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CAPITOLO 6 LE STRATEGIE DI CRESCITA

La strategia verticale determina i confini “verticali” (a monte e a valle) dell’attività


svolta dall’impresa, ovvero nella scelta dell’attività che l’impresa intende svolgere
direttamente al suo interno e di quelle che affida all’esterno. L’integrazione verticale
di un’impresa descrive attività verticalmente correlate ai fini della produzione di un
determinato output. Volpato definisce la filiera produttiva come l’insieme di
lavorazioni conseguenti che vengono effettuate per trasformare un certo insieme di
materie prime in un prodotto finito per poi collocarlo sul mercato.

Quanto è maggiore questo numero di attività correlate tanto più è elevato il grado di
integrazione dell’impresa. Il processo di integrazione verticale può procedere:
• a monte → l’impresa assume il controllo diretto delle attività di produzione di
input che in precedenza erano acquisiti all’esterno (es. Whole Foods);
• a valle → l’impresa porta al suo interno le attività di produzione che utilizzano
gli output in precedenza venduti a soggetti esterni che svolgevano
direttamente quelle attività (es. Apple).

Criterio fondamentale per determinare i confini verticali è quello del costo.


L’impresa tende a realizzare all’interno quelle attività il cui costo è inferiore al prezzo
da pagare se eventualmente fossero prese dall’esterno. Per conoscere l’attività da
realizzare all’interno si veda la relazione:

(Cp + Ca) ≤≥ (P + Ct)


ove:
Cp = costi interni di produzione dell’attività
Ca = costi amministrativi derivanti dalla gestione dell’attività all’interno dell’impresa
P = prezzo da pagare per quello stesso output da acquistare sul mercato
Ct = costi che l’impresa sostiene per le operazioni inerenti all’acquisto dell’output

In un mercato in concorrenza perfetta dove il prezzo di vendita è uguale al costo di


produzione interno dell’impresa la scelta del grado di integrazione verticale è
ricondotta al confronto tra i costi amministrativi ed i costi di transazione. Secondo la
teoria di Coase, l’integrazione verticale è il frutto di una scelta aziendale volta a
minimizzare i costi per un determinato input produttivo o per poter realizzare un
certo output finale. Integrazione verticale e transazioni sul mercato non sono le
uniche alternative possibili per ottenere un certo fattore di produzione, ma le due
situazioni estreme. Una relazione intermedia è chiarita dalla “teoria dell’agenzia”;
essa spiega il rapporto fra due soggetti: l’agent agisce nell’interesse dell’altra, il
principal, dove però si evidenziano problemi di assimetria informativa esistenti.

Nella fase di introduzione l’impresa è fortemente integrata sia a monte che a valle.
La fase di sviluppo è caratterizzata da un processo di “deintegrazione”, favorita in
primo luogo dall’entrate di numerosi nuovi operatori. Nella fase di maturità, da un
lato c’è l’esigenza di minimizzare i costi totali, dall’altra parte l’affermarsi di una
strategia di nicchia o di “grandi volumi” spingono l’impresa a concentrare i propri
sforzi su poche attività. L’integrazione verticale si riflette sia sui costi di produzione,
sia sulle modalità di creazione di valore per il cliente, sia infine sul grado di controllo
che l’impresa ha sulle dinamiche competitive di tipo verticale e orizzontale.

I vantaggi dell’integrazione verticale sul piano dei costi si manifestano con


l’integrazione di attività di una filiera produttiva realizzate all’interno dell’impresa,
l’integrazione permette di controllare quelle attività che maggiormente risultano
cruciali per la determinazione del valore finale del prodotto. L’impresa può essere
spinta a intervenire in attività della filiera a monte o a valle rispetto a quelle di
origine, dall’intento di controllare la concorrenza nel proprio mercato.
L’integrazione verticale comprendono dal punto di vista del costi transazionali, quei
costi di amministrazione o di coordinamento delle attività realizzate all’interno
dell’impresa. Questi costi sono chiamati da Milgrom e Roberts “influence costs”
(costi di influenza). Si tratta dei costi sostenuti dalle diverse unità organizzative al
fine di orientare a loro favore l’allocazione delle risorse. Quanto più la struttura
organizzativa è complessa e articolata tanto più i costi di influenza sono elevati.

Con le forme contrattuali di quasi-integrazione verticale l’impresa può stabilire con


il proprio fornitore o cliente una relazione di lunga durata attraverso un idoneo
contratto. Nella relazione verticale verso valle, il franchising rappresenta una forma
importante e diffusa di integrazione contrattuale. Sulla base di questo contratto un
soggetto franchisor garantisce la fornitura dei propri prodotti o servizi ad un altro
franchisee che si impegna a distribuirli in esclusiva impegnandosi nei loro confronti a
rispettare una certa politica di prezzo nel mercato.

