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Management fino a 10 anni fa si chiamava economia e gestione delle imprese. Prima ancora si chiamava
tecnica industriale commerciale.
Il management si occupa dell’analisi delle risorse e dei fatti, non solo dell’organizzazione. Il management è
un arte nel senso che non è riproducibile, le strategie non sono tutte uguali come lo è un metodo scientifico.
Il management è una scienza sociale, perché riguarda l’uomo e la società.
1- L’IMPRESA
“L’impresa è un istituto preposto primariamente alla produzione di beni e servizi per il soddisfacimento dei
bisogni della società.”
È un qualcosa che mette in moto un’attività economica o per la produzioni di beni o per erogazione di
servizi, il fine ultimo è soddisfare i bisogni e richieste della società.
Definiamo l’impresa dal motivo per cui esiste: le persone. Esse perseguono un determinato fine.
Questi soggetti si chiamano istituti —> sono tutti quei soggetti che svolgono una attività economica per
soddisfare le richieste.
Questi istituti sono:
1. Lo stato/ Amministrazione pubblica
2. Le imprese
3. La famiglia (anche la famiglia è effettivamente una attività economica, il pranzo della nonna fa
concorrenza al ristorante, si produce lo stesso bene, cibo, messa in moto da due istituti diversi. Altro
esempio: babysitter, chiedo ad una azienda oppure chiedo alla zia?)
Dagli inizi degli studi dell’impresa fino al secolo scorso, si definiva l’impresa come un soggetto. Cioè era
vista come la fotografia del soggetto imprenditoriale. L’impresa era indivisibile dal soggetto imprenditoriale.
Esempio di impresa soggetto: Mario fa l’idraulico e la sua impresa si chiama “Mario idraulico a domicilio”.
Il fine di Mario è lo stesso fine della sua impresa. Se Mario vuole fare meno ore di lavoro, anche l’impresa
farà meno ore.
La finalità dell’impresa soggetto è il profitto.
Un’impresa che è di fatto la foto dell’imprenditore esiste nella realtà?
Se l’impresa diventa “Mario e Figlio impresa idraulica”. Mario è vecchio e vuole andare in pensione, quindi
non vuole veramente guadagnare al massimo. Ora il soggetto non è più solamente Mario, ma ce anche il
figlio. Il figlio è lo stakeholder, cioè chi è portatore di interessi. In questo caso il figlio potrebbe essere un
socio e quindi degli interessi nell’impresa.
Razionalità intersoggettiva
L’impresa deve tener conto di più soggetti e non solo dell’imprenditore nel momento in cui prende delle
decisioni.
Esempi di stakeholder: i fornitori, i soci, gli investitori, i clienti, lo stato/amministrazione pubblica
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Razionalità limitata
Ci sono tante variabili da considerate. Così tante che è impossibile prevedere di aver il miglior caso
possibile.
I limiti e la massimizzazione del profitto: ci sono dei limiti nel cercare la massimizzazione del profitto?
• L’orizzonte temporale.
• Il rischio.
Il profitto:
- La quota destinata a ripagare il rischio corso nell’attività aziendale. L’imprenditore svolgendo l’attività
di imprenditore e non di dipendente si assume un rischio, quindi rispetto ad un dipendente, a parità di
lavoro è giusto che l’imprenditore si porti a casa un profitto più elevato.
- Il premio che spetta a colui che promuove l’innovazione. L’imprenditore è colui che ha avuto l’idea e che
continua a promuovere l’impresa, e che è sempre proiettato verso il miglioramento dell’impresa e della
società.
- Il risultato dell’imperfezione del mercato di cui si origina l’acquisizione di posizioni monopolistiche . Il
mercato si dice imperfetto, perché normalmente le informazioni e conoscenze nel mercato non fluiscono
in modo trasparente ed equo tra tutti i soggetti che ne fanno parte. Il mercato è quel contesto, anche in
termini virtuali, o raggruppamento di imprese e di soggetti che sono clienti o potenziali clienti. Si dice che
il mercato è imperfetto perché al suo interno ci sarà un’impresa che avrà più vantaggi rispetto ad altre.
Esempio: un ragazza si laurea e porta il caso di un’impresa che voleva mettere sul mercato la prima
caldaia ad idrogeno, quindi questa impresa è più avanti rispetto ad altre imprese produttrici di caldaie.
Questa impresa ha investito in anticipo sulla ricerca nel campo delle caldaie ad idrogeno. Il rischio che si è
presa la caldaia è alto, e anche i suoi investimenti lo sono. Le altre imprese inizieranno poi a produrre
anche loro le caldaie ad idrogeno, quindi la prima impresa che ha rischiato così tanto si meriterà un
profitto più elevato.
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- Il compenso che spetta all’imprenditore per l’organizzazione dei fattori produttivi. L’imprenditore ha un
ruolo di funzione diverso da impresa ad impresa. Al di là del suo ruolo, il profitto va a remunerare
l’imprenditore perché è sempre concentrato sull’impresa anche fuori dalle ore di lavoro (24/7).
Il monopolio è un mercato dove c’è solo una sola impresa che si occupa di un determinato prodotto. In Italia
di monopoli ce n’erano tanti, erano legati al 99% all’erogazione dei servizi pubblici. Oggi abbiamo X
operatori telefonici, mentre decenni fa ce n’era solo uno. Stessa cosa per gas, luce e acqua. Ora l’unico
monopolio è quello della vendita delle sigarette.
Si avvicinano al oligopolio: sono pochissime imprese che ti offrono un determinato servizio.
Il primo monopolio di stato pubblico —> ghiaccio
Nel caso ci sia un monopolio, esso viene protetto dalla legge.
La farmacia, ce ne può stare solo una in un tot di raggio. Lo stato diceva ‘dobbiamo ricostruire lo stato dopo
la guerra, apro una farmacia in un posto a cui effettivamente serva, se c’è già una farmacia in un paesino, non
ci poteva stare una seconda, così gli altri farmacisti sono obbligati a muoversi e ad aprire un altra farmacia
altrove’.
Il nostro lavoro si basa sull’analisi dei fattori che vanno ad influenzare la dimensione delle imprese e quindi
anche la dimensione (nonché la struttura) del mercato in cui esse operano.
Siamo partiti da una concezione generale del concetto dimensionale, definendo i parametri che, sulle base di
dati oggettivi e tangibili, consentono una prima classificazione della dimensione aziendale. Per capire se
un’impresa è grande bisogna basarsi su dati oggettivi e facili da deperire. I parametri seguiti sono:
economici, tecnici, patrimoniali e organizzativi.
2. Economici
—> Fatturato: Il fatturato è l’elemento più usato nelle classificazioni dimensionali perché è quello di più
facile comparazione, essendo espresso per tutte le imprese nella stessa unità di misura. Esso, però, può essere
scarsamente significativo nel caso di una forte discrepanza tra quantità producibile e quantità venduta, dato
che la dimensione equivale non al risultato dell’attività aziendale, ma alla potenzialità dell’organizzazione.
Il fatturato è un indicatore in assoluto più utilizzato:
- è facilmente interpretabile (un’impresa da un fatturato di 1M è più grande di una di 500k).
- si trova facilmente ed è un dato poco sensibile
«Il fatturato (detto anche volume d'affari), in economia aziendale, è la somma dei ricavi ottenuti da
un'impresa attraverso cessioni di beni e/o erogazione di servizi.»
Bisogna però stare attenti a non confrontare le imprese che fanno il fatturato in periodi diversi. Alcune
imprese hanno delle particolarità, tipo la Bauli, dove il corebusiness sono i dolci natalizi, che si consumano a
cavallo di due anni solari. Per Bauli il periodo clou per le vendite è a cavallo tra due anni solari, quindi non
fa un bilancio di un anno solare (da gennaio a dicembre) ma lo fa per esempio da giugno 2020 a giungo
2021. Anche così succede per le scuole, che seguono l’anno scolastico.
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Eurospin non produce niente, è un’impresa commerciale, eppure è in classifica per aver uno dei fatturati più
alti d’Italia.
—> Il valore aggiunto è la misura dell'incremento di valore nell'ambito della produzione e distribuzione di
beni e servizi finali, questo aumento di valore viene creato dall’impresa grazie all'intervento dei fattori
produttivi (capitale e lavoro) nei confronti delle materie prime.
Un maggior valore aggiunto dovrebbe infatti derivare da un più ampio sviluppo verticale
dell’organizzazione, da un più elevato impiego di capitale e impiego umano, ossia da una maggiore
dimensione. Anche quest’indice non appare esaustivo dato che su di esso non hanno alcuna influenza alcuni
elementi che contribuiscono invece a far crescere la struttura aziendale (ad esempio le partecipazioni non di
controllo). Il valore aggiunto è un dato sensibile, a volte le imprese non vogliono farlo sapere.
2. Tecnici
—> Produzione realizzata. Quanto io produco, in senso di quantità e non di valore, 100 libri, mentre tu solo
50, io sono più grande. La faccenda si fa più complicata quando si ha l’erogazione di servizi. L’erogazione è
che in quel momento sia produco che vendo. La produzione realizzata viene preferita a quella della capacità
produttiva. (?)
Esempio: McDonalds vs. Ristorante stellato.
—> Capacità produttiva. È la quantità massima di prodotto che può essere ottenuta da un'impresa dati i
fattori di produzione che possono essere utilizzati e tenendo conto di quei vincoli di carattere politico, sociale
o tecnico che potrebbero in qualche modo impedire la realizzazione di tale obiettivo (periodo di malattia dei
lavoratori, problemi vari). Con riferimento alla capacità produttiva non può essere adottata una semplice
valutazione meccanicistica per definire le capacità potenziali; in altre parole non si può affermare che, dato
un certo quantitativo di risorse disponibili, vi sarà necessariamente un certo output produttivo. Per questo
motivo la definizione di capacità produttiva non può essere semplicemente risolta in un nesso causa-effetto;
bisogna sempre considerare le condizioni ed i fattori che possono influire sul processo produttivo (difficoltà
di approvvigionamenti, scarsa circolazione di informazioni ecc.). In effetti essa può essere espressa solo
come capacità potenziale ovvero come quantità massima che può essere prodotta in assenza di strozzature
nel sistema economico o nell'azienda.
