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Lezione 1, martedì 2 marzo - Introduzione

Lezione 2, mercoledì 3 marzo

Management fino a 10 anni fa si chiamava economia e gestione delle imprese. Prima ancora si chiamava
tecnica industriale commerciale.

«Il management è un’arte, non una scienza»

Il management si occupa dell’analisi delle risorse e dei fatti, non solo dell’organizzazione. Il management è
un arte nel senso che non è riproducibile, le strategie non sono tutte uguali come lo è un metodo scientifico.
Il management è una scienza sociale, perché riguarda l’uomo e la società.

Cosa si intende per management?


La gestione dell’impresa attraverso professionisti (manager) specializzati in ruoli di connessione e governo
atta ad integrare le attività di direzione e controllo da parte dell’imprenditore

1- L’IMPRESA
“L’impresa è un istituto preposto primariamente alla produzione di beni e servizi per il soddisfacimento dei
bisogni della società.”

È un qualcosa che mette in moto un’attività economica o per la produzioni di beni o per erogazione di
servizi, il fine ultimo è soddisfare i bisogni e richieste della società.
Definiamo l’impresa dal motivo per cui esiste: le persone. Esse perseguono un determinato fine.
Questi soggetti si chiamano istituti —> sono tutti quei soggetti che svolgono una attività economica per
soddisfare le richieste.
Questi istituti sono:
1. Lo stato/ Amministrazione pubblica
2. Le imprese
3. La famiglia (anche la famiglia è effettivamente una attività economica, il pranzo della nonna fa
concorrenza al ristorante, si produce lo stesso bene, cibo, messa in moto da due istituti diversi. Altro
esempio: babysitter, chiedo ad una azienda oppure chiedo alla zia?)

Impresa ed amministrazione: si riferisce ad entrambe con il termine organizzazione (o azienda), cioè un


istituto o ente che sviluppa un processo produttivo di beni e/o servizi.
!!! Impresa non è sinonimo di azienda, l’impresa è una possibile azienda. !!!
Le aziende possono essere divise in privata, pubblica o mista, rispetto alla natura del proprietario.

Che cosa fa di un’azienda un’impresa?


Se un’azienda cerca il profitto (profit) è un’impresa. Mentre se un’azienda privata è non-profit, allora non è
un’impresa. L’università è un’azienda, ma non un’impresa.

Dagli inizi degli studi dell’impresa fino al secolo scorso, si definiva l’impresa come un soggetto. Cioè era
vista come la fotografia del soggetto imprenditoriale. L’impresa era indivisibile dal soggetto imprenditoriale.
Esempio di impresa soggetto: Mario fa l’idraulico e la sua impresa si chiama “Mario idraulico a domicilio”.
Il fine di Mario è lo stesso fine della sua impresa. Se Mario vuole fare meno ore di lavoro, anche l’impresa
farà meno ore.
La finalità dell’impresa soggetto è il profitto.
Un’impresa che è di fatto la foto dell’imprenditore esiste nella realtà?
Se l’impresa diventa “Mario e Figlio impresa idraulica”. Mario è vecchio e vuole andare in pensione, quindi
non vuole veramente guadagnare al massimo. Ora il soggetto non è più solamente Mario, ma ce anche il
figlio. Il figlio è lo stakeholder, cioè chi è portatore di interessi. In questo caso il figlio potrebbe essere un
socio e quindi degli interessi nell’impresa.

Razionalità intersoggettiva
L’impresa deve tener conto di più soggetti e non solo dell’imprenditore nel momento in cui prende delle
decisioni.
Esempi di stakeholder: i fornitori, i soci, gli investitori, i clienti, lo stato/amministrazione pubblica
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Razionalità limitata
Ci sono tante variabili da considerate. Così tante che è impossibile prevedere di aver il miglior caso
possibile.

1.1 - L’IMPRESA SISTEMA:


L’impresa si configura come un sistema aperto costituito da un insieme combinato di risorse ed attori.
• Cognitivo (il sistema impresa è visto come generatore e diffusore della conoscenza)
• Complesso
• Gerarchico (per ogni processo all’interno dell’impresa ho degli iter, quindi tante fasi)
• Autopoietico (che evolve a partire da se stesso, non c’è impresa uguale ad un’altra, tutte si evolvono in
modo diverso. Inoltre il sistema impresa è visto come una entità autonoma rispetto all’ambiente in cui
opera)

La finalità può essere ancora considerata la massimizzazione del profitto?


Nell’impresa soggetto ci sta, perché il proprietario/imprenditore vorrà il massimo. Nel caso sia un’impresa
sistema, a volte l’imprenditore si preoccupa principalmente di qualcos’altro. Esempio del tonno, meno
profitto ma più vendite stabili. Esempio della nike con i palloni da calcio fatti dai bambini del Pakistan. Non
c’è la massimizzazione del profitto, perché smisero di usare i bambini, per salvare il nome.
La finalità dell’impresa non è sempre il profitto, è la crescita e sviluppo. Attraverso lo sviluppo dimensionale
si va ad accontentare gli altri stakeholder e si va anche ad aumentare gradualmente il profitto.

I limiti e la massimizzazione del profitto: ci sono dei limiti nel cercare la massimizzazione del profitto?
• L’orizzonte temporale.
• Il rischio.

Lezione 3, giovedì 4 marzo


2 - IL PROFITTO
Il profitto solitamente viene abbinato al termine guadagno, ma in verità ci sono delle differenze.
Il profitto è la differenza tra i ricavi (quello che entra nella azienda grazie alla vendita dei prodotti o dei
servizi) della nostra impresa e i costi (uscite economiche per il pagamento dei fattori produttivi, come
energia, trasporti, materia prima).
Se i ricavi sono maggiori ai costi abbiamo un profitto, siamo in positivo.
Se fosse il contrario non c’è un guadagno bensì una perdita, siamo in negativo.
Se ho il guadagno posso avere del profitto. Una parte del guadagno va al profitto, che è una parte del
guadagno che tiene per sé l’imprenditore. Possiamo dire quindi che il profitto è il compenso che spetta
all’imprenditore per l’organizzazione dei fattori produttivi

Il profitto:
- La quota destinata a ripagare il rischio corso nell’attività aziendale. L’imprenditore svolgendo l’attività
di imprenditore e non di dipendente si assume un rischio, quindi rispetto ad un dipendente, a parità di
lavoro è giusto che l’imprenditore si porti a casa un profitto più elevato.
- Il premio che spetta a colui che promuove l’innovazione. L’imprenditore è colui che ha avuto l’idea e che
continua a promuovere l’impresa, e che è sempre proiettato verso il miglioramento dell’impresa e della
società.
- Il risultato dell’imperfezione del mercato di cui si origina l’acquisizione di posizioni monopolistiche . Il
mercato si dice imperfetto, perché normalmente le informazioni e conoscenze nel mercato non fluiscono
in modo trasparente ed equo tra tutti i soggetti che ne fanno parte. Il mercato è quel contesto, anche in
termini virtuali, o raggruppamento di imprese e di soggetti che sono clienti o potenziali clienti. Si dice che
il mercato è imperfetto perché al suo interno ci sarà un’impresa che avrà più vantaggi rispetto ad altre.
Esempio: un ragazza si laurea e porta il caso di un’impresa che voleva mettere sul mercato la prima
caldaia ad idrogeno, quindi questa impresa è più avanti rispetto ad altre imprese produttrici di caldaie.
Questa impresa ha investito in anticipo sulla ricerca nel campo delle caldaie ad idrogeno. Il rischio che si è
presa la caldaia è alto, e anche i suoi investimenti lo sono. Le altre imprese inizieranno poi a produrre
anche loro le caldaie ad idrogeno, quindi la prima impresa che ha rischiato così tanto si meriterà un
profitto più elevato.

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- Il compenso che spetta all’imprenditore per l’organizzazione dei fattori produttivi. L’imprenditore ha un
ruolo di funzione diverso da impresa ad impresa. Al di là del suo ruolo, il profitto va a remunerare
l’imprenditore perché è sempre concentrato sull’impresa anche fuori dalle ore di lavoro (24/7).

Il monopolio è un mercato dove c’è solo una sola impresa che si occupa di un determinato prodotto. In Italia
di monopoli ce n’erano tanti, erano legati al 99% all’erogazione dei servizi pubblici. Oggi abbiamo X
operatori telefonici, mentre decenni fa ce n’era solo uno. Stessa cosa per gas, luce e acqua. Ora l’unico
monopolio è quello della vendita delle sigarette.
Si avvicinano al oligopolio: sono pochissime imprese che ti offrono un determinato servizio.
Il primo monopolio di stato pubblico —> ghiaccio
Nel caso ci sia un monopolio, esso viene protetto dalla legge.
La farmacia, ce ne può stare solo una in un tot di raggio. Lo stato diceva ‘dobbiamo ricostruire lo stato dopo
la guerra, apro una farmacia in un posto a cui effettivamente serva, se c’è già una farmacia in un paesino, non
ci poteva stare una seconda, così gli altri farmacisti sono obbligati a muoversi e ad aprire un altra farmacia
altrove’.

3 - LA DIMENSIONE DELLE IMPRESE


Cos’è un’impressa che cresce? Come si definisce la grandezza dell’impresa?
• La quota di mercato che ricopre, cioè la fetta di consumatori a cui vendo. (Forse)
• Le relazioni con le altre nazioni. A volte sì, a volte no.
• Il bilancio, cioè il documento in cui si riassume una situazione contabile in un determinato momento
oppure il movimento di particolari operazioni economiche. (Effettivamente sì)
• Il numero dei dipendenti. Un’impresa con più dipendenti è più grande.
• Il fatturato,
• Il ritorno degli investimenti
• Le sedi

Lezione 4, martedì 9 marzo

Il nostro lavoro si basa sull’analisi dei fattori che vanno ad influenzare la dimensione delle imprese e quindi
anche la dimensione (nonché la struttura) del mercato in cui esse operano.
Siamo partiti da una concezione generale del concetto dimensionale, definendo i parametri che, sulle base di
dati oggettivi e tangibili, consentono una prima classificazione della dimensione aziendale. Per capire se
un’impresa è grande bisogna basarsi su dati oggettivi e facili da deperire. I parametri seguiti sono:
economici, tecnici, patrimoniali e organizzativi.

2. Economici
—> Fatturato: Il fatturato è l’elemento più usato nelle classificazioni dimensionali perché è quello di più
facile comparazione, essendo espresso per tutte le imprese nella stessa unità di misura. Esso, però, può essere
scarsamente significativo nel caso di una forte discrepanza tra quantità producibile e quantità venduta, dato
che la dimensione equivale non al risultato dell’attività aziendale, ma alla potenzialità dell’organizzazione.
Il fatturato è un indicatore in assoluto più utilizzato:
- è facilmente interpretabile (un’impresa da un fatturato di 1M è più grande di una di 500k).
- si trova facilmente ed è un dato poco sensibile
«Il fatturato (detto anche volume d'affari), in economia aziendale, è la somma dei ricavi ottenuti da
un'impresa attraverso cessioni di beni e/o erogazione di servizi.»
Bisogna però stare attenti a non confrontare le imprese che fanno il fatturato in periodi diversi. Alcune
imprese hanno delle particolarità, tipo la Bauli, dove il corebusiness sono i dolci natalizi, che si consumano a
cavallo di due anni solari. Per Bauli il periodo clou per le vendite è a cavallo tra due anni solari, quindi non
fa un bilancio di un anno solare (da gennaio a dicembre) ma lo fa per esempio da giugno 2020 a giungo
2021. Anche così succede per le scuole, che seguono l’anno scolastico.

Ora mettiamo a confronto due imprese: Aia e Volkswagen.


Quanto fatturo con un petto di pollo? 2,50 euro
Quanto fatturo con una golf? 20.000 euro
Non possiamo con il fatturato confrontare due imprese che vendono in due settori diversi.

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Eurospin non produce niente, è un’impresa commerciale, eppure è in classifica per aver uno dei fatturati più
alti d’Italia.

—> Il valore aggiunto è la misura dell'incremento di valore nell'ambito della produzione e distribuzione di
beni e servizi finali, questo aumento di valore viene creato dall’impresa grazie all'intervento dei fattori
produttivi (capitale e lavoro) nei confronti delle materie prime.
Un maggior valore aggiunto dovrebbe infatti derivare da un più ampio sviluppo verticale
dell’organizzazione, da un più elevato impiego di capitale e impiego umano, ossia da una maggiore
dimensione. Anche quest’indice non appare esaustivo dato che su di esso non hanno alcuna influenza alcuni
elementi che contribuiscono invece a far crescere la struttura aziendale (ad esempio le partecipazioni non di
controllo). Il valore aggiunto è un dato sensibile, a volte le imprese non vogliono farlo sapere.

Esempio: impresa A, impresa B. A e B vendono televisioni. A ha un laboratorio di ricerca e sviluppo, due


stabilimenti, un magazzino. B ha solo un magazzino, e le televisioni le prende già pronte dalla Cina, quindi si
occupa solo della distribuzione.
Quale delle due è più grande dell’altra? L’A ha fatto più investimenti
Ciò che esce dell’impresa meno i fattori di input acquisiti dall’esterno (materie prime; il personale è un
fattore di input ma non è acquisito dall’esterno)

2. Tecnici
—> Produzione realizzata. Quanto io produco, in senso di quantità e non di valore, 100 libri, mentre tu solo
50, io sono più grande. La faccenda si fa più complicata quando si ha l’erogazione di servizi. L’erogazione è
che in quel momento sia produco che vendo. La produzione realizzata viene preferita a quella della capacità
produttiva. (?)
Esempio: McDonalds vs. Ristorante stellato.

—> Capacità produttiva. È la quantità massima di prodotto che può essere ottenuta da un'impresa dati i
fattori di produzione che possono essere utilizzati e tenendo conto di quei vincoli di carattere politico, sociale
o tecnico che potrebbero in qualche modo impedire la realizzazione di tale obiettivo (periodo di malattia dei
lavoratori, problemi vari). Con riferimento alla capacità produttiva non può essere adottata una semplice
valutazione meccanicistica per definire le capacità potenziali; in altre parole non si può affermare che, dato
un certo quantitativo di risorse disponibili, vi sarà necessariamente un certo output produttivo. Per questo
motivo la definizione di capacità produttiva non può essere semplicemente risolta in un nesso causa-effetto;
bisogna sempre considerare le condizioni ed i fattori che possono influire sul processo produttivo (difficoltà
di approvvigionamenti, scarsa circolazione di informazioni ecc.). In effetti essa può essere espressa solo
come capacità potenziale ovvero come quantità massima che può essere prodotta in assenza di strozzature
nel sistema economico o nell'azienda.
- Capacità teoria/nominale (in condizioni super ottimali e senza intoppi)
- Capacità effettiva (con intoppi)
3. Patrimoniali
—> Capitale sociale. Si riferiscono solitamente alle varie figure di capitale a disposizione dell'azienda. I
valori più spesso prescelti sono il capitale di funzionamento, ovvero il totale dell’attivo patrimoniale e il
totale delle immobilizzazioni, che specie in settori produttivi ad alta intensità di capitali appare
rappresentativo della dimensione dell’impresa. Meno importante è considerato il capitale sociale.

4. Organizzativi
—> Nr. Addetti. Attengono al fattore “personale” impiegato nell’impresa e sono molto spesso considerati tra
i più importanti indici dimensionale. L’elemento più comunemente utilizzato è il numero degli addetti. In
certi casi si guardano separatamente la forza della manodopera, del personale impiegatizio e di quello
direttivo, ritenendo che gli ultimi due possano essere espressivi della dimensione aziendale.

Lezione 5, mercoledì 10 marzo


Se usassimo tutti i parametri per essere più preciso, ci metterei veramente tanto tempo.

Domanda d’esame:
Quali sono i principali parametri per misurare la dimensione dell’impresa e indica quel è il migliore?
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Risposta: non esiste esiste un indicatore ideale per misurare la dimensione dell’impresa, dipende dal motivo
per cui sto misurando questa dimensione e sulla base di questo motivo cercherò di trovare l’indicatore più
opportuno.

Cosa manca nei nostri parametri?


Noi abbiamo misurato con questi parametri le risorse tangibili —> fatturato (quello che ho venduto
moltiplicato il prezzo di vendita), produzione realizzata, il patrimonio, gli addetti ecc.

Va bene fermarsi ai parametri tangibili?


Oggi si dice che le imprese funzionino su tutte e due le risorse. L’impresa esiste grazie alle risorse tangibili,
però la differenza nell’ambito della crescita è il salto di qualità che si vede grazie alle risorse intangibili.

4 - LE RISORSE INTENGIBILI
Cosa sono le risorse intangibili?
La conoscenza del mercato, le competenze tecnologiche, la fiducia dei consumatori, l’immagine
dell’azienda, la notorietà della marca, le relazioni con il mercato finanziario, i rapporti con i fornitori, sono
tutte risorse di grandissimo valore. Mentre i beni materiali possono essere facilmente copiati dalle altre
imprese, le risorse immateriali sono specifiche di un’azienda e ne sintetizzano la storia e le scelte operate in
passato. Proprio per questa ragione esse possono fare la differenza rispetto alla concorrenza costituendo un
vantaggio competitivo che può determinare il successo dell’impresa. Pertanto, per l’azienda è di estrema
importanza riuscire a sfruttare tali risorse.
Esempio: il quadro di Paul Gauguin, venduto nel 1896 per un passaggio in barca, nel 2006 valeva 40 Milioni.
Da un punto di vista tangibile il valore è rimasto uguale. Dal punto di vista intangibile, il valore deriva dal
nome dell’artista.

Quali sono le caratteristiche delle risorse intangibili?


- Sedimentabilità
La sedimentabilità è la capacità dell’impresa di immagazzinare le risorse per utilizzarle nel momento che
ritiene più opportuno. I luoghi dove possono essere sedimentate sono rappresentate dalle risorse umane, dalla
memoria organizzativa e da organismi esterni all’impresa stessa.Per esempio la fiducia, una volta conquistata
(quella dei clienti e dei dipendenti) mette radici nell’impresa.

- Incrementabilità
Le risorse intangibili si sviluppano, incrementano all’interno dell’impresa. Molto spesso si sviluppano nel
momento in cui vengono utilizzate. Come può essere per esempio la routine.
Cos’è la routine?
È la conoscenza del funzionamento di determinati processi. Quando compro la materia prima so quali sono i
passaggi da fare. Avere una routine per ogni processo mi da molti vantaggi: più tranquillità nella gestione
delle operazioni, più organizzazione, fiducia, si risparmia tempo.

- Unicità
Le risorse intangibili sono uniche, in effetti le abilità che si accumulano all'interno dell'organizzazione sono
particolari e non è possibile trovare la stessa risorsa intangibile in due imprese diverse.

