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CAPITOLO PRIMO
(1) I termini <<impresa>> e <<azienda>> sono qui adoperati in senso sinonimo. Essi sono
invece usati in modo differenziato non solo dai giuristi, per i quali l’azienda è il
complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art. 2555
cod. civ.) e l’impresa è l’attività economica organizzata al fine della produzione e
dello scambio di beni o servizi, ma anche dagli aziendalisti che attribuiscono al
concetto di azienda un contenuto più ampio di quello di impresa, intesa più
specificamente come impresa di produzione.
Ciò significa che esse, a prescindere dal sistema economico - politico nel quale operano,
rappresentano una realtà universale, essendo uno strumento essenziale per ottenere il massimo
vantaggio dal lavoro organizzato degli uomini. PRODUZIONE DI BENI/SERVIZI A BENEFICIO
DELLA COLLETTIVITA’.
Sotto il profilo del funzionamento, ogni sistema aziendale si qualifica per la presenza non solo di
una struttura organizzativa complessa, ma anche per la sua finalizzazione in ordine alla messa
a profitto di risorse scarse. Da questo punto di vista si ha una prima delimitazione netta del
concetto, in quanto un partito politico, una Chiesa, un’associazione culturale, pur avendo tutti
un’organizzazione, perseguono finalità non economiche e, pertanto, non rientrano nel
concetto classico di impresa.
Al contrario, quest’ultima, si caratterizza perché mediante l’impiego di un complesso
differenziato di risorse (uomini, capitali, impianti, materiali, ecc.), svolge processi di produzione,
cioè crea ricchezza.
In altri termini, operando una trasformazione delle risorse impiegate, ottiene dei beni di
maggior valore (beni e servizi finali), atti a soddisfare direttamente o indirettamente i bisogni
umani. Questi beni sono destinati ad essere scambiati con entità esterne (utilizzatori o
consumatori), sul mercato allo scopo di far scaturire dallo scambio un utile o reddito.
Lo scambio al fine del reddito rappresenta, senza dubbio, un aspetto qualificante del concetto, in
quanto racchiude, come presupposti, gli attributi descritti in precedenza. (contenuto
economico delle attività e degli obiettivi)
la presenza di un’organizzazione;
lo svolgimento di processi di produzione (2)
(2) Il concetto di produzione è qui usato in senso economico, cioè come attività rivolta ad
accrescere l’utilità dei beni sia trasformandone la natura fisico-chimica (produzione
diretta) sia trasferendoli nel tempo e nello spazio (produzione indiretta);
aperti, sistemi a crescita programmata, sistemi ad immagine interna, sistemi che trattano
simboli, sistemi sociali, sistemi trascendentali), che muta nella dimensione e combinazione delle
sue risorse. Il suo ciclo di vita si sviluppa, infatti, con il passaggio da una situazione sistemica ad
un’altra mediante un processo evolutivo che non può né deve far perdere il coordinamento tra i
vari elementi componenti. Se ciò avvenisse, si porrebbe in dubbio lo stesso concetto d’impresa,
che si collega in ogni caso ad un complesso ordinato di risorse rivolte ad un fine condiviso.
Un’impresa può essere classificata come un sistema sociale di tipo aperto. L’impresa, infatti, è un
sistema perchè è costituita da un insieme di parti od organi, ciascuno dei quali deputato a
svolgere una determinata funzione per il raggiungimento di un comune risultato. Le varie parti
formano un tutto organico perché, ad una specializzazione delle funzioni, s’accompagna una
stretta coordinazione dell’attività nel suo complesso, secondo un disegno unitariamente rivolto
alle finalità da conseguire. Si tratta di un sistema di tipo aperto, poiché, per operare, deve
intrattenere continue relazioni di scambio con altri sistemi o entità esterne: queste relazioni
sono del tipo input (ingresso), cioè di approvvigionamento di risorse necessarie per la sua
alimentazione, e del tipo output (uscita), ossia di cessione a terzi del risultato (beni o servizi) del
suo funzionamento.
Tenendo presente che l’impresa è un sistema particolare, all’interno del quale operano risorse
umane e tecniche (mezzi di produzione), si può dunque pervenire ad una sua classificazione
quale sistema aperto di tipo socio – tecnico. Il concetto di sistema socio – tecnico pone in
evidenza che occorre non solo un’organizzazione del lavoro relativa all’impiego del fattore
umano, ma anche un’organizzazione tecnica costituita da impianti, attrezzature e tecnologie
produttive. L’aspetto comunque di maggiore rilievo è quello sociale poiché il funzionamento
dell’azienda è legato all’operare coordinato di una molteplicità di gruppi interni ed esterni
all’organizzazione (stakeholder), tra i quali si sviluppano rapporti di collaborazione e di
contrasto. Il carattere cooperativo – conflittuale dell’organizzazione aziendale è uno dei concetti
base per comprendere l’operare di qualsiasi struttura organizzativa.
Il concetto economico d’impresa non può essere disgiunto da quello sociale. Le imprese, difatti,
sono rette da uomini, operano per soddisfare bisogni umani, partecipano in senso lato alla vita
dell’ambiente circostante. La loro funzione, cioè, non può limitarsi a produrre beni e servizi utili
per una certa collettività di consumatori, ma deve necessariamente estendersi al miglioramento
della qualità della vita nel contesto in cui operano. In ciò si traduce il concetto di responsabilità
sociale aziendale (corporate social responsability), fondata sul contratto sociale che ogni
impresa stipula con il contesto esterno per definire obblighi e diritti connessi con il proprio
funzionamento. Essa, difatti, mediante il continuo scambio di risorse, influenza in misura spesso
rilevante le condizioni di vita della collettività e si rende, allo stesso tempo, protagonista e
responsabile del contributo prodotto.
Da ciò, secondo parte della teoria, il prevalere dell’aspetto sociale, che finirebbe per assorbire
automaticamente quello economico e che amplierebbe il tradizionale rapporto capitale-lavoro
in una più complessiva relazione con tutte le parti interessate alla produttività dell’impresa.
In altri termini, un’impresa, per le funzioni che è chiamata a svolgere, per le risorse che attinge
dall’ambiente, per l’impatto che può esercitare sul clima sociale della comunità e, più in
generale, sulla qualità della vita, non può essere più vista come un’iniziativa esclusivamente
imprenditoriale rivolta soltanto alle finalità economiche dell’investitore proprietario. Essa
dev’essere più appropriatamente considerata come un sistema economico e sociale, a cui prende
parte una pluralità di attori, che dev’essere guidato in funzione di un giusto equilibrio tra
obiettivi economici e responsabilità sociali. La rilevanza sociale dell’impresa cresce in rapporto
alle ricadute esercitate sul contesto in cui opera (ricadute occupazionali, d’investimento, di
mercato, di partecipazione alla vita della comunità, di effetti inquinanti sull’ambiente, ecc.),
mentre quella economica si lega alla ricchezza creata con la sua attività.
Accogliendo questa visione aggiornata, occorre quindi estendere la platea dei soggetti
interessati, all’interno delle quale rimane pur sempre una figura dominante (imprenditore o
manager), chiamata però ad esercitare una funzione di coordinamento e di coinvolgimento
piuttosto che di dominio o guida monocratica nei confronti di tutti gli altri partecipanti.
Dall’estensione del concetto discende che un’impresa va correttamente considerata come
un’istituzione sociale a finalità plurime, il cui compito è di creare valore in senso ampio, ovvero
non solo valore economico, ma anche valore sociale.
Soprattutto oggi, in un’epoca di accentuata sensibilità verso i risvolti sociali e comunitari
dell’attività aziendale e di rivalutazione del ruolo innovatore dell’imprenditore, l’unica garanzia
di continuità deriva dalla capacità dell’impresa di interpretare e rispondere adeguatamente alla
varietà di bisogni collegati al suo funzionamento. Questi bisogni si dilatano da quelli più diretti e
ristretti della proprietà a quelli via via più ampi dei consumatori, dei lavoratori, dei fornitori di
beni e di capitali, dei membri della comunità d’insediamento.
Da ciò deriva il peso sempre maggiore delle relazioni e l’esigenza di ottenere un largo consenso
nell’ambiente. Non più, dunque, una visione di dominanza della proprietà nei confronti dei vari
soggetti interessati alla vita dell’impresa, ma sempre più una visione di compartecipazione e di
ricerca di alleanze utili al rafforzamento dell’organizzazione e allo sviluppo dell’attività
aziendale.
L’impresa, in sostanza, rappresenta una realtà complessa intorno a cui si sviluppa una rete di
rapporti non solo di scambio, ma anche di collaborazione, d’informazioni, di interessi. Essa,
infatti, svolge una varietà di ruoli nei confronti di chi vi partecipa, del mercato e dell’ambiente
socio-economico e costituisce, allo stesso tempo, una realtà sociale, giuridica, economica ed
organizzativa.
Qualsiasi impresa vive mediante una rete di rapporti interpersonali perché è mossa da uomini
che fanno parte della sua organizzazione e che debbono porre in essere contratti con altri
uomini (clienti, fornitori, finanziatori, ecc.). Per comprendere il suo funzionamento, occorre
dunque rendersi conto di come si sviluppano queste relazioni, da quali volontà ed interessi
vengono animate, perché portano a risultati così diversi da caso a caso. Il successo o, per
convesso, la crisi aziendale trova quasi sempre la sua origine nelle capacità o incapacità di
creare i rapporti giusti tra i vari interlocutori o <<stakeholders>> e nel governare tali rapporti
in modo favorevole allo sviluppo o, invece, producendo fenomeni involutivi all’organizzazione.
Il fenomeno <<impresa>>, ai fini dello studio dei comportamenti imprenditoriali, presenta tre
profili di maggiore rilievo, a ciascuno dei quali si collega un diverso ruolo.
Ogni azienda può essere infatti vista come:
a) Organizzazione economica;
b) sistema sociale;
c) struttura patrimoniale.
Un secondo aspetto è quello dell’impresa quale sistema sociale. Sotto questo profilo essa adempie
ad una funzione, più limitata rispetto alla precedente, ma certamente non meno essenziale.
