Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
L’attività economica consiste nella produzione e scambio di beni economici (beni tangibili, servizi) per il soddisfacimento
di bisogni e collettivi.
Il termine azienda identifica tutte le organizzazioni economiche e sociali → organizzazioni: modo con cui una società si
organizza laddove la società ha bisogno di realizzare degli obiettivi in forma collettiva.
La finalità dell'azienda è anche economica, però non tutte le aziende hanno scopo di lucro.
Anche una famiglia può essere considerata un’organizzazione economica perché soddisfa i bisogni economici dei suoi
membri ma non è un’impresa.
L'impresa svolge un'attività produttiva destinata al mercato: cioè ad essere ceduta a terzi con un atto di scambio (vendita
con corrispettivo).
L’aspetto qualificante dell’impresa è lo scambio al fine della realizzazione di valore economico (genera valore che superi
il valore consumato utilizzato per fare l’attività).
↳Valori che troviamo nel conto economico: valori della produzione e costi della produzione.
Es. di aziende non imprese: azienda sanitaria, azienda ospedaliera, università (cede un servizio contro corrispettivo), →
aziende possono non essere svolte in forma di impresa
In questo paese
Offrono sevizi pubblici: uni = sviluppare k umano da mettere a disposizione alle imprese, o per studiare/imparare
Attività economica non prevalente (pubblico), private (attività economica prevalente- hanno bisogno di raccogliere k
dal mercato)
=non sono svolte in forma di impresa, hanno un’altra forma giuridica (legale)
↳La prevalenza dell’attività economica indica un’ orientamento per bilanciare costi e ricavi (elemento essenziale per essere
qualificato come impresa).
L’impresa è considerato un sistema tecnologico, in quanto costituito da risorse produttive coordinate al fine di uno
scopo produttivo → insieme di mezzi di connessione, per generale un prodotto da portare sul mercato.
L’impresa è considerato un sistema aperto, nel senso che intrattiene relazioni con altri sistemi ed organizzazioni
economiche (si rapporta con altre organizzazioni: fornitori, comuni, UE, pubblica opinione - non è org)
La logica di funzionamento di un’impresa quale sistema aperto può essere rappresentata da uno schema input-output,
dove l’input è dato da fattori produttivi e l’output dal prodotto portato dall’impresa sul mercato (si tratti di un bene tangibile,
di un servizio, o di entrambi).
La differenza tra il costo dei fattori produttivi impiegati nell'attività produttiva e il valore della produzione ottenuta (in altri
termini il confronto tra input e output) costituisce il risultato economico dell’impresa e rappresenta una importante misura
di creazione di valore economico.
L’impresa si colloca all’interno di sistema competitivo, composto da tutti i soggetti con cui l’impresa ha concorrenza diretta
(vendiamo stesso prodotto), indiretta (soddisfiamo lo stesso bisogno - non realizziamo lo stesso prodotto, modalità con
cui soddisfare il bisogno)
Molte imprese producono sia beni che servizi: es. Toyota: vende una macchina ma offre anche il servizio del
finanziamento.
Viene venduto un pacchetto, abbinamento di beni e servizi
Spesso ci si rapporta meglio con il cliente, fa continuare il rapporto anche dopo la vendita dei beni= cessione di beni e
servizi da parte della stessa impresa: servitizzazione
Tipi di imprese
È possibile fare molte distinzioni dicotomiche tra le imprese:
- Imprese produttrici di beni e di servizi
↳Imprese commerciali =intermediario commerciale (edicola, supermercato)
Specializzate: Uniero
Non specializzate: ipermercato
OVS (coordina la produzione in modo pervasivo, e vengono messi sul mercato attraverso canali retail
Vado in borsa se ho bisogno o lo ritengo utile sul piano relazionale, posso anche risolvere il mio problema finanziario da
solo.
Posso quotarmi in borsa per venire a contatto con il consumatore → legittimazione sociale dell’impresa attraverso la
trasparenza che si ha in borsa
Monetizzare l’importo iniziale → monetizzare il suo investimento
Corporate governance
- Imprese individuali e imprese collettive
- Società di persone e società di capitali
Vengono inoltre riconosciute imprese particolari, come le: - Start-up - Spin-off - Imprese manifatturiere - Utilities
Startup: imprese appena partite, da consolidarsi nel mercato (diverse dalle imprese established) → fin quando l’impresa è
una startup? Dipende dal settore
↳Ricavi sono pochi, e il fabbisogno di investimento è molto alto, hanno bisogno di essere sostenute dai loro investitore
continuamente
↳Finché non fai break even point sei una startup
Imprenditori e manager
Chi è l’imprenditore? Colui che sia assume il rischio d’impresa, apportando il capitale di rischio (capitale proprio o
Equity) e partecipando alle decisioni principali della gestione strategica dell’impresa.
Chi è l’imprenditore di Illy caffè? Le quote di proprietà sono in mano ai membri della famiglia illy. Ma
l’amministratore delegato (CEO) è esterno alla famiglia. Sebbene la famiglia Illy non ricopra cariche esecutive
nell’impresa, possiamo ritenere che la funzione (e
la visione) imprenditoriale venga da loro espressa, congiuntamente all’amministratore delegato, il quale ha anche la
funzione di darle esecuzione.
Chi è l’imprenditore di Assicurazioni Generali? Tale funzione è distribuita tra il CEO e i principali azionisti. Non ci
sono azionisti di maggioranza assoluta (ma solo relativa). In imprese come questa può accadere che coalizioni di
azionisti si contendano, periodicamente, il controllo dell’impresa per avere la possibilità di esercitare la funzione
imprenditoriale e indirizzare lo sviluppo dell’impresa nel senso da loro desiderato.
Diverso può essere il titolo giuridico (contratto) in base al quale l’impresa può utilizzare un fattore produttivo.
Ad esempio, il lavoro è ottenuto con contratti di lavoro, il capitale fisso può essere ottenuto con una compravendita (che
prevede il passaggio dei diritti di proprietà) o con il leasing, la tecnologia può essere ottenuta tramite l'acquisizione di
brevetti o di licenze, ecc.
Fornitori particolari sono le banche e gli altri istituti di credito, che mettono a disposizione risorse finanziarie utili per
l'acquisto di risorse produttive.
Il complesso intreccio di contratti che legano l’impresa ai suoi fornitori (e ai clienti) giustifica la diffusa
rappresentazione dell’impresa come nexus of treaties (‘intreccio di contratti’) o web of contracts.
Non sempre potere e legittimazione sono presenti assieme nello stesso stakeholder.
Gli obiettivi e le finalità di un'impresa sono il risultato della sintesi, spesso conflittuale, degli obiettivi e interessi in essa
riposti dalle diverse categorie di stakeholders.
Tra gli stakeholders, un ruolo speciale è svolto dagli azionisti, che apportano il capitale di rischio e a cui la legge attribuisce
i diritti di proprietà dell’impresa, con i relativi poteri decisionali.
Gli azionisti si distinguono in azionisti di minoranza e di maggioranza. Questi ultimi possono diventare azionisti di
maggioranza attraverso la costituzione di una coalizione di comando che permetta loro in base alle regole di voto
assembleari, di imporre le proprie decisioni agli altri azionisti.
Un peso crescente nella definizione dei fini dell’impresa è svolto dai manager, i quali possono perseguire obiettivi di crescita
dimensionale d’impresa e/o di rafforzamento della reputazione individuale che possono anche essere in contraddizione
con la creazione di valore per gli azionisti.
Tra gli stakeholders, un ruolo speciale è svolto dagli azionisti, che apportano il capitale di rischio e a cui la legge
attribuisce i diritti di proprietà dell’impresa, con i relativi poteri decisionali.
Gli azionisti si distinguono in azionisti di minoranza e di maggioranza. Questi ultimi possono diventare azionisti di
maggioranza attraverso la costituzione di una coalizione di comando che permetta loro in base alle regole di voto
assembleari, di imporre le proprie decisioni agli altri azionisti.
Un peso crescente nella definizione dei fini dell’impresa è svolto dai manager, i quali possono perseguire obiettivi di
crescita dimensionale d’impresa e/o di rafforzamento della reputazione individuale che possono anche essere in
contraddizione con la creazione di valore per gli azionisti.
Ha dei margini di discrezionalità per prendere decisioni
Manager gestiscono il denaro di altri → attività di gestione delle risorse affidate
Separazione tra proprietà e controllo: sul piano delle competenze, della disponibilità di informazione
A volte i manager usano le asimmetrie informative a loro vantaggio: creano spazi di discrezionalità a vantaggio
I manager sono più spinti dalla ricerca di vantaggi x azionisti o per loro in una situazione in cui az non sa giudicarli?
I Costi d’Agenzia
Nelle imprese quotate in Borsa con azionariato diffuso (public companies) i singoli azionisti apportano quote estremamente
limitate del capitale di rischio dell’impresa.
A causa del loro limitato interesse ad un coinvolgimento diretto nelle attività dell’impresa, dovuto anche a limitazioni di
tempo e di conoscenze tecniche, questi azionisti delegano ai manager la gestione dell’impresa.
Ciò crea una separazione tra la proprietà e la gestione (o controllo), con gli azionisti, titolari dei diritti di proprietà, che
delegano ai manager (gli agenti) la gestione dell’impresa per loro nome e conto.
Questa situazione (relazione di agenzia) può determinare dei «costi di agenzia» quando le decisioni dei manager non
rispecchiano gli interessi degli azionisti e/o quando vengono attuati dei costosi meccanismi di controllo e di incentivazione
dell’operato dei manager.
Come allineare gli interessi di azionisti e manager e come ridurre i costi di agenzia è una tematica chiave nella governance
delle imprese.
Le finalità dell’impresa
L’impresa ha bisogno degli stakeholder, quindi dovrebbe cercare di soddisfare tutti i loro interessi, trovando un punto di
equilibrio.
Azionista vuole soddisfare i lavoratori- redention (trattenere i lavoratori) -> (garantire posto lavoro ->crisi
aziendale)
Tra queste finalità, l’unica che appare capace di portare ad una efficace sintesi le diverse istanze degli stakeholders è la
massimizzazione del valore economico di lungo termine, che è anche l’obiettivo ultimo degli azionisti, cioè dei
proprietari dell’impresa.
