Sei sulla pagina 1di 36

CAPITOLI 2-3 : GLI AMBITI DELLA TEORIA D’IMPRESA E IL FINALISMO

Le imprese moderne L’impresa può essere definita come un istituto economico e sociale che trasforma
risorse (input) in beni (prodotti e servizi) che hanno un valore di scambio sul mercato superiore a quello
delle risorse di partenza.
Ruota intorno al concetto di creazione di ricchezza: il maggior valore derivante dal processo di
aggregazione, modifica e trasferimento di risorse in prodotti. Questo processo opera su risorse:
-Materiali: Materie prime, semilavorati, impianti, macchinari…
-Immateriali: conoscenze tecnologiche, scientifiche, commerciali, organizzative, immagine ecc…
-Umane: Dipendenti o fornitori di servizi.
Tali risorse creano valore quando il prodotto che si ottiene ha un valore di mercato superiore al valore di
mercato delle risorse stesse.
La possibilità di creare ricchezza dipende da:
-Ruolo dell’imprenditore;
-Creatività;
-Attitudine al rischio;
-Attitudine al controllo;
-Doti relazionali;
-Realizzazione di rapporti positivi con gli stakeholder, ossia con tutti i soggetti che hanno verso l’impresa
una posizione di interesse e, quindi, una capacità di influenza (azionisti, collaboratori, fornitori, clienti,
finanziatori, sistema pubblico).

MODELLI D’IMPRESA
Tra gli aspetti di maggiore rilevanza che concorrono a definire il modello di impresa vi è la dimensione, da
cui dipendono fortemente le soluzioni organizzative e gestionali.

Processi industriali e processi artigianali:


Industriali: Più accentuata applicazione del principio di standardizzazione dei processi di lavorazione, che
facilita anche il controllo delle modalità di esecuzione dei compiti. Necessita di una maggiore intensità di
capitali. Nel passaggio da produzione artigianale a produzione industriale si aumentano i costi fissi
industriali ma si abbattono i costi variabili di produzione.
Prodotto artigianale e ad immagine artigianale: l’ultimo consiste in un prodotto standardizzato e ripetitivo al
quale si riesce a dare un’apparenza di artigianato.
Processi artigianali: per impresa artigiana si intende abitualmente un’entità contraddistinta
dall’organizzazione della produzione per mestieri, in cui ogni dipendente possiede una specifica
professionalità, in genere manuale. Si considerano convenzionalmente artigiane le imprese con meno di 10
dipendenti.
-Modalità artigiana della produzione;
-Scarsa strutturazione dell’organizzazione;
-Mancanza di standardizzazione nei processi decisionali;
-Nessun potere di mercato;
-Nessun potere nei confronti dei finanziatori.
1) Artigianale
2) Piccola-media impresa: si differenzia dall’impresa artigianale per capitale investito, numero di addetti,
fatturato, valore aggiunto.
3) Grande Impresa

GRUPPI DI IMPRESE: insiemi di imprese giuridicamente distinte, connesse da significativi legami


azionari che complessivamente consentono il controllo stabile di tutte le attività, garantendone in
coordinamento.
-Molteplicità entità distinte
-Più della somma delle parti
-Obiettivi comuni
-Processi decisionali unificati
-Fusione dei capitali
I gruppi industriali possono presentare caratteristiche molto differenziate. Una distinzione importante fa
riferimento all’esistenza o meno di una holding capogruppo. Da questo punto di vista i gruppi d’imprese
possono venire distinti in gerarchici e associativi.
Gruppi Gerarchici: Sono caratterizzati da una configurazione piramidale che fa capo a una società holding.
Nei gruppi gerarchici si hanno 2 tipologie di imprese, le holding (che sta alla testa del gruppo e non sono
partecipate da altre società) e le società operative.
Tra le holding si distinguono le holding finanziarie, che hanno partecipazione in società operative e le
holding operative, che oltre ad avere partecipazioni svolgono attività produttiva.
Gruppi Associativi: Sono costituiti da un insieme di imprese il cui potere è sostanzialmente equivalente,
connesse da una serie di possessi azionari reciproci. Il coordinamento delle attività non fa capo a una
holding.
Gruppi Conglomerali: a differenza dei finanziari, operano in settori privi di collegamenti fra loro. Possono
essere industriali o finanziari. I legami che strutturano un insieme di imprese possono essere anche
economici o personali. Legami economici si intende legami conseguenti ad accordi di collaborazione.

LA FINALITA’ D’IMPRESA LA TERORIA NEOCLASSICA


Ipotesi alla base della teoria neoclassica:
-Unico soggetto decisore
-Perfetta razionalità
-Perfetta informazione
Obiettivo dell’impresa è massimizzare il profitto.

NUOVI APPROCCI
Numerose critiche alla teoria neoclassica furono mosse a partire dagli anni ’20:
Concorrenza imperfetta:
-Interdipendenza delle scelte dei concorrenti
-Imprevedibilità delle scelte
-Incertezza e dinamismo ambientali Struttura interna:
-Modello manageriale
-Modello comportamentista
Emergere di nuovi approcci e definizione di nuove finalità d’impresa:
-Teoria della concorrenza monopolistica
-Approccio interdipendenze oligopolistiche
-Teoria degli stakeholder

Visioni critiche: Perseguire obiettivi sociali anziché reddituali finisce per danneggiare la società. (es.
efficienza economica vs salvaguardia dei posti di lavoro)

LA TEORIA DEGLI STAKEHOLDER


Gli stakeholder diversi dagli azionisti sono tutelati da norme giuridiche e da rapporti di scambio che
avvengono a un prezzo determinato: i loro interessi sono rispettati in partenza.

IL CONTESTO SOCIO-ECONOMICO
L’attenzione verso l’obiettivo della creazione di valore per gli azionisti, non deve portare a sottovalutare il
ruolo dell’ambiente sociale e politico.
Fattori di cambiamento:
-Globalizzazione
-Ipercompetizione
-Questione ambientale
-Corporate governance
Le imprese sono chiamate ad un’interazione bilanciata fra valore per gli azionisti ed interessi degli
stakeholder; deve essere sviluppata una strategia di responsabilità sociale.

EVOLUZIONI RECENTI
Obiettivo dell’impresa resta la massimizzazione della ricchezza degli azionisti. Il mantenimento di reazioni
armoniche con l’ambiente è da considerarsi fattore agevolante. La gestione degli stakeholder fornisce
risposte alternative per competere su mercati in cui fattori non competitivi divengono trainanti.

CAPITOLO 5: RESPESPONSABILITÀ SOCIALE PER LA CREAZIONE DI VALORE


Le dinamiche socio-ambientali e le risposte delle imprese: I cambiamenti nell’ambiente sociale e politico
hanno portato le imprese a ricercare modalità differenti di creazione di valore per gli azionisti:
-Globalizzazione
-Ipercompetizione
-Questione ambientale
-Corporate Governance

Rilevanza crescente di fattori non competitivi.


La responsabilità sociale d’impresa è la strategia attraverso cui perseguire un’interazione bilanciata fra
valore degli azionisti e interessi degli stakeholder:
1) è l’integrazione, su base volontaria, da parte delle imprese, delle istanze sociali e ambientali nelle loro
attività e nell’interazione con gli stakeholder.
2) Indica l’impegno a comportarsi in modo corretto, indipendentemente dal semplice rispetto degli obblighi
previsti dalle leggi e dalle norme etiche individuali.
3) Si realizza innovando nei modelli di gestione e governo dell’impresa attraverso processi di ascolto e
dialogo con gli stakeholder.
4) Comporta maggiori benefici per l’impresa quando è integrata nelle strategie e negli obiettivi di lungo
periodo.

Gli ambiti della responsabilità sociale:


1) Adeguata remunerazione per soci e azionisti attraverso un’attenta gestione del profilo di rischio.
2) Migliori e appaganti condizioni di lavoro per i collaboratori.
3) Prodotti innovativi e sostenibili.
4) Rapporti di cooperazione responsabile con i fornitori.
5) Relazioni chiare e trasparenti con i partner finanziari.
6) Corretto e responsabile tax paying e collaborazione alle dinamiche di governo dei processi di crescita.
7) Ruolo propulsivo e innovativo nella comunità.
8) Attenzione all’ambiente grazie a pratiche sostenibili.

GLI IMPATTI
1) Riduzione delle spese connesse alla gestione delle istanze degli stakeholder.
2) Controllo dei rischi aziendali (risk management).
3) Minori costi di finanziamento.
4) Minori costi del personale e minore turnover.
5) Minori costi di coordinamento e di free riding.
6) Attrazione e mantenimento di risorse umane di alta qualità.
7) Maggiore lealtà e coinvolgimento.
8) Maggiore produttività.
9) Maggiore capacità di rispondere ai bisogni della clientela.
10)Rapporti positivi con i fornitori
11)Elevata reputazione

[DISTRIBUZIONE DEL VALORE E GESTIONE DEGLI STAKEHOLDER [CAPITOLO 6-7]


Il valore sostenibile L’impresa raggiunge i suoi obiettivi di creazione di valore gestendo, in modo armonico,
la rete di interazioni e rapporti di scambio con gli interlocutori sociali capaci di condizionare le sorti in modo
negativo o positivo (stakeholder).

La descrizione del sistema degli stakeholder


1) Stakeholder primari: fa riferimento a quel gruppo di soggetti senza la cui continua partecipazione
un’azienda cesserebbe di esistere (fornitori, investitori, clienti, dipendenti, governo e comunità). Ricoprono
un ruolo fondamentale ed è quindi di vitale importanza soddisfarne le aspettative , poiché potrebbero
decidere di lasciare l’azienda mettendola in difficoltà. Questo insieme di relazioni fra vari gruppi di portatori
d’interesse devono essere adeguatamente tenuto in considerazione al fine di non compromettere il successo e
l’esistenza dell’impresa.
2) Stakeholder secondari: sono i soggetti che influenzano o sono influenzati dalle attività che l’impresa
svolge ma non sono coinvolti nelle operazioni di quest’ultima. L’azienda interagisce con essi, ma la mancata
interazione non modifica la sopravvivenza dell’azienda. Essi però non sono da sottovalutare perché possono
esercitare forti pressioni verso l’impresa (es. i media, le comunità di attivisti, le istituzioni pubbliche e altre
organizzazioni non governative. Gli stakeholder interni.
Tipicamente la proprietà e i dipendenti, tra cui il management può essere considerato come uno stakeholder
a sé stante. La proprietà Poiché la struttura tipica dell’impresa nei modelli di capitalismo più evoluti è la
società per azioni, la rappresentazione tipica degli stakeholder proprietari è quella di stakeholder azionisti.
Data la diversa ripartizione del capitale, le imprese possono avere una struttura proprietaria concentrata,
oppure frammentata.
La capacità di incidere sulla realtà aziendale è maggiore quanto il modello proprietario è concentrato.
Minore quando è frammentato, quest’ultima condizione si verifica spesso quando l’impresa è di grandi
dimensioni ed è quotata sul mercato finanziario, e ciò limita il potere della proprietà rispetto al management.
La suddivisione più importante nell’ambito degli stakeholder proprietari è quindi quella che divide gli
azionisti di maggioranza da quelli di minoranza.
-Dimensione della partecipazione: azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza. I primi, in virtù della
quota maggioritaria detenuta in senso assoluto o, sotto forma di coalizione, in senso relativo, saranno
maggiormente in grado di incidere sulle decisioni aziendali, attraverso il voto nelle assemblee, ovviamente,
se il controllo è in forma di coalizione, la capacità di influenza sarà meno stabile nel tempo.
Gli azionisti di minoranza invece, non potendo incidere in misura diretta sulle sorti dell’azienda, potranno
invece attribuirsi delle posizioni di controllo e di monitoraggio. Potranno anche cercare attraverso politiche
di coalizione con altri azionisti, di raggiungere una massa critica tale da accrescere la propria capacità di
influenza.

-Natura dell’interesse: azionisti finanziari e azionisti industriali.


Nella categoria degli azionisti industriali vi sono tutti i soggetti che rappresentano ruoli legati all’anima
‘’operativa’’ dell’impresa, es. dall’imprenditore stesso nelle realtà più semplici, al contrario, nelle realtà più
complesse, gli azionisti industriali sono solitamente soggetti coalizzati, che possono detenere partecipazioni
azionarie anche in più imprese, fenomeno dei gruppi. Gli azionisti di natura finanziaria non sono espressione
di ruoli operativi ma, sono istituzioni finanziarie che, nel rispetto delle leggi sui rapporti fra banca e impresa,
investono nel capitale di rischio delle imprese e non solo forniscono loro capitale a titolo di debito. Sono
interessati all’andamento della gestione delle imprese finanziate, in quanto a esso è collegata la capacità di
rientro del debito. Possono assumere una rilevante influenza se ad esempio l’impresa risulta essere
pesantemente indebitata.

-Presenza dello Stato: azionista privato e azionista pubblico.


I dipendenti
La loro posizione come stakeholder dipende dal livello di:
1) Partecipazione della forza lavoro ai processi decisionali: l’impostazione dello stile di direzione, più
autoritario o più partecipativo, incide sul ruolo dei lavoratori, così come la presenza di meccanismi
organizzativi che stimolino l’innovazione dal ‘’basso’’.
2) Rappresentanza e rilevanza dei sindacati: è evidente che in presenza di un contesto storico , sociale e
culturale nel quale la rappresentanza sindacale gioca un ruolo importante, anche la posizione degli
stakeholder lavoratori risulterà in grado di incidere maggiormente sulle dinamiche aziendali, soprattutto
nell’ambito dei rapporti con la proprietà.
Il management Il processo di delega della gestione al management conduce al problema della separazione
tra proprietà e controllo, analizzato dalle teorie manageriali e dell’agenzia. La posizione del management
come stakeholder dipende da:
1) Dimensioni e grado di complessità aziendale: è chiaro che all’interno d’imprese di maggiori dimensioni, o
imprese diversificate e/o multinazionali, la delega manageriale risulta più ampia, così come la
discrezionalità nei comportamenti del management.
2) Articolazione della struttura proprietaria: è già stato ricordato come la dispersione dell’azionariato
consenta un ruolo più importante al management d’impresa.
3) Presenza di meccanismi di incentivo: esiste la possibilità, legando, per esempio, le retribuzioni del
management ai risultati aziendali, di allineare maggiormente i comportamenti del management, alle
aspettative della proprietà.

Presenza di un mercato finanziario efficiente: influenza i comportamenti del management, in quanto


rende più trasparente il suo operato agli occhi della proprietà, che è in grado di esercitare su di esso un
maggior controllo.
Gli stakeholder esterni primari Il modello delle 5 forze Il modello è utilizzato per identificare gli stakeholder
di natura competitiva e per analizzare i loro interesse e i comportamenti verso l’impresa, coerentemente con
la visione per stakeholder. Gli attori che compongono lo scenario competitivo per un’impresa appartengono
a tre categorie:
1) I fornitori, cioè i soggetti che forniscono alle imprese i fattori produttivi, gli impianti, i servizi per
l’attività aziendale.
2) I clienti, che sono i soggetti a l’offerta aziendale è diretta, siano essi finali o intermedi.
3) I concorrenti, cioè le altre imprese che concorrono nel mercato per un’offerta simile, detti concorrenti
attuali, o quelli che sono nelle condizioni per poterlo fare detti potenziali.
Con riferimenti ai rapporti con i fornitori e i clienti, l’analisi seguirà una direttrice verticale, che descrive gli
stakeholder che hanno con l’impresa rapporti di natura sequenziale lungo tutta la filiera produttiva: si
utilizzano i concetti di Valore Aggiunto e Costi di transazione per analizzare le condizioni di scambio. Con
riferimento invece ai rapporti con i concorrenti, attuali e potenziali, si seguirà la dimensione orizzontale.
Analizza gli stakeholder con i quali ci si confronta in modo simultaneo sui mercati. Stakeholder di filiera
(fornitori e clienti).
La filiera produttiva è l’insieme delle lavorazioni che consentono di arrivare ad un prodotto/servizio finito
partendo da un insieme di fattori primari. Lungo la filiera si genera il valore aggiunto. Ogni impresa assume
una ‘’posizione’’ all’interno della filiera, scegliendo quali fasi del processo realizzare e determinando così il
proprio grado di integrazione verticale. Lungo la filiera, per ogni fase, si realizzerà un determinato valore
aggiunto, cioè la differenza fra il valore della produzione realizzata e il costo dei fattori produttivi acquistati.
Il valore aggiunto è quindi il maggior valore che si aggrega in ogni fase del processo, e che si accumula al
susseguirsi delle diverse fasi.

Le variabili chiave per analizzare le relazioni di filiera sono:


-La struttura del mercato di fornitura o di sbocco: di fornitura rappresenta il primo fattore per analizzare il
rapporto con questa categoria di stakeholder.
In presenza di un mercato di fornitura molto concentrato, con pochi soggetti e poche alternative, il fornitore
potrà, infatti assumere un elevato potere contrattuale nei confronti dell’impresa a parità di altre condizioni.
Sul fronte degli acquirenti, le considerazioni valgono in modo speculare. Quando invece la struttura di
mercato nella quale opera la controparte è frammentata e vi sono differenti alternative, il potere contrattuale
di fornitori o clienti sarà decisamente meno influente e l’impresa potrà rivendicare mari quote di valore
aggiunto.
-Il valore dello scambio:
è legato ai concetti di specificità e di quasi-rendita. Una risorsa è specifica quando è legata in modo rilevante
all’impresa e il suo valore, in altre condizioni, si presenta di molto inferiore generando appunto una rendita
rispetto al costo opportunità. La dipendenza da terzi per il reperimento di tali risorse genera una dipendenza
dell’impresa dagli altri stakeholder. Se il costo di un materiale acquistato è elevato rispetto al valore del
bene finale che sarà prodotto, allora il valore dello scambio sarà elevato e il fornitore assumerà un rilevante
potere contrattuale nei confronti dell’impresa.

-Le caratteristiche della relazione: sono rilevanti per definire il ruolo degli stakeholder esterni verticali. In
questo caso ci si riferisce alla trasparenza informativa, alla fiducia fra le controparti, alla frequenza degli
scambi e delle transazioni. In tal senso è importante rilevare se l’impresa subisce la presenza di costi di
transazione quando si relaziona con gli stakeholder verticali.
-In tal senso l’entità dei costi di transazione è uno dei fattori tradizionalmente impiegati per definire i confini
aziendali, soprattutto in chiave verticale; infatti quando tali costi nelle transazioni sono rilevanti, per
l’impresa c’è una spinta all’integrazione verticale, cioè alla sostituzione del mercato con la gerarchia per il
trasferimento e la generazione delle risorse lungo la filiera. Concorrenti attuali.

