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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Management strategico e corporate


governance

- Appunti integrati con slides e spiegazioni (Prof.ssa Penco – Prof. Genco)


- Domande frequenti

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

STRATEGIA E VALORE
Cosa significa creare valore? La creazione di valore in condizioni di economicità (bilanciamento tra costi e
ricavi) consiste nella progettazione e nella realizzazione di risposte utili ai bisogni espressi dal mercato
attraverso un uso appropriato e conveniente delle risorse (concetto di efficienza: l'abilità di raggiungere gli
obbiettivi massimizzando i ricavi o minimizzando i costi/ efficacia: la capacità di raggiungere l'obiettivo
prefissato).
La creazione del valore si deve sostanziare in base al soggetto per il quale il valore è creato. Può essere
inteso come:
-Valore per il cliente -Valore per l’azionista -Valore per lo stakeholder
Cosa significa strategia? La strategia è un concetto che evoca un modello decisionale la cui caratteristica è
quella di coordinare tra loro tre elementi fondamentali:
1. Obiettivi
2. Risorse e competenze
3. Linee d’azione.
La strategia costituisce inoltre la mediazione tra l’ambiente interno e quello esterno. Nella definizione delle
proprie linee strategiche è infatti necessario partire dall’analisi delle opportunità e delle minacce derivanti
dall’ambiente esterno e dai punti di forza e di debolezza dell’impresa.
I fattori comuni alla base di una strategia di successo sono: a. L’identificazione di obiettivi a lungo termini,
semplici, coerenti e condivisi; b. La profonda comprensione dell’ambiente competitivo c. La valutazione
obiettiva delle risorse d. L’implementazione efficace
La creazione di valore è un modo per definire sinteticamente gli obiettivi strategici dell’impresa che risulta:
- razionale, in quanto, se l’impresa è in grado di soddisfare chi ha investito nell’impresa stessa, ciò
ispira la sopravvivenza e lo sviluppo equilibrato dell’impresa a lungo termine
- largamente condivisibile da tutti coloro che hanno un interesse alla vitalità dell’impresa
- stimolante per la professionalità di imprenditori e di manager
- misurabile, e quindi efficace per verificare se gli obiettivi sono stati raggiunti.
La strategia è il momento in cui si definiscono:
➔ gli obiettivi e i comportamenti finalizzati a creare valore per il cliente, per gli shareholders (azionisti)
e per gli stakeholders (tutti coloro che hanno interesse, proprietà, diritti nei confronti di un’impresa)
➔ i collegamenti tra i tre “subsistemi”: cliente, shareholders, stakeholders (figura sotto)

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Nella figura vengono descritte le interrelazioni tra subsistemi del valore. Nel processo di creazione del
valore, il valore per il cliente finale assume un ruolo centrale: l’impresa infatti può creare valore per gli
shareholders e più genericamente per gli stakeholders soltanto se sviluppa un sistema di offerta che genera
per i clienti un valore d’uso percepito positivo e superiore al valore atteso. Allo stesso tempo la creazione di
valore per gli stakeholders consente di attrarre risorse, contributi e consensi che, se destinati al
miglioramento del sistema di offerta possono contribuire alla creazione di nuovo valore per i clienti.
CREAZIONE DI VALORE PER IL CLIENTE
L’impresa crea valore per il cliente solo se questi riconosce al sistema di offerta proposto dall’impresa, un
valore d’uso percepito (valore sperimentato o che il cliente percepisce di ricevere effettivamente, grazie
all’utilizzo del sistema di offerta) maggiore o uguale al valore atteso (valore che il cliente percepisce di
dover ricevere). Nel momento in cui il valore percepito è maggiore al valore atteso questo innesca un
sistema di soddisfazione che pone le basi per un vantaggio competitivo.
Massimizzare il valore per i clienti dell’impresa, significa formulare e porre in essere strategie volte ad
ottenere il più ampio spread positivo possibile tra benefici e costi percepiti dal cliente durante il processo di
acquisto ed uso dei prodotti/servizi offerti. Il valore, pertanto, acquisisce rilevanza e significato dal punto di
vista del cliente.
La strategia è finalizzata a creare un vantaggio competitivo duraturo e difendibile. Il vantaggio competitivo
nasce dal maggior valore che un’azienda è in grado di creare per i suoi clienti rispetto ai concorrenti (e deve
essere tale da fornire risultati superiori ai costi sostenuti dall’impresa per crearlo). Il valore rappresenta
quanto i consumatori sono disposti a pagare l’output dell’azienda.
“Se i clienti sono serviti con eccellenza, il vantaggio competitivo viene da sé” (Abell, 1994 ->ASA)
Un valore superiore può derivare:
A. dall’offrire prezzi più bassi della concorrenza per vantaggi equivalenti (vantaggio di costo)
B. dal fornire vantaggi unici che controbilancino abbondantemente un prezzo più alto (vantaggio di
differenziazione).

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Le due fonti di vantaggio competitivo definiscono due approcci fondamentali e differenti alla strategia di
business (implicando sostanziali differenze in termini di posizionamento sul mercato, di risorse e
competenze richieste; di caratteristiche organizzative)
Vantaggio di costo: Il vantaggio di costo si basa sulla riduzione dei costi unitari dell’impresa, che devono
risultare inferiori a quelli dei propri concorrenti. Per fare ciò l’impresa deve sfruttare la curva di esperienza
che combina le seguenti fonti di riduzione di costo:
Economie di scala Economie di apprendimento Tecnologia e la progettazione di processo
Progettazione di prodotto Utilizzazione della capacità produttiva Costi di approvvigionamento
Efficienza residuale (che dipende dalla capacità dell’impresa di eliminare le risorse in eccesso o
l’inefficienza dovuta ai costi superflui)
Vantaggio di differenziazione: Il vantaggio di differenziazione si realizza quando un’impresa riesce a
conseguire, grazie alla differenziazione, un premio sul prezzo che eccede il costo sostenuto per realizzarla.
La possibilità di differenziare un prodotto o un servizio è in parte determinata dalle sue caratteristiche
fisiche. I prodotti/servizi complessi (come una vacanza, la visita di un museo, ecc.), soddisfando bisogni
complessi, offrono maggiori possibilità di differenziazione. La strategia di differenziazione va oltre le
caratteristiche fisiche del prodotto/servizio, prendendo in considerazione ogni elemento del prodotto servizio
che influenza il valore per il consumatore. La differenziazione può riguardare ogni aspetto della relazione
impresa/cliente. La differenziazione non è un’attività limitata al design di prodotto o al marketing, ma è
estesa a tutte le funzioni ed è incorporata nell’identità e nella cultura di un’impresa (cfr. l’importanza
dell’immagine aziendale complessiva per le imprese produttrici di alimenti biologici).
Le opportunità di differenziazione possono essere distinte in tangibili e intangibili. Le opportunità di
differenziazione intangibili nascono perché il valore che i clienti percepiscono di un prodotto/servizio
dipende da anche da considerazioni sociali, emotive, psicologiche ed estetiche.

STRUMENTI PER L’ANALISI DEL VANTAGGIO COMPETITOVO


1) LA CATENA DEL VALORE
La catena del valore costituisce uno strumento fondamentale per analizzare le fonti del vantaggio
competitivo e il valore creato per il cliente. Attraverso di essa l’impresa viene scomposta in attività
di rilevanza strategica, ciascuna delle quali atta a creare valore. Tale strumento supporta il

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management nel monitorare e comprendere il comportamento dei costi e nell’identificare le


possibilità di differenziazione.

La catena del valore rappresenta: • un insieme di risorse • un insieme di attività • un insieme di


processi • un insieme di interdipendenze tra attività e processi.
Per creare valore, tutti questi elementi devono essere legati tra di loro in un’ottica sistemica e
coerente rispetto alla strategia. La catena del valore ci consente di comprendere l’interdipendenza tra
le varie aree, questa deve essere gestita in maniera sistematica e coerente.
La catena del valore di un’impresa è costituita da attività che possiedono ciascuna una struttura di
costo distinta e definita da determinanti di costo differenti.
L’analisi dei costi comporta la disaggregazione della catena dell’impresa al fine di identificare:
 L’importanza relativa di ciascuna attività in rapporto al costo totale
 Le determinanti di costo di ciascuna attività e l’efficienza relativa con cui l’impresa la esegue
 L’influenza dei costi di un’attività sui costi di un’altra
 Le attività da svolgere internamente e quelle che dovrebbero essere svolte all’esterno.
L’analisi della struttura dei costi dell’impresa attraverso la catena del valore è composta dalle
seguenti fasi:
1. Disaggregare l’impresa in attività separate (considerando l’importanza e la diversità delle
stesse, le differenze in termini di determinanti di costo)
2. Stabilire l’importanza relativa delle diverse attività in termini di costo totale del prodotto
(utilizzo del metodo ABC – Activity Based Costing, identificazione delle attività critiche,
identificazione delle attività efficienti e non)
3. Confrontare i costi per ciascuna attività con quelli dei propri concorrenti
4. Identificare le determinanti di costo, i legami tra le attività e le opportunità di riduzione dei
costi

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2) IL SISTEMA DEL VALORE


Per comprendere le determinanti del vantaggio competitivo dell’impresa occorre considerare che la
catena del valore dell’impresa si inserisce in una sequenza comprendente le catene dei fornitori, degli
operatori coinvolti nelle attività distributive, dei clienti finali, cioè il sistema del valore. Ogni
impresa è inserita in uno specifico sistema del valore che dipende dalle proprie scelte strategiche e
organizzative. Le relazioni attivate dall’impresa con gli altri attori del sistema del valore risultano di
particolare importanza ai fini della costruzione del valore per il cliente finale.

Perché creare valore per il cliente?


Creare valore per il cliente, in misura sistematicamente superiore rispetto ai competitors, in ultima analisi
implica il conseguimento di un elevato livello di soddisfazione del cliente.
La customer satisfaction comporta una pluralità di benefici per l’impresa in quanto il cliente soddisfatto:
1. Presenta una maggiore fedeltà all’impresa (non sempre il cliente fedele è anche soddisfatto, ad es
quando cambia il fornitore di materie prime)
2. Può accettare di pagare un premium price per il fatto di attribuire un valore al rapporto
soddisfacente con l’impresa
3. Rappresenta una barriera all’entrata per i concorrenti
Inoltre, il cliente soddisfatto svolge un’azione promozionale per l’impresa, costituisce una difesa contro il
naturale declino cui è destinato ogni prodotto/servizio, presenta minori costi di gestione e di servizio,
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rispetto a clienti nuovi e sconosciuti, per il fatto che le sue esigenze e le sue preferenze sono già note, sarà
disposto a provare un prodotto/servizio nuovo dell’impresa (cross selling).
La NON soddisfazione invece comporta:
4. COSTI DIRETTI (gestione reclami, garanzie, assicurazioni, assistenza al cliente.)
5. COSTI INDIRETTI (perdita del cliente, diffusione dell’opinione negativa sull’azienda a causa
del passaparola)
CREAZIONE DI VALORE PER GLI SHAREHOLDERS
Il valore creato per il cliente costituisce la base per la formazione di «valore» creato dall’impresa e
nell’impresa (si fa riferimento a chi gestisce l’impresa quindi il manager/soggetto economico). Dalle
modalità con cui vengono gestite le attività della catena del valore discende inoltre la capacità dell’impresa
di creare valore per gli azionisti.
Il valore creato dall’impresa - espresso come valore azionario/economico - rappresenta la grandezza che
soddisfa le esigenze degli shareholders, intesi sia come azionisti, sia come soci. Il valore risulta essere la
variabile attorno a cui ruotano le scelte di investimento e di gestione dell’impresa. I mercati finanziari (se
efficienti) assicurano le risorse per gli investimenti e si pongono come giudici dell’efficacia dell’azione del
management.
Attraverso la gestione il manager deve essere in grado di incrementare il valore dell’impresa stessa, cioè
delle sue azioni, o quote societarie. Per cui tutte le scelte manageriali dovrebbero essere volte a far crescere
questo valore.
L’azionista partecipa al valore creato (in termini di reddito o profitto), attraverso una quota residuale
(ovvero dopo aver remunerato tutti i fattori produttivi impiegati). Per l’azionista è importante che il valore si
traduca in un dividendo elevato o in un apprezzamento del valore del titolo in borsa (capital gain), se il titolo
è quotato. Il valore per gli azionisti (shareholders) risulta collegato alla redditività dell’impresa e quindi al
vantaggio competitivo che consente di conseguire determinati livelli di profitto. Adottando tale approccio,
per valutare la capacità dell’impresa di creare valore, è possibile ricorrere ad indicatori di redditività (come
il ROE) o ad altre metodologie (quali il disconted cash flow).
La creazione di valore per gli shareholders dipende da:
6. Attrattività dell’ambiente competitivo (è attrattivo quando ha delle prospettive di profittabilità
elevata, ad esempio concorrenza perfetta non è un ambiente attrattivo, viceversa un ambiente
monopolistico lo è)
7. Posizionamento dell’impresa;
8. Identificazione del vantaggio competitivo (costo/differenziazione);
9. Individuazione dei value drivers (che a loro volta dipendono dal vantaggio competitivo)

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1) ATTRATTIVITA’ DEL BUSINESS -> MODELLO DELLE 5 FORZE COMPETITIVE DI


PORTER (o della concorrenza allargata)