Il perseguimento di questo obiettivo non genera necessariamente contraddizione purché si tenga conto, adottando
opportuni criteri ESG (Environment, Social, Governance), di tutte le esternalità (positive e negative) generate dall’attività
d’impresa, anche se non misurate contabilmente.
Contraddizione in termini: già pareggiare costi e ricavi è troppo poco, i costi opportunità non contabilizzati: riguarda il k di
rischio
I costi d’esercizio sono la misura del consumo e della remunerazione dei fattori di produzione impiegati per lo svolgimento
dell’attività economica d’impresa.
La loro integrale copertura rappresenta una condizione necessaria per la sopravvivenza e la continuità d’impresa. Non ci
si riferisce soltanto alla copertura dei costi rappresentati nel Conto Economico, perché la sostenibilità economica
presuppone anche la remunerazione del capitale di rischio (che non è un costo contabile).
Per generare un profitto economico non negativo (un profitto in grado di remunerare anche il capitale di rischio) serve
pertanto un profitto contabile maggiore di zero. Questa condizione esclude radicalmente, pertanto, la possibilità per
un’impresa di operare secondo logiche no-profit. A meno che gli azionisti o gli stakeholder non siano disposti a ripianare
sistematicamente le perdite d’impresa.
Lo potrebbe fare lo Stato, per erogare servizi pubblici a favore dei cittadini, operando però al di fuori delle logiche di
mercato.
Oppure potrebbe trattarsi di attività economiche svolte da privati, ma che sopravvivono solo grazie ai contributi pubblici che
integrano i ricavi delle vendite.
Vogliamo invece fiduciosamente escludere ipotesi di esercizio no-profit di attività di impresa per finalità di riciclo di denaro
derivante da attività illecite.
Quando ci si riferisce impropriamente alle imprese no-profit si guarda, in realtà, a quelle organizzazioni economiche che
sono solo formalmente delle imprese (perché costituite come tali) ma che non lo sono sul piano sostanziale, perché non
sono economicamente sostenibili.
I ft prd devono trovare una loro remunerazione, altrimenti troveranno altri impieghi da altre parti e l’impresa (no profit)
fallisce.
In tal caso, possiamo più correttamente parlare di aziende no-profit, che vengono tipicamente gestite da pubbliche
amministrazioni o da fondazioni filantropiche.
Nell’impresa individuale tutto il potere spetta all'imprenditore che, quindi, agisce autonomamente.
Nelle società, invece, vi è una pluralità di soggetti (i soci) che possono prendere decisioni e svolgere la funzione
imprenditoriale.
Le società sono a loro volta di due tipi: società di persone (anche dette a responsabilità illimitata, patrimonio attuale
e futuro); società di capitali (anche dette a responsabilità limitata).
Capitalisti: apportatori di capitale
Nelle società di persone, a causa della responsabilità illimitata di tutti i soci, questi sono anche amministratori, potendo
esercitare il potere amministrativo in forma disgiunta o congiunta a seconda di quanto previsto nello statuto societario.
Gli organi di governo dell’impresa includono gli organi della proprietà (Assemblea dei soci), gli organi di amministrazione
(Consiglio di amministrazione, composto dagli amministratori e Presidente) e gli eventuali organi di direzione (ad esempio
il Comitato Esecutivo, composto dai top manager).
►Le riunioni del consiglio di amministrazione si tengono periodicamente, il che non le rende sufficienti per una continua e
completa gestione dell'impresa. In consiglio di amministrazione (CdA) vengono prese solo le decisioni di importanza
fondamentale (quelle strategiche) e non anche quelle di carattere operativo (come potrebbe essere considerata, ad
esempio, la revisione periodica del prezzo di vendita di un prodotto).
Le decisioni di livello operativo sono invece affidate agli organi di direzione, oppure a specifici amministratori "esecutivi",
ai quali viene delegato il potere decisionale per determinati ambiti di gestione. Si parla, così, di amministratori (consiglieri)
esecutivi, di cui il più importante è l'amministratore delegato (ChiefExecutive Officer – CEO)- decisioni al di là della gestione
►Le società quotate in Borsa sono obbligate a nominare un certo numero di amministratori indipendenti. Per maggiori
informazioni sugli amministratori esecutivi, non esecutivi e indipendenti si faccia riferimento al Codice di Corporate
Governance (edizione 2020).
Organi di direzione
►I manager sono i veri protagonisti della gestione dell'impresa. Solitamente, manager e amministratori sono soggetti
distinti, come pure i manager e i proprietari dell'impresa (si parla in tal senso di separazione tra proprietà e management
come elemento qualificante delle moderne società di capitali).
►È tuttavia possibile che i ruoli di amministratore e di manager vengano a confondersi nella stessa persona (ciò accade
specialmente nel caso dell'amministratore delegato, anche detto CEO).
►La figura del manager può articolarsi in diversi livelli: il direttore generale (managing director) è la figura più importante
(quando esiste), dopo l’amministratore delegato (e a volte coincide con questa).
Seguono i manager responsabili di funzione o di divisione – cioè i vice-presidenti
►I livelli manageriali più alti sono quelli di livello C (C-level), dove C sta per Chief (Chief Financial Officer, Chief Operating
Officer, etc.), che siedono sovente nel Comitato Esecutivo.
A seconda della struttura dell’impresa possono esserci ulteriori figure manageriali di livello inferiore.
L'impresa svolge una serie di attività che possono essere rappresentate secondo il modello della catena del
valore.
Perché catena? Perché si individuano attività tra loro legate da interdipendenze sequenziali (cioè da
rapporti di input-output, come gli anelli di una catena), ma tecnologicamente distinte.
Perché del valore? Perché è la creazione di valore economico creato nello scambio coi clienti, e non il
semplice sostenimento dei costi, a costituire la finalità ultima dell’impresa.
La catena del valore visualizza il valore totale creato dall’impresa distinguendone due elementi:
- le attività generatrici del valore;
- il margine di profitto.
Il margine di profitto è dato dalla differenza tra il valore lordo generato (tipicamente: i ricavi di vendita) e il
costo complessivo sostenuto per svolgere le attività generatrici di valore.
10
▪ attività infrastrutturali; comprendono molteplici attività quali la direzione generale, la pianificazione e controllo,
l’amministrazione, la finanza, le pubbliche relazioni, e tutti i servizi generali.
▪ sviluppo nuovi prodotti e ricerca e sviluppo; comprende tutte le attività di sviluppo del patrimonio tecnologico
aziendale.
▪ gestione delle risorse umane; comprende attività come il reclutamento e la selezione del personale, l’addestramento
e la formazione, la definizione delle politiche retributive e dei programmi di carriera e sviluppo, le relazioni industriali.
La descrizione dell’impresa come catena del valore può essere fatta anche con riferimento ad imprese non manifatturiere
(come le imprese di servizi), con qualche opportuno aggiustamento nelle categorie sopra presentate. Vale il seguente
principio fondamentale: dovrebbero essere isolate e separate le attività che hanno logiche economiche diverse, che
possiedono un alto impatto, anche potenziale, sulla differenziazione competitiva, e che rappresentano una porzione di
costo crescente e significativa.
11
clientela possono essere distinti in base a caratteristiche come età, genere, interessi, ecc.
2. Proposta di valore: identifica quali problemi dei clienti l’impresa intende risolvere o quali bisogni intende soddisfare.
La proposta di valore rappresenta ciò che rende unica e attraente l'offerta dell’impresa rispetto alla concorrenza.
3. Canali: ci si riferisce ai diversi canali attraverso i quali l’impresa raggiunge e interagisce con i propri clienti. I canali
possono includere vendite online, distribuzione fisica, social media, vendita diretta, ecc.
4. Relazioni con i clienti: qui vengono definite le tipologie di interazione che si intende stabilire con i suoi clienti. Questo
può variare da assistenza personalizzata a self-service, da comunità online a servizi post-vendita.
5. Flussi di ricavi: definisce come l'azienda intende generare ricavi dai suoi clienti. Può includere vendite dirette,
abbonamenti, pubblicità, affitti, ecc.
6. Risorse chiave: Si tratta delle risorse materiali, umane, finanziarie e intellettuali necessarie per far funzionare il
modello di business.
Queste risorse supportano la creazione e la consegna della proposta di valore.
7. Attività chiave: si tratta delle azioni e delle operazioni cruciali che l'azienda deve svolgere per far funzionare il suo
modello di business. Queste attività sono strettamente legate alle risorse chiave.
8. Partner chiave: qui vengono elencate le alleanze strategiche e le collaborazioni esterne che aiutano l'azienda a
ottenere e mantenere vantaggi competitivi. I partner possono essere fornitori, distributori, acquirenti, ecc.
9. Struttura dei costi: vi si indicano i costi associati al funzionamento del modello di business, distinti in costi fissi e
variabili.
12
➔ Le relazioni fondamentali
L’impresa è una modalità di organizzazione dell’attività economica. È alimentata dall’apporto di capitale e lavoro, e la sua
finalità economica è la creazione di valore nel lungo termine. Il funzionamento dell’impresa può essere descritto rispetto
a questa finalità.
Una delle più semplici ed efficaci descrizioni del funzionamento di un'impresa è quella che considera le relazioni tra i
costi sostenuti, i volumi produttivi realizzati e i risultati economici conseguiti.
CREA valore attraverso la generazione di ricavi, e sostenuti tutti i costi quindi si crea valore economico quando R-C > 0
RV (endita)=p * q venduta
Sebbene le relazioni tra queste grandezze siano piuttosto complesse, esse possono essere – in prima approssimazione -
presentate sotto forma lineare.
Detta, infatti, Q la quantità di prodotto finito (beni o servizi) realizzata, in un determinato periodo di tempo, si può
rappresentare in funzione di Q sia i ricavi d’impresa che i costi di produzione. Questi ultimi possono essere espressi come
una funzione lineare di Q:
Costi di produzione = CF + cvu * Q
dove:
► CF sono i costi fissi di produzione, cioè quei costi il cui ammontare, in una certa unità di tempo, non dipende dalla
quantità prodotta (ovviamente, entro i vincoli di una determinata capacità produttiva);
► cvu è il costo variabile unitario di produzione, cioè il costo che l'impresa sostiene per produrre ogni unità aggiuntiva di
prodotto finito.
