di ricevete l'istruzione necessaria,
entrambi i gruppi acquistano il prodotto al prezzo di 11.
àGli utenti esperti hanno una riduzione di benessere dovuta alle restrizioni verticali, perché
spendono di più per unità acquistata, ma non beneficiano dell' addestramento, disponibile.
ài principianti, invece, hanno un aumento di benessere perché, se hanno acquistato il prodotto,
deve valere almeno 11 per tutti loro e alcuni possono anche godere dì un surplus dei consumatore.

Restrizioni verticali indesiderabili.


- In alcuni casi le restrizioni verticali (e l'integrazione verticale) possono essere utilizzate per scopi
anticoncorrenziali, per esempio:
• per creare un cartello dei distributori à Supponiamo, per esempio, che dei rivenditori siano
gli unici che possono distribuire un prodotto e costringano il produttore a concedere
monopoli locali, che determinano una concorrenza limitata tra i rivenditori. Come abbiamo
visto nel Capitolo 5, l'allocazione dei territori è un modo efficace per formare i cartelli e
porta a prezzi al consumo più elevati.
• per creare un cartello dei produttori à Supponiamo che un gruppo di produttori voglia
colludere. Può essere difficile per loro osservare il prezzo che ciascuno pratica ai rivenditori
se non sono integrati verticalmente nella distribuzione. Se si accordano tutti per far pagare lo
stesso prezzo al dettaglio e attuano questo accordo mediante l'imposizione di restrizioni
verticali (come l'imposizione del prezzo al dettaglio) ai rivenditori, è più facile per loro
individuare se un qualsiasi produttore bara rispetto all'accordo abbassando il prezzo, perché
è più facile osservare i prezzi al dettaglio che quelli all'ingrosso.
• per impedire l'entrata à La vendita in esclusiva è un modo che i produttori hanno per
vincolare la distribuzione. In base a questi accordi, entrambe le parti che aderiscono al
contratto convengono di far affidamento l'una sull'altra, non su altre imprese. Questo
comportamento strategico può far aumentare il costo di entrata solo se i canali di
distribuzione sono limitati.

Le proibizioni delle restrizioni verticali.


- Non sempre, proibire le restrizioni verticali indesiderabili accresce il benessere dei consumatori.

Se le restrizioni verticali vengono dichiarate illegali, un produttore ha l'incentivo a integrarsi
verticalmente e gestire la propria distribuzione in modo da poter imporre le restrizioni che desidera.
Sarebbe controproducente emanare una legge che impedisce i contratti tra imprese indipendenti
quando un'impresa potrebbe evitare facilmente questi divieti integrandosi verticalmente e
distribuendo essa stessa il prodotto.
Allora si può dire che solo nei casi in cui il costo dell'integrazione verticale è molto maggiore dì
quello dell'imposizione di restrizioni verticali il loro bando può portare a un aumento di benessere.

Il franchising.
- Un tipo particolare di relazione verticale è quello tra affiliante e affiliato (franchising).

151
- L'affiliante, un'impresa come la McDonald's, vende un metodo collaudato di gestione dell'attività
al singolo affiliato (il proprietario del punto vendita McDonald's) o semplicemente il diritto a
utilizzare il marchio dell' affiliante.
- Esempi di franchising sono i ristoranti fast food, le officine autorizzate per la riparazione delle
auto, i distributori di benzina, le concessionarie di automobili e i negozi di abbigliamento che
vendono prodotti di un solo marchio. Un affiliante che fornisce un sistema completo di gestione
dell'attività applica un metodo detto business formar. La maggior parte dei franchising, a
eccezione dei distributori di benzina e delle concessionarie di automobili, è costituita da questo
tipo di affiliazione.
- L'affiliato è d'accordo nel gestire l'attìvità nel modo stabilito dall'affiliante, che continua a
controllarne le prestazioni per assicurarsi che si attenga ai suoi metodi.
- Quale compenso all'affiliante, l'affiliato di solito corrisponde una quota di esclusiva più una
percentuale o royalty sulle vendite, che in genere oscilla intorno al 10%.
-Dopo avere concluso l'accordo, l'affiliato si attende che l'affiliante continui a offrire i suoi servizi e
ad assicurare che gli altri affiliati mantengano la reputazione del marchio.
- Se l'affiliante vendé i diritti di esclusiva a persone che poi sì rivelano incapaci,j il marchio perde di
valore come anche l'attività singola di ogni affiliato, anche quelli gestiti in modo efficiente. -
Collegando la quota dell'affiliante a una percentuale delle vendite, l'affiliante ha l'incentivo a
continuare ad assistere e controllare gli affiliati e ad assicurarsi che abbiano successo. Se le
vendite totali diminuiscono, diminuisce anche la quota dell'affiliante.

