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EGI - appunti presi in classe

Economia E Gestione Delle Imprese (Università degli Studi di Trieste)

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L’attività economica consiste nella produzione e scambio di beni economici (beni tangibili, servizi) per il soddisfacimento
di bisogni e collettivi.

Impresa ha scopo di lucro


Le aziende sono il contenitore dove troviamo anche le imprese

Il termine azienda identifica tutte le organizzazioni economiche e sociali → organizzazioni: modo con cui una società si
organizza laddove la società ha bisogno di realizzare degli obiettivi in forma collettiva.

La finalità dell'azienda è anche economica, però non tutte le aziende hanno scopo di lucro.
Anche una famiglia può essere considerata un’organizzazione economica perché soddisfa i bisogni economici dei suoi
membri ma non è un’impresa.

L'impresa svolge un'attività produttiva destinata al mercato: cioè ad essere ceduta a terzi con un atto di scambio (vendita
con corrispettivo).
L’aspetto qualificante dell’impresa è lo scambio al fine della realizzazione di valore economico (genera valore che superi
il valore consumato utilizzato per fare l’attività).
↳Valori che troviamo nel conto economico: valori della produzione e costi della produzione.

Es. di aziende non imprese: azienda sanitaria, azienda ospedaliera, università (cede un servizio contro corrispettivo), →
aziende possono non essere svolte in forma di impresa
In questo paese
Offrono sevizi pubblici: uni = sviluppare k umano da mettere a disposizione alle imprese, o per studiare/imparare
Attività economica non prevalente (pubblico), private (attività economica prevalente- hanno bisogno di raccogliere k
dal mercato)
=non sono svolte in forma di impresa, hanno un’altra forma giuridica (legale)
↳La prevalenza dell’attività economica indica un’ orientamento per bilanciare costi e ricavi (elemento essenziale per essere
qualificato come impresa).

(seconda domanda slide): organizzazioni pubbliche (regioni, stato, province)


Trieste trasporti: economicità (BIL COST E RIC) derivano da contributi non profitto

Impresa come sistema


L’impresa è un sistema sociale, in quanto costituito da persone.
L’economia è un branco del sistema sociale, che è costituito da attori economici (investitori, consumatori…).

L’impresa è considerato un sistema tecnologico, in quanto costituito da risorse produttive coordinate al fine di uno
scopo produttivo → insieme di mezzi di connessione, per generale un prodotto da portare sul mercato.

L’impresa è considerato un sistema aperto, nel senso che intrattiene relazioni con altri sistemi ed organizzazioni
economiche (si rapporta con altre organizzazioni: fornitori, comuni, UE, pubblica opinione - non è org)
La logica di funzionamento di un’impresa quale sistema aperto può essere rappresentata da uno schema input-output,
dove l’input è dato da fattori produttivi e l’output dal prodotto portato dall’impresa sul mercato (si tratti di un bene tangibile,
di un servizio, o di entrambi).

La differenza tra il costo dei fattori produttivi impiegati nell'attività produttiva e il valore della produzione ottenuta (in altri
termini il confronto tra input e output) costituisce il risultato economico dell’impresa e rappresenta una importante misura
di creazione di valore economico.

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L’impresa si colloca all’interno di sistema competitivo, composto da tutti i soggetti con cui l’impresa ha concorrenza diretta
(vendiamo stesso prodotto), indiretta (soddisfiamo lo stesso bisogno - non realizziamo lo stesso prodotto, modalità con
cui soddisfare il bisogno)

Le attività produttive d’impresa


L’impresa crea valore economico attraverso lo svolgimento di atti produttivi e di scambio.
Ogni atto produttivo comporta la trasformazione di input in output.
L’attività produttiva va dunque intesa in senso ampio, potendo avvenire in termini fisici (es. produzione di automobili);
spaziali (es. trasporto), temporali (es. stoccaggio di merci per la successiva rivendita). Possiamo distinguere, inoltre, tra
produzione di beni e produzione di servizi:
• servizi hanno le caratteristiche dell’immaterialità, della (non) immagazzinabilità, e della produzione contestuale alla loro
fruizione da parte del cliente.
I servizi possono essere erogati autonomamente rispetto alla vendita di beni oppure in forma congiunta.
Sono servizi con vita autonoma sul mercato quelli di consulenza, di trasporto, di telecomunicazioni, ecc.
Esempi di servizi strettamente legati a un bene di produzione sono invece le attività di assistenza tecnica e di
manutenzione.
• Beni che possono essere messi a disposizione dell’utilizzatore in forma di servizi o insieme ad un’ampia varietà di servizi
complementari (cd. servitization).

Molte imprese producono sia beni che servizi: es. Toyota: vende una macchina ma offre anche il servizio del
finanziamento.
Viene venduto un pacchetto, abbinamento di beni e servizi
Spesso ci si rapporta meglio con il cliente, fa continuare il rapporto anche dopo la vendita dei beni= cessione di beni e
servizi da parte della stessa impresa: servitizzazione

Un’altra importante distinzione è quella tra produzione industriale e produzione artigianale:


La distinzione ha riguardo al peso relativo dei fattori produttivi impiegati: nella produzione industriale prevale il capitale
(fisso e circolante), mentre, nella produzione artigianale, risulta di maggior importanza il capitale umano (lavoro), e cioè la
capacità manuale e intellettuale dell'uomo.

Tipi di imprese
È possibile fare molte distinzioni dicotomiche tra le imprese:
- Imprese produttrici di beni e di servizi
↳Imprese commerciali =intermediario commerciale (edicola, supermercato)
Specializzate: Uniero
Non specializzate: ipermercato
OVS (coordina la produzione in modo pervasivo, e vengono messi sul mercato attraverso canali retail

- Imprese industriali e imprese artigiane


- Imprese industriali e imprese commerciali
- Imprese tecnologiche e imprese tradizionali
- Imprese piccole, medie e grandi
↳differenze sul piano dimensionale: ci si riferisce ai dipendenti, collaboratori
Fino a 50 dipendenti → piccola
50-250 → media
+250 → grande
Dipende dal settore, alcuni richiedono una scala media che ti rende competitivo.

- Imprese a capitale privato e a capitale pubblico (=SOE → STATE OWNED ENTERPRISES)


- Imprese quotate e non quotate
↳In Italia ci sono 400 imprese quotate. Perché un’impresa dovrebbe quotarsi in borsa? Per ottenere denaro dal mercato,
non relazionarsi direttamente → modo secondario per raccogliere denaro
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Vado in borsa se ho bisogno o lo ritengo utile sul piano relazionale, posso anche risolvere il mio problema finanziario da
solo.
Posso quotarmi in borsa per venire a contatto con il consumatore → legittimazione sociale dell’impresa attraverso la
trasparenza che si ha in borsa
Monetizzare l’importo iniziale → monetizzare il suo investimento

- Imprese familiari e imprese manageriali


↳ le Imprese famigliari e manageriali nascono come imprese familiari: c’è una famiglia fondatrice, ma che oggi sono delle
public company hanno azionariato diffuso
Quando l’impresa perde la sua identità → azionariato diffuso: tendono ad essere fortemente controllate dai manager-
nominati da azionisti ma non hanno diritto di proprietà
La persona che le rappresenta sono gli amministratori delegati, è nominato dal consiglio amministrativo, lui gestisce
l’impresa

Corporate governance
- Imprese individuali e imprese collettive
- Società di persone e società di capitali

Vengono inoltre riconosciute imprese particolari, come le: - Start-up - Spin-off - Imprese manifatturiere - Utilities

Startup: imprese appena partite, da consolidarsi nel mercato (diverse dalle imprese established) → fin quando l’impresa è
una startup? Dipende dal settore
↳Ricavi sono pochi, e il fabbisogno di investimento è molto alto, hanno bisogno di essere sostenute dai loro investitore
continuamente
↳Finché non fai break even point sei una startup

Imprese manifatturiero: due riferimenti: la vecchia manifattura (pro


duzione tessili), al giorno d’oggi
Manifattura: l’industria leggera, le macchine non sostituiscono le persone, le macchine azionati dalle persone

Imprese utilities: public utilities → svolgono attività di pubblica utilità


Attività esercitati da monopolisti a scopo pubblico: gas, acqua, Vodafone
No in mano pubblica (sono privati o privatizzati) ma offre servizi di pubblica utilità.

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Imprenditori e manager
Chi è l’imprenditore? Colui che sia assume il rischio d’impresa, apportando il capitale di rischio (capitale proprio o
Equity) e partecipando alle decisioni principali della gestione strategica dell’impresa.

Che differenza c’è tra imprenditore e manager?


L’ imprenditore guida l’impresa verso il raggiungimento di obiettivi che possono richiedere l’uso di risorse di cui l’impresa
non ha ancora la disponibilità. A tal fine, egli deve essere guidato da una visione del futuro.
Il manager ha il compito principale di sfruttare al meglio le risorse che ha già a disposizione e che gli vengono affidate
dall’imprenditore e/o dai proprietari dell’impresa. I due ruoli (imprenditore e manager) possono sovente sovrapporsi,
totalmente o parzialmente, come accade nel caso della figura del manager di più alto livello, l’amministratore delegato.

Chi è l’imprenditore di Illy caffè? Le quote di proprietà sono in mano ai membri della famiglia illy. Ma
l’amministratore delegato (CEO) è esterno alla famiglia. Sebbene la famiglia Illy non ricopra cariche esecutive
nell’impresa, possiamo ritenere che la funzione (e
la visione) imprenditoriale venga da loro espressa, congiuntamente all’amministratore delegato, il quale ha anche la
funzione di darle esecuzione.

Chi è l’imprenditore di Assicurazioni Generali? Tale funzione è distribuita tra il CEO e i principali azionisti. Non ci
sono azionisti di maggioranza assoluta (ma solo relativa). In imprese come questa può accadere che coalizioni di
azionisti si contendano, periodicamente, il controllo dell’impresa per avere la possibilità di esercitare la funzione
imprenditoriale e indirizzare lo sviluppo dell’impresa nel senso da loro desiderato.

Gli stakeholder dell’impresa e i loro obiettivi


L’impresa si pone al centro di una rete di relazioni con diversi soggetti, con cui attiva rapporti di scambio e di
comunicazione.
Questi soggetti sono detti stakeholders, letteralmente portatori di interessi.
Sono stakeholder quei soggetti per i quali l’impresa è strumentale alla realizzazione dei loro obiettivi e dei quali l’impresa
ha, a sua volta, bisogno per il perseguimento dei propri fini.

Tra i principali stakeholder possiamo identificare:


► Lavoratori (obiettivi: stabilità del posto di lavoro, conservazione/aumento dei livelli di stipendio)
► Finanziatori (obiettivi: rimborso dei capitali prestati e loro remunerazione)
► Manager (obiettivi: stipendi, prestigio, autonomia)
► Azionisti (obiettivi: ritorno sui capitali investiti in forma di capital gain e dividendi, limitazione del rischio, esercizio del
potere)

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► Imprenditore/azionisti di maggioranza (obiettivi: livelli di profitto)


► Amministrazioni pubbliche (obiettivi: contribuzione alla fiscalità generale e locale, assenza di tensioni e di conflittualità
sociale)

Stakeholder e impresa come nesso di contratti


Nell’ambito degli stakeholders possiamo individuare i fornitori di fattori produttivi.
Sono fattori produttivi tutti quegli elementi che concorrono a creare le condizioni necessarie al realizzarsi della funzione
produttiva.
I principali sono: lavoro, macchinari e attrezzature, materie prime e semilavorati, energia (nelle sue diverse forme),
conoscenze (manageriali e tecnologiche), capitale finanziario.

Diverso può essere il titolo giuridico (contratto) in base al quale l’impresa può utilizzare un fattore produttivo.
Ad esempio, il lavoro è ottenuto con contratti di lavoro, il capitale fisso può essere ottenuto con una compravendita (che
prevede il passaggio dei diritti di proprietà) o con il leasing, la tecnologia può essere ottenuta tramite l'acquisizione di
brevetti o di licenze, ecc.
Fornitori particolari sono le banche e gli altri istituti di credito, che mettono a disposizione risorse finanziarie utili per
l'acquisto di risorse produttive.

Il complesso intreccio di contratti che legano l’impresa ai suoi fornitori (e ai clienti) giustifica la diffusa
rappresentazione dell’impresa come nexus of treaties (‘intreccio di contratti’) o web of contracts.

L’importanza («salience») degli stakeholder


L’ importanza di uno stakeholder può essere valutata in base ai seguenti criteri:
►Potere (in che misura uno stakeholder può convincere o costringere l’impresa ad adottare un certo
comportamento);
►grado di legittimazione (in che misura uno stakeholder agisce anche con l’approvazione e/o accettazione
degli altri stakeholder);
►urgenza delle istanze (in che misura uno stakeholder esprime una richiesta all’impresa da evadere
urgentemente);
Non sempre potere e legittimazione sono presenti assieme nello stesso stakeholder: ad esempio un azionista di
minoranza ha sicuramente la legittimazione per dar voce alle proprie istanze, ma non ha sempre sufficiente potere per
assicurarsi che queste istanze vengano effettivamente considerate.

Non sempre potere e legittimazione sono presenti assieme nello stesso stakeholder.
Gli obiettivi e le finalità di un'impresa sono il risultato della sintesi, spesso conflittuale, degli obiettivi e interessi in essa
riposti dalle diverse categorie di stakeholders.
Tra gli stakeholders, un ruolo speciale è svolto dagli azionisti, che apportano il capitale di rischio e a cui la legge attribuisce
i diritti di proprietà dell’impresa, con i relativi poteri decisionali.
Gli azionisti si distinguono in azionisti di minoranza e di maggioranza. Questi ultimi possono diventare azionisti di
maggioranza attraverso la costituzione di una coalizione di comando che permetta loro in base alle regole di voto
assembleari, di imporre le proprie decisioni agli altri azionisti.

Un peso crescente nella definizione dei fini dell’impresa è svolto dai manager, i quali possono perseguire obiettivi di crescita
dimensionale d’impresa e/o di rafforzamento della reputazione individuale che possono anche essere in contraddizione
con la creazione di valore per gli azionisti.

Conflitti d’interesse tra stakeholders


Gli obiettivi e le finalità di un'impresa sono il risultato della sintesi, spesso conflittuale, degli obiettivi e interessi in essa
riposti dalle diverse categorie di stakeholders (Non tutti gli stakeholders possono essere soddisfatti → le risorse sono
scarse)
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Tra gli stakeholders, un ruolo speciale è svolto dagli azionisti, che apportano il capitale di rischio e a cui la legge
attribuisce i diritti di proprietà dell’impresa, con i relativi poteri decisionali.
Gli azionisti si distinguono in azionisti di minoranza e di maggioranza. Questi ultimi possono diventare azionisti di
maggioranza attraverso la costituzione di una coalizione di comando che permetta loro in base alle regole di voto
assembleari, di imporre le proprie decisioni agli altri azionisti.

Un peso crescente nella definizione dei fini dell’impresa è svolto dai manager, i quali possono perseguire obiettivi di
crescita dimensionale d’impresa e/o di rafforzamento della reputazione individuale che possono anche essere in
contraddizione con la creazione di valore per gli azionisti.
Ha dei margini di discrezionalità per prendere decisioni
Manager gestiscono il denaro di altri → attività di gestione delle risorse affidate

Separazione tra proprietà e controllo: sul piano delle competenze, della disponibilità di informazione
A volte i manager usano le asimmetrie informative a loro vantaggio: creano spazi di discrezionalità a vantaggio
I manager sono più spinti dalla ricerca di vantaggi x azionisti o per loro in una situazione in cui az non sa giudicarli?