Lo schema delle forze competitive di Porter individua le variabili strutturali che influenzano la
concorrenza e quindi la redditività.
CONCORRENZA ATTUALE (+ concorrenza – attrattività): La natura e l’intensità della concorrenza tra le
imprese presenti nel settore è influenzata dalle seguenti variabili:
➔ Concentrazione: quando il mercato è dominato da un ristretto gruppo di imprese, la concorrenza di
prezzo può essere limitata da un’aperta collusione o da un parallelismo delle decisioni di prezzo.
➔ Differenziazione del prodotto: Se i prodotti/servizi delle imprese rivai sono virtualmente
indistinguibili il prodotto/servizio è una commodity ed il prezzo è l’unica base per la concorrenza 
cresce quindi il livello di concorrenza tra le imprese già presenti sul mercato.
➔ Capacità in eccesso e barriere all’uscita: al crescere della capacità in eccesso e delle barriere
all’uscita aumenta il livello della concorrenza.
➔ Condizioni di costo, economie di scale e rapporto costi fissi/costi variabili: quando i costi fissi
sono alti rispetto ai costi variabili (come si verifica in numerose attività di servizi) le imprese
accettano ordinazioni marginali a qualsiasi prezzo che copra i costi variabili
PRODOTTI SOSTITUTIVI (+ prodotti sostitutivi – attrattività): Il prezzo che i consumatori sono disposti a
pagare per un prodotto/servizio (e quindi la redditività del business) dipende in parte dalla disponibilità di
prodotti sostitutivi. Se la domanda di un prodotto/servizio è elastica al prezzo, l’esistenza di prodotti
sostitutivi comporta uno spostamento delle preferenze del consumatore in risposta a un incremento del
prezzo del prodotto/servizio. (Cfr. il caso del settore delle agenzie di viaggio)
MINACCIA NUOVI ENTRANTI (+ barriere all’entrata + attrattività): Quando un settore ottiene un
rendimento del capitale superiore al costo del capitale, esso esercita un effetto di attrazione su imprese
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esterne al settore e, a meno del sussistere di barriere all’entrata, il tasso di profitto scenderà verso il suo
livello competitivo. Le principali fonti di barriere all’entrata sono: -Fabbisogno di capitale -Vantaggi
assoluti di costo -Differenziazione di prodotto -Accesso ai canali di distribuzione -Barriere istituzionali e
legali -Reazione attesa
POTERE CONTRATTUALE CLIENTI (+ potere clienti – attrattività): Maggiore è il potere contrattuale dei
clienti, minore è la redditività che l’impresa può conseguire.
Il potere d’acquisto dei clienti dipende da due ordini di fattori:
I. sensibilità al prezzo: quanto meno differenziati sono i prodotti/servizi dell’impresa fornitrice,
tanto maggiori è la predisposizione dell’acquirente a cambiare fornitore. Più intensa è la
concorrenza tra gli acquirenti, maggiori sono le pressioni ad una riduzione dei prezzi da parte dei
fornitori. Gli acquirenti sono tanto meno sensibili ai prezzi quanto maggiore è l’importanza del
prodotto o servizio
II. potere contrattuale relativo (dipende dalla dimensione e concentrazione degli acquirenti rispetto
ai fornitori, dalle informazioni degli acquirenti, dalla capacità di integrazione verticale)
POTERE CONTRATTUALE FORNITORI (+ potere fornitori – attrattività): Per i fornitori valgono
considerazioni analoghe a quanto visto per il potere contrattuale dei clienti. Nella relazione tra impresa e
propri fornitori i due punti chiave sono costituiti dalla facilità con cui l’impresa può cambiare fornitore e dal
potere contrattuale relativo di ciascuna parte

2) POSIZIONAMENTO
Le scelte strategiche di posizionamento, compiute dall’impresa, impattano sulla redditività del
business e pertanto sulla creazione di valore per gli azionisti. Per poter compiere le proprie scelte di
posizionamento l’impresa deve effettuare un processo di segmentazione (ovvero di disaggregazione
dei settori in specifici mercati o segmenti di mercato che presentano caratteristiche omogenee).
L’analisi di segmentazione ha lo scopo di individuare i segmenti più attraenti, scegliere in quali
segmenti operare, stabilire le strategie per i differenti segmenti).
Il processo di segmentazione può essere
scomposto in cinque fasi:
 Identificare le variabili chiave di
segmentazione (Esempio: livello di prezzi, livello
di servizio, tipo di Paese, ecc.)
 Costruire una matrice di segmentazione
 Analizzare l’attrattività di un segmento 
Identificare i fattori critici di successo del
segmento
 Selezionare il segmento obiettivo

3) VANTAGGIO COMPETITIVO E CREAZIONE DI VALORE PER GLI SHAREHOLDERS (tutti


coloro che hanno investito nell’attività aziendale)
La creazione del vantaggio competitivo sostenibile nel tempo dipende dal “potenziale di valore
sostenibile” associato alla strategia.
vantaggio competitivo sostenibile (duraturo: non effimero e difendibile: non devono essere
consumate eccessive risorse) = creazione di valore sostenibile nel tempo = l’azionista sa di avere
un’opportunità di investimento a lungo termine superiore al costo del capitale.
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Il vantaggio competitivo duraturo e difendibile diventa un elemento di sopravvivenza per l’impresa.

Nell’analizzare l’attrattività dell’ambiente competitivo e la sostenibilità del vantaggio competitivo


non occorre solo identificare come i rapporti tra le forze possono apportare il vantaggio competitivo,
ma anche stimare il loro livello di stabilità e di rischio, individuando i seguenti fattori:
Variabilità della domanda
Variabilità del prezzo di vendita
Possibilità di modificare il prezzo dell’output sulla base dei cambiamenti nel prezzo dell’input
Rapporto costi fissi/variabili: leva operativa. Identifica la struttura dei costi dell’impresa. Avere
elevati costi fissi può essere un driver positivo nel momento in cui l’impresa riesce ad ottenere
economia di scala, ma anche di rischiosità perché una maggiore concorrenza tra le imprese e una
riduzione della domanda può comportare delle tensioni forti tra i prezzi. Capacità produttiva data e
costi fissi elevati -> produzione riuscendo a coprire i costi fissi anche se domanda molto bassa. I
costi fissi li sostengo sia con produzione sia in assenza di produzione.

4) VALUE DRIVERS
Il processo di creazione di valore per gli shareholders è connesso alla determinazione dei value
drivers. Il valore per l’azionista infatti può essere calcolato non solo attraverso il concetto di
redditività ma anche mediante altri metodi.
Una metodologia di misurazione del valore creato per l’azionista nel lungo periodo è data
dall’attualizzazione dei cash flows futuri (ovvero i flussi di cassa generati dalla gestione
dell’impresa). Un investimento è positivo se la somma dei cash flow futuri attualizzati è positiva.
I principali drivers che impattano sulla creazione di free cash flow sono:
-Volume delle vendite (e andamento del fatturato): se ottengo aumento di vendite -> aspetto
importante che mi crea flussi di cassa positivi
-Costi operativi (che devono essere opportunamente gestiti): se con determinate scelte strategiche
riduco i costi operativi allora avrò una componente positiva
-Costi non monetari (ammortamenti, accantonamenti a fondi rischi ed oneri, TFR che non implicano
uscite monetarie): se aumentiamo costi non monetari allora avremo un aumento dei cash flow
-Variazioni dei crediti e dei debiti: + crediti (liquidità mancata) – cash flow, + debiti (liquidità
addizionale) + cash flow
-Variazioni delle rimanenze di magazzino (che rappresentano delle forme di “immobilizzazione” del
capitale)
-Tasse pagate (- liquidità)
-Investimenti (che determinano uscite monetarie) (- liquidità)

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Attraverso la gestione delle attività della catena del valore (da cui deriva il vantaggio competitivo) è
possibile influenzare i value drivers (per es. crescita delle vendite, variazioni del capitale circolante)
che incidono sui flussi di cassa attesi.

PROCESSO DI VALUTAZIONE DELLE DECISIONI STRATEGICHE SULLA BASE DEL VALORE


PER L’AZIONISTA
INVESTIMENTI: Il Capital Budgeting è una metodologia impiegata per valutare in via preventiva le
decisioni di investimento, caratterizzata da tali fasi rilevanti:
1. Produzione di proposte di investimento (connesse alle opzioni strategiche)
2. Definizione dell’orizzonte temporale di analisi (identificazione del numero di anni in cui il bene
sarà in grado di generare ricavi: concetti di vita economica, senescenza e obsolescenza).
3. Stima dei flussi di cassa (importi e scadenze): flussi di cassa (cash flows) = differenza tra ricavi e
costi monetari; saldo liquido della gestione che rimane in azienda per il recupero degli investimenti
in immobilizzazioni.
Si considerano solo i flussi incrementali (4 categorie):
• flussi generati dall’investimento (-);
• flussi generati dalla gestione caratteristica (+ e -);
• flussi generati dall’impiego del capitale circolante netto operativo (scorte, portafoglio crediti,
ecc.) (+/-);
• flussi derivanti dalla cessione dell’oggetto di investimento (alla fine della vita economica)
(+).
4. Valutazione dei flussi di cassa attualizzati: Applicazione della discounted cash flow analysis. Il
fattore di attualizzazione considera: a) valore finanziario del tempo; b) costo dei capitali impiegati; c)
grado di rischio della nuova iniziativa.
5. Selezione delle proposte sulla base di un criterio di accettazione/valutazione ( focus su criteri
finanziari)

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VAN: Valore Attuale Netto di un investimento (I) corrisponde al valore attualizzato dei flussi di
cassa prodotti dall’investimento al netto del costo monetario necessario per produrli.
Interpretazione del VAN dell’investimento

VAN > 0 – la scelta ha creato un valore Limiti VAN:


positivo, non distrugge valore ma lo aumenta -Al variare di “r” il valore del VAN muta
VAN = 0 - la scelta è neutra sensibilmente.
VAN < 0 – crea distruzione del valore -Il confronto diretto tra due investimenti
alternativi è possibile solo quando il capitale
iniziale è uguale.
-Il confronto tra investimenti alternativi
richiede orizzonti temporali di investimento
uguali (necessità di valutare due investimenti di
pari durata).

Metodologie analoghe possono essere applicate alla misurazione del valore creato dalle strategie
nell’arco di tempo in cui le stesse assicurano all’impresa un vantaggio competitivo. La valutazione di
una strategia è parte integrande del processo di pianificazione strategica e implica una serie di
previsioni in merito all’evoluzione di variabili ambientali e variabili specifiche dell’impresa (risorse
disponibili, competenze, know-how, ecc.).
stime, soggettività, importanza delle assunzioni di base.
Decisione strategiche stimate in base al contributo fornito alla creazione di valore per l’azionista
(shareholder value approach): Valore economico del capitale di rischio legato al valore attuale dei
flussi di cassa presenti e futuri che l’impresa genera. Vantaggi derivanti dall’assumere come
obiettivo fondamentale la creazione del valore. Ottica del management: identificare le leve del valore
(value drivers).
Specificità della valutazione della strategia:
10. Complessità e ampiezza degli effetti di una decisione strategica.
11. Orizzonte temporale di lungo periodo.
12. Incertezza e opportunità (o opzioni) future.
Metodi: Metodo del valore azionario Fruhan, 1979; Rappaport 1981, 1986) (ex ante).
Il valore azionario è rappresentato dal valore di mercato del capitale netto della società. Il valore
azionario è la differenza tra il calore di mercato di tutte le attività e il valore di mercato dei debiti
finanziari. Il valore creato dalla strategia è dato dalla variazione del valore azionario dell’impresa a
seguito della sua implementazione.
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➔ Somma dei dividendi percepiti e del capital gain (Rappaport, 1986) (ex post).
Metodo delle opzioni reali.

Il processo di creazione di valore dipende dall’influenza che esercita la dinamica competitiva sulla
previsione dei drivers di valore. Al tempo stesso l’impresa può realizzare azioni specifiche volte a
supportare la propria strategia

CREAZIONE DEL VALORE PER GLI STAKEHOLDERS


Il perseguimento del valore per gli shareholders tende a garantire la sopravvivenza dell’impresa (interesse
per tutti gli stakeholders); assicura che siano stati soddisfatti tutti gli stakeholders in quanto il diritto di
proprietà degli azionisti ha natura residuale; presuppone che l’impresa attui comportamenti volti a creare
valore verso tutti gli interlocutori: “un forte codice etico e la promozione degli interessi di fornitori e
dipendenti sono compatibili con la ricerca di una redditività elevata nel lungo periodo” (Grant, 1994, 1998).
L’impresa è un sistema
economico e sociale a cui
partecipa una pluralità di attori.
L’impresa si trova quindi al
centro di un reticolo di rapporti e
relazioni con una pluralità di
gruppi sociali, rispetto ai quali
attiva relazioni di scambio, di
informazione e di rappresentanza.
Tali gruppi divengono degli
interlocutori dell’impresa o
portatori d’interesse (stakeholder)
che influenzano e sono influenzati
dall’attività dell’impresa.

La rilevanza sociale dell’impresa


è legata alle ricadute esercitate sul contesto in cui opera (ricadute occupazionali, d’investimento, di mercato,
di effetti sull’ambiente, di impatto sociale sulla vita delle comunità), mentre quella economica cresce in

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relazione alla ricchezza creata attraverso le proprie attività. L’attività d’impresa crea valore per più attori,
nel senso che soddisfa, secondo modalità differenti, le esigenze degli stakeholders (lavoratori, manager,
banche istituti di credito, istituzioni, movimenti di opinione, ecc.) che a vario titolo apportano risorse e che
sono coinvolti nell’attività dell’impresa. La conoscenza dei processi che sottostanno alla creazione di valore
per le diverse tipologie di stakeholders diviene un punto essenziale nella definizione della strategia
aziendale.
Nel formulare la propria strategia l’impresa deve rispondere ai seguenti quesiti:
Quali sono i principali gruppi di interesse con cui l’impresa deve misurarsi? Che interessi persegue ciascun
gruppo rilevante? Quali opportunità o minacce ciascun gruppo d’interesse crea per l’impresa? Quali
responsabilità l’impresa ha verso i suoi stakeholders Quali strategie o politiche l’impresa deve attuare per
rispondere alle sfide e alle opportunità legate agli stakeholders?
Gli stakeholders, sulla base dell’analisi di tre variabili fondamentali (potere, legittimazione, attualità
dell’interesse difeso) possono essere distinti in:
Stakeholders primari: destinati ad esercitare una pressione più diretta e immediata sulla gestione
aziendale  senza la loro presenza l’impresa non può sopravvivere (Esempio: Banche ed istituzioni
finanziarie per una grande catena alberghiera che finanzia a debito la realizzazione delle infrastrutture).
Stakeholders secondari: in grado di influenzare i comportamenti di lungo termine, potendo incidere sul
clima sociale delle relazioni individuali (Esempio: Associazioni di categoria possono rappresentare
un’opportunità per un operatore sul settore tour Incoming, contribuendo a rafforzarne l’immagine o
facilitando l’individuazione di potenziali clienti)
Nella formulazione della strategia è necessario trovare un punto di equilibrio tra le esigenze e i bisogni dei
diversi operatori economici e soggetti sociali che gravitano intorno all’impresa. Uno strumento di
management utile a conseguire tale risultato è costituito dalla realizzazione di una matrice che, per ciascuno
degli interlocutori critici dell’impresa, identifichi i contributi richiesti e gli incentivi (prospettive) offerti.
INQUADRAMENTO STARTEGIE E INTEGRAZIONE VERTICALE
Strategie di business (come competere in ciascun business?):
1 Strategie per il vantaggio competitivo
2 Strategie di crescita intensiva (prodotto/mercato)
3 Strategie Oceano Blu
Strategie di corporate (Dove competere? Come si articola il portafoglio di business dell’impresa? Come
gestire le interrelazioni tra i business in modo da creare un valore
addizionale dato dalla gestione complessiva e dalle sinergie? Come
ripartire le risorse?)
Strategie di crescita di tipo estensivo
Strategie per la crisi aziendale
I. Penetrazione del mercato (forzatura e aumento della quota)
(BUSINESS)
II. Sviluppo del mercato (nuove categorie di consumatori; nuovi
mercati geografici) (BUSINESS)
III. Sviluppo del prodotto (modernizzazione/approfondimento della linea) (BUSINESS)
IV. Diversificazione (CORPORATE)
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(Pirelli: impresa che ha fatto della segmentazione basata sulla differenziazione il suo mantra, pneumatici ad
alto valore). La differenziazione è molto legata all’innovazione/modernizzazione.