152
CAPITOLO 13 – L’INFORMAZIONE

- La struttura del mercato e il comportamento di acquisto dei consumatori sono influenzati


anche dalle informazioni su prezzi, qualità, caratteristiche del prodotto, di cui dispongono i
consumatori.
- Studi empirici dimostrano che i consumatori hanno conoscenza imperfetta dei p e qualità
dei prodotti e, dunque, gran parte dei mercati operano in condizioni di informazione incompleta
(costo elevato dell’informazione).
- La presenza di informazione imperfetta sui prezzi impedisce il realizzarsi della
concorrenza perfetta. In questo senso, la legge della domanda e dell'offerta e la legge del prezzo
uniforme non sono valide in mercati con informazione incompleta.

Perché l’informazione è incompleta?


- I consumatori hanno una conoscenza imperfetta dei prezzi, e delle caratteristiche dei
mercati in cui fanno acquisti.
Esistono cinque, motivi principali che giustificano questa conoscenza imperfetta:
v L'informazione varia quanto ad affidabilità.
à Non tutte le "notizie" sono precise, e quindi un consumatore razionale non
dovrebbe fare uguale affidamento su tutte le fonti.
v Raccogliere le informazioni ha un costo.
à Ai consumatori non conviene raccogliere informazioni oltre il punto in cui il
beneficio marginale è uguale al costo marginale dell'operazione.
v I consumatori possono tenere a mente solo una quantità limitata di informazioni.
v Elaborare le informazioni ha un costo.
à dunque i consumatori possono usare anche solo parte delle informazioni che hanno
raccolto.
v Non tutti dispongono di una formazione sufficiente a elaborare correttamente le
informazioni disponibili su tutti i prodotti.
àPer esempio, alcuni consumatori non sanno come stabilire la qualità relativa di vari
computer.

1)Informazione incompleta sulla qualità.


- Molti mercati sono caratterizzati dal fenomeno dell’asimmetria informativa: uno dei
partecipanti alla transazione (il venditore) è a conoscenza di una caratteristica delle transazioni
(la qualità del prodotto) che l'altra parte (l'acquirente) non conosce (mercato dei “bidoni” e
settore delle assicurazioni).

- L'informazione asimmetrica sulla qualità può avere due conseguenze indesiderabili: a)


impedire la determinazione dell'equilibrio in un mercato (assenza di mercato)à inefficienza da
esternalità (incremento del p medio di tutti i prodotti).
b) il mercato si forma ma viene a determinarsi un'allocazione inefficiente delle risorse à
livelli qualitativi minori per i consumatori rispetto all’ipotesi di informazione completa.

Il mercato dei “bidoni” (auto usate).

153
- Vediamo un esempio sugli effetti dell'informazione incompleta: il mercato dei "bidoni". -
In presenza di asimmetria informativa, le auto di bassa qualità saranno vendute (in assenza di
informazione completa) ad un prezzo superiore al suo valore;
mentre quelle di alta qualità non saranno vendute per prezzi minori rispetto al loro valore, e
resteranno fuori dal mercato.

Esempio in cui non si forma un mercato.
- Supponiamo, per esempio, che i consumatori ritengano che metà delle macchine usate
offerte sul mercato siano "bidoni" cui i consumatori attribuiscono un valore pari a 100 e che
l'altra metà sia costituita da auto buone cui attribuiscono il valore di 200.
I consumatori sono neutrali rispetto al rischio. In questa situazione il valore per un consumatore
tipo di un'auto scelta a caso è 150 (0,5*100 + 0,5*200).
In altre parole, l'acquirente è disposto a pagare più del suo valore una macchina di bassa qualità
(150 > 100) perché l'auto potrebbe invece essere di elevata qualità, ma non è disposto a pagare il
valore pieno di un'auto di elevata qualità (150 < 200) perché la macchina potrebbe essere un
"bidone".
In un mercato del genere le auto di bassa qualità spiazzano quelle di elevata qualità.
Infatti il proprietario di un "bidone" è certamente disposto a venderlo a un prezzo superiore al
reale, mentre il proprietario di un' auto di elevata qualità non è disposto a venderla per meno del
suo valore e pertanto decide di tenerla.
Di conseguenza, in un mercato con due soli tipi di auto, vengono venduti solo i "bidoni". In
questa situazione gli acquirenti sanno che solo questa qualità di auto verrà venduta e saranno
disposti a pagare solo il corrispondente valore, ossia 100.

- Questo tipo di problema sorge anche. nei mercati delle assicurazioni.


L'assicurazione contro le malattie ha un prezzo che aumenta con l'étà, perché è più probabile che
le persone anziane abbiano più bisogno di servizi sanitari.
Gli anziani in buone condizioni di salute, però, possono non considerare allettante, assicurarsi
perché i premi richiesti sono troppo elevati.
In questo modo si determina la c.d. selezione avversa: più cresce il prezzo della polizza
assicurativa, più diventa conveniente acquistarla solo per i clienti in cattive condizioni di salute
(quelli a più alto rischio di malattia).
Se i singoli individui riescono a stabilire le proprie condizioni di salute meglio delle compagnie di
assicurazione, queste ultime venderanno un numero di polizze elevato alle persone meno sane
della società.

L’informazione asimmetrica riduce la qualità.