L’impresa, in quanto centro di coagulazione degli sforzi di un insieme di gruppi sociali, va vista
anche come distributrice della ricchezza creata, rappresentando uno strumento per il
soddisfacimento delle necessità soprattutto di coloro che operano al suo interno. La vita
aziendale si dipana, infatti, intorno ad una serie di rapporti di scambio, che investono non
soltanto i destinatari delle produzioni allestite, ma tutte le categorie che prendono parte,
direttamente o indirettamente, alle sue vicende. Per il suo funzionamento ha bisogno di risorse
ambientali, di forza lavoro, denaro, materie, macchinari, servizi, cioè deve rivolgersi alle
istituzioni, ai lavoratori, finanziatori, fornitori, ecc., per poter acquisire il complesso
differenziato di risorse di cui necessità. Tenendo tuttavia presenti soprattutto i gruppi interni, è
evidente che la funzione primaria è quella di rappresentare la fonte di lavoro e di sostentamento
per coloro che fanno parte della sua organizzazione.
L’impresa, infine, può essere vista quale struttura patrimoniale, ossia quale complesso di beni
organizzato e retto per lo svolgimento di processi produttivi. Questo aspetto richiama due
elementi impliciti nella vita di qualsiasi organismo aziendale: il capitale e la capacità
imprenditoriale. Supponendo che entrambi facciano capo alla stessa persona o gruppo, l’impresa
è l’emanazione di un imprenditore, cioè di qualcuno che impegna in essa le proprie sostanze e la
propria abilità professionale. Intesa, in questo senso, come intrapresa che richiede un
investimento di capitale a certi coefficienti di rischio, l’azienda deve soddisfare una funzione
tipica: la produzione di reddito.
L’impresa assume una molteplicità di funzioni in rapporto ai differenti ruoli da essa assunti nel
sistema economico-sociale. Tra le funzioni prima indicate c’è un rapporto di complementarità,
ciascuna delle quali è essenziale per l’espletamento delle altre e, quindi, per la continuità della
stessa vita aziendale.
Un’azienda che non sia in grado di inserirsi positivamente nell’ambiente e di soddisfare i bisogni
della collettività è un’organizzazione inutile, che non risponde a finalità economiche e che non
acquisisce alcuna legittimazione a sopravvivere. Così, un’organizzazione che non assicuri il
dovuto corrispettivo a quanti in essa operano è destinata a disgregarsi, non potendo rispettare
alcuna condizione di equilibrio tra sforzi e risultati correlati al suo funzionamento. Infine,
un’azienda che non è in grado di generare un profitto di gestione, non può riuscire – sotto il
profilo puramente economico – ad alimentare i suoi processi di rinnovamento e sviluppo e, in
tempi più o meno lunghi, vede fuggire il capitale in essa investito, attratto da più fruttuose
opportunità di impiego (in termini di redditività).
Queste tre funzioni, dunque, sono strettamente legate perché se l’impresa trova il suo spazio nel
mercato, cioè soddisfa i bisogni dei consumatori, può remunerare i vari fattori della
combinazione produttiva. Ma tra di esse intercorrono anche dei rapporti antagonistici, nel senso
che il privilegiare una, comporta necessariamente una subordinazione delle altre. Complicata
appare, perciò, la ricerca di un equilibrio soddisfacente e durevole, in quanto la vita dell’azienda
si sviluppa soprattutto, anche se non esclusivamente, mediante la composizione di tensioni o
conflitti (da ciò la sua caratterizzazione come organizzazione cooperativo-conflittuale), che si
creano al suo interno e nei confronti dei gruppi esterni con i quali viene in contatto.
Un ordine di priorità tra le funzioni indicate è formulabile, ma notiamo subito ch’esso tende a
variare a seconda del punto di osservazione del fenomeno.
Se, infatti, la considerazione preminente è quella dell’interesse generale, la funzione primaria è
senz’altro di soddisfare nel miglior modo possibile i bisogni della collettività, producendo beni
idonei, per qualità e prezzo, alle esigenze degli utilizzatori e partecipando al miglioramento del
livello di vita della comunità. Nel caso, invece, di una valutazione incentrata sul ruolo particolare
dell’impresa come fonte di remunerazione per i partecipanti all’organizzazione, balza in
evidenza la funzione di assicurare il giusto corrispettivo soprattutto alla forza lavoro. Partendo,
infine, dal punto di vista imprenditoriale, la funzione più importante diviene quella di produrre
un reddito soddisfacente.
In realtà, le funzioni considerate rispondono ad interessi via via più limitati, da quelli della
collettività nel suo complesso, a quelli dei partecipanti all’organizzazione e, in ultimo, a quelli del
solo imprenditore, per cui, in una visione socialmente più corretta, il loro ordinamento dovrebbe
seguire la scala d’interessi descritta. In proposito, però, bisogna osservare che, nei periodi di
persistente crisi economica, sembra essere considerata preminente la funzione dell’impresa
come fonte di sostentamento per coloro che vi partecipano, poiché ad essa possono essere
temporaneamente sacrificate l’economicità e la redditività di gestione, esponenti sia pure
parziali delle condizioni di efficienza sociale ed economica dell’impresa stessa. Ciò risponde
l’obiettivo di salvare i posti di lavoro evitando la disgregazione dell’organizzazione e trova
anche una giustificazione morale nel fare sopportare le conseguenze della crisi a chi corre il
rischio d’impresa e che, pertanto, ha diritto di concorrere soltanto in via residuale alla
ripartizione della ricchezza creata.
Il concetto d’impresa può essere peraltro inquadrato anche in una nuova ottica, intesa a
privilegiare i fattori immateriali alla base del suo sviluppo. La teoria aziendalistica, soprattutto
negli ultimi due decenni, ha difatti rivolto maggiore attenzione all’aspetto <<intangibile>> delle
immobilizzazioni presenti nell’organizzazione dell’impresa, osservando che è proprio in esse che
si racchiudono le potenzialità di espansione del sistema aziendale. In altri termini, la vera
ricchezza di un’impresa non sarebbe costituita dal suo patrimonio materiale o tangibile
(impianti, macchinari, attrezzature, fabbricati, ecc), ma dalle sue risorse immateriali o
intangibili, connesse con l’immagine positiva nei confronti dell’ambiente, l’avviamento al
mercato, la capacità di produrre innovazioni.
Partendo appunto dall’idea che un’impresa dev’essere un centro di innovazioni (al fine di creare
un vantaggio competitivo e perdurare nel tempo) e che quest’ultime sono il prodotto
dell’intelligenza e non quello delle macchine, si tende dunque a definire l’impresa quale sistema
di conoscenze atto a produrre nuova conoscenza.
In effetti, la vita aziendale si muove secondo procedure ripetitive, frutto dell’esperienza
sedimentata nel tempo, e in virtù di fenomeni di cambiamento, indotti dalla capacità di tradurre
segnali di evoluzione lanciati dall’ambiente (mercato). (quest’ultimo aspetto deriva dalle
immobilizzazioni immateriali).
Questa capacità di adattarsi al cambiamento è legata all’accumulo del sapere e al formarsi di
valori di sviluppo secondo un processo autopropulsivo che sarà tanto più efficace quanto più
nell’organizzazione si potrà apprendere lavorando (learning by doing) e quanto più facilmente
s’incorporeranno e si trasmetteranno valori corretti di gestione nell’organismo sociale.
La quantità e qualità di conoscenza dell’impresa, è ovviamente legata al contributo degli uomini
che ne hanno fatto o ne fanno parte, perché in certa misura essa diviene patrimonio comune,
mediante quelle che possono essere definite le routine (procedure) organizzative (conoscenza
esplicita), mentre in altra parte è strettamente incorporata nella professionalità di coloro che
operano all’interno dell’organizzazione (conoscenza tacita).
La vera ricchezza di un’impresa è dunque il sapere condiviso e quello degli individui che per essa
lavorano: da entrambi questi elementi scaturisce il percorso di sviluppo dell’attività aziendale, il
cui contenuto va appunto dematerializzandosi in corrispondenza del prevalere dell’intelligenza
quale fonte di innovazioni e di flessibilità. Per conferire una maggiore incisività alla distinzione
tra vecchio e nuovo concetto d’impresa, si fa sovente ricorso al linguaggio dell’informatica, per
rilevare che al posto del concetto <<hard>> si va affermando il concetto <<soft>>
dell’organizzazione aziendale (9).
(9) E’ difatti nota la distinzione, in informatica, tra l’hardware e il software, ovvero tra le
macchine e i programmi. Come si è già anticipato, in effetti <<la natura dell’impresa non è tanto
quella di produrre in senso tecnico, ossia di fabbricare, ma la sua capacità di accumulare
esperienza, che le consente di scegliere tecniche produttive ed organizzative, e i comportamenti
più adatti ad affrontare le situazioni nuove che si creano. In altri termini, l’essenza di un’impresa
non sono le macchine né la forza lavoro, ma le sue conoscenze tecnologiche e di mercato. La
dimensione della conoscenza, associata alla capacità di utilizzarla efficientemente, determina la
dimensione d’impresa>>
Secondo quest’ultimo, l’immagine dell’impresa verso l’esterno e verso l’interno, i valori diffusi
nella struttura organizzativa, il know-how (10)
(10) Il termine know-how può essere tradotto come <<bagaglio di esperienze posseduto per
realizzare determinati scopi>>.
Questa concezione, ancorchè di straordinaria importanza perché in linea con il mutamento dei
paradigmi consolidati, non deve tuttavia essere <<estremizzata>> nel senso di poter avallare il
concetto della cosiddetta impresa virtuale, (11)
(11) L’impresa virtuale è quella che dispone al suo interno solo di risorse immateriali (capacità
imprenditoriali, linguaggi, capacità di simulazione e di comunicazione) e che scambia con
l’esterno soltanto oggetti virtuali.
Per chi gestisce un’attività aziendale appare chiara la complessità di una realtà che presenta
aspetti molteplici, a volte in contrasto tra loro. Da ciò derivano la difficoltà di gestione, la
necessità di spiccate risorse imprenditoriali per il governo aziendale, l’esigenza di esaltare le
capacità specifiche rispettando in ogni caso il contesto comunitario entro cui si svolge l’attività
aziendale.
