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Riassunto economia e gestione dell impresa sergio sciarelli

Economia e gestione delle imprese (Università degli Studi dell'Aquila)

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CAPITOLO PRIMO

L’IMPRESA E IL SUO RUOLO


ECONOMICO E SOCIALE

1. L’impresa quale sistema socio-tecnico.

L’impresa è stata tradizionalmente definita come un’organizzazione di persone e di beni rivolta


ad uno scopo produttivo. Sono le aziende (1) che, organizzate in varie forme e specializzate per
tipi di attività, producono l’insieme di beni e di servizi indispensabili per il soddisfacimento dei
bisogni umani.

(1) I termini <<impresa>> e <<azienda>> sono qui adoperati in senso sinonimo. Essi sono
invece usati in modo differenziato non solo dai giuristi, per i quali l’azienda è il
complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art. 2555
cod. civ.) e l’impresa è l’attività economica organizzata al fine della produzione e
dello scambio di beni o servizi, ma anche dagli aziendalisti che attribuiscono al
concetto di azienda un contenuto più ampio di quello di impresa, intesa più
specificamente come impresa di produzione.

Ciò significa che esse, a prescindere dal sistema economico - politico nel quale operano,
rappresentano una realtà universale, essendo uno strumento essenziale per ottenere il massimo
vantaggio dal lavoro organizzato degli uomini. PRODUZIONE DI BENI/SERVIZI A BENEFICIO
DELLA COLLETTIVITA’.

Un’impresa, ancorchè caratterizzata da strutture e comportamenti differenti in funzione degli


obiettivi da raggiungere e delle attività produttive da realizzare, è contraddista sempre da
alcuni requisiti comuni, che ne giustificano l’inquadramento come sistema a sé stante.

Il principale connotato è il contenuto economico dell’attività e degli obiettivi che essa si


prefigge di raggiungere.

Sotto il profilo del funzionamento, ogni sistema aziendale si qualifica per la presenza non solo di
una struttura organizzativa complessa, ma anche per la sua finalizzazione in ordine alla messa
a profitto di risorse scarse. Da questo punto di vista si ha una prima delimitazione netta del
concetto, in quanto un partito politico, una Chiesa, un’associazione culturale, pur avendo tutti
un’organizzazione, perseguono finalità non economiche e, pertanto, non rientrano nel
concetto classico di impresa.
Al contrario, quest’ultima, si caratterizza perché mediante l’impiego di un complesso
differenziato di risorse (uomini, capitali, impianti, materiali, ecc.), svolge processi di produzione,
cioè crea ricchezza.
In altri termini, operando una trasformazione delle risorse impiegate, ottiene dei beni di
maggior valore (beni e servizi finali), atti a soddisfare direttamente o indirettamente i bisogni
umani. Questi beni sono destinati ad essere scambiati con entità esterne (utilizzatori o
consumatori), sul mercato allo scopo di far scaturire dallo scambio un utile o reddito.
Lo scambio al fine del reddito rappresenta, senza dubbio, un aspetto qualificante del concetto, in
quanto racchiude, come presupposti, gli attributi descritti in precedenza. (contenuto
economico delle attività e degli obiettivi)

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L’impresa ha infatti bisogno di conseguire un reddito (condizione di sopravvivenza), cioè un


divario positivo fra il ricavo ottenuto dai beni ceduti e il costo delle risorse impiegate nella
produzione, per potere soddisfare chi ha investito i suoi capitali in un’attività a rischio, gli altri
partecipanti all’organizzazione e per potersi sviluppare in conformità dell’evoluzione del
mercato in cui è inserita.
Per realizzare il reddito, deve accrescere, mediante operazioni di trasformazione, il valore delle
risorse impiegate, in modo da realizzare beni non solo richiesti da entità esterne, ma cedibili ad
un prezzo generatore del reddito atteso (principio della marginalità).
Per far ciò, essa ha bisogno di un’organizzazione, ossia di una struttura altamente specializzata
e coordinata, in grado di svolgere profittevolmente i processi di trasformazione e di scambio.

Raggruppando le caratteristiche fino ad ora richiamate, si può dunque cominciare a definire


l’impresa come l’organizzazione economica che, mediante l’impiego di un complesso
differenziato di risorse, svolge processi di acquisizione e di produzione di beni o servizi, da
scambiare con entità esterne al fine di conseguire un reddito.
Da questa definizione si ricavano quattro elementi distintivi dell’impresa, e cioè:

 la presenza di un’organizzazione;
 lo svolgimento di processi di produzione (2)

(2) Il concetto di produzione è qui usato in senso economico, cioè come attività rivolta ad
accrescere l’utilità dei beni sia trasformandone la natura fisico-chimica (produzione
diretta) sia trasferendoli nel tempo e nello spazio (produzione indiretta);

 le relazioni di scambio con entità esterne;


 la finalità imprenditoriale del reddito.

L’azienda, tuttavia, può essere analizzata anche in una visione sistemica.


Essa infatti è un sistema, operante in stretto collegamento con sistemi più ampi (mercato e
ambiente).
Che l’impresa sia un sistema è, quindi, conclusione unitariamente accolta in dottrina, così come è
condivisa la sua natura specifica, in quanto si tratta di un sistema particolare, non assimilabile
ad altri tipi di sistemi.
Per poter illustrare il carattere sistemico dell’impresa e poterlo inquadrare nella classificazione
dei sistemi operata da studiosi di varie discipline, occorre richiamare brevemente le
caratteristiche essenziali di un <<sistema>>.
Com’è noto, il carattere fondamentale di un sistema è quello di essere costituito da un complesso
interrelato di parti, interrelato perché le singole parti sono interdipendenti rispetto ad un
obiettivo comune da raggiungere. I sistemi di carattere economico e sociale operano in relazione
con un ambiente esterno: da questa relazione nasce anche la loro caratteristica di dinamismo,
stante il rapporto funzionale o di causalità con una realtà in continuo cambiamento.
Per riepilogare, quindi, il sistema cui siamo interessati si qualifica per la molteplicità di parti
componenti, per l’interrelazione delle parti rispetto all’obiettivo da raggiungere, per il legale
funzionale con un macro – ambiente e per il dinamismo che – a cagione di tale legame – deve
caratterizzare il suo funzionamento.
Questo concetto di sistema dev’essere correttamente inteso in senso evolutivo e non statico.
L’impresa infatti è sempre un sistema, ma è un sistema dinamico (3) - In rapporto al grado di
complessità che caratterizza un sistema, è possibile pervenire ad una classificazione ed operare
una distinzione tra i vari tipi di sistemi. La classificazione più nota è quella proposta da
Boulding, che distingue nove tipi di sistemi: schemi, meccanismi, sistemi cibernetici, sistemi

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aperti, sistemi a crescita programmata, sistemi ad immagine interna, sistemi che trattano
simboli, sistemi sociali, sistemi trascendentali), che muta nella dimensione e combinazione delle
sue risorse. Il suo ciclo di vita si sviluppa, infatti, con il passaggio da una situazione sistemica ad
un’altra mediante un processo evolutivo che non può né deve far perdere il coordinamento tra i
vari elementi componenti. Se ciò avvenisse, si porrebbe in dubbio lo stesso concetto d’impresa,
che si collega in ogni caso ad un complesso ordinato di risorse rivolte ad un fine condiviso.

Un’impresa può essere classificata come un sistema sociale di tipo aperto. L’impresa, infatti, è un
sistema perchè è costituita da un insieme di parti od organi, ciascuno dei quali deputato a
svolgere una determinata funzione per il raggiungimento di un comune risultato. Le varie parti
formano un tutto organico perché, ad una specializzazione delle funzioni, s’accompagna una
stretta coordinazione dell’attività nel suo complesso, secondo un disegno unitariamente rivolto
alle finalità da conseguire. Si tratta di un sistema di tipo aperto, poiché, per operare, deve
intrattenere continue relazioni di scambio con altri sistemi o entità esterne: queste relazioni
sono del tipo input (ingresso), cioè di approvvigionamento di risorse necessarie per la sua
alimentazione, e del tipo output (uscita), ossia di cessione a terzi del risultato (beni o servizi) del
suo funzionamento.

Scartato, infatti, il parallelo meccanico, cioè la considerazione dell’azienda quale meccanismo


caratterizzato da un automatismo di funzionamento, perché non rispondente alla concezione di
organismo operante in stretta simbiosi con tutta una serie di altri sistemi esterni, anche il
parallelo biologico non appare soddisfacente. In teoria, invero, l’impresa è stata a volte
paragonata anche ad un organismo vivente per sottolineare sia l’aspetto differenziato e
complementare delle funzioni svolte dai vari organi sia l’aspetto metabolico del ciclo di attività.
I sostenitori di questo punto di vista hanno affermato che, come un organismo vivente è
costituito da un complesso di parti, ciascuna con un compito preciso e insostituibile, e dev’essere
alimentato mediante risorse attinte dall’esterno e trasformate in sostanze vitali, così l’azienda è
composta da un insieme di organi ciascuno specializzato nello svolgimento di certe attività, e
dev’essere rifornita di risorse da parte di altri sistemi (ricavi di vendita da parte degli utilizzatori
o consumatori) , a cui è destinata a cedere il frutto della sua operatività.
Questo ciclo metabolico viene così a rinnovarsi secondo un concetto di equilibrio dinamico, cioè
di raggiungimento di posizioni sempre migliori mediante un surplus positivo fra le risorse spese
(costi) e quelle ottenute per la cessione delle produzioni poste in essere (ricavi).
Al pari di un organismo vivente, che si sviluppa secondo processi di accrescimento corporeo e
intellettivo, l’azienda deve inoltre adeguare la sua struttura e le sue strategie all’evoluzione
dell’ambiente e del mercato in cui opera: se ciò non avviene, essa è sospinta in una posizione
sempre più marginale fino al completo dissolvimento. L’uguaglianza fra costi e ricavi è, invero,
una situazione anormale, che denota uno squilibrio nel ciclo vitale, in grado di compromettere,
nel tempo lungo, la funzionalità del sistema.
Il parallelo biologico, attraente sotto certi profili, si rivela, però, inaccettabile a cagione delle
molte limitazioni che incontra. Innanzi tutto, si potrebbe osservare che l’azienda – a differenza
degli esseri viventi – è destinata a perdurare, a perpetuarsi al di là della vita del suo fondatore.
Cioè, mentre il ciclo biologico si conclude con l’estinzione dell’essere vivente, il ciclo di sviluppo
aziendale dovrebbe portare ad una crescita costante e ad un rafforzamento del sistema –
impresa nell’ambiente in cui opera. E’ noto, infatti, che non esistono dei limiti oggettivi
all’espansione aziendale, per cui la tesi di una dimensione ottima di impresa appare poco
convincente. Infine, il processo di crescita dell’individuo è indipendente dalle sue motivazioni e
dalle decisioni prese a livello conscio, mentre quello dell’azienda è legato agli sforzi consapevoli
e chiaramente motivati del gruppo che la dirige.

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Tenendo presente che l’impresa è un sistema particolare, all’interno del quale operano risorse
umane e tecniche (mezzi di produzione), si può dunque pervenire ad una sua classificazione
quale sistema aperto di tipo socio – tecnico. Il concetto di sistema socio – tecnico pone in
evidenza che occorre non solo un’organizzazione del lavoro relativa all’impiego del fattore
umano, ma anche un’organizzazione tecnica costituita da impianti, attrezzature e tecnologie
produttive. L’aspetto comunque di maggiore rilievo è quello sociale poiché il funzionamento
dell’azienda è legato all’operare coordinato di una molteplicità di gruppi interni ed esterni
all’organizzazione (stakeholder), tra i quali si sviluppano rapporti di collaborazione e di
contrasto. Il carattere cooperativo – conflittuale dell’organizzazione aziendale è uno dei concetti
base per comprendere l’operare di qualsiasi struttura organizzativa.

2. La visione sociale dell’impresa.

Il concetto economico d’impresa non può essere disgiunto da quello sociale. Le imprese, difatti,
sono rette da uomini, operano per soddisfare bisogni umani, partecipano in senso lato alla vita
dell’ambiente circostante. La loro funzione, cioè, non può limitarsi a produrre beni e servizi utili
per una certa collettività di consumatori, ma deve necessariamente estendersi al miglioramento
della qualità della vita nel contesto in cui operano. In ciò si traduce il concetto di responsabilità
sociale aziendale (corporate social responsability), fondata sul contratto sociale che ogni
impresa stipula con il contesto esterno per definire obblighi e diritti connessi con il proprio
funzionamento. Essa, difatti, mediante il continuo scambio di risorse, influenza in misura spesso
rilevante le condizioni di vita della collettività e si rende, allo stesso tempo, protagonista e
responsabile del contributo prodotto.
Da ciò, secondo parte della teoria, il prevalere dell’aspetto sociale, che finirebbe per assorbire
automaticamente quello economico e che amplierebbe il tradizionale rapporto capitale-lavoro
in una più complessiva relazione con tutte le parti interessate alla produttività dell’impresa.

In altri termini, un’impresa, per le funzioni che è chiamata a svolgere, per le risorse che attinge
dall’ambiente, per l’impatto che può esercitare sul clima sociale della comunità e, più in
generale, sulla qualità della vita, non può essere più vista come un’iniziativa esclusivamente
imprenditoriale rivolta soltanto alle finalità economiche dell’investitore proprietario. Essa
dev’essere più appropriatamente considerata come un sistema economico e sociale, a cui prende
parte una pluralità di attori, che dev’essere guidato in funzione di un giusto equilibrio tra
obiettivi economici e responsabilità sociali. La rilevanza sociale dell’impresa cresce in rapporto
alle ricadute esercitate sul contesto in cui opera (ricadute occupazionali, d’investimento, di
mercato, di partecipazione alla vita della comunità, di effetti inquinanti sull’ambiente, ecc.),
mentre quella economica si lega alla ricchezza creata con la sua attività.

Accogliendo questa visione aggiornata, occorre quindi estendere la platea dei soggetti
interessati, all’interno delle quale rimane pur sempre una figura dominante (imprenditore o
manager), chiamata però ad esercitare una funzione di coordinamento e di coinvolgimento
piuttosto che di dominio o guida monocratica nei confronti di tutti gli altri partecipanti.
Dall’estensione del concetto discende che un’impresa va correttamente considerata come
un’istituzione sociale a finalità plurime, il cui compito è di creare valore in senso ampio, ovvero
non solo valore economico, ma anche valore sociale.
Soprattutto oggi, in un’epoca di accentuata sensibilità verso i risvolti sociali e comunitari
dell’attività aziendale e di rivalutazione del ruolo innovatore dell’imprenditore, l’unica garanzia
di continuità deriva dalla capacità dell’impresa di interpretare e rispondere adeguatamente alla
varietà di bisogni collegati al suo funzionamento. Questi bisogni si dilatano da quelli più diretti e

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ristretti della proprietà a quelli via via più ampi dei consumatori, dei lavoratori, dei fornitori di
beni e di capitali, dei membri della comunità d’insediamento.
Da ciò deriva il peso sempre maggiore delle relazioni e l’esigenza di ottenere un largo consenso
nell’ambiente. Non più, dunque, una visione di dominanza della proprietà nei confronti dei vari
soggetti interessati alla vita dell’impresa, ma sempre più una visione di compartecipazione e di
ricerca di alleanze utili al rafforzamento dell’organizzazione e allo sviluppo dell’attività
aziendale.

3. Le molteplici funzioni dell’impresa.

L’impresa, in sostanza, rappresenta una realtà complessa intorno a cui si sviluppa una rete di
rapporti non solo di scambio, ma anche di collaborazione, d’informazioni, di interessi. Essa,
infatti, svolge una varietà di ruoli nei confronti di chi vi partecipa, del mercato e dell’ambiente
socio-economico e costituisce, allo stesso tempo, una realtà sociale, giuridica, economica ed
organizzativa.
Qualsiasi impresa vive mediante una rete di rapporti interpersonali perché è mossa da uomini
che fanno parte della sua organizzazione e che debbono porre in essere contratti con altri
uomini (clienti, fornitori, finanziatori, ecc.). Per comprendere il suo funzionamento, occorre
dunque rendersi conto di come si sviluppano queste relazioni, da quali volontà ed interessi
vengono animate, perché portano a risultati così diversi da caso a caso. Il successo o, per
convesso, la crisi aziendale trova quasi sempre la sua origine nelle capacità o incapacità di
creare i rapporti giusti tra i vari interlocutori o <<stakeholders>> e nel governare tali rapporti
in modo favorevole allo sviluppo o, invece, producendo fenomeni involutivi all’organizzazione.
Il fenomeno <<impresa>>, ai fini dello studio dei comportamenti imprenditoriali, presenta tre
profili di maggiore rilievo, a ciascuno dei quali si collega un diverso ruolo.
Ogni azienda può essere infatti vista come:

a) Organizzazione economica;
b) sistema sociale;
c) struttura patrimoniale.

In quanto organizzazione economica, il suo scopo è il soddisfacimento di bisogni umani


mediante la messa a frutto di risorse rinvenibili in natura in misura limitata o comunque in
modo non idoneo a farle utilizzare tali quali.

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Si tratta della funzione economico – generale, che legittima il ruolo fondamentale da


essa assunto nello sviluppo economico.
Mediante l’organizzazione e il funzionamento di un apparato di imprese si generano delle
maggiori utilità per la collettività nel suo complesso, in virtù del principio di divisione e di
specializzazione del lavoro, che rende possibile un più razionale uso delle risorse esistenti e a far
sì che si generino diversi beni e servizi a favore della collettività.
Difatti, ogni impresa opera non solo a vantaggio della schiera, più o meno ampia, di clienti che
serve, ma contribuisce a far sì che altre aziende possano dedicarsi a soddisfare altri bisogni
attraverso dei processi produttivi specifici ottenuti tramite la specializzazione e dovrebbe
contribuire anche al miglioramento delle condizioni dell’ambiente socio-economico.
A tal proposito, un’impresa alimentare o tessile svolge una funzione che, sotto un profilo diretto,
si traduce nel concorrere a risolvere i problemi di nutrimento o di abbigliamento di certi
consumatori; ma che, in una visione più ampia, si riflette sul piano operativo in una
specializzazione dei compiti di produzione rispetto ad altre organizzazioni aziendali. In questo
risalta, appunto, l’insostituibile ruolo economico dell’impresa, la cui vitalità si dispiega a
beneficio dell’intera società.

Un secondo aspetto è quello dell’impresa quale sistema sociale. Sotto questo profilo essa adempie
ad una funzione, più limitata rispetto alla precedente, ma certamente non meno essenziale.
L’impresa, in quanto centro di coagulazione degli sforzi di un insieme di gruppi sociali, va vista
anche come distributrice della ricchezza creata, rappresentando uno strumento per il
soddisfacimento delle necessità soprattutto di coloro che operano al suo interno. La vita
aziendale si dipana, infatti, intorno ad una serie di rapporti di scambio, che investono non
soltanto i destinatari delle produzioni allestite, ma tutte le categorie che prendono parte,
direttamente o indirettamente, alle sue vicende. Per il suo funzionamento ha bisogno di risorse
ambientali, di forza lavoro, denaro, materie, macchinari, servizi, cioè deve rivolgersi alle
istituzioni, ai lavoratori, finanziatori, fornitori, ecc., per poter acquisire il complesso
differenziato di risorse di cui necessità. Tenendo tuttavia presenti soprattutto i gruppi interni, è
evidente che la funzione primaria è quella di rappresentare la fonte di lavoro e di sostentamento
per coloro che fanno parte della sua organizzazione.

L’impresa, infine, può essere vista quale struttura patrimoniale, ossia quale complesso di beni
organizzato e retto per lo svolgimento di processi produttivi. Questo aspetto richiama due
elementi impliciti nella vita di qualsiasi organismo aziendale: il capitale e la capacità
imprenditoriale. Supponendo che entrambi facciano capo alla stessa persona o gruppo, l’impresa
è l’emanazione di un imprenditore, cioè di qualcuno che impegna in essa le proprie sostanze e la
propria abilità professionale. Intesa, in questo senso, come intrapresa che richiede un
investimento di capitale a certi coefficienti di rischio, l’azienda deve soddisfare una funzione
tipica: la produzione di reddito.
L’impresa assume una molteplicità di funzioni in rapporto ai differenti ruoli da essa assunti nel
sistema economico-sociale. Tra le funzioni prima indicate c’è un rapporto di complementarità,
ciascuna delle quali è essenziale per l’espletamento delle altre e, quindi, per la continuità della
stessa vita aziendale.

Un’azienda che non sia in grado di inserirsi positivamente nell’ambiente e di soddisfare i bisogni
della collettività è un’organizzazione inutile, che non risponde a finalità economiche e che non
acquisisce alcuna legittimazione a sopravvivere. Così, un’organizzazione che non assicuri il
dovuto corrispettivo a quanti in essa operano è destinata a disgregarsi, non potendo rispettare

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alcuna condizione di equilibrio tra sforzi e risultati correlati al suo funzionamento. Infine,
un’azienda che non è in grado di generare un profitto di gestione, non può riuscire – sotto il
profilo puramente economico – ad alimentare i suoi processi di rinnovamento e sviluppo e, in
tempi più o meno lunghi, vede fuggire il capitale in essa investito, attratto da più fruttuose
opportunità di impiego (in termini di redditività).

Queste tre funzioni, dunque, sono strettamente legate perché se l’impresa trova il suo spazio nel
mercato, cioè soddisfa i bisogni dei consumatori, può remunerare i vari fattori della
combinazione produttiva. Ma tra di esse intercorrono anche dei rapporti antagonistici, nel senso
che il privilegiare una, comporta necessariamente una subordinazione delle altre. Complicata
appare, perciò, la ricerca di un equilibrio soddisfacente e durevole, in quanto la vita dell’azienda
si sviluppa soprattutto, anche se non esclusivamente, mediante la composizione di tensioni o
conflitti (da ciò la sua caratterizzazione come organizzazione cooperativo-conflittuale), che si
creano al suo interno e nei confronti dei gruppi esterni con i quali viene in contatto.

Un ordine di priorità tra le funzioni indicate è formulabile, ma notiamo subito ch’esso tende a
variare a seconda del punto di osservazione del fenomeno.
Se, infatti, la considerazione preminente è quella dell’interesse generale, la funzione primaria è
senz’altro di soddisfare nel miglior modo possibile i bisogni della collettività, producendo beni
idonei, per qualità e prezzo, alle esigenze degli utilizzatori e partecipando al miglioramento del
livello di vita della comunità. Nel caso, invece, di una valutazione incentrata sul ruolo particolare
dell’impresa come fonte di remunerazione per i partecipanti all’organizzazione, balza in
evidenza la funzione di assicurare il giusto corrispettivo soprattutto alla forza lavoro. Partendo,
infine, dal punto di vista imprenditoriale, la funzione più importante diviene quella di produrre
un reddito soddisfacente.
In realtà, le funzioni considerate rispondono ad interessi via via più limitati, da quelli della
collettività nel suo complesso, a quelli dei partecipanti all’organizzazione e, in ultimo, a quelli del
solo imprenditore, per cui, in una visione socialmente più corretta, il loro ordinamento dovrebbe
seguire la scala d’interessi descritta. In proposito, però, bisogna osservare che, nei periodi di
persistente crisi economica, sembra essere considerata preminente la funzione dell’impresa
come fonte di sostentamento per coloro che vi partecipano, poiché ad essa possono essere
temporaneamente sacrificate l’economicità e la redditività di gestione, esponenti sia pure
parziali delle condizioni di efficienza sociale ed economica dell’impresa stessa. Ciò risponde
l’obiettivo di salvare i posti di lavoro evitando la disgregazione dell’organizzazione e trova
anche una giustificazione morale nel fare sopportare le conseguenze della crisi a chi corre il
rischio d’impresa e che, pertanto, ha diritto di concorrere soltanto in via residuale alla
ripartizione della ricchezza creata.

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4. L’impresa quale sistema cognitivo.