- Non tutti i mercati con informazioni asimmetriche degenerano al punto tale per cui viene
venduto solo il prodotto di qualità più scadente.
-Però quando vi è presente asimmetria informativa si determina sempre un'inefficienza rispetto
alla situazione in cui l'informazione è perfetta: la qualità è infatti troppo bassa.

154
Questa inefficienza è dovuta a un'esternalità à Quest'ultima si verifica perché un'impresa non è
in grado di beneficiare fino in fondo dei vantaggi derivanti dal miglioramento della qualità del
suo prodotto
(Infatti quando un venditore fornisce un prodotto di qualità relativamente elevata al mercato, la
qualità media del mercato cresce, quindi gli acquirenti sono disposti a pagare di più per tutti i
prodotti. Poiché il prezzo basato sulla qualità media è inferiore al costo di produzione del
prodotto di qualità superiore, un'impresa non sarà disposta a produrlo e venderlo).
Strumenti attraverso i quali i consumatori costringono i venditori a rivelare l’informazione
sullaqualità.
- Nei casi in cui l'informazione è simmetrica (compratori e venditori hanno conoscenze
della qualità del prodotto o entrambi non godono di un livello informativo), è più probabile
raggiungere l'equilibrio nel mercato ad un livello concorrenziale.
- Una soluzione possibile al problema dell'informazione asimmetrica consiste nel
costringere i venditori a rivelare l'informazione che tengono nascosta.
I consumatori ottengono maggiori informazioni nei seguenti modi:
a) Garanzie rilasciate dai venditori sulla elevata qualità.
Fornire informazioni ai consumatori permette di far pagare p più elevati che riflettono la
qualità più alta dei loro prodotti.
Tuttavia, le garanzie devono essere credibili (es. fornite da imprese con alta reputazione).

b) Le leggi sulla responsabilità civile.


Le leggi sulla responsabilità civile fungono da garanzie esplicite.
Se i consumatori sanno che le leggi sulla responsabilità civile e il diritto contrattuale
costringono il produttore a riparare i beni difettosi, non occorre che quest'ultimo elenchi i
propri obblighi in una garanzia.

c) Reputazione.
Un negozio o un produttore può fare affidamento sulla propria buona fama per segnalare
che i suoi prodotti sono di qualità elevata.
Se un consumatore fa acquisti ripetuti il negoziante ha un notevole incentivo a non fornire
prodotti difettosi.

d) Intervento di esperti.
Un esperto, può essere in grado di fornire ai consumatori informazioni affidabili. Se il
potenziale acquirente di un'auto usata, per esempio, può portarla da un meccanico e farla
valutare, qualsiasi asimmetria di informazione potrebbe essere eliminata.

e) Standard e certificazione.
Il governo, le associazioni dei consumatori, quelle degli industriali e altri enti possono
fornire informazioni sotto forma di standard e certificazione.

155
Uno standardà è una misura o scala per valutare la qualità di un particolare prodotto. La
certificazioneà è una relazione secondo cui si è riscontrato che un particolare prodotto
soddisfa o supera un dato livello di uno standard.

2)Informazioni limitate sui prezzi.


- L’informazione incompleta sui p può:
§ Ostacolare la concorrenza
§ Consentire p > MC
§ Portare ad una varietà di p per un bene omogeneo.

Il modello trappola per turisti.


- Un’informazione limitata può consentire a un venditore di aumentare il p (rispetto a quello
concorrenziale, pc, con informazione completa:

Numero fisso di imprese.


- Supponiamo che ci sia un numero fisso dì bancarelle di souvenir, n.
Quanto farà pagare ciascuna di esse per la tazza da tè?
- Analizzare il caso in cui ogni bancarella farà pagare il prezzo concorrenziale con informazione
completa, pc= MC.
- Se tutte le altre bancarelle fanno pagare il prezzo concorrenziale pc con informazione completa,
alla singola impresa conviene deviare e fissare un prezzo più alto.
à L'impresa deviante può praticare in modo profittevole il prezzo p* = pc + ε, in cui ε è un
numero piccolo positivo (markup), senza perdere tutti i suoi clienti.
Essa non perderà clienti se p* <pc + c ( cioè se il prezzo p*, praticato dall’impresa è minore del
prezzo concorrenziale compreso del costo di ricerca aggiuntivo necessario per cercare gli altri
negozi).
- Pertanto, al negoziante che devia conviene far salire il p di un importo appena inferiore al costo
relativo a un'ulteriore ricerca.
à Di conseguenza, l'equilibrio con prezzo concorrenziale (pc e informazione completa non è più
un equilibrio quando i consumatori hanno informazioni incomplete sul prezzo).
- Inoltre p* non può neppure essere un p di equilibrio (praticato da tutti), in quanto ciascuna
impresa ha incentivo ad aumentare i p per gli stessi motivi detti prima.

