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CAPITOLO 2: MODELLI DI IMPRESA

Produzione artigianale e industriale


La produzione industriale applica il principio di standardizzazione dei processi di lavorazione.
Il processo industriale necessita di una maggiore intensità di capitale, infatti, il passaggio dalla produzione artigianale
a quella industriale comporta costi fissi maggiori, ma abbattimenti dei costi variabili.
Occorre distinguere tra prodotto artigianale, ossia ottenuto con una lavorazione artigianale, e prodotto a immagine
artigianale, che consiste in un prodotto artigianale ma standardizzato. Non si deve confondere l'impresa artigiana
con l'approccio artigianale, la prima verrà identificata da alcuni fattori come:
- semplicità organizzativa
- la mancanza di standardizzazione
- nessun potere di mercato
- nessun potere nei confronti dei finanziatori
- produzione con modalità artigiana.
La piccola e media impresa
La dimensione di un'azienda dipende da:
- capitale investito: l'azienda avrà processi lavorativi di capital intensive o Labour intensive, nel primo caso si
riscontrano processi automatizzati, nel secondo caso processi di lavorazione compiuti dalla manodopera.
Un'azienda differisce anche dal fatto se possiede o meno macchinari di propria proprietà. Nel capitale
investito non vengono tenuti in considerazione macchinari ottenuti il leasing.
- Numero di addetti: dal rapporto di numero di addetti e capitale investito si ottengono indicazioni sul grado di
automazione del processo produttivo. Quanto maggiore è questo rapporto tanto minore sarà il grado di
automazione.
- Fatturato: e l'indice più immediato ma anche il meno corretto per l'individuazione della dimensione di
impresa. Il fatturato sovrastima la dimensione dell'azienda che effettuano processi produttivi esterni e
sottostima le imprese che realizzano i componenti dei prodotti al proprio interno.
- Valore aggiunto: parametro molto valido, a livello sintetico è la differenza tra output e di input, a livello
analitico è calcolato come somma di utile netto, imposte, oneri finanziari, stipendi, ammortamenti.
Imprese inoltre necessitano di una disponibilità di risorse per investimenti, possiedono una grande flessibilità al
cambiamento delle dinamiche ambientali, Infine, è importante capire in che contesto storico culturale si collocano.
La grande impresa
500 dipendenti, maggiore potere di mercato, maggiori finanziamenti. È controllata dal consiglio di amministrazione e
dai manager che hanno una carica perpetua poiché vengono sostituiti al cessare dell'uno e dell'altro, è un'impresa che
mira all'indipendenza finanziaria, è un'impresa che mira all'autonomia decisionale.
I gruppi di imprese
il gruppo costituisce una via intermedia tra piccola e grande impresa, si fa riferimento ad un insieme di società
giuridicamente distinte ma connesse da legami azionari Che permettono di capire quale sia la controllante e quale
siano le controllate. Affinché ci possa essere un gruppo è necessario che ci siano unità distinte ma coese e controllate
dalla società madre che coordina e unifica i processi decisionali. I gruppi possono essere o associativi:
- I gruppi gerarchici hanno una configurazione piramidale, il capo sono le holding le controllate sono le
società operative. Le holding sono finanziarie se finanziano le società operative senza svolgere alcuna attività
produttiva, le holding sono operative se finanziano e svolgono attività produttive.
- I gruppi associativi sono composti da imprese che hanno lo stesso potere e connesse da possessi azionari
reciproci, un esempio è l'economia giapponese.
- i conglomerali possono essere industriale o finanziario e operano in settori finanziari distinti tra di loro.
i legami tra le imprese che formano i gruppi possono essere economici o personali, i primi comportano accordi di
collaborazione che danno vita a filiere di scambio, si parla di quasi-gruppo. i secondi danno vita a gruppi di fatto per
i legami personali o di parentela che hai diversi membri hanno fra di loro. Le intese interaziendali sono accordi tra
imprese collocate nello stesso mercato.
CAPITOLO 3: LA FINALITÀ DI IMPRESA
La scuola neoclassica individua come finalità di impresa la massimizzazione del profitto, ossia ricavo marginale
uguale al costo marginale. Questo incontra diverse critiche:
- presuppone una condizione di equilibrio
- si limita al profitto di breve termine
- non si considerano i possibili conflitti di interesse tra azionisti e manager
- non considera che l’azienda è un fenomeno sociale e che pertanto i suoi obiettivi non possono limitarsi al
profitto
Le critiche vengono mosse dall'emergere della concorrenza monopolistica dove il prezzo diventa dipende dalla curva
di domanda, la quale dipende dal comportamento dei concorrenti che è incerto e mutevole.
Le critiche vengono mosse dalla interdipendenza oligopolistica dove il prezzo di vendita dipende dalle concorrenti le
quali adotteranno strategie di vendita diverse che non possono essere codificate a priori.
Le critiche, a livello interno, vengono dal modello manageriale secondo cui massimizzando il profitto non si tiene in
considerazione gli interessi degli azionisti e dei manager.
Un'altra critica viene dal modello comportamentista, la quale prende le mosse dalla considerazione che la società per
azioni e un'entità al servizio di tutta una comunità composta non solo dagli azionisti ma anche dagli stakeholder, ossia
dipendenti, fornitori, clienti e finanziatori.
L’azienda, quindi, deve contemperare le esigenze delle diverse parti in causa. La teoria degli stakeholder individua
gli effetti che le attività produttive hanno su tutti gli attori che vi partecipano e sui soggetti esterni. Per avere un
successo stabile e duraturo l'azienda deve intrattenere con questi soggetti relazioni di felice cooperazione. Una critica
della teoria è che l'impresa non può avere solamente obiettivi sociali perché ciò comporterebbe un danneggiamento
della società. L'azienda deve curare al minimo dettaglio i trade-off quindi per esempio in una situazione di crisi
dovrebbe contemperare interessi sia dei dipendenti sia degli azionisti e non far prevalere l'uno rispetto all'altro. Gli
azionisti inoltre sono meno tutelati rispetto agli altri portatori di interesse, per il semplice fatto che non c'è una
legislazione giuridica che li possa tutelare in casi di crisi aziendale. In caso di fallimento della società i primi che
vengono tutelati sono i dipendenti e portatori di interesse esclusi gli azionisti, i quali hanno un ruolo residuale.
Evoluzione competenze manageriali
Nell'immediato dopoguerra si caratterizza l'avvio e l'affermazione della produzione di massa, sfruttando le conoscenze
consolidate nel settore militare prima e durante il secondo conflitto mondiale, rispondendo alla voglia di ricostruzione.
Dopo anni di crescita saturata dell'economia si ricercano nuovi sbocchi con la differenziazione dei prodotti, si sviluppa
il marketing studiando i comportamenti del consumatore e la concorrenza delle imprese.
Negli anni 70, con lo shock petrolifero, si ha l'esigenza di rilancio soprattutto per l'industria, finanziaria impresa. Negli
stessi anni nasce la pianificazione strategica per cercare di riportare un equilibrio tra ambiente interno ed esterno
dell'azienda. nasce così la ovvero la capacità di essere flessibili, reattivi ai scenari che si presentano.
Nella seconda metà degli anni 80 trova rilancio la produzione con tecniche innovative, ossia con sistemi di produzione
flessibili in grado di realizzare prodotti diversificati in volumi differenti a seconda dell'esigenza.
In questo quadro si tiene in riferimento anche alla logistica perché è fondamentale un corretto governo di tutti i flussi
fisici dei materiali, degli approvvigionamenti, della distribuzione dei prodotti finiti, al fine di ottimizzare il servizio
reso al cliente.
La seconda metà degli anni 80 si caratterizza per la riscoperta della scienza e della tecnologia come strumento
essenziale della competizione. Nascono nuovi settori di studio come le biotecnologie e le scienze dei materiali tutto
ciò per consentire un'innovazione che potesse svolgersi direttamente all'interno delle imprese. La tecnologia e la
scienza trovano una collocazione fertile all'interno di questo ambiente.
Nasce negli stessi anni il concetto di qualità totale che pone in luce l'importanza degli scarti di produzione e del loro
riutilizzo sulla base di interventi tecnologici e innovativi. Nasce così il company wide quality control, con l'obiettivo
di ridurre l'uso delle risorse e migliorare la qualità dei prodotti per una più ampia soddisfazione della clientela.
Un altro fenomeno è la globalizzazione dei mercati, ossia l'accessibilità a mezzi e risorse innovative riducendo le
distanze tra i vari paesi con un conseguente abbattimento delle barriere in entrata e in uscita. Si è sviluppato il
fenomeno della delocalizzazione produttiva verso le aree dove il costo del lavoro è più contenuto, ciò ha portato
maggiore competizione nel mercato. L'impatto tecnologico ha portato conseguenze positive, poiché con l’aumentare
della crescita della ricerca le aziende possono avere una posizione più competitiva nel mercato.
Inoltre, sono note le collaborazioni tra le imprese per avere maggiori fette di mercato.
Nell'ultimo decennio sono proliferati gli strumenti finanziari, ogni giorno ne usciva uno, ciò portò ad un maggiore
procacciamento delle risorse finanziarie per le imprese. Il successo di una società sarebbe dipeso dalla tempestività
nella raccolta delle informazioni, riduzione del rischio aziendale facendo ricorso a mezzi di immunizzazione dei tassi
interesse, attenzione all'ambiente circostante nel rispetto delle normative comunitarie, attenzione all'oggetto sociale
della società, salute e sicurezza del lavoro. Lo sviluppo legislativo influenza fortemente la competizione determinando
la crescita ma anche la scomparsa di chi non sa adeguarsi o influenzare opportunamente le evoluzioni.
CAPITOLO 5: RESPONSABILITÀ SOCIALE
I cambiamenti nell'ambiente sociale e politico hanno portato le imprese a ricercare modalità differenti di creazione di
valore per gli azionisti:
- globalizzazione: fonte di crescita e cambiamento per le imprese, è causa di potenziali conflitti con le varie
categorie di stakeholder. Comporta l'apertura degli scambi, la deregolamentazione dei settori virgola e la
privatizzazione dell'economia. Vi sono critiche contro la globalizzazione perché comporta sfruttamento del
lavoro minorile e appoggio alle imprese occidentali che sostengono regimi oppressivi.
- Ipercompetizione: le imprese sono sotto la pressione della concorrenza e cercano di sfruttare minori costi del
lavoro attraverso l'utilizzo di dipendenti di paesi emergenti.
- Questione ambientale: con il protocollo di Kyoto sono state introdotte normative pubbliche per la tutela
dell'ambiente, l'obiettivo di minimizzare lo spreco di risorse, riciclare prodotti, ridurre le emissioni.
- responsabilità sociale: mette in relazione gli interessi degli stakeholder e degli azionisti introducendo uno
sviluppo aziendale sostenibile nel tempo. Non si pensa più solo la massimizzazione del profitto, l'obiettivo è
quello di avere una reputazione aziendale consona con il successo da raggiungere. Porta ad un maggior
vantaggio competitivo e ad una maggiore creazione di valore. L’Impresa è insostenibile quando perde la
fiducia da parte dei consumatori, degli investitori e del mercato. Per responsabilità sociale si intende
l'integrazione delle istanze sociali ambientali, di comportamenti socialmente corretti e di sinergie e
collaborazioni tra i vari portatori di interesse.
Critiche: Alcuni pensano che le CSR siano solo un dispendio di risorse economiche e che non portano ad una
maggiore competizione, le risorse destinate a questi programmi dovrebbero essere investite per migliorare l'efficienza
aziendale. Si dovrebbe porre maggiore attenzione manager rispetto agli altri portatori di interessi.
Supporti: i programmi di CSR sono essenziali al miglioramento delle condizioni economiche e sociali della comunità
in cui si opera. Essi comportano:
- attenzione alla gestione del profilo di rischio, con un'adeguata rimunerazione dei soci e degli azionisti
- migliori appaganti condizioni di lavoro
- prodotti innovativi e sostenibili
- rapporti di cooperazione di lungo periodo
- relazioni chiare e trasparenti
- ruolo innovativo nelle comunità
- attenzione all'ambiente
Ciò comporta la creazione del corporate shared value (CVS), ossia l'insieme delle politiche e delle pratiche che
rafforza la competitività di un'azienda migliorando allo stesso tempo la società in cui opera.
Contenimento dei costi: Questi programmi riducono i costi che venivano sostenuti nei casi di proteste dei
consumatori sulla qualità dei prodotti, e quindi dei dipendenti il cui ruolo era quello di rispondere a queste proteste.
Riducono i costi di una cattiva condotta aziendale che porta inefficienze interne, causando crisi di grandi dimensioni.
Vengono ridotti i costi di monitoraggio, ossia quelli sostenuti per controllare la fedeltà e l'onestà dei dipendenti, E i
costi di coordinamento ossia quei costi sostenuti per rendere univoche tutte le unità produttive.
Aumento dei ricavi: attrazione e mantenimento di risorse umane di alta qualità, maggiore lealtà e coinvolgimento,
maggiore capacità di rispondere ai bisogni della clientela, rapporti positivi con i fornitori, elevata reputazione. Questi
vengono sintetizzati dalla teoria dei segnali che spiega il comportamento implicito di una società nella valutazione di
questi criteri.
CAPITOLO 6: GESTIONE DEGLI STAKEHOLDER
L’impresa raggiunge i suoi obiettivi di creazione di valore gestendo, in modo armonico, la rete di interazioni e
rapporti di scambio con gli interlocutori sociali capaci di condizionarne le sorti in modo positivo o negativo
(stakeholder).
Nasce il concetto di CS (corporate sustainability), Strettamente collegata alla teoria degli stakeholder. È un nuovo
modo manageriale basato sulla valorizzazione delle relazioni allo scopo di integrare strategicamente questioni sociali e
ambientali, agendo sul miglioramento delle capacità delle imprese di rispondere alle richieste provenienti dal proprio
contesto di riferimento, anticipandone i bisogni. La CS e una leva strategica per preservare l'equilibrio economico del
passato, del presente e del futuro.
L'impresa è profondamente integrata nel sistema sociale, economico e giuridico in cui opera, e il suo governo non può
prescindere dal tenere in considerazione soggetti molto importanti per essa come gli stakeholder. il governo
dell'impresa è vincolato anche dal sistema giuridico scelto dal proprietario dell'impresa.
- stakeholder primari: sono soggetti senza la cui continua partecipazione un'azienda cesserebbe di esistere:
clienti, fornitori, investitori, dipendenti, governo, comunità. Se dovessero rimanere insoddisfatti o delusi e
quindi decidere di lasciare l'azienda questa potrebbe fallire.
- stakeholder secondari: non compromettono la stabilità di un'azienda ma non vanno sottovalutati perché sono
in grado di esercitare forti pressioni. Questi soggetti sono i social media, le istituzioni pubbliche, le comunità
di attivisti. Possono decretare la buona o cattiva reputazione di un'azienda e quindi il successo o il suo
fallimento.
All'interno dell'azienda devono essere contemperati gli interessi di tutti gli stakeholder utilizzando mezzi idonei e
adeguati a conseguire un successo di lungo periodo, attraverso l'utilizzo della CS.
Gli stakeholder interni
Fa parte di questo gruppo la proprietà. Poiché la struttura tipica dell’impresa nei modelli di capitalismo più evoluti è
la società per azioni, la rappresentazione tipica degli stakeholder proprietari è quella di stakeholder azionisti.
La struttura proprietaria può essere concentrata o frammentata, la prima è quando ci sono pochi soggetti che
detengono elevate quote di capitale, la seconda è quando ci sono tanti soggetti che detengono piccole quote di capitale.
La capacità di incidere sulla realtà aziendale è maggiore quando il modello proprietario è concentrato e minore quando
è frammentato.
Azionisti di minoranza sono coloro che cercano di coalizzarsi per raggiungere un maggior peso e quindi una
maggiore influenza nella realtà aziendale.
Azionisti di maggioranza sono in grado di incidere sulla realtà aziendale attraverso il voto nelle assemblee.
Azionisti industriali sono coloro che hanno un ruolo operativo all'interno dell'impresa, un esempio può essere
l'imprenditore stesso che solitamente è un'azionista di maggioranza. Nelle realtà più complesse detengono quote in
più imprese, formando i cosiddetti gruppi, ma solitamente sono ruoli di minoranza e non si impegnano nella
conduzione strategica dell'impresa.
Azionisti finanziari sono coloro che investono che il loro capitale nelle imprese.
Gli azionisti industriali supportano spesso iniziative di investimento di crescita e di innovazione, sacrificando flussi
finanziari a breve in vista di profitti a lungo termine.
Gli azionisti finanziari preferiscono iniziative poco rischiose per una maggiore copertura di debito.
Gli azionisti finanziari possono coprire cariche di maggioranza, siamo nell'ipotesi di banche, investitori istituzionali o
venture capitalist che finanzia con capitale di rischio imprese nelle prime fasi di nascita e sviluppo.
L'ultima ipotesi sono gli azionisti che non hanno né natura industriale né finanziaria, siamo nell'ipotesi di proprietà
pubblica cioè azioni detenute dallo stato o da enti pubblici.
I dipendenti
Sono portatori di interessi che apportano la loro opera, cioè il lavoro, le risorse umane possono essere un evidente
fattore competitivo in grado di spiegare il successo aziendale. La loro posizione dipende da due fattori:
- Il livello di partecipazione della forza lavoro ai processi decisionali;
- il livello di rappresentanza delle associazioni sindacali
Nel sistema tedesco una quota dei membri degli organi decisionali è rappresentata da soggetti che rappresentano i
lavoratori.
Per quanto riguarda invece il secondo elemento, il ruolo dei sindacati può dare una maggiore forza ai lavoratori
facendo si che possono godere di privilegi in ragione della loro prestazione di opera.
Il management
Un'importante lavoratore è il manager che partecipa all'attività direzionale dell'impresa, con maggiore o minore
autonomia rispetto alla proprietà, il suo ruolo nasce proprio da un processo di delega della gestione.
Il suo ruolo dipende dalla complessità aziendale, ossia tanto più è grande l'impresa tante più mansioni esso avrà.
Il suo ruolo dipende dalla struttura proprietaria, tanto più sarà frammentata in azioni tanto più il suo ruolo sarà
delicato.
Il suo ruolo dipende dagli incentivi che riceve, i quali possono essere correlati ai risultati aziendali.
Infine, il suo ruolo dipende dall'efficienza del mercato finanziario, tanto più sarà efficiente tanto più l'operato del
manager sarà trasparente agli occhi della proprietà.
Gli stakeholder esterni primari
In questo caso utilizziamo il modello di Porter denominato “5 forze di Porter” ( fornitori, concorrenti potenziali,
concorrenti attuali, prodotti sostitutivi, clienti). È uno schema nato come strumento per la strategia di portafoglio, cioè
per scegliere in quale settore operare a seguito di un'analisi delle sue fonti di profitto, le 5 forze appunto.
Questo gruppo di stakeholder è formato da: fornitori, clienti e concorrenti.
Fornitori
Forniscono materie prime per le filiere produttive di un'azienda, ossia per l'insieme delle lavorazioni che consentono
di arrivare ad un prodotto finito partendo, appunto, dalle materie prime. Ogni fase delle filiere produttive determinerà
un valore aggiunto, ossia la differenza tra il valore della produzione realizzata e il costo dei fattori produttivi
acquistati. Tanto più un’impresa sarà a stretto contatto con i fornitori tanto più sarà maggiore il suo valore aggiunto.
Il rapporto con i fornitori dipende da:
- la struttura del mercato: tanto più il mercato di fornitura sarà concentrato, con pochi soggetti e poche