- Difficile acquistabilità e copiabilità (imperfetta trasferibilità)


L’impresa non può acquistare le risorse intangibili (come per esempio la fiducia, la reputazione, i dipendenti
super competenti).
Esempio: Greenwashing —> delle imprese che promettono di essere green alla clientela, ma che in verità
non sono per niente sostenibili. Questo è per acquistare una reputazione migliore.
Esempio: Non si può acquistare il brand. Il distretto della calzetteria femminile -> negli anni 90, la maggior
parte dei collant prodotti del mondo venivano dalla provincia di Mantova. Arriva una multinazionale di turno
che vuole aggiungere il prodotto delle calze nelle proprie vendite, essa riesce a comprare l’impresa, mantiene
la produzione a Mantova e mantiene lo stesso brand (quindi cambia solamente il titolare dell’impresa), le
risorse tangibili sono assolutamente le stesse, ma è venuta a mancare la fiducia dei lavoratori e dei clienti,
perché non riconoscono più la stessa impresa di qualità di prima quindi l’impresa floppa.

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Distretto industriale: è un sistema economico stabilito in un’area geografica circoscritta, dove si
raggruppano delle imprese che producono tutte le stesse cose. Vicenza ha l’oro, la vallata del Chiampo ha la
pelle. (p.113)
Alcuni distretti industriali sono morti perché magari si traslocano in paesi dove i costi di produzione sono
minori.
Copiabilità —> le risorse intangibili sono difficilmente copiabili.

- Flessibilità
La capacità di adattarsi. Le risorse intangibili sono flessibili, sfruttabili (hanno molteplici usi) e trasferibili.
Per esempio il brand, posso sfruttarlo per vendere il mo prodotto di base ma poi posso provare a mettere sul
mercato nuovi prodotti.
Esempio: Giovanni Rana —> leader sul mercato dei tortellini, ma ora sta vendendo anche sughi pronti. In
questo modo sfrutta le sue conoscenze in quando venditore di piatti primi e allora aggiunge dei prodotti nel
portfolio, il cliente conosce già i tortellini allora acquisterà anche i sughi.
Esempio delle Canon e Nikon: la flessibilità può essere sia a favore che far cadere il prodotto.
Esempio: Prezzemolo è il prodotto intangibile di Gardaland, il bambino che indossa la maglietta di
prezzemolo e va a scuola, susciterà l’invidia di altri 50 bambini che vorranno anche loro la maglietta di
prezzemolo, e quindi andranno a Gardaland.

- Deperibilità
Le risorse immateriali sono soggette a rapida deperibilità in quanto il loro valore è legato al possibile uso di
mercato e ambientale.
Continuare ad investire e a fare ricerche è la chiave per garantire il successo e la crescita. Se non si investe
prima o poi le risorse intangibili muoiono.

Lezione 6, giovedì 11 marzo

Abbiamo capito come le imprese devono lavorare per avere delle risorse intangibili, stando attente anche agli
svantaggi.

Dove trovo le risorse intangibili?


Sono intangibili, quindi non sono fisiche.
In primo luogo, nelle persone, perché grazie a loro c’è l’arricchimento dell’impresa e la possibilità di
sviluppare risorse intangibili grazie alle loro abilità e conoscenze.

Come fa un’impresa ad avere il capitale umano migliore?


Investimenti per selezionare i giusti impiegati (analizzando i curriculum e mettendoli alla prova).

5 - IMPRENDITORE vs. MANAGER

Le due figure importanti all’interno dell’impresa sono:


• Imprenditore
• Manager

Qual’è la differenza?
• L’imprenditore è sul soggetto che continua a pensare e a ricreare la propria impresa, continua a cercare di
migliorarla.
• Il manager, non sta dietro ai fattori creativi dell’impresa, ma sta attento che l’impresa sia economicamente
stabile.
• L’imprenditore dice “entro il 2025 voglio entrare nel mercato russo”, lui fa nascere l’idea, mentre il
manager è colui che farà in modo che il rapporto tra i mezzi impiegati e il prodotto siano all’altezza, quindi
organizzerà al meglio le risorse.
• Quindi sono due persone molto importanti all’interno dell’impresa.
• L’ideale sarebbe che questi due soggetti siano due figure fisiche diverse, ma tante volte nelle piccole-
medie imprese una persona è sia l’imprenditore che il manager.
• Il problema sorge nel momento in cui l’impresa potrebbe essere a rischio:

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- Se una persona è più imprenditore (più idee) ma meno manager si potrebbe creare uno squilibrio tra
rapporto di input e output.
- Se la persona è più manager e meno imprenditore, è un’impresa stabile ma stagna, che ha sì una sicurezza
economica ma non riesce a lanciarsi per crescere.

«Chi sta fermo in un mondo che si muove, rimane indietro»

Chi è il temporary manager?


Il temporary manager entra nell’impresa in maniera temporanea per far vedere come sarebbe l’impresa con
un manager. L’ingresso di questa figura crea un processo di comprensione della figura del manager quindi,
una volta che il temporary manager se ne sarà andato, l’impresa sarà pronta all’ingresso di un vero e proprio
manager.
A questi due soggetti (manager e imprenditore) si abbinano due principi essenziali:
• Efficacia
• Efficienza
Qual è la differenza? Chi ne risponde?
• L’efficacia: è darsi un obiettivo e lavorare finché non si raggiunge.
• L’efficienza: è il rapporto tra i risultati ottenuti e i mezzi impiegati per raggiungere un certo obiettivo.

L’imprenditore si fissa un obiettivo, e sarà considerato efficace se nel 2025 sarà nel mercato russo.
È stato efficiente? Dipende dal risultato economico e dal processo che ho impiegato per arrivare nel mercato
russo. Se mi è costato tantissimo arrivare in Russia, ma sto facendo pochissimo guadagno sul mercato, non
sono stato efficiente.

Imprenditore —> efficacia


Manager —> efficienza

Come si può misurare l’efficienza?


- Dal punto di vista tecnico: la produttività è il rapporto tra i fattori finiti.
Esempio: quantità di prodotti fratto le ore di lavoro. Numero di prodotti e mezzi impiegati.
Ogni ora produco 100 penne —> efficienza del lavoro.
- Economico: l’economicità è il rapporto tra i prodotti (in termini di valore, non quantità) fratto il costo delle
ore di lavoro (e non il numero delle ore di lavoro).

6 - L’AMBIENTE PER L’IMPRESA

L’ambiente può essere inteso come il contesto generale all’interno del quale l’impresa è chiamata a svolgere
le sue funzioni, definito da una serie di condizioni politiche, legislative, sociali, culturali ed economiche, che
determinano il sistema di vincoli-opportunità entro cui dovrà trovare sviluppo.
È un mix di:
• Insieme di attori (soggetti)
• Insieme di condizioni (vincoli ed opportunità)
L’impresa opera all’interno di un ambiente che offre una serie di vincoli ed opportunità
Ambiente interno <—————> Ambiente esterno

Interno: è l’ambiente l’insieme dei soggetti e condizioni interne (condizioni di base dell’impresa)
Esterno: è tutto ciò che sta fuori e l’insieme dei vincoli dell’ambiente esterno

C’è uno strumento che ci permette di misurare l’ambiente:


Analisi swot, che mi mette in evidenza i punti di forza e debolezza dell’impresa (ambiente interno) e le
opportunità e le minacce (ambiente esterno)

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Come si costruisce questa matrice?
Creiamo 4 quadranti ed elenchiamo quelli che sono:
- i punti di forza (esempio: tanto capitale, posso permettermi grandi
investimenti senza troppi sforzi).
- I punti di debolezza (nessuno ha competenze linguistiche tra i
miei impiegati, quindi non riesco a buttarmi sul mercato russo)
- Le opportunità, quelle occasioni che io accolgo dal mercato per
far crescere la mia impresa, esempio nel settore dell’edilizia ed
esce il decreto per il super eco-bonus per le ristrutturazioni, ciò
rappresenta una grande opportunità.
- Le minacce, sono dei rischi per la mia impresa. Io produco auto
diesel, ma ci sono sempre più divieti di guida delle auto diesel.
Difronte alle minacce le imprese deve conoscere i propri limiti e
provare a trasformare le minacce in opportunità.

6.2 - AMBIENTE ESTERNO

Le categorie dell’ambiente esterno:

Macroambiente -> Tutti i soggetti che fanno parte di tutti i settori, è il contesto esterno più ampio in
assoluto (per un impresa italiana il macroambiente è il contesto/sistema economico italiano)

Ambiente settoriale -> E’ l’insieme dei soggetti che stanno all’esterno dell’impresa ma che fanno parte
dello stesso settore della mia impresa (settore automobilistico, edilizio, alimentare..)

Ambiente competitivo -> Siamo all’interno dello stesso settore, sono l’insieme delle altre imprese con cui io
mi trovo a competere.
Esempio: Se io ho un’attività di pizzeria con consegna a domicilio a Verona, l’ambiente settoriale è il fatto
che ci sono altre imprese di cibo a domicilio, mentre l’ambiente competitivo è la pizzeria a Verona che fa
anche consegne a domicilio ma che non compete con il sushi a domicilio a Roma. L’ambiente competitivo
può essere circoscritto geograficamente oppure in termini di valore, perché altre imprese sono sul mio stesso
mercato, è una questione di vincere la fiducia dei clienti.
L’impresa ha la possibilità di influenzare l’ambiente competitivo ma non riesce ad influenzare il
macroambiente, dove c’è per esempio anche lo Stato.
Un’impresa più grande però può potenzialmente influenzare lo Stato, per esempio negli anni d’oro della
FIAT chiudere uno stabilimento era una grande perdita, quindi lo Stato dava dei fondi in modo da tener
aperto lo stabilimento. Però se un bar a caso a Roma stesse per chiudere, ovviamente lo stato non poteva
farci nulla al riguardo.

Chi fa parte dell’ambiente?


• Acquirenti
• Concorrenti
• Fornitori
• Distributori
• Investitori
• Autorità pubbliche forze sociali
• Organismi rilevanti
• Stakeholders (sono tutti soggetti che fanno parte dell’ambiente)

L’interazione di questi soggetti è passiva o attiva?


Dipende principalmente dall’importanza e dalla dimensione dell’impresa
—> Passiva: io impresa sono influenzata dal soggetto esterno (per esempio lo stato) ma non posso
influenzare il soggetto.
—> Attiva: ci influenziamo a vicenda, c’è un dialogo (tipo con il fornitore, distributori o concorrenti).

Ambiente: è oggettivo o soggettivo?


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(di sicuro è) COMPLESSO!
• Percepire la complessità
• Fronteggiare la complessità
• Produrre all'interno dell'impresa le condizioni per incrementare il patrimonio di conoscenze

Senza dubbio l’ambiente è oggettivo, perché c’è una legge che è oggettiva, ma il modo in cui sto dentro
all’ambiente è soggettivo, perché ogni impresa è diversa e si fanno delle decisioni diverse. È un ambiente
complesso sia oggettivo sia soggettivo.
Esempio: un titolare ha due figli. Divide in due perfette metà e le consegna ai figli.
Si presenta un’opportunità. Un figlio decide di non rischiare perché non ha ancora capito bene gli ingranaggi
dell’impresa.
L’altro figlio invece prendere l’opportunità al volo.
Un anno dopo le due imprese saranno diverse, l’ambiente è si in primo luogo oggettivo, ma il modo in cui
sto dentro all’ambiente è soggettivo, perché ogni impresa è diversa e si fanno delle decisioni diverse. È un
ambiente complesso sia oggettivo sia soggettivo.
Bisogna cercare sempre di avere più conoscenze e saper prendere le opportunità migliori

Cosa significa complessità?


• Varietà e variabilità della domanda
• Autopropulsività della domanda
• Inappropriabilità della ricerca scientifica
• GLOBALIZZAZIONE

Varietà: disponibilità di diversi prodotti, ampia gamma


Variabile: che continua a cambiare

Lezione 5, martedì 16 marzo

Che cos’è l’autopropulsività?


La domanda, l’espressione di ciò che desidera il cliente, non è solo varia e variabile. Il cliente cioè non solo
chiede varietà, ma vorrebbe un certo prodotto e cerca un’impresa che possa soddisfare la domanda (la
domanda va ad autocrearsi). Non è più l’impresa che propone una gamma di prodotti, ma è la domanda che
chiede un certo tipo di prodotto. Questi desideri non sono sempre espliciti, quindi l’impresa deve capire ciò
che vuole il pubblico.
Esempio: Calzedonia. Nel 2015 andava di moda il mimetico, ma Calzedonia non aveva costumi con quel
pattern. Iniziano ad arrivare delle clienti che chiedono il costume mimetico. Quindi Calzedonia inizia a
produrre i costumi di questi modelli. In due settimane sono riusciti ad avere un nuovo prodotto richiesto sui
scaffali.

Cos’è l’inappropriabilità della ricerca scientifica?


Per risultati della ricerca scientifica, parlando in termini di imprese, si intende i risultati di ricerca e di
sviluppo, che non ha più senso farseli propri. Far propri significa andare a difendere la propria innovazione
dal punto di vista legale. —> Brevettare: significa andare a dichiarare le caratteristiche di un prodotto, e
pubblicamente dire che quel prodotto possa uscire solo dalla mia impresa.
Oggi la tendenza non è più quella di brevettare. In alcuni settori un’azienda si inventa un prodotto e va essa
stessa a dare la “licenza” di produrlo e di venderlo ad altre imprese.
Se un’impresa si inventa un nuovo giubbotto, e si impegna affinché le altre imprese conoscano le
caratteristiche del prodotto. La diffusione delle imitazioni portano un’immagine positiva ai brand di lusso,
quindi spesso le case produttrici come Prada o Gucci invitano altre imprese a fare delle imitazioni. Le
persone sono disposte a pagare di più per avere l’originale.

7 - GLOBALIZZAZIONE

Cosa significa globalizzazione?


Diffusione su scala mondiale, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, di tendenze, idee e problematiche.
Tendenza dell’economia ad assumere una dimensione sovranazionale… processo di integrazione crescente
delle economie delle diverse aree del mondo.
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L’economia oggi non la possiamo più vedere come una compartizione stagna divisa per nazioni, ma assume
una dimensione sovranazionale. È un processo di integrazione recente dell’economie delle diverse aree del
mondo, è un processo di integrazione che cresce sempre di più (la globalizzazione è dinamica) che fa
crescere le economie delle diverse aree del mondo.

La globalizzazione la possiamo vedere da tre punti di vista:


3. La globalizzazione del mercato e delle merci, ovvero il fatto che oggi le merci possano fluire liberamente
da un paese all’altro. Importazioni o esportazioni di prodotti in qualunque parte del mondo. Questo
processo dell’apertura dei mercati risale al 1945 quando sono state abbattute le prime barriere doganali.
Le barriere doganali sono degli ostacoli/limiti di tipo legale che non consentono di importare o esportare
merci. La globalizzazione del mercato delle merci è regolarizzato dal WTO.
4. Mondializzazione delle imprese, dei processi di lavoro e dei processi produttivi (delocalizzazione del
lavoro). Non solo c’è libertà di movimento delle merci ma anche quelle delle imprese, che si possono
spostare da un paese all’altro, aprendo uno stabilimento di produzione in un paese estero dove magari la
manodopera costa di meno.
5. Mondializzazione finanziaria, quindi l’impresa può fare investimenti (muovere capitali) ovunque nel
mondo. Gli aspetti della mondializzazione finanziaria viene regolata da due organizzazioni: la Banca
Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.

WTO: world trade organisation


Organismo internazionale con sede a Ginevra, istituito nel 1995. Definisce le regole del commercio mondiale
si basano sulla logica liberista. La libertà di movimento delle merci porta vantaggi e sviluppo ai paesi, quindi
è da tutelare. Ci sono alcune persone che però sostengono che il WTO voglia esclusivamente dare benefici
alle multinazionali. La multinazionale potrà certamente trarre più vantaggi rispetto alla piccola impresa,
quindi quest’ultima non gode molti vantaggi di questo liberismo, avrebbe bisogno di essere più protetta.

Teoria dello Sgocciolamento


Il principio base che regola i due organismi (BM - banca mondiale e FMI - fondo monetario internazionale).
"Il processo, pur generando enormi iniquità, produrrà una ricchezza e una crescita talmente elevate da
tracimare necessariamente piano piano, verso i paesi poveri, a loro beneficio”
Cioè, si ritiene che l’apertura dei mercati finanziari inizialmente creerà grandi iniquità, perché ci sono
imprese che investono da paesi ricchi, in paesi più poveri. Pero questa teoria dice che tutto ciò possa creare
un’opportunità di sviluppo per il paese povero.
Certamente ci sono alcune imprese che trattengono per sé il giusto profitto, e sanno dare un limite alla
ricchezza accumulata, però non tutte le aziende sono corrette.

Come si misura la globalizzazione?


Si misura attraverso tre variabili:
6. I flussi migratori
7. Il commercio estero (import (valore delle merci che importo) più export in rapporto al PIL)
8. Investimenti diretti esteri (IDE)

Cos’è il PIL?
Includere un elemento di crescita —> aumento di indicatori di ricchezza quali il PIL (ing. GDP - Gross
Domestic Product)
Il PIL è il valore complessivo dei beni e servizi prodotti all'interno di un Paese in un certo intervallo di tempo
(annuo solitamente) e destinati ad usi finali; non viene quindi conteggiata la produzione destinata ai consumi
intermedi (cioè per esempio: io conto per calcolare il PIL il valore del pane, ma non conto il valore della
farina, perché se io contassi il valore della farina lo conterei due volte, perché c’è anche il pane. Il pane va a
coprire il costo della farina), che rappresentano il valore dei beni e servizi consumati e trasformati nel
processo produttivo per ottenere nuovi beni e servizi.

Cosa sono gli IDE?


Sono gli investimenti per creare un nuovo stabilimento, punto vendita o laboratorio (ecc.) direttamente in un
paese estero. Io impresa investo in un paese estero con i miei capitali.
Un paese è più o meno globalizzato sulla base del calcolo di queste variabili.

10
Questo banalmente ci va indicare che un paese con più McDonalds è più globalizzato. È giusto considerare
solamente queste tre variabili?
Questa visione è un po’ limitante. Bisogna vedere la crescita qualitativa del paese. Vedere se la qualità della
vita è cambiata.

Negli ultimi anni viene sempre più utilizzato l’HUMAN DEVELOPMENT INDEX (ISU), che va a misurare

sia il PIL del paese, però include anche l’indice di aspettativa di vita e l’indice di educazione (livello di
istruzione degli adulti, indice lordo di iscrizione scolastiche).
Sono enormi le differenze con gli indici che prendono in
considerazione solo variabili economiche. Paesi molto ricchi, ma
con scarsi o insistenti sistemi di welfare hanno punteggi ISU molto
bassi.

In post globalizzazione gli investimenti diretti esteri vanno


principalmente verso i paesi avanzati —> il potere d’acquisto.

Lezione 8, giovedì 18 marzo

Nella tabella c’è un dato evidente che i paesi che si aprono e vanno
verso la globalizzazione maturano un PIL più alto, mentre nei paesi
che hanno un politica commerciale più stretta il PIL si abbassa.

Che rapporto c’è globalizzazione e povertà?


Povertà: stato di un individuo o famiglia che vive sotto la soglia di un dollaro statunitense in termini di
potere di acquisto.