- Capacità teoria/nominale (in condizioni super ottimali e senza intoppi)
- Capacità effettiva (con intoppi)
3. Patrimoniali
—> Capitale sociale. Si riferiscono solitamente alle varie figure di capitale a disposizione dell'azienda. I
valori più spesso prescelti sono il capitale di funzionamento, ovvero il totale dell’attivo patrimoniale e il
totale delle immobilizzazioni, che specie in settori produttivi ad alta intensità di capitali appare
rappresentativo della dimensione dell’impresa. Meno importante è considerato il capitale sociale.
4. Organizzativi
—> Nr. Addetti. Attengono al fattore “personale” impiegato nell’impresa e sono molto spesso considerati tra
i più importanti indici dimensionale. L’elemento più comunemente utilizzato è il numero degli addetti. In
certi casi si guardano separatamente la forza della manodopera, del personale impiegatizio e di quello
direttivo, ritenendo che gli ultimi due possano essere espressivi della dimensione aziendale.
Domanda d’esame:
Quali sono i principali parametri per misurare la dimensione dell’impresa e indica quel è il migliore?
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Risposta: non esiste esiste un indicatore ideale per misurare la dimensione dell’impresa, dipende dal motivo
per cui sto misurando questa dimensione e sulla base di questo motivo cercherò di trovare l’indicatore più
opportuno.
4 - LE RISORSE INTENGIBILI
Cosa sono le risorse intangibili?
La conoscenza del mercato, le competenze tecnologiche, la fiducia dei consumatori, l’immagine
dell’azienda, la notorietà della marca, le relazioni con il mercato finanziario, i rapporti con i fornitori, sono
tutte risorse di grandissimo valore. Mentre i beni materiali possono essere facilmente copiati dalle altre
imprese, le risorse immateriali sono specifiche di un’azienda e ne sintetizzano la storia e le scelte operate in
passato. Proprio per questa ragione esse possono fare la differenza rispetto alla concorrenza costituendo un
vantaggio competitivo che può determinare il successo dell’impresa. Pertanto, per l’azienda è di estrema
importanza riuscire a sfruttare tali risorse.
Esempio: il quadro di Paul Gauguin, venduto nel 1896 per un passaggio in barca, nel 2006 valeva 40 Milioni.
Da un punto di vista tangibile il valore è rimasto uguale. Dal punto di vista intangibile, il valore deriva dal
nome dell’artista.
- Incrementabilità
Le risorse intangibili si sviluppano, incrementano all’interno dell’impresa. Molto spesso si sviluppano nel
momento in cui vengono utilizzate. Come può essere per esempio la routine.
Cos’è la routine?
È la conoscenza del funzionamento di determinati processi. Quando compro la materia prima so quali sono i
passaggi da fare. Avere una routine per ogni processo mi da molti vantaggi: più tranquillità nella gestione
delle operazioni, più organizzazione, fiducia, si risparmia tempo.
- Unicità
Le risorse intangibili sono uniche, in effetti le abilità che si accumulano all'interno dell'organizzazione sono
particolari e non è possibile trovare la stessa risorsa intangibile in due imprese diverse.
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Distretto industriale: è un sistema economico stabilito in un’area geografica circoscritta, dove si
raggruppano delle imprese che producono tutte le stesse cose. Vicenza ha l’oro, la vallata del Chiampo ha la
pelle. (p.113)
Alcuni distretti industriali sono morti perché magari si traslocano in paesi dove i costi di produzione sono
minori.
Copiabilità —> le risorse intangibili sono difficilmente copiabili.
- Flessibilità
La capacità di adattarsi. Le risorse intangibili sono flessibili, sfruttabili (hanno molteplici usi) e trasferibili.
Per esempio il brand, posso sfruttarlo per vendere il mo prodotto di base ma poi posso provare a mettere sul
mercato nuovi prodotti.
Esempio: Giovanni Rana —> leader sul mercato dei tortellini, ma ora sta vendendo anche sughi pronti. In
questo modo sfrutta le sue conoscenze in quando venditore di piatti primi e allora aggiunge dei prodotti nel
portfolio, il cliente conosce già i tortellini allora acquisterà anche i sughi.
Esempio delle Canon e Nikon: la flessibilità può essere sia a favore che far cadere il prodotto.
Esempio: Prezzemolo è il prodotto intangibile di Gardaland, il bambino che indossa la maglietta di
prezzemolo e va a scuola, susciterà l’invidia di altri 50 bambini che vorranno anche loro la maglietta di
prezzemolo, e quindi andranno a Gardaland.
- Deperibilità
Le risorse immateriali sono soggette a rapida deperibilità in quanto il loro valore è legato al possibile uso di
mercato e ambientale.
Continuare ad investire e a fare ricerche è la chiave per garantire il successo e la crescita. Se non si investe
prima o poi le risorse intangibili muoiono.
Abbiamo capito come le imprese devono lavorare per avere delle risorse intangibili, stando attente anche agli
svantaggi.
Qual’è la differenza?
• L’imprenditore è sul soggetto che continua a pensare e a ricreare la propria impresa, continua a cercare di
migliorarla.
• Il manager, non sta dietro ai fattori creativi dell’impresa, ma sta attento che l’impresa sia economicamente
stabile.
• L’imprenditore dice “entro il 2025 voglio entrare nel mercato russo”, lui fa nascere l’idea, mentre il
manager è colui che farà in modo che il rapporto tra i mezzi impiegati e il prodotto siano all’altezza, quindi
organizzerà al meglio le risorse.
• Quindi sono due persone molto importanti all’interno dell’impresa.
• L’ideale sarebbe che questi due soggetti siano due figure fisiche diverse, ma tante volte nelle piccole-
medie imprese una persona è sia l’imprenditore che il manager.
• Il problema sorge nel momento in cui l’impresa potrebbe essere a rischio:
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- Se una persona è più imprenditore (più idee) ma meno manager si potrebbe creare uno squilibrio tra
rapporto di input e output.
- Se la persona è più manager e meno imprenditore, è un’impresa stabile ma stagna, che ha sì una sicurezza
economica ma non riesce a lanciarsi per crescere.
L’imprenditore si fissa un obiettivo, e sarà considerato efficace se nel 2025 sarà nel mercato russo.
È stato efficiente? Dipende dal risultato economico e dal processo che ho impiegato per arrivare nel mercato
russo. Se mi è costato tantissimo arrivare in Russia, ma sto facendo pochissimo guadagno sul mercato, non
sono stato efficiente.
L’ambiente può essere inteso come il contesto generale all’interno del quale l’impresa è chiamata a svolgere
le sue funzioni, definito da una serie di condizioni politiche, legislative, sociali, culturali ed economiche, che
determinano il sistema di vincoli-opportunità entro cui dovrà trovare sviluppo.
È un mix di:
• Insieme di attori (soggetti)
• Insieme di condizioni (vincoli ed opportunità)
L’impresa opera all’interno di un ambiente che offre una serie di vincoli ed opportunità
Ambiente interno <—————> Ambiente esterno
Interno: è l’ambiente l’insieme dei soggetti e condizioni interne (condizioni di base dell’impresa)
Esterno: è tutto ciò che sta fuori e l’insieme dei vincoli dell’ambiente esterno
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Come si costruisce questa matrice?
Creiamo 4 quadranti ed elenchiamo quelli che sono:
- i punti di forza (esempio: tanto capitale, posso permettermi grandi
investimenti senza troppi sforzi).
- I punti di debolezza (nessuno ha competenze linguistiche tra i
miei impiegati, quindi non riesco a buttarmi sul mercato russo)
- Le opportunità, quelle occasioni che io accolgo dal mercato per
far crescere la mia impresa, esempio nel settore dell’edilizia ed
esce il decreto per il super eco-bonus per le ristrutturazioni, ciò
rappresenta una grande opportunità.
- Le minacce, sono dei rischi per la mia impresa. Io produco auto
diesel, ma ci sono sempre più divieti di guida delle auto diesel.
Difronte alle minacce le imprese deve conoscere i propri limiti e
provare a trasformare le minacce in opportunità.
Macroambiente -> Tutti i soggetti che fanno parte di tutti i settori, è il contesto esterno più ampio in
assoluto (per un impresa italiana il macroambiente è il contesto/sistema economico italiano)
Ambiente settoriale -> E’ l’insieme dei soggetti che stanno all’esterno dell’impresa ma che fanno parte
dello stesso settore della mia impresa (settore automobilistico, edilizio, alimentare..)
Ambiente competitivo -> Siamo all’interno dello stesso settore, sono l’insieme delle altre imprese con cui io
mi trovo a competere.
Esempio: Se io ho un’attività di pizzeria con consegna a domicilio a Verona, l’ambiente settoriale è il fatto
che ci sono altre imprese di cibo a domicilio, mentre l’ambiente competitivo è la pizzeria a Verona che fa
anche consegne a domicilio ma che non compete con il sushi a domicilio a Roma. L’ambiente competitivo
può essere circoscritto geograficamente oppure in termini di valore, perché altre imprese sono sul mio stesso
mercato, è una questione di vincere la fiducia dei clienti.
L’impresa ha la possibilità di influenzare l’ambiente competitivo ma non riesce ad influenzare il
macroambiente, dove c’è per esempio anche lo Stato.
Un’impresa più grande però può potenzialmente influenzare lo Stato, per esempio negli anni d’oro della
FIAT chiudere uno stabilimento era una grande perdita, quindi lo Stato dava dei fondi in modo da tener
aperto lo stabilimento. Però se un bar a caso a Roma stesse per chiudere, ovviamente lo stato non poteva
farci nulla al riguardo.
Senza dubbio l’ambiente è oggettivo, perché c’è una legge che è oggettiva, ma il modo in cui sto dentro
all’ambiente è soggettivo, perché ogni impresa è diversa e si fanno delle decisioni diverse. È un ambiente
complesso sia oggettivo sia soggettivo.
Esempio: un titolare ha due figli. Divide in due perfette metà e le consegna ai figli.
Si presenta un’opportunità. Un figlio decide di non rischiare perché non ha ancora capito bene gli ingranaggi
dell’impresa.
L’altro figlio invece prendere l’opportunità al volo.
Un anno dopo le due imprese saranno diverse, l’ambiente è si in primo luogo oggettivo, ma il modo in cui
sto dentro all’ambiente è soggettivo, perché ogni impresa è diversa e si fanno delle decisioni diverse. È un
ambiente complesso sia oggettivo sia soggettivo.