CAPITOLO SECONDO
L’impresa, quale cellula fondamentale del sistema economico e produttivo, vive all’interno di un
ambiente più vasto con il quale scambia risorse e, soprattutto, crea ricchezza. Questo ambiente
può convenzionalmente scomporsi in due contesti: il primo più direttamente legato alla sua
operatività; il secondo di carattere molto più ampio. E’ possibile così distinguere un micro-
ambiente, definito dai mercati con cui l’impresa attiva lo scambio delle risorse (in entrata e in
uscita), e un macro-ambiente da cu derivano le condizioni e i vincoli entro cui questo scambio
può verificarsi.
Il micro-ambiente, in funzione delle differenti transazioni attivate, può a sua volta essere
scomposto in altre due parti, che potremmo battezzare ambiente transazionale (scambi in
entrata) e ambiente competitivo (scambi in uscita).
Ogni impresa, a seconda dell’organizzazione che vorrà darsi, avrà difatti bisogno di attingere
Cerrte risorse dall’esterno, ovvero dovrà collegarsi con vari mercati di approvvigionamento
mediante un insieme di transazioni o atti di scambio. Il tipo di risorse per le quali ricorrerà al
mercato, attivando delle <<transazioni>>, dipenderà dalle comparazioni di convenienza
(articolate sotto vari profili) tra il produrre all’interno i materiali, le parti, i componenti, i servizi
da utilizzare per la produzione dei beni e il procedere al loro acquisto all’esterno. E’ chiaro che
più queste decisioni si orienteranno verso la prima soluzione, più si dilateranno i confini della
sua organizzazione e crescerà il suo grado di autonomia dal mercato delle forniture. Viceversa,
più si farà ricorso al mercato, più si amplierà l’ambiente transazionale con il quale dovrà
interessere le sue relazioni di scambio. E’ dunque intuibile che questa determinazione strategica
dei confini dell’organizzazione disegnerà l’ambiente transazionale, che diventerà di conseguenza
specifico per ciascuna impresa. – La teoria dei costi di transazione di COASE-WILLIAMSON,
costituisce la base teorica per la determinazione dei confini dell’impresa.
Ragionamento parallelo dev’essere fatto anche per l’ambiente competitivo, che dipenderà dalla
scelta dei mercati di collocamento e delle specifiche porzioni di mercato (segmenti e nicchie) a
cui cedere i beni e servizi prodotti. Anche in questo caso, sarà quindi l’impresa, con le sue
decisioni strategiche, a definire l’ambiente competitivo di riferimento. In sostanza, ogni azienda
opererà in stretto contatto con un micro-ambiente, inserito nel più vasto macro ambiente.
All’interno di questo micro-ambiente vi saranno dei contraenti a cui dovrà rivolgersi per
attingere delle risorse o per cedere dei prodotti. Questi soggetti o istituzioni, a loro volta, si
raggrupperanno in categorie, originando dei distinti <<mercati>> con i quali l’impresa dovrà
attivare un sistema di scambi commerciali. In termini economici, infatti, si ha un mercato in tutti
i casi in cui vi siano due o più contraenti disposti a scambiare fra di loro i beni rispettivamente
posseduti.
Ogni impresa, dunque, si collegherà con (v. figura 2.1):
MICROAMBIENTE: definito dai mercati con i quali si realizzano relazioni di scambio di risorse o
di tipo competitivo. A sua volta si divide in:
Ambiente transazionale: è l’insieme dei mercati ai quali l’impresa farà ricorso per
approvvigionarsi delle risorse e servizi necessari per attivare i processi produttivi.
L’impresa può essere più o meno autonoma da tale ambiente a seconda se deciderà di
produrre all’interno ciò che prima acquistava sui mercati per la produzione di beni e
servizi. MERCATO DEL LAVRO da cui l’impresa trae risorse umane; MERCATO
FINANZIARIO da cui trae le fonti di finanziamento; MERCATO DELLA PRODUZIONE da
cui tra tecnologie, materie prime, semilavorati.
Ambiente competitivo: dipende dalla scelta dei mercati di collocamento e delle
specifiche porzioni di mercato a cui cedere i beni e i servizi prodotti. MERCATO DI
VENDITA costituito dai potenziali acquirenti dei beni e servizi prodotti. In tali mercati si
realizzerà anche un confronto competitivo con i concorrenti.
L’ambiente può essere inteso come il contesto socio-economico all’interno del quale l’impresa è
chiamata a svolgere le sue funzioni. Questo contesto è regolato da una serie di condizioni
politiche, legislative, sociali, culturali ed economiche, che determinano il sistema di vincoli-
opportunità entro cui dovrà trovare sviluppo l’attività aziendale.
L’ambiente, tuttavia, sul piano teorico può essere scomposto in quattro sub-sistemi generali, ai
quali si collegano successivamente dei sotto-sistemi di grado via via inferiore. I sub-sistemi
generali sono:
infatti una forma di governo può ampliare o restringere i mercati con effetti immediati sule
possibilità di sopravvivenza e di sviluppo dell’impresa.
1. Il sistema culturale tecnologico: può essere inteso, sotto il punto di vista culturale,
come il contesto entro cui s’affermano le manifestazioni tradizionali della vita materiale,
spirituale e sociale di un popolo. La cultura influenza sia coloro che operano all’interno
dell’impresa sia i gruppi esterni come i consumatori, fornitori. I suoi effetti non si
riflettono solo sul sistema di valori della società ma anche sull’avanzamento delle
conoscenza e sul migliore uso delle risorse disponibili.
L’ambiente economico coinvolge la sfera di rapporti che vede l’impresa quale protagonista
nei confronti dell’aggregato politico-sociale. Esso dev’essere inteso come il sistema generale
dell’economia, che regola la vita della collettività. L’ambiente economico va, pertanto,
distinto dal concetto di mercato, perché rappresenta il complesso delle macrovariabili
(produzione agricola, industriale, ecc.; prezzi e moneta; credito e investimenti; ecc.), che
compongono l’ordinamento economico prevalente in un certo ambito territoriale.
L’ambiente economico può differenziarsi sotto molteplici profili, fra i quali i più importanti
concernono il meccanismo di regolazione della vita economica e la proprietà dei mezzi di
produzione. In relazione al primo, si ha la distinzione fra le forme dell’economia di mercato e
di piano; mentre col secondo si distingue fra economie liberiste e collettiviste.
Per economia di mercato si intende un sistema a decisioni decentrate, regolato cioè dalle
leggi di mercato; per economia di piano ci si riferisce, invece, ad un sistema in cui le decisioni
sono prese solo al centro mediante l’elaborazione di piani governativi nazionali.
Nelle economie di mercato prevale il principio della libera iniziativa e quello della proprietà
privata dei mezzi di produzione, per cui si parla in questo caso di <<economie liberiste>>,
mentre nell’altro tipo di economia tutto è regolato dal piano, anche l’uso dei mezzi di
produzione, che sono prevalentemente di proprietà della collettività. In un’economia
Le modificazioni avvenute nell’ambiente negli ultimi anni hanno toccato tutti gli aspetti della
vita sociale, economia e politica. Il filo conduttore di questa evoluzione è stato senz’altro la
<<compressione>> del tempo e dello spazio.
La diffusione di mezzi sempre più veloci di trasporto di persone, cose e informazioni ha
attenuato o addirittura eliminato il fattore <<distanza>> e ha consentito di attuare il processo di
comunicazione in tempo reale. Inoltre, il superamento dei confini nazionali, avvenuto mediante
la creazione di aree di libero scambio, ha accresciuto la permeabilità delle economie nazionali
ed ha rapidamente portato ad una riorganizzazione del sistema produttivo su scala mondiale.
che ha determinato un ambiente turbolento che richiede un impresa flessibile ed efficiente.
La complessità del sistema economico è dovuta dall’:
Internazionalizzazione dell’economia lo sviluppo mondiale degli scambi, la
diffusione sul piano internazionale delle informazioni, l’interdipendenza delle economie o
di blocchi di economie di più paesi hanno imposto alle imprese un respiro internazionale.
Globalizzazione dei mercati si riferisce ad un mercato senza confini geografici,
piuttosto che ad un mercato mondiale omogeneo.
INDUSTRIA GLOBALE per intendere un settore produttivo all’interno del quale la posizione
competitiva di un’impresa di un certo Paese dipende dalla posizione competitiva che questa è in
grado di ottenere e mantenere all’interno di altri Paesi.
Cap2
L’IMPRESA COME SISTEMA
IMPRESA organizzazione economica che, mediante l’impego di un complesso
differenziato di risorse, svolge processi di acquisizione e di produzione di beni e servizi,
da scambiare con entità esterne al fine di conseguire un reddito (principio della
marginalità).
Da questa definizione si ricavano 4 elementi distintivi dell’impresa:
La presenza di un organizzazione.
Lo svolgimento di processi di produzione.
La relazione di scambio con entità esterne.
La finalità imprenditoriale del reddito.
L’impresa è un SISTEMA, ossia un complesso interrelato di parti interdipendenti, operante in
stretto collegamento con altri sistemi, costituiti dall’ambiente esterno e dal mercato.
Il sistema si qualifica per:
La molteplicità delle componenti.
Interrelazione delle parti rispetto all’obiettivo da raggiungere.
Il legame funzionale con il macro-ambiente.
Il dinamismo del suo funzionamento.
Cap3
I PROTAGONISTI NELLA VITA DELL’IMPRESA: LA TEORIA DEGLI STAKEHOLDER
L’imprenditoreè il soggetto economico che decide di rischiare i propri capitali e di dedicare
le sue capacità professionali alla produzione di beni e servizi da cedere a terzi.
Secondo Schumpeter, imprenditore (colui che innova) deve avere le seguenti qualità:
Capacità di previsione, razionalità consapevole, intuito .
Spirito d’iniziativa, forte volonta, libertà intellettuale .
Autorevolezza e capacità di leadership nei confronti dei collaboratori .
L’imprenditore cioè deve essere capaci di formulare valutazioni e prendere decisioni differenti
da quelle di altri individui, che operano con obiettivi comparabili e in circostanze analoghe,
possono assumere. Questo perché dispone di un migliore accesso alle informazioni e perché è in
grado di interpretarle meglio.
STAKEHOLER AMICHEVOLI: dai quali si può ottenere un sostegno decisivo per l’attività
d’impresa COINVOLGIMENTO
STAKEHOLER AVVERSARI. Dai quali potrebbe generarsi difficoltà sostanziali per l’attivita
aziendale DIFESA
STAKEHOLER NON ORIENTATI: da cui si potrà avere, a seconda dei casi, un sostegno o un
atteggiamento negativo COLLABORAZIONE
STAKEHOLER MARGINALE: il cui peso neo confronti dell’impresa risulta del tutto modesto
MONITORAGGIO.