Il concetto d’impresa può essere peraltro inquadrato anche in una nuova ottica, intesa a
privilegiare i fattori immateriali alla base del suo sviluppo. La teoria aziendalistica, soprattutto
negli ultimi due decenni, ha difatti rivolto maggiore attenzione all’aspetto <<intangibile>> delle
immobilizzazioni presenti nell’organizzazione dell’impresa, osservando che è proprio in esse che
si racchiudono le potenzialità di espansione del sistema aziendale. In altri termini, la vera
ricchezza di un’impresa non sarebbe costituita dal suo patrimonio materiale o tangibile
(impianti, macchinari, attrezzature, fabbricati, ecc), ma dalle sue risorse immateriali o
intangibili, connesse con l’immagine positiva nei confronti dell’ambiente, l’avviamento al
mercato, la capacità di produrre innovazioni.
Partendo appunto dall’idea che un’impresa dev’essere un centro di innovazioni (al fine di creare
un vantaggio competitivo e perdurare nel tempo) e che quest’ultime sono il prodotto
dell’intelligenza e non quello delle macchine, si tende dunque a definire l’impresa quale sistema
di conoscenze atto a produrre nuova conoscenza.
In effetti, la vita aziendale si muove secondo procedure ripetitive, frutto dell’esperienza
sedimentata nel tempo, e in virtù di fenomeni di cambiamento, indotti dalla capacità di tradurre
segnali di evoluzione lanciati dall’ambiente (mercato). (quest’ultimo aspetto deriva dalle
immobilizzazioni immateriali).
Questa capacità di adattarsi al cambiamento è legata all’accumulo del sapere e al formarsi di
valori di sviluppo secondo un processo autopropulsivo che sarà tanto più efficace quanto più
nell’organizzazione si potrà apprendere lavorando (learning by doing) e quanto più facilmente
s’incorporeranno e si trasmetteranno valori corretti di gestione nell’organismo sociale.
La quantità e qualità di conoscenza dell’impresa, è ovviamente legata al contributo degli uomini
che ne hanno fatto o ne fanno parte, perché in certa misura essa diviene patrimonio comune,
mediante quelle che possono essere definite le routine (procedure) organizzative (conoscenza
esplicita), mentre in altra parte è strettamente incorporata nella professionalità di coloro che
operano all’interno dell’organizzazione (conoscenza tacita).
La vera ricchezza di un’impresa è dunque il sapere condiviso e quello degli individui che per essa
lavorano: da entrambi questi elementi scaturisce il percorso di sviluppo dell’attività aziendale, il
cui contenuto va appunto dematerializzandosi in corrispondenza del prevalere dell’intelligenza
quale fonte di innovazioni e di flessibilità. Per conferire una maggiore incisività alla distinzione
tra vecchio e nuovo concetto d’impresa, si fa sovente ricorso al linguaggio dell’informatica, per
rilevare che al posto del concetto <<hard>> si va affermando il concetto <<soft>>
dell’organizzazione aziendale (9).

(9) E’ difatti nota la distinzione, in informatica, tra l’hardware e il software, ovvero tra le
macchine e i programmi. Come si è già anticipato, in effetti <<la natura dell’impresa non è tanto
quella di produrre in senso tecnico, ossia di fabbricare, ma la sua capacità di accumulare
esperienza, che le consente di scegliere tecniche produttive ed organizzative, e i comportamenti
più adatti ad affrontare le situazioni nuove che si creano. In altri termini, l’essenza di un’impresa
non sono le macchine né la forza lavoro, ma le sue conoscenze tecnologiche e di mercato. La
dimensione della conoscenza, associata alla capacità di utilizzarla efficientemente, determina la
dimensione d’impresa>>

Secondo quest’ultimo, l’immagine dell’impresa verso l’esterno e verso l’interno, i valori diffusi
nella struttura organizzativa, il know-how (10)

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(10) Il termine know-how può essere tradotto come <<bagaglio di esperienze posseduto per
realizzare determinati scopi>>.

accumulato nel tempo rappresentano il vero patrimonio aziendale.

Questa concezione, ancorchè di straordinaria importanza perché in linea con il mutamento dei
paradigmi consolidati, non deve tuttavia essere <<estremizzata>> nel senso di poter avallare il
concetto della cosiddetta impresa virtuale, (11)

(11) L’impresa virtuale è quella che dispone al suo interno solo di risorse immateriali (capacità
imprenditoriali, linguaggi, capacità di simulazione e di comunicazione) e che scambia con
l’esterno soltanto oggetti virtuali.

il voler contrapporre imprese <<reali>> e <<virtuali>> è, difatti, un espediente speculativo più


che un tentativo di classificazione di uno stesso oggetto.
In conclusione, l’impresa è definibile come un sistema complesso all’interno del quale
s’intrecciano elementi tangibili e intangibili, immobilizzazioni materiali e immateriali, mezzi
tecnici ed intelligenze, risorse finanziarie ed umane secondo un disegno finalizzato, in ogni caso,
alla produzione e diffusione di valore.

5. Gli aspetti tipici dell’impresa.

a) l’impresa è un sistema aperto perché vive in simbiosi con un ambiente esterno;


b) l’impresa è, allo stesso tempo, un’organizzazione economica e sociale;
c) l’impresa deve svolgere una triplice funzione in rapporto al suo essere organizzazione
economica, sistema sociale e struttura patrimoniale;
d) l’impresa, in quanto sistema cognitivo, deve produrre conoscenza per promuovere
l’innovazione;
e) l’impresa, quale sistema cooperativo-conflittuale, dev’essere gestita migliorando i
rapporti di collaborazione e riducendo le occasioni di conflitto con i suoi interlocutori.

Per chi gestisce un’attività aziendale appare chiara la complessità di una realtà che presenta
aspetti molteplici, a volte in contrasto tra loro. Da ciò derivano la difficoltà di gestione, la
necessità di spiccate risorse imprenditoriali per il governo aziendale, l’esigenza di esaltare le
capacità specifiche rispettando in ogni caso il contesto comunitario entro cui si svolge l’attività
aziendale.

CAPITOLO SECONDO

I RAPPORTI TRA L’IMPRESA


E L’AMBIENTE SOCIO-ECONOMICO

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1. I concetti di <<ambiente>> e <<mercato>>

L’impresa, quale cellula fondamentale del sistema economico e produttivo, vive all’interno di un
ambiente più vasto con il quale scambia risorse e, soprattutto, crea ricchezza. Questo ambiente
può convenzionalmente scomporsi in due contesti: il primo più direttamente legato alla sua
operatività; il secondo di carattere molto più ampio. E’ possibile così distinguere un micro-
ambiente, definito dai mercati con cui l’impresa attiva lo scambio delle risorse (in entrata e in
uscita), e un macro-ambiente da cu derivano le condizioni e i vincoli entro cui questo scambio
può verificarsi.
Il micro-ambiente, in funzione delle differenti transazioni attivate, può a sua volta essere
scomposto in altre due parti, che potremmo battezzare ambiente transazionale (scambi in
entrata) e ambiente competitivo (scambi in uscita).
Ogni impresa, a seconda dell’organizzazione che vorrà darsi, avrà difatti bisogno di attingere
Cerrte risorse dall’esterno, ovvero dovrà collegarsi con vari mercati di approvvigionamento
mediante un insieme di transazioni o atti di scambio. Il tipo di risorse per le quali ricorrerà al
mercato, attivando delle <<transazioni>>, dipenderà dalle comparazioni di convenienza
(articolate sotto vari profili) tra il produrre all’interno i materiali, le parti, i componenti, i servizi
da utilizzare per la produzione dei beni e il procedere al loro acquisto all’esterno. E’ chiaro che
più queste decisioni si orienteranno verso la prima soluzione, più si dilateranno i confini della
sua organizzazione e crescerà il suo grado di autonomia dal mercato delle forniture. Viceversa,
più si farà ricorso al mercato, più si amplierà l’ambiente transazionale con il quale dovrà
interessere le sue relazioni di scambio. E’ dunque intuibile che questa determinazione strategica
dei confini dell’organizzazione disegnerà l’ambiente transazionale, che diventerà di conseguenza
specifico per ciascuna impresa. – La teoria dei costi di transazione di COASE-WILLIAMSON,
costituisce la base teorica per la determinazione dei confini dell’impresa.
Ragionamento parallelo dev’essere fatto anche per l’ambiente competitivo, che dipenderà dalla
scelta dei mercati di collocamento e delle specifiche porzioni di mercato (segmenti e nicchie) a
cui cedere i beni e servizi prodotti. Anche in questo caso, sarà quindi l’impresa, con le sue
decisioni strategiche, a definire l’ambiente competitivo di riferimento. In sostanza, ogni azienda
opererà in stretto contatto con un micro-ambiente, inserito nel più vasto macro ambiente.
All’interno di questo micro-ambiente vi saranno dei contraenti a cui dovrà rivolgersi per
attingere delle risorse o per cedere dei prodotti. Questi soggetti o istituzioni, a loro volta, si
raggrupperanno in categorie, originando dei distinti <<mercati>> con i quali l’impresa dovrà
attivare un sistema di scambi commerciali. In termini economici, infatti, si ha un mercato in tutti
i casi in cui vi siano due o più contraenti disposti a scambiare fra di loro i beni rispettivamente
posseduti.
Ogni impresa, dunque, si collegherà con (v. figura 2.1):

a) il mercato del lavoro, costituito dall’offerta di risorse umane (manodopera non


specializzata e specializzata, quadri direttivi ed impiegatizi);
b) il mercato di produzione, composto dai produttori di materie prime, semilavorati,
impianti e macchinari, materiali di consumo e servizi utilizzabili per l’attività aziendale;
c) il mercato finanziario, rappresentato dal mercato mobiliare (Borsa Valori), dagli
intermediari finanziari e da altri prestatori di capitale;
d) il mercato di vendita, costituito dai potenziali acquirenti dei beni o servizi prodotti.

MICROAMBIENTE: definito dai mercati con i quali si realizzano relazioni di scambio di risorse o
di tipo competitivo. A sua volta si divide in:

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 Ambiente transazionale: è l’insieme dei mercati ai quali l’impresa farà ricorso per
approvvigionarsi delle risorse e servizi necessari per attivare i processi produttivi.
L’impresa può essere più o meno autonoma da tale ambiente a seconda se deciderà di
produrre all’interno ciò che prima acquistava sui mercati per la produzione di beni e
servizi. MERCATO DEL LAVRO da cui l’impresa trae risorse umane; MERCATO
FINANZIARIO da cui trae le fonti di finanziamento; MERCATO DELLA PRODUZIONE da
cui tra tecnologie, materie prime, semilavorati.
 Ambiente competitivo: dipende dalla scelta dei mercati di collocamento e delle
specifiche porzioni di mercato a cui cedere i beni e i servizi prodotti. MERCATO DI
VENDITA costituito dai potenziali acquirenti dei beni e servizi prodotti. In tali mercati si
realizzerà anche un confronto competitivo con i concorrenti.

2 L’ambiente quale contesto generale di riferimento per l’impresa

L’ambiente può essere inteso come il contesto socio-economico all’interno del quale l’impresa è
chiamata a svolgere le sue funzioni. Questo contesto è regolato da una serie di condizioni
politiche, legislative, sociali, culturali ed economiche, che determinano il sistema di vincoli-
opportunità entro cui dovrà trovare sviluppo l’attività aziendale.
L’ambiente, tuttavia, sul piano teorico può essere scomposto in quattro sub-sistemi generali, ai
quali si collegano successivamente dei sotto-sistemi di grado via via inferiore. I sub-sistemi
generali sono:

 il sistema o ambiente politico-istituzionale;


 il sistema culturale-tecnologico;
 il sistema demografico-sociale;
 il sistema economico.

Il sistema o ambiente politico-istituzionale è rappresentato dalla forma di governo e


dall’ordinamento legislativo prevalenti nel territorio considerato.
Esso esercita delle influenze di primaria importanza sulla vita dell’impresa, il cui ruolo e le cui
alternative di gestione possono essere più o meno fortemente vincolate dalle leggi, dagli
interventi e dai controlli dei pubblici poteri. In aggiunta, poi, a questi condizionamenti diretti
sussistono delle influenze indirette relative al rapporto fra sistema politico e sistema economico.
Il tipo di sistema economico è legato difatti al modello di organizzazione politica: nel passare da
regimi liberisti a regimi socialisti s’affermano, infatti, sistemi economici sempre più controllati
dall’autorità pubblica (più Stato meno mercato). Inoltre, forme diverse di governo si riflettono
sui rapporti internazionali, contribuendo ad ampliare o a restringere i mercati, con effetti
immediati sulle possibilità di sopravvivenza e di sviluppo delle imprese.
Poi, la regolamentazione pubblica determina, attraverso le leggi, l’imposizione fiscale, le norme
a tutela del lavoro, ecc., la cornice entro cui potranno prendere corpo le strategie aziendali (2)
(Il concetto di strategia può essere definito, per il momento, come <<comportamento
imprenditoriale di tempo lungo prescelto per il raggiungimento degli obiettivi aziendali>>.

infatti una forma di governo può ampliare o restringere i mercati con effetti immediati sule
possibilità di sopravvivenza e di sviluppo dell’impresa.

MACROAMBIENTE: è il contesto socio-economico all’interno del quale l’impresa è chiamata a


svolgere le sue funzioni. Questo contesto è regolato da una serie di condizioni politiche,

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legislative, sociali culturali ed economiche che determinano il sistema ti vincoli-opportunità


entro cui dovrà trovare sviluppo l’attività aziendale. Si po’ suddividere in 4 subsistemi:

1. Il sistema culturale tecnologico: può essere inteso, sotto il punto di vista culturale,
come il contesto entro cui s’affermano le manifestazioni tradizionali della vita materiale,
spirituale e sociale di un popolo. La cultura influenza sia coloro che operano all’interno
dell’impresa sia i gruppi esterni come i consumatori, fornitori. I suoi effetti non si
riflettono solo sul sistema di valori della società ma anche sull’avanzamento delle
conoscenza e sul migliore uso delle risorse disponibili.

L’ambiente demografico: è definito dalla struttura della popolazione residente e delle


relazioni fra gli individui e i gruppi che la compongono. La ripartizione per razza, religione,
classi di età, livello socio-economico, condizione professionale, la suddivisione per strati
sociali, i caratteri di cristallizzazione e di fluidità tra e all’interno dei singoli strati,
costituiscono i principali aspetti socio-demografici dell’ambiente in cui opera l’impresa.
L’aspetto demografico è divenuto ancora più importante in un’epoca nella quale si sono
affermate delle tendenze di profondo mutamento nella struttura della popolazione. Il minor
tasso di natalità e l’allungamento della vita media hanno difatti portato al progressivo
invecchiamento della popolazione, al cui interno tendono sempre più a pesare le classi degli
anziani nei confronti di quelle dei giovani. L’immigrazione, sempre più consistente dai Paesi
meno sviluppati, ha poi dato origine ad un contesto multirazziale e multietnico. Tutto ciò con
evidenti ripercussioni sui modelli di consumo, atteso che le classi più giovani sono quelle che
abitualmente esprimono maggiore dinamismo e differenziazione nei beni richiesti e
consumati e che gusti e preferenze si orientano diversamente anche in base alla razza,
all’etnia e al credo religioso.

L’ambiente economico coinvolge la sfera di rapporti che vede l’impresa quale protagonista
nei confronti dell’aggregato politico-sociale. Esso dev’essere inteso come il sistema generale
dell’economia, che regola la vita della collettività. L’ambiente economico va, pertanto,
distinto dal concetto di mercato, perché rappresenta il complesso delle macrovariabili
(produzione agricola, industriale, ecc.; prezzi e moneta; credito e investimenti; ecc.), che
compongono l’ordinamento economico prevalente in un certo ambito territoriale.
L’ambiente economico può differenziarsi sotto molteplici profili, fra i quali i più importanti
concernono il meccanismo di regolazione della vita economica e la proprietà dei mezzi di
produzione. In relazione al primo, si ha la distinzione fra le forme dell’economia di mercato e
di piano; mentre col secondo si distingue fra economie liberiste e collettiviste.
Per economia di mercato si intende un sistema a decisioni decentrate, regolato cioè dalle
leggi di mercato; per economia di piano ci si riferisce, invece, ad un sistema in cui le decisioni
sono prese solo al centro mediante l’elaborazione di piani governativi nazionali.
Nelle economie di mercato prevale il principio della libera iniziativa e quello della proprietà
privata dei mezzi di produzione, per cui si parla in questo caso di <<economie liberiste>>,
mentre nell’altro tipo di economia tutto è regolato dal piano, anche l’uso dei mezzi di
produzione, che sono prevalentemente di proprietà della collettività. In un’economia

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economia di mercato ( si intende un sistema di decisioni decentralizzato, regolato cioè


dalla legge di mercato); economia di piano (si intende un sistema di decisioni centralizzato
in cui vengono elaborati piani governativi nazionali. In riferimento al secondo profilo, si
parla di economie liberisteproprietà privata; economie collettiviste impresa funziona
come un organo dello stato e i mezzi di produzione appartengono alla collettività.
Recentemente si sono abbandonati questi tipi di economie per fare spazio ad un tipo di
economia d’intervento o mista.
--------I rapporti tra l’impresa, il micro-ambiente e il macro-ambiente.---------
L’impresa opera all’interno di un sistema di interrelazioni con le componenti esterne, micro e
macro ambientali. L’impresa non può sceglie il macro ambiente ma può definire i confini del
microambiente all’interno del quale operare.
Tuttavia l’impresa in aggregazione con altre imprese o una grande impresa possono rendere
entro certi limiti e entro certi versi il macro ambiente come una variabile, piuttosto come un
vincolo. Questo accade in quanto, ad esempio, una grande impresa possiede un potere economico
tale da incidere sul potere politico, tale potere viene definito: POTERE EXTRAMERCATO.
I rapporti impresa-ambiente sono definiti dal:
 Progresso tecnologico: che influenza in modo considerevole la struttura di un settore e
la posizione competitiva delle imprese; avendo la capacità di innalzare o abbassare
barriere all’entrata o all’uscita.
 Equilibrio economico internazionale: in un economia globalizzata ed interconnessa,
impatta sulla sicurezza degli scambi, sulla stabilità politica , modificando le
caratteristiche dell’ambiente socio-economico. Turbolenza, ostilità, diversità, complessità
e insicurezza appaiono i connotati ambientali che l’impresa deve imparare a
fronteggiare.

4. Gli effetti dell’internazionalizzazione e della globalizzazione.

Le modificazioni avvenute nell’ambiente negli ultimi anni hanno toccato tutti gli aspetti della
vita sociale, economia e politica. Il filo conduttore di questa evoluzione è stato senz’altro la
<<compressione>> del tempo e dello spazio.
La diffusione di mezzi sempre più veloci di trasporto di persone, cose e informazioni ha
attenuato o addirittura eliminato il fattore <<distanza>> e ha consentito di attuare il processo di
comunicazione in tempo reale. Inoltre, il superamento dei confini nazionali, avvenuto mediante
la creazione di aree di libero scambio, ha accresciuto la permeabilità delle economie nazionali
ed ha rapidamente portato ad una riorganizzazione del sistema produttivo su scala mondiale.
che ha determinato un ambiente turbolento che richiede un impresa flessibile ed efficiente.
La complessità del sistema economico è dovuta dall’:
 Internazionalizzazione dell’economia lo sviluppo mondiale degli scambi, la
diffusione sul piano internazionale delle informazioni, l’interdipendenza delle economie o
di blocchi di economie di più paesi hanno imposto alle imprese un respiro internazionale.
 Globalizzazione dei mercati si riferisce ad un mercato senza confini geografici,
piuttosto che ad un mercato mondiale omogeneo.

INDUSTRIA GLOBALE per intendere un settore produttivo all’interno del quale la posizione
competitiva di un’impresa di un certo Paese dipende dalla posizione competitiva che questa è in
grado di ottenere e mantenere all’interno di altri Paesi.

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Cap2
L’IMPRESA COME SISTEMA
IMPRESA organizzazione economica che, mediante l’impego di un complesso
differenziato di risorse, svolge processi di acquisizione e di produzione di beni e servizi,
da scambiare con entità esterne al fine di conseguire un reddito (principio della
marginalità).
Da questa definizione si ricavano 4 elementi distintivi dell’impresa:
 La presenza di un organizzazione.
 Lo svolgimento di processi di produzione.
 La relazione di scambio con entità esterne.
 La finalità imprenditoriale del reddito.
L’impresa è un SISTEMA, ossia un complesso interrelato di parti interdipendenti, operante in
stretto collegamento con altri sistemi, costituiti dall’ambiente esterno e dal mercato.
Il sistema si qualifica per:
 La molteplicità delle componenti.
 Interrelazione delle parti rispetto all’obiettivo da raggiungere.
 Il legame funzionale con il macro-ambiente.
 Il dinamismo del suo funzionamento.

NO! Sistema meccanico in quanto quest’ultimo considera l’azienda come un meccanismo


caratterizzato da un automatismo di funzionamento che non opera in stretta interrelazione con
sistemi esterni.
NO! Sistema biologico sebbene ci sono molte somiglianze:
 L’azienda è composta da una serie di organi specializzati ogn’uno in una specifica
attività e goni organo deve essere rifornito dagli altri di risorse.
 L’azienda inoltre deve adeguare la sua struttura e le sue strategie all’evoluzione
dell’ambiente e del mercato in cui opera.
Diversità:
 L’impresa può crescere e perpetuarsi al di la della vita del suo fondatore.
 Non presenta limiti oggettivi a prospettive di espansione.
 La sua crescita dipende solo ed esclusivamente da decisioni prese a livello conscio mentre
la crescita di un sistema biologico è indipendente dalle decisioni prese a livello conscio.
SI! L’impresa SISTEMA SOCIO-TECNICO DI TIPO APERTO: tale concetto pone in evidenza
che occorre non solo un’organizzazione del lavoro relativa all’impiego del fattore umano, ma
anche un organizzazione tecnica costituita da impianti, attrezzature e tecnologie produttive.
L’aspetto più rilevante è quello sociale poiché il funzionamento dell’azienda è legato all’operare
coordinato di una molteplicità di gruppi interni ed esterni all’organizzazione (stakeholders), tra
i quali si sviluppano rapporti di collaborazione e di contrasto.

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Visione sociale dell’impresa


la funzione dell’impresa non deve limitarsi a produrre beni e servizi utili per una certa
collettività di consumatori, ma deve necessariamente stendersi al miglioramento della qualità
della vita nel contesto in cui opera. In ciò si traduce il concetto di RESPONSABILITA’ SOCIALE
AZIENDALE (fondata sul contratto sociale che ogni impresa stipula con il contesto esterno per
definire obblighi e diritti connessi con il proprio funzionamento).
La responsabilità sociale di un impresa cresce in rapporto alle ricadute esercitate sul contesto in
cui opera ( ricadute occupazionali, d’investimento, di mercato, di partecipazione alla vita della
comunità di effetti inquinanti sull’ambiente).
Impresa ISITUZIONE SOCIALE A FINALITA’ PLURIME il cui compito è di creare valore in
senso ampio, non solo valore economico, ma anche valore sociale.
Le molteplici funzioni dell’impresa.
Il fenomeno impresa presenta 3 fenomeni di maggior valore:
 Organizzazione economica lo scopo dell'impresa è il soddisfacimento dei bisogni
umani mediante la messa a frutto di risorse rinvenibili in misura limitata.
 Sistema sociale l’impresa, in quanto centro di coagulazione degli sforzi di un insieme
di gruppi sociali, va vista anche come distributrice della ricchezza creata,
rappresentando uno strumento per il soddisfacimento delle necessità soprattutto di
coloro che operano al suo interno ma più in generale, a tutte le categorie che prendono
parte , direttamente o indirettamente, alle sue vicende.
 Struttura patrimoniale l’impresa può essere vista come un complesso di beni
organizzato e retto per lo svolgimento di processi produttivi. (l’impresa è l’emanazione di
un imprenditore che impiega tutte le sue risorse e abilità professionali per la produzione
del reddito)
Esiste una complementarietà fra le funzioni sopra indicate, ogni funzione è necessaria per
l’espletamento delle altre e per la continuità della stessa vita aziendale.
Tra queste funzioni è formulabile un grado di priorità, ma dipende dal punto di vista: interesse
generale soddisfare i bisogni della collettività; impresa fonte di remunerazione
funzione di assicurare il giusto corrispettivo soprattutto alla forza lavoro; punto di vista
imprenditoriale generare reddito. In caso patologico la seconda diventa preminente alla
prima.

IMPRESA QUALE SISTEMA COGNITIVO


Si da maggiore importanza alle immobilizzazioni intangibili che compongo un’azienda e non a
quelle tangibili in quanto le prime racchiudono le potenzialità di espansione del sistema
aziendale.
La capacità di svilupparsi attraverso l’innovazione, prodotto dell’intelligenza, contribuisce a
completare la definizione dell’impresa quale sistema cognitivo, ossia un sistema di
conoscenze atto a produrre nuove conoscenze, frutto della combinazione di esperienza
sedimentata nel tempo e di fenomeni di cambiamento continuo, indotti dalla capacità di
tradurre segnali di evoluzione lanciati dall’ambiente.
La quantità e qualità di conoscenza dell’impresa è legato al contributo degli uomini che ne
hanno e ne fanno parte, perché in certa misura essa diviene patrimonio comune, mediante quelle
che possono essere definite routine organizzative, mentre in altra parte è strettamente
incorporata nella professionalità di coloro che operano all’interno dell’organizzazione.
L’impresa diviene
un sistema complesso all’interno del quale s’intrecciano elementi tangibili ed intangibili,
immobilizzazioni materiali e immateriali, mezzi tecnici e intelligenze, risorse finanziarie
ed umane secondo un disegno finalizzato, in ogni caso, alla produzione e diffusione di
valore.

