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RIASSUNTO ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE – LIBRO DI

TESTO: L’ANALISI STRATEGICA PER LE DECISIONI AZIENDALI R.


GRANT EDIZIONE 2011

CAPITOLO 1 IL CONCETTO DI STRATEGIA

Diverse definizioni di strategia


1. La strategia è lo strumento usato dagli individui e organizzazioni per raggiungere i propri
obiettivi;
2. Si definisce strategia la determinazione delle finalità e degli obiettivi di lungo periodo di un’
impresa e attuazione delle linee di condotta e allocazione delle risorse necessarie alla
realizzazione di tali obiettivi.
3. La strategia è il piano complessivo per lo spiegamento di risorse necessarie a conseguire una
posizione di vantaggio sulle altre imprese.
4. Strategia competitiva vuol dire differenziarsi. Vuol dire scegliere deliberatamente un diverso
insieme di attività per generare un esclusiva combinazione di valore ( M.Porter)

L’essenza della strategia, dunque, consiste nell’effettuare scelte.

Affinché una strategia sia di successo è necessario:


▪ Obiettivi siano semplici, coerenti e a lungo termine;
▪ Profonda comprensione dell’ambiente competitivo;
▪ Valutazione obiettiva delle risorse;
▪ Implementazione efficace

La strategia ha il ruolo di collegare l’impresa (obiettivi e valori, Risorse e competenze, Struttura e


sistemi organizzativi) con l’ambiente settoriale (Concorrenti, Clienti, Fornitori) in cui opera.
Le scelte strategiche possono essere ridotte a due questioni fondamentali: Dove competere? Come
competere? Le risposte a tali quesiti portano anche a definire i principali livelli della strategia di
impresa:
La strategia di gruppo (corporate strategy) : definisce il campo di azione (settore) in cui
l’impresa deve operare, tali decisioni richiedono una valutazione in ordine di attrattività dei settori
in termini di potenziale reddituale.
La strategia di business (business strategy) : è volta a definire il modo di competere all’interno di
un determinato settore al fine di raggiungere un vantaggio competitivo.

Mintzeberg distingueva tra:


Strategia deliberata: la strategia come viene concepita dai dirigenti.
Strategia realizzata: la strategia che in realtà poi viene effettivamente implementata.
Strategia emergente: le scelte dei singoli manager che interpretano la strategia deliberata, dando
vita alla strategia realizzata.

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CAPITOLO 2 OBIETTIVI, VALORI E RISULTATI

L’attività d’impresa è volta a creare Valore. Il valore è il corrispettivo monetario di un prodotto o di


un’attività. Lo scopo dell’attività d’impresa è, in primo luogo, creare valore per i propri clienti e , in
secondo luogo, ottenere parte di tale valore per i clienti sotto forma di profitti, creando in questo
modo valore per l’impresa. Il valore può essere creato attraverso due modi:
Produzione: crea valore attraverso la trasformazione fisica di prodotti di basso valore in prodotti
con un valore superiore per il consumatore
Scambio: crea valore spostando tali prodotti nello spazio e nel tempo. Lo scambio implica il
trasferimento di prodotti da certi individui e luoghi ad altri dove il valore è ritenuto superiore.
Il valore creato dalle imprese è distribuito fra più attori: dipendenti (stipendi e salari), finanziatori
(interessi) proprietari beni immobili (rendite), governo (imposte) e proprietari dell’impresa
(profitti). Le imprese ,inoltre, creano valore per i loro clienti nella misura in cui la soddisfazione che
i clienti traggono dai prodotti acquistati supera il prezzo pagato ( surplus del consumatore). Questo
modo di vedere l’impresa come un insieme di gruppi di interessi, in cui il ruolo dell’alta direzione è
bilanciare i diversi – e non di rado conflittuali – interessi, viene denominato Stakeholder approach
e ha origine in Asia e nell’Europa continentale. La maggior parte dei paesi di lingua inglese, invece,
sono fautori del Shareholder Capitalism, in cui il compito principale delle imprese consiste nel
generare profitti per i proprietari.

Profitto: è l’eccedenza dei ricavi sui costi, disponibile per essere distribuita tra i proprietari
dell’impresa.
Il bilanced scorecard : è una metodologia che stabilisce un collegamento tra l’obiettivo generale di
impresa di massimizzazione del valore e gli obiettivi strategici e operativi. La metodologia score
card risponde a quattro interrogativi: Come ci vedono gli azionisti? come ci vedono i consumatori?
in cosa dobbiamo eccellere? Siamo in grado di continuare a migliorare e di creare valore?.

Mission: esplicitazione dello scopo dell’azienda, spesso definisce l’area di business in cui compete

Vision: esplicitazione di ciò che l’azienda vuole diventare

Responsabilità sociale d’impresa ( corporate social responsabilità, Csr): Quali sono gli obblighi di
un azienda nei confronti della società nel suo insieme?
Friedman: Riteneva la Csr immorale perché richiedeva che il management investisse risorse dei
proprietari in progetti che quest’ultimi avrebbero disapprovato, e inopportuna perché implicava che
i dirigenti dell’impresa determinassero gli interessi della società.
Allen: distingue due diverse concezioni di azienda: Concezione di proprietà, secondo quale
l’impresa è un insieme di attività posseduto dagli azionisti, Concezione di entità sociale, che vede
l’impressa come una comunità di individui che è sostenuta e appoggiata dai rapporti che essa
stabilisce con il proprio ambiente sociale, politico, economico e naturale. Il punto di vista
dell’impresa come proprietà implica che la sola responsabilità del management sia quella di agire
nell’interesse degli azionisti. Dal punto di vista dell’impresa come entità sociale deriva la
responsabilità di mantenere l’impresa all’interno di un quadro generale di relazioni e rapporti con la
società.
Porter: Inserisce la Csr tra gli obiettivi di interesse di un azienda per tre motivi:
1. Sostenibilità: la Csr è rilevante per un’impresa data la presenza di un interesse comune a
sostenere l’ecosistema
2. Reputazione: la Csr rafforza la reputazione dell’azienda di fronte agli investitori ed altre terze
parti
3. Permesso di operare: per svolgere le proprie attività le imprese hanno bisogno del sostegno
delle istituzioni da cui dipendono

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CAPITOLO 3 L’ ANALISI DI SETTORE

L’ambiente più vicino all’impresa è il settore nel quale opera, il punto focale dell’analisi
dell’ambiente esterno sarà pertanto l’analisi di settore. Come già visto l’analisi settoriale è
rilevante sia a livello di corporate strategy ( in che settore operare) che a livello di business
strategy ( in che modo operare). Il nucleo centrale dell’ambiente di riferimento dell’impresa è
costitutito dalle sue relazioni con tre gruppi di attori: Clienti, Fornitori, Concorrenti. Questo è
l’ambiente settoriale dell’impresa.
I profitti realizzati dalle imprese di un determinato settore dipendono da tre fattori
- valore prodotto per i clienti
- intensità della concorrenza
- potere contrattuale relativo nei diversi livelli della catena produttiva.

Schema delle cinque forze competitive di Porter

Fornitori

Concorrenti del settore

Potenziali Prodotti
entranti sostitutivi
Rivalità tra imprese
esistenti

Acquirenti

Il modello delle cinque forze di Porter è uno schema che serve a misurare l’attrattività di un settore
in termini di redditività. Esso comprende tre fonti di competizione “orizzontale” : concorrenza delle
imprese già presenti nel settore, concorrenza dei prodotti sostitutivi, concorrenza dei nuovi entranti;
e due fonti di concorrenza “verticale” : il potere contrattuale dei fornitori e il potere contrattuale dei
clienti.
Concorrenza dei prodotti sostitutivi: Il prezzo che i consumatori sono disposti a pagare per un
prodotto dipende, in parte, dalla disponibilità dei prodotti sostitutivi. L’assenza di sostituti di un
prodotto, come nel caso della benzina, comporta una relativa insensibilità al prezzo da parte dei
consumatori ( domanda anelastica). L’esistenza di prodotti sostitutivi invece comporta uno
spostamento delle preferenze del consumatore in risposta a un incremento del prezzo del prodotto
( domanda elastica). Un prodotto è sostitutivo quando riesce a soddisfare lo stesso bisogno, tramite
l’elasticità incrociata si può notare quanto varia la domanda del bene X (principale) al variare della
domanda del bene Y (sostitutivo).

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Potenziali entranti: Quando un settore ottiene un rendimento del capitale superiore al costo del
capitale, esso esercita un effetto di attrazione su imprese esterne al settore. Un settore in cui non
esistono barriere di entrata o uscita è detto contendibile, la contendibilità dipende dall’assenza di
costi fissi non recuperabili ( barriere all’uscita) che rendono un settore vulnerabile a ingressi del
tipo “ toccata e fuga”.
Principali fonti di barriere all’entrata :
- Fabbisogni di capitale : Il fabbisogno di capitale all’entrata di un settore può essere così
elevato da scoraggiare tutti gli operatori escluse le maggiori imprese
- Economie di scala: nei settori ad alta intensità di capitale, o che comportano forti
investimenti in attività di ricerca o pubblicità, l’efficienza richiede operazioni su larga scala.
Il problema dei potenziali entranti è se accettare di entrare su piccola scala accettando alti
costi unitari, oppure entrare su larga scala e correre il rischio di una drastica
sottoutilizzazione della capacità produttiva in attesa dell’aumento dei volumi di vendita.
- Vantaggi assoluti di costo: le imprese consolidate possono avere un vantaggio di costo sui
nuovi entranti semplicemente perché sono entrate prima, e quindi per i potenziali entranti
non risulta conveniente l’ingresso nel settore.
- La differenziazione di prodotto: in un settore in cui i prodotti sono differenziati le imprese
affermate hanno i vantaggi della riconoscibilità del marchio, i nuovi entranti in questi
mercati dovrebbero investire molto di più in pubblicità e promozione per ottenere livelli di
conoscenza e di avviamento della marca paragonabili a quelli delle imprese consolidate.
- L’accesso ai canali di distribuzione: per molti nuovi fornitori di beni di consumo, la
principale barriera all’entrata è probabilmente quella rappresentata dall’accesso alla
distribuzione. La limitata capacità di assorbimento dei canali di distribuzione, l’avversione
al rischio dei dettaglianti e i costi fissi connessi alla vendita di un prodotto addizionale
rendono i dettaglianti poco propensi a trattare un prodotto con un nuovo fabbricante. Le
“commissioni di accesso” relative ai supermercati costituiscono un ulteriore svantaggio per i
nuovi entranti nel settore.
- Barriere istituzionali e legali: alcuni economisti ritengono le uniche barriere efficaci quelle
create dei governi. L’ingresso in un settore a volte richiede la concessione di una licenza da
parte dell’autorità pubblica ( Taxi)
- Ritorsione: la ritorsione nei confronti di un nuovo entrante che può assumere l forma di
riduzione dei prezzi, massiccia pubblicità, promozione delle vendite o conflitto legale,
costituiscono senza dubbio un ennesimo ostacolo per i nuovi entranti in un settore.

Rivalità tra i concorrenti del settore: l’intensità della concorrenza tra le imprese affermate in un
settore deriva dall’interazione fra sei fattori:
- La concentrazione : si riferisce al numero e alla distribuzione per dimensione delle imprese
concorrenti all’interno di un mercato ed è comunemente misurata dall’indice di
concentrazione industriale. Nei mercati dominati da una sola impresa, l’impresa dominante
può esercitare una considerevole discrezionalità sui prezzi, stessa cosa nei mercati dominati
da due imprese ( Coca-cola, Pepsi) i prezzi tendono ad essere simile e la concorrenza si
concentra più sulla pubblicità e sullo sviluppo del prodotto
- Diversità tra i concorrenti: le imprese possono evitare concorrenza sui prezzi quando
hanno somiglianze in termini di origini e obiettivi. Discorso diverso nel caso via sia una
diversità tra i concorrenti ( mercato automobilistico Europa e America)
- Differenziazione del prodotto: Se si tratta di un settore in cui il prodotto è una commodity
(simile es: zucchero) il prezzo è l’unica base per la concorrenza, diversamente quando i
prodotti sono differenziati tra loro ( Profumi) la concorrenza sui prezzi tende ad essere
debole.

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- Capacità in eccesso: la capacità produttiva inutilizzata incoraggia l’impresa ad abbassare il
prezzo per poter ricevere più ordini e poter quindi distribuire i costi fissi su un più ampio
volume di vendite.
- Barriere all’uscita: sono quei costi connessi all’uscita di un settore.
- Rapporto costi fissi/ costi variabili: Quando i costi fissi sono alti rispetto ai costi variabili,
le imprese accetteranno ordinazioni marginali a qualsiasi prezzo che copra i costi variabili.
La propensione delle compagnie aeree a offrire biglietti molto scontati sui voli con poche
prenotazioni riflette i bassissimi costi variabili che si incontrano per riempire i posti vuoti.

Potere contrattuale degli acquirenti: Nel mercato degli output il potere d’acquisto dei clienti
dipende da due fattori:
- Sensibilità al prezzo degli acquirenti: Gli acquirenti come già detto sono disposti
facilmente a cambiare fornitore sulla base del prezzo quando si tratta di una commodity, gli
acquirenti sono sensibili al prezzo anche in base all’importanza del bene, se il bene è di
prima necessità un aumento di prezzo non influenzerà la scelta del cliente.
- Potere contrattuale relativo: diversi fattori influenzano il potere contrattuale degli
acquirenti: Quanto più basso è il numero di acquirenti, tanto maggiore sarà il costo connesso
alla perdita di uno di essi; quanto più gli acquirenti sono informati riguardo ai fornitori tanto
meglio saranno in grado di contrattare, tenere all’oscuro dei prezzi praticati è un efficace
limitazione al loro potere contrattuale ( Parcella Avvocato); se non si vuole trattare con una
controparte l’alternativa è quella di provvedere direttamente.