Nel 1820 (pre-globalizzazione): povertà del pianeta al 84%


Nel 2000: povertà del pianeta al 24%

In maniera contestabile, potremmo dire che la povertà si è abbassata parecchio dal 1820. Però bisogna
prestare attenzione ai valori assoluti, se applichiamo la percentuale di povertà alle persone che abitano il
pianeta abbiamo dei risultati contrastanti.
Nel 2000 eravamo circa 7 miliardi di persone, applicando il 24% di povertà abbiamo 1.6 milioni di persone
che vivono in condizione di povertà. Mentre nel 1820, quando gli umani sulla terra erano all’incirca un
miliardo, avevamo circa 840.000 persone in povertà.

Dove sta il problema? Nella globalizzazione o nel sovrappopolamento?

E la diseguaglianza?
Nel processo di globalizzazione ci sono alcuni paesi che sanno muoversi meglio di altri.
Il 60% degli investimenti diretti all’estero rimane nella triade (Stati Uniti, Europa, Giappone).
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Il resto è distribuito in modo diseguale con ad esempio un
19,8% attratto dal sud-est asiatico e solo un 1,4% dall’intero
continente Africano.
Il divario di reddito tra il quinto più ricco e il quinto più povero
del pianeta è cresciuto da un 30:1 (1960) a un 74:1 (1997).
Il reddito annuale delle 225 persone del pianeta supera la
somma dei redditi del 47% della popolazione mondiale (le
ricchezze delle tre persone più ricche sono maggiori della
somma del PNL di tutti i paesi meno sviluppati – 600 milioni di
persone).

I dati della banca d’Italia


30 milioni di persone detengono il 10% della ricchezza. 6 milioni di persone hanno il 45% della ricchezza.
Anche in Italia c’è un problema di diseguaglianza.
Alcuni sostengono che il processo di globalizzazione non va bene e che bisogna tornare a un’economia
locale. Per tornare a favorire l’economia locale bisogna imporre dei dazi per le materie importate, ma cosa
succederebbe se imponendo i dazi andiamo a danneggiare quei paesi in cui l’economia si basa
sull’esportazioni di beni.

E per quanto riguarda la questione ambientale?


Se acquisto da produttori locali ho un impatto ambientale minore.
Per ridurre la convenienza a comprare beni che arrivano da lontano bisognerebbe inserire dei dazi di ingresso
proporzionali alla distanza da cui proviene la merce stessa!! e cosa succederebbe ai paesi meno sviluppati
che dipendono dalle esportazioni di alcuni beni (Mali dipende per il 78% dalle esportazioni di cotone,
l'Etiopia per il 56% dalle esportazioni di caffè …)

8 - SOSTENIBILITÀ DELLE IMPRESE


• Creazione valore economico adeguato al livello di rischio —> ci sono dei limiti alla ricerca della
massimizzazione del profitto,
• Ottimizzazione impatto ecologico —> un’impresa sostenibile, che valuta anche l’aspetto ambientale
• Soddisfazione attori sociali —> un’impresa è sostenibile se soddisfa i clienti, la comunità locale, i
fornitori, stakeholder. Perché l’impresa non è più solo soggetto, ma ci sono più persone che partecipano
nell’impresa. Se manca uno di questi tre punti chiave l’impresa non può essere definita sostenibile.

Esempio:
• Glamping —> campeggi che tendono al lusso. A metà tra camping e glamour: il glamping è la nuova
frontiera del turismo green e negli ultimi anni ha visto un rapido sviluppo in tutto il mondo. È facile
muoversi rispettando le questioni ambientali quando si parla di lusso.
• Gli ostelli a Milano, ristrutturazione in chiave ecologica, e ora sono sempre ostelli economici ma sono
anche green.

9 - STRATEGIE D’IMPRESA
Questo termine ha origine come “studio”, dalle strategie belliche. Strategia può significare che si pianificano
diverse attività che hanno come obiettivo il successo. Sono le decisioni che impresa deve prendere per
raggiungere un obiettivo, tenendo sempre presente l’efficacia e l’efficienza.

Il processo di analisi gerarchico, studiare strategia vuol dire occuparsi:


9. Orientamento strategico di fondo
10. Strategie complessive (o di corporate)
11. Strategie competitive (o di business)
12. Strategie funzionali

In sintesi cosa vanno a significare?


13. Vado a capire qual’è l’idea di base dell’impresa, il suo orientamento, cosa voglio da essa
14. Le strategie che mi permettono di capire in quale direzione crescere
15. Ho scelto la strada dove crescere, dove troverò dei concorrenti e quindi dovrò stabilire delle strategie
competitive, come fare a gestire l’impresa con i concorrenti
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16. Ogni funzione d’impresa dovrà prendere delle decisione specifiche in ambito dei processi produttivi
(quali macchinari, quanti dipendenti, ecc). Tendenzialmente vengono prese dai manager, ma ciò non
significa che le prendano solamente loro.

9.1 - ORIENTAMENTO STRATEGICO DI FONDO


Al suo interno si va a concentrare su tre aspetti

1 - Visione (slogan, citazioni) …


La visone è cosa l’impresa si impone di divenire.
Perché è importante capire la visione? È un fattore di coesione, perché evita il problema delle scelte
opportunistiche e casuali, e ci permette di capire di chi abbiamo bisogno per poter crescere. Se io capisco
quale strada voglio intraprendere, le singole scelte le prendo a seconda di dove voglio andare a finire.
IKEA: la visione di Ikea è quella di creare una vita quotidiana migliore per la maggior parte delle persone.

2 - Missione
Le finalità fondamentali che l’impresa intende perseguire nel lungo termine e che ne giustificano l’esistenza.
Che cosa l’impresa deve compiere per diventare ciò che ha stabilito.
La parte più profonda e invariante della personalità di un’impresa:
• Dove (campo di attività)
• Perché (finalità e obiettivi di fondo)
• Come (filosofia gestionale e organizzativa)

Caso ikea:
• Dove? Un vasto assortimento di articoli d’arredamento belli e funzionanti
• Perché? Prezzi così vantaggiosi da permettere al maggior numero possibile di persone di acquistarli
• Come? Noi sviluppiamo i nostri prodotti partendo dal prezzo. Ottimizzando l’uso delle materie prime e
offrire prodotti di qualità a un prezzo accessibile, per soddisfare le esigenze e i gusti clienti.

Lezione 9, venerdì 19 marzo

3 - Valori:
Sono i principi guida che sono alla base delle scelte strategiche come comportamenti operativi posti in essere
da tutti i componenti del sistema aziendale.
(BUSINESS IDEA: «fattori imprenditoriali sottostanti l'origine di un'impresa» «componente strategica di
origine soggettiva»)
I valori sono ciò che mi consente di capire quali decisioni prendere.
Esempio di IKEA:
• Spirito di squadra
• Attenzione per le persone e per il pianeta
• Consapevolezza dei costi
• Semplicità
• Rinnovarsi e migliorare
• Pensare in modo diverso
• Assumersi e delegare le responsabilità
• Dare il buon esempio

I valori vengono trasmessi anche attraverso le pubblicità

Esempio di Visione, missione e valori in un azienda alberghiera e di crociera.


Hotel Royal
Vision: Every Room A Home
Mission: It is working All Together, our Honour to serve you in every. Opportunity because every Moment
of Truth with you count for us to live up to your Expectation.
Values: Develop Right Attitude, Honour and Competency To Serve, Learn and Improve, Empowerment and
Teamwork

Costa Crociere
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Vision: Noi alla Costa Crociere soddisfiamo pienamente i nostri Ospiti, senza ricevere alcuna lamentela,
offrendo prodotti e servizi che eccedono le loro aspettative durante l'intera esperienza della vacanza; dal
momento in cui si mettono in viaggio fino al loro ritorno a casa. Noi tendiamo a conquistare una posizione di
leadership mondiale mentre continuiamo a rafforzare la nostra posizione di numero 1 in Europa e in Sud
America. Costa Crociere è la compagnia più imitata dai concorrenti, il datore di lavoro preferito, ed assicura
risultati finanziari eccellenti a beneficio degli azionisti, dei dipendenti, dei partner commerciali e della
comunità in generale.
Mission: Noi di Costa rendiamo felici i nostri Ospiti, in modo che essi ripetano “L'esperienza crociera"
solamente con noi. Inevitabilmente i nostri Ospiti diventano i nostri migliori partner per la nostra crescita. I
collaboratori Costa sono la principale risorsa per rendere felici i nostri Ospiti. Possediamo il più spontaneo
orientamento al servizio ai clienti dell'industria delle crociere. Abbiamo ben chiare le esigenze dei nostri
Ospiti e conosciamo i nostri compiti. Serviamo i nostri
Ospiti con estrema attenzione al dettaglio, dimostrando
sempre elevato spirito di iniziativa, grande entusiasmo
ed orgoglio in quello che facciamo.

9.2 - STRATEGIE COMPLESSIVE

Matrice di ANSOFF
Per studiare le strategie complessive si usa una matrice a
quattro quadranti come la SWOT.
La matrice di Ansoff (chiamata anche matrice delle
strategie) è uno strumento di marketing creato da Igor
Ansoff. La matrice permette di determinare quattro
strade per incrementare il proprio business, attraverso i
prodotti esistenti o di nuova concezione, in mercati
esistenti o nuovi. Questo strumento aiuta le aziende a classificare le strategie di crescita intensiva e
diversificativa e a valutare le implicazioni in termini di mutamento delle competenze necessarie per
percorrere con successo i sentieri di crescita individuati.
Cosa sono gli assi della matrice Ansoff?
Prodotto: che può essere attuale oppure diverso. L’impresa può, mirando alla sua crescita, andare a
sviluppare un nuovo prodotto, quindi andare a creare un prodotto diverso, oppure può continuare a crescere
con il suo prodotto attuale.
Mercato: che può essere attuale oppure diverso. Si può far crescere la propria impresa sul mercato dove si sta
già vendendo il prodotto, oppure l’impresa si può spostare di mercato.

Quali sono le quattro strategie di cui la matrice consiste?


La matrice consiste di quattro strategie:
• Market penetration (prodotto esistente, mercato esistente) Questa posizione, caratteristica della maggior
parte delle imprese, vede la proposta di un prodotto esistente in un mercato esistente. Esistono diversi modi
per ottenere questo: il migliore è conquistare i clienti dei concorrenti, attraverso politiche di prezzo. Un
altro modo, attuabile attraverso campagne pubblicitarie e di promozione, è quello di attirare nuovi clienti.
Ovviamente non è possibile aumentare continuamente la propria quota di mercato e spesso le aziende
nascono e muoiono in questo settore.
• Product development (nuovo prodotto, mercato esistente) Un'azienda che controlla già un mercato può
decidere di inserirvi nuovi prodotti. Ad esempio, nonostante McDonald's sia leader del settore fast food,
sovente introduce nuovi panini. Una volta che un prodotto è stato introdotto, è importante poi trovare
clienti che lo acquistino; per consentire ad un'azienda di rimanere competitiva, lo sviluppo di nuovi
prodotti è di cruciale importanza.
• Market development (prodotto esistente, nuovo mercato) Un prodotto esistente in un mercato può essere
esportato in un segmento diverso di consumatori, a livello geografico o di settore. Questa strategia è meno
rischiosa della precedente.
• Diversification (nuovo mercato, nuovo prodotto) Questa strategia è caratterizzata da un alto rischio e da
alti investimenti, ma in caso positivo garantisce i migliori risultati. Il concetto è quello di trovare un nuovo
prodotto e di inserirlo in un nuovo mercato, tipo strategie "Oceano blu"

Ci spiega i quattro casi attraverso il caso Barilla.


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Barilla le ha provate tutte e quattro queste matrici strategiche.
Negli anni 70/80 Barilla da un’analisi interna si rende conto di essere diventata un’impresa con un trend di
crescita pari a zero, cioè non stava più crescendo.
Allora fa una ricerca, e le persone non comprano più pasta perché:
17. È finito quel periodo di ricostruzione post bellica del paese, e quindi le famiglie stanno bene e c’è
mediamente più ricchezza. Quando c’è più ricchezza la gente non compra più pasta/pane, compra più
carne/pesce.
18. Si va abbandonare l’idea di bellezza femminile legata alle curve, in quegli anni le donne dovevano essere
più magre. Quindi il consumo della pasta nel mondo della dieta diminuisce.

Strategia di penetrazione —> Più incisivo sul mio mercato. Barilla vendeva molto al nord e meno al sud. Nel
sud di Italia c’è una cultura della pasta molto più forte, e la vendita di pasta era principalmente artigianale.
Barilla non va ad incrementare la distribuzione, va nei laboratori artigiani. Li acquista e prova a vendere la
propria pasta affiancata alla pasta artigianale, facendo vedere agli acquirenti del sud che Barilla era una
buona impresa.
Questo è stato un fallimento, perché le quantità vendute di pasta non sono incrementati
considerevolmente.

Sviluppo del prodotto—> propongo sul mercato dove mi trovo già dei prodotti differenti. Barilla inventa la
pasta rustica, che andasse più verso i gusti del sud, Barilla poteva vendere la pasta ad un prezzo leggermente
maggiore, perché le persone avevano anche una disponibilità economica maggiore. In secondo luogo
sviluppa la pasta dietetica integrale
Cosa è successo. Il primo impatto sul mercato è positivo, ma non riesce a vendere tanta più pasta. Perché la
gente non è che comprasse la pasta normale e la pasta integrale. Ne comprava solo una, quindi si sostituiva la
pasta normale con quella integrale.

Sviluppare il mercato—> si vengono gli stessi prodotti ma si allarga la vendita da un punto di vista
geografico, vendendo in un altro paese.
Negli stati uniti non c’era la cultura della pasta, quindi Barilla si presenta con un prodotto che ha delle
caratteristiche diverse dalla pasta locale: 1. A livello di gusto era meno piaciuta perché era al dente 2. Il costo
d’acquisto era maggiore (per il trasporto). Barilla inizialmente non voleva produrre negli Stati Uniti, quindi
importare la pasta era molto costoso. Quindi alla fine gli americani non compravano nemmeno loro la pasta
Barilla.
Strategia di sviluppo del mercato: sviluppo del mercato non va inteso solamente in senso geografico, ma va
anche intenso come tipologia di clienti.
Gli zaini Invicta per studenti, era un’azienda che faceva zaini per chi andava a fare trekking. Ha adottato una
strategia per crescere non in senso geografico, ma cambiando il target.

Diversificazione—> cambio prodotto e cambio mercato.


Barilla riflette sulle risorse tangibili/intangibili, le conoscenze. Produce i biscotti di Mulino Bianco, in modo
che nel caso i biscotti fossero falliti, il nome Barilla non venisse rovinato.
Lezione 10, lunedì 22 marzo

9.2.1 - APPROFONDIMENTO SULLA DIVERSIFICAZIONE


La strategia della diversificazione comporta un cambiamento radicale.
Si distingue in due tipologie:

Correlata
Si individua un nuovo prodotto mantenendo un collegamento con ciò che l’impresa vende già (come ha fatto
Barilla con i biscotti Mulino Bianco, perché con la pasta condividono alcune fasi del processo produttivo).
Che tipo di legame può esistere?
• domanda
• canale distributivo
• servizi integrati
• processi produttivi
• tecnologie di processo o di prodotto

15
• materie prime o componenti
• risorse distintive

Conglomerale (o non correlata)


Si individua un prodotto che non ha a che fare con il prodotto “originario” già venduto dall’impresa.
Quali obiettivi persegue?
• individuare e sfruttare le opportunità di business più redditizie per l’impresa
• ottimizzare il rischio finanziario complessivo del suo portafoglio business (settori anticiclici)

Cosa significa ottimizzare il rischio finanziario anticiclico?


Ci sono diversi settori dove l’aumento o diminuzione della domanda è correlato alla situazione economica.
Per esempio, nel settore alimentare, quando l’economia va bene, si vende di più carne e pesce, se invece va
male, c’è un aumento della domanda di prodotti a basso valore, come pasta, pane.
Nel momento in cui la mia impresa produce due prodotti che vanno bene uno per il periodo di buona
economia e l’altro invece per il periodo in cui le persone hanno meno disponibilità economica, riesco a
sfruttare ambedue le domande e a produrre sempre.

Perché scegliere una strategia di diversificazione?


• Mancanza di opportunità di crescita nel settore di origine
• Sfruttamento di risorse e competenze eccellenti al di fuori del settore di origine
• Utilizzazione di capacità in eccesso e la ricerca di nuove opportunità
• Sfruttamento di economie di scopo
• Sviluppo di un mercato interno —> Per alcune imprese non è possibile trovare sul mercato certi
macchinari particolari, quindi diventano esse stesse le produttrici e i primi clienti di quel macchinario.
• Riduzione del rischio
• Aumento del potere di mercato dell'impresa (divento più grande e posso avere più potere sugli
stakeholders)
• Riconversione industriale (imprese che hanno deciso di investire in un nuovo business che non produceva
più, e riconvertire il prodotto che non si usava più per qualcos’altro da FIAT a caldaie con i motori)

L’analisi dell’equilibrio finanziario del portafoglio prodotti:


la matrice BCG (Boston Consulting Group)
La Matrice BCG è uno strumento di pianificazione strategica per l’analisi del portafoglio business di
un’impresa e per lo studio del ciclo di vita del prodotto. Conosciuta anche come Matrice Boston, prende il
nome dalla società Boston Consulting Group che la teorizzò intorno agli anni Settanta.

In questa matrice abbiamo due assi:


19. Tasso di crescita del mercato (che può essere alto o basso): si intende che questo mercato sta
crescendo, si sta verificando un trend di crescita. Esempio: Io
vendo lavagne a gessetto, un’altra impresa produce LIM. Le lavagne nere hanno un trend di crescita
molto basso, perché ormai nessuno più le compra, le lavagne bianche ha un trend più alto .
20. Quota di mercato relativa: misura la forza dell’impresa in un dato mercato in relazione al principale
concorrente in quel settore di riferimento. È quindi il rapporto tra la quota di mercato dell’impresa e la
quota di mercato del concorrente più grande.
Quota di mercato: si intende la fetta di mercato, la porzione di mercato servita dalla mia impresa. Se io
ho solo il dato della quota di mercato, non significa che io sono alto. Bisogna vedere quante imprese ci
sono nel mercato.

Quali sono le caratteristiche dei quadranti?


L’impresa dovrebbe avere dei prodotti in tutti i quadranti, perché è così che si ottiene un equilibrio. A
differenza delle matrici già affrontate, nella BCG c’è una sorta di ciclo
prodotto question mark —> star —> cash cow —> dog

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Question mark: In un mercato dove ci sono buone prospettive,
ma la mia impresa è piccola, devo capire se vale la pena
conquistare nuove quote di mercato e investire. Da un punto di
vista finanziario è un prodotto per il quale io ho dei grossi
investimenti ma ho poche entrate (quota di mercato bassa).
Quest’area strategica è caratterizzata da una crescita di mercato
alta, perché in forte espansione, e una quota di mercato bassa,
per la quale sono richiesti cospicui investimenti e dei quali non
si ha la certezza che generino flussi di cassa consistenti.
All’interno di quest’area si collocano prodotti o servizi da poco
immessi sul mercato e per tale motivo sono considerati un punto
interrogativo. La strategia che viene solitamente adattata è
quella di investimento nello sviluppo del prodotto e del mercato
con particolare attenzione al loro andamento: nel caso in cui si
registrino ritorni negativi è meglio dismettere gli investimenti
da quest’area e da questo prodotto concentrandosi su altri. L’azienda ha su questi prodotti delle mire
espansionistiche nonostante generino ancora poche risorse, cerca di farli diventare dei prodotti “star” e i
principali investimenti vengono fatti in innovazione e pubblicità, al fine di poter diventare leader di mercato.