Bisogna cercare sempre di avere più conoscenze e saper prendere le opportunità migliori
7 - GLOBALIZZAZIONE
Cos’è il PIL?
Includere un elemento di crescita —> aumento di indicatori di ricchezza quali il PIL (ing. GDP - Gross
Domestic Product)
Il PIL è il valore complessivo dei beni e servizi prodotti all'interno di un Paese in un certo intervallo di tempo
(annuo solitamente) e destinati ad usi finali; non viene quindi conteggiata la produzione destinata ai consumi
intermedi (cioè per esempio: io conto per calcolare il PIL il valore del pane, ma non conto il valore della
farina, perché se io contassi il valore della farina lo conterei due volte, perché c’è anche il pane. Il pane va a
coprire il costo della farina), che rappresentano il valore dei beni e servizi consumati e trasformati nel
processo produttivo per ottenere nuovi beni e servizi.
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Questo banalmente ci va indicare che un paese con più McDonalds è più globalizzato. È giusto considerare
solamente queste tre variabili?
Questa visione è un po’ limitante. Bisogna vedere la crescita qualitativa del paese. Vedere se la qualità della
vita è cambiata.
Negli ultimi anni viene sempre più utilizzato l’HUMAN DEVELOPMENT INDEX (ISU), che va a misurare
sia il PIL del paese, però include anche l’indice di aspettativa di vita e l’indice di educazione (livello di
istruzione degli adulti, indice lordo di iscrizione scolastiche).
Sono enormi le differenze con gli indici che prendono in
considerazione solo variabili economiche. Paesi molto ricchi, ma
con scarsi o insistenti sistemi di welfare hanno punteggi ISU molto
bassi.
Nella tabella c’è un dato evidente che i paesi che si aprono e vanno
verso la globalizzazione maturano un PIL più alto, mentre nei paesi
che hanno un politica commerciale più stretta il PIL si abbassa.
In maniera contestabile, potremmo dire che la povertà si è abbassata parecchio dal 1820. Però bisogna
prestare attenzione ai valori assoluti, se applichiamo la percentuale di povertà alle persone che abitano il
pianeta abbiamo dei risultati contrastanti.
Nel 2000 eravamo circa 7 miliardi di persone, applicando il 24% di povertà abbiamo 1.6 milioni di persone
che vivono in condizione di povertà. Mentre nel 1820, quando gli umani sulla terra erano all’incirca un
miliardo, avevamo circa 840.000 persone in povertà.
E la diseguaglianza?
Nel processo di globalizzazione ci sono alcuni paesi che sanno muoversi meglio di altri.
Il 60% degli investimenti diretti all’estero rimane nella triade (Stati Uniti, Europa, Giappone).
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Il resto è distribuito in modo diseguale con ad esempio un
19,8% attratto dal sud-est asiatico e solo un 1,4% dall’intero
continente Africano.
Il divario di reddito tra il quinto più ricco e il quinto più povero
del pianeta è cresciuto da un 30:1 (1960) a un 74:1 (1997).
Il reddito annuale delle 225 persone del pianeta supera la
somma dei redditi del 47% della popolazione mondiale (le
ricchezze delle tre persone più ricche sono maggiori della
somma del PNL di tutti i paesi meno sviluppati – 600 milioni di
persone).
Esempio:
• Glamping —> campeggi che tendono al lusso. A metà tra camping e glamour: il glamping è la nuova
frontiera del turismo green e negli ultimi anni ha visto un rapido sviluppo in tutto il mondo. È facile
muoversi rispettando le questioni ambientali quando si parla di lusso.
• Gli ostelli a Milano, ristrutturazione in chiave ecologica, e ora sono sempre ostelli economici ma sono
anche green.
9 - STRATEGIE D’IMPRESA
Questo termine ha origine come “studio”, dalle strategie belliche. Strategia può significare che si pianificano
diverse attività che hanno come obiettivo il successo. Sono le decisioni che impresa deve prendere per
raggiungere un obiettivo, tenendo sempre presente l’efficacia e l’efficienza.
2 - Missione
Le finalità fondamentali che l’impresa intende perseguire nel lungo termine e che ne giustificano l’esistenza.
Che cosa l’impresa deve compiere per diventare ciò che ha stabilito.
La parte più profonda e invariante della personalità di un’impresa:
• Dove (campo di attività)
• Perché (finalità e obiettivi di fondo)
• Come (filosofia gestionale e organizzativa)
Caso ikea:
• Dove? Un vasto assortimento di articoli d’arredamento belli e funzionanti
• Perché? Prezzi così vantaggiosi da permettere al maggior numero possibile di persone di acquistarli
• Come? Noi sviluppiamo i nostri prodotti partendo dal prezzo. Ottimizzando l’uso delle materie prime e
offrire prodotti di qualità a un prezzo accessibile, per soddisfare le esigenze e i gusti clienti.
3 - Valori:
Sono i principi guida che sono alla base delle scelte strategiche come comportamenti operativi posti in essere
da tutti i componenti del sistema aziendale.
(BUSINESS IDEA: «fattori imprenditoriali sottostanti l'origine di un'impresa» «componente strategica di
origine soggettiva»)
I valori sono ciò che mi consente di capire quali decisioni prendere.
Esempio di IKEA:
• Spirito di squadra
• Attenzione per le persone e per il pianeta
• Consapevolezza dei costi
• Semplicità
• Rinnovarsi e migliorare
• Pensare in modo diverso
• Assumersi e delegare le responsabilità
• Dare il buon esempio
Costa Crociere
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Vision: Noi alla Costa Crociere soddisfiamo pienamente i nostri Ospiti, senza ricevere alcuna lamentela,
offrendo prodotti e servizi che eccedono le loro aspettative durante l'intera esperienza della vacanza; dal
momento in cui si mettono in viaggio fino al loro ritorno a casa. Noi tendiamo a conquistare una posizione di
leadership mondiale mentre continuiamo a rafforzare la nostra posizione di numero 1 in Europa e in Sud
America. Costa Crociere è la compagnia più imitata dai concorrenti, il datore di lavoro preferito, ed assicura
risultati finanziari eccellenti a beneficio degli azionisti, dei dipendenti, dei partner commerciali e della
comunità in generale.
Mission: Noi di Costa rendiamo felici i nostri Ospiti, in modo che essi ripetano “L'esperienza crociera"
solamente con noi. Inevitabilmente i nostri Ospiti diventano i nostri migliori partner per la nostra crescita. I
collaboratori Costa sono la principale risorsa per rendere felici i nostri Ospiti. Possediamo il più spontaneo
orientamento al servizio ai clienti dell'industria delle crociere. Abbiamo ben chiare le esigenze dei nostri
Ospiti e conosciamo i nostri compiti. Serviamo i nostri
Ospiti con estrema attenzione al dettaglio, dimostrando
sempre elevato spirito di iniziativa, grande entusiasmo
ed orgoglio in quello che facciamo.
Matrice di ANSOFF
Per studiare le strategie complessive si usa una matrice a
quattro quadranti come la SWOT.
La matrice di Ansoff (chiamata anche matrice delle
strategie) è uno strumento di marketing creato da Igor
Ansoff. La matrice permette di determinare quattro
strade per incrementare il proprio business, attraverso i
prodotti esistenti o di nuova concezione, in mercati
esistenti o nuovi. Questo strumento aiuta le aziende a classificare le strategie di crescita intensiva e
diversificativa e a valutare le implicazioni in termini di mutamento delle competenze necessarie per
percorrere con successo i sentieri di crescita individuati.
Cosa sono gli assi della matrice Ansoff?
Prodotto: che può essere attuale oppure diverso. L’impresa può, mirando alla sua crescita, andare a
sviluppare un nuovo prodotto, quindi andare a creare un prodotto diverso, oppure può continuare a crescere
con il suo prodotto attuale.
Mercato: che può essere attuale oppure diverso. Si può far crescere la propria impresa sul mercato dove si sta
già vendendo il prodotto, oppure l’impresa si può spostare di mercato.
Strategia di penetrazione —> Più incisivo sul mio mercato. Barilla vendeva molto al nord e meno al sud. Nel
sud di Italia c’è una cultura della pasta molto più forte, e la vendita di pasta era principalmente artigianale.
Barilla non va ad incrementare la distribuzione, va nei laboratori artigiani. Li acquista e prova a vendere la
propria pasta affiancata alla pasta artigianale, facendo vedere agli acquirenti del sud che Barilla era una
buona impresa.
Questo è stato un fallimento, perché le quantità vendute di pasta non sono incrementati
considerevolmente.
Sviluppo del prodotto—> propongo sul mercato dove mi trovo già dei prodotti differenti. Barilla inventa la
pasta rustica, che andasse più verso i gusti del sud, Barilla poteva vendere la pasta ad un prezzo leggermente
maggiore, perché le persone avevano anche una disponibilità economica maggiore. In secondo luogo
sviluppa la pasta dietetica integrale
Cosa è successo. Il primo impatto sul mercato è positivo, ma non riesce a vendere tanta più pasta. Perché la
gente non è che comprasse la pasta normale e la pasta integrale. Ne comprava solo una, quindi si sostituiva la
pasta normale con quella integrale.
Sviluppare il mercato—> si vengono gli stessi prodotti ma si allarga la vendita da un punto di vista
geografico, vendendo in un altro paese.
Negli stati uniti non c’era la cultura della pasta, quindi Barilla si presenta con un prodotto che ha delle
caratteristiche diverse dalla pasta locale: 1. A livello di gusto era meno piaciuta perché era al dente 2. Il costo
d’acquisto era maggiore (per il trasporto). Barilla inizialmente non voleva produrre negli Stati Uniti, quindi
importare la pasta era molto costoso. Quindi alla fine gli americani non compravano nemmeno loro la pasta
Barilla.
Strategia di sviluppo del mercato: sviluppo del mercato non va inteso solamente in senso geografico, ma va
anche intenso come tipologia di clienti.
Gli zaini Invicta per studenti, era un’azienda che faceva zaini per chi andava a fare trekking. Ha adottato una
strategia per crescere non in senso geografico, ma cambiando il target.