alternative, tanto più il fornitore avrà un potere contrattuale nei confronti dell'impresa.
- Il valore dello scambio: tanto più un’ impresa sarà dipendente dai fornitori per procacciarsi le risorse tanto
più sarà subordinata al loro potere.
- Le caratteristiche del rapporto: tanto più saranno presenti rapporti genuini tra le imprese fornitori tanto
minori saranno i costi di transazione tra le parti, quindi sarà minore l'integrazione verticale.
Concorrenti attuali
I competitor influenzano maggiormente il comportamento dell'azienda e sperano che essa non raggiunga determinati
risultati.
L'intensità della concorrenza dipende da diversi fattori:
- il tasso di concentrazione: in settori molto concentrati poche imprese detengono un'elevata quota di mercato,
la concorrenza sarà minore.
- la differenziazione: in caso di prodotti standardizzati vi sarà forte concorrenza quindi l'unico discriminante
sarà il prezzo. In settori con prodotti di qualità o marchi ci sarà una minore concorrenza perché sarà possibile
segmentare il mercato.
- le condizioni di costo: in settori con forti economie di scala e con elevata intensità di capitale sarà necessario
adottare politiche concorrenziali e aggressive per vendere l'ingente produzione.
Concorrenti potenziali
Si parla dei possibili nuovi entranti, i quali, però, potrebbero incontrare delle barriere all'entrata, tra le principali vi
sono:
- fabbisogno di capitale: tanto più avremo bisogno di capitale tanto più sarà difficile entrare in un mercato
- economie di scala e di apprendimento: la mancanza di conoscenza del settore e la presenza di grossi volumi
di produzione saranno un deficit per le imprese entranti in un mercato
- accesso privilegiato alle risorse: vincola i nuovi entranti poiché non sono conosciuti dai fornitori e non sono
inseriti nei canali distributivi
- differenziazione: la presenza sul mercato di operatori con un marchio comporta minore possibilità di accesso
per imprese senza reputazione.
I potenziali concorrenti sono anche imprese che offrono prodotti potenzialmente sostitutivi rispetto a quelli della
nostra impresa, in questo caso sarà necessario aumentare la qualità o diminuire il prezzo dei nostri prodotti.
Gli stakeholder esterni secondari
Il sistema finanziario: Offre all'impresa capitale di debito con l'obiettivo della restituzione del capitale più interessi.
Le banche offrono denaro in ragione di:
- livello di indebitamento dell'impresa: Tantomeno un'impresa sarà invitata tanto più una banca concederà un
prestito
- dimensione dell'impresa: tanto più impresa sarà di grandi dimensioni, quindi importante, tanto più una banca
sarà meno restrittiva con i suoi prestiti
- caratteristiche dell'intero sistema finanziario: tanto più il mercato finanziario sarà capillare ed efficiente;
quindi, maggiore possibilità di procacciare risorse per l'impresa, tanto più il ruolo della banca tenderà a
smorzarsi.
I gruppi di interesse e la società: Tali rapporti hanno un'incidenza non trascurabile sul vantaggio competitivo e sul
successo aziendale. Tanto più impresa salvaguarderà l'ambiente e curerà la società tanto più otterrà prestiti vantaggiosi
dal sistema finanziario.
Il sistema pubblico e il macroambiente: il ruolo dell'operatore pubblico influenza l'impresa attraverso:
- la regolamentazione dei mercati: l'impresa potrà essere limitata all'accesso in determinati mercati, poiché
sorvegliati e controllati dallo stato, il quale può condizionare l'offerta
- la tutela della concorrenza: Lo stato tutela le imprese con normative legislative che limitano la concorrenza,
un esempio importante è quello della normativa antitrust.
- le politiche macroeconomiche: le politiche monetarie o fiscali influenzano l'andamento dei tassi di cambio o
dei prezzi delle principali materie prime sui mercati internazionali, questo comporta maggiore successo
fallimento di un'impresa.
CAPITOLO 7: LA RILEVANZA DEGLI STAKEHOLDER
Bisogna capire quale stakeholder sia più rilevante rispetto agli altri, per garantire una maggiore attenzione. La
rilevanza di una categoria dipende da:
- potere: Il potere è collegato strettamente all'autorità e può essere di natura coercitiva, ossia la
regolamentazione che vieta certi comportamenti all'impresa o il manager che decide le mansioni del
dipendente, utilitaristica, ossia un fornitore in posizione di monopolio oppure una banca il cui prestito
rappresenta una quota rilevante per il finanziamento dell'impresa, simbolica, ossia quando in una piccola
impresa viene inserito un progetto di cooperazione con il leader del settore. Dimensione formale dell’autorità.
- legittimità: Quando un soggetto è legittimato a richiedere determinate pretese. Dimensione sociale
dell’autorità.
- urgenza: Quando un soggetto o più espongono pretese pressanti.
CAPITOLO 9: IL GOVERNO DELL’ORGANIZZAZIONE ECONOMICA
il problema dell'agenzia
Nella moderna concezione di impresa, vige il modello della società per azioni, in cui la proprietà è suddivisa fra più
investitori, i quali non possiedono azioni in maniera sufficiente a decidere le scelte dell'impresa.
Il problema dell'agenzia è studiato da Berle e Means, i quali suggerivano che la proprietà fosse incapace di imporre il
proprio volere e che manager fossero di fatto autonomi. Gli studiosi previdero che nella maggior parte dei casi
manager avrebbero approfittato del loro potere per arricchire se stessi, ciò avrebbe portato al declino e all'estinzione
dell'impresa.
Il rapporto di agenzia prevede l’agente che svolge un'attività nell'interesse di un altro soggetto, ossia il principale.
Spesso il principale ricorre ad un'agente perché incapace di svolgere una certa attività in prima persona, le imprese
infatti sono possedute da proprietari che non sanno sfruttare gli asset in modo adeguato.
Il rapporto di agenzia tre caratteristiche tipiche:
- l’agente gode discrezionalità: Ossia della facoltà di stabilire come perseguire l'interesse del principale, ciò di
cui deve rispondere l’agente è solo il risultato.
- L’agente gode di asimmetria informativa: Ossia ha più informazioni del principale circa il modo in cui stai
eseguendo il proprio compito, il manager può filtrare le notizie che raggiungono la proprietà
- remunerazione dell’agente: non dipende dal risultato, di solito una quota consistente della remunerazione
dei manager è fissa.
Ciò comprometterebbe il rapporto dell'impresa con gli azionisti, ossia portatori di interessi che investono capitali di
rischio nella società.
Tali previsioni degli studiosi non si sono mai avverate, poiché le imprese con proprietà frammentata si sono dimostrati
capaci di produrre performance reddituali simili a quelle delle imprese gestite direttamente dalla proprietà.
Gli azionisti sono protetti dalla corporate governance, ossia il sistema di norme e di vincoli che disciplinano i
rapporti fra azionisti e management e assicurano che l'impresa sia gestita nell'interesse dei primi. Tale sistema include
norme legali, statuti e contratti.
Il rapporto fra management e azionisti
La società per azioni prevede l'esistenza di almeno due organi sociali:
- l'assemblea degli azionisti: cui spettano i poteri di nominare e revocare i consiglieri di amministrazione, di
approvare il bilancio e di decidere su certe materie importanti
- il consiglio amministrazione: riunisce consiglieri che hanno il compito di stabilire una linea strategica e
sorvegliare sulla sua realizzazione.
Gli azionisti hanno il potere di decidere attraverso il consiglio di amministrazione i nomi dei manager, hanno la
possibilità di farli dimettere quando necessario.
Nella verità dei fatti però l'assemblea e il consiglio sono spesso lontani dallo svolgere in modo efficace i propri
compiti.
I problemi dell'assemblea risiedono nel fatto che moltissimi piccoli azionisti non partecipano perché per loro è
costoso, valutando lo scarso peso che hanno nella formazione della maggioranza. Spesso, infatti, i manager sono
delegati a rappresentare questi piccoli azionisti. Un secondo problema è che, nelle società quotate in borsa, gli
azionisti che sono scontenti della gestione della società preferiranno liquidare il proprio investimento vendendo le
azioni piuttosto che sostenere i costi di una battaglia assembleare per ottenere la rimozione del management. Pertanto
cattivi risultati aziendali possono tradursi in una caduta dei prezzi di borsa ma non in una sostituzione del
management, almeno fino a quando non si crei una maggioranza di azionisti decisi a cambiare il controllo.
I problemi del consiglio di amministrazione risiedono nel fatto che il controllo che dovrebbe effettuare nei confronti
dei manager è totalmente assente. Questo controllo dovrebbe essere effettuato da consiglieri esterni senza incarichi
gestionali, i quali però spesso sono molto timidi e acquiescenti. Per alcuni motivi:
- i consiglieri esterni spesso siedono nei consigli molte società e capita che dedicano poco tempo a raccogliere
informazioni per la preparazione accurata delle riunioni
- i consiglieri esterni sono in svantaggio di informazioni e competenze rispetto al management
- la nomina dei consiglieri esterni può essere influenzata dal management soprattutto nei casi in cui esso deleghi
gli azionisti, ciò può comportare conflitti di interesse, ossia la nomina di consiglieri esterni che siano a favore
del manager.
- Spesso i consigli esterni non vogliono sprecare risorse necessarie per andare contro il management
Così facendo però il management controlla sia il consiglio che l’assemblea e può in linea di principio auto perpetuarsi.
CAPITOLO 10: TIPOLOGIE DI IMPRESA E FORME DI GOVERNANCE
Le società quotate
La borsa costituisce una parte del mercato dei capitali e mette in contatto i soggetti che risparmiano, come le famiglie,
con quelli che investono, come le imprese.
Il mercato dei capitali è articolato in numerose parti:
- mercati diretti: dove le parti negoziano lo scambio finanziario in modo diretto, si accordano sulle condizioni
dello scambio. Il tipico mercato è quello creditizio dove le banche hanno rapporti con coloro che chiedono
finanziamenti
- mercati aperti: sono scambiati i titoli o attività finanziarie senza il contatto diretto delle parti in contesti in
cui ci sono numerosi acquirenti e venditori. i mercati aperti si distinguono in primari e secondari, nei mercati
primari sono sottoscritti i titoli di nuova emissione come titoli di Stato, nei mercati secondari i titoli già
emessi sono scambiati fra gli operatori.
Le società per azioni si caratterizzano dall'esistenza delle azioni che sono titoli fungibili, scambiabili, con valore
unitario. Il possessore può vendere liberamente le azioni nei mercati aperti, dove saranno presenti anche le
obbligazioni. Il più importante esempio di mercato secondario è la borsa valore, ossia un luogo di scambio dei titoli,
creati e gestiti per garantire il massimo di efficienza alle transazioni. Le borse svolgono diverse funzioni:
- stabiliscono quali titoli sono ammessi alle contrattazioni
- garantiscono l'accesso agli investitori in maniera diretta o intermediaria
- gestiscono il sistema di oscillazione dei prezzi
- trasmettono gli investitori informazioni sugli scambi e sugli emittenti dei titoli
Le borse concentrano un alto numero di compratori e venditori, ciò comporta che tutti i soggetti possono trasformare
in ogni momento i loro titoli in denaro, i titoli quindi sono definiti liquidi.
Perciò le società che chiedono di essere inserite in questo canale di finanziamento dovranno essere quotate in borsa.
L'accesso e il mantenimento della quotazione sottoposta ad alcuni requisiti che variano a seconda delle borse:
- capitalizzazione superare a un certo limite
- adeguato flottante, ossia il numero di azioni in circolazione
- obblighi informativi sui principali fatti di gestione interna
- adottare un certo modello di corporate governance, in cui la proprietà non può essere concentrata in poche
mani, e in cui anche i titolari di piccoli pacchetti di azioni hanno diritti.
Ciò disincentiva la quotazione.
I prezzi della borsa sono il risultato delle aspettative degli operatori, e sono l'incontro tra domanda e offerta della
singola società. Gli investitori tentano di prevedere il prezzo in modo da poter guadagnare. Il loro guadagno consiste
in:
- dividendi che le società distribuiscono periodicamente agli azionisti
- capital gain, ossia incrementi di prezzo delle azioni che gli azionisti possono monetizzare vendendo i titoli
Il problema è che sono guadagni incerti, gli investitori compreranno un titolo solamente se penseranno che il valore
sarà basso e lo venderanno in caso contrario. Le aspettative degli investitori producono l'oscillazione dei prezzi di una
società. I prezzi della borsa sono la visione chiara della performance aziendale ma spesso possono essere alterati
dall'acquisto di ingenti azioni da parte di fondi istituzionali, nel lungo periodo però il prezzo sarà allineato alla
performance veritiera della società.
Nel mercato azionario sono presenti diversi tipi di investitori:
- investitori istituzionali, ossia un gruppo composto da operatori che investono nel mercato di borsa in modo
abituale poiché costituisce il centro della loro attività
1) I fondi di investimento, e le investono in azioni, obbligazioni e altri titoli. i fondi danno ai clienti il vantaggio
di partecipare a un patrimonio ampio e ben diversificato. i fondi promettono di offrire nel lungo periodo un
rendimento maggiore rispetto a investimenti diretti dai clienti in singoli titoli.
2) i fondi pensione: raccolgono prestazioni contributive dei lavoratori, queste verranno investite nel mercato
azionario affinché tali fondi possano dare un rendimento che sarà corrisposto ai pensionati.
3) le compagnie di assicurazione: investono le risorse finanziarie raccolte nel mercato azionario in modo da
poter pagare i possibili indennizzi promessi ai clienti
- I risparmiatori privati: individui e famiglie, che investono in Borsa attraverso intermediari, alcune volte ci si
riferisce a questa categoria chiamandola retail. I servizi di trading sono una parte crescente del ramo al
dettaglio (retail).
- Gli speculatori: sono investitori professionali che partecipano agli scambi per lucrare sulle relazioni di
prezzo. Esempi tipici sono le banche di investimento oppure gli hedge fund.
- Le imprese: acquistano partecipazioni in altre società con lo scopo di investire liquidità eccedenti oppure di
entrare nel controllo. Questo acquisto avviene tramite accordi privati e può riguardare anche società non
quotate.
La corporate governance di una società deve essere giudicata in base a tre elementi:
- La capacità di impedire manager di trarre vantaggi propri: ciò porterebbe l’impresa al fallimento
- la capacità delle imprese di trovare finanziamenti nel mercato dei capitali
- la capacità di rimuovere un management inefficiente
Alcuni pensano che il successo di una società dipenda dalla concorrenza, nella realtà dei fatti esistono pochi settori in
cui la concorrenza sia così tanto intensa; quindi, il ruolo del manager è essenziale per la sopravvivenza dalla società.
Le società non quotate
Molte imprese non arrivano mai alla quotazione perché non soddisfano i requisiti, oppure preferiscono modelli di
governance diversi da quelli imposti nelle società quotate.
Un esempio è dato dalle imprese gestite direttamente dai proprietari, di solito si parla di imprese a conduzione
familiare.
Vantaggi:
- snellezza amministrativa
- mancanza di asimmetria informativa
- struttura leggera e flessibile
Svantaggi:
- Minore possibilità di raccogliere risorse finanziarie, si può ricorrere solo a mezzi personali o indebitamento
bancario
- minori risorse vuol dire vincoli sullo sviluppo, poiché potrebbero essere scartati investimenti costosi ma validi
- Minori strutture produttive proprie, la soluzione è creare reti di fornitori e distributori, il problema è che le
piccole imprese sono dotate da una forza contrattuale bassa e quindi potrebbero ottenere condizioni di
scambio penalizzanti.
- struttura con pochi dirigenti professionali
- decentramento decisionale basso, ossia mancanza di innovazione
Conflitti:
- Suddivisioni mansioni
- utili per le mansioni svolte
- successione ereditaria
Soluzioni:
Adottare un processo di managerializzazione che riduca la dipendenza della famiglia dall'impresa.
CAPITOLO 11: I RISCHI DELLA DISCREZIONALITÀ MANAGERIALE
Disallineamento fra manager e azionisti
Il perseguimento da parte dei manager di obiettivi disallineati da quelli degli azionisti può assumere diverse forme:
- motivi di prestigio, ambizioni personali possono portare i manager a cercare la crescita oltre quanto sarebbe
opportuno, ma deprimono la redditività aziendale
- Manager poco propensi al cambiamento possono privilegiare politiche di investimento molto conservative,
scartando progetti rischiosi ma potenzialmente profittevoli
- Manager poco propensi al rischio
- Manager con poca motivazione non selezionano in maniera adeguata i progetti aziendali, risultano
inefficienti
Tuttavia esistono anche comportamenti opportunistici:
- azioni illecite: Manager potrebbe appropriarsi dei beni aziendali o privare gli azionisti dei loro diritti. Il
manager che “fugge con la cassa” e oggi relativamente infrequente, ma ci si avvicina attraverso manipolazioni
contabili, l'uso dei prestanome, complicità delle banche. Un esempio è quando il manager vende materie
prime, prodotti o asset aziendali ad una sua società a prezzi inferiori rispetto a quelli di mercato, la sua società
poi potrà rivenderli a prezzi più alti. Questo fenomeno ha dimensioni preoccupanti in Russia.
- ricerca di benefici privati: i manager possono trovare anche i mezzi del tutto legali per arricchirsi, fissando
per esempio ingenti bonus non giustificati dai risultati ottenuti (fringe benefit). Questi possono essere polizze
assicurative oppure prestiti personali a tassi agevolati per l'acquisto di un'abitazione. Un altro beneficio
privato sono i pet project, ossia l'acquisto di beni che possono servire all'azienda ma vengono consumati
privatamente come tv, giornali, partecipazioni a competizioni sportive.
- resistenza ricambio: Un altro danno è quello di rimanere in carica, godere dei benefici aziendali, anche
quando le prestazioni del manager sono inadeguate. Il manager, protetto dalla asimmetria informativa può
incolpare determinate dinamiche di mercato in caso di risultati avversi. Il manager può essere sostituito in
caso di acquisizioni, ossia con operazioni in cui un certo soggetto acquista la maggioranza del capitale di una
società o comunque una percentuale sufficiente ad assicurarsi il controllo dell’assemblea. La società soggetto
di acquisizione è detta target. L’acquisizione è amichevole se vi è il consesso del manager e degli azionisti
della target, è ostile se non vi è il consenso. L’acquirente per convincere gli azionisti offre un prezzo più alto
rispetto a quello di Borsa. Se i manager fossero fedeli agli azionisti, accetterebbero l’operazione che
garantisce loro un capital gain. Ma i manager sanno che l’acquisizione potrebbe comportare la loro
sostituzione. Questa è la tipica situazione di conflitto di interesse. I manager dispongono di numerosi mezzi
per contrastare l’acquirente, sfruttare il loro vantaggio informativo dichiarando che il prezzo proposto
dall’acquirente è insufficiente; accusare l’acquirente di volere attuare politiche e cambiamenti che potrebbero
danneggiare l’impresa; modificare lo statuto delle società rendendo più costoso l’acquisto; creare azioni a
prezzo vantaggioso da far acquistare agli azionisti per frammentare la proprietà (pillole avvelenate - poison
pills), ciò porta ad un acquisto di più azioni e quindi maggiore in termini monetari per l’acquirente; il manager
indica l’acquisto di un pacchetto di azioni all’acquirente ad un prezzo più alto per garantirgli un immediato
guadagno, questa è un’azione a vantaggio dei manager ma a svantaggio del denaro degli azionisti
(greenmail); far acquistare ad una terza parte una quota significante di azioni con l’impegno di non cederle
all’acquirente (cavaliere bianco). Al giorno d’oggi le acquisizioni sono amichevoli perché possono garantire
al manager buonuscite premiali se si fa da parte.