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Gli aspetti tipici dell’impresa:


 L’impresa è un sistema aperto perché vive in simbiosi con un ambiente esterno
 L’impresa è allo stesso tempo un’organizzazione economica e sociale
 L’impresa deve svolgere una triplice funzione in rapporto al suo essere organizzazione
economica, sistema sociale e struttura patrimoniale
 L’impresa in quanto sistema cognitivo deve produrre conoscenza per promuovere
l’innovazione
 L’impresa quale sistema cooperativo-conflittuale, dev’essere gestita migliorando i
rapporti di collaborazione e riducendo le occasioni di conflitto con i suoi interlocutori

Cap3
I PROTAGONISTI NELLA VITA DELL’IMPRESA: LA TEORIA DEGLI STAKEHOLDER
L’imprenditoreè il soggetto economico che decide di rischiare i propri capitali e di dedicare
le sue capacità professionali alla produzione di beni e servizi da cedere a terzi.
Secondo Schumpeter, imprenditore (colui che innova) deve avere le seguenti qualità:
 Capacità di previsione, razionalità consapevole, intuito .
 Spirito d’iniziativa, forte volonta, libertà intellettuale .
 Autorevolezza e capacità di leadership nei confronti dei collaboratori .
L’imprenditore cioè deve essere capaci di formulare valutazioni e prendere decisioni differenti
da quelle di altri individui, che operano con obiettivi comparabili e in circostanze analoghe,
possono assumere. Questo perché dispone di un migliore accesso alle informazioni e perché è in
grado di interpretarle meglio.

L’imprenditorialità è l’attitudine ad L’efficacia è il valore proprio dell’


assumere decisioni rischiose finalizzate imprenditorialità, intesa quale intuizione
all’innovazione dei comportamenti aziendali. decisionale di chi governa a livello più elevato
il sistema aziendale

La managerialità è la capacità di sviluppare L’efficienza è il valore proprio


le decisioni imprenditoriali e di attuarle in della managerialità, intesa quale attitudine a
modo razionale realizzare il massimo rendimento
nell’attuazione delle scelte aziendali

ORGANI DELIBERANTI: : Esercitano prevalentemente attività decisionale e si differenziano per


l’ampio potere discrezionale esercitato nel compimento della loro attività. Essi si possono
dividere in 3 gruppi:
 Organi di proprietà azionisti
 Organi di amministrazione amministratori
 Organi di direzione dirigenti
Il processo decisorio assume caratteristiche differenti da caso a caso ma i requisiti necessari
sono(AUTORITA’ FORMALE SOSTANZIALE): autorità (potere riconosciuto nell’ambito della
struttura), abilità professionali, disponibilità delle informazioni, e capacità di controllo
delle decisioni assunte.
ORGANI DI CONTROLLO: proposti al controllo dell’attività
ORGANI ESECUTIVI: danno attuazione alle disposizioni degli organismi deliberanti.
Non accade sempre che i protagonisti della gestione siano gli organi investiti ufficialmente di
particolari poteri in quanto in certi casi l’autorevolezza prevale sull’autorità. Ad esempio organi
di staff e consulenza prendono il sopravvento prendendo decisioni di leadership.

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Teoria degli stakeholders


l’impresa si pone al centro di una serie di rapporti con differenti gruppi sociali, rispetto ai quali
attiva relazioni di scambio, di informazione, di rappresentanza. Questi gruppi finiscono per
costituire dei veri e propri interlocutori dell’impresa o portatori di interessi (detti anche
stakeholder), che influenzano e sono influenzati dall’attività dell’impresa stessa.
L’individuazione di un ampio gruppo di stakeholders fa comprendere la necessità di rispondere
positivamente alle pressioni da essi scaturenti, salvaguardando l’equilibrio generale di gestione.
Tra i vari gruppi di stakeholders vi saranno interessi convergenti e contrapposti, per cui si
formano coalizioni più o meno forti con i quali chi amministra deve misurarsi.
L’imprenditore quale primo degli stakeholders, deve individuare tutti gli stakeholers, stabilire il
peso relativo, valutare gli interessi e orientare la mission dell’impresa tenendo conto anche di
queste ultime informazioni.
STAKEHOLDERS PRIMARI: destinati ad esercitare un ruolo più diretto e immediato nella
gestione aziendale. (si collegano all impresa medante contratti: lavoratori, fornitori,
finanziatori)
STAKEHOLDERS SECONDARI: in grado di influenzare i comportamenti di lungo termine,
potendo incidere soprattutto sul clima sociale delle relazioni aziendali. (le istituzioni, gli
ambientalisti, le associazioni dei consumatori, …)

L’importanza nel governo dell’impresa, dell’individuazione e classificazione degli


stakeholders.
Non in tutte le imprese la composizione e il ruolo degli stakeholders assumono identiche
caratteristiche. In base all’attività esercitata, all’organizzazione e alla natura della proprietà,
alla dimensione della struttura, alle condizioni dell’ambiente in senso generale, alcuni
interlocutori possono acquisire una maggiore o minore rilevanza.
Bisogna rispondere a 5 quesiti ai fini del successo aziendale:
 Quali sono i gruppi portatori di interessi con cui l’impresa deve misurarsi
 Quali sono gli interessi in gioco
 Quali opportunità o sfide questi portatori creano per l’impresa
 Quali responsabilità l’impresa ha verso di essi
 Quali strategie o politiche dovrebbero essere adottate dall’impresa per rispondere alle
sfide e alle opportunità legate ai suoi portatori d’interessi
Obiettivo dell’individuazione degli stakeholder è stabilire come gestire i relativi rapporto,
valutando l’atteggiamento che potrà derivare da ciascuno di essi.
CRITERI DI VALUTAZIONE DEL GRADO DI IMPORTANZA DEGLI STAKEHOLERS:
 POTERE Poteri da essi detenuto in virtù del ruolo ricoperto dalla società
 LEGITTIMAZIONE riconoscimento ufficiale della loro funzione di rappresentanza di
particolari interessi o soggetti economici, sociali e politici.
 ATTUALITA’ DELL’INTERESSE DIFESO urgenza della risposta da parte aziendale e
la criticità che tale risposta assume nel particolare momento della vita dell’impresa.

STAKEHOLER AMICHEVOLI: dai quali si può ottenere un sostegno decisivo per l’attività
d’impresa COINVOLGIMENTO
STAKEHOLER AVVERSARI. Dai quali potrebbe generarsi difficoltà sostanziali per l’attivita
aziendale DIFESA
STAKEHOLER NON ORIENTATI: da cui si potrà avere, a seconda dei casi, un sostegno o un
atteggiamento negativo COLLABORAZIONE
STAKEHOLER MARGINALE: il cui peso neo confronti dell’impresa risulta del tutto modesto
MONITORAGGIO.

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La TEORIA DELL’AGENZIA si riferisce alla situazione in cui il potere di amministrazione


aziendale è esercitato da un manager (agent) su mandato ricevuto dalla proprietà (principal).
In questa situazione, l’agente deve assicurare una congrua remunerazione alla proprietà e ciò
potrebbe avvenire anche sacrificando obiettivi di lungo periodo o addirittura riducendo il
patrimonio aziendale.
Pertanto, si riduce (o addirittura annulla) il carattere residuale della remunerazione della
proprietà.

Cap4
LE MOTIVAZIONI DEI PARTECIPANTI ALL’IMPRESA E LE TEORIE SULLE FINALITA
IMPRENDITORIALI.
Bisogna promuovere un vero processo d’integrazione o di vera e propria fusione tra gli obiettivi
aziendali e quelli individuali; di primaria importanza sono gli obiettivi imprenditoriali perché le
finalità che egli persegue condizionano quelle degli altri soggetti, interni ed esterni.
L’impresa è l’espressione di una volontà imprenditoriale, tesa all’ottenimento di determinate
finalità. Quindi l’impresa ha delle funzioni da svolgere, piuttosto che delle finalità da
raggiungereL’impresa in quanto tale non ha proprie finalità; i fini sono il frutto delle decisioni
di coloro che la governano.
Per capire le finalità del soggetto economico bisogna distinguere tra imprenditore classico
(proprietario) ed imprenditore delegato (manager).
Teorie classiche sulle finalità imprenditoriali.
TEORIA DELLA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO (imprenditore classico).
Secondo tale teoria il PROFITTO può essere definito in svariati modi:
 Il corrispettivo che spetta all’imprenditore per l’organizzazione dei fattori
produttivi (teoria economica classica).
 La quota destinata a ripagare il rischio corso nell’attività aziendale il profitto si
legittima soprattutto per il rischio connesso con l’investimento di capitale.
 Il premio che spetta a colui che promuove l’innovazione Schumpeter sostiene
inoltre che il profitto, in quanto frutto dell’abilitò innovativa di chi governa l’impresa, non
rappresenta una categoria stabile nella vita aziendale, ma si legava a particolari
circostanze di mutamento dei prodotti, delle strutture, delle procedure tecnologiche etc.
tali da assicurare una posizione di vantaggio nei confronti della concorrenza.
 Il risultato dell’imperfezione del mercato da cui si origina l’acquisizione di
posizione monopolistiche il profitto è subordinato a certe condizioni esterne, poiché,
nell’ipotesi di mercati imperfetti, finirebbe con lo sparire.
Il profitto in sé e per sé non è suscettibile di negazione, né perde la sua ragione di essere in
rapporto alla natura giuridica della proprietà (azienda privata o pubblica) o al tipo di economia
(collettivista o di mercato). Quello che si può porre in discussione è la MISURA secondo cui
dovrebbe essere lucrato e la sua DISTRIBUZIONE.
Secondo la teoria classica, gli organi di governo sono orientati a scegliere tra le
alternative possibili quella suscettibile di produrre il maggior reddito(massimizzare il
risultato reddituale ottenibile dall’attività di gestione). Per la sua applicazione e per conferire un
valore applicativo alla teoria in modo da poter effettivamente spiegare le motivazioni del
comportamento imprenditoriale, vanno introdotti il fattore TEMPO (brve-lungo termine) e
il fattore RISCHIO(livello di rischio). Il rischio è sinonimo di operare in continue condizioni di
incertezza che in un certo qual senso impedisce la massimizzazione del profitto.
Il limite di tale teoria consiste nel fatto che l’impresa deve rispondere alle esigenze di tutti i
gruppi sociali con cui l’impresa entra in contatto.

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LA TEORIA DELLO SVILUPPO E DELLA SOPRAVVIVENZA AZIENDALE (imprenditore


delegato)
Il fine del gruppo imprenditoriale è quello di assicurare la continuità dell’organismo
aziendale. Il profitto assume un ruolo strumentale rispetto alla sopravvivenza in quanto serve
ad irrobustire la struttura patrimoniale dell’impresa, inoltre si rifiutano attività gestionali con
coefficienti di rischio che possono porre in pericolo la vita dell’organizzazione.

Drucker ha proposto di misurare il raggiungimento della sopravvivenza sulla base di obiettivi


legati a 5 aspetti fondamentali:
 Posizione occupato nel mercato rapporto di forza o di debolezza nei confronti della
concorrenza;
 Capacità di innovazione capacità di adeguare costantemente le tecnologie utilizzate
e i prodotti realizzati;
 Risorse umane professionalità del personale;
 Risorse finanziarie disponibilità dei mezzi da impiegare nel finanziamento degli
investimenti e del capitale circolante;
 Redditività dell’impresa in quanto fonte dello sviluppo e dell’incremento di
patrimonialità dell’impresa.
(Golbraith ha sottolineato che l’obiettivo della sopravvivenza trova la sua prima condizione di
verificazione nell’autonomia decisionale della struttura direzionale di governo, tecnostruttura)
In questa teoria si inseriscono elementi attinenti alla motivazione dei manager, tra le quali
soprattutto quelle di aspirare alla sicurezza e al prestigio, che portando a privilegiare i fini della
continuità e dello sviluppo aziendale.

TEORIA DELL CREAZIONE E DIFFUSIONE DEL VALORE (classico e delegato)


La finalità della creazione di valore risponde agli obiettivi di tutti i partecipanti all’impresa e
non solo a quelli dell’imprenditore o del manager.
La teoria del valore sostiene che la finalità da assegnare alla gestione è quella di far crescere il
valore economico dell’impresa. Con essa la visione dei risultati aziendali è orientata al futuro
perché ciò che conta non è il differenziale positivo tra ricavi e costi (profitti), ma le potenzialità
di produrre risultati sempre migliori.
Cio che deve essere massimizzato sono le potenzialità reddituali dell’impresa.
Creare valore vuol dire accrescere la dimensione del capitale economico, cioè in breve il valore
dell’impresa intesa come investimento.
Si può introdurre quindi la TEROIA DEL VALORE AZIONARIO la quale si collega al concetto
patrimoniale dell’impresa vista più come un valore reale piuttosto che come fonte di un futuro
valore reddituale. Tale teoria induce a preferire scelte tese a massimizzare il valore del capitale
azionario: agendo in questo modo l’impresa diventa più appetibile, affidabile, conferirebbe
maggiore prestigio e quasi sempre assicurerebbe migliori retribuzioni a chi la governa.
L’esempio più palese si ha nelle public company.

All’imprenditore gestore interesserà la redditività di lungo termine e non la massimizzazione dei


vantaggi per gli azionisti, quindi egli sceglierà la condotta che consentirà di massimizzare le
potenzialità reddituali dell’impresa.

LA TEORIA MANAGERIALE DELLO SVILUPPO DIMENSIONALE (imprenditore delegato)


Secondo tale teoria, i manager sono più interessati all’espansione dell’impresa, perché
quest’ultima si traduce sempre in un irrobustimento dell’organizzazione, nell’assunzione
di una maggiore forza nei confronti della concorrenza, e nell’ incremento delle

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retribuzioni ai livelli più elevati di direzione. Si riescono ad ottenere simultaneamente


obiettivi di:
 Stabilità
 Prestigio
 Miglioramento economico

Tutto ciò contribuirebbe a favorire comportamenti imprenditoriali tendenti a:


 Ampliamento del volume d’affari (fatturato) rispetto a quello dei profitti globali.
(tesi di Baumol: il gruppo di governo tende a massimizzare il fatturato perché questo è
l’indicatore del suo successo, perché consente di migliorare gli sviluppi di carriera di tutti
i dirigenti, perché facilita i rapporti con le banche, i fornitori, il personale dell’impresa).
 Le imprese mirano a realizzare il flusso di profitti che consente di finanziare il
massimo sviluppo delle vendite nel lungo periodo. (il massimo sviluppo delle
vendite è inteso come migliore combinazione tra quantità da vendere e prezzi di vendita
che massimizza il volume d’affari dell’azienda)
La teoria della crescita sostenibile afferma che il comportamento dell’imprenditore si deve
basare sullacrescita del profitto; aumento dell’autofinanziamento; incremento degli
investimenti.

LA TEORIA DEI LIMITI SOCIALI ALLMASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO (classico)


La vita aziendale si svolge entro un complesso di vincoli, più o meno rilevanti, a seconda delle
influenze interne ed esterne alla gestione. L’impresa rappresenta un organizzazione cooperativa,
la cui vita è contrassegnata, però da situazioni potenziali di conflitto d’interesse.
Conflitto esterno consumatori, concorrenti, fornitori, distributori e organi della pubblica
amministrazione
Conflitto interno forza lavoro conferenti il capitale. Possono essere generate soprattutto dalle
modalità di distribuzione dei ricavi fra le varie categorie sociali legate all’azienda e dalle
modalità di prestazione del lavoro.
Nel caso di conflitti esterni, le opportunità di risoluzione sono molteplici sulla base del rapporto
di forza esistente tra l’impresa e le altre organizzazioni economico-sociali con cui entra in
contatto; mentre nel caso di conflitto interno tali opportunità sono davvero limitare, si pensi ai
conflitti di lavoro.

Come può un impresa modificare il profitto?


 Aumentare i ricavi si agisce sull’aumento del prezzo che provoca un opposizione dei
consumatori in relazione all’elasticità della domanda; o si agisce sulla quantità dei beni
venduti che determinerà la reazione dei concorrenti.

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 Diminuire i costi abbassamento del costo unitario (ridurre la remunerazione del


lavoro che trova l’opposizione dei gruppi sociali quali i lavoratori, i finanziatori, i
distributori e difficilmente l’impresa potrà ottenere vantaggi economici consistenti e
durevoli) impiego in una quantità minore di risorse ( una riduzione della quantità si
ripercuote sui ricavi, mentre per gli oneri fiscali una riduzione della quantità configura
un comportamento illecito.
Come può l’imprenditore incrementare il profitto?
Lo può fare se vengono meno una delle condizioni sopra citate oppure solo mediante
l’innovazione l’imprenditore può aspirare a migliorare o almeno difendere la propria posizione
reddituale.
COSTI ORGANIZZATIVI progettazione, controllo e adattamento alle strutture, procedure e
tecniche di ordinamento del lavoro direzionale ed esecutivo
COSTI DI RICERCA E SVILUPPO sono relativi all’individuazione di nuove opportunità
tecnologiche, di mercato, o alla creazione dell’immagine e all’avviamento commerciale.
Questi costi vanno considerati sotto due aspetti:
1. Costi sganciati da uno specifico gruppo sociale e, in quanto tali, comprimibili con minore
difficoltà da parte dell’impresa
2. Fattori di economicità e di maggior ricavo per l’impresa e, in quanto tali, non
comprimibili se non a deterioramento della produttività e della redditività aziendale di
lungo periodo.
Per risolvere un’alterazione dell’equilibrio strutturale tra i costi e i ricavi si può procedere
mediante un riadeguamento dei ricavi dovuto all’aumento della quantità venduta dei vari
prodotti. Quindi all’impresa conviene ricercare occasioni di espansione del volume d’affari nel
mercato in cui opera o in mercati nuovi, vale a dire percorrere la via dell’innovazione. Tale
ragionamento conduce a 3 considerazioni:
1. L’equilibrio tra costi e ricavi è difficilmente modificabile in assenza di innovazioni nella
gestione.
2. Le innovazioni nell’organizzazione e nel mercato richiedono il sostenimento di costi, che,
invece, sono solitamente ridotti in periodi di crisi aziendale.
3. Il profitto è una quantità residuale che risente delle situazioni di crisi, data la rigidità
delle altre grandezze economiche e l’assenza di processi innovativi.
È possibile, dunque, concludere che:
REDDITO è il risultato che deriva da accordi di cooperazione e dalla composizione di
conflitti interni ed esterni e che la sua misura non è mai liberamente determinabile
dall’imprenditore. Il fine del massimo profitto diviene, cosi, il fine del massimo risultato
possibile.
La teoria sociale alla massimizzazione del profitto mette in rilievo l’aspetto conflittuale
dell’organizzazione aziendale che è un coalizione di tipo particolare perché tra i suoi
componenti intercorre un duplice rapporto di collaborazione-contrapposizione. Quindi la
massimizzazione del profitto incontra 2 vincoli:
 Quello sociale
 Quello dei limiti di conoscenza in ordine all’evoluzione dell’ambiente e dei mercati.
Secondo la teoria di Simon: l’imprenditore tenderebbe ad un profitto soddisfacente e non
massimo. Bisogna individuare le alternative soddisfacenti, più che quelle ottimali.

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TEORIA DEL SUCCESSO SOCIALE (imprenditore classico)


Le finalità

dell’imprenditore
appaiono, in ordine

VALORI ECONOMICI
Economiche

PRESTIGIO

crescente d’importanza, quelle di assicurare la sopravvivenza dell’impresa (mediante il


Etiche del fondamentale PROFITTO POTERE
perseguimento equilibrio economico tra costi e ricavi), di affermarsi
nell’àmbito della classe sociale di appartenenza e di assumere posizioni VALORI ETICI
di preminenza
nella comunità. Tale definizione fa riferimento alla scale dei bisogni teorizzata da Maslow:
pone in ordine di successione: 1) i bisogni di sopravvivenza
BREVE TEMPO 2) di sicurezza 3) di socialità 4)di
LUNGO
affermazione 5)autorealizzazione
L’imprenditore in altri termini tenderebbe al successo ed esso sarebbe rappresentato dai
risultati raggiunti dall’impresa e dal ruolo che, con esso, si riuscirebbe a conquistare rispetto ai
concorrenti e, più in generale, all’interno della comunità.
Il fine economico può e deve divenire un mezzo per il raggiungimento di obiettivi morali e
sociali.
In base a tale teoria le finalità imprenditoriali si possono ordinare: (le 3 P)
1. PROFITTO si troverebbe in posizione strumentale che consentirebbe all’impresa di
svilupparsi rispetto la concorrenza, preservando il fondamentale equilibrio economico.
2. POTERE di mercato “”
3. PRESTIGIO finirebbe per essere il traguardo di più elevato valore
Tale combinazione sarebbe rappresentativa del successo sociale ottenuto dall’imprenditore
mediante il successo della sua impresa.
TEORIA DELLA MOBILITA’: è applicabile per l’imprenditore delegato in quanto spesso il
successo dell’impresa dovrebbe, attraverso la mobilità consentirgli l’affermazione sociale. Non
essendoci lo stesso grado di immedesimazione tra l’impresa e il manager (rispetto
all’imprenditore proprietario), il successo aziendale potrebbe essere visto come una finalità
intermedia o strumentale per il passaggio ad aziende di maggiore importanza.
L’imprenditore meno visibile e meno integrato a cui apparirebbe meglio riferibile la teoria
della massimizzazione del valore economico dell’impresa nel tempo lungo

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Conclusione:
la soluzione di dilemmi morali, che sono propri di sistemi d’interessi differenziati, sulla base di
principi che attingono anche al campo dell’etica aziendale, si rivela, oggi, quale fattore
caratteristico di una superiore interpretazione della funzione imprenditoriale

Cap5
LA GESTIONE STRATEGICA
Gestire un impresa vuol dire governarla cioè amministrare i vari fattori di produzione impiegati
per il suo funzionamento e significa soprattutto assicurarle la sopravvivenza e lo sviluppo
mediante la creazione di equilibri economici, patrimoniali e finanziari.
Gestioneè un complesso di decisioni e di attività svolte dall’impresa per raggiungere le
finalità dei soggetti coinvolti appunto nella sua operatività.
Scelte:
 STRATEGICHE si collegano direttamente al raggiungimento degli obiettivi
imprenditoriali.
 TATTICHE concernenti le modalità di impiego delle risorse.
 OPERATIVE necessarie per procedere materialmente alla loro attuazione.
Si viene a creare cosi una gerarchia di scelte.
La STRATEGIA definisce con quale o con quali contesti specifici l’azienda entrerà in contatto,
pur rimanendo collegata all’ambiente in senso generale; in altro modo potremmo dire che
definisce i rapporti con l’ambiente, cioè con il contesto entro cui opera l’impresa e che
comprende il sistema politico-istituzionale, economico, culturale e socio-demografico, ma
risponde ad obbiettivi anche più specifici di scegliere l’ambiente competitivo e transazionale di
riferimento dell’azienda.
La GESTIONE STRATEGICA è la gestione tipicamente imprenditoriale impostata su scelte di
fondo riguardanti gli obiettivi e l’impiego delle risorse aziendali.
STRATEGIA.
Nei confronti dell’evoluzione dell’ambiente esterno, l’imprenditore può adottare differenti
atteggiamenti:
 ATTEGGIAMENTO DI ATTESA risposta al verificarsi di cambiamenti ambientali.
(consiste nell’aspettare il verificarsi di fenomeni evolutivi nel mercato o nel più vasto
contesto, macro-ambiente, in cui questo è compreso, per promuovere gli opportuni
adattamenti alla gestione)
 ATTEGGIAMENTO ANTICIPATORIO risposta anticipata rispetto a cambiamenti
previsti. (Si traduce nell’attuazione di uno sforzo costante di previsione dei mutamenti
ambientali, allo scopo di poter realizzare, in modo anticipato e tempestivo, le necessarie
modifiche nei comportamenti di gestione)
 ATTEGGIAMENTO PRO-ATTIVO induzione dei cambiamenti nell’ambiente. (Che si
concentra nella promozione di azioni tendenti ad influire l’ambiente, macro e micro
ambiente, nella direzione più favorevole alle prospettive di sviluppo aziendale).
Da questi atteggiamenti si possono suddividere 3 diversi modelli gestionali:
1. Configura un attegiamento di comportamento quasi esclusivamente ripetitivo, in cui le
azioni di adattamento sono una conseguenza delle variazioni ambientali.
2. Schema difensivo, in cui le decisioni di mutamento rappresentano una risposta
anticipata alla presumibile modificazione del contesto esterno.
3. Si caratterizza come un modello di sviluppo fondato sull’ innovazione quale sforzo
autonomo, promosso dall’impresa in vista del conseguimento di obiettivi strategici e di
mutamento dei rapporti con l’ambiente.
L’elemento che denota il grado di avanzamento del processo di gestione aziendale è
rappresentato dall’intento o orientamento strategico delle decisioni imprenditoriali. La

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formulazione di piani strategici consente di inquadrare più correttamente le relazioni tra


imprese e l’ambiente, secondo quel rapporto di interdipendenza che è stato più volte sottolineato
in precedenza.