Potere contrattuale dei fornitori: Nel mercato degli input il potere contrattuale dei fornitori se si
tratta di commodity normalmente è nullo, per questo motivo i fornitori di commodity cercando di
aumentare il prezzo spesso con la creazioni di cartelli. Se si tratta invece di fornitori di componenti
sofisticati posso riuscire a esercitare un considerevole potere contrattuale.

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CAPITOLO 4 DALL’ ANALISI DI SETTORE ALL’ANALISI DEI
CONCORRENTI

Lo schema delle 5 forze di Porter è stato costantemente oggetto di critiche. Alcuni autori hanno
criticato i suoi punti deboli sulla base di alcune analisi empiriche, alcuni studi hanno segnalato che i
fattori settoriali spiegano solo una piccola parte ( meno del 20%) della variabilità fra imprese
diverse del rendimento del capitale investito. Altra critica dello schema di Porter è che il suddetto
modello “fotografa” la situazione del settore in un determinato momento, dando quindi una visione
statica del settore, ma come ben sappiamo all’interno di un settore la situazione è dinamica e in
continua evoluzione data l’ipercompetizione. Un approccio basato sul modello delle 5 forze di
Porter sarebbe di limitata utilità previsiva.
La forza mancante del modello Porter : Prodotti complementari
Altra critica al modello di Porter è la mancata considerazione dei prodotti complementari, prodotti
complementari che, a differenza dei sostitutivi, aumentano il valore del prodotto e di conseguenza i
profitti di un settore ( la disponibilità di cartuccie d’inchiostro per la mia stampante ne aumenta il
valore per me). Quando i prodotti complementari tendono a identificarsi
con il prodotto, essi hanno poco valore per i clienti come prodotti separati, in quanto i clienti
valutano il sistema nel suo insieme, inoltre se due prodotti sono complementari, i profitti
affluiscono al fornitore che riesce a costituire una posizione di mercato più forte.
Data l’importanza, per la maggior parte dei prodotti, dell’esistenza di prodotti complementari, la
nostra analisi dell’ambiente competitivo deve tenerli in considerazione. Il modo più semplice
consiste nell’aggiungere una sesta forza al quadro teorico di Porter.

Fornitori

Concorrenti del settore Prodotti


sostitutivi
Potenziali
entranti
Rivalità tra imprese Prodotti
esistenti complementari

Acquirenti

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Il contributo della teoria dei giochi
La principale critica al modello delle cinque forze competitive di Porter è la sua staticità e
l’incapacità di prendere pienamente in considerazione le interazioni competitive tra le imprese.
La teoria dei giochi ci consente di descrivere questa interazione competitiva, in particolare offre
due contributi al management strategico:
1. Consente di collocare le decisioni strategiche in una cornice di riferimento,definita da:
▪ giocatori;
▪ opzioni di gioco;
▪ esiti (payoffs) derivati dalle combinazioni delle opzioni;
▪ sequenze decisionali.

2. Consente la previsione dell’esito delle situazioni competitive e delle scelte strategiche


ottimali
La cooperazione
Nonostante l’intensa rivalità tra i concorrenti di un settore spesso le imprese si trovano a cooperare
su diversi fronti ( Coca-cola e Pepsi-Cola cooperano sull’adozione di decisioni condivise per
quando riguarda la vendita di bibite gassate all’interno delle scuole, i problemi ambientali e salute
dei clienti) . In generale le imprese accettano di cooperare tra di loro con lo scopo di far crescere le
dimensioni del mercato in cui operano.
La dissuasione
La dissuasione consiste nell’imporre agli altri attori dei costi, nel caso in cui adottino
comportamenti considerati non desiderabili (taglio prezzi). Per essere efficace la dissuasione deve
essere credibile.
Il commitment
È una strategia apparentemente irrazionale, in quanto implica l’eliminazione di opzioni strategiche:
costringere un’organizzazione a un determinato corso degli eventi futuri. Se i propositi fanno
emergere la disponibilità ad impegnarsi ad una strategia aggressiva si parla di Hard commitment,
mentre se si manifestano propositi volti a evitare una concorrenza aggressiva si parla di Soft
commitment.
I segnali
Sono comunicazioni selettive di informazioni ai concorrenti o ai clienti,destinate a influenzare la
loro percezione e quindi mirate all’ottenimento di una particolare reazione (attacchi diversivi e
informazioni false). La credibilità dei segnali dipende in modo decisivo dalla reputazione
dell’azienda. Anche se l’attuazione di minacce contro i concorrenti è costosa e provoca una
diminuzione della redditività a breve termine, può comunque far acquisire all’azienda una
reputazione di aggressività tale da dissuadere i concorrenti in futuro.

Punti di forza teoria dei giochi:


- Aiuta a comprendere le situazioni di concorrenza all’interno del settore individuando attori
del gioco, scelte decisionali disponibili a ciascun giocatore.
- Aiuta nello studio delle contromosse dei competitors.

Punti di debolezza teoria dei giochi:


- fornisce previsioni chiare in situazioni fortemente stilizzate che implicano poche variabile
esterne e ipotesi molto restrittive.
- la sua applicabilità è più utile nello spiegare situazioni del passato che nella previsione di
situazioni future.
- tratta principalmente di situazioni con giocatori simili con opzioni strategiche analoghe.

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Analisi dei concorrenti
La raccolta e l’analisi sistematica delle informazioni disponibili sulle aziende rivali per orientare il
processo decisionale si propone tre scopi principali:
1. Prevedere le strategie e le decisioni future dei concorrenti
2. prefigurare le probabili reazioni di un concorrente alle iniziative strategiche di un’altra
impresa
3. determinare come può essere influenzato il comportamento dei concorrenti per renderlo a
noi più favorevole.
Per tutti questi scopi l’obiettivo principale è comprendere i concorrenti per prevedere le loro
reazioni ai cambiamenti ambientali e alle nostre mosse competitive. Per comprendere i concorrenti
bisogna avere informazioni a loro riguardo. Il confine tra raccolta legittima di informazioni sulla
concorrenza e spionaggio industriale illegale è incerto ( multa da 100 milioni di dollari inflitta alla
Mclaren-Mercedes per essere in possesso di informazioni segrete riguardante la Ferrari).

Michael Porter propone una analisi in quattro parti per prevedere il comportamento dei concorrenti:
1. L’attuale strategia dei concorrenti: per prevedere come un concorrente si comporterà in
futuro, dobbiamo capire qual è la sua attuale strategia, in assenza di forze che spingano ad
un cambiamento è ragionevole ipotizzare che l’impresa continuerà a competere in futuro con
modalità analoghe a quelle presenti.
2. Gli obiettivi dei concorrenti: per prevedere in che modo un concorrente possa cambiare la
sua strategia, dobbiamo individuare i suoi obiettivi. Importante capire se l’impresa
concorrente miri a obiettivi di mercato ( strategia aggressiva) o redditività.
3. Le ipotesi del concorrente sul settore e su sé stesso: le decisioni strategiche di un
concorrente sono condizionate da come esso vede se stesso e il settore. Ciò è importante per
comprendere come il concorrente possa agire a cambiamenti esterni.
4. Le risorse e competenze dei concorrenti: valutare la pericolosità di un competitor richiede
una stima dell’entità delle sue risorse e competenze. Se il nostro concorrente ha una grande
risorsa finanziaria sarebbe imprudente scatenare un’eventuale guerra di prezzi iniziando per
primi a ridurre i prezzi, viceversa se rivolgiamo le nostre iniziative contro i punti di
debolezza dei nostri concorrenti, potrebbe essere difficile per essi rispondere.

Segmentazione del settore


Per un’analisi più dettagliata della concorrenza è necessario focalizzarsi su mercati più circoscritti
in termini dia di prodotti sia geografici, questa disaggregazione dei settori in specifici mercati
prende il nome di segmentazione. La segmentazione è importante se le situazioni competitive sono
diverse nei singoli mercati all’interno di un settore così che alcuni risultano più attraenti degli altri.
Le fasi dell’analisi di segmentazione
Scopo dell’analisi di segmentazione è individuare i segmenti più attraenti, scegliere le strategie per i
differenti segmenti e stabilire in quali segmenti operare. L’analisi si sviluppa in cinque fasi:
1. Identificare le varabili chiave di segmentazione: riguarda la determinazione di uno più
criteri strettamente correlati tra loro di segmentazione, solitamente si fondano
essenzialmente su scelte relative alle caratteristiche dei clienti o del prodotto.
2. Costruire una matrice di segmentazione: Scelti i criteri di segmentazione i singoli
segmenti possono essere rappresentati tramite matrici a due o tre dimensioni.
3. Analizzare l’attrattività di segmento: L’analisi dell’attrattività di un settore può essere
svolta comunque col modello delle 5 forze di Porter, purché nell’analizzare la pressione
competitiva esercitata dai prodotti sostitutivi si considerino non soltanto i prodotti
provenienti da altri settori ma soprattutto quelli provenienti da altri segmenti dello stesso
settore. Le barriere di entrata di un segmento prendono nome di barriere di mobilità.
4. Identificare i fattori critici di successo del segmento: Consiste nell’analisi delle
preferenze e dei criteri di acquisto dei clienti per individuare i fattori critici di successo del

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segmento. Nel segmento dei prodotti economici, i fattori critici di successo sono :
produzione a basso costo ( Cina) e accordo di fornitura con una delle principali catene di
vendita.
5. Selezionare il segmento obiettivo: La fase finale dell’analisi di segmento consiste nella
decisione dell’azienda di specializzarsi in un segmento i competere in più segmenti.

Segmentazione per gruppi strategici


Un gruppo strategico è : un gruppo di imprese , all’interno di un settore, che persegue scelte
strategiche uguali o simili con riferimento a date dimensioni, usate come base di classificazione.
L’analisi dei gruppi strategici segmenta il settore sulla base delle strategie delle aziende che ne
fanno parte. La tesi di fondo è che le barriere di mobilità tra i gruppi strategici consentono ad alcuni
gruppi di imprese di realizzare costantemente profitti più elevati rispetto ad altri gruppi. Per
esempio nel settore delle compagnie aeree europee, le compagnie a basso costo come Easy jet,
Baltic Air, sky europee, volare e Ryanair perseguono strategie simili, ma per la maggior parte non
competono sulle stesse tratte.

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CAPITOLO 5 LE RISORSE E LE COMPETENZE COME BASE DELLA
STRATEGIA

Resource-based view of the firm (RVB)


Nel corso degli anni ’90 , le correnti di pensiero che consideravano le risorse e competenze come
base fondamentale delle strategie aziendali e fonte primaria di redditività, sono confluite in quella
che è stata denominata resource-based view of the firm. La nascita della RVB trova spiegazione
nell’elevato tasso di cambiamento nell’ambiente esterno, e quindi si ritiene che risorse e
competenze interne possano rappresentare una solida base per la strategia a lungo termine. Con la
RVB determina quindi uno spostamento dell’analisi dal rapporto dell’impresa con l’esterno , al
rapporto con l’interno. La distinzione fra atrattività del settore e vantaggio competitivo (basato sulla
superiorità delle risorse) come fonti di redditività di un’impresa corrisponde alla distinzione degli
economisti tra differenti tipi di profitto ( rendite). I profitti derivanti da posizioni di supremazia nel
mercato sono chiamati rendite monopolistiche, quelli derivanti dalla superiorità delle risorse
possedute rendite ricardiane.
La strategia resource based suggerisce che la chiave della redditività non è l’imitazione del
comportamento dei concorrenti, ma piuttosto lo sfruttamento delle differenze. La ricerca del
vantaggio competitivo richiede quindi la formulazione e implementazione di una strategia che
sfrutti le sole forze dell’impresa.
Le risorse dell’impresa: è importante distinguere le risorse e le competenze dell’impresa: le
risorse sono i beni produttivi posseduti dall’impresa; le competenze sono ciò che un’impresa può e
sa fare. Le singole risorse non conferiscono un vantaggio competitivo: esse devono essere integrate
tra loro per creare le competenze organizzative.

Risorse tangibili: sono le risorse più semplici da identificare e da valutare: le risorse finanziarie e i
beni materiali sono individuati e valutati nei bilanci. L’analisi delle risorse prevede la comprensione
dello sfruttamento del loro potenziale per creare vantaggio competitivo, a tal fine dobbiamo
rispondere a due quesiti fondamentali:
1. quali opportunità sussistono per realizzare economie nel loro impiego? Potrebbe essere
possibile impiegare meno risorse per realizzare lo stesso volume di vendita, o le medesime
risorse per realizzare un volume d’affari più elevato.
2. quali sono le possibilità per un migliore impiego delle risorse esistenti?
Risorse intangibili: per la maggior parte delle aziende le risorse intangibili rappresentano una
quota molto più elevata del valore totale dei beni patrimoniali rispetto alle risorse tangibili. Tuttavia
le risorse intangibili risultano poco visibili nei bilanci. I marchi sono tra le più importanti risorse
intangibili in quanto costituiscono il patrimonio di reputazione dell’azienda, il cui valore è fondato
sulla fiducia che ispirano ai clienti. Il valore del marchio si riflette nella differenza di prezzo che il
consumatore è disposto a pagare rispetto a un prodotto non di marca. Come la reputazione anche la
tecnologia è un bene intangibile ( brevetti, copyright, segreti industriali).
Risorse umane: Comprendono l’esperienza e lo sforzo fornito dai dipendenti. Come quelle
intangibili, le risorse umane non appaiono nei bilanci aziendali, per la semplice ragione che
l’impresa non è proprietaria dei propri dipendenti. La maggior parte dell’impresa dedica grande
importanza alla valutazione delle proprie risorse umane, questa valutazione avviene sia al momento
dell’assunzione, sia come parte di un continuo processo di valutazione al cui centro si trova l’esame
annuale dell’operato del dipendente. Gli obiettivi di tale valutazione sono di quantificare la
performance, allo scopo di stabilire retribuzioni e eventuali promozioni. Utile alla valutazione delle
risorse umane è il modello di competenze che individua un profilo ideale in termini di competenze,
conoscenze, attitudini e valori per una specifica categoria professionale e valuta poi ogni singolo
dipendente rispetto a quel profilo. Importante il recente interesse all’intelligenza emotiva del
dipendente, che riflette il crescente riconoscimento all’importanza delle qualità e dei valori
psicologici e sociali.