Star: Questi prodotti hanno quota di mercato alta, perché l’azienda è molto competitiva, e tasso di crescita
alto, perché registra un importante ritorno di investimento. Da un punto di vista economico pero la situazione
è che ho sì tante entrante, pero ho anche tante uscite, perché devo continuare a fare investimenti. Ho un
equilibrio finanziario borderline. I prodotti star però mi stanno disegnando un futuro nell’impresa. Nel lungo
periodo essi possono trasformarsi in cash cow.

Cash cow: prodotti contraddistinti da un basso tasso di crescita e da un’elevata quota di mercato. Si
chiamano “mucche da mungere” poiché la strategia da attuare è quella di riuscire a ottenere da questi il
massimo e reinvestire il flussi di cassa in altre aree. Si trovano in un mercato a crescita stagnante ma sono
prodotti di un’azienda leader di mercato, dunque generano grande liquidità senza la necessità di grossi
investimenti.
Prodotto in un mercato che non ha prospettive di crescita, ma dove io sono l’impresa leader. Sono importante
in un mercato che si è assestato. Vendo tanto e non devo fare grandi investimenti, devo solo mantenere alto il
brand. Non devo più esplorare.

Dog: prodotti con bassa quota di mercato e basso tasso di crescita. Si possono considerare degli ostacoli al
funzionamento dell’azienda perché alle volte non generano profitti sufficienti al pareggio e di conseguenza la
strategia attuata è spesso quella di disinvestimento. Fra i motivi che spingono le aziende a mantenere in vita
queste aree di business o questi prodotti c’è l’intenzione di continuare comunque a presidiare il mercato pur
non generando profitti.
Mercato basso e quota basso. Per l’impresa non ha senso rimanere, non si investe. Quando si arriva dog si
toglie il prodotto = Exit business.
Nella Dog: la presenza di un prodotto dog, è un’impresa che innova e si muove.
È un bel segnale vedere che c’è un prodotto dog perché è un’impresa che sta attenta ai cambiamenti del
mercato e che continua ad innovarsi, mettendo e togliendo prodotti per stare dietro alla domanda del
mercato.
Mi fa capire quali prodotti non stanno andando tanto bene nel mercato e quindi prendo di conseguenza delle
decisioni per innovare la mia impresa.

Filiera produttiva: insieme di lavorazioni conseguenti che vengono effettuate per trasformare un certo
insieme di materie prime in un prodotto finito e collocarlo sul mercato. La sequenza di fasi che parte dalla
materia prima fino al prodotto finito.

Costi transazionali: Gli oneri insiti nella preparazione e attuazione dello scambio sul mercato.
L’impresa può scegliere di seguire tutte le fasi della filiera oppure di affidarsi ad altre imprese e di prendere
da loro i semilavorati. L’impresa deve stare attenta, da un punto di vista economico, alla differenza di costo
che c’è tra il fare autonomamente tutte le fasi oppure solo alcune. Non c’è però da considerare solamente il
costo d’acquisto del semilavorato, ma anche i costi della preparazione e attuazione dello scambio sul
17
mercato, ovvero la conoscenza del fornitore, fasi
amministrative, ecc., cioè tutti questi costi degli scambi in
termini di relazioni.

9.2.2 - APPROFONDIMENTO SULLA STRATEGIA DI


INTEGRAZIONE
La strategia di integrazione va a far crescere l’impresa
facendo la scelta di integrare dentro di se le fasi della filiera
produttiva.

VERTICALE
Nel momento in cui l’impresa aggiunge alla fase che
attualmente ricopre, un’altra fase che avviene o prima o
dopo si chiama integrazione verticale. Io produco B e posso
integrare verso la fase A oppure C.
Esempio: Io produco farina e aggiungo la fase di produzione
del grano (non compro più grano, ma lo produco io) oppure aggiungo la fase di produrre pane.
A valle: quella successiva (pane)
A monte: quella precedente (grano)
Con questa strategia, l’impresa cresce in questo modo il valore aggiunto (il valore creato dalla mia impresa)
e aumento il potere di mercato (perché posso influire di più sul mercato).
L’impresa ha anche un maggior controllo della filiera: per questioni di tempistica, controllo della qualità del
prodotto.
Creo anche delle barriere all’entrata—> si intende qualcosa che blocca l’ingresso nel mio settore da parte di
altre imprese, si limita la concorrenza.

Quali sono i vantaggi principali sono legati tra monte e valle?


• A monte: al controllo della qualità, riesco a seguire meglio le tempistiche, controllare e selezionare le
materie prime nel caso siano ‘rare’, come i metalli preziosi.
• A valle: ho un feedback dai clienti, ho informazioni dal mercato più velocemente e più chiare (telefono
senza fili - storpiaggio delle informazioni).

ORIZZONTALE
Investimenti per espandere l’impresa rimanendo sempre nella mia fase della filiera produttiva.
I vantaggi: aumentare la quota di mercato (l’impresa può diventare più importante poiché più grande),
l’economie di scala (si intende un fenomeno per il quale se io lavoro su una scala/dimensione maggiore io ho
dei risparmi di costo), per sfruttare le risorse che ho già nella mia impresa (anche per eccessi di capacità
produttiva), rispetto a quella verticale è una strategia meno rischiosa e più veloce.

Come può avvenire una strategia di integrazione orizzontale?


• Per via interna: è l’impresa che va a creare una nuova capacità produttiva (attraverso acquisti e
investimenti). Esempio: voglio allargarmi e acquisto un nuovo stabilimento e nuovi macchinari, così vado
a produrre di più quel determinato prodotto.
• Per via esterna: non fa un investimento di prima mano, ma cerca all’esterno se esiste una impresa già
esistente ed acquistabile, per poi farla sua (è una capacita produttiva già esistente, l’impresa semplicemente
la compra).

9.3 LE STRATEGIE COMPETITIVE


Cosa sono le strategie competitive?
Le strategie competitive sono delle strategie che hanno come obbiettivo la ricerca del vantaggio competitivo.
Dopo aver deciso la strategia di corporate e di essersi ritrovati in un contesto competitivo devo decidere la
mia strategia per aver successo e prevalere sulle altre imprese.
Questa strategia si basa sulle risorse distintive dell’impresa, le risorse tangibili, intangibili e le competenze
che la caratterizzano.

Il vantaggio competitivo:

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Risultato di una strategia che conduce l'impresa a occupare e mantenere una posizione favorevole nel
mercato in cui opera, e che si traduce in una redditività stabilmente maggiore quella media dei competitori.
Strategie competitive di:
- Leadership di costo
- Differenziazione
- Focalizzatine
- Collaborazione
Queste sono alternative, nel senso che l’impresa può scegliere una delle strategie elencate (anche se a volte
possono essere usate anche più di una o un mix). Le prime due sono le più importanti.

1. Cos’è la leadership di costo?


È una strategia che mira a farmi ottenere un vantaggio giocando sul prezzo di vendita del mio prodotto. Nel
momento in cui competo sulla base del prezzo, riesco ad avere più clienti perché ho un prezzo più basso.
Come faccio ad avere un prodotto più basso?
Con le economia di scala, sfruttarle significa avere dei costi medi unitari minori, mi è possibile quindi andare
sul mercato a parità di qualità del prodotto però a un prezzo più basso.
Le imprese che si possono permettere questa strategia sono quelle più grandi, (vedi le economie di scala).
Il prezzo di vendita deve essere superiore al prezzo di produzione, se sono piccolo non posso comprare in
grandi quantità e quindi avere un risparmio, ci sono dei fattori intangibili con cui posso avere delle
agevolazioni (fornitore che mi abbassa il prezzo).
Si potrebbe eventualmente abbassare la qualità del prodotto, però si potrebbero perdere clienti.

2. Cos’è la strategia di differenziazione?


Differenziare vuol dire dare al prodotto una componente (tangibile o intangibile) che lo differenzi dagli altri
prodotti messi sul mercato. Può trattarsi di: variante colore, personalizzazione, modello, caratteristiche
particolare, brand (intangibile).
Se l’impresa riesce a comunicare la differenziazione del prodotto, il consumatore potrebbe essere disposto a
pagare un po’ di più per quel specifico prodotto. La differenziazione nel settore turistico si basa sulle stelle.
L’attribuzione di stelle è di fatto una strategia di differenziazione per il tipo di servizio che offro. L’impresa
si diversifica dalle altre per il tipo di servizio che offro.

Esempio: quello della Beta utensili, che con il fatto che negli ultimi anni si è fatta molto spazio all'interno del
settore del racing e del motorsport, ha proposto una gamma completa di accessori per la riparazione
automobilistica, per settore ciclistico ecc. Inoltre hanno creato tanti modelli di utensili un po' per tutte le
tasche, con un buon rapporto qualità-prezzo.

3. Cos’è la strategia di focalizzazione?


È una strategia con la particolarità di essere riservata per le imprese che servono le nicchie di mercato.
Un mercato di nicchia (o nicchia di mercato), è un segmento con bisogni e preferenze specifiche, che lo
distinguono dal resto del mercato.
Capito il segmento di mercato, trovo un gruppo ancora più ristretto per vendere.
Esempio: Prodotti vestiari per persone disabili, queste aziende lavorano in una nicchia di mercato. La
competizione in questi settori è più bassa, perché non ci sono molti competitori.

4. Cos’è la strategia di collaborazione?


Sono quelle strategie che possono assumere varie forme, che permettono alle singole imprese di avere un
maggiore vantaggio competitivo attraverso la collaborazione con i concorrenti.
Creare un consorzio in modo da avere una richiesta elevata di una materia prima/servizio ed ottenere un
costo medio unitario più basso.

Esempio:
Sette alberghi di una certa località si mettono d’accordo con una lavanderia, in questo modo ottengono un
vantaggio verso il fornitore che da gli asciugamani (che avendo una richiesta alta di asciugamani, abbasserà
il costo medio).
Per le imprese alberghiere possiamo avere: Alleanze franchising - contratti di management - consorzi ...

19
Obiettivo: economie di scala in alcune attività come
commercializzazione, promozione, acquisti centralizzati o
convenzionati ...
In genere non la crescita dimensionale nel numero delle
strutture
10 - IL FENOMENO DELLE ECONOMIE DI SCALA

Cosa sono le economie di scala?


Le economie di scala sono un fenomeno che vedo dal
punto di vista economico conseguente alla diminuzione del
costo medio unitario all’aumentare della quantità prodotta.
Cioè se io aumento la quantità prodotta (prima producevo
50 e ora produco 100), diminuiscono i costi medi unitari
dell’impresa.
Costi medi unitari: sono il totale dei costi (tutte le tipologie di
costi: affitto del capannone, costo del personale e della materia
prima ecc.), diviso la quantità di prodotti.

Perche avviene questo fenomeno?


Con l’aumentare della quantità prodotta, l’impresa riesce a
livellare i costi di produzione ed ad abbassare il costo medio.
Lezione 11, giovedì 25 marzo

10.1 - ECONOMIE DI SCALA ESTERNE:


Interne: hanno a che fare con i fattori interni all’impresa.

Tecniche: hanno a che fare con gli aspetti tecnici. Un primo fattore
che spiega questo tipo di economie di scala è la cosiddetta soglia
minima d’impiego, chiamata anche imperfetta divisibilità dei fattori.
Esempio: una grande impresa ha un ufficio interno dove lavora un’impiegata a tempo pieno con tutta
l’attrezzatura che viene usata il 100% del tempo. Nell’impresa piccola invece l’attrezzatura viene usata solo
part-time. L’investimento, indipendentemente che sia usato 8 ore al giorno oppure 4, ha sempre lo stesso
costo (soglia minima d’impiego). C’è un minimo di soglia d’acquisto al di sotto del quale non riesco ad
andare. L’impresa più piccola deve quindi affrontare un costo maggiore per quello che viene usato
effettivamente. Se io lavoro su una scala più ampia, le conoscenze/risorse intangibili vengono usate
maggiormente.
Relazione area-volume: si dice che i costi crescono in relazione all’area, i benefici crescono in relazione al
volume. Esempio: un’impresa commercia sabbia, quest’impresa decide di fare un nuovo investimento in un
nuovo camion più grande per il trasporto. Il camion con il cassone doppio costa di più di quello singolo, ma
decisamente non il doppio. Il costo sì cresce però il beneficio economico di ciò che viene trasportato è
raddoppiato. I benefici che vado a creare dopo un’investimento sono maggiori rispetto al tasso dei costi.

Gestionali: hanno a che fare con gli aspetti gestionali delle risorse.
Sfruttamento del livello di impiego ottimale
L’impresa può ottenere importanti benefici dalle economie di scala andando ad ottimizzare
l’impiego delle risorse tangibili.
Esempio: in un’impresa ho una linea di produzione di tipo sequenziale con tre macchinari. Ogni macchinario
ha una capacita produttiva all’ora diversa.
Qual’è la quantità di prodotto ottimale per l’impresa? Se A produce 10 pezzi all’ora, B 20 pezzi e C 50
pezzi?
Sarebbe 100 pezzi all’ora. Mi servono 10 macchine di tipo A, 5 di tipo B e 2 di tipo C così da non avere
nessuno scarto/spreco di capacità produttiva.
Con questa configurazione del processo ho una ottimizzazione della risorsa dei macchinari, perché ciascuno
viene usato al 100% delle sue capacità.
Se l’impresa è più piccola e deve produrre 80 pezzi all’ora, avremo 8 macchinari A, quattro di B ma avremo
una problema con il macchinario C, che o produrrà meno di quanto richiesto, oppure, avendo due
macchinari, sprecherò parte della capacità produttiva. Il costo dei due macchinari vanno a far aumentare il
20
costo medio del prodotto. Se io cresco come dimensione riesco a raggiungere un livello ottimale della
capacità produttiva, quindi senza sprechi, potrò diminuire il costo medio dei prodotti.

Forme di autoassicurazione (o legge dei grandi numeri)


Nel momento in cui l’impresa si muove su una scala più ampia riesce a godere dei risparmi di costo dal
punto di vista dell’assicurazione (per proteggermi da eventi negativi). Con la mia grandezza e il guadagno
che ricavo da essa, riesco a coprire i costi di un eventuale evento negativo. Parliamo di possibilità di grandi
imprese di poter attutire gli impatti negativi di alcuni eventi (anche i prodotti anticiclici sono dei cuscinetti)
Esempio: Due imprese del settore agricolo. Una piccola e una grande.
Una tempesta colpisce il vigneto di quella piccola, e non può raccogliere uva.
Anche l’impresa più grande viene danneggiata tanto quanto quella piccola, però ha talmente tanti vigneti in
tanti posti che alla fin fine non è un grandissimo problema, perché anche se perde un vigneto su 20 non
cambia molto, se invece perde un vigneto su due quello è un grande problema. L’impresa grande avendo una
dimensione maggiore si è creata un’autoassicurazione perché riesce ad avere guadagni da altri vigneti (o
prodotti).

Gestionali: Tutti gli aspetti legati alla gestione del personale. Nel momento in cui un’impresa è più grande, ci
saranno più persone che lavorano e posso permettermi di avere del personale specializzato per una certa
mansione.
Esempio:
Impresa piccola: Ho un ufficio dove lavora un’impiegata che si occupa di tutte le attività di segreteria.
Nell’impresa più grande: non c’è solo una persona, ce ne sono 3. Io posso suddividere le attività e far si che
le tre persone si specializzino ognuna su un’attività specifica. Da un punto di vista dei costi, se riesco a
specializzare il mio personale, ho degli impiegati che lavorano più velocemente, perché non si è interrotti da
altre faccende (se una deve fare una fattura e poi ha da organizzare un meeting e rispondere anche al
telefono, ora che finisce la fattura è passato il triplo del tempo rispetto ad una segretaria che è concentrata
solamente sulla fattura). Inoltre, se io non sono specializzata in una attività c’è sempre un margine di errore.
La maggiore specializzazione porta un costo minore. Un’eccessiva specializzazione potrebbe però portare a
una minore efficenza del lavoratore. Fenomeno dell’alienamento —> se una persona fa da anni solo un micro
pezzettino di un processo 1. si stufa e 2. non ha una visione d’insieme della gestione dell’impresa.

10.2 - ECONOMIE DI SCALA ESTERNE:


Fattori che hanno influenza sull’impresa e che fanno parte del contesto all’esterno di essa, tutto ciò che è nel
rapporto con gli stakeholder esterni.
• Brand loyalty: fidelizzazione del client rispetto a un brand (Barilla)
• Store loyalty: fidelizzazione del cliente rispetto a l’impresa distributrice (Esselunga)

Esempio: La dimensione delle imprese può avere effetti sui costi medi unitari. Uno degli strumenti più
importanti per la brand loyalty era la raccolta punti.
Mangiavamo tanta pasta Barilla e poi avevamo abbastanza punti per prendere un premio. Chi se lo può
permettere la raccolta punti? I produttori più importanti perché è una spesa consistente. Nei confronti del
distributore. Se ad un certo punto Auchan decide di dire a Barilla di fare uno sconto, ma Auchan tiene duro e
dice che nei supermercati non ci sarà più Barilla. Auchan dopo un mese vede che ci sono meno clienti perché
non ce più Barilla. Il potere in questo caso è nelle mani del produttore
La tecnologia ha reso possibile la automazione delle casse del supermercato… codice a barre e lettura a
laser. Questa innovazione ha dato la possibilità agli store di prendersi in mano la raccolta punti. Le tesserine
della coop o del Conad, facendo una raccolta punti anche nel supermercato.
Quindi una maggiore dimensione permette al distributore (tantissimi clienti, molto grande) di imporsi sul
produttore ed ottenere un prezzo più basso. Il distributore non perde molto perché indipendentemente che
non ci sia una marca sugli scaffali alla gente non interessa troppo.

10.3 - FENOMENO DELLE DISECONOMIE DI SCALA.


Stranamente la curva del costo medio unitario torna su da una certa quantità prodotta in poi, cioè i costi al
posto di diminuire aumentano. Può essere che dopo un po’ la gestione del lavoro possa avere delle
ripercussioni negativi.

I motivi possono essere:


21
- gestionali, come l’eccessiva specializzazione, dove i
dipendenti non hanno più una visione d’insieme
- Eccessiva burocratizzazione, troppi livelli gerarchici
rendono le comunicazioni più lente e complicate

DEM: dimensione efficiente minima. La quantità


prodotta più bassa per il miglior livello di efficenza per
la mia impresa. Ho il costo medio unitario più basso.
Rappresenta il punto d’arrivo per l’impresa perché
significa che la mia azienda è efficiente al massimo.
DOM: dimensione ottima massima. La quantità che mi conviene produrre per avere un risultato ottimo,
perché se la mia quantità è dom significa che io ho sfruttato al massimo quel costo medio unitario.

Qual è la quantità produttiva ottimale per l’impresa?


È una quantità che sta tra la DEM e la DOM perché della DEM in poi so che sto lavorando con i costi medi
unitari più bassi, e prima della DOM perché dopo iniziano le diseconomie di scala.