Le strategie Oceano BLU (business strategy)


La Strategia Oceano Blu (Blue Ocean Strategy di W. Chan Kim e Renée Mauborgne): la maggior parte degli
studi di strategia consideri il vantaggio competitivo strettamente connesso alla competizione tra imprese. Il
vantaggio competitivo quindi risiede nella capacità di “battere i concorrenti” nell’area strategica di
riferimento. Coerentemente a questo approccio, le imprese vedono nell’analisi della concorrenza e nella
stretta osservazione dei concorrenti chiave una fase fondamentale per la formulazione di nuove strategie.
Operare in modo competitivo a volte può essere
deleterio. Per questo in alcuni casi è meglio
effettuare una strategia di Oceano Blu: hanno
cambiato completamente le linee competitive.
L’Oceano Rosso è quello in cui la competizione è
elevata; l’Oceano Blu invece si attiva quando
l’impresa cerca nuovi mercati, ha una business
idea nuova.

Le strategie di crescita con nuove linee (CORPORATE STRATEGY)


1) Integrazione verticale
2) Diversificazione
3) Internalizzazione
IL TRIANGOLO DELLA CORPORATE
STRATEGY -> Perché l’impresa dovrebbe
investire in una strategia di corporate?
Perché l’impresa ha un’aspettativa che è
quella di ottenere, attraverso la gestione
unitaria, un valore superiore rispetto ad una
gestione separata delle attività.
STRATEGIA DI INTEGRAZIONE (o
diversificazione di tipo) VERTICALE
Strategia molto vicina al core business.
= Espansione dell’impresa in altri stadi della filiera tecnico-produttiva.
L’impresa affianca alla sua attività principale un’altra attività, data dai suoi fornitori o clienti.

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

La crescita dell’impresa si realizza aggiungendo alla linea o alle linee esistenti, nuove linee produttive e
attività precedentemente svolte dai fornitori (integrazione verticale “a monte” o ascendente-> le imprese di
lusso a volte fanno accordi con fornitori specializzati, contratti esclusivi) o dai clienti (integrazione verticale
“a valle” o discendente).
La strategia di integrazione verticale si inserisce nel più amplio spettro delle strategie:
- di corporate, poiché l’impresa modifica il raggio di azione, estende la propria attività in ambiti nuovi
collocati a monte o a valle rispetto al business principale;
- di crescita, poiché l’impresa amplia le proprie dimensioni aziendali, in termini di numero di
dipendenti, unità produttive e, soprattutto di valore aggiunto.
Strategia connessa al business
Strategia che spinge spesso verso la diversificazione

È una strategia molto complessa, in quanto le decisioni riguardo all'ampiezza verticale della dimensione
aziendale devono individuare: - quali fasi della filiera economico-produttiva svolgere all’interno - come
coordinarle tra loro - quanta parte del proprio fabbisogno soddisfare con una produzione interna (ad esempio
si integra verticalmente solo in parte, producendo in parte in azienda) - quante risorse finanziarie destinare
alla scelta
LA FILIERA TECNICO PRODUTTIVA
Con il concetto di filiera tecnologico-produttiva si intende l’insieme di attività che devono essere effettuate
per passare dalla materia prima a un prodotto/servizio. In altri termini, con riferimento ad un certo
prodotto/servizio finito, è possibile individuare a ritroso la gamma di operazioni tecnologiche, produttive e
commerciali che hanno via via generato il valore incorporato nel bene finito, fino a giungere la materia
prima.
Il concetto di filiera è stato elaborato ed applicato negli studi di economia-industriale per analisi volte, tra
l’altro:
- a individuare i processi di divisione del lavoro che originano i settori industriali;
- alla conoscenza dei meccanismi concorrenziali specifici del settore indagato, in relazione ai quali è
possibile definire azioni di intervento per il conseguimento di appropriati obiettivi di politica-
industriale;
- allo studio delle relazioni intersettoriali che si instaurano ai diversi stadi della filiera stessa (per es.
matrici input-output); (per capire l’origine e la destinazione di determinati input)
- all’individuazione di fattori e condizioni atte a definire strategie di integrazione/disintegrazione
verticale.
Con il concetto di filiera tecnologico-produttiva, si ha una lettura verticale delle attività economiche.
Si tratta di una logica “perpendicolare” a quella di settore. Come intepretare le connessioni tra
settore/filiera?

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

➔ Stigler nel 1951 riprende la teoria sulla divisione del lavoro (A. Smith). Secondo l’autore, a parità di
condizioni, le imprese che operano nei primi stadi di sviluppo di un mercato assumono strutture più
integrate; quando, poi, il mercato è diventato maggiormente sviluppato, molte fasi diventano
sufficientemente significative per essere trasferite a terzi, che diventano specialisti. Quindi a causa
dei processi di specializzazione e di divisione del lavoro, alcune fasi della filiera assumono la
struttura di settore.
FILIERA PETROLIFERA:
filiera semplice cioè di processo, che presuppone una
trasformazione fisica - chimica della materia prima fino al
prodotto finito.
Questo tipo di attività presuppone una certa linearità con
rapporti lineari. La maggior parte delle industri però vede filiere
di montaggio (segue)

FILIERA NAUTICA:

Occorre precisare che la filiera può essere definita non solo in senso stretto (facendo quindi riferimento alla
sequenza delle attività legate tra di loro lungo le fasi di trasformazione dei prodotti), ma anche in senso
allargato e ampliato.
La filiera allargata comprende, oltre alle fasi strettamente connesse
alla realizzazione del prodotto, anche fasi di supporto di tipo primario,
industriale e terziario che concorrono indirettamente alla
realizzazione del prodotto stesso; per esempio, nella filiera di
produzione vitivinicola rientrano anche le fasi di realizzazione dei
macchinari industriali, della produzione di fertilizzanti per le
coltivazioni di vite, ecc.

Nella filiera ampliata, invece, sono inserite tutte le attività che


possono ricondursi ad un sistema produttivo più esteso; la filiera di
produzione di vino, per esempio, si inserisce nella filiera estesa, ovvero nel sistema agroalimentare nel suo
complesso, che comprende diverse filiere relative a prodotti alimentari (pasta, olio, latte), le relazioni tra di
esse per la produzione di prodotti più complessi, nonché le fasi del consumo dei prodotti stessi (per esempio
la ristorazione).

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

MISURARARE L’INTEGRAZIONE VERTICALE


Due possibilità per misurare:
1. Contare il numero di stadi di produzione in cui l’impresa è direttamente coinvolta. Al crescere del numero
di stadi aumenta l’integrazione verticale. Problema: - definizione della scomposizione in stadi aleatoria -
non si può paragonare ai settori
2. Indice di Adelman: Prodotto netto / vendite = PN / V
Inizialmente Adelman (1955) definisce il prodotto netto come i salari e gli stipendi + interessi su capitale +
profitto
Se PN/V  allora l’integrazione verticale . Problema: il PN così definito è influenzato dal grado d’intensità
di capitale nella singola fase di produzione  conviene tener conto nel calcolo anche dell’ammortamento e
quindi dei profitti lordi.
 misura adottata è Valore aggiunto (diff tra fatturato e costi di approvvigionamento all’estero. Se
l’impresa si rivolge molto all’esterno il suo VA si ridurrà) / fatturato.
Questo indicatore ha il vantaggio di non necessitare l’identificazione degli stadi di produzione.
Problema: L’indice  man mano che si passa da fasi a monte a fasi a valle, perché il fatturato  più veloce
del valore aggiunto. Un’impresa che opera allo stadio iniziale della produzione e non acquista da altri stadi
avrà un valore del rapporto pari a 1. Un’impresa che realizza tutte le altre fasi avrà un valore del rapporto
inferiore a 1  Secondo l’indicatore l’integrazione verticale della prima è maggiore di quello della seconda!
TIPOLOGIE DI INTEGRAZIONE VERTICALE
A MONTE: l’integrazione verticale risulta economicamente conveniente quando si verificano le seguenti
condizioni:
- il costo di produzione interno è inferiore a quello di acquisto su mercato;
- il fabbisogno interno dell’input è compatibile con la capacità produttiva ottima minima dell’impianto
integrato; (impresa piccola che produce dispositivi elettronici, timer -> industria di montaggio ->
capacità produttiva piccola -> non conviene integrare la fase di produzione di microprocessori perché

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

le attività di produzione dei microprocessori e dei timer sono completamente diversi, e così mi
ritroverei ad integrare due attività squilibrate)
- l’incremento dei profitti non sia inferiore a quello ottenibile allocando le risorse in altri investimenti
A VALLE (si cambia il mercato)
- estendendo la propria attività ai processi svolti dalle aziende clienti, l’impresa raggiunge
direttamente il loro mercato, sfruttandone le eventuali opportunità;
- la necessità di collocare tutta la produzione aziendale che non trova un sufficiente assorbimento nel
mercato di appartenenza: esempio tipico può essere quello di un’impresa di filati che decide di
integrarsi a valle intraprendendo la attività di produzione dei tessuti per utilizzare l’intero volume di
filati producibile
Rispetto al numero delle fasi della filiera in cui l’impresa è presente:
- completa (l’impresa si sviluppa in senso verticale fino ad occupare tutte le fasi della filiera) (filiere
di processo perché le fasi sono collegate verticalmente);
- incompleta (l’impresa è presente solo in alcuni stadi collegati verticalmente).

Rispetto alla copertura dei fabbisogni:


- con eccedenze (l’impresa si assicura una capacità produttiva dei processi a monte o a valle
sovradimensionata rispetto alle sue esigenze di input o output);
- con ricorso al mercato (l’impresa, pur presente in tutti gli stadi della catena verticale, ricorre anche
ad imprese esterne per l’approvvigionamento, la trasformazione o la distribuzione dei beni o servizi).

VANTAGGI dell’integrazione con ricorso al mercato


*Riduzione dei rischi *Finestre tecnologiche e di
mercato a monte e a valle *Mantenimento di elevato
potere contrattuale (minaccia di integrazione anche
totale)

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Formalizzazione: contratti /coinvolgimento:


coordinamento – integrazione
Relazioni informali: distretto di imprese, livello
coinvolgimento medio e zero formalizzazione,
sono la base per poter identificare rapporti tra
clienti e fornitori molto stretti
Contratti di rappresentanza: si creano per poter
aprire nuovi mercati per la distribuzione

Contratti lungo termine: disciplinare una


relazione tra cliente e fornitore, devono durare nel
tempo
Franchising e joint venture: alto livello formalizzazione e medio alto livello di coinvolgimento
Rispetto alle modalità dell’integrazione:
- Equity (con il controllo del capitale delle aziende posizionate a monte e a valle della filiera); -> non
compra impresa a valle o monte ma costituisce la sua attività
- quasi integrazione (l’impresa non accresce le sue dimensioni, ma riesce comunque ad assicurarsi gli
input per la produzione e l’assorbimento del suo output assumendo il controllo di fatto delle imprese
a monte o a valle della filiera);
- contrattuale (l’impresa stipula contratti a lungo termine per la fornitura dei materiali e/o per
l’assorbimento dei prodotti).
Differenza tra integrazione contrattuale e quasi integrazione: Nell’integrazione contrattuale, il
fornitore/cliente non si trova in una situazione di subordinazione rispetto all’impresa che ha adottato la
strategia. Non esiste nessun accordo di esclusiva. Nella quasi integrazione, si realizza una forte dipendenza
del cliente/fornitore integrato.
QUASI INTEGRAZIONE: Benetton -> l’impresa non accresce la sua dimensione, ma tende ad assicurarsi
stabilità di approvvigionamenti per qualità, tempi di consegna, quantità prezzi e sicurezza degli sbocchi sul
mercato. Istituzione di rapporti stabili con numero limitato di fornitori efficienti e specializzati numero
elevato di imprese commerciali al dettaglio sulle quali la Benetton svolge un ruolo di supervisore e
consulenza (controllo sul canale senza impegno di risorse)
INTEGRAZIONE CONTRATTUALE: Industria petrolifera -> Imprese di raffineria stipulano contratti a
lungo termine con imprese estrattrici, ma che non prevedono vincoli di esclusiva
Turismo -> I tour operator si assicurano la capacità di trasporto o di alloggio stipulando contratti a lungo
termine con altri operatori della filiera, ma che non prevedono vincoli di esclusiva
ESEMPIO ZARA – INTEGRAZIONE QUASI COMPLETA
L’insegna spagnola utilizza una forte integrazione verticale, con tutti i prodotti disegnati dal centro design
situato a La Coruna e con un’organizzazione produttiva che le consente tempi di reazione alle domande ed
evoluzioni del mercato per ora non uguagliati da nessuna altra azienda del settore abbigliamento.
ESEMPIO LUXOTTICA – INTEGRAZIONE QUASI COMPLETA
Luxottica è una delle poche aziende del comparto ad avere una filiera integrata verticalmente: dalla
progettazione alla produzione sino alla distribuzione, nelle due formule del dettaglio e dell'ingrosso.
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Luxottica dispone oggi di una rete di oltre 5.500 punti vendita distribuiti sui quattro continenti, di cui oltre
4.600 negli Usa, ove è attivo tramite le reti Lens Crafters (grandi superfici, accurato servizio e alto contenuto
di moda), Pearle Vision (dimensione contenuta e marchio storico dell'ottica Usa su cui è in atto un
importante piano di rilancio che dovrebbe valorizzare anche la componente franchising) e Sunglass Hut
(catena attiva solo negli occhiali da sole con focus verso il segmento ad alto contenuto di moda e quindi con
margini più elevati). Ancora più significativa l'evoluzione dell'attività all'ingrosso, ove si commercializzano
solo gli occhiali prodotti da Luxottica. Un business che può fare leva sulla presenza capillare in oltre 120
Paesi, di cui 28 con presenza diretta di società controllate, su importanti economie di scala e servizi
d'eccellenza, oltrechè costi di produzione contenuti. Con l'integrazione di Cole National Managed Vision
Care, EyeMed è ora il secondo operatore nei programmi di convenzione nel campo dell'ottica negli Stati
Uniti.
TENDENZE RECENTI NEI PROCESSI DI INTEGRAZIONE DELLE IMPRESE
La capacità delle relazioni contrattuali di offrire la flessibilità tipica dei rapporti di mercato e, allo stesso
tempo, di evitare la maggior parte dei costi di transazione si è risolta in una spinta alla disintegrazione
verticale.
Perché integrarsi?
La strategia di integrazione verticale è una soluzione volta alla riduzione dei costi di transazione (Ct), vale a
dire quei costi connessi all’utilizzo del mercato.
Per il ricorso al mercato occorre sostenere costi di transazione che possono essere distinti in: costi
precedenti allo scambio: • Raccolta informazioni sui fornitori (indicatori per classificare i fornitori) •
Negoziazione e stipula del contratto / costi successivi allo scambio, soprattutto quando si tratta di scambi
ripetuti e ad elevata specificità: • Costi connessi alla predisposizione di strutture necessarie alla gestione
delle transazioni • Costi da sostenere nel caso sorgano dispute tra i contraenti (es. ritardi nelle consegne,
ritardi nei pagamenti, prodotto non corrispondente alle specifiche…)
I costi di uso della gerarchia (integrazione) sono costituiti da:
- costi di pianificazione dell’impiego degli input;
- costi di controllo/monitoraggio degli input;
- raccolta e trasmissione delle informazioni nell’ambito del gruppo/impresa.
Confronto tra quelli che sono i costi della gerarchia e quelli del mercato: indicazione su perseguire o meno
strategia di integrazione
➔ se Ct - Cc=0 Acquisto esterno (mercato)(buy) Integrare non è conveniente
➔ se Ct - Cc>0 Produzione interna (gerarchia) (make) Integrare è conveniente
Si tratta di una prospettiva che riduce le scelte di integrazione verticale a scelte di make or buy guidate dal
principio della convenienza economica. Esistono in realtà condizioni e motivazioni (di natura strategica) che
inducono le imprese a intraprendere percorsi di integrazione verticale.