Il manager è un dipendente dell’impresa, l’azionista ha quote in più imprese


Laddove noi consideriamo i costi per controllare i manager, le decisioni gestionali che vanno contro gli azionisti: eccesso
di spesa discrezionale
Impresa sostiene costi che non vediamo nel cc: costi d’agenzia (sub ottimizzazione che l’att d’impr ha rispetto a un
mondo ideale)
D’agenzia: manager sono gli agenti degli azionisti (principali)

I Costi d’Agenzia

Nelle imprese quotate in Borsa con azionariato diffuso (public companies) i singoli azionisti apportano quote estremamente
limitate del capitale di rischio dell’impresa.
A causa del loro limitato interesse ad un coinvolgimento diretto nelle attività dell’impresa, dovuto anche a limitazioni di
tempo e di conoscenze tecniche, questi azionisti delegano ai manager la gestione dell’impresa.
Ciò crea una separazione tra la proprietà e la gestione (o controllo), con gli azionisti, titolari dei diritti di proprietà, che
delegano ai manager (gli agenti) la gestione dell’impresa per loro nome e conto.

Questa situazione (relazione di agenzia) può determinare dei «costi di agenzia» quando le decisioni dei manager non
rispecchiano gli interessi degli azionisti e/o quando vengono attuati dei costosi meccanismi di controllo e di incentivazione
dell’operato dei manager.
Come allineare gli interessi di azionisti e manager e come ridurre i costi di agenzia è una tematica chiave nella governance
delle imprese.

Le finalità dell’impresa
L’impresa ha bisogno degli stakeholder, quindi dovrebbe cercare di soddisfare tutti i loro interessi, trovando un punto di
equilibrio.
Azionista vuole soddisfare i lavoratori- redention (trattenere i lavoratori) -> (garantire posto lavoro ->crisi
aziendale)

Esistono diverse possibili finalità d’impresa come:


- La creazione di valore economico
- La massimizzazione del valore d’impresa (Enterprise Value e/o Equity Value)
- La crescita dimensionale
- L’aumento della quota di mercato
- La conservazione o l’aumento dei livelli di occupazione…

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Tra queste finalità, l’unica che appare capace di portare ad una efficace sintesi le diverse istanze degli stakeholders è la
massimizzazione del valore economico di lungo termine, che è anche l’obiettivo ultimo degli azionisti, cioè dei
proprietari dell’impresa.
Il perseguimento di questo obiettivo non genera necessariamente contraddizione purché si tenga conto, adottando
opportuni criteri ESG (Environment, Social, Governance), di tutte le esternalità (positive e negative) generate dall’attività
d’impresa, anche se non misurate contabilmente.

Contraddizione in termini: già pareggiare costi e ricavi è troppo poco, i costi opportunità non contabilizzati: riguarda il k di
rischio

I costi d’esercizio sono la misura del consumo e della remunerazione dei fattori di produzione impiegati per lo svolgimento
dell’attività economica d’impresa.
La loro integrale copertura rappresenta una condizione necessaria per la sopravvivenza e la continuità d’impresa. Non ci
si riferisce soltanto alla copertura dei costi rappresentati nel Conto Economico, perché la sostenibilità economica
presuppone anche la remunerazione del capitale di rischio (che non è un costo contabile).
Per generare un profitto economico non negativo (un profitto in grado di remunerare anche il capitale di rischio) serve
pertanto un profitto contabile maggiore di zero. Questa condizione esclude radicalmente, pertanto, la possibilità per
un’impresa di operare secondo logiche no-profit. A meno che gli azionisti o gli stakeholder non siano disposti a ripianare
sistematicamente le perdite d’impresa.

Lo potrebbe fare lo Stato, per erogare servizi pubblici a favore dei cittadini, operando però al di fuori delle logiche di
mercato.
Oppure potrebbe trattarsi di attività economiche svolte da privati, ma che sopravvivono solo grazie ai contributi pubblici che
integrano i ricavi delle vendite.
Vogliamo invece fiduciosamente escludere ipotesi di esercizio no-profit di attività di impresa per finalità di riciclo di denaro
derivante da attività illecite.
Quando ci si riferisce impropriamente alle imprese no-profit si guarda, in realtà, a quelle organizzazioni economiche che
sono solo formalmente delle imprese (perché costituite come tali) ma che non lo sono sul piano sostanziale, perché non
sono economicamente sostenibili.
I ft prd devono trovare una loro remunerazione, altrimenti troveranno altri impieghi da altre parti e l’impresa (no profit)
fallisce.
In tal caso, possiamo più correttamente parlare di aziende no-profit, che vengono tipicamente gestite da pubbliche
amministrazioni o da fondazioni filantropiche.

Forme d’Impresa e Organi di Governo


Sul piano giuridico, la proprietà dell’impresa, e i diritti ad essa connessi, spettano a chi ha conferito il capitale di rischio.
Essere proprietari dell’impresa significa poter esercitare i diritti di proprietà, cioè assumere discrezionalmente (ma nel
rispetto dello Statuto) le decisioni relative all’uso dei fattori produttivi.
Le modalità attraverso le quali i diritti di proprietà si esercitano dipendono dalle specifiche forme giuridiche d'impresa.
Le imprese possono essere esercitate sotto due forme: impresa individuale e società.

Nell’impresa individuale tutto il potere spetta all'imprenditore che, quindi, agisce autonomamente.
Nelle società, invece, vi è una pluralità di soggetti (i soci) che possono prendere decisioni e svolgere la funzione
imprenditoriale.
Le società sono a loro volta di due tipi: società di persone (anche dette a responsabilità illimitata, patrimonio attuale
e futuro); società di capitali (anche dette a responsabilità limitata).
Capitalisti: apportatori di capitale
Nelle società di persone, a causa della responsabilità illimitata di tutti i soci, questi sono anche amministratori, potendo
esercitare il potere amministrativo in forma disgiunta o congiunta a seconda di quanto previsto nello statuto societario.

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Gli organi di governo dell’impresa includono gli organi della proprietà (Assemblea dei soci), gli organi di amministrazione
(Consiglio di amministrazione, composto dagli amministratori e Presidente) e gli eventuali organi di direzione (ad esempio
il Comitato Esecutivo, composto dai top manager).

LE SOCIETÀ DI CAPITALI (CORPORATION)


Nelle società di capitali i diritti di proprietà si sostanziano principalmente nel potere di nomina (e revoca) degli amministratori
e di approvazione del bilancio.
La limitazione del rischio, che è la premessa per l’allargamento della base sociale e per il frazionamento del capitale di
rischio, ha significative implicazioni sulle modalità decisionali. Il potere di decisione viene infatti esercitato dagli azionisti
mediante convocazioni assembleari, per la nomina degli amministratori e per l'approvazione del bilancio.
In tale sede assembleare, i soci vengono anche informati dagli amministratori sullo stato di salute dell'impresa e decidono
in merito alla destinazione degli utili (ripartizione tra i soci o reinvestimento nell'attività).
Nelle società di capitali, specialmente nelle Spa quotate in borsa, è possibile distinguere due tipi di soci: coloro che entrano
in società in una prospettiva di investimento e coloro che intendono controllare l'impresa e che, quindi, prendono parte
attiva alle decisioni di governo.
Coloro che – di fatto – controllano la società sono in numero relativamente esiguo e costituiscono la coalizione di comando,
cioè il soggetto economico. Il soggetto economico viene essenzialmente identificato in base al potere di nomina degli
amministratori.

Organi di amministrazione: CdA e amministratori esecutivi


►Una fondamentale differenza tra società di persone e società di capitali (o a responsabilità limitata) riguarda il rapporto
che intercorre tra socio e amministratore: in una società a responsabilità illimitata (di persone) un socio è sempre
amministratore dell'impresa (eccetto i soci accomandanti nelle società in accomandita semplice).
Nelle società a responsabilità limitata ciò non necessariamente avviene. In tal caso, invece, i soci nominano gli
amministratori. I soci che hanno conferito un maggior capitale hanno, proporzionalmente, maggior influenza nella nomina.

►Le riunioni del consiglio di amministrazione si tengono periodicamente, il che non le rende sufficienti per una continua e
completa gestione dell'impresa. In consiglio di amministrazione (CdA) vengono prese solo le decisioni di importanza
fondamentale (quelle strategiche) e non anche quelle di carattere operativo (come potrebbe essere considerata, ad
esempio, la revisione periodica del prezzo di vendita di un prodotto).
Le decisioni di livello operativo sono invece affidate agli organi di direzione, oppure a specifici amministratori "esecutivi",
ai quali viene delegato il potere decisionale per determinati ambiti di gestione. Si parla, così, di amministratori (consiglieri)
esecutivi, di cui il più importante è l'amministratore delegato (ChiefExecutive Officer – CEO)- decisioni al di là della gestione

Organi di amministrazione: amministratori non esecutivi e indipendenti


►Per dare rappresentanza agli azionisti e alle altre categorie di stakeholders, le società di capitali possono nominare un
ampio numero di amministratori non esecutivi (cioè senza deleghe gestionali) e – all’interno della categoria degli
amministratori non esecutivi – designare gli amministratori indipendenti (non esecutivi, e senza interessi economici diretti
nell’impresa).
Non hanno deleghe gestionale: controllano- watchdog verso dirigenti e amministratori esecutivi
Può esserlo un azionista

►Le società quotate in Borsa sono obbligate a nominare un certo numero di amministratori indipendenti. Per maggiori
informazioni sugli amministratori esecutivi, non esecutivi e indipendenti si faccia riferimento al Codice di Corporate
Governance (edizione 2020).

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Esecutivi: prendono decisioni

Organi di direzione
►I manager sono i veri protagonisti della gestione dell'impresa. Solitamente, manager e amministratori sono soggetti
distinti, come pure i manager e i proprietari dell'impresa (si parla in tal senso di separazione tra proprietà e management
come elemento qualificante delle moderne società di capitali).
►È tuttavia possibile che i ruoli di amministratore e di manager vengano a confondersi nella stessa persona (ciò accade
specialmente nel caso dell'amministratore delegato, anche detto CEO).
►La figura del manager può articolarsi in diversi livelli: il direttore generale (managing director) è la figura più importante
(quando esiste), dopo l’amministratore delegato (e a volte coincide con questa).
Seguono i manager responsabili di funzione o di divisione – cioè i vice-presidenti
►I livelli manageriali più alti sono quelli di livello C (C-level), dove C sta per Chief (Chief Financial Officer, Chief Operating
Officer, etc.), che siedono sovente nel Comitato Esecutivo.
A seconda della struttura dell’impresa possono esserci ulteriori figure manageriali di livello inferiore.

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L’im瀀爀esa come catena del val漀爀e

L'impresa svolge una serie di attività che possono essere rappresentate secondo il modello della catena del
valore.
Perché catena? Perché si individuano attività tra loro legate da interdipendenze sequenziali (cioè da
rapporti di input-output, come gli anelli di una catena), ma tecnologicamente distinte.
Perché del valore? Perché è la creazione di valore economico creato nello scambio coi clienti, e non il
semplice sostenimento dei costi, a costituire la finalità ultima dell’impresa.

La catena del valore visualizza il valore totale creato dall’impresa distinguendone due elementi:
- le attività generatrici del valore;
- il margine di profitto.
Il margine di profitto è dato dalla differenza tra il valore lordo generato (tipicamente: i ricavi di vendita) e il
costo complessivo sostenuto per svolgere le attività generatrici di valore.

L’impresa come catena del valore: attività primarie


Le attività generatrici del valore si possono suddividere in attività primarie e attività di supporto.
Ad esempio, in un’impresa manifatturiera sono tipiche attività primarie:
▪ logistica in entrata; comprende la gestione e il controllo dei magazzini e la programmazione dei trasporti;
▪ produzione (operations); comprende le lavorazioni in officina, i processi di assemblaggio, la
manutenzione dei macchinari, la gestione degli impianti e le attività di logistica interna (gestione delle scorte e dei
trasporti);
▪ distribuzione fisica (logistica in uscita); comprende il magazzinaggio dei prodotti finiti, la gestione dei vettori di
consegna, l’elaborazione degli ordini, la programmazione delle spedizioni;
▪ marketing e vendite; comprende la gestione della forza di vendita, il controllo dei canali distributivi, la gestione del
marketing mix;
▪ servizi alla clientela; si tratta di attività di fornitura di servizi al cliente finale, atte a migliorare o a mantenere il valore
del prodotto: installazioni, riparazioni, addestramento, fornitura di ricambi e
accessori.

L’impresa come catena del valore: attività di supporto


Sono attività di supporto quelle attività che non contribuiscono direttamente alla creazione del valore economico
attraverso lo scambio di mercato, ma che sono comunque necessarie al funzionamento complessivo dell'impresa e in
particolare all’efficace svolgimento delle attività primarie:
▪ approvvigionamento di fattori produttivi;

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▪ attività infrastrutturali; comprendono molteplici attività quali la direzione generale, la pianificazione e controllo,
l’amministrazione, la finanza, le pubbliche relazioni, e tutti i servizi generali.
▪ sviluppo nuovi prodotti e ricerca e sviluppo; comprende tutte le attività di sviluppo del patrimonio tecnologico
aziendale.
▪ gestione delle risorse umane; comprende attività come il reclutamento e la selezione del personale, l’addestramento
e la formazione, la definizione delle politiche retributive e dei programmi di carriera e sviluppo, le relazioni industriali.
La descrizione dell’impresa come catena del valore può essere fatta anche con riferimento ad imprese non manifatturiere
(come le imprese di servizi), con qualche opportuno aggiustamento nelle categorie sopra presentate. Vale il seguente
principio fondamentale: dovrebbero essere isolate e separate le attività che hanno logiche economiche diverse, che
possiedono un alto impatto, anche potenziale, sulla differenziazione competitiva, e che rappresentano una porzione di
costo crescente e significativa.

L’impresa come modello di business


l Business Model Canvas offre un'immagine completa e sintetica di come un'azienda crea, consegna e cattura valore.

Le componenti del modello di business


1. Segmenti di clientela: Sono i diversi gruppi di persone o organizzazioni a cui l'azienda intende rivolgersi. I segmenti di

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clientela possono essere distinti in base a caratteristiche come età, genere, interessi, ecc.
2. Proposta di valore: identifica quali problemi dei clienti l’impresa intende risolvere o quali bisogni intende soddisfare.
La proposta di valore rappresenta ciò che rende unica e attraente l'offerta dell’impresa rispetto alla concorrenza.
3. Canali: ci si riferisce ai diversi canali attraverso i quali l’impresa raggiunge e interagisce con i propri clienti. I canali
possono includere vendite online, distribuzione fisica, social media, vendita diretta, ecc.
4. Relazioni con i clienti: qui vengono definite le tipologie di interazione che si intende stabilire con i suoi clienti. Questo
può variare da assistenza personalizzata a self-service, da comunità online a servizi post-vendita.
5. Flussi di ricavi: definisce come l'azienda intende generare ricavi dai suoi clienti. Può includere vendite dirette,
abbonamenti, pubblicità, affitti, ecc.
6. Risorse chiave: Si tratta delle risorse materiali, umane, finanziarie e intellettuali necessarie per far funzionare il
modello di business.
Queste risorse supportano la creazione e la consegna della proposta di valore.
7. Attività chiave: si tratta delle azioni e delle operazioni cruciali che l'azienda deve svolgere per far funzionare il suo
modello di business. Queste attività sono strettamente legate alle risorse chiave.
8. Partner chiave: qui vengono elencate le alleanze strategiche e le collaborazioni esterne che aiutano l'azienda a
ottenere e mantenere vantaggi competitivi. I partner possono essere fornitori, distributori, acquirenti, ecc.
9. Struttura dei costi: vi si indicano i costi associati al funzionamento del modello di business, distinti in costi fissi e
variabili.