Cap4
LE MOTIVAZIONI DEI PARTECIPANTI ALL’IMPRESA E LE TEORIE SULLE FINALITA
IMPRENDITORIALI.
Bisogna promuovere un vero processo d’integrazione o di vera e propria fusione tra gli obiettivi
aziendali e quelli individuali; di primaria importanza sono gli obiettivi imprenditoriali perché le
finalità che egli persegue condizionano quelle degli altri soggetti, interni ed esterni.
L’impresa è l’espressione di una volontà imprenditoriale, tesa all’ottenimento di determinate
finalità. Quindi l’impresa ha delle funzioni da svolgere, piuttosto che delle finalità da
raggiungereL’impresa in quanto tale non ha proprie finalità; i fini sono il frutto delle decisioni
di coloro che la governano.
Per capire le finalità del soggetto economico bisogna distinguere tra imprenditore classico
(proprietario) ed imprenditore delegato (manager).
Teorie classiche sulle finalità imprenditoriali.
TEORIA DELLA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO (imprenditore classico).
Secondo tale teoria il PROFITTO può essere definito in svariati modi:
Il corrispettivo che spetta all’imprenditore per l’organizzazione dei fattori
produttivi (teoria economica classica).
La quota destinata a ripagare il rischio corso nell’attività aziendale il profitto si
legittima soprattutto per il rischio connesso con l’investimento di capitale.
Il premio che spetta a colui che promuove l’innovazione Schumpeter sostiene
inoltre che il profitto, in quanto frutto dell’abilitò innovativa di chi governa l’impresa, non
rappresenta una categoria stabile nella vita aziendale, ma si legava a particolari
circostanze di mutamento dei prodotti, delle strutture, delle procedure tecnologiche etc.
tali da assicurare una posizione di vantaggio nei confronti della concorrenza.
Il risultato dell’imperfezione del mercato da cui si origina l’acquisizione di
posizione monopolistiche il profitto è subordinato a certe condizioni esterne, poiché,
nell’ipotesi di mercati imperfetti, finirebbe con lo sparire.
Il profitto in sé e per sé non è suscettibile di negazione, né perde la sua ragione di essere in
rapporto alla natura giuridica della proprietà (azienda privata o pubblica) o al tipo di economia
(collettivista o di mercato). Quello che si può porre in discussione è la MISURA secondo cui
dovrebbe essere lucrato e la sua DISTRIBUZIONE.
Secondo la teoria classica, gli organi di governo sono orientati a scegliere tra le
alternative possibili quella suscettibile di produrre il maggior reddito(massimizzare il
risultato reddituale ottenibile dall’attività di gestione). Per la sua applicazione e per conferire un
valore applicativo alla teoria in modo da poter effettivamente spiegare le motivazioni del
comportamento imprenditoriale, vanno introdotti il fattore TEMPO (brve-lungo termine) e
il fattore RISCHIO(livello di rischio). Il rischio è sinonimo di operare in continue condizioni di
incertezza che in un certo qual senso impedisce la massimizzazione del profitto.
Il limite di tale teoria consiste nel fatto che l’impresa deve rispondere alle esigenze di tutti i
gruppi sociali con cui l’impresa entra in contatto.
dell’imprenditore
appaiono, in ordine
VALORI ECONOMICI
Economiche
PRESTIGIO
Conclusione:
la soluzione di dilemmi morali, che sono propri di sistemi d’interessi differenziati, sulla base di
principi che attingono anche al campo dell’etica aziendale, si rivela, oggi, quale fattore
caratteristico di una superiore interpretazione della funzione imprenditoriale
Cap5
LA GESTIONE STRATEGICA
Gestire un impresa vuol dire governarla cioè amministrare i vari fattori di produzione impiegati
per il suo funzionamento e significa soprattutto assicurarle la sopravvivenza e lo sviluppo
mediante la creazione di equilibri economici, patrimoniali e finanziari.
Gestioneè un complesso di decisioni e di attività svolte dall’impresa per raggiungere le
finalità dei soggetti coinvolti appunto nella sua operatività.
Scelte:
STRATEGICHE si collegano direttamente al raggiungimento degli obiettivi
imprenditoriali.
TATTICHE concernenti le modalità di impiego delle risorse.
OPERATIVE necessarie per procedere materialmente alla loro attuazione.
Si viene a creare cosi una gerarchia di scelte.
La STRATEGIA definisce con quale o con quali contesti specifici l’azienda entrerà in contatto,
pur rimanendo collegata all’ambiente in senso generale; in altro modo potremmo dire che
definisce i rapporti con l’ambiente, cioè con il contesto entro cui opera l’impresa e che
comprende il sistema politico-istituzionale, economico, culturale e socio-demografico, ma
risponde ad obbiettivi anche più specifici di scegliere l’ambiente competitivo e transazionale di
riferimento dell’azienda.
La GESTIONE STRATEGICA è la gestione tipicamente imprenditoriale impostata su scelte di
fondo riguardanti gli obiettivi e l’impiego delle risorse aziendali.
STRATEGIA.
Nei confronti dell’evoluzione dell’ambiente esterno, l’imprenditore può adottare differenti
atteggiamenti:
ATTEGGIAMENTO DI ATTESA risposta al verificarsi di cambiamenti ambientali.
(consiste nell’aspettare il verificarsi di fenomeni evolutivi nel mercato o nel più vasto
contesto, macro-ambiente, in cui questo è compreso, per promuovere gli opportuni
adattamenti alla gestione)
ATTEGGIAMENTO ANTICIPATORIO risposta anticipata rispetto a cambiamenti
previsti. (Si traduce nell’attuazione di uno sforzo costante di previsione dei mutamenti
ambientali, allo scopo di poter realizzare, in modo anticipato e tempestivo, le necessarie
modifiche nei comportamenti di gestione)
ATTEGGIAMENTO PRO-ATTIVO induzione dei cambiamenti nell’ambiente. (Che si
concentra nella promozione di azioni tendenti ad influire l’ambiente, macro e micro
ambiente, nella direzione più favorevole alle prospettive di sviluppo aziendale).
Da questi atteggiamenti si possono suddividere 3 diversi modelli gestionali:
1. Configura un attegiamento di comportamento quasi esclusivamente ripetitivo, in cui le
azioni di adattamento sono una conseguenza delle variazioni ambientali.
2. Schema difensivo, in cui le decisioni di mutamento rappresentano una risposta
anticipata alla presumibile modificazione del contesto esterno.
3. Si caratterizza come un modello di sviluppo fondato sull’ innovazione quale sforzo
autonomo, promosso dall’impresa in vista del conseguimento di obiettivi strategici e di
mutamento dei rapporti con l’ambiente.
L’elemento che denota il grado di avanzamento del processo di gestione aziendale è
rappresentato dall’intento o orientamento strategico delle decisioni imprenditoriali. La
Definizione di STARTEGIA:
un disegno elaborato dall'imprenditore, che individua le direttrici da seguire per
raggiungere determinate mete (obiettivi).
è il mezzo per conseguire traguardi di tempo non breve (lungo termine), definiti in
funzione dell’evoluzione del rapporto tra l’impresa e l’ambiente nel quale questa opera
si caratterizza per tre elementi fondamentali: 1) la formulazione a livello alto
direzionale; 2) la proiezione a lunga scadenza; 3) la priorità dei traguardi da
raggiungere.
Strategia complessiva: scelta della/e aree d’affari in cui operare che può essere di sviluppo o di
mantenimento delle posizioni già acquisite, ma devono stabilire anche i comportamenti da
assumere nei confronti della concorrenza in ciascuna delle aree d’affari.
Strategia competitiva: come competere in ciascuna delle aree d’affari definiscono gli obiettivi e
le politiche da adottare per fronteggiare la concorrenza e acquisire la clientela, puntando sui
vantaggi competitivi perseguibili.
Strategia funzionale: modalità di attuazione nelle diverse funzioni di gestione operativa
(vengono definite anche strategie operative).
N.B non bisogna dimenticare che c’è una stretta interrelazione tra i vari piani strategici in
quanto le scelte più generali possono dipendere da una particolare strategia funzionale che
influenza la strategia competitiva ed induce ad entrare in un mercato.
Cap6
RAPPORTO TRA STRATEGIA CPMPLESSIVA E STRATEGIA COMPETITIVA
Pur sussistendo un rapporto gerarchico tra strategie complessive e quelle competitive, saranno
sempre queste ultime che influenzeranno le prime . la strategia complessiva verrà cosi a
configurarsi quale risultato ultimo delle strategie competitive applicabili con successo a più
settori merceologici, in più zone geografiche , in più segmenti o porzioni di mercato.
I PARADIGMI PER LA DEFINIZIONE DELLA STRATEGIA COMPETITIVA.
Nella determinazione delle scelte strategiche peseranno congiuntamente fattori legati
all’ambiente esterno e fattori correlati alle risorse che l’impresa già possiede o può acquistare
senza particolari ostacoli. Molto importanti sono i rapporti impresa-mercato per la
determinazione delle strategie.
PARADIGMA STRUTTURALISTA (struttura-condotta-performance) la struttura del
mercato incide sul comportamento delle imprese e questo, a sua volta, influenza il risultato
(performance) della gestione aziendale.
PARADIGMA COMPORTAMENTISTA (condotta-struttura-performance) è il
comportamento delle imprese che influenza la struttura del settore. Le trasformazioni
ambientali si determinano (anche) per effetto dei comportamenti innovativi promossi dalle
imprese. Quindi sono le condotte aziendali che influiscono sulla struttura del mercato ed in
base all’adattamento delle strutture, le imprese producono i propri risultati.
PARADIGMA FONDATO SULLE RISORSE (risorse-condotta-performance) sono le
risorse specifiche possedute dall’impresa che sostengono le condotte capaci di generare
cambiamenti settoriali che, modificando le regole del gioco, migliorano le probabilità di
successo competitivo.
PARADIGMA FONDATO SULLA CONOSCENZA (conoscenza-capacità-performance)
sono le conoscenza, prodotte dall’interazione sociale, che si accumulano nell’impresa e
producono capacità in grado di ispirare condotte suscettibili di generare successo
competitivo.