L’intensità della concorrenza esistente dipende da:


-Tasso di concentrazione del settore (distribuzione delle quote di mercato fra i concorrenti in un settore):
in settori molto concentrati nel quale poche imprese detengono un’elevata quota di mercato, l’interazione
con i concorrenti sarà meno intensa. In settori frammentati nel quale la struttura di mercato si avvicina a
quella concorrenziale, la dinamica competitiva risulterà, a parità di condizioni, certamente più marcata.
-Differenziazione di prodotto (commodities > molta concorrenza di prezzo, prodotti differenziati > poca
concorrenza di prezzo): con riferimento a prodotti standardizzati e facilmente confrontabili, vi sarà forte
concorrenza sul prezzo. In presenza di fattori diversi, invece, ci sarà la possibilità di segmentare il mercato e
limitare l’interazione concorrenziale sul prezzo es.ristorazione e abbigliamento.
-Condizioni di costo (struttura dei costi ed economie di scala): In settori con forti economie di scala e con
elevata intensità di capitale, cioè con elevati costi fissi, vi è un forte incentivo a produrre beni o servizi in
rilevante quantità. Di conseguenza si adottano politiche concorrenziali aggressive per vendere l’ingente
produzione. es. sconti sulle tariffe aeree. Concorrenti potenziali-Nuovi entranti L’impatto dei nuovi entranti
è moderato dalla presenza di barriere all’entrata, ossia di vincoli a operare in un contesto competitivo da
parte di imprese che non vi sono inserite
1) Condizioni di costo.
2) Fabbisogno di capitale: quando è alto, può impedire l’accesso a nuovi operatori.
3) Economie di scala e di apprendimento: cioè gli svantaggi per un nuovo entrante nel doversi presentare
da subito con volumi di produzione e vendita già molto elevati sul mercato e nell’impossibilità di beneficiare
di forme di apprendimento che contraddistinguono imprese da tanto tempo presenti sul mercato.
4) Accessi privilegiato alle risorse: che può vincolare i nuovi entranti che non sono conosciuti dai fornitori
e non conoscono il loro mercato, oppure non sono inseriti nei canali distributivi.
5) Differenziazione: vale a dire la presenza sul mercato di operatori con un marchio e una consolidata lealtà
al consumo.
6) Contesti istituzionali restrittivi.
Concorrenti potenziali-Prodotti sostituti: Assolvendo a una funzione analoga a quella dei prodotti
concorrenti (risposta a un medesimo bisogno), impattano sull’attrattività del settore quanto più: In termini di
prezzo diventa rilevante il grado di elasticità, in presenza di sostituti infatti, il consumatore risulta più
sensibile al pricing del prodotto.
-Offrono migliori rapporti prezzo-qualità
-In assenza di costi connessi al cambiamento (switching costs)
-Rispetto a prodotti la cui domanda è elastica al prezzo:
-Numerosità dei sostituti -Incidenza sulla spesa complessiva
-Utilizzo del bene Gli stakeholder esterni influenzano e sono influenzati dalla dinamica aziendale con
minore capacità di incidere sulla sopravvivenza dell’impresa.

Stakeholder e fattori di influenza:


1) Sistema finanziario
2) Gruppi di interesse e società
3) Sistema pubblico e macroambiente.
Il sistema finanziario In questo caso ci si riferisce alla sola categoria degli operatori finanziari che offrono
all’impresa capitale di debito. Il ruolo degli stakeholder finanziari dipende esterni da tre fattori:
1) Livello di indebitamento/rischio per l’impresa: Il potere contrattuale di una banca verso un’impresa
sarà rilevante se quest’ultima risulta particolarmente indebitata. In tal caso la banca tenderà a ridurre la
disponibilità al prestito, oppure vincolarla a un livello di costo del capitale superiore.
2) La dimensione il prestigio dell’impresa: In presenza di grandi dimensioni o dotate di particolare
prestigio e importanza, l’attitudine dei finanziari esterni può risultare meno vincolante.
3) Le caratteristiche dell’intero sistema finanziario: in alcuni sistemi, le imprese trovano capitali più
facilmente, sul mercato di borsa rendendo il ruolo degli intermediari finanziari più ridotto. I gruppi di
interesse e la società I rapporti con i gruppi di interesse hanno un’incidenza non trascurabile sul vantaggio
competitivo e sul successo aziendale. La società ha delle aspettative sull’impresa in termini, ad esempio, in
termini di politiche ambientali, e di sicurezza sul lavoro. Il sistema pubblico e il macroambiente.

L’impresa opera in un contesto istituzionale di regole e di norme che ne determina gli spazi di attività. Il
ruolo dell’operatore pubblico può riguardare diversi ambiti dell’impresa:
1) La regolamentazione dei mercati: lo Stato può vincolare l’accesso a determinati mercati e controllare in
modo più o meno rilevante l’attività all’interno di questi settori attraverso una sorveglianza sui prezzi e sulle
condizioni di offerta.
2) La tutela della concorrenza: è invece un’attività trasversale che riguarda il mantenimento di livelli di
concorrenza adeguati all’interno dei mercati, con il presupposto che la concorrenza sia una forma desiderata
di struttura di mercato per le sue ricadute sull’efficienza e sul surplus del consumatore.
3) Le politiche macroeconomiche.

CAPITOLO 7: LA RILEVANZA DEGLI STAKEHOLDER


Gli elementi che qualificano la rilevanza di una categoria di stakeholder sono: Il primo fattore che spiega la
posizione di uno stakeholder è il Potere che può essere:
-Di natura coercitiva: per esempio la regolamentazione che vieta certi comportamenti alle imprese o il
manager che decide le mansioni del dipendente.
-Di natura utilitaristica: per esempio un fornitore in posizione di monopolio, una banca il cui prestito
rappresenta una quota rilevante delle fonti finanziarie di un’impresa.
-Di natura simbolica: come può avvenire per una piccola impresa, inserita in un progetto di cooperazione
con il leader del settore. [dimensione formale dell’autorità].
Legittimità: Percezione generalizzata che le azioni di un soggetto siano desiderabili/appropriate. In tal senso
è importante considerare separatamente potere e legittimità. [dimensione sociale dell’autorità]
Urgenza: Situazione in cui le richieste di un gruppo di stakeholder diventano pressanti/critiche. Fattori di
rilevanza e categorie di stakeholder.

Fattori di rilevanza:
-Potere
-Legittimità
-Urgenza Categorie di stakeholder
1) Stakeholder latenti: dormienti, discrezionali, domandati. Si caratterizzano per un basso grado di
rilevanza scaturito dal possesso di uno solo dei tre elementi di potere, legittimità, urgenza.
2) Stakeholder con aspettative: dominanti, dipendenti, pericolosi. Risultano avere un più alto grado di
considerazione in quanto, al loro interno, si combinano almeno due degli elementi di rilevanza.
3) Stakeholder assoluti: che evidenziano il massimo grado di rilevanza, incorporando tutti e tre gli elementi
descritti.

Dormienti: Potere.
Discrezionali: Legittimità.
Domandanti: Urgenza.
Dominanti: Potere e Legittimità.
Dipendenti: Legittimità e Urgenza.
Pericolosi: Potere e Urgenza.
Assoluti: Potere, Legittimità e Urgenza.

La gestione degli stakeholder


Esistono quattro strategie principali per gestire gli stakeholder.
1) Reazione: che si realizza ignorando o osteggiando le istanze apportate dai soggetti, per esempio
investendo in attività a rischio nei confronti della banca verso cui ci si è fortemente indebitati.
2) Adattamento: che presuppone la considerazione di pressoché tutte le richieste proposte.
3) Difesa: che si concretizza attraverso la realizzazione del minimo soddisfacimento delle istanze. Es.
quando si riconosce ai lavoratori la retribuzione minima garantita dai contratti nazionali.
4) Proattività: che è addirittura l’anticipazione degli interessi tipici di un soggetto.
Es. sviluppando un prodotto a basso costo ambientale anticipando possibili istanze di natura sociale.
Sulla base di due macro-variabili è possibile individuare quando è più opportuno utilizzarle:
Rischio/minaccia per l’impresa e cooperazione con l’impresa. Il potenziale di rischio che deriva all’impresa
dal comportamento degli stakeholder, che tende a suggerire comportamenti difensivi o addirittura offensivi
verso questi portatori d’interesse. La potenziale cooperazione che è possibile ottenere dagli stakeholder, che
definisce invece l’intensità della relazione che si può instaurare con i portatori d’interesse, in un’accezione
più positiva.

Conclusioni
Gli stakeholder possono essere descritti in base al loro essere interni ed esterni, competitivi e non
competitivi. Le istanze dei vari stakeholder assumono diversa rilevanza nel tempo e nello spazio in relazione
al manifestarsi degli elementi di poter, legittimità ed urgenza. La capacità di individuare gli stakeholder
rilevanti in un determinato sistema di relazione consente di massimizzare il risultato della loro gestione La
rilevanza dei diversi stakeholder cambia lungo il ciclo di vita dell’impresa. E’, perciò necessario che cambi
anche la strategia di gestione utilizzata nei confronti di ciascuno di essi.

CAPITOLO 9-10-11: CORPORATE GOVEERNANCE. IL PROBLEMA DELL’AGENZIA


La separazione tra proprietà e controllo nelle società per azioni rappresenta un problema di agenzia. In
questo rapporto un soggetto, l’agente, svolge un’attività nell’interesse di un altro soggetto, il principale.
Spesso il principale ricorre a un agente perché è incapace di svolgere una certa attività in prima persona.
Jensen&Meckling1976: Nelle imprese i proprietari sono in possesso degli asset produttivi che in generale
non sanno sfruttare nel modo migliore. Quindi, affidano ai manager un ruolo di agente.
Il rapporto di agenzia ha alcuni tratti tipici:
1) Discrezionalità dell’agente: ossia della facoltà di stabilire come perseguire l’interesse del principale.
Infatti, se il proprietario volesse specificarne nel dettaglio i compiti e le operazioni, si verrebbe a sprecare il
vantaggio di affidarsi a un agente più competente del principale. Ciò di cui l’agente deve rispondere è solo il
risultato.
2) Asimmetria informativa: ossia ha più informazioni del principale circa il modo in cui sta eseguendo il
proprio compito. Spesso è l’agente stesso che informa il principale. Il management ha un vantaggio
informativo perché azionisti che non gestiscono avranno solo notizie di seconda mano sullo svolgimento dei
processi interni. Inoltre, il management ha il controllo dei sistemi informativi di impresa e può filtrare le
notizie che raggiungono la proprietà.
3) Remunerazione dell’agente indipendente dal risultato: di solito, una quota consistente o totalitaria
della remunerazione dei manager è fissa. Tale rapporto è esposto al rischio che i manager usino la
discrezionalità per realizzare fini che non sono quelli loro assegnati e sfruttino l’asimmetria informativa per
celarlo.

Un tipico assetto di governo è costituito da 3 organi:


1) Assemblea degli azionisti: cui spettano i poteri di nominare e revocare i consiglieri di amministrazione,
di approvare il bilancio e di decidere su certe materie importanti, come gli aumenti di capitale sociale, la
fusione con altre società, la liquidazione del patrimonio ecc…
2) Consiglio di Amministrazione: che riunisce i consiglieri, che hanno il compito di stabilire una linea
strategica, e sorvegliare sulla sua realizzazione, inoltre, il consiglio esprime il management, o nominando
dirigenti al di fuori dei membri o scegliendo al suo interno un amministratore delegato o un comitato
esecutivo.
3) Collegio Sindacale: che verifica l’operato dell’organo decisionale.

Azionisti vs. Management


Assemblea degli azionisti e Consiglio di amministrazione spesso non assolvono pienamente alle loro
funzioni:
1) La partecipazione alle assemblee è costosa per i piccoli risparmiatori: soprattutto a paragone dello
scarsissimo peso che essi hanno sulla formazione della maggioranza. Accade in genere che sia il
management a raccogliere le deleghe o gestire il voto per posta inviando proposte agli azionisti. Queste
forme di agevolazione alla partecipazione finiscono con il permettere al management di sostituirsi agli
azionisti nel voto, usando le deleghe a proprio favore.
2) I piccoli azionisti di società quotate preferiscono liquidare l’investimento: piuttosto che sostenere i costi
di una battaglia assembleare per ottenere la rimozione del management. Pertanto, cattivi risultati aziendali
possono tradursi in una caduta dei prezzi di Borsa (dovuta alla vendita delle azioni) ma non in una
sostituzione del management.
3) I consiglieri esterni o indipendenti non esercitano il loro potere di sorveglianza sui manager: questo
perché i consiglieri esterni siedono nei consigli di molte società e capita che dedichino poco tempo alla
preparazione delle riunioni. Spesso la loro opera si riduce dunque in un analisi sommaria delle informazioni
fornite dal management stesso. Anche i consiglieri più attivi sono in svantaggio informativo e di rado
possono conoscere a fondo i processi interni dell’impresa. La nomina dei consiglieri inoltre, può essere
influenzata dal management e ciò può creare conflitti di interesse. Infine, i consiglieri esterni sono agenti
degli azionisti, e quindi possono non avere un’adeguata motivazione a erogare lo sforzo necessario per
tutelarne gli interessi. In questi casi il management controlla sia il consiglio che l’assemblea Il mercato dei
capitali e i prezzi di Borsa.
La Borsa costituisce una parte del mercato dei capitali.

I mercati finanziari si suddividono in:


-Mercati diretti: dove le parti negoziano lo scambio finanziario in modo diretto e individualizzato, con
condizioni che dipendono dall’accordo fra le parti. Il tipico mercato diretto è quello creditizio, in cui le
banche da una parte raccolgono il denaro dei risparmiatori e dall’altra prestano denaro a imprese o individui
che hanno bisogno di finanziamenti.
-Mercati indiretti: mercati aperti, dove sono scambiati titoli o altre attività finanziarie standardizzate, lo
scambio avviene secondo regole prestabilite e in modo impersonale, spesso senza il contatto diretto delle
parti, in contesti in cui ci sono numerosi acquirenti e venditori.
Nei mercati aperti si distinguono mercati primari e secondari:
1) Primari: sono sottoscritti titoli di nuova emissione e viene soddisfatto in modo diretto le necessità di
finanziamento di un soggetto.
2) Secondari: titoli già emessi sono scambiati fra gli operatori. Viene soddisfatta la volontà degli investitori
di modificare la composizione del proprio portafoglio di attività finanziarie.

La Borsa è un mercato regolamentato aperto e secondario che svolge le seguenti funzioni:


1) Ammettere i titoli alle contrattazioni
2) Garantire l’accesso degli investitori alle transazioni
3) Fissare le modalità di negoziazione
4) Trasmettere informazioni sugli scambi (trasparenza).
I prezzi sono il risultato delle aspettative degli operatori sulla performance futura della società e sono basati
su flussi di cassa di due tipi:
1) I dividendi distribuiti periodicamente agli azionisti
2) I capital gain, ossia gli incrementi di prezzo delle azioni, che gli azionisti possono monetizzare vendendo
i titoli. Il problema per gli investitori è che dividendi e capital gain futuri sono grandezze incerte.
Ciò che gli investitori fanno è formarsi opinioni sul futuro della società. Peraltro un investitore, può volere
acquistare un titolo non perché pensa che esso sia sottovalutato, ma perchè ritiene che gli altri investitori
credono che lo sia.

I prezzi di Borsa sono sensibili ad alcuni aspetti tecnici del governo d’impresa:
1) Frammentazione della proprietà
2) Emissione di azioni con diritti di voto limitati.

GLI ATTORI DEL MERCATO AZIONARIO


-Investitori istituzionali: Gruppo composito di operatori che investono nei mercati di Borsa come elemento
tipico della loro attività:
1) Fondi di investimento: che raccolgono capitali da sottoscrittori privati e li investono in azioni,
obbligazioni e altri titoli. L’investimento è rappresentato da quote, il cui valore varia secondo l’andamento
del patrimonio complessivo del fondo. I fondi danno ai clienti il vantaggio di partecipare a un patrimonio
ampio e gestito in modo professionale. Offrono dunque nel lungo periodo un rendimento maggiore rispetto a
investimenti diretti dei clienti in singoli.
2) Fondi pensione: raccolgono prestazioni contributive da date categorie di lavoratori. Tali fondi investono
il capitale raccolto nel mercato finanziario, puntando a ottenere un rendimento che permetta il pagamento
agli aderenti di una pensione nel momento in cui lasceranno il lavoro.
3) Compagnie di assicurazione: investono nel mercato dei capitali la notevoli risorse finanziarie di cui
dispongono in conseguenza della natura della loro attività principale che è quella di assicurare rischi. Per
legge le compagnie di assicurazione devono mantenere riserve adeguare, che sono investite in attività
finanziarie.
-Risparmiatori privati: ossia individui che possono investire in Borsa acquistano pacchetti azionari.
Accedono al mercato attraverso intermediari che raccolgono gli ordini e li trasmettono alla Borsa. Le loro
transazioni vengono chiamate ramo al dettaglio (retail).
-Speculatori: sono investitori professionali che partecipano agli scambi per lucrare sulle oscillazioni di
prezzo. Es. Banche di investimento, gli hedge fund con politiche di investimento ad alto rischio che
speculano sui prezzi di Borsa con tecniche aggressive.

SOCIETA’ NON CONTROLLATE, PMI, E CONTROLLO FAMILIARE


Il capitalismo italiano è caratterizzato da alcuni rilevanti differenze:
1) Il peso delle PMI: questo tipo di imprese contribuisce in Italia al PIL e all’occupazione in percentuali che
non hanno riscontro negli altri paesi avanzati. Sul piano della governance le PMI italiane tendono ad
identificarsi con un imprenditore individuale o con una famiglia che detiene un possesso totalitario delle
azioni.
2) Controllo familiare
3) Ruolo delle banche
4) Ruolo dello Stato

I vantaggi della quotazione


Nuova fonte di capitale (tramite IPO e conseguente formazione del flottante) che permette:
1) Salto dimensionale
2) Espansione dei confini del business

Gli svantaggi della quotazione


1) Apertura del capitale sociale a terzi
2) Subordinazione alle regole che disciplinano le società quotate Esistono società che non possono quotarsi
e società che non vogliono quotarsi.

DEFINIZIONE DI CORPORATE GOVERNANCE


Per Corporate Governance si intende il sistema di norme e vincoli che disciplinano i rapporti tra azionisti e
management, e assicurano che l’impresa sia gestita nell’interesse della proprietà. La CG può essere intesa
come la gestione e il coordinamento degli interessi di tutti gli stakeholder.
Un sistema di CG dovrebbe:
-Impedire ai management di trarre vantaggi impropri
-Consentire l’accesso al mercato dei capitali
-Consentire la rimozione di un management inefficiente.

COMPORTAMENTI DISALLINEATI E OPPORTUNISTICI


Forme di comportamento disallineato:
-Attuazione di investimenti che non corrispondono agli interessi degli azionisti: per esempio, per motivi di
prestigio o ambizioni personali possono portare i manager a cercare la crescita oltre quanto sarebbe
opportuno, realizzando progetti di espansione che ampliano il fatturato o altre variabili dimensionali, ma
deprimono la redditività aziendale.
-Eccessiva propensione al rischio: possono voler compiere investimenti più rischiosi di quanto
desidererebbero gli azionisti. Infatti, mentre questi ultimi sostengono il rischio per intero, i manager possono
sperare di sottrarsi alle conseguenze delle loro scelte lasciando l’impresa per tempo.
-Assenza di un’adeguata motivazione: accade anche quando i manager non perseguono obiettivi personali,
il che si può tradurre in una selezione poco accurata dei progetti, nell’inerzia, nella tolleranza verso
l’inefficienza, nella trascuratezza verso la qualità dei prodotti, per non parlare di possibili effetti a cascata
sulla motivazione dei dirigenti di livello inferiore.