CAPITOLO 12: GLI STRUMENTI INTERNI DI CORPORATE GOVERNANCE


I meccanismi della corporate governance
La corporate governance è costituita da una serie di strumenti che distingueremo in interni o esterni. i primi si basano
sulla sorveglianza e la disciplina del management, effettuata dagli azionisti di maggioranza in modo da evitare che i
manager esercitano discrezionalità a proprio vantaggio. I principali strumenti interni sono:
- concentrazione della proprietà;
- sistemi di incentivazione manageriale;
- controllo interno;
La concentrazione della proprietà può assumere tre forme: controllo assoluto, ossia singolo azionista con il 50%+1
dei voti; controllo di minoranza, ossia singola azionista che controlla meno del 50% dei voti, ma a causa della
frammentazione della proprietà restante, riesce a dominare l’assemblea e far nominare manager di suo gradimento;
Patto di sindacato, un gruppo di azionisti si allea e forma un blocco azionario di controllo, l'alleanza è disciplinata da
un patto esplicito o implicito.
La concentrazione della proprietà varia molto da paese a paese; infatti, negli Stati Uniti è molto dispersa rispetto al
resto del mondo. Il potere reale degli azionisti cambia a seconda dei paesi, delle specifiche imprese oltre che delle
normative legislative di diritto commerciale. In molte legislazioni è previsto che le decisioni di particolare importanza
debbono essere prese secondo maggioranze qualificate, ciò accade in Italia con le fusioni aziendali, gli aumenti di
capitale sociale. La nomina dei consiglieri di amministrazione è sottoposta a norme che sfavoriscono gli azionisti di
maggioranza, ciò accade in Germania in cui il consiglio di amministrazione è eletto da un consiglio di sorveglianza,
composto dai rappresentanti degli azionisti ma anche dai delegati del lavoratore. In alcuni paesi dove il mercato
finanziario efficiente, l'azionista non terrà conto delle condotte manageriali ma farà prima a disinvestire dal progetto
aziendale.
La concentrazione azionaria, se è efficace, elimina il problema dell'agenzia perché toglie al management la sua
indipendenza. Ehi allo stesso tempo, gli azionisti che controllano la società potrebbero peccare dello stesso rapporto
d’agenzia nei confronti degli azionisti di minoranza.
Il conflitto tra azionisti di maggioranza e di minoranza è ancora più grave quando i primi esercitano il controllo per
mezzo di una piramide, ossia di una catena di società.
Un esempio tipico è quando una società X impegnata in un certo business è controllata al 51% da una holding C. C è
controllata dalla holding B, B è controllata dalla holding A, la quale è controllata da un gruppo di azionisti.
Nonostante gli azionisti, in cima alla piramide, non possiedono neppure un'azione di X, è chiaro che essi possono
controllare a cascata l'assemblea di tutte le società sottostanti compresa quella operativa.
Il vantaggio della piramide è che permette di esercitare un controllo assoluto con un investimento modesto, infatti, in
ciascuna delle holding, una parte del capitale è fornita dagli azionisti di minoranza. Se mettiamo a rapporto
l’investimento degli azionisti di controllo di A con il capitale sociale di X otteniamo il rapporto di possesso
integrato, che misura la percentuale di x detenuta indirettamente da questi azionisti. Il possesso integrato è pari al
prodotto delle percentuali di controllo ai vari livelli della piramide (51% x 51% x 51% x 51% =6,75%). La leva
azionaria, invece, è dato dal rapporto fra la quota detenuta in X e il possesso interrato (51% / 6,75% = 7,54%).
Questa grandezza misura quante volte si moltiplica il possesso integrato grazie alla catena di controllo. ovviamente la
leva cresce all'aumentare della catena, o se a qualche livello il controllo è mantenuto con percentuali inferiori al 51%.
In Italia è molto frequente il fenomeno della piramide, ciò è dovuto alla scarsa liquidità dei nostri mercati dei capitali,
che rende difficile radunare le ingenti risorse necessarie per un controllo diretto di grandi società. Le società sotto il
controllo di piramidi vengono scambiate in borsa a prezzi inferiori rispetto a quello di società paragonabili ma
indipendenti. Due fattori concorrono a deprimere i prezzi:
- in genere, eventuali take-over sono realizzati non su una società operativa ma su una holding in alto nella
catena, ciò va contro gli azionisti di minoranza della società operativa che non godono del premio che
l'acquirente paga per l'operazione.
- le holding possono non essere quotate e quindi sottrarsi agli obblighi informativi del mercato di borsa, di
conseguenza gli azionisti minoranza delle società operative possono rimanere all'oscuro di fatti rilevanti che
accadono ai livelli superiori della catena.
La concentrazione proprietaria tende a produrre una scarsa liquidità dei titoli, in quanto i controllanti hanno interesse a
contenere le dimensioni del flottante, così da limitare eventuali rastrellamenti da parte di investitori ostili.
Incentivazione manageriale. Elemento per incentivare i manager è quello di rinumerarli a seconda della loro
performance. Gli incentivi manageriali sono di due tipi:
- programmi di bonus: i manager vengono pagati con una parte fissa più una parte di bonus legati ai risultati
aziendali
- Profit sharing: il management riceve una percentuale fissa dell'utile netto goduto dagli azionisti
- incentivi azionari: comportano l'assegnazione diretta al management di azioni sociali legate ai prezzi della
borsa
- stock option: particolare forma di incentivazione azionaria che permette di dare al management incentivi
molto potenti senza intaccare i dividendi degli azionisti. sono opzioni che una società concede a manager e
che danno il diritto di acquistare azioni della
stessa società a un dato prezzo detto prezzo d'esercizio (strike price). Sono assegnate gratis e at the money,
ossia con un prezzo d’esercizio pari al prezzo di borsa delle azioni il giorno dell'emissione. Le stock option
comportano due importanti differenze:
- non provocano mai perdite, infatti se il prezzo dell'azione scende sotto il prezzo di esercizio, il titolare è libero
di non esercitare l'opzione.
- deve essere assegnata manager in quantità virtualmente illimitata, perché non comportano alcuna uscita di
cassa per l'impresa.
Il problema è che, quando il manager vende le azioni ricevute, provoca un eccesso di offerta che fa scendere il
prezzo delle azioni e quindi il valore della partecipazione degli altri azionisti. Questo effetto è chiamato costo
di diluizione.
Se il manager ha una retribuzione che dipende dai risultati, e allo stesso tempo è al controllo dei sistemi
contabili e delle informazioni che sono trasmesse alla borsa, allora avrà un incentivo a far emergere i risultati
migliori di quelli reali. Esempio: bolla di internet, aziende esplodono per contabilità alterata.
Affinché le stock option possano essere efficaci occorrono due condizioni:
- La struttura e le modalità di questi sistemi siano decise al di fuori dell'influenza dei manager, magari da
appositi comitati (compensation commitee).
- I sistemi contabili e l'informativa societaria siano retti da regole oggettive e controllati da terze parti.
Il controllo interno. Le attività di controllo interno hanno lo scopo di assicurare che l'operazione aziendale
avvengano nel rispetto delle norme e dei principi di buona gestione, con riguardo non solo alle azioni del management
ma a quelle di ogni dipendente. Esistono vari tipi di controlli.
- il controllo di legittimità (compliance): verifica le attività di impresa in modo che siano conformi alle norme
di legge
- controllo procedurale: consiste nella verifica del rispetto delle procedure specifiche stabilite dall’impresa, in
particolare allo scopo di evitare frodi interne.
- Controllo contabile: verifica che conti e bilanci siano veritieri
Tale attività di controllo sono distribuite fra una varietà di soggetti. In ogni impresa che supera una determinata
dimensione è presente un internal audit. Per le società quotate è prevista una società di revisione, la quale verifica
ogni anno la corretta rilevazione contabile nell'operazione di impresa, la corrispondenza dei bilanci alle scritture
contabili e l'adozione di adeguati criteri di valutazione. al termine di questo processo la societàdi revisione produce la
relazione di certificazione. Un ruolo importante è svolto in tutte le società anche dal consiglio amministrazione o dal
collegio sindacale.
L'Italia si avvicina sempre di più all’Almerica adottando il codice di autodisciplina delle società quotate ( detto
codice preda), il quale raccomando all'istituzione di un sistema che comprenda un soggetto preposto al controllo
interno e un comitato per il controllo interno.
Le società di revisione non sono così attendibili come sembra, infatti, essendo pagate dalla società che deve essere
revisionata sono invogliate a dare esiti positivi al controllo per rinnovare il loro contratto.
CAPITOLO 13: GLI STRUMENTI ESTERNI DI CORPORATE GOVERNANCE
Il mercato di controllo
Con questa espressione ci si riferisce alle operazioni con cui si è scambiata la proprietà delle società in forma
amichevole o ostile. Le possibili resistenze all'operazione di cambio della proprietà sono:
- Resistenza della target: il management può cercare di bloccare il take over con pillole avvelenate etc.
- Costo dell'operazione: l'acquirente ostiledeve pagare un premio rispetto ai prezzi correnti di borsa
- Limiti finanziari: la capitalizzazione borsistica di molte grandi società quotate può essere molto alta, ciò
porta alla richiesta di ingenti somme di denaro da parte dell'acquirente, e in casi in cui i tassi di interesse sono
alti possono essere impedite le acquisizioni ostili.
- Ostacoli politici: acquisizioni dall'estero possano suscitare la resistenza di governi desiderosi di conservare
posizioni di influenza.
Una soluzione per superare il problema del costo dell'operazione e dei limiti finanziari è costituito dal cosiddetto
leveraged buy-out (LBO), tecnica di acquisizione in cui le liqudità della target sono usate per finanziare l'operazione.
L'operazione è effettuata da una società posseduta dall'acquirente e in genere creata per l'occasione (new company).
Questa società è dotata delle risorse necessarie per l'acquisizione accendendolo nuovi debiti. Una volta realizzata
l'acquisizione, la target e la New company vengono fuse, in modo che la liquidità della prima sia utilizzabile per
rimborsare i debiti della seconda.
Questo strumento presenta aspetti problematici, il fatto che l'acquisizione non utilizzi i mezzi finanziari propri può
portare ad operazioni economiche senza senso, con il risultato di una società molto indebitata.
Un altro limite all'acquisizione è costituito dall'obbligo di legge di estendere l'offerta di acquisto a tutti gli azionisti.
L’obbligo di OPA prevede che l’acquirente non possa superare una certa soglia del capitale sociale senza lanciare
un’offerta d’acquisto sulle azioni rimanenti a un prezzo almeno pari a quello pagato agli azionisti di maggioranza. Se
la quota è alta l’acquirente acquisterà azioni piccole fino ad ottenere lo stesso il controllo. Se la soglia è troppo bassa il
rischio è far scattare l’obbligo di OPA per scambi azionari che in realtà non modificano il controllo. La quota è fissata
al 30%.
Investitori istituzionali e altri azionisti
Investitori istituzionali desiderano trarre il massimo rendimento dai loro investimenti e dispongono delle competenze
tecniche per monitorare politiche e performance delle società di cui acquistano azioni. Tali investitori sembrano avere
sia le motivazioni sia il potere per tentare di influire sulla governance delle società, quando ciò avviene si parla di
attivismo degli investitori istituzionali.
In alcuni casi investitori istituzionali riescono a fare eleggere un proprio rappresentante nel consiglio di
amministrazione, in modo che esso possa imporre il proprio potere e in caso minacciare di liquidare l'investimento
facendo scendere i prezzi di borsa. Il potere di investitori istituzionali dipende dalla politica di portafoglio che
seguono:
- Indexing: l'investitore costruisce un portafoglio che tende ad approssimare un certo indice borsistico. Per
esempio, un fondo può acquistare azioni di tutte le società che fanno parte dell'indice FTSE MIB (Il
principale benchmark dei mercati azionari italiani, formato da 40 titoli che rappresentano circa l'80% della
capitalizzazione di mercato). In questo modo la performance del fondo viene automaticamente a coincidere
con quella dell'indice.
- gestione attiva: Il fondo decide in autonomia come investire, destinando una quota più alta del patrimonio
alle società che reputa promettenti e una più bassa quelle che sembrano più deboli.
Quelli che usano l'indexing eviteranno del tutto il monitoraggio e i relativi costi.
Investitori istituzionali possono trovarsi in situazioni di conflitto di interesse, ossia investire quote rilevanti del
patrimonio nella società, controllarla grazie alla nomina da parte del management della società dei gestori del fondo.
Per il resto investitori istituzionali tendono a rinunciare al contatto con le società.
Esiste inoltre l'attivismo dei piccoli azionisti, ossia piccoli investitori associati tra di loro a difesa dei comuni
interessi, i quali possono proporre ordini del giorno in assemblea che contengono raccomandazioni di comportamento
per il management. Questi ordini del giorno non sono vincolanti per il management ma agiscono solamente come
moral suasion.
Banche e creditori
Le imprese possono indebitarsi attraverso due canali:
- quello bancario: finanziamenti di breve termine
- Quello obbligazionario: emettendo obbligazioni
Il debito crea un meccanismo di governance, in quanto se l'impresa risulta insolvente il management viene sostituito
dai creditori.
L’ imprese indebitata è invogliata a svolgere attività produttive per riparare la situazione, ma in via preventiva può
risparmiare nei periodi in cui eccedono le liquidità, affinché se possono essere investite per creare ricchezza per gli
azionisti, siamo nell'ipotesi del free cash flow. Il problema è che queste liquidità in eccesso possono essere investite
dai manager per scopi improduttivi. Essi potrebbero servire per ripagare gli interessi del debito e quindi innalzarlo in
maniera considerevole. Il problema è che maggiore è il debito più alto è il rischio di fallimento e quindi più alti sono i
tassi di interesse che i creditori chiederanno all'impresa, minori saranno nuovi finanziatori. Imprese che stanno per
fallire possono essere spinte dai creditori a scelte strategiche subottimali dal punto di vista degli azionisti. Queste
scelte non verranno effettuate dai creditori se a garanzia del loro credito ci sarà un bene che lo possa soddisfare in caso
di insolvenza. Quindi una banca che presta un finanziamento farà meglio ad avere una garanzia piuttosto che utilizzare
strumenti per aiutare la performance aziendale.
Per valutare il reale indebitamento di un'impresa e la sua solvibilità si ricorre allo strumento del rating, che consiste
nell'assegnazione di un voto da agenzie specializzate internazionali (standard poor’s).
Le agenzie riescono ad avere accesso anche ad informazioni interne del debitore non disponibili per altri soggetti.
Miglioramenti del rating migliorano i tassi di interesse a cui devono sottostare le banche.
La reputazione
La reputazione pone freno alle iniziative dei manager e quindi alla crescita aziendale, per questo le scelte strategiche
dei manager sono valutate da codici volontari di governance. Questi contengono un elenco delle pratiche che le
società quotate dovrebbero effettuare, non vincolanti ma in caso di inosservanza si deve fornire una motivazione.
Questo è un tipo di soft regulation che punta su costi di reputazione a carico della società e su una maggiore
flessibilità data dalla mancata obbligatorietà nell'esecuzione degli stessi. Un esempio di questi codici e il già citato
codice preda adottato dalla Borsa Italiana. il codice tratta della funzione e composizione del consiglio di
amministrazione; modalità di nomina e di remunerazione degli amministratori; modalità di comunicazione all'esterno
delle informazioni price sensitive, ossia quelle soggette agli impatti sui prezzi di borsa; distribuzione degli incarichi
per il controllo interno; la gestione dei conflitti di interesse; i rapporti con investitori istituzionali.
Esistono anche codici internazionali come l’OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).
CAPITOLO 14: LA DIREZIONE E L’ORGANIZZAZIONE D’IMPRESA
La direzione d’impresa
A seconda delle dimensioni di un'impresa, la direzione può essere articolata in più organi o affidata prettamente al
proprietario come nelle piccole imprese. In questa, infatti, vi è una coincidenza tra organi di governance e organi di
gestione o direzione. Tanto più invece un'impresa è articolata, soprattutto nella produzione di più prodotti, tanto più gli
organi di direzione e gestione delle singole ASA saranno capillari. La direzione di impresa è spesso affidata al general
manager e ad alcuni senior manager o direttori di singole aree strategiche d’affari. La direzione aziendale fa
riferimento a tutti i general manager, indipendentemente dalla loro posizione gerarchica e dai loro ruoli.
Stile di leadership nella direzione dell’impresa
Lo stile della direzione consiste nel modello di governo dei rapporti di lavoro nell’organizzazione di impresa ovvero il
modello di comportamento che l’azienda si attende dai responsabili ai vari livelli nei confronti dei propri subordinati.
La leadership dell’imprenditore deve riguardare competenze manageriali (come fare le cose), competenze di
leadership (realizzare gli obbiettivi strategici).
Lo stile della leadership invece è di due tipi:
- Stile autoritario: incentrato sul controllo e comando
- Stile partecipativo: incentrato sulla ricerca del consenso di tutti gli organi aziendali per raggiungere un
risultato comune.
Il leader dell’impresa deve possedere anche educazione, disponibilità, equilibrio, apertura.
La cultura d’impresa
Concetti studiati da manager in situazioni problematiche, risolutivi di esse stesse. Si parla di valori e modi di pensare
non visibili direttamente ma attraverso le sue più varie manifestazioni.
L’organizzazione di impresa
Comprende tutte le attività volte alla definizione della struttura organizzativa e dei meccanismi di funzionamento
dell’impresa. Organizzare significa ordinare un sistema di parti indipendenti e correlate. L’organizzazione riguarda i
compiti, i poteri, le responsabilità, e le relazioni che ogni organo o persona dovrà assumere nella gestione. Organizzare
significa capire il ruolo delle risorse interne (lavoratori), e delle risorse esterne (materie prime).
La struttura organizzativa
Definisce criteri di divisione e di coordinamento del lavoro tra i membri dell'organizzazione.
Definisce chi e come si occupa di ben delimitate aree di attività, nonché quali sono le relazioni tra le diverse aree.
Vi sono diversi modelli.
Struttura semplice
Organizzazione elementare caratterizzata da un forte accentramento del governo dell'impresa. È tipica delle aziende
artigiane dirette da una sola persona, che hanno il vantaggio della flessibilità delle mansioni e delle minori competenze
specialistiche oltre che di relazioni informali tra i membri. Esistono solo due livelli di organi: il livello centrale da cui
dipendono tutti gli organi operativi.
Si adatta a imprese con un solo prodotto e una linea di prodotti molto omogenea.

Struttura funzionale pura

Assetto organizzativo più̀ diffuso tra le imprese di medie dimensioni con combinazioni produttive semplici.
Le decisioni, pur rimanendo molto accentrate ai livelli più̀ alti della gerarchia, comportano una certa partecipazione
degli organi direttivi funzionali.
Privilegia lo svolgimento dell’attività̀ in condizioni di efficienza, perché́ consente di sfruttare i vantaggi connessi al
conseguimento di:
- Economie di scala
- Esperienza garantita dalla specializzazione
- Conseguimento di obiettivi funzionali attraverso processi di delega top-down.
È da preferire nei casi di un solo prodotto o pochi prodotti.
Svantaggi: risposte lente a dinamiche ambientali, ciò si traduce in un accumulo di decisioni al vertice e quindi ad una
minore innovazione implicando una visione ristretta degli obbiettivi.
Struttura divisionale pura
Il modello divisionale rende le strutture organizzative più̀ flessibili in quanto:
- riproduce a livello di singola divisione le condizioni operative ed organizzative tipiche della singola impresa
- considera le singole divisioni come centri di profitto (ciascuna Direzione di divisione è responsabile del
risultato reddituale parziale della combinazione parziale corrispondente)
Contempera le esigenze di flessibilità̀ delle singole divisioni e le necessità di controllo, coordinamento e
sfruttamento delle interrelazioni garantito dalle Funzioni Centrali.
La scelta del grado di divisionalizzazione determina l’autonomia delle singole divisioni e le attività̀ svolte dalle
Direzioni Centrali nello svolgimento di alcune funzioni aziendali.
Recupero della visione unitaria del business a livello divisionale
Possibilità̀ di rispondere in modo flessibile e tempestivo agli stimoli ambientali
Un aspetto critico del modello divisionale è il coordinamento tra:
le diverse divisioni, in quanto il conseguimento degli obiettivi generali aziendali non è detto che coincida con
la massimizzazione della redditività̀ delle singole divisioni. Il modello divisionale risponde alle seguenti
esigenze:
• crescita delle dimensioni aziendali
• proliferazione di prodotti e/o servizi
• sviluppo tecnologico
• ambienti tendenzialmente instabili
• strategie di forte differenziazione (diversificazione non correlata)
Struttura matriciale