TEORIA DELL’EVOLUZIONE ECONOMICA avrebbe la sua matrice proprio nel
comportamento innovativo delle imprese (rif. paradigma comportamentista).
N.B (l’ampiezza e l’intensità del ruolo giocato dall’impresa si legano non solo alle sue
caratteristiche ma anche all’effettiva possibilità di incidere sul settore o spazio di mercato in cui
dovrebbe collocarsi).
RESOURCE-BASED TEORY: studia le strategie aziendali partendo dal concetto di risorse intese
in senso statico (stock già posseduto) e dinamico (capacità di acquisire e sfruttare nuove
risorse).
L’impresa si può altresì definire come sistema dinamico di risorse e capacità, posto in essere per
la creazione di conoscenze.
IL MODELLO DELLA CONCORRENZA ALLARGATA SECONDO PORTER.
L’attrattività di un settore deve essere valutata analizzando le 5 forze competitive (Porter),
ampliando cioè l’analisi della concorrenza anche a quella potenziale.
Secondo Porter: la scelta di mercato è guidata non solo dalla relativa attrattività, cioè dalle
tendenze espansive della domanda e dai margini lucrabili, ma anche dalla posizione competitiva
che essa potrà assumere, cioè dalle situazioni di vantaggio che sarà in grado di acquistare
rispetto la concorrenza e che le assicureranno la conquista di una soddisfacente quota di
mercato.
Per valutare l’intensità della concorrenza in un determinato settore (e, dunque, il suo grado di
attrattività) non basta considerare i concorrenti attualmente presenti, ma occorre estendere
l’analisi anche alla concorrenza potenziale (diretta e indiretta) e valutare il potere contrattuale
di fornitori e clienti.
LE BARRIERE ALLA CONCORRENZA:
ESTERNEquando impediscono l’ingresso di nuovi competitori.
INTERNE quando tutelano la posizione di ciascun produttore nei confronti delle azioni
espansive degli altri produttori presenti nel mercato.
Per valutare la possibilità di superare tali barriere, occorre conoscere se esse si colleghino:
Economie di scala, di apprendimento, di scopo e di relazioni.
Disponibilità di brevetti/ know-how
Controllo di fattori produttivi essenziali (possesso di risorse non appropriabili)
Differenziazione dei prodotti
fra più imprese che collaborano tra loro attraverso rapporti di fiducia con clienti e fornitori, che
contribuiscono a migliorare le posizioni di mercato e il conto economico aziendale.
DIFFERENZIAZIONE DEI PRODOTTI è un tipo di barriera in cui ciascun produttore si isola
rispetto gli altri concorrenti in quanto presentano un prodotto differenziato dagli altri andando
a creare dei “SUB-MERCATI”.
Uno stesso prodotto può rispondere a differenti funzioni d’uso e queste ultime possono essere
soddisfatte mediante tecnologie differenti. L’impresa può servire più gruppi di clienti e
soddisfare differenti funzioni d’uso del prodotto venduto con l’applicazione di diverse tecnologie
produttive.
LA CATENA DEL VALORE
L’impresa, con la sua attività, crea un valore per il cliente, che è misurato dal prezzo che questi
paga o sarebbe disposto a pagare per ottenere il prodotto. Il margine è il valore che residua
all’azienda dopo aver coperto i costi associati allo svolgimento di tutte le attività necessarie per
progettare, produrre, promuovere e commercializzare il prodotto.
Quest’analisi si fonda sulla valutazione delle risorse o capacità aziendali formulata in base al
loro impatto sul valore finale del prodotto o servizio offerto, alla loro rarità, alla loro imitabilità
e la capacità di sfruttarle da parte dell’organizzazione:
Valore
Rarità
Non imitabilità
Durevolezza
Se l’impresa possiede risorse con queste quattro caratteristiche allora si trova in una posizione
di RENDITA IMPRENDITORIALE (definita come una posizione di vantaggio differenziale,
difficilmente aggredibile perché la condizione di superiorità deriva all’impresa dal possesso di
risorse, capacità, competenze e conoscenze superiori esclusive “cioè non disponibili per altre
imprese”).
SWOT ANALYSIS
Suggerisce di prendere in considerazione i punti di forza e di debolezza dell’impresa in rapporto
alla possibile evoluzione del mercato e dell’ambiente, da cui potranno derivare opportunità
favorevoli o minacce. Tale modello consentirà di valorizzare i punti di forza e di attenuare
l’impatto negativo dei punti di debolezza.
Positivi Negativi
Fattori di origine interna STRENGHT WEAKNESS
Punti di forza Punti di debolezza
Fattori di origine sterna OPPORTUNITY THREAT
Opportunità Minacce
Cap7
Le strategie vanno scelte in base alle risorse specifiche (firm specific) di cui l’impresa è dotata,
con lo scopo di sfruttarle al meglio. Sono le capacità distintive, intese come gli elementi propri di
ciascuna impresa, che ne determinano l’eccellenza e, quindi, il successo.
Data la limitatezza delle risorse, la gestione aziendale deve forzatamente svolgersi secondo un
continuo sistema di arbitraggi o di possibili opzioni. Gli arbitraggi sono necessari sia a causa
dell’ammontare delle risorse disponibili, sia a causa dell’incompatibilità tra progetti.
Le opzioni riguardano sostanzialmente l’uso delle risorse, atteso che per ciascuna scelta occorra
prefigurare vantaggi e svantaggi e stabilire la convenienza e il tempo di attuazione.
L’arbitraggio di fondo si esercita in funzione dell’orizzonte temporale da privilegiare:
Tempo lungo (preferenze per l’investimento)
Tempo breve (preferenze per la liquidità)
La contrapposizione più frequente è rappresentata dagli effetti sulla gestione caratteristica e
sulla gestione finanziaria.
CAPACITA’ DISTINTIVE elementi propri di ciascun impresa che ne determinano
l’eccellenza e quindi il successo.
CORE COMPETENCIES le competenze distintive, concorrendo alla creazione del
vantaggio competitivo, diventano determinanti per la scelta della strategia complessiva
da adottare.
Le competenze che appartengono ai singoli possono essere traferite all’impresa mediante la
codificazione di procedure (routine). Il salto quindi si ha dal passaggio tra competenze
(concetto statico) alle capacità (concetto dinamico) intese come: CAPACITA’ (abilità a
combinare i fattori produttivi in modo innovativo).
RisorseMateriali (fabbricati, impianti, ecc.) ed immateriali (immagine, fiducia
reputazione, cultura gestionale, ecc.)
CompetenzeAttitudini a svolgere determinate funzioni (es. innovazioni di prodotto)
CapacitàIntese in senso dinamico (dynamic capabilities) come abilità a creare nuove
combinazioni dei fattori di produzione (generando innovazione)
In un ottica di lungo periodo anche le risorse possono ritenersi una variabile e non un
vincolo.
La strategia complessiva di un impresa dipende dagli obiettivi che l’impresa si pone in funzione
della situazione in cui si trova e dalle opzioni strategiche effettivamente disponibili. L’indirizzo
strategico non discende essenzialmente dall’andamento del mercato o dei mercati in cui
l’impresa opera, ma sarà decisamente condizionato dalle risorse interne a disposizione. Strategie
complessiva:
Sviluppo dimensionale (crescita del volume d’affari) gestione fisiologica protesa
all’espansione delle attività aziendali.
Risanamento tipico di organismi caratterizzati da squilibri strutturali su cui
intervenire con rapidità ed efficacia.
Rafforzamento-assestamento improntato a maggiore prudenza nella gestione delle
risorse e alla difesa, in periodi non favorevoli, delle posizioni occupate.
Ci si trova in presenza di uno sviluppo orizzontale quando tra le produzioni integrate sussistono
vincoli tecnologici e di mercato. I primi si collegano ad una matrice produttiva comune; i secondi
derivano da una comune impostazione dei problemi e delle politiche di mercato.
Si ha una strategia di sviluppo orizzontale anche nell’ipotesi dell’aggiunta di tipi differenti di
produzioni, ricompresi però nella stessa famiglia.
L’acquisizione di un impresa non mira solo all’acquisizione delle sue quote di mercato ma di
acquisire un nuovo patrimonio di conoscenze in grado di contribuire al miglioramento
dell’efficacia e dell’efficienza rispetto ai settori/mercato in cui è già presente.
INTEGRAZIONE VERTICALE aumento del valore aggiunto (realizzato perché cresce la
differenza tra il valore dei prodotti finiti ed il costo delle materie e dei servizi acquisiti).
Con le strategie di integrazione verticale l’impresa assume il controllo di uno stadio di
produzione o di distribuzione adiacente (a monte o a valle) rispetto al preesistente campo di
attività. Mira a far crescere il valore aggiunto.
L’impresa riuscirà a ridurre il rischio di gestione perché un più elevato valore aggiunto la
cautelerà meglio rispetto alle variabili esterne del mercato degli approvvigionamenti e delle
vendite più crescerà il valore aggiunto più aumenterà il controllo sui costi di produzione.
INTEGRAZIONE VERTICALE ASCENDENTE l’azienda inserisce nel suo ciclo, produzioni
di base o intermedie rispetto al processo terminale. (SCOPO: si conreta nell’acquisire il
controllo di una fonte principale di rifornimento in modo da garantire l’ininterrotta
alimentazione dei cicli di produzione).
INTEGRAZIONE VERTICALE DISCENDENTE cambia il mercato di sbocco dell’impresa,
rivolgendosi ad uno stadio più vicino alla fabbricazione di prodotti finali. Alcune volte
essa è considerata più una diversificazione, più che un’integrazione. (SCOPO: è di entrare
in un mercato più vicino a quello d’acquisto finale per poter meglio prevedere e
controllare la domanda).
Cap8
CICLO DI DIREZIONE:
l’articolazione del processo o
ciclo di direzione per funzioni si
giustifica solo sul piano teorico,
perché deve consentire di
esaminare separatamente
momenti del ciclo diversi l’uno
dall’altro ma strettamente
CICLO INFORMATIVO: le informazioni interne devo essere integrate con quelle esterne
(provenienti dall’ambiente esterno).