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Le competenze organizzative
Una competenza organizzativa è la capacità di un’impresa di destinare risorse per raggiungere un
obiettivo finale desiderato. Ai fini del nostro studio a noi interessano soprattutto le competenze che
possono costituire la base di un vantaggio competitivo. Selznick ha usato l’espressione competenze
distintive per descrivere le attività che un organizzazione svolge con particolare abilità, rispetto ai
suoi concorrenti. Hamel e Prahalad hanno invece coniato il termine competenze di base per
indicare le capacità essenziali per la strategia e la performance di un’impresa. Secondo Hamel e
Prahalad sono competenze di base quelle che:
- contribuiscono in modo preponderante alla creazione del valore per il cliente
- rappresentano le basi per entrare in nuovo mercato.
Per individuare le competenze di un ‘impresa generalmente vengono impiegati due approcci:
1. analisi funzionale: che identifica le competenze organizzative in relazione alle principali
aree funzionali dell’impresa.
2. analisi della catena del valore: “ La catena del valore definisce il contributo delle singole
attività aziendali alla definizione e allo sviluppo di un sistema di offerta in grado di creare
valore per il mercato ed è supportata dalla tecnologia impiegata in azienda.”Tramite la
rappresentazione della catena del valore di M. Porter si classificano le attività dell’impresa
seguendo un percorso sequenziale. Porter distingue fra :
▪ attività primarie ( quelle che riguardano i processi di trasformazione degli input e
l’interfaccia con il cliente)
▪ attività di supporto (quelli che non contribuiscono direttamente alla creazione
dell'output ma che sono necessari perché quest'ultimo sia prodotto)

Catena del valore di Porter

Attività primarie

▪ Logistica in entrata: comprende tutte quelle attività di gestione dei flussi di beni materiali
all'interno dell'organizzazione.
▪ Attività operative: attività di produzione di beni e/o servizi.

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▪ Logistica in uscita: comprende quelle attività di gestione dei flussi di beni materiali
all'esterno dell'organizzazione ( Distribuzione)
▪ Marketing e vendite: attività di promozione del prodotto o servizio nei mercati e gestione
del processo di vendita.
▪ Assistenza al cliente e servizi: tutte quelle attività post-vendita che sono di supporto al
cliente (ad es. l'assistenza tecnica)

Attività di supporto

▪ Approvvigionamenti: l'insieme di tutte quelle attività preposte all'acquisto delle risorse


necessarie alla produzione dell'output ed al funzionamento dell' organizzazione.
▪ Gestione delle risorse umane: ricerca, selezione, assunzione, addestramento, formazione,
aggiornamento, sviluppo, mobilità, retribuzione, sistemi premianti, negoziazione sindacale e
contrattuale, ecc.
▪ Sviluppo delle tecnologie: tutte quelle attività finalizzate al miglioramento del prodotto e
dei processi. Queste attività vengono in genere identificate con il processo R&D (Research and
Development).
▪ Attività infrastrutturali: tutte le altre attività quali pianificazione, contabilità
finanziaria, organizzazione, informatica, affari legali, direzione generale, ecc.

Limiti del modello: Il modello originale di Porter si adatta prevalentemente a grandi organizzazioni
che trattano la produzione di beni. Per le Organizzazioni diverse da quella di produzione di beni
(servizi) è tuttavia possibile utilizzare il modello come un valido spunto per l'analisi dei processi. In
tal caso occorre provvedere ad un adattamento del modello stesso all'organizzazione oggetto di
studio.

Le routine organizzative: sono modelli di comportamento regolari e prevedibili che includono


sequenze ripetitive di attività. Le imprese si sviluppano adattando e riproducendo routine. Come le
competenze organizzative, le routine organizzative si sviluppano attraverso l’apprendimento sul
campo, e sono basate sull’intesa reciproca tra i membri del team, un limite delle routine è però la
poca flessibilità, infatti un impresa che opera con routine potrebbe trovarsi in grandi difficoltà in
situazioni di cambiamento del mercato, in quanto dovrebbe reagire a situazioni alla quale non ha
mai dovuto affrontare in passato.

Le gerarchia delle competenze: Le competenze possono essere disaggregate in competenze più


specialistiche, in altri termini si crea una gerarchia delle competenze, in cui le competenze più
ampie sono costituite attraverso l’integrazione di competenze più specialistiche.

Risorse, competenze e risultati economici


I profitti che derivano dall’impiego delle risorse e delle competenze dipendono da tre fattori:
capacità di conseguire un vantaggio competitivo, capacità di mantenere tale vantaggio, capacità di
sfruttare pienamente tale vantaggio competitivo.
Conseguimento del Vantaggio competitivo
Affinché una risorsa o una competenza possa determinare un vantaggio competitivo devono essere
presenti due condizioni:
▪ Scarsità: una risorsa o competenza al fine di ottenere un vantaggio competitivo non deve
essere largamente disponibile, bensì scarsa, in modo che non tutti possano attingere ad essa.
▪ Rilevanza: la risorsa deve essere rilevante in relazione ai fattori critici di successo del
mercato, cioè deve essere determinante al fine del vantaggio competitivo.

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Mantenimento del vantaggio competitivo
I profitti derivanti dalle risorse e dalle competenze non dipendono soltanto dalla capacità di creare
un vantaggio competitivo, ma anche dalla capacità di mantenerlo nel tempo. Affinché ciò sia
possibile le risorse devono essere durature, non imitabili dai rivali ( sono imitabili se sono
trasferibili o replicabili)
▪ Durata:Le risorse più durevoli costituiscono una base più solida del vantaggio competitivo,
visto i continui mutamenti tecnologici che accorciano la vita utile delle risorse.
▪ Trasferibilità: le risorse che creano base per il vantaggio competitivo sono quelle non
trasferibili ( non acquisibili dai concorrenti). La non trasferibilità può dipendere da: non
mobilità geografica, incompletezza di informazioni, complementarità fra più risorse,
capacità organizzative.
▪ Replicabilita: Sono soprattutto risorse non replicabili quelle basate su routine
organizzative, comunque sia anche quando la replicabilità è possibile le imprese con una
consolidata presenza nel settore beneficiano dal fatto che risorse e competenze accumulate
nell’arco di un lungo periodo di tempo sono spesso meno costose e più produttive rispetto a
quelle accumulate rapidamente dagli imitatori. In questo caso si generano : efficienze di
massa ( quando una posizione iniziale forte facilità l’accumulazione di risorse future) e
diseconomie di compressione del tempo ( sono quei costi addizionali sostenuti dagli
imitatori per accumulare rapidamente una risorsa).

Sfruttamento del vantaggio competitivo: Lo sfruttamento del vantaggio competitivo avviene


tramite brevetti e marchi, importante anche il potere contrattuale relativo dei dipendenti: più
una competenza si identifica nel singolo dipendente, più efficace è il potere contrattuale del
dipendente che acquisisce una posizione di rendita. A differenza quanto più una competenza
organizzativa è radicata nel sistema aziendale più debole è il rapporto del dipendente.

Applicazione pratica dell’analisi delle risorse e delle competenze

Fase 1 : individuazione delle risorse e delle competenze cruciali: Il primo passo consiste
nell’individuare quali sono le risorse e competenze che rendono migliore la performance di
un’impresa rispetto alle altre dello stesso settore.
Fase 2: valutazione delle risorse e competenze: In secondo luogo bisogna effettuare una
valutazione delle risorse e competenze sulla base di due criteri fondamentali. Il primo è la loro
importanza: quali sono le risorse e competenze più importanti per assicurare un vantaggio
competitivo duraturo? Il secondo attiene all’analisi dei punti di forza e debolezza nel confronto
dei concorrenti. Uno strumento utile a ciò è lo Benchmarking, che permette la valutazione
quantitativa della perfomance in rapporto a quella dei propri concorrenti. Molte imprese non hanno
successo perché sono prive di competenze distintive, ma per l’incapacità di individuarle e
impiegarle nel modo più efficiente.
Fase 3: sviluppo delle implicazioni strategiche: questa fase consiste nello sviluppo della strategia,
e bisognerà tener conto di :
▪ Sfruttare i principali punti di forza: assicurarsi che le risorse e competenze che
costituiscono i punti di forza dell’azienda vengano impiegati nel modo più efficiente,
▪ Gestione dei punti deboli: Cercare nel lungo periodo di trasformare i punti deboli in punti di
forza, spesso una soluzione può essere ad esempio l’esternalizzazione di delle funzioni che
rappresentano punti deboli per l’azienda. Una strategia brillane può consentire ad
un’impresa l’azzeramento dei suoi punti di forza.
▪ Gestione dei punti di forza superflui: Un modo per affrontare il problema può essere quello
di diminuire i relativi investimenti, visto che nonostante siano punti di forza non incidono
alla base del vantaggio competitivo.

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CAPITOLO 6 LO SVILUPPO DELLE RISORSE E DELLE
COMPETENZE
Relazione tra risorse e competenze
Vi è comunemente poca conoscenza del legame che intercorre tra risorse e competenze. Numerose
ricerche dimostrano come le imprese che possiedono le migliori competenze non sono quelle che
necessariamente posseggono la maggiore dotazione di risorse. Nel calcio europeo, squadre
costituite con risorse modeste e senza acquistare calciatori di vertice ( Arsenal, Valencia) ottengono
risultati migliori rispetto a club ricchi di star e costruite grazie a massicci investimenti economici
( Chelsea, Real Madrid).
In effetti la risorsa cruciale per lo sviluppo delle competenze è la presenza di dirigenti con
conoscenze appropriate rispetto tale scopo. Importante inoltre è quindi l’utilizzo efficiente delle
proprie risorse, più che la dimensione delle stesse. In molti casi possiamo far risalire le origini di
una particolare competenza alle circostanze che hanno caratterizzato l’avvio o lo sviluppo iniziale
dell’azienda, quindi la competenza organizzativa dipende dal percorso (Path dependent) : le
competenze attuali di un’impresa sono il risultato della sua storia.

Integrazione fra risorse e competenze


Il coordinamento è l’essenza dell’operato delle organizzazioni e ne esistono due dimensioni:
1. dimensione informale : routine, modelli ripetitivi di attività ecc.
2. dimensione formale: gli individui con una specifica competenza devono essere collocati
all’interno di una particolare unità organizzativa.

Competenze rigide: D. Leonard-Barton sostiene che le competenze chiave di un’impresa


rappresentino allo stesso tempo rigidità chiave, in grado di inibire la capacità dell’impresa di
accedere e sviluppare nuove competenze.
Competenze dinamiche: Il pensiero di Barton è stato criticato, soprattutto visti i comportamenti
delle recenti aziende, infatti si sostiene che esistono competenze dinamiche: molte imprese sono
capaci di adattarsi a circostanze di cambiamento. Questa stessa capacità può essere considerata una
competenza organizzativa.

L’acquisizione di competenze: fusioni, acquisizioni e alleanze


Acquistare o fondersi con un’azienda che ha già sviluppato la competenza desiderata può
rappresentare un modo per abbreviare il tortuoso processo di sviluppo delle capacità, tuttavia ciò
comporta alcuni rischi rilevanti. Per iniziare le acquisizioni sono costose, visto il premio da
riconoscere al venditore, inoltre ancora più importante, una volta completata l’acquisizione,
l’impresa compratrice deve trovare un modo per integrare le competenze di quella acquisita con le
proprie, e troppo spesso scontri culturali o incompatibilità fra i sistemi di gestione portano alla
distruzione di quelle stesse competenze che l’impresa acquisitrice stava cercando. Questi costi e
rischi contribuiscono a evidenziare i vantaggi delle alleanze strategiche. L’alleanza strategica
rappresenta un rapporto di collaborazione fra imprese che comporta la condivisione delle risorse per
il conseguimento di un obiettivo comune. Un problema cruciale posto all’avvio delle alleanze
strategiche consiste nel chiarire se il loro obiettivo sia di avere accesso alle competenze
dell’impresa partner ( lavorare quindi in comune per il raggiungimento di un obiettivo) o acquisire
tali competenze ( scopo quello di conoscere le competenze altrui, spesso si ha una “competizione
per le competenze”, che destabilizza la collaborazione). La gestione dei rapporti di alleanza
strategica richiede quindi a sua volta una “ competenza relazionale”.

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La gestione della conoscenza e “la Knowledge based view ”
L’idea che l’impresa sia costituita dall’assemblaggio di patrimoni di conoscenze il cui valore deriva
dalla loro utilizzazione è nota come Knowledge based view of the firm.
Il contributo più utile della gestione della conoscenza alla gestione strategica di risorse e
competenze è il riconoscimento del fatto che differenti tipi di conoscenza hanno caratteristiche
molto diverse. Una distinzione fondamentale è:
Know-how: è per sua natura una conoscenza essenzialmente tacita: implica abilità che vengono
espresse attraverso il loro utilizzo. La conoscenza tacita non può essere codificata in maniera
immediata, diventa osservabile solo una volta applicata e può essere acquisita con la pratica, il suo
trasferimento da un individuo all’altro, di conseguenza, è lento, costoso e incerto.
Knowing about: è una conoscenza essenzialmente esplicita: comprende fatti, teorie, e insieme di
istruzioni. Chiaramente a differenza della conoscenza tacita può essere comunicata fra individui, nel
tempo e nello spazio, ad un costo marginale irrisorio. Questa caratteristica rende la conoscenza
esplicita un bene pubblico.
Questa distinzione ha conseguenze importanti ai fini strategici. E’ chiaro che la conoscenza esplicita
a differenza della tacita non può essere considerata una base per un vantaggio competitivo duraturo
vista la sua facile trasferibilità.