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➔ Le relazioni fondamentali
L’impresa è una modalità di organizzazione dell’attività economica. È alimentata dall’apporto di capitale e lavoro, e la sua
finalità economica è la creazione di valore nel lungo termine. Il funzionamento dell’impresa può essere descritto rispetto
a questa finalità.
Una delle più semplici ed efficaci descrizioni del funzionamento di un'impresa è quella che considera le relazioni tra i
costi sostenuti, i volumi produttivi realizzati e i risultati economici conseguiti.
CREA valore attraverso la generazione di ricavi, e sostenuti tutti i costi quindi si crea valore economico quando R-C > 0
RV (endita)=p * q venduta

Sebbene le relazioni tra queste grandezze siano piuttosto complesse, esse possono essere – in prima approssimazione -
presentate sotto forma lineare.
Detta, infatti, Q la quantità di prodotto finito (beni o servizi) realizzata, in un determinato periodo di tempo, si può
rappresentare in funzione di Q sia i ricavi d’impresa che i costi di produzione. Questi ultimi possono essere espressi come
una funzione lineare di Q:
Costi di produzione = CF + cvu * Q
dove:
► CF sono i costi fissi di produzione, cioè quei costi il cui ammontare, in una certa unità di tempo, non dipende dalla
quantità prodotta (ovviamente, entro i vincoli di una determinata capacità produttiva);
► cvu è il costo variabile unitario di produzione, cioè il costo che l'impresa sostiene per produrre ogni unità aggiuntiva di
prodotto finito.
CV= cvu x prodotti
Tale grandezza può, per i fini di questa esposizione, anche essere assimilata al cd. costo marginale. Sulla base della
funzione di costo sopra esposta, stiamo dunque assumendo che il costo marginale sia una costante. Questo assunto non
corrisponde necessariamente alla realtà, potendo i costi variabili unitari (e i costi marginali) modificarsi in relazione ai
volumi di produzione (ad esempio per effetto di economie di scala e/o di economie di apprendimento).

Tipologie di costi fissi


I costi fissi sono quei costi il cui ammontare (data una certa capacità produttiva) non dipende dalle variazioni nei volumi di
attività d’impresa.

I costi fissi possono essere suddivisi in tre categorie:

- Costi affondati (sunk costs)


I sunk cost (costi affondati) corrispondono a quote di investimenti (materiali e/o immateriali) già sostenuti dall’impresa.
Sebbene tali costi assumano rilevanza sul piano contabile, nella forma di quote di ammortamento, non hanno rilievo,
invece, sotto il profilo finanziario, corrispondendo a spese già sostenute.
Gli investimenti a cui i costi affondati si riferiscono possono inoltre avere bassi o nulli costi opportunità (cioè bassi o nulli
valori di realizzo sul mercato o basso o nullo valore utile in altri impieghi).
Es. accantonamenti a fdo anche (no rilevanza finanziaria=monetaria oggi, non è tecnicamente costo affondato)
Avere tanti ammortamenti è un bene o un male?
Min 35:00
Si possono gestire? Spesso sono definiti dalla L fiscale a cui è difficile erogare, grado di libertà ridotto.
Politica di bilancio: come vogliamo chiudere quest’anno? Si può agire sulle quote di ammortamento.
Io posso trasformare un costo discrezionale in un investimento che genererà costi affondati: capitalizzare costi

- Costi vincolati
Si tratta di costi al cui sostenimento l’impresa è obbligata in forza di contratti di durata, che la legano ai dipendenti
(contratti di lavoro) o ai fornitori di servizi (contratti di affitto, di mutuo, di manutenzione, di leasing, ecc.). Il loro
ammontare non dipende dalla quantità prodotta e venduta.
- Canone di locazione: no costo discrezionale
Diventa vincolato dal fatto che ho firmato un C
- Tassa della concessione dell’occupazione del suolo pubblico
- Canone internet
- Dipendenti
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Si gestiscono modificando i C
Il CF è fisso solo riguardo ai volumi dell’attività, ma non è fisso per sempre-> i C si concludono
- Costi discrezionali
Si tratta di costi che hanno natura di spesa discrezionale, nel senso che il loro ammontare è stabilito discrezionalmente
dai manager dell’impresa (come, ad esempio, le consulenze e la pubblicità).
- Spese di energia: luce, gas, acqua ecc -> possiamo decidere noi se quel giorno se accendere il riscaldamento o
no
- Canone internet: se è a consumo

I costi discrezionali possono generare dei vincoli contrattuali a carico dell’impresa, rientrando così nella categoria
precedente.
Costo che avrebbe potuto sostenere come no
Si possono modificare per definizione-> scelta discrezionale
Spese di pubblicità: capitalizzare costi

I costi variabili
Varia abbastanza proporzionalmente al volume di produzione e vendita.
Es. spese di energia? no
- Costo del POS-> canone periodico e se superi paghi l’eccedenza (una quota è CF e una quota è CV)

Sono molteplici le tipologie di costi che possono essere incluse nella categoria dei costi variabili.
Può trattarsi, ad esempio, dei costi di acquisto e dei consumi di materie (la differenza tra le due grandezze essendo data
dalla variazione delle rimanenze), degli acquisti di merci, delle lavorazioni esterne (quelle lavorazioni sui prodotti svolte
dai fornitori dell’impresa), dei costi di energia sostenuti per il funzionamento degli impianti dedicati ai processi di
produzione, etc.
Si tenga in ogni caso conto che nell’analisi costi-volumi-risultati, le funzioni di costo e di profitto sono costruite con i
Consumi e non con gli Acquisti. I Costi di Acquisto sono invece rilevanti per il calcolo della durata dei cicli monetari.

Non possono essere completamente assimilati ai costi variabili il «costo del venduto» e la macrocategoria denominata
«costi per servizi». Trattasi infatti di costi a natura mista:
- il costo del venduto comprende tipicamente i costi del lavoro, i consumi di materie, gli ammortamenti (quindi costi sia
fissi che variabili); nel caso di imprese commerciali, il costo del venduto consiste principalmente nel costo delle merci
vendute (acquisti di merci meno variazioni delle scorte di merci)
- i costi di servizi comprendono sia costi variabili (come le «lavorazioni esterne») che costi fissi, di natura vincolata
(come i costi di assicurazione), e/o di natura discrezionale (come la pubblicità)-> servizi che l’impresa acquista dai
fornitori di servizi

Es. energia, riscaldamento

Le variazioni delle rimanenze


Nel Conto economico, le rimanenze finali attive dell’esercizio costituiscono componenti positivi di reddito per
l’esercizio che si chiude (storno indistinto di costi) ed elementi attivi del capitale rilevato al momento di chiusura
dell’esercizio (viceversa, nel bilancio di esercizio successivo diventeranno componenti negativi di reddito nel ruolo di
rimanenze iniziali).
A tale proposito:
• le “variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci” devono essere esposte nel
costo della produzione;- input
• le “variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, finiti, e semilavorati di produzione” devono
essere indicate nel valore della produzione; - output
Le variazioni, se positive, confluiscono con il segno “+” nel valore della produzione (se riferite alle rimanenze di
prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti) e con il segno “-“ nei costi della produzione(se riferite alle

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rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci). In quest’ultimo caso, infatti, l’incremento delle
rimanenze riduce il costo della produzione.

Il conto economico è guidato dal principio di competenza.

Es. autogrill
Acquisti: merci
Non tutto quello che è stato comprato è stato venduto, e non vuol dire che non ci siano state scorte iniziali
C’è un po’ di tutto e l’impresa potrebbe non costruire un costo del venduto -> perché lo dovrebbe fare sulle merci da
vendere che dovrei abbinare a un costo di produzione/ trasformazione, ma metto tutto insieme
-> semplificazione dei costi economici
In un autogrill ci sono almeno due processi di creazione di valore di produzione: Intermediazione di merci e Preparazione
dei cibi -> mette tutto acquisto
Variazione diminutiva -> Acquisti- Variazioni= Consumi
Se i consumi sono più bassi degli acquisti-> non ho consumato tutto quello che ho acquistato, ma parte di quanto
acquistato è andato ad incrementare le rimanenze (ha il segno meno quando è aumentativa)

Es. Valsoia

Evidenzia i consumi in due parti del conto


economico: prima parte legata ai costi d’acquisto

Variazioni delle rimanenze

Per esame: nel conto economico vengono rappresentati i consumi di competenza? Sì, direttamente o
indirettamente (in due parti: la parte acquisti e la parte variazioni).

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Es. Gruppo Campari


Il costo del venduto non è un costo variabile.
Di solito si somma una componente fissa: costi fissi di produzione

(a volte direttamente= evidenzia i consumi, altre volte indirettamente= costi


d’acquisto e variazioni)

Es. De Longhi
Rimanenze che si riducono – vuol dire che sto vendendo anche quello che non ho prodotto nell’esercizio, ma che ho
prodotto prima> per competenza avrei potuto decidere di rettificare i ricavi > ma de longhi preferisce mettere i ricavi di
vendita (finalità anche solo di informazione societaria- comunicazione di mercati) e rappresentare questa variazione tra i
consumi (costi): abbiamo consumato delle rimanenze dei prodotti finiti – viene sommato ai costi per generare i consumi
Rimanenze 3 riga= sono cresciute perché le sto trattando come minor costo
Due problemi: riga 2 doveva essere nei ricavi come voce diminutiva (*)
Se non ci fosse la riga 2: consumi inferiori alla voce d’acquisto

Es. Fincantieri

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Composizione dei costi per servizi:


es. de longhi

costi di servizi= immateriale

rappresentano una fetta importante del conto economico e le cui


variazioni possono avere impatti importanti

che cosa contengono questi servizi?

Costi a natura variabile (crescono come costo in proporzione al


prodotto/al venduto), e costi a natura fissa (costi discrezionali
ecc)

Spese promozionali -> es. vado all’unieuro e c’è il tizio della de


longhi che vuole farmi provare la macchinetta del
caffè/aspirapolvere-> e mi dice che c’è un’offerta (solo quella
settimana la macchinetta è a 59,99 euro, il restante li dà la de
longhi all’unieuro)

Perché lo fa? Così il consumatore si affeziona al marchio de


longhi, piuttosto che bialetti, ecc

La pubblicità cos’è?
➔ Pubblicità CF -> C’è un rapporto di causalità: faccio la pubblicità per vendere di più-> spesa discrezionale
➔ Spese promozionali -> dipende: rapporto di proporzionalità tra vendite e spese promozionali quindi forse sono
variabili

I trasporti? Non sono gestiti da de longhi ma de longhi paga fornitori (vettori esterni: dhl, ups ecc)
Lavorazioni esterne: deve essere un costo di servizio, non può essere solo l’acquisto di un componente
Sono proporzionali al venduto-> costi variabili
Consulenze: CF in natura discrezionale
Spese e contributi depositi
Min 29:00 lezione 11 ottobre

Ricavi di vendita e valore della produzione


Anche i ricavi di vendita, come i costi totali, possono essere espressi come funzione lineare della quantità prodotta. In tal
caso, la loro rappresentazione analitica sarà la seguente:
Ricavi di vendita = p * Q dove p è il prezzo di vendita di un'unità di prodotto finito.

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Tuttavia, il valore della produzione non è definito soltanto dai ricavi di vendita,
Nel bilancio civilistico italiano, il valore della produzione è articolato in cinque voci:
1.ricavi delle vendite e delle prestazioni;
2.variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti;
3.variazioni dei lavori in corso su ordinazione;
4.incrementi di immobilizzazioni per lavori interni;
5.altri ricavi e proventi.
Le voci di ricavo possono essere, in talune imprese, alquanto articolate (si veda la pagina successiva relativa al Gruppo
ENEL).

La funzione del profitto


Il profitto conseguito dall'impresa, cioè la differenza tra i ricavi di vendita e i costi di produzione, può essere espresso
come una funzione lineare della quantità prodotta:

Profitto = p * Q - cvu * Q – CF e raccogliendo i fattori comuni: Profitto = (p - cvu) * Q - CF


La differenza (p - cvu) è chiamata margine di contribuzione unitario (mcu)

Esistono anche ricavi fissi (non cambiano proporzionalmente alla produzione)

I margini di contribuzione unitario e totale


Il margine di contribuzione unitario rappresenta il beneficio economico netto che ogni singola vendita aggiuntiva (cioè
marginale) apporta all'impresa; questa differenza è destinata primariamente alla copertura dei costi fissi, di quei costi,
cioè, che l'impresa dovrà sostenere indipendentemente dalla produzione realizzata. Solamente dopo aver coperto tutti i
costi fissi, i margini si trasformano in profitti.
Il prodotto mcu * Q è anche detto margine di contribuzione totale (MCT) e non va confuso con il Margine lordo sulle
vendite (che è invece dato dalla differenza tra i Ricavi di Vendita e il Costo del Venduto e quindi risulta al netto dei costi
fissi operativi, come ammortamenti e costo del lavoro).
Definito il Margine di contribuzione totale, possiamo scrivere l’equazione del profitto nella forma seguente:
Profitto = MCT – CF
Es. mc è come riempire una grande buca rappresentata dai CF, e durante l’impresa vendendo realizzo dei margini che
andranno a riempire questa buca e ci fa avvicinare al punto di equilibrio.

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L'equazione:
Profitto = p*Q – cvu*Q – CF = (p - cvu) * Q - CF
costituisce il punto di partenza dell'analisi costi/volumi/risultati.

L'analisi offre risposte a domande di questo tipo:


►quale livello minimo di vendite garantirà all'impresa un risultato economico non negativo?
►dato un obiettivo di profitto, per quale livello di produzione (e vendita) sarà possibile raggiungerlo?
►dato un livello produttivo pari a Q, per quale prezzo di vendita sarà possibile ottenere un risultato economico non
negativo?

Domande che ci aiutano a leggere il bilancio.

Punto di pareggio
Il punto di pareggio o break-even point (BEP) corrisponde a quel volume (quantità) di vendite che consente all'impresa
di generare margini di contribuzione sufficienti a realizzare l'integrale copertura dei costi fissi.

Posto il profitto pari a zero:


mcu * Q - CF = 0 e risolvendo per Q, otteniamo:
Quantità di pareggio = 𝑪𝑭/𝒎𝒄𝒖

Dato un obiettivo di profitto pari a P, per quale livello di produzione (e vendita) sarà possibile raggiungere tale obiettivo?
Per rispondere, partiamo dalla formula del punto di pareggio: sarà sufficiente aggiungere al numeratore il valore obiettivo
di profitto U e risolvere l'equazione per Q.
Q = 𝑪𝑭+𝑷/𝒎𝒄𝒖

A volte ci interessa conoscere il livello dei ricavi di vendita (cd. fatturato) necessario a conseguire il pareggio economico.
In questi casi, partendo da:

è su昀케ciente mol琀椀plicare entrambi i membri per il prezzo

Il rapporto mcu/prezzo esprime la frazione del prezzo di vendita che, una


volta coperti i CV, è destinata alla copertura dei CF e alla realizzazione di un profitto.

Assumendo un margine di contribuzione unitario positivo, possiamo dedurne che il rapporto di cui sopra assume valori
compresi tra 0 (quando p=cvu) e 1 (cvu=0).

Il rapporto in oggetto costituisce un indicatore fondamentale per descrivere la struttura dei costi di un’impresa e il suo
grado di integrazione verticale.

Utilizzando grandezze assolute (dati di bilancio) anziché unitarie (mcu, Q), il fatturato di pareggio può essere espresso
come:

Se non moltiplicassimo per il prezzo la q di pareggio -> otteniamo: a dx non abbiamo più la quantità ma abbiamo il ricavo di vendita del
pareggio (fatturato di pareggio) che devo ottenere per ottenere l’equilibrio; a sx diventa CF/mcu/P -> mcu/P esprime la frazione del
prezzo di vendita che, una volta coperti i cv, è destinata alla copertura dei cf e alla realizzazione di un profitto.

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È un rapporto che l’impresa può gestire. Mcu/P = MET/RV => cf/mct/rv

0<MCT/RV<=1

L’auspicio è che siano positivi, ma ci sono sit in cui sono molto bassi.