Adozione simultanea di due (o più) criteri di specializzazione


Corrispondenza tra ogni criterio di specializzazione ed una specifica linea di autorità
Elevata elasticità strutturale
VANTAGGIO
• vi è la possibilità di raccordo tra il contributo specialistico del singolo e l’obiettivo di risultato complessivo
SVANTAGGIO
• la duplicità di autorità può comportare dei problemi di bilanciamento di potere tra le diverse dimensioni della
matrice.
Il modello matriciale rende il sistema organizzativo efficace nelle seguenti condizioni:
§ dimensioni medio-grandi
§ prodotti a breve ciclo di vita
§ necessità di svolgere attività interne di sviluppo tecnologico
§ strategie di segmentazione e diversificazione (correlata)
Struttura per processi e a rete
La struttura per processi ottimizza i compiti rispetto a una comune finalità da raggiungere. Struttura rapida ed elastica,
in grado di adattarsi ai comportamenti gestionali in rapido cambiamento. Ci si apre all’esternalizzazione di alcuni
processi, con il dubbio di effettuare un make or buy.
La struttura a rete si fonda su relazioni strette tra impresa, clienti e fornitori per garantire una maggiore velocità ed
efficienza della gestione operativa. Si adatta alle imprese che utilizzano internet e quindi all’e-business.
La gestione del capitale umano
Tra le attività fondamentali, strettamente collegate all'organizzazione, vi è la gestione del capitale umano. Esso è una
fonte di vantaggio competitivo a livello strategico, ormai riconosciuto a livello mondiale. Fanno parte del capitale
umano il direttore generale o l'amministratore delegato, direttori di funzione, ricercatori etc. Di questi soggetti è
necessario capire la loro professionalità, la loro capacità di affrontare le sfide e il grado di formazione personale.
Le principali attività svolte nell'ambito della gestione del personale sono:
- amministrazione del personale
- dimensionamento del personale
- retribuzione del personale
- sviluppo del personale
- gestione delle dinamiche sindacali
- negoziazioni sindacali
- normative sindacali
L'information Technology nella gestione dell'impresa
Il sistema informativo dell'impresa può essere definito come l'insieme delle attrezzature e delle procedure utilizzate
per la creazione e circolazione delle informazioni. tra le principali attività rientrano:
- elaborazione automatica dei dati
- sopporti decisionale
Ciò fornisce l'input necessario che permette il miglioramento dei processi decisionali, Si parla infatti di management
intelligence, che permette una maggiore competitività nei mercati.
CAPITOLO 15: STRATEGIA D’IMPRESA
Attività che consente di indirizzare e coordinare la gestione dell’impresa, più nello specifico è l’insieme delle scelte di
fondo con cui l’impresa cerca di conseguire un predeterminato sistema di obiettivi. È la ricerca dell’armonia tra le
finalità e gli obbiettivi imprenditoriali, le risorse aziendali e l’ambiente.
Parlando di strategia si pensa all’OSF, ossia l’orientamento strategico di fondo, quindi, la visione dell’azienda, la sua
identità e i suoi valori. Esso stabilisce i fini aziendali, la scelta del campo di attività, la filosofia gestionale, il
comportamento da adottare.
I livelli della strategia
Prima si definisce la strategia di impresa, ossia allocare le risorse in risposta delle aree strategiche d’affari scelte;
successivamente si stabiliscono le strategie competitive, ossia decidere come competere (leadership di costo o di
differenziazione); infine, si determinano le strategie gestionali operative, ossia le strategie delle singole attività da
svolgere per raggiungere l’obbiettivo.
CAPITOLO 16: STRATEGIE COMPETITIVE
Catena del valore. Porter ideò il concetto di catena del valore per individuare in un’impresa il vantaggio competitivo
rispetto alle altre. La catena del valore è l’insieme delle attività che sono condotte nell’impresa. Le attività sono
primarie se riguardano l’acquisto, la vendita e la trasformazione; le attività sono secondarie se riguardano la
gestione delle risorse umane, la ricerca e l’apporto tecnologico.
L’impresa in queste attività può raggiungere vantaggi di costo e di differenziazione del prodotto per produrre valore
aggiunto e quindi vantaggio competitivo.
Leadership di costo: produrre a costi inferiori rispetto alle concorrenti. Si può raggiungere con le economie di scala,
ossia maggiori volumi di vendita e minori costi di produzione. Si può raggiungere con le economie di esperienza,
ossia ridurre il costo dei processi di lavorazione grazie alle conoscenze maturate durante il corso della vita aziendale.
Le economie di scala si realizzano soprattutto nei prodotti standardizzati.
Leadership di differenziazione: produrre prodotti con qualità differente a prezzi più alti. Si può raggiungere capendo
fino in fondo le esigenze dei clienti e le loro preferenze.
Leadership di focalizzazione: applicazione di una delle due strategie ma in un segmento di mercato limitato.
Le risorse come fonti del vantaggio competitivo. Lo studio del vantaggio competitivo è stato formulato con un
diverso approccio, noto come resource-based-view (RBV). Questo approccio ci fa notare che il vantaggio
competitivo di un’impresa non dipende dall’intensità delle forze settoriali ma dalle caratteristiche specifiche
dell’impresa: le sue risorse.
Risorse materiali: impianti, macchinari; risorse immateriali: brevetti e marchi; risorse finanziarie: fondi finanziari;
risorse umane: personale.
Le diverse modalità di combinazione delle risorse sono definite competenze. Le risorse conducono ad un vantaggio
competitivo solo se hanno un valore, ossia consentono di cogliere un’opportunità nel mercato e se sono poco
accessibili. Se una risorsa è scarsa e porta valore porterà una rendita all’impresa. È una rendita di tipo ricardiana
perché tale risorsa ha un’offerta limitata. Se una risorsa ha un valore innovativo ed è sempre scarsa, sarà una rendita
schumpeteriana. Le risorse dell’azienda sono tali se vengono colte tempestivamente e se creano opportunità.
Sostenibilità del vantaggio competitivo. Affinché il vantaggio competitivo possa perdurare sarà necessario che le
risorse possono essere isolate rispetto ai competitor. L'isolamento consiste in meccanismi formali come brevetti,
informali come la simmetria informativa. Le risorse saranno isolate se i competitor non avranno tempo per poter
replicare i processi che le hanno portate (diseconomie di compressione temporale). La risorsa non può essere
replicata se ha una dimensione tale da non consentire la riproduzione ai competitor. La risorsa non può essere
replicata se è interdipendente ad altre risorse utilizzate dall’azienda stessa e non dai competitor. La risorsa non è
replicabili in situazioni di ambiguità causale, ossia in presenza di asimmetrie informative. La risorsa non è replicabile
se è poco mobile. Se una risorsa è scarsa, con valore e non imitabile, crerà un vantaggio competitivo latente.
Le risorse intangibili. Sono produttive se hanno le stesse peculiarità delle risorse tangibili, e si identificano in
conoscenze know-how, competenze manageriali, formazione etc.
Capitale umano: addestramenti, formazione e welfare creano un ritorno economico come degli asset finanziari. Il
capitale umano è prodotto da: sicurezza del posto di lavoro, accuratezza nei processi di formazione del personale,
decentramento del potere decisionale, equità di trattamento, investimenti in formazione, la trasparenza.
Capitale organizzativo: insieme di conoscenze e competenze del personale lavorativo, tra queste vi sono: conoscenze
tecnologiche, conoscenze organizzative, conoscenze strategiche. Queste possono essere protette tramite il negozio
della proprietà intellettuale (brevetti e marchi). Tra le competenze vi sono: competenze tecnologiche, di mercato e
integrative, le seconde si rifanno allo studio del settore a cui facciamo riferimento, le terze si rifanno ad integrazioni
delle prime due. Fa parte del capitale organizzativo anche la cultura aziendale, trattata nei capitoli precedenti.
Capitale relazionale: insieme di relazioni tra imprese e stakeholder. Relazioni stabili riducono costi di
disallineamento e di transazione, oltre che quelli sostenuti dai rapporti di agenzia e di monitoraggio.
CAPITOLO 17: LA GESTIONE STRATEGICA NEI CONTWSTI DINAMICI
L’impresa nasce per effetto della spinta creativa di un imprenditore che genera dal nulla un’organizzazione intorno
ad un’idea e alla propria azione personale.
È possibile elencare i passi che – in linea generale – ogni nuova impresa deve effettuare:
- Cogliere le opportunità
- Rifinire l’idea
- Proteggersi dall’imitazione
- Costruzione della squadra (teaming) e del sistema organizzativo
- Start-up
- Finanziamento
- Lancio del prodotto
La fase di sviluppo, invece, permette l’espansione del prodotto, ma allo stesso tempo attira concorrenti.
La fase di maturità riguarda la massima estensione del mercato, lo sviluppo del settore si arresta ed è impossibile
l’aumento delle vendite senza sottrarre clienti alla concorrenza. La fase di maturità porta all’espulsione dal mercato
dei concorrenti marginali, poco efficienti; il mercato rimane dominato da poche organizzazioni di grandi dimensioni
che investono molto nella pubblicità e quindi nella differenziazione del prodotto. Vengono ridotti i costi fissi grazie
alle economie di esperienza e alle economie di scala.
La fase di declino, infine, è comportata da un’accesa competizione e quindi dalla conseguente fuoriuscita dei
concorrenti deboli a causa della forte differenziazione. L’impresa deve immedesimarsi in altri business programmando
la liquidazione e quindi il disinvestimento.
Il ciclo di vita di un’impresa è rappresentato da una forma ad S, spesso in settori come la moda viene
rappresentato con una cuspide (forte boom e forte down).
Declino e crisi
È una fase in cui la capacità reddituale e la struttura finanziaria di un’impresa vengono meno; la crisi in senso stretto,
invece, è rappresentata da forti perdite strutturali unite all’insolvenza.
Il declino è rappresentato da eccedenza di capacità produttiva, assenza di innovazioni, la riduzione dei concorrenti,
l’intensa lotta concorrenziale. Il management dovrebbe prevedere in via preventiva le situazioni che possono portare al
declino, in modo da poter rispondere anticipatamente e quindi:
- Riducendo gli investimenti in capacità produttiva
- Orientare l’organizzazione alla flessibilità
- Intraprendere iniziative di diversificazione
In particolare, vi sono 4 strategie per uscire da un potenziale declino:
- Strategia di quota: aumenta la quota di mercato dell’impresa, facendo una guerra dei prezzi, e quindi
riducendo la concorrenza. La guerra dei prezzi però può minare la reddittività della stessa impresa
che la applica. L’azienda in declino potrebbe, inoltre, abbassare le barriere all’uscita, proponendo
acquisizioni delle imprese concorrenti rendendo onerosa la loro permanenza nel mercato, per esempio
introducendo costose variazioni del prodotto. Un’ultima strategia che massimizza la strategia di quota
è quella di produrre beni sostituivi, sostenendo, però, importanti costi di sostituzione (swithcing
cost).
- Strategia di nicchia: si possono riproporre su singoli segmenti le stesse strategie viste nella strategia
di quota.
- Strategia di mietitura: l’impresa mira a ottenere il massimo ritorno finanziario dal business in
declino. Il calo delle vendite può portare flussi positivi a causa della diminuzione del capitale
circolante. In tale prospettiva è opportuno evitare una guerra dei prezzi, e puntare più che sulla
quantità sui margini unitari di contribuzione, ossia ridurre il numero di varianti e innalzare il prezzo di
vendita, tagliando i costi delle attività non essenziali. Ciò però può determinare un’ulteriore
accelerazione del declino.
- Strategia di disinvestimento: dismissione delle attività, per destinare le risorse ottenute a vari
business secondo una logica di gestione del portafoglio. Tale strategia deve essere attuta
tempestivamente.
Porter individua con Harrigan una matrice che suggerisce ciò che l’impresa deve fare rispetto alla situazione in cui si

trova.

La matrice suggerisce il disinvestimento rapido in caso di struttura del settore sfavorevole, oppure in assenza di punti
di forza che possono assicurare per lungo tempo una buona posizione competitiva e il mantenimento di adeguati livelli
di vendite. Al contrario, in presenza di punti di forza e di struttura favorevole è consigliabile una strategia di quota,
con leadership di nicchia o di intero settore. In presenza di punti di forza, la strategia di nicchia è preferibile anche in
presenza di una struttura del settore sfavorevole. La mietitura è da considerare nei casi intermedi.
Le crisi di imprese e le strategie di fronteggiamento
La crisi dell’impresa perviene per cause primarie e cause secondarie. Le cause primarie sono fattori di tipo
ambientale o interno che determinano l’incapacità a mantenersi in stabili condizioni di economicità. Tra i fattori
aziendali vi sono: strategia, finanza, organizzazione etc. Le cause secondarie moltiplicano gli effetti delle cause
primarie, ostacolando la risoluzione della crisi. La crisi presuppone un errore del management, il quale cura solo il
fatturato più che la stabilità aziendale. I primi segni di crisi si hanno nel caso di non curanza degli interessi degli
stakeholder, nelle crescenti inefficienze e nella mancanza di adeguati processi decisionali.
La risoluzione alla crisi è data da strumenti quali il turnaround, inteso come cambiamento rapido, anche traumatico,
ma che porta a condizioni favorevoli e ad una gestione normale, e quindi si punta a:

▪ Offrire nuove garanzie agli stakeholder per ristabilire la fiducia


▪ Contenimento delle inefficienze con drastiche riduzioni dei costi
▪ Sostituire il management
▪ Ricreare un sistema organizzativo positivo e collaborativo
CAPITOLO 18: LE STRATEGIE DI CRESCITA
Vi sono tre strategie che individuano le traiettorie della crescita:

- Espansione o concentrazione nei business esistenti: sfrutta il patrimonio di competenze e di


esperienze già possedute dall’impresa attraverso lo sviluppo orizzontale, ossia acquisizioni di
imprese concorrenti o beni diversi rispetto a quelli già presenti nel mercato di riferimento;
integrazione verticale, ossia internalizzare attività effettuate da clienti e fornitori.
- Diversificazione: correlata se punta a valorizzare positivamente le interrelazioni tra vecchie e nuove
aree d’affari; conglomerale o non correlata se mira ad acquisire nuove attività non collegate a quelle
esistenti.
- Espansione internazionale: in connessione con la globalizzazione della domanda e dell’offerta
- Strategie di focalizzazione sul core business: cioè su concentrarsi su cosa si sa fare
- Strategie di rafforzamento
L’attuazione delle strategie di sviluppo
Adottando queste strategie di crescita ci ritroveremo in tre situazioni: crescita interna, esterna, collaborativa o
contrattuale. La crescita esterna si realizza mediante acquisizioni di imprese già operanti rafforzando il potere di
mercato, la crescita interna si realizza mediante lo sviluppo delle unità già esistenti in modo da creare competenze
distintive. La crescita esterna è un processo veloce rispetto a quella interna che porta ad un processo più armonico ed
orientato al traguardo finale.
La crescita interna
Avviene attraverso un processo di sviluppo delle unità esistenti all’interno di una struttura societaria ben determinata.
La crescita interna è orientata all’innovazione e alla costruzione di nuove competenze distintive. Essa finalizza
l’utilizzo dell‘organizzazione interna in modo totale e non parziale in modo da sfruttare le opportunità, esempi sono
team dedicati o la creazione di nuove aziende con le risorse della vecchia organizzazione (spin-off). Tale fenomo
porta anche l’accesso a nuovi business (new business development).
Non tutte le imprese crescono allo stesso modo, di seguito è riportata una sorta di matrice che rappresenta i quattro
approcci all’imprenditorialità delle imprese.

La crescita esterna
Si realizza mediante operazioni societarie di acquisizioni di imprese già operanti, atte ad una costruzione di un impero.
L’acquisizione consiste nel trasferimento di una proprietà verso il corrispettivo di un prezzo, corrisposto in denaro o in
natura, come titoli o quote societarie dell’acquirente. La fusione invece può eseguirsi mediante incorporazione o per
consolidazione mediante costituzione di una società nuova. I vantaggi di tale crescita è la rapidità, il superamento delle
barriere all’entrata da parte delle imprese acquisite. L’acquisizione di imprese già presenti nel mercato è funzionale se:
- Si vuole sfruttare la marca dell’impresa già presente
- Si vogliono sfruttare brevetti
- Si vogliono sfruttare punti di forza difficilmente imitabili
Sviluppare tutto ciò a livello interno è dispendioso, non tempestivo e non sempre autorizzato dal governo.
Generalmente un vantaggio diretto delle acquisizioni è il minor costo di investimento rispetto a quello diretto. Un
vincolo è rappresentato dalla disponibilità di risorse liquide, le quali possono essere sviate ricorrendo allo scambio di
azioni come mezzo di pagamento degli acquirenti nei confronti dei venditori.
Sviluppo orizzontale
Attuabile mediante espansione interna dell’impresa (es. aumentare il grado di sfruttamento degli impianti esistenti o la
scala produttiva) o acquisizione di imprese similari operanti nello stesso mercato (integrazione orizzontale).
È finalizzato all’aumento della quota di mercato dell’impresa ampliando la gamma di prodotti offerti, il numero di
segmenti di mercato, la posizione geografica. Ciò si può fare dove le quote di domanda non sono soddisfatte a pieno e
ciò mantiene costante anche il rischio di impresa poiché si investe sempre nello stesso settore ma con maggiore
efficienza. I costi vengono risparmiati creando tangible savings cioè una serie di risparmi legati alla duplicazione dei
costi.
Diversificazione
Le strategie di diversificazione riferiscono alla definizione del portafoglio di aree d’affari in cui un’azienda opera,
ossia dalla numerosità e alla disomogeneità delle aree (le aree strategiche di affari, ossia le combinazioni economiche
parziali) nelle quali vuole operare.
Diversificazione correlata: l’impresa si diversifica ma mantiene la linea di prodotto e di clientela simile a quella
presente.
Diversificazione conglomerale: si qualifica per un passaggio a business nuovi, sotto il piano tecnologico e di
clientela
La diversificazione è produttiva solo nel lungo periodo se sussistono:

- Sinergie: quando due attività congiunte portano ad un risultato migliore rispetto a quello ottenuto
dalla loro separazione. L’effetto sinergico aumenta i costi amministrativi a seguito di un aumento
della gestione societaria su più fronti.
- Economie di campo: scaturiscono dall’utilizzo condiviso di risorse immateriali come competenze
tecnologiche e marche. Ciò massimizza il ritorno degli investimenti in ricerca e sviluppo, i quali non
vengono sfruttati se l’impresa si concentra solo su un settore.
- Economie finanziarie: la diversificazione porta al formarsi di un gruppo di imprese e quindi di un
mercato interno centralizzato. Ciò consente trasferimenti interni, minor indebitamento esterno,
efficienza nello spostamento delle risorse nelle aree organizzative che ne necessitano.
- Riduzione del rischio: il rischio è ridotto rispetto ad un’impresa mono settoriale, poiché andamenti
negativi in alcune aree sono compensati da quelli positivi in altre.
Integrazione verticale
L’impresa è composta da filiere produttive, ossia l’insieme delle lavorazioni che devono essere effettuate per passare
dalla materia prima al prodotto finito. Ogni filiera può essere gestita internamente o da più imprese. Se l’impresa
decide di integrare internamente, essa deciderà di operare le sue fasi a livello interno. L’integrazione è a monte se
vengono integrate le fasi dei fornitori, l’integrazione è a valle se vengono integrate le fasi dei clienti.
Il vantaggio sono minori costi associati agli stakeholder esterni, ma a ciò si aggiunge una minore flessibilità gestionale
e minore tempestività. I vantaggi tecnici sono i minori costi, quelli economici sono dati dal maggiore valore aggiunto
portato dall’impresa rispetto agli stakeholder. I vantaggi sono concorrenziali perché in caso di forte integrazione
interna ci sarà meno asimmetria informativa nei vari processi che prima venivano svolti esternamente. Tutto ciò porta
ad un maggior vantaggio competitivo, ma anche ad un maggiore rischio imprenditoriale a causa della rigidità dei costi.
L’integrazione inoltre fa aumentare il break-even point, rallenta il processo tecnologico.
Focus sul core business
Corporate restructuring e development: punta a razionalizzare i settori di attività di un gruppo diversificato. La
politica di fondo consiste nel disinvestire dalle attività ritenute non fondamentali, concentrandosi esclusivamente sui
settori ritenute centrali (core business). Il disinvestimento non solo contribuisce a snellire l’organizzazione e a
rilocalizzare i piani di sviluppo, ma anche può generare risorse finanziarie, da utilizzare per ridurre l’indebitamento e
alimentare nuovi investimenti nel core business. Sono interventi che sono volti al miglioramento della performance
aziendale, è attuato da imprese di grandi dimensioni e sane. I primi interventi sono tagli drastici sui dipendenti che non
creano valore, quindi manager di basso livello, impiegati etc. Ciò è rilevato dai costi fissi che incidono sulle vendite,
vendite per dipendente, utile per dipendente, valore aggiunto per addetto. Poi vanno confrontati questi valori con
quelli delle altre imprese (benchmarcking).
Outsourcing
Esternalizzare i processi produttivi costruendo una rete di imprese che collaborano per un fine ultimo. Sono delegate
le operazioni no-core, ossia che non si sanno svolgere internamente. L’outsourcing è completo se tutte le operazioni
vengono delegate, è parziale se vengono delegate poche operazioni. Gli svantaggi sono rappresentati dalla difficoltà di
coordinazione tra le imprese che formano il gruppo.
CAPITOLO 19: INTERNALIZZAZIONE
Col passare degli anni il mercato è divenuto mondiale, grazie alla mancanza di barriere culturali o tecnologiche. Ogni
paese ha saputo specializzarsi in un campo creando un vantaggio comparato rispetto al resto. Un’impresa tende a
internazionalizzarsi a livello interno, se il management vede una crescita più proficua adottando questo strumento. La
spinta è esterna se l’impresa vede condizioni di mercato agevoli, polistiche sociali efficienti etc.
L’impresa internazionale: si caratterizza per lo sfruttamento delle conoscenze e delle capacità della casa madre,
sviluppate nel paese d’origine, e quindi divulgate in contesti internazionali.
L’impresa multinazionale: impresa che ha una missione derivante dal paese d’origine, ma si adatta facilmente al
contesto in cui si trova. Questa impresa entra nel paese con investimenti diretti interna lizzando le attività produttive e
commerciali; ciò però deve essere supportato da ingenti risorse finanziarie. La cosa principale è che l’impresa si debba
adeguare al luogo in cui si trova.
L’impresa globale: è un’impresa che fa di tutti i paesi, con cui entra a contatto, un unico contesto di mercato. Questo
tipo di impresa ricerca economie di scala e differenze di costo delle materie prime nei vari paesi con cui si relaziona.
L’impresa mondiale gode di vantaggi quali l’integrazione delle sue attività su scala mondiale. I prodotti sono
universali se graditi da tutti i consumatori, poiché appunto simili nelle preferenze.
Strategie di internazionalizzazione