Processi relativi alla conoscenza che promuovono lo sviluppo di competenza


E’ cruciale operare una classificazione all’interno dei processi relativi alla conoscenza distinguendo
fra quelli che si concentrano sull’acquisizione di nuova conoscenza, e quelli che sfruttano la
conoscenza già esistente. Secondo J. March ciò definisce un trade-off fra esplorazione( le
organizzazioni acquisiscono nuove conoscenze) e sfruttamento( le organizzazioni riutilizzano
conoscenze già possedute).

La conversione della conoscenza


La teoria di Nonaka distingue fra tipi di conoscenza ( tacita e esplicita) e livelli di conoscenza
( individuale e organizzativa). Nonaka sostiene che la conversione della conoscenza da una forma
tacita a una esplicita, e dal livello individuale a quello organizzativo, produce una spirale di
conoscenza” mediante la quale il patrimonio di conoscenze di un’organizzazione (impresa) si
amplia e s approfondisce. La conoscenza esplicita, per esempio, viene internalizzata in conoscenza
tacita sotto forma di intuizione, routine, mentre la conoscenza tacita viene esternalizzata in
conoscenza esplicita attraverso la codifica.

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CAP 8 LA NATURA E LE FONTI DEL VANTAGGIO COMPETITIVO

La creazione del vantaggio competitivo


Per comprendere come si manifesta il vantaggio competitivo, dobbiamo prima capire cosa sia. Una
possibile definizione di base è la seguente: “ nel caso in cui due o più imprese competano
all’interno dello stesso mercato, un’impresa possiede un vantaggio competitivo sui suoi rivali
quando ottiene in maniera continuativa una redditività superiore”. Il vantaggio competitivo però
non sempre si manifesta sottoforma di redditività: un’impresa può rinunciare ai profitti attuali per
investire in quota di mercato, tecnologia, soddisfazione del cliente, o lussi per i dirigenti.
Il vantaggio competitivo si manifesta in presenza:
- Fonte di cambiamento esterno: al quale le imprese rispondono con un posizionamento
strategico, ottenuto tramite le loro risorse e competenze. L’impatto del cambiamento esterno sul
vantaggio competitivo dipende anche dalla capacità dell’impresa di reagire al cambiamento stesso,
tale capacità è chiamata imprenditorialità. La capacità di reazione ad un cambiamento è la fonte
più importante del vantaggio competitivo.
- Fonte di cambiamento interno: il cambiamento interno è generato dall’innovazione,
quest’ultima non solo determina il vantaggio competitivo, ma fornisce una base per rovesciare il
vantaggio competitivo delle altre imprese. Sebbene l’innovazione venga immaginata sottoforma di
nuovi prodotti, una fonte cruciale di vantaggio competitivo è rappresentata dall’innovazione
strategica: nuovi approcci al fare affari, compresi nuovi modelli di business. L’innovazione
strategica può anche essere basta su una riprogettazione dei processi e su nuove forme di
organizzazione.

Come formulare strategie innovative?


Nuovi settori: Alcune imprese lanciano prodotti che creano un mercato completamente nuovo, la
creazione di nuovi mercati costituisce la forma più pura di strategia in grado di creare uno spazio di
mercato senza rivali.
Nuovi segmenti di clientela: Anche la creazione di nuovi segmenti di clientela per prodotti già
esistenti può consentire di accedere a nuovi e ampi spazi di mercati: Apple non ha inventato il pc,
ma ha lanciato il mercato dei pc domestici.
Nuovi approcci alla creazione del valore per il cliente: Reinventando continuamente il proprio
modello di business, promuovendo la diversità e comunicandola coerentemente ai propri
stakeholder; Riconfigurando le catena del valore del settore.

La difesa del vantaggio competitivo


Il vantaggio competitivo acquisito è soggetto all’erosione da parte della concorrenza. La velocità
con la quale tale vantaggio viene indebolito dipende dalla capacità dei concorrenti di lanciare una
sfida attraverso imitazione o innovazione.
L’imitazione è la forma più diretta di concorrenza, per mantenere nel tempo il vantaggio
competitivo quindi, è necessaria la presenza di barriere all’imitazione, chiamate da Rumelt
“Meccanismi di isolamento”. Quanto più questi meccanismi sono efficaci, tanto più a lungo può
essere difeso il vantaggio competitivo. Per individuare le fonti dei meccanismi di isolamento,
dobbiamo esaminare il processo di imitazione competitiva. Per imitare con successo la strategia di
un’altra impresa si devono soddisfare quattro condizioni:
1.identificazione (del vantaggio competitivo del concorrente);
2.incentivo (ovvero l’impresa deve ritenere che investendo nell’imitazione anch’essa potrà ottenere
un rendimento superiore a quello attuale;
3.diagnosi (della strategia rivale);
4.acquisizione delle risorse (per attuare l’imitazione).

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La tabella mostra i vari stadi e le forme di isolamento relative a ogni stadio:

REQUISITI PER MECCANISMI DI ISOLAMENTO


L’IMITAZIONE
Occultare risultati eccellenti, consiste nel nascondere la redditività
Identificazione superiore alla media dell’impresa ( più facile per le non quotate in borsa
Scoraggiare l’imitatore tramite:
Incentivo -Dissuasione: segnalare intenzioni aggressive agli imitatori
-Anticipazione: sfruttare tutte le opportunità di investimento disponibili:
proliferazione di varietà prodotti, molteplicità dei brevetti, forti
investimenti nella capacità produttiva.
Utilizzare tutte le fonti di vantaggio competitivo per determinare
Diagnosi “ambiguità causale”: quanto più il vantaggio competitivo di un’impresa
è basato su un complesso di risorse e competenze più l’imitabilità per i
concorrenti sarà incerta
Basare il proprio vantaggio competitivo su risorse e capacità Non
Acquisizioni di trasferibili e non replicabili
risorse
Le tipologie di vantaggio competitivo : Costo e Differenziazione
Due sono i modi in cui un’impresa può realizzare maggiori profitti dei concorrenti:
1. fornendo un’ identico prodotto o servizio a un prezzo inferiore;
2. fornendo un prodotto o servizio differenziato in modo tale che il cliente sia disposto a pagare
un differenziale di prezzo maggiore del costo della differenziazione.
Nel primo caso, l’impresa ha un vantaggio di costo, nel secondo caso un vantaggio di
differenziazione.
Le due fonti di vantaggio competitivo definiscono due approcci fondamentali e differenti alla
strategia di business.
Porter considera la leadership di costo ( vantaggio di costo) e la differenziazione ( vantaggio di
differenziazione) come strategie che si escludono reciprocamente. Tuttavia al giorno d’oggi nuove
tecniche di management hanno reso possibile riconciliare le due strategie. Per esempio, la gestione
della qualità totale ha smentito la leggenda secondo la quale esisteva un conflitto fra qualità elevata
e basso costo.

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CAP 9 LA LEADERSHIP DI COSTO – VANTAGGIO DI COSTO

La leadership di costo è una strategia competitiva che indica nel vantaggio di costo la principale
fonte del vantaggio competitivo in un settore. L’obiettivo della strategia è appunto quello di
ottenere una maggiore efficienza di costo rispetto alle imprese concorrenti al fine di poter
posizionare la propria impresa come Price leader in un determinato settore, ovvero essere l’azienda
che vende un determinato prodotto al prezzo più basso. Affinché si possa adottare una strategia di
leadership di costo è chiaro che l’impresa debba agire in un settore-mercato, in cui il prodotto sia
standardizzato, cioè una commodity ( es: posate di plastica), infatti è solo nel caso in cui il
consumatore effettua la propria scelta solo sulla base del prezzo e non della qualità del prodotto che
la strategia di leadership di costo possa risultare vincente. Durante gli anni ’70 e ’80 , l’analisi del
vantaggio di costo si concentrò sulla curva di esperienza, che relaziona i costi unitari con il volume
complessivo della produzione, nello specifico il Boston Consulting Group( BCG) osservò una
regolarità nella riduzione dei costi unitari associata all’incremento della produzione cumulata: il
costo unitario del valore aggiunto ( dato dal costo totale per unità di produzione meno il costo dei
componenti e dei materiali di approvvigionamento per unità di produzione) di un prodotto si riduce,
secondo una percentuale normalmente compresa tra il 20 e 30%, ogni volta che la produzione
cumulata raddoppia. I fattori principali dei costi unitari di un’impresa sono i seguenti, che prendono
l’espressione di determinanti di costo:
1. Le economie di scala: si manifestano quando un aumento degli input impiegati nel
processo produttivo provoca una riduzione del costo unitario. Esse derivano da tre fonti
principali:
- relazioni tecniche tra input- output: in molte attività, aumenti di output non richiedono
aumenti proporzionali di input;
- Indivisibilità: Molte risorse e attività sono indivisibili, pertanto generano economie di
scala le imprese che sono in grado di distribuire i costi di queste risorse su volumi di
output più elevati;
- Specializzazione: una maggiore scala di produzione permette di realizzare una
specializzazione delle mansioni più articolata,che si manifesta in una divisione del
lavoro più spinta, la specializzazione promuove l’apprendimento, evita le perdite di
tempo favorendo l’automazione.
2. Le economie di apprendimento: Un’impresa che sfrutta la ripetizione di mansioni e le
routine organizzative è in grado di ottenere vantaggi di costo in termini di tempo e
affidabilità del prodotto ( evitare costi per difettosità dei prodotti)
3. Progettazione del processo e riconfigurazione dei processi aziendali: Un processo è
superiore a un altro quando, per ciascuna unità di prodotto, impiega una minor quantità di
uno specifico input senza utilizzare maggiori quantità di altri fattori. Una nuova tecnologia
di processo, o spesso anche la sola riorganizzazione del processo può ridurre radicalmente i
costi, permettendo lo sfruttamento del vantaggio competitivo di costo.
4. Progettazione del prodotto: La progettazione di prodotto tesa a facilitare il processo
produttivo può offrire un sostanziale risparmio di costo.
5. Utilizzazione della capacità produttiva: Una migliore utilizzazione della capacità
produttiva è determinante per ottenere una efficienza di costo, infatti per esempio la
sottoutilizzazione causa un aumento del costo unitario, perche i costi fissi devono essere
ripartiti su un minor numero di unità di prodotto. Allo stesso tempo anche operare al di
sopra della propria capacità produttiva crea delle inefficienze, in quanto aumenta i costi
unitari a causa della remunerazione del lavoro straordinario, aumento costi manutenzione
ecc.
6. Costi di approvvigionamento: La determinazione di un prezzo più basso deriva senza
dubbio dai costi di approvvigionamento, cioè i costi per disporre degli input. Spesso le
imprese di uno stesso settore non pagano lo stesso prezzo per disporre di input identici. Ciò

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deriva da differenze nei prezzi dovute alla localizzazione geografica, lavoro non
sindacalizzato, differenza del potere contrattuale tra imprese dello stesso settore.
7. Efficienza residuale: dipende dalla capacità dell’impresa di eliminare le risorse in eccesso,
ovvero tutti quei costi superflui che impediscono all’impresa di operare in condizioni di
massima efficienza. Eliminare questi costi è difficile, le aziende che ci riescono sono quelle
che hanno incorporato nella loro cultura aziendale la ricerca dell’efficienza di costo ( Ikea,
Ryanair)
8. Economie di scopo: si ottiene un’efficienza di costo dalla produzione congiunta di due
prodotti, in questo modo l’impresa ripartisce i costi fissi su maggiori output.
9. Economie re plicative: L’impresa tramite la replicazione del proprio prodotto ottiene
economie di scala, ciò avviene nel caso delle case editrici, discografiche.

Oltre al controllo delle determinanti di costo, al fine di poter adottare una strategia di leadership di
costo è importante anche la configurazione della catena del valore di Porter dell’impresa. Lo stesso
Porter afferma che un'impresa ha un vantaggio di costo se i suoi costi cumulati per realizzare tutte le
attività generatrici di valore sono più bassi di quelli dei suoi concorrenti. E’ necessaria quindi ai fini
di ottenere un vantaggio di costo l’analisi dei costi di ogni attività dell’impresa. Per effettuare ciò è
necessario la disaggregazione della catena del valore al fine di poter individuare:
• L’importanza relativa di ciascuna attività in rapporto al costo totale;
• Le determinanti di costo di ciascuna attività;
• L’influenza dei costi di un’attività sui costi di un’altra attività;
• Le attività da svolgere all’interno dell’impresa e le attività che dovrebbero essere
svolte all’esterno ( esternalizzazione: l’azienda deve valutare se è più conveniente
affidare a terzi lo svolgimento di un’attività, ad esempio distribuzione, controllo).

L’adozione e il relativo successo da parte di un’impresa di una strategia di leadership di costo,


determina la redditività-attrattività di un settore. Infatti, per esempio trattandosi di un settore di un
prodotto standardizzato, per i nuovi entranti nel settore è chiaro che debbano valutare bene se
possano competere con l’impresa price leader in termini di costi di produzione del prodotto, visto
che magari l’impresa price leader sfrutta un vantaggio di costo derivante dal fatto che sia entrata per
prima nel settore, le imprese entranti inoltre,dovranno progettare una catena del valore che sia più
efficiente rispetto le imprese concorrenti. In definitiva l’esistenza di un’impresa che abbia una
leadership di costo può scoraggiare l’ingresso nel settore in particolare, riducendone quindi
l’attrattività.