156
- Il solo prezzo di equilibrio possibile sarà pm (di monopolio) dove i MC = RM e i π sono max.
Con prezzi inferiori a pm, le imprese hanno incentivo ad aumentare i prezzi.
- Un ‘impresa ha un incentivo ad abbassare il prezzo sotto pmquando tutti i suoi rivali praticano
pm ?
§ Se ci sono molti venditori à il prezzo unico pm è garantito, perché la ricerca di venditori
che praticano prezzi più bassi sarebbe troppo costosa.
§ Se ci sono pochi venditori àil costo della ricerca c è minore, e l’impresa che praticherà
prezzi più bassi (fissano pm - ε con ε > c) incrementerà i π grazie alle maggiori vendite.
In questo caso non c’è equilibrio con prezzo unico.

Il modello “turisti e gente del posto”.


- L'analisi del modello "trappola per turisti" solleva una questione sui mercati in cui i consumatori
hanno informazioni limitate sul prezzo.
Se non esiste equilibrio con p unico, esiste un modello in cui è possibile un equilibrio con prezzi
multipli (cioè le imprese fanno pagare p diversi per lo stesso prodotto (detta dispersione dei
prezzi))?
- L'analisi mostrerà che nel caso in cui alcuni consumatori hanno informazioni complete e altri
limitate si verifica un equilibrio con prezzi multipli o un equilibrio con prezzo unico al livello
del costo marginale.
- Consideriamo un mercato in cui:
v tutte le imprese hanno costi identici
v ci sono due tipi di consumatori con costi di ricerca diversi.
La gente del posto rappresenta i consumatori informati con costi di ricerca = 0 (c=0).
I turisti sono i consumatori disinformati con costi di ricerca = c.
- Salop e Stiglitz dimostrano che con molti consumatori informati e molti disinformati può
esistere un equilibrio con prezzi concorrenziali, ma è possibile anche un equilibrio con prezzo
unico livello più alto, oppure un equilibrio con prezzi multipli. - Consideriamo tutte le ipotesi
del modello:
§ degli L consumatori del mercato, αL (la gente del posto) è informata e (1- α)L (ovvero i
turisti) sono disinformati.
§ pu à p massimo a cui i consumatori sono disposti a pagare.
§ ci sono n imprese.
§ pc à prezzo applicato da tutte le imprese
§ qc à quota di consumatori uguale per ogni impressa (qc = L/n).

157
a)Molti consumatori informati.

- Se ci sono molti consumatori informati, a un'impresa non conviene aumentare il prezzo a un


livello superiore a pc (cioè NON CONVIENE DEVIARE)
- Come indicato nella Figura 13.1, la curva di D dell'impresa che devia è formata da quattro parti.
- Se p >puà D=0 e dunque vendite nulle.
- Se pc< p <puà vende qu = (1 - α)qc unità, perché perde tutti i suoi clienti informati.
- Se p = pcà le vendite sono pari a qc
- Se p <pcàle vendite sono pari a (clienti informati) αL + (1 – α)qc(clienti disinformati); quindi
si vende siaai consumatori informati che a quelli disinformati.
- L'impresa deviante non ha interesse a far pagare meno di pc, perché quel prezzo è inferiore al
suo costo medio, quindi ottiene profitti negativi.
- L'equilibrio a pc non può essere violato, in quanto l’impresa applicando pu anche se guadagna
di più per ogni vendita, realizza un numero così scarso di vendite che i suoi costi superano le
entrate (in quà AC > pu ).
- Pertanto, se c'è un numero sufficiente di clienti informati, a tutti i consumatori viene fatto
pagare il prezzo di equilibrio concorrenziale con informazione completa.

b)Pochi consumatori informati.

158
- Se c'è un numero relativamente ridotto di consumatori informati, ad un'impresa CONVIENE
DEVIARE dal prezzo concorrenziale senza perdere molti consumatori.
- Supponiamo che qa sia la quantità tale per cui AC = pu
- A un’impresa conviene deviare se qu>qa, ovvero (1 - α) qc>qa
- l'impresa deviante in qu ha un AC <pu, e dunque se fa pagare pu realizza un profitto.
- Al livello pc l'impresa otterrebbe profitti nulli, e dunque ha un incentivo ad aumentare il p. – In
definitiva, se ci sono relativamente pochi consumatori informati, e l'equilibrio con prezzo
concorrenziale e informazione completa viene violato.

Equilibrio con 2 prezzi, ma non con più prezzi (sempre nel caso di pochi consumatori
informati).

159
- Date le ipotesi di partenza, è possibile un equilibrio con due prezzi, ma non ci può essere un
equilibrio con più di due prezzi.
- Supponiamo che ci sia un equilibrio con tre prezzi:
ü con alcuni negozianti che fanno pagare p1 = pu;
ü altri fanno pagare p2, con pc< p2 <pu
ü il resto fa pagare p3 = pc
- I negozianti che fanno pagare p2 non realizzano vendite ai clienti informati ed in media hanno
lo stesso numero di consumatori disinformati dei negozianti che fanno pagare pc, ma
guadagnano meno.
à Pertanto per un negoziante non ha senso far pagare meno di pu e più di pc.
- Pertanto, l'unico equilibrio possibile con prezzi multipli è un equilibrio con due prezzi. -
Se c'è un equilibrio con due prezzi, le imprese con prezzo basso fanno pagare pc e quelle con
prezzo alto pu .
- Tutti i clienti informati fanno acquisti nei negozi con prezzo basso, mentre quelli
disinformati acquistano a caso.
à Di conseguenza, la quota di mercato dei negozianti con p basso è maggiore della quota di
consumatori informati.
- Tutte le imprese devono realizzare gli stessi profitti, altrimenti un'impresa avrebbe l'incentivo a
cambiare la propria politica di fissazione dei prezzo.