Non è un giudizio di valore – dobbiamo capire cosa significa avere un margine vicino a 0 e cosa significa nella
situazione opposta.
Tendente a 1 -> ha tanti CF e pochi CV
Tendente a 0 -> ricavi d vendita sono assorbiti quasi integralmente dai cv
Es. imprese che producono servizi (+ cf, ci sono cv rispetto alla q e prodotto venduto)
Microsoft -> sviluppare prodotti =/ da produrre prodotti
Licenze office che units compra da microsoft -> paghiamo a microsoft (quale sarà il cv x microsoft? Non c’è)
Nemmeno in google, autovie venete , compagnia telefonica
Unieuro , supermercati vivono solo di cv

Significato e determinanti del punto di pareggio


Il punto di pareggio evidenzia una condizione strutturale dell’impresa, che risulta definita dalla misura dei costi fissi e
variabili e dai prezzi di vendita.

Se non muta nessuna di queste condizioni strutturali, non muta neppure il punto di pareggio.
Quando invece si modifica il grado di integrazione verticale (cioè il numero delle attività svolte all’interno dell’impresa
rispetto a quelle delegate ai fornitori), oppure quando migliorano i margini di contribuzione (ad esempio, attraverso un
contenimento dei costi di produzione), o ancora quando aumenta il grado di differenziazione dei prodotti (con la
conseguente possibilità di aumentare i prezzi unitari e quindi di ottenere un premium price, cioè un maggior prezzo
rispetto a quello medio di mercato), muterà anche la condizione strutturale di pareggio economico.

Rappresentazioni grafiche

Le curve di costo unitario e il reparto dei CF

Il livello dei costi medi unitari dipende principalmente dal grado di riparto dei costi fissi, un fenomeno che si accompagna
al progressivo sfruttamento della capacità produttiva.
Infatti, risulta che:
costo medio unitario = costo variabile unitario + 𝑪𝑭/𝑸

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In altri termini, al crescere dei volumi produttivi il costo unitario tenderà a diminuire per effetto della saturazione dei fattori
produttivi fissi (e quindi per effetto del riparto dei CF). Ciò vale per qualsiasi tipo di costo fisso, dal costo del personale
(specialmente quello indiretto, come il lavoro impiegatizio), alle spese di pubblicità, agli oneri finanziari, alle spese
generali, ecc.
I costi medi unitari saranno allora rappresentati dal grafico a destra.

costi medi
unitari= cvu+ CF
Q

Un riparto dei CF comporta una diminuzione dei cmu

➔ Possiamo parlare di profitto


1. RV-CT
2. MCT-CF
Qual è la distanza relativa tra vendite realizzabili e bep? Consente se perdere 20% delle vendite senza finire in una
situazione di perdita. Allo stesso modo misurare quanto sono lontano dalle vendite di sicurezza anche se ho già superato
il bep.

Il margine di sicurezza
Può essere interessante mettere a confronto le vendite (previste o effettive) con quelle che assicurerebbero
all'impresa semplicemente un pareggio economico. Da questo confronto si ottiene una misura del rischio
operativo dell’impresa, chiamata 'margine di sicurezza':

Tale misura è di agevole interpretazione: ad esempio, un margine di sicurezza di 0,30 sta ad indicare che le
vendite potranno essere fino al 30% inferiori a quelle effettive senza che ciò comporti per l'impresa il
conseguimento di una perdita.
Di particolare importanza è il reciproco del margine di sicurezza, la leva operativa, che esprime l’elasticità
(sensibilità) del profitto alle variazioni nei volumi di attività (Q).
➢ Calcolo differenziale per misurare l’elasticità

Il bep → cmu=p

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Il prezzo di equilibrio nel lungo termine


Prezzo ≥ cmu

Le relazioni tra costi, volumi e risultati economici sono di fondamentale importanza per le scelte di prezzo
dell’impresa.
In generale, il prezzo sarà influenzato da tre fattori:
1. I costi di produzione
2. I prezzi praticati dalla concorrenza
3. La disponibilità a pagare degli acquirenti (cd. willingnes-to-pay)

La condizione minima di sostenibilità economica, nel lungo periodo, è data da un prezzo unitario maggiore
o uguale ai costi unitari di produzione.

Per calcolare questo prezzo, occorre esplicitare il prezzo dalla formula del profitto, ponendo il profitto pari a zero:

La formula ci dice che il prezzo unitario minimo praticabile da un'impresa è pari al costo medio unitario di produzione,
cioè alla somma del costo variabile unitario e del costo fisso unitario. Il prezzo minimo si riduce pertanto al crescere delle
quantità prodotte. Riducendosi i costi medi l'impresa potrà dunque praticare prezzi più bassi, risultando più competitiva
(cioè più capace di vincere il confronto con i concorrenti).

Px di pareggio parte da equazione di profitto.

Possiamo scendere so琀琀o il costo medio unitario? Es. società telefonica (TIM)
Tim ha 30 milioni di clien琀椀
Se mi arriva 30 mil+1 che prezzo dovrei fargli?

1. Costi marginali: quali sono i cm che i clienti in più può generare x TIM?
Quali sono? Non ci sono -> la discriminazione di prezzo va evitata

Primo modo: Il prezzo di equilibrio nel breve termine -> lettura dal lato dei cm
Tuttavia, nel breve termine, l’impresa potrà anche trovare conveniente praticare – seppur temporaneamente – dei prezzi
inferiori al costo medio unitario.
Le ragioni possono essere molteplici:
► ottenere una commessa particolarmente importante;
► ostacolare l’ingresso sul mercato di nuovi concorrenti (fissando un cd. prezzo di deterrenza all’entrata – anche detto
prezzo «limite»);
► conquistare una quota di domanda che altrimenti rimarrebbe inespressa;
► smobilizzare quote di produzione invenduta.
A differenza di una logica di lungo periodo (entro la quale l’impresa deve porsi l’obiettivo di recuperare gli investimenti
effettuati e di rinnovarli a scadenza), in una logica di breve termine (che corrisponde ad una condizione in cui l’impresa
non prende decisioni sotto il vincolo del recupero degli investimenti effettuati) il prezzo minimo accettabile dall’impresa
non sarà più il costo medio unitario bensì quello che copre almeno i costi marginali (corrispondenti sostanzialmente ai
costi variabili unitari).
Si dice, in questo caso, che l’impresa preferirà adottare una logica di direct costing al posto di una di full costing.
In presenza di forti motivazioni competitive, l’impresa potrebbe addirittura decidere di praticare prezzi inferiori ai costi
marginali (cd. vendite sottocosto), sacrificando il profitto di breve termine al raggiungimento di obiettivi di medio-lungo
termine.

Secondo modo: quali sono i costi che io devo veramente coprire? Quali costi non fanno male? Ammortamenti, perché
li ho già pagati. Posso sistematicamente dimenticarmi dell’ammortamento? Costi affondati

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Posso lasciarli da parte, fanno meno male e può utilizzare x fermare i concorrenti. È un coltello a doppio taglio (dimentico
gli ammortamenti ma ho il cadavere nell’ armadio)

La centralità dell’EBITDA
Un fondamentale parametro per valutare la propensione delle imprese ad adottare logiche di breve periodo e a ridurre i
prezzi al di sotto del costo pieno è dato dal rapporto:

EBITDA-EBIT= DNA
Tanto maggiore sarà questo rapporto (a causa della presenza di costi fissi affondati nell’EBITDA) tanto maggiore sarà la
propensione dell’impresa ad adottare politiche di prezzo aggressive.
In pratica, per ragioni competitive l’impresa potrebbe accontentarsi di ottenere un EBITDA pari a zero, anziché un EBIT
pari a zero. In questo caso il livello di prezzo di equilibrio sarà dato da:

*L’EBITDA corrisponde agli «earning before interest,


taxes, depreciation and amortization». In altre parole,
l’EBITDA considera i soli costi di natura finanziaria e
operativa mentre non considera i costi fissi affondati
(depreciation and amortization).

*L’EBITDA è una proxy dei flussi di cassa operativi e


rappresenta una misura chiave per la gestione
finanziaria e per l’analisi dei processi di creazione del
valore nelle imprese.

Free cash form for the firm

Conclusione: impresa dovrebbe praticare px almeno pari al cmu, se px più bassi sì se ha ammortamenti; quindi, come se
ponessimo una condizione di pareggio su ebitda=0 (è l’ebit a cui ho tolto dei costi- ammortamenti)

➔ Per clienti già esistenti, per clienti in più possiamo ragionare dal punto di vista marginale

L’analisi costi-volumi-risultati nel caso delle imprese commerciali


Nel caso di imprese commerciali, come una catena di supermercati o di grandi magazzini, non sarà possibile parlare di
prodotto «medio» poiché l'assortimento offerto al pubblico è estremamente eterogeneo, comprendendo, ad esempio,
prodotti per l'igiene personale, prodotti alimentari e articoli casalinghi.
In questi casi, tuttavia, è ancora possibile applicare l’analisi costi-volumi-risultati, poiché ci soccorre il particolare
meccanismo attraverso il quale queste imprese formano i prezzi di vendita. Si tratta del cd. metodo della percentuale di
ricarico (mark-up): il prezzo di vendita è cioè determinato 'caricando' sul costo di acquisto delle merci una determinata
percentuale di questo costo. Ad esempio, se questa percentuale è pari al 30%, fatto 100 il costo di acquisto delle merci il
prezzo di vendita sarà pari a 130.

La percentuale sarà ovviamente fissata in modo tale da consentire il recupero dei costi fissi e ottenere anche un congruo
utile.
Assimilando i costi di acquisto ai costi variabili, il mark-up è misurato dal rapporto tra il margine di contribuzione totale e i
costi variabili totali:

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Il calcolo del mark-up potrà essere fatto anche con riferimento alle imprese non commerciali, sostituendo al costo di
acquisto delle merci il costo variabile unitario.

Fatturato di pareggio e mark-up


Il mark-up può essere facilmente ricavato dal rapporto tra i margini di contribuzione e i ricavi di vendita.

Essendo RV = MCT + CVT, dato un mark-up vale infatti questa relazione:

Si noti che il rapporto tra margini totali di contribuzione e ricavi di vendita (come pure tra margini di contribuzione
unitari e prezzi unitari di vendita) è una misura del cd. grado di integrazione verticale delle attività di impresa.
Assumendo che nelle imprese commerciali il costo variabile unitario corrisponda al costo di acquisto, il prezzo di vendita
potrà essere espresso nei termini seguenti:

Se nella equazione del fatturato di pareggio sostituiamo al prezzo la sua espressione in termini di mark-up, otteniamo:

Il fatturato di pareggio è qui una funzione dei soli costi fissi e della percentuale di ricarico ed è indipendente dal livello
assoluto di prezzo (e dal costo di acquisto) di uno specifico prodotto.

BEP è calcolato sul ricarico che dovrei fare sul costo d’acquisto per ricompensare la buca dei CF.

Il mark up di equilibrio:
MCT=RV- CV
RV= CV+MCT (apporto che dò alla copertura dei CF)
MCT = mcu
RV P

si ragiona in termini marginalis琀椀ci


se ques琀椀 abi琀椀 non li vendessi quest’anno li potrei vendere il prossimo nella stagione giusta
rinuncio a venderli il prossimo anno, quest’anno non ho dei cos琀椀 昀椀nanziari

Mark up: ricarico dei cos琀椀 d’acquisto nelle imprese commerciali


Condizione di pareggio riferita al fa琀琀urato e al mark up che andremmo ad applicare
Es. 10 MCT/0.25/1+0.25= 50 mil sarò in grado d generare questo fa琀琀urato in un anno
Se aumento il mark up, abbasso il pareggio

Ric di vendita sono cv+MCT

Parlando di prezzi…
In certi settori i prezzi sono definiti in modo dinamico-> possiamo differenziare il servizio ed applicare px diversi?
Giustificando queste differenziazioni – collocazione dei clienti nella loro fascia di prezzo
Stessi servizi con prezzi diversi

Revenue (yield) management


Revenue – gestione dei ricavi = yield management
Profitto= RV-CF-cv (li teniamo tendenti a 0)
Allora massimizzare il profitto vuol dire massimizzare i RV.
R=p * q(già definita dalla mia capacitò produttiva) -> agisco sui prezzi: invece di applicare un prezzo a un pubblico
indistinto ma farò una discriminazione di prezzo.

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L’analisi costi-volumi-risultati trova una peculiare applicazione al caso di imprese che presentino una larga
prevalenza di costi fissi (autostrade, telefonia, alberghi, crociere, trasporti ferroviari, trasporto aerei, software, televisione,
etc..).
In tali casi, la creazione di valore economico non avrà come focus principale la generazione di margini di contribuzione,
ma – più semplicemente - la massima generazione di ricavi di vendita.
Si osservi che, in presenza di elevati costi fissi, l’esiguità dei costi marginali (Evidente scarsità e insufficienza) - (cioè dei
costi di ogni unità di produzione aggiuntiva) lascia all’impresa una certa libertà nella determinazione dei prezzi di vendita
(vi sarà infatti una notevole distanza tra costi marginali e costi medi unitari).
Con l’obiettivo di massimizzare i ricavi di vendita, nella fissazione dei prezzi ai clienti l’impresa potrà praticare forme di
discriminazione di prezzo (cioè prezzi diversi per beni/servizi uguali), cercando di presentarle come vere e proprie
differenziazioni di prodotto/servizio (prezzi diversi per beni/servizi diversi).
Questa pratica, che viene chiamata revenue (o yield) management, è largamente applicata nel settore del trasporto
aereo.
Applicazioni frequenti si hanno anche nel settore alberghiero. Anche la varietà di tariffe nella telefonia mobile può essere
interpretata in termini di revenue management.

Vogliamo fa pagare la clientela fino alla sua massima capacità a pagare – si determina anche dalle variabili che
influenzano le nostre scelte (quando prenoti) → Algoritmi

Obiettivo dell’impresa è di gestire le variabili del costo e del profitto → ci sono delle variabili che producono effetti in altre
variabili – elasticità dei costi e del profitto (p*Q – cvu* P -CF)

Elasticità più importanti di altre: 𝜼𝒚(𝒙) →misura la causa (es. aumento delle vendite) e y misura l’effetto (es. aumento del
profitto)
↳Elasticità DI X RISPETTO A Y

Il significato generale di elasticità


L'elasticità è definita come il rapporto tra le variazioni incrementali relative di due variabili.
Date due grandezze y e x, l’elasticità di y rispetto a x è una misura della sensibilità di y rispetto alle variazioni di x.
In termini formali, date due variabili y e x, l'elasticità di y rispetto ad x è data da:

Laddove possano essere prese in considerazione variazioni infinitesimali di y e x, sarà possibile esprimere 𝜼𝒚𝒙 nei
termini della derivata di y rispetto a x, moltiplicata per il rapporto tra x e y:

Elasticità profitto rispetto a Q (leva operativa) =


L.O = MCT
π ∆π
↳ non è questa la definizione: la definizione è questa → = π = ∆y * x
∆Q ∆x y
Q

Abbiamo espresso l’elasticità come il prodotto tra il


valore che due grandezze assumono puntualmente (per un certo valore di x,y→al variare di x e y varierà
l’elasticità), e qualche cosa che definisce il comportamento delle due grandezze (∆x, ∆y) vicino ad un punto
(es.0;1) → sto immaginando di collocare questa funzione su un piano cartesiano.

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Qual è l’elasticità del profitto rispetto alle Q in quel punto? = ∆y * x


∆x y

x, y sono le coordinate del punto

Elasticità dei costi


L’elasticità dei costi totali alle variazioni delle quantità prodotte ci indica di quanto variano (in %) i costi totali
dell'impresa in conseguenza di una variazione (%) nelle quantità prodotte.
Si tratta di una misura strettamente dipendente dalla natura dei costi dell'impresa, ed in particolare dalla maggiore o
minore presenza di costi variabili.