CV= cvu x prodotti
Tale grandezza può, per i fini di questa esposizione, anche essere assimilata al cd. costo marginale. Sulla base della
funzione di costo sopra esposta, stiamo dunque assumendo che il costo marginale sia una costante. Questo assunto non
corrisponde necessariamente alla realtà, potendo i costi variabili unitari (e i costi marginali) modificarsi in relazione ai
volumi di produzione (ad esempio per effetto di economie di scala e/o di economie di apprendimento).
- Costi vincolati
Si tratta di costi al cui sostenimento l’impresa è obbligata in forza di contratti di durata, che la legano ai dipendenti
(contratti di lavoro) o ai fornitori di servizi (contratti di affitto, di mutuo, di manutenzione, di leasing, ecc.). Il loro
ammontare non dipende dalla quantità prodotta e venduta.
- Canone di locazione: no costo discrezionale
Diventa vincolato dal fatto che ho firmato un C
- Tassa della concessione dell’occupazione del suolo pubblico
- Canone internet
- Dipendenti
13
Si gestiscono modificando i C
Il CF è fisso solo riguardo ai volumi dell’attività, ma non è fisso per sempre-> i C si concludono
- Costi discrezionali
Si tratta di costi che hanno natura di spesa discrezionale, nel senso che il loro ammontare è stabilito discrezionalmente
dai manager dell’impresa (come, ad esempio, le consulenze e la pubblicità).
- Spese di energia: luce, gas, acqua ecc -> possiamo decidere noi se quel giorno se accendere il riscaldamento o
no
- Canone internet: se è a consumo
I costi discrezionali possono generare dei vincoli contrattuali a carico dell’impresa, rientrando così nella categoria
precedente.
Costo che avrebbe potuto sostenere come no
Si possono modificare per definizione-> scelta discrezionale
Spese di pubblicità: capitalizzare costi
I costi variabili
Varia abbastanza proporzionalmente al volume di produzione e vendita.
Es. spese di energia? no
- Costo del POS-> canone periodico e se superi paghi l’eccedenza (una quota è CF e una quota è CV)
Sono molteplici le tipologie di costi che possono essere incluse nella categoria dei costi variabili.
Può trattarsi, ad esempio, dei costi di acquisto e dei consumi di materie (la differenza tra le due grandezze essendo data
dalla variazione delle rimanenze), degli acquisti di merci, delle lavorazioni esterne (quelle lavorazioni sui prodotti svolte
dai fornitori dell’impresa), dei costi di energia sostenuti per il funzionamento degli impianti dedicati ai processi di
produzione, etc.
Si tenga in ogni caso conto che nell’analisi costi-volumi-risultati, le funzioni di costo e di profitto sono costruite con i
Consumi e non con gli Acquisti. I Costi di Acquisto sono invece rilevanti per il calcolo della durata dei cicli monetari.
Non possono essere completamente assimilati ai costi variabili il «costo del venduto» e la macrocategoria denominata
«costi per servizi». Trattasi infatti di costi a natura mista:
- il costo del venduto comprende tipicamente i costi del lavoro, i consumi di materie, gli ammortamenti (quindi costi sia
fissi che variabili); nel caso di imprese commerciali, il costo del venduto consiste principalmente nel costo delle merci
vendute (acquisti di merci meno variazioni delle scorte di merci)
- i costi di servizi comprendono sia costi variabili (come le «lavorazioni esterne») che costi fissi, di natura vincolata
(come i costi di assicurazione), e/o di natura discrezionale (come la pubblicità)-> servizi che l’impresa acquista dai
fornitori di servizi
14
rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci). In quest’ultimo caso, infatti, l’incremento delle
rimanenze riduce il costo della produzione.
Es. autogrill
Acquisti: merci
Non tutto quello che è stato comprato è stato venduto, e non vuol dire che non ci siano state scorte iniziali
C’è un po’ di tutto e l’impresa potrebbe non costruire un costo del venduto -> perché lo dovrebbe fare sulle merci da
vendere che dovrei abbinare a un costo di produzione/ trasformazione, ma metto tutto insieme
-> semplificazione dei costi economici
In un autogrill ci sono almeno due processi di creazione di valore di produzione: Intermediazione di merci e Preparazione
dei cibi -> mette tutto acquisto
Variazione diminutiva -> Acquisti- Variazioni= Consumi
Se i consumi sono più bassi degli acquisti-> non ho consumato tutto quello che ho acquistato, ma parte di quanto
acquistato è andato ad incrementare le rimanenze (ha il segno meno quando è aumentativa)
Es. Valsoia
Per esame: nel conto economico vengono rappresentati i consumi di competenza? Sì, direttamente o
indirettamente (in due parti: la parte acquisti e la parte variazioni).
15
Es. De Longhi
Rimanenze che si riducono – vuol dire che sto vendendo anche quello che non ho prodotto nell’esercizio, ma che ho
prodotto prima> per competenza avrei potuto decidere di rettificare i ricavi > ma de longhi preferisce mettere i ricavi di
vendita (finalità anche solo di informazione societaria- comunicazione di mercati) e rappresentare questa variazione tra i
consumi (costi): abbiamo consumato delle rimanenze dei prodotti finiti – viene sommato ai costi per generare i consumi
Rimanenze 3 riga= sono cresciute perché le sto trattando come minor costo
Due problemi: riga 2 doveva essere nei ricavi come voce diminutiva (*)
Se non ci fosse la riga 2: consumi inferiori alla voce d’acquisto
Es. Fincantieri
16
La pubblicità cos’è?
➔ Pubblicità CF -> C’è un rapporto di causalità: faccio la pubblicità per vendere di più-> spesa discrezionale
➔ Spese promozionali -> dipende: rapporto di proporzionalità tra vendite e spese promozionali quindi forse sono
variabili
I trasporti? Non sono gestiti da de longhi ma de longhi paga fornitori (vettori esterni: dhl, ups ecc)
Lavorazioni esterne: deve essere un costo di servizio, non può essere solo l’acquisto di un componente
Sono proporzionali al venduto-> costi variabili
Consulenze: CF in natura discrezionale
Spese e contributi depositi
Min 29:00 lezione 11 ottobre
17
Tuttavia, il valore della produzione non è definito soltanto dai ricavi di vendita,
Nel bilancio civilistico italiano, il valore della produzione è articolato in cinque voci:
1.ricavi delle vendite e delle prestazioni;
2.variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti;
3.variazioni dei lavori in corso su ordinazione;
4.incrementi di immobilizzazioni per lavori interni;
5.altri ricavi e proventi.
Le voci di ricavo possono essere, in talune imprese, alquanto articolate (si veda la pagina successiva relativa al Gruppo
ENEL).
18
L'equazione:
Profitto = p*Q – cvu*Q – CF = (p - cvu) * Q - CF
costituisce il punto di partenza dell'analisi costi/volumi/risultati.
Punto di pareggio
Il punto di pareggio o break-even point (BEP) corrisponde a quel volume (quantità) di vendite che consente all'impresa
di generare margini di contribuzione sufficienti a realizzare l'integrale copertura dei costi fissi.
Dato un obiettivo di profitto pari a P, per quale livello di produzione (e vendita) sarà possibile raggiungere tale obiettivo?
Per rispondere, partiamo dalla formula del punto di pareggio: sarà sufficiente aggiungere al numeratore il valore obiettivo
di profitto U e risolvere l'equazione per Q.
Q = 𝑪𝑭+𝑷/𝒎𝒄𝒖
A volte ci interessa conoscere il livello dei ricavi di vendita (cd. fatturato) necessario a conseguire il pareggio economico.
In questi casi, partendo da:
Assumendo un margine di contribuzione unitario positivo, possiamo dedurne che il rapporto di cui sopra assume valori
compresi tra 0 (quando p=cvu) e 1 (cvu=0).
Il rapporto in oggetto costituisce un indicatore fondamentale per descrivere la struttura dei costi di un’impresa e il suo
grado di integrazione verticale.
Utilizzando grandezze assolute (dati di bilancio) anziché unitarie (mcu, Q), il fatturato di pareggio può essere espresso
come:
Se non moltiplicassimo per il prezzo la q di pareggio -> otteniamo: a dx non abbiamo più la quantità ma abbiamo il ricavo di vendita del
pareggio (fatturato di pareggio) che devo ottenere per ottenere l’equilibrio; a sx diventa CF/mcu/P -> mcu/P esprime la frazione del
prezzo di vendita che, una volta coperti i cv, è destinata alla copertura dei cf e alla realizzazione di un profitto.
19
0<MCT/RV<=1
L’auspicio è che siano positivi, ma ci sono sit in cui sono molto bassi.
Non è un giudizio di valore – dobbiamo capire cosa significa avere un margine vicino a 0 e cosa significa nella
situazione opposta.
Tendente a 1 -> ha tanti CF e pochi CV
Tendente a 0 -> ricavi d vendita sono assorbiti quasi integralmente dai cv
Es. imprese che producono servizi (+ cf, ci sono cv rispetto alla q e prodotto venduto)
Microsoft -> sviluppare prodotti =/ da produrre prodotti
Licenze office che units compra da microsoft -> paghiamo a microsoft (quale sarà il cv x microsoft? Non c’è)
Nemmeno in google, autovie venete , compagnia telefonica
Unieuro , supermercati vivono solo di cv
Se non muta nessuna di queste condizioni strutturali, non muta neppure il punto di pareggio.
Quando invece si modifica il grado di integrazione verticale (cioè il numero delle attività svolte all’interno dell’impresa
rispetto a quelle delegate ai fornitori), oppure quando migliorano i margini di contribuzione (ad esempio, attraverso un
contenimento dei costi di produzione), o ancora quando aumenta il grado di differenziazione dei prodotti (con la
conseguente possibilità di aumentare i prezzi unitari e quindi di ottenere un premium price, cioè un maggior prezzo
rispetto a quello medio di mercato), muterà anche la condizione strutturale di pareggio economico.
Rappresentazioni grafiche
Il livello dei costi medi unitari dipende principalmente dal grado di riparto dei costi fissi, un fenomeno che si accompagna
al progressivo sfruttamento della capacità produttiva.