160
à I negozi con prezzo basso ottengono profitti nulli perché pc = AC(qc), come indicato
nella Figura 13.3.
à I negozi con prezzo alto, in condizioni di equilibrio, devono anche realizzare profitti nulli.
Se ottenessero, invece, profitti positivi. In questo caso nuove imprese entrano nel mercato come
negozianti con prezzo alto. A mano a mano che i negozianti con prezzo alto aumentano, ognuno
di essi vende meno (i consumatori disinformati si ripartiscono tra più negozi). Il numero di
negozianti con prezzo alto aumenta fino a quando anche per loro i profitti sono ridotti a zero,
(anche se ogni impresa pratica il prezzo che max i profitti, come indicato nella Figura 13.3.).

Fornire informazioni ai consumatori fa diminuire il prezzo.


- Un’informazione diversa tra i consumatori può generare discriminazione di prezzi

un monopolista fissa p diversi nel suo negozio in funzione dell'informazione del cliente. - La
semplice riduzione dei costi di informazione (o costi di ricerca) non significa fornire ai
consumatori informazioni aggiuntive e dunque i prezzi medi non scendono.
- Viceversa, fornire ai consumatori informazioni sui negozi con prezzi più bassi può ridurre il
prezzo medio.
Esistono almeno 2 tipi di modelli che mostrano come una maggior informazione pur far scendere
i prezzi:
§ Man mano che il numero di consumatori informati cresce, la quota di mercato delle
imprese con prezzo basso aumenta (p concorrenziale).
§ Maggiori informazioni danno ai consumatori una maggiore stima dei p e fanno abbassare
il p medio.
Infatti man mano che i consumatori diventano meglio informati, la curva di domanda di
un'impresa diventa più elastica. Perciò, se consumatori entrano in possesso di una
maggior informazione, i prezzi potrebbero scendere.

161
CAPITOLO 14 – BREVETTI E INNOVAZIONE TECNOLOGICA

Brevetti, diritti d’autore e marchi di fabbrica.


- Brevetti, diritti d'autore e marchi di fabbrica rappresentano tre importanti tipi di protezione della
proprietà intellettuale e si differenziano in base all'oggetto per il quale forniscono protezione e
alla loro durata.
- Un quarto tipo di diritto sulla proprietà intellettuale è il segreto industriale o di fabbricazione,
come la formula della Coca-Cola, in cui l'invenzione viene protetta semplicemente tenendola
segreta.

Brevetti.
- I brevetti forniscono all'inventore diritti esclusivi su un prodotto, processo, sostanza o design
nuovo e utile (Brevetti proteggono know how).
- I nuovi prodotti includono i macchinari e i prodotti industriali.
- I nuovi metodi e processi di produzione comprendono i processi chimici per il trattamento dei
metalli o la produzione di farmaci e i processi meccanici ed elettrici per la realizzazione di
prodotti.
- I nuovi design comprendono le forme dei prodotti nel caso in cui queste svolgano una funzione
particolare.
- Inoltre, possono essere brevettate anche le migliorie ai prodotti, ai processi e ai materiali.

I diritti d’autore.
- I diritti d'autore conferiscono al creatore/ideatore diritti esclusivi di produzione, pubblicazione o
vendita di opere artistiche, drammatiche, letterarie o musicali ( i diritti d’autore proteggono
l’espressione artistica).

I marchi di fabbrica.
- I marchi di fabbrica sono costituiti da parole, simboli o altri segni utilizzati per distinguere
un bene o un servizio fornito da un'impresa da quelli forniti da altre imprese.

La necessità di incentivi alle innovazioni.


- Molti ritengono che senza brevetti o altri incentivi dello stato ci sarebbe troppo poca
ricerca. à Il principale motivo è che le invenzioni costituiscono fondamentalmente nuove
informazioni e le informazioni sono un bene pubblico (pertanto, anche se un individuo ha delle
informazioni, questo non impedisce ad altri individui il loro utilizzo). Se alcuni consumatori
possono ottenere delle informazioni senza incorrere in costi chi produce le informazioni ha meno
incentivo a farlo di quanto ne avrebbe se tutti dovessero pagare per averle.
- Molti inventori e imprese attualmente intraprendono la ricerca per i vantaggi pecuniari
che ne derivano.à Pertanto, se non potessero beneficiare di tali vantaggi essi non si
impegnerebbero nella ricerca àSe questo tipo di ricerca fosse eliminata ne deriverebbe un danno
alla collettività perché essa ha un valore sociale.