Definizione di STARTEGIA:
 un disegno elaborato dall'imprenditore, che individua le direttrici da seguire per
raggiungere determinate mete (obiettivi).
 è il mezzo per conseguire traguardi di tempo non breve (lungo termine), definiti in
funzione dell’evoluzione del rapporto tra l’impresa e l’ambiente nel quale questa opera
 si caratterizza per tre elementi fondamentali: 1) la formulazione a livello alto
direzionale; 2) la proiezione a lunga scadenza; 3) la priorità dei traguardi da
raggiungere.

Strategia complessiva: scelta della/e aree d’affari in cui operare che può essere di sviluppo o di
mantenimento delle posizioni già acquisite, ma devono stabilire anche i comportamenti da
assumere nei confronti della concorrenza in ciascuna delle aree d’affari.
Strategia competitiva: come competere in ciascuna delle aree d’affari definiscono gli obiettivi e
le politiche da adottare per fronteggiare la concorrenza e acquisire la clientela, puntando sui
vantaggi competitivi perseguibili.
Strategia funzionale: modalità di attuazione nelle diverse funzioni di gestione operativa
(vengono definite anche strategie operative).

N.B non bisogna dimenticare che c’è una stretta interrelazione tra i vari piani strategici in
quanto le scelte più generali possono dipendere da una particolare strategia funzionale che
influenza la strategia competitiva ed induce ad entrare in un mercato.

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POLITICHE rappresentano gli strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di lungo


termine fissati dall’imprenditore, inoltre si caratterizza per il più limitato campo di riferimento
(le aree funzionali) per il maggior grado di analisi rispetto alle scelte strategiche.

Cap6
RAPPORTO TRA STRATEGIA CPMPLESSIVA E STRATEGIA COMPETITIVA
Pur sussistendo un rapporto gerarchico tra strategie complessive e quelle competitive, saranno
sempre queste ultime che influenzeranno le prime . la strategia complessiva verrà cosi a
configurarsi quale risultato ultimo delle strategie competitive applicabili con successo a più
settori merceologici, in più zone geografiche , in più segmenti o porzioni di mercato.
I PARADIGMI PER LA DEFINIZIONE DELLA STRATEGIA COMPETITIVA.
Nella determinazione delle scelte strategiche peseranno congiuntamente fattori legati
all’ambiente esterno e fattori correlati alle risorse che l’impresa già possiede o può acquistare
senza particolari ostacoli. Molto importanti sono i rapporti impresa-mercato per la
determinazione delle strategie.
 PARADIGMA STRUTTURALISTA (struttura-condotta-performance) la struttura del
mercato incide sul comportamento delle imprese e questo, a sua volta, influenza il risultato
(performance) della gestione aziendale.
 PARADIGMA COMPORTAMENTISTA (condotta-struttura-performance) è il
comportamento delle imprese che influenza la struttura del settore. Le trasformazioni
ambientali si determinano (anche) per effetto dei comportamenti innovativi promossi dalle
imprese. Quindi sono le condotte aziendali che influiscono sulla struttura del mercato ed in
base all’adattamento delle strutture, le imprese producono i propri risultati.
 PARADIGMA FONDATO SULLE RISORSE (risorse-condotta-performance) sono le
risorse specifiche possedute dall’impresa che sostengono le condotte capaci di generare
cambiamenti settoriali che, modificando le regole del gioco, migliorano le probabilità di
successo competitivo.
 PARADIGMA FONDATO SULLA CONOSCENZA (conoscenza-capacità-performance)
sono le conoscenza, prodotte dall’interazione sociale, che si accumulano nell’impresa e
producono capacità in grado di ispirare condotte suscettibili di generare successo
competitivo.
TEORIA DELL’EVOLUZIONE ECONOMICA avrebbe la sua matrice proprio nel
comportamento innovativo delle imprese (rif. paradigma comportamentista).
N.B (l’ampiezza e l’intensità del ruolo giocato dall’impresa si legano non solo alle sue
caratteristiche ma anche all’effettiva possibilità di incidere sul settore o spazio di mercato in cui
dovrebbe collocarsi).
RESOURCE-BASED TEORY: studia le strategie aziendali partendo dal concetto di risorse intese
in senso statico (stock già posseduto) e dinamico (capacità di acquisire e sfruttare nuove
risorse).
L’impresa si può altresì definire come sistema dinamico di risorse e capacità, posto in essere per
la creazione di conoscenze.
IL MODELLO DELLA CONCORRENZA ALLARGATA SECONDO PORTER.
L’attrattività di un settore deve essere valutata analizzando le 5 forze competitive (Porter),
ampliando cioè l’analisi della concorrenza anche a quella potenziale.

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Le cinque forze determinano il livello di intensità competitiva e condizionano le possibilità di


profitto, che in un’ottica di medio lungo termine, le imprese del settore possono conseguire.

Secondo Porter: la scelta di mercato è guidata non solo dalla relativa attrattività, cioè dalle
tendenze espansive della domanda e dai margini lucrabili, ma anche dalla posizione competitiva
che essa potrà assumere, cioè dalle situazioni di vantaggio che sarà in grado di acquistare
rispetto la concorrenza e che le assicureranno la conquista di una soddisfacente quota di
mercato.
Per valutare l’intensità della concorrenza in un determinato settore (e, dunque, il suo grado di
attrattività) non basta considerare i concorrenti attualmente presenti, ma occorre estendere
l’analisi anche alla concorrenza potenziale (diretta e indiretta) e valutare il potere contrattuale
di fornitori e clienti.
LE BARRIERE ALLA CONCORRENZA:
 ESTERNEquando impediscono l’ingresso di nuovi competitori.
 INTERNE quando tutelano la posizione di ciascun produttore nei confronti delle azioni
espansive degli altri produttori presenti nel mercato.
Per valutare la possibilità di superare tali barriere, occorre conoscere se esse si colleghino:
 Economie di scala, di apprendimento, di scopo e di relazioni.
 Disponibilità di brevetti/ know-how
 Controllo di fattori produttivi essenziali (possesso di risorse non appropriabili)
 Differenziazione dei prodotti

ECONOMIE DI SCALA fenomeno di abbassamento dei costi unitari di produzione e di vendita


al raggiungimento di determinati volumi di operazioni ottenibili non solo nella fase tecnica ma
anche in quella di approvvigionamento.
 Barriere promozionali o distributive l’ingresso nel mercato è reso difficile dalle
economie di scala nel processo di vendita, data la necessità di un rilevante sforzo
finanziario ed organizzativo per acquisire la quota di mercato capace di garantire la
redditività dell’investimento.
 Economie di scala d’impianto derivanti dalla taglia di ciascun impianto, afferiscono
al processo di produzione dei beni e sono funzione della dimensione del singolo impianto.
 Economie di scala d’impresa discendono dalla dimensione globale assunta
dall’azienda e riguardano non solo il processo di produzione ma anche e soprattutto i
processi di commercializzazione e di amministrazione aziendale.
ECONOMIE DI APPRENDIMENTO basati sul processo di apprendimento maturato
attraverso l’esperienza acquisita dall’impresa.
ECONOMIA DI INTERRELAZIONE O DI SCOPO questo fenomeno si ha per la crescente
flessibilità richiesta dall’impresa che comporta un ampliamento della gamma produttiva, ma è
riduzione della scala delle operazioni, e un recupero di produttività sul piano inter-funzionale o
dell’organizzazione di gruppo.
ECONOMIA DELLE RELAZIONI basata sulle interrelazioni non solo interne dell’impresa ma

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fra più imprese che collaborano tra loro attraverso rapporti di fiducia con clienti e fornitori, che
contribuiscono a migliorare le posizioni di mercato e il conto economico aziendale.
DIFFERENZIAZIONE DEI PRODOTTI è un tipo di barriera in cui ciascun produttore si isola
rispetto gli altri concorrenti in quanto presentano un prodotto differenziato dagli altri andando
a creare dei “SUB-MERCATI”.

BARRIERE ALL’ENTRATA«Un costo che dev’essere sopportato da un’impresa che volesse


entrare in un certo settore industriale, ma che non è sopportato dalle
imprese già operanti all’interno di tale settore» (Stigler)
BARRIERE ALL’USCITA difficoltà del disinvestimento/ ostacoli al fallimento o liquidazione.
La conoscenza delle cause delle barriere all’entrata esige dunque l’inserimento del modello
Porteriano del ruolo delle risorse perché la decisione se entrare o non entrare in un certo spazio
di mercato sarà condizionata dall’idoneità delle risorse a superare gli ostacoli per l’ingresso ed
acquistare una vantaggiosa posizione competitiva.
Le barriere all’uscita vincolano le imprese a permanere nel mercato, finiscono per irrigidire e
non per turbare i comportamenti concorrenziali. Tali barriere sono create da vincoli SOCIALI o
ECONOMICI.
IL MODELLO DI ABELL.
La definizione di business può avvenire sulla base di 3 elementi:
 Gruppi di consumatori cui rivolgersi. (target)
 Le funzioni d0uso da soddisfare
 Le modalità (tecnologie) secondo cui tali funzioni sono assolte.

Uno stesso prodotto può rispondere a differenti funzioni d’uso e queste ultime possono essere
soddisfatte mediante tecnologie differenti. L’impresa può servire più gruppi di clienti e
soddisfare differenti funzioni d’uso del prodotto venduto con l’applicazione di diverse tecnologie
produttive.
LA CATENA DEL VALORE
L’impresa, con la sua attività, crea un valore per il cliente, che è misurato dal prezzo che questi
paga o sarebbe disposto a pagare per ottenere il prodotto. Il margine è il valore che residua
all’azienda dopo aver coperto i costi associati allo svolgimento di tutte le attività necessarie per
progettare, produrre, promuovere e commercializzare il prodotto.

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Le attività primarie ciclo di produzione e di vendita.


Le attività di supporto forniscono le basi per la concreta realizzazione delle attività primari.
CAUSE DEL VANTAGGIO COMPETITIVO:
 Progettazione (differenziazione) del prodotto.
 Efficienza del sistema di produzione.
LA FORMULAZIONE DELLA STRATEGIA COMPETITIVA
Differenziazione produttiva la differenziazione del prodotto sotto il profilo tecnico, fisico,
estetico o semplicemente psicologico costituisce, dunque, la situazione ricorrente e conduce al
concetto di sub-mercato.
(Sub-mercato: è caratterizzato dall’esistenza di una domanda che, essendo attratta da certi
elementi distintivi del prodotto, si rivolge preferibilmente all’offerta di alcune imprese, le quali
godranno di un vantaggio rispetto le altre nella misurazione in cui riusciranno a creare e a
rafforzare tali preferenze (nicchia mercato nel mercato)).
Disporre di un proprio spazio di mercato nel quale potersi muovere imposizione quasi
monopolistica, anche se tale posizione sarà relativa per due ragioni:
1. Perché i vantaggi connessi con la differenziazione del prodotto potranno essere
controbilanciati da altri strumenti concorrenziali (prezzo, condizioni di pagamento)
2. Perché i migliori requisiti di qualità e di prestazione del prodotto potranno essere
annullati mediante la loro imitazione da parte di concorrenti.
Qualificare un certo tipo di mercato come oligopolistico o concorrenziale non dipende dal
numero di imprese ma dalla quota di produzione posseduta dalle imprese più grandi.
Ottenere un vantaggio competitivo:
 Leadership di costo Strategia competitiva attraverso la quale le imprese tentano di
ottenere un vantaggio competitivo attraverso la riduzione dei costi rispetto ai
concorrenti.
 Differenziazione del prodotto Si ricerca il vantaggio competitivo incrementando il
valore percepito dei prodotti o dei servizi rispetto a quelli di altre aziende.
 Focalizzazione Le imprese si posizionano in nicchie di mercato, meno attrattive per
altri concorrenti, in cui riescono ad ottenere vantaggi competitivi.
Il successo competitivo non è solo il frutto del posizionamento nel mercato e della presenza
delle barriere all’entrata, ma anche funzione della qualità delle risorse con un’impresa si trova
ad avere a disposizione per fronteggiare un confronto concorrenziale.
Risorse aziendali  Tutte le attività, le capacità, le competenze, i processi organizzativi, le
caratteristiche aziendali, le informazioni, le conoscenze, e così via che sono controllate
dall’azienda e che le permettono di formulare e implementare strategie che ne migliorano
l’efficacia e l’efficienza.
IL MODELLO VRIO.

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Quest’analisi si fonda sulla valutazione delle risorse o capacità aziendali formulata in base al
loro impatto sul valore finale del prodotto o servizio offerto, alla loro rarità, alla loro imitabilità
e la capacità di sfruttarle da parte dell’organizzazione:
 Valore
 Rarità
 Non imitabilità
 Durevolezza
Se l’impresa possiede risorse con queste quattro caratteristiche allora si trova in una posizione
di RENDITA IMPRENDITORIALE (definita come una posizione di vantaggio differenziale,
difficilmente aggredibile perché la condizione di superiorità deriva all’impresa dal possesso di
risorse, capacità, competenze e conoscenze superiori esclusive “cioè non disponibili per altre
imprese”).
SWOT ANALYSIS
Suggerisce di prendere in considerazione i punti di forza e di debolezza dell’impresa in rapporto
alla possibile evoluzione del mercato e dell’ambiente, da cui potranno derivare opportunità
favorevoli o minacce. Tale modello consentirà di valorizzare i punti di forza e di attenuare
l’impatto negativo dei punti di debolezza.
Positivi Negativi
Fattori di origine interna STRENGHT WEAKNESS
Punti di forza Punti di debolezza
Fattori di origine sterna OPPORTUNITY THREAT
Opportunità Minacce

LE STRATEGIE COMPETITIVE E L’EQUILIBRIO FRA LA DOMANDA E L’OFFERTA


“mercato del venditore” “ Mercato del compratore”
Per comprendere il funzionamento di un dato mercato e le politiche adottate dalle imprese che
in esso operano, non è sufficiente analizzare la situazione della domanda e dell’offerta, ma è
indispensabile valutare congiuntamente queste due componenti, allo scopo di desumere la
posizione relativa di forza dei produttor i e dei consumatori.
È importante l’equilibrio che si viene a creare tra POTENZIALITA’ DI PRODUZIONE e
CAPACITA’ DI ASSORBIMENTO.

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Cap7

LA STRATEGIA COMPLESSIVA (corporate) E I PERCORSI DI SVILUPPO AZIENDALE.


-------------------LE SCELTE STARTEICHE QUALI SISTEMI DI OPZIONI---------------------
LA GESTIONE DELL’IMPRESA SI SVILUPPA SECONDO UN CONTINUO SISTEMA DI SCELTE
TRA OPZIONI POSSIBILI IN ORDINE ALL’ALLOCAZIONE DI RISORSE SCARSE

Le strategie vanno scelte in base alle risorse specifiche (firm specific) di cui l’impresa è dotata,
con lo scopo di sfruttarle al meglio. Sono le capacità distintive, intese come gli elementi propri di
ciascuna impresa, che ne determinano l’eccellenza e, quindi, il successo.

Data la limitatezza delle risorse, la gestione aziendale deve forzatamente svolgersi secondo un
continuo sistema di arbitraggi o di possibili opzioni. Gli arbitraggi sono necessari sia a causa
dell’ammontare delle risorse disponibili, sia a causa dell’incompatibilità tra progetti.
Le opzioni riguardano sostanzialmente l’uso delle risorse, atteso che per ciascuna scelta occorra
prefigurare vantaggi e svantaggi e stabilire la convenienza e il tempo di attuazione.
L’arbitraggio di fondo si esercita in funzione dell’orizzonte temporale da privilegiare:
 Tempo lungo (preferenze per l’investimento)
 Tempo breve (preferenze per la liquidità)
La contrapposizione più frequente è rappresentata dagli effetti sulla gestione caratteristica e
sulla gestione finanziaria.
CAPACITA’ DISTINTIVE elementi propri di ciascun impresa che ne determinano
l’eccellenza e quindi il successo.
CORE COMPETENCIES le competenze distintive, concorrendo alla creazione del
vantaggio competitivo, diventano determinanti per la scelta della strategia complessiva
da adottare.
Le competenze che appartengono ai singoli possono essere traferite all’impresa mediante la
codificazione di procedure (routine). Il salto quindi si ha dal passaggio tra competenze
(concetto statico) alle capacità (concetto dinamico) intese come: CAPACITA’ (abilità a
combinare i fattori produttivi in modo innovativo).
 RisorseMateriali (fabbricati, impianti, ecc.) ed immateriali (immagine, fiducia
reputazione, cultura gestionale, ecc.)
 CompetenzeAttitudini a svolgere determinate funzioni (es. innovazioni di prodotto)
 CapacitàIntese in senso dinamico (dynamic capabilities) come abilità a creare nuove
combinazioni dei fattori di produzione (generando innovazione)
In un ottica di lungo periodo anche le risorse possono ritenersi una variabile e non un
vincolo.

La strategia complessiva di un impresa dipende dagli obiettivi che l’impresa si pone in funzione
della situazione in cui si trova e dalle opzioni strategiche effettivamente disponibili. L’indirizzo
strategico non discende essenzialmente dall’andamento del mercato o dei mercati in cui
l’impresa opera, ma sarà decisamente condizionato dalle risorse interne a disposizione. Strategie
complessiva:
 Sviluppo dimensionale (crescita del volume d’affari) gestione fisiologica protesa
all’espansione delle attività aziendali.
 Risanamento tipico di organismi caratterizzati da squilibri strutturali su cui
intervenire con rapidità ed efficacia.
 Rafforzamento-assestamento improntato a maggiore prudenza nella gestione delle
risorse e alla difesa, in periodi non favorevoli, delle posizioni occupate.

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IL PROCESSO DI SVILUPPO DIMENSIONALE


Il massimo profitto non può essere che raggiunto mediante lo sviluppo delle dimensioni aziendali
e viceversa, il massimo sviluppo non può che essere ottenuto in funzione dei profitti realizzati.
SVILUPPO “Movimento verso il meglio” Processo qualitativo di evoluzione dei rapporti tra
l’impresa e l’ambiente che può determinare o meno un ampliamento della struttura
organizzativa.
CRESCITAAumento della dimensione aziendale con mutamento dell’assetto
organizzativo, dello stile di direzione e degli stessi comportamenti imprenditoriali.
La crescita dovrebbe comportare lo sviluppo, mentre non è sempre vero il contrario.
L’aspirazione allo sviluppo dimensionale è un fenomeno generalizzabile anche se non generale.
Lo sviluppo dimensionale appare un connotato fisiologico di organismi più sani, in quanto
consente di adeguare il volume dell’attività aziendale alle potenzialità della struttura,
all’evoluzione dell’ambiante esterno, che è in continuo dilatarsi, con il fine di migliorare, nel
tempo, l’equilibrio nei confronti del mercato o dei mercati serviti. La crescita può contribuire ad
ampliare il divario tra costi e ricavi lavorando su entrambi i termini.
Per individuare altri fondamentali vantaggi della crescita introduciamo due concetti:
 CURVA DI APPRENDIMENTO più aumenta il volume di vendita più migliora, per
effetto dell’esperienza, il livello di efficienza della produzione e quindi decrescono i costi
unitari di prodotto.
 CURVA DI ESPERIENZA si estende il concetto della curva di apprendimento al di la
della sola funzione di produzione per coinvolgere gli effetti positivi riscontati anche nelle
altre funzioni di gestione (marketing, amministrazione, …)
OBIETTIVI DI FONDO DELLO SVILUPPO DIMENSIONALE SONO, PERTANTO,
L’OTTIMIZZAZIONE DELLL’USO DELLE RISORSE AZIENDALI E L’ACQUISIZIONE DI UN PESO
CONTRATTUALE CRESCENTE NEI CONFRONTI DEI CONSUMATORI, DEI FORNITORI, DEI
DISTRUBUTORI E VIA ELENCANDO.
Tutto il ragionamento precedente sottende una condizione che non si può fare per scontata: la
condizione è che il processo di vendita sia correttamente concepito ed efficacemente attuato 
l’impresa sia in grado di avvantaggiarsi nelle sue potenzialità strutturali e della favorevole
evoluzione dell’ambiente.
Le opportunità di sviluppo dovrebbero essere ricercate partendo da situazioni di natura
prevalentemente interna e non esterne (occasioni di mercato) come vuole l’impostazione
tradizionale bisogna utilizzare meglio il fascio di risorse esistenti.
Effetti, limiti e cause dello sviluppo dimensionale

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Il percorso di sviluppo: la formulazione della strategia complessiva.


La strategia di espansione si differenziano soprattutto rispetto al rapporto prodotto/ mercato,
cioè alla permanenza, al superamento o all’allargamento delle relazioni fra i prodotti fabbricati
e i mercati serviti. Le alternative di fondo sono rappresentate dalla concentrazione o di
versificazione delle attività gestite, cioè dalla preferenza per percorsi di sviluppo che aumentino
il peso delle attività già esercitate o che, invece, estendono il portafoglio prodotti-mercato.
 Espansione nei business esistenti punta a sfruttare al meglio il bagaglio di competenza
e esperienza già posseduto dall’impresa.
 Diversificazione in nuovi business mira a valorizzare positivamente le interrelazioni
tra le vecchie e le nuove aree d’affari (DIVERSIFICAZIONE CORRELATA) oppure si
propone soprattutto di ridurre il rischio globale di gestione (DIVERSIFICAZIONE
CONGLOMERALE).

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LA STRATEGIA DI SVILUPPO MONOSETTORIALE


Ha lo scopo di rafforzare la posizione dell’impresa soprattutto nell’ambito del mercato in cui
opera.
INTEGRAZIONE ORIZZONTALE l’impresa punta a conseguire una maggiore forza nel
settore in cui opera mediante la crescita della propria capacità produttiva (espansione interna
dell’organizzazione, creando ex-novo altre unità produttive) e/o mediante l’acquisizione di
imprese concorrenti (in questo secondo caso si parla più propriamente di INTEGRAZIONE
ORIZZONTALE e non di sviluppo, perché l’integrazione porta ad una variazione della quota di
mercato dell’impresa). Lo scopo è di far crescere la quota di mercato.
Economie di costo il principale vantaggio è di sfruttare economie di dimensione
(collegate ai risparmi di costo alla più economica utilizzazione di certi fattori produttivi per
effetto di una maggiore scala di operazioni) e di espansione(sono relative all’onerosità dello
stesso processo di espansione).

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Ci si trova in presenza di uno sviluppo orizzontale quando tra le produzioni integrate sussistono
vincoli tecnologici e di mercato. I primi si collegano ad una matrice produttiva comune; i secondi
derivano da una comune impostazione dei problemi e delle politiche di mercato.
Si ha una strategia di sviluppo orizzontale anche nell’ipotesi dell’aggiunta di tipi differenti di
produzioni, ricompresi però nella stessa famiglia.
L’acquisizione di un impresa non mira solo all’acquisizione delle sue quote di mercato ma di
acquisire un nuovo patrimonio di conoscenze in grado di contribuire al miglioramento
dell’efficacia e dell’efficienza rispetto ai settori/mercato in cui è già presente.
INTEGRAZIONE VERTICALE aumento del valore aggiunto (realizzato perché cresce la
differenza tra il valore dei prodotti finiti ed il costo delle materie e dei servizi acquisiti).
Con le strategie di integrazione verticale l’impresa assume il controllo di uno stadio di
produzione o di distribuzione adiacente (a monte o a valle) rispetto al preesistente campo di
attività. Mira a far crescere il valore aggiunto.
L’impresa riuscirà a ridurre il rischio di gestione perché un più elevato valore aggiunto la
cautelerà meglio rispetto alle variabili esterne del mercato degli approvvigionamenti e delle
vendite più crescerà il valore aggiunto più aumenterà il controllo sui costi di produzione.
 INTEGRAZIONE VERTICALE ASCENDENTE l’azienda inserisce nel suo ciclo, produzioni
di base o intermedie rispetto al processo terminale. (SCOPO: si conreta nell’acquisire il
controllo di una fonte principale di rifornimento in modo da garantire l’ininterrotta
alimentazione dei cicli di produzione).
 INTEGRAZIONE VERTICALE DISCENDENTE cambia il mercato di sbocco dell’impresa,
rivolgendosi ad uno stadio più vicino alla fabbricazione di prodotti finali. Alcune volte
essa è considerata più una diversificazione, più che un’integrazione. (SCOPO: è di entrare
in un mercato più vicino a quello d’acquisto finale per poter meglio prevedere e
controllare la domanda).