Forme di comportamento opportunistico: Accade quando i manager sfruttano il proprio potere per
danneggiare gli azionisti o ottenere deliberati vantaggi personali.
-Azioni illecite: con la violazione delle norme civili o penali. -Ricerca di benefici privati: con l’uso o con
l’appropriazione di beni e fondi aziendali, nei limiti della legge ma in forme sostanzialmente abusive.
-Resistenza al ricambio: ossia azioni con cui i manager cercano di impedire il loro licenziamento, a
svantaggio di azionisti che potrebbero trarre beneficio da un cambio di gestione.

Azioni illecite del manager: Esempi:


-Appropriazione diretta di asset aziendali
-Creazione di società private che negoziano con l’impresa a condizioni privilegiate
-Convocazione segreta di assemblee degli azionisti
-Tenuta di una contabilità approssimativa o falsa
-Cancellazione arbitraria di azionisti dal libro dei soci.
Benefici privati del management: In alcuni casi i manager riescono a influire sui livelli della propria
remunerazione:
-Stipendi non allineati al mercato
-Bonus ingenti e non giustificati dai risultati ottenuti (fringe benefit)
-Pet projects: I manager possono lanciare iniziative che, per quanto in qualche misura rispondano anche a
interessi aziendali, servono soprattutto a soddisfare desideri personali. Ad es. l’acquisto di TV, giornali e
altri mezzi di comunicazione.

RESISTENZA AL RICAMBIO
In generale, le acquisizioni sono operazioni con cui un certo soggetto acquista la maggioranza del capitale di
una società, o una percentuale sufficiente per detenerne il controllo in assemblea. Una società oggetto di
acquisizione è detta target. Le acquisizioni possono servire a rimuovere manager inefficienti, infatti, se
un’impresa ha cattive performance, altre imprese o nuovi azionisti possono essere allettati dai potenziali
vantaggi del cambio del management. Se le acquisizioni sono realizzate con il consenso del management e
degli azionisti della target si parla di acquisizioni amichevoli, senza tale consenso si parla di acquisizioni
ostili. L’acquirente in genere offre un prezzo più alto di quello di Borsa (il sovrapprezzo è chiamato premio
di acquisizione), senza il quale non riuscirebbe a convincere un numero sufficiente di azionisti.

Perché l’acquirente vuole acquisire una società target?


1) Sottovalutazione della società target nel mercato di Borsa
2) Diversificazione del rischio
3) Sinergie operative e finanziarie
4) Ricambio del management, a condizione che il management della società acquirente abbia capacità
superiori a quelle della società target.

Possibili forme attive di resistenza:


1) Dichiarare che il prezzo offerto dall’acquirente è basso: sfruttando il loro abituale vantaggio informativo.
2) Convincere gli azionisti che l’acquirente intende attuare politiche speculative o cambiamenti a danno
dell’impresa: bollando l’acquirente come un raider, termine utilizzato per chi acquista imprese con fini
speculativi (con l’intento di vendere in seguito gli asset migliori).
3) Ottenere il sostegno di altri stakeholder: affermando ad esempio che l’acquisizione porterebbe a tagli dei
posti di lavoro.
4) Proporre l’inserimento di clausole attive in caso di takeover: ad es. clausole di maggioranza qualificata.

Poison pills: sono clausole che prevedono che i manager abbiano facoltà di emettere azioni sociali a un
prezzo molto favorevole, per quantitativi ingenti, e con diritto di sottoscrizione riservato agli azionisti
correnti. Le pillole avvelenate, in apparenza, avvantaggiano gli azionisti, che possono acquistare nuove
azioni a un prezzo vantaggioso da vendere all’acquirente. Tuttavia, ciò che danneggia quest’ultimo , che si
trova a dover comprare più azioni di quelle che altrimenti gli avrebbero permesso il controllo. Perciò le
pillole avvelenate sono un ottimo deterrente contro le acquisizioni.

Green Mail: La Green mail è una strategia di corporate governance che viene di solito utilizzata da una
società oggetto di scalata (società target) al fine di impedire la scalata stessa. Nel momento in cui il
management della target ha ricevuto notizia dell'acquisto da parte di un'altra società di un pacchetto di azioni
della società target e dopo aver conosciuto le intenzioni "ostili" dell'acquirente, il management della target
lancia un'offerta su quel pacchetto di azioni, proponendosi di comprarlo ad un prezzo più alto che quello di
mercato.
In questo modo, l'azienda acquirente può vedere conveniente la vendita di quel pacchetto di azioni, e
rinunciare, per questo, alla scalata, in cambio di profitto. Come è evidente, questa tecnica avviene a scapito
degli azionisti della società target, in quanto l'acquisto avviene utilizzando fondi della società stessa, e a
vantaggio del management, che evita così il pericolo di un cambio ai vertici dopo l'acquisizione.

Il cavaliere Bianco: nel momento in cui c’è un acquisizione, una terza parte, per esempio una società amica,
acquista una quota significativa della target in accordo con il management, con l’impegno di non cederla
all’aspirante acquirente. Ciò impedisce a quest’ultimo di raggiungere il controllo e quindi ne rende vano il
tentativo di acquisizione. Queste forme di resistenza sono molto rare. Questo perchè oggi, la maggior parte
delle acquisizioni sono amichevoli. Per l’acquirente è più conveniente cercare nel tempo compromessi con il
management della target ed evitare così costosi conflitti, come ad esempio ricche buonuscite (golden
parachutes).

CONCLUSIONI
-La CG disciplina i rapporti tra i diversi stakeholder in una prospettiva di agenzia multipla
-I mercati dei capitali assumono un importante ruolo di mediazione dei rapporti tra azionisti e manager
-L’azione dei manager dovrebbe essere diretta a generare performance positive e/o a migliorare le
prospettive aziendali
-In presenza di asimmetria informativa, gli interessi dei manager possono essere disallineati rispetto a quelli
della proprietà.
-Il disallineamento può concretizzarsi in comportamenti attuati in buona fede ovvero in comportamenti
opportunistici dei manager.

CAPITOLO 12: GLI STRUMENTI INTERNI DI CORPORATE GOVERNANCE


Una proprietà concentrata è il modo più diretto per controllare l’azione manageriale. Se un azionista o un gruppo di
azionisti detengono una quota di capitale sufficiente per sostituire manager infedeli o bloccare eventuali decisioni
svantaggiose per la proprietà, il management ha poco spazio per comportamenti disallineati o opportunistici.

Può assumere 3 forme:


1) Controllo assoluto: Un singolo azionista controlla il 50 per cento più uno dei voti.
2) Controllo di minoranza: Un singolo azionista controlla meno del 50% dei voti ma, a causa della frammentazione
della proprietà restante, riesce a dominare le assemblee e a far nominare manager di suo gradimento.
3) Patto di sindacato: Un gruppo di azionisti, nessuno dei quali possiede una quota sufficiente a controllare
l’assemblea, si allea e forma un blocco azionario di controllo; l’alleanza è disciplinata da un patto esplicito o implicito,
ma comunque duraturo nel tempo, con cui i partecipanti stabiliscono una politica unitaria e difendono comuni
interessi.

Nei paesi con mercati finanziari efficienti, investitori che possiedono quote significative di una società hanno scarsi
incentivi a controllare il management. In particolare, coloro che investono con il solo scopo di ottenere un rendimento
sono più propensi a sorvegliare le prestazioni di Borsa dei titoli che le politiche delle società corrispondenti. Per questi
investitori, smobilizzare l’investimento è un modo più veloce e meno costoso di manifestare la propria insoddisfazione
di quanto sarebbe tentare di rimuovere il management.

A parità di azioni possedute il potere reale degli azionisti dipende da:


1) Norme di diritto commerciale
2) Statuti aziendali
3) Regolamentazione dei mercati finanziari

Vantaggi e svantaggi della sorveglianza diretta.


Vantaggi: se efficace elimina il problema dell’agenzia perché toglie al management la sua indipendenza.
Svantaggi: Rapporto di agenzia fra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza, che si amplifica in presenza di
‘’piramidi’’. La concentrazione azionaria se da una parte sopprime i rischi della discrezionalità manageriale, dall’altra
ne elimina anche i vantaggi, in quanto la società viene a essere gestita in modo diretto o indiretto dagli stessi azionisti
di controllo. In generale non è un bene in quanto non necessariamente chi possiede i capitali possiede anche le doti
manageriali per sfruttarli. Quando gli azionisti di maggioranza dirigono la gestione nasce un nuovo problema di
agenzia, in quanto possono creare benefici privati ai danni degli azionisti di minoranza. Infatti finchè la loro quota
rimane al di sotto del 100% del CS, per gli azionisti di controllo trasferimenti di ricchezza dalla società al proprio
patrimonio sono vantaggiosi. Pertanto essi possono adottare comportamenti simili a quelli dei manager.
Un’altra fonte di conflitto sorge se gli stessi azionisti di maggioranza controllano più società, ognuna con azionisti di
minoranza differenti. Anche senza intenti opportunistici, gli azionisti di maggioranza possono ritenere convenienti
operazioni societarie che comportano una ridistribuzione di ricchezza a svantaggio degli azionisti di una di queste
proprietà.

Le piramidi
Possesso integrato=51%x51%x51%x51%=6,76% Leva azionaria=51%/6,76%=7,54 Rapporto di possesso integrato:
Percentuale di ‘’X’’ detenuta indirettamente dagli azionisti di controllo della Holding A e reale impegno finanziario
degli azionisti di controllo.

Si calcola facendo il prodotto delle percentuali controllate dalla holding A fino alla società operativa x.
Leva azionaria:Misura della quantità di capitale controllato per ogni euro investito= (% controllato)/(possesso
integrato). La leva azionaria cresce se la catena si allunga o se a qualche livello il controllo è mantenuto con
percentuali inferiori al 51%. Il conflitto fra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza è ancora più grave
quando i primi esercitano il controllo per mezzo di una piramide, ossia di una catena di società. Nonostante gli
azionisti in cima alla piramide non possiedono nemmeno un’azione di X, è chiaro che, attraverso questo sistema di
partecipazioni, essi possono controllare a cascata le assemblee di tutte le società sottostanti. Le piramidi hanno il grave
difetto di determinare una divaricazione fra il controllo e i flussi di cassa che ne derivano. Per esempio, i dividendi
pagati dalla società operativa devono risalire lungo le holding, disperdendosi a ogni passaggio verso gli azionisti di
minoranza.

Agli azionisti di controllo arriverà una quota pari alla percentuale di possesso integrato. Questa situazione è
pericolosa, perché tali azionisti avranno un modesto incentivo ad investire sulla performance delle società operative.
Sarà forte invece l’incentivo a usare il controllo per fini alternativi, o comunque, per cercare di spostare ricchezza a
livelli superiori della catena, con opportune operazioni fra la società operativa e la holding.

Le società sotto il controllo delle piramidi vengono in genere scambiate ad un prezzo inferiore per 2 motivi:
-In genere eventuali takeover sono realizzati non sulla società operativa, ma su una holding in alto nella catena,
impedendo agli azionisti di minoranza di ricevere il premio che l’acquirente paga per l’operazione.
-Le holding possono non essere quotate in Borsa e quindi sottrarsi agli obblighi informativi propri del mercato di
Borsa. Di conseguenza gli azionisti di minoranza delle società operative possono restare all’oscuro di fatti rilevanti
che accadano ai livelli superiori della catena.
L’incentivazione manageriale Per allineare gli obiettivi di proprietà e management si possono utilizzare:
-Programmi di incentivazione (pay-per-performance): in cui la remunerazione del management varia al variare
della performance d’impresa con Programmi di bonus o Incentivi azionari (es.Stock Options).
Un’alternativa è costituita da forme di profit sharing, in cui il management riceve una percentuale fissa dell’utile netto
o di un’altra grandezza espressiva del profitto goduto dagli azionisti.
-Incentivi azionari: che comportano l’assegnazione diretta al management di azioni sociali o di altri titoli con un
rendimento legati ai prezzi di Borsa della Società. In questo modo si dovrebbe ottenere che la ricchezza dei manager
vari nella stessa direzione in cui varia quella degli azionisti. I titoli possono essere concessi in forma gratuita o a
prezzo agevolato.
-Rischio: Manipolazione dei risultati. Se il manager ha una retribuzione che dipende dai risultati, e allo stesso tempo
ha il controllo dei sistemi contabili e delle informazioni che sono trasmesse alla Borsa, allora avrà un incentivo a far
emergere risultati migliori di quelli reali.

Affinché i sistemi di incentivazione possano essere efficaci occorrono due condizioni:


-1) che la struttura e le modalità di questi sistemi siano decise al di fuori dell’influenza dei manager che ne devono
beneficiare (es.compensation committee).
-2) che i sistemi contabili e l’informativa societaria siano retti da regole oggettive e che ci siano terze parti con il
potere di verificarne la corretta applicazione. Le stock options: Sono opzioni che una società concede a manager o
altri dipendenti e danno il diritto (ma non l’obbligo) di acquistare azioni della stessa società a un dato prezzo detto
prezzo d’esercizio (o strike price).

-Non provocano mai perdite


-Possono essere assegnate ai manager in quantità pressoché illimitata.
-Possono generare un costo di diluizione: Quando il manager vende in Borsa le azioni ricevute, l’eccesso di offerta fa
scendere il prezzo delle azioni e quindi il valore delle partecipazioni degli altri azionisti. Il controllo interno Le
attività di controllo interno hanno lo scopo di assicurare che le operazioni aziendali avvengano nel rispetto di norme e
principi di buona gestione.

Il controllo interno può essere:


-di legittimità (o di compliance): con il quale si verifica che le attività di impresa siano conformi alle norme di legge e
si predispongono le soluzioni organizzative e tecniche a tal fine necessarie.
-procedurale: che consiste nella verifica del rispetto delle procedure specifiche stabilite dall’impresa, in particolare
allo scopo di evitare frodi interne, collusioni con terze parti o qualunque danneggiamento degli interessi aziendali.
-contabile: per verificare che i conti e i bilanci siano veritieri.

I soggetti che esercitano il controllo:


-Consiglio di amministrazione: nella sua funzione formale di garantire che la gestione aziendale avvenga nel rispetto
degli interessi degli azionisti, deve considerarsi investito di compiti di controllo interno, che ricade su tutti gli
amministratori.
-Collegio sindacale: In italia esiste questo speciale organo che nelle intenzioni della legge dovrebbe assorbire tale
ruolo di sorveglianza, oltre a svolgere funzioni di supplenza degli amministratori dove vengano meno ai propri doveri
legali.
-Internal Auditing: a seconda dei casi svolge o solo il controllo contabile o anche le restanti attività del controllo
interno.
-Società di revisione: Per le società quotate esiste l’obbligo che il controllo contabile sia svolto da questa società di
revisione. Nell’interesse pubblico e degli investitori tale società deve verificare ogni anno la corretta rilevazione
contabile delle operazioni d’impresa. Al termine di questa revisione la società rilascia la relazione di certificazione che
dovrebbe convalidare la conformità di bilancio. In Italia le società di revisione devono sottostare all’obbligo di
rotazione. Le società quotate italiane stanno adottando sistemi di controllo interno sempre più simili a quelli
americani. Il Codice di Autodisciplina delle Società Quotate (Codice Preda) raccomanda l’istituzione di un sistema
che comprenda:
-Un preposto al controllo interno: che non dipenda gerarchicamente da nessuna funzione e risponda solo al
consiglio di amministrazione, questo soggetto può corrispondere con il responsabile della funzione di internal audit.
-Un comitato per il controllo interno: formato da consiglieri non esecutivi con il potere di ricevere informazioni dal
preposto, di valutare lo svolgimento del controllo interno e di sorvegliare i rapporti con le società di revisione. Ai
lavori del comitato dovrebbero partecipare anche il presidente del Collegio sindacale o altri sindaci.
L’internal audit anche se più efficace sul piano degli strumenti, delle competenze e delle risorse, è realizzato da
dirigenti e dipendenti, e in quanto tale può subire l’influenza del management. Negli anni le società di revisione si
sono trasformate in uno dei tanti servizi che sono offerti dalle imprese. I revisori non si sentirebbero più investiti da un
ruolo di controllo ma dall’incarico di aiutare le imprese a trovare forme di contabilizzazione che rispettino la legge sul
piano formale.
-Le società di revisione sono pagate dall’impresa che devono controllare, e desiderano che l’incarico dia rinnovato,
quindi, esse tendono a cercare di soddisfare i desideri dei clienti.
-Le società di revisione possono fornire, in genere tramite società collegate, anche servizi di consulenza, e quindi
possono voler usare il rapporto che si instaura con la revisione per vendere ai clienti tali servizi. Approfondimenti:
Caso Volkswagen.

CAPITOLO 13: GLI STRUMENTI ESTERNI DI CORPORATE GOVERNANCE


Il mercato per il controllo, ossia l’insieme delle operazioni con cui è scambiata la proprietà delle società in forma
amichevole o ostile rappresenta un limite alla discrezionalità manageriale.
La minaccia di takeover amichevoli/ostili determinano la sostituzione del management. Il rischio di un takeover ostile
può essere sufficiente a spingere il management a cercare l’interesse degli azionisti. Infatti, se comportamenti
opportunistici determinano cattive performance, i prezzi di Borsa delle azioni scendono e di conseguenza un takeover
diventa più probabile.
I takeover ostili sono rari, ciò che conta è che l’operazione sia una minaccia concreta.

Barriere strutturali ai takeover:


1) Resistenza alla target
2) Costo dell’operazione
3) Limiti finanziari
4) Ostacoli Politici
5) Possibile obbligo di OPA

1) Il management può cercare di bloccare il takeover con pillole avvelenate, greenmail e altri strumenti.
2) L’acquirente ostile deve pagare un premio rispetto ai prezzi correnti di Borsa. In questo modo, l’acquirente cede
agli azionisti correnti almeno una parte dei vantaggi che spera di ottenere con un cambio di gestione, e ciò che residua
può non bastare per coprire i costi di transazione dell’operazione e quelli che dovranno essere affrontati per il
risanamento.
3) La capitalizzazione borsistica di molte grandi società quotate può essere molto alta, così che l’esistenza di un
dinamico mercato del controllo richiede una capacità del sistema finanziario di fornire capitali ingenti agli aspiranti
acquirenti. Situazioni macroeconomiche di alti tassi e di restrizione del credito possono perciò impedire la conclusione
di acquisizioni ostili, se non su piccole società.
4) I takeover ostili possono trovare l’opposizione di alleati del management della target nel mondo finanziario,
imprenditoriale o dei mezzi di comunicazione. Inoltre acquisizioni all’estero possono suscitare la resistenza di governi
desiderosi di conservare posizioni di influenza o di salvare ‘’campioni nazionali’’ In assenza di altri meccanismi di
governance, il mercato del controllo è insufficiente per disciplinare la discrezionalità manageriale.