162
Imitazione scoraggia la ricerca.
- Senza un brevetto chiunque potrebbe usare le nuove informazioni e le imitazioni delle
nuove invenzioni potrebbero essere vendute legalmente.
Esempio: Supponiamo di scoprire una cura per L'AIDS. Se il brevetto ci desse il diritto di
esclusiva potremmo vendere il nuovo farmaco a un prezzo molto elevato.
Senza brevetto le altre società potrebbero copiare il farmaco e la concorrenza farebbe scendere il
prezzo al livello concorrenziale. In quest'ultimo caso avremmo sostenuto tutti i costi di ricerca,
ma non potremmo ottenere in esclusiva i benefici connessi all'invenzione. Pertanto, senza brevetti
i consumatori potrebbero acquistare nuove invenzioni a prezzi concorrenziali, ma sarebbero
prodotte ben poche invenzioni.
- Anche nel caso in cui i brevetti siano concessi, il profitto che l'inventore può ricavare da
una nuova invenzione può essere inferiore al suo valore per la collettività.
à In molti casi, dunque, i concorrenti possono realizzare invenzioni traendo spunto da un
brevetto altrui, riducendone quindi il valore per l'inventore originario.

I brevetti incoraggiano la ricerca.


- Un inventore razionale si impegna in una ricerca costosa fino al punto in cui il rendimento
marginale atteso dall'ulteriore attività di ricerca è uguale al suo costo marginale.
- Se il suo rendimento privato è inferiore a quello della collettività, l'inventore tende a
sottoinvestire nella ricerca.
- I brevetti possono consentire agli inventori di assicurarsi una grande quota dei benefici
(internalizzare l'esternalità) connessi alla produzione di conoscenze isolandoli dalla concorrenza.
Concedendo questi diritti esclusivi, la collettività favorisce la realizzazione di un maggior
numero di invenzioni.

I brevetti incoraggiano la divulgazione.


- Brevetti e incentivi stimolano la ricerca e accelerano processi innovativi mediante la
diffusione di innovazioni.
- I brevetti forniscono due pregevoli risultati: maggiori incentivi per l'ulteriore ricerca e
sviluppo e accelerazione dell'innovazione mediante la divulgazione delle invenzioni.
- Alcune imprese non brevettano le scoperte, quindi i concorrenti non vengono a
conoscenza del loro contenuto. Queste imprese proteggono le innovazioni mediante il segreto
industriale; ma una divulgazione di queste informazioni può avvenire, pei esempio, quando i
dipendenti accettano di lavorare per un concorrente, nonostante sia illegale che essi rivelino ì
segreti industriali delle imprese per cui lavoravano in precedenza.

Brevetti, premi, contratti di ricerca e joint venture.


Esistono alternative ai brevetti?
Premi: lo Stato potrebbe offrire un premio a chi effettua una scoperta.
Contratti di ricerca sovvenzionati dallo Stato: lo stato potrebbe concedere contratti di ricerca a
imprese o singoli ricercatori per stimolarli nella ricerca.

163
Joint venture: lo Stato potrebbe agevolare la costituzione di joint venture tra imprese al fine di
migliorare il coordinamento delle attività di ricerca.

Numero ottimale di imprese in gara per nuove scoperte e beneficio sociale netto atteso. - Il
seguente esempio illustra come brevetti, premi, k di ricerca e joint venture possano influire
sull’attività di ricerca.

I dati del modello:


• n = num di progetti intrapresi dalle n imprese del settore (ognuna può intraprendere 1 progetto).
• m = MC e AC pagato da ogni impresa per la ricerca.
• C(n) = nm = costo totale per la ricerca.
• r(n) = è la probabilità di successo che almeno una impresa produca una invenzione. Pertanto
r(n) è una funzione crescente del numero di imprese, n.
• l'attività di ricerca ha luogo nel periodo t = 0. Se la scoperta viene, fatta in t = 0, la collettività
ne beneficia nei periodi successivi (t = 1,2,...).
• Beneficio sociale atteso, Br(n), cresce al crescere delle imprese impegnate nella ricerca.
Tuttavia il Br(n) dopo un certo numero di imprese si stabilizza.

164
- La società è interessata a scegliere un numero di imprese tale da massimizzare il beneficio
sociale netto atteso (Br(n) – C(n)) à nel nostro esempio il beneficio sociale netto viene max
con 8 imprese come mostrato in figura (parte a).
- La linea tratteggiata rappresenta il beneficio sociale netto atteso, Br(n) - C(n).
- Per descrivere in un altro modo questo risultato sì può osservare che i MC sociali = ai benefici
marginali sociali quando 8 imprese sono in gara (si veda Figura parte b).
- L’ingresso di una impresa in più farebbe diminuire i benefici netti.

Numero di imprese disposte a gareggiare per nuove scoperte e sistema di incentivi statali.

165
- Analizziamo l’ipotesi che lo Stato abbia lo stesso numero di informazioni delle imprese
relativamente a tutti i possibili progetti di ricerca e ci chiederemo quante imprese sarebbero
disposte a gareggiare sulla base di diversi programmi alternativi di ncentivi.

a) Lo Stato non interviene.