TEORIA DEI COSTI DI TRANSAZIONE


I rapporti tra l’impresa ed i mercati si sviluppano tramite contratti legati alle transazioni
necessarie per acquisire le risorse o cedere i prodotti.
Il costo della transazione è uguale non soltanto al prezzo pagato per il suo acquisto, ma anche
allo sforzo sostenuto dall’acquirente e dallo stesso venditore per ricercare le informazioni utili a
perfezionare la contrattazione ed a gestire e controllare la relazione.
Tenendo conto dell’economicità e della rischiosità, si è ipotizzato che il ricorso al mercato
divenga meno conveniente al crescere della complessità della transazione e che su quest’ultimo
influiscono la RICORRENZA, l’INCERTEZZA e la SPECIFICITA’ degli atti di acquisizione da
compiere all’esterno.
L’impresa, per decidere se produrre o acquistare i beni e servizi di cui necessita, proverà a
comparare il costo di transazione, collegato al processo esterno di approvvigionamento, a quello
di produzione da sostenere per produrre al suo interno gli stessi beni e servizi.
COSTO DI TRANSAZIONE rappresenta il COSTO DI USO DEL MERCATO. Ricomprende,
oltre al costo di acquisto del bene e servizio, tutti gli oneri da sopportare per ricercare le
informazioni, reperire i fornitori, procedere alla contrattazione e controllare l’attuazione.
CONFINE EFFICIENTE dell’organizzazioneinsieme dei compiti (attività) da svolgere
all’interno dell’impresa per assicurarsi il massimo livello di transazioni da far svolgere
all’interno della struttura e quali operazioni stipulare rivolgendosi al mercato.

Ogni impresa può decidere se internalizzare (”make”) o esternalizzare (“buy”) attività.


Secondo questa teoria tale decisione dipende dalla comparazione tra costi di transazione e
costi di produzione.
Ci sono tuttavia dei limiti all’applicazione di questo modello, che dipendono dal contenuto

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strategico di tali scelte.


 Costo di transazione>costo di produzione= MAKE internalizzazione
 Costo di transazione<costo di produzione= BUY esternalizzazione

La diversificazione produttiva porta l’azienda ad occupare posizioni in mercati nuovi, compresi


in settori o comparti produttivi differenti da quelli in cui già opera. Essa si realizza in modo
pieno allorché le nuove produzioni non presentano affinità con quelle precedenti sia in termini
tecnologici, sia in termini di marketing.
PIANO DI ACQUISTI AZIENDALE E DELLA FORMAZIONE DI UNA STRUTTURA “HOLDING”
 diversificazione conglomerale si realizza allorché tra attività vecchie e nuove non
intercorre nessun collegamento né di tecnologia né di mercato (prodotti non affini ne in
termini di marketing ne in termini tecnologici con quelli già prodotti). L’attributo della
conglomerazione si aggiungerebbe a quello della diversificazione nell’ipotesi in cui per
l’impresa nessuno dei settori produttivi dovesse assumere una posizione preminente
assenza di una posizione dominante.
 diversificazione laterale si traduce nell’espansione verso nuove aree di affari rispetto
alle quali sussistono, però, dei collegamenti tecnologici o di marketing (prodotti affini in
termini di marketing o in termini tecnologici) Si realizza mediante l’espansione interna
dell’organizzazione aziendale, cioè attraverso la creazione ex-novo di impianti, unità
amministrative e distributive, laboratori di ricerca ecc..
Motivi:
1. Impossibilità di espandersi soddisfacentemente in un settore ormai ritenuto saturo e la
ricerca di altri mercati di occasioni più favorevoli di aumento del volume d’affari;
2. Stabilizzazione dei redditi;
3. Riduzione del rischio globale di gestione;
4. Diversificazione dei rischi di mercato in quanto ciascun produzione sarà assoggettata
alle due correnti nel particolare mercato cui sarà destinata.
ESPANSIONE INTERNAZIONALE
La strategia di espansione internazionale è diventata un’esigenza sia per l’ampliamento dei
mercati di sbocco sia per le opportunità di delocalizzazione produttiva.
Difficoltà:
1. Difficoltà di muoversi in un ambiente non familiare.
2. Minore capacità in molti casi di prevedere il ritmo di sviluppo delle vendite
3. La necessità di cominciare a fare esperienza nel modo meno rischioso
Le alternative di sviluppo internazionale possono essere viste come tappe di un processo
sequenziale.
Il processo di penetrazione nel mercato internazionale assume la sua massima intensità
allorquando l’impresa considera l’ingresso in un dato paese , non come una decisione
occasionale, ma come una decisione rientrante in un’ampia e coordinate politica di espansione
di gestione prende corpo così lo sviluppo multinazionale che può essere considerato come
l’epilogo di una strategia sistematica di espansione internazionale.

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ALTRI TIPI DI INTEGRAZIONE


 INTEGRAZIONE LATERALE si ha nell’ipotesi di un inserimento, nella gamma dei
prodotti aziendali, di beni correlati sotto il profilo delle tecnologie adoperate o nel
mercato di sbocco.
 INTEGRAZIONE LATERALE si verifica nel caso di introduzione nell’organizzazione di
produzioni ausiliarie (ad esempio un azienda conserviera che assorbe uno scatolificio)
LE MODALITA’ DI REALIZZAZIONE DELLE STRATEGIE DI SVILUPPO: IL RUOLO DEGLI
ACCORDI STRATEGICI TRA IMPRESE.
Nel percorso di sviluppo di un impresa, i momenti principali sono caratterizzati da 2 passaggi:
1. Quello da una produzione unica ad una di produzioni multiple.
2. Quello dal perseguimento di obiettivi di integrazione verticale all’espansione in più
settori d’attività.
CRESCITA INTERRELATA:
sfrutta le possibilità di collaborazione tra imprese, puntando ad un ampliamento del volume
d’affari o del valore aggiunto creato, senza una corrispondete espansione delle strutture
organizzative interne.
In questo caso lo sviluppo dimensionale consegue dalla massimizzazione degli effetti di
interrelazione tra imprese operanti negli stessi settori o comunque in settori interrelati questo
significa che i risultati in termini di sviluppo saranno, rispetto alla quantità delle risorse
investite, comparativamente superiori a quelle ottenibili secondo altri percorsi di crescita
(ipotesi di accordi sub-fornitura reciproci).
Massimizzare i vantaggi delle economie di relazione, che dovrebbe condurre ad un ampliamento
e ad un rafforzamento di tutte le unità aziendali coinvolte.
La rete d’impresa rappresenta un modello più elastico, che si regge sui rapporti d’integrazione e
d’interdipendenza che si creano tra i partner. Nella rete esiste maggiore libertà per i
partecipanti, legati da relazioni di carattere prevalentemente contrattuale, che si mantengono
in vita fin quando essi ritengono di poter ricavare benefici adeguati rispetto ai vincoli derivati
dall’appartenenza alla rete stessa.
Le reti possono creare squadre d’impresa che siano in grado di sfruttare al meglio le economie di
interrelazione e di dare corpo alla gestione su base internazionale.

Cap8

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IL CICLO DI DIREZIONE DELL’IMPRESA E IL PROCESSO ORGANIZZATIVO


IL RUOLO DEL MANAGMENT
A chi dirige un impresa (menager)compete la responsabilità dell’efficienza nell’impiego del
fattore umano, dei mezzi finanziari, delle competemze tecnologiche e commerciali.
Tra il momento strategico e quello di esecuzione si interpone il PROCESSO DIREZIONALE ( inteso
a coordinare le azioni previste a livelli imprenditoriale nell’ottica del migliorare il
raggiungimento degli obiettivi di gestione.( organizzare le forze in campo, programmare il ciclo
operativo e controllare gli esiti, configura la responsabilità specifica di chi riveste cariche
direzionale all’interno del sistema aziendale)).
LA FUNZIONE DI DIREZIONE: richiede l’assunzione simultanea di atti di decisione, di impiego
delle risorse, di conduzione degli uomini e di valutazione delel prestazioni, secondo un
cilco integrato che prende, per ciascuna atività, lo sviluppo di più momenti o fasi
strettamente interdipendenti.
N.B le funzioni direttive costituiscono momenti integrati di un processo unitario non
scindibile.
Il processo di direzione aziendale si compone di funzioni di organizzazione,
programmazione, controllo e conduzione.
Ogni attività va:
 programmata, stabilendo in anticipo obiettivi, decisioni, modalità e risorse da
impiegare
 organizzata, individuando chi e con quali responsabilità dovrà curarne la realizzazione
 guidata, fornendo le direttive e motivando gli organi operativi
 controllata, valutando i risultati raggiunti rispetto a quelli programmati

CICLO DI DIREZIONE:
l’articolazione del processo o
ciclo di direzione per funzioni si
giustifica solo sul piano teorico,
perché deve consentire di
esaminare separatamente
momenti del ciclo diversi l’uno
dall’altro ma strettamente
CICLO INFORMATIVO: le informazioni interne devo essere integrate con quelle esterne
(provenienti dall’ambiente esterno).
Il controllo produce informazioni, la programmazione richiede l’integrazione dei dati così
ottenuti con quelli relativi al contesto esterno, la conduzione comporta il trasferimento di
informazioni da chi dirige a chi esegue e, infine, chi esegue deve trasmettere i risultati della
propria attività agli organi di controllo

LA FUNZIONE ORGANIZZATIVA.

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Organizzare significa ordinare un sistema in parti interdipendenti e correlate, ciascuna


avente una specifica funzione o rapporto rispetto al complesso. In senso aziendale, le parti sono
gli organi dell’impresa e l’organizzazione si rivolge in primo luogo a disciplinare i compiti, i
poteri e le responsabilità che ciascuno di essi dovrà assumere nel corso della gestione.
La funzione organizzativa si pone lo scopo di definire:
 Centri decisionali, di controllo ed esecutivi da istituire nell’impresa
 Autorità e responsabilità da attribuire a ciascuno di essi
 Relazioni formali da attivare fra i vari centri.
 Procedure di decisione, di informazione e di esecuzione, necessarie per l’ordinata
attuazione della gestione
i problemi dell’orgnizzazione possono essere inquadrati secondo 2 profili:
1. ASPETTO STRUTTURALE (statico) ordinamento di compiti e responsabilità
(analizzabile in termini obiettivi sulla base delle relazioni tra la strategie e le risorse
umane disponibili)
2. ASPETTO COMPORTAMENTALE (dinamico) rapporti interpersonali di collaborazione e
di conflitto ( richiede un esame della dinamica dell’organizzazione, cioè dei rapporti
interpersonali di conflitto e di equilibrio che si creano per effetto del suo stesso
funzionamentoproblemi di tipo socio-psicologico).
Le finalità della funzione organizzativa:
 Ottenere condizioni di massima efficienza operativa mediante la suddivisione e la
specializzazione delle attività e l’opportuna loro coordinazione in un sistema
integrato di obiettivi, poteri e responsabilità. (In altri termini , il suo contributo si
estrinseca nel conseguimento di una maggiore produttività del lavoro. Con ciò si
richiama l’effetto sinergico del processo organizzativo, che è rivolto a stabilire una
collaborazione tra le varie parti in cui si articola la struttura aziendale. La
specializzazione e la coordinazione del lavoro consentono di conseguire dei risultati
globali maggiori di quelli ottenibili sommando le prestazioni individuali, realizzate in
assenza di qualsiasi supporto organizzativo).
 soddisfare le attese di coloro che lavorano nell’impresa, consentendo di accrescere la
motivazione e migliorare il rendimento globale dell’organizzazione.

La progettazione o riprogettazione organizzativa parte dalla determinazione del confine


efficiente dell’impresa (grado di integrazione verticale: make or buy quali funzioni dovranno
essere attuate all’interno o quali si dovrà fare ricorso a fornitori esterni di prodotti e servizi) e si
sviluppa tenendo conto di un sistema di obiettivi e vincoli che saranno più pesanti nel caso delle
riprogettazione.
OBIETTIVI:
 Potenzialità del servizio (operativa)
 Elasticità di prestazione (strutturale)
 Economicità di funzionamento
VINCOLI:
 Capacità professionali disponibili nel mercato del lavoro e concretamente
acquisibili da parte dell’impresa sia in funzione del costo da sostenere sia in rapporto
all’attrattività dell’impresa stessa
 Investimento da sostenere per la progettazione e messa a punto dell’organizzazione,
che richiederà sovente l’impiego di consulenti, la conduzione di appositi studi, la
produzione di documentazione organizzativa
 Gradi di rigidità della struttura costi fissi di lavoro sopportabili nell’economia della
gestione, che influiranno anche sul grado di rigidità della struttura

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L’opportuno bilanciamento di questi 3 obiettivi che permette di sfruttale al meglio le


opportunità connesse con la strategia aziendale (potenzialità) e che consente di far evolvere la
struttura aziendale in funzione di mutamenti del contesto esterno e quindi dei comportamenti
imprenditoriali (elasticità). Potenzialità e d elasticità sono attributi che costano e che pertanto
devono conciliarsi con le esigenze di economicità aziendale.
Per organizzare una nuova impresa gli elementi di riferimento devono essere tre:
1. La natura e le modalità di realizzazione dell’attività aziendale
2. l’investimento organizzativo
3. Le risorse umane disponibili nel mercato e acquisibili in base all’investimento
programmato
Nel caso di organizzare una nuova azienda, la scelta del confine efficiente dell’organizzazione si
pone a cavallo tra le scelte strategiche e quelle strutturali e la determinazione dell’organico è
fortemente influenzato dal vincolo massimo dei costi di struttura sostenibili.
Nel caso delle riorganizzazioni essa dovrà attuarsi all’interno di una serie di vincoli, tra i quali il
principale è la composizione quali-quantitativa dell’organico presente.
MODELLI DI STRUTTURA ORGANIZZATIVA
Nella definizione di struttura organizzativa le scelte fondamentali attengono al grado di
decentramento dei poteri e ai criteri di specializzazione dei compiti.
DECENTRAMENTO: attuato mediante il processo di delega, determina i livelli organizzativi,
ciascuno dei quali sarà caratterizzato da differente autonomia e responsabilità operativa.
STRUTTURA SEMPLICE:
 Accentramento del governo.
 Divisione responsabilità operative per aree funzionali.
 Ridotta formalizzazione
Attuata principalmente nelle piccole imprese a conduzione familiare, caratterizzate dal
prevalere dei rapporti interpersonali non codificati in un piano organizzativo. Tale struttura fa
raggiungere obiettivi di economicità ed efficienza mediante la flessibilità delle mansioni e la
migliore creazione di uno spirito di gruppo.
STRUTTURE FORMALI Prevedono la suddivisione dei compiti al di sotto della Direzione
Generale, che sono attribuiti ad un solo responsabile:
 STRUTTURA FUNZIONALE Suddivisione per funzioni, ossia gruppi di compiti o
mansioni complementari e interdipendenti rispetto a un fine
 STRUTTURA DIVISIONALE Suddivisione per segmenti di gestione (famiglie di
prodotti, aree geografiche, ecc) meritevoli di una cura distinta.
IL MODELLO FUNZIONALE: Il modello funzionale si articola in un insieme di compiti o
mansioni complementari e interdipendenti rispetto ad un fine (funzioni).
Tale modello si caratterizza per la suddivisione di aree di responsabilità per gruppi di compiti,
cioè per la ripartizione di competenze di elevato livello direzionale in termini di funzione
primarie di gestione. Queste ultime possono variare da impresa ad impresa, in rapporto al
carattere di essenzialità rivestito nell’attuazione del processo gestionale. In un’azienda le
funzioni si collocano secondo un sistema articolato su più livelli: al primo livello si collocano le
funzioni organiche che assicurano l’operatività del sistema:
 universalità, cioè presenza in tutti i sistemi dello stesso tipo
 essenzialità rispetto al conseguimento delle finalità primarie del sistema
 impossibilità di aggregazione con altre funzioni
 possibilità di suddivisione o articolazione in linee gerarchiche
Differenziazione funzionale nelle imprese che si ingrandiscono, le funzioni organiche
tendono ad accrescersi in quanto c’è una specializzazione e una suddivisione in nuove funzioni
primarie dei compiti attuati nell’organizzazione.
L’ORGANIZZAZIONE FUNZIONALE: contribuisce ad esaltare il livello di specializzazione delle

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singole aree operative, suddividendo il processo gestionale in rapporto alla diversa natuta dei
problemi da amministrare.
Il modello funzionale, per la sua semplicità, è il più diffuso nelle aziende poco diversificate per
tecnologie, prodotti e mercati. Esso si adatta bene a situazioni di gestione abbastanza stabili
sotto il profilo strategico ed operativo, cioè in tutti i casi in cui la prevalente ripetitività delle
procedure gestionali rappresenta l’elemento caratterizzante della gestione stessa.

MODELLO MULTIDIVISIONALE
Tale modello è congeniale nell’ipotesi di aziende diversificate e più dinamiche nei
comportamenti imprenditoriali
Il modello divisionale comporta il frazionamento dell’azienda in più parti (divisioni) ciascuna
delle quali potrebbe rappresentare un’impresa a se stante e costituire un centro di profitto.
Alcune funzioni vengono decentrate al livello di divisione, altre vengono accentrate.

In tale struttura è importante definire i centri di coto e di profitto, ossia unità organizzative a cui
assegnare obiettivi di costo da rispettare e di profitto da realizzare.
Il criterio generale è quello di DECENTRARE le funzioni che possono ritrarre i maggiori benefici
dalla specializzazione e di ACCENTRARE quelle che richiedono un più elevato coordinamento
sul piano aziendale (finanza) o che consentono maggiori economie di scala o di interrelazione
( approvvigionamento, ricerca e sviluppo).
Lo scopo principale dell’adozione di struttura multi-divisionale è quello di focalizzare
l’attenzione sui RISULTATI anziché sul compiti. Con essa si punta a stimolare il senso
imprenditoriale dell’alta dirigenza, creando situazioni di conflitto e di competizione tra le varie
divisioni. Ciò comporta la presenza all’interno dell’organizzazione di quadri direttivi di alto
livello professionale, poiché la gestione sia a livello gestionale che divisionale richiede
l’assunzione d’impegnative responsabilità nel processo di gestione.
STRUTTURA HOLDING:
 PURA

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 MISTA
Tale struttura vuole rispondere a due esigenze:
 Ridurre ka dimensione aziendale
 Conferire una più ampia autonomia alle diverse gestioni produttive.
MODELLO FUNZIONALE VS MULTIDIVISIONALE

ORGANIZZAZIONE PER PROCESSI Organizzare per processi significa adottare strutture


molto più elastiche finalizzate a operare su obiettivi globali. L’obiettivo è ottimizzare la gestione
di compiti interrelati, superando le barriere funzionali, così da velocizzare i comportamenti
gestionali in un ambiente in rapido mutamento.

ORGANIZZAZIONE A RETE L’ organizzazione a rete si basa sull’instaurazione di relazioni


molto strette tra più parti dell’impresa e tra quest’ultima, i fornitori e i clienti. La rete si articola
su procedura più che su strutture, ovvero su modalità di funzionamento regolate da procedure
anziché sulla creazione di particolari unità organizzative, risponde all’esigenza di conferire
velocità, flessibilità ed efficienza all’operatività aziendale.

ORGANIZZAZIONE PER PROGETTO (temporaneo) rappresenta un’ulteriore articolazione


della struttura funzionale, in quanto è all’interno di questa che vengono costituiti dei gruppi di
lavoro incaricati di elaborare e porre in attuazione determinati progetti.

ORGANIZZAZIONE PER MATRICE rappresenta l’istituzionalizzazione di quella per progetto,


in quanto la struttura aziendale assume un carattere reticolare con un intreccio di competenze
funzionali e per progetto.
la costruzione della struttura organizzativa, specie sotto l’aspetto della sua struttura verticale,
deve essere completata mediante la definizione dell’ampiezza e dei limiti della delega dei poteri
direzionali.
Il numero di livelli gerarchici da istituire dipende non soltanto dalle esigenze relative alla
“dipartimentalizzazioe” del lavoro e dalle responsabilità operative, ma anche e soprattutto dal

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grado di decentralizzazione che s’intende realizzare nel governo del sistema aziendale.
La velocità e flessibilità portano a strutturare l’azienda secondo strutture appiattite e corte dove
i processi informativi avvengono senza filitri gerarchici istituzionali, migliorando il rapporto tra
organi esecutivi e direttivi.
L’AMPIEZZA DEL CONTROLLO DIRETTIVO: alla cui soluzione è implicitamente legata la
determinazione delle dimensioni verticali e orizzontali dell’organizzazione, consiste nel definire
le dimensioni del gruppo che può essere guidato da un unico dirigente, mediante la
considerazione di un insieme di fattori specifici generali.
FATTORI CHE INCIDONO SULL’AMPIEZZA DEL CONTROLLO DIRETTIVO.

LE PROCEDURE DECISIONALI ED OPERATIVE.


La programmazione della struttura non esaurisce i compiti attribuiti alla funzione
organizzativa, in quanto il funzionamento del sistema impresa richiede la definizione di
procedure o routine organizzative.
 PROCEDURE OPERATIVE disciplinano lo svolgimento di attività ripetitive ai livelli
operativi.
 PROCEDURE DI CONTROLLO dirette a seguire gli andamenti di gestione.
 PROCEDURE D’INFORMAZIONE alimentano i flussi di conoscenza ricorrenti
all’interno dell’organizzazione.
 PROCEDURE DECISIONALI definiscono gli interventi e i ruoli rivestiti nell’assunzione
delle decisioni.
(le PROCEDURE stabiliscono delle norme di comportamento adottabili in modo ricorrente nel
tempo per la soluzione di problemi similare o analoghi che, a seconda del campo di applicazione,
si traducono in regole decisionali od operative)
La regolamentazione dettagliata della successione di decisioni, atti, autorizzazioni, pareri, si
traducono in una serie di norme che può essere rappresentato graficamente mediante il

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diagramma di flusso (FLOW-CHART) oppure definita in forma descrittiva in un apposito


documento. Attraverso questo diagramma si riproduce l’iter delle operazioni indicando gli
interventi da promuovere ai vari livelli a da parte dei differenti organi coinvolti.

Manuale organizzativo: 1) grafici dell’organizzazione (organigramma); 2) schede di


responsabilità (mansionario); 3) descrizione delle procedure.
ORGANIGRAMMA
Vantaggi:
 Immediatezza delle linee di autorità e responsabilità
 Precisa delimitazione rapporti e ambito operativo
 stimola la riflessioni sui problemi della struttura
 Favorisce l’inserimento delle nuove risorse
 Favorisce la programmazione degli itinerari di carriera
 Agevola il controllo
 E’ comprensibile anche agli esterni
Limiti:
 Rigidità della struttura
 Scoraggia la cooperazione informale tra le unità
 E’ una rappresentazione limitata e semplificata
 E’ un modello statico
 Evidenzia relazioni gerarchiche
 Può creare problemi con i vari responsabili, che se inseriti in posizioni a livello più basso
potrebbero sentirsi svalutati

Cap 9
LA PROGRAMMAZIONE DELLA GESTIONE
La programmazione è il processo di predeterminazione degli obiettivi, delle politiche e delle
attività da compiere entro un determinato periodo di tempo.
Significa assumere in anticipo il complesso di decisioni attinenti alla gestione futura
Da non confondere con il termine previsione, che significa anticipazione dei futuri andamenti
di alcune variabili da cui trarre informazioni per orientare i comportamenti e le scelte aziendali.
Non vi è un processo decisorio, ma solo valutazione anticipata di fenomeni interessanti
l’impresa.
La programmazione si è trasformata da processo prevalentemente non formale e intuitivo a
processo che ha trovato la sua “concretizzazione” nella definizione scritta di una serie di
documenti programmatici afferenti alle varie attività gestionali e che si è venuta a fondere
sull’impiego di tecniche e strumenti di maggiore razionalità obiettiva , atti a quantificare le
variabili aziendali di mercato.
ASPETTI NUOVIFORMA
CONTENUTO
FORMA in cui specificati:
 OBIETTIVI da seguire
 POLITICHE da adottare
 OPERAZIONI da compiere entro certi periodo di tempo
 MEZZI da impiegare.
PIANI SETTORIALI: che regolano la realizzazione di particolari attività (piano di vendita,
piano di produzione, piano finanziario).
PROGRAMMA GENERALE: disciplina simultaneamente gli aspetti commerciali, tecnici,
finanziari e organizzativi di tutta l’attività aziendale.