Il controllo produce informazioni, la programmazione richiede l’integrazione dei dati così
ottenuti con quelli relativi al contesto esterno, la conduzione comporta il trasferimento di
informazioni da chi dirige a chi esegue e, infine, chi esegue deve trasmettere i risultati della
propria attività agli organi di controllo
LA FUNZIONE ORGANIZZATIVA.
singole aree operative, suddividendo il processo gestionale in rapporto alla diversa natuta dei
problemi da amministrare.
Il modello funzionale, per la sua semplicità, è il più diffuso nelle aziende poco diversificate per
tecnologie, prodotti e mercati. Esso si adatta bene a situazioni di gestione abbastanza stabili
sotto il profilo strategico ed operativo, cioè in tutti i casi in cui la prevalente ripetitività delle
procedure gestionali rappresenta l’elemento caratterizzante della gestione stessa.
MODELLO MULTIDIVISIONALE
Tale modello è congeniale nell’ipotesi di aziende diversificate e più dinamiche nei
comportamenti imprenditoriali
Il modello divisionale comporta il frazionamento dell’azienda in più parti (divisioni) ciascuna
delle quali potrebbe rappresentare un’impresa a se stante e costituire un centro di profitto.
Alcune funzioni vengono decentrate al livello di divisione, altre vengono accentrate.
In tale struttura è importante definire i centri di coto e di profitto, ossia unità organizzative a cui
assegnare obiettivi di costo da rispettare e di profitto da realizzare.
Il criterio generale è quello di DECENTRARE le funzioni che possono ritrarre i maggiori benefici
dalla specializzazione e di ACCENTRARE quelle che richiedono un più elevato coordinamento
sul piano aziendale (finanza) o che consentono maggiori economie di scala o di interrelazione
( approvvigionamento, ricerca e sviluppo).
Lo scopo principale dell’adozione di struttura multi-divisionale è quello di focalizzare
l’attenzione sui RISULTATI anziché sul compiti. Con essa si punta a stimolare il senso
imprenditoriale dell’alta dirigenza, creando situazioni di conflitto e di competizione tra le varie
divisioni. Ciò comporta la presenza all’interno dell’organizzazione di quadri direttivi di alto
livello professionale, poiché la gestione sia a livello gestionale che divisionale richiede
l’assunzione d’impegnative responsabilità nel processo di gestione.
STRUTTURA HOLDING:
PURA
MISTA
Tale struttura vuole rispondere a due esigenze:
Ridurre ka dimensione aziendale
Conferire una più ampia autonomia alle diverse gestioni produttive.
MODELLO FUNZIONALE VS MULTIDIVISIONALE
grado di decentralizzazione che s’intende realizzare nel governo del sistema aziendale.
La velocità e flessibilità portano a strutturare l’azienda secondo strutture appiattite e corte dove
i processi informativi avvengono senza filitri gerarchici istituzionali, migliorando il rapporto tra
organi esecutivi e direttivi.
L’AMPIEZZA DEL CONTROLLO DIRETTIVO: alla cui soluzione è implicitamente legata la
determinazione delle dimensioni verticali e orizzontali dell’organizzazione, consiste nel definire
le dimensioni del gruppo che può essere guidato da un unico dirigente, mediante la
considerazione di un insieme di fattori specifici generali.
FATTORI CHE INCIDONO SULL’AMPIEZZA DEL CONTROLLO DIRETTIVO.
Cap 9
LA PROGRAMMAZIONE DELLA GESTIONE
La programmazione è il processo di predeterminazione degli obiettivi, delle politiche e delle
attività da compiere entro un determinato periodo di tempo.
Significa assumere in anticipo il complesso di decisioni attinenti alla gestione futura
Da non confondere con il termine previsione, che significa anticipazione dei futuri andamenti
di alcune variabili da cui trarre informazioni per orientare i comportamenti e le scelte aziendali.
Non vi è un processo decisorio, ma solo valutazione anticipata di fenomeni interessanti
l’impresa.
La programmazione si è trasformata da processo prevalentemente non formale e intuitivo a
processo che ha trovato la sua “concretizzazione” nella definizione scritta di una serie di
documenti programmatici afferenti alle varie attività gestionali e che si è venuta a fondere
sull’impiego di tecniche e strumenti di maggiore razionalità obiettiva , atti a quantificare le
variabili aziendali di mercato.
ASPETTI NUOVIFORMA
CONTENUTO
FORMA in cui specificati:
OBIETTIVI da seguire
POLITICHE da adottare
OPERAZIONI da compiere entro certi periodo di tempo
MEZZI da impiegare.
PIANI SETTORIALI: che regolano la realizzazione di particolari attività (piano di vendita,
piano di produzione, piano finanziario).
PROGRAMMA GENERALE: disciplina simultaneamente gli aspetti commerciali, tecnici,
finanziari e organizzativi di tutta l’attività aziendale.
4. L’individuazione delle modalità di eliminazione del divario , cioè delle politiche innovative
necessarie per rendere compatibili le aspirazioni imprenditoriali con i previsti andamenti
di mercato.
OBIETTIVI DA RAGGIUNGERE
PREVISIONI DI MERCATO
PIANO DI GESTIONE
L’azienda tende ad imporre i suoi obiettivi al mercato sfruttando le opportunità di mutamento
delle sue politiche di gestione. Infatti a seconda dell’entità del divario essa deciderà se insistere
nei comportamenti adottati in passato (politiche di prodotto, di prezzo, di promozione) o se
procedere a delle innovazioni nei segmenti fondamentali della gestione (immissione di nuovi
prodotti, ricerca di nuove zone di vendita).
Cap10
IL CONTROLLO DIREZIONALE
FUNZIONE DI CONTROLLO: Si interpone tra quella decisionale ed operativa allo scopo
di assicurare che le scelte, assunte a livello dell’amministrazione e della direzione
aziendale, siano correttamente attuate da parte degli organi esecutivi. Serve anche a
valutare la bontà di una decisione in una visione allargata si riferisce sia al
momento dell’attuazione delle operazioni di gestione sia allo stadio antecedente della
loro programmazione.
LA FUNZIONE DI CONTROLLO DIREZIONALE: Si è profondamente modificata:
Nel dettaglio:
Determinazione obiettivi: momento particolarmente delicato nell’impostazione del
processo di controllo operativo perché se essi non sono realistici e chiaramente definiti,
sarà difficile attribuire la dovuta efficacia alle successive fasi di misurazione e di analisi
dei risultati conseguiti;
Rilevazione periodica dei risultati: non comporta la soluzione dei problemi
discrezionali ma abbisogna di un’organizzazione efficiente. Sistema di reportingfa
giungere in modo rapido ed efficiente le informazioni;
Analisi causale degli scostamenti: l’analisi causale è momento di grande importanza
perché deve fornire elementi preziosi sulla genesi delle decisioni. Scostamentiraffronto
tra obiettivi fissati e risultati;
Interventi correttivi: sono un elemento qualificante perché la logica di tale tipo di
controllo è di verificare le concordanze tra obiettivi e risultati, preservandola o
ristabilendola quando tra questi dovessero crearsi delle difformità.
Questi servono per:
IM PR ESA : richiede il
m assim o rendim ento rispetto
ai costi
L’abilità direttiva si misura non solo in funzione dei risultati operativi conseguiti ma
anche in rapporto al “clima” delle relazioni di lavoro instaurato in azienda.
ORGANIZZAZIONE VISIONE
SCUOLA DELLE
SCIENTIFICA DEL RELAZIONI SISTEMICA.
LAVORO (visione
UMANE. (individuo (far partecipare
meccanicistica dell
uomo) da motivare) l'individuo)
STILI DI DIREZIONE
AUTOCRATICO (principio
PARTECIPATIVO (principio
dell'autorità): attuata del conseso): attiata
mediante la gerarchia del
mediante la creazione della
comando. controllo esterno o
supervisorio. motivazione.autocontrollo.
Nel dettaglio:
BISOGNI DI SUSSISTENZA (primari): rappresentati dalle necessità fondamentali da
soddisfare per sopravvivere (nutrizione, abbigliamento, abitazione, ecc)
BISOGNI DI SICUREZZA costituiti dalle esigenze di protezione della persona, del patrimonio,
della posizione lavorativa.
BISOGNI DI SOCIALITA’ (affetto, appartenenza) rappresentati dalla necessità di sentirsi
parte di un gruppo, legati cioè ad altri individui da interessi, sentimenti, credenze comuni.
BISOGNI DI STIMA (reputazione, prestigio) costituiti dall’aspirazione a riscuotere il consenso
di altri e a collocarsi in posizione di preminenza nella classe sociale di appartenenza.
BISOGNI DI AUTOREALIZZAZIONE rappresentati dalla convinzione di aver realizzato
appieno le proprie capacità professionali e morali, ossia di aver raggiunto il miglior risultato
possibile sulla base dei requisiti personali posseduti.
Appena un individuo ha raggiunto un grado soddisfacente di appagamento di una classe di
bisogni, l’individuo si pone l’imperativo di passare a quella successiva, variando così il tipo di
incentivi in base alla posizione raggiunta sulla scala. Quindi la retribuzione rappresenta uno
degli elementi del rapporto di lavoro e non in tutti i casi è sufficiente a far migliorare il
rendimento dei dipendenti e a rendere più agevole la gestione delle risorse umane. Soprattutto
per coloro che hanno già raggiunto un soddisfacente standard di vita, le motivazioni che hanno
più prese sono quelle morali, di gratificazione, di attestazione di stima.
Criticità:
appagamento parziale
interdipendenza tra bisogni
ordinamento soggettivo
influenza delle condizioni ambientali
TEORIA DI HERZBERG ha distinto in due grandi categorie i bisogni dei lavoratori:
SODDISFATTIVI quelli che una volta appagati producono gratificazione e quindi
stimolano all’azione (fattori motivazionali).
INSODDISFATTIVI quelli che se non soddisfatti, generano frustrazione e determinano
l’inazione (fattori igienici)
TECNICHE DI INCENTIVAZIONE DEL PERSONALE.
Si tende a sviluppare L’IMPRENDITORIALITA’ COLLETTIVA che consente all’impresa di
rinnovarsi continuamente attraverso le innovazioni e la capacità di adattamento di tutti i
membri dell’organizzazione che operano i collaborazione.