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CAP 10 IL VANTAGGIO DELLA DIFFERENZIAZIONE

Un’impresa si differenzia dai propri concorrenti “quando offre qualcosa di unico e apprezzato dagli
acquirenti, che va ben oltre la semplice offerta a basso prezzo”. Il vantaggio della differenziazione
si realizza quando un’impresa riesce a conseguire, grazie alla differenziazione, un premio sul prezzo
che eccede il costo sostenuto per realizzarla. Tutte le imprese hanno l’opportunità di differenziare la
propria offerta al cliente, anche se in misura differente a seconda delle caratteristiche del prodotto, è
chiaro che un’automobile offre più possibilità di differenziazione rispetto ad un prodotto
standardizzato come lo zucchero o il grano, quest’ultimi prodotti prendono il nome di commodity.
La differenziazione si divide in : differenziazione dal lato dell’offerta (l’impresa) che indica ciò
che l’impresa può fare per creare un prodotto unico nel suo genere; e differenziazione dal lato
della domanda ( clienti) che indica ciò che i consumatori-clienti vogliono, la differenziazione per
essere profittevole: deve essere riconosciuta dal cliente e creare valore per il cliente.
Nell’analisi delle opportunità di differenziazione, una distinzione fondamentale è quella tra aspetti
Tangibili e intangibili. La differenziazione tangibile riguarda le caratteristiche visibili del prodotto
o del servizio che assumono rilievo nelle preferenze dei consumatori: la forma, il peso, il colore o
anche performance in termini di affidabilità, sapore, velocità, sicurezza. Le opportunità di
differenziazione intangibile nascono perché il valore che percepisce il cliente non dipende
esclusivamente dai suoi aspetti tangibili, considerazioni sociali, emotive psicologiche, il desiderio di
status esclusività ( possedere Iphone Apple) sono determinanti ai fini della scelta del consumatore.
La differenziazione d’immagine è molto importante per quei prodotti che qualità e performance
sono difficili da individuare al momento dell’acquisto come per esempio : profumi, cosmetici,
questi prodotti vengono chiamati “experience goods”.
La differenziazione rappresenta una base del vantaggio competitivo più sicura rispetto al
vantaggio di costo. La crescita della concorrenza internazionale ha rivelato quanto fossero fragili le
posizioni apparentemente solide di leadership di costo. Il vantaggio di costo è molto vulnerabili
anche rispetto a fattori imprevedibili o alla introduzione di nuove tecnologie. Ne risulta pertanto che
una redditività sostenibile nel lungo periodo deriva dalla leadership basata sulla differenziazione.

L’analisi della differenziazione : la domanda


L’analisi della domanda ci consente di determinare le caratteristiche del prodotto che permettono di
creare valore per i clienti, la disponibilità dei clienti a pagare per avere un bene differenziato.
L’elemento fondamentale per una differenziazione di successo è : capire i consumatori.
Vi sono diverse tecniche per analizzare le preferenze dei consumatori rispetto a determinati attributi
di prodotto:
▪ Multidimensional scaling: permette di rappresentare graficamente le percezioni dei
consumatori sulle somiglianze e differenze esistenti tra prodotti concorrenti, e di interpretare
le dimensioni dell’analisi in termini di caratteristiche fondamentali del prodotto
▪ Conjoint analysis: è uno strumento efficace per analizzare l’intensità delle preferenze del
consumatore per i diversi attributi del prodotto. La tecnica comporta dapprima
l’identificazione degli attributi critici del prodotto, e in secondo luogo la classificazione dei
prodotti ipotetici che possiedono differenti combinazioni di tali caratteristiche. I risultati
possono essere usati per capire quanti clienti preferirebbero un nuovo ipotetico prodotto ad
altri prodotti concorrenti già sul mercato. La conjoint analysis è utile per la progettazione di
nuovi prodotti
▪ Analisi prezzi edonistici: La domanda di un prodotto può essere vista come la domanda per
le caratteristiche costitutive del prodotto stesso. Il prezzo di un prodotto viene calcolato
come la somma complessiva del valori derivanti da ciascuna di queste caratteristiche
individuali. L’analisi dei prezzi edonistici studia le differenze di prezzo tra prodotti
concorrenti e calcola il prezzo di mercato implicito di ogni caratteristica.

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▪ Analisi della curva del valore: La scelta della combinazione ottima di caratteristiche di
prodotto dipende: da ciò che il cliente apprezza; da ciò che la concorrenza già fornisce. La
curva del valore identifica le combinazioni innovative di caratteristiche del prodotto che
possono creare un nuovo spazio di mercato per l’impresa.
▪ Ruolo dei fattori sociali e psicologici: Una ricerca di mercato che vada oltre le
caratteristiche del prodotto deve considerare fattori sociali e psicologici che influiscono
nella scelta del consumatore. Per la maggior parte dei beni, il valore del marchio dipende più
dallo status e dell’identità che dalla performance tangibile del prodotto. Harley-Davidson
riconosce esplicitamente che la sua attività consiste nel vendere uno stile di vita, non un
mezzo di trasporto.

I fattori di unicità di Porter


La differenziazione consiste nell’offrire unicità. Porter individua una serie di fattori di unicità che
costituiscono le variabili decisionali dell’impresa.
▪ Caratteristiche e prestazioni del prodotto
▪ Servizi complementari ( consegna, riparazione)
▪ Intensità delle attività di marketing ( livello investimenti pubblicitari)
▪ Tecnologia impiegata nella progettazione e produzione
▪ Qualità input-output
▪ Procedure che influenzano la gestione di ciascuna attività ( per esempio rigore nel
controllo qualità)
▪ Competenze ed esperienze dei dipendenti
▪ Collocazione geografica
▪ Livello integrazione verticale

Integrità del prodotto: Si riferisce alla coerenza della differenziazione di un’impresa; indica la
misura in cui un prodotto riesce a realizzare un equilibrio complessivo tra le diverse caratteristiche.
Dalla coerenza interna ed esterna dipende credibilità del presenza .

Segnali e reputazione: Quanto più è difficile valutare la prestazione prima dell’acquisto di un


prodotto, tanto è più importante il ruolo dei segnali. I segnali sono utili al fine di creare un’ottima
reputazione dell’azienda, le strategie per creare reputazione hanno fatto emergere alcune
considerazioni: I segnali di qualità sono importanti per i prodotti il cui il livello qualitativo può
essere valutato solo dopo l’acquisto; l’investimento pubblicitario è un mezzo efficace per segnalare
un alto livello di qualità.

Marchi:Per molte imprese produttrici di beni di consumo, il marchio è l’attività patrimoniale più
importante. Funzioni dei marchi: garanzia di responsabilità, incentivo a mantenere la qualità del
prodotto, grande rilevanza nel commercio elettronico .

Costi della differenziazione: la differenziazione comporta maggiori costi. I costi diretti della
differenziazione comprendono gli input per garantire la maggiore qualità, la migliore formazione
dei dipendenti, costi di promozione più elevati, migliore assistenza post-vendita. I costi indiretti
della differenziazione derivano dall’interazione delle variabili di differenzazione con le variabili di
costo. Se la differenziazione circoscrive l’ambito di mercato e di prodotto dell’impresa , po’ limitare
anche lo sfruttamento delle economie di scala o di apprendimento. Un modo per conciliare
differenziazione con efficienza di costo è posticipare la differenziazione negli stadi finali della
catena del valore dell’impresa.

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CAP 14 L’ANALISI DELL’INTEGRAZIONE VERTICALE

Impresa, mercato e costi di transazione


Che cosa determina le attività svolte all’interno di un’impresa e quelle esternalizzate al mercato? La
risposta è i costi di transazione. I mercati non sono privi di costi: effettuare un’ acquisto o una
vendita comporta costi in termini di ricerca dei fornitori, di definizione e stipulazione del contratto,
di monitoraggio dell’adempimento del contratto stesso. Sono tutti esempi di costi di transizione. Se
i costi di transazione associati al coordinamento operato del mercato sono maggiori dei costi
amministrativi del coordinamento interno dell’impresa, possiamo aspettarci un processo di
integrazione di queste attività all’interno dell’impresa stessa.
Per la maggior parte del ventesimo secolo, l’opinione prevalente era che l’integrazione verticale
fosse in generale vantaggiosa, perché consentiva un miglior coordinamento e una riduzione del
rischio. Gli ultimi 25 anni sono stati caratterizzati da una profonda trasformazione: è stato sostenuto
che l’esternalizzazione rafforza la flessibilità e consente all’imprese di concentrarsi sulle attività per
le quali dispongono di maggiori competenze. Molti dei benefici di coordinamento associati
all’integrazione verticale,inoltre, possono essere realizzati con la collaborazione fra aziende
collegate in senso verticale.

L’integrazione verticale
Con l’espressione integrazione verticale ci si riferisce all’internalizzazione di una serie di attività
verticalmente correlate. Quanto maggiori sono la proprietà e il controllo esercitato da un’impresa su
fasi successive della catena del valore, tanto maggiore è il grado di integrazione verticale
dell’impresa stessa, misurato dal rapporto tra il valore aggiunto creato dall’impresa e i suoi ricavi di
vendita. L’integrazione verticale può essere a monte, quando l’azienda assume il controllo e la
proprietà della produzione delle proprie componenti o di input, o a valle, quando l’azienda assume
il controllo e la proprietà di attività precedentemente svolte dai propri clienti. L’integrazione può
essere distinta anche in integrazione completa o parziale.

Le fonti dei costi di transazione


Quando un fornitore negozia con un acquirente, non esiste un prezzo di equilibrio: tutto dipende dal
relativo potere contrattuale. Queste contrattazioni sono probabilmente costose: la dipendenza
reciproca delle due parti dà luogo a comportamenti opportunistici e a dissimulazione strategica,
perché ciascuna parte cerca di accrescere e sfruttare il proprio potere contrattuale a danno dell’altra.
Colpevoli di questa situazione sono gli investimenti specifici per la particolare transazione, in
alcuni mercati gli impianti dell’ impresa sono costruiti in modo da corrispondere a quelli
dell’impresa fornitrice, e viceversa, quindi ogni venditore è legato a un unico acquirente, e ciò crea
l’opportunità per comportamenti opportunistici . Per esempio, gli investimenti specifici creano costi
di transazione a causa delle difficoltà associate alla stesura di un contratto completo e ai rischi di
controversie e comportamenti opportunistici che insorgono in presenza di contratti che non coprono
ogni possibile eventualità.

I costi amministrativi dell’internalizzazione


La presenza di costi di transazione nei mercati intermedi non implica necessariamente che
l’integrazione verticale sia una soluzione efficiente. L’integrazione infatti permette di evitare i costi
connessi al mercato, ma l’internalizzazione delle attività comporta costi amministrativi. L’entità di
questi costi dipende:

▪ Differenze nella scala efficiente minima: supponiamo che Federal Express abbia bisogno
di autocarri specificamente progettati e prodotti per venire incontro alle sue esigeneze. Nella
misura in cui il produttore di autocarri deve compiere investimenti specifici, Federal Express

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potrebbe avere un incentivo a produrre internamente i propri veicoli per evitare l’insorgere
di costi di transazione. Sarebbe una soluzione efficiente? Quasi certamente no: i costi di
transazione evitati da Federal Express sarebbero ben poca cosa rispetto alle inefficienze
generate dalla produzione interna, Federal Express infatti acquista oltre 40.000 camion ogni
anno, ben al di sotto dei 200.000 che rappresentano la scala minima efficiente di un
impianto produttivo.
▪ Sviluppo competenze distintive: Un vantaggio fondamentale di un’impresa specializzata in
poche attività è la sua capacità di sviluppare competenze distintive in queste ultime. Se
esiste una relazione fra tali competenze, l’integrazione verticale può favorire lo sviluppo di
competenze distintive.
▪ Gestione strategica di attività differenti: I problemi legati ai due punti affrontati
precedentemente possono essere considerati parte di un più ampio insieme di problemi che
derivano dal gestire imprese verticalmente integrate dalle caratteristiche strategiche
differenti. Uno dei fattori perché Federal Express non possiede un impianto di produzione di
veicoli è che le competenze organizzative e i sistemi gestionali necessari sono sensibilmente
differenti da quelli richiesti dal settore delle consegne espresso. Tali considerazioni spiegano
perché l’integrazione tra aziende di produzione e distribuzione non sia frequente ( coca-cola
company e Coca cola enterprises. Le imprese che integrano design, produzione e
distribuzione, come Zara e Gucci sono rare.
▪ Il problema degli incentivi: L’integrazione verticale altera gli incentivi tra attività
verticalmente collegate. Con l’integrazione verticale, le relazioni interne tra fornitori e
cliente sono soggette a incentivi deboli, mentre si è reso conto che gli appaltatori di servizi
esterni sono spesso molto più sensibili alle nostre richieste di quanto lo siano i fornitori di
servizi interni: incentivi forti.
▪ Gli effetti competitivi dell’integrazione verticale: L’integrazione verticale può essere
utilizzata per estendere una posizione di monopolio da uno stadio della catena del valore di
un settore a uno stadio contiguo. Tuttavia questi sono casi rari, infatti situazione più comune
è quella di un’azienda che danneggia la propria posizione di forza in uno stadio verticale
ricorrendo all’integrazione verticale. I fornitori e i clienti dell’azienda sono meno disposta
collaborare con l’impresa se quest’ultima, effettuando un’integrazione verticale, diventa
concorrente. L’acquisizione di Disney del network televisivo ABC ha danneggiato i rapporti
con gli altri network televisivi.
▪ Flessibilità: L’integrazione verticale e le transazioni di mercato presentano vantaggi in
relazione a diversi tipi di flessibilità. Quando la flessibilità richiede rapidità di reazioni alle
incertezze di domanda, le transazioni di mercato si mostrano più efficienti rispetto
l’integrazione verticale che in questo caso mostra rigidità. L’integrazione verticale inoltre
può rivelarsi svantaggiosa in termini di rapidità di reazione alle opportunità di sviluppo di
nuovi prodotti che richiedano nuove combinazioni di competenze tecniche. ( Ipod Apple
prodotto tramite contratto di fornitura). Per contro quando è richiesta una flessibilità diffusa
a livello di sistema, l’integrazione verticale può garantire velocità e coordinamento
dell’effettuare adattamenti simultanei a tutti i livelli. Zara come già detto è un’azienda di
abbigliamento, integrata verticalmente, che ha ridotto la durata del ciclo produttivo-
distributivo e massimizzato la velocità di risposta al mercato, facendo dell’integrazione
verticale il tema centrale dell’identità del marchio.
▪ Gestione dei rischi dell’integrazione: Dato che l’integrazione verticale lega saldamente
un’impresa ai suoi fornitori, genera anche una commistione di rischi, dal momento che un
qualsiasi problema a monte si ripercuote su tutti gli stadi successivi della produzione. Questi
problemi diventano gravi quando la tecnologia o le preferenze dei consumatori cambiano
rapidamente.