L'elasticità dei costi assume valori compresi tra 0 (in assenza di costi variabili) e 1 (in assenza di costi fissi).
Ad esempio, un valore pari a 0,80 significa che una variazione diminutiva del 10% nei volumi produttivi comporta una
variazione diminutiva dell'8% nei costi totali. Ci stiamo riferendo ovviamente alle variazioni dei costi totali; i costi variabili
varieranno invece nella stessa percentuale di variazione dei volumi produttivi; pertanto, l’elasticità dei costi variabili è di
banale quantificazione (lasciamo al lettore verificare che tale elasticità è pari a 1). La variazione dei costi totali sarà la
media ponderata (per il peso sui Costi Totali) delle variazioni dei costi variabili (che variano nella stessa % dei volumi) e
dei costi fissi (la cui variazione sarà pari a zero, all’interno di una data capacità produttiva).

L’elasticità del profitto: la leva operativa


Il concetto di elasticità può essere applicato anche al profitto.
Imprese diverse hanno diverse sensibilità del profitto alle variazioni nella quantità prodotta e venduta.
In particolare, le imprese con elevati costi fissi realizzeranno un profitto che si accresce velocemente in seguito
all’aumento nelle quantità, mentre le imprese che hanno una prevalenza di costi variabili avranno un profitto che cresce
meno velocemente.
Anche in questo caso, la diversa sensibilità (elasticità) del profitto a variazioni nelle quantità prodotte e vendute ha a che
fare con la struttura dei costi (cioè con il mix tra costi variabili e costi fissi) e con il livello dei margini unitari di
contribuzione in rapporto ai prezzi di vendita.
L'impresa con i più alti margini unitari beneficerà maggiormente di un aumento delle vendite. Si dirà, in questo caso, che
è più elevata la leva operativa.

Lezione 23 10
Calcolo e interpretazione della leva operativa
La leva operativa è il parametro che misura l'elasticità dei profitti d’impresa alle variazioni dei volumi di produzione e
vendita.
Sul piano analitico, essa è misurata dal rapporto tra le variazioni incrementali relative del profitto e della quantità:

∆π
= π
↳un rapporto tra variazioni incrementali relative scomposto in un altro modo che prima era:
∆Q
Q

Ad esempio, avere una leva operativa pari a 3 significa che una variazione del 10% (in + o in -) nelle vendite produrrà una
variazione del 30% (nello stesso senso) nel profitto.
Parimenti, con una leva operativa pari a 3, per ottenere un incremento del 30% del profitto sarà necessario aumentare le
quantità vendute del 10%.
∆π
Quindi abbiamo:
= π = 3
∆Q
Q

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Se ∆Q aumenta del +33,3%, allora ∆π aumenterà del 100% → dunque la LO mi dice in che relazioni
Q π

stanno queste variazioni % (quindi se Q cresce del 33,3%, il π crescerà di 3 volte in più in %).

Al contrario vogliamo ottenere + 30% profitto – quale sarà la variazione % richiesta delle Q? Sarà +10%.

La LO può assumere valori negativi, quando o i margini o profitti sono già negativi → se profitto è negativo non è detto
che il margine è negativo, ma il contrario sì: profitto= margine – CF
MCT= profitto + CF
Può essere che il profitto sia negativo e il margine positivo, se la distanza tra profitto negativo e BEP è meno dei CF.

Nel caso di profitto negativo e di margini positivi, la leva operativa assumerà valori negativi. Il suo significato, tuttavia,
non cambia. Una leva pari a – 3 significa che per azzerare la perdita (cioè ridurla del 100%) sarà necessaria una
variazione aumentativa di -100%/3= -33% delle quantità vendute.

Es profitto= -1000 margine= +3000 CF=4000


Di che % deve variare il risultato economico per azzerare la perdita? Del -100% → LO=-3, dovrà esserci una variazione
nelle Q di vendite e produzione → +33,3% (aumento delle vendite di 1/3) a parità di altri parametri (prezzi, ecc)
Ragionamento su questo rapporto:
∆π
= π
∆Q
Q
Se volessi portare il profitto da -1000 a +1000, di quanto dovrebbero variare le Q? intanto la perdita deve ridursi del 200%
e quindi la Q deve aumentare del 66% se la LO è ancora -3.

La leva operativa corrisponde al reciproco del margine di sicurezza.

margine di sicurezza = q effettive- q pareggio– misura grado di distanza tra il livello di attività dell’impresa da
quello che sarebbe il livello minimo di attività che l’impresa
q vendute
dovrebbe svolgere per chiudere almeno in pareggio → è la % di
riduzione delle mie vendite che io posso accettare prima di finire in perdita

Si può anche agevolmente verificare che la leva operativa è pari al rapporto:

CF+ MCT (è RV-CV)+ profitto (RV- CV + CF) = RICAVI DI VENDITA TOT

CF/ MCT ha senso nella misura in cui siamo sopra il BEP, quindi un profitto > 0 (profitto= margini – CF)
Se CF= margini vuol dire che abbiamo pareggiato i conti economico (è un pareggio fittizio) → profitto= 0

Grafico della LO
La leva operativa è una funzione delle quantità (x)

L.O= MCT
π

= mcu*Q
mcu*Q -
CF

Oppure

La variabile è la Q.

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Poniamo BEP = 1 (assumiamo che il BEP sia pari a 1, qui inteso come qualsiasi valore positivo). Allora, asintoto verticale
= 1 (BEP) e asintoto orizzontale = 1
La leva operativa è sempre maggiore di 1 per valori di produzione e vendite superiori al BEP, ed è inferiore ad 1,
assumendo valori anche negativi al di sotto del BEP.
(dal grafico) 2 asintoti. Perché? Nel primo quadrante Q> Q di pareggio → quindi il profitto > 0, margine >0 ed più alto del
profitto. MA di quanto? Facciamo Lim che tende a infinito.

Più ci avviciniamo al BEP la Q si avvicina a 0.


Quando hai profitti tendenti a 0, qualsiasi variazioni delle Q può generare grossi impatti sui profitti

elasticità come: var pro/prof/ var p/p = delta prof/delta p x p/prof


in che rapp stanno le var profitti rispetto alle var prezzi? Qual è la derivata dei profitti rispetto ai prezzi – isoliamo l ap
come l’unica variabile

nella maggior parte dei casi le imprese ha la leva dei prezzi > leva operativa
leva dei costi del lavoro: profitto= px q- cvu xq – CF (c aqc s+ cl)
qual è l’el del prof rispetto a var del costo del lavoro? Var pro/pro /var cl/cl = delta prof/delta cl x cl/prof
taglio di un 1 mil di euro il cl? Il profitto aumenta di 1 mil -> questo rapporto sta a -1

se cl è una costante che posso cambiare -> derivata prof rispetto a cl ? è 1

quali siano le determinanti dell’elasticità del profitto min 3 lezione 25/10

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La struttura dei costi


Si consideri la seguente tabella, che rappresenta i livelli di vendita e i dati di costo e ricavo di tre imprese appartenenti
allo stesso settore di attività e che producono lo stesso prodotto (i valori numerici sono puramente indicativi).
Le tre imprese mettono in commercio il prodotto allo stesso prezzo.
Esse prevedono inoltre di collocare sul mercato lo stesso volume produttivo. Anche il profitto atteso al livello di vendite
previsto è lo stesso.
Diverso è, invece, il rapporto tra costi fissi e costi variabili, cioè la struttura dei costi.
La diversa struttura dei costi modifica i risultati conseguibili dalle tre imprese nel caso di spostamento dallo status quo.

Le 3 imprese rappresentano i tipi imprese con diversi gradi di integrazione verticale, con una diversa propensione a
sostenere costi fissi e costi variabili.

➔ Esaminiamo dal punto di vista numerico:

*
* Vendiamo a 225 quello che ci è costato 135.
La diversità del cvu è data dalla più o meno
propensione a svolgere al proprio interno le
π= mcu* q di vendita - CF
a琀�vità della catena di valore.
mcu= pxu- cvu
MCT= mcu*q S琀椀amo assumendo che l’impresa C svolge
più a琀�vità, ha più CF.
Più CF si hanno, più margini si hanno
Abbiamo 3 modi di fare impresa, portando sul mercato la
stessa Q di prodotti, generando lo stesso fatturato e lo stesso (CF=buca da riempire, mcu= pala)
profitto:
tre MODELLI DI IMPRESA

Potrebbe sembrare che per noi è indiferrente il modello di impresa, invece si può dimostrare che la differenza è la
sensibilità del profitto nei 3 casi, alle variazioni nei volumi di vendita.

Un confronto analitico tra le tre imprese può essere condotto utilizzando parametri come l’elasticità dei costi, la leva
operativa e il margine di sicurezza (notare che il margine di sicurezza risulti essere il reciproco della leva operativa):

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Q di pareggio= CF
mcu

Il pro昀椀琀琀o è uguale, la Q di pareggio è diversa.

A= 30.000/90 =333 unità da vendere per pareggiare C e R


B= 60.000/120=500
C= 120.000/180=666

Caso A: se io vendo 1000 prodotti (supera Qbep=333, allora posso dire che rispetto a quanto sto immanginando di
vendere, posso vendere anche il 66,7% in meno senza finire in perdita).

Metto a confronto la Qbep e la Q attesa.

Caso B: è più sfidante raggiungere la Qbep.


Caso C: margine di sicurezza si è dimezzato rispetto a caso A.

L’opposto del margine di sicurezza è la leva operativa (per ottenere la L.O dal margine di sicurezza, quest’ultimo
bisogna ribaltarlo – es. mcu= 2/3 → L.O= 3/2)

Oppure

L.O= MCT
π se L.O < allora E cos琀椀 > ; se L.O > allora E cos琀椀 <
Ci dice qual è la sensibilità del profitto alle Q.

Immaginiamo:

Se fosse -20% delle Q, quelle variazioni in valore assoluto del profitto sarebbero decrementali.

Quindi: se io ragionassi sulla Q attesa e la moltiplicassi per il px le 3 imprese continuerebbero ad essere la stessa
impresa, mi daranno comunque un profitto atteso di 60k.

Ma adesso posso fare un ragionamento diverso -> il profitto che


posso trovarmi ad avere può essere:

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Qual è la terna di risultati che risulta più preferibile?


Dipende se si è più propensi a prendere il rischio oppure no.
Se crescita delle Q o decrescita è ugualmente possibile preferisco l’impresa A (poco verso il rischio), se invece sono una
risk taker preferirò l’impresa C. ci sono situazioni nelle quali si può solo migliorare rispetto all’oggi -> impresa C, e
situazioni in cui si può solo peggiorare rispetto all’oggi -> impresa A e le vie di mezzo.

Bisogna vedere anche la situazione del mercato: se si prevedono tempi duri meglio scelgiere A, se i tempi che si
prevedono sono positivi allora scelgo C. seconda domanda che devo farmi: che sensibilità voglio avere del profitto
rispetto a Q. dipende dalle risorse finanziarie.

Se scelgo impresa A avrò più CV rispetto all’impresa C che avrà più CF.

Come varia l’elas琀椀cità dei CF rispe琀琀o a Q? 0 perché i CF non dipendono da Q

I cv dipendono da Q=
Δcv
cv = cv
*E= CV
Δq CT
q

* ΔCT
CT = ΔCT Q = cvu Q = CV
ΔQ ΔQ T T CT
Q

L’elasticità da cosa dipende? A parità di profitto, E(lasticità) dipende dai margini di sicurezza.
Eπ,q= MCT MCT= (p*cvu)*Q
π a parità di Q e p, l'elemento discriminante è cvu.

Vuoi avere una maggiore o minore elasticità del profitto rispetto a Q? allora agisci su cvu.
Se io voglio avere poca sensibilità del profitto rispetto a Q, devo avere bassi MCT (per avere bassi MCT, devo avere
elevati cvu a parità di px e Q); se voglio avere un’elevata sensibilità del profitto rispetto a Q, devo avere elevati MCT
(quindi bassi cvu) -> mi sposto sull’impresa C.

Altro modo per fare un ragionamento analogo che non passa per la L.O, ma passa per l’elasticità dei CT rispetto alle Q.
L’elasticità dei costi è il rapporto tra il costo variabile e CT.

La struttura dei costi: imprese elastiche vs imprese rigide


L'impresa A raggiungerà più presto il punto di pareggio, e potrà contare su un margine di sicurezza più elevato, il che la
metterà al riparo dalle conseguenze di possibili errori di previsione delle vendite o variazioni inattese della domanda.
Sotto tale profilo, essa è meno rischiosa delle altre due imprese.
Per contro, è l'impresa C ad avere il valore di leva operativa più elevato. Essa potrà quindi beneficiare maggiormente di
variazioni aumentative nelle vendite, anche se subirà i maggiori contraccolpi economici nel caso di vendite inferiori alle
previsioni.
L'elasticità dei costi è massima per A, mentre C presenta una struttura di costi piuttosto 'rigida’.

In definitiva:
►A è la tipica impresa poco integrata (ad esempio, un’impresa produttrice che vende esclusivamente sul canale
all’ingrosso (cioè arrivando indirettamente ai clienti finali, attraverso la vendita ai dettaglianti, i quali svolgono una
funzione di intermediazione), cioè operando come grossista (wholesaler) a favore di dettaglianti indipendenti (negozi
multimarca oppure affiliati con contratti di franchising, operanti attraverso negozi monomarca), e cercando la massima
flessibilità alle oscillazioni del mercato -> vende a dettaglianti

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►C è invece la tradizionale impresa fortemente integrata (ad esempio, un’impresa produttrice che agisce direttamente
sul canale retail (cioè vendendo attraverso negozi monomarca a gestione diretta – DOS, directly operated stores), con
uno spiccato orientamento alla crescita delle vendite per saturare la capacità produttiva e distributiva. Un altro esempio di
impresa con elevata leva operativa (del tipo C) è una società per l’esercizio della telefonia mobile, dove il costo marginale
di produzione del servizio di connettività è pressoché nullo mentre elevatissimi sono invece gli investimenti (e quindi i
costi fissi) nelle infrastrutture -> fa anche il dettagliante dei suoi prodotti

►B è un’impresa che cerca di bilanciare le esigenze di elasticità con quelle di sfruttamento della leva operativa.

Imprese elastiche: quando hanno una struttura centrata sui costi variabili.
Se
Ec,q= CV
costi rispetto a Q CT

più alti sono i cv più l'impresa è elastica

L’impresa rigida non ha costi variabili, quindi l’elasticità tende a 0.

CT= cvu+ CF/Q


Impresa elastica: alta elasticità dei costi e bassa LO dei costi -> i cui costi medi ( Q ) -> CF praticamente
irrilevanti che i Costi medi sono definiti solo da CV.

Impresa rigida: bassa elasticità e alta LO dei costi -> ha pochi o nulli cvu – si vede
dalla rappresentazione perché se
l’asintoto è 0 vuol dire che non ho cvu.

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Se questo é il livello di prezzo allora posso dire che con l’impresa


totalmente elastica sono a posto (non ho CF, cvu sono sotto il prezzo)
realizzo sempre un po’ di profitto (realizzerò 0 solo quando Q sarà 0).
Se da Q1 in poi sto su questa curva dei costi medi.

Alla dx di questa intersezione tra il costo medio dell’impresa totalemente elastica e il costo medio dell’impresa
totalemente rigida, io preferirò l’impresa totalmente rigida.

Se la Q di pareggio (a sx di Q1) per l’impresa totalemente rigida, siamo sicuri di raggiungerla oppure no?
La Q bep di può esprimere anche in funzione dell’ugualianza prezzo e costo medio: quando px= cmedio, non faccio né
profitti né perdite -> pareggio i conti

Il pezzo intermedio tra Q bep e Q1 per l’impresa elastica comporta maggiori costi ma non una perdita.
Essere totalemente rigidi è rischioso, ma potrebbe essere preferibile.