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PROGRAMMAZIONE DI ESERCIZIO: coordinare le operazioni ricorrenti di gestione diretta a


preordinare le attività correnti di gestione nell’ambito delle risorse disponibili.
PROGRAMMAZIONE DI LUNGO TERMINE: promuovere l’innovazione modificare il sistema
di risorse in funzione degli obiettivi di lungo termine. Quest’ultima è indispensabile alla
programmazione di lungo termine per promuovere consapevolmente i processi di
investimento e di predisporre gli sforzi organizzativi necessari per il raggiungimento
degli obiettivi prefissati.
IL SISTEMA DI PIANI.
Il processo di programmazione si traduce in un sistema dei piani distinto secondo:
 i contenuti (p. strategici o p. operativi)
 l’ambito gestionale (piani globali, piani di aree d’affari e piani di funzione).
 l’orizzonte temporale (piani di lungo, medi, breve e brevissimo termine)
 il grado di analisi (piani di massimaprogetto, piani esecutiviprogramma)

PIANO STRATEGICO= rappresenta l’elemento di riferimento di tutto il sistema, in quanto sia il


piano operativo sia i singoli piani dovranno essere elaborati in funzione del
perseguimento degli obiettivi di lungo termine. Il conseguimento di questi ultimi
richiederà la formulazione di un PIANO DI SVILUPPO STRATEGICO (concentrazione o la
diversificazione dell’attività), la predisposizione di un PIANO DI INVESTIMENTI da
compiere per realizzare la strategia prescelta e la messa a punto di un PIANO
ORGANIZZATIVO per definire la struttura più idonea a dare attuazione alla strategia di
sviluppo.
PIANO DI SVILUPPO= concentrazione o diversificazione dell’attività.
PIANO D’INVESTIMENTI= da compiere per realizzare la strategia prescelta.
PIANO ORGANIZZATIVO= per definire le strutture più idonee a dare attuazione alla strategia di
sviluppo.
PIANO OPERATIVO= articolazione del piano strategico in piani di medio termine che
costituiranno la base per la programmazione d’esercizio. Verrà scomposto in segmenti
annuali in quanto dovrà guidare lo svolgimento delle operazioni correnti d’esercizio.
TECNICA DELLO SCORRIMENTO consiste nell’aggiungere, anno per anno, un nuovo
segmento annuale, dopo aver eventualmente rettificato i valori dei segmenti precedenti
in rapporto ai risultati dell’esercizio conclusosi.
I REQUISITI.
La programmazione (deve concretarsi nella redazione di programmi scritti con la
quantificazione delle risorse da impiegare e degli obiettivi da raggiungere relativamente
all’intera gestione e ad un ampio arco di tempo) necessita di alcune caratteristiche essenziali:
 FORMALIZZAZIONE piani scritti (documento scritto di programmazione)

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 INTEGRAZIONE piani gestionali integrati (riferimento alla gestione nel suo


complesso )
 QUANTIFICAZIONE piani con obiettivi quantificati (indicazione di obiettivi e
risorse misurabili)
 PLURIENNALITA’ piani di lungo termine (proiezione strategica di obiettivi e
politiche),
MINTZBERG: le scelte che conducono alla definizione della strategia appaiono non di rado
frutto oltre che delle competenze acquisite mediante il processo di apprendimento, di
eventi casuali più che di ricerche e indagini programmate.
ELEMENTI DI UN PIANO DI GESTIONE
Un piano si sostanzia nell’indicazione di sequenze di decisioni ed operazioni finalizzate al
raggiungimento di obiettivi stabiliti. L’ottenimento degli obiettivi è subordinato alla possibilità
di adottare opportune politiche gestionali e alla disponibilità di un determinato stock di risorse.
Programmare a breve o lungo termine significa sempre prestabilire dei traguardi da
raggiungere e delle vie da percorrere per ottenerli.
OBIETTIVI rappresentano i traguardi cui
dovrà tendere l’organizzazione.
POLITICHE costituiscono le linee generali
di azione (elementi di traduzione di un
sistema di vincoli in un sistema di obiettivi)
RISORSE si pongono quali opportunità-
vincoli da rispettare nello svolgimento delle
operazioni.
OPERAZIONE le attività rappresentano i
flussi di operazioni da attuare durante la
gestione.
l’impresa è naturalmente protesa a
massimizzare i risultati di gestione entro i limiti posti dall’ambiente esterno (analizzati
mediante studi di mercato) e dalla struttura interna (risorse); per far ciò essa stabilisce in
insieme di politiche che, tenuto conto dei vincoli predetti, consentono di ottenere gli obiettivi di
periodo.
BUDGET ECONOMICO (preventivo) è un documento contabile che traduce, in termini di costi
e ricavi, le scelte e le operazioni stabilite nel periodo. Il budget è definito anche come un
conto, profitti e perdite, anticipato perché tende predeterminare il risultato della futura
gestione. Rilevante sotto il profilo DECISIONALE e di CONTROLLO in quanto con esso si
riescono a valorizzare economicamente le decisione programmate e a valutare
l’opportunità di attuarle o di modificarle prima di tradurle in operazioni di gestione.
BUDGET FINANZIARIO che considera gli usi e le fonti di capitale, in modo da predeterminare
il saldo finanziario dell’esercizio.
BUDGET DI CASSA serve per governare il flusso monetario di entrate e di uscite.
PROGRAMMAZIONE AGGRESSIVAANALISI SUL DIVARIO (GAP ANALYSIS)
Il procedimento si sviluppa sulla valutazione dei modi di eliminazione dell’eventuale divario
rispetto agli obiettivi conseguibili seguendo le tendenze di mercato.
Punti fondamentali:
1. Fissazione degli obiettivi collegati con i traguardi di sviluppo stabiliti nel piano di lungo
termine.
2. La previsione degli obiettivi raggiungibili nell’ipotesi di una prosecuzione delle tendenze
di mercato e della ripetizione delle azioni di gestione attuate in passato.
3. La determinazione del divario tra obiettivi desiderati e obiettivi realizzabili in assenza di
innovazioni nella gestione.

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4. L’individuazione delle modalità di eliminazione del divario , cioè delle politiche innovative
necessarie per rendere compatibili le aspirazioni imprenditoriali con i previsti andamenti
di mercato.

OBIETTIVI DA RAGGIUNGERE

PREVISIONI DI MERCATO

DIVARIO TRA OBIETTIVI E PREVISIONI

INOVAZIONI NECESSARIE PER ELIMINARE IL DIVARIO

PIANO DI GESTIONE
L’azienda tende ad imporre i suoi obiettivi al mercato sfruttando le opportunità di mutamento
delle sue politiche di gestione. Infatti a seconda dell’entità del divario essa deciderà se insistere
nei comportamenti adottati in passato (politiche di prodotto, di prezzo, di promozione) o se
procedere a delle innovazioni nei segmenti fondamentali della gestione (immissione di nuovi
prodotti, ricerca di nuove zone di vendita).

LE PREMESSE PREVISIONALI E LA FLESSIBILITA’ DEI PIANI.


I programmi sono definiti in rapporto ad un insieme di premesse legate alla previsione
dell’andamento dei fenomeni interessanti la vita dell’impresa.
Le PREMESSE: rappresentano degli assunti circa il futuro svolgimento dell’attività aziendale.
1. NON CONTROLLABILI l’azienda non può influenzare in nessun modo
2. SEMI-CONTROLLABILI l’azienda non può tenere sotto controllo, ma su cui può
influire in misura più o meno rilevante.
3. CONTROLLABILI l’azienda conserva il controllo perché tali premesse dipendo
pressoché esclusivamente dal suo comportamento.
L’impresa opera in un sistema di VINCOLI, interni ed esterni, che necessariamente
condizionano la programmazione aziendale:
 VINCOLI INTERNI potenzialità produttive (impianti); potenzialità organizzativa
(risorse di uomini); potenzialità finanziaria (fondi); potenzialità economico
strutturale (definita dal rapporto tra i ricavi/costi fissi e variabili ed è misurata
mediante il diagramma di redditività)
 VINCOLI ESTERNI crescita della domanda; pressione della concorrenza;
progresso tecnologico; regolamentazione pubblica.
GLI ORIENTAMENTI
Programmazione a:
 Breve termine Adatta l’attività corrente ai vincoli interni ed esterni alla gestione
aziendale. Preordina le operazioni di gestione secondo gli obiettivi fissati per l’esercizio
annuale.
 Lungo termine Modifica il sistema dei vincoli entro cui opera l’impresa in funzione di
obiettivi di lungo termine.

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Cap10
IL CONTROLLO DIREZIONALE
FUNZIONE DI CONTROLLO: Si interpone tra quella decisionale ed operativa allo scopo
di assicurare che le scelte, assunte a livello dell’amministrazione e della direzione
aziendale, siano correttamente attuate da parte degli organi esecutivi. Serve anche a
valutare la bontà di una decisione  in una visione allargata si riferisce sia al
momento dell’attuazione delle operazioni di gestione sia allo stadio antecedente della
loro programmazione.
LA FUNZIONE DI CONTROLLO DIREZIONALE: Si è profondamente modificata:

La funzione di controllo direzionale richiede l’adozione di strumenti e tecniche nel rispetto di


alcuni requisiti di fondo
IL CONTROLLO DIREZIONALE

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Il processo di controllo direzionale può essere svolto in quattro momenti successivi e


complementari:
 CONTROLLO ANTECEDENTE Serve a valutare preventivamente le bontà di certe
scelte e trova sostanza nello stesso processo di programmazione visto come forma di
controllo anticipato delle future linee di gestione. (Si attua mediante i vari tipi di analisi
di mercato, le tecniche di ricerca operativa)
 CONTROLLO CONCOMITANTESi lega alla programmazione perché ha lo scopo di
guidare, a tutti i livelli dell’organizzazione, l’attuazione dei piani formulati (si attua
mediante l’analisi dello scostamento tra le prestazioni realizzate e gli obiettivi fissati in
sede di programmazione)
 CONTROLLO SUSSEGUENTEVa inteso come valutazione dell’efficacia e dell’efficienza
della gestione come strumento di indirizzo per le decisioni future ( si attua per mezzo
della determinazione di valori e indici di efficienza aziendale)
 CONTROLLO PROSPETTICODeve essere inquadrato quale nesso per verificare la
persistenza della validità delle scelte strategiche e organizzative in essere (si attua
mediante il controllo strategico).
IL CONTROLLO CONCOMITANTE
Il processo di controllo concomitante si articola in una serie di fasi e trova la sua sintesi ideale
nel raffronto tra i risultati economici di gestione raggiunti e quelli presi a base del budget
aziendale. Per far ciò c’è bisogno di conti economici e finanziari infra-annuali.

Nel dettaglio:
 Determinazione obiettivi: momento particolarmente delicato nell’impostazione del
processo di controllo operativo perché se essi non sono realistici e chiaramente definiti,
sarà difficile attribuire la dovuta efficacia alle successive fasi di misurazione e di analisi
dei risultati conseguiti;
 Rilevazione periodica dei risultati: non comporta la soluzione dei problemi
discrezionali ma abbisogna di un’organizzazione efficiente. Sistema di reportingfa
giungere in modo rapido ed efficiente le informazioni;
 Analisi causale degli scostamenti: l’analisi causale è momento di grande importanza
perché deve fornire elementi preziosi sulla genesi delle decisioni. Scostamentiraffronto
tra obiettivi fissati e risultati;
 Interventi correttivi: sono un elemento qualificante perché la logica di tale tipo di
controllo è di verificare le concordanze tra obiettivi e risultati, preservandola o
ristabilendola quando tra questi dovessero crearsi delle difformità.
Questi servono per:

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1. Correggere le deviazioni: lasciano gli obiettivi prefissati e tendono a riportare


l’attività in linea con la programmazione;
2. Modificare gli obiettivi: lo scopo è il riadeguamento della programmazione alle
mutate condizioni interne ed esterne di svolgimento della gestione.
L’attuazione della programmazione e del controllo operativo consente di realizzare il tipo più
moderno di condivisione dell’attività aziendale: LA DIREZIONE PER OBIETTIVI E IL
CONTROLLO PER RISULTATI La possibilità di attribuire a ciascun responsabile un obiettivo
da raggiungere e di sorvegliare l’ottenimento mediante un controllo di tipo concomitante
renderà più agevole il sistema di conduzione, richiedendo l’intervento degli organi supervisori
solo nelle ipotesi di eccezioni rispetto alle norme stabilite. Ciò contribuirà a conferire un elevato
grado di autoregolazione delle singole parti del sistema aziendale, a ridurre considerevolmente
il carico della supervisione ai diversi livelli di direzione e, soprattutto, ad accrescere la
motivazione del personale.
LA FUNZIONE DI CONTROLLO DIREZIONALE
La funzione di controllo direzionale richiede l’adozione di strumenti e tecniche nel rispetto di
alcuni requisiti di fondoVALUTAZIONE DI FONDO SULLA GESTIONE DELL’EFFICIENZA: si
effettuano controlli a posteriori del rendimento dei fattori utilizzati, in quanto la funzione di
controllo non si esaurisce nello svolgimento del controllo operativo concomitante:
 EFFICACIA (grado secondo cui l’azienda raggiunge i suoi obiettivi): Equilibrio tra
creatività e conformità (è misurata dal rapporto tra obiettivi ottenuti e quelli che si
sarebbero dovuti conseguire;
 EFFICIENZA (capacità di rendimento o attitudine a svolgere una certa funzione):
Equilibrio tra rendimento e costo (misurata dal rapporto tra i risultati conseguiti e le
risorse impiegate);
 ADEGUATEZZA: Uso appropriato di tecniche e strumenti.
CONTROLLO STRATEGICO
Il controllo strategico, di carattere prospettico, ha carattere straordinario e si concentra su
diverse verifiche, si pone come obiettivo il controllo globale della gestione aziendale.
 VERIFICA CONGRUENZA ESTERNA del comportamento strategico dell’azienda:
strategia e ambiente;
 CONTROLLO CONGRUENZA INTERNA (organizzativa) tra strategia e struttura
dell’azienda: struttura e strategia;
 ANALISI QUALITA’ DIREZIONALE (efficienza del sistema e qualità dei responsabili di
direzione): idoneità e management.
La valutazione prospettica mira ad anticipare eventuali esigenze di cambiamento della
programmazione di tempo lungo e dell’assetto dell’organizzazione; in più, il controllo strategico
tende a valutare l’efficienza del sistema di direzione, ossia il meccanismo procedurale mediante
il quale strategie e struttura si legano durante la vita dell’impresa.
CONTROLLO STATEGICO
 CONTROLLO ECCEZIONALE ED ESTERNOsi fanno indagini relative alla qualità dei
sistemi e delle risorse manageriali che fanno ampliare i controllo strategico.
 CHECK-UP AZIENDALE: si intende un controllo approfondito e sistematico delle
condizioni di struttura e di funzionamento dell’organismo aziendale
 ANALISI E VALUTAZIONE DEL SISTEMA AZIENDALE NELLA SUA GLOBALITA’.
L’OGRANIZZAZIONE DELLA FUNZIONE DIREZIONALE DI CONTROLLO
IL GIUSTO EQUILIBRIO TRA CREATIVITA’ E CONFORMITA’ ciò può essere ottenuto
prescegliendo appropriatamente gli strumenti di controllo da impiegare nella varie aree
della gestione e in un secondo luogo stabilendo dei margini di autonomia nell’adozione
delle azioni correttive.

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EVITARE UN’ECCESSIVA PROLIFERAZIONE DEI CONTROLLI che finisce per tradursi in un


pericoloso rallentamento delle attività operativa e in un notevole aggravio dei costi. I
controlli debbono essere soprattutto funzionali, cioè rivolti agli aspetti di maggiore
importanza della gestione e finalizzati ad una tempestiva individuazione delle
inefficienze interne e di mercato.
Il controllo esige una preliminare organizzazione e programmazione dell’attività dell’impresa.
Così operando crescerà la sua efficacia e si massimizzerà il contributo fornito per l’indirizzo
della gestione.
IMPIEGO DI TECNICHE E STRUMENTI ADEGUATI ALLA GESTIONE AZIENDALE: è
opportuno che le procedure e i mezzi adoperati per l’attuazione del “piano di controlli”
rispondono alle caratteristiche di gestione dell’impresa.
NB.le soluzioni devono essere ricercate considerando i rendimenti previsti in funzione dei costi
da sostenere: solo da un equilibrato bilancio tra i risultati e gli sforzi potranno scaturire
le soluzioni di maggior vantaggio per l’impresa.
OBIETTIVI DI UN EFFICACE SISTEMA DI CONTROLLO DI DIREZIONE
 Equilibrare le esigenze di creatività e conformità nelle politiche aziendali e nel
funzionamento dell’organizzazione;
 Evitare l’eccessiva proliferazione dei controlli;
 Impiegare tecniche e strumenti adeguati e in linea con le risorse professionali e
finanziarie dell’impresa;

LA CONDUZIONE DEL PERSONALE E LA LEADERSHIP.


LE RISORSE UMANE: IL PILASTRO DELLA GESTIONE AZIENDALE.
La trasformazione dell’impresa, da semplice apparato operativo a “macchina pensante”,
accresce l’importanza della gestione delle risorse umane ai fini del successo imprenditoriale. La
vera ricchezza di un’impresa sono le professionalità di cui dispone. (bisogna assicurarsi che gli
individui inseriti nell’organizzazione siano motivati al raggiungimento degli obiettivi gestionali)
.

IM PR ESA : richiede il
m assim o rendim ento rispetto
ai costi

LAVORAT ORE: richiede il


m assim o sisultato (reddito
da lavoro ) rispetto alla
quantità e alle condizioni
delle prestazioni da rendere
Si possono venire a creare conflitti tra impresa e lavoratore, in due momenti: quello
contrattuale e quello operativo.
CONDUZIONE DEL FATTORE UMANO.
La funzione di conduzione del fattore umano ha per obiettivo l’ottenimento del miglior
rendimento dell’organizzazione e riguarda i problemi d’impiego e di guida delle risorse
umane presenti in azienda. (“dirigere” significa far si che altri realizzino altre attività).

L’abilità direttiva si misura non solo in funzione dei risultati operativi conseguiti ma
anche in rapporto al “clima” delle relazioni di lavoro instaurato in azienda.

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DIFFERENTI VISIONI DEL FATTORE UMANO


TEORIE ORGANIZZATIVE

ORGANIZZAZIONE VISIONE
SCUOLA DELLE
SCIENTIFICA DEL RELAZIONI SISTEMICA.
LAVORO (visione
UMANE. (individuo (far partecipare
meccanicistica dell
uomo) da motivare) l'individuo)
STILI DI DIREZIONE

AUTOCRATICO (principio
PARTECIPATIVO (principio
dell'autorità): attuata del conseso): attiata
mediante la gerarchia del
mediante la creazione della
comando. controllo esterno o
supervisorio. motivazione.autocontrollo.

STILE DI DIREZIONE = Modello di governo dei rapporti di lavoro nell’organizzazione.


N.B il funzionamento di qualsiasi organizzazione richiede, comunque, l’esistenza di una
gerarchia intorno a cui costruire, mediante la motivazione dei rapporti di consenso e di
collaborazione.
MOTIVAZIONE DEI LAVORATORI.
Il processo motivazionale si realizza quando alcuni degli obiettivi dell’organizzazione divengono
anche obiettivi del lavoratore, che si sente “integrato” nell’organizzazione. Si distingue tra
motivazione a produrre e partecipare perché richiedono strumenti differenziati:
 MOTIVAZIONE A PRODURRE (spinge ad assicurare la produttività richiesta
dall’organizzazione stessa:
o sistema premiante
o rotazione, estensione, accrescimento delle mansioni
 MOTIVAZIONI A PARTECIPARE (induce l’individuo ad accettare l’inserimento in
azienda):
o Analisi delle mansioni
o Leadership
SCALA DEI BISOGNI DI MASLOW
Secondo Maslow l’individuo tenderebbe alla soddisfazione di bisogni ordinati lungo una scala
gerarchica.

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Nel dettaglio:
BISOGNI DI SUSSISTENZA (primari): rappresentati dalle necessità fondamentali da
soddisfare per sopravvivere (nutrizione, abbigliamento, abitazione, ecc)
BISOGNI DI SICUREZZA costituiti dalle esigenze di protezione della persona, del patrimonio,
della posizione lavorativa.
BISOGNI DI SOCIALITA’ (affetto, appartenenza) rappresentati dalla necessità di sentirsi
parte di un gruppo, legati cioè ad altri individui da interessi, sentimenti, credenze comuni.
BISOGNI DI STIMA (reputazione, prestigio) costituiti dall’aspirazione a riscuotere il consenso
di altri e a collocarsi in posizione di preminenza nella classe sociale di appartenenza.
BISOGNI DI AUTOREALIZZAZIONE rappresentati dalla convinzione di aver realizzato
appieno le proprie capacità professionali e morali, ossia di aver raggiunto il miglior risultato
possibile sulla base dei requisiti personali posseduti.
Appena un individuo ha raggiunto un grado soddisfacente di appagamento di una classe di
bisogni, l’individuo si pone l’imperativo di passare a quella successiva, variando così il tipo di
incentivi in base alla posizione raggiunta sulla scala. Quindi la retribuzione rappresenta uno
degli elementi del rapporto di lavoro e non in tutti i casi è sufficiente a far migliorare il
rendimento dei dipendenti e a rendere più agevole la gestione delle risorse umane. Soprattutto
per coloro che hanno già raggiunto un soddisfacente standard di vita, le motivazioni che hanno
più prese sono quelle morali, di gratificazione, di attestazione di stima.
Criticità:
 appagamento parziale
 interdipendenza tra bisogni
 ordinamento soggettivo
 influenza delle condizioni ambientali
TEORIA DI HERZBERG ha distinto in due grandi categorie i bisogni dei lavoratori:
 SODDISFATTIVI quelli che una volta appagati producono gratificazione e quindi
stimolano all’azione (fattori motivazionali).
 INSODDISFATTIVI quelli che se non soddisfatti, generano frustrazione e determinano
l’inazione (fattori igienici)
TECNICHE DI INCENTIVAZIONE DEL PERSONALE.
Si tende a sviluppare L’IMPRENDITORIALITA’ COLLETTIVA che consente all’impresa di
rinnovarsi continuamente attraverso le innovazioni e la capacità di adattamento di tutti i
membri dell’organizzazione che operano i collaborazione.

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Sulle motivazioni a partecipare e a produrre incidono lo STILE DI DIREZIONE e la FORMA


(struttura 1) snelle, sono quelle preferite perché avvicinano i luoghi delle decisioni e
dell’esecuzione; 2)gruppi di lavoro integrati: progettazione e produzione) dell’organizzazione.
LO STILE DI DIREZIONE: può essere definito come il modello di governo dei rapporti di lavoro
nell’organizzazione.
L’adozione di un modello è legata al sistema di valori posseduto da chi dirige, alle capacità dei
subordinati e alle caratteristiche della situazione entro cui deve esercitarsi il processo di
direzione
TEORIA DELLA DIREZIONE MEDIANTE IL COMANDO ED IL CONTROLLO (teoria x):
 l’uomo in generale detesta il lavoro;
 gli unici mezzi affinché egli lavori sono i controlli e la minaccia di punizioni;
 l’obiettivo che si pone è la sicurezza, per cui evita il rischio di accollarsi responsabilità,
preferendo essere diretto piuttosto che assumere posizioni di leadership.
TEORIA DELLA DIREZIONE MEDIANTE L’INTEGRAZIONE TRA OBIETTIVI INDIVIDUALI
ED ORGANIZZATIVI (teoria y):
 il lavoro è accettato dall’uomo come fatto naturale;
 l’uomo può esercitare l’autodisciplina;
 capacità innovativa, immaginazione e fantasia creativa sono diffuse tra i lavoratori;
 le potenzialità dei lavoratori sono solo parzialmente messe a frutto nelle attuali
condizioni aziendali;
 l’uomo è disposto ad accettare responsabilità per ottenere prestigio sociale e
autoaffermazione;
PRINCIPIO DEL CLAN: Se tra gli individui del gruppo si affermano valori comuni d’impegno nei
confronti degli obiettivi assegnati al gruppo stesso dal superiore gerarchico, diventa superflua
l’attuazione del rapporto gerarchico per ottenere il rispetto degli obiettivi. Tale principio fa leva
sul rapporto comune di lealtà verso l’azienda, affinché la supervisione del comportamento e delle
prestazioni sia assicurata, in modo pressoché automatico, da forme di controllo sociale.
Bisogno riconoscere in leader: il LEADERCHIP (si basa su valori innati della persona ovvero
sulle sue doti carismatiche) consente di indurre modificazioni nel comportamento di altri
individui, senza far necessariamente ricorso ai meccanismi dell’autorità formale, ma sfruttando
l’autorevolezza per ottenere dagli altri l’adesione a progetti e programmi organizzativi.
Leadership è una questione di stile, educazione, equilibrio, disponibilità, apertura, ovvero di
grandi valori umani. Per essere o diventare un buon leader bisogna essere capaci di trasmettere
non solo problemi da risolvere, ma sentimenti, sfide, voglia di competere e di affermarsi, tensione
continua verso i risultati. La sua abilità riposa nella velocità del processo di realizzazione delle
scelte e sul mantenimento della coesione del gruppo di persone dirette.
MOTIVAZIONE DEL PERSONALE MEDIANTE ANALISI DELLA MANSIONE
L’integrazione tra obiettivi dei singoli e quelli dell’organizzazione può essere facilitata, oltre che
con il modello di conduzione ed il sistema premiante, anche con l’impiego di tecniche di analisi e
valutazione delle mansioni ovvero si ricerca maggiore omogeneità possibile tra caratteristiche

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del lavoro (mansioni) e lavoratori.