LEVERAGED BUY-OUT: è una tecnica di acquisizione in cui le liquidità della target sono utilizzate per finanziare
l’operazione. L’acquisizione non è effettuata direttamente dall’acquirente, ma da una società da esso posseduta, in
genere creata per l’occasione (new company) Questa società è dotata delle risorse necessarie per l’acquisizione
accedendo a nuovi debiti. Una volta effettuata l’acquisizione, la target e la new company vengono fuse, in modo che la
liquidità della prima sia utilizzabile per rimborsare i debiti della seconda.
Anche se facilita le acquisizioni il LBO presenta dei problemi:
1) Il fatto che l’acquirente non usi risorse proprie può portare ad acquisizioni che non hanno giustificazione
economica.
2) Si accusa il LBO di essere la via usata dai manager per realizzare acquisizioni motivate da ambizione personale.
3) Il risultato del LBO è una società molto indebitata che appesantisce la struttura dei costi e limita la possibilità di
finanziare nuovi investimenti.
Quindi, un takeover basato sul LBO può danneggiare le prestazioni della società target.

OBBLIGO DI OPA
Prevede che l’acquirente non possa superare una certa soglia del capitale sociale senza lanciare un’offerta di acquisto
sulle azioni rimanenti a un prezzo almeno pari a quello pagato agli azionisti di maggioranza.
Il problema del legislatore è a quale livello fissare la soglia.
1) Se troppo alta: allora l’acquirente può acquisire quote più piccole ,a che comunque permettono un solido controllo
di minoranza senza OPA.
2) Se troppo bassa: il rischio è far scattare l’obbligo di OPA per scambi azionari che in realtà non modificano il
controllo. In Italia la soglia è fissata al 30%.
Gli investitori istituzionali desiderano trarre il massimo rendimento dai loro investimenti e dispongono delle
competenze tecniche richieste per monitorare politiche e performance delle società di cui acquistano azioni. Pertanto
tali investitori sembrano avere sia le motivazioni che il potere per tentare di influire sulla governance della società.
L’attivismo degli investitori istituzionali può assumere la forma di:
1) Negoziazioni dietro le quinte: Per esempio i rappresentanti dei fondi si possono incontrare con il management di
una società per avanzare richieste o discutere di particolari decisioni che possono avere un notevole impatto sui
bilanci, come un’acquisizione.
2) Minaccia implicita/esplicita di liquidare l’investimento: facendo scendere i prezzi di Borsa.
3) Annuncio pubblico del proprio dissenso

L’attivismo è raro perché:


1) E’ più conveniente smobilizzare che cercare di ottenere cambiamenti
2) Generalmente gli investitori istituzionali seguono una politica di portafoglio orientata all’indexing anziché alla
gestione attiva.

LA SORVEGLIANZA DI BANCHE E CREDITORI


Il debito come meccanismo di governance: Il management subisce pressioni dai creditori perché in caso di
inadempienza dell’impegno al pagamento di capitale e interessi (insolvenza) il controllo dell’impresa passa ai creditori
che possono chiedere il fallimento. I creditori possono bloccare i finanziamenti e chiedere interventi specifici e/o
sostituzione del management.

-Ipotesi dei Free Cash Flow: l’ipotesi si applica alle situazioni in cui l’impresa tende a produrre liquidità in eccesso
rispetto a quanto necessario per finanziare i business correnti. Questo processo è appunto chiamato free cash flow.
Esso dovrebbe essere usato per per pagare dividendi per attuare nuovi investimenti che creino ricchezza per gli
azionisti.

Il ruolo delle banche: Le banche hanno vantaggi informativi e strumenti di influenza potenzialmente sfruttabili anche
nell’interesse di altri stakeholder.

LA REPUTAZIONE
Il meccanismo di reputazione fa sì che un agente rinunci a comportamenti opportunistici per non autoescludersi dal
mercato -Il meccanismo della reputazione può essere sfruttato da autorità pubbliche e investitori, ad esempio tramite
codici volontari di governance.
Le maggiori Borse europee hanno spesso replicato questa formula:
-La Borsa Italiana ha pubblicato il suo codice nel 1999 (Codice Preda)
Il Codice tratta principalmente:
1) la funzione e la composizione del consiglio di amministrazione, nel quale richiede la presenza di un numero
adeguato di consiglieri indipendenti.
2) le modalità di nomina e di remunerazione degli amministratori
3) le modalità di gestione e comunicazione all’esterno delle informazioni price sensitive, ossia quelle che possono
avere un impatto sui prezzi di Borsa.
CONCLUSIONE
CORPORATE GOVERNANCE
-Un adeguato controllo di CG deve essere considerare un mix di meccanismi interni ed esterni.
-Un’impresa può decidere di non quotarsi perché non riesce a ottenere i necessari requisiti minimi, perché vuole
sottrarsi ai meccanismi di governance imposti dalla quotazione o perché persegue obiettivi diversi dal profitto. -Le
forme di governo alternative possono essere altrettanto efficienti delle società a fini di lucro.

CAPITOLO 14-15: LA DIREZIONE D’IMPRESA. LE FUNZIONI BASE


1) Definisce l’organizzazione delle risorse e delle competenze in una struttura funzionante in grado di rispondere alle
esigenze del mercato e soddisfare gli obiettivi dell’impresa
2) Partecipa in via iterativa e continua alla formulazione delle strategie operative di competenza, in via prevalente,
della gestione.
3) Alloca adeguate risorse e controllare i risultati e le ricadute delle attività d’impresa (pianificazione strategica,
programmazione e controllo)
4) Definisce la strategia complessiva d’impresa e formula strategie competitive selezionando le ASA in cui operare.

La direzione dell’impresa è spesso composta dal top management formato dai general manager e da alcuni senior
manager. La direzione aziendale fa riferimento a tutti i general manager indipendentemente dalla posizione gerarchica
che occupano nell’impresa.
STILE DI LEADERSHIP E CULTURA D’IMPRESA
Lo stile di leadership consiste nel modello di governo dei rapporti di lavoro nell’organizzazione d’impresa. Le
competenze di leadership consentono di orientare l’impresa verso il futuro, facendo sì che le diverse componenti si
muovano in modo coordinato per realizzare il disegno strategico.
Con riferimento agli stili di direzione si è soliti distinguere tra due:
-lo stile autoritario: si basa sull’autorità.
Si esercita mediante il comando e il controllo, basato su rapporti gerarchici forti in cui il rispetto è assicurato dal
controllo e dalla minaccia di sanzioni in caso di inadempimento.
-lo stile partecipativo: si fonda su processi di influenza pluridirezionali, basati sulla ricerca del consenso con
prevalenza di comportamenti consultivi e partecipativi. Tende a diffondersi man mano che la struttura diventa più
complessa e aumenta la tendenza al decentramento del processo decisionale, dove si applicano il principio della
delega e dell’autocontrollo in maniera forte.

La cultura d’impresa:
-Si riferisce ai principi, valori e modi di pensare profondamente radicati.
-Condiziona i comportamenti adottati dal management.
-Non è visibile direttamente ma può essere analizzata osservando le sue manifestazioni.

L’ORGANIZZAZIONE D’IMPRESA
Comprende tutte le attività volte alla definizione della struttura organizzativa e dei meccanismi di funzionamento.

LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA
Definisce i criteri di condivisione e coordinamento del lavoro tra i membri dell’organizzazione, nonché il grado di
decentramento decisionale.

Le principali forme:
1) Struttura elementare
2) Struttura funzionale: in base all’omogeneità delle tecniche caratteristiche di ciascuna funzione
3) Divisionale: in base agli output, alla categoria di clienti, alla area geografica.
4) Matriciale: congiuntamente funzionale e divisionale abbinando specializzazione e utilizzo mirato delle risorse.
5) Per processi: per ottimizzare compiti e funzioni rispetto a un obiettivo comune.
6) A rete: tenendo conto delle attività svolte presso altre aziende legate in modo stabile.

GESTIONE DEL PERSONALE E SISTEMI INFORMATIVI


Gestione del personale:
1) Amministrazione del personale: riguarda le pratiche relative all’avvio e alla continuazione dei rapporti contrattuali
di lavoro.
2) Dimensionamento e dinamica del personale: si riferisce alla scelta delle dimensioni dell’organico e alla
determinazione dei carichi di lavoro.
3) Retribuzione del personale: comprende la definizione della struttura retributiva e la valutazione dei risultati.
4) Sviluppo del personale: concerne le iniziative di formazione, i percorsi di carriera e la valutazione del potenziale
dei prestatori di lavoro.

Funzioni relazioni sindacali:


1) Analisi e simulazione delle dinamiche sindacali: sulle possibili dinamiche delle relazioni sindacali.
2) Negoziazioni con le rappresentanze sindacali: circa gli aspetti relativi ai rapporti di lavoro, con particolare riguardo
alle questioni retributive, alla sicurezza sul lavoro, alla partecipazione alle decisioni.
3) Aspetti normativi e contenzioso: di questioni legali connesse alle norme sul lavoro.

Funzione sistemi informativi: Il sistema informativo può intendersi come meccanismo organizzativo dal momento
che le scelte relative alla sua configurazione influenzano il comportamento in modo analogo alle scelte di struttura.
1) Elaborazione automatica dei dati: è l’insieme di attività relative alla gestione di procedure di trattamento dati
mediante computer.
2) Sviluppo di supporti ai processi decisionali: riguarda le attività volte al miglioramento della qualità dei processi
decisionali e include lo sviluppo di supporti informatici e non.

CAPITOLO 15: LA STRATEGIA D’IMPRESA


La strategia è il fondamento dell’attività gestionale delle imprese, poiché definisce cosa fare, perché farlo e come
svolgere l’attività d’impresa.
E’ strettamente connessa all’Orientamento Strategico di Fondo L’OSF: denota l’identità dell’impresa, in termini di
valori e filosofia di comportamento, e ne indirizza i comportamenti imprenditoriali.

I LIVELLI DELLA STRATEGIA


L’approccio alla strategia qui seguito porta a intendere la stessa come il collegamento tra l’impresa e l’ambiente
esterno. L’obiettivo principale della strategia è far corrispondere le competenze interne dell’impresa alle opportunità
offerte dell’ambiente esterno.

Sul piano logico e concettuale si distinguono 3 livelli di strategia nei quali collocare le scelte:
Prima si definisce la strategia corporate allocando adeguate risorse, e selezionando, in linea con l’OSF, il ‘’dove’’
competere, cioè le ASA. La strategia riguarda tutta l’azienda nel suo complesso e spetta all’imprenditore o al top
management definirla. Le strategie competitive si definiscono quando si deve decidere ‘’come’’ competere, cioè su
quali competenze puntare per la conquista del vantaggio competitivo durevole. E’ una strategia dinamica.

Le strategie di gestione o funzionali coinvolgono invece i singoli aspetti della gestione: commerciale, finanziaria,
operations. Ricoprono un ruolo di coordinamento tra obiettivi operativi e strategici.

LA FORMULAZIONE DELLE STRATEGIE


1) Analisi attrattività del settore (diagnostico esterno)
2) Analisi della tipologia, della qualità e delle risorse e competenze di cui l’impresa dispone (diagnostico interno)
3) Analisi e diagnosi dell’impresa (Business Audit) Con il business audit si pongono in evidenza le risorse-chiave e le
carenze dell’impresa, in maniera descrittiva e non ancora propositiva. Analisi: Individuazione aree funzionali critiche
per la competitività dell’impresa (core processes).

DALLA STRATEGIA ALLA PIANIFICAZIONE


La strategia è l’insieme delle scelte di fondo attraverso cui l’impresa intende conseguire il proprio sistema di obiettivi.
La pianificazione è il processo organizzativo e negoziale che conduce alla definizione dell’impostazione strategica
dell’impresa, attiene all’aspetto procedurale.

IL CICLO DI PIANIFICAZIONE AZIENDALE


Il processo di pianificazione prende avvio da un orientamento strategico già formulato, anche se, in realtà, occorre
mettere in luce nel ciclo di pianificazione aziendale 3 momenti ben distinti, caratterizzati da logiche e finalità
differenti ancorché tra loro fortemente integrati:
1) La pianificazione strategica: si occupa della formulazione esplicita delle strategie. Il risultato della pianificazione
strategica è il piano strategico, documento che abbraccia un orizzonte temporale pluriennale.
2) La programmazione: segue la pianificazione strategica in quanto tende alla realizzazione concreta delle strategie.
La programmazione realizza il collegamento indispensabile tra la fase di pianificazione strategica tipicamente
pluriennale, alla fase di budgeting che invece ha un orizzonte annuale.
3) Il budgeting: è il processo che realizza concretamente l’allocazione delle risorse alle singole unità aziendali,
mediante la proiezione di costi e ricavi, articolati sia a livello di ASA sia di unità gestionali.

Il ciclo di pianificazione aziendale si conclude, con la definizione dei budget gestionali che definiscono le attività da
implementare a livello delle singole unità, nonché le modalità si svolgimento delle stesse. L’insieme di tutti i budget
aziendali viene definito master budget. Accanto al ciclo di pianificazione aziendale si colloca un ciclo di controllo dei
risultati ottenuti, con lo scopo di disporre un meccanismo di feedback finalizzato alla ridefinizione delle strategie o dei
programmi.

CAPITOLI 16-17: STRATEGIE D’IMPRESA: FONTI E DINAMICHE VANTAGGIO COMPETITIVO


Il Vantaggio Competitivo è il risultato di una strategia che conduce l’impresa a occupare una posizione favorevole nel
contesto (mercato o ambiente) in cui opera. E’ la condizione che consente alle imprese la superiorità dei propri
risultati economici. Esprime una posizione relativamente migliore in termini di valore creato per il mercato e i diversi
stakeholder, che si traduce in una redditività maggiore a quella media dei concorrenti.
A QUALI STRATEGIE E’ LEGATO? L’elemento fondante della visione di Porter del VC risiede nel concetto di
catena del valore. Questa è intesa come l’insieme delle attività che sono condotte nell’impresa. Ciascuna di queste
attività, in modo separato, può supportare un vantaggio competitivo di costo o differenziazione.

Le attività dell’impresa, secondo Porter, si dividono in:


1) Primarie: che rappresentano l’attività operativa dell’impresa, nelle fasi di acquisto, trasformazione, e vendita.
2) Secondarie: che rappresentano le attività integrative di struttura, di gestione delle risorse umane e di ricerca e
sviluppo.
L’ottenimento del vantaggio competitivo è legato al perseguimento di una delle strategie di base.
1) Leadership di costo: tramite la quale l’impresa produce a costi inferiori rispetto ai concorrenti il medesimo
prodotto. Si evince come il VC scaturisca da una maggiore capacità di economizzare i costi da parte dell’impresa.
L’azienda riesce a scendere lungo la curva dei costi medi e a ottenere effetti positivi legati all’esperienza.
2) Differenziazione: per cui l’impresa produce prodotti differenti per i quali il consumatore è disposto a pagare un
prezzo diverso. Scaturisce dalla possibilità di creare prodotti diversi o percepiti come tali dal consumatore, a cui
possono essere applicati prezzi più alti.
Il presupposto del VC è che tale sovrapprezzo ecceda i costi sostenuti per la differenziazione. Realizzare
positivamente una strategia di differenziazione significa raggiungere un’identità propria o disporre di un marchio sul
mercato che renda riconoscibile il prodotto e motivi il diverso prezzo.
3) Focalizzazione: che è la realizzazione di una delle due precedenti strategie in un segmento limitato del mercato.
DA COSA DERIVA? Il vantaggio competitivo di un’impresa all’interno di un determinato ambito di mercato si
costruisce attraverso lo svolgimento di attività in modo unico (activity-based view), ovvero differente dai concorrenti.
Ogni attività (primaria e secondaria) contribuisce alla creazione di valore per il cliente e alla formazione dei costi, e
alimenta per questo il valore aggiunto del quale l’impresa riesce ad appropriarsi.

COSA LO SUPPORTA? Le caratteristiche delle risorse a disposizione dell’impresa e la sua capacità di sfruttarle
sono alla base dell’esistenza di un VC (resourced-based view).

RISORSE:
-Con valore: In primo luogo le risorse devono avere un valore per l’impresa, tuttavia non è sufficiente per generare un
VC se queste risorse sono facilmente accessibili da molte altre imprese, in quel caso si parlerebbe di parità
competitiva.
-Senza valore: Quando un azienda investe in una risorsa senza valore pone le condizioni per una sua posizione di
svantaggio competitivo. -Scarse: quando un’impresa possiede una risorsa dotata di scarsità, si crea eterogeneità nel
sistema e l’impresa beneficia di una rendita definita ‘’ricardiana’’, in quanto per quella risorsa l’offerta rimane
limitata. Quando la risorsa ha valore ed è scarsa si crea una situazione di VC temporaneo. Se la risorsa ha un valore
non per le condizioni di opportunità che offre ma perché soppianta le condizioni precedenti allora si crea una rendita
‘’schumpeteriana’’.

Si realizza quando un impresa combina le risorse in modo innovativo.