La strategia di diversificazione è l’insieme di azioni indirizzate a sviluppare la


presenza competitiva in una molteplicità di settori non necessariamente correlati.
Può essere attuata in maniere diverse:
• attraverso crescita interna;
• attraverso accordi (in particolare il joint venture);
• attraverso fusioni e acquisizioni di imprese collocate nel settore in cui si
diversifica.

La diversificazione si distingue in base al grado d’intensità che può essere:


• di tipo conglomerale → descrive l’espansione dell’impresa in settori
sostanzialmente privi di alcun collegamento di mercato con quelli in cui essa è
già insediata;
• di tipo correlato → descrive l’operare dell’impresa in ambiti competitivi che,
per quanto distinti, sono connessi.

I fattori che determinano la correlazione sono:


• utilizzazione delle stesse risorse tangibili o intangibili;
• condivisione di competenze organizzative;
• condivisione di approccio strategico;
• condivisione di attività e di procedure operative.

La correlazione tra due settori diversificati può essere descritta attraverso tre criteri
fondamentali:
• l’intensità;
• la sua direzione;
• i fattori attraverso i quali si esprime la correlazione stessa.

Le spinte che portano ad attuare da parte dell’impresa le strategie di diversificazione


sono:
• scarsa opportunità di crescere nel settore di provenienza;
• capacità e risorse in eccesso rispetto all’attività nel proprio settore;
• riduzione del rischio, l’impresa che opera in più aree riduce la variabilità totale
dei rendimenti che essa può ottenere complessivamente nei diversi mercati e
quindi riduce il rischio;
• riconversione industriale, l’impresa di fronte ad una crisi strutturale della sua
presenza nel settore può decidere di convertire la propria produzione su altri
mercati;
• l’aumento del potere di mercato dell’impresa che permette a quest’ultima di
attuare politiche che hanno effetto sul controllo della concorrenza.
Le tre politiche che si possono attuare, grazie alle strategie di diversificazione, sul
controllo della concorrenza sono le seguenti:
• il cosiddetto dumping → prevede che l’impresa utilizzi gli alti margini
economici che ottiene in un settore dove gode di una posizione competitiva
forte o per finanziare una politica di prezzo molto aggressiva in altri settori
dove è più esposta alla concorrenza. Questa strategia diviene illecita se
l’impresa fissa un prezzo più basso dei propri costi di produzione (prezzo
predatorio);
• l’acquisto reciproco → l’impresa opera in un settore dove i suoi clienti
possono essere anche suoi fornitori in un altro settore dove essa è
diversificata;
• le interdipendenze con i concorrenti.

L’internalizzazione dell’impresa è il risultato di un preciso orientamento strategico


che forma investimento di risorse e la coivolge in una rete di relazioni con altri
soggetti presenti nelle varie aree geografiche. Le forze interne che spingono
all’internalizzazione sono:
• l’acquisizione di vantaggi competitivi;
• sfruttamento delle aree geografiche;
• ricerca nelle aree di condizioni che possono tradursi in elementi di vantaggio
competitivo per l’impresa.

I fattori esterni sono connessi all’adeguamento o allo sfruttamento degli stimoli


dall’ambiente rilevante. Le leve competitive che un’azienda può sfruttare sono:
• un asset intangibile per sviluppare maggiori conoscenze;
• strategie di comunicazione e di marketing;
• una immagine internazionale;
• una maggiore riconoscibilità della marca e del prodotto per il consumatore;
• un altro vantaggio competitivo che consiste nell’effetto made-in. Questo
effetto si manifesta nella percezione del consumatore che attribuisce valore ai
prodotti realizzati in una determinata area geografica.

Le fasi normali in cui si può dividere il processo d’internalizzazione sono:


• entrata nel mercato estero, scelte che riguardano le modalità operative per
entrare nella nuova area (esportazione, accordi, joint ventures, investimento
commerciale e produttivo diretto, etc.);
• assestamento, della presenza nel mercato estero, nella gestione dell’impianto
economico, strategico e organizzativo della nuova dimensione geografica
delle attività;
• sviluppo della posizione competitiva nel mercato estero, arricchimento di un
sistema di relazioni con gli stakeholders locali;
• razionalizzazione della sua posizione produttiva e commerciale nelle diverse
aree geografiche.

La catena del valore di ogni area di business in cui l’impresa è impegnata viene
organizzata a livello globale, perseguendo un triplice obiettivo:
• ottimizzare la struttura dei costi di produzione;
• sfruttare i vantaggi competitivi offerti dalla presenza nelle diverse aree
geografiche;
• beneficiare delle interdipendenze strategiche che si possono delineare tra le
catene del valore, organizzate a livello mondiale, dei diversi business.

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