Infatti, risulta che:
costo medio unitario = costo variabile unitario + 𝑪𝑭/𝑸
20
In altri termini, al crescere dei volumi produttivi il costo unitario tenderà a diminuire per effetto della saturazione dei fattori
produttivi fissi (e quindi per effetto del riparto dei CF). Ciò vale per qualsiasi tipo di costo fisso, dal costo del personale
(specialmente quello indiretto, come il lavoro impiegatizio), alle spese di pubblicità, agli oneri finanziari, alle spese
generali, ecc.
I costi medi unitari saranno allora rappresentati dal grafico a destra.
costi medi
unitari= cvu+ CF
Q
Il margine di sicurezza
Può essere interessante mettere a confronto le vendite (previste o effettive) con quelle che assicurerebbero
all'impresa semplicemente un pareggio economico. Da questo confronto si ottiene una misura del rischio
operativo dell’impresa, chiamata 'margine di sicurezza':
Tale misura è di agevole interpretazione: ad esempio, un margine di sicurezza di 0,30 sta ad indicare che le
vendite potranno essere fino al 30% inferiori a quelle effettive senza che ciò comporti per l'impresa il
conseguimento di una perdita.
Di particolare importanza è il reciproco del margine di sicurezza, la leva operativa, che esprime l’elasticità
(sensibilità) del profitto alle variazioni nei volumi di attività (Q).
➢ Calcolo differenziale per misurare l’elasticità
Il bep → cmu=p
21
Le relazioni tra costi, volumi e risultati economici sono di fondamentale importanza per le scelte di prezzo
dell’impresa.
In generale, il prezzo sarà influenzato da tre fattori:
1. I costi di produzione
2. I prezzi praticati dalla concorrenza
3. La disponibilità a pagare degli acquirenti (cd. willingnes-to-pay)
La condizione minima di sostenibilità economica, nel lungo periodo, è data da un prezzo unitario maggiore
o uguale ai costi unitari di produzione.
Per calcolare questo prezzo, occorre esplicitare il prezzo dalla formula del profitto, ponendo il profitto pari a zero:
La formula ci dice che il prezzo unitario minimo praticabile da un'impresa è pari al costo medio unitario di produzione,
cioè alla somma del costo variabile unitario e del costo fisso unitario. Il prezzo minimo si riduce pertanto al crescere delle
quantità prodotte. Riducendosi i costi medi l'impresa potrà dunque praticare prezzi più bassi, risultando più competitiva
(cioè più capace di vincere il confronto con i concorrenti).
Possiamo scendere so琀琀o il costo medio unitario? Es. società telefonica (TIM)
Tim ha 30 milioni di clien琀椀
Se mi arriva 30 mil+1 che prezzo dovrei fargli?
1. Costi marginali: quali sono i cm che i clienti in più può generare x TIM?
Quali sono? Non ci sono -> la discriminazione di prezzo va evitata
Primo modo: Il prezzo di equilibrio nel breve termine -> lettura dal lato dei cm
Tuttavia, nel breve termine, l’impresa potrà anche trovare conveniente praticare – seppur temporaneamente – dei prezzi
inferiori al costo medio unitario.
Le ragioni possono essere molteplici:
► ottenere una commessa particolarmente importante;
► ostacolare l’ingresso sul mercato di nuovi concorrenti (fissando un cd. prezzo di deterrenza all’entrata – anche detto
prezzo «limite»);
► conquistare una quota di domanda che altrimenti rimarrebbe inespressa;
► smobilizzare quote di produzione invenduta.
A differenza di una logica di lungo periodo (entro la quale l’impresa deve porsi l’obiettivo di recuperare gli investimenti
effettuati e di rinnovarli a scadenza), in una logica di breve termine (che corrisponde ad una condizione in cui l’impresa
non prende decisioni sotto il vincolo del recupero degli investimenti effettuati) il prezzo minimo accettabile dall’impresa
non sarà più il costo medio unitario bensì quello che copre almeno i costi marginali (corrispondenti sostanzialmente ai
costi variabili unitari).
Si dice, in questo caso, che l’impresa preferirà adottare una logica di direct costing al posto di una di full costing.
In presenza di forti motivazioni competitive, l’impresa potrebbe addirittura decidere di praticare prezzi inferiori ai costi
marginali (cd. vendite sottocosto), sacrificando il profitto di breve termine al raggiungimento di obiettivi di medio-lungo
termine.
Secondo modo: quali sono i costi che io devo veramente coprire? Quali costi non fanno male? Ammortamenti, perché
li ho già pagati. Posso sistematicamente dimenticarmi dell’ammortamento? Costi affondati
22
Posso lasciarli da parte, fanno meno male e può utilizzare x fermare i concorrenti. È un coltello a doppio taglio (dimentico
gli ammortamenti ma ho il cadavere nell’ armadio)
La centralità dell’EBITDA
Un fondamentale parametro per valutare la propensione delle imprese ad adottare logiche di breve periodo e a ridurre i
prezzi al di sotto del costo pieno è dato dal rapporto:
EBITDA-EBIT= DNA
Tanto maggiore sarà questo rapporto (a causa della presenza di costi fissi affondati nell’EBITDA) tanto maggiore sarà la
propensione dell’impresa ad adottare politiche di prezzo aggressive.
In pratica, per ragioni competitive l’impresa potrebbe accontentarsi di ottenere un EBITDA pari a zero, anziché un EBIT
pari a zero. In questo caso il livello di prezzo di equilibrio sarà dato da:
Conclusione: impresa dovrebbe praticare px almeno pari al cmu, se px più bassi sì se ha ammortamenti; quindi, come se
ponessimo una condizione di pareggio su ebitda=0 (è l’ebit a cui ho tolto dei costi- ammortamenti)
➔ Per clienti già esistenti, per clienti in più possiamo ragionare dal punto di vista marginale
La percentuale sarà ovviamente fissata in modo tale da consentire il recupero dei costi fissi e ottenere anche un congruo
utile.
Assimilando i costi di acquisto ai costi variabili, il mark-up è misurato dal rapporto tra il margine di contribuzione totale e i
costi variabili totali:
23
Il calcolo del mark-up potrà essere fatto anche con riferimento alle imprese non commerciali, sostituendo al costo di
acquisto delle merci il costo variabile unitario.
Si noti che il rapporto tra margini totali di contribuzione e ricavi di vendita (come pure tra margini di contribuzione
unitari e prezzi unitari di vendita) è una misura del cd. grado di integrazione verticale delle attività di impresa.
Assumendo che nelle imprese commerciali il costo variabile unitario corrisponda al costo di acquisto, il prezzo di vendita
potrà essere espresso nei termini seguenti:
Se nella equazione del fatturato di pareggio sostituiamo al prezzo la sua espressione in termini di mark-up, otteniamo:
Il fatturato di pareggio è qui una funzione dei soli costi fissi e della percentuale di ricarico ed è indipendente dal livello
assoluto di prezzo (e dal costo di acquisto) di uno specifico prodotto.
BEP è calcolato sul ricarico che dovrei fare sul costo d’acquisto per ricompensare la buca dei CF.
Il mark up di equilibrio:
MCT=RV- CV
RV= CV+MCT (apporto che dò alla copertura dei CF)
MCT = mcu
RV P
Parlando di prezzi…
In certi settori i prezzi sono definiti in modo dinamico-> possiamo differenziare il servizio ed applicare px diversi?
Giustificando queste differenziazioni – collocazione dei clienti nella loro fascia di prezzo
Stessi servizi con prezzi diversi
24
L’analisi costi-volumi-risultati trova una peculiare applicazione al caso di imprese che presentino una larga
prevalenza di costi fissi (autostrade, telefonia, alberghi, crociere, trasporti ferroviari, trasporto aerei, software, televisione,
etc..).
In tali casi, la creazione di valore economico non avrà come focus principale la generazione di margini di contribuzione,
ma – più semplicemente - la massima generazione di ricavi di vendita.
Si osservi che, in presenza di elevati costi fissi, l’esiguità dei costi marginali (Evidente scarsità e insufficienza) - (cioè dei
costi di ogni unità di produzione aggiuntiva) lascia all’impresa una certa libertà nella determinazione dei prezzi di vendita
(vi sarà infatti una notevole distanza tra costi marginali e costi medi unitari).
Con l’obiettivo di massimizzare i ricavi di vendita, nella fissazione dei prezzi ai clienti l’impresa potrà praticare forme di
discriminazione di prezzo (cioè prezzi diversi per beni/servizi uguali), cercando di presentarle come vere e proprie
differenziazioni di prodotto/servizio (prezzi diversi per beni/servizi diversi).
Questa pratica, che viene chiamata revenue (o yield) management, è largamente applicata nel settore del trasporto
aereo.
Applicazioni frequenti si hanno anche nel settore alberghiero. Anche la varietà di tariffe nella telefonia mobile può essere
interpretata in termini di revenue management.
Vogliamo fa pagare la clientela fino alla sua massima capacità a pagare – si determina anche dalle variabili che
influenzano le nostre scelte (quando prenoti) → Algoritmi
Obiettivo dell’impresa è di gestire le variabili del costo e del profitto → ci sono delle variabili che producono effetti in altre
variabili – elasticità dei costi e del profitto (p*Q – cvu* P -CF)
Elasticità più importanti di altre: 𝜼𝒚(𝒙) →misura la causa (es. aumento delle vendite) e y misura l’effetto (es. aumento del
profitto)
↳Elasticità DI X RISPETTO A Y
Laddove possano essere prese in considerazione variazioni infinitesimali di y e x, sarà possibile esprimere 𝜼𝒚𝒙 nei
termini della derivata di y rispetto a x, moltiplicata per il rapporto tra x e y:
25
L'elasticità dei costi assume valori compresi tra 0 (in assenza di costi variabili) e 1 (in assenza di costi fissi).
Ad esempio, un valore pari a 0,80 significa che una variazione diminutiva del 10% nei volumi produttivi comporta una
variazione diminutiva dell'8% nei costi totali. Ci stiamo riferendo ovviamente alle variazioni dei costi totali; i costi variabili
varieranno invece nella stessa percentuale di variazione dei volumi produttivi; pertanto, l’elasticità dei costi variabili è di
banale quantificazione (lasciamo al lettore verificare che tale elasticità è pari a 1). La variazione dei costi totali sarà la
media ponderata (per il peso sui Costi Totali) delle variazioni dei costi variabili (che variano nella stessa % dei volumi) e
dei costi fissi (la cui variazione sarà pari a zero, all’interno di una data capacità produttiva).