MOTIVAZIONI STRATEGICHE
- Aumento del potere di mercato (potere di condizionare il mercato affinché la domanda non rifiuti la
transazione, o potere di estromettere i concorrenti dalla domanda)
- Miglior controllo dell’approvvigionamento e della domanda
- Aumento del potere contrattuale a monte e/o a valle
- Creazione barriere all'entrata

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

- Miglioramento dell'efficienza tecnica ed organizzativa.


• Aumentano i flussi informativi col mercato attraverso il controllo della rete commerciale •
Necessità di garantirsi una qualità elevata. • Mantenimento dell'innovazione all'interno dell'impresa,
ad esempio quando non è sufficiente il brevetto
- Accumulazione di competenze provenienti da ambiti tecnologici diversi
- Innovazione del prodotto
- Differenziazione del prodotto (qualità degli input e dei canali di distribuzione)
- Investimento in ambiti di attività attrattivi

CRITICITA’
• incremento della leva operativa (aumento costi fissi)
• incremento del fabbisogno di capitali e rigidità degli investimenti
• aumento delle barriere all’uscita (se c’è crisi settore dovrà subire barriere all’uscita che riguardano
tutte le fasi in cui essa si è integrata -> + rigidità)
• bilanciamento del volume
• perdita di flessibilità
• perdita di specializzazione

Seppure l’integrazione verticale sia un fenomeno tipico dei settori industriali caratterizzati da processi
continui (l’integrazione verticale consente di ridurre i costi di produzione), queste motivazioni di ordine
strategico possono indurre le imprese operanti nei settori di montaggio ad integrarsi verticalmente.
L’integrazione verticale tende a cambiare a seconda del ciclo di vita del business:
Fasi di introduzione: integrazione verticale
Fase di sviluppo: progressiva disintegrazione verticale -> Entrano nuovi operatori, maggiore possibilità di
sviluppo di un sistema di fornitura con competenze adeguate
Fasi di maturità due soluzioni diverse: Integrazione verticale: per recupero aree di mercato (es. assistenza,
pezzi di ricambio), individuare nuove aree di profitto (es. innovazioni) Disintegrazione verticale: per ridurre
i costi
ESEMPIO: Loro Piana attualmente è il maggior trasformatore di
cashmere al mondo. Per assicurarsi la materia prima migliore, in
Mongolia a Ulaan Baatar Loro Piana ha inoltre acquisito un
impianto di tosatura per eseguire sotto diretto controllo la prima e
la delicatissima fase di lavorazione di questa preziosa fibra.
Motivazione: controllo della qualità delle materie prime.

INTEGRAZIONE E DISTRIBUZIONE
PRODUTTORE -> GROSSISTA -> DETTAGLIANTE
La tendenza dei produttori ad integrarsi a valle e non è spinta da ragioni di costo, quanto piuttosto dalla
ricerca di maggiore efficienza nella gestione delle attività di vendita e di marketing. Il produttore che vuole
“spingere” il suo prodotto di marca nell’assortimento del dettagliante deve quindi integrarsi a valle per
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

svolgere attività di marketing. Il grossista indipendente ha una funzione di consulente imparziale nei
confronti del distributore al dettaglio, quindi non può promuovere una particolare marca.
DETTAGLIANTE -> GROSSISTA -> PRODUTTORE
La tendenza delle imprese della Grande distribuzione ad integrarsi a monte consente di realizzazione
economie di costo. L’attività di intermediazione svolta dalla Grande distribuzione si caratterizza per una
riduzione dei servizi, rispetto a quelli tipicamente offerti dal distributore-grossista indipendente.
Le economie di distribuzione sono quei vantaggi che risiedono nel creare una figura centrale tra produttori e
dettaglianti. In questo caso entrambi riescono a contattarsi solo se attivano una serie di contatti. Il produttore
che si integra a valle e scavalca la funzione di ingrosso deve evidentemente fornire direttamente un
maggiore numero di depositi.
Una tipica fonte di economie che i distributori realizzano si deve alla riduzione del numero dei contatti e
delle relazioni dirette, infatti, senza l’impiego di intermediari sono necessari 9 contatti.
Mediante l’impiego di intermediari il numero di contatti si riduce da 9 a 6. Questa è una tipica fonte delle
economie che si realizzano mediante l’utilizzo di intermediari
Caso Coop: tutti i dettaglianti coop (punti di vendita) si riforniscono
in uno stesso rivenditore (centro di distribuzione unico); se non fosse
così i punti di vendita dovrebbero iniziare un tot di contatti con tutti i
fornitori (Barilla, nestle….)

DISINTEGRAZIONE VERTICALE
L’impresa utilizza gli input e colloca gli output senza trasferimenti interni, utilizzando prevalentemente i
contratti. L’impresa aumenta i prodotti acquisiti dall’esterno e riduce il suo valore aggiunto.
Perché realizza questo processo?
- esigenza di una maggiore flessibilità produttiva e un più efficiente sfruttamento delle economie di
specializzazione
- decentramento produttivo per esternalizzare fasi di lavorazione e per ridurre il costo del lavoro della
grande impresa (Italia)
- maggiore efficienza mediante diverse scale ottimali di capacità produttiva
N.B. La disintegrazione verticale può anche far riferimento ad una possibile strategia di
sopravvivenza
Fattori ambientali che agevolano la deverticalizzazione
*crescita ridotta della domanda che si è tradotta in periodi di stagnazione e, soprattutto, di forte contrazione,
soprattutto per alcuni beni di investimento maggiormente legati alla variabilità dei cicli economici;
*emersione di una domanda maggiormente differenziata (varietà della domanda), sotto il profilo della
qualità dei prodotti, delle varianti e dei servizi connessi alla vendita del prodotto, e instabile nel tempo
(variabilità);

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

*riduzione del ciclo di vita dei prodotti, a causa di processi di innovazione sempre più frequenti e a
mutamenti repentini della domanda che provocano quindi tassi di obsolescenza più accelerati;
*intensificazione della concorrenza, anche a seguito all’emergere di nuovi competitors provenienti da PVS.
________________________________________________________________________________
A partire dagli anni '80 si è avuto in tutte le economie un processo di "disintegrazione verticale delle grandi
imprese”, evidenziato da un progressivo abbattimento del rapporto va/fatturato.
La posizione dell’Italia
Il livello di integrazione verticale, inferiore a quello di altri Paesi, dell’industria nazionale dipende da alcuni
fattori strutturali: Prevalenza di imprese di piccola e media dimensione (95%) / Specializzazione nei settori a
limitate economie di scala, a elevata scomponibilità dei processi produttivi e a bassa intensità di ricerca
Motivazioni alla deverticalizzazione: L'integrazione si è dimostrata inadeguata di fronte alla crescita
dell'incertezza: - crescita ridotta - domanda differenziata - riduzione del ciclo di vita dei prodotti -
intensificazione della concorrenza
In questo scenario, le imprese scelgono allora di concentrarsi sulle proprie competenze che rappresentano il
differenziale competitivo rispetto ai concorrenti. La strategia della disintegrazione verticale e della
focalizzazione sulle core competencies può arrivare all'estremo della cosiddetta impresa "virtuale", quella
che si concentra solo sulle attività ad alto valore aggiunto, soprattutto progettazione e marketing, tagliandosi
fuori da quelle manifatturiere (è questo il caso, ad esempio, della Nike).
Il processo di disintegrazione verticale è stato spesso definito (seppure in modo impreciso), negli ultimi
anni, con la denominazione di outsourcing. Con il termine OUTSOURCING si indica, modo generale: “il
processo attraverso il quale le aziende assegnano stabilmente a fornitori esterni la gestione operativa di una o
più funzioni, catena di attività o servizio di supporto in precedenza svolto all’interno”. Le attivita'
maggiormente interessate al processo di outsourcing riguardano: - Servizi di supporto: sistemi informativi,
servizi legali, information technology (gestione degli elaboratori centrali, delle reti di telecomunicazione, dei
servizi informativi di corporate…) paghe e stipendi, servizi generali (mensa, pulizia….), servizi di edificio,
amministrazione contabilità, servizi commerciali, marketing, ricerca e formazione del personale / -funzioni
manufatturiere: produzione di parti, logistica (magazzinaggio, trasporto, distribuzione), gestione rifiuti,
riciclaggio, manutenzione impianti di produzione.
Questo ricorso al mercato non sempre coincide con una strategia di DEVERTICALIZZAZIONE che invece
ha come riferimento le fasi della filiera tecnico produttiva: per es. la gestione in outsourcing dei sistemi
informativi non è una deverticalizzazione
EFFETTI DELLA DEVERTICALIZZAZIONE
I processi di deverticalizzazione e la concentrazione sulle core competencies hanno avuto alcune
conseguenze di rilievo:
1. La struttura della fornitura cambia: si riduce il numero dei fornitori, coinvolti tuttavia con contratti e
relazioni a lungo termine;
2. Il prodotto stesso viene sempre più ripensato in termini di standardizzazione e modularizzazione
N.b. la deverticalizzazione può comportare un impoverimento delle competenze possedute dalle imprese,
rendendo l’impresa un mero assemblatore. Quando i componenti sono critici e incorporano quote importanti
di conoscenza, l’impresa può deverticalizzare le mere operazioni manifatturiere (le lavorazioni),
continuando a svolgere le attività di ricerca e progettazione.

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Le nuove tecnologie dell’informazione da un lato hanno reso il trasferimento delle conoscenze dall’impresa
verso l’esterno e dall’esterno all’impresa più facile e meno costoso; dall’altro consentono processi
decisionali fortemente decentrati. Si tratta di un problema che è apparso controverso: Le ICT rafforzano la
spinta all’integrazione verticale? Le ICT conducono ad una deverticalizzazione? I ricercatori che hanno
analizzato la relazione tra ICT e confini verticali dell’impresa sono oggi abbastanza concordi nel sostenere
che le ICT sono una condizione alla base della deverticalizzazione. In realtà, cambiano le forme di governo
delle relazioni verticali, passando così da strutture monolitiche a forme intermedie (per es: contratti a lungo
periodo, franchising, reti).
STRATEGIA DI DIVERSIFICAZIONE
= Strategia di crescita basata sull’introduzione di una o più linee di prodotto che affiancano quelle esistenti e
danno avvio all’entrata in nuovi business.
Diverse definizioni:
La Penrose nel 1959 scrisse una monografia che riguardava la teoria dell’espansione dell’impresa. Secondo
la Penrose la diversificazione era un processo di crescita che portava a realizzare nuovi beni e sviluppare
nuove competenze. Quando cresce l’impresa sviluppa una serie di risorse che sono eccedenti (finanziarie e
manageriali) che potrebbero essere applicate in maniera efficiente ed efficace in altri business, che fanno
configurare a un portafoglio diversificato. Le imprese sono cresciute anche per questo motivo.
Ansoff invece fa riferimento alla matrice prodotto/mercato: un’impresa diventa diversificata quando
contemporaneamente agisce sul prodotto e mercato (si aggiungono nuove conoscenze ai prodotti e così se ne
creano nuovi). La diversificazione è una strategia che aggiunge al prodotto esistente nuove tecnologie e
conoscenze che si vanno ad incorporare i prodotti nuovi. Ma contemporaneamente si ha diversificazione
quando si cambia la base del mercato (categorie di consumatori e bisogni soddisfatti).
Ad esempio un’impresa ha tante ASA (autoveicoli, macchine utensili, motori...). Tutte le ASA hanno un
proprio mercato di riferimento, in termini di bisogni e clienti. In questo caso abbiamo un’impresa veramente
diversificata. Invece un’impresa che produce borse, ma di 50 modelli diversi, produce sì differenti prodotti
ma si rivolge allo stesso mercato, quindi non c’è diversificazione ma una strategia di approfondimento della
linea.
Secondo Hax-Majluf un’impresa diversificata è un’impresa che crea nuove strategic business area
(SBA/SBU): si riprende Ansoff e si rinterpreta la matrice prodotto/mercato in area strategica d’affari. SBA:
strategic business area /SBU: strategic business unit -> perché quando un’impresa crea diversificazione si
crea un riflesso importante anche in termini organizzativi, cioè si creano delle aree organizzative di
controllo.
Come distinguere diversificazione da approfondimento della linea?
Diversificazione= sviluppo dei core factor (sviluppo di NUOVE risorse e competenze; se per aggiungere
quella linea l’impresa deve aggiungere risorse e competenze nuove allora è diversificazione). Lo sviluppo
deve essere:
– “Discontinuo” per distinguere la diversificazione dai processi di espansione delle attività di impresa
all’interno degli ambiti competitivi ad essa famigliari, che, invece, comportano una crescita tendenziale delle
competenze distintive.
– “A somma positiva” per distinguere la diversificazione dalle strategie di riconversione produttiva e di
ristrutturazione dei mercati, che, invece, portano ad uno sviluppo a somma zero o negativa del patrimonio
complessivo di risorse immateriali
Evoluzione della diversificazione nel tempo:
Dopoguerra: la diversificazione si è sviluppata molto nel dopoguerra, che ha conosciuto un periodo enorme
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

di espansione di mercati, e le imprese sapevano che approfittando di questa espansione potevano investire
quelle risorse in eccesso. Sviluppo tecniche manageriali orientate alla gestione del portafoglio (vedi BCG).
(gruppo Barilla e creme spalmabili > diversificazione).