- In assenza di brevetti e altri incentivi gli inventori non hanno convenienza ad innovare perché
non ottengono benefici economici.

b) Lo Stato finanzia la ricerca.


- Lo stato può incoraggiare la ricerca attraverso sovvenzioni alle imprese, assicurando così il
numero ottimale di progetti (imprese): es. crediti di imposta per spese in ReS; sovvenzionare le
imprese per svolgere particolari programmi di ricerca.

c) Lo stato può offrire premi.


- Lo Stato può indurre le imprese a impegnarsi nella ricerca offrendo dei premi a quelle imprese
che per prime scopriranno un nuovo prodotto.
- Se lo stato stabilisce il premio in modo adeguato, per vincerlo entrerà in lizza il numero ottimale
di imprese; fissare un premio più alto potrebbe invece stimolare un numero troppo elevato di
imprese a entrare in gara.

d) Joint venture.
- In assenza di qualsiasi tipo di incentivo, l'attività di ricerca è limitata e l'inventore non riesce a
godere dei benefici di una nuova scoperta, si trova di fronte a un'esternalità.
- Il problema dell’esternalità si risolve se tutte le imprese di un'industrìa decidono di dividere tra
loro i costi di sviluppo, formando in questo modo una joint venture per la ricerca.

e) I brevetti
- I brevetti, concedendo diritti esclusivi a coloro che riescono a realizzare un'invenzione,
favoriscono la ricerca.
- I brevetti, a differenza dei premi o dei k di ricerca statali, però, creano distorsioni dovute alla
determinazione di prezzi di monopolio.
- Brevetti sono meno efficienti dei premi o dei contratti di ricerca ma sono molto utilizzati
quando lo Stato gode di informazioni limitate.
- Distinguiamo tra:
1) Brevetto di durata infinita à il detentore ottiene profitti di monopolio illimitati e un forte
incentivo all’innovazione. Questi grandi profitti potenziali possono indurre molte imprese a
gareggiare per ottenere il brevetto.
2) Brevetto di durata limitata à vi è minore incentivo alla ricerca, ma vi sono anche minori
costi dovuti a troppi progetti di ricerca.

166
L'incertezza dello Stato.
- Se lo Stato ha tante informazioni à brevetti e joint venture meno desiderabili dei premi e dei
contratti di ricerca perché creano distorsioni nei prezzi. Con i premi o i sussidi per la ricerca, il
nuovo prodotto viene venduto a prezzi concorrenziali e il surplus del consumatore viene
massimizzato, mentre per la durata del brevetto il nuovo prodotto viene venduto a un prezzo dì
monopolio, che determina vendite. troppo basse.
- Se lo Stato ha poche informazioni à i brevetti e le joint venture possono risultare più efficienti
degli altri incentivi.

La concessione di licenze.
- Chi detiene un brevetto (inventore) realizza maggiori π di monopolio se utilizza il nuovo
processo produttivo o se lo concede in licenza in cambio di un compenso (royalty)?
- Ora dimostreremo che, se il mercato prima dell'innovazione è concorrenziale, per un inventore
che max i π è indifferente essere l'unico venditore del prodotto oppure concederlo ad altri in
licenza.

Un modello della concessione di licenze.

167
- Supponiamo che un mercato sia originariamente concorrenziale e che tutte le imprese
producano a costi costanti (pari a m).
- Il prezzo concorrenziale del bene è uguale a m ( p = m) e si vendono Q unità di prodotto. -
Supponiamo ora che qualcuno sviluppi un nuovo processo che consenta allo stesso bene di
essere prodotto a un costo inferiore, m^, come indicato nella Figura 14.3a.
- Se l'impresa che possiede il nuovo brevetto (impresa dominante) decide di vendere il prodotto,
i π derivanti dall'invenzione sono dati dalla differenza tra il vecchio e il nuovo costo (m – m^)
moltiplicati per il numero di unità di prodotto vendute. Nella Figura 14.3a questo importo viene
definito Royalty.

- Supponiamo ora che l'impresa conceda in licenza ad altre imprese l'uso della nuova tecnologia.
Quale royalty unitaria massimizza i profitti dell' impresa?
La Figura 14.3a mostra un esempio di invenzione marginale che riduce solo leggermente il costo
di produzione.
La royalty massima che un'impresa concorrenziale pagherà per una licenza è la differenza tra il
prezzo concorrenziale e il nuovo costo di produzione (m - m^) .

168
La royalty che max i profitti viene determinata dall'intersezione della curva dei RM di una licenza
con l'asse delle quantità. Nel caso illustrato in figura, ciò si verifica alla quantità Q e a una royalty
pari a r = m – m^ = p – m^.

- Nella Figura 14.3b si analizza il caso di un nuovo processo che determina però una rilevante
diminuzione dei costi.
In questa circostanza, i RM relativi alla domanda derivata di licenze sono uguali a zero al livello
Q^.
Il prezzo che max i π, p, si trova tra m e m^ à di conseguenza, la royalty percentuale (r = p –
m^) è < alla riduzione dei costi (m –m^) ma vengono vendute Q^ > Q licenze.