Lezione 23 10
Calcolo e interpretazione della leva operativa
La leva operativa è il parametro che misura l'elasticità dei profitti d’impresa alle variazioni dei volumi di produzione e
vendita.
Sul piano analitico, essa è misurata dal rapporto tra le variazioni incrementali relative del profitto e della quantità:
∆π
= π
↳un rapporto tra variazioni incrementali relative scomposto in un altro modo che prima era:
∆Q
Q
Ad esempio, avere una leva operativa pari a 3 significa che una variazione del 10% (in + o in -) nelle vendite produrrà una
variazione del 30% (nello stesso senso) nel profitto.
Parimenti, con una leva operativa pari a 3, per ottenere un incremento del 30% del profitto sarà necessario aumentare le
quantità vendute del 10%.
∆π
Quindi abbiamo:
= π = 3
∆Q
Q
26
Se ∆Q aumenta del +33,3%, allora ∆π aumenterà del 100% → dunque la LO mi dice in che relazioni
Q π
stanno queste variazioni % (quindi se Q cresce del 33,3%, il π crescerà di 3 volte in più in %).
Al contrario vogliamo ottenere + 30% profitto – quale sarà la variazione % richiesta delle Q? Sarà +10%.
La LO può assumere valori negativi, quando o i margini o profitti sono già negativi → se profitto è negativo non è detto
che il margine è negativo, ma il contrario sì: profitto= margine – CF
MCT= profitto + CF
Può essere che il profitto sia negativo e il margine positivo, se la distanza tra profitto negativo e BEP è meno dei CF.
Nel caso di profitto negativo e di margini positivi, la leva operativa assumerà valori negativi. Il suo significato, tuttavia,
non cambia. Una leva pari a – 3 significa che per azzerare la perdita (cioè ridurla del 100%) sarà necessaria una
variazione aumentativa di -100%/3= -33% delle quantità vendute.
margine di sicurezza = q effettive- q pareggio– misura grado di distanza tra il livello di attività dell’impresa da
quello che sarebbe il livello minimo di attività che l’impresa
q vendute
dovrebbe svolgere per chiudere almeno in pareggio → è la % di
riduzione delle mie vendite che io posso accettare prima di finire in perdita
CF/ MCT ha senso nella misura in cui siamo sopra il BEP, quindi un profitto > 0 (profitto= margini – CF)
Se CF= margini vuol dire che abbiamo pareggiato i conti economico (è un pareggio fittizio) → profitto= 0
Grafico della LO
La leva operativa è una funzione delle quantità (x)
L.O= MCT
π
= mcu*Q
mcu*Q -
CF
Oppure
La variabile è la Q.
27
Poniamo BEP = 1 (assumiamo che il BEP sia pari a 1, qui inteso come qualsiasi valore positivo). Allora, asintoto verticale
= 1 (BEP) e asintoto orizzontale = 1
La leva operativa è sempre maggiore di 1 per valori di produzione e vendite superiori al BEP, ed è inferiore ad 1,
assumendo valori anche negativi al di sotto del BEP.
(dal grafico) 2 asintoti. Perché? Nel primo quadrante Q> Q di pareggio → quindi il profitto > 0, margine >0 ed più alto del
profitto. MA di quanto? Facciamo Lim che tende a infinito.
nella maggior parte dei casi le imprese ha la leva dei prezzi > leva operativa
leva dei costi del lavoro: profitto= px q- cvu xq – CF (c aqc s+ cl)
qual è l’el del prof rispetto a var del costo del lavoro? Var pro/pro /var cl/cl = delta prof/delta cl x cl/prof
taglio di un 1 mil di euro il cl? Il profitto aumenta di 1 mil -> questo rapporto sta a -1
28
Le 3 imprese rappresentano i tipi imprese con diversi gradi di integrazione verticale, con una diversa propensione a
sostenere costi fissi e costi variabili.
*
* Vendiamo a 225 quello che ci è costato 135.
La diversità del cvu è data dalla più o meno
propensione a svolgere al proprio interno le
π= mcu* q di vendita - CF
a琀�vità della catena di valore.
mcu= pxu- cvu
MCT= mcu*q S琀椀amo assumendo che l’impresa C svolge
più a琀�vità, ha più CF.
Più CF si hanno, più margini si hanno
Abbiamo 3 modi di fare impresa, portando sul mercato la
stessa Q di prodotti, generando lo stesso fatturato e lo stesso (CF=buca da riempire, mcu= pala)
profitto:
tre MODELLI DI IMPRESA
Potrebbe sembrare che per noi è indiferrente il modello di impresa, invece si può dimostrare che la differenza è la
sensibilità del profitto nei 3 casi, alle variazioni nei volumi di vendita.
Un confronto analitico tra le tre imprese può essere condotto utilizzando parametri come l’elasticità dei costi, la leva
operativa e il margine di sicurezza (notare che il margine di sicurezza risulti essere il reciproco della leva operativa):
29
Q di pareggio= CF
mcu
Caso A: se io vendo 1000 prodotti (supera Qbep=333, allora posso dire che rispetto a quanto sto immanginando di
vendere, posso vendere anche il 66,7% in meno senza finire in perdita).
L’opposto del margine di sicurezza è la leva operativa (per ottenere la L.O dal margine di sicurezza, quest’ultimo
bisogna ribaltarlo – es. mcu= 2/3 → L.O= 3/2)
Oppure
L.O= MCT
π se L.O < allora E cos琀椀 > ; se L.O > allora E cos琀椀 <
Ci dice qual è la sensibilità del profitto alle Q.
Immaginiamo:
Se fosse -20% delle Q, quelle variazioni in valore assoluto del profitto sarebbero decrementali.
Quindi: se io ragionassi sulla Q attesa e la moltiplicassi per il px le 3 imprese continuerebbero ad essere la stessa
impresa, mi daranno comunque un profitto atteso di 60k.
30
Bisogna vedere anche la situazione del mercato: se si prevedono tempi duri meglio scelgiere A, se i tempi che si
prevedono sono positivi allora scelgo C. seconda domanda che devo farmi: che sensibilità voglio avere del profitto
rispetto a Q. dipende dalle risorse finanziarie.
Se scelgo impresa A avrò più CV rispetto all’impresa C che avrà più CF.
I cv dipendono da Q=
Δcv
cv = cv
*E= CV
Δq CT
q
* ΔCT
CT = ΔCT Q = cvu Q = CV
ΔQ ΔQ T T CT
Q
L’elasticità da cosa dipende? A parità di profitto, E(lasticità) dipende dai margini di sicurezza.
Eπ,q= MCT MCT= (p*cvu)*Q
π a parità di Q e p, l'elemento discriminante è cvu.
Vuoi avere una maggiore o minore elasticità del profitto rispetto a Q? allora agisci su cvu.
Se io voglio avere poca sensibilità del profitto rispetto a Q, devo avere bassi MCT (per avere bassi MCT, devo avere
elevati cvu a parità di px e Q); se voglio avere un’elevata sensibilità del profitto rispetto a Q, devo avere elevati MCT
(quindi bassi cvu) -> mi sposto sull’impresa C.
Altro modo per fare un ragionamento analogo che non passa per la L.O, ma passa per l’elasticità dei CT rispetto alle Q.
L’elasticità dei costi è il rapporto tra il costo variabile e CT.
In definitiva:
►A è la tipica impresa poco integrata (ad esempio, un’impresa produttrice che vende esclusivamente sul canale
all’ingrosso (cioè arrivando indirettamente ai clienti finali, attraverso la vendita ai dettaglianti, i quali svolgono una
funzione di intermediazione), cioè operando come grossista (wholesaler) a favore di dettaglianti indipendenti (negozi
multimarca oppure affiliati con contratti di franchising, operanti attraverso negozi monomarca), e cercando la massima
flessibilità alle oscillazioni del mercato -> vende a dettaglianti
31
►C è invece la tradizionale impresa fortemente integrata (ad esempio, un’impresa produttrice che agisce direttamente
sul canale retail (cioè vendendo attraverso negozi monomarca a gestione diretta – DOS, directly operated stores), con
uno spiccato orientamento alla crescita delle vendite per saturare la capacità produttiva e distributiva. Un altro esempio di
impresa con elevata leva operativa (del tipo C) è una società per l’esercizio della telefonia mobile, dove il costo marginale
di produzione del servizio di connettività è pressoché nullo mentre elevatissimi sono invece gli investimenti (e quindi i
costi fissi) nelle infrastrutture -> fa anche il dettagliante dei suoi prodotti
►B è un’impresa che cerca di bilanciare le esigenze di elasticità con quelle di sfruttamento della leva operativa.
Imprese elastiche: quando hanno una struttura centrata sui costi variabili.
Se
Ec,q= CV
costi rispetto a Q CT
Impresa rigida: bassa elasticità e alta LO dei costi -> ha pochi o nulli cvu – si vede
dalla rappresentazione perché se
l’asintoto è 0 vuol dire che non ho cvu.
32
Alla dx di questa intersezione tra il costo medio dell’impresa totalemente elastica e il costo medio dell’impresa
totalemente rigida, io preferirò l’impresa totalmente rigida.
Se la Q di pareggio (a sx di Q1) per l’impresa totalemente rigida, siamo sicuri di raggiungerla oppure no?
La Q bep di può esprimere anche in funzione dell’ugualianza prezzo e costo medio: quando px= cmedio, non faccio né
profitti né perdite -> pareggio i conti
Il pezzo intermedio tra Q bep e Q1 per l’impresa elastica comporta maggiori costi ma non una perdita.
Essere totalemente rigidi è rischioso, ma potrebbe essere preferibile.
Lezione 30/10
VALORE AGGIUNTO→è una remunerazione per coloro che dentro l’impresa partecipa alla creazione di valore aggiunto
Viene distribuito tra OF, tasse, salari e stipendi, utile , remunerazione CF(=ammortamenti → val.aggiunto lordo, oppure
val.aggiunto netto (senza ammortamenti))
Oppure con una versione più allineata con l’analisi costi-volumi-risultati (più approssimata)
In questa versione, sia ricavabile anche a partire dal mark-up, ovvero dalla percentuale di ricarico (MCT/CV).