-Non scarse
-Non Inimitabili
-Imitabili
-Organizzate: affinché il potenziale competitivo non risulti latente, l’impresa deve possedere abilità organizzative per
poter sfruttare tale potenziale. La presenza di meccanismi per lo sfruttamento delle risorse è dunque un fattore di
aggiustamento, e consente all’impresa di beneficiare concretamente di un vantaggio competitivo realizzato e
sostenibile nel tempo.
-Non organizzate

QUANTO DURA? I MECCANISMI DI ISOLAMENTO


Perché le rendite derivanti dalla scarsità dei fattori possano essere mantenute nel tempo devono esistere meccanismi
atti a prevenire l’imitazione da parte dei competitor. Il processo di generazione/appropriazione delle risorse può dare
origine a cinque meccanismi di isolamento:
1) Diseconomie di compressione temporale: cioè di quel fenomeno per cui un imitatore non è in grado di risparmiare
tempo replicando semplicemente la risorsa, in quanto deve ripetere parte degli investimenti che hanno consentito al
first mover di generare le rendite.
2) Dimensione ottima minima: tale fenomeno al contrario si verifica quando incrementare il livello di una risorsa si
presenta più semplice quanto maggiore è il livello di partenza della risorsa stessa. Ad es. gli effetti di una campagna
pubblicitaria realizzata sia da un’impresa già dotata di marchio noto e un altra invece sconosciuta.
3) Interdipendenza: l’interdipendenza delle risorse può ostacolare l’imitazione.
Se la possibilità di accrescere il livello di una risorsa non dipende solo dal livello di partenza della risorsa stessa ma
anche dal livello di altre risorse a questa collegate , è chiara la difficoltà di procedere per imitazione, in quanto
occorerebbe imitare tutto il network di risorse collegate.
4) Ambiguità Causale: questo concetto si riferisce all’impossibilità di identificare, anche per l’impresa che lo realizza,
tutte le determinanti all’origine del successo competitivo.
5) Non mobilità: una competenza legata alla conoscenza del consumatore finale risulta infatti, non trasferibile in
un’impresa che, per esempio, vende telai o macchine utensili non al consumo finale, bensì a un altra impresa.
Le categorie di risorse più adatte a sostenere il vantaggio competitivo sono molteplici e interfacciate tra loro:
-Competenze dinamiche: si qualificano come i processi attraverso cui le imprese integrano, sviluppano e
riconfigurano le proprie competenze distintive, rinnovando continuamente il proprio assetto strategico, al fine di
generare nuove strategie del valore. Sono il risultato di un percorso di apprendimento che affonda le proprie radici nel
percorso evolutivo dell’impresa dalla creazione alla successive fasi di sviluppo, maturazione e declino.
-Capitale intangibile: ci si riferisce al capitale intangibile come l’insieme di quei fattori non materiali quali, la cultura
aziendale, la proprietà intellettuale, il know-how codificato, le competenze del management, la formazione,
l’esperienza personale…sono difficili da accumulare ma altrettanto difficili da trasferire.
-Capitale umano: è assimilato all’insieme di conoscenze, competenze, abilità e attitudini acquisite durante la vita di
un individuo e variamente poste al servizio di obiettivi collettivi, quali quelli aziendali. O definito come, l’insieme
delle conoscenze individuali implicite e codificate. E’ stato analizzato in relazione allo sviluppo di capacità distintive
aziendali e alla creazione di nuova conoscenza organizzativa.
-Capitale organizzativo: distinto dall’insieme di conoscenze di natura individuale è l’insieme delle risorse di
conoscenza, delle capacità di apprendimento e dei valori condivisi dai membri di una collettività sociale
istituzionalizzata, quale, per esempio un’impresa. Ne fanno parte conoscenze organizzative (come produrre i beni e
servizi, come combinare lavoro e asset fisici) e cultura aziendale.
-Capitale relazionale: risiede nelle relazioni che ciascuna impresa instaura con le diverse categorie di stakeholder
che a vario titolo si interfacciano con essa. Include asset quali la fiducia, le norme di reciprocità e le sanzioni in caso
di comportamento disallineato rispetto alle aspettative, le obbligazioni tra le parti. In altre parole esso individua quei
fattori primari che determinano la qualità delle relazioni tra l’impresa e i propri fornitori, co-produttori, partner, clienti
finali, comunità locali. Esempi possono riguardare i rapporti collaborativi di lungo termine con i fornitori, le relazioni
consolidate con la distribuzione, il clima organizzativo interno e gli assetti di governance.
In sintesi dunque, secondo la teoria delle risorse, il VC dell’impresa si basa sul possesso di risorse immateriali, di
competenza o di relazione, che hanno valore, sono scarse, inimitabili, e che risultano concretamente sfruttabili.

CAPITOLO 17: IL MODELLO DI VITA DEL PRODOTTO SETTORE


Il ciclo di vita del prodotto rappresenta un modello semplice e molto utile per analizzare la dinamica strategica di
un’impresa in diversi contesti ambientali.
1) Fase d’introduzione: si identifica un gruppo di consumatori che ritiene potenzialmente interessati alle caratteristiche
innovative dell’offerta. Si deve costituire un’organizzazione intorno all’idea imprenditoriale. L’impresa si deve dotare
delle risorse finanziarie, del personale, dei canali distributivi, delle tecnologie di produzione.
2) Fase di sviluppo: Il successo del prodotto permette piani di espansione verso un mercato più ampio, ma allo stesso
tempo attira nuovi concorrenti. L’imperativo è mantenere o conseguire una posizione di leadership in termini di
posizione di mercato. Durante questa fase l’enfasi innovativa passa gradualmente dal prodotto al processo produttivo.
Dal punto di vista strategico l’impresa mantiene una forte focalizzazione sul business di partenza, senza sfruttare
eventuali opportunità di diversificazione ma iniziando a internazionalizzarsi.
3) Fase di maturità: lo sviluppo de settore si arresta ed è impossibile ogni aumento delle vendite se non sottraendo
clienti alla concorrenza. Accentuazione della tensione competitiva. Il mercato tende ad essere dominato da poche
organizzazioni di grandi dimensioni. Se la tecnologia produttiva lo consente è in questo momento che si verificano
forti spinte verso l’integrazione verticale.
4) Fase di declino: Sotto la spinta di prodotti sostitutivi e a fronte di una calo della domanda, il settore entra in una
fase di declino delle vendite. Se il declino non è stato previsto per tempo si sviluppa un’accesa competizione che porta
alla fuoriuscita dei concorrenti deboli, qui i leader di mercato infatti hanno un aumento del fatturato. L’uscita del
mercato può essere ritardata, ma l’impresa deve cominciare ad attrezzarsi per la penetrazione in altri business, o
programmare la liquidazione delle attività.

CICLO DI VITA E IMPLICAZIONI STRATEGICHE


Nascita L’impresa nasce per effetto della spinta creativa di un imprenditore che genera dal nulla un’organizzazione
intorno ad un’idea e alla propria azione personale E’possibile elencare i passi che, in linea generale, ogni nuova
impresa deve effettuare:
-Cogliere le opportunità
-Rifinire l’idea
-Proteggersi dall’imitazione
-Costruzione della squadra
-Start-up -Finanziamento
-Lancio del prodotto Crescita.
Al termine del periodo di nascita la tecnologia, la struttura organizzativa e le strategie di mercato che avranno
successo, appaiono chiare al management.
E’necessario spostare l’attenzione dal prodotto verso l’innovazione di processo così, se il mercato cresce
rapidamente, non si ha bisogno di sottrarre clienti ai concorrenti, ma si può ottenere una performance molto alta
consolidando la propria posizione sul mercato.
Ogni impresa tende a concentrarsi su uno specifico ambito strategico I concorrenti divengono più efficienti a causa
principalmente di economie di scala e di apprendimento.

Maturità
Il rallentamento della crescita della domanda del mercato crea eccedenze di capacità produttiva; le imprese possono
rispondere con: Riduzione dei costi unitari:
-Curva di esperienza
-Economie di scala
-Ottenimento di risorse produttive a basso costo
-Livelli elevati di efficienza

Sfruttamento di particolari ‘’leve’’:


-Dinamica di nicchia
-Dinamica qualitativa
-Potenzialità innovativa
-Vuoti di offerta.

Declino
La fase di declino è caratterizzata da:
-Eccedenza di capacità produttiva –
Assenza di innovazioni
-Riduzione del numero dei concorrenti
-Intensa lotta concorrenziale

STRATEGIE ALTERNATIVE NEI SETTORI IN DECLINO


In funzione della struttura del settore (favorevole o sfavorevole) e della posizione competitiva (Vantaggi rispetto alla
domanda residuale o Assenza di vantaggi rispetto alla domanda residuale):
1) Quota o nicchia
2) Mietitura o disinvestimento rapido
3) Nicchia o mietitura
4) Disinvestimento rapido

Crisi
Dipende da fenomeni complessi e frequenti che configurano uno stato patologico. Si possono distinguere:
1) Cause primarie: fattori di tipo ambientale o interno che determinano l’incapacità a mantenersi in stabili condizioni
di economicità.
2) Cause secondarie: moltiplicano gli effetti delle cause primarie, ostacolando la risoluzione della crisi. L’impresa
deve essere in grado di sviluppare adeguate strategie di fronteggiamento della crisi, al fine di tornare in condizioni
gestionali ordinarie.
Gli obiettivi operativi di distinguono in 3 categorie:
1) Obiettivi economici
2) Obiettivi patrimonial-Finanziari
3) Obiettivi istituzionali.

In generale si possono individuare 4 strategie nei confronti di business in declino.


1) strategie di quota: Punta a far acquisire una posizione di leadership nel settore, cercando di compensare la caduta
complessiva delle vendite con l’aumento della propria quota di mercato. Per raggiungere questo obiettivo, l’impresa
deve cercare di mettere fuori gioco i concorrenti, spingendoli all’uscita dal mercato. Ad esempio potrebbe scatenare
una guerra dei prezzi, ma che alla lunga rovinerebbe la redditività dell’impresa stessa. Più prudente invece l’idea nel
tentare di abbassare le barriere per favorire, l’uscita dal settore. Al riguardo, assumono importanza i costi di
sostituzione (switching cost), ossia i costi che l’utilizzatore deve sostenere per adottare il nuovo bene.
2) strategie di nicchia: punta all’occupazione di un segmento della domanda protetto dal declino, in questo caso si
possono riproporre, a livello di segmento, le medesime mosse viste a livello di strategia di quota.
3) strategie di mietitura: l’impresa mira a ottenere il massimo ritorno finanziario dal business in declino, evitando nei
limiti del possibile di effettuare ulteriori investimenti. Questa strategia si basa sul fatto che il calo delle vendite può
portare a significativi flussi positivi di cassa, grazie alla progressiva diminuzione del capitale circolante. In tale
prospettiva, è opportuno evitare qualsiasi guerra dei prezzi e puntare più che sulle quantità sui margini unitari di
contribuzione. Ciò significa ridurre il numero di varianti per il consumatore e innalzare i prezzi di vendita, cercando
allo stesso tempo di tagliare tutti i costi per attività non essenziali. Tale comportamento può determinare un’ulteriore
accelerazione del declino del settore.
4) Strategie di disinvestimento: punta alla dismissione delle attività, per destinare le risorse ottenute a nuovi business,
secondo una logica di gestione del portafoglio. Tale politica può dimostrarsi conveniente, a condizione che venga
attuata tempestivamente, cioè prima che il declino si manifesti. Dopo, può essere molto difficile trovare acquirenti e
vendere a un buon prezzo.

Modello per stabilire la strategia più opportuna sulla base di due variabili:
1) La struttura del settore: che può essere favorevole o sfavorevole a seconda dell’intensità del tasso di caduta delle
vendite complessive, del livello delle barriere all’uscita, delle relazioni prevedibili al declino dei concorrenti attuali.
2) La presenza o meno dei punti di forza: rispetto alla domanda residuale, ossia ai clienti che rimarranno nel mercato.

CAPITOLO 18: LE STRATEGIE DI CRESCITA MODALITÀ’ REALIZZATIVE DELLE STRATEGIE DI


CRESCITA
1) Crescita interna: processo di sviluppo all’interno di una struttura societaria definita. Processo lento in cui l’impresa
deve combinare lo sfruttamento delle opportunità esistenti con l’esplorazione di opportunità nuove.
2) Crescita contrattuale: Basata su accordi fra imprese mediante la costituzione di joint venture o altre forme di
collaborazione (strategie cooperative).
3) Crescita esterna: Sviluppo mediante acquisizione o fusione con imprese esistenti. Processo più rapido esposto però
al rischio di pagare troppo le imprese acquisite e di subire difficoltà successive.

Vi sono tre strategie che individuano le traiettorie della crescita:


1) Espansione o concentrazione nei business esistenti, che punta a sfruttare al meglio il patrimonio di competenze e di
esperienze già possedute dall’impresa attraverso due direttrici, sviluppo orizzontale ed integrazione verticale.
2) Diversificazione in nuovi business o produttiva che può assumere forma di diversificazione correlata, conglomerale
o non correlata.
3) Espansione internazionale.
4) Da ultimo, si presentano le strategie di focalizzazione sul core-business.
5) Le imprese che non sono più in fase di sviluppo hanno la necessità di mantenere le proprie posizioni nei mercati in
cui operano, per cui intraprendono strategie di rafforzamento o assestamento.

LA CRESCITA INTERNA
La crescita interna avviene attraverso un processo di sviluppo delle unità esistenti all’interno di una struttura
societaria ben determinata. La crescita interna valorizza le competenze interne, puntando su uno sviluppo graduale.
L’organizzazione, nel suo sforzo di usare le risorse in modo razionale, è spinta a sfruttare le opportunità interne
allargando lo spettro delle sue attività. Ciò a sua volta impone l’acquisizione di risorse aggiuntive, necessarie per
sfruttare pienamente quelle preesistenti.

LA CRESCITA ESTERNA
La crescita esterna di differenzia dallo sviluppo interno in parte per la natura giuridica, perché si realizza mediante
operazioni societarie di acquisizione di imprese già operanti o rami d’azienda. Si realizza tramite operazioni di
acquisizione, fusione o altre combinazioni interaziendali.
-Acquisizione: trasferimento di proprietà di un azienda, verso il corrispettivo di un prezzo.
-Fusione: incorporazione o per consolidamento mediante costituzione di una società nuova. Comporta lo scioglimento
di due o più unità preesistenti.
E’ una combinazione più rigida rispetto all’acquisizione.

OPZIONI STRATEGICHE E PERCORSI DI SVILUPPO


Sviluppo Orizzontale Attuabile mediante espansione interna dell’impresa (es. aumentare il grado di sfruttamento
degli impianti esistenti o la scala produttiva) o zacquisizione di imprese similari operanti nello stesso mercato
(integrazione orizzontale). E’finalizzato al rafforzamento della posizione d’impresa (quota di mercato) per mezzo di:
1) Completamento della gamma di prodotti offerti
2) Ampliamento del numero di segmenti di mercato
3) Espansione geografica.
E’ un’opzione di crescita dal rischio contenuto e richiede tempi di realizzazione meno lunghi, consentendo di sfruttare
risorse già disponibili. La natura del rischio rimane immutata poiché si continua sempre a operare sempre e soltanto
nel medesimo mercato e con le stesse tecnologie produttive. Uno dei principali vantaggi si può raggiungere sotto il
profilo dei risparmi di costi. Il costo unitario di produzione tende a diminuire al crescere del volume produttivo.
SVILUPPO ORIZZONTALE
La diversificazione è una scelta strategica con cui l’impresa allarga l’ambito delle sue attività in termini di prodotti
venduti o di mercati serviti. Mentre integrazione verticale significa estensione delle attività aziendali nell’ambito di
una stessa filiera, la diversificazione può essere vista come l’aggiunta di attività appartenenti a filiere differenti.

Diversificazione correlata: Percorso di crescita orizzontale lungo sentieri prossimi a quelli esistenti, mantenendo
inalterato il gruppo di clienti. Collocare nuovi prodotti attraverso i vecchi canali distributivi. Rappresenta un passo
esplorativo, prima di un’espansione. Si ha diversificazione anche quando le nuove attività riguardano una clientela di
tipo simile.

Diversificazione conglomerale: Crescita mediante il passaggio a business completamente nuovi per tecnologie e
caratteristiche dei clienti serviti.
1) Penetrazione nel mercato: (Mercati attuali-Prodotti attuali)
2) Sviluppo prodotto: (Mercati attuali-Nuovi prodotti)
3) Sviluppo del mercato: (Nuovi mercati-Prodotti attuali)
4) Diversificazione: (Nuovi mercati-Nuovi prodotti).

Economie di raggio d’azione (campo)


L’economie di raggio d’azione (campo) sono alla base della diversificazione aziendale (scelte di estensione
orizzontale), ovvero della presenza di una stessa azienda in più settori di attività.
Si hanno economie di raggio d’azione quando, nella produzione di due o più output diversi, si realizzano dei vantaggi
utilizzando risorse in comune. Il costo di produrre congiuntamente gli output è inferiore al costo di produzione
disgiunta, in ragione del migliore sfruttamento di risorse comuni: A(A+B) < C(A) + C(B).
le strategie di diversificazione possono inoltre consentire l’ottenimento di:
1) Effetti sinergici non economico-finanziari
2) Economie finanziarie
3) Riduzione dei rischi

-Sinergie: si hanno sinergie quando lo svolgimento congiunto di due o più attività porta un risultato superiore a quello
dato dalla somma dei risultati che si ottengono dalle stesse attività se svolte separatamente.

-Economie di campo: Queste economie sono costituite dai risparmi di costo che derivano dalla presenza
contemporanea in più settori di attività. Scaturiscono dall’utilizzo condiviso di risorse immateriali, quali soprattutto le
tecnologie e la marca. Il ruolo di queste economie porta le imprese a tendere verso lo sviluppo delle core competence
piuttosto che sviluppi di mercato o di prodotto, cercando di generare profitto dalla ricerca e lo sviluppo, cercando tutte
le applicazioni possibili dalle nuove tecnologie.

-Economie finanziarie: La diversificazione determina il formarsi di un gruppo complesso di imprese e, allo stesso
tempo di una sorta di mercato finanziario interno. Nel gruppo si vengono a creare divisioni che producono e divisioni
che assorbono risorse finanziarie.

-Riduzione del rischio: Diversificare il rischio vorrà dire diversificare la reazione al ciclo economico, in quanto
andamenti negativi in date aree potranno essere compensati da andamenti positivi in aree differenti.

SVILUPPO VERTICALE
Ogni azienda deve decidere quanto integrarsi (estendersi) a monte e a valle. Integrazione a monte: L’impresa svolge
internamente attività tipiche dei fornitori (a monte della propria filiera) Integrazione a valle: L’impresa svolge
internamente attività tipiche di propri clienti e intermediari (attività a valle della propria filiera). Lo sviluppo verticale
è attuabile scegliendo di aumentare il grado di integrazione verticale, ossia l’intensità del controllo esercitato dilla
propria filiera produttiva. Può avvenire sia per processi di interni che attraverso l’acquisizione di altre imprese legare o
meno da relazioni di filiera. A fronte dei rischi connessi all’aumentata rigidità e agli investimenti necessari, lo
sviluppo verticale consente i seguenti vantaggi:
Tecnici: coordinamento più stretto e razionale delle attività.
Economici: appropriazione dei margini di profitto di clienti e fornitori e riduzione dei costi di transazione.
Concorrenziali: aumento del potere di mercato nei confronti di fornitori e clienti.

I costi di transazione
Transazione: si manifesta quando un bene o un servizio è trasferito attraverso un’interfaccia tecnologicamente
separabile.
Passaggio tra fasi produttive tecnologicamente separabili svolte internamente o esternamente.
L’insieme delle attività svolte internamente costituisce i confini aziendali.

Quali transazioni tenere all’interno dell’organizzazione e per quali, invece, ricorrere ad altri operatori?
Identificare le attività Confrontare i costi dell’internalizzazione con i costi dell’esternalizzazione.

Costi dell’internalizzazione: Costi di realizzazione interna + Costi di coordinamento interno.


Costi di realizzazione interna:
-economie di scala
-economie di scopo
-economie di apprendimento
Costi di coordinamento interno:
-direzione e controllo
-sprechi ed errori
Costi dell’esternalizzazione: Prezzi di acquisto (o di vendita) + Costi di transazione esterna Prezzi di acquisto (o di
vendita)
-costi di realizzazione esterni
-potere contrattuale interlocutori
Costi di transazione esterna:
-Raccolta di informazioni
-Negoziazione
-Difesa da comportamenti opportunistici
-Danni da comportamenti opportunistici.