Primo quadrante: l’impresa esporta parzialmente le sue attività


Secondo quadrante: produzione straniera attraverso contratti di licenza e di impianti chiavi in mano. La
commercializzazione è affidata al venditore straniero con proprio marchio o dal produttore originario, dipende dagli
accordi.
Terzo quadrante: i processi produttivi sono rimasti nel paese di origine, ma installa all’estero una propria
organizzazione commerciale con filiali di vendita
Quarto quadrante: forma completa di internazionalizzazione con fasi di lavorazione interamente all’estero.
L’impresa deve inoltre adottare altre strategie:
- Strategia di esportazione con commercializzazione decentralizzata: tutte le attività sono contrate
nel paese di origine tranne marketing e vendite che si disperdono nei vari paesi.
- Strategia multi domestica: le attività della catena del valore sono disperse nei vari paesi, si lascia
ampia autonomia. Ideale per le imprese multinazionali.
- Forte investimento all’estero e forte coordinamento delle attività: l’impresa opera in maniera
dispersa, decentralizzando il più possibile le attività della catena del valore, ma allo stesso tempo si
mantiene un forte coordinamento di tutte le filiali
- Strategia globale pura: si realizza una forte centralizzazione delle risorse decisive rispetto ai
vantaggi competitivi, è la soluzione delle globali.
CAPITOLO 20: LE STRATEGIE COOPERATIVE
La crescita contrattuale. La crescita contrattuale si pone come una modalità̀ «intermedia» di crescita tra quella
interna ed esterna. Può̀ essere perseguita mediante un’ampia tipologia di forme di alleanze o collaborazioni con terzi. I
vantaggi possono essere:
• L’acquisizione di economie di scala, apprendimento e altri vantaggi di costo in tempi più rapidi e con
maggiore flessibilità̀
• L’accesso ad asset esclusivi (messi a disposizione del partner)
• La riduzione di rischi e la condivisione di investimenti finanziari
• L’unione delle forze per provare a cambiare la struttura settoriale
I partner possono essere portatori di culture e di stili gestionali differenti, che possono rilevarsi incompatibili e portare
a conflitti. La formazione di un’alleanza deve essere presieduta da un’attenta analisi degli obbiettivi strategici e
finanziaria che possono essere conseguiti.
I partner possono adeguarsi strategicamente per ottenere sinergie (fit strategico), o culturalmente per ottenere una
genuina cooperazione (fit culturale).
Forme di relazioni cooperative. Il vantaggio competitivo relazionale può̀ essere perseguito attraverso diverse forme
di accordo e di cooperazione.
Le relazioni cooperative si possono rappresentare sulla base dell’intensità̀ del rapporto:
- Relazioni deboli: il collante è spesso una semplice comunanza di interessi
- Relazioni forti: i partecipanti sono legati da strutture formali, quali contratti o scambio di capitale
Le relazioni deboli sono in caso di presenza incrociata di amministratori tra gli organi di governo di due o più imprese;
associazioni di categoria o territoriali, come società senza scopo di lucro con un obbiettivo comune di raccogliere
informazioni su un settore e aiutare le imprese di quel settore; una forma meno debole sono le alleanze, ossia accordi
che coinvolgono più imprese su base contrattuale riguardanti attività di ricerca e sviluppo; un’altra forma è la presenza
di network di fornitura o distribuzione, ossia accordi lungo la filiera per ottimizzare le operazioni di acquisto o
vendita; le ultime forme deboli sono i distretti industriali, ossia aggregazioni su base locale di piccole e medie imprese
dalle produzioni simili o complementari. Le forme forti sono aggregazioni di imprese che ne formano una nuova.
Esempi tipici sono i consorzi, ossia più imprese conferenti di capitale e un fine comune raggiungibile attraverso lo
scambio; altri esempi sono le join ventures, ossia due imprese che insieme realizzano una terza iniziativa apportando
capitale e risorse per scopi comuni, in questo caso le imprese sono poche.
Motivazioni e risorse coinvolte nella cooperazione.
In una prospettiva resource-based, le forme di cooperazione hanno due motivazioni principali:
- L’ottenimento di risorse
- La difesa di risorse e competenze
Le risorse coinvolte possono essere di due tipi:
- Risorse proprietarie: macchinari, brevetti, ecc (con regimi «forti» di difesa)
-Risorse basate sulla conoscenza: know-how, fiducia, ecc (con regimi «deboli» di difesa)
Le cooperazioni potrebbero essere funzionali all’ottenimento di risorse che senza il partener non potrebbero essere
possedute, quindi poterle utilizzare a proprio favore.
Le risorse di conoscenza sono poco protette rispetto alle risorse proprietarie. Nei casi in cui un’ impresa apporta
risorse di proprietà e un’altra apporta risorse di conoscenza saranno sostenibili le join ventures. Nei casi in cui
entrambe apportano risorse di proprietà la collaborazione sarà molto debole a causa del rischio di sottrazione delle
risorse di conoscenza.
CAPITOLO 21: LA GESTIONE STRATEGICA NEI PROCESSI
Innovazione. Miglioramento di prodotti e processi già esistenti, si tratta di una qualsiasi modalità atta a risolvere un
problema. L’innovazione per natura: si distingue in innovazioni radicali e incrementali. L’innovazione per forma:
identifica l’insieme delle attività necessarie per generare un nuovo prodotto o nuovo processo produttivo.
Il processo di innovazione è un’attività sistematica volta alla creazione e all’applicazione economica di nuove
conoscenze scientifico-tecnologiche ed è fonte di accrescimento del patrimonio tecnologico di impresa.
L’innovazione di prodotto: apporta variazioni alla gamma di vendita. L’innovazione del processo produttivo:
migliora l’efficienza dei cicli di lavorazione. L’innovazione di prodotto sostituisce i prodotti obsoleti, innova
l’impresa, apporta nuovi modelli, migliora il prodotto. L’innovazione trainata dalla tecnologia viene definita come
tecnologia push, mentre se l’innovazione migliora la domanda dei clienti viene definita come demand pull.al centro
dell’innovazione vi è il cliente.
Tecnologia.
Elemento fondamentale nel determinare i processi di sviluppo delle imprese, supporta le attività svolte dalle imprese
per conseguire il vantaggio competitivo e, così facendo, definisce la struttura di ogni catena del valore. La tecnologia è
al centro della creazione di valore.
Le Politiche tecnologiche: costituiscono il complesso delle scelte volte ad accrescere e a sfruttare il patrimonio
tecnologico di cui l’impresa è dotata, secondo orientamenti coerenti con le strategie aziendali complessive.
Il patrimonio tecnologico aziendale: insieme di competenze teoriche ed empiriche, di conoscenze tecniche e
scientifiche, di abilità ed accorgimenti, che l’impresa sviluppa nell’attività̀ di produzione e vendita di beni e servizi.
Le conoscenze che compongono il patrimonio tecnologico possono riguardare il come (Know-HOW) ossia attraverso
approcci empirici, oppure attraverso conoscenze sul perché (Know- Why) ossia attraverso approcci scientifici.
Le tecnologie assumono diversa connotazione a seconda del ruolo che assumono nel conseguimento del vantaggio
competitivo:
- tecnologie di base o fondamentali: insieme di competenze necessarie per poter operare in un settore
di attività̀
- tecnologie strategiche o chiave: conferiscono all’impresa un vantaggio competitivo rilevante poiché́
permettono di realizzare prodotti con prestazioni superiori o processi a costi inferiori
- tecnologie complementari o integrative: sono residuali rispetto alle tecnologie strategiche e
presentano un profilo di rilevanza competitiva potenziale
- tecnologie emergenti o sostitutive: insieme di conoscenze che, anche se scarsamente conosciute
nelle loro implicazioni applicative e nelle reali potenzialità̀ , costituiscono in prospettiva delle minacce
rilevanti per le attuali tecnologie di base
La gestione dell’innovazione e della tecnologia
L’analisi della struttura del patrimonio tecnologico avrebbe scarsa rilevanza strategica se non fosse rapportata alla
nozione di posizione tecnologica relativa. La posizione tecnologica di impresa può essere di tre tipi:
- Forte o di dominanza: quando l’azienda detiene competenze la cui superiorità può essere
comprovata da rilevazioni oggettive con riferimento a tecnologia di base, strategiche e
complementari.
- Allineata: quando il livello delle competenze non presenta differenziali significativi rispetto alla
concorrenza rilevante
- Debole: quando le competenze risultano inferiori rispetto alla concorrenza.
L’esame del posizionamento tecnologico non deve condurre a conclusioni semplicistiche e immediate, a livello
empirico è dimostrato che un’impresa con un forte vantaggio tecnologico non sempre è più competitiva. Si deve avere
un equilibrio tra innovazione tecnologico e vantaggio competitivo; limitate capacità innovative possono dipendere da
fattori di natura:

- Culturale: forte orientamento alla scienza e alla tecnologia che offusca le capacità di interpretare le
esigenze del mercato;
- Organizzativa: inadeguatezza dei meccanismi operativi;
- Finanziaria: scarsa disponibilità a investire in processi ad alto rischio;
- Strategica: incapacità di definire precisi e stabili indirizzi di sviluppo innovativo.