Cap13
LA GESTIONE OPERATIVA E IL MARKETING
FUNZIONI OPERATIVE DI GESTIONE IN UNIMPRESA MANIFATTURIERA: si svolgono con
caratteristiche e problematiche dissimili da azienda ad azienda. La gestione tenderà a
differenziarsi soprattutto in rapporto alla natura dell’attività e alle dimensioni della struttura:
FUNZIONI OPERATIVE PRIMARIE: Quelle non solo comuni a tutti i tipi di azienda ma
anche normalmente inserite all’interno dell’organizzazione:
o Produzione
o Vendita
o Finanza
FUNZIONI DI SUPPORTO: caratterizzate in prevalenza da un grado relativamente
minore di importanza e, in certi casi, affidabili anche a centri esterni di servizio:
o Personale
o Ricerca e sviluppo
o Logistica (dipende perché si può trovare nelle funzioni operative primarie)
FUNZIONI AUSILIARIE: molto spesso, anche se parzialmente, delegate all’esterno per
ragioni di economicità o per mancanza di competenze idonee nell’organizzazione:
o Trasporti
o Distribuzione
o Manutenzione
o Pubblicità
ORIENTAMENTI GESTIONALI 1) orientamento al prodotto 2) orientamento al mercato
ORIENTAMENTO AL PRODOTTO: dare cura soprattutto ai problemi attinenti al ciclo di
produzione dei beni, per i quali la successiva vendita finiva per costituire un’attività
complementare e pressoché automatica (situazione di mercato facile mercato del
venditore).
ORIENTAMENTO AL MERCATO Presuppone la necessità di analizzare la quota
massima di mercato ottenibile dall’azienda ed indirizzare le politiche di produzione in
funzione degli obiettivi di vendita realizzabili.
IL MARKETING
È un orientamento di gestione (o una filosofia aziendale) che pone il cliente (e i suoi bisogni) al
centro dell’interesse e dell’attenzione aziendale.
Lo sguardo di chi governa l’azienda è proiettato verso l’individuazione di bisogni e desideri dei
consumatori che, tenendo conto delle risorse aziendali disponibili, possano rappresentare delle
nuove opportunità di business.
Il marketing è il processo mediante cui l’azienda studia il mercato o i mercati che ritiene
interessanti, analizza le tendenze della domanda e la situazione della concorrenza, individua
l’esistenza di opportunità di business, orienta la produzione in funzione dei potenziali acquirenti
da conquistare (target di mercato), provvede a collocare i prodotti presso gli sbocchi prescelti.
Fare marketing vuol dire attribuire all’area commerciale il ruolo di guida delle strategie
competitive.
POLITICHE DI MARKETING O “4P”.
Le politiche di marketing (o “4 P”, dall’inglese: product, price, promotion, place), nel loro insieme,
compongono la combinazione o mix di marketing, cioè la miscela degli strumenti rivolti
all’ottenimento degli obiettivi di mercato fissati di periodo in periodo.
PREZZO
PROMOZIONE
DISTRIBUZIONE
PRODOTTO
Vanno definite in funzione della scelta strategica del market-target (mercato-obiettivo) che
l’impresa intende raggiungere. (mercato obiettivo richiede uno studio approfondito del
comportamento dei consumatori che dipende dal tipo di prodotto: consumo giornaliero,
periodico, eccezionale).
Il marketing in funzione del servizio del consumatore (CONSTUMER SATISFACTION) e della
concorrenza basata sul tempo (TIME-BASED COMPETITION). Le imprese produttrici di beni di
consumo sono sempre più decisamente orientate a migliorare il servizio al consumatore e
ridurre i tempi di messa a punto dei nuovo prodotti (time-based competition) o, comunque,
nelle nuove offerte di mercato. La crescita della componente di “sevizio” è un tratto comune per
le aziende che operano in questo settore perché è rivolto sia a <<differenziarsi>> meglio dalla
concorrenza sia a fidelizzare il più possibile la propria clientela.
Le difficolta e i costi promozionali necessari per acquistare nuovi clienti, fanno si che la
constumer satisfaction e retention diventino obiettivi prioritari dell’azione di marketing. Il
portafoglio clienti rappresenta la vera ricchezza commerciale di un’impresa, frutto
dell’avviamento creatosi nel tempo e valore da difendere in mercati caratterizzati da elevata
competitività.
Nell’ambito della funzione commerciale si possono individuare 2 gruppi di compiti che, per la
loro importanza, tendono a creare delle distinte sub-funzioni.
DIREZIONE COMMERCIALE
ASSISTENZA
RETE DI VENDITA
TECNICA
DISTRIBUTORI
STELLA ENIGMI
flusso di cassa: flusso di cassa:
equilibrio tra negativo
entrate e uscite strategia:
strategia: osservare se
investire nella evolve verso
crescita stella o cane
CANI
VACCHE DA
MUNGERE flusso di cassa:
equilibrio tra
flusso di cassa:
alto, stabile entrate e uscite o
negativo
strategia:
mungere strategia:
disinvestie
QUOTA DI MERCATO
LIMITI:
Non considera i tassi negativi di sviluppo della domanda (decremento della domanda)
La quota di mercato è solo un elemento della forza competitiva .
PROGRESSIONE dei prodotti:
FAVOREVOLEpassaggio da prodotto rischioso a prodotto di successo e in fine a
prodotto da reddito.
SFAVOREVOLE ipotizza il movimento da prodotto di successo a prodotto rischioso e a
marginale. Meno frequente è il passaggio da prodotto da reddito a marginale.
MATRIGE GENERAL ELECTRIC.
ATTIVITA’ DEL SETTORE: è funzione del tasso di sviluppo della domanda ma è anche da
rapportare ai margini di profitto conseguibili, alla dimensione totale del mercato e ad altri
fattori che possono essere importanti a seconda dei casi.
FORZA COMPETITIVA: oltre ad essere correlata alla quota di mercato può rapportarsi alla
velocità della sua crescita, al grado di innovatività dei prodotti.
Definizione di prodotto: un prodotto va considerato come un fascio di utilità, un insieme di
attributi tangibili e intangibili, che risponde ad esigenze di vario ordine.
GLI ALTRI ELEMENTI DELLA POLITICA DI PRODOTTO.
POLITICHE DELLA MARCA: la marca è sinonimo di garanzia e qualità del prodotto
(brend extension ampliamneto della gamma originaria di prodotti ad altri beni, a
volte complementari e altre volte molto lontani da quelli abitualmente trattati. Griffe
settore della moda):
o Cessione in bianco l’impresa non ha i mezzi finanziari e la capacità di
conferire la necessaria spinta all’azione di vendita da sviluppare nel mercato.
o Marca industriale/commerciale
o Marca unica per la famiglia di prodotti marca associata al nome
dell’azienda. Beni di largo consumo, durevoli e strumentali ( family brand e firm
brand)
o Marche per ciascun prodotto (product brand) si cerca di differenziare i vari
prodotti per ottenere una distinzione per qualità, immagine e linee di prezzo.
CONFEZIONE (industral packing):
o Attrattiva per il cliente
o Determinante per acquisire un vantaggio differenziale rispetto a prodotti
simili
o Possibili sinergie nella funzione di trasporto (i costi si riducono)
ASSISTENZA POST VENDITA (garanzie da fornire ai compratori):
o Garanzia di qualità nel proprio marchio vs. apposizione di marchi di
qualità
o Garanzie di funzionamento (assicurare assistenza gratuita da parte del
produttore)
o Assistenza tecnica
POLITICA DEL PREZZO.
La determinazione del prezzo di vendita avviene di solito sulla base delle seguenti premesse
generali.
FUNZIONE DEL PREZZO IN RELAZIONE ALLA SEGMENTAZIONE E AL
POSIZIONAMENTO DELLA MARCA
EQUILIBRIO VOLUMI-MARGINI DA CONSEGUIRE
RUOLO DEL PRODOTTO NELLA MARCA (particolare prodotto all’interno della gamma
di vendita)
RELAZIONE CON IL MARKETING-MIX (peso della politica di prezzo nel marketing
mix anche se molte volte il prezzo è un vincolo e non una variabile)
La fissazione di prezzi avviene in genere in 2 fasi: prima a livello specifico e poi in funzione
dell’intera gamma trattata. Il problema si concreta nell’individuazione del possibile margine di
manovra del prezzo e nella determinazione, nell’ambito di questo, di una quotazione compatibile
con gli obiettivi di mercato da raggiungere.
intermediari, finanziatori, altri produttori, ecc..), allo scopo di ritrarre un vantaggio competitivo.
Lo scopo ultimo e più specifico è di creare delle preferenze, di informare e di persuadere i beni
prodotti dall’impresa. Essa deve indurre ad acquistare, sfruttando le motivazioni che
determinino il comportamento del consumatore.
MECCANISMI DI FORMAZIONE DELLA VOLONTA’ DEL CONSUMATORE
MODELLO MODELLO MODELLO MODELLO DELLA
AIDA DELLA INNOVAZIONE- COMUNICAZION
GERARCHIA ADOZIONE E
DEGLI EFFETTI
STADIO Attenzione Consapevolezza Consapevolezza Esposizione
CONOSCITIVO Attenzione
(momento Conoscenza Risp. conoscitiva
cognitivo)
STADIO Interesse Gradimento Interesse Atteggiamento
AFFETTIVO desiderato Preferenza
(momento Convinzione Valutazione Intenzione
emotivo)
STADIO DEL Azione Acquisto Prova Comportamento
COMPORTAMENT Acquisto
O
(momento attivo)
Momento cognitivo nel quale si acquisisce la consapevolezza del bisogno da soddisfare e si
inizia a rivolgere l’attenzione a prodotti idonei a tale scopo
Momento emotivo quando l’attenzione si trasforma prima in interesse e poi nel desiderio di
disporre del prodotto
Momento attivo in cui si passa alla fase materiale dell’acquisto mediante una comparazione
delle varie offerte di mercato
Lo scopo della PROMOZIONE è quello di far conoscere e soprattutto ricordare favorevolmente il
nome del prodotto, in modo da ottenere in suo inserimento fra le alternative d’acquisto.
IMBUTO PROMOZIONALE
Si ricorre al concetto di imbuto per sottolineare l’immissione nell’attività promozionale di
risorse, che si differenziano per modalità di impiego e per effetti prodotti, allo scopo di ottenere
lo sviluppo delle vendite.