Quota di mercato (leadership) / tasso di crescita


del mercato (attrattività futura del business).
4 quadranti
STAR e CATS/question mark: investire

->
Le matrici di portafoglio si basano su alcuni presupposti:
Rappresentazione dei business in cui opera l’impresa; Definizione del problema strategico di ogni SBU
rispetto al portafoglio; Definizione della strategia di business; Realizzazione di scelte di allocazione delle
risorse e competenze tra SBU
La corsa alla diversificazione registrò un rallentamento allorquando negli anni ’70-’80, la congiuntura
cambiò e, con le crisi petrolifere, le spirali inflazionistiche e le impennate dei tassi di interesse, le imprese
trovarono meno facilità nell’ottenimento di rendimenti sul capitale investito superiori al costo. La turbolenza
ambientale, destinata a crescere, penalizzava maggiormente le imprese multibusiness rispetto alle imprese
specializzate (+ incertezza su dove investire). L’attenzione si sposta allora sulla focalizzazione sulle risorse
interne e sui punti di forza o su strategie di diversificazione che basate su un nucleo di competenze core.
Tendenza alla Rifocalizzazione (anni 80-90): Creazione valore azionisti (viene a emergere dopo gli anni 80
quando ci sono molte fusioni, acquisizioni. Diventa importante perché costituisce il metro per giudicare
ciascuna azione strategica, che dovevano per prima cosa produrre valore per l’azionista) + Turbolenza
ambientale (conviene puntare su ciò che è maggiormente noto e controllabile) + Nuove teorie di gestione
aziendale (di fronte alle turbolenze ambientali il management si sposta dall’analisi dell’ambiente esterno che
diventa sempre più inefficiente, diventa difficile fare previsioni, all’analisi di ciò che l’impresa sa fare
meglio) (core competence – Hamel e Prahalad)
MISURAZIONE DELLA DIVERSIFICAZIONE
Metodologia di Rumelt (1974): misura la diversificazione aziendale sulla base del fatturato generato dalle
singole business units, rispetto al fatturato totale.
L’indice di specializzazione (SR) – calcolato come rapporto tra il fatturato del business principale e il
fatturato totale - consente di definire l’impresa come:
- monobusiness; se il fatturato del business più importante è superiore al 95%;
- dominant business; se il fatturato del business più importante è compreso tra il 70% e il 95%;
- imprese diversificate – related o un-related – se il fatturato del business principale è inferiore al 70%.
Rumelt distingue le imprese che hanno attivato percorsi di diversificazione correlata o non correlata, sulla
base dell’indice RR (Relation Ratio). L’indice viene calcolato mediante il rapporto tra il fatturato generato
da gruppi di business in qualche modo connessi tra di loro (in termini di affinità tecnologica e/o di mercato)
e il fatturato totale. Se l’indice RR è superiore al 70%, allora l’impresa è Related, ovvero ha attuato una
strategia di diversificazione concentrica (business legati tra di loro). Oltre a queste indicazioni che

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

presentano una base di calcolo, Rumelt distingue anche gruppi di business related contrastained e related
linked, laddove nel primo caso tutti i business siano tutti correlati tra di loro; nel secondo esistono dei
rapporti solo bilaterali, tra business e business.
Calcolo mediante Herfindahl
Dato un settore caratterizzato da n imprese, ciascuna avente una quota di mercato pari a Si, l'indice di
Herfindahl può essere calcolato con la seguente formula.
Il valore dell'indice di Herfindahl varia da 0 a 1. Se l'indice è
prossimo allo zero, la concentrazione è minima; quando l'indice si
avvicina al valore uno (1) indica una concentrazione massima del
potere di mercato.
DETERMINANTI DELLA DIVERSIFICAZIONE
POSIZIONI TRADIZIONALI
Diversificazione come percorso di crescita dell’impresa (percorso “obbligato” le imprese che crescono si
diversificano prima o poi: Chandler);
➔ Diversificazione come investimento di eccessi di liquidità e/o ripartizione del rischio d’impresa in
nuove attività (logica finanziaria).

- ESTERNE:
o RICERCA BUSINESS AD ELEVATA REDDITIVITA’ (il decisore aziendale tende ad
operare in business che presentano un’elevata attrattività)
o MATURITA’ DEL BUSINESS (l’impresa è sospinta a ricercare nuove business quando il
suo è maturo)
o NUOVE OPPORTUNITA’ MERCATO (competitività e pre-emptive (anticipativa) strategy.
Alcune volte le imprese si diversificano perché vogliono trovare delle opportunità nuove che
possano comportare degli sviluppi futuri)
o POTERE DI MERCATO • Dumping predatorio (può essere realizzato dall’impresa
diversificata. L’impresa utilizza le risorse in eccesso in un suo business per utilizzarle in un
altro business per sostenere politiche di prezzo aggressive per sostenere la competizione) •
Acquisto reciproco (un’impresa si diversifica in due business che sono nell’abito della stessa
filiera produttiva ma non sono collegati direttamente (quindi no integrazione verticale),
quindi vi sono delle imprese indipendenti nel mezzo. L’impresa in questione potrebbe
utilizzare una parte o l’altra per ricattare le imprese che con lei hanno un duplice rapporto
contrattuale) • Mutuo supporto (spesso le imprese diversificate hanno un portafoglio che
tende ad avere delle diversificazioni simili (ad esempio tutte le imprese che producono
energia). Quindi queste imprese tendenzialmente non si fanno guerra di prezzo perché sanno
che ciò può scatenare conseguenze nei business in cui esse stesse sono coinvolte, quindi
attuano dei rapporti di mutuo supporto).
- INTERNE:
o CRESCITA (le imprese di tipo manageriale in cui il soggetto economico è un manager
professionista, sono indotte alla crescita. I manager hanno questa tensione alla crescita
superiore a quella degli imprenditori perché non investono nell’impresa (non ne sono
proprietari) e perché il prestigio del manager dipende dalla dimensione dell’impresa stessa;
tutto ciò spinge alla diversificazione)

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

o RIPARTIZIONE DEL RISCHIO (il rischio è un elemento che crea avversità, quindi i
manager cercano nella diversificazione una certa ripartizione del rischio, come avviene nelle
logiche di portafoglio di tipo finanziario)
o UTILIZZO RISORSE INUTILIZZATE (queste risorse possono trovare sfogo in business
diversi attraverso la diversificazione. Le risorse in questione di solito sono: • INDIVISIBILI
• SPECIALIZZATE)
o VALORIZZAZIONE SINERGIE (L’impresa diversificata viene rappresentata come un
albero le cui radici sono costituite dai prodotti chiave, i quali portano nutrimento, costituito
dalle competenze chiave, ai prodotti finali. La costruzione del vantaggio competitivo di lungo
periodo deve allora iniziare dalla linfa di nutrimento, cioè dalle competenze chiave. Da esse
infatti dipendono sia la capacità dell’impresa di generare prodotti chiave e prodotti finali sia
quella di adattarsi velocemente, attraverso un processo innovativo continuo, alle opportunità
in continuo cambiamento.)
OSTACOLI ALLA CRESCITA PER LA DIVERSIFICAZIONE
ESTERNI Concorrenza (minaccia di ritorsione) / Alti costi di ingresso (superamento barriere all’entrata
strutturali e istituzionali -> costi che un nuovo competitors deve sostenere rispetto a un’impresa già operante
sul mercato)
INTERNI Carenza di risorse e di competenze specifiche per operare nel business (un business potrebbe
essere sotto il profilo dell’attrattività molto buono ma l’impresa potrebbe non avere le risorse e competenze
necessarie per operare) / Avversione al rischio del “nuovo” (aspetto psicologico)
La diversificazione crea valore per gli azionisti allorquando i business scelti siano tali da creare maggior
valore quando vengono gestiti sotto un’unica impresa-ombrello piuttosto che in diverse imprese
indipendenti (corporate strategy: diversificazione se il valore complessivo del gruppo è superiore rispetto
alle imprese indipendenti)
Porter propone tre test essenziali per verificare se la diversificazione è in grado di creare valore per gli
azionisti se:
- le ASA-obiettivo sono attrattive (test di attrattività: Porter)
- il costo d’entrata non è superiore alla attualizzazione di tutti i futuri profitti (test costo d’entrata) •
OPZIONI BUY (compro un ramo d’azineda, un’azienda, e faccio una valutazione tra prezzo di
acquisto e i flussi di cassa positivi che l’azienda comprata mi darà in futuro) • OPZIONI MAKE (non
si acquista un’impresa già esistente, ma investe nuove risorse per nuovo stabilimento, in questo caso
si valutano gli investimenti con i flussi di cassa attualizzati netti che dovranno essere superiori ai
costi di investimento)
- la nuova ASA realizza il vantaggio competitivo dalla sua relazione sinergica con l’azienda o
viceversa (better-off - test)
Il principio che guida le scelte di diversificazione dovrebbe essere improntato alla creazione di valore per
l’azionista. Per esempio, poniamo che un’impresa A diversifichi acquistando un’impresa B. Se nell’anno
successivo gli utili consolidati di A e B (al netto dei maggiori costi) non risultano maggiori della somma di
quanto ciascuna delle due avrebbe guadagnato restando indipendente, allora la diversificazione di A non
procura ai propri azionisti un valore addizionale creato ….ancora meglio considerare il valore DCFA (valori
azionari)
BETTER-OFF-TEST:
I vantaggi della diversificazione sotto il profilo competitivo sono numerosi e di grande rilievo; tra gli altri si
ricordano:
- il conseguimento di economie di scala e di condivisione (integrazione verticale tra business mettendo in
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

comune più attività: si creano impianti e laboratori più grandi, dimensione di scala maggiore, condivido uno
stesso impianto e ottengo anche economie di condivisione, adattandolo)
- un maggior potere contrattuale nei confronti di fornitori comuni (maggiore dimensione = maggiore potere
contrattuale)
- un maggior grado di differenziazione dell’offerta (l’impresa crea un portafoglio di business diverso tra di
loro ma se gestito sotto un’impresa ombrello può creare un maggiore valore complessivo per il consumatore,
differenziando l’offerta)
Il principale di questi benefici è costituito dall’esistenza di economie di scopo sulle risorse comuni. In
pratica, se per la produzione di due o più prodotti l’impresa utilizza input comuni, e se tali input sono
disponibili solo in lotti di una certa dimensione minima, allora una singola impresa che produce entrambi i
prodotti sarà in grado di ripartire i costi di tali input su un maggior volume produttivo e di ridurre in questo
modo i costi unitari di entrambi i prodotti. Le economie di scopo possono essere su risorse, mercati
tecnologie, capacità gestionali, sistemi di corporate governance, etc…. In generale, è possibile classificare le
economie di scopo in due diverse tipologie a seconda se siano legate ad attività
• tangibili (questa tipologia deriva dalla capacità di eliminare la duplicazione di alcune attività grazie alla
produzione di un certo numero di prodotti o servizi.) • intangibili (tecnologia, immagine aziendale, sistemi
informativi) che possano essere impiegate a basso costo su più attività.
La gestione delle interrelazioni, soprattutto quelle tangibili, comporta il sostenimento di alcuni costi: a)
“costi di coordinamento”, legati alla necessità di investire nel coordinamento tra i vari business (maggiori
tempi, più personale per cercare di gestire il coordinamento) b) “costi di compromesso”, legati alla necessità
di cambiare la gestione dell’attività, condotta in modo congiunto c) “costi di rigidità”, legati alla difficoltà
potenziale, per una business unit, di rispondere a mosse della concorrenza e/o all’impossibilità di
abbandonare una produzione, perché si possono danneggiare le altre unità che condividono un’attività con
essa
La strategia di diversificazione si dirige:
➔ Verso business profittevoli (logica finanziaria)
➔ Verso business correlati con le risorse
disponibili (risorse manageriali, altre risorse
intangibili e risorse tangibili)
A seconda del grado di “vicinanza” delle nuove linee a
quelle esistenti, degli effetti sinergici di ricerca, di
produzione, di distribuzione, di comunicazione e di
immagine aziendale, le strategie di diversificazione
possono essere distinte in:
- Diversificazione conglomerale
- Diversificazione concentrica
DIVERSIFICAZIONE CONGLOMERALE
Introduzione di una o più linee di produzione non strettamente collegate con quelle esistenti, che non
permettono, quindi, la condivisione delle attività o competenze impiegate (assenza di sinergia con le core
competencies preesistenti). Caratteristica di questa strategia è l’irrilevanza delle connessioni tecnologiche
e/o di mercato dei diversi business nei quali si trova ad operare l’impresa. La logica di questa strategia porta
l’impresa ad essere presente in quei mercati che assicurano il miglior rendimento del capitale investito,
anche solo nel breve-medio periodo (logica di ottimizzazione del portafoglio).

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

La diversificazione conglomerale conferisce all’impresa alcuni vantaggi, quali: la riduzione del rischio
d’impresa, grazie all’ingresso in business che presentano differenti caratteristiche di rischiosità e soggette a
differenti cicli economici; la possibilità di investire risorse finanziarie in business cui sono associate
prospettive di profitto superiori; una maggiore stabilità dei profitti, giacché un ciclo negativo in un business
può essere parzialmente compensato da uno positivo in un altro.
Gli svantaggi connessi a questa strategia dipendono essenzialmente dall’eccessiva dispersione delle attività
aziendali in business tra cui non esiste alcuna similarità.
DIVERSIFICAZIONE CONCENTRICA
La diversificazione correlata o concentrica può manifestarsi secondo due forme:
- Dal lato dell'offerta l'impresa dispone di risorse in eccesso che possono essere utilizzate per
produrre altri beni anche in settori diversi (economia di scopo). Si può parlare di diversificazione
correlata basata: - sulla tecnologia quando la stessa tecnologia può essere utilizzata per produrre più
beni (caso della Piaggio che dalla produzione della Vespa passa a quella dell'Ape; la Centrale del
latte di Torino che dalla produzione e vendita di solo latte passa a produrre una gamma di prodotti
caseari); - sull’attività di marketing quando esistono competenze in eccesso in quest'area e possono
essere utilizzate anche per altre produzioni dirette allo stesso target di consumatori (la Oreal); - sugli
investimenti in ricerca e sviluppo che permettono di accumulare competenze scientifiche applicabili
in più settori (Johnson).
- Dal lato della domanda: la diversificazione si basa qui sull'esistenza di un segmento di consumatori
con un elevato grado di fedeltà di acquisto nei confronti dei prodotti realizzati da un'impresa.
L'impresa viene stimolata a produrre una gamma completa di prodotti per rafforzare le relazioni
commerciali con i propri clienti. I beni richiesti possono essere diversi da quelli normalmente
prodotti, ma poiché il loro consumo congiunto può aumentare la soddisfazione del cliente, l'impresa
è incentivata a perseguire strategie di diversificazione per soddisfare la domanda.
Alcuni criteri per individuare ASA correlate….
Tipologia di prodotto/diversità dei processi produttivi: ad esempio la suddivisione tra ramo danni e ramo
vita tipica delle compagnie assicurative; Funzione d’uso del prodotto: si pensi al portafoglio strategico di
Fiat e alla netta distinzione tra Fiat Auto e Ferrari; Tipologia di clienti: ad esempio la suddivisione tra
clientela “famiglie” e clientela “business” tipica di molte aziende di servizi (banche, compagnie telefoniche
ed utilities in genere). Area geografica; Canale distributivo
Le motivazioni per la diversificazione concentrica: lo sfruttamento di sinergie
Cosa sono le sinergie? Ansoff disse che c’è sinergia quando (1985): Effetto 2+2= 5 -> E ANCORA PRIMA
Andrews, 1951: le sinergie sono legate alle risorse manageriali come fonte di crescita delle imprese/ Penrose
(1959): la diversificazione è legata all’utilizzo risorse inutilizzate
Quali sono le fonti di queste sinergie? Le Interrelazioni tangibili e intangibili
Le interrelazioni intangibili implicano la condivisione di conoscenze fra business, aventi autonome catene
del valore In particolare, secondo Porter è possibile trasferire il knowhow maturato in un business ad un
altro quando esistono alcune similarità di base: stessa strategia di base; stessa tipologia di cliente;
configurazione simile della catena del valore; importanti attività generatrici di valore simili. Tipici esempi di
interrelazioni intangibili riguardano la marca e l’immagine aziendale, la conoscenza tecnologia, le capacità
gestionali (sia a livello funzionale sia con riguardo al governo dell’impresa), la cultura aziendale.
Le interrelazioni tangibili nascono dalle opportunità di condividere le attività nella catena del valore fra
unità di business la cui connessione si deve alla presenza di clienti, canali, tecnologie e altri fattori comuni
(Porter, 1985, 87; Grant, 1994; Hax e Majluf, 1991). Si tratta di economie di scopo che possono riguardare,
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