33
Esercizio:
MCT = 0.3
RV
mcu + cvu = 1
p p
MCT
CV = ? ( %mark up)
RV= MCT+CV
MCT= 0.3 RV
RV= 0.30 RV + CV (0.70 RV)
0.30 RV = 3 mark up
0.70 RV 7
L’analisi della struttura di costo può essere utile per risolvere un classico dilemma nella pianificazione delle attività
d’impresa: di fronte ad una domanda incerta e non perfettamente prevedibile, si presentano due rischi:
1. realizzare una produzione eccedente la domanda effettiva (o di generare un volume di acquisti maggiore della
domanda, se si tratta di un’impresa commerciale)
2. realizzare una produzione r inferiore alla domanda.
Sarà cioè meglio sbagliare per eccesso o per difetto (immaginando che i due casi siano, a priori, ritenuti
equiprobabili)?
La questione si pone con particolare gravità in presenza di produzioni a forte deperibilità (come, ad esempio, molte
produzioni alimentari) e/o ad elevato tasso di obsolescenza (come, ad esempio, l’abbigliamento di ‘moda’).
2. Costi dell’invenduto e si verifica nel caso di una produzione eccedente (domanda inferiore alla produzione),
l’impresa – pur conseguendo interamente i margini di contribuzione - dovrà sopportare dei costi di produzione
superiori a quelli del venduto (si tratta dei cd. costi di invenduto).
La Q media esprime la mia indifferenza verso mancate vendite e invenduto. Tendo ad avvicinarmi all’evento con il costo
più basso per me e mi allontano da quello che mi fa più male.
Come si stabilisce?
34
Ipotesi:
kg di verdure
px di vendita 3€/kg
C.d.A 2€/kg
Margine di contribuzione 1€/kg
Qmedia > Qd
Ogni kg di verdura in più per me invenduta, rappresenta un costo di 2€/kg. Se ho 10 kg in più allora ho speso 20€ di
troppo.
Qmedia< Qd
1€ perso per ogni kg di mancata vendita. Se ho 10 kg, mi costa 10€.
↳se ragioniamo in termini di solo costi
Imprese con alti margini e bassi costi marginali/variabili (come molte imprese di servizi: un albergo, una compagnia
aerea) preferiranno correre il rischio dell’invenduto, cioè dotarsi di una capacità produttiva eccedente la domanda.
Viceversa, imprese con bassi margini e alti costi marginali (come le imprese commerciali o le imprese
industriali a basso grado di integrazione verticale) preferiranno correre il rischio di mancate vendite (sottoscorta).
Nel definire il proprio orientamento verso i rischi sopra definiti, l’impresa non dovrà inoltre dimenticare che le mancate
vendite possono avere anche delle possibili implicazioni negative sotto il profilo del customer Satisfiction.
La mancata disponibilità del prodotto abbassa, infatti, il livello di servizio offerto, con il pericolo di perdita della clientela a
vantaggio dei concorrenti. Sotto questo profilo, le mancate vendite possono essere più dannose dell’invenduto.
Le imprese con + margini e – cv (es. imprese commerciali) → preferiranno il rischio dell’invenduto cioè dotarsi di una
capacità produttiva eccedente alla domanda.
35
Le imprese con – margini e + cv (es. imprese commerciali ed imprese industriali a basso grado di integrazione verticale)
preferiranno correre il rischio di mancate vendite (se consideriamo gli effetti collaterali: customer dissatisfaction – spesso
più dannoso dell’invenduto).
Una produzione eccedente la domanda non si trasforma automaticamente e totalmente in un costo di invenduto.
Se il prodotto è immagazzinabile avrò un costo di immobilizzo di k nelle scorte → impresa potrà conservare la produzione
eccedente e “smaltirla” gradualmente.
Sovente però il prodotto eccedente che viene messo a scorta per la successiva rivendita viene a perdere
progressivamente il suo valore, per effetto del fenomeno denominato obsolescenza. È il caso, ad esempio, di prodotti a
forte contenuto tecnologico, come gli smartphone, o di prodotti a forte componente ‘moda’, come l’abbigliamento. In tali
casi, l’impresa dovrà velocizzare il tempo di vendita attraverso vendite promozionali o altre forme di riduzione dei prezzi.
L’effettivo costo dell’obsolescenza sarà così determinato
Il costo di obsolescenza può essere anche calcolato, secondo una prospettiva diversa, come costo “opportunità”, cioè
come differenza tra il prezzo di vendita iniziale meno il prezzo effettivo di vendita.
PROFITTO ECONOMICO
π operativo: RV- CV- CF
↓
Si chiama anche EBIT (utile prima delle imposte e OF- non sono operativi)
Profitto contabile si chiama RISULTATO NETTO → EBIT – OF (- riguardano i passivi e costi di gestione connessi a
finanziamenti)
UTILE DOPO LE IMPOSTE= UTILE NETTO PRIMA DELLE IMPOSTE – IMPOSTE SUL REDDITO NETTO
Se io le tasse sull’ebit le ho già tolte per fare il NOPAT, per arrivare al REDDITO dopo le tasse a partire dal NOPAT è
sufficiente togliere gli oneri finanziario al netto delle tasse:
NOPAT- OF(1-TAX) = REDDITO DOPO LE TASSE
↓
36
È una grandezza che mi dice quale è stata la redditività di un’impresa realizzata attraverso le attività operative
dell’impresa, dopo che ho pagato le tasse su queste redditività, immaginando che l’impresa non abbia dei finanziamenti o
facendo finta che l’impresa non ha bisogno di essere finanziata.
Dunque mi consente di giudicare come va un’impresa dal punto di vista della creazione di valore economico a
prescindere da come è finanziata.
Nel CE ci sono due grandi voci che definiscono il reddito dopo le tasse:
1. NOPAT
2. COSTO DI K DI DEBITO (OF (1-TAX))
Il reddito dopo le tasse non considera la remunerazione di chi ha apportato k di rischio (perché è un costo opportunità).
La remunerazione esiste solo se c’è un residuo: quindi se ho un reddito dopo le tasse > 0 allora posso:
- Aumentare il k proprio
- Distribuire i dividendi
Al NOPAT sarebbe giusto togliere la remunerazione del k proprio: NOPAT – OF (1-TAX) – REMUNERAZIONE K PROPRIO
↓
È LA REMUNERAZIONE DEL K di
DEBITO AL NETTO DEL BENEFICIO
FISCALE (deducibilità fiscale)
CI= D+E
D= debito
E= Equity: K proprio – K di rischio
Lezione 6/11
Profitto economico è diverso da profitto contabile,che è quello che noi evidenziamo nel CE come:
valore della produzione - costi d’esercizio
La remunerazione dei soci (equity=k di rischio) non vengono quantificate in conto economico.
37
Profitto economico
➔ Vuole misurare tra i costi anche il costo opportunità (remunerazione dei soci), quindi oltre a sottrare dal valore
della produzione il costo d’esercizio rappresentati nel CE contabile, sottrae anche i costi opportunità sul k di
rischio
➔ NOPAT = net operating profit after taxes = earnings before interests and taxes (EBIT) * (1 – tax rate)
EQUITY= genera un costo: costo dell’equity -> costo opportunità sul k di rischio
A= P+N
P=D, N=E, A= K INVESTITO
potremmo dire che: K investito equivale alla somma di debiti e di capitale proprio,
che rappresentano il lato dei finanziamenti del k investito stesso
NOPAT - (D*kd(1-tax))+ E*ke) → D+E= k investito (CI) non faccio E*ke (1-TAX) perché il costo del E non è
deducibile 昀椀scalmente- no risparmio 昀椀scale.
profitto economico= NOPAT- CI* D *Kd (1-tax) + E * Ke
D+E D+E
sono dei pesi con i quali io ho allocato le mie fonti di finanziamento
(D ed E) per il finanziamento del CI
Più semplicemente: la somma di questi pesi=1 > D + E = 1
D+E D+E
è una media ponderata
del costo di k
Questo perché il K può essere finanziato da debiti o da equity, o da entrambi. Se noi al posto del D ed E applichiamo
questi pesi stiamo ottenendo un costo medio ponderato del K = WACC.
Io parto dal NOPAT e tolgo qualcosa: Il profitto economico è più piccolo del NOPAT-> tutto dipende dal costo opportunità
sul k di rischio
NOPAT= risultato lordo che sul piano contabile sarebbe già al netto delle tasse, e questo ci porta a dire che il fatto che
l’impresa fa un profitto contabile, non significa che ha un profitto economico > 0, appunto tutto dipende da ke*E
Profitto economico = NOPAT- IC * WACC -> ci dice che anche se l’impresa realizza un NOPAT positivo, comunque, “deve
pagare” il costo del capitale (deve dare un rendimento al capitale= rendimento atteso da coloro che hanno fatto credito
all’impresa – coloro che hanno reso l’impresa debitrice – e coloro che hanno apportato un k di rischio ➽ entrambi questi
soggetti devono ottenere un ritorno).
Quando noi conteggiamo questo ritorno e lo sottraiamo dal NOPAT otteniamo l’ECONOMIC PROFIT (profitto
economico)
Per poter affermare che l’impresa crea valore economico, dobbiamo verificare che quell’impresa abbia realizzato un
profitto economico > 0 – altrimenti in quell’esercizio, l’impresa non ha creato valore economico.
E molte delle imprese che hanno un profitto contabile > 0, difatto non creano valore economico.
Perché se a quel profitto contabile togliamo parte di costo di k che non è rappresentata in CE, scopriamo che
quell’impresa ha E < 0 -> non sta creando valore economico ma lo sta distruggendo
Se noi poniamo profitto economico=0, la condizione di pareggio economico misurata sul profitto economico=
NOPAT= I.C*WACC
NOPAT = WACC
I.C
38
NOPAT è il reddito operativo al netto delle tasse, sarebbe il profitto economico se non ci fosse il costo di k oppure
potremmo dire sarebbe il profitto contabile se non ci fossero debiti, quindi non ci sarebbero OF.