Lezione 30/10

GRADO DI INTEGRAZIONE VERTICALE


Il diverso rapporto tra costi fissi e costi variabili rappresenta un fondamentale dato strutturale per un’impresa, che mette in
evidenza come la struttura produttiva posta in essere per operare possa essere anche profondamente diversa.
Nel caso precedente, l'impresa C presenta un livello di costi fissi quattro volte più elevato dell'impresa A; i suoi costi
variabili unitari di produzione sono invece sensibilmente inferiori a B e ad A. Ciò riflette chiaramente la scelta di C di
ricorrere il meno possibile a fornitori esterni.
Possiamo dunque dire che le tre imprese hanno un diverso grado di integrazione verticale.

METODO PER CALCOLARE L’INTEGRAZIONE VERTICALE:

VALORE AGGIUNTO→è una remunerazione per coloro che dentro l’impresa partecipa alla creazione di valore aggiunto
Viene distribuito tra OF, tasse, salari e stipendi, utile , remunerazione CF(=ammortamenti → val.aggiunto lordo, oppure
val.aggiunto netto (senza ammortamenti))

Può essere calcolato in via diretta


VALORE AGGIUNTO=VALORE DELLA PROD. GLOBALE – CONSUMI INTERMEDI (sono i C.d.A di beni e servizi sorti
durante l’esercizio – passano per il CE)

Oppure può essere calcolato per via indiretta


VALORE AGGIUNTO=CL+ AMMORTAMENTI + OF + PROFITTO NETTO+ TASSE e IMPOSTE

Oppure con una versione più allineata con l’analisi costi-volumi-risultati (più approssimata)

In questa versione, sia ricavabile anche a partire dal mark-up, ovvero dalla percentuale di ricarico (MCT/CV).
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+valore aggiunto +CF -elasticità

-valore aggiunto -CF +elasticità

Esercizio:

MCT = 0.3
RV
mcu + cvu = 1
p p
MCT
CV = ? ( %mark up)

RV= MCT+CV

MCT= 0.3 RV
RV= 0.30 RV + CV (0.70 RV)

0.30 RV = 3 mark up
0.70 RV 7

Costi di invenduto e mancate vendite

L’analisi della struttura di costo può essere utile per risolvere un classico dilemma nella pianificazione delle attività
d’impresa: di fronte ad una domanda incerta e non perfettamente prevedibile, si presentano due rischi:
1. realizzare una produzione eccedente la domanda effettiva (o di generare un volume di acquisti maggiore della
domanda, se si tratta di un’impresa commerciale)
2. realizzare una produzione r inferiore alla domanda.

Sarà cioè meglio sbagliare per eccesso o per difetto (immaginando che i due casi siano, a priori, ritenuti
equiprobabili)?
La questione si pone con particolare gravità in presenza di produzioni a forte deperibilità (come, ad esempio, molte
produzioni alimentari) e/o ad elevato tasso di obsolescenza (come, ad esempio, l’abbigliamento di ‘moda’).

Le due situazioni generano costi:


1. Costi di mancate vendite (sotto-scorta) e si verifica nel caso di produzione in difetto (produzione inferiore alla
domanda effettiva), l’impresa sopporterà una perdita di margini di contribuzione pari al prodotto tra il margine
unitario e la minor vendita realizzata (dando luogo ai cd. costi di mancate vendite, o di sotto-scorta).

2. Costi dell’invenduto e si verifica nel caso di una produzione eccedente (domanda inferiore alla produzione),
l’impresa – pur conseguendo interamente i margini di contribuzione - dovrà sopportare dei costi di produzione
superiori a quelli del venduto (si tratta dei cd. costi di invenduto).

La Q media esprime la mia indifferenza verso mancate vendite e invenduto. Tendo ad avvicinarmi all’evento con il costo
più basso per me e mi allontano da quello che mi fa più male.
Come si stabilisce?

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Ipotesi:
kg di verdure
px di vendita 3€/kg
C.d.A 2€/kg
Margine di contribuzione 1€/kg

Qmedia > Qd
Ogni kg di verdura in più per me invenduta, rappresenta un costo di 2€/kg. Se ho 10 kg in più allora ho speso 20€ di
troppo.

Qmedia< Qd
1€ perso per ogni kg di mancata vendita. Se ho 10 kg, mi costa 10€.
↳se ragioniamo in termini di solo costi

Conclusione: cercherò di evitare l’invenduto, preferirò le mancate vendite.

Imprese con alti margini e bassi costi marginali/variabili (come molte imprese di servizi: un albergo, una compagnia
aerea) preferiranno correre il rischio dell’invenduto, cioè dotarsi di una capacità produttiva eccedente la domanda.
Viceversa, imprese con bassi margini e alti costi marginali (come le imprese commerciali o le imprese
industriali a basso grado di integrazione verticale) preferiranno correre il rischio di mancate vendite (sottoscorta).

Nel definire il proprio orientamento verso i rischi sopra definiti, l’impresa non dovrà inoltre dimenticare che le mancate
vendite possono avere anche delle possibili implicazioni negative sotto il profilo del customer Satisfiction.
La mancata disponibilità del prodotto abbassa, infatti, il livello di servizio offerto, con il pericolo di perdita della clientela a
vantaggio dei concorrenti. Sotto questo profilo, le mancate vendite possono essere più dannose dell’invenduto.

Confrontiamo i margini unitari con cvu.


Perché preferiamo l’invenduto? Il margine è 1/3 del px di vendita e cvu è 2/3.

Prodotti con alto


Margine > meglio averli
Prodotti con basso
Margine > meglio non averli

Le imprese con + margini e – cv (es. imprese commerciali) → preferiranno il rischio dell’invenduto cioè dotarsi di una
capacità produttiva eccedente alla domanda.

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Le imprese con – margini e + cv (es. imprese commerciali ed imprese industriali a basso grado di integrazione verticale)
preferiranno correre il rischio di mancate vendite (se consideriamo gli effetti collaterali: customer dissatisfaction – spesso
più dannoso dell’invenduto).

Una produzione eccedente la domanda non si trasforma automaticamente e totalmente in un costo di invenduto.
Se il prodotto è immagazzinabile avrò un costo di immobilizzo di k nelle scorte → impresa potrà conservare la produzione
eccedente e “smaltirla” gradualmente.

Sovente però il prodotto eccedente che viene messo a scorta per la successiva rivendita viene a perdere
progressivamente il suo valore, per effetto del fenomeno denominato obsolescenza. È il caso, ad esempio, di prodotti a
forte contenuto tecnologico, come gli smartphone, o di prodotti a forte componente ‘moda’, come l’abbigliamento. In tali
casi, l’impresa dovrà velocizzare il tempo di vendita attraverso vendite promozionali o altre forme di riduzione dei prezzi.
L’effettivo costo dell’obsolescenza sarà così determinato

Il costo di obsolescenza può essere anche calcolato, secondo una prospettiva diversa, come costo “opportunità”, cioè
come differenza tra il prezzo di vendita iniziale meno il prezzo effettivo di vendita.

Costo opportunità= px di vendita iniziale – px effettivo di vendita

PROFITTO ECONOMICO
π operativo: RV- CV- CF

Si chiama anche EBIT (utile prima delle imposte e OF- non sono operativi)

Profitto contabile si chiama RISULTATO NETTO → EBIT – OF (- riguardano i passivi e costi di gestione connessi a
finanziamenti)
UTILE DOPO LE IMPOSTE= UTILE NETTO PRIMA DELLE IMPOSTE – IMPOSTE SUL REDDITO NETTO

Se non avessi gli OF -> potrei calcolare le imposte sull’EBIT

EBIT (1-TAX)= NOPAT


EBIT – OF= REDDITO NETTO prima delle tasse
REDDITO NETTO (1-TAX)= REDDITO dopo le tasse

Se io le tasse sull’ebit le ho già tolte per fare il NOPAT, per arrivare al REDDITO dopo le tasse a partire dal NOPAT è
sufficiente togliere gli oneri finanziario al netto delle tasse:
NOPAT- OF(1-TAX) = REDDITO DOPO LE TASSE


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È una grandezza che mi dice quale è stata la redditività di un’impresa realizzata attraverso le attività operative
dell’impresa, dopo che ho pagato le tasse su queste redditività, immaginando che l’impresa non abbia dei finanziamenti o
facendo finta che l’impresa non ha bisogno di essere finanziata.
Dunque mi consente di giudicare come va un’impresa dal punto di vista della creazione di valore economico a
prescindere da come è finanziata.

Nel CE ci sono due grandi voci che definiscono il reddito dopo le tasse:
1. NOPAT
2. COSTO DI K DI DEBITO (OF (1-TAX))

Il reddito dopo le tasse non considera la remunerazione di chi ha apportato k di rischio (perché è un costo opportunità).
La remunerazione esiste solo se c’è un residuo: quindi se ho un reddito dopo le tasse > 0 allora posso:
- Aumentare il k proprio
- Distribuire i dividendi

Al NOPAT sarebbe giusto togliere la remunerazione del k proprio: NOPAT – OF (1-TAX) – REMUNERAZIONE K PROPRIO

È LA REMUNERAZIONE DEL K di
DEBITO AL NETTO DEL BENEFICIO
FISCALE (deducibilità fiscale)

Esempio: l’impresa per svolgere la sua attività le serve il k investito

CI= D+E
D= debito
E= Equity: K proprio – K di rischio

RAGIONAMENTO SUL COSTO DEL DEBITO


OF= D*Kd
OF(1-TAX)=D*Kd (1-TAX)

RAGIONAMENTO SUL COSTO DELL’EQUITY (costo opportunità)


Impresa crea valore solo dopo che remunerato l’Equity.

Remunerazione Equity= E*Ke

NOPAT= EBIT (1-TAX)


NOPAT-
D*Kd (1-TAX)_
E* Ke
Profitto economico
effettivo valore economico creato da un impresa

Lezione 6/11

Profitto economico è diverso da profitto contabile,che è quello che noi evidenziamo nel CE come:
valore della produzione - costi d’esercizio

La remunerazione dei soci (equity=k di rischio) non vengono quantificate in conto economico.
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Profitto economico
➔ Vuole misurare tra i costi anche il costo opportunità (remunerazione dei soci), quindi oltre a sottrare dal valore
della produzione il costo d’esercizio rappresentati nel CE contabile, sottrae anche i costi opportunità sul k di
rischio

Le sigle utilizzate nella formula del profitto economico sono:

➔ NOPAT = net operating profit after taxes = earnings before interests and taxes (EBIT) * (1 – tax rate)
EQUITY= genera un costo: costo dell’equity -> costo opportunità sul k di rischio
A= P+N
P=D, N=E, A= K INVESTITO
potremmo dire che: K investito equivale alla somma di debiti e di capitale proprio,
che rappresentano il lato dei finanziamenti del k investito stesso
NOPAT - (D*kd(1-tax))+ E*ke) → D+E= k investito (CI) non faccio E*ke (1-TAX) perché il costo del E non è
deducibile 昀椀scalmente- no risparmio 昀椀scale.
profitto economico= NOPAT- CI* D *Kd (1-tax) + E * Ke
D+E D+E
sono dei pesi con i quali io ho allocato le mie fonti di finanziamento
(D ed E) per il finanziamento del CI
Più semplicemente: la somma di questi pesi=1 > D + E = 1
D+E D+E
è una media ponderata
del costo di k

Questo perché il K può essere finanziato da debiti o da equity, o da entrambi. Se noi al posto del D ed E applichiamo
questi pesi stiamo ottenendo un costo medio ponderato del K = WACC.

Io parto dal NOPAT e tolgo qualcosa: Il profitto economico è più piccolo del NOPAT-> tutto dipende dal costo opportunità
sul k di rischio
NOPAT= risultato lordo che sul piano contabile sarebbe già al netto delle tasse, e questo ci porta a dire che il fatto che
l’impresa fa un profitto contabile, non significa che ha un profitto economico > 0, appunto tutto dipende da ke*E

Profitto economico = NOPAT- IC * WACC -> ci dice che anche se l’impresa realizza un NOPAT positivo, comunque, “deve
pagare” il costo del capitale (deve dare un rendimento al capitale= rendimento atteso da coloro che hanno fatto credito
all’impresa – coloro che hanno reso l’impresa debitrice – e coloro che hanno apportato un k di rischio ➽ entrambi questi
soggetti devono ottenere un ritorno).
Quando noi conteggiamo questo ritorno e lo sottraiamo dal NOPAT otteniamo l’ECONOMIC PROFIT (profitto
economico)

➔ WACC = weighted average cost of capital

Per poter affermare che l’impresa crea valore economico, dobbiamo verificare che quell’impresa abbia realizzato un
profitto economico > 0 – altrimenti in quell’esercizio, l’impresa non ha creato valore economico.
E molte delle imprese che hanno un profitto contabile > 0, difatto non creano valore economico.
Perché se a quel profitto contabile togliamo parte di costo di k che non è rappresentata in CE, scopriamo che
quell’impresa ha E < 0 -> non sta creando valore economico ma lo sta distruggendo

Se noi poniamo profitto economico=0, la condizione di pareggio economico misurata sul profitto economico=
NOPAT= I.C*WACC

NOPAT = WACC
I.C
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NOPAT è il reddito operativo al netto delle tasse, sarebbe il profitto economico se non ci fosse il costo di k oppure
potremmo dire sarebbe il profitto contabile se non ci fossero debiti, quindi non ci sarebbero OF.
Se lo rapportiamo al I.C -> rapporto esprime il rendimento che ha il CI quando viene utilizzato per svolgere attività
d’impresa.
Quindi il NOPAT è la differenza tra i valori della produzione e i costi (quello che hai portato al mercato al netto dei costi) ->
è una redditività che rapportato al CI esprime un tasso di rendimento= ROIC (return on invested capital)

La condizione di pareggio economico è sintetizzata da ROIC=WACC (è il minimo che un’impresa si aspetta dallo
svolgimento di attività d’impresa=non distruggere valore economica).
Perché allora
NOPAT = WACC
I.C

Ma allora:
NOPAT=IC*WACC
NOPAT-IC * WACC= PROFITTO ECONOMICO=0

Le leve per migliorare la redditività operativa (NOPAT) sono le seguenti:


► Aumento dei prezzi di vendita
► Riduzione dei costi di acquisto di beni e servizi
► Riduzione di altre voci di costo variabile (es. spese di trasporto)
► Riduzione dei costi fissi (in base alla considerazione che, nel medio-lungo periodo, tutti i costi si possono considerare
variabili)
► Miglioramenti nell’efficienza produttiva
► Aumento dei volumi di attività

Saremmo contenti se ROIC ≥ WACC

Poiché il WACC corrisponde al costo medio al netto delle imposte del capitale di un'impresa (costo medio del capitale
che un'azienda deve pagare ai suoi investitori, azionisti e creditori), può essere paragonato al ROIC.

Le determinanti del profitto economico: il costo medio ponderato del capitale (WACC)
Il profitto economico può essere aumentato anche attraverso la riduzione del costo del capitale (WACC).
Il WACC è la media ponderata del costo del capitale di debito e del costo del capitale proprio (Equity), ovvero il
costo che l'azienda deve sostenere per raccogliere risorse finanziarie presso soci e terzi finanziatori.
Si tratta di una media ponderata tra il costo del capitale proprio (che esprime l’aspettativa di rendimento degli azionisti)
ed il costo dei debiti finanziari (cd. oneri finanziari), con "pesi" proporzionali ai mezzi propri e ai debiti finanziari.
Dato il maggiore rischio corso dagli azionisti, e data la classica relazione tra rischio e rendimento atteso, il costo
dell’Equity sarà sempre maggiore del costo del Debito.

I costi del capitale proprio e del capitale di debito dipendono dalla rischiosità dell’impresa, nonché dalle forme di raccolta
adottate. Il costo dell’Equity è per definizione sempre superiore al costo del Debito.
Sono di immediata evidenza le relazioni tra i rapporti:

, .

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STATO PATRIMON.
A - D finanziarie
(investimenti) deb. Finanziari (fonti di finanziamento)
E

quali D ci interessano? D vs banche e D vs fornitori (D commerciali)


D commerciali non hanno un costo, perché il fornitore non ti carica
un interesse perché è una transazione commerciale
quindi non consideriamo i fornitori,

Ci sono imprese che detengono consistenti somme di denaro sui cc o le tengono investite in titoli, in att. Finanziarie di
facile liquidità.