Economie di transazione:
La dinamica dei costi di transazione definisce i confini dell’attività d’impresa Si manifestano economie di transazione
quando, aggregando più combinazioni economiche o aziende interdipendenti, i costi di gestione di tale
interdipendenza (costi di transazione) sono minori rispetto a quelli che si sosterrebbero nel caso contrario.

Make Vs. Buy Make: Costi di realizzazione interna + Costi di coordinamento interno Buy: Prezzi di acquisto (o di
vendita) + Costi di transazione esterna.

Determinanti dei costi di transazione:


L’entità dei costi di transazione è connessa a:
-Opportunismo: interesse a sfruttare le debolezze della controparte a proprio favore.
-Razionalità limitata: può determinare risultati inefficienti a causa dell’incompletezza delle informazione disponibili.
-Investimenti in risorse specifiche: che non possono trovare impiego alternativo
-Frequenza e Incertezza: delle negoziazioni Strategie di focalizzazione sul core-business.
Dovrebbero essere intraprese come opzioni strategiche di rafforzamento o di assestamento dell’impresa.
Tali strategie si sostanziano in processi di ristrutturazione improntati a maggiore prudenza nella gestione delle risorse
e alla difesa delle posizioni occupate, ri-focalizzando l’attività sul core business Corporate Restructuring &
Development: una forma di radicale intervento sulla struttura organizzativa che punta a razionalizzare i settori di
attività di un gruppo diversificato generalmente di grandi dimensioni.

Strategie di Outsourcing: ricerca sistematica di occasioni di affidamento a terzi di processi in precedenza realizzati
internamente (completo o parziale).

Conclusioni: La gestione strategica dell’impresa ha il compito di definire le opzioni di sviluppo all’interno del
principale processo strategico aziendale rappresentato dalla crescita. Le strategie di crescita sono attuabili attraverso
diverse modalità realizzative: crescita interna, esterna o per accordi. Possono essere identificate due fondamentali
strategie di crescita: la crescita nei business esistenti e la diversificazione in nuovi business.
Una strategia che merita di essere trattata in maniera separata è quella di focalizzazione sul core-business. Si possono
in particolare distinguere il Corporate restructuring & development e l’Outsourcing. Le imprese possono crescere,
inoltre, attraverso l’espansione internazionale di cui si parlerà in seguito.

CAPITOLO 19: LA GESTIONE STRATEGICA DELLA GLOBALIZZAZIONE


Le strategie di espansione internazionale
E’la strategia diretta a localizzare una parte delle proprie attività (di vendita o produttive) al di fuori della nazione di
origine La spinta dell’internazionalizzazione può essere:
-Interna: quando il management vede nella crescita internazionale un mezzo per il perseguimento della missione
dell’impresa.
-Esterna: quando è stimolata da favorevoli condizioni di ingresso in un mercato estero.
Il processo di internazionalizzazione può condurre a diversi orientamenti di impresa.

Orientamenti dell’impresa multinazionale Internazionale:


si caratterizza per lo sfruttamento delle conoscenze e delle capacità della casa madre ai fini della loro diffusione nei
vari paesi del mondo. Rappresenta in genere la prima fase. Si basa sul presupposto che la formula imprenditoriale
sperimentata nel proprio paese possa essere esportata con successo in altri mercati senza adattamenti.

Multinazionale: mira a creare una forte presenza locale cercando di rendersi sensibile e adattiva alle differenze
nazionali. Un’impresa multinazionale entra nei paesi ospiti mediante l’investimento diretto. Gestisce le proprie attività
come un portafoglio di iniziative diverse, in quanto ciascuna sussidiaria gode del proprio ambito geografico di un
significativo livello di autonomia e indipendenza della casa madre. Il fattore chiave di successo della multinazionale
consiste comunque nella capacità di adattamento ai bisogni espressi dalla domanda locale e alle caratteristiche
strutturali e competitive del paese ospite.

Globale: affronta paesi differenti, un limitato ambito geografico sovrannazionale o l’intero mondo sviluppato, come
se fossero un unico grande mercato indifferenziato. Le decisioni localizzative sono finalizzate alla ricerca di economie
di scala e di sfruttamento di differenziali locali di costo e di qualità. Un settore può definirsi globale se le imprese che
vi operano possono acquisire significativi vantaggi competitivi integrando le attività su scala mondiale.

Le tre A delle STRATEGIE GLOBALI


Nella strategia globale occorre bilanciare le economie di scala (che spingono a standardizzare le attività
internazionali) con l’esigenza di adattamento locale (che spinge a variare le attività internazionali).
Le opzioni possibili sono:
Adattamento: unità locali indipendenti operanti nei vari paesi, senza sfruttamento delle economie di scala.
Aggregazione: centralizzazione delle attività in una o in poche macro-regioni, che servono i vari mercati locali.
Arbitraggio: disaggregazione della catena del valore per beneficiare dei vantaggi comparati dei vari paesi.

Percorsi di internazionalizzazione:
Le scelte di internazionalizzazione delle imprese dipendono in primo luogo dalle caratteristiche del settore. In caso di
settori globali l’internazionalizzazione è una soluzione obbligata. In assenza di vincoli dettati dal settore le imprese
possono comunque scegliere di internazionalizzarsi in funzione di una vocazione internazionale. Indipendentemente
dalle motivazioni , possiamo distinguere nella strategia di internazionalizzazione forme differenti, che ruotano intorno
a due elementi: la realizzazione o meno di produzioni all’estero, la presenza o meno di investimenti diretti oltre i
confini nazionali:
1) Operazioni commerciali senza investimenti diretti all’estero: esportazione diretta ed esportazione indiretta.
L’impresa si limita all’esportazione di parte della propria produzione, direttamente (curando in prima persona i
rapporti con i clienti stranieri) o indirettamente (affidando l’export a intermediari).
2) Operazioni produttive senza investimenti diretti all’estero: Licenze o contratti di fabbricazione e impianti chiavi in
mano. Si affida la produzione a operatori stranieri. La commercializzazione è a cura dei partner stranieri, con proprio
marchio, o del proprio marchio a seconda degli accordi.
3) Operazioni commerciali con investimenti diretti all’estero: Rappresentanze commerciali e Filiali di vendita.
L’impresa mantiene nella nazione di origine i processi produttivi, ma installa all’estero una propria organizzazione
commerciale. Si può scegliere tra un intervento completo con filiali di vendita che curano tutti gli aspetti della
commercializzazione del prodotto. Oppure servirsi di distributori e importatori.
4) Operazioni produttive con investimenti diretti all’estero: Fabbricazione e Assemblaggio. E’la forma più completa
di internazionalizzazione, con svolgimento di fasi di lavorazione o dell’intero ciclo produttivo all’estero.
Strategie internazionali Spesso l’internazionalizzazione avviene mediante un graduale passaggio attraverso tutte le
modalità presentate. Porter propone una classificazione delle strategie internazionali basata sulla
dispersione/concentrazione geografica delle attività della catena del valore e sul grado di coordinamento, elevato o
basso, delle attività svolte in vari paesi:

-Strategia di esportazione con commercializzazione decentralizzata: si concentrano nel paese di origine tutte le
attività, e in particolare quelle produttive, tranne il marketing e le vendite, che si disperdono nel vari mercati-paese,
raggiunti per via di esportazione.
-Strategia multidomestica: si disperdono le attività della catena del valore e si lascia alle singole unità locali ampia
autonomia; è la strategia tipica delle imprese che operano internazionalmente.
-Forte investimento all’estero e forte coordinamento delle attività: l’impresa opera in maniera dispersa,
decentralizzando il più possibile le attività della catena del valore, ma allo stesso tempo si mantiene un forte
coordinamento di tutte le filiali.
-Strategia globale pura: si realizza una forte centralizzazione delle risorse decisive rispetto ai vantaggi competitivi; è
la soluzioni delle globali. La base della piramide I paesi emergenti sono attraenti non solo nelle nuove aree di
benessere ma anche alla base della piramide, formata dai clienti che vivono con meno di due dollari al giorno. E’ un
mercato molto ampio formato da circa 4 miliardi di persone. Questi clienti sono esclusi dalle logiche di business
tradizionali ma possono essere coinvolti con soluzioni innovative di prodotto e processo, in armonia con i bisogni e
con le risorse delle comunità locali.

CONCLUSIONI
C’è una varietà di approcci all’internazionalizzazione, dalla piccola impresa esportatrice alle multinazionali complesse
che distribuiscono e coordinano le loro attività in tutto il mondo Il bilanciamento dei vantaggi di scala e dei vantaggi
di adattamento locale è cruciale per organizzare in modo efficiente le attività internazionali I paesi emergenti offrono
sia preziose opportunità di localizzazione prodotti (grazie ai loro vantaggi comparati) sia attraenti mercati di sbocco,
anche dove i livelli di reddito pro-capite sono ancora bassi.

CAPITOLO 20:LE STRATEGIE COOPERATIVE


La crescita contrattuale
Si sostanzia nella formalizzazione di alleanze o accordi di collaborazione tra due o più imprese allo scopo di
raggiungere congiuntamente obiettivi condivisi, o di fare fronte a criticità comuni, pur mantenendo una reciproca
indipendenza organizzativa, giuridica e funzionale.
I partner si impegnano a scambiare e/o condividere risorse, rischi e risultati così da sviluppare nuovi prodotti, servizi,
mercati, tecnologie.
E’ una strategia di crescita alternativa alle forme di crescita interna ed esterna tramite operazioni di acquisizione e
fusione. In generale, la base economica della collaborazione interaziendale o di una collaborazione strategica risiere
nella possibilità di svolgere in modo migliore una o più attività della catena del valore.

I vantaggi perseguiti mediante gli accordi si possono classificare in:


1) Acquisizione di economie di scala, di apprendimento e di altri vantaggi di costo legati a sinergie. Rispetto ad
analoghi vantaggi ottenibili mediante la crescita interna o esterna, tali accordi presentano la caratteristica ulteriore di
potersi realizzare in tempi brevi e con la massima flessibilità.
2) Accessi ad asset esclusivi, messi a disposizione dal partner, come tecnologie, canali di distribuzione consolidati,
personale esperto, prodotti e impianti. Presupposto della conclusione dell’accordo è che ogni partecipante disponga di
risorse esclusive di cui la controparte possa avvantaggiarsi, in una logica di scambio e miglioramento comune.
3) La riduzione dei rischi e la condivisione degli investimenti finanziari connessi a investimenti di elevata entità.
Soprattuto per quanto riguarda la ricerca, lo sviluppo e l’industrializzazione di nuovi prodotti.
4) L’unione delle forze per provare a cambiare la struttura settoriale.

La crescita contrattuale
Obiettivi: I fattori critici di successo: Le modalità di gestione del rapporto e l’identità dei partner sono critici per il
successo dell’operazione.
I partner possono essere portatori di culture e di stili gestionali differenti, che possono rivelarsi incompatibili e portare
a conflitti. La formazione di un’alleanza dev’essere preceduta da una attenta analisi non soltanto degli obiettivi
strategici e finanziari che possono essere conseguiti.

Fit culturale e fit strategico:


-Fit culturale: che esprime la misura in cui le culture aziendali dei partner possono permettere una buona convivenza
e lo sviluppo di una genuina cooperazione. Ciò richiede la condivisione di certi approcci molto generali relativi alle
finalità d’impresa e l’atteggiamento nei confronti del mercato.
-Fit strategico: che dipende dalla misura in cui si integrano le risorse dei partner, rispetto alle possibilità di uso
complementare e all’ottenimento di sinergie.
1) Alleanza potenzialmente buona, a condizione di un adattamento culturale > fit strategico alto, fit culturale basso.
2) Alleanza ottimale > Fit strategico alto, fit culturale alto.
3) Alleanza che non permette alcun vantaggio > Fit strategico basso, fit culturale basso.
4) Compatibilità, ma assenza di vantaggi competitivi > Fit strategico basso, fit culturale alto.

Le forme delle relazioni cooperative


Il vantaggio competitivo relazionale può essere perseguito attraverso diverse forme di accordo e di cooperazione Le
relazioni cooperative si possono rappresentare sulla base dell’intensità del rapporto:
-Relazioni forti: i partecipanti sono legati da strutture formali.
-Relazioni deboli: il collocante è spesso una semplice comunanza di interessi.
Tali forme, a partire dalle teorie sui costi di transazione, si possono identificare come alternative e intermedie a
mercato e gerarchia.
Relazioni deboli:
1) Incrocio amministratori: la funzione principale di questa forma di accordo è la possibilità di ottenere l’accesso a
particolari risorse, per esempio finanziarie oppure risorse informative e di conoscenza.
2) Associazioni categoria: all’interno di un settore si formano solitamente società senza scopo di lucro con
l’obiettivo di raccogliere e distribuire informazioni commerciali, costruendo una piattaforma per azioni di lobbying
verso le autorità governative e l’opinione pubblica.
3) Alleanze: Ci si riferisce a tutti quegli accordi che coinvolgono più imprese su base essenzialmente contrattuale e
che possono riguardare diversi ambiti dell’attività aziendale, il trattato fondamentale di questi accordi è la mancanza
di investimenti di capitale. Network stabili: di fornitura o di distribuzione. Accordi realizzati lungo la filiera per
ottimizzare le operazioni di acquisto o di vendita.

Relazioni forti:
1) Consorzi: è la prima forma di cooperazione con legami forti. In tal caso una nuova società è creata attraverso
l’apporto di capitale da parte di una serie di imprese con lo scopo di raggiungere obiettivi comuni più efficacemente
e/o velocemente rispetto all’iniziativa singola, grazie alle maggiori dimensioni del consorzio. Si sono sviluppati anche
nell’acquisto congiunto di prodotti, servizi o materiali.
2) Joint ventures: rappresentano l’altra modalità di cooperazione forte. In tal caso due imprese solitamente realizzano
una terza iniziativa, apportandovi capitale e risorse, per scopi comuni, anche in questo caso spesso afferenti agli
aspetti della ricerca e della commercializzazione.

Risorse condivise
In una prospettiva resource-based, le forme di cooperazione hanno due motivazioni principali: sfruttamento di risorse
‘’in pool’’ e non detenute da una singola impresa.
-L’ottenimento di risorse: cioè la possibilità di creare e reperire input fondamentali per la propria attività. Nella
maggior parte dei casi, infatti un’impresa è interessata ad alcune ma non tutte le risorse in possesso di un partner.
Un’acquisizione comporterebbe l’implementazione di risorse superflue.
-La difesa di risorse e competenze: cioè la possibilità di proteggere elementi cruciali per la propria competitività.
Vengono difese risorse chiave in presenza di situazioni in cui le imprese possono trovarsi in difficoltà nel farlo da
sole. Una forma più temperata di cooperazione, rispetto a forme di acquisizione diretta, può consentire di impiegare
queste risorse solo temporaneamente, mettendole a disposizione per impieghi futuri.

Le risorse coinvolte possono essere di due tipi:


-Risorse proprietarie: quali i macchinari, i brevetti e tutti gli input per i quali le imprese godono di regimi forti di
appropriabilità.
-Risorse basate sulla conoscenza: quali il know-how, la fiducia, per le quali esistono regimi deboli di appropriabilità.

Il regime di appropriabilità definisce il livello di proteggibilità delle risorse: quando è forte, un’impresa può
serenamente escludere un partner dall’utilizzo delle risorse. Quando entrambe le imprese apportano risorse
proprietarie ben identificabili, solitamente la cooperazione assume una forma prevalentemente contrattuale e debole,
che consente la condivisione degli asset e ne disciplina l’utilizzo. Quando un’impresa apporta prevalentemente risorse
proprietarie e l’altra risorse di conoscenza, forme di cooperazione più forti come la joint venture, possono funzionare
meglio. Quando entrambi i soggetti che cooperano apportano risorse cognitive la cooperazione ritorna ad avere forme
deboli.

Forme e risorse
Le fonti del vantaggio competitivo relazionale Le diverse forme di cooperazione hanno diversi punti di forza e di
debolezza. Con riferimento alle forme deboli, per esempio, l’investimento è limitato e così il conseguente rischio
dell’iniziativa, ma l’accordo può risultare generico e poco incisivo sull’attività aziendale. Per converso, le forme forti
sono sicuramente più focalizzate e potenzialmente più importanti, ma hanno maggiori difficoltà di gestione e governo
della relazione.
1) Obiettivi, tempi, risorse investite > Investimento dei partner nella relazione: Quanto maggiori sono la durata e
l’intensità della cooperazione, tanto maggiore sarà a parità di condizioni, la possibilità di costruire risorse e
competenze in grado di supportare il vantaggio competitivo.
2) Fit culturale e capacità di assorbimento > Presenza di meccanismi di apprendimento: Affinché una relazione con
un’altra impresa possa incidere sul vantaggio competitivo è necessario che l’impresa sia capace di incorporare la
conoscenza generata nell’interazione per poi, magari, riproporla in altri contesti, questa capacità è detta di
assorbimento.
3) Fit strategico, sinergie > Complementarità tra le risorse: si riferisce al tema delle sinergie, l’uso delle risorse in
combinazione fa sì che il potenziale della combinazione sia superiore alla somma delle singole risorse non combinate.
4) Fiducia, reputazione, Contratti e norme > Meccanismi formali di governance: sia i contratti, sia i meccanismi self
enforcing come la fiducia o la reputazione sono in grado di allineare gli incentivi e di limitare i comportamenti
opportunistici tra le parti.

Conclusioni
Dunque affinché un’impresa possa ottenere degli effetti competitivi da strategie di cooperazione, secondo la teoria
delle risorse, è necessario che si costruiscano risorse strategiche specifiche per la relazione, e che non si potrebbero
generare individualmente

CAPITOLO 21:LA GESTIONE STRATEGICA DEI PROCESSI DI INNOVAZIONE TECNOLOGICA


L’innovazione tecnologica è parte integrante delle strategie d’impresa dirette a creare e sostenere il vantaggio
competitivo nel lungo termine.

Tecnologia: l’insieme concettuale e applicativo di conoscenze, skill, e artefatti che vengono impiegati tanto per
sviluppare e lanciare prodotti e servizi quanto per rinnovare i sistemi di produzione e commercializzazione degli
stessi.
L’innovazione è lo sviluppo a fini commerciali di nuovi prodotti o nuovi processi, atti ad accrescere la proposta di
valore veicolata al mercato mediante beni e servizi.

L’innovazione può differenziarsi per:


-Natura: tra innovazione radicali e incrementali, a seconda che si verifichino o meno salti di sistemi tecnologici o
rivoluzioni tecnologiche.
-Forma: identifica l’insieme delle attività necessarie per generare un nuovo prodotto/servizio o un nuovo processo
produttivo/distributivo. Il processo di innovazione è l’attività sistematica volta alla creazione e all’applicazione
economica di nuove conoscenze scientifico-tecnologiche.