SODDISFAZIONE E FIDELIZZAZIONE
È indispensabile soddisfare e fidelizzare i clienti perché:
Acquisire nuovi clienti genera costi il costo potrebbe non essere ammortizzato sulla
singola transazione, per cui i profitto derivanti dal singolo cliente aumentano dopo che i
costi di acquisizione sono stati totalmente coperti.
La fedeltà dei clienti all’azienda aumenta il flusso dei ricavi nel tempo mentre i
ricavi correlati possono ridursi.
Si attiva un processo di passaparola (word of mouth) da parte dei consumatori
fidelizzati
Diminuisce la sensibilità dei consumatori fidelizzati verso le offerte alternative,
anche se economicamente più vantaggiose, perché aumentano i costi di
cambiamento o di transazione (switching cost).
CUSTOMER LIFE-TIME VALUE
Obiettivo finale del marketing relazionale è il miglioramento della profittabilità nel lungo
termine e la massimizzazione del customer life-time value.
Il Customer Lifetime Value definisce il valore che nel lungo termine un cliente può generare per
una determinata impresa.
Cap14
LA GESTIONE DELLA PRODUZIONE.
LA FUNZIONE DI PRODUZIONE
La funzione di produzione riguarda il processo di trasformazione dei beni, ossia l’insieme di
operazioni mediante il quale le risorse acquistate dall’impresa (materie prime, ausiliarie,
semilavorati, ecc.) sono tramutate in prodotti finiti da collocare sul mercato.
questa funzione comprende 3 fasi:
APPROVVIGIONAMENTI
TRASFORMAZIONE DEI PRODOTTI
VENDITA
ASPETTI OPERATIVIIl profilo operativo della funzione di produzione si orienta più
specificamente ai problemi di logistica industriale, e l’efficienza è il risultato di scelte
coordinate di approvvigionamento, produzione e vendita:
Miglioramento del time to market
Riduzione degli immobilizzi in scorte
Compressione dei tempi d’ozio dei fattori produttivi
Un concetto importante è il concetto di FILIERA DI PRODUZIONE è il complesso delle
imprese che partecipano alla trasformazione di una serie di materiali in prodotti finiti (prodotti
finali) contribuendo alla realizzazione di un bene da destinare al mercato di consumo o ad
utilizzatori industriali. (prod.finiti output ciclo produzione azienda; prod.finaleconsumat)
SCELTE DI PRODUZIONE.
Possono essere divise i 3 categorie:
STRATEGHE concorrono alla creazione del vantaggio competitivo.
STRUTTURALI costituiscono il sistema operativo necessario per coordinare l’impiego
delle risorse disponibili.
DI GESTIONE OPERATIVA finalizzate a razionalizzare l’operatività del processo
produttivo mediante la programmazione e il controllo della produzione.
RAPPORTI TRA STRATEGIA DI PRODUZIONE E STRATEGIA COMPETITIVA
La funzione di produzione è legata alla strategia competitiva per 2 motivi:
Consente di perseguire l’obiettivo dei bassi costi necessari per una strategia PRICE
COMPETITION.
Concorre a garantire la qualità essenziale per una strategia di DIFFERENZIAZIONE
La strategia di produzione deve essere centrata sugli aspetti prioritari della strategia
competitiva, per assicurare il migliore contributo alla creazione del vantaggio competitivo.
Sul piano strategico le principali scelte riguardano:
Determinazione del mix (tipologia e assortimenti qualitativi) e delle quantità di
produzione.
La progettazione dell’impianto
La logistica
TIPOLOGIA DEI SISTEMI PRODUTTIVI
Il processo produttivo può essere organizzato secondo differenti modelli:
Produzione di beni per unita distinte i beni si differenziano sostanzialmente tra
loro in rapporto a specifiche indicazioni del cliente (ordinazioni su commessa)
Produzione di massa differenziata è basata sull’elevata standardizzazione delle
parti componenti e sulla differenziazione in fase di montaggio (si definisce “per lotti”)
Produzione di massa standardizzata è comune alle situazioni in cui si può sfruttare
a fondo il principio di economie di scala
Produzione omogenea continua caratterizzata dalla continuità e dalla
differenziazione dei prodotti posti in essere
OUTSOURGING E DE-INTEGRAZIONE
Sotto l’aspetto organizzativo, importante è la decisione circa la produzione in proprio o
l’acquisto all’esterno dei componenti:
OUTSOURCING ricorso al mercato per certe forniture, è una scelta di
approvvigionamento.
DE-INTEGRAZIONE opzione strategica di rinuncia a certe fasi di lavorazioni che
prima avvenivano in azienda, è una scelta organizzativa
IMPRESE MULTI.PLANT: MODELLI DI SUDDIVISIONE DEI CICLI DI PRODUZIONE.
Quando un’azienda dispone di più unità produttive, il problema del dimensionamento si affianca
a quello di scelta del modello di suddivisione dei cicli o delle linee di produzione.
Le imprese dividono la loro produzione in più stabilimenti (multi-plant) e l’organizzazione dei
cicli produttivi si amplia fino a comprendere un modello di rete d’impianti.
Si hanno le seguenti soluzioni:
MODELLO DI RIPETIZIONE ogni centro produttivo lavora gli stessi prodotti.
MODELLO DI PARCELLIZZAZIONE ogni impianto svolge una certa parte di
produzione.
MODELLO DI SPIECIALIZZAZIONE ogni impianto produce un particolare modello
della gamma.
LAY-OUT
È LA DISPOSIZIONE FISICA DELLE strutture che formano un azienda, e la sua progettazione
incide sull’utilizzazione degli spazi, allo scopo di ottimizzare le”4M” (men, materials, machines,
money).
La sistemazione degli impianti avviene secondo 4 criteri: (tipologie di lay-out):
FUNZIONALE macchine raggruppate per lavorazione svolta.
PER PRODOTTO macchine raggruppate in sequenza secondo le lavorazioni
A POSTAZIONI FISSE macchine spostate intorno al prodotto.
A CELLE macchine raggruppate per gruppi di prodotti lavorati
FLESSIBILITA’ ED AUTOMAZIONE
L’obiettivo comune a molti settori industriali è quello di disporre di aziende efficienti per
minimizzare i costi e per assicurare la flessibilità del sistema. I progressi riguardo la
specializzazione dell’impianto si possono rilevare sotto 2 profili:
FLESSIBILITA’per poter disporre di capacità di adattamento ai mutamenti
dell’ambiente di produzione e del mercato
ELESTICITA’ O FLESSIBILITA’ ECONOMICA capacità dell’impianto di
Cap15
GESTIONE FINANZIARIA: INVESTIMENTI E FINANZIAMENTI.
Nella FUNZIONE FINANZIARIA si comprende il complesso di decisioni e di operazioni volte a
reperire e ad impiegare i fondi aziendali.
LA GESTIONE FINANZIARIA Può ESSERE INQUADRATA sotto il profilo strategico e
tattico/operativo.
Anche se in alcuni casi può essere governata in regime di maggiore autonomia e può anche
rappresentare un centro di profitto a sé stante, questa funzione dell'impresa deve perdere
qualsiasi carattere speculativo e ampliare il suo ambito di riferimento dalla scelta delle fonti di
finanziamento anche alla programmazione degli investimenti.
GLI EQUILIBRI DELLA GESTIONE FINANZIARIA
Gli equilibri sono interdipendenti per gli effetti che il ciclo ricavi/costi genera sul fabbisogno di
capitale e sui flussi di cassa. Costi e ricavi "anticipati" o differiti" generano uno sfasamento fra la
manifestazione economica e quella monetaria:
EQUIIBRIO ECONOMICO (ricavi-costi) divario positivo per la formazione del profitto.
EQUILIBRIO FINANZIARIO 8impieghi- fonti) bilanciamento tra impieghi di capitali e
fonti di provvista dello stesso.
EQUILIBRIO MONETARIO (entrate-uscite) liquidità tra entrate e uscite di cassa.
I COMPITI DELLA GESTIONE FINANZIARIA
Anche se esiste una netta differenza fra la programmazione, di competenza dell'alta direzione, e
la relativa attuazione nella gestione finanziaria, a differenza di altre funzioni dell'impresa, è più
frequente l'accentramento dei compiti di quest'area in una Direzione Finanziaria che partecipa
anche alla definizione delle politiche generali di gestione di altre funzioni.
Quelli fondamentali sono:
La programmazione finanziaria a lungo/breve e brevissimo termine;
La gestione del piano finanziario
Il governo della liquidità
Altri compiti e influenze della direzione finanziaria programmazione degli investimenti; scelta
delle fonti; gestione dei patrimoni immobiliari e mobiliari; definizione delle condizioni di
pagamento; gestione dei rapporti di credito; gestione della tesoreria.
IL FABBISOGNO FINANZIARIO.
L’impresa ha bisogno di capitali per finanziare i processi di investimento e per far fronte alla
gestione corrente. L’ammontare di questo capitale varia d’entità e genesi a seconda che
l’impresa sia in fase di: COSTRUZIONE (si tratta di determinare il fondo di capitali
indispensabile per creare la struttura iniziale e per coprire le esigenze di finanziamento per
l’avviamento start-up) FUNZIONAMENTO (individuazione del fabbisogno necessario per
alimentare il processo d’investimento e per soddisfare altre esigenze di gestione).
Il FABBISONGO FINANZIARIO è uguale alla somma del CAPITALE FISSO (necessario per
acquistare immobilizzazioni materiali e immateriali ed è legato al grado di capitalizzazione dei
processi operativi) e CAPITALE CIRCOLANTE (necessario per alimentare il ciclo acquisti-
produzione-vendite ed è correlato al ciclo di re-integro dei ricavi)
IL FABBISOGNO DI CAPITALE FISSO.
L'intensità del capitale fisso di una impresa dipende sia dalle caratteristiche del settore in cui
l'impresa opera, che dalle sue peculiarità gestionali.
In generale il fabbisogno di capitale fisso è legato alla necessità di maggiori immobilizzazioni
per lo svolgimento dei processi operativi con riferimento sia alle funzioni di produzione, che e
quelle di commercializzazione e di amministrazione.
Al crescere della presenza di impianti ed attrezzature aumenta anche il fabbisogno di capitale
fisso.