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La natura e la forma delle relazioni verticali
Acquirenti e venditori possono interagire e coordinare i propri interessi attraverso una varietà di
relazioni. Queste relazioni possono essere classificate sulla base di due caratteristiche. I primo
luogo, la misura in cui acquirente e venditore impegnano risorse nella relazione: Livello di
coinvolgimento. In secondo luogo le caratteristiche formali della relazione: contratti a lungo
termine o franchising comportano generalmente accordi scritti di notevole complessità, i contratti
occasionali pressoché alcuna documentazione, sono regolati dal diritto commerciale.

Diversi tipi di relazione verticale


Diversi tipi di relazione verticale presentano differenti combinazioni di vantaggi e svantaggi. Si
considerano per esempio i seguenti:

▪ Contratti a lungo termine vs contratti spot: le transazioni di mercato possono consistere


sia di contratti di spot ( unica transazione) sia contratti a lungo termine ( serie di transazioni
durante un dato arco di tempo e specificano le condizioni di vendita). I contratti di spot
vanno bene in condizioni di libera concorrenza e quando a nessuno delle due parti è
richiesto un investimento specifico. Se sorge la necessità di uno stretto legame tra acquirente
e fornitore ( in particolare se sono richiesti investimenti specifici) allora occorre stipulare un
contratto a lungo termine per evitare comportamenti opportunistici e che dia sicurezza per
effettuare l’investimento richiesto. Tuttavia i contratti a lungo termine talvolta possono
essere o troppo vincolanti, o troppo vaghi, lasciando spazio a comportamenti opportunistici.
▪ Partnership con i fornitori: riguarda strette relazioni di collaborazione che molte imprese
intrattengono con i loro fornitori, ottenendo vantaggi basati su fiducia e comprensione
reciproca.
▪ Franchising: è un accordo contrattuale fra il proprietario di un’impresa e un marchio
registrato. Il Franchiser permette al franchisee di produrre e commercializzare il proprio
prodotto o servizio in una determinata aerea. Il franchising mette in contatto il marchio, le
competenze di commercializzazione e i sistemi operativi dei grandi gruppi con
l’imprenditorialità e la conoscenza del territorio delle piccole imprese.

24
CAP 16 LA STRATEGIA DI DIVERSIFICAZIONE

La strategia di diversificazione rientra nel corporate strategy ( strategia di gruppo). Il nostro


obiettivo è determinare quali sono le basi per decisioni di strategia di gruppo che creano valore
anziché distruggerlo. E’ meglio essere specializzati o diversificati? Esiste un livello ottimo di
diversificazione? Quali sono i tipi di diversificazione maggiormente in grado di creare valore?
L’era della diversificazione
Gli anni ’70 sono stati caratterizzati dal punto più alto della fase di crescita della diversificazione,
con l’emergere di una nuova forma aziendale, l’impresa conglomerata. Queste aziende altamente
diversificate furono create attraverso un gran numero di acquisizioni fra loro scollegate. La loro
esistenza rifletteva il punto di vista secondo il quale l’alta dirigenza non doveva più
necessariamente disporre di esperienze squisitamente settoriali: la gestione del gruppo richiedeva
semplicemente l’utilizzo delle nuove tecniche di gestione finanziaria e strategica.
Dopo il 1980 la tendenza alla diversificazione ha fatto registrare una brusca inversione di marcia.
Le attività “secondarie” non redditizie furono dismesse e molte aziende diversificato caddero preda
di acquirenti che immediatamente le ristrutturarono. Il motivo principale è stato la maggiore
attenzione nei confronti della redditività anziché la semplice crescita. Questa nuova enfasi sui
profitti era a sua volta il frutto di una concomitanza di fattori. La crescita fiacca e gli alti tassi
d’interesse hanno evidenziato la scarsa redditività di molte grandi imprese diversificate.

L’evoluzione delle teorie di gestione aziendale


L’opinione ottimistica secondo la quale i nuovi strumenti e sistemi di gestione finanziaria e
strategica avrebbero permesso alle imprese di occuparsi di un gran numero di attività diverse fra
loro è stata sostituita dall’ammissione che il vantaggio competitivo richiede di concentrarsi sul
punto di forza fondamentali di risorse e competenze. Se risorse e competenze chiave possono essere
impiegate in mercati di prodotti differenti, esiste la possibilità di operare una diversificazione
redditizia. Di conseguenza l’obiettivo del’analisi della diversificazione è stato quello di identificare
le circostanze nelle quali l’operare in più settori può creare valore.

Motivi della diversificazione: crescita – riduzione del rischio- redditività


Crescita
In assenza di diversificazione le imprese sono prigioniere del proprio settore, il che costituisce una
prospettiva deprimente per le aziende che operano in settori stagnanti o in declino. Per queste
aziende diventa molto interessante l’idea della diversificazione
Riduzione del rischio
Riunire attività diverse in unica struttura proprietaria riduce la varianza del flusso di liquidità
complessivo. Questa riduzione del rischio, tuttavia è più interessante per i dirigenti che per i
proprietari. Gli azionisti possono diversificare il rischio investendo in portafogli diversificati. La
diversificazione aziendale non ha perciò valore per gli azionisti, se non nello specifico caso in cui il
costo di diversificazione dell’impresa è inferiore a quello dei singoli investitori.
Redditività
Porter propone tre test essenziali da eseguire per decidere se la diversificazione creerà
effettivamente valore per gli azionisti:
1. Test di attrattività (analisi del settore): I settori scelti per la diversificazione devono
essere strutturalmente attrattivi o in grado di essere resi attrattivi.

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2. Test costo di entrata( analisi delle barriere): riconosce che per gli outsiders il costo
di’ingresso può controbilanciare l’attrattività del settore. I potenziali entranti devono
scegliere tra due alternative: acquistare un attore consolidato, pagando un prezzo che quasi
certamente rifletterà completamente le prospettive di redditività dell’impresa obiettivo. O
l’impresa può direttamente entrare nel settore tramite la creazione di una nuova impresa,
confrontandosi però con le barriere all’entrata del settore.
3. Better-off test: si basa sul principio stesso del vantaggio competitivo: infatti si valuta se la
diversificazione abbia capacità di accrescere il vantaggio competitivo dell’imprese
acquirente, di quella acquisita o di entrambe. N ella maggior parte dei casi il “better-off” è il
test più importante, perché quasi sempre il test di attrattività e quello del costo di entrata si
bilanciano l’un con l’altro. ( Se i costi di entrata sono alti, di conseguenza l’attrattività del
settore diminuisce).

Diversificazione e vantaggio competitivo


Se la principale fonte del vantaggio competitivo derivante dalla diversificazione è lo sfruttamento
dei legami tra attività differenti, quali sono questi legami e come è possibile sfruttarli?
Economie di scopo
L’argomento più generale a favore della diversificazione si concentra sulla presenza di economie di
scopo nelle risorse comuni: “esistono economie di scopo quando vi sono vantaggi di costo derivanti
dall’utilizzare una risorsa in molteplici attività condotte congiuntamente anziché indipendentemente
La differenza fondamentale tra economie di scopo e di scala è che le economie di scala si
riferiscono a risparmi di costo generati dall’aumentare la scala di produzione di un singolo prodotto,
le economie di scopo invece sono risparmi di costo generati da un aumento dell’output di più
prodotti. La nature delle economie di scopo varia a seconda del particolare tipo di risorsa o
competenza: Risorse tangibili quali sistemi informativi, reti distributivi permettono di raggiungere
economie di scopo tramite la condivisione nell’ambito unità di business differenti: Risorse
intangibili quali i marchi, la reputazione sono soggetti a economie di scopo nella misura in cui
possono essere trasferite da un’area d’affari a un’ altra a un basso costo marginale. Lo sfruttamento
della forza di un marchio attraverso l’introduzione di nuovi prodotti è chiamata estensione del
marchio; Competenze organizzative quali competenze manageriali, possono essere trasferite
all’interno dell’impresa diversificata, esempio Lvmh il più grande e più diversificato produttore al
mondo di articoli di lusso.

Economie generate dall’internalizzazione delle transazioni


Anche se le economie di scopo consentono si realizzare risparmi di costo attraverso il trasferimento
e la condivisone di risorse e competenze, occorre diversificare per poter sfruttare queste
opportunità? La risposta è no. Le economie di scopo possono essere sfruttate tramite la vendita o la
cessione in licenza delle risorse e competenze a un’altra impresa (Walt Disney sfrutta l’enorme
potenziale dei suoi marchi, nel 2005 la concessione di licenze gli ha fruttato oltre 2 miliardi di
dollari).
In che modo lo sfruttamento delle economie di scopo è più efficace: all’interno dell’impresa,
mediante la diversificazione o al suo esterno, attraverso contratti di mercato con aziende
indipendenti? Il problema chiave è quello dell’efficienza relativa: quali sono i costi di transazione
dei contratti di mercato rispetto ai costi amministrativi associati allo svolgimento di attività
diversificate? I costi di transazione includono quelli generati dalla stesura, negoziazione,
supervisione e del far rispettare un contratto. I costi di internalizzazione consistono nei costi
gestionali associati all’istituzione e al coordinamento delle attività diversificate. E’ difficile trovare
una risposta giusta alla domanda se diversificare o stipulare contratti di mercato per ottenere un
vantaggio competitivo, possiamo dire però in linea generale che se la risorsa può essere scambiata o
ceduta in licenza ad un prezzo prossimo al suo valore reale, non è necessario avviare altre attività
per appropriarsi della redditività addizionale. Se, d’altro canto, la risorsa non può essere ceduta

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facilmente, come nel caso di competenze gestionali, allora per generare la redditività addizionale
sarà necessario entrare nel nuovo mercato, e la teoria del vantaggio della capogruppo ( la quale
afferma che se le competenze della società madre aggiungono valore a nuove attività, la scelta
esatta è la diversificazione) spiega quasi tutte le diversificazioni di successo.

I vantaggi informativi delle imprese diversificate


I vantaggi informativi delle imprese diversificate sono davvero rilevanti. Il management del gruppo
ha accesso a maggiori informazioni rispetto a quelle disponibili nei mercati esterni. Specialmente
con riferimento ai mercati interni del lavoro l’impresa diversificata ha notevoli vantaggi: uno dei
problemi fondamentali nell’assumere personale esterno non è tanto il costo quanto la mancanza di
informazioni. Un curriculum e alcune referenze danno solo una scarna indicazione delle capacità di
un perfetto sconosciuto nello svolgere una determinata mansione. L’impresa diversificata
impegnata nello spostamento dei propri dipendenti da una posizione o un’unità interna all’altra
dispone di informazioni dettagliate sulle competenze e sulle caratteristiche dei propri occupati. Di
conseguenza, nello sfruttamento di una nuova opportunità di business un’impresa consolidata è in
posizione più vantaggiosa rispetto a una nuova azienda che deve selezionare da zero i propri
dipendenti.

La performance delle imprese diversificate e specializzate


Nonostante i numerosi studi empirici non è ancora emersa alcuna relazione sistematica e coerente
tra performance economica e grado di diversificazione. Oltre una certa soglia, un grado elevato di
diversificazione tende a essere associato a una minore redditività, probabilmente a causa della
complessità generata dalla diversificazione. Secondo Mckinsey , la diversificazione ha più senso
quando un’azienda ha esaurito le opportunità di crescita nei suoi mercati attuali, e può replicare le
competenze di cui dispone nelle opportunità che emergono al loro esterno. La performance derivata
dalla diversificazione dipende in grande parte anche da come essa è attuata.

Diversificazione correlata e non correlata


Data l’importanza delle economie di scopo nella condivisone di risorse e competenze, sembra più
probabile che la diversificazione in settori correlati sia più redditizia di quella in settori non
correlati. La ricerca empirica, inizialmente, sembrava avvalorare questa ipotesi. Rumelt ha rilevato
che le imprese che si sono diversificate in attività strettamente correlate al loro core business
(business principale) facevano registrate performance sensibilmente superiori rispetto alle imprese
che avevano intrapreso una diversificazione non correlata. Studi successivi hanno reso meno chiaro
il quadro complessivo: affermando che la diversificazione non correlata può essere più redditizia di
quella correlata, in quanto la diversificazione correlata può portare svantaggi in termini di
collegamenti gestionali più complessi. Inoltre bisogna capire il vero e proprio significato di
correlazione nella diversificazione, correlazione che può dipendere dalle strategia e dalle
caratteristiche delle singole aziende. Fra champagne e valigie è difficile immaginare una
correlazione naturale, eppure Lmvh applica a entrambi competenze di gestione del marchio
analoghe.