per es., le attività di assistenza o le reti di distribuzione. La base per identificare queste sinergie è la catena
del valore (condivisione di attività).
Le sinergie nell’ambito della Competence Based
Le competenze diventano un particolare caso di sinergia, che crea valore sviluppando ed estendendo
capacità e conoscenze in un portafoglio di business diversi. Il portafoglio aziendale non viene valutato come
un portafoglio di business ma come un portafoglio di competenze (che a loro volta alimentano/generano
business diversi) (competenze distintive)
Hamel e Prahalad, 1994: Secondo questa impostazione, l’impresa diversificata viene rappresentata come
un albero le cui radici sono costituite dai prodotti chiave, i quali portano nutrimento, costituito dalle
competenze chiave, ai prodotti finali. La costruzione del vantaggio competitivo di lungo periodo deve allora
iniziare dalla linfa di nutrimento, cioè dalle competenze chiave. Le competenze chiave sono al servizio di
più business (es: miniaturizzazione, competenze ottiche) -> Prospettiva tecnologica
Rispetto agli approcci precedenti, si rovescia la prospettiva -> LA SINERGIA NON DERIVA DAL
METTERE INSIEME PER SATURARE MEGLIO UNA CAPACITÀ PRODUTTIVA MA…..
(potenziamento delle competenze) La sinergia deriva DALLO SFRUTTAMENTO DI UN NUCLEO DI
COMPETENZE A FAVORE BUSINESS DIVERSI, LE COMPETENZE SI ACCRESCONO E SI
VALORIZZANO CON IL LORO UTILIZZO - CREAZIONE DI CIRCOLI VIRTUOSI
Le sinergie “Dominanant logic and Management Style”
Prahalad e Bettis, 1986; Goold and Campbell, 1987 Le sinergie derivano dalla possibilità di applicare il
medesimo stile manageriale, medesimi sistemi di pianificazione e controllo in business diversi, ma simili. In
pratica, scegliere business simili (non necessariamente dal punto di vista tecnologico) implica la possibilità
di applicare “conoscenze” manageriali simili (per es: business materie prime, beni di consumo) SI tratta di
SINERGIE MANAGERIALI (diversa impostazione rispetto a Drucker, Andrews e Penrose: il problema non
è saturare una risorsa non utilizzata, ma far fruttare E VALORIZZARE COMPETENZE!)
Lo sfruttamento delle sinergie delinea anche il grado di dispersione del portafoglio strategico rispetto al
business core. Quando la logica di crescita si basa solo su determinanti di tipo finanziario, la diversificazione
è di tipo conglomerale (LOGICA BOSTON CONSULTING GROUP). La ricerca di altre sinergie, legate
alle conoscenze e alle competenze, invece circoscrive il raggio di azione aziendale. Importanza della
strategia di diversificazione concentrica…LOGICA DELLE ADIACENZE
Logica delle adiacenze
Zook (2004) evidenzia l’efficacia di un processo di diversificazione in business adiacenti, al fine di sfruttare
in modo incrementale le conoscenze maturate nei business core. Le direttrici di sviluppo secondo la logica
dell’adiacenza riguardano essenzialmente le aree geografiche (internazionalizzazione) o gli step della filiera
(integrazione verticale). Le altre quattro dimensioni rappresentano invece una precisazione del
combinazione prodotto-mercato e riguardano il tipo di business, il tipo di prodotto, i segmenti della clientela
e i canali distributivi; e ciò riguarda più propriamente la strategia di diversificazione Il tasso di successo
della strategia diminuisce mano a mano che ci si allontana dal business core (Zook, 2004), perché meno si
sfruttano e si valorizzano conoscenze e risorse maturate nel business core. Ciò sembra confermare gli studi
in tema di relazione diversificazione e performance che la letteratura ha portato avanti secondo cui la
profittabilità aziendale è correlata a modesti livelli di diversificazione (inverted U model)

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Nuovi step lungo catena del valore: l’integrazione verticale viene vista coma una diversificazione in nuovi
business che sono core. La vendita di competenze all’esterno: competenze vendute all’esterno come
consulenza.
Nuove aree geografiche: stesso business replicato su altre aree

Relazione tra diversificazione e performance:


Identifica una posizione positiva tra la p e la d.
Abbiamo un’impresa single unit (più piccola)
caratterizzata da un livello di performance più modesto
rispetto a chi fa la diversificazione un-related. Questo
modello è stato caldeggiato soprattutto dai sostenitori
della diversificazione finanziaria per cui maggiore era
l’ampiezza del portafoglio e maggiore sarebbe stata la
performance. In realtà questo modello è stato smentito,
perché si è notato che il valore di un’impresa
diversificata risultatava essere inferiore ai singoli
assets, quindi non si creavano sinergie, quindi questa
teoria è stata rifiutata. Se ci sono troppi business troppo
diversi tra di loro conviene investire in attività finanziarie indipendenti e non investire in un’unica attività
ombrello.

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Altra ipotesi: un’impresa single unit abbia una


performace superiore rispetto all’impresa un-related.
Questa ipotesi è stata caldamente sostenuta da coloro
che sostenevano il ricentraggio (meglio poco attività
fatte bene che tante dispersioni del portafoglio
strategico). Si fanno prevalere le diseconomie legate
alla dimensione (dimensione grossa significa anche
tanti costi di coordinamento, compromesso e ridigità).

La teoria prevalente è quella dell’invested u shaped


model. Performance piccola quando single unit, nel
momento in cui aumneta ladiversificazione aumenta
la performance e, quando la diversificazione è
altissima allora anche la performance scenderà.
Diversificazione related l’impresa ottinene tutti i
vantaggi connessi alla crescita e non soffre di
eccessivi costi legti alla gestione di un portafoglio
troppo diversificato.

Nel caso dell’inverted-U model viene affermato che la diversificazione concentrica ha effetti positivi sulla
performance in quanto permette di sfruttare:
a) le economie di scopo che derivano dalla condivisione di attività e risorse tra le unità di business b) i
benefici generati dalla curva di esperienza, dalla diffusione di tecnologie di prodotto/processo e dall’accesso
a fattori produttivi
c) Competenze comuni.
A questi benefici, si affiancano anche costi che tendono a crescere sempre di più (diseconomie). Ad un certo
punto questi costi superano i benefici, per cui esiste un livello ottimale di diversificazione, tale per cui la
performance decresce. Ne consegue che la relazione ha la forma di una U rovesciata.
Le evidenze empiriche mostrano che la diversificazione porta a performance comparativamente più elevate
se le ASA presentano attività correlate tra loro in termini di: destinazione a mercati simili impiego di
tecnologie o sviluppo di analoghe attività di ricerca attività strategiche (applicazione delle stesse competenze
gestionali alle diverse attività).

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

ALTRI MODELLI INTERMEDI

NUOVE PROSPETTIVE: le sinergie legat alla convergenza -> La convergenza può essere definita come un
processo evolutivo attraverso il quale si genera una fusione progressiva tra settori. La convergenza è stata
particolarmente evidente e rapida nei settori legati all’Information & Comunication Tecnology i quali,
convergendo, hanno dato origine al metamercato digitale .
La convergenza tecnologica, resa possibile da fattori tecnologici, alimenta il processo di espansione
dell’impresa in business nuovi. SFRUTTAMENTO DI UNA/POCHE COMPETENZE AL SERVIZIO DI
BUSINESS DIVERSI SINERGIA = LA CONDIVISIONE DELLE RISORSE E COMPETENZE ATTIVA
UN CIRCOLO VIRTUOSO DI INNOVAZIONE E DI SVILUPPO LE RISORSE E LE COMPETENZE,
INFATTI, SI VALORIZZANO E SI SVILUPPANO CON IL LORO USO
La strategia di ricentraggio: rifocalizzare il campo di azione sul core, liquidando le attività non strettamente
correlate alle attività centrali. La concentrazione del sapere dell’impresa su specifiche attività di business
accelera il processo di crescita dell’apprendimento e del sapere cumulato.
N.B. Il ricentraggio può anche far riferimento ad una possibile strategia di sopravvivenza (taglio dei rami
secchi per crisi di domanda o per crisi da inefficienza)
STRATEGIA DI INTERNALIZZAZIONE
CAUSE
- crescita commercio estero: opportunità di espansione
- aumento degli investimenti diretti all’estero: tutti quegli investimenti che le imprese effettuano in paesi
diversi da quello d’origine.
L’internalizzazione quindi si può misurare da un lato dal commercio estero, quindi dai flussi export e
import, e dall’altro attraverso la crescita degli investimenti diretti all’estero.
Quali sono le variabili che hanno indotto ad aumentare gli investimenti? - Variabili politico-istituzionali (il
contesto geopolitico): 1. fattori politici (apertura scambi) 2. emergenza di nuovi paesi nel contesto
economico mondiale. - I comportamenti strategici delle imprese (le imprese tendono a replicare i loro
vantaggi competiti su scala internazionale al fine di cogliere opportunità)
Noberasco e Madiventura -> frutta secca -> approvvigionamento internazionale e globale. Mercato di
sbocco in espansione ma la loro filosofia è fare acquisti di tipo internazionale. Possiamo considerarle
imprese internazionali? No, sono imprese internazionalizzate solo sotto il profilo acquisti
Evoluzione degli scambi internazionali
Dal dopoguerra si è assistito ad una tendenza di fondo alla crescita del commercio in misura più accelerata
rispetto alla produzione.
Il commercio internazionale, a partire dagli anni ‘50, ha dimostrato, rispetto alla produzione mondiale,
un’elasticità con valori superiori all’unità e questa tendenza è destinata a consolidarsi anche in prospettiva
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

futura.
Si è verificato un effetto moltiplicativo del fenomeno che ha portato all’apertura della “forbice”, con un
rapporto superiore a 1:4 tra PIL e commercio internazionale.
Motivazioni all’internazionalizzazione connesse con i costi
- Controllo delle fonti di approvvigionamento degli input di beni e servizi (fine di presidiare fonte di
approvvigionamento)
- Divari di costo tra i singoli paesi (operare in paesi esteri perché trovano approvvigionamenti o servizi
a basso costo)
- Diversità nelle norme ambientali (l’impresa trova più conveniente operare in altri paesi operare in
altri paesi con norme meno stringenti)
- Diversità nei sistemi dei trasporti (infrastrutture migliori in altri paesi)
- Possibilità di accedere a nuove tecnologie
Motivazioni all’internazionalizzazione connesse con i mercati
Mercato interno
- Troppo piccolo
- Con domanda stagionale
- Con domanda sensibile alla congiuntura
- Eccessivamente concorrenziale
Mercato estero
- In fase di crescita
- Volumi di domanda ampi
- Politiche governative favorevoli
- Con domanda a stagionalità opposta
Le strategie internazionali delle imprese devono essere esaminate alla luce della variabile
GLOBALIZZAZIONE vale a dire il processo di espansione ed integrazione dell’economia a livello
planetario.
Definizione di globalizzazione FENOMENO PER CUI L’ORIZZONTE DELL’ATTIVITA’ ECONOMICA
TENDE A FARSI SEMPRE PIU’ VASTO E INTEGRATO A LIVELLO PLANETARIO
Fattori di accelerazione del fenomeno globalizzazione
 crescita del numero di nuovi paesi che partecipano attivamente al commercio su scala globale;
 comportamento di molti grandi gruppi industriali e finanziari i quali operano come veri e propri global
player;
 la tecnologia che comporta maggiore facilità con la quale prodotti, persone e informazioni vengono
trasferiti su scala mondiale.
Caratteristiche della concorrenza di tipo globale
- Interdipendenza tra mercati geografici: quanto accade nei singoli mercati geografici ha effetto anche
sugli altri (una crisi si ripercuote anche su altri mercati, effetti a catena)
- Ubiquità del vantaggio competitivo: le merci sono acquistate laddove sono più convenienti, la
produzione di componenti avviene nei paesi ove è più efficiente, e così via
➔ Necessità di considerare il mercato come un tutt’uno

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Internazionalizzazione e concorrenza: modelli di


internazionalizzazione
L’internazionalizzazione influenza la struttura e la
concorrenza dei settori. È possibile individuare 4
modelli di concorrenza
IDE (investimenti diretti all’estero) = investire
acquistando imprese già esistenti, strutture già
esistenti, o costruendo un nuovo magazzino o
stabilimento.