Correlata
Si individua un nuovo prodotto mantenendo un collegamento con ciò che l’impresa vende già (come ha fatto
Barilla con i biscotti Mulino Bianco, perché con la pasta condividono alcune fasi del processo produttivo).
Che tipo di legame può esistere?
• domanda
• canale distributivo
• servizi integrati
• processi produttivi
• tecnologie di processo o di prodotto
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• materie prime o componenti
• risorse distintive
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Question mark: In un mercato dove ci sono buone prospettive,
ma la mia impresa è piccola, devo capire se vale la pena
conquistare nuove quote di mercato e investire. Da un punto di
vista finanziario è un prodotto per il quale io ho dei grossi
investimenti ma ho poche entrate (quota di mercato bassa).
Quest’area strategica è caratterizzata da una crescita di mercato
alta, perché in forte espansione, e una quota di mercato bassa,
per la quale sono richiesti cospicui investimenti e dei quali non
si ha la certezza che generino flussi di cassa consistenti.
All’interno di quest’area si collocano prodotti o servizi da poco
immessi sul mercato e per tale motivo sono considerati un punto
interrogativo. La strategia che viene solitamente adattata è
quella di investimento nello sviluppo del prodotto e del mercato
con particolare attenzione al loro andamento: nel caso in cui si
registrino ritorni negativi è meglio dismettere gli investimenti
da quest’area e da questo prodotto concentrandosi su altri. L’azienda ha su questi prodotti delle mire
espansionistiche nonostante generino ancora poche risorse, cerca di farli diventare dei prodotti “star” e i
principali investimenti vengono fatti in innovazione e pubblicità, al fine di poter diventare leader di mercato.
Star: Questi prodotti hanno quota di mercato alta, perché l’azienda è molto competitiva, e tasso di crescita
alto, perché registra un importante ritorno di investimento. Da un punto di vista economico pero la situazione
è che ho sì tante entrante, pero ho anche tante uscite, perché devo continuare a fare investimenti. Ho un
equilibrio finanziario borderline. I prodotti star però mi stanno disegnando un futuro nell’impresa. Nel lungo
periodo essi possono trasformarsi in cash cow.
Cash cow: prodotti contraddistinti da un basso tasso di crescita e da un’elevata quota di mercato. Si
chiamano “mucche da mungere” poiché la strategia da attuare è quella di riuscire a ottenere da questi il
massimo e reinvestire il flussi di cassa in altre aree. Si trovano in un mercato a crescita stagnante ma sono
prodotti di un’azienda leader di mercato, dunque generano grande liquidità senza la necessità di grossi
investimenti.
Prodotto in un mercato che non ha prospettive di crescita, ma dove io sono l’impresa leader. Sono importante
in un mercato che si è assestato. Vendo tanto e non devo fare grandi investimenti, devo solo mantenere alto il
brand. Non devo più esplorare.
Dog: prodotti con bassa quota di mercato e basso tasso di crescita. Si possono considerare degli ostacoli al
funzionamento dell’azienda perché alle volte non generano profitti sufficienti al pareggio e di conseguenza la
strategia attuata è spesso quella di disinvestimento. Fra i motivi che spingono le aziende a mantenere in vita
queste aree di business o questi prodotti c’è l’intenzione di continuare comunque a presidiare il mercato pur
non generando profitti.
Mercato basso e quota basso. Per l’impresa non ha senso rimanere, non si investe. Quando si arriva dog si
toglie il prodotto = Exit business.
Nella Dog: la presenza di un prodotto dog, è un’impresa che innova e si muove.
È un bel segnale vedere che c’è un prodotto dog perché è un’impresa che sta attenta ai cambiamenti del
mercato e che continua ad innovarsi, mettendo e togliendo prodotti per stare dietro alla domanda del
mercato.
Mi fa capire quali prodotti non stanno andando tanto bene nel mercato e quindi prendo di conseguenza delle
decisioni per innovare la mia impresa.
Filiera produttiva: insieme di lavorazioni conseguenti che vengono effettuate per trasformare un certo
insieme di materie prime in un prodotto finito e collocarlo sul mercato. La sequenza di fasi che parte dalla
materia prima fino al prodotto finito.
Costi transazionali: Gli oneri insiti nella preparazione e attuazione dello scambio sul mercato.
L’impresa può scegliere di seguire tutte le fasi della filiera oppure di affidarsi ad altre imprese e di prendere
da loro i semilavorati. L’impresa deve stare attenta, da un punto di vista economico, alla differenza di costo
che c’è tra il fare autonomamente tutte le fasi oppure solo alcune. Non c’è però da considerare solamente il
costo d’acquisto del semilavorato, ma anche i costi della preparazione e attuazione dello scambio sul
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mercato, ovvero la conoscenza del fornitore, fasi
amministrative, ecc., cioè tutti questi costi degli scambi in
termini di relazioni.
VERTICALE
Nel momento in cui l’impresa aggiunge alla fase che
attualmente ricopre, un’altra fase che avviene o prima o
dopo si chiama integrazione verticale. Io produco B e posso
integrare verso la fase A oppure C.
Esempio: Io produco farina e aggiungo la fase di produzione
del grano (non compro più grano, ma lo produco io) oppure aggiungo la fase di produrre pane.
A valle: quella successiva (pane)
A monte: quella precedente (grano)
Con questa strategia, l’impresa cresce in questo modo il valore aggiunto (il valore creato dalla mia impresa)
e aumento il potere di mercato (perché posso influire di più sul mercato).
L’impresa ha anche un maggior controllo della filiera: per questioni di tempistica, controllo della qualità del
prodotto.
Creo anche delle barriere all’entrata—> si intende qualcosa che blocca l’ingresso nel mio settore da parte di
altre imprese, si limita la concorrenza.
ORIZZONTALE
Investimenti per espandere l’impresa rimanendo sempre nella mia fase della filiera produttiva.
I vantaggi: aumentare la quota di mercato (l’impresa può diventare più importante poiché più grande),
l’economie di scala (si intende un fenomeno per il quale se io lavoro su una scala/dimensione maggiore io ho
dei risparmi di costo), per sfruttare le risorse che ho già nella mia impresa (anche per eccessi di capacità
produttiva), rispetto a quella verticale è una strategia meno rischiosa e più veloce.
Il vantaggio competitivo:
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Risultato di una strategia che conduce l'impresa a occupare e mantenere una posizione favorevole nel
mercato in cui opera, e che si traduce in una redditività stabilmente maggiore quella media dei competitori.
Strategie competitive di:
- Leadership di costo
- Differenziazione
- Focalizzatine
- Collaborazione
Queste sono alternative, nel senso che l’impresa può scegliere una delle strategie elencate (anche se a volte
possono essere usate anche più di una o un mix). Le prime due sono le più importanti.
Esempio: quello della Beta utensili, che con il fatto che negli ultimi anni si è fatta molto spazio all'interno del
settore del racing e del motorsport, ha proposto una gamma completa di accessori per la riparazione
automobilistica, per settore ciclistico ecc. Inoltre hanno creato tanti modelli di utensili un po' per tutte le
tasche, con un buon rapporto qualità-prezzo.
Esempio:
Sette alberghi di una certa località si mettono d’accordo con una lavanderia, in questo modo ottengono un
vantaggio verso il fornitore che da gli asciugamani (che avendo una richiesta alta di asciugamani, abbasserà
il costo medio).
Per le imprese alberghiere possiamo avere: Alleanze franchising - contratti di management - consorzi ...
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Obiettivo: economie di scala in alcune attività come
commercializzazione, promozione, acquisti centralizzati o
convenzionati ...
In genere non la crescita dimensionale nel numero delle
strutture
10 - IL FENOMENO DELLE ECONOMIE DI SCALA
Tecniche: hanno a che fare con gli aspetti tecnici. Un primo fattore
che spiega questo tipo di economie di scala è la cosiddetta soglia
minima d’impiego, chiamata anche imperfetta divisibilità dei fattori.
Esempio: una grande impresa ha un ufficio interno dove lavora un’impiegata a tempo pieno con tutta
l’attrezzatura che viene usata il 100% del tempo. Nell’impresa piccola invece l’attrezzatura viene usata solo
part-time. L’investimento, indipendentemente che sia usato 8 ore al giorno oppure 4, ha sempre lo stesso
costo (soglia minima d’impiego). C’è un minimo di soglia d’acquisto al di sotto del quale non riesco ad
andare. L’impresa più piccola deve quindi affrontare un costo maggiore per quello che viene usato
effettivamente. Se io lavoro su una scala più ampia, le conoscenze/risorse intangibili vengono usate
maggiormente.
Relazione area-volume: si dice che i costi crescono in relazione all’area, i benefici crescono in relazione al
volume. Esempio: un’impresa commercia sabbia, quest’impresa decide di fare un nuovo investimento in un
nuovo camion più grande per il trasporto. Il camion con il cassone doppio costa di più di quello singolo, ma
decisamente non il doppio. Il costo sì cresce però il beneficio economico di ciò che viene trasportato è
raddoppiato. I benefici che vado a creare dopo un’investimento sono maggiori rispetto al tasso dei costi.
Gestionali: hanno a che fare con gli aspetti gestionali delle risorse.
Sfruttamento del livello di impiego ottimale
L’impresa può ottenere importanti benefici dalle economie di scala andando ad ottimizzare
l’impiego delle risorse tangibili.
Esempio: in un’impresa ho una linea di produzione di tipo sequenziale con tre macchinari. Ogni macchinario
ha una capacita produttiva all’ora diversa.
Qual’è la quantità di prodotto ottimale per l’impresa? Se A produce 10 pezzi all’ora, B 20 pezzi e C 50
pezzi?
Sarebbe 100 pezzi all’ora. Mi servono 10 macchine di tipo A, 5 di tipo B e 2 di tipo C così da non avere
nessuno scarto/spreco di capacità produttiva.
Con questa configurazione del processo ho una ottimizzazione della risorsa dei macchinari, perché ciascuno
viene usato al 100% delle sue capacità.
Se l’impresa è più piccola e deve produrre 80 pezzi all’ora, avremo 8 macchinari A, quattro di B ma avremo
una problema con il macchinario C, che o produrrà meno di quanto richiesto, oppure, avendo due
macchinari, sprecherò parte della capacità produttiva. Il costo dei due macchinari vanno a far aumentare il
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costo medio del prodotto. Se io cresco come dimensione riesco a raggiungere un livello ottimale della
capacità produttiva, quindi senza sprechi, potrò diminuire il costo medio dei prodotti.