Significato di correlazione nella diversificazione


La correlazione può essere classificata come:
1.operativa: somiglianza tra settori, in termini di tecnologia e mercato. Le somiglianze si riferiscono
a produzione, marketing, distribuzione ecc.;
2.strategica: necessità di medesime competenze manageriali, di gestione strategica nell’allocazione
delle risorse e attività differenti. La correlazione strategica è la fonte principale di creazione del
valore all’interno di un’impresa diversificata. Le basi di questi legami strategici è la capacità di
applicare le stesse strategie a tutte le attività del portafoglio dell’impresa. C’è da dire quindi che le

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decisioni di diversificazione avvengono sulla base di correlazione percepita dai manager e non
effettiva ( logica dominante).

CAP 17 APPLICARE LA STRATEGIA DI GRUPPO: LA GESTIONE DELLE


IMPRESE DIVERSIFICATE
La caratteristica comune all’imprese diversificate è la loro multidivisionalità (essere divise in un
elevato numero di divisioni e filiali, e a loro volta suddivise in aree d’affari distinte) All’interno
dell’impresa diversificata (multibusiness) , la direzione si occupa della strategia di gruppo e il
management della strategia di business. La separazione fra dirigenti di gruppo e dirigenti di
divisione e quella tra dirigenti e proprietari è alla base dei problemi causati dalle differenze esistenti
fra gli obiettivi perseguiti dai diversi gruppi, normalmente indicati come problemi di agenzia. I
numerosi scandali aziendali degli ultimi anni ( Parmalat), che hanno gettato luce sulle operazioni di
acquisizione portate a termine da diversi amministratori delegati e che hanno portato a una
massiccia distruzione del valore, hanno destato molti dubbi a proposito dell’efficacia della gestione
a livello di gruppo.
Teoria dell’impresa M-FORM
Williamson individuò quattro vantaggi critici in termini di efficienza dell’impresa divisionale ( M-
Form):
1. Adattamento alla razionalità limitata: La struttura multidivisonale evita all’alta direzione
di farsi carico dell’intero processo decisionale e organizzativo, dando possibilità ai manager
di avere poteri decisionali, si ottiene un decentramento delle responsabilità decisionali.
2. Allocazione del processo decisionale: Il modello M-Form separa le responsabilità
decisionali (operative e strategiche) in ragione della frequenza con cui tali decisioni vengono
prese.
3. Minimizzazione costi di coordinamento: Nell’impresa M-form non è necessario uno
stretto coordinamento tra le diverse aree d’affari, gran parte del processo decisionale relativo
ad una specifica attività può essere delegato a livello di divisione, riducendo l’onere
informativo e decisionale a carico dell’alta direzione.
4. Evitare conflitto fra obiettivi: Nelle organizzazioni funzionali, i capi di divisione
privilegiano gli obiettivi funzionali a discapito degli obiettivi dell’organizzazione.
Nell’impresa multidivisionale e più facile che i direttori di divisione, nella veste di direttori
generali, perseguano obiettivi di profitto coerenti con gli obiettivi di performance
dell’impresa.
Williamson riteneva che l’impresa multidivisionale rappresentasse una soluzione a due problemi
fondamentali della gestione a livello di gruppo:
1. Migliore allocazione delle risorse: Nell’impresa multi divisionale nella misura in cui è in
grado di creare un mercato concorrenziale interno in cui il capitale è allocato sulla base di
criteri strategici e finanziari, può evitare gran parte della politicizzazione tipica dei sistemi
puramente gerarchici. L’impresa può pervenire a questo risultato istituendo un mercato
finanziario di tipo concorrenziale, in cui i budget sono collegati alla redditività passata e
attesa delle varie divisioni, e i singoli progetti sono sottoposti a un processo di valutazione
standardizzato.
▪ Soluzione problemi di agenzia: Il problema di agenzia fondamentale è dovuto al fatto che i
proprietari (azionisti) puntano alla massimizzazione del valore dell’impresa, mentre i loro
agenti ( i dirigenti) sono più interessati a stipendi, sicurezza e potere. Nell’impresa
diversificata per l’alta direzione è più facile controllare la performance dei manager, essendo
che ad ogni divisione sono assegnate delle responsabilità. Questo completo accesso alle

28
informazioni permette all’alta dirigenza di sostituire i manager di divisione in modo più
semplice.
Tuttavia l’evidenza empirica evidenzia come nonostante ciò tutt’oggi nelle imprese diversificate
esistano problemi di agenzia.
Mintzeberg evidenzia due problemi relativi all’impresa multidivisionale:
▪ Limiti al decentramento: Anche se le divisioni di un’impresa M-form godono di
autonomia operativa, la singola divisione è spesso caratterizzata da un potere fortemente
accentrato, in parte dovuto alla responsabilità del dirigente di divisione nei confronti
dell’alta direzione. Inoltre la libertà operativa del management di divisione è garantita solo
nella misura in cui il top management è soddisfatto della sua performance.
▪ Standardizzazione della gestione a livello divisionale: Spesso nella realtà accade che vi è
una spinta alla standardizzazione nella gestione, a discapito dell’autonomia delle singole
divisioni.

Il ruolo dei vertici di gruppo


La teoria del vantaggio di capogruppo afferma che un’azienda deve diversificare quando è in grado
di aggiungere alle proprie aree operative più valore di quanto potrebbero fare le rivali.
Le attività attraverso le quali la gestione di gruppo aggiunge valore all’interno di un’impresa
diversificata sono:
▪ Gestione del portafoglio complessivo dell’impresa
▪ Gestione delle interdipendenze tra le diverse attività
▪ Gestione del cambiamento

Le decisioni di portafoglio
Le domande fondamentali della strategia di gruppo sono : “ quale dovrebbe essere il nostro ambito
di attività?” e “come dovremmo gestire le aree d’affari in cui ci impegniamo per generare da esse
più valore possibile?”. I modelli di pianificazione di portafoglio possono aiutare i dirigenti ad
affrontare entrambi quesiti.
L’idea fondamentale di un modello di pianificazione di portafoglio è quella di rappresentare
graficamente le singole aree d’affari dell’impresa diversificata in termini delle principali variabili
strategiche che determinano il loro potenziale di generazione di profitto. Quest’ultime sono di
solito: grado di attrazione del mercato, e vantaggio competitivo dell’impresa all’interno del
mercato. Quest’analisi può fornire indicazioni per quanto riguarda:
▪ Allocazione delle risorse: fra le diverse aree operative sulla base dell’attrattività del loro
mercato e la loro posizione competitiva all’interno di quest’ultimo;
▪ Formulazione di strategia di business: confrontando il posizionamento strategico delle
diverse aree possono emergere eventuali opportunità di posizionamento ( compreso il
disinvestimento):
▪ Analisi di bilanciamento del portafoglio: un quadro complessivo di tutte le attività
permette di valutare il bilanciamento complessivo del portafoglio in termini di generazioni
dei flussi di liquidità e di prospettive di crescita;
▪ Determinazione degli obiettivi di performance: sulla base del grado di attrazione e della
posizione competitiva di ciascun business ( area o attività stesso significato).

Matrice crescita/ quota di mercato del Boston consultino group (Bcg)


La matrice Bcg utilizza l’attrattività del settore e la posizione competitiva per confrontare il
posizionamento strategico di diverse aree d’affari. Per misurare l’attrattività del settore utilizza
come indicatore il tasso di crescita del mercato, per misurare la posizione competitiva utilizza la
quota di mercato relativa ( il rapporto tra la quota di mercato del business e quella del principale
concorrente). La matrice inoltre considera il contributo di ogni singolo business all’impresa, tale

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elemento è misurato in termini di fatturato ed è rappresentato dall’area dei cerchi indicanti i singoli
business dell’azienda. Il portafoglio di business rappresentato nella matrice Bcg è suddiviso in
quattro quadranti, che prevedono l’evoluzione futura dei profitti e dei flussi di cassa e forniscono
suggerimenti sulle strategie da adottare.

STAR
▪ Alto grado di attrattività e forte posizione competitiva
▪ Generazione di una forte quantità di cassa, ma necessità di ingenti investimenti per
mantenere la propria forza competitiva
▪ Cash-flow: alquanto limitato (o positivi o negativi)
▪ Utili : elevati
▪ Strategia : investire nella crescita

QUESTION MARKS
▪ Costituiscono opportunità non ancora sfruttate (in quanto il tasso di crescita del mercato è
elevato) ,ma l’impresa non ha ancora raggiunto una presenza rilevante nel mercato (= bassa
quota di mercato relativa).
▪ Necessità di operare una selezione per individuare i business che possono diventare davvero
trainanti.
▪ Cash flow: fortemente negativo, a causa degli investimenti da effettuare.
▪ Utili : bassi
▪ Strategia: analizzare il sistema per capire se l’attività si tramuterà in star (investire) o dog
(disinvestire)

CASH COW
▪ Si caratterizzano per un’enorme forza competitiva all’interno di un mercato in declino, per
cui generano un flusso di cassa maggiore rispetto ad ogni possibile reinvestimento al loro
interno.
▪ Cash flow: costituiscono una sicura fonte di cassa da investire nello sviluppo degli altri
business dell’azienda.
▪ Utili: alti
▪ Strategia: mungere

DOG
▪ Business in grave perdita, con scarsa attrattività e profonda debolezza.
▪ Cash flow: negativi o al massimo molto limitati, che risultano appena sufficienti per
mantenere l’attività.
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▪ Utili: bassi
▪ Strategia: Se non ci sono possibilità di crescita, la strategia più opportuna pare essere quella
della mietitura o del disinvestimento

Qual è il portafoglio ideale?


Costituito essenzialmente da stars e cash cows, in grado di alimentare una o più question marks.
Attenzione però al ciclo del prodotto: le star diventano tali solo dopo essere state delle question
marks, e bisognerà prepararsi a gestire il loro declino fino a quando diventano dogs. E’ possibile
quindi utilizzare la matrice BCG per ripercorrere concettualmente il ciclo di vita di un
prodotto/business:
Fase I: New entry nel mercato, Question Mark
Fase II: Crescita, Star
Fase III: Maturità, Cash Cow
Fase IV: Declino, Dog

Vantaggi e limiti della matrice Bcg


I vantaggi della matrice Bcg senza dubbio sono la sua versatilità, e la facile interpretazione. Gli
svantaggi sono costituiti da un approccio troppo schematico alle determinanti dell’attrattività di
settore e del vantaggio competitivo, altri problemi sono legati alla definizione di mercato. Per
esempio , il business automobilistico di Bmw è un “cane”, dato che la sua quota nel mercato
automobilistico mondiale è inferiore al 2%, o una “mucca” generatrice di liquidità, essendo leader
di mercato nel settore delle auto di lusso? Un problema ancora maggiore è l’assunto implicito che
tutte le attività nel portafoglio siano fra loro indipendenti, il che rappresenta la negazione della
giustificazione fondamentale alla base dell’impresa diversificata: l’esistenza di sinergie fra i
business.

La matrice Ge/ Mckinsey


La matrice Mckinsey nasce come critica alla matrice Bcg e utilizza a differenza di qest’ultima
variabili aggregate, ossia un insieme di elementi che caratterizzano l’attrattività del settore ( asse
dell’ordinate) e vantaggio competitivo ( asse dell’ascisse).
L’attrattività del settore è data da: dimensione del mercato, tasso di crescita del mercato,
redditività del settore , ciclicità , reattività all’inflazione , importanza dei mercati esteri.
La posizione competitiva viene calcolata in base a: posizione di mercato ,posizione competitiva,
redditività delle vendite (ROS) .
Le implicazioni strategiche sono illustrate nella matrice:

VANTAGGIO COMPETITIVO DELL’AREA D’AFFARI


Basso Medio Alto

A Bassa
T Mietere
T
R
.
S Media Mantenere
E
T
T
O Alta
Crescere
31
R
E

Alta priorità d’investimento Media priorità d’investimento Bassa priorità d’investimento


Limiti della matrice McKinsey
•Semplificazione dei fattori che determinano l’attrattività dei settori e la posizione competitiva;
• Limiti di misurazione per il posizionamento all’interno della matrice es. misurazione della quota
dipende dalla definizione dei confini del mercato;
• Indipendenza dei business – è necessario definire e misurare le correlazioni;
• Le attività non vanno valutate in modo statico ma nella loro evoluzione;
• L’uscita dal mercato o il disinvestimento non sempre avviene perché talora si può trattare di
attività “sicure” oppure ci sono barriere all’uscita.

Il sistema di pianificazione strategica


Nella maggior parte delle imprese diversificate a struttura divisionale, il processo iniziale di
formulazione della strategia è a carico dei manager di divisione, mentre al top management spetta il
compito di valutare, rettificare e approvare le proposte. La sfida per il management a livello di
gruppo è creare un processo di formulazione della strategia che permetta di conciliare un processo
decisionale decentrato, necessario per garantire la flessibilità, la capacità di reazione e un senso di
appartenenza a livello di unità di business, con la capacità dell’alta dirigenza di far valere le proprie
conoscenze, la propria lungimiranza e la propria responsabilità nei confronti degli azionisti.
Raggiungere il giusto equilibrio tra iniziativa a livello divisionale e guida e disciplina a livello di
gruppo è una grande sfida per le imprese diversificate (successi di Samsung, General Electric).