Prodotti a marca commerciale: prodotti della Coop o Conad, quindi dell’impresa distributrice e non di altri
produttori tipo Barilla o Mulino Bianco. Inizialmente i prodotti a marca commerciale non ebbero molto
successo perché veniva considerati a bassa qualità.
Un’impresa industriale produce i prodotti per l’impresa distributrice.

Dietro a questi marchi ci stanno i piccoli o grandi produttori?


Inizialmente venivano prodotti da piccole imprese che non avevano brand sul mercato, questo permetteva un
costo molto più basso. Però a volte i contratti erano troppo stretti per le piccole imprese e quindi dopo un po’
si cessava di produrre da loro e si passava a delle aziende più grandi.
Effettivamente però la qualità del prodotto era minore perché si cercava sempre di avere un costo ridotto. Il
fatto che si continuasse a cambiare produttore, c’è una differenza nella percezione del cliente, che a volte
rimane insoddisfatto.
Il pensiero del produttore è inoltre: io vado a produrre per un concorrente ad un prezzo minore, quindi mi
faccio concorrenza da solo.
Se l’impresa va a produrre in più per un’altra impresa (supermercato) riesce a raggiungere la DEM. Il cliente
quindi si trova due prodotti con la stessa esatta qualità, di due marche diversi, e due prezzi diversi.

Lezione 13, lunedì 29 marzo

11 - STUDIO DI SETTORE / AMBIENTE COMPETITIVO


Cos’è lo studio dell’ambiente competitivo (o studio di settore)?
Insieme delle forze e dei soggetti operanti all’interno dello specifico campo di attività dell’impresa e con cui
essa interagisce. È molto importante conoscere il settore dove lavoriamo, per studiarlo il modello di Porter è
molto utile.

MODELLO DELLE CINQUE FORZE COMPETITIVE (Porter)


21. Intensità della concorrenza nel settore.
22. Minaccia nuovi entranti nel settore.
23. Competizione indiretta da prodotti o servizi sostitutivi.
24. Potere contrattuale dei fornitori.
25. Potere contrattuale degli acquirenti.

1 - Intensità della concorrenza nel settore


Significa andare alla ricerca delle dinamiche competitive interne del settore, capire quante sono le imprese,
quali equilibri si vengono a creare all’interno del settore. Vado a studiare all’interno del settore come tutte le
imprese competono, quanto intensa è la concorrenza.

Che cos’è la concentrazione di un settore?


Si intende quanto è concentrato il settore nelle mani di una o poche imprese. Si dice che il mercato è
concentrato quando una parte importante di esso è concentrato in una sola impresa.
22
Settore concentrato: Un settore che è formato da 10
imprese, di cui 2 grandi e 8 molto piccole.
Settore poco concentrato: in un altro settore le
imprese sono circa tutte circa la stessa grandezza,
hanno tutte circa la stessa quota di mercato.

Cos’è la curva di Lorenz?


Ci permette di capire il grado di concentrazione di
un settore. Nel diagramma, sulle ascisse
(orizzontale) abbiamo le imprese e le ordiniamo in
ordine crescente. Sulle ordinate (verticale) andiamo
a mettere il fatturato di ciascuna impresa.
Retta di equi-distribuzione: il grafico ha una retta
nera che rappresenta un mercato perfettamente equo distribuito, cioè il mercato ideale e difficile da trovare.
Il settore rosso è più concentrato di quello giallo.

> BARRIERE ALL’USCITA: sono degli ostacoli che rendono difficile l’uscire dal mercato alle imprese
già presenti sul mercato. Quell’impresa che ha come finalità l’uscita porta una concorrenza anomala, perché
ad essa non interessa collaborare per avere dei prezzi più bassi o avere un buon guadagno, preferisce
liquidare e svendere i suoi prodotti (con cui le altre imprese non possono competere in termini di prezzo).
L’impresa che vuole uscire è poco prevedibile e non fa bene alle imprese che vogliono rimanere nel settore.
Quando un’impresa esce dal mercato deve sostenere costi aggiuntivi di liquidazione per il personale e per
chiudere contratti con i fornitori e canoni di locazione.
• Idiosincraticità degli impianti: esistono degli impianti talmente specifici (costruiti a doc) per la produzione
che all’impresa uscente comportano grandi difficoltà dismetterli (alti costi di dismissione, impatto negativo
economico e sociale).
• Interrelazioni con altri business dell’impresa stessa: a volte l’impresa rimanda l’uscita perché il business,
per il quale vuole uscire, serve anche a un mercato interno. Il mercato potrebbe impedire l’uscita. (Esempio
dell’impresa che produce sia chimici che cosmetici, vuole chiudere la parte dei chimici, ma finché non
trova un altro fornitore, perché parte dei chimici servono anche per la cosmetica, deve continuare a
produrre chimici e poi li vende a un prezzo relativamente basso perché non gli interessa crescere in
quell’ambito)
• Intervento di attori istituzionali: a volte l’impresa decide di chiudere un determinato stabilimento. Lo stato
da un contributo per mantenerlo aperto (così da non avere una grande perdita di posti di lavoro) anche se
crea una concorrenza sleale (perché lo stato aiuta solo le grande aziende).
• Riconversione del soggetto economico (ragioni personali): Difficilmente riesce a riconvertirsi, quindi
finisce fino all’età della pensione. Come si riconverte il soggetto, ossia cosa farà il soggetto dopo aver
chiuso l’impresa? Esempio. Coppia di anziani che gestiscono un negozio di alimentari che sta andando in
fallimento e a cui mancano 6 anni alla pensione. Difficilmente troveranno lavoro se chiudono il negozio.

2 - Minaccia nuovi entranti nel settore


L’impresa deve stare attenta alle possibilità di nuove imprese di entrare nel settore e di diventare un altro
concorrente.

BARRIERE ALL’ENTRATA: sono degli ostacoli che pone chi sta già dentro al settore in modo che non
entrino nuove concorrenze.
• Istituzionali: dettata dalla legge. Se c’è già una tabaccheria, io non ne posso aprire una a 500 metri. Stessa
cosa con la farmacia.
• Strutturali (dovute a:)
• Economie di scala, di esperienza, di scopo —> se all’interno del settore sono presenti delle imprese che
hanno lavorato molto bene e godono di forti economie di scala, qual’è l’effetto sulle altre imprese?
L’impresa new entry potrebbe provare a proporre gli stessi prezzi dei concorrenti (le imprese già esistenti,
che sono molto bassi), però è difficile resistere a lungo perché il margine di guadagno si ridurrebbe molto.
Di esperienza: nello specifico parliamo dell’esperienza delle persone che lavorano nell’impresa
(diminuzione dei costi grazie alle conoscenze). Di scopo: conosco di più e posso accogliere più
opportunità.

23
• Vantaggi di costo assoluto —> un’impresa già presente nel settore ha, rispetto alla new entry, dei vantaggi
in senso economico, non solo per le economie di scala, ma anche per i prezzi di favore dei fornitori.
• Condizioni di accesso ai canali di distribuzione e fornitura —> il fatto che un’impresa già presente nel
settore abbia già aperto canali di fornitura e di distribuzione rende più facile ed efficiente i rapporti
commerciali.
• Strategiche —> le imprese già presenti nel sistema hanno già ottimato le loro strategie, per esempio quelle
di diversificazione. In questo ci sarà sul mercato un’offerta molto ambia e ben organizzata. La new entry
solitamente non può giocarsi la strategia del prezzo basso e (spesso per la differenziazione) è difficile
inventarsi qualcosa di nuovo se tutte le altre imprese hanno già molti prodotti particolari.

Lezione 14, giovedì 1 aprile

3 - Competizione indiretta da prodotti o servizi sostitutivi


La terza forza del modello di Porter va ad indagare se è possibile subire una competizione indiretta da
prodotti o servizi sostitutivi. La concorrenza che un’impresa deve affrontare non necessariamente si trova
nello stesso settore o da imprese che potrebbero entrare nel futuro nel mercato. La concorrenza che mi porta
via quote di mercato può arrivare anche da imprese che stanno in un altro settore i cui prodotti possono
sostituire il mio.
Un’impresa concorrente che lavora in un altro settore, a livello di soddisfazione del bisogno del cliente, può
sostituire il mio prodotto anche se viene da un settore diverso.
Esempio: Gardaland non è solo in competizione con altri parchi divertimento, ma lo è con i centri
commerciali, o i concerti, o le spa, o le piscine, anche se è soggettivo.

Cos’è l’elasticità incrociata della domanda?


È uno strumento utile per andare a misurare la competizione indiretta.
È la misurazione dell’eventuale variazione della quantità venduta del mio prodotto sulla base della
variazione del prezzo di vendita del prodotto che potrebbe essere in competizione con me.

Esempio: io produco Coca Cola e mi sto chiedendo se la Birra XX è in competizione con me. Vado a
misurare se nel momento in cui la birra è in offerta al supermercato io le mie vendite di Coca Cola si
abbassano (perchè la gente non compra la Coca Cola, ma la birra, dato che costa di meno).
Se si abbassa/alza il prezzo di quel prodotto, cambia la quantità che vendo di un altro prodotto? Se sì, allora
la birra sarà in competizione.
Esempio del settore lapideo: un’impresa veronese di marmo è stata in competizione con un’impresa di
ceramica di Sassuolo, che hanno sviluppato dei prodotti che replicano a perfezione il marmo.Per il cliente era
più economico comprare la ceramica che il marmo, e anche tenere pulito un pavimento in ceramica è più
facile di un pavimento in marmo.

Cosa deve fare l’impresa nei confronti dei prodotti o servizi sostitutivi?
Deve almeno tenere monitorati i movimenti di quelle imprese che si pensa siano in competizione.

L’elasticità incrociata mi serve anche per stabilire i confini del settore —> l’andare stabilire quali sono le
imprese che hanno de prodotti sostitutivi mi fa capire i limiti del settore, ovvero il raggruppamento di
imprese che producono la stessa cosa. Oltre ai confini di settore ‘‘classico’’, chi altro si deve considerare?
L’elasticità incrociata è un ottimo metodo per capire chi compete con l’impresa, però per capire se
effettivamente è un prodotto che mi fa concorrenza bisogna registrare una serie storica dati per un lungo
tempo (un anno circa).
Oppure posso usare la mappatura dei raggruppamenti strategici, attraverso l’individuazione dei fattori di
omogeneità, cioè offerta della mia impresa rispetto alle altre.

UN POSSIBILE MODELLO, proposto da Abell, basato su 5 variabili:


26. Gruppi di clienti -> Cerca di capire se quell’impresa serve lo stesso gruppo di clienti
27. Funzioni d’uso -> Ha quel prodotto lo stesso uso del mio?
28. Tecnologie utilizzate -> Usa quell’impresa per produrre una tecnologia simile alla mia?
29. Estensione geografica-> Quell’impresa serve lo stesso mio mercato (geografico)?

24
30. Ampiezza verticale delle attività svolte -> Quell’impresa si sviluppa verticalmente (strategia di
integrazione verticale) in attività che sono omogenee alle mie attività?

Si costruisce una sorta di tabella con cinque righe con queste cinque variabili, le colonne rappresentano le
imprese ‘possibili’ concorrenti. Così posso spuntare quali imprese sono mie concorrenti oppure no. C’è chi
dice che bastino tre spunte, alcuni ne considerano 5.
Qua dipende tutto dal mio livello di gestione del rischio e di preoccupazione che ha l’impresa.

4 - 5 Potere contrattuale degli acquirenti e dei fornitori


Trattiamo i punti 4 e 5 insieme perché parlano entrambi del potere contrattuale, a valle e a monte.
Le dinamiche competitive all’interno di un settore sono strettamente influenzate anche dai legami tra gli
acquirenti e i fornitori. È legato al concetto che la competizione all’interno dell’ambiente dipende anche da
come si giocano le forze nelle mani di chi ha il potere contrattuale.
Ci sono settori in cui il potere contrattuale è nelle mani dei fornitori (soggetti a monte) e altri in cui il potere
è degli acquirenti (soggetti a valle).
Solo alcuni esempi di fattori che possono influenzare il potere contrattuale:
• Concentrazione dei fornitori e loro dimensione
• Rilievo economico e strategico. Dalla parte degli acquirenti, per esempio, se l’impresa produce un certo
bene nel settore alimentare, non essere sugli scaffali di alcuni grandi supermercati condiziona moltissimo,
perché il potere contrattuale degli acquirenti (catena distributiva) ??
• Capacità dei fornitori o acquirenti di integrarsi verticalmente. Vado ad analizzare se i fornitori o gli
acquirenti possono integrarsi verticalmente, e vedere se potrebbe diventare un mio concorrente, occupando
la mia filiera produttiva.
• Livello dei costi di conversione. Mi vado a chiedere se i miei attuali fornitori ed acquirenti potrebbero sulla
base dei costi di conversione, convertire la loro produzione e iniziare a produrre quello che produce la mia
impresa.
• Esistenza di prodotti sostitutivi. Mi chiedo se dai produttori/acquirenti potrebbe saltar fuori qualche
prodotto sostitutivo.
• Trasparenza del mercato. Non sempre le informazioni fluiscono equamente nel mercato, la mancata
trasparenza mette nelle mani degli acquirenti/fornitori un maggiore potere contrattuale.

… studio di settore…
Oltre al MODELLO DELLE CINQUE FORZE COMPETITIVE (Porter)
si può aggiungere:
• Intensità dell’azione degli stakeholder esterni. Ovvero possiamo oggi non considerare lo studio degli
stakeholder esterni? no. Vanno anche considerate le loro interferenze.
• Integrazione con imprese complementari rispetto alla domanda (TIPICO CASO IL SETTORE
TURISTICO).

Lezione 15, mercoledì 14 aprile

12 - FOCUS SULLE STRATEGIE DI


INTERNAZIONALIZZAZIONE

12.1 - PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE


Con questa matrice possiamo vedere quali possano essere le diverse
alternative attraverso le quali noi possiamo procedere con un
processo di internazionalizzazione.
Non esiste un unico modo per internazionalizzare, che ha anche a
che fare con quelle che sono le relazioni che si instaurano con altri
partner, dipenderà dalle proprie risorse intangibili e competenze
l’approccio all’internazionalizzazione.
La strategia di internazionalizzazione porta una proiezione delle
proprie attività al di fuori dei confini del paese.
È importantissimo capire le macro vie attraverso le quali l’impresa
si può internazionalizzare, capire quali sono gli aspetti principali da
considerare in termini di variabili, risorse, capire qual è l’impatto della scelta, capire come scegliere il paese.
25
Matrice di scelta del processo di internazionalizzazione
Assi:
Dispersione/concentrazione geografica delle attività: se l’impresa nel processo sceglie di concentrare
determinate attività in una specifica area geografica oppure disperderle in più aree geografiche. Ciò significa,
per quanto riguarda la produzione, concentrare tutto in un solo paese oppure in più paesi.
Coordinamento delle attività: il livello di complessità delle attività di coordinamento tra tutte le attività, che
può essere bassa o elevata. Sulla base di quelle che sono le risorse, in particolare quelle intangibili, l’impresa
potrà permettersi un processo di internazionalizzazione che necessita una coordinazione elevata oppure
bassa.

I quadranti:
31. Attività nel paese di origine e vendita all’estero mediante esportazione:
È il classico processo di internazionalizzazione e il più semplice. In questo quadrante abbiamo la
concentrazione geografica delle attività e abbiamo un coordinamento basso. L’impresa italiana mantiene
tutte le attività di produzione, amministrazione e logistica in Italia ed internazionalizza le vendite
(esportazione), le attività sono concentrate maggiormente in Italia, anche le attività commerciali perché
vengono gestite in Italia.

2. Replicazione della catena del valore in ogni paese estero:


Abbiamo una dispersione geografica in più paesi. Duplico le mie attività in più paesi. Non disperdo le varie
attività in tanti paesi, ma faccio copia/incolla di tutta la catena di valore all’estero. Il livello di coordinamento
è basso perché l’impresa va a creare all’estero un fac simile di ciò che ha già in Italia.
Lo studio della catena del valore è lo studio delle diverse attività che tutte unite vanno a comporre l’insieme
dell’attività d’impresa, la catena del valore mi dice quali sono le diverse attività, rappresenta quale valore
apporta ognuna di esse e come sono concatenate tra di loro.

3. Delocalizzazione (concentrata) di una o più attività:


Abbiamo lo spostamento all’estero di una o più attività, quindi non dell’intera catena di valore. Rimane però
concentrata, esempio: Produco in Romania, l’amministrazione è in Italia, gestione dati e social in Lituania,
magazzini in Polonia. Io ho una concentrazione geografica delle attività, perché tutte le attività di logistica
vengono svolte in Polonia, tutte quelle produttive in Romania, ecc, c’è quindi un singolo paese per attività.
Però il livello di coordinamento a questo punto deve essere elevato, perché l’impresa per funzionare ha
bisogno di un costante coordinamento delle attività.

4: Network globale con attività concentrate:


Abbiamo una dispersione delle attività oppure anche in parte una replicazione della catena del valore. Questo
è classico processo di internazionalizzazione delle grandi multinazionali, che si muovono in moltissimi paesi
e scelgono delle strategie diverse, per questo’è un coordinamento elevato.

Dal primo al quarto approccio noi osserviamo una dimensione crescente dell’impresa. Tendenzialmente le
imprese che optano per la strategia 1 sono più piccole e si cresce man mano che si arriva alla quarta strategia.

12.2 - GLI ACCORDI


Dal momento in cui noi andiamo a studiare le attività che vengono potenzialmente coinvolte in un processo
di internazionalizzazione, il passaggio successivo è preoccuparsi di quelli che sono gli accordi che devono
essere sviluppati per poter poi poter produrre e svilupparsi all’estero. Ci sono accordi di varia natura, alcuni
più formali altri meno. È importante accordare entità/organizzazioni differenti per portare avanti il processo
di internazionalizzazione che si è deciso.
- Accordi di natura tecnologica. riguardano accordi che vanno a rendere possibile uno scambio, un uso e un
funzionamento di queste diverse realtà che si vanno a muovere in diversi paesi da un punto di vista
tecnologico (Concessione di licenze, brevetti, andare a creare un joint mentir, ecc.). L’obiettivo è in
genere il trasferimento di tecnologia, un’integrazione verticale (attraverso questi accordi riesco ad
integrare un’attività a monte o a valle, perché riesco and ottenere un accordo con chi deteneva
quell’attività prima di me), per ridurre i rischi e condividere i costi della ricerca e sviluppo)
- Accordi di natura produttiva. Riferimento agli investimenti legati alle grandi opere d’appalto, che sono
delle opere complesse dove c’è una compartecipazione da parte di imprese di diverse nazionalità.
26
- Accordi di marketing, distribuzione e assistenza. Dal punto di vista della distribuzione, per cui si intende
la commercializzazione dei prodotti, si parla della concessione di licenze, accordi di franchising. Si può
considerare anche la Grande Distribuzione Organizzata.

Cos’è il franchising?
Il franchising, o affiliazione commerciale, è una formula di collaborazione tra imprenditori per la produzione
o distribuzione di servizi e/o beni, indicata per chi vuole avviare una nuova impresa, ma non vuole partire da
zero, e preferisce affiliare la propria impresa ad un marchio già affermato.