Potremmo dire che i valori di cassa che noi deteniamo nell’attivo sono di fatto delle passività con il segno negativo, cioè
noi potremmo sottrarle alle passività:
STATO PATRIMONIALE
Per farci un’idea deL gr. Di
A - D finanziari - At. Liquide (cash + cash equivalents)
indebitamento netto di un’impresa
deb. Finanziari - guardiamo le PFN.
cash+ cash equity = E E confrontiamo con Equity.
IC

D finanziari- A liquide= P finanziarie nette (PFN /Net Debt) - INDEBITAMENTO NETTO


A liquide non sono valori necessari per lo svolgimento dell'impresa
ma tu hai lì.

IC≠A -> è un attivo che viene rettificato non considera i valori di cassa ed equivalenti e non considera i debiti commerciali
Notiamo inoltre che: Capitale investito = Attivo fisso operativo+ Capitale circolante netto (CCN)
AF op= macchinari, brevetti… A circolante=crediti vs clienti- d commerciali

Il CCN è essenzialmente costituito da crediti verso clienti + scorte - debiti verso fornitori – fondo TFR.
Nell’Attivo fisso si considereranno gli investimenti in attività di uso operativo, e non le attività finanziarie, destinate a
generare ritorni non operativi o ad essere scambiate sui mercati.

Supponiamo l’impresa in ROIC< WACC (situazione negativa e in lungo termine da agire9


Per agire: su ROIC (aumentiamo NOPAT – agire sulle leve di p, cvu, CF, Q , tax- o ridurre IC – riduciamo i fabbisogni del
AFO o CCN con la logica di aumentare il k investito).
Inoltre, non vanno inclusi nel Capitale Investito le Liquidità e i Valori Equivalenti.

WACC= D *Kd (1-TAX) + E *Ke


Per trasformarla in ROIC> WACC (si agisce sul
D+E D+E
WACC) anche qui si può lavorare su TAX, io riduco il WACC se il TAX rate è più alto
perché è deducibile dal reddito maggiore è l'aliquota ma ha degli effetti su NOPAT
Kd= remunerazione del K di debito
Ke= remunerazione k di rischio
relazione molto stretta tra rendimento/remunerazione e il rischio= risk/return

Kd </> Ke
Kd > Ke remunerazione attesa dovrebbe essere proporzionata al rischio

azionista ha solo un diritto al residuo, dopo aver pagato tutto il resto

Il rendimento del K di rischio è più alto del Kd (1-TAX) < Ke


rendimento di k di debito => esiste il premio per il
rischio
Premio per il rischio dato dal mercato finanziario ma l’impresa deve guadagnarselo ma deve creare condizioni con il
NOPAT, con il ROIC affinché l’impresa sia efficiente

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Per avere Ke > Kd, quindi per gestire il WACC dovrei ridurre il peso di E, e massimizzare il peso del D.

Esempio:
tax rate: 0%
Kd= 4%
Ke=15%

D/ D+E= 0.50
E/ D+E= 0.50

WACC=9,5% (deve essere sempre intermedio)


Se peso E fosse 1ed D fosse 0 invece che 0.50, WACC=15%, al contrario 4%.
Pertanto, il capitale investito corrisponde, dal lato degli investimenti, a: Capitale investito = Totale attivo – Attivo non
operativo – Cassa e valori assimilati - Debiti commerciali.
Invece, dal lato dei finanziamenti, il capitale investito corrisponde a: Capitale investito = Posizione finanziaria Netta +
Capitale proprio.
La posizione Finanziaria Netta è data dai Debiti Finanziari al netto delle Liquidità e dei Valori Equivalenti alle Liquidità.

ROIC, profitto economico e condizione di creazione di valore economico


Dato:

Possiamo riformulare il profitto economico nel seguente modo:

Per ogni impresa vale la seguente condizione di creazione di valore economico:

Le determinanti del profitto economico: la redditività operativa

Le leve per migliorare la redditività operativa (NOPAT) sono le seguenti:


► Aumento dei prezzi di vendita
► Riduzione dei costi di acquisto di beni e servizi
► Riduzione di altre voci di costo variabile (es. spese di trasporto)
► Riduzione dei costi fissi (in base alla considerazione che, nel medio-lungo periodo, tutti i costi si possono considerare
variabili)
► Miglioramenti nell’efficienza produttiva
► Aumento dei volumi di attività

Le determinanti del profitto economico: il costo medio ponderato del capitale (WACC). Il profitto economico può essere
aumentato anche attraverso la riduzione del costo del capitale (WACC). Il WACC è la media ponderata del costo del
capitale di debito e del costo del capitale proprio (Equity), ovvero il costo che l'azienda deve sostenere per raccogliere
risorse finanziarie presso soci e terzi finanziatori. Si tratta di una media ponderata tra il costo del capitale proprio (che
esprime l’aspettativa di rendimento degli azionisti) ed il costo dei debiti finanziari (cd. oneri finanziari), con "pesi"

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proporzionali ai mezzi propri e ai debiti finanziari. Dato il maggiore rischio corso dagli azionisti, e data la classica
relazione tra rischio e rendimento atteso, il costo dell’Equity sarà sempre maggiore del costo del Debito.

Altro modo per scrivere WACC


D+E= CI

Lezione 8/11/2023
Kd sta nei contratti di finanziamento. Quale può essere il tasso di interesse? Netto o lordo? Bisogna capire il tasso medio
che un impresa può avere tramite un finanziamento.

Ke è più alto del Kd, perché sono diversi titoli giuridici → chi sottoscrive K di rischio corre più rischi di chia
concede prestiti.

C’è un premio per il rischio sul costo dell’E: c’è un rischio supplementare rispetto al Kd → storicamente i mercati finanziari
hanno attribuito agli investitori in azioni.
Il mercato si crea delle aspettative rispetto allo storico, oltre che alle situazioni contigenti.

Coefficiente di regressione= collega il rendimento che storicamente le azioni di un impresa ha avuto, con il rendimento
delle azioni di mercato che nel suo complesso ha avuto.
È un rapporto tra una covarianza e una varianza.
Stima l’investimento in una specifica impresa in azioni → è il rischio non divesificabile (Rischio sistema琀椀co - Il rischio
sistema琀椀co, o anche rischio non diversi昀椀cabile, deriva dalla constatazione dell'esistenza di pericoli e problemi che interessano l'intera
economia, rappresentando una minaccia per tu琀琀e le a琀�vità).
Se il mercato azionario è un mare, il coefficiente esprime la capacità maggiore o minore della singola barca (impresa) di
navigare questo mare/fronteggiare le onde → questo descrive un modello di finanza d’impresa che si chiama CAPM:
Modello teorico per il calcolo del prezzo di equilibrio di un'attività finanziaria. Esso afferma che il rendimento atteso di
un'attività è una funzione lineare del rendimento privo di rischio e del rischio sistematico dell'attività, moltiplicato per il
premio al rischio del mercato.

Più alto è il rischio, maggiore è il rendimento atteso.


Il risk-free rate è utilizzato nel calcolo del costo del capitale ed indica il rendimento di un'attività finanziaria priva di rischio.
Per la sua stima viene generalmente assunto come riferimento il rendimento dei titoli di stato a medio lungo termine.

Questo coefficiente può essere:


- > 1 quando l’impresa segue strettamente l’andamento del mercato finanziario → indice beta (β): Il beta misura
l'esposizione di un 琀椀tolo azionario al rischio sistema琀椀co nell'ambito del Capital Asset Pricing Model. Il beta è una misura della
rischiosità sistema琀椀ca dell'azione: esso misura la variazione a琀琀esa del rendimento del 琀椀tolo per ogni variazione di un punto
percentuale del rendimento di mercato.
- <1
Il segno del coefficiente di regressione b indica il “verso” della relazione: il segno positivo indica una concordanza tra
le variabili (ad un aumento della x corrisponde un aumento della y), il segno negativo una discordanza (ad un
aumento della x corrisponde una diminuzione della y).

Ke = rf + β * premio per il rischio


↳ rendimento sull'attività risk free

Premio per il rischio = rm – rf → Rm= rendimento mercato azionario


Profitto economico= NOPAT- CI * WACC ≥ 0 creazione di valore, altrimenti > 0 → sono al minimo livello possibile,
ma non < 0

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Se un’impresa ha un NOPAT > IC * WACC → ha i fondamentali giusti e fa bene il suo lavoro


Ebitda >0 per l’impresa di un idraulico (ebitda è una proxy del flusso di cassa)
La maggior parte delle imprese non è capace a fare questo tipo ragionamento e non ha un PE>0, perché i soci si
accontentano di meno a quello che richiede il mercato finanziario perché non sono imprese quotate in borsa → ci si
rende imprese no profit senza volerlo.

↓ si può esprimere anche così:


NOPAT = IC - WACC ≥ 0
IC IC
↳ ROIC = WACC oppure si può esprimere ROIC ≥ 1
WACC
Roic= wacc è la condizione minima che un impresa si aspetta dallo svolgimento di attività d’impresa.

Anticipazioni:
PE= NOPAT - CI * WACC (ma difatti è *ROIC perché ROIC=WACC)

ROIC = NOPAT
CI

NOPAT = ROIC* IC → PE= CI* (ROIC-WACC)

EV= enterprise value


L’impresa può essere assimilata ad un meccanismo di creazione di valore economico e, come tale, assume essa stessa
un valore economico, che corrisponde al valore attuale dei flussi di valore economico che l’impresa genererà in futuro.
Quindi PE deve essere almeno = 0.

In particolare, il valore economico generato dall’impresa è costituito dai flussi futuri periodici di cassa operativi, al netto
delle spese in conto capitale (il cosiddetto flusso netto operativo o free cash flow for the firm o FCFF).
Tale flusso di cassa (FCFF) si calcola in generale come EBITDA +/- 𝚫 Capitale Circolante Netto – Capital Expenditures
(CapEx).

In una situazione «statica», possiamo ipotizzare che le capital expenditures vengano limitate alle spese necessarie a
conservare il capitale investito (spese che possiamo, per semplicità, considerare corrispondenti agli ammortamenti) e che
non ci siano variazioni del CCN. In tal caso, il FCFF coinciderà con il NOPAT, cioè sarà dato da EBITDA meno
ammortamenti (al netto delle imposte sul reddito).

Due modi p攀爀 a琀琀ribu椀爀e un val漀爀e a氀氀’im瀀爀esa:


1. Si basa su 瀀爀ofi琀琀o economico
Se PE=0 che valori ha l’impresa?

stato patrimoniale Quindi se PE=0, sta conservando i suoi investimenti


CI D
investimenti fonti di finanziamento
E
IC ≠ A ma è un’attivo rettificato – non considera i valori di cassa equivalenti e viene rettificato dai debiti.
IC è dato da attivo fisso operativo (non finanziario) -> macchinari, brevetti ; CCN
EV= CAPITALE INVESTITO
Ho soddisfatto gli investitori ma non gli ho offerto niente, ho soddisfatto le aspettative minime e basta. (se PE=0)

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Se PE>0, c’è qualcosa in più che si può distribuire agli stake holder

EV= IC+PE

Si applica il principio di attualizzazione: il valore attuale di una rendita perpetua a rata costante posticipata ad un certo
tasso (i) è pari alla rata di questa rendita del PE (anno dopo anno) diciso i.

Quale è il tasso più logico da utilizzare per attualizzare un beneficio che otterai in futuro? Il WACC

EV= CI + PE
WACC
esempio: IC = 10 BL, PE= 1 BL, WACC= 5%
10 BL + 1 BL = 30 BL
0.05
Il valore di un’impresa può essere:
↳ K investito e si vede nello stato patrimoniale dopo le rettifiche: spostare cash e cash equivalents, rettificare i D,
spostare i D commerciali dal lato dell’attivo con il segno – e non considerare le attività non operative.
Considero solo quello che strettamente mi serve come investimento nell’impresa e quello che diventa il
fabbisogno del finanziamento.

EV valore impresa se non avesse bisogno di finanziamenti e senza denaro in cassa

EV= D+Evalue
Chi compra un’impresa (comprando le azioni dell’impresa) l’acquisitore compra l’equity (rigenereazione degli azionisti –
sostituzione d’identità dei titolari dell’E).
Pagherò di meno perché compri un’impresa con i debiti a meno che questi debiti non abbiano un valore di segno opposto
(accade quando cè più denaro in cassa che debiti da rimborsare).

2. Pa猀猀愀爀e a琀琀rav攀爀so le DCF techniques (discounted cash 昀氀ow)

Discounted= attualizzato
Attualizzare uno o più flussi monetari significa calcolare il valore equivalente che sarebbe possibile attribuire loro se si
manifestassero oggi. L'idea centrale in tema di valore finanziario del tempo è che il denaro a disposizione oggi, può
essere investito per ottenere un rendimento.

Cash flow operativi= legate al lavoro che fa l’impresa: comprare input e trasformarli in output e cederli sul mercato
E tutte le entrate ed uscite legate a questo lavoro si chiama cash flow operativo (netto).
Una buona approssimante è l’EBITDA (non considera gli ammortamenti).

È vero che non ci sono ammortamenti, ma ci sono delle spese in conto capitale (capital expenditures- CAP.EX) che devo
sostenere, a pena del valore d’uso in termini di k fisso.

Approssimando e limitandomi al minimo indispensabile, posso dire che questa quota di cap.ex minimale più o meno sia
l’ammortamento.
EBITDA - AMMORTAMENTI = EBIT (1-tax) arrivo al NOPAT
Sto approssimando- sto dicendo che il cash flow operativo è il NOPAT? qualcosa del genere

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Generando un flusso periodico (e sostanzialmente perpetuo) di FCFF, l’impresa può essere valutata sulla base del valore
attuale di questi flussi.
In particolare, collocandoci su un orizzonte temporale illimitato, il processo di creazione di valore può essere assimilato
alla realizzazione di una rendita perpetua annuale posticipata costante (o crescente, ad un tasso g), il cui valore
attuale si ottiene dividendo le singole annualità (cioè i FCFF) per il costo del capitale (WACC) o per la differenza WACC –
g, nel caso le annualità siano crescenti al tasso g. Questo valore attuale è detto Enterprise Value.

Il valore del Capitale Proprio (Equity Value) sarà invece pari all’Enterprise Value meno il valore dei debiti.
Oltre al FCFF esiste anche il free cash flow for the Equity (FCFE), che corrisponde al FCFF – Oneri Finanziari.
Se attualizziamo il FCFE ad un tasso pari al costo opportunità del capitale proprio otterremo direttamente il valore del
Capitale Proprio (cd. Equity Value)

Cash flow operativo => free cash flow for the firm (FCFF)
Vieni scritto nel rendiconto finanziario – dice quanto vale un’impresa

EV è una funzione crescente di g e di ROIC (sotto la condizione che WACC sia inferiore al ROIC e che g sia inferiore al
WACC).

EV= NOPAT/WACC =IC + PE/WACC


1 MODO 2 MODO
Meglio prima formulazione

Abbiamo prima immaginato che non ci fossero le capital expenditures, se ci fossero? Come influenzerebbe il enterprise
value? Sto immaginando che investendo sta aumentando il enterprise value.
Stiamo dando valore all’ impresa anche per la sua capacità di autofinanziarsi, lo vedo dal NOPAT.

Possiamo immaginare che il NOPAT cresca nel tempo:


NOPAT= ROIC * IC → Dato un IC, genera un ritorno ROIC e che dà origine annualmente a un flusso di NOPAT.
Prendo una quota di nopat e lo reinvesto nell'impresa = ∆IC -> è un capitale investito in più =capital expenditure

∆IC può darmi un investimento pari al ROIC.


Sto immaginando di poter reinvestire una parte del no Pat della mia impresa con un
tasso di rendimento pari agli investimenti precedenti.