Gestionali: Tutti gli aspetti legati alla gestione del personale. Nel momento in cui un’impresa è più grande, ci
saranno più persone che lavorano e posso permettermi di avere del personale specializzato per una certa
mansione.
Esempio:
Impresa piccola: Ho un ufficio dove lavora un’impiegata che si occupa di tutte le attività di segreteria.
Nell’impresa più grande: non c’è solo una persona, ce ne sono 3. Io posso suddividere le attività e far si che
le tre persone si specializzino ognuna su un’attività specifica. Da un punto di vista dei costi, se riesco a
specializzare il mio personale, ho degli impiegati che lavorano più velocemente, perché non si è interrotti da
altre faccende (se una deve fare una fattura e poi ha da organizzare un meeting e rispondere anche al
telefono, ora che finisce la fattura è passato il triplo del tempo rispetto ad una segretaria che è concentrata
solamente sulla fattura). Inoltre, se io non sono specializzata in una attività c’è sempre un margine di errore.
La maggiore specializzazione porta un costo minore. Un’eccessiva specializzazione potrebbe però portare a
una minore efficenza del lavoratore. Fenomeno dell’alienamento —> se una persona fa da anni solo un micro
pezzettino di un processo 1. si stufa e 2. non ha una visione d’insieme della gestione dell’impresa.
Esempio: La dimensione delle imprese può avere effetti sui costi medi unitari. Uno degli strumenti più
importanti per la brand loyalty era la raccolta punti.
Mangiavamo tanta pasta Barilla e poi avevamo abbastanza punti per prendere un premio. Chi se lo può
permettere la raccolta punti? I produttori più importanti perché è una spesa consistente. Nei confronti del
distributore. Se ad un certo punto Auchan decide di dire a Barilla di fare uno sconto, ma Auchan tiene duro e
dice che nei supermercati non ci sarà più Barilla. Auchan dopo un mese vede che ci sono meno clienti perché
non ce più Barilla. Il potere in questo caso è nelle mani del produttore
La tecnologia ha reso possibile la automazione delle casse del supermercato… codice a barre e lettura a
laser. Questa innovazione ha dato la possibilità agli store di prendersi in mano la raccolta punti. Le tesserine
della coop o del Conad, facendo una raccolta punti anche nel supermercato.
Quindi una maggiore dimensione permette al distributore (tantissimi clienti, molto grande) di imporsi sul
produttore ed ottenere un prezzo più basso. Il distributore non perde molto perché indipendentemente che
non ci sia una marca sugli scaffali alla gente non interessa troppo.
Prodotti a marca commerciale: prodotti della Coop o Conad, quindi dell’impresa distributrice e non di altri
produttori tipo Barilla o Mulino Bianco. Inizialmente i prodotti a marca commerciale non ebbero molto
successo perché veniva considerati a bassa qualità.
Un’impresa industriale produce i prodotti per l’impresa distributrice.
> BARRIERE ALL’USCITA: sono degli ostacoli che rendono difficile l’uscire dal mercato alle imprese
già presenti sul mercato. Quell’impresa che ha come finalità l’uscita porta una concorrenza anomala, perché
ad essa non interessa collaborare per avere dei prezzi più bassi o avere un buon guadagno, preferisce
liquidare e svendere i suoi prodotti (con cui le altre imprese non possono competere in termini di prezzo).
L’impresa che vuole uscire è poco prevedibile e non fa bene alle imprese che vogliono rimanere nel settore.
Quando un’impresa esce dal mercato deve sostenere costi aggiuntivi di liquidazione per il personale e per
chiudere contratti con i fornitori e canoni di locazione.
• Idiosincraticità degli impianti: esistono degli impianti talmente specifici (costruiti a doc) per la produzione
che all’impresa uscente comportano grandi difficoltà dismetterli (alti costi di dismissione, impatto negativo
economico e sociale).
• Interrelazioni con altri business dell’impresa stessa: a volte l’impresa rimanda l’uscita perché il business,
per il quale vuole uscire, serve anche a un mercato interno. Il mercato potrebbe impedire l’uscita. (Esempio
dell’impresa che produce sia chimici che cosmetici, vuole chiudere la parte dei chimici, ma finché non
trova un altro fornitore, perché parte dei chimici servono anche per la cosmetica, deve continuare a
produrre chimici e poi li vende a un prezzo relativamente basso perché non gli interessa crescere in
quell’ambito)
• Intervento di attori istituzionali: a volte l’impresa decide di chiudere un determinato stabilimento. Lo stato
da un contributo per mantenerlo aperto (così da non avere una grande perdita di posti di lavoro) anche se
crea una concorrenza sleale (perché lo stato aiuta solo le grande aziende).
• Riconversione del soggetto economico (ragioni personali): Difficilmente riesce a riconvertirsi, quindi
finisce fino all’età della pensione. Come si riconverte il soggetto, ossia cosa farà il soggetto dopo aver
chiuso l’impresa? Esempio. Coppia di anziani che gestiscono un negozio di alimentari che sta andando in
fallimento e a cui mancano 6 anni alla pensione. Difficilmente troveranno lavoro se chiudono il negozio.
BARRIERE ALL’ENTRATA: sono degli ostacoli che pone chi sta già dentro al settore in modo che non
entrino nuove concorrenze.
• Istituzionali: dettata dalla legge. Se c’è già una tabaccheria, io non ne posso aprire una a 500 metri. Stessa
cosa con la farmacia.
• Strutturali (dovute a:)
• Economie di scala, di esperienza, di scopo —> se all’interno del settore sono presenti delle imprese che
hanno lavorato molto bene e godono di forti economie di scala, qual’è l’effetto sulle altre imprese?
L’impresa new entry potrebbe provare a proporre gli stessi prezzi dei concorrenti (le imprese già esistenti,
che sono molto bassi), però è difficile resistere a lungo perché il margine di guadagno si ridurrebbe molto.
Di esperienza: nello specifico parliamo dell’esperienza delle persone che lavorano nell’impresa
(diminuzione dei costi grazie alle conoscenze). Di scopo: conosco di più e posso accogliere più
opportunità.
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• Vantaggi di costo assoluto —> un’impresa già presente nel settore ha, rispetto alla new entry, dei vantaggi
in senso economico, non solo per le economie di scala, ma anche per i prezzi di favore dei fornitori.
• Condizioni di accesso ai canali di distribuzione e fornitura —> il fatto che un’impresa già presente nel
settore abbia già aperto canali di fornitura e di distribuzione rende più facile ed efficiente i rapporti
commerciali.
• Strategiche —> le imprese già presenti nel sistema hanno già ottimato le loro strategie, per esempio quelle
di diversificazione. In questo ci sarà sul mercato un’offerta molto ambia e ben organizzata. La new entry
solitamente non può giocarsi la strategia del prezzo basso e (spesso per la differenziazione) è difficile
inventarsi qualcosa di nuovo se tutte le altre imprese hanno già molti prodotti particolari.
Esempio: io produco Coca Cola e mi sto chiedendo se la Birra XX è in competizione con me. Vado a
misurare se nel momento in cui la birra è in offerta al supermercato io le mie vendite di Coca Cola si
abbassano (perchè la gente non compra la Coca Cola, ma la birra, dato che costa di meno).
Se si abbassa/alza il prezzo di quel prodotto, cambia la quantità che vendo di un altro prodotto? Se sì, allora
la birra sarà in competizione.
Esempio del settore lapideo: un’impresa veronese di marmo è stata in competizione con un’impresa di
ceramica di Sassuolo, che hanno sviluppato dei prodotti che replicano a perfezione il marmo.Per il cliente era
più economico comprare la ceramica che il marmo, e anche tenere pulito un pavimento in ceramica è più
facile di un pavimento in marmo.
Cosa deve fare l’impresa nei confronti dei prodotti o servizi sostitutivi?
Deve almeno tenere monitorati i movimenti di quelle imprese che si pensa siano in competizione.
L’elasticità incrociata mi serve anche per stabilire i confini del settore —> l’andare stabilire quali sono le
imprese che hanno de prodotti sostitutivi mi fa capire i limiti del settore, ovvero il raggruppamento di
imprese che producono la stessa cosa. Oltre ai confini di settore ‘‘classico’’, chi altro si deve considerare?
L’elasticità incrociata è un ottimo metodo per capire chi compete con l’impresa, però per capire se
effettivamente è un prodotto che mi fa concorrenza bisogna registrare una serie storica dati per un lungo
tempo (un anno circa).
Oppure posso usare la mappatura dei raggruppamenti strategici, attraverso l’individuazione dei fattori di
omogeneità, cioè offerta della mia impresa rispetto alle altre.
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30. Ampiezza verticale delle attività svolte -> Quell’impresa si sviluppa verticalmente (strategia di
integrazione verticale) in attività che sono omogenee alle mie attività?
Si costruisce una sorta di tabella con cinque righe con queste cinque variabili, le colonne rappresentano le
imprese ‘possibili’ concorrenti. Così posso spuntare quali imprese sono mie concorrenti oppure no. C’è chi
dice che bastino tre spunte, alcuni ne considerano 5.
Qua dipende tutto dal mio livello di gestione del rischio e di preoccupazione che ha l’impresa.
… studio di settore…
Oltre al MODELLO DELLE CINQUE FORZE COMPETITIVE (Porter)
si può aggiungere:
• Intensità dell’azione degli stakeholder esterni. Ovvero possiamo oggi non considerare lo studio degli
stakeholder esterni? no. Vanno anche considerate le loro interferenze.
• Integrazione con imprese complementari rispetto alla domanda (TIPICO CASO IL SETTORE
TURISTICO).
I quadranti:
31. Attività nel paese di origine e vendita all’estero mediante esportazione:
È il classico processo di internazionalizzazione e il più semplice. In questo quadrante abbiamo la
concentrazione geografica delle attività e abbiamo un coordinamento basso. L’impresa italiana mantiene
tutte le attività di produzione, amministrazione e logistica in Italia ed internazionalizza le vendite
(esportazione), le attività sono concentrate maggiormente in Italia, anche le attività commerciali perché
vengono gestite in Italia.