JOB ANALYSIS: è lo studio approfondito e sistematico delle singole posizioni organizzative,
diretto a valutare le caratteristiche delle operazioni e dei compiti ad esse connesso, le
conoscenze e capacità richieste all’esecutore e le responsabilità nei confronti di altre unità
amministrative.
La descrizione della mansione e la specificazione dei requisiti per coprirla consentono di avere
una guida preziosa nella selezione del personale nell’attribuzione dei compiti, nella valutazione
della prestazione e nella pianificazione della carriera.
“CONTRATTO PSICOLOGICO” tale contratto si perfezione quando si crea un buon grado di
concordanza tra quello che il dipendente ritiene di dover dare e ricevere dall’impresa e quello
che corrispondentemente si aspetta l’organizzazione.
TECNICHE DI VARIAZIONE E AMPLIAMENTO DELLA MANSIONE per migliorare il
rendimento del fattore umano:
 JOB ROTATION l'individuo «ruota» in mansioni diverse, anche se comprese nello
stesso ciclo di lavoro (obiettivo: rendere meno monotona la prestazione lavorativa e
portare ad un accrescimento delle conoscenze e della preparazione professionale del
lavoratore).
 JOB ENLARGEMENT ampliamento della mansione: comporta l'’affidamento di cicli
integrati di operazioni, in modo da attribuire all’esecutore la responsabilità di un’attività
completa ed enucleabile rispetto ad altre attività svolte nell’organizzazione.
JOB ENRICHMENT ampliamento verticale della mansione mediante il coinvolgimento del
responsabile nella fase decisionale oltre che opera

Cap13
LA GESTIONE OPERATIVA E IL MARKETING
FUNZIONI OPERATIVE DI GESTIONE IN UNIMPRESA MANIFATTURIERA: si svolgono con
caratteristiche e problematiche dissimili da azienda ad azienda. La gestione tenderà a
differenziarsi soprattutto in rapporto alla natura dell’attività e alle dimensioni della struttura:
 FUNZIONI OPERATIVE PRIMARIE: Quelle non solo comuni a tutti i tipi di azienda ma
anche normalmente inserite all’interno dell’organizzazione:
o Produzione
o Vendita
o Finanza
 FUNZIONI DI SUPPORTO: caratterizzate in prevalenza da un grado relativamente
minore di importanza e, in certi casi, affidabili anche a centri esterni di servizio:
o Personale
o Ricerca e sviluppo
o Logistica (dipende perché si può trovare nelle funzioni operative primarie)
 FUNZIONI AUSILIARIE: molto spesso, anche se parzialmente, delegate all’esterno per
ragioni di economicità o per mancanza di competenze idonee nell’organizzazione:
o Trasporti
o Distribuzione
o Manutenzione

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o Pubblicità
ORIENTAMENTI GESTIONALI 1) orientamento al prodotto 2) orientamento al mercato
ORIENTAMENTO AL PRODOTTO: dare cura soprattutto ai problemi attinenti al ciclo di
produzione dei beni, per i quali la successiva vendita finiva per costituire un’attività
complementare e pressoché automatica (situazione di mercato facile  mercato del
venditore).
ORIENTAMENTO AL MERCATO Presuppone la necessità di analizzare la quota
massima di mercato ottenibile dall’azienda ed indirizzare le politiche di produzione in
funzione degli obiettivi di vendita realizzabili.

OTRIENTAMENTO AL BUSINESS: basato sul concetto di marketing, si concentra nella ricerca


di nuove occasioni d’affari da aggiungere eventualmente a quelle già sfruttate nell’ambito del
mix di settori in cui si opera. In tal senso, lo sguardo di chi governa l’impresa è proiettato verso
l’individuazione di bisogno e desideri dei consumatori che, tenendo conto delle risorse aziendali
disponibili, possono rappresentare delle nuove opportunità di business, addizionali o, in certi
casi, sostitutive di quelle già soddisfatte in passato. Il punto centrale della differenza tra
orientamento al mercato e al business è dato dall’ampiezza dell’area di osservazione da parte
dell’impresa: nella prima ipotesi, infatti, le opportunità vanno ricercate sostanzialmente nel
mercato in cui già si è presenti; mentre nella seconda la ricerca si estende a tutti i mercati
( campi di attività) in cui le risorse aziendali possono essere impiegate con successo.

IL MARKETING
È un orientamento di gestione (o una filosofia aziendale) che pone il cliente (e i suoi bisogni) al
centro dell’interesse e dell’attenzione aziendale.
Lo sguardo di chi governa l’azienda è proiettato verso l’individuazione di bisogni e desideri dei
consumatori che, tenendo conto delle risorse aziendali disponibili, possano rappresentare delle
nuove opportunità di business.
Il marketing è il processo mediante cui l’azienda studia il mercato o i mercati che ritiene
interessanti, analizza le tendenze della domanda e la situazione della concorrenza, individua
l’esistenza di opportunità di business, orienta la produzione in funzione dei potenziali acquirenti

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da conquistare (target di mercato), provvede a collocare i prodotti presso gli sbocchi prescelti.
Fare marketing vuol dire attribuire all’area commerciale il ruolo di guida delle strategie
competitive.
POLITICHE DI MARKETING O “4P”.
Le politiche di marketing (o “4 P”, dall’inglese: product, price, promotion, place), nel loro insieme,
compongono la combinazione o mix di marketing, cioè la miscela degli strumenti rivolti
all’ottenimento degli obiettivi di mercato fissati di periodo in periodo.
 PREZZO
 PROMOZIONE
 DISTRIBUZIONE
 PRODOTTO
Vanno definite in funzione della scelta strategica del market-target (mercato-obiettivo) che
l’impresa intende raggiungere. (mercato obiettivo richiede uno studio approfondito del
comportamento dei consumatori che dipende dal tipo di prodotto: consumo giornaliero,
periodico, eccezionale).
Il marketing in funzione del servizio del consumatore (CONSTUMER SATISFACTION) e della
concorrenza basata sul tempo (TIME-BASED COMPETITION). Le imprese produttrici di beni di
consumo sono sempre più decisamente orientate a migliorare il servizio al consumatore e
ridurre i tempi di messa a punto dei nuovo prodotti (time-based competition) o, comunque,
nelle nuove offerte di mercato. La crescita della componente di “sevizio” è un tratto comune per
le aziende che operano in questo settore perché è rivolto sia a <<differenziarsi>> meglio dalla
concorrenza sia a fidelizzare il più possibile la propria clientela.
Le difficolta e i costi promozionali necessari per acquistare nuovi clienti, fanno si che la
constumer satisfaction e retention diventino obiettivi prioritari dell’azione di marketing. Il
portafoglio clienti rappresenta la vera ricchezza commerciale di un’impresa, frutto
dell’avviamento creatosi nel tempo e valore da difendere in mercati caratterizzati da elevata
competitività.

Nell’ambito della funzione commerciale si possono individuare 2 gruppi di compiti che, per la
loro importanza, tendono a creare delle distinte sub-funzioni.
DIREZIONE COMMERCIALE

FUNZIONE DI MARKETING FUNZIONE DI VENDITA

PROGRAMMAZION PROGRAMMAZION PROMOZIONE E


ANALISI E STUDI GESTIONE AMMINISTRAZION GESTIONE
E NUOVI E E CONTROLLO DI SVILUPPO DELLE
DI MERCATO VENDITE E VENDITE PRODOTTI FINITI
PRODOTTI VENDITA VENDITE

ASSISTENZA
RETE DI VENDITA
TECNICA

DISTRIBUTORI

Le responsabilità di marketing richiedono competenze prevalentemente di studio e una


centralizzazione degli organi a cui esse devono essere confidate.
Le responsabilità di vendita comportano prevalentemente delle azioni da svolgere in diretto

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contatto con il mercato per tale ragione è indispensabile un decentramento delle


responsabilità nella struttura aziendale.

Il reddito si può frazionare in 2 parti:


 IMPEGNATAper il soddisfacimento dei beni essenziali o di prima necessità
 DISPONIBILE per il risparmio o per l’appagamento di bisogni non necessari
Per la spendita del reddito discrezionale, il consumatore effettua un processo di scelta a 3 stadi:
BISOGNI- BENI-MARCA.
Il produttore quindi si troverà a fronteggiare prima una concorrenza indiretta (bisogni) poi
una concorrenza allargata (beni) e in fine una concorrenza diretta (marche).
Alle aziende interessa soprattutto conoscere le cause che originano differenti comportamenti
d’acquisto.
Le motivazioni di acquisto si dividono in 3 gruppi:
1. MOTIVAZIONI RAZIONALI incentrate sul calcolo economico e orientate,
sostanzialmente dalla valutazione del rapporto prezzo qualità dei beni da acquistare
2. MOTIVAZIONI EMOTIVE collegate alla sfera dei sentimenti e derivanti da fattori di
gusto, di estetica, di personalità del consumatore.
3. MOTIVAZIONI DI PATROCINIO correlate alla fiducia nel produttore o nel
distributore e alla creazione di un rapporto d’integrazione tra il consumatore e la marca
(o il negozio), tale che il primo diventi non solo un’acquirente stabile e fedele di prodotti
di quell’azienda o quel negozio, ma anche un <<patrocinatore>> della marca o del punto
di vendita nei confronti di altri consumatori.
Rapporto tra prezzo del bene e reddito disponibile che influenza le modalità e le motivazioni
d’acquisto. Più tale rapporto è elevato e più i consumatori tendono a prevalere i motivi razioni e
di patrocinio rispetto a quelli emotivi (acquisti d’impulso, caratterizzati da un basso rapporto
prezzo-reddito).

PARAMETRI DI SEGMENTAZIONE DEL MERCATO


Ogni mercato si può frazionare in più segmenti (gruppi relativamente omogenei di
consumatori), utilizzando diversi parametri; (il compito più difficile nell’attuazione del processo
di segmentazione consiste nell’individuare le caratteristiche o fattori principali che distinguono
strati differenti di mercato e nello scegliere, tra questi, quello o quelli che meglio si presentano a
definire le classi di acquirenti, cui in particolare l’impresa ha interessa a rivolgersi):
 DEMOGRAFICI età, sesso, ampiezza della famigli, nazionalità, razza.
 SOCIO-ECONOMICI reddito, professione, livello d’istruzione.
 UBICAZIONALI popolazione urbana, sub-urbana e rurale.
 PSICOGRAFICI personalità, autonomia decisionale, preferenze per l’innovazione
 COMPORTAMENTALI disposizione all’acquisto, grado di fedeltà, benefici desiderati
INDIVIDUAZIONE DEL TARGET DI MERCATO
La segmentazione è attuata mediante l’incrocio di più parametri.
All’impresa interessa cogliere le principali uniformità di comportamento e di isolare classi di
clientela che, per omogeneità e dimensione, si prestino ad essere considerate come un solo sub-
mercato, meritevole di essere gestito in modo indipendente.
STRATEGIE DI MARKETING.
Di fronte ad un mercato segmentabile, l’impresa può adottare 3 differenti atteggiamenti:
 INDIFFERENZIATO: Considera il mercato come se fosse omogeneo e adotta un’unica
strategia di marketing per tutti i consumatori l’impresa si rivolge ad un ampio numero

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di potenziali acquirenti sulla base di un programma standard di marketing, che prevede


l’unicità di modelli, prezzi, condizioni di vendita. Incontra delle limitazioni in ordine alla
quota di mercato ottenibile e comporta una maggiore rischiosità a causa della
concentrazione di tutti gli sforzi aziendali su un unico modello di prodotto.
 DIFFERENZIATO: Si indirizza verso un gran numero di segmenti di mercato, per
ciascuno dei quali sviluppa un diverso programma di marketing  tende a soddisfare le
esigenze e le aspettative di più segmenti di mercato. La diversificazione dei modelli, delle
confezioni, dei prezzi, della promozione, è rivolta a creare delle condizioni di offerta il più
possibile omogenee a quelle della domanda allo scopo di ampliare il volume delle vendite.
Comporta maggiori costi di produzione, amministrazione e promozione.
 CONCENTRATO: Si indirizza verso un solo o, al massimo, pochi segmenti di mercato con
un unico programma di marketing si fonda sulla scelta di un particolare settore di
mercato su cui concentrare gli sforzi aziendali. I vantaggi sono concessi con la maggiore
specializzazione (minori costi di produzione, amministrazione e promozione) e, in certi
casi, con un più elevato tasso di redditività del segmento prescelto. Essa presenta delle
limitazioni in ordine al volume d’affari ottenibile ed è sottoposto a condizioni di elevata
rischiosità.
POLITCA DI PRODOTTO.
Appare caratterizzato da un alto tasso di strategicità perché richiede l’allestimento di strutture
molto impegnative sotto il duplice profilo delle risorse finanziarie da immobilizzare e della
rigidità delle scelte di fondo formulate. Sono decisioni che vincolano l’impresa per tempi luoghi e
si incentrano a determinare:
 AMPIEZZA DELL’OFFERTA: la minore o maggiore estensione della gamma di vendita.
 DIFFERENZIAZIONE DEGLI ASSORTIMENTI: la distinzione interna alla gamma ed
esterna rispetto alla concorrenza
 INNOVATIVITA’ DELLE PRODUZIONI: il tasso di rinnovamento e di ricambio dei
prodotti posti in vendita.
 VISIBILTA’ DEI PRODOTTI: ossia la scelta della marca e della confezione

GAMMA DI VENDITA si divide in:


 COERENZA affinità di tipi di prodotti, riguarda il grado d’interrelazione tra i differenti
tipi (linee) di prodotto. Maggiore è l’affinità tecnologica e di mercato, più marcato è il
grado di coerenza della gamma. (prodotti strategici e prodotti da richiamo)
 AMPIEZZA tipologia produttiva
 PROFONDITA’ ogni prodotto viene portato al mercato con una varietà di modelli
differenti per:
1. Le caratteristiche intrinseche del tipo di prodotto.
2. La segmentazione della domanda e il posizionamento dell’offerta da
differenziare in funzione dei gruppi dei consumatori da servire.
3. L’invecchiamento dei modelli e la differente capacità di contribuire al
reddito d’impresa.
POSIZIONAMENTO DI MERCATO
Dipende dalle caratteristiche attribuite ai prodotti posti in mercato.
E’ l’insieme di iniziative volte a definire le caratteristiche del prodotto offerto dall’impresa e ad
impostare il marketing mix più adatto per attribuire una certa posizione al prodotto nella mente
del consumatore.
Il problema del posizionamento si collega direttamente a quello della segmentazione, perché
completa la definizione del rapporto impresa-domanda-concorrenza. A seguito della
segmentazione, l’azienda può scegliere delle sgtrategie di marketing da attuare (indifferenziata,
differenziata, concentrata), ma quest’ultima deve essere orientata in funzione delle fasce più

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particolari di consumatori da servire. Esisogtno 8 modalità di posizionamento (per attributi, in


base ai benefici del prodotto, per occasioni d’uso, per utilizzatori del prodotto, per
caratteristiche base dell’impresa, per classi di prodotto, rispetto ad un concorrente, su base
ibrida).

CURVA DEL CICLO DI VITA DEL PRDOTTO


Questa curva ha naturalmente un andamento diverso in relazione non solo alla natura del
prodotto ma anche alle politiche di mercato:
 Obsolescenza
 Obsolescenza programmata
 Rivitalizzazione
Ciascuna fase è generalmente caratterizzata da una diversa redditività e da un differente peso
delle altre politiche di marketing

INTRODUZION SVILUPPO MATURITA’ DECLINO


E
VENDITE Scarse Crescita rapida Picco Picco
COSTI CLIENTE Alti Medio Basso Basso
PROFITTI Negativi Crescenti Alti Declinanti
TIPOLOGIA CL Innovatori Adottanti iniziali Maggioranza Ritardatari
CONCORRENTI Pochi In aumento Stabili In riduzione
PUBBLICITA’ Conoscenza Consapevolezza Differenziazione Fidelizzazione
PROMOZIONE Intensa Riduzione Aumento Riduzione

introduzione crescita molto lenta nelle vendite

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sviluppo l’espansione delle vendite ha luogo ad un ritmo molto rapido a seguito


dell’affermazione del prodotto nel mercato
maturità le vendite continuano a svilupparsi ma ad un tasso meno elevato.
declino il volume delle vendite comincia a ridursi più o meno rapidamente per l’obsolescenza
del prodotto, per immissione di un prodotto sostitutivo o per saturazione della domanda
MATRICE DEL PORTAFOGLIO PRODOTTI.
Suddivide i prodotti in 4 gruppi in funzione del cash-flow generato, intendendo con questo
termine il divario tra investimenti e ritorni relativi a ciascun tipo di prodotto. Per ciascun
prodotto la situazione favorevole o sfavorevole sotto il profilo del ritorno dell’investimento
dipende dalla QUOTA DI MERCATO POSSEDUTA dall’impresa e dal TASSO DI
TASSO ANNUALE DI CRESCITA DEL MARCATO

VARIAZIONE DELLA DOMANDA GLOBALE

STELLA ENIGMI
flusso di cassa: flusso di cassa:
equilibrio tra negativo
entrate e uscite strategia:
strategia: osservare se
investire nella evolve verso
crescita stella o cane

CANI
VACCHE DA
MUNGERE flusso di cassa:
equilibrio tra
flusso di cassa:
alto, stabile entrate e uscite o
negativo
strategia:
mungere strategia:
disinvestie

QUOTA DI MERCATO

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LIMITI:
 Non considera i tassi negativi di sviluppo della domanda (decremento della domanda)
 La quota di mercato è solo un elemento della forza competitiva .
PROGRESSIONE dei prodotti:
 FAVOREVOLEpassaggio da prodotto rischioso a prodotto di successo e in fine a
prodotto da reddito.
 SFAVOREVOLE ipotizza il movimento da prodotto di successo a prodotto rischioso e a
marginale. Meno frequente è il passaggio da prodotto da reddito a marginale.
MATRIGE GENERAL ELECTRIC.

ATTIVITA’ DEL SETTORE: è funzione del tasso di sviluppo della domanda ma è anche da
rapportare ai margini di profitto conseguibili, alla dimensione totale del mercato e ad altri
fattori che possono essere importanti a seconda dei casi.
FORZA COMPETITIVA: oltre ad essere correlata alla quota di mercato può rapportarsi alla
velocità della sua crescita, al grado di innovatività dei prodotti.
Definizione di prodotto: un prodotto va considerato come un fascio di utilità, un insieme di
attributi tangibili e intangibili, che risponde ad esigenze di vario ordine.
GLI ALTRI ELEMENTI DELLA POLITICA DI PRODOTTO.
 POLITICHE DELLA MARCA: la marca è sinonimo di garanzia e qualità del prodotto
(brend extension ampliamneto della gamma originaria di prodotti ad altri beni, a
volte complementari e altre volte molto lontani da quelli abitualmente trattati. Griffe
settore della moda):
o Cessione in bianco l’impresa non ha i mezzi finanziari e la capacità di
conferire la necessaria spinta all’azione di vendita da sviluppare nel mercato.
o Marca industriale/commerciale
o Marca unica per la famiglia di prodotti marca associata al nome
dell’azienda. Beni di largo consumo, durevoli e strumentali ( family brand e firm
brand)
o Marche per ciascun prodotto (product brand) si cerca di differenziare i vari
prodotti per ottenere una distinzione per qualità, immagine e linee di prezzo.
 CONFEZIONE (industral packing):
o Attrattiva per il cliente
o Determinante per acquisire un vantaggio differenziale rispetto a prodotti
simili
o Possibili sinergie nella funzione di trasporto (i costi si riducono)
 ASSISTENZA POST VENDITA (garanzie da fornire ai compratori):
o Garanzia di qualità nel proprio marchio vs. apposizione di marchi di

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qualità
o Garanzie di funzionamento (assicurare assistenza gratuita da parte del
produttore)
o Assistenza tecnica
POLITICA DEL PREZZO.
La determinazione del prezzo di vendita avviene di solito sulla base delle seguenti premesse
generali.
 FUNZIONE DEL PREZZO IN RELAZIONE ALLA SEGMENTAZIONE E AL
POSIZIONAMENTO DELLA MARCA
 EQUILIBRIO VOLUMI-MARGINI DA CONSEGUIRE
 RUOLO DEL PRODOTTO NELLA MARCA (particolare prodotto all’interno della gamma
di vendita)
 RELAZIONE CON IL MARKETING-MIX (peso della politica di prezzo nel marketing
mix anche se molte volte il prezzo è un vincolo e non una variabile)
La fissazione di prezzi avviene in genere in 2 fasi: prima a livello specifico e poi in funzione
dell’intera gamma trattata. Il problema si concreta nell’individuazione del possibile margine di
manovra del prezzo e nella determinazione, nell’ambito di questo, di una quotazione compatibile
con gli obiettivi di mercato da raggiungere.

AREE DI MANOVRA DEL PREZZO:


 COSTO DEL PRODOTTO: Incerta imputazione dei costi comuni, incertezza costi
variabili, previsione del volume di produzione e vendita.
 ELASTICITA’ DELLA DOMANDA: La determinazione del prezzo deve tener conto del
valore attribuito al prodotto dai consumatori
 CONCORRENZA: Il prezzo risentirà particolarmente del livello di differenziazione del
prodotto

ESCURSIONE DEL PREZZO dipende da:


 Concorrenza reale la presenza nel mercato di prodotti con caratteristiche più o meno
similari a quelle del prodotto considerato.
 Concorrenza potenziale la possibile entrata di altri prodotti , una volta superate
certe soglie di prezzo.
 Concorrenza indiretta la minaccia di prodotti sostituti.
 Grado di differenziazione del prodotto rispetto alla concorrenza.
 Qualità del servizio fornito insieme al prodotto.
Il concetto di fondo a cui si lega la politica di prezzo è quello della differenziazione del
prodotto, dato che i gradi di libertà nella fissazione del prezzo dipendono dai vantaggi
differenziali di cui il prodotto gode nei confronti della concorrenza.
È infatti intuibile che un prodotto idoneo a soddisfare un nuovo bisogno, o a rispondere più
efficientemente a bisogni preesistenti dei consumatori, consente un ampia discrezionalità per il
produttore. Ciò vale ancor più allorché i vantaggi differenziali sono destinati a permane nel
tempo nei confronti sia della concorrenza reale sia di quella potenziale. È il grado di
differenziazione che consente di ricavare il PREMIUM PRICE, cioè il differenziale favorevole di
prezzo nella vendita del prodotto. Più quest’ultimo è differenziato rispetto ai prodotti della
concorrenza più potrà essere collocato con margini elevati.
 POLITICHE DI PENETRAZIONE mira a raggiungere il numero più elevato di
acquirenti mediante la fissazione di un prezzo minimo che le consente di acquistare
immediatamente una larga fascia di clientela e di recuperare, in termini di profitto
globale, il minor margine unitario.