Questo meccanismo giustifica l’aumento di valore EV.

∆IC= (fetta di nopat reinvestita)= IR*NOPAT, IR= investment rate


Stiamo reinvestendo

g= tasso di crescita del nopat


se lo reinvesto al prossino giro il nopat che genero sarò più alto a un tasso di crescita g e così via sempre di più.

g= IR*ROIC
se identifichiamo g abbiamo una rendita crescente e non più posticipata, ma il presupposto è che una fetta la devi togliere
per reinvestire

esempio

Non abbiamo più rendita posticipata costante perpetua ma una rendita crescente. Bisogna attualizzare e reinvestire

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1. NOPAT (1-IR) ma siccome è crescente a un tasso g, /WACC-g

2. Paragoniamo ad

con wacc< roic, se wacc > roic crea dei problemi su EV

EV nel caso 2 dovrebbe essere più basso che nel caso 1 (se reinvesto sto aumentando il valore dell’impresa, è così? Sì)

Il valore di un’ impresa sta nella sua capacità di generare flussi di cassa operativi (questa capacità di esprime partendo
dall’EBITDA e le sue rettifiche).

Posso agire sul valore dell’impresa in più modi:

se EV= NOPAT (1-IR)/WACC -g


Agisco sulle leve del NOPAT=q,p,cvu,CF
Oppure su IR= aumento g -> investirò di più
Oppure su WACC -> riducendo il WACC, posso cercare di essere più affidabile dal punto di vista delle banche oppure
essere rischioso dal punto di vista del mercato azionario

Aumentare il valore dell’impresa, significa di fatto aumentare la capacità di creare valore anno per anno.

Nel caso di non reinvestimento


Ev= nopat/wacc

Ev= ic *roic/wacc
Se io porto ic al denominatore
Ev/ic = roic/wacc
Il valore contabile degli inv è in rapporto con il valore di mercato degli investimenti =ev, esattamente sulla base del
rapporto che c’è tra ROIC e WACC
ROIC > WACC maggiore è il rapporto tra EV e IC
Impresa ha senso portarla avanti se ha un valore superiore alla somma degli investimenti fatti in essa

se andassimo a reinv nopat , e generare un tasso g di nopat

E si fanno i limiti per g del rapporto sopra ed è piu elevato di quel rapporto sopra ancora: nopat/wacc

Riassunto formule:

Lezione 10/11/2023
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Il calcolo dell’EV si basa sulle formule: DCF → possono essere usate per calcolare i debiti di un’impresa ma anche l’E.
Quindi secondo le tecniche sul flusso di cassa attualizzati (che sono quelli operativi) il EV è dato dal valore attuale di free
cash flow.
valore attuale= 1
Il valore attuale: (1+i)*n

EV= FCFF
WACC
valore attuale di una rendita: rata costante periodica/WACC
se l’impresa non cresce, quindi non ha delle cap.ex, possiamo assimilare il FCFF al NOPAT.


Metodo basato sui flussi di cassa, non è patrimoniale

Una parte di FCF viene assorbita dalle necessita della crescita dell’impresa.

Una parte del NOPAT deve essere destinata a questa crescita (quella parte si chiama IR= investment rate).
Questa crescita aumenterà la dimensione dell’impresa.

NOPAT crescerà a un tasso g: EV= NOPAT (1-R)


WACC - g

g= NOPAT * IR * ROIC= ∆NOPAT = g* NOPAT


EV= NOPAT (1-g / ROIC)
WACC - g
g= IR * ROIC

IR= g
ROIC

EV è una funzione crescente di g e di ROIC (sotto la condizione che WACC sia inferiore al ROIC e che g sia inferiore al
WACC).

Possiamo stimare l’E secondo lo stesso


criterio.

Proprietario: quota che devo come interesse


del debito ai miei creditori = free cash flow for
the equity (più piccolo)
Quando lo attualizzo è Ke quindi il valore
attuale di questa rendita posticipata annuale è
calcolata con un tasso pari a Ke.
E= FCFE
Ke

E < EV

Per valutare D -> attualizziamo OF, solo che dovremmo immaginare che questo ragionamento lo faccia il creditore
dell’impresa
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Gli OF attualizzati, dal punto di vista della banca, sono interessi attivi.
D= OF
Kd (1-tax)
La somma di E+D= FCF/WACC

Quindi se io calcolo E (1) e D (2) la somma mi dà l’EV che si trova nell’esercizio sopra.

Creazione di valore e valore d’impresa


(Enterprise Value)

EV è una funzione crescente di g e di ROIC (sotto la condizione che WACC sia inferiore al ROIC e che g sia inferiore al
WACC).

Valore d’impresa e profitto economico


Le equazioni seguen琀椀, derivate dalle preceden琀椀, assimilano invece la creazione di valore economico alla realizzazione di
un 昀氀usso periodico di pro昀椀琀� economici (anziché di 昀氀ussi di cassa opera琀椀vi ne琀�), dove per pro昀椀琀琀o economico
intendiamo il risultato opera琀椀vo al ne琀琀o delle tasse (ROIC * IC) meno il costo del capitale (calcolato come WACC * IC).
Vedremo che mel caso in cui l’impresa realizzi un pro昀椀琀琀o economico pari a zero (cioè si limi琀椀 a remunerare il capitale
inves琀椀to ad un tasso pari al costo del capitale), il valore dell’impresa è pari al capitale inves琀椀to. L’Enterprise Value è
invece superiore al capitale inves琀椀to quando il pro昀椀琀琀o economico è posi琀椀vo. Viceversa, nel caso (infausto) in cui il
pro昀椀琀琀o economico sia inferiore a zero, l’impresa avrà un valore economico inferiore al capitale inves琀椀to.

Il valore d’impresa (EV)


come multiplo del NOPAT
La formula usata per il calcolo
dell’Enterprise Value può essere
utilizzata anche per esprimere il valore
d’impresa come
multiplo, rispettivamente, del NOPAT e
del Capitale Investito. Queste modalità di valutazione d’impresa sono di frequente
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utilizzo
EV come multiplo del NOPAT

Si noti che questo multiplo è il reciproco del WACC. In altri termini, il valore dell’impresa è una funzione decrescente del
WACC e crescente del NOPAT.

WACC si fa su valori del mercato, solo che le imprese riguarda solo quelle quotate

Il valore d’impresa come multiplo


del capitale investito
La formula usata per il calcolo dell’Enterprise Value può essere utilizzata anche per esprimere il valore d’impresa come
multiplo, rispettivamente, del NOPAT e del Capitale Investito. Queste modalità di valutazione d’impresa sono di frequente
utilizzo.

Si noti, in questo caso, che il rapporto tra EV e IC corrisponde – quando maggiore di 1, cioè in condizioni di normalità -
alla condizione di creazione di valore economico. Quindi, in condizioni di normalità (di creazione di valore economico),
l’Enterprise Value è maggiore del Capitale Investito

Le modalità con cui i flussi di cassa generati dall’impresa si manifestano sul piano temporale (diapositiva 98)

ANALISI E GESTIONE DEL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO

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Lezione 13/11/20

ANALISI e GESTIONE DEL CAPITALE CIRCOLANTE

Le determinanti del profitto economico: CNN e ciclo economico & ciclo monetario

Rappresentazione grafica dei cicli del capitale circolante di un’impresa industriale, distinguendo il ciclo economico (dagli
input agli output) dal ciclo monetario (anche detto ciclo cash-to cash: dal pagamento degli input all’incasso degli output):

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Ciclo monetario: sommatoria di tempi di stoccaggio e trasformazione

Per stimare la durata del ciclo economico – possiamo concentrarci anche solo su tempi di stoccaggio

STOCK
Non è detto che l’entrata in input sia uguale all’ output
FLUSSO INPUT
FLUSSO OUTPUT
= COSTI
=COSTO DEL
D’ACQUISTO
VENDUTO

Gli input quanto tempo staranno in stock? Dipende dal tempo debito.

Dimensione dello stock= portata * time units


Valore delle scorte in 1 anno= costo del venduto/365

scorte* costo del


indice durata venduto = stock * time units
delle scorte = 365 flusso

SCORTE DI OUTPUT:

DURATA scorta di valore scorta output * 365


FLUSSO DI FLUSSO DELLE prodotti finiti = costo del venduto
PRODUZIONE VENDITE

=COSTO DELLA = COSTO DEL


PRODUZIONE VENDUTO
ALLESTITA

SCORTE DI INPUT:
SCORTE DI
INPUT
ACQUISTI CONSUMO
DURATA scorta di valore scorta input * 365
INPUT = consumo

SCORTE DI SEMILAVORATI:
DURATA scorta di SCORTE W.I.P * 365
W.I.P = COSTO DELLA PRODUZIONE
ALLESTITA

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durata del CICLO ECONOMICO = durata scorte input + durata scorte W.I.P + durata scorte output
Oppure:

scorte input + scorte WIP + scorte output * 365


consumi costo della prodzuione costo del venduto
allestita

2 modo= Ʃ scorte * 365


costo del venduto che però sottostima la reale durata del ciclo economico

(denominatore e numeratore devono essere stimati allo stesso modo: no uno costi e ricavo ecc)

RIASSUNTO:
Assumendo un andamento temporale omogeneo dei fenomeni collegati alla dinamica delle scorte (cioè consumi e
produzione), è possibile calcolare la rotazione e la durata delle diverse tipologie di scorte.

Dove C.P.V = costo della produzione venduta


(Costo del venduto)
e C.P.A. = Costo della produzione allestita
RM = Rotazione materie; RS = Rotazione
semilavorati; RP =
Rotazione prodotti. D = durata

Indici di rotazione e di durata dei crediti e debiti commerciali

CREDITI (vendite):

INCASSI DURATA C V/CLIENTI= (valore) C v/ clienti -> al lordo IVA


RV CREDITI RV (al netto IVA)
(昀琀. vendute) 昀琀. di
vendita

Le imprese per l’IVA agiscono come “Sostituto d’imposta” -> pagano l’iva per conto dei clienti (liquidazione IVA)

TOTALE FT.
esempio: imponibile IVA 10% Incassata
100 € 10 € 110 €

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Per omogeneità o scorporiamo l’IVA dai crediti oppure integriamo l’IVA ai ricavi di vendita.

Come si scorpora:

= 110 = 110 = 100


(1 + IVA %) (1 + 0.10) operazione obbligatoria per imprese che emettono scontrini fiscali

prova contraria

100+10% = 110

Operazione utile che ci permette di mettere a confronto RV e CREDITI in una modalità omogenea / confrontabile: o crediti
con IVA scorporata e rv al netto dell’IVA, oppure iva sommata al rv (integrazione).

DEBITI (ACQUISTI):

Pagamento di FT. DURATA D V/FORNITORE= D V/ FORNITORE


C.d.A di
acquisto C.d.A beni e servizi
beni e
servizi

RIASSUMENDO:
Sempre assumendo un andamento omogeneo dei fenomeni collegati (vendite, acquisti),è possibile calcolare la rotazione
(R)e la durata(D) delle altre componenti del capitale circolante netto (debiti verso fornitori – D - e crediti verso clienti – C -)

I costi di acquisto da prendere a riferimento per


il calcolo della durata dei debiti verso fornitori
(o debiti commerciali) sono quelli di beni e di
servizi, poiché sia gli acquisti di beni che di
servizi generano debiti commerciali.
Inoltre, i costi di acquisto vanno integrati con la
componente di imposta sul valore aggiunto (in
alternativa, i debiti vanno scorporati dalla
componente IVA).

Lo stesso ragionamento relativo all’IVA va fatto con riferimento ai crediti verso clienti (il cui valore è al lordo di IVA) e al
fatturato (che è invece al netto di IVA).
Per lo scorporo dell’IVA si dividerà l’importo lordo (da scorporare) per un divisore pari a (1 + % IVA).

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La gestione del capitale circolante netto (CCN)


Il CCN è costituito da (+) crediti verso clienti + scorte - debiti verso fornitori – *fondo TFR= (molto negativa)

Le variazioni nelle componenti del CCN sono fondamentali rettifiche che le imprese fanno a C e R per determinare le
entrate e le uscite, che si chiamano flussi di cassa operativi (Free Cash Flow for the Firm).

La presenza di crediti e di scorte esprime la lontananza dell’incasso dal momento della produzione e della vendita.
↳ Ideale per un’impresa sarebbe non avere crediti e scorte.

È bene avere il maggior volume possibile di D v/fornitori, che è una forma di finanziamento senza costi espliciti (interessi,
che a differenza delle banche non li applicano).

A parità di altre variabili, per un’impresa è sempre preferibile ridurre il CCN.

(Avere un CCN negativo, pochi crediti e poche scorte, è molto positivo) -> il cliente paga subito, non hai mercanzia
invenduta e chi ti ha fatto credito lo fa per un lungo periodo di tempo. Più breve è il ciclo monetario meglio è.

Non possiamo dire che se il ciclo monetario è negativo, allora anche il CCN è negativo. Questo perché la durata si misura
su valori non omogenei tra di loro (durata scorte input, output, WIP sono misurate su uno stock e un flusso diversi).

Avere un CCN negativo ≠ ciclo monetario negativo → io posso avere una condizione in assenza dell’altra o come averle
entrambe.

Se CCN troppo alto si può ridurre secondo due diversi modi:


►agire sul ciclo economico (cioè sulla durata delle scorte), e quindi ridurre i tempi di stoccaggio e di trasformazione
→aumenta la rotazione delle scorte (quello che tecnicamente viene chiamato il lead-time di produzione, o tempo di
attraversamento del processo produttivo) → riduce quindi anche il ciclo monetario → la riduzione del ciclo economico è
una condizione sufficiente per la riduzione del ciclo monetario.

►agire sul ciclo monetario → agire sui tempi di pagamento e di incasso (che corrisponde al ciclo economico +
durata dei crediti verso clienti – durata dei debiti verso fornitori), e quindi allungare le dilazioni di pagamento ai fornitori
e/o accorciare quelle di incasso dai clienti.

Nell’agire su queste leve, l’impresa deve tenere in considerazione numerosi trade-off:


►la variazione delle dilazioni di incasso e di pagamento, pur portando effetti positivi sotto il profilo finanziario, può
comportare un generale peggioramento della qualità delle relazioni con clienti e fornitori (tensioni);
►l’accorciamento dei tempi di produzione e la riduzione delle scorte richiedono non di rado il passaggio a modelli
di produzione Just-in-Time, che sono estremamente vulnerabili rispetto a fattori di incertezza quali i livelli di domanda e i
tempi di rifornimento e possono comportare disservizi alla clientela (prodotti non disponibili, tempi di consegna elevati).

↳ le scorte servono a qualcosa → è difficile sostenere che l’impresa possa fare a meno delle scorte

In generale, l’impresa deve trovare un giusto posizionamento nel continuum di «politiche» del capitale circolante che si
collocano tra i due estremi della minimizzazione dei costi e della massimizzazione del livello di servizio.
L’ottica della eliminazione delle scorte (così come dei crediti alla clientela), per economizzare sui costi, si scontra cioè
con la necessità di adempiere alle funzioni tipiche delle scorte stesse, che è anche quella di dare servizio (cioè di
assicurare la disponibilità del prodotto).
Casi particolari di composizione del capitale circolante netto si hanno nelle imprese con cicli economici molto estesi. In
tali casi non è raro riscontrare la presenza nell’attivo di voci come «lavori in corso su ordinazione» e di «anticipi a
fornitori» e nel passivo di voci di circolante netto come gli «anticipi da clienti».

*Fondo TRF: debito che ho nel confronto dei lavoratori per salari e stipendi e vengono pagati in via differita dal
momento in cui lasceranno la mia impresa → i dipendenti mi finanziano gratuitamente.

Con pagamento differito (acquista ora, paga dopo) ci si riferisce a una modalità di pagamento alternativa che consente ai
clienti di acquistare prodotti e servizi senza dover pagare l'intero importo in anticipo.

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