Dal primo al quarto approccio noi osserviamo una dimensione crescente dell’impresa. Tendenzialmente le
imprese che optano per la strategia 1 sono più piccole e si cresce man mano che si arriva alla quarta strategia.
Cos’è il franchising?
Il franchising, o affiliazione commerciale, è una formula di collaborazione tra imprenditori per la produzione
o distribuzione di servizi e/o beni, indicata per chi vuole avviare una nuova impresa, ma non vuole partire da
zero, e preferisce affiliare la propria impresa ad un marchio già affermato.
Dobbiamo capire come un’impresa possa entrare effettivamente in un mercato estero, le modalità di entrata
che si studiano attraverso:
Coinvolgimento dei soggetti esterni
La tipologia delle attività (macro categorie: commercializzazione, produzione e sviluppo conoscenze)
12.2 - MODALITA’ DI ENTRATA NEL
MERCATO ESTERO
Queste sono le macro categorie degli aspetti da analizzare per scegliere un paese:
• Mercato, il tasso di crescita della domanda, potenziale di sviluppo delle vendite, dimensione qualitativa
degli acquirenti, voglio un cliente che cerca la qualità di un prodotto particolare (leadership di
differenziazione) o che cerca un costo basso (leadership di costo), prossimità verso altri mercati, paesi che
hanno una cultura e una domanda molto simile;
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• Risorse umane, forze sindacali e disponibilità di manodopera;
• Infrastrutture, strade, ferrovie, aeroporti per poter muoversi nel paese, tutto ciò che riguarda la logistica,
ma anche per quanto riguarda le istituzioni dell’istruzione o delle pubbliche utilità;
• Tessuto economico, si intende il tipo di sistema economico, distributivo, produttivo e finanziario, accesso
alle materie prime, qualità e disponibilità della manodopera, se l’economia è florida, se c’è possibilità di
sviluppo;
• Istituzioni politiche e pubbliche, quelle che sono le politiche industriali ed incentivazioni, normative fiscali
che penalizzano o meno;
• Sistema normativo, alcuni paesi hanno un sistema normativo non chiaro e troppo complesso, per questo
per le imprese diventerebbe troppo difficile muoversi all’interno;
• Qualità sociale e ambientale, per avere una rendita migliore da parte delle risorse umane;
• Immagine e reputazione, situazione politica e bellica;
• Costi di produzione, materia prima o manodopera;
• Intensità della concorrenza, questo è importante nel momento che considero un paese per la distribuzione
dei prodotti, non per la singola produzione/amministrazione;
• PIL, un paese con un PIL elevato potrebbe indicare un paese che ha una capacità d’acquisto maggiore;
13 - DISTRIBUZIONE COMMERCIALE
Per distribuzione commerciale si intende come si va a
distribuire il prodotto. I canali per la distribuzione
commerciale dei prodotti possono essere diretti,
indiretti brevi o indiretti lunghi.
Canale Indiretto Breve: l’impresa industriale che produce un bene, lo vende a un’impresa al dettaglio, che a
sua volta si occupa della vendita al consumatore finale (negozio). L’impresa al dettaglio è diverso
dall’impresa commerciale.
Canale Indiretto Lungo: l’impresa industriale non vende al dettagliante ma a un grossista, cioè ad un
intermediario commerciale che si occupa dell’acquisto di più prodotti da imprese industriali e poi rivende
alle imprese al dettaglio (negozio). Questo comporta un allungamento dei tempi, meno feedback dei gusti del
consumatore.
INTERMEDIARI ALL’INGROSSO
- Grossisti tradizionali: è un’impresa (solitamente di piccole dimensioni) che acquista all’impresa
industriale e rivendono alle imprese al dettaglio.
- Grossisti cash carry: mentre il grossista tradizionale lavora principalmente a consegna, quello cash carry è
come un punto vendita. Si può entrare solo se si ha la partita IVA, sono dei supermercati un po’ più
spartani, è il dettagliante che si reca al cash carry per comprare i prodotti. Ci si occupa
dell’intermediazione industriale tra l’impresa industriale e l’impresa al dettaglio, ma cambia l’approccio.
INTERMEDIARI AL DETTAGLIO
- Dettaglio indipendente: è il classico negozio, che è di proprietà di un soggetto, potrebbe anche essere che
ci siano più punti vendita, ma tendenzialmente è di piccole dimensione e di gestione familiare.
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- Dettaglio associato o distribuzione organizzata (DO): parto da un grossista che
vuole coinvolgere più dettaglianti indipendenti per creare “un’unione
volontaria” (tipo despar) oppure si parte da un gruppo di dettaglianti che
decidono di cooperare presentandosi con un’unica insegna (Tipo il Conad, che
nasce dall’unione di tanti dettaglianti, la proprietà rimane del singolo).
- Grande distribuzione (GD): fa riferimento alle grandi imprese che hanno tanti
punti vendita, nella grande distribuzioni ho delle realtà d’impresa di grandi dimensioni (mentre quelle di
prima sono tendenzialmente piccole). Il soggetto proprietario di tutti questi punti vendita è sempre lo
stesso (Esselunga, Auchan, Pam).
- Distribuzione cooperativa: è simile al dettaglio associato, solo che sono i consumatori finali che fanno una
cooperativa di consumo, i consumatori si mettono insieme per ottenere prodotti per sé ad un prezzo più
conveniente, da questa unione di soggetti nasce l’impresa al dettaglio (la coop).
- GDO: grande distribuzione organizzata, è un raggruppamento di differenti forme commerciali molto
diverse da loro.
14 - ANALISI ECONOMICA
In questa parte del programma cercheremo di capire quali sono le dimensioni più importanti da conoscere
per studiare un’impresa e per prendere le decisioni al suo interno.
Ricavi:
Somma di denaro che si ricava da una vendita, cioè ciò che entra nell’impresa.
R=pxq
Costi:
Sono gli oneri/le spese che devo sostenere per vendere, produrre o distribuire un prodotto.
I costi, a differenza dei ricavi, non sono di un’unica categoria, ma li distinguiamo in due macro categorie:
- Costi fissi:
Sono i costi che non variano al variare della quantità prodotta (costi dell’affitto del
capannone). Il punto di partenza della retta dei costi fissi è il livello, cioè a quanto
ammontano il totale dei costi fissi. Sulle ordinate ho la dimensione economica (50$
affitto + 60$ buste paga + 15$ pulizie) e da quel punto partirà la retta.
Ma è sempre così la retta dei costi fissi? Io ho un chiosco di gelati al mare, ho dei Costi variabili:
costi fissi (il chiosco, l’affitto del terreno, dipendenti). Ci sono settimane di bel
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tempo dove ho le vendite alte, altre invece dove le quantità prodotte vendute sono
basse. Può essere che l’imprenditore decida di ampliare la capacità produttiva,
(compro più tavolini oppure una macchina friggitrice più grande) in questo modo i
costi fissi aumentano. I gradini rappresentano i diversi livelli di capacità produttiva
che l’impresa può assestarsi.
- Costi variabili:
Sono i costi che variano al variare della quantità prodotta (costi della materia prima).
Cv = cv(u) x q
Il diagramma di redditività:
Mi sottolinea la quantità d’equilibrio, a destra del punto rosso ho i guadagni (la forbice che viene delimitata
dalla retta R e CT), mentre a sinistra, sotto la quantità d’equilibrio dove ho i costi totali maggiori dei ricavi,
ci sono le perdite.
Mette in relazione costi variabili, costi fissi, ricavi e quantità di produzione. Utilizzando questa tipologia di
analisi i dati vengono riportati all’interno di un piano cartesiano avente i volumi di produzione (quantità)
come variabile indipendente (asse delle X). Sull’asse delle ordinate sono invece posizionati i costi dei
prodotti. I costi fissi, non essendo relazionati al fatturato, vengono riprodotti con una retta parallela all’asse
delle ascisse; i costi variabili sono raffigurati con una retta inclinata positivamente poiché variano in
relazione al fatturato. Di conseguenza i costi totali sono rappresentati da una retta inclinata positivamente che
incontra l’asse delle ordinate in corrispondenza dei costi fissi totali.
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Il punto di pareggio o Break even point è quindi determinato dall’intersezione della retta dei costi totali con
la retta dei ricavi totali.
Le due rette potrebbero anche non incrociarsi: questa eventualità corrisponde ad una situazione con costi
variabili troppo alti e assenza di punto di pareggio.
• Sulle ordinate mettiamo insieme i ricavi, i costi fissi e i costi variabili.
• Sulle ascisse si mettono le quantità.
Dobbiamo tracciare quattro rette:
• La retta dei ricavi, che ha origine all’origine degli assi, sale con un certo coefficiente angolare che
rappresenta il ricavo unitario (prezzo di vendita).
• La retta dei costi fissi, che viaggia parallela all’asse delle ascisse, che parte da un certo livello che sono i
costi fissi
• La retta dei costi variabili, ha anche origine all’origine degli assi, il coefficiente angolare dipende dalla
quantità. L’angolo dei CV è più piccolo rispetto a quello R, perché la se si vuole avere un ricavo, la retta
deve essere più inclinata rispetto al costo unitario.
• La retta dei costi totali. Dobbiamo sommare la retta dei costi variabili alla retta dei costi fissi. La retta
partirà da dove parte il CF. Praticamente è una parallela dei costi variabili.
Ora che abbiamo i CT possiamo andare a cercare quel punto di intersezione tra la retta R e quella CT, il
punto di intersezione è importante perché mi indica dove i ricavi sono uguali ai costi totali.
Metodo analitico
Il metodo analitico consiste nel trasformare i ricavi dell’azienda e i costi totali in formule matematiche basate
su calcoli specifici. Il Break even point è in questo caso determinabile mediante lo svolgimento di
un’equazione. La formula è utilizzabile per aziende che realizzano uno o più prodotti, ma va applicata ad
ogni prodotto separatamente. I fattori che influiscono sul variare del BEP sono i costi fissi, il prezzo di
vendita e i costi variabili:
R = CT —> esplicito —> p x q = CF + CV —> p x q = CF + (cvu x q) —> sposto a sinistra tutto quello che
ha la q, perché volgiamo trovare lei —> (p x q) - (cvu x q) = CF —> q x (p - cvu) = CF
Qe = CF / (PV – CVU)
BEP = Costi fissi / (Prezzo di vendita del prodotto – Costo variabile unitario)
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Il margine di sicurezza è uguale alla quantità massima producibile vendibile meno la quantità di equilibrio
fratto la quantità massima producibile vendibile.