Dobbiamo capire come un’impresa possa entrare effettivamente in un mercato estero, le modalità di entrata
che si studiano attraverso:
Coinvolgimento dei soggetti esterni
La tipologia delle attività (macro categorie: commercializzazione, produzione e sviluppo conoscenze)
12.2 - MODALITA’ DI ENTRATA NEL
MERCATO ESTERO

Se io coinvolgo dei soggetti esterni l’attività


potrebbe essere un po’ più complessa, c’è un
livello di coordinazione maggiore con questi
soggetti, ma c’è il vantaggio di avere un
ingresso facilitato nel paese, perché questi
soggetti magari conoscono già il mercato e
possono aiutare a loro volta la mia impresa. In
tutta la colonna con il SI’ ci sono le alleanze
strategiche, ovvero, per qualsiasi attività
l’impressa può stringere un qualsiasi tipo di
alleanza strategica con soggetti esterni.
Se io mi occupo di una attività di
commercializzazione:
→ Se io non coinvolgo altri soggetti esterni faccio delle esportazioni dirette;
→ Se invece coinvolgo dei soggetti esterni si chiamano esportazioni indirette, ovvero, l’impresa si approccia
al paese estero ma di fatto da in mano l’attività di commercializzazione a quel soggetto che ha selezionato in
quel paese (faccio vendere ad altri).
Se io mi occupo di produzione:
→ se non coinvolgo soggetti esterni avrò degli investimenti diretti esteri, che è la modalità di entrata diretta,
cioè senza altri soggetti coinvolti, per andare a produrre in un paese estero.
Ho due principali categorie di questi investimenti diretti esteri:
32. Green field: l’impresa si insedia in quel paese estero andando a creare qualcosa che in quel posto non
esiste. Si ha un ampio margine di scelta dell’investimento che si vuole fare, però c’è un margine di
rischio superiore perché l’impresa va a fare qualcosa di completamente nuovo e non si può prevedere al
100% se sarà un successo o meno.
33. Brown field: l’impresa si inserisce in un’attività estera che già esisteva. Lo svantaggio è che devo stare a
dei vincoli dettati dalle altre imprese già presenti su quel mercato, ma almeno ho meno rischi rispetto il
Green Field, perché ci sono a disposizione il resoconti di altre imprese.
Se io mi occupo di sviluppo conoscenze:
→ Anche in questo caso parlo di un investimento diretti esteri su ricerca e sviluppo.

12.3 - FATTORI DI ATTRATIVITA’ DI UN TERRITORIO


Una volta che l’impresa ha deciso di internazionalizzarsi, ha deciso l’approccio e conosce le sue risorse,
arriva il momento di scegliere il paese. Solitamente la scelta del paese viene fatta in concomitanza con la
scelta del processo, perché l’uno condiziona l’altro.

Queste sono le macro categorie degli aspetti da analizzare per scegliere un paese:
• Mercato, il tasso di crescita della domanda, potenziale di sviluppo delle vendite, dimensione qualitativa
degli acquirenti, voglio un cliente che cerca la qualità di un prodotto particolare (leadership di
differenziazione) o che cerca un costo basso (leadership di costo), prossimità verso altri mercati, paesi che
hanno una cultura e una domanda molto simile;
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• Risorse umane, forze sindacali e disponibilità di manodopera;
• Infrastrutture, strade, ferrovie, aeroporti per poter muoversi nel paese, tutto ciò che riguarda la logistica,
ma anche per quanto riguarda le istituzioni dell’istruzione o delle pubbliche utilità;
• Tessuto economico, si intende il tipo di sistema economico, distributivo, produttivo e finanziario, accesso
alle materie prime, qualità e disponibilità della manodopera, se l’economia è florida, se c’è possibilità di
sviluppo;
• Istituzioni politiche e pubbliche, quelle che sono le politiche industriali ed incentivazioni, normative fiscali
che penalizzano o meno;
• Sistema normativo, alcuni paesi hanno un sistema normativo non chiaro e troppo complesso, per questo
per le imprese diventerebbe troppo difficile muoversi all’interno;
• Qualità sociale e ambientale, per avere una rendita migliore da parte delle risorse umane;
• Immagine e reputazione, situazione politica e bellica;
• Costi di produzione, materia prima o manodopera;
• Intensità della concorrenza, questo è importante nel momento che considero un paese per la distribuzione
dei prodotti, non per la singola produzione/amministrazione;
• PIL, un paese con un PIL elevato potrebbe indicare un paese che ha una capacità d’acquisto maggiore;

Lezione, giovedì 15 aprile

13 - DISTRIBUZIONE COMMERCIALE
Per distribuzione commerciale si intende come si va a
distribuire il prodotto. I canali per la distribuzione
commerciale dei prodotti possono essere diretti,
indiretti brevi o indiretti lunghi.

Canale Diretto: il prodotto viene prodotto


dall’impresa e viene venduto direttamente
dall’impresa al consumatore finale (risultante della
strategia di integrazione verticale a valle, l’impresa si
occupa in autonomia della vendita del prodotto finale)

Canale Indiretto Breve: l’impresa industriale che produce un bene, lo vende a un’impresa al dettaglio, che a
sua volta si occupa della vendita al consumatore finale (negozio). L’impresa al dettaglio è diverso
dall’impresa commerciale.

Canale Indiretto Lungo: l’impresa industriale non vende al dettagliante ma a un grossista, cioè ad un
intermediario commerciale che si occupa dell’acquisto di più prodotti da imprese industriali e poi rivende
alle imprese al dettaglio (negozio). Questo comporta un allungamento dei tempi, meno feedback dei gusti del
consumatore.

Prodotto finito vs finale


- Prodotto Finale è il prodotto pronto all’uso per il consumatore finale.
- Prodotto Finito è l’output della mia impresa, che potrebbe coincidere con il prodotto finale, se la mia
impresa vende direttamente al consumatore, ma potrebbe anche non coincidere, perché potrebbe essere un
semilavorato da vendere ad altre imprese.

INTERMEDIARI ALL’INGROSSO
- Grossisti tradizionali: è un’impresa (solitamente di piccole dimensioni) che acquista all’impresa
industriale e rivendono alle imprese al dettaglio.
- Grossisti cash carry: mentre il grossista tradizionale lavora principalmente a consegna, quello cash carry è
come un punto vendita. Si può entrare solo se si ha la partita IVA, sono dei supermercati un po’ più
spartani, è il dettagliante che si reca al cash carry per comprare i prodotti. Ci si occupa
dell’intermediazione industriale tra l’impresa industriale e l’impresa al dettaglio, ma cambia l’approccio.

INTERMEDIARI AL DETTAGLIO
- Dettaglio indipendente: è il classico negozio, che è di proprietà di un soggetto, potrebbe anche essere che
ci siano più punti vendita, ma tendenzialmente è di piccole dimensione e di gestione familiare.
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- Dettaglio associato o distribuzione organizzata (DO): parto da un grossista che
vuole coinvolgere più dettaglianti indipendenti per creare “un’unione
volontaria” (tipo despar) oppure si parte da un gruppo di dettaglianti che
decidono di cooperare presentandosi con un’unica insegna (Tipo il Conad, che
nasce dall’unione di tanti dettaglianti, la proprietà rimane del singolo).
- Grande distribuzione (GD): fa riferimento alle grandi imprese che hanno tanti
punti vendita, nella grande distribuzioni ho delle realtà d’impresa di grandi dimensioni (mentre quelle di
prima sono tendenzialmente piccole). Il soggetto proprietario di tutti questi punti vendita è sempre lo
stesso (Esselunga, Auchan, Pam).
- Distribuzione cooperativa: è simile al dettaglio associato, solo che sono i consumatori finali che fanno una
cooperativa di consumo, i consumatori si mettono insieme per ottenere prodotti per sé ad un prezzo più
conveniente, da questa unione di soggetti nasce l’impresa al dettaglio (la coop).
- GDO: grande distribuzione organizzata, è un raggruppamento di differenti forme commerciali molto
diverse da loro.

14 - ANALISI ECONOMICA
In questa parte del programma cercheremo di capire quali sono le dimensioni più importanti da conoscere
per studiare un’impresa e per prendere le decisioni al suo interno.

14.1 - RICAVI E COSTI


UTILE = Ricavi - Costi

Se la differenza tra ricavi e costi è positiva si parla di utile, se è negativa si parla


di perdita.

Ricavi:
Somma di denaro che si ricava da una vendita, cioè ciò che entra nell’impresa.

R=pxq

Vendo una penna a 1$, vendo una penna = ricavi 1


Prezzo di vendita (che può esser anche ricavo unitario) si indica con “p” per la
quantità “q”
La retta dei ricavi:
Ha origine all’origine degli assi (perché se vendo 0 penne il ricavo sarà 0).
Cresce con una certa pendenza, che potrebbe essere più o meno inclinata all’asse
delle ascisse o delle ordinate. Da cosa dipende? Dobbiamo guardare l’angolo (il
coefficiente angolare, che rappresenta il prezzo di vendita). Più è inclinata la retta
più è alto il prezzo di vendita del prodotto, se invece è molto basso di conseguenza
anche la retta sarà bassa. Costi fissi:
Sull’ascisse ho la quantità, sulle ordinate ho i ricavi e la retta inclinata che
rappresenta il prezzo di vendita.
Nella realtà però non sempre sono rappresentati così i ricavi, perché non sempre
hanno lo stesso andamento. Per esempio i vestiti vengono svenduti a fine stagione,
anche le colombe costano meno dopo pasqua.

Costi:
Sono gli oneri/le spese che devo sostenere per vendere, produrre o distribuire un prodotto.
I costi, a differenza dei ricavi, non sono di un’unica categoria, ma li distinguiamo in due macro categorie:
- Costi fissi:
Sono i costi che non variano al variare della quantità prodotta (costi dell’affitto del
capannone). Il punto di partenza della retta dei costi fissi è il livello, cioè a quanto
ammontano il totale dei costi fissi. Sulle ordinate ho la dimensione economica (50$
affitto + 60$ buste paga + 15$ pulizie) e da quel punto partirà la retta.
Ma è sempre così la retta dei costi fissi? Io ho un chiosco di gelati al mare, ho dei Costi variabili:
costi fissi (il chiosco, l’affitto del terreno, dipendenti). Ci sono settimane di bel

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tempo dove ho le vendite alte, altre invece dove le quantità prodotte vendute sono
basse. Può essere che l’imprenditore decida di ampliare la capacità produttiva,
(compro più tavolini oppure una macchina friggitrice più grande) in questo modo i
costi fissi aumentano. I gradini rappresentano i diversi livelli di capacità produttiva
che l’impresa può assestarsi.
- Costi variabili:
Sono i costi che variano al variare della quantità prodotta (costi della materia prima).
Cv = cv(u) x q

Il costo variabile è uguale al costo variabile unitario per quantità.


La retta ha origine all’origine degli assi, perché se non produco non spendo niente, cresce al crescere delle
quantità. Il coefficiente angolare è il costo variabile unitario, se il cv(u) è di 20 centesimi avrò un una retta
dei costi variabili totali molto piatta.
I costi variabili unitari sono sempre gli stessi all’aumentare delle quantità?
La quantità prodotta non cambia la qualità, è una scelta che si fa a monte. La qualità mi condiziona il costo
variabile unitario ma all’aumentare della quantità non è che cambia molto. La qualità potrebbe incidere sulle
quantità degli scarti. Se io produco di più ho un abbassamento dei costi unitari (economie di scala). A
seconda delle quantità si può influenzare in modo negativo o positivo. Se la curva si appiattisce, l’impresa sta
sfruttando le economie di scala.

Esistono poi delle forme di costi ibridi:


- Costi semifissi o Costi semivariabili:
Se la parte preponderante del costo è fissa si chiama semifisso, se invece è prevalentemente
variabile è semivariabile. (Noi riconduciamo a fissi quelli semifissi, e i semivariabili a variabili, perché
non possiamo complicare l’analisi).

Lezione 17, mercoledì 21 aprile

14.2 - Break even point (punto di equilibrio o pareggio)


Il punto di pareggio è un valore che indica le quantità per le quali i ricavi sono uguali ai costi totali.
Consente di individuare quante unità di merce un’azienda dovrebbe
produrre per pareggiare i costi di produzione. In altre parole il Break
even point indica il punto esatto nel quale sia il profitto che le perdite
aziendali sono pari a zero.
È importante sapere quanto bisogna produrre per pareggiare i costi,
l’obiettivo finale sarà di superare quella quantità di equilibrio.
Perché è importante calcolare il break even point?
• È efficace ai fini previsionali
• Aiuta a calibrare i prezzi di vendita
• Aiuta a comprendere quali siano i costi fissi e quelli variabili
• È uno strumento di controllo per l’attività produttiva
• Pone obiettivi di guadagno realistici
• Riduce i rischi
• È utile per pianificare campagne di comunicazione e marketing
• È utile per individuare tutti i costi aziendali

Il diagramma di redditività:
Mi sottolinea la quantità d’equilibrio, a destra del punto rosso ho i guadagni (la forbice che viene delimitata
dalla retta R e CT), mentre a sinistra, sotto la quantità d’equilibrio dove ho i costi totali maggiori dei ricavi,
ci sono le perdite.
Mette in relazione costi variabili, costi fissi, ricavi e quantità di produzione. Utilizzando questa tipologia di
analisi i dati vengono riportati all’interno di un piano cartesiano avente i volumi di produzione (quantità)
come variabile indipendente (asse delle X). Sull’asse delle ordinate sono invece posizionati i costi dei
prodotti. I costi fissi, non essendo relazionati al fatturato, vengono riprodotti con una retta parallela all’asse
delle ascisse; i costi variabili sono raffigurati con una retta inclinata positivamente poiché variano in
relazione al fatturato. Di conseguenza i costi totali sono rappresentati da una retta inclinata positivamente che
incontra l’asse delle ordinate in corrispondenza dei costi fissi totali.
30
Il punto di pareggio o Break even point è quindi determinato dall’intersezione della retta dei costi totali con
la retta dei ricavi totali.
Le due rette potrebbero anche non incrociarsi: questa eventualità corrisponde ad una situazione con costi
variabili troppo alti e assenza di punto di pareggio.
• Sulle ordinate mettiamo insieme i ricavi, i costi fissi e i costi variabili.
• Sulle ascisse si mettono le quantità.
Dobbiamo tracciare quattro rette:
• La retta dei ricavi, che ha origine all’origine degli assi, sale con un certo coefficiente angolare che
rappresenta il ricavo unitario (prezzo di vendita).
• La retta dei costi fissi, che viaggia parallela all’asse delle ascisse, che parte da un certo livello che sono i
costi fissi
• La retta dei costi variabili, ha anche origine all’origine degli assi, il coefficiente angolare dipende dalla
quantità. L’angolo dei CV è più piccolo rispetto a quello R, perché la se si vuole avere un ricavo, la retta
deve essere più inclinata rispetto al costo unitario.
• La retta dei costi totali. Dobbiamo sommare la retta dei costi variabili alla retta dei costi fissi. La retta
partirà da dove parte il CF. Praticamente è una parallela dei costi variabili.
Ora che abbiamo i CT possiamo andare a cercare quel punto di intersezione tra la retta R e quella CT, il
punto di intersezione è importante perché mi indica dove i ricavi sono uguali ai costi totali.

Metodo analitico
Il metodo analitico consiste nel trasformare i ricavi dell’azienda e i costi totali in formule matematiche basate
su calcoli specifici. Il Break even point è in questo caso determinabile mediante lo svolgimento di
un’equazione. La formula è utilizzabile per aziende che realizzano uno o più prodotti, ma va applicata ad
ogni prodotto separatamente. I fattori che influiscono sul variare del BEP sono i costi fissi, il prezzo di
vendita e i costi variabili:

R = CT —> esplicito —> p x q = CF + CV —> p x q = CF + (cvu x q) —> sposto a sinistra tutto quello che
ha la q, perché volgiamo trovare lei —> (p x q) - (cvu x q) = CF —> q x (p - cvu) = CF

Qe = CF / (PV – CVU)
BEP = Costi fissi / (Prezzo di vendita del prodotto – Costo variabile unitario)

Analizzando la formula si deduce che:


• BEP è il Break even point, ovvero la quantità di unità da produrre per pareggiare i costi;
• CF sono i costi fissi;
• PV è il prezzo di vendita di una sola unità del prodotto;
• CVU è il costo variabile unitario, ovvero il costo variabile applicato a quella singola unità di prodotto;
• La formula tra parentesi (PV – CVU) indica il Margine di Contribuzione, ovvero l’incidenza dei costi fissi
sul prezzo di vendita. In altre parole indica la quantità che rimane togliendo al prezzo di vendita i costi
variabili unitari. Questa quantità è quella necessaria a coprire i costi fissi;
• La somma tra costi fissi e costi variabili rappresenta i costi totali: CT = CF + CV.
 
Un esempio pratico
Partendo dalla formula già spiegata BEP = CF / (PV – CVU), ecco un esempio pratico per comprendere
come calcolare il punto di pareggio aziendale.
• Supponendo che i costi fissi siano pari a 100.000 Euro, si ha CF = 100.000
• Il prezzo di vendita di ogni unità di prodotto è 800 Euro, quindi si ha PV = 800
• Il costo variabile unitario di ogni prodotto è 300, si ha CVU = 300
Quindi, se BEP = CF / (PV – CVU), si ha che:
BEP = 100.000 / (800 – 300) = 200
La quantità di unità da produrre necessaria per pareggiare i costi di produzione per quel determinato prodotto
è 200 (BEP). Producendo (e vendendo) 200 unità al prezzo di vendita stabilito (800 Euro), l’azienda potrà
pareggiare i costi di produzione e non registrare perdite.

I limiti della BEP


La Break even analysis è senza dubbio il metodo più efficiente per individuare il punto di pareggio
aziendale, ma presenta alcuni limiti analitici che potrebbero ridurne l’efficacia:
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Quantità producibile = quantità vendibile
Può andare male qualcosa e quindi le Q non si vendono, ormai
però ho prodotto e ho sostenuto i costi. Nel diagramma di
redditività rimane solo un asse —> accetto di ipotizzare delle
quantità prodotte uguale alle quantità vendute.
Di fronte a questa semplificazione devo o 1) conoscerla e sapere
che sto ipotizzando di vendere tanto quanto produco; o 2)andare
ad inserire all’interno dei costi il costo dell’invenduto
(rimanenze di magazzino andando a stilare una percentuale).
Raffinare solo se si presta ad ipotetiche importanti differenze sul
prodotto venduto.