SETTORI PROTETTI: settori meno aperti alla concorrenza internazionale (edilizia, prodotti freschi, servizi
interni ad esempio studi legali, medicina…)
SETTORI INTERNAZIONALI: ide bassi e export alti (cantieristica: le imprese tendono ad avere pochi
punti di costruzione delle navi e poi questi prodotti vengono venduti internazionalmente)
SETTORI GLOBALI: alto valore ide e alto valore export
SETTORI MULTIDOMESTICI: legati ai nostri consumi, largo consumo
Quale l’impatto sull’attrattività e sulla concorrenza?
 barriere all’entrata (ridotte)
 Concorrenza (concentrazione del settore / diversità dei concorrenti)
 potere contrattuale clienti/fornitori
➔ l’aumento della concorrenza tra le imprese spesso compromette l’attrattività del settore (concorrenza
più dura a livello globale)
Schema del diamante Porteriano

La strategia di internazionalizzazione fa riferimento al coinvolgimento esplicito e riconosciuto dell’impresa


nella gestione strategica dei mercati esteri. Lo sviluppo e l’affermazione di un’economia mondiale -
caratterizzata da una espansione senza precedenti di trasferimenti di prodotti, tecnologie capitali tra paesi
diversi - impone ad ogni impresa di esaminare il problema della sua proiezione su mercati esteri.
DOVE COMPETERE: analisi strategica ambiente esterno – interno (macro, micro)
TEMPI DI ENTRATA: Affrontare i mercati in modo (Incrementale in un solo Paese o simultaneo in più
Paesi) e prevedere un’entrata (Concentrata o diversificata)
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

MODALITA DI ACCESSO:
 internazionalizzazione mercantile
- diretta
- indiretta
 internazionalizzazione produttiva

- insediamento di unità produttive all’estero


 altre forme di internazionalizzazione (acquisizioni o cessioni di brevetti o licenze all’estero, accordi
tecnico produttivi e/o commerciali con imprese estere, accordi di penetrazione commerciale, ecc.)
COME COMPETERE: Standardizzazione: standardizzare il prodotto, realizzando solo adattamenti di
carattere marginale che possono riguardare il package, gli standard tecnici, ecc. Adattamento: privilegiare
le specificità dei mercati di sbocco, differenziando in termini adeguati le caratteristiche dei prodotti ad essi
destinati
Quali sono le strategie che le imprese possono perseguire per affrontare la globalizzazione?
- Strategia Multidomestica
1. L’impresa gestisce le proprie attività internazionali come un portafoglio. 2. Le unità operanti nei vari
paesi sono dotate di un elevato grado di autonomia. 3. L’orientamento è country centred OBIETTIVI 1.
sfruttare le attività specifiche e le competenze distintive 2. sfruttare le risorse di altri paesi 3. seguire
l'andamento del ciclo di vita del prodotto 4. ripartire i rischi
- Strategia Globale
L’impresa che persegue una strategia globale considera il mondo come il proprio mercato e punta
all’integrazione transnazionale delle attività.
OBIETTIVI: - sfruttare i vantaggi comparativi - sfruttare le economie di scala o le curve di esperienza
(grazie a volumi di produzione maggiori) - differenziazione del prodotto (immagine e fama mondiale) -
disponibilità di informazioni su tecnologie e mercati

CRISI AZIENDALE E LE STRATEGIE PER IL RILANCIO


Con il termine crisi si indica un particolare momento della vita d’impresa in cui “si crea uno squilibrio
economico-finanziario, destinato a perdurare e a portare all’insolvenza ed al dissesto in assenza di opportuni
interventi di risanamento”
(insolvenza: l’impresa non riesce ad adempiere ai propri doveri cioè debiti)
Il PROCESSO di crisi
La predisposizione alla crisi dell’impresa: Fattori che accentuano la vulnerabilità dell’impresa le
caratteristiche del contesto competitivo; Le caratteristiche strutturali e organizzative (PER ES. struttura dei
costi)
La fase del declino dell’impresa il declino può essere collegato ad una performance negativa in termini di
valore creato
La fase di crisi dell’impresa la crisi è uno sviluppo ulteriore del declino. Essa si concreta di solito, a
seguito di perdite economiche, in ripercussioni gravi e crescenti sul piano dei flussi finanziari. Le
ripercussioni dirette sono: carenze di cassa, perdite di credito e di fiducia (= capacità di credito)
CAUSE
La ricerca e la comprensione delle cause che generano la crisi rappresenta un momento di fondamentale

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

importanza, in quanto è funzionale alla comprensione del fenomeno, propedeutico alla successiva fase di
risanamento e superamento della crisi stessa.
LE CAUSE SI DISTINGUONO TRA:
CAUSE ESTERNE
- Fattori macro ambientali (• aumento del costo del lavoro • aumento del costo delle materie prime •
oscillazione del corso dei cambi • limitazioni del mercato dei capitali • interventi dello stato)
- Fattori settoriali (micro) sia strutturali (rigidità esposizione alla ciclicità della domanda
Concorrenza  tecnologia) che congiunturali (Domanda sovradimensionamento di capacità produttive
evoluzione tecnologica)
CAUSE INTERNE
Elementi strutturali • inefficienza • struttura rigida • decadimento dei prodotti • carenze nella
programmazione e nell’innovazione
Fattori umani • inadeguatezza del management-incapacità manageriale • stile di direzione non adatto
Talvolta la crisi viene attribuita a squilibri di tipo finanziario (prevalenza di debiti a breve, difficoltà nei
pagamenti, inesistenza di riserve di liquidità, ecc.) e patrimoniale (scarsità mezzi vincolati a titolo di capitale
e riserve). Lo squilibrio finanziario-patrimoniale è certamente fonte di perdite economiche gravi. Ma lo
squilibrio finanziario è sempre generato da altri profondi fattori di crisi.

TIPOLOGIE DI CRISI
Sulla base dei fattori causali, possono essere individuate tre macro-tipologie di crisi:
1. Crisi da domanda (Sono legate essenzialmente alle fasi di maturità e di declino del ciclo di vita
dell’ASA, vale a dire alle fasi di stagnazione o contrazione del mercato, dovute a: evoluzione del
progresso tecnico e obsolescenza dei prodotti evoluzione dei gusti del consumatore)
2. Crisi da inefficacia manageriale (Dipendono da un cambio generazionale degli imprenditori
manager o da conflitti tra management e proprietà che portano all’abbandono dell’azienda da parte
del management esistente)
3. Crisi da inefficienza (Attengono al modo di competere dell’impresa nel suo ambito concorrenziale e
si manifestano: quando l’impresa non riesce ad offrire un output a prezzi remunerativi quando il
divario costi/ricavi non è pari al livello dei concorrenti diretti)
COME INDIVIDUARE LA CRISI?
L’analisi dei sintomi – vale a dire delle manifestazioni di difficoltà non congiunturali nell’equilibrio
aziendale- costituisce il primo passo per individuare uno stato di crisi.
Sono individuati: sintomi quali-quantitativi e sintomi economico-finanziari
SINTOMI QUALI-QUANTITATIVI: perdita di quote di mercato  elevato turnover tra i manager
peggioramento dei rapporti con gli stakeholders  carenza di capacità strategiche discesa del valore di
mercato
SINTOMI ECONOMICO-FINANZIARI:
- ANALISI ECONOMICHE grandezze economiche (es. MOL, Ro) indici di redditività (es. ROI,ROE)
- ANALISI PATRIMONIALE indici di composizione (per es: rapporto tra attivo fisso e capitale investito)
indici di correlazione (fonti e impieghi: per es: liquidità e passività a breve)
ANALISI FINANZIARIE dinamica dei flussi (CCN, liquidità)

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Le strategie per la crisi


RISTRUTTURAZIONE
RICONVERSIONE
RICENTRAGGIO
RIDIMENSIONAMENTO
RINUNCIA ALL’AUTONOMIA
IL TURNAROUND
STRATEGIA DI RISTRUTTURAZIONE
Con la strategia di ristrutturazione, l’impresa continua ad operare nelle attuali ASA, ma tenta di migliorare
in modo strutturale il rapporto ricavi/costi e aumentare quindi l’efficienza globale dell’impresa.
MOTIVI DELLA STRATEGIA DI RISTRUTTURAZIONE
- stadio del ciclo di vita dell’ASA
- posizione di inferiorità rispetto ai migliori concorrenti
- limitata disponibilità di risorse
RISULTATI Miglioramento della produttività degli input, aumentare l’efficienza e razionalizzare la
gestione delle scorte razionalizzazione dell’uso della forza lavoro e aumentarne la produttività
ridimensionamento della linea con eliminazione prodotti contenimento della spesa promozionale aumento
della capacità concorrenziale (minori costi)
OSTACOLI inerzia manageriale e mancanza di collaborazione da parte dei dipendenti pericolo di perdita di
concorrenzialità di marketing
STRATEGIA DI RICONVERSIONE
Abbandono della linea produttiva esistente e, con sviluppo interno, la sua sostituzione con una nuova linea
produttiva, possibilmente vicina, almeno da un punto di vista tecnologico, a quella precedente. (Es:
riconversione di imprese produttrici di mezzi cingolati nei periodi bellici in produttrici di trattori nei periodi
post bellici)
MOTIVI DELLA STRATEGIA DI RICONVERSIONE
- crisi strutturale dell’ASA
- interventi della PA volti a disincentivare o a bloccare la produzione in determinati settori
- incapacità dell’impresa di reagire alle innovazioni tecnologiche e/o alle azioni di marketing
dell’impresa leader
- impossibilità di superare difficoltà degli approvvigionamenti con una strategia di integrazione
verticale
RISULTATI progettazione di una nuova linea di prodotti, connessa tecnologicamente e possibilmente
anche dal punto di vista del mercato, con la precedente
OSTACOLI resistenza alle modificazioni interne all’impresa da parte dei dipendenti ai diversi livelli
Esempio: gli zuccherifici CAUSA: Con il dimezzamento della quota produttiva dello zucchero prevista dalla
Riforma UE, in Italia ci sarà spazio solo per sei impianti dei 19 esistenti (due di Eridania Sadam e uno
ciascuno per Italia zuccheri, Sfir, Coprob e Zuccherificio del Molise). Per rendere meno traumatico l'impatto
della rottamazione degli zuccherifici, la nuova legge prevede un piano di riconversione in: produzione di
bioenergie. produzione di bioetanolo, produzione di energia elettrica da biomassa

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

STRATEGIA DI RICENTRAGGIO
La strategia di ricentraggio o di rifocalizzazione porta a centrare il campo d’azione sul core portando a
liquidare l’insieme di attività non produttive di valore o da cui derivano le condizioni di criticità
dell’impresa (i cosiddetti rami secchi); in questa logica si configura proprio come strategia di crisi. In sintesi,
si tratta di rimettere al centro della visione strategica d’impresa la propria attività core
In una fase successiva il ricentraggio diventa vera strategia di sviluppo e di crescita: riportare l’attività sul
core liquidando e dismettendo i business meno profittevoli consente al management di concentrare le risorse
nelle attività effettivamente profittevoli, ciò vuol dire accelerare il processo di crescita dell’apprendimento e
del sapere accumulato permettendo all’impresa di crescere in un’ottica di specializzazione.
Esempio: Diadora invicta L'azienda torinese Seven (leader nella produzione di zaini) ha acquistato dalla
Diadora (abbigliamento sportivo) il ramo di azienda Invicta. STRATEGIA: "Diadora si concentrerà sul core
business con nuovi e importanti progetti dal calcio al ciclismo, dal running al tennis". Per quanto riguarda
Seven, l'operazione "aggiunge un tassello importante al suo piano strategico mirato a consolidare il ruolo di
leader sul mercato europeo". Per l'ad Aldo Di Stasio "il posizionamento del brand Invicta consentirà un
innalzamento del target attraverso una gamma di prodotti più ampi, anche per questo è stato stipulato un
accordo di licenza con Diadora nel settore abbigliamento per diffondere un'immagine completa dello stile di
vita Invicta".
STRATEGIA DI RIDIMENSIONAMENTO
=Riduzione della dimensione dell’impresa mediante disinvestimenti che riguardano una o più unità
organizzative (ad esempio una linea, un reparto, una divisione) dell’impresa
MOTIVI DELLA STRATEGIA DI RIDIMENSIONAMENTO
- mutamenti tecnologici in cui l’impresa non è in grado di rispondere in tempi opportuni
- interventi della PA che rendono più onerose particolari produzioni
- carenza di risorse rispetto ai migliori concorrenti
- crisi strutturali di uno dei settori in cui opera l’impresa
RISULTATI cessione di una parte dell’impresa con contropartita smantellamento di una parte
dell’impresa migliore specializzazione dell’impresa nuovo equilibrio dimensionale e dinamico
dell’impresa
OSTACOLI costi fissi, perdita di sinergia, esiguità del valore di liquidazione, atteggiamento dei manager,
reazione delle parti sociali
STRATEGIA DI ABBANDONO DELL’AUTONOMIA
=Rinuncia al controllo effettivo sull’attività dell’impresa e, entro certi limiti, sul suo futuro, facendo divenire
l’impresa economicamente dipendente da un’altra di solito operante a valle nella catena economico
commerciale.
MOTIVI DELLA STRATEGIA DI ABBANDONO DELL’AUTONOMIA:
- perdita progressiva della quota di mercato in un’ASA matura o riduzione del saggio di crescita
dell’impresa in un’ASA in espansione
- incapacità dell’impresa di rafforzare la propria azione di marketing e di apportare miglioramenti ai
nuovi prodotti

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

RISULTATI acquisizione della sicurezza dello sbocco della produzione perdita di autonomia nel campo
della progettazione, del controllo di qualità, della produzione, degli approvvigionamenti realizzazione di
margini di guadagno sicuri, ma assai limitati
OSTACOLI non adattabilità del gruppo dirigente a questa strategia
STRATEGIA DI TURNAROUND
Con Turnaround è da intendere il processo capace di porre in discussione tutte le scelte adottate nel passato
per poter approfittare della crisi così da produrre un cambiamento generale nella strategia, nella formula
imprenditoriale e nella struttura aziendale:
Non ci si limita al ripristino dell’efficienza
Si punta ad una ridiscussione ed una ridefinizione degli obiettivi e delle caratteristiche di attuazione della
gestione
Con il turnaround si attiva un mutamento della mission, la riorganizzazione dei valori e della cultura oltre
che il ripensamento dei meccanismi operativi
Turnaround è la sintesi dell’insieme delle opzioni strategiche (ristrutturazione, ricentraggio, riconversione)
attivabili in situazione di crisi. È finalizzato allo sviluppo e al rilancio dell’impresa e non quindi alla mera
sopravvivenza.
PREREQUISITI per il piano di turnaround:
- Leadership aziendale l’azione propedeutica alla definizione e all’implementazione del piano di
turnaround è il ricambio del vertice aziendale.
- Gestione degli stakeholders Un processo di turnaround richiede un massiccio coinvolgimento della
comunità degli stakeholders proprio per la specifica finalità che lo contraddistingue: puntare allo sviluppo e
alla crescita futura dell’impresa
IL PROCESSO DI TURNAROUND
- fase di avvio: finalizzata alla risoluzione degli interventi urgenti e all’approfondimento delle cause
della crisi, delle caratteristiche dell’organizzazione e delle risorse dell’azienda;
- fase di ristrutturazione: focalizzata sul processo di cambiamento e mirata ad apportare le modifiche
alla combinazione produttiva e alla formula imprenditoriale in linea con i nuovi obiettivi gestionali;
- fase di sviluppo: destinata a far riprendere con maggiore intensità il processo di investimento e far
crescere l’impresa
Interventi strategico-gestionali in un piano di turnaround
Interventi sulle relazioni esterne
• RELAZIONI INDUSTRIALI – Miglioramento dei rapporti interni coi dipendenti – Migliore
comunicazione interna – Coinvolgimento sindacali
• RELAZIONI ESTERNE – Scelta criteri di comunicazione – sensibilizzazione

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

I diversi piani di turnaround


- Piani di turnaround di
emergenza • Orientato
essenzialmente alla
sopravvivenza
- Piani di turnaround di
stabilizzazione • Orientato
all’equilibrio economico
- Piani di turnaround di
rilancio • Orientato alla
creazione di nuovo valore