LA NATURA DELL’INNOVAZIONE
Innovazione radicale vs. incrementale
Radicale:
1) Richiede conoscenze, competenze, strumenti nuovi.
2) Abbatte il valore delle competenze esistenti.
3) Determina un netto cambio nelle performance del prodotto/servizio/processo.
4) E’ relativamente rara.
5) Necessita elevati investimenti e rischi.
Incrementale:
1) Si basa su conoscenze, competenze e strumenti consolidati.
2) Incrementa il valore delle competenze esistenti.
3) Determina un miglioramento graduale delle performance del prodotto servizio/processo.
4) E’ relativamente frequente.
5) Necessita di investimenti contenuti a rischi ridotti. Innovazione di prodotto e di processo.

L’innovazione di prodotto apporta variazioni alla gamma di vendita.


L’innovazione di processo migliora l’efficienza dei cicli di lavorazione.

La tecnologia. Il Patrimonio tecnologico aziendale:


insieme di competenze teoriche ed empiriche, di conoscenze tecniche e scientifiche, di abilità ed accorgimenti, che
l’impresa sviluppa nell’attività di produzione e vendita di beni e servizi.

Le Politiche tecnologiche: costituiscono il complesso delle scelte volte ad accrescere e a sfruttare il patrimonio
tecnologico di cui l’impresa è dotata, secondo orientamenti coerenti con le strategie aziendali complessive.
Le tecnologie assumono una diversa connotazione a seconda del ruolo che assumono nel conseguimento del vantaggio
competitivo
1) Tecnologie di base o fondamentali: insieme di competenze necessarie per poter operare in un settore di attività.
Tecnologie generiche.
2) Tecnologie strategiche o chiave: conferiscono all’impresa un vantaggio competitivo rilevante poiché permettono di
realizzare prodotti con prestazioni superiori o processi a costi inferiori.
3) Tecnologie complementari o integrative: sono residuali rispetto alle tecnologie strategiche e presentano un profilo
di rilevanza competitiva potenziale.
4) Tecnologie emergenti o sostitutive: insieme di conoscenze che, anche se scarsamente conosciute nelle loro
implicazioni applicative e nelle reali potenzialità, costituiscono in prospettiva dalle minacce rilevanti per le attuali
tecnologie di base.

La gestione dell’innovazione e della tecnologia


Analisi della posizione tecnologica relativa: confronto tra le soluzioni tecniche disponibili in un dato momento
nell’azienda e quelle detenute dai principali concorrenti. La posizione tecnologica di impresa può essere di tre tipi:
1) Forte o di dominanza: qualora l’azienda detenga competenze la cui superiorità può essere comprovata da
rilevazioni oggettive almeno con riferimento a tecnologie di base, strategiche complementari.
2) Allineata: quando il livello delle competenze non presenta differenziali significativi con la concorrenza rilevante.
3) Debole: se le competenze risultano sensibilmente inferiori, se non inadeguate rispetto a quelle della concorrenza.

Le scelte di gestione dell’innovazione tecnologica riguardano fondamentalmente tre alternative:


1) Leadership tecnologica: consiste nell’introdurre per primi nuove soluzioni tecnologiche (prodotti o processi
innovativi), assumendo così una posizione di avanguardia.
2) Imitazione: Consiste nell’acquisire rapidamente soluzioni tecnologiche introdotte dal leader per apportarvi
miglioramenti e realizzare vendite a costi inferiori
3) me too: è perseguita da imprese imitatrici che entrano nel mercato in fase avanzata del ciclo vitale della tecnologia,
in prossimità della maturità.

La ricerca e sviluppo
La ricerca e sviluppo è l’attività aziendale specializzata nella ricerca, sperimentazione, applicazione e sviluppo di
innovazioni tecnologiche.
Fasi dell’iter innovativo:
1) Ricerca di base e applicata: si esplica nell’impegno sistematico volto alla comprensione delle leggi sottese ai
fenomeni naturali. L’esito positivo della ricerca di base consiste nella scoperta, cioè un insieme strutturato di
conoscenze che permettono di individuare e mettere a punto nuovi strumenti e metodi. La ricerca applicata è volta ad
identificare le specifiche modalità di utilizzo delle conoscenze prodotte dalla ricerca di base.
2) Sviluppo: concerne la messa a punto del prodotto e del processo di trasformazione industriale in una prospettiva
tecnologica. Esso è finalizzato alla predisposizione del prototipo produttivo, del prototipo commerciale.
3) Industrializzazione e Commercializzazione: infine riguardano tutte le attività volte a produrre e a vendere su larga
scala il nuovo prodotto.
La separazione operata tra attività di ricerca aventi natura e finalizzazione distinte è riconducibile alla separazione
concettuale che sussiste tra scienza e tecnologia. La tecnologia essendo relativa al patrimonio di esperienze formatesi
attraverso approcci empirici collegati alle attività produttive in senso stretto, riguarda direttamente le attività di
sviluppo e industrializzazione.
La gestione del portafoglio prodotti L’innovazione è uno dei modi per allargare il portafoglio prodotti di un’impresa.
Considerando Tasso di crescita del mercato (indice dell’attrattività di un business) e Quota di mercato relativa rispetto
al concorrente leader (misura la forza dell’impresa nel mercato).
Ne derivano quattro tipologie di prodotti: (quota di mercato bassa, tasso di crescita alto).

Question marks: Prodotti in una situazione di incertezza potendo costituire ottime opportunità così come investimenti
sbagliati; in ogni caso richiedono forti investimenti per accrescere al quota di mercato. (quota di mercato alta, tasso di
crescita alto)

Stars: Prodotti di successo. Il saldo tra le risorse finanziarie assorbite e quelle generate è solitamente negativo o di
poco positivo, poiché sono necessari investimenti elevati per sostenere le vendite e finanziare i fabbisogni crescenti in
capitale circolante. (quota di mercato bassa, tasso di crescita basso)

Dogs: Prodotti senza una buona posizione di mercato e con redditività ridotta a causa di un’accesa concorrenza sui
prezzi.
(quota di mercato alta, tasso di crescita basso)

Cash Cows: Si tratta di prodotti Star che hanno, però, esaurito la fase di espansione del mercato; i loro alti flussi di
cassa e il basso livello d’investimenti richiesto permettono di finanziare altre attività.

Conclusioni
L’innovazione tecnologica di prodotto riguarda dispositivi, strumenti e conoscenze legate e nuovi prodotti e servizi.
Quella di processo riguarda dispositivi, strumenti e conoscenze che mediano tra input e output. Le politiche
tecnologiche costituiscono delle scelte volte ad accrescere e a sfruttare il patrimonio tecnologico di cui l’impresa è
dotata, secondo orientamenti coerenti con le strategie aziendali complessive. Le tecnologie assumono una diversa
connotazione a seconda del ruolo che assumono nel conseguimento del vantaggio competitivo. A tal fine è utile
monitorare la posizione tecnologica relativa di supporto alle scelte di gestione e dell’innovazione tecnologica. La
ricerca e sviluppo è l’attività aziendale specializzata nella ricerca, sperimentazione, applicazione e sviluppo di
innovazioni tecnologiche.

CAPITOLO 22: GESTIONE COMMERCIALE


La gestione commerciale si occupa di individuare e soddisfare i bisogni e i desideri dei clienti mediante la
realizzazione e di prodotti e servizi, che attraverso forme di scambio di mercato, generano valore e soddisfazione per
tutti gli operatori.

Azione di raccordo tra il sistema d’offerta dell’impresa e la domanda.


Interrelazioni altrettanto forti sono riscontrabili anche con la gestione finanziaria, sia con riferimento al ciclo acquisti-
trasformazione-vendita, cioè alla gestione del circolante, sia con riferimento agli investimenti commerciali per i quali
sovente è necessario valutare la natura dei fabbisogni. Il portafoglio clienti costituisce la vera ricchezza di un’impresa.
In pratica, la gestione commerciale si occupa di studiare il mercato o i mercati che ritiene interessanti, analizzare le
tendenze della domanda e la situazione della concorrenza, individuare l’esistenza di opportunità di business, orientare
la produzione in funzione dei potenziali acquirenti da conquistare, creare la domanda per i nuovi prodotti e provvedere
a collocare questi ultimi presso gli sbocchi prescelti. Quando la concorrenza è alta bisogna focalizzarsi sulla customer
satisfaction.
La customer satisfaction dipende dalla capacità di un prodotto di soddisfare bisogni e desideri rispetto al valore atteso
del cliente. Orientamenti dell’impresa: Per fidelizzare il cliente e massimizzare il suo life time value è fondamentale
avere come principale obiettivo la customer satisfaction. Non tutte le imprese hanno lo stesso atteggiamento nei
confronti del mercato.

I diversi comportamenti possono essere ricondotti a 4 principali tipi:


1) Orientamento al prodotto: prevalente nelle prime fasi del processo di industrializzazione, tipico di settori con bassa
concorrenza, offerta sostanzialmente omogenea, comportamenti dei consumatori basati sui prezzi. In questi mercati è
importante produrre a prezzi competitivi per vendere. Le imprese si concentrano principalmente sugli aspetti tecnici e
sulle modalità migliori per raggiungere l’efficienza produttiva e ridurre i costi di produzione. es. industrie minerarie.
2) Orientamento alle vendite: tipico dei settori in cui vi è un eccesso di capacità produttiva. Le imprese puntano ad
accrescere il fatturato con l’obiettivo di conseguire economie di scala. I consumatori devono essere stimolati ad
acquisire i prodotti nei volumi richiesti dalle imprese attraverso adeguate tecniche di vendita. Per il successo
aziendale, appare necessario effettuare consistenti investimenti in pubblicità e attività promozionale. es. settore
automobilistico.
3) Orientamento al mercato: caratterizza settori con elevati livelli di concorrenza, in cui l’attenzione si sposta verso i
bisogni della clientela in modo da realizzare un’offerta coerente con le diverse esigenze della domanda. Ampia
gamma di prodotti offerti. Il fattore critico per risultare vincenti è la capacità di adattarsi alle diverse esigenze dei
clienti attuali e potenziali. Modelli di gestione adattivo del mercato. es. imprese che vendono beni di largo consumo
come i detergenti.
4) Orientamento al cliente: individua l’approccio più evoluto alla gestione commerciale. L’attività commerciale è
rivolta ai bisogni espressi dal mercato. Il cliente diviene un soggetto attivo, che influenza e determina le logiche di
marketing e di sviluppo dei prodotti. Si cercano nuove opportunità di mercato monitorando costantemente i bisogni
dei consumatori. Aumenta l’ampiezza dei clienti serviti, poiché vengono cercati in più mercati. Modello di gestione
proattivo.

Ipercompetizione.
Le nuove richieste espresse dalla domanda influenzano l’impresa che deve tener conto nei propri processi decisionali
anche degli interessi collettivi. In linea con queste esigenze la gestione commerciale deve raggiungere tre obiettivi tra
loro interrelati, ovvero:
-Soddisfacimento di bisogni e desideri dei clienti.
-Gli interessi della società. -Incremento del valore d’impresa.
-Per determinate materie prime prevale l’orientamento alla produzione
-Chi offre un’ampia gamma di prodotti punta sull’orientamento al mercato
-Chi pone il singolo al centro dei processi aziendali punta sull’orientamento al cliente
-Nei mercati di sovrapproduzione si punta sull’orientamento alle vendite

ATTIVITÀ’ PRINCIPALI
Nella gestione commerciale si individuano due aree di attività: da un lato, le attività legate al marketing, che hanno
anche rilevanza strategica e orientano non solo tale gestione ma anche le operations e la gestione finanziaria.
Dall’altro le attività collegate alla vendita, necessarie per allocare i prodotti verso i clienti.
1) Marketing Management: rilevanza strategica ed influenza le operations e la gestione finanziaria, e si divide in
marketing operativo (operativo), e marketing strategico (decisionale) e poi Processi analitici. Può essere ricondotto a
processi d’analisi che precedono i processi decisionali e i processi operativi. In particolare, i processi analitici, si
dividono in analisi qualitative e quantitative dei comportamenti della domanda e della concorrenza e poi i processi
decisionali.
2) Processi operativi: ovvero il marketing operativo, esplicita le leve del marketing mix.
3) Vendita: allocazione dei prodotti verso i clienti. Rappresenta il momento conclusivo dell’azione di marketing.
4) Dopo la vendita, l’ultima fase, consiste in misurazione e controllo dei risultati, che consente alla direzione di
valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi programmati.
Nel caso di scostamenti, il processo si chiude con la riformulazione di piani o strategie.

I processi analitici precedono le decisioni strategiche:


1) Analisi della domanda: ha il compito di stimare le dimensioni attuali e future del mercato e la domanda si analizza
in termini di domanda attuale, potenziale o prevista. Con domanda attuale di intende il volume totale acquistato da un
gruppo di acquirenti, in un’area geografica e in un determinato periodo di tempo definito e nell’ambito di un
determinato programma di marketing. Con domanda potenziale ci si riferisce al limite a cui tende la domanda del
mercato, in un ambiente definito, al crescere all’infinito del programma di marketing delle imprese appartenenti al
settore, comporta notevoli difficoltà di previsione e misurazione. La domanda prevista diverge dalle due nozioni di
domanda ora analizzate in quanto relativa alle richieste effettive del mercato in un determinato periodo futuro,
solitamente la domanda prevista si riferisce all’impresa, ossia alle vendite aziendali per un arco di tempo definito.
2) Analisi della concorrenza: Il settore è frammentato o concentrato? Un bisogno può essere soddisfatto in svariati
modi e con prodotti/servizi diversi tra loro, di conseguenza, è sempre necessario considerare l’ampio spettro di
alternative che il consumatore ha a disposizione e non focalizzarsi solamente sui concorrenti diretti. Il profilo
concorrenziale del settore in cui l’impresa opera è determinante per le scelte di marketing. I concetti di
frammentazione o concentrazione sono collegati anche dalla misurazione della quota di mercato relativa che consente
di valutare la capacità competitiva di un’impresa e fornisce informazioni più analitiche di quelle che si possono
ottenere dal calcolo della quota di mercato assoluta. Nei mercati di tipo frammentato le decisioni di marketing vanno
prese con particolare riferimento agli effetti sulla domanda, mentre nei mercati di tipo concentrato le decisioni di
marketing hanno come riferimento principale le potenziali reazioni della concorrenza.

PROCESSI DECISIONALI
Marketing strategico: E’ l’insieme di decisioni che determinano le strategie di marketing in un ottica temporale di
medio-lungo raggio e comprende le seguenti fasi:
1) Segmentazione della domanda e targeting: il marketing viene segmentato in sottoinsiemi tra loro omogenei e
successivamente viene individuato il segmento dei clienti obiettivo.
2) Posizionamento competitivo-percettivo: viene formulato un sistema d’offerta coerente con il segmento obiettivo.
3) Differenziazione del sistema d’offerta: viene definita l’offerta con cui affrontare i competitor.

Segmentazione: Creare uno specifico programma di marketing mirato su gruppi di individui con profili di domanda
distinti ma omogenei tra loro.
DUNQUE una volta individuato il mercato di partenza, questo, viene segmentato. Per fare ciò vengono prese in
considerazione le variabili demografiche, socio economiche, psicografiche e comportamentali. La segmentazione
muove dall’assunto che le imprese spesso non sono in grado di servire tutti i potenziali consumatori, pertanto, invece
di cercare essere competitivi ovunque, è opportuno che dividano il mercato in segmenti attraenti e si focalizzano su un
ambito più limitato. Targeting: Nel targeting vengono selezionati i segmenti a più alto potenziale su cui focalizzare gli
sforzi per definire un’offerta adeguata e potenzialmente superiore ai concorrenti. Vengono definiti i clienti target.
Posizionamento: Qui si definisce come il prodotto o la marca si differenzierà nella mente dei clienti target. Vengono
selezionate delle caratteristiche uniche, che renderanno la marca/prodotto riconoscibile immediatamente nella mente
dei clienti. Per posizionamento di intende la collocazione del prodotto in un definito sistema di percezioni del
consumatore.
Per scegliere la posizione più idonea occorre comprendere rispetto a tutti i prodotti sul mercato o nel segmento
d’interesse, le percezioni dei clienti sui prodotti e guidare le preferenze degli stessi, individuando così i clienti
potenziali non sufficientemente coperti dai prodotti esistenti.
Il posizionamento è il risultato delle analisi delle percezioni del segmento target > tre mappe: mappa delle preferenze,
delle percezioni e sovrapposizione delle mappe.
Differenziazione: Su cosa si basa il posizionamento? es. attributi di prodotto, bisogni soddisfatti, benefici emotivi e
psico-sociali, occasioni d’uso, gruppi di consumatori, lontano da ogni concorrente. L’obiettivo è rendere il prodotto
poco sostituibile rispetto agli altri beni esistenti sul mercato.
Per differenziare il prodotto l’impresa può apportare modifiche agli aspetti tangibili o intangibili utilizzando alcune
variabili del marketing mix: la confezione, il colore, la forma, l’immagine, il prezzo, le modalità di distribuzione.
Terminate le analisi l’impresa può definire la propria strategia di marketing: L’impresa deve affrontare la scelta di
quali clienti soddisfare e la valutazione dell’offerta con cui affrontare i competitors.

La combinazione di tali scelte permette di definire quattro differenti strategie:


1) Marketing indifferenziato: grado di offerta basso su tutto il mercato. Qui l’impresa supera deliberatamente le
differenze tra i segmenti individuati presentando a tutto il mercato una sola offerta. Tale strategia è spiegata
soprattutto dalla presenza di economie di scala. es. Coca-Cola.
2) Marketing differenziato: grado di offerta alto su tutto il mercato. Consiste nella scelta di operare in diversi
segmenti di mercato con prodotti differenti. La differenziazione implica maggiori costi di produzione e per questo
deve comportare un volume di vendite consistente per ciascun prodotto.
3) Marketing concentrato: grado di offerta basso su un segmento. Prevede che l’impresa decida di rivolgersi a un solo
segmento del mercato con un’offerta esclusivamente riferita a questo, riuscendo ad acquisire una posizione di rilievo
grazie alla maggior conoscenza delle caratteristiche dei consumatori. Ma implica maggiori rischi poiché le vendite
sono in funzione solo del segmento scelto.
4) Marketing di nicchia: grado di offerta alto su un segmento. L’impresa sceglie un elevato grado di differenziazione
che siano particolarmente graditi da un segmento di domanda e che consentano un notevole vantaggio concorrenziale
nell’ambito di tale segmento, solitamente grazie alla specificità delle esigenze, gusti, e usi da parte dei consumatori.

MARKETING OPERATIVO
Consiste nella manovra delle leve che insieme costituiscono il marketing mix. Decisioni di marketing operativo 4P:
1) Product: ciò che viene offerto in un mercato e risponde alle esigenze di un acquirente/consumatore. Non è soltanto
un bene ma un sistema di benefici, vantaggi e attese.
2) Pricing
3) Promotion
4) Point of sale

Prodotto: le leve di prodotto consentono di descrivere un sistema di prodotto sulle caratteristiche materiali e gamma,
dei servizi collegati, e delle caratteristiche immateriali. E’ possibile individuare una funzione di base del prodotto,
riferita al bisogno generico o primario del consumatore, e una serie di funzioni supplementari, che sono i fattori
differenziali in grado di influenzare la scelta degli acquirenti. Il successo dell’impresa dipende in prima battuta dal
riscontro che ottiene la sua offerta commerciale, cioè dal grado di accettazione dei prodotti che offre al mercato. La
politica di prodotto ricopre un elevato livello di strategicità poiché riguarda sia le scelte di gestione di beni già
esistenti sia il lancio di nuovi prodotti e coinvolge tutti i processi aziendali.