Il margine di sicurezza mi dice di quanto può diminuire in percentuale la produzione senza che l'impresa
vada in perdita.
Il margine di sicurezza esprime di quanto possa diminuire la vendita dei prodotti da quello che il massimo
producibile vendibile alla quantità di equilibrio.
Esempio: organizzo un concerto a San Siro. Il massimo di posti/biglietti (cioè il massimo producibile
vendibile) è 200.000. La quantità di equilibrio è 150.000 biglietti, questo mi indica che il margine di
sicurezza è 50.000, perché è quel margine che ho prima di andare in perdita.
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Dobbiamo mettere a confronto la redditività futura del nostro investimento con il costo di provvista del
denaro (il tasso di interesse).
Nel momento in cui la redditività è superiore al tasso d’interesse del debito conviene indebitarsi, fintanto che
lo spread è positivo mi conviene.
Esempio: vorrei fare un investimento che promette una redditività futura del 12%, 8% è l’interesse, il 4% (la
differenza) è lo spread.
Perché lo spread potrebbe diventare negativo?
L’impresa chiede alla banca 100, con questi 100 che spendo lo spread è del 4%, quindi positivo. Il mercato è
florido quindi la banca si chiede perché non acquistare due impianti.
L’impresa allora chiede 200 alla banca
La banca dice di sì però diventerebbe un prestito più rischioso, per questo alza il tasso d’interesse. La
redditività dell’impresa è sempre 12% ma ora il tasso di interesse è diventato del 10 quindi lo spread è solo 2,
in questo caso non ha più senso. L’impresa allora dovrà identificare un’altra via per crescere e migliorare le
sue strategie.
Per valutare l’alternativa metto insieme i costi cessanti con i ricavi sorgenti e i costi sorgenti con i ricavi
cessanti. Faccio questi due raggruppamenti perché un costo cessante e un ricavo sorgente ha un effetto
positivo, mentre un costo in più e un ricavo in meno ha un effetto negativo.
Se si ha un risultato positivo è un’alternativa da approvare, altrimenti è da scartare.
È importante valutare l’alternativa da ANCHE ALTRI punti di vista, specialmente per quanto riguarda le
risorse intangibili:
VANTAGGI DELLA PRODUZIONE INTERNA
• Economicità: sfruttamento di economie di scala tecniche e gestionali, conseguente all'aumento della
capacità produttiva; aumento del valore aggiunto, conseguente all'integrazione verticale e orizzontale di
attività.
• Qualità: migliore visibilità e controllabilità del processo.
• Tempestività, elasticità e flessibilità dei sistemi produttivi: si controllano maggiormente la
programmazione della produzione e le priorità.
• Conoscenze e competenze: crescita del patrimonio immateriale, legata al learning by doing; maggiore
riservatezza, minor circolazione di informazioni al di fuori dei confini aziendali.
• Potere: maggior "potere globale di condizionamento" legato alla crescita delle dimensioni aziendali.
4 caratteristiche fondamentali:
- Rilevante esborso di denaro. Non è un investimento l’acquisto di materia prima perché non è
straordinario, l’esborso di denaro deve essere rilevante (dipendente dalla grandezza dall’impresa)
- Ritorno economico nel futuro. Si parla di investimento industriale se la spesa che si va a sostenere è a
fronte di un previsto ritorno economico.
- Assunzione di un rischio. Non esiste investimento senza rischio. Ci sono livelli di rischio diversi e dipende
anche in parte da quanto è disposta a rischiare l’impresa.
- Ritorno dell’investimento attraverso l’output dell’investimento stesso. Si parla di investimento industriale
quando e solo se la ricchezza futura che mi va a produrre l’investimento è frutto di ciò che
quell’investimento mi permette di produrre. Esempio: io compro un impianto industriale che mi permetta
di produrre telecomandi, è attraverso la vendita dei telecomandi (output) che ottengo la ricchezza che
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andrà a coprirmi i costi dell’investimento, non la vendita dell’impianto. Questa è una caratteristica molto
importante perché mi divide gli investimenti di tipo industriale dalle altre tipologie.
(C.I.) per un periodo di tempo ± lungo e con C onti (C.I.) per un periodo di tempo
cadenza regolare impiego (investo) delle continuo
n impiego denaro in
risorse/denaro per avere (P.O.)un ritorno modo u regolare per avere un
economico che è individuato in un momento ritorno economico
o (C.O.) in
puntuale nel futuro. continuo ritorno.
u
Es: ogni mese verso tot cifra per avere in s Input es: pensione
una data x tutto il ritorno. Forma di tipo P oint
assicurativo personale. O utput.
Variabile 1)
• Investimento, I. L’investimento è la variabile di input più facile da identificare perché la componente base
di questa variabile è l’unica componente certa che conosciamo: il costo base dell’investimento, che si
ottiene dal preventivo del fornitore dell’impianto.
Valori di rettifica: sono quei costi che possono far variare il costo base dell’investimento in alcuni casi.
I = costo base dell’investimento
- eventuale contributo a fondo perduto erogato contestualmente all’investimento. Qualcuno mi aiuta
in questo investimento (mi da dei soldi) senza chiederli di ritorno (fondo perduto);
+ eventuali costi accessori.
I costi accessori riguardano un qualcosa in più che io acquisto insieme all’impianto per dotarlo di
qualche optional che lo migliora.
- eventuale valore residuo
Nel caso io faccia un investimento di sostituzione, ipotizzo di comprare un nuovo impianto per
sostituire quello che ho già. Il valore residuo è quello che ottengo “rottamando” il vecchio impianto.
+ eventuale capitale d’esercizio
Il capitale di esercizio è una spesa che vado a sostenere in più per dotarmi di un capitale in più che lo
potrò andare ad utilizzare durante la vita del mio investimento. (Tipo un kit di pezzi di ricambio, per
evitare in futuro di aspettare tanto a farsi riparare l’impianto)
Cosa differenzia il costo accessorio dal capitale d’esercizio? Il costo accessorio è un qualcosa che mi va a
caratterizzare l’impianto e lo condiziona in ciò che può produrre, ma in sé non mi torna indietro nulla. Il
capitale d’esercizio è un qualcosa che in effetti mi produce un effetto sui flussi di cassa in futuro, infatti devo
ricordarmi di rimettere i costi di capitale di esercizio all’ultimo T.
Variabile 2)
Vita utile: è la durata per la quale io stimo il periodo di tempo per il quale utilizzerò l’impianto.
Variabile 3)
Tasso di attualizzazione (i, %). Mi dice quanto si deve togliere alla ricchezza prodotta tra cinque anni per
poterlo mettere nel metro monetario di quanto è stato fatto l’investimento (perché il potere d’acquisto
cambia). Mi rende tutti i valori confrontabili sullo stesso metro monetario.
i=
+ costo di provvista del denaro. Per fare l’investimento chiedo un finanziamento e la banca lo da con un
tasso d’interessi all’8%. Il costo di provvista del denaro è l’8%.
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+ tasso previsto di inflazione. Il denaro nel tempo perde naturalmente valore, quindi di quanto perde potere
d’acquisto il denaro nel tempo (si trova su www.istat.it)-> previsione del tasso d’inflazione ufficiale.
+ rischio dell’investimento. Faccio pesare il fatto che ci sia un rischio, quantificarlo e dargli un valore.
Questo è difficile perché il rischio è soggettivo, ognuno lo percepisce in modo diverso.
- eventuale contributo in conto interessi. Un contributo sulla variabile degli interessi, vuol dire che
qualcuno (un ente, camera di commercio, regione o stato) si prende l’onere di pagare una parte degli
interessi. Se noi arriviamo ad avere un tasso di attualizzazione del 10% sommando i primi tre punti e
abbiamo un contributo in conto interessi del 2% vuol dire che il nostro tasso finale sarà di 8%.
Il tasso di attualizzazione mi permette di scontare/attualizzare i flussi di cassa futuri. Ci sono tre vie possibili
per l’utilizzo di questo tasso:
1) Applico una formula di matematica finanziaria
2) Foglio excel ha le formule già pre-impostate per l’attualizzazione
3) Si utilizzano le tavole di attualizzazione
Le tavole di attualizzazione non sono altro che l’applicazione della matematica finanziaria per una casistica
di possibilità, ovvero una serie di anni e una serie di tassi.
I numeri che si trovano dentro la tavola si chiamano fattori di attualizzazione.
Se io stimo di avere una disponibilità di ricchezza futura a cinque anni e ho un tasso di attualizzazione del
10%, quel 10% quest’anno vale 100 x 0,62.
Il fattore di attualizzazione è la traduzione della combinazione tasso con anno pronto da moltiplicare per la
ricchezza che dobbiamo attualizzare.
Andando verso destra il fattore di attualizzazione si abbassa.
Cosa vuol dire che si abbassa il fattore di attualizzazione?
Se io ho una ricchezza stimata a cinque anni e un tasso di attualizzazione dell’1%, quella ricchezza i 100 vale
oggi 95. Se il tasso di attualizzazione è più alto (tipo al 50%) quella ricchezza che è sempre di cento e
sempre a cinque anni vale oggi 13. Più aumenta il tasso di attualizzazione più ricchezza si porta via. Anche
andando in giù negli anni la ricchezza si abbassa.
Variabile 4)
Disponibilità (D).
Per il nostro investimento stimiamo una ricchezza futura di una certa cifra. Questa ricchezza viene anche
definita disponibilità.
D = Ricavi - costi d’esercizio
(Esclusi ammortamenti e oneri finanziari)
+ eventuale contributo a fondo perduto erogato in un momento futuro
+ eventuale valore residuo del vecchio investimento (Dn)
+ recupero eventuale capitale d’esercizio (Dn)
Viene calcolata in termini annui ciò vuol dire che l’impresa va a stimare per ciascun anno della vita utile
quelli che saranno i ricavi e quelli che saranno i costi d’esercizio.
Il principio che si segue per calcolare i ricavi e i costi d’esercizio è il principi di cassa (che sono due
principi). Uno è il principio di competenza, che lo segue chi fa bilanci (che a noi non interessa).