Se lo rapportiamo al I.C -> rapporto esprime il rendimento che ha il CI quando viene utilizzato per svolgere attività
d’impresa.
Quindi il NOPAT è la differenza tra i valori della produzione e i costi (quello che hai portato al mercato al netto dei costi) ->
è una redditività che rapportato al CI esprime un tasso di rendimento= ROIC (return on invested capital)
La condizione di pareggio economico è sintetizzata da ROIC=WACC (è il minimo che un’impresa si aspetta dallo
svolgimento di attività d’impresa=non distruggere valore economica).
Perché allora
NOPAT = WACC
I.C
Ma allora:
NOPAT=IC*WACC
NOPAT-IC * WACC= PROFITTO ECONOMICO=0
Poiché il WACC corrisponde al costo medio al netto delle imposte del capitale di un'impresa (costo medio del capitale
che un'azienda deve pagare ai suoi investitori, azionisti e creditori), può essere paragonato al ROIC.
Le determinanti del profitto economico: il costo medio ponderato del capitale (WACC)
Il profitto economico può essere aumentato anche attraverso la riduzione del costo del capitale (WACC).
Il WACC è la media ponderata del costo del capitale di debito e del costo del capitale proprio (Equity), ovvero il
costo che l'azienda deve sostenere per raccogliere risorse finanziarie presso soci e terzi finanziatori.
Si tratta di una media ponderata tra il costo del capitale proprio (che esprime l’aspettativa di rendimento degli azionisti)
ed il costo dei debiti finanziari (cd. oneri finanziari), con "pesi" proporzionali ai mezzi propri e ai debiti finanziari.
Dato il maggiore rischio corso dagli azionisti, e data la classica relazione tra rischio e rendimento atteso, il costo
dell’Equity sarà sempre maggiore del costo del Debito.
I costi del capitale proprio e del capitale di debito dipendono dalla rischiosità dell’impresa, nonché dalle forme di raccolta
adottate. Il costo dell’Equity è per definizione sempre superiore al costo del Debito.
Sono di immediata evidenza le relazioni tra i rapporti:
, .
39
STATO PATRIMON.
A - D finanziarie
(investimenti) deb. Finanziari (fonti di finanziamento)
E
Ci sono imprese che detengono consistenti somme di denaro sui cc o le tengono investite in titoli, in att. Finanziarie di
facile liquidità.
Potremmo dire che i valori di cassa che noi deteniamo nell’attivo sono di fatto delle passività con il segno negativo, cioè
noi potremmo sottrarle alle passività:
STATO PATRIMONIALE
Per farci un’idea deL gr. Di
A - D finanziari - At. Liquide (cash + cash equivalents)
indebitamento netto di un’impresa
deb. Finanziari - guardiamo le PFN.
cash+ cash equity = E E confrontiamo con Equity.
IC
IC≠A -> è un attivo che viene rettificato non considera i valori di cassa ed equivalenti e non considera i debiti commerciali
Notiamo inoltre che: Capitale investito = Attivo fisso operativo+ Capitale circolante netto (CCN)
AF op= macchinari, brevetti… A circolante=crediti vs clienti- d commerciali
Il CCN è essenzialmente costituito da crediti verso clienti + scorte - debiti verso fornitori – fondo TFR.
Nell’Attivo fisso si considereranno gli investimenti in attività di uso operativo, e non le attività finanziarie, destinate a
generare ritorni non operativi o ad essere scambiate sui mercati.
Kd </> Ke
Kd > Ke remunerazione attesa dovrebbe essere proporzionata al rischio
40
Per avere Ke > Kd, quindi per gestire il WACC dovrei ridurre il peso di E, e massimizzare il peso del D.
Esempio:
tax rate: 0%
Kd= 4%
Ke=15%
D/ D+E= 0.50
E/ D+E= 0.50
Le determinanti del profitto economico: il costo medio ponderato del capitale (WACC). Il profitto economico può essere
aumentato anche attraverso la riduzione del costo del capitale (WACC). Il WACC è la media ponderata del costo del
capitale di debito e del costo del capitale proprio (Equity), ovvero il costo che l'azienda deve sostenere per raccogliere
risorse finanziarie presso soci e terzi finanziatori. Si tratta di una media ponderata tra il costo del capitale proprio (che
esprime l’aspettativa di rendimento degli azionisti) ed il costo dei debiti finanziari (cd. oneri finanziari), con "pesi"
41
proporzionali ai mezzi propri e ai debiti finanziari. Dato il maggiore rischio corso dagli azionisti, e data la classica
relazione tra rischio e rendimento atteso, il costo dell’Equity sarà sempre maggiore del costo del Debito.
Lezione 8/11/2023
Kd sta nei contratti di finanziamento. Quale può essere il tasso di interesse? Netto o lordo? Bisogna capire il tasso medio
che un impresa può avere tramite un finanziamento.
Ke è più alto del Kd, perché sono diversi titoli giuridici → chi sottoscrive K di rischio corre più rischi di chia
concede prestiti.
C’è un premio per il rischio sul costo dell’E: c’è un rischio supplementare rispetto al Kd → storicamente i mercati finanziari
hanno attribuito agli investitori in azioni.
Il mercato si crea delle aspettative rispetto allo storico, oltre che alle situazioni contigenti.
Coefficiente di regressione= collega il rendimento che storicamente le azioni di un impresa ha avuto, con il rendimento
delle azioni di mercato che nel suo complesso ha avuto.
È un rapporto tra una covarianza e una varianza.
Stima l’investimento in una specifica impresa in azioni → è il rischio non divesificabile (Rischio sistema琀椀co - Il rischio
sistema琀椀co, o anche rischio non diversi昀椀cabile, deriva dalla constatazione dell'esistenza di pericoli e problemi che interessano l'intera
economia, rappresentando una minaccia per tu琀琀e le a琀�vità).
Se il mercato azionario è un mare, il coefficiente esprime la capacità maggiore o minore della singola barca (impresa) di
navigare questo mare/fronteggiare le onde → questo descrive un modello di finanza d’impresa che si chiama CAPM:
Modello teorico per il calcolo del prezzo di equilibrio di un'attività finanziaria. Esso afferma che il rendimento atteso di
un'attività è una funzione lineare del rendimento privo di rischio e del rischio sistematico dell'attività, moltiplicato per il
premio al rischio del mercato.
42
Anticipazioni:
PE= NOPAT - CI * WACC (ma difatti è *ROIC perché ROIC=WACC)
ROIC = NOPAT
CI
In particolare, il valore economico generato dall’impresa è costituito dai flussi futuri periodici di cassa operativi, al netto
delle spese in conto capitale (il cosiddetto flusso netto operativo o free cash flow for the firm o FCFF).
Tale flusso di cassa (FCFF) si calcola in generale come EBITDA +/- 𝚫 Capitale Circolante Netto – Capital Expenditures
(CapEx).
In una situazione «statica», possiamo ipotizzare che le capital expenditures vengano limitate alle spese necessarie a
conservare il capitale investito (spese che possiamo, per semplicità, considerare corrispondenti agli ammortamenti) e che
non ci siano variazioni del CCN. In tal caso, il FCFF coinciderà con il NOPAT, cioè sarà dato da EBITDA meno
ammortamenti (al netto delle imposte sul reddito).
43
Se PE>0, c’è qualcosa in più che si può distribuire agli stake holder
EV= IC+PE
Si applica il principio di attualizzazione: il valore attuale di una rendita perpetua a rata costante posticipata ad un certo
tasso (i) è pari alla rata di questa rendita del PE (anno dopo anno) diciso i.
Quale è il tasso più logico da utilizzare per attualizzare un beneficio che otterai in futuro? Il WACC
EV= CI + PE
WACC
esempio: IC = 10 BL, PE= 1 BL, WACC= 5%
10 BL + 1 BL = 30 BL
0.05
Il valore di un’impresa può essere:
↳ K investito e si vede nello stato patrimoniale dopo le rettifiche: spostare cash e cash equivalents, rettificare i D,
spostare i D commerciali dal lato dell’attivo con il segno – e non considerare le attività non operative.
Considero solo quello che strettamente mi serve come investimento nell’impresa e quello che diventa il
fabbisogno del finanziamento.
EV= D+Evalue
Chi compra un’impresa (comprando le azioni dell’impresa) l’acquisitore compra l’equity (rigenereazione degli azionisti –
sostituzione d’identità dei titolari dell’E).
Pagherò di meno perché compri un’impresa con i debiti a meno che questi debiti non abbiano un valore di segno opposto
(accade quando cè più denaro in cassa che debiti da rimborsare).
Discounted= attualizzato
Attualizzare uno o più flussi monetari significa calcolare il valore equivalente che sarebbe possibile attribuire loro se si
manifestassero oggi. L'idea centrale in tema di valore finanziario del tempo è che il denaro a disposizione oggi, può
essere investito per ottenere un rendimento.
Cash flow operativi= legate al lavoro che fa l’impresa: comprare input e trasformarli in output e cederli sul mercato
E tutte le entrate ed uscite legate a questo lavoro si chiama cash flow operativo (netto).
Una buona approssimante è l’EBITDA (non considera gli ammortamenti).
È vero che non ci sono ammortamenti, ma ci sono delle spese in conto capitale (capital expenditures- CAP.EX) che devo
sostenere, a pena del valore d’uso in termini di k fisso.
Approssimando e limitandomi al minimo indispensabile, posso dire che questa quota di cap.ex minimale più o meno sia
l’ammortamento.
EBITDA - AMMORTAMENTI = EBIT (1-tax) arrivo al NOPAT
Sto approssimando- sto dicendo che il cash flow operativo è il NOPAT? qualcosa del genere
44
Generando un flusso periodico (e sostanzialmente perpetuo) di FCFF, l’impresa può essere valutata sulla base del valore
attuale di questi flussi.
In particolare, collocandoci su un orizzonte temporale illimitato, il processo di creazione di valore può essere assimilato
alla realizzazione di una rendita perpetua annuale posticipata costante (o crescente, ad un tasso g), il cui valore
attuale si ottiene dividendo le singole annualità (cioè i FCFF) per il costo del capitale (WACC) o per la differenza WACC –
g, nel caso le annualità siano crescenti al tasso g. Questo valore attuale è detto Enterprise Value.