L’indirizzo strategico dello sforzo innovativo rappresenta l’elemento di differenza delle imprese di successo. Le scelte
di gestione dell’innovazione tecnologica riguardano tre alternative:
▪ Leadership tecnologica: consiste nell’introdurre per prime nuove soluzioni tecnologiche (prodotti o processi
innovativi), assumendo così una posizione di avanguardia. Gli svantaggi sono i costi del pioniere, ossia costi
di creazione dei mercati nuovi; i vantaggi sono il monopolio temporaneo.
▪ Imitazione (o follow the leader): consiste nell’acquisire rapidamente soluzioni tecnologiche introdotte dal
leader per apportarvi miglioramenti e realizzare vendite a costi inferiori
▪ Me too: è perseguita da imprese imitatrici che entrano nel mercato in fase avanzata del ciclo vitale della
tecnologia, in prossimità̀ della maturità̀ con lo scopo di una minimizzazione dei costi.
La ricerca e lo sviluppo
Punta a perfezionare le conoscenze produttive e a realizzare nuovi prodotti per i clienti. La ricerca e sviluppo è
l’attività aziendale specializzata nella ricerca, sperimentazione, applicazione e sviluppo di innovazioni tecnologiche. I
risultati della ricerca e dello sviluppo dovrebbero portare ad un abbattimento dei costi e accrescimento dei ricavi.
L’iter della ricerca e dello sviluppo si effettua in tre fasi:
- Ricerca di base: impegno volto a conoscere i fenomeni naturali, ossia nella scoperta di nuovi strumenti che
governano i fenomeni fisici atti a conseguire obbiettivi specifici. La ricerca di base si distingue da quella pura
in quanto quest’ultima ha finalità meramente conoscitiva, mentre la prima ha obbiettivi economici e
competitivi.
- Ricerca applicata: identifica le specifiche modalità di utilizzo delle conoscenze prodotte dalla ricerca di base.
La fase in esame si spinge fino alla messa a punto del prototipo fisico del nuovo prodotto.
- Sviluppo: concerne la messa a punto del prodotto e del processo di trasformazione industriale in una
prospettiva tecnologica e, soprattutto, economica e competitiva. Essa è finalizzata alla predisposizione del
prototipo produttivo, del prototipo commerciale e del nuovo prodotto, e non di rado, di un impianto- pilota
ove siano validate le soluzioni tecnologiche finali e siano realizzate quantità sperimentali del nuovo prodotto.
- Industrializzazione e commercializzazione: riguardano tutte le attività volte a produrre e a vendere su larga
scala il prodotto.
In questo campo assume importanza una demarcazione tra scienza e tecnologia. La scienza si collega alle attività di
ricerca di base o pura, e solo in misura limitata alla ricerca applicata. La tecnologia riguarda direttamente le attività di
sviluppo e industrializzazione.
Inoltre si arriva ad una differenza tra innovazione e invenzione. L’invenzione è qualcosa di casuale, non governabile e
pianificabile. L’innovazione è il momento di sfruttamento economico della nuova conoscenza.
Nella generazione di idee innovative assume un ruolo importante la capacità dell’organizzazione di ricerca di
stimolare la creatività. Tale obbiettivo si concretizza attraverso:
- Sistemi efficaci di comunicazione degli obbiettivi aziendali
- Adeguati sistemi di integrazione Inter funzionale
- Adozione di sistemi premianti la capacità propositiva di gruppo
- Orientare le attività mediante analisi dei prodotti.
La fase di ricerca è un’attività volta alla proposta di ipotesi, anche approssimative, che necessitano di essere sottoposte
a verifica rispetto alla mission aziendale. Per prima cosa, infatti, viene suddiviso il progetto in parti distinte, ponendo
traguardi tecnici per ognuna di esse. A tal fine si costituiscono gruppi di lavoro cui è affidato l’incarico di perseguire i
singoli obbiettivi; viene nominato un project manager con il compito di indirizzare operativamente e di controllare lo
svolgimento delle attività in coordinamento con le funzioni aziendali, inoltre si fissa un budget. Nel corso dello
sviluppo i programmi possono essere ridefiniti per la natura incerta dell’attività innovativa e per lo scostamento di essi
dalle attese. Questa fase di sviluppo preliminare richiede flessibilità nel caso in cui l’innovazione sta avendo
complicanze di natura tecnologica etc. se lo sviluppo preliminare porta ad un risultato si procede verso le fasi di
industrializzazione e commercializzazione del prodotto. L’industrializzazione comporta il trasferimento di quanto
ricercato su un prodotto finale nel rispetto delle esigenze tecniche degli utilizzatori. Questa fase precede la messa in
mercato del prodotto, supportata da ingenti somme di denaro che possano pubblicizzarlo.
CAPITOLO 22: LA GESTIONE COMMERCIALE
Insieme di attività e processi mediante cui l’impresa acquisisce, soddisfa e fidelizza i propri clienti. Punto di incontro
tra domanda e offerta, cruciale per il mantenimento in vita dell’impresa stessa; anche perché il portafoglio clienti
costituisce la vera ricchezza di un’impresa. La gestione commerciale soddisfa i bisogni e i desideri dei clienti
mediante la realizzazione di prodotti e servizi idonei e che generano valore per tutti gli operatori.
Le imprese hanno diversi comportamenti e orientamenti:
- Orientamento al prodotto: (production orientated) prevalente nelle prime fasi del processo di
industrializzazione, è tipico dei settori con bassa concorrenza, offerta omogenea, comportamenti d’acquisto
dei consumatori basati sui prezzi. In questi mercati è importante produrre a prezzi competitivi per vendere e
quindi ridurre i costi interni di produzione.
- Orientamento alle vendite: (sales oriented) prevalente nei settori in cui vi è un eccesso di capacità produttiva
e dove le imprese, per ottenere vantaggi competitivi, puntano ad accrescere il fatturato con l’obbiettivo di
conseguire economie di scala o di percorrere le curve di esperienza.
- Orientamento al mercato: (market oriented) ci si si trova in settori con elevati livelli di concorrenza, in cui
l’attenzione si sposta verso i bisogni della clientela in modo da realizzare un’offerta coerente con le diverse
esigenze della domanda.
- Orientamento al cliente: viene riconosciuto un ruolo centrale al consumatore nell’orientare i processi
strategici e decisionali dell’azienda. L’orientamento al cliente si caratterizza dalla continua ricerca di nuove
opportunità di mercato da affiancare ai business esistenti attraverso il c ostante monitoraggio dei bisogni e dei
desideri dei consumatori. L’abilità di attrarre nuovi clienti, formulando un’offerta coerente ai bisogni e ai
desideri espressi da questi ultimi, rappresenta una condizione necessaria, ma spesso non sufficiente per
mantenere il successo competitivo. È cruciale la capacità di legare i consumatori ai prodotti attraverso la
creazione di un rapporto di fiducia, definito fedeltà alla marca (brand loyalty) creando relazioni stabili. La
fedeltà dipende dal livello di soddisfazione del cliente ottenuto dall’acquisto e dal consumo del prodotto
(customer satisfaction). Una buona soddisfazione crea effetti positivi anche per altri clienti e paura per i
concorrenti.
La soddisfazione dei clienti
La gestione commerciale ha come elemento di partenza i bisogni e i desideri dei clienti. I primi sono dati dallo stato di
privazione rispetto a un’esigenza di base e sono radicati nella natura e nella condizione umana (cibo, vestiti,
trasporto). I secondi riguardano la modalità specifica di soddisfazione dei bisogni. Mentre i bisogni sono pochi, i
desideri che ne derivano sono infiniti e continuamente modificati e influenzati dalle dinamiche sociali presenti. Dai
desideri nasce la domanda per specifici prodotti e servizi in grado di soddisfare bisogni. Nella definizione della
propria domanda, il consumatore sceglie i beni o i servizi che soddisfano nel modo migliore i propri desideri. I
prodotti delle imprese rispondono a un bisogno o a un desiderio dei consumatori, i quali vengono soddisfatti
dall’acquisto di un prodotto rispetto ad un altro, in base alle caratteristiche. Il processo di scambio (produzione-
vendita) tra cliente e impresa è incentrato sulla soddisfazione del primo. A conclusione dello scambio le parti si
trovano in una condizione migliore rispetto a quella inziale, lo scambio comporta valore per le parti.
Obbiettivi della gestione commerciale
Nella gestione commerciale si individuano due aree di attività: le attività legate al marketing e alla vendita.
- Il marketing management: è ricondotto a processi d’analisi che precedono i processi decisionali. È costituito
da:
processi analitici: analisi quantitative e qualitative dei comportamenti della domanda e della concorrenza.
Processi decisionali: utilizzo di un marketing strategico per individuare le opportunità di mercato attraverso:
segmentazione della domanda e targeting di gruppi di consumatori; posizionamento competitivo;
differenziazione dell’offerta.
Processi operativi: il marketing operativo esplicita le leve del marketing mix
- Sales management: vendita, momento conclusivo dell’azione di marketing
- Controllo dei risultati: consente alla direzione di valutare il grado di raggiungimento degli obbiettivi
programmati.
Processi analitici: analisi della domanda
Stimare le dimensioni attuali e future del mercato nel quale ci vogliamo collocare. Collocarci in un mercato significa
sfruttare le potenzialità offerte in termini di fatturato e redditività. L’analisi della domanda parte dalla raccolta di
informazioni necessarie per lo sviluppo della strategia di marketing e viene valutata attraverso:
- Domanda attuale: volume totale acquistato da un gruppo di acquirenti in un ‘area geografica e in un
determinato periodo.
- Domanda potenziale: limite a cui tende la domanda del mercato, in un ambiente definito, al crescere
all’infinito del programma di marketing delle imprese appartenenti al settore. (livello massimo di domanda)
- Domanda prevista: richieste effettive del mercato in un determinato periodo futuro
La domanda di mercato dipende dalle politiche di prezzo, pubblicità, promozioni e miglioramenti del prodotto.
Analisi della concorrenza. I concorrenti diretti sono le imprese che operano per soddisfare lo stesso gruppo di
bisogni. Tuttavia, esistono anche concorrenti con beni che possono sostituire il nostro ma rispettare le esigenze del
consumatore. Bisogna analizzare le politiche dei costi interni dei concorrenti attuali e potenziali. La situazione limite è
rappresentata dal monopolio imposto dalla pubblica autorità, in cui il ruolo del marketing risulta marginale. Nei
mercati frammentati il marketing deve essere tenuto in considerazione con riferimento agli effetti sulla domanda,
mentre nei mercati di tipo concentrato le decisioni di marketing hanno come riferimento principale le potenziali
reazioni della concorrenza.
Processi decisionali: segmentazione della domanda

La segmentazione strategica del mercato è la strategia di selezione dei gruppi di clienti che l’impresa desidera servire,
adattando ai loro specifici bisogni la sua offerta di valore, attraverso l’organizzazione delle sue risorse, capacità e
competenze. La segmentazione del mercato in diversi sottoinsiemi tra loro omogenei costituisce una delle principali
attività del marketing strategico. Le imprese non possono soddisfare tutti i clienti, quindi, per essere competitive è
opportuno che segmentano il mercato concentrandosi nel segmento in cui sono più forti. Il mercato è segmentato a
livello geografico, demografico, socioeconomico, psicografico, comportamentale. Dopo aver segmentato la domanda
è necessario operare il targeting, che consiste nell’identificare il segmento di clienti obbiettivo che vogliono essere
soddisfatti mediante la strategia di impresa.
Posizionamento competitivo. Sistemazione dell’offerta in coerenza con il segmento scelto, con conseguente offerta
relativa alle caratteristiche del segmento. Per posizionamento si intende la collocazione del prodotto in un definito
sistema di percezioni del consumatore. Per scegliere la posizione più idonea, occorre comprendere, rispetto a tutti i
prodotti sul mercato o nel segmento di interesse, le percezioni dei clienti sui prodotti e guidare le preferenze degli
stessi individuando così i clienti potenziali non sufficientemente coperti dai prodotti esistenti.
Differenziazione dell’offerta. L’obbiettivo è rendere il prodotto poco sostituibile rispetto agli altri beni esistenti sul
mercato. Per differenziarlo si possono apportare modifiche agli aspetti tangibili e intangibili (confezione, colore,
forma, immagine). È necessario, oltre alla differenziazione, rispondere alle esigenze dei clienti.
Strategie di marketing. L’impresa deve decidere quali clienti soddisfare e quale offerta adottare. Vi sono 4 diverse
strategie di marketing:
- Marketing indifferenziato: una sola offerta, economie di scala. Esempio: coca cola
- Marketing differenziato: si opera in diversi segmenti di mercato con prodotti differenti, maggiori costi di
produzione
- Marketing concentrato: l’impresa si colloca in un solo segmento del mercato con un’offerta esclusivamente
riferita a questo. Maggiori rischi perché le vendite dell’impresa sono funzione esclusiva del segmento
prescelto.
- Marketing di nicchia: l’impresa sceglie un elevato grado di differenziazione dell’offerta, focalizzandosi però
su un unico segmento. Si ricercano le specifiche preferenze dei consumatori in ragione delle loro particolari
esigenze.
Marketing operativo. Consiste nella manovra delle leve che, nel loro insieme, costituiscono il marketing mix:
product, pricing, place, promotion; denominate anche 4P. le variabili del marketing mix possono essere utilizzate per
generare vantaggi differenziali rispetto ai concorrenti come: benefici e prestazioni offerte al cliente dal prodotto; onere
che il consumatore deve sostenere per godere del prodotto (prezzo); conoscenza e percezione di prestazione e benefici
offerti (comunicazione); disponibilità fisica e qualità d’informazione funzionale all’acquisto (distribuzione).
Prima variabile (prodotto): individuato da ciò che l’impresa vuole offrire nella soddisfazione di un bisogno espresso
dai consumatori. Le decisioni operative al prodotto riguardano: migliore qualità, interventi di modernizzazione,