Il controllo sui risultati e il processo di budgeting


La maggior parte delle imprese multi business adotta un duplice processo di pianificazione: la
pianificazione strategica che si concentra sui risultati di medio e lungo periodo, e la pianificazione
finanziaria che esercita una funzione di controllo sui risultati di breve periodo. Generalmente il
primo anno del piano strategico include la pianificazione finanziaria per l’anno entrante con un
budget operativo, un budget degli investimenti e obiettivi strategici in termini di quota di mercato,
livelli di output e di occupazione. I piani annuali sono approvato congiuntamente dai responsabili di
gruppo e delle aeree d’affari, vengono monitorati su base mensile o trimestrale e al termine di
ciascun anno finanziario vengono giudicati e valutati nel corso di incontri di discussione dei risultati
tra i manager delle aree d’affari e quelli di gruppo.

L’equilibrio fra pianificazione strategica e controllo finanziario


Un’implicazione del tradeoff tra controllo degli input (decisioni) e controllo degli output (
performance) è che le imprese devono individuare un punto di equilibrio fra pianificazione
strategica e controllo finanziario. Goold e Campbell hanno classificato gli stili di direzione
strategica in due categorie:
o Aziende a pianificazione strategica:
-coinvolgimento del vertice nella pianificazione delle singole unità di business
-ottica del lungo periodo
-limitata indipendenza dei manager di divisione
-ridotto senso di appartenenza
-tipico di aziende con numero limitato di attività altamente tecnologiche od operanti in mercati
internazionali
o Aziende a controllo finanziario:
-scarso coinvolgimento del vertice nella pianificazione delle singole unità di business
-ottica del breve periodo

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-indipendenza dei manager di divisione
-alto senso di appartenenza dei manager e ambiente stimolante
-tipico di aziende diversificate, con bassa intensità tecnologica, che operano in mercati con bassa
competitività internazionale

L’analisi Pims (Profit Impact of Market Strategies)


Il progetto Pims offre ai dirigenti di un gruppo diversificato un insieme di tecniche per valutare i
risultati delle diverse aree operative e formularne le strategie. Pims ha le sue origini nel database
interno di General Electric, ed è ora gestito dallo Strategic Planning Institute
I dati Pims vengono utilizzati in tre aree di gestione aziendale:
1.definizione degli obiettivi e delle aree d’affari (calcolo del Par ROI);
2.formulazione delle strategie delle unità di business
3.allocazione delle risorse tra le aree d’affari (esame strategico dell’attrattività).

La gestione delle interdipendenze fra le aree d’affari ( business)


Le maggiori opportunità per la creazione di valore in un’impresa multi business sorgono dalla
possibilità di sfruttare economie generate dalla condivisione di risorse e dal trasferimento di
competenze tra i diversi business. Questa condivisione ha luogo sia attraverso l’accentramento di
servizi comuni a livello d’impresa, sia attraverso le interdipendenze dirette tra le unità di business.
Condivisione di servizi
la forma più semplice di condivisione di risorse in un’impresa multi divisionale è l’accentramento
delle strutture preposte all’erogazione di funzioni e servizi di interessi generale. Questi includono la
pianificazione strategica, il controllo finanziario, la gestione della tesoreria e del rischio, la
revisione contabile interna, l’area fiscale, le relazioni con gli enti pubblici e le relazioni con gli
azionisti. Possono inoltre riguardare quei servizi che sono forniti in modo più efficiente quando
sono gestiti in maniera accentrata, come la ricerca, la progettazione, la gestione delle risorse umane
ecc. Nella pratica, i benefici offerti dall’accentramento delle strutture di servizio tendono a essere
inferiori alle aspettative dei dirigenti. La fornitura centralizzata evita la duplicazione dei costi, ma la
direzione di gruppo e le unità specializzate possono essere scarsamente incentivate a venire incontro
ai bisogni dei loro colleghi a livello di business. In molte aziende è stato osservato che il personale
della direzione tende a crescere per inerzia e che le economie generate dall’erogazione accentrata
dei servizi sembrano essere di scarsa entità.
Di conseguenza molte imprese decisero di separare la direzione generale in due sezioni:
-Unità di gestione a livello di gruppo: con mansioni di supporto alle attività distintive della
direzione ( pianificazione strategica, finanziaria, legale)
-Organizzazione di servizi: preposta all’erogazione di servizi di utilità generale quali ricerca,
sviluppo e progettazione.
Le interdipendenze tra le attività e le strategie di gruppo secondo Porter
Michael Porter sostiene che il modo in cui un’impresa gestisce le interdipendenze tra attività,
determini la sua capacità di creare valore per gli azionisti. Egli identifica quattro tipi di strategia di
gruppo:
▪ Gestione del portafoglio: è la forma più limitata di condivisione delle risorse, in cui la
società madre acquisisce un portafoglio di imprese attrattive e ben gestite, permette loro di
operare autonomamente e crea interdipendenze tra loro attraverso un efficiente mercato dei
capitali interno. ( holding finanziaria)
▪ Ristrutturazione: le aziende conglomerate creano valore prevalentemente attraverso la
ristrutturazione: acquisendo aziende gestite male e successivamente intervenendo per
nominare un nuovo gruppo dirigente, dismettere i business con risultati inadeguati,
ristrutturare i bilanci e tagliare i costi.

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▪ Trasferimento di competenze: è possibile trasferire competenze organizzative tra le
diverse unità di business. Lvmh trasferisce competenze nella gestione dei marchi e nel
campo della distribuzione fra le proprie numerose attività nel settore dei marchi di lusso
▪ Condivisione delle attività: Porter sostiene che la più importante fonte di valore è lo
sfruttamento delle economie di scopo generate dalla condivisione delle risorse e
competenze. Il presupposto per la realizzazione di queste economie è che la direzione di
gruppo ricopra un ruolo chiave di coordinamento. Porter sostiene che il valore aumenta nel
passaggio progressivo da una strategia di “libera gestione di portafoglio” a una strategia di
“interrelazione tra le attività”, ma per ottenere il successo è necessario che le attività siano
sufficientemente simili tra loro a livello strategico per permettere al management di
utilizzare una logica dominante comune.

La gestione del cambiamento nell’impresa diversificata


Nel corso di questo decennio la sfida principale per l’impresa diversificata è stata, in primo luogo,
quella di creare valore sfruttando i collegamenti fra le varie attività e migliorando l’integrazione
all’interno del gruppo,in secondo luogo, aumentare la velocità di reazione al cambiamento esterno e
accelerare il ritmo dell’evoluzione organizzativa.

La creazione di valore attraverso la ristrutturazione aziendale: Il pentagono di Mckinsey


Verso la fine degli anni ’80 e per tutti gli anni ’90 un gran numero di grandi gruppi nord americani
ed europei hanno attraversato fasi di intensa trasformazione, scatenate di solito da un declino della
performance finanziaria o da qualche minaccia esterna. Per la maggior parte delle imprese
diversificate il sentiero dello sviluppo è consistito in una serie di iniziative strategiche incrementali;
per questo motivo una periodica ristrutturazione del gruppo, basata su un esame approfondito delle
diverse unità d’affari e una riconsiderazione del portafoglio complessivo di attività può
rappresentare un momento critico del tentativo di rivitalizzare l’azienda.
Il modello del pentagono di Mckinsey propone un approccio sistematico all’analisi del potenziale
aumento del valore di mercato di un’impresa diversificata mediante una ristrutturazione del gruppo.
L’analisi è composta da cinque passagi:

Valore di mercato attuale

Valore ideale dopo la


Valore dell’impresa 2 5 ristrutturazione
così com’è MODELLO
DI
RISTRUTTURAZIONE

3 4
Valore potenziale con
Miglioramenti interni Valore potenziale con
Miglioramenti esterni

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1 – Il valore di mercato corrente dell’impresa: il punto di partenza dell’analisi è il valore di
mercato corrente dell’impresa, che comprende il valore del capitale proprio e del debito
2 – Il valore dell’impresa così com’è: esiste la possibilità di incrementare il valore di mercato
semplicemente modificando le percezioni sulle prospettive future dell’impresa, senza alcun
cambiamento strategico o operativo
3 – Il valore potenziale dell’impresa in seguito a miglioramenti interni: come già visto la
direzione di un’impresa può aumentare il valore complessivo dell’impresa attraverso miglioramenti
strategici e operativi delle singole attività allo scopo di massimizzare i flussi di cassa. Questi
miglioramenti possono includere occasioni di crescita su scala globale, esternalizzazione di alcune
attività e opportunità di riduzione di costi
4 - Il valore potenziale dell’impresa in seguito a miglioramenti esterni: dopo aver quantificato il
valore dei singoli business, la direzione deve determinare se le variazioni del portafoglio di attività
portino ad un incremento del valore complessivo dell’impresa. Quindi valutare opportunità di
cessioni o acquisizioni.
5 – Il valore ideale dell’impresa dopo la ristrutturazione: i quattro passaggi precedenti
definiscono il possibile massimo valore raggiungibile dell’impresa. Se questi interventi possono
essere effettuati anche da un altro proprietario dell’azienda, la differenza fra il massimo valore
potenziale dell’impresa ristrutturata e il valore di mercato corrente rappresenta il potenziale di
profitto a disposizione di un raider esterno.

Materiale integrativo: teorie delle finalità imprenditoriali

L’attività d'impresa è l'espressione di una volontà imprenditoriale, difatti l'impresa in quanto tale
non ha proprie finalità, i fini sono il frutto delle decisioni di coloro che la gestiscono.
Ciò implica che tutte le imprese non hanno un unica e uguale finalità, che varia a seconda della
volontà dell'imprenditore o manager. A tal proposito vi sono diversi contributi teorici.
Teoria della massimizzazione del profitto: il comportamento dell'imprenditore è orientato al
conseguimento del più ampio divario tra ricavi e costi di gestione. Il profitto è inteso come un entità
composta dal : compenso spettante all'imprenditore per l'organizzazione dei fattori produttivi, la
quota destinata a ripagare il rischio corso nell'attività aziendale e il premio spettante per la sua
attività di innovazione ;
Teoria della sopravvivenza aziendale: il fine dell' imprenditore è quello di assicurare la continuità
dell'organismo aziendale, il profitto è visto come un mezzo per la sopravvivenza e per rafforzare la
struttura patrimoniale dell'impresa. Indicatori di sopravvivenza sono : ruolo dell'impresa nel
mercato, innovazioni, risorse umane e finanziare e redditività dell'impresa ;
Teoria creazione e diffusione valore : la finalità è quella di accrescere il valore economico
dell'impresa nel tempo, e quindi di produrre risultati sempre migliori nel tempo;
Teoria manageriale dello sviluppo dimensionale: le finalità di tale teoria sono quelle di espandere
l'impresa, il profitto anche qui ha un ruolo strumentale, svolge infatti una funzione di
autofinanziamento che permette all'impresa di ingrandirsi, e chiaramente un maggiore fatturato
permette retribuzioni più alte alla componente management;
Teoria dei limiti sociali alla massimizzazione del profitto: Tale teoria afferma che il massimo
profitto non può ottenersi a causa di vincoli sociali e non, il reddito quindi, è un risultato che deriva
da accordi di cooperazione o dalla composizione di conflitti interni ed esterni. La sua misura non è
mai liberamente determinabile dall'imprenditore e il fine del massimo profitto diviene, così, il fine
del massimo profitto condizionato.
Teoria del successo sociale e i rapporti con l'etica d'impresa: tale teoria allarga il concetto
della teoria di creazione del massimo valore economico ,infatti evidenzia come talvolta il fine
economico diviene un mezzo per il raggiungimento di obiettivi morali e sociali. In ordine crescente
quindi l'imprenditore si pone innanzitutto l'obiettivo di assicurare la sopravvivenza della propria

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azienda ( Teoria della sopravvivenza aziendale ) e inoltre punta all'affermarsi nella comunità e di
assumere con la sua impresa un ruolo di preminenza nel mercato.
La finalità imprenditoriale di questa teoria può sintetizzarsi semplicemente in 3P : che
rappresentano in scala crescente,anche in base al tempo, profitto, potere, prestigio, infatti valori
economici e morali nel lungo periodo tendono a convergere. Riflettendo su questa teoria si nota
come essa si rispecchia nella realtà attuale, infatti forse oggi più che mai nella società del terzo
millennio l'essere umano tende sempre più al successo sociale che gli si può facilmente essere
riconosciuto tramite i mezzi di informazione: televisione, radio, internet. Al giorno d'oggi forse
proprio la voglia di successo ha invertito in alcuni casi i valori della scala , a volte si accettano
incarichi per prestigio, non guardando inizialmente al profitto.
Un successo aziendale per poter essere solido e per poter ricadere sullo status sociale
dell’imprenditore deve poggiare senza dubbio sul rispetto di equilibri economici e di valori morali,
infatti è proprio in questi casi che l' immagine dell'imprenditore si rivela determinante ai fini
aziendali.
Toccando con mano la realtà a mio parere un esempio lampante è il caso di Steve Jobs, fondatore
dell'azienda Apple, scomparso recentemente il 5 Ottobre 2011. La sua scomparsa ha provocato un
terremoto emotivo in tutto il mondo provocando uno stravolgente boom di vendite dei prodotti
Apple già poche ore dopo la sua morte , è stata quasi una sorta di riconoscimento alla grande
persona che ha cambiato il mondo tecnologico, e le persone non hanno potuto fare a meno di avere
l'onore di possedere un prodotto che portasse il suo marchio. Da ciò si può notare come il successo
sociale di un imprenditore fondato sul rispetto di valori morali possa avere una funzione aziendale e
risultare una componente determinante ai fini aziendali. C'è da aggiungere che al giorno d'oggi le
persone si ritrovano nel mercato moltissimi prodotti simili con stesse caratteristiche e la scelta
spesso non è semplice, ed è proprio in questi casi che il consumatore è portato a scegliere quel
prodotto marchiato dall'azienda che rispetta l'etica d'impresa sentendosi più sicuro della propria
scelta fatta.

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