Il valore del Capitale Proprio (Equity Value) sarà invece pari all’Enterprise Value meno il valore dei debiti.
Oltre al FCFF esiste anche il free cash flow for the Equity (FCFE), che corrisponde al FCFF – Oneri Finanziari.
Se attualizziamo il FCFE ad un tasso pari al costo opportunità del capitale proprio otterremo direttamente il valore del
Capitale Proprio (cd. Equity Value)
Cash flow operativo => free cash flow for the firm (FCFF)
Vieni scritto nel rendiconto finanziario – dice quanto vale un’impresa
EV è una funzione crescente di g e di ROIC (sotto la condizione che WACC sia inferiore al ROIC e che g sia inferiore al
WACC).
Abbiamo prima immaginato che non ci fossero le capital expenditures, se ci fossero? Come influenzerebbe il enterprise
value? Sto immaginando che investendo sta aumentando il enterprise value.
Stiamo dando valore all’ impresa anche per la sua capacità di autofinanziarsi, lo vedo dal NOPAT.
g= IR*ROIC
se identifichiamo g abbiamo una rendita crescente e non più posticipata, ma il presupposto è che una fetta la devi togliere
per reinvestire
esempio
Non abbiamo più rendita posticipata costante perpetua ma una rendita crescente. Bisogna attualizzare e reinvestire
45
2. Paragoniamo ad
EV nel caso 2 dovrebbe essere più basso che nel caso 1 (se reinvesto sto aumentando il valore dell’impresa, è così? Sì)
Il valore di un’ impresa sta nella sua capacità di generare flussi di cassa operativi (questa capacità di esprime partendo
dall’EBITDA e le sue rettifiche).
Aumentare il valore dell’impresa, significa di fatto aumentare la capacità di creare valore anno per anno.
Ev= ic *roic/wacc
Se io porto ic al denominatore
Ev/ic = roic/wacc
Il valore contabile degli inv è in rapporto con il valore di mercato degli investimenti =ev, esattamente sulla base del
rapporto che c’è tra ROIC e WACC
ROIC > WACC maggiore è il rapporto tra EV e IC
Impresa ha senso portarla avanti se ha un valore superiore alla somma degli investimenti fatti in essa
E si fanno i limiti per g del rapporto sopra ed è piu elevato di quel rapporto sopra ancora: nopat/wacc
Riassunto formule:
Lezione 10/11/2023
46
Il calcolo dell’EV si basa sulle formule: DCF → possono essere usate per calcolare i debiti di un’impresa ma anche l’E.
Quindi secondo le tecniche sul flusso di cassa attualizzati (che sono quelli operativi) il EV è dato dal valore attuale di free
cash flow.
valore attuale= 1
Il valore attuale: (1+i)*n
EV= FCFF
WACC
valore attuale di una rendita: rata costante periodica/WACC
se l’impresa non cresce, quindi non ha delle cap.ex, possiamo assimilare il FCFF al NOPAT.
↓
Metodo basato sui flussi di cassa, non è patrimoniale
Una parte di FCF viene assorbita dalle necessita della crescita dell’impresa.
Una parte del NOPAT deve essere destinata a questa crescita (quella parte si chiama IR= investment rate).
Questa crescita aumenterà la dimensione dell’impresa.
IR= g
ROIC
EV è una funzione crescente di g e di ROIC (sotto la condizione che WACC sia inferiore al ROIC e che g sia inferiore al
WACC).
E < EV
Per valutare D -> attualizziamo OF, solo che dovremmo immaginare che questo ragionamento lo faccia il creditore
dell’impresa
47
Gli OF attualizzati, dal punto di vista della banca, sono interessi attivi.
D= OF
Kd (1-tax)
La somma di E+D= FCF/WACC
Quindi se io calcolo E (1) e D (2) la somma mi dà l’EV che si trova nell’esercizio sopra.
EV è una funzione crescente di g e di ROIC (sotto la condizione che WACC sia inferiore al ROIC e che g sia inferiore al
WACC).
utilizzo
EV come multiplo del NOPAT
Si noti che questo multiplo è il reciproco del WACC. In altri termini, il valore dell’impresa è una funzione decrescente del
WACC e crescente del NOPAT.
WACC si fa su valori del mercato, solo che le imprese riguarda solo quelle quotate
Si noti, in questo caso, che il rapporto tra EV e IC corrisponde – quando maggiore di 1, cioè in condizioni di normalità -
alla condizione di creazione di valore economico. Quindi, in condizioni di normalità (di creazione di valore economico),
l’Enterprise Value è maggiore del Capitale Investito
Le modalità con cui i flussi di cassa generati dall’impresa si manifestano sul piano temporale (diapositiva 98)
49
Lezione 13/11/20
Le determinanti del profitto economico: CNN e ciclo economico & ciclo monetario
Rappresentazione grafica dei cicli del capitale circolante di un’impresa industriale, distinguendo il ciclo economico (dagli
input agli output) dal ciclo monetario (anche detto ciclo cash-to cash: dal pagamento degli input all’incasso degli output):
50
51
Per stimare la durata del ciclo economico – possiamo concentrarci anche solo su tempi di stoccaggio
STOCK
Non è detto che l’entrata in input sia uguale all’ output
FLUSSO INPUT
FLUSSO OUTPUT
= COSTI
=COSTO DEL
D’ACQUISTO
VENDUTO
Gli input quanto tempo staranno in stock? Dipende dal tempo debito.
SCORTE DI OUTPUT:
SCORTE DI INPUT:
SCORTE DI
INPUT
ACQUISTI CONSUMO
DURATA scorta di valore scorta input * 365
INPUT = consumo
SCORTE DI SEMILAVORATI:
DURATA scorta di SCORTE W.I.P * 365
W.I.P = COSTO DELLA PRODUZIONE
ALLESTITA
52
durata del CICLO ECONOMICO = durata scorte input + durata scorte W.I.P + durata scorte output
Oppure:
(denominatore e numeratore devono essere stimati allo stesso modo: no uno costi e ricavo ecc)
RIASSUNTO:
Assumendo un andamento temporale omogeneo dei fenomeni collegati alla dinamica delle scorte (cioè consumi e
produzione), è possibile calcolare la rotazione e la durata delle diverse tipologie di scorte.
CREDITI (vendite):
Le imprese per l’IVA agiscono come “Sostituto d’imposta” -> pagano l’iva per conto dei clienti (liquidazione IVA)
TOTALE FT.
esempio: imponibile IVA 10% Incassata
100 € 10 € 110 €
53
Per omogeneità o scorporiamo l’IVA dai crediti oppure integriamo l’IVA ai ricavi di vendita.
Come si scorpora:
prova contraria
100+10% = 110
Operazione utile che ci permette di mettere a confronto RV e CREDITI in una modalità omogenea / confrontabile: o crediti
con IVA scorporata e rv al netto dell’IVA, oppure iva sommata al rv (integrazione).
DEBITI (ACQUISTI):
RIASSUMENDO:
Sempre assumendo un andamento omogeneo dei fenomeni collegati (vendite, acquisti),è possibile calcolare la rotazione
(R)e la durata(D) delle altre componenti del capitale circolante netto (debiti verso fornitori – D - e crediti verso clienti – C -)
Lo stesso ragionamento relativo all’IVA va fatto con riferimento ai crediti verso clienti (il cui valore è al lordo di IVA) e al
fatturato (che è invece al netto di IVA).
Per lo scorporo dell’IVA si dividerà l’importo lordo (da scorporare) per un divisore pari a (1 + % IVA).
54
Le variazioni nelle componenti del CCN sono fondamentali rettifiche che le imprese fanno a C e R per determinare le
entrate e le uscite, che si chiamano flussi di cassa operativi (Free Cash Flow for the Firm).
La presenza di crediti e di scorte esprime la lontananza dell’incasso dal momento della produzione e della vendita.
↳ Ideale per un’impresa sarebbe non avere crediti e scorte.
È bene avere il maggior volume possibile di D v/fornitori, che è una forma di finanziamento senza costi espliciti (interessi,
che a differenza delle banche non li applicano).
(Avere un CCN negativo, pochi crediti e poche scorte, è molto positivo) -> il cliente paga subito, non hai mercanzia
invenduta e chi ti ha fatto credito lo fa per un lungo periodo di tempo. Più breve è il ciclo monetario meglio è.
Non possiamo dire che se il ciclo monetario è negativo, allora anche il CCN è negativo. Questo perché la durata si misura
su valori non omogenei tra di loro (durata scorte input, output, WIP sono misurate su uno stock e un flusso diversi).
Avere un CCN negativo ≠ ciclo monetario negativo → io posso avere una condizione in assenza dell’altra o come averle
entrambe.
►agire sul ciclo monetario → agire sui tempi di pagamento e di incasso (che corrisponde al ciclo economico +
durata dei crediti verso clienti – durata dei debiti verso fornitori), e quindi allungare le dilazioni di pagamento ai fornitori
e/o accorciare quelle di incasso dai clienti.
↳ le scorte servono a qualcosa → è difficile sostenere che l’impresa possa fare a meno delle scorte
In generale, l’impresa deve trovare un giusto posizionamento nel continuum di «politiche» del capitale circolante che si
collocano tra i due estremi della minimizzazione dei costi e della massimizzazione del livello di servizio.
L’ottica della eliminazione delle scorte (così come dei crediti alla clientela), per economizzare sui costi, si scontra cioè
con la necessità di adempiere alle funzioni tipiche delle scorte stesse, che è anche quella di dare servizio (cioè di
assicurare la disponibilità del prodotto).
Casi particolari di composizione del capitale circolante netto si hanno nelle imprese con cicli economici molto estesi. In
tali casi non è raro riscontrare la presenza nell’attivo di voci come «lavori in corso su ordinazione» e di «anticipi a
fornitori» e nel passivo di voci di circolante netto come gli «anticipi da clienti».
*Fondo TRF: debito che ho nel confronto dei lavoratori per salari e stipendi e vengono pagati in via differita dal
momento in cui lasceranno la mia impresa → i dipendenti mi finanziano gratuitamente.
Con pagamento differito (acquista ora, paga dopo) ci si riferisce a una modalità di pagamento alternativa che consente ai
clienti di acquistare prodotti e servizi senza dover pagare l'intero importo in anticipo.
55
56