politica di marca, packaging.
Seconda variabile (prezzo): quantità di moneta ceduta dall’acquirente al venditore in cambio dei prodotti/servizi o di
disponibilità monetarie. Per l’impresa, il prezzo, è il guadagno ottenuto da tutti i costi sostenuti per la produzione del
prodotto e dalle ore dedicate. I metodi per la determinazione del prezzo possono essere basati su:
- Cost plus pricing: prezzo fissato dalla copertura dei costi e da un margine di profitto (mark-up).
- Reazione della domanda: il prezzo è fissato in base alle risposte che la domanda dà
- Comportamento della concorrenza: il prezzo è fissato in base a ciò che la concorrenza offre.
Terza variabile (comunicazione): concerne la pubblicità che deve fare l’impresa per promuovere il proprio prodotto.
Quarta variabile (distribuzione): concerne le modalità con cui i beni e i servizi vengono resi disponibili per il
consumatore. Il management deve decidere a quali intermediari appoggiarsi, quindi: rivenditori selezionati (vendita
selettiva), tutti i rivenditori (vendita estensiva), solo un rivenditore (vendita in esclusiva). Il management deve
inoltre capire con quale canale vendere il prodotto, quindi: canale diretto, se il prodotto passa dall’impresa
produttrice al consumatore finale; canale corto, se vi è solo un livello di intermediazione fra produttore e consumatore
(dettagliante); canale lungo, se ci sono più livelli di intermediazione fra produttore e consumatore (grossista e
dettagliante). Le politiche di distribuzione possono essere ricondotte a due orientamenti fondamentali: il primo di tipo
push, mira a spingere l’offerta facendo perno sugli intermediari; il secondo di tipo pull, cerca di convincere i
consumatori, attraverso la pubblicità e la promozione, a richiedere il prodotto al distributore. Al giorno d’oggi la
vendita è fatta anche online, l’e-commerce è un canale diretto.
La gestione della vendita. L’impresa vende il prodotto attraverso la propria rete di vendita, ossia l’insieme delle
persone che consentono all’impresa di raggiungere i consumatori e quindi di allocare i prodotti nel mercato.
Attraverso la rete di vendita l’impresa svolge una serie di operazioni che comprendono la ricerca dei clienti potenziali
e la raccolta degli ordini, la consegna delle merci ai clienti. Questa struttura è deputata a una serie di mansioni
addizionali note come servizi alla clientela. Si pensi, per esempio, all’attività di consulenza al cliente, all’assistenza
alla post-vendita, ci sono due modi per organizzare la vendita: rete indiretta, ossia i venditori sono legati all’impresa
da un contratto di lavoro dipendente, rete diretta, ossia i venditori sono collaboratori autonomi. Un elemento centrale
nella gestione della rete di vendita è l’attenzione all’elemento umano, ossia alla gestione e alla formazione del
personale di vendita, in quanto è dalla sua capacità di promuovere i prodotti, di negoziare, di comunicare con i clienti,
nonché dalla sua motivazione, che dipendono i risultati. Quindi sono utili incintevi premiali e addestramenti ad hoc.
CAPITOLO 23: LA GESTIONE DELLE OPERATIONS
Fa riferimento alle attività di trasformazione fisico-tecnica di input in output che arrivano sui mercati di sbocco per
essere impiegati in attività di consumo o in ulteriori attività di produzione.
Produzione. Riguarda lo s volgimento di attività di acquisizione, combinazione e trasformazione di input con la
finalità di ottenere output da destinare al consumo finale o da utilizzare quali input di ulteriori produzioni. Obbiettivi
della produzione sono:
- Ricerca della produttività, ossia efficienza per il contenimento dei costi
- Proposizione di prodotti innovativi
- Miglioramento costante della qualità del prodotto per renderlo superiore a quello dei concorrenti
- Capacità di assicurare rapidità e rispetto dei tempi delle consegne ai clienti
- Capacità di rendere il sistema produttivo adattabile alle esigenze dell’ambiente
L’area della produzione si identifica con responsabilità e competenze di progettazione e di gestione del sistema
produttivo. Nel primo caso si tratta di definire le caratteristiche strutturali e impiantistiche mediante scelte di
investimento (leve hardware); tali scelte sono difficilmente reversibili in quanto richiedono un elevato anticipo
decisionale e producono effetti vincolanti nel medio- lungo termine. Le scelte di investimento riguardano: il processo
produttivo; la tecnologia etc. la gestione del sistema produttivo (leve software), invece, si identifica con la scelta di
soluzioni organizzative, tecniche e metodologie di gestione, vincolate dalle precedenti scelte hardware, ma suscettibili
di più ampie possibilità di modifica nel breve-medio termine.
Il sistema produttivo. I sistemi produttivi possono ricondursi a produzioni: job shop, per lotti, in linea, per flusso
continuo. Le produzioni job shop operano in genere su commessa, ossia realizzano esemplari unici (commessa
singola) o un numero limitato di unità (commessa ripetitiva) conformi a specifiche caratteristiche del cliente.
Esempio è il modello di produzione artigianale dove l’acquisizione dell’ordine è generalmente preceduta dalla
formulazione di un’offerta di prezzo al cliente (preventivo). I materiali impiegati, se specifici, vengono acquistati dopo
l’ordine; di conseguenza, tanto le scorte di materie prime quanto le scorte di prodotto finito pressoché assenti. Al
contrario, le scorte di semilavorati (o work in process) sono consistenti e richiedono particolare attenzione da parte del
management. I tempi di consegna possono essere lunghi ma sono accordati in base alle esigenze del cliente
(affidabilità della consegna). Le produzioni per lotti consistono nella realizzazione di prodotti caratterizzati da
un’elevata varietà e da una variabilità piuttosto contenuta, in quantitativi non necessariamente legati al fabbisogno
immediato. Esempio è il settore calzaturiero. La produzione può avvenire su ordine acquisito o su previsione della
domanda, a seconda che il tempo di risposta accordato dal mercato sia compatibile o meno con il tempo necessario
alla realizzazione delle attività produttive. Nel primo caso si configura la fattispecie delle imprese che operano per
commesse ripetitive a catalogo, realizzando di volta in volta i volumi produttivi corrispondenti alle quantità richieste
da singoli ordini di prodotti a catalogo. Nel secondo, si assiste alle tipiche produzioni intermittenti, lanciate sulla base
di previsioni di domanda per quantitativi superiori al fabbisogno immediato. Le produzioni per lotti si avvalgono di
macchinari e addetti la cui capacità risulta abbastanza generica, a meno di specificità richieste a fronte di particolari
lavorazioni. L’ammontare di scorte di materie prime e di prodotti finiti varia secondo le scelte di programmazione e le
previsioni di vendita, ma difficilmente assume valori elevati. Anche qui è consistente l’investimento in semilavorati.
Le produzioni in linea realizzano elevati volumi di prodotti con varietà e variabilità piuttosto contenute, tali da
giustificare investimenti in impianti e macchinari dedicati in modo specifico a singole famiglie o tipologie di prodotto.
Esempi tipici sono nel settore automobilistico. Le dinamiche produttive vengono svincolate da quelle di acquisizione
degli ordini. La produzione, divisa in stazioni, deve essere equilibrata efficientemente per evitare stazioni sature (colli
di bottiglia) e un giusto ritmo produttivo poiché la velocità di avanzamento è vincolata da quella della stazione più
lenta. Tali elementi sono coerenti con l’esigenza di realizzare elevati volumi di produzione relativamente omogenei.
La produzione per flusso continuo riguarda prodotti fortemente standardizzati ottenuti in volumi ingenti, la cui
natura richiede la realizzazione di un ciclo di trasformazione senza interruzioni (continuo). Esempio tipico è l’acciaio.
Tale produzione è irreversibile rispetto alle produzioni in linea nelle quali il prodotto è il risultato dell’assemblaggio di
componenti di fabbricazione interna ed esterna. La produzione avviene in modo separato rispetto all’acquisizione
degli ordini con un processo di lavorazione capital intensive.
Gli impianti e i lay out
L’impianto può definirsi come il complesso di beni materiali e immateriali di uso durevole, il cui impiego avviene su
più esercizi amministrativi. Si identificano in tale termine: l’insieme delle macchine e mezzi tecnici ausiliari per
singole operazioni, l’insieme di macchine operatrici e mezzi tecnici ausiliari, l’insieme dei mezzi e macchine ausiliari
per operazioni generali.
Il lay out è la disposizione planimetrica delle aree, strutture murarie, impianti e attrezzature secondo criteri di
ottimizzazione dei flussi fisici di materiali e prodotti. Si distinguono diversi tipi di lay-out:
- Lay-out a punto fisso: quando il prodotto non si muove durante il processo
- Lay-out in linea: quando il prodotto segue un percorso rigidamente preordinato
- Lay-out per reparto: quando il prodotto transita attraverso i reparti
- Lay-out per gruppo tecnologico. Quando impianti e attrezzature vengono raggruppati a isole o a celle in
modo da soddisfare l’esigenza di assegnare le risorse all’esecuzione di operazioni omogenee.
La capacità produttiva deve essere consona ai risultati da raggiungere nella produzione di beni. Il servizio differisce
dal bene per la sua immagazzinabilità ma sarà corrisposto immediatamente al cliente. La produzione dovrà essere
sufficiente per soddisfare la clientela riducendo al minimo le attese e le lunghe code. Il servizio può essere reso anche
da addetti part-time cosa che nella produzione di un bene non è ottimale. Il servizio di alta qualità presuppone il
ricorso a personale qualificato e motivato, il bene prodotto richiede personale generico poiché i processi produttivi
sono standardizzati. Data l’immaterialità del servizio, la sua qualità è data anche dall’immagine aziendale piuttosto
che dalla fattispecie erogata.
La logistica. È il processo di pianificazione, gestione e controllo dei flussi fisici dei materiali e dei correlati flussi
informativi. I flussi fisici partono dai fornitori e si concludono con la distribuzione del prodotto finito agli utilizzatori
finali. Il compito della logistica è assicurare la disponibilità del prodotto nel tempo, nello spazio e nei volumi richiesti.
La logistica assume caratteri diversi: logistica di ingresso (approvvigionamenti), logistica interna (flusso dei
materiali in lavorazione), logistica in uscita (opera in stretto collegamento con la gestione commerciale). Tali attività
hanno bisogno di un coordinamento che assicuri l’integrazione degli obbiettivi e delle condizioni operative e permetta
la pianificazione, la programmazione e il coordinamento dell’insieme delle attività logistiche. Tali compiti li svolge la
logistica integrata. La logistica deve anche curare il servizio logistico e il costo logistico totale. Il servizio logistico è
la disponibilità del prodotto, tempestività della consegna, affidabilità della consegna, flessibilità della consegna. Le
celte di ottimizzazione mirano a soluzioni che massimizzano il servizio e minimizzano le risorse impiegate. Il costo
logistico è la somma degli input utilizzati per ottenere l’output e andrebbe minimizzato, ed è dato dalla somma dei
costi dei magazzini, delle scorte, trasporti e amministrazione.
Il magazzino. È un impianto logistico costituito da locali, attrezzature, personale in grado di ricevere i diversi
materiali e prodotti finiti, custodirli e conservarli per renderli disponibili per la produzione e la consegna. Le sue
funzioni sono quelle di ottenere una riduzione dei costi di produzione, assicurare la capacità di stoccaggio, garantire il
corretto scorrimento dei flussi fisici. Le materie prime giacenti in magazzino in attesa di essere utilizzate
rappresentano le scorte o stock. La gestione delle scorte mira a garantire la continua disponibilità dei materiali, a
minimizzare l’investimento in capitale circolante e gli impieghi di risorse necessarie, e ottimizzare l’utilizzo della
capacità produttiva nel breve-medio termine. La gestione delle scorte deve raccordarsi con la gestione commerciale,
gestione delle operations, gestione finanziaria. Il magazzino ha una funzione limitata nelle imprese che erogano
servizi, poiché vengono tenuti a scorta solo materie prime e semilavorati per il completamento dell’offerta. Nelle
imprese che producono beni, il magazzino ha una funzione importante perché garantisce la conservazione,
l’imballaggio e altri materiali di consumo volte alla produzione.
Approvvigionamenti. Insieme delle attività tecnico-commerciali attraverso cui le imprese acquistano sul mercato i
beni e i servizi necessari per lo svolgimento dei processi produttivi e gestionali. Gli approvvigionamenti devono
assicurare l’economicità degli acquisti, preservare la continuità della produzione, garantire il rispetto degli standard di
qualità. L’approvvigionamento concerne rapporti di subfornitura tra i diversi fornitori, creando reti che consentano
all’impresa di soddisfare le sue richieste. La subfornitura di capacità soddisfa un bisogno di elasticità produttiva con
la realizzazione all’esterno di volumi produttivi incrementali. La subfornitura di specialità corrisponde all’esigenza
di apporti da terzi di competenze tecnologiche distintive. La subfornitura assume connotazioni permanenti se si istaura
un rapporto duraturo nel tempo, occasionale se legata a fabbisogni episodici e contingenti.
La gestione degli approvvigionamenti. Marketing d’acquisto. Acquisti eccessivi causano elevati costi di
mantenimento a scorta, mentre acquisti insufficienti determinano costi di stock-out. La gestione degli
approvvigionamenti, pertanto, consente di coordinare gli acquisti con i fabbisogni, a seconda dei casi, della
produzione o delle vendite, in un’ottica di minimizzazione dei costi totali di gestione. Siamo nell’ottica del
procurement mix collegato al marketing d’acquisto, ossia lo studio sistematico dell’ambiente, dei mercati, dei
prodotti e dei fornitori. Le leve di procurement mix sono costituite dalle politiche di:

- Prodotto: ossia decisioni relative ai materiali approvvigionati. Rilevanti nel prodotto sono il costo unitario, il
suo valore, la sua potenziale standardizzazione. Il prodotto è non critico se l’impatto gestionale è contenuto
sotto il profilo economico (bassa redditività e basso approvvigionamento) ; il prodotto è con effetto leva se
deve essere migliorato a livello di costo (rischio approvvigionamento basso, redditività alta); il prodotto è
collo di bottiglia se non reperibile facilmente e portatore di bassa redditività; il prodotto è strategico se sono
necessari interventi di gestione articolati e complessi (alta redditività e rischio di approvvigionamento alto).
- Fonti di approvvigionamento: identifica i fornitori potenziali, le capacità dei fornitori rispetto alle esigenze,
performance dei fornitori.
- Politica di prezzo: diretta alla negoziazione delle condizioni economiche che regolano il rapporto con il
fornitore.
- Politiche di comunicazioni: ai fornitori circa le consegne e le spedizioni, oltre che l’assistenza tecnica.
La gestione dei fornitori. Tale analisi passa attraverso l’affidabilità dei fornitori valutando le capacità al fine di
qualificarlo come fornitore dell’impresa e in caso emettere ordini di acquisto. I sistemi di valutazione delle prestazioni
del fornitore (vendor rating) si basano sulla rilevazione oggettiva di alcuni parametri tecnici, commerciali, logistici ed
economici effettuati su base periodica. Tra questi vi è la capacità di rispettare gli impegni assunti, a tal proposito si
utilizzano indici di affidabilità come il ritardo medio delle consegne e la qualità media dei materiali consegnati.
Inoltre, va valutato il potere contrattuale dei fornitori, ossia la loro non sostituibilità perché portatori di interessi non
replicabili, in tal caso siamo in presenza di elevati costi di switching.
CAPITOLO 24: GESTIONE FINANZIARIA
L’impresa deve vivere con delle risorse finanziarie. Il reperimento delle stesse è affidato alla gestione finanziaria, la
quale definisce:
- Previsioni di tesoreria: ossia i processi operativi della gestione finanziaria corrente che vanno dalla gestione
della liquidità all’ottimizzazione di indirizzo dei crediti e dei debiti
- Su quali attività investire: ossia una creazione del capital budgeting (processo strategico)
- Modalità di raccolta delle risorse: ossia finanziamenti (processo strategico)
Si occupa di individuare la struttura finanziaria ottimale per ricoprire costi associati alla produzione d’esercizio. Nelle
imprese di minori dimensioni, la gestione finanziaria è guidata dal treasurer, nelle imprese di maggiori dimensioni è
guidata dal treasurer e dal controller, dove il primo si occupa della raccolta dei fondi e della gestione della liquidità,
mentre in compiti del secondo sono orientati a verificare se tali fondi siano stati impiegati in maniera efficiente.
L’obiettivo ultimo è la creazione di valore. La gestione finanziaria deve coordinarsi con le altre gestioni:
- Con la gestione commerciale si fissano i rapporti di credito con i clienti
- Con la gestione delle operations si fissano le condizioni di pagamento dei fornitori
Fabbisogno finanziario dell’impresa. Tanto più un’impresa si sviluppa a livello dimensionale tanto più necessiterà
di finanziamenti. La pianificazione finanziaria d’impresa si concretizza nella previsione dei flussi monetari in entrata e
in uscita che si presentano a seguito di un programma di crescita per un orizzonte temporale prestabilito. Il fabbisogno
finanziario trae origine da: incrementi di attività e decrementi delle passività. Il fabbisogno derivante dall’acquisto di
macchinari (incrementi di attività), o dalle perdite di esercizio (decrementi delle passività), può essere soddisfatto in
diversi modi: autofinanziamento, disinvestimento, aumento di capitale, nuovo debito.
CCN: capitale circolante netto = attività correnti (crediti) – passività correnti (debiti). Se CCN >0 finanziamo il nostro
fabbisogno finanziario, se CCN <0 necessitiamo una fonte di finanziamento. Occorre preventivamente quantificare il
nostro fabbisogno finanziario per provvedere alla raccolta di capitale con tempestività. In questo campo facciamo
riferimento alla pianificazione finanziaria che di solito ha una durata di lungo periodo e si basa sulla solvibilità e
liquidità di impresa, e alla programmazione finanziaria con una durata di medio-breve periodo che si basa sul
budget di tesoreria.
Le decisioni di investimento. L’investimento può essere effettuato in diverse aree:
- Area commerciale: ampliamento della rete di vendita, pubblicità
- Area delle operations: macchinari e impianti
- Altre aree: amministrazione, IT, protezione
- Area dell’innovazione e della crescita
Prima di investire va fatta un’analisi sui possibili risultati:

- Monetari: uscite ed entrate in denaro


- Differenziali: rispetto a quelli ottenuti senza investimento
- Netti di imposta: i flussi di entrata devono essere depurati dagli oneri di imposta, in quanto la convenienza di
un investimento deriva anche dalle conseguenze fiscali a esso associate.
- Lordi di oneri finanziari: non vanno considerati gli interessi passivi legati all’iniziativa
In un progetto di investimento occorre conoscere i seguenti elementi:
- Entità dei flussi generati dall’operazione: sarà da considerare più vantaggiosa l’alternativa per la quale la
somma algebrica delle entrate e delle uscite è maggiore
- Distribuzione dei flussi nel tempo: sarà da preferire l’alternativa che presenta i flussi positivi più vicini nel
tempo.
- Valore finanziario del tempo: sarà da preferire se più tempestivo di un altro. Un flusso futuro può essere
incerto e se lo si volesse attualizzare l’impresa dovrebbe essere finanziata e sostenere un onere.
Ciò ruota al concetto di valore attuale:
VA= F ( entrata) x fattore di sconto
1
Fattore di sconto= 1+𝑖
Il tasso i esprime il valore finanziario del tempo e del rischio dell’investimento e può essere calcolato come il prezzo
che gli investitori chiedono per accettare la posticipazione di un’entrata.
Il criterio più noto di valutazione degli investimenti è il VAN (valore attuale netto). Tale valore riconduce al presente
tutti i flussi positivi e negativi derivanti dall’investimento.
𝑛
𝐹𝑡
VAN = ∑ ( (1+𝑖)𝑡
− 𝐼0)
𝑡=1
I0= ammontare dell’investimento effettuato
L’investimento risulta conveniente solo se le entrate attualizzate risultano maggiori, o almeno uguali, alle uscite
attualizzate. Ciò significa che il VAN deve essere maggiore o uguale a zero, in caso contrario l’investimento è da
escludere perché distrugge ricchezza.
Le fonti di finanziamento.
Fonti interne: flussi di autofinanziamento generati dalla gestione corrente d’impresa e disinvestimenti
Fonti esterne: finanziamenti a titolo di capitale di rischio e finanziamenti a titolo di capitale di debito. Il
finanziamento a titolo di debito richiede una corresponsione di cedole periodiche al creditore, con la conseguente
restituzione del capitale prestato. Il finanziamento di capitale a rischio presuppone l’uscita di dividendi ma anche il
capital gain (non pagato dall’impresa ma dal mercato).
Fonti a struttura perfettamente definita: è sempre possibile individuare in maniera puntuale il profilo quantitativo e
qualitativo dei flussi monetari collegati al finanziamento. Esempi sono le anticipazioni a scadenza fissa (debito
commerciale), i mutui e le emissioni obbligazionarie a tasso fisso, le operazioni di leasing finanziario.
Fonti a struttura indefinita: non sempre in maniera puntuale si può individuare il profilo quantitativo o qualitativo
dei flussi monetari collegati al finanziamento. Esempi sono i finanziamenti a titolo di capitale di rischio, I prestiti a
tempo indeterminato (credito in conto corrente), mutui e obbligazioni a tasso variabile.
Finanziamenti a breve termine: 12-18mesi
Finanziamenti a medio-termine: 18-60 mesi
Finanziamenti a lungo termine: superiore a 60 mesi
Le imprese nella realtà preferiscono l’autofinanziamento alle fonti esterne, e se questo non soddisfa preferiscono il
debito bancario e al massimo quello obbligazionario, infine titoli ibridi o azioni.
Possibilità di copertura del fabbisogno finanziario vantaggi e svantaggi. L’autofinanziamento difficilmente
sostiene la strategia di business intrapresa. D’altra parte, l’aumento di capitale dà maggiore stabilità patrimoniale ma è
limitato dalla visione imprenditoriale e dal numero dei soci stessi. Il mutuo è uno strumento con costo medio basso e
con un’elevata stabilità ma trova i principali limiti: complessità di ottenimento, garanzie reali e personali da
concedere, finanzia solo una parte dell’investimento. Il leasing è un debito finanziario con costo alto, ma più ottenibile
e generante benefici fiscali. Le obbligazioni permettono il reperimento di risorse senza l’intervento di garanzie reali
evitando l’interposizione delle istituzioni finanziarie. Le obbligazioni convertibili in azioni aumentano il
finanziamento e riducono il rischio di solvibilità.
Analisi: Le caratteristiche del fabbisogno finanziario. Nel caso di investimenti fissi saranno necessari coerenti
flussi di entrata.
La convenienza economica dell’operazione. Il finanziamento economicamente più conveniente si effettua
confrontando il costo effettivo di strumenti di finanziamento alternativi. Due finanziamenti sono equivalenti, dal lato
qualitativo e quantitativo, se producono effetti di durata e di entità uguali.
Fattibilità finanziaria. Il finanziamento deve convenire a livello di solvibilità del rimborso.

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