Versioni «semplificate» delle rette


– Ricavi
– Costi fissi
– Costi variabili
Se si hanno delle alternative difronte si vanno a produrre più diagrammi di redditività, ciascuno per lo
scenario che si sta valutando e poi si confrontano i risultati e si prendono le decisioni. Nel modello sono state
utilizzate le rette nelle loro versioni di base, cioè sono semplificazioni di quella che è la realtà. Limiti che
possono essere accettati. Se si tenesse conto della realtà salterebbero fuori più Qe, i quali rappresentano
scenari diversi.
Il diagramma di redditività permette di identificare la Qe in una condizione statica, faccio una fotografia di
quello che succede.
La ricerca del Break Even Point risponde ad una logica soddisfacentista (Qe soddisfa l’impresa ma non è la
risposta ad una logica ottimizzante/di ricerca del profitto)
———da internet———
• Costi e ricavi non variano in modo lineare: I costi, in particolar modo quelli variabili, sono fattori
particolarmente soggetti a cambiamento. I costi variabili dipendono dalle quantità prodotte, e trasformarli
in una retta è troppo semplificato, perché non si terrebbe conto di altre variazioni non prevedibili. La Break
even analysis non tiene conto della variazione dei costi in base alle unità vendute. Se, infatti, un fornitore
acquista un numero elevato di unità, sicuramente verrà applicato uno sconto che non è calcolabile
nell’analisi BEP.
• A volte ci sono più punti di equilibrio: più punti in cui la retta dei ricavi incrocia la retta CT. Questi più
punti di equilibrio mi rappresentano scenari diversi. Si dovrebbero fare più grafici per poi trovare la
soluzione migliore.
• È un’analisi statica e non dinamica: L’analisi del Break even point non prende in considerazione una serie
di dinamiche economiche che avvengono, come ad esempio i flussi di cassa. Il BEP è un’analisi statica:
non considera, infatti, le tempistiche e le variazioni periodiche di spese e costi. Se una materia prima
dovesse aumentare il proprio costo nel breve periodo, l’analisi non riuscirebbe a tenere conto del dato
aggiornato.
• Non considera la concorrenza: La Break even analysis non considera la concorrenza e l’impatto che i
competitors potrebbero avere sui prodotti aziendali. Modificando i propri prezzi, i competitors potrebbero
creare una variazione della domanda all’interno del settore. In questo caso anche l’azienda dovrà adeguarsi
e rivedere i propri prezzi e le proprie strategie di vendita.
• I prodotti non veduti (nell’area delle perdite): sull’asse dell’ascisse ci sono le quantità vendute, perché i
ricavi si devono tarare sui volumi venduti. Nei costi invece vengono indicate le quantità prodotte!!
• Non considera le rimanenze e non prevede la domanda – le quantità prodotte non sempre coincidono con
quelle vendute: Il più grande limite di questa analisi è sicuramente relativo alla previsione della domanda
di mercato e al “gioco” delle rimanenze. L’analisi Break even presuppone che le quantità di merce prodotte
coincidano sempre con quelle vendute. L’analisi non studia la domanda di mercato, non può quindi
prevedere quante quantità potrebbero realisticamente essere vendute. Esistono, infatti, le rimanenze,
ovvero quelle unità di merce prodotte, ma non vendute. Queste rimanenze non vengono mai calcolate con
l’analisi del Break even point.

14.3 - Margine di sicurezza (o di rischio)

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Il margine di sicurezza è uguale alla quantità massima producibile vendibile meno la quantità di equilibrio
fratto la quantità massima producibile vendibile.
Il margine di sicurezza mi dice di quanto può diminuire in percentuale la produzione senza che l'impresa
vada in perdita.
Il margine di sicurezza esprime di quanto possa diminuire la vendita dei prodotti da quello che il massimo
producibile vendibile alla quantità di equilibrio.
Esempio: organizzo un concerto a San Siro. Il massimo di posti/biglietti (cioè il massimo producibile
vendibile) è 200.000. La quantità di equilibrio è 150.000 biglietti, questo mi indica che il margine di
sicurezza è 50.000, perché è quel margine che ho prima di andare in perdita.

Quale margine di sicurezza è meglio? Alto o basso?


Sapere che il margine di sicurezza è alto è meglio, perché si è più tranquilli.
Per aumentare il margine di sicurezza abbiamo due possibilità: o sposiamo a destra Qx o spostiamo a sinistra
Qe. Per avere il Qe al minimo basta avere i CF pari a zero.
Però se la diminuzione del margine di sicurezza corrisponde alla crescita dell’impresa, ci sta ugualmente.

Un’impresa mira tendenzialmente ad essere più elastica e più flessibile.


• Elasticità: s’intende che quell’impresa più elastica riesca a sopportare variazioni quantitative della
produzione senza significative ripercussioni sui costi medi unitari. Un’impresa è più elastica quando si è
dotata di una struttura che le permette di non avere forti ripercussioni sui costi anche se cambia la
domanda.
• Flessibilità: un’impresa è flessibile quando riesce a sopportare variazioni qualitative della produzione
senza avere forti ripercussioni sui costi medi unitari. Il mercato m chiede delle varianti del mio prodotto e
l’impresa non avrà forti ripercussioni per soddisfare la richiesta.

Lezione 18, giovedì 22 aprile

Fino ad adesso abbiamo cercato di capire come trovare la quantità di equilibrio.


Ora andiamo a studiare l’area dei guadagni:
Cosa succede se provo a produrre di più della quantità di equilibrio?

14.4 - Leva operativa


Meccanismo che fa sì che un investimento abbia come effetto una moltiplicazione del reddito dell’impresa.
Si chiama leva proprio per richiamare il concetto di leva che moltiplica l’energia.

Sul diagramma di redditività


Bisogna unire il diagramma di redditività con una sua evoluzione.
Simuliamo la crescita dell’impresa:
- Se l’impresa fa un investimento, sicuramente ci sarà un innalzamento dei CF.
- Ho un effetto anche sui costi variabili (diminuisce il CV unitario, perché facendo l’investimento ho una
capacità produttiva maggiore, acquistando più materia prima avrò delle economie di scala, mi si
diminuisce il costo delle materie, anche per i dipendenti perché, l’impresa diventa più elastica, e se ha
bisogno di un tot di ore di lavoro in più non avrà bisogno dell’ora straordinaria di lavoro dei dipendenti,
che ha un costo maggiore, perché se ho più persone che lavorano avrò meno ore straordinarie), quindi il
CV ha un angolo minore.
- Supponiamo che il R sia lo stesso e dobbiamo tracciare i nuovi costi totali
Il risultato è che ho delle quantità di equilibrio superiori (una quantità di equilibrio mette alla mia impresa
una situazione di rigidità perché deve produrre di più per non essere in perdita).
Grazie alla leva però l’area dei guadagni è più ambia. Ha un effetto moltiplicativo, si c’è un rischio
maggiore, però se l’impresa riesce a produrre di più il nostro reddito sarà molto più grande. L’effetto leva c’è
anche in negativo, quindi se si va in perdita si perde di più.
La leva finanziaria
È conveniente per un'impresa l'indebitamento a fronte di un maggiore investimento? Fino a che punto ha
senso l'indebitamento?!

Redditività > Costo di provvista del denaro (SPREAD POSITIVO)

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Dobbiamo mettere a confronto la redditività futura del nostro investimento con il costo di provvista del
denaro (il tasso di interesse).
Nel momento in cui la redditività è superiore al tasso d’interesse del debito conviene indebitarsi, fintanto che
lo spread è positivo mi conviene.
Esempio: vorrei fare un investimento che promette una redditività futura del 12%, 8% è l’interesse, il 4% (la
differenza) è lo spread.
Perché lo spread potrebbe diventare negativo?
L’impresa chiede alla banca 100, con questi 100 che spendo lo spread è del 4%, quindi positivo. Il mercato è
florido quindi la banca si chiede perché non acquistare due impianti.
L’impresa allora chiede 200 alla banca
La banca dice di sì però diventerebbe un prestito più rischioso, per questo alza il tasso d’interesse. La
redditività dell’impresa è sempre 12% ma ora il tasso di interesse è diventato del 10 quindi lo spread è solo 2,
in questo caso non ha più senso. L’impresa allora dovrà identificare un’altra via per crescere e migliorare le
sue strategie.

Alcuni strumenti di analisi economica:

SCELTE AZIENDALI DI TIPO OPERATIVO BREVE PERIODO


• Modifico SOLO i ricavi?
• - MARGINE DI CONTRIBUZIONE
• Modifico ricavi E costi?
• - CONFRONTO OPERATIVO

14.5 - Margine di contribuzione:


Si definisce margine di contribuzione unitario la differenza tra il prezzo di vendita unitario ed il costo
variabile unitario.
Questa grandezza misura quindi il contributo che tale
prodotto fornisce all'impresa per realizzare la copertura
dei costi fissi.
L’adozione del margine di contribuzione consente infatti
di individuare i prodotti/servizi più redditizi, cioè con il
margine più elevato, e di effettuare scelte di prezzo,
volume e mix più convenienti. Inoltre semplifica il
controllo dei costi, eliminando le distorsioni derivanti
dall’assorbimento dei costi fissi.
Il MC non è uno strumento per determinare il prezzo di
vendita di un prodotto, mi permette invece di sapere come
agire quando ci sono delle proposte di prezzo di vendita
straordinarie, cioè degli sconti (come quello della
parrucchiera).
Difficoltà: non sempre le imprese conoscono i costi o comunque non hanno le competenze per fare i calcoli
corretti.

MC = R - CV se espresso in termini unitari MC = p - Cvu

Problemi di confronti operativo:


- make or buy: continuo a produrre internamente oppure mi conviene acquistare dall’estero? In questo caso
non è questione se eliminare o meno un servizio/prodotto, ma se è più conveniente andarlo a prendere da
altre imprese
- Fare o non fare: continuo a fare quel prodotto/servizio o lo tolgo dal portafoglio prodotti? Per esempio i
prodotti DOG (nella matrice BCG), che magari non sono più convenienti e non fanno più profitto.
Indipendentemente da quale dei due problemi sia, l’analisi è la stessa. Si procede con una logica
differenziale, che fa riferimento ai costi e i ricavi che cambiano al variare dell’alternativa che prendo in
considerazione.
Nel caso di make or buy, guardo la differenza dei costi che c’è se vado ad acquistare dall’estero rispetto a
mantenere il Make interno. Nel caso del fare o non fare, guardo la differenza tra mantenere un prodotto
oppure toglierlo.Se i costi e i ricavi sono differenziali li considero:
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I costi posso essere cessanti o sorgenti, ovvero:
• Costi cessanti: sono i costi che non vengono più sostenuti in base alla decisione aziendale presa.
• Costi sorgenti: sono nuovi costi che l'azienda deve sostenere in base alla decisione presa.

Lo stesso ragionamento va con i ricavi:


• Ricavi cessanti: sono i ricavi che non avrò più se smetto di produrre/erogare un servizio
• Ricavi sorgenti: sono i ricavi che avrei se facessi fare a terzi il mio prodotto/servizio

Per valutare l’alternativa metto insieme i costi cessanti con i ricavi sorgenti e i costi sorgenti con i ricavi
cessanti. Faccio questi due raggruppamenti perché un costo cessante e un ricavo sorgente ha un effetto
positivo, mentre un costo in più e un ricavo in meno ha un effetto negativo.
Se si ha un risultato positivo è un’alternativa da approvare, altrimenti è da scartare.

È importante valutare l’alternativa da ANCHE ALTRI punti di vista, specialmente per quanto riguarda le
risorse intangibili:
VANTAGGI DELLA PRODUZIONE INTERNA
• Economicità: sfruttamento di economie di scala tecniche e gestionali, conseguente all'aumento della
capacità produttiva; aumento del valore aggiunto, conseguente all'integrazione verticale e orizzontale di
attività.
• Qualità: migliore visibilità e controllabilità del processo.
• Tempestività, elasticità e flessibilità dei sistemi produttivi: si controllano maggiormente la
programmazione della produzione e le priorità.
• Conoscenze e competenze: crescita del patrimonio immateriale, legata al learning by doing; maggiore
riservatezza, minor circolazione di informazioni al di fuori dei confini aziendali.
• Potere: maggior "potere globale di condizionamento" legato alla crescita delle dimensioni aziendali.

VANTAGGI DELLA PRODUZIONE ESTERNA


• Economicità: si evitano diseconomie di scala; sfruttamento đi economie esterne; struttura di costi più
elastica.
• Qualità: si ritira solo la qualità "conforme".
• Tempestività, elasticità e flessibilità dei sistemi produttivi: maggiore varietà-variabilità del mix produttivo:
maggior adattabilità alle richieste quantitative del mercato,
• Conoscenze e competenze: accesso a competenze specialistiche.
• Potere: possibilità di ottenere risparmio utilizzando il "potere contrattuale" ei confronti dei fornitori di fase.

15 - SCELTE AZIENDALI CHE RIGUARDANO GLI INVESTIMENTI INDUSTRIALI


MEDIO/LUNGO PERIODO

Investimenti industriali ... cosa sono??


Si parla di investimenti industriali nel momento in cui l’impresa fa una certa spesa per crescere e in futuro
avere un ritorno monetario. È importante che questo investimento industriale abbia tutte e quattro le seguenti
caratteristiche, altrimenti non potrebbe essere definito tale.

4 caratteristiche fondamentali:
- Rilevante esborso di denaro. Non è un investimento l’acquisto di materia prima perché non è
straordinario, l’esborso di denaro deve essere rilevante (dipendente dalla grandezza dall’impresa)
- Ritorno economico nel futuro. Si parla di investimento industriale se la spesa che si va a sostenere è a
fronte di un previsto ritorno economico.
- Assunzione di un rischio. Non esiste investimento senza rischio. Ci sono livelli di rischio diversi e dipende
anche in parte da quanto è disposta a rischiare l’impresa.
- Ritorno dell’investimento attraverso l’output dell’investimento stesso. Si parla di investimento industriale
quando e solo se la ricchezza futura che mi va a produrre l’investimento è frutto di ciò che
quell’investimento mi permette di produrre. Esempio: io compro un impianto industriale che mi permetta
di produrre telecomandi, è attraverso la vendita dei telecomandi (output) che ottengo la ricchezza che

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andrà a coprirmi i costi dell’investimento, non la vendita dell’impianto. Questa è una caratteristica molto
importante perché mi divide gli investimenti di tipo industriale dalle altre tipologie.

Classificazione rispetto alla distribuzione temporale dei flussi di cassa:


Cos’è la distribuzione temporale dei flussi di cassa?
Ogni investimento è caratterizzato da uscite e entrate. La distribuzione nel tempo delle entrate e uscite è la
distribuzione temporale dei flussi di cassa. Per flussi di cassa s’intende quali e quante entrate/uscite si
prevede di avere quando le distribuisco su un asse temporale.
Flussi di cassa: ammontare di denaro che ci si attende di ricevere nel corso del tempo come conseguenza di
un investimento di un finanziamento.
Rispetto a questa distribuzione posso avere quattro categorie diverse di investimenti:
La linea rossa è un spartiacque temporale.

(C.I.) per un periodo di tempo ± lungo e con C onti (C.I.) per un periodo di tempo
cadenza regolare impiego (investo) delle continuo
n impiego denaro in
risorse/denaro per avere (P.O.)un ritorno modo u regolare per avere un
economico che è individuato in un momento ritorno economico
o (C.O.) in
puntuale nel futuro. continuo ritorno.
u
Es: ogni mese verso tot cifra per avere in s Input es: pensione
una data x tutto il ritorno. Forma di tipo P oint
assicurativo personale. O utput.

(P.O.) investimento in un momento


puntuale ben preciso per avere (C.O.)
(P.I.) in un momento temporale puntuale, un ritorno in un certo asse temporale
investo del denaro per avere nel futuro continuo. Tipologia di classica
(P.O.) un ritorno altrettanto puntuale. rappresentazione della distribuzione
Puro investimento finanziario temporale dei flussi di cassa degli
investimenti industriali. Prendo una
15.1 - Investimenti industriali: i decisione in un momento ben preciso e
metodi di valutazione col tempo avrò un ritorno continuo
Esistono due tipi di metodi per la valutazione:
- I metodi aritmetici (che non conto del fattore tempo)
- I metodi finanziari (tengono conto del fattore tempo)
Se io procedo con l’analisi economica con metodi aritmetici, assumo che un euro oggi sia lo stesso euro tra
vent’anni, cioè non tengo conto della modifica del potere d’acquisto del denaro. La modifica del potere
potrebbe essere causata da un’inflazione, ma non solo.

L’asse dei tempi


- indico sull’asse il tempo previsto legato all’investimento;
- Al tempo T0 vado a mettere il PI (point input) quindi il flusso di cassa
d’uscita legato all’investimento;
- Ipotizziamo di avere un investimento da 100$ (ci metto la meno davanti perché è un’uscita), per avere tra
cinque anni un ritorno stimato di 101$.
- I metodi aritmetici mi dicono che questo investimento è conveniente perché 101 è maggiore di 100. I
metodi finanziari invece non lo considerano conveniente perché valutano anche il caso del cambiamento
del potere d’acquisto, perché il 101$ in cinque anni cambierà. Inoltre, per cinque anni la mia azienda si
priverà della possibilità di impiegare quei 100 in qualche altro modo. L’indisponibilità costa all’impresa.
La differenza tra questi due metodi sta proprio qua, che quello aritmetico non tiene conto dei rischi,
dell’inflazione o dell’indisponibilità del capitale.

Convenienza economica ad investire


36
Principio di base: l’investimento sarà conveniente se il costo dell’investimento sarà minore rispetto alla
ricchezza prodotta.

Costo dell’investimento + Ricchezza prodotta > 0

15.2 - Variabili di input


Sono le stesse per tutti i modelli. Una volta trovate le quattro variabili di input sarà molto semplice applicare
i modelli.

Variabile 1)
• Investimento, I. L’investimento è la variabile di input più facile da identificare perché la componente base
di questa variabile è l’unica componente certa che conosciamo: il costo base dell’investimento, che si
ottiene dal preventivo del fornitore dell’impianto.
Valori di rettifica: sono quei costi che possono far variare il costo base dell’investimento in alcuni casi.
I = costo base dell’investimento
- eventuale contributo a fondo perduto erogato contestualmente all’investimento. Qualcuno mi aiuta
in questo investimento (mi da dei soldi) senza chiederli di ritorno (fondo perduto);
+ eventuali costi accessori.
I costi accessori riguardano un qualcosa in più che io acquisto insieme all’impianto per dotarlo di
qualche optional che lo migliora.
- eventuale valore residuo
Nel caso io faccia un investimento di sostituzione, ipotizzo di comprare un nuovo impianto per
sostituire quello che ho già. Il valore residuo è quello che ottengo “rottamando” il vecchio impianto.
+ eventuale capitale d’esercizio
Il capitale di esercizio è una spesa che vado a sostenere in più per dotarmi di un capitale in più che lo
potrò andare ad utilizzare durante la vita del mio investimento. (Tipo un kit di pezzi di ricambio, per
evitare in futuro di aspettare tanto a farsi riparare l’impianto)

Cosa differenzia il costo accessorio dal capitale d’esercizio? Il costo accessorio è un qualcosa che mi va a
caratterizzare l’impianto e lo condiziona in ciò che può produrre, ma in sé non mi torna indietro nulla. Il
capitale d’esercizio è un qualcosa che in effetti mi produce un effetto sui flussi di cassa in futuro, infatti devo
ricordarmi di rimettere i costi di capitale di esercizio all’ultimo T.

Variabile 2)
Vita utile: è la durata per la quale io stimo il periodo di tempo per il quale utilizzerò l’impianto.

Come faccio a calcolare la vita utile?