Prezzo>Formalmente = ammontare di denaro ceduto dall’acquirente/ Quantità dei beni ceduti dal venditore Nella
prospettiva dell’acquirente = insieme dei costi e non sopportati/Insieme di soddisfazioni tangibili ed intangibili
ottenute.
I metodi per la determinazione del prezzo possono essere basati sul livello dei costi, sulla reazione della domanda e
sul comportamento della concorrenza.
Considerare Profitto, Volume e Concorrenza Il profitto: definire il prezzo in funzione della massimizzazione del
profitto o di creazione di redditività rispetto al capitale investito.

Volume: definire un prezzo che assicuri un alto tasso di vendite. Concorrenza: definire un prezzo che miri alla stabilità
dei prezzi e all’allineamento con i concorrenti. Comunicazione: insieme di attività volte a promuovere e pubblicizzare
il servizio/prodotto, al fine di suscitare una reazione volta al miglioramento delle relazioni commerciali.
L’area della comunicazione di marketing si focalizza tradizionalmente sul consumatore finale.
Distribuzione: insieme delle attività necessarie al trasferimento della proprietà di un bene dal produttore al
consumatore. Qui l’impresa deve decidere a quali intermediari appoggiarsi per raggiungere il mercato e quale
copertura assicurare. L’impresa, può scegliere di distribuire il prodotto solo mediante alcuni rivenditori selezionati
(vendita selettiva), oppure rivolgendosi a tutti i rivenditori (vendita estensiva), o appoggiarsi solamente ad un
intermediario (vendita in esclusiva).

Poi vi è la scelta del canale che può essere:


1) Diretto: quando il prodotto passa direttamente dall’impresa produttrice al consumatore finale es. filiali di proprietà.
2) Corto: un solo livello di intermediazione fra produttore e consumatore (dettagliante).
3) Lungo: più livelli di intermediazione fra produttore e consumatore (grossista e dettagliante).

Per ultimo l’e-commerce, può essere visto come un canale distributivo diretto, che amplia in maniera enorme le
possibilità di copertura del territorio e di relazione. Più in generale le politiche di distribuzione possono essere
ricondotte a due orientamenti fondamentali:
STRATEGIE PUSH: si concentrano la promozione e la comunicazione tra gli intermediari, per stimolare la
cooperazione. strumenti > forza vendita e la comunicazione personale.
STRATEGIE PULL: si concentrano promozione e comunicazione sulla domanda finale al fine di forzare una
collaborazione tra gli intermediari > ha orizzonti medio lunghi dovuti a sforzi finanziari, non legati al fatturato. Cerca
di convincere i consumatori, attraverso pubblicità e promozione a richiedere il prodotto al distributore.

GESTIONE DELLE VENDITE:


avviene attraverso la rete di vendita, costituita a sua volta dall’insieme di persone che consentono all’impresa di
raggiungere i consumatori. Attraverso la rete di vendita l’impresa svolge una serie di operazioni che comprendono la
ricerca dei clienti potenziali, la negoziazione e la raccolta degli ordini, la consegna della merce ai clienti. Inoltre
questa struttura è deputata a una serie di mansioni addizionali note come servizi alla clientela.

Tipologia di rete:
1) Rete diretta: venditori dipendenti legati all’impresa attraverso un contratto di lavoro dipendente. I venditori della
rete diretta sono più disposti a seguire le direttive aziendali e sono in grado di fornire una serie di servizi di assistenza
tecnica e di consulenza ai clienti.
2) Rete indiretta: formata da collaboratori autonomi. Essi sono più motivati nella vendita e dispongono spesso di un
proprio portafoglio clienti a cui affiancare i nuovi prodotti. Possono essere i più efficaci quando l’obiettivo è una
rapida crescita del fatturato aziendale.

Fasi del ciclo di vendita:


1) Ricerca del cliente;
2) Contrattazione
3) Fatturazione
4) Regolamento finanziario
5) Assistenza tecnica
6) Gestione dei rapporti con la clientela La gestione commerciale svolge un’azione di raccordo tra sistema produttivo
e richieste della domanda, dunque interrelazione tra operations e gestione finanziaria.

CAPITOLO 23: GESTIONE DELLE OPERATIONS


La gestione delle operations fa riferimento alla trasformazione fisico-tecnica di input, ovvero materie prima, lavoro,
impianti, in output ovvero prodotti finiti, scarti, che arrivano sui mercati di sbocco per essere impiegati sul mercato o
per ulteriori produzioni.

LOGISTICA APPROVVIGIONAMENTI PRODUZIONE LA PRODUZIONE:


Riguarda lo svolgimento delle attività di acquisizione, combinazione e trasformazione di input, al fine di ottenere degli
output.
Ha il compito di gestire due grandi categorie di trade-off:
-Produttività: ossia dell’efficienza, per il contenimento dei costi di produzione.
-Adattabilità/Innovabilità: la proposizione continua di prodotti innovativi, e la capacità di rendere il sistema
produttivo adattabile alle diverse esigenze dell’ambiente circostante.
-Qualità: il miglioramento costante della qualità del prodotto per renderlo superiore e affidabile rispetto a quello dei
concorrenti aumentandone il valore.
-Rapidità/Rispetto dei tempi: la capacità di assicurare rapidità e rispetto dei tempi nelle consegne ai clienti.
1) Progettare/riprogettare il sistema produttivo: scelte di investimento (leve hardware), definizione delle
caratteristiche strutturare e impiantistiche e lay-out.
2) Gestire il sistema produttivo predisposto: scelte di gestione (leve software), soluzioni organizzative, tecniche e
metodologie vincolate dalle scelte di investimento.

Le scelte di gestione, quindi, riguardano la programmazione e il controllo della produzione e la gestione dei flussi di
materiali e della qualità.
Vi sono 4 fattispecie di sistemi produttivi:
1) Produzioni Job-shop
2) A lotti
3) In linea
4) Per flusso continuo

Produzioni JobShop:
Caratterizzate da bassi volumi, di un prodotto vario e variabile. In genere si opera su commessa, con elevata
personalizzazione, dove gli ordini precedono la produzione, e dove scarti e rimanenze sono inesistenti, e si basa su
competenze generiche e adattabili.

Per Lotti: Caratterizzate da prodotti con elevata varietà ma ridotta variabilità, avviene sia per ordine acquisito, sia per
previsione della domanda, su competenze generiche. In linea: Sistema produttivo con elevati volumi, ma varietà e
variabilità contenute, con cicli ripetitivi ed omogenei. Il prodotto è il risultato dell’assemblaggio di componenti
fabbricazione sia interna che esterna. Elevate scorte di magazzino anche con prodotti finiti.

Per flusso continuo: Qui si producono prodotti fortemente standardizzati ottenuti in volumi ingenti. Realizzano
produzioni irreversibili poiché i materiali in ingresso subiscono modifiche chimico-fisiche per i quali è impossibile
identificare gli elementi che costituiscono il prodotto finale. L’impianto può definirsi come il complesso di beni
materiali e immateriali di uso durevole, il cui impiego avviene su più esercizi amministrativi, nei quali l’impresa
industriale deve investire per svolgere la propria attività economica.

TIPI DI LAYOUT
Il lay-out è la disposizione planimetrica di aree, strutture murarie, impianti e attrezzature secondo i criteri di
ottimizzazione dei flussi fisici di materiali e prodotti.
Il lay-out definisce la collocazione dei posti di lavoro nella sequenza ottimale richiesta dal tipo e dalle condizioni di
produzione.
In generale la disposizione delle strutture può privilegiare la flessibilità o la produttività:
1) A punto fisso: Il prodotto non si muove durante il processo.
2) In linea: Il prodotto segue un percorso rigidamente preordinato, in modo da ottimizzare la produttività.
3) Funzionale: o per reparto, in cui il prodotto transita attraverso i reparti ove sosta per l’esecuzione di operazioni
omogenee, in modo da ottimizzare la flessibilità.
4) Per gruppo tecnologico: Quando impianti e attrezzature vengono raggruppati a isole o a celle in modo da soddisfare
l’esigenza di assegnare le risorse all’esecuzione di operazioni omogenee per famiglie di prodotto, si tratta di una
soluzione ibrida tra la logica in linea e per reparto.

Produzione ed erogazione dei servizi:


I servizi a differenza dei prodotti presentano alcune importanti specificità che ne influenzano la
produzione/erogazione:
1) Immaterialità: data l’immaterialità del servizio, la qualità risulta legata all’immagine aziendale e alla presentazione
del servizio mediante un adeguato lay-out delle strutture fisiche di contatto con il cliente. Ne consegue una maggiore
importanza delle attività di comunicazione e della formazione/addestramento del personale.
2) Contestualità di erogazione e fruizione: La presenza del fruitore al momento dell’erogazione del servizio impone
spesso scelte di decentramento delle strutture fisiche verso i luoghi di residenza o lavoro dell’utenza. Ciò può impedire
l’ottenimento di economie di scala di rilievo.
3) Dimensionamento della capacità produttiva: data l’impossibilità di immagazzinare il servizio, la capacità dovrà
essere sufficiente per affrontare le punte di domanda della clientela, in modo da garantire in ogni momento la
disponibilità del servizio, riducendo al minimo attese e cose.
4) Importanza del contatto con l’utente. Queste caratteristiche costituiscono la criticità di progettazione e gestione del
sistema di produzione.

LA LOGISTICA
E’ il processo di pianificazione, gestione e controllo, dei flussi dei materiali e dei correlati flussi informativi. La
logistica è legata all’attività di produzione da un elevato grado di condizionamento reciproco e da forti esigenze di
integrazione.
E’ possibile distinguere ambiti più specifici di gestione, cui corrispondono definizioni più ristrette di logistica:
1) La logistica di ingresso: che si interfaccia con gli approvvigionamenti, riguarda l’acquisizione di materie prime e
componenti e la relativa movimentazione dai fornitori alle unità di utilizzazione, oltre allo stoccaggio di tali materiali
presso le suddette unità.
2) La logistica interna: o produttiva, consiste nella gestione del flusso dei materiali in lavorazione, volta ad assicurare
la loro tempestiva ed economica utilizzazione nelle varie fasi produttive fino alla collocazione dei prodotti finiti a
magazzino.
3) La logistica in uscita: commerciale o distributiva, opera in stretto coordinamento con la gestione commerciale e in
particolare, con il marketing e le vendite. Si occupa della gestione del sistema di ricezione e di evasione degli ordini,
della gestione delle scorte dei prodotti finiti.

Tali attività hanno bisogno di un coordinamento che assicuri l’integrazione degli obiettivi e delle condizioni operative
e permetta la pianificazione, la programmazione e il coordinamento dell’insieme delle attività logistiche. Alla
funzione che svolge tali compiti si da il nome di logistica integrata.

I compiti della logistica consistono nell’ottimizzazione della disponibilità dei materiali con riferimento a:
-Spazio, tempo, e volumi.
-Economicità e impegno di risorse.
Si tratta pertanto di curare allo stesso tempo il livello di servizio logistico e il costo logistico totale.

Il servizio logistico al cliente: è espresso con il concetto di disponibilità del prodotto, e può essere scomposto in
1) Disponibilità del prodotto: è la capacità di contenere le rotture di stock (esaurimento scorte di magazzino) entro
intervalli di tempo definiti.
2) Tempestività della consegna: è data dal tempo medio intercorrente tra l’emissione dell’ordine da parte del cliente e
la consegna della merce.
3) Affidabilità della consegna: esprime la regolarità delle consegne nel tempo, con riferimento sia al rispetto alla data
di consegna pattuita, sia dalla conformità della merce consegnata al cliente per volumi e qualità.
4) Flessibilità della consegna: consiste nella capacità di accogliere richieste di personalizzazione delle consegne
riguardo a tempi, volumi, modalità. Il costo logistico totale: che somma i costi relativi ai magazzini, alla gestione delle
scorte, ai trasporti e quelli amministrativi.

Il magazzino è un impianto logistico costituito da locali, attrezzature, personale in grado di ricevere i diversi materiali
e prodotti finiti, custodirli, conservarli, e renderli disponibili per la produzione e la consegna. La gestione delle scorte
mira a garantire la continua disponibilità dei materiali, a minimizzare l’investimento in capitale circolante e gli
impieghi di risorse necessarie, e a ottimizzare l’utilizzo della capacitò produttiva nel breve-medio termine. Deve
garantire che la dimensione degli stock sia economica. Deve raccordarsi con la gestione commerciale, con la gestione
delle operations, e la gestione finanziaria.

GLI APPROVVIGIONAMENTI
L’approvvigionamento è l’insieme delle attività tecnico-commerciali attraverso cui le imprese acquistano sul mercato
i beni e i servizi necessari per lo svolgimento dei processi produttivi e gestionali. Le attività di approvvigionamento
sono correttamente supportate dal marketing di acquisto.
Il marketing di acquisto opera sul mercato dei fattori produttivi utilizzando una serie di leve dette procurement mix.
Le leve di procurement mix sono costituite dalle politiche:
1) di prodotto: riguardano l’insieme di decisioni relative ai materiali approvvigionati. Di particolare importanza
risultano, per ogni materiale, il valore unitario, la possibilità di sostituzione o standardizzazione, le possibilità di
innovazione. Le politiche di prodotto sono strettamente legate alle caratteristiche del portafoglio materiali e
componenti, in termini di criticità economica e di rischiosità dell’approvvigionamento.
2) delle fonti di approvvigionamento: si basa sul monitoraggio dei mercati di fornitura per l’identificazione dei
fornitori potenziali, la valutazione delle capacità dei fornitori rispetto alle esigenze aziendali, la selezione e il controllo
dei fornitori sulla base della rilevazione di indicatori di prestazione in merito alle performance ritenute critiche.
3) di prezzo d’acquisto: è diretta alla negoziazione delle condizioni economiche che regolano il rapporto con il
fornitore, in tal senso, esse non costituiscono generalmente elemento di qualificazione del fornitore, in quanto
risultano connesse alla specifica decisione di acquisto.4) di comunicazione: sono tese a promuovere l’immagine
aziendale presso i fornitori potenziali e consolidati, attraverso attività di assistenza tecnica, finanziaria o adottando
opportune politiche di programmazione degli ordini e delle consegne del fornitore.
Le politiche di prodotto sono strettamente legate alle caratteristiche del portafoglio materiali e componenti.

Le scelte di portafoglio materiali si basano sul corretto bilanciamento tra:


1) Impatto sulla redditività ad es. % del totale speso, volume acquistato, rilevanza per la qualità del prodotto.
2) Rischio di approvvigionamento ad esempio disponibilità, numerosità e sostituibilità dei fornitori, complessità della
logistica, barriere all’ingresso.

Il marketing d’acquisto:
1) Materiali colli di bottiglia: Impatto sulla redditività aziendale basso e Rischio Approvvigionamenti alto.
Manifestano esigenze specifiche di presidio delle fonti di approvvigionamento, richiedono un coordinamento delle
politiche di prodotto con le politiche relative alle fonti, al fine di assicurare la stabilità del flusso dei materiali.
2) Materiali strategici: Impatto e rischio alti. Sono necessari interventi di gestione articolati e complessi, che
richiedono l’integrazione di tutti gli elementi citati.
3) Materiali non critici: Impatto rischio bassi. Hanno un impatto gestionale estremamente contenuto sotto il profilo
economico e gestione dei flussi.
4) Materiali con effetto leva: Impatto alto, Rischio basso. Necessitano di interventi volti a migliorare il profilo di
costo. In sintesi la politica di prodotto deve tendere a definire l’assetto del portafoglio materiali secondo logiche
coerenti con i fabbisogni dell’impresa, cercando di ridurre l’impatto economico esercitato dai materiali con effetto
leva e la rischiosità di quelli colli di bottiglia e affrontando in maniera articolata la gestione dei beni strategici. La
gestione dei fornitori.

CAPITOLO 24: LA GESTIONE FINANZIARIA


La gestione finanziaria rappresenta l’interfaccia tra l’impresa e i mercati di capitali, con fine ultimo la creazione di
valore.
1) PREVISIONE E GESTIONE FABBISOGNO FINANZIARIO
Si occupa del supporto alle decisioni di investimento e definisce la modalità di raccolta dei finanziamenti. (processi
strategici).
Gestisce la liquidità connessa al disallineamento tra equilibrio economico ed equilibrio finanziario - previsioni di
tesoreria (processi operativi).
Il fabbisogno finanziario deriva dall’entità dei costi e ricavi legati alle scelte di gestione e investimento ed è connesso
al ciclo dei movimenti monetari (incrementi delle attività e decrementi delle passività). Dunque la programmazione
finanziaria funge da raccordo tra l’aspetto economico e finanziario. La gestione operativa e lo sviluppo dimensionale
delle imprese determinano l’emergere di fabbisogno finanziario.
La gestione finanziaria cerca di preservare la solvibilità e la liquidità:
1) Solvibilità: è la capacità di assolvere alle obbligazioni contratte (equilibrio finanziario).
2) Liquidità: è la capacità di ottenere moneta in tempi brevi (equilibrio monetario).

L’impresa deve quantificare in anticipo il fabbisogno finanziario tenendo conto 3 aspetti:


1)Importo
2)Tempo di manifestazione
3)Durata del fabbisogno.

Gli strumenti utilizzati allo scopo sono:


1)Budget di tesoreria
2)Pianificazione finanziaria: si estende nel medio-lungo periodo, coprendo in genere dai tre ai cinque anni.
3)Programmazione finanziaria: è orientata nel breve periodo, normalmente al singolo esercizio e, almeno
inizialmente, si basa in modo pressoché esclusivo sul budget di tesoreria.

Nelle aziende medio-grandi le figure della gestione finanziaria sono:


1)Treasurer: raccoglie fondi e gestisce la liquidità.
2)Controller: Verifica l’efficienza dell’impiego dei fondi raccolti.

L’attività di acquisto, trasformazione e vendita genera attività e passività correnti.


Attivo corrente: è composto da tutte le attività legate al ciclo di acquisto-produzione-vendita. Si tratta principalmente
di impieghi in scorte e in crediti commerciali.
Passivo corrente: legate all’attività caratteristica dell’impresa sono costituite, per esempio, da debiti verso i fornitori,
ratei e risconti passivi, debiti previdenziali.
La differenza tra attività e passività correnti si chiama CAPITALE CIRCOLANTE NETTO. Se il CCN aumenta,
aumenta il fabbisogno finanziario, dunque SVANTAGGIO per l’impresa. Se il CCN diminuisce, aumenta la liquidità
dell’impresa, i debiti commerciali coprono il fabbisogno finanziario, dunque VANTAGGIO per l’impresa.

Potrebbero piacerti anche