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 POLITCA DI SCREMATURA si prefigge la conquista successiva di segmenti di mercato


sempre meno ricchi o, per meglio dire, di classi di consumatori disposti a spendere sempre
meno per acquistare il particolare prodotto. Si collega ad una politica di prezzi
inizialmente alti e decrescenti nel tempo, il cui fine è la massimizzazione del profitto
unitario come via per massimizzare il profitto globale.
La politica di prezzo fissa i limiti entro cui vanno assunte le scelte relative ai singoli prodotti.
Queste devono tener conto oltre dei criteri generali stabiliti a livello aziendale, del ruolo che
ciascun prodotto o modello è chiamato a svolgere all’interno della gamma di vendita.
INDICE DI ELASTICITA’ INCORCIATA
Serve a valutare l’interrelazione fra i prezzi dei prodotti venduti.
Nell’ipotesi di 2 beni (A e B), l’indice di elasticità incrociata (E a,b), misurato dal rapporto tra la
variazione percentuale della domanda del bene A (Va) rispetto a quella del prezzo del bene B
(Pb), è pari:

- E a,b > 1 -> beni intersostituibili


- E a,b < 1 -> beni complementari
- E a,b = 0 -> beni non correlati.

AMMINISTRAZIONE DEI PREZZI DI VENDITA


 DEFINIZIONE DEI MARGINI COMMERCIALI detrazioni sul prezzo finale di vendita
da praticare agli intermediari mercantili.
 DISCRIMINAZIONE OGGETTIVA E RAPPORTO A DETERMINATI CLIENTI
nell’ambito di margini di discrezionalità attribuiti agli organi di vendita
 CONDIZIONI CONTRATTUALI (volumi di acquisti, modalità di pagamento, tempi di
consegna)
 GRADO DI CONTROLLO DEI PREZZI (impostisenza sconti ai compratori finali;
suggeritisono quelli per cui è consentito al rivenditore un certo margine di manovra;
liberisono quelli stabiliti indicativamente dal produttore, ma che non vincolano in
alcun modo il distributore)
LA POLITICA DI COMUNICAZIONE
La politica di comunicazione (promotion) si concreta nello stabilire gli obiettivi, le modalità ed i
mezzi di comunicazione con i vari pubblici: soprattutto ad essa è affidato il compito di inviare
informazioni agli interlocutori con cui l’impresa è in contatto. Il concetto di attività di
comunicazione estende i contenuti promozionali sotto due aspetti:
 La finalità da conseguire
 I destinatari da raggiungere
L’attività di comunicazione è esercitata anche al di là dell’azione promozionale, ricollegandosi a
qualsiasi forma di relazione con il sistema ambientale.
PROMOZIONE: si può definire come il complesso di azioni poste in essere per indurre,
preservare o modificare i modelli di comportamento degli operatori di mercato (consumatori,

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intermediari, finanziatori, altri produttori, ecc..), allo scopo di ritrarre un vantaggio competitivo.
Lo scopo ultimo e più specifico è di creare delle preferenze, di informare e di persuadere i beni
prodotti dall’impresa. Essa deve indurre ad acquistare, sfruttando le motivazioni che
determinino il comportamento del consumatore.
MECCANISMI DI FORMAZIONE DELLA VOLONTA’ DEL CONSUMATORE
MODELLO MODELLO MODELLO MODELLO DELLA
AIDA DELLA INNOVAZIONE- COMUNICAZION
GERARCHIA ADOZIONE E
DEGLI EFFETTI
STADIO Attenzione Consapevolezza Consapevolezza Esposizione
CONOSCITIVO Attenzione
(momento Conoscenza Risp. conoscitiva
cognitivo)
STADIO Interesse Gradimento Interesse Atteggiamento
AFFETTIVO desiderato Preferenza
(momento Convinzione Valutazione Intenzione
emotivo)
STADIO DEL Azione Acquisto Prova Comportamento
COMPORTAMENT Acquisto
O
(momento attivo)
Momento cognitivo nel quale si acquisisce la consapevolezza del bisogno da soddisfare e si
inizia a rivolgere l’attenzione a prodotti idonei a tale scopo
Momento emotivo quando l’attenzione si trasforma prima in interesse e poi nel desiderio di
disporre del prodotto
Momento attivo in cui si passa alla fase materiale dell’acquisto mediante una comparazione
delle varie offerte di mercato
Lo scopo della PROMOZIONE è quello di far conoscere e soprattutto ricordare favorevolmente il
nome del prodotto, in modo da ottenere in suo inserimento fra le alternative d’acquisto.
IMBUTO PROMOZIONALE
Si ricorre al concetto di imbuto per sottolineare l’immissione nell’attività promozionale di
risorse, che si differenziano per modalità di impiego e per effetti prodotti, allo scopo di ottenere
lo sviluppo delle vendite.

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PUBBLICHE RELAZIONI concorrono a creare un’immagine favorevole dell’impresa presso i


pubblici con cui entra in rapporto. L’impresa riesce a farsi accettare dal pubblico in modo da
ottenere l’appoggio necessario per svolgere più proficuamente la sua attività. Far conoscere
l’impresa. Il fine ultimo è quello di creare le condizioni più favorevoli per migliorare la posizione
di mercato.
PUBBLICITA’ è senz’altro l’attività più tradizionale di sviluppo delle vendite nel suo
complesso. Per pubblicità si intende: qualsiasi forma di messaggio impersonale inviato a
pagamento da un promotore individuato a coloro che sono o possono essere interessati al
prodotto. Compagnie di lancio, di urto, di prestigio, di ricordo.
PROMOZIONE IN SENSO STRETTO si concreta nel creare di solito per periodi limitati di
tempo, particolari incentivi per l’acquisto dei prodotti aziendali. Qualsiasi forma di promozione
commerciale ha un’elevata carica persuasiva perché si concreta nell’offerta di speciali condizioni
di acquisto o nella promessa di benefici futuri per il consumatore.
I problemi di composizione quali-quantitativa della miscela promozionale fanno parte
della formulazione del budget pubblicitario, che serve a predeterminare l’entità, le
modalità e i tempi di impiego dei differenti strumenti promozionali.
AMMONTARE DEI MEZZI DA DESTINARE ALLA PROMOZIONE DELLE VENDITEal di
sotto di una certa soglia, l’investimento non produce alcun risultato significativo e che la
misurazione dell’efficacia pubblicitaria è estremamente difficile. Si hanno due casi:
 INVESTIMENTI RIPETUTI
o lo stanziamento è determinato spesso in modo empirico e poco razionale.
o Maggiorare, secondo una percentuale pari al previsto incremento delle vendite,
l’ammontare stanziato per l’anno precedente.
 INVESTIMENTI INIZIALI O RIPETUTI
o lo stanziamento è in percentuale del fatturato realizzato l’anno precedente o
previsto per l’anno successivo.
o In rapporto all’investimento operato dalla concorrenza.
o In funzione della cifra che l’imprenditore ritiene possa essere sopportato dal conto
economico aziendale.
Sono tutti procedimenti poco razionali perché non legano l’entità dell’investimento agli obiettivi
da raggiungere (i mezzi da usare dipendono dalla TARGET GROUP da raggiungere).
LA POLITICA DI DISTRIBUZIONE COMMERCIALE
Comporta scelte relative alla determinazione del:
 LIVELLO DI CONTATTO CON IL MERCATO tipologia degli sbocchi (per stabilire le
vie di deflusso delle produzioni è necessario conoscere, anzitutto, la struttura della
distribuzione prevalente nel mercato, cioè le modalità secondo cui i tipi di beni trattati
sono posti a disposizione dei consumatori)
 INTENSITÀ DELLA DISTRIBUZIONEnumero di sbocchi (la scelta del numero di
sbocchi attraverso cui avviare i prodotti sul mercato)
o Vendita estensiva massima copertura dei punti di vendita
o Vendita selettiva attraverso un numero limitato e
selezionato di sbocchi
o Vendita esclusiva
 TIPO DI OPERATORI CUI AFFIDARE IL COLLOCAMENTO DEL PRODOTTO SUL
MERCATO modi di collegamento (venditori aziendali, commercianti ausiliari
mercantili)
POLITICA DI DISTRIBUZIONE
 GRADO DI CONTROLLO SULLA DOMANDA FINALE (lunghezza del circuito- aspetto
verticale)
 Canali direttiproduttore-consumatore

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 Canali breviproduttore, dettagliante, consumatore


 Canali lunghi produttore, grossista, dettagliante, consumatore
 GRADO DI COPERTURA DEL MERCATO (intensità della distribuzione-aspetto
orizzontale) va misurato in rapporto a due indici che servono per valutare il proprio
grado di presenza nel mercato servito:
o Quota numerica dei punti di vendita (rapporto tra punti di vendita
aziendale e punti di vendita totali)
o Quota ponderatarapporto tra il volume d’affari realizzato di punti
di vendita toccati dall’azienda e quello ottenuto da tutti i punti di
vendita.
POLITICHE DI PUSH/PULL
Le soluzioni del problema dei canali sono limitate e spesso sono destinate ad esercitare un effetto
fortemente condizionante rispetto le politiche di prodotto, prezzo e promozione. La scelta del
tipo di distribuzione si collega, innanzitutto all’orientamento dell’azione di vendita da attuare.
La scelta del tipo di distribuzione si collega, innanzi tutto, all’orientamento della azione di
vendita da attuare.
 strategia di marketing di spinta (o di push), deve far ricorso a forme distributive
particolarmente incisive e penetranti nei confronti del mercato ultimo da raggiungere.
 strategia di marketing di attrazione (cosiddetta di pull), deve sfruttare soprattutto lo
strumento pubblicitario, a cui si aggiungerà lo sforzo distributivo.
Nell’ambito della politica stabilita, bisogna poi valutare la convenienza del ricorso a certi
sbocchi e a certi operatori commerciali. Per far ciò è necessario considerare una serie di elementi
quantitativi e qualitativi (costosità, rischiosità grado di controllo della domanda finale) relativi
alla differente via di distribuzione. Tra i principali fattori quantitativi sono da includere il costo
e l’investimento richiesto dall’impiego di ogni circuiti commerciale.

TIPOLOGIA DEI CANALI DISTRIBUTIVI

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IL COSTUMER RELTIONSHIP MANAGEMEN


Il marketing relazionale si riferisce alla gestione di attività finalizzate a stabilire, mantenere e
potenziare una relazione con il consumatore che trascenda il singolo atto di scambio: l’obiettivo
è dunque quello di coinvolgere il consumatore in una relazione individuale (one-to-one), di lungo
termine, accrescendone il grado di fedeltà. Il costumer relationship management deve
mantenere un elevato grado di fedeltà dei clienti, in modo da conferire stabilità al portafoglio
detenuto.
Le radici concettuali del customer relationship management sono più in generale impiantati
nelle rationship marketing dal quale trae alcuni principi fondamentali: i clienti sono <<asset>>
dell’impresa, che devono essere gestiti in un’ottica di lungo periodo; la profittabilità dei clienti
varia e non tutti i clienti sono ugualmente desiderabili; conoscendo sempre meglio i bisogni, le
preferenze, i comportamenti d’acquisti dei consumatori, le imprese possono costruire un’offerta
a misura di ciascun cliente, cos’ da allungare l’orizzonte temporale della relazione, misurando in
valore complessivo del portafoglio clienti.

SODDISFAZIONE E FIDELIZZAZIONE
È indispensabile soddisfare e fidelizzare i clienti perché:
 Acquisire nuovi clienti genera costi il costo potrebbe non essere ammortizzato sulla
singola transazione, per cui i profitto derivanti dal singolo cliente aumentano dopo che i
costi di acquisizione sono stati totalmente coperti.
 La fedeltà dei clienti all’azienda aumenta il flusso dei ricavi nel tempo mentre i
ricavi correlati possono ridursi.
 Si attiva un processo di passaparola (word of mouth) da parte dei consumatori
fidelizzati
 Diminuisce la sensibilità dei consumatori fidelizzati verso le offerte alternative,
anche se economicamente più vantaggiose, perché aumentano i costi di
cambiamento o di transazione (switching cost).
CUSTOMER LIFE-TIME VALUE
Obiettivo finale del marketing relazionale è il miglioramento della profittabilità nel lungo
termine e la massimizzazione del customer life-time value.
Il Customer Lifetime Value definisce il valore che nel lungo termine un cliente può generare per
una determinata impresa.

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Cap14
LA GESTIONE DELLA PRODUZIONE.
LA FUNZIONE DI PRODUZIONE
La funzione di produzione riguarda il processo di trasformazione dei beni, ossia l’insieme di
operazioni mediante il quale le risorse acquistate dall’impresa (materie prime, ausiliarie,
semilavorati, ecc.) sono tramutate in prodotti finiti da collocare sul mercato.
questa funzione comprende 3 fasi:
 APPROVVIGIONAMENTI
 TRASFORMAZIONE DEI PRODOTTI
 VENDITA
ASPETTI OPERATIVIIl profilo operativo della funzione di produzione si orienta più
specificamente ai problemi di logistica industriale, e l’efficienza è il risultato di scelte
coordinate di approvvigionamento, produzione e vendita:
 Miglioramento del time to market
 Riduzione degli immobilizzi in scorte
 Compressione dei tempi d’ozio dei fattori produttivi
Un concetto importante è il concetto di FILIERA DI PRODUZIONE è il complesso delle
imprese che partecipano alla trasformazione di una serie di materiali in prodotti finiti (prodotti
finali) contribuendo alla realizzazione di un bene da destinare al mercato di consumo o ad
utilizzatori industriali. (prod.finiti output ciclo produzione azienda; prod.finaleconsumat)
SCELTE DI PRODUZIONE.
Possono essere divise i 3 categorie:
 STRATEGHE concorrono alla creazione del vantaggio competitivo.
 STRUTTURALI costituiscono il sistema operativo necessario per coordinare l’impiego
delle risorse disponibili.
 DI GESTIONE OPERATIVA finalizzate a razionalizzare l’operatività del processo
produttivo mediante la programmazione e il controllo della produzione.
RAPPORTI TRA STRATEGIA DI PRODUZIONE E STRATEGIA COMPETITIVA
La funzione di produzione è legata alla strategia competitiva per 2 motivi:
 Consente di perseguire l’obiettivo dei bassi costi necessari per una strategia PRICE
COMPETITION.
 Concorre a garantire la qualità essenziale per una strategia di DIFFERENZIAZIONE
La strategia di produzione deve essere centrata sugli aspetti prioritari della strategia
competitiva, per assicurare il migliore contributo alla creazione del vantaggio competitivo.
Sul piano strategico le principali scelte riguardano:
 Determinazione del mix (tipologia e assortimenti qualitativi) e delle quantità di
produzione.
 La progettazione dell’impianto
 La logistica
TIPOLOGIA DEI SISTEMI PRODUTTIVI
Il processo produttivo può essere organizzato secondo differenti modelli:
 Produzione di beni per unita distinte i beni si differenziano sostanzialmente tra
loro in rapporto a specifiche indicazioni del cliente (ordinazioni su commessa)
 Produzione di massa differenziata è basata sull’elevata standardizzazione delle

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parti componenti e sulla differenziazione in fase di montaggio (si definisce “per lotti”)
 Produzione di massa standardizzata è comune alle situazioni in cui si può sfruttare
a fondo il principio di economie di scala
 Produzione omogenea continua caratterizzata dalla continuità e dalla
differenziazione dei prodotti posti in essere

OUTSOURGING E DE-INTEGRAZIONE
Sotto l’aspetto organizzativo, importante è la decisione circa la produzione in proprio o
l’acquisto all’esterno dei componenti:
 OUTSOURCING ricorso al mercato per certe forniture, è una scelta di
approvvigionamento.
 DE-INTEGRAZIONE opzione strategica di rinuncia a certe fasi di lavorazioni che
prima avvenivano in azienda, è una scelta organizzativa
IMPRESE MULTI.PLANT: MODELLI DI SUDDIVISIONE DEI CICLI DI PRODUZIONE.
Quando un’azienda dispone di più unità produttive, il problema del dimensionamento si affianca
a quello di scelta del modello di suddivisione dei cicli o delle linee di produzione.
Le imprese dividono la loro produzione in più stabilimenti (multi-plant) e l’organizzazione dei
cicli produttivi si amplia fino a comprendere un modello di rete d’impianti.
Si hanno le seguenti soluzioni:
 MODELLO DI RIPETIZIONE ogni centro produttivo lavora gli stessi prodotti.
 MODELLO DI PARCELLIZZAZIONE ogni impianto svolge una certa parte di
produzione.
 MODELLO DI SPIECIALIZZAZIONE ogni impianto produce un particolare modello
della gamma.
LAY-OUT
È LA DISPOSIZIONE FISICA DELLE strutture che formano un azienda, e la sua progettazione
incide sull’utilizzazione degli spazi, allo scopo di ottimizzare le”4M” (men, materials, machines,
money).
La sistemazione degli impianti avviene secondo 4 criteri: (tipologie di lay-out):
 FUNZIONALE macchine raggruppate per lavorazione svolta.
 PER PRODOTTO macchine raggruppate in sequenza secondo le lavorazioni
 A POSTAZIONI FISSE macchine spostate intorno al prodotto.
 A CELLE macchine raggruppate per gruppi di prodotti lavorati
FLESSIBILITA’ ED AUTOMAZIONE
L’obiettivo comune a molti settori industriali è quello di disporre di aziende efficienti per
minimizzare i costi e per assicurare la flessibilità del sistema. I progressi riguardo la
specializzazione dell’impianto si possono rilevare sotto 2 profili:
 FLESSIBILITA’per poter disporre di capacità di adattamento ai mutamenti
dell’ambiente di produzione e del mercato
 ELESTICITA’ O FLESSIBILITA’ ECONOMICA capacità dell’impianto di

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essere competitivo anche in condizioni di parziale utilizzo.


 FLESSIBILITA’ TECNICA capacità dell’impianto di adattarsi a produrre
beni differenti senza causare sovra-costi non gestibili.

 AUTOMAZIONE ha raggiunto il suo punto ottimale grazie a:


 INFORMATICA consente di governare l’intero ciclo mediante computer,
coordinando le singole fasi.
 ROBOTICA ha permesso di sottrarre gli uomini da lavori pericolosi e
faticosi che vengono svolti da robot sempre più sofisticati.
DIMENSIONAMENTO DELL’IMPIANTO.
Si lega ai concetti di economicità e rischiosità dell’impianto, serve ad individuare la dimensione
ottimale per minimizzare il costo unitario di prodotto. Le scelte principali sono:
 Determinazione della capacità produttiva massima. (fattori quanti il cui costo è
in funzione del fluire del tempo; prescinde dal numero di operazioni svolte in un periodo
di tempo)
 Determinazione della potenzialità ottimale degli impianti.
PUNTO DI PAREGGIO E MARGINE DI SICUREZZA
Ogni azienda opera con una certa struttura di costi e ricavi e con una differente “ leva operativa”
( è l’opportunità di diminuire i costi di produzione all’aumentare del volume prodotto. Più alta è
la leva più aumenta il rischio, più cresce il vantaggio generato). È sempre, però, necessario
raggiungere un livello minimo per recuperare i costi, ed è corrispondente al punto di pareggio
(break-even point). A questo si collega il margine di sicurezza, che è la differenza tra il previsto
volume di utilizzo dell’impianto e quello a cui corrisponde il punto di pareggio.
CONTROLLO DI EFFICIENZA E DELLA PRODUZIONE.
Si pone l’obiettivo di prevenire anomalie nel ciclo e nei prodotti, per evitare di sopportare costi a
vuoto e per garantire la qualità:
 CONTROLLO DEI RISULTATI si manifesta nel calcolo e nell’analisi di indici di
produttività
 CONTROLLO DI QUALITA’ controllo operato su campioni di materiali, utilizzando
tecniche di tipo statistico.
 CONTROLLO ECONOMICO (value analysis) individuazione delle possibili aree di
risparmio di costo nella funzione produttiva.(tale controllo tanto più necessario nei
mercati in cui i costi si fanno sui prezzi).
Nei mercati moderni, in cui sempre più spesso, “i costi si fanno sui prezzi” i principali fattori di
efficienza nel processo produttivo sono rappresentati:
a) Dallo sfruttamento ottimale dell’impianto (massimizzazione delle ore lavorate, con
riduzione dei tempi di fermate e delle operazioni di set-up);
b) Dalla massimizzazione della produttività, mediante organizzazione del lavoro e
formazione del personale;
c) Dall’idoneità dei servizi di supporto alla produzione (magazzino, ricerca, trasporti
interni, ecc.)

Cap15
GESTIONE FINANZIARIA: INVESTIMENTI E FINANZIAMENTI.
Nella FUNZIONE FINANZIARIA si comprende il complesso di decisioni e di operazioni volte a
reperire e ad impiegare i fondi aziendali.
LA GESTIONE FINANZIARIA Può ESSERE INQUADRATA sotto il profilo strategico e
tattico/operativo.
Anche se in alcuni casi può essere governata in regime di maggiore autonomia e può anche
rappresentare un centro di profitto a sé stante, questa funzione dell'impresa deve perdere

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qualsiasi carattere speculativo e ampliare il suo ambito di riferimento dalla scelta delle fonti di
finanziamento anche alla programmazione degli investimenti.
GLI EQUILIBRI DELLA GESTIONE FINANZIARIA
Gli equilibri sono interdipendenti per gli effetti che il ciclo ricavi/costi genera sul fabbisogno di
capitale e sui flussi di cassa. Costi e ricavi "anticipati" o differiti" generano uno sfasamento fra la
manifestazione economica e quella monetaria:
 EQUIIBRIO ECONOMICO (ricavi-costi) divario positivo per la formazione del profitto.
 EQUILIBRIO FINANZIARIO 8impieghi- fonti) bilanciamento tra impieghi di capitali e
fonti di provvista dello stesso.
 EQUILIBRIO MONETARIO (entrate-uscite) liquidità tra entrate e uscite di cassa.
I COMPITI DELLA GESTIONE FINANZIARIA
Anche se esiste una netta differenza fra la programmazione, di competenza dell'alta direzione, e
la relativa attuazione nella gestione finanziaria, a differenza di altre funzioni dell'impresa, è più
frequente l'accentramento dei compiti di quest'area in una Direzione Finanziaria che partecipa
anche alla definizione delle politiche generali di gestione di altre funzioni.
Quelli fondamentali sono:
 La programmazione finanziaria a lungo/breve e brevissimo termine;
 La gestione del piano finanziario
 Il governo della liquidità
Altri compiti e influenze della direzione finanziaria programmazione degli investimenti; scelta
delle fonti; gestione dei patrimoni immobiliari e mobiliari; definizione delle condizioni di
pagamento; gestione dei rapporti di credito; gestione della tesoreria.
IL FABBISOGNO FINANZIARIO.
L’impresa ha bisogno di capitali per finanziare i processi di investimento e per far fronte alla
gestione corrente. L’ammontare di questo capitale varia d’entità e genesi a seconda che
l’impresa sia in fase di: COSTRUZIONE (si tratta di determinare il fondo di capitali
indispensabile per creare la struttura iniziale e per coprire le esigenze di finanziamento per
l’avviamento start-up) FUNZIONAMENTO (individuazione del fabbisogno necessario per
alimentare il processo d’investimento e per soddisfare altre esigenze di gestione).
Il FABBISONGO FINANZIARIO è uguale alla somma del CAPITALE FISSO (necessario per
acquistare immobilizzazioni materiali e immateriali ed è legato al grado di capitalizzazione dei
processi operativi) e CAPITALE CIRCOLANTE (necessario per alimentare il ciclo acquisti-
produzione-vendite ed è correlato al ciclo di re-integro dei ricavi)
IL FABBISOGNO DI CAPITALE FISSO.
L'intensità del capitale fisso di una impresa dipende sia dalle caratteristiche del settore in cui
l'impresa opera, che dalle sue peculiarità gestionali.
In generale il fabbisogno di capitale fisso è legato alla necessità di maggiori immobilizzazioni
per lo svolgimento dei processi operativi con riferimento sia alle funzioni di produzione, che e
quelle di commercializzazione e di amministrazione.
Al crescere della presenza di impianti ed attrezzature aumenta anche il fabbisogno di capitale
fisso.

Le variabili che incidono sul fabbisogno finanziario sono:


a) Le operazioni d’investimento o e di alienazione dei beni impiegati nella gestione corrente
e patrimoniale.
b) Il livello delle scorte di magazzino
c) Le condizioni di pagamento applicate ai clienti
d) Le condizioni di pagamento ottenute dai fornitori
e) Il livello di liquidità
LA RELAZIONE TRA CICLO ECONOMICO E CICLO FINANZIARIO

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IL CAPITALE CIRCOLNATE COMMERCIALE E NETTO.


La stima del fabbisogno finanziario netto deve discendere da uno studio della dinamica
finanziaria, considerando anche gli effetti economici della gestione, utilizzando l'analisi dei
flussi di capitale circolante e l'analisi dei flussi monetari per preservare sia la solvibilità
(equilibrio finanziario) dell'impresa che la sua liquidità (equilibrio monetario).

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