Per stimare la vita utile devo prima stimare altre tre vite:
• Vita fisica è la durata fisica prevista del nostro impianto, lo comunica il fornitore.
• Vita tecnologica ha a che fare l’obsolescenza del nostro impianto (Diminuzione progressiva delle
possibilità di sussistenza, efficienza, validità anche perché un impianto diventa tecnologicamente superato,
e questo comporta all’impresa il non essere i primi sul mercato). Magari l’impianto non è rotto, ma è
datato e non può stare al passo con altri impianti più nuovi.
• Vita mercatistica fa riferimento a quanti anni potrò stare sul mercato con questo impianto. Con questo
impianto si produce un prodotto che avrà vita per x anni sul mercato.
Una volta che ho scoperto la durata di queste tre vite, arriva il momento di stimare la vita utile.
Non si fa la media, bensì si sceglie la più breve delle tre, indipendentemente da quale sia. Perché se io vado
oltre alla vita x, che è la più corta, è ovvio che l’impianto non produrrà più ricchezza.

Variabile 3)
Tasso di attualizzazione (i, %). Mi dice quanto si deve togliere alla ricchezza prodotta tra cinque anni per
poterlo mettere nel metro monetario di quanto è stato fatto l’investimento (perché il potere d’acquisto
cambia). Mi rende tutti i valori confrontabili sullo stesso metro monetario.
i=
+ costo di provvista del denaro. Per fare l’investimento chiedo un finanziamento e la banca lo da con un
tasso d’interessi all’8%. Il costo di provvista del denaro è l’8%.

37
+ tasso previsto di inflazione. Il denaro nel tempo perde naturalmente valore, quindi di quanto perde potere
d’acquisto il denaro nel tempo (si trova su www.istat.it)-> previsione del tasso d’inflazione ufficiale.
+ rischio dell’investimento. Faccio pesare il fatto che ci sia un rischio, quantificarlo e dargli un valore.
Questo è difficile perché il rischio è soggettivo, ognuno lo percepisce in modo diverso.
- eventuale contributo in conto interessi. Un contributo sulla variabile degli interessi, vuol dire che
qualcuno (un ente, camera di commercio, regione o stato) si prende l’onere di pagare una parte degli
interessi. Se noi arriviamo ad avere un tasso di attualizzazione del 10% sommando i primi tre punti e
abbiamo un contributo in conto interessi del 2% vuol dire che il nostro tasso finale sarà di 8%.

Il tasso di attualizzazione mi permette di scontare/attualizzare i flussi di cassa futuri. Ci sono tre vie possibili
per l’utilizzo di questo tasso:
1) Applico una formula di matematica finanziaria
2) Foglio excel ha le formule già pre-impostate per l’attualizzazione
3) Si utilizzano le tavole di attualizzazione

Le tavole di attualizzazione non sono altro che l’applicazione della matematica finanziaria per una casistica
di possibilità, ovvero una serie di anni e una serie di tassi.
I numeri che si trovano dentro la tavola si chiamano fattori di attualizzazione.
Se io stimo di avere una disponibilità di ricchezza futura a cinque anni e ho un tasso di attualizzazione del
10%, quel 10% quest’anno vale 100 x 0,62.
Il fattore di attualizzazione è la traduzione della combinazione tasso con anno pronto da moltiplicare per la
ricchezza che dobbiamo attualizzare.
Andando verso destra il fattore di attualizzazione si abbassa.
Cosa vuol dire che si abbassa il fattore di attualizzazione?
Se io ho una ricchezza stimata a cinque anni e un tasso di attualizzazione dell’1%, quella ricchezza i 100 vale
oggi 95. Se il tasso di attualizzazione è più alto (tipo al 50%) quella ricchezza che è sempre di cento e
sempre a cinque anni vale oggi 13. Più aumenta il tasso di attualizzazione più ricchezza si porta via. Anche
andando in giù negli anni la ricchezza si abbassa.

Variabile 4)
Disponibilità (D).
Per il nostro investimento stimiamo una ricchezza futura di una certa cifra. Questa ricchezza viene anche
definita disponibilità.
D = Ricavi - costi d’esercizio
(Esclusi ammortamenti e oneri finanziari)
+ eventuale contributo a fondo perduto erogato in un momento futuro
+ eventuale valore residuo del vecchio investimento (Dn)
+ recupero eventuale capitale d’esercizio (Dn)

Viene calcolata in termini annui ciò vuol dire che l’impresa va a stimare per ciascun anno della vita utile
quelli che saranno i ricavi e quelli che saranno i costi d’esercizio.
Il principio che si segue per calcolare i ricavi e i costi d’esercizio è il principi di cassa (che sono due
principi). Uno è il principio di competenza, che lo segue chi fa bilanci (che a noi non interessa).
Il principio di cassa. Per seguirlo basta ragionare quando il ricavo o il costo si realizzano, cioè quando
effettivamente ho delle entrate e uscite di soldi.
Se quei soldi entrano il terzo anno della vita utile il flusso di cassa d’entrata lo metterò all’anno quattro.
• Eventuale contributo a fondo perduto erogato in un momento futuro: contributo a fondo perduto che però
viene dato dopo un tot di anni. Per evitare che i contributi vengano intascati per poi non produrre niente, si
posticipa la contribuzione di qualche anno.
• Eventuale valore residuo del vecchio investimento (Dn): valore residuo che fa riferimento al flusso di cassa
in entrata X che avverrà una volta dismesso l’impianto vecchio (il fornitore ritira il vecchio è mi da un tot
di soldi).
• Recupero eventuale capitale d’esercizio (Dn): si stima che nel futuro venga effettivamente utilizzato il
capitale di esercizio, per cui sui flussi di cassa vedrò un risparmio di costo. Si va a mettere nell’ultimo
anno della vita utile se non si riesce a posizionarlo su un t preciso. Perché mettendolo all’ultimo anno si è
sicuri di averlo usato, oppure nel caso non li abbia mai usati, potrò venderli insieme all’impianto, e

38
recuperare i costi ugualmente. Anche perché metterlo alla fine mi permette di seguire il percorso della
prudenza perché gli do un valore minore.
Esclusi ammortamenti e oneri finanziari vuol dire che quanto trovo degli ammortamenti o degli oneri
finanziari non devo considerarli.
Gli ammortamenti sono la suddivisione del costo di acquisto di un bene durevole (non una materia prima, ma
un investimento come per esempio un impianto) rispetto agli anni della vita utile. Questa voce nasce per
esigenze amministrative e fiscali.
Calcolare solo su un anno il costo dell’investimento creerebbe una situazione di disequilibrio in confronto
con gli altri anni, per questo si spalma il costo su più anni di utilizzo.
Perché escludiamo questa voce? Perché si rischia di contare due volte l’uscita dei costi. È più corretto
metterlo negli investimenti a t0 e devo seguire il principio di cassa, cioè se io ho fatto l’investimento a t0,
dovrò rappresentarlo di conseguenza su t0, non posso spalmarlo.
Gli oneri finanziari sono il costo a fronte dei pagamenti degli interessi per il prestito che ottengo. Gli
interessi che pago alla banca per il prestito si chiama onere finanziario.

15.3 - MODELLI DI VALUTAZIONE

Ora ci manca d individuare i modelli di valutazione quindi identificare i modelli d’analisi della convenienza
economica. Tutti questi tre modelli servono a capire se un investimento è conveniente su tre aspetti diversi.
Le variabili di input sono sempre le quattro solite, le elaboro in modo diverso per avere un output
informativo differente. Si sceglie il modello che più si addice al momento che sta vivendo l’impresa

• EVA (eccesso di valore attualizzato): è un valore in più attualizzato, ciò che questo investimento mi
produce in termini di ricchezza in più rispetto a quello che ho adesso calcolato con metodi finanziari,
questo modello risponde a un criterio di economicità ovvero mi dice se l’investimento è conveniente sulla
base del risultato economico espresso in x euro che mi va a produrre.

EVA = - I + Da

• TIR (tasso interno di redditività): informa se l’investimento è conveniente o meno sulla base di un tasso
che esprime quanto rende quell’investimento, sulla base della percentuale si decide se è conveniente.
Criterio di redditività.

TIR = I / D
Vado a cercare quel tasso mi azzera l’operazione, che pareggia il costo dell’investimento e la disponibilità,
quello che avanza è la ricchezza che l’investimento mi va a produrre.
Una volta trovato la frazione del TIR bisogna applicare il fattore T. Uso la tavola numero 2 e guardo dove
cade quel fattore sulla linea del tempo. Il TIR viene espresso in percentuale. La percentuale esprime la
redditività che l’impresa produce per sé. Se le disponibilità non sono constanti non posso usare la formula
perché sarebbe incalcolabile. Dovrei usare - I + D = 0 e sparare il tasso di attualizzazione finché il risultato
non da 0.

• PAYBACK PERIOD (periodo di recupero): si capisce se l’investimento è conveniente sulla base del tempo
di recupero (se oggi spendo 100 per un impianto, quanto tempo ci metto a recuperare i soldi
dell’investimento). Criterio di liquidità.
Per usare il PP devo costruire una tabella chiamata “flussi di cassa” anno per anno.
Prima colonna: tempo, quanti anni di vita utile
Seconda: investimenti, indico i flussi di cassa generati dal costo dell’investimento. (È in uscita quindi si
scriverà - 100 al tempo 0)
Terza: disponibilità. Ricavi meno costi e lo scrivo in tutti gli anni della vita utile.
Quarta: tasso di attualizzazione
Quinta: disponibilità attualizzata:
Sesta: flusso di cassa attualizzato cumulato
Per sapere quando pareggio con precisione devo fare la proporzione.

ESERCIZI
Il primo passaggio è individuare il modello di valutazione (Eva, tir o Payback)
39
Poi si posizionano i dati nelle quattro variabili
Una volta fatto le quattro variabili si applica il modello
Solitamente il TIR e PAYBACK vengono utilizzati in situazioni un po’ particolari dove c’è una richiesta/una
specificità.
Ogni modello parte dalla relazione di base di - I + Da
Appunti sui fogli di esercizio.

I limiti dei modelli


34. Obiettivo dei modelli vs obiettivo delle decisioni aziendali. L’obiettivo dei modelli di valutazione
(indipendentemente dal modello) è sempre il miglior risultato economico. Però il miglior risultato
economico non è sempre la finalità dell’impresa.
35. Sfuggono aspetti qualitativi, cioè tutti quegli aspetti che riguardano le risorse variabili di tipo intangibile
e che quindi sono difficili da quantificare. Miglioramento dell’immagine del brand, del personale, della
fiducia da parte dei consumatori ecc. sono tutti aspetti che portano un miglioramento ma non sono
quantificabili.
36. Trappola dei numeri
- Innamoramento da numeri (finta certezza del risultato). I numeri piacciono perché rappresentano
tranquillità e sicurezza, però il numero rappresenta anche una stima, che quindi in caso di errori di calcolo
oppure eventi non controllabili (es. pandemie, crisi, ecc) non sono sempre corretti.
- Incertezza delle stime
37. Possibile circolarità del ragionamento (come si preselezionano le alternative?). La convenienza
economica la valuto sulla base della ricchezza futura, non attuale, e la metto a confronto con il costo
dell’investimento. Quindi se vado in fiera a cercare un nuovo impianto devo avere le stime dei ricavi
futuri perché è cosi che si calcola il budget (disponibilità future per preselezionare le alternative pero mi
serve la alternativa preselezionata per calcolare la disponibilità futura -> circolarità del ragionamento).

Questi modelli li uso MA non prendo la decisione unicamente in base al risultato.

16 - SISTEMA TURISTICO

L’immagine dell’Italia nel mondo è sempre stata collegata alle sue bellezze monumentali, artistiche e
naturali e quindi meta preferita dai turisti.
… ma oggi l’Italia turistica cosa porta?!
… quali sono i risultati in termini sociali ed economici?
… abbiamo negli anni peccato di presunzione?! Sì perché l’Italia ha talmente tanti siti naturali e culturali che
non servono particolari investimenti per attrarre i turisti. Altri paesi invece hanno negli anni investito molto
di più per poter avere un crescente settore turistico. Offrono quindi oggi una qualità dei servizi più alta, per
questo sono diventati dei paesi attrattivi e competitivi rispetto all’Italia. L’Italia sta perdendo posizioni.

TURISMO: cosa è?! “l’insieme di attività e di servizi


a carattere polivalente che si riferiscono al
trasferimento temporaneo di persona dalla località di
abituale residenza ad altra località per fini di svago,
distrazione, cultura, cure, sport …”
La cosa principale dei turismo è che non è una sola
cosa, bensì un’eterogeneità di attività e servizi molto
diversi tra loro, che sono nei momento in cui li metto
insieme arrivo a produrre il prodotto turistico da
offrire al consumatore, che vede il prodotto come
globale. Se vogliamo parlare di turismo dobbiamo
parlare del trasferimento temporaneo di una persona.

SISTEMA TURISTICO: cosa è?! Per questo lo chiamiamo sistema e non settore, perché è una composizione
di parti molto diverse tra loro.
Turista è “chiunque viaggi in paesi diversi da quello in cui ha la sua residenza abituale, al di fuori del proprio
ambiente quotidiano, per un periodo di almeno una notte ma non superiore ad un anno e il cui scopo abituale
sia diverso dall’esercizio di ogni attività remunerata all’interno del paese visitato. In questo termine sono
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inclusi coloro che viaggiano per: svago, riposo e vacanza; per visitare amici e parenti; per motivi di affari e
professionali, per motivi di salute, religiosi/pellegrinaggio e altro”
Chi effettua un viaggio fuori dalla residenza abituale ma non soggiorna per almeno una notte è definito
escursionista. Tra l’escursionista e turista c’è una grande differenza per l’influenza economica, perché il
turista ha bisogno di vitto e alloggio.

Provenienza dalla regione Provenienza dall’estero

Destinazione nella regione 1. Turismo domestico 2. Turismo in entrata (inbound tourism)


(Italiano va in vacanza in Italia) (tedesco che viene in Italia)

Destinazione all’estero 3. Turismo in uscita (outbound Tourism) 4. Turismo di transito


(italiano in Germania) (Devo andare a Mosca, ma faccio scalo
a Monaco)

Turismo Nazionale: 1 + 3
Turismo Interno: 1 + 2
Turismo Internazionale: 2 + 3

L’utilità di conoscere il numero dei turisti è sapere come sta andando l’economia. Se cresce il turismo
nazionale significa che le famiglie italiane hanno più soldi a disposizione per svago e vacanze. I numeri del
turismo interno interessano alle organizzazioni turistiche. Turismo internazionale è quello più analizzato
perché è il turismo che ha un impatto maggiore dal punto di vista economico (viaggi più lunghi in media e
come turista vado a toccare tutte le imprese che si occupano di turismo: trasporti, alloggio, ristorazione,
svago ecc.).

Le imprese che si occupano di turismo:


(OFFERTA) Imprese turistiche sono
imprese che si occupano di attività organizzate a favore dei turisti
Art. 7 Legge 135/2001: “quelle che esercitano attività economiche organizzate per la produzione, la
commercializzazione, l’intermediazione e la gestione di prodotti, di servizi, tra cui gli stabilimenti balneari,
di infrastrutture e di esercizi, compresi quelli di somministrazione facenti parte dei sistemi turistici locali,
concorrenti alla formazione dell’offerta turistica”
Due grandi gruppi:
- Operatori dell’intermediazione (vendita del prodotto quando il turista è ancora a casa)
- Operatori che erogano servizi al cliente finale nelle località di destinazione (imprese turistiche in loco che
offrono i servizi: musei, hotel, gelaterie, ristoranti ecc.)

Cardine del sistema turistico: il settore ricettivo.


ALBERGHIERO: alberghi, pensioni, motel,
residenze turistico alberghiere, ...
EXTRA-ALBERGHIERO: ostelli, B&B, case e
appartamenti per vacanza, agriturismi, campeggi,
villaggi turistici, rifugi alpini, ...

Il sistema turistico comprende anche:


- Sistema dell’intermediazione turistica:
*agenziale (dettaglianti: agenzie di
viaggio; grossisti: tour operator)
*non agenziale/alternativo (GDS – Global
Distribution System; CRS – Computerized
Reservation System)
*diretto da parte degli erogatori del servizio
- Sistema dei trasporti

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L’insieme di queste imprese costituisce la FILIERA TURISTICA:
• offerta
• intermediazione
• domanda
! COMPLESSITÀ DEL SISTEMA (data dall’eterogeneità)
! ASIMMETRIE NELLA VELOCITÀ DI CRESCITA DEI VARI ELEMENTI (Se una compagnia aeree
sposta un volo da su Verona a su Bergamo l’albergo di Verona che doveva ospitare i turisti non può spostarsi
a Bergamo, quindi la velocità con cui si possono fare dei cambiamenti è molto diversa tra le varie imprese)
! CONFLITTUALITÀ TRA LE PARTI
! INFLUENZA AMBIENTE ESTERNO (in senso del meteo. Perché se piove o se fa sole c’è differenza
nell’afflusso di turisti)
! RIGIDITÀ DELL’OFFERTA (molto spesso per poter produrre l’offerta turistica c’è bisogno di
investimenti dal punto di vista strutturale.

MA IL PRODOTTO TURISTICO VIENE VISTO COME PRODOTTO GLOBALE

LEZIONE DI RECUPERO
Razionalità limitata: significa che l’uomo ha naturalmente una capacita di analisi delle
problematiche/informazioni limitata. Dobbiamo uscire dall’illusione che le nostre scelte sino sempre ottime
per l’impresa. Bisogna accettare per l’impresa la miglior scelta per il momento, presa con cautela e
razionalità.

Economie di scala legati a fattori esterni: sono ugualmente delle economie di scala ma derivano da fattori
esterni,
Grazie a delle relazioni con altre imprese riesco magari

La relazione area volume: nel momento in cui l’impresa cresce, può ottenere vantaggi economici dalla
relazione area-volume. I costi in se aumentano io posso avere le economie di scala anche 10.36… i ricavi
raddoppiano ma i costi aumentano ma non raddoppiano.

Per quanto riguarda il potere contrattuale dei fornitori e acquirenti e i fattori che possono influenzare questo
potere, potrebbe rispiegare il rilievo economico e strategico?

Potrebbe ripetere anche la legge dei grandi numeri sempre nelle economie di scala interne tecniche?

Per quanto riguarda le barriere all’uscita avevamo detto che una delle motivazioni che possono portare
all’innalzamento di queste barriere consiste nelle interrelazioni con altri business dell’impresa stessa,
potrebbe rispiegarle?

Potrebbe ripetere il concetto di costi transazionali? Costi che sono più nascosti nel caso si scegliesse
l’esternizzazione

Potrebbe ripetere i limiti/difetti del modello Break even point? 11.05

Potrebbe ripetere la definizione generale di strategia di integrazione? Quantitativo-orizzontale, a monte o a


valle - integrazione verticale

potrebbe ripetere la leva operativa?

potrebbe ripetere la connessione tra sostenibilità e globalizzazione?

Ho un’altra domanda: cosa si intende per “integrazione con imprese complementari rispetto alla domanda”
nel modello delle 5 forze competitive di Porter + 2?

Qual è la differenza tra prodotto finale e finito? E in quale caso potrebbero coincidere?

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