Il principio di cassa. Per seguirlo basta ragionare quando il ricavo o il costo si realizzano, cioè quando
effettivamente ho delle entrate e uscite di soldi.
Se quei soldi entrano il terzo anno della vita utile il flusso di cassa d’entrata lo metterò all’anno quattro.
• Eventuale contributo a fondo perduto erogato in un momento futuro: contributo a fondo perduto che però
viene dato dopo un tot di anni. Per evitare che i contributi vengano intascati per poi non produrre niente, si
posticipa la contribuzione di qualche anno.
• Eventuale valore residuo del vecchio investimento (Dn): valore residuo che fa riferimento al flusso di cassa
in entrata X che avverrà una volta dismesso l’impianto vecchio (il fornitore ritira il vecchio è mi da un tot
di soldi).
• Recupero eventuale capitale d’esercizio (Dn): si stima che nel futuro venga effettivamente utilizzato il
capitale di esercizio, per cui sui flussi di cassa vedrò un risparmio di costo. Si va a mettere nell’ultimo
anno della vita utile se non si riesce a posizionarlo su un t preciso. Perché mettendolo all’ultimo anno si è
sicuri di averlo usato, oppure nel caso non li abbia mai usati, potrò venderli insieme all’impianto, e
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recuperare i costi ugualmente. Anche perché metterlo alla fine mi permette di seguire il percorso della
prudenza perché gli do un valore minore.
Esclusi ammortamenti e oneri finanziari vuol dire che quanto trovo degli ammortamenti o degli oneri
finanziari non devo considerarli.
Gli ammortamenti sono la suddivisione del costo di acquisto di un bene durevole (non una materia prima, ma
un investimento come per esempio un impianto) rispetto agli anni della vita utile. Questa voce nasce per
esigenze amministrative e fiscali.
Calcolare solo su un anno il costo dell’investimento creerebbe una situazione di disequilibrio in confronto
con gli altri anni, per questo si spalma il costo su più anni di utilizzo.
Perché escludiamo questa voce? Perché si rischia di contare due volte l’uscita dei costi. È più corretto
metterlo negli investimenti a t0 e devo seguire il principio di cassa, cioè se io ho fatto l’investimento a t0,
dovrò rappresentarlo di conseguenza su t0, non posso spalmarlo.
Gli oneri finanziari sono il costo a fronte dei pagamenti degli interessi per il prestito che ottengo. Gli
interessi che pago alla banca per il prestito si chiama onere finanziario.
Ora ci manca d individuare i modelli di valutazione quindi identificare i modelli d’analisi della convenienza
economica. Tutti questi tre modelli servono a capire se un investimento è conveniente su tre aspetti diversi.
Le variabili di input sono sempre le quattro solite, le elaboro in modo diverso per avere un output
informativo differente. Si sceglie il modello che più si addice al momento che sta vivendo l’impresa
• EVA (eccesso di valore attualizzato): è un valore in più attualizzato, ciò che questo investimento mi
produce in termini di ricchezza in più rispetto a quello che ho adesso calcolato con metodi finanziari,
questo modello risponde a un criterio di economicità ovvero mi dice se l’investimento è conveniente sulla
base del risultato economico espresso in x euro che mi va a produrre.
EVA = - I + Da
• TIR (tasso interno di redditività): informa se l’investimento è conveniente o meno sulla base di un tasso
che esprime quanto rende quell’investimento, sulla base della percentuale si decide se è conveniente.
Criterio di redditività.
TIR = I / D
Vado a cercare quel tasso mi azzera l’operazione, che pareggia il costo dell’investimento e la disponibilità,
quello che avanza è la ricchezza che l’investimento mi va a produrre.
Una volta trovato la frazione del TIR bisogna applicare il fattore T. Uso la tavola numero 2 e guardo dove
cade quel fattore sulla linea del tempo. Il TIR viene espresso in percentuale. La percentuale esprime la
redditività che l’impresa produce per sé. Se le disponibilità non sono constanti non posso usare la formula
perché sarebbe incalcolabile. Dovrei usare - I + D = 0 e sparare il tasso di attualizzazione finché il risultato
non da 0.
• PAYBACK PERIOD (periodo di recupero): si capisce se l’investimento è conveniente sulla base del tempo
di recupero (se oggi spendo 100 per un impianto, quanto tempo ci metto a recuperare i soldi
dell’investimento). Criterio di liquidità.
Per usare il PP devo costruire una tabella chiamata “flussi di cassa” anno per anno.
Prima colonna: tempo, quanti anni di vita utile
Seconda: investimenti, indico i flussi di cassa generati dal costo dell’investimento. (È in uscita quindi si
scriverà - 100 al tempo 0)
Terza: disponibilità. Ricavi meno costi e lo scrivo in tutti gli anni della vita utile.
Quarta: tasso di attualizzazione
Quinta: disponibilità attualizzata:
Sesta: flusso di cassa attualizzato cumulato
Per sapere quando pareggio con precisione devo fare la proporzione.
ESERCIZI
Il primo passaggio è individuare il modello di valutazione (Eva, tir o Payback)
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Poi si posizionano i dati nelle quattro variabili
Una volta fatto le quattro variabili si applica il modello
Solitamente il TIR e PAYBACK vengono utilizzati in situazioni un po’ particolari dove c’è una richiesta/una
specificità.
Ogni modello parte dalla relazione di base di - I + Da
Appunti sui fogli di esercizio.
16 - SISTEMA TURISTICO
L’immagine dell’Italia nel mondo è sempre stata collegata alle sue bellezze monumentali, artistiche e
naturali e quindi meta preferita dai turisti.
… ma oggi l’Italia turistica cosa porta?!
… quali sono i risultati in termini sociali ed economici?
… abbiamo negli anni peccato di presunzione?! Sì perché l’Italia ha talmente tanti siti naturali e culturali che
non servono particolari investimenti per attrarre i turisti. Altri paesi invece hanno negli anni investito molto
di più per poter avere un crescente settore turistico. Offrono quindi oggi una qualità dei servizi più alta, per
questo sono diventati dei paesi attrattivi e competitivi rispetto all’Italia. L’Italia sta perdendo posizioni.
SISTEMA TURISTICO: cosa è?! Per questo lo chiamiamo sistema e non settore, perché è una composizione
di parti molto diverse tra loro.
Turista è “chiunque viaggi in paesi diversi da quello in cui ha la sua residenza abituale, al di fuori del proprio
ambiente quotidiano, per un periodo di almeno una notte ma non superiore ad un anno e il cui scopo abituale
sia diverso dall’esercizio di ogni attività remunerata all’interno del paese visitato. In questo termine sono
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inclusi coloro che viaggiano per: svago, riposo e vacanza; per visitare amici e parenti; per motivi di affari e
professionali, per motivi di salute, religiosi/pellegrinaggio e altro”
Chi effettua un viaggio fuori dalla residenza abituale ma non soggiorna per almeno una notte è definito
escursionista. Tra l’escursionista e turista c’è una grande differenza per l’influenza economica, perché il
turista ha bisogno di vitto e alloggio.
Turismo Nazionale: 1 + 3
Turismo Interno: 1 + 2
Turismo Internazionale: 2 + 3
L’utilità di conoscere il numero dei turisti è sapere come sta andando l’economia. Se cresce il turismo
nazionale significa che le famiglie italiane hanno più soldi a disposizione per svago e vacanze. I numeri del
turismo interno interessano alle organizzazioni turistiche. Turismo internazionale è quello più analizzato
perché è il turismo che ha un impatto maggiore dal punto di vista economico (viaggi più lunghi in media e
come turista vado a toccare tutte le imprese che si occupano di turismo: trasporti, alloggio, ristorazione,
svago ecc.).
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L’insieme di queste imprese costituisce la FILIERA TURISTICA:
• offerta
• intermediazione
• domanda
! COMPLESSITÀ DEL SISTEMA (data dall’eterogeneità)
! ASIMMETRIE NELLA VELOCITÀ DI CRESCITA DEI VARI ELEMENTI (Se una compagnia aeree
sposta un volo da su Verona a su Bergamo l’albergo di Verona che doveva ospitare i turisti non può spostarsi
a Bergamo, quindi la velocità con cui si possono fare dei cambiamenti è molto diversa tra le varie imprese)
! CONFLITTUALITÀ TRA LE PARTI
! INFLUENZA AMBIENTE ESTERNO (in senso del meteo. Perché se piove o se fa sole c’è differenza
nell’afflusso di turisti)
! RIGIDITÀ DELL’OFFERTA (molto spesso per poter produrre l’offerta turistica c’è bisogno di
investimenti dal punto di vista strutturale.
LEZIONE DI RECUPERO
Razionalità limitata: significa che l’uomo ha naturalmente una capacita di analisi delle
problematiche/informazioni limitata. Dobbiamo uscire dall’illusione che le nostre scelte sino sempre ottime
per l’impresa. Bisogna accettare per l’impresa la miglior scelta per il momento, presa con cautela e
razionalità.
Economie di scala legati a fattori esterni: sono ugualmente delle economie di scala ma derivano da fattori
esterni,
Grazie a delle relazioni con altre imprese riesco magari
La relazione area volume: nel momento in cui l’impresa cresce, può ottenere vantaggi economici dalla
relazione area-volume. I costi in se aumentano io posso avere le economie di scala anche 10.36… i ricavi
raddoppiano ma i costi aumentano ma non raddoppiano.
Per quanto riguarda il potere contrattuale dei fornitori e acquirenti e i fattori che possono influenzare questo
potere, potrebbe rispiegare il rilievo economico e strategico?
Potrebbe ripetere anche la legge dei grandi numeri sempre nelle economie di scala interne tecniche?
Per quanto riguarda le barriere all’uscita avevamo detto che una delle motivazioni che possono portare
all’innalzamento di queste barriere consiste nelle interrelazioni con altri business dell’impresa stessa,
potrebbe rispiegarle?
Potrebbe ripetere il concetto di costi transazionali? Costi che sono più nascosti nel caso si scegliesse
l’esternizzazione
Ho un’altra domanda: cosa si intende per “integrazione con imprese complementari rispetto alla domanda”
nel modello delle 5 forze competitive di Porter + 2?
Qual è la differenza tra prodotto finale e finito? E in quale caso potrebbero coincidere?
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