- In definitiva:
• se l'inventore riesce a produrre in modo efficiente quanto le altre imprese, è indifferente
tra vendere il prodotto o concederlo in licenza, dato che le imprese marginali limitano il
suo potere monopolio in entrambi i casi.
• Se l’invenzione è marginale: viene venduta stessa Q agli stessi p e i vantaggi della
scoperta vanno tutti agli inventori.
• Se l’invenzione è rilevante: < p e > Q. Il surlpus per il consumatore sale e il beneficio
dell’inventore è < a quello sociale totale).

La struttura del mercato e incentivo all’innovazione.


- Schumpeter ha dato avvio alla moderna ricerca sul rapporto tra la struttura del mercato e
l'innovazione.
Secondo l'opinione di Schumpeter, esiste un rapporto positivo tra innovazione e potere di
mercato e le grandi imprese sono più innovative di quelle di piccola dimensione.
Esistono due nessi tra la struttura del mercato e l'innovazione.
Ø i brevetti consentono di ottenere potere di mercato mediante l'innovazione (ex-post
market power).
Ø i profitti di monopolio consentono nuovi finanziamenti per la ricerca (ex-ante market
power).

Quale sistema industriale (monopolio o concorrenza) ha maggiore incentivo a inventare?

La struttura del mercato senza gara per ottenere il brevetto (cioè l’innovatore non è
impegnato in una gara per ottenere il brevetto). - Modello di Arrow (1962)
§ Vi è solo un’impresa innovatrice.
§ Assenza di concorrenza nelle attività di ReS.
§ L’innovazione è protetta da brevetti
- In presenza di queste condizioni, analizziamo due strutture del mercato alternative.
In una struttura del mercato l'impresa che effettua l'invenzione fa parte di un'industria
concorrenziale; nell'altra ad effettuare l’innovazione è un’impresa monopolista.

169
1) Impresa concorrenziale.
- m e m^ à costi rispettivamente prima e dopo l’innovazione
- m è il p prima dell’innovazione; m = m^ + r (r = royalty unitaria) è il p dopo l’innovazione
(dunque p rimane invariato). Anche la Q venduta rimane invariata.
- π = (A + D + F + G) < beneficio sociale complessivo (A + D + F + G + H).

2) Impresa monopolista
- Un monopolista invece pone i ricavi marginali uguali ai costi marginali.
- Esso vende Qm al prezzo Pm à prima dell’innovazione.
Esso vende ^Qm al prezzo ^Pm à dopo l’innovazione.
- In seguito all'innovazione il monopolista ottiene profitti maggiori. Calcoliamoli.
- I suoi costi originari erano pari a (m * Qm) = A + B.
Dopo la scoperta i suoi costi sono pari a (m^ * ^Qm) = B + E.
Pertanto, la variazione dei costi è (A + B) - (B + E) = A - E.
- I suoi ricavi aumentano dell'area che si trova sotto la curva dei ricavi marginali tra Qm e ^Qm,
ossia le aree D + E.
à Pertanto, i suoi π aumentano di un importo pari a (D + E) + (A - E) = D +A.

- Confrontando i profitti nelle due diverse situazioni settoriali:


i π dell’inventore concorrenziale sono maggiori per un importo pari a F + G.
- In definitiva: in condizioni di monopolio, il π generato dall’innovazione è minore ( e
dunque minore è l’incentivo e le risorse impiegate in R e S) di quello ottenuto da un’impresa
concorrenziale.

170
- Dunque la conclusione è che se le imprese non devono preoccuparsi che altri inventino il
prodotto prima di loro, un’impresa concorrenziale ha un maggiore incentivo a inventare rispetto a
un monopolio.

Il monopolista coinvolto in una gara per ottenere il brevetto.

- Un monopolista con potenziali rivali innovatori dovrà impedire che altri entrano in gara
per ottenere il brevetto innovando per primi.
à in caso contrario, il monopolista rischierebbe di subire delle perdite superiori a quelle del
rivale. Quest'ultimo infatti perde soltanto le spese in R&S mentre, il monopolista, oltre alle spese
in R&S, perde anche parte dei profitti di monopolio.
- Come può il monopolista conservare il proprio potere di monopolio?
Indagini hanno mostrato che:
ànel caso di un nuovo processo produttivo, la segretezza, il tempo, il rapido spostamento lungo
la curva di apprendimento e gli sforzi promozionali o per fornire un servizio ai clienti sono
considerati più importanti dei brevetti.
ànel caso di nuovi prodotti, i brevetti hanno un importanza maggiore della segretezza, ma
minore rispetto agli altri metodi.

Quale tipo di impresa innova più velocemente?


- Le imprese concorrenziali innovano più rapidamente di quella monopolista.
à perché dato le royalties vanno a chi innova per primo e il monopolista non ha concorrenza,
ma potrà decidere di innovare al ritmo che considera ottimale.
- Precisamente il monopolista realizza l’innovazione in un tempo che ritiene ottimale, ossia
quando il valore attuale dei risparmi generati dall’innovazione = al valore attuale dei π derivanti
da un investimento alternativo.

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