Esempio FIAT: Effetto dei risultati ottenuti dal lancio dei nuovi prodotti, dalla risalita della qualità percepita
e dai risparmi gestionali. Il fatto che la Grande Punto sia stata a gennaio la vettura più venduta in Europa
occidentale e che la quota dei marchi Fiat sia salita rispetto al gennaio 2005 dal 7,28% all'8,36% è un chiaro
esempio del programmato turnaround, un risultato significativo per l'attivazione dell'economia italiana e, più
importante, per il rilancio della fiducia del Paese nelle proprie capacità di reazione
LEADERSHIP La parte più importante del merito va riconosciuta a tutta la struttura aziendale, tanto al
nuovo top management - riuscito con grande determinazione e impegno personale a far percepire a tutti gli
stakeholder che era possibile una brusca sterzata verso la ripresa - quanto ai dipendenti, ai quali è stato
chiesto di lavorare di più e meglio e dai quali è arrivata una pronta risposta.
GESTIONE DEGLI STAKEHOLDER. Coinvolgimento della filiera: fornitori e distributori PIANO PER
IL RILANCIO: davanti alla crescente presenza in tutti i segmenti dei marchi premium (Bmw, Audi,
DaimlerChrysler) e all'altrettanto decisa espansione dei marchi coreani oggi, di quelli cinesi e indiani in
futuro, Fiat Auto deve necessariamente riposizionarsi verso l'alto, sia della gamma complessiva, sia nei
singoli segmenti, premendo decisamente sull'innovazione per produrre valore aggiunto

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

SOGGETTI ESTERNI PER LA RISOLUZIONE DELLA CRISI


La crisi, molto spesso, per avere un esito positivo, richiede l’intervento di soggetti esterni all’impresa che
possano, da un lato, affiancare il management, portando competenze e professionalità specifiche, dall’altro
sostenere l’attività di risanamento fornendo risorse finanziarie o rinunciando all’esercizio di specifici diritti.
1. Lo Stato
2. Le Banche
3. I vulture investor (operatori specializzati, investitori istituzionali)
4. Leverage buy out
1 – RUOLO DELLO STATO
Forme di sostegno con cui il soggetto pubblico può intervenire durante le difficoltà d’impresa.
• sostegno finanziario che consta di interventi di concessione di credito agevolato e riduzioni o esenzioni
fiscali specifici per ogni impresa e che quindi possono essere variamente adattati alle diverse realtà aziendali
di crisi. Ogni forma di intervento finanziario di sostegno è comunque subordinata alla presenza di garanzie
da parte dell’impresa di intervento sui fattori distorsivi degli squilibri e delle disfunzioni.
• sostegno a processi di mobilità ossia tramite specifici interventi legislativi che consenta all’impresa di
ridimensionare la propria attività lasciando alle strutture pubbliche preposte l’onere dei lavoratori eccedenti.
• sostegno diretto dove lo Stato interviene in modo specifico al fine di risolvere le criticità. In questo quadro
si può avere un duplice intervento: tramite procedure pubbliche appositamente strutturate per affondare le
crisi o tramite l’acquisizione diretta dell’azienda in crisi
2 – RUOLO DELLE BANCHE
L’intervento delle banche, quale attore primario, si svolge su un duplice piano: (1) le azioni delle banche
possono giocare un ruolo di rappresentazione all’esterno della crisi aziendale (2) le banche svolgono
interventi diretti per il buon esito del piano di ristrutturazione
3 – VULTURE INVESTOR
Operatori professionali nel campo del risanamento. Spesso forniscono competenze professionali e
specializzate, influenzando in modo diretto le scelte strategiche ed il processo di risanamento dell’impresa.
Si possono individuare:
 “passive vulture” che ricercano profitti individuando titoli, prettamente di debito, di aziende sottovalutate;
“bondmailers vulture” che comprano titoli sottovalutati e di cui stimano possibilità di recupero e li
collocano ad un prezzo più alto;
“active vulture” che sono direttamente coinvolti nell’attività d’impresa.
4 – LEVERAGE – BUY – OUT
Permette l’acquisizione del controllo di una società di capitali utilizzando capitale di terzi (di solito banche
finanziatrici), da qui deriva il significato etimologico del termine: acquisizione tramite la leva finanziaria. Si
individua una società target da acquisire e, con un esiguo capitale di rischio, viene costituita una newco (new
company). La società così costituita contrae un prestito con un pool di enti finanziatori garantito dal pegno
delle azioni della società da acquisire: con le risorse ricevute la newco procede a perfezionare l’acquisto
della società target che successivamente verrà fusa, per incorporazione, nella stessa new company. Il
patrimonio della società acquisita diventa così la garanzia per il finanziamento ottenuto dalla newco e lo
stesso patrimonio tramite alcune dismissioni insieme alla capacità reddituale della società target produrrà le
risorse necessarie per estinguere il finanziamento stesso.
Nel contesto della crisi d’impresa questa particolare tecnica di ingegneria societaria è un valido mezzo
utilizzabile per la ristrutturazione e il rilancio di aziende patrimonialmente sane ma che presentino squilibri a
livello economico e/o finanziario.
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Management-buy-out -> sono gli stessi manager che, non condividendo le scelte e gli obiettivi di indirizzo
del soggetto economico o per evitare takeover ostili, intervengono subentrando a questo o avviando loro
stessi l’azione dei LBO, per poter poi in seguito avviare un processo di turnaround. L’intervento così
configurato consente di intervenire su una serie di cause generatrici del declino: inefficienza manageriale
squilibri della struttura dei costi criticità del livello di indebitamento eccessiva rigidità patrimoniale
rispetto agli obiettivi raggiungibili
BUSINESS MODEL E BUSINESS IDEA
La business idea (o idea imprenditiva) rappresenta la formula di successo di un’impresa. La business idea
descrive “il modo di far denaro” dell’impresa. Essa rappresenta una conoscenza o un’abilità superiore e
questa abilità dovrebbe essere trasfusa nella struttura organizzativa dell’impresa. Una business idea, nella
sua essenza, è qualcosa di estremamente semplice e lineare, ma consta di una pluralità di elementi
reciprocamente coerenti.
Gli elementi costitutivi della business idea sono rappresentati da:
- il segmento di mercato;
- il prodotto/servizio che l’impresa offre;
- l’organizzazione interna dell’impresa e il sistema di controllo.
Una chiara individuazione della business idea implica, quindi, descrizioni sull’ambito competitivo
dell’impresa, sui prodotti, o sul sistema che vengono forniti al contesto competitivo, sulle risorse e le
condizioni interne attraverso cui è acquisita la dominanza rispetto alle altre imprese.
Il Business Model (o modello di business) è l'insieme delle soluzioni organizzative e strategiche attraverso
le quali l'impresa acquisisce un vantaggio competitivo. In altri termini, ovvero con le parole di Alexander
Osterwalder, ideatore del: Il Business Model descrive la logica con la quale un'organizzazione crea,
distribuisce e cattura valore.
Creare valore? Un’azienda crea valore per i propri clienti quando li aiuta a: SVOLGERE UN “COMPITO”
IMPORTANTE SODDISFARE UN DESIDERIO RISOLVERE UN PROBLEMA.
Il successo o l'insuccesso di qualunque business dipende dalla capacità dell'azienda di creare questo valore
per i propri clienti. La prima attività da svolgere per ripensare, rafforzare o migliorare un'azienda, per
lanciare un nuovo prodotto/servizio, o per avviare una startup ad alto valore, è quella di creare il proprio
modello di business. Così potrai stabilire con precisione cosa bisogna fare, come bisogna farlo e per quali
precisi clienti l'azienda vuole creare valore.
Dato che un concetto chiave di ogni Business Model è il valore offerto, è bene chiarire come si misura il
valore, utilizzando una definizione che aiuta a semplificare il concetto: Il VALORE PERCEPITO dal cliente
è dato dalla differenza tra BENEFICI ricevuti e COSTI sostenuti.
Il Business Model diventa quindi il modo in cui l’azienda organizza se stessa e la sua offerta per creare il
massimo valore possibile per i suoi clienti! Nella progettazione di un business model è quindi fondamentale
utilizzare un approccio customer oriented, ovvero orientato all'offerta di soluzioni che offrano il massimo
valore possibile ai futuri clienti. Mantenere uno standard di qualità elevato e praticare allo stesso tempo un
prezzo finale accessibile (grazie all'utilizzo di un'innovazione tecnologica che migliora i processi) è, per
esempio, uno dei migliori modi per accrescere il valore percepito.
Come creare valore?
- Apportando un’innovazione: creando cioè un nuovo valore e dando ai clienti qualcosa che prima non c’era
(es: lo smartphone è stata un'innovazione nel settore delle telecomunicazioni)
- Rendendo accessibile un prodotto/servizio: permettendo cioè a Segmenti di Clientela che prima non
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

potevano usufruire di un prodotto/servizio, di accedervi (si pensi ai voli lowcost, come Netjet e Ryanair)
- Migliorando un servizio esistente Risolvendo un problema specifico (buoni pasto)
- Utilizzando la marca/status per trasmettere un’identità (come fanno aziende quali Rolex, Gucci, Ferrari...)
- Migliorando il design di un prodotto (es: la Apple ha creato prodotti tecnologici ad alto contenuto di
design)
- Migliorando la performance di un prodotto
- Rendendo i prodotti più facili da utilizzare
- Riducendo i rischi relativi ad un prodotto/servizio (l’assicurazione sul furto diminuisce i rischi nel
comprare una macchina)
Il Business Model Canvas è un potente framework all’interno del quale sono rappresentati sotto forma di
blocchi i 9 elementi costitutivi di un’azienda. Ecco una breve descrizione di ognuno:
Customer Segments (CS): i segmenti di clientela ai quali l'azienda si rivolge
Value Proposition (VP): la proposta di valore contenente i prodotti / servizi che l’azienda vuole offrire
Channels (Ch): i canali di distribuzione e contatto con i clienti
Customer Relationships (CR): il tipo di relazioni che si instaurano con i clienti
Revenue Streams (R$): il flusso di ricavi generato dalla vendita di prodotti/servizi
Key Resources (KR): le risorse chiave necessarie perché l'azienda funzioni
Key Activities (KA): le attività chiave che servono per rendere funzionante il modello di business aziendale
Key Partners (KP) : i partner chiave con cui l'impresa può stringere alleanze
Cost Structure (C$): la struttura dei costi che l'azienda dovrà sostenere
Il Business Model Canvas può essere stampato in grandi dimensioni con l'obiettivo di facilitare il lavoro di
gruppo. Le persone infatti possono iniziare a disegnare e discutere gli elementi del modello di business con
post-it e pennarelli. In questo modo lo strumento favorisce la comprensione, la discussione e l'analisi del
business ma allo stesso tempo anche la creatività e la condivisione.

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

MODALITÀ’ DI ATTUAZIONE (IMPLEMENTAZIONE) DELLA STRATEGIA

LE MODALITÀ DI CRESCITA PER VIA INTERNA


Vengono realizzate impiegando risorse e capacità sviluppate all’interno dell’impresa.
Modalità attuative:
- Nuove strutture produttive (impianti, stabilimenti, magazzini, negozi) e formazione di nuova forza
lavoro nell’ambito delle attuali unità organizzative
- Istituzione ex novo di unità aziendali autonome.
Presupposti teorici, finalità e adeguatezza: Consentono di fruttare e sviluppare il know-how accumulato
dall’impresa. Sono modalità appropriate per strategie di crescita con linee di prodotti esistenti o in caso di
modifica della gamma. Non adatte per diversificazione conglomerale, perché quest’ultima prevede l’entrata
in un business completamente nuovo.

VANTAGGI:
• Raggiungimento di economie di scala e di esperienza.
• Sfruttamento di eventuali eccedenze (slack) di risorse.
• Sviluppo incrementale (sia in termini temporali che di risorse finanziarie).
• Compatibilità con la cultura aziendale.
• Maggiore protezione del v.c.
• Incentivazione all’imprenditorialità interna.
SVANTAGGI:
- Lentezza di implementazione (rilevanza dimensione «tempo»).
- Necessità di sviluppare competenze/risorse nuove.
- Rischi connessi al non raggiungimento della scala efficiente minima
- Sunk costs e difficoltà di recuperare investimenti specifici (+ rigidità)
- Incremento della capacità produttiva nel settore con rischio di aumento livello concorrenza.

Limiti interni (endogeni): sono connessi alla disponibilità di risorse e capacità adeguate al raggiungimento
dei target previsti nei piani di sviluppo. Mancanza di risorse tecnologico-produttive e finanziarie adeguate.
Mancanza di risorse manageriali e organizzative sufficienti (time compression diseconomies e absorptive
capacities)
Limiti esterni (esogeni): originano dall’ambiente esterno e possono variare in relazione all’ambito di
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

attività dell’impresa. Rigidità nel mercato dei capitali e condizioni di investimento non convenienti (tassi di
interesse). Presenza di barriere all’ingresso (istituzionali, normative, o «fisiche»). Condizioni competitive
del settore di attivitò.
Rischio e incertezza.

LE MODALITÀ DI CRESCITA PER VIA ESTERNA


Fanno leva su risorse finanziarie (proprie e/o di credito) per acquisire risorse e competenze già esistenti.
Modalità attuative: (complessità decrescente)
- Fusione in senso stretto: due o più società apportano capitale per la costituzione di una nuova società e
perdono la relativa individualità giuridica/economica.
- Fusione per incorporazione: una o più imprese (incorporata/e) perde/ono la propria identità giuridica ed
entrano a far parte dell’impresa incorporante che mantiene la propria identità e la propria ragione sociale.
- Acquisizione dell’intero capitale sociale di un’impresa: solitamente si mantiene la separazione giuridica
delle due imprese e si raggiunge il massimo livello di controllo (e integrazione) economico-gestionale.
- Acquisizione di una quota di maggioranza del capitale di un’impresa (Acquisizioni amichevoli e ostili
(hostile takeover e white knight))
- Acquisizione di un ramo d’azienda o di specifici assets.

Presupposti teorici e adeguatezza:


• Strumento di concentrazione dell’offerta (aspetti evolutivi connessi al settore).
• Modalità adeguata per le strategie di integrazione verticale (specie quando le fasi a monte o a valle
richiedono competenze, risorse e conoscenze difficilmente imitabili o non imitabili).
• Adottabile anche per strategie di diversificazione concentrica e conglomerale.

La fusione
Caratteri essenziali: operazione mediante cui società distinte vengono unite in un’unica società preesistente
alla fusione (fusione per incorporazione) o in una nuova società (fusione in senso stretto).
Ratio dell’istituto: 1. Scopo «concentrativo» o di riorganizzazione giuridico formale della struttura del
gruppo. 2. Ricerca di sinergie. 3. Crescita dimensionale (del patrimonio netto) contro scalate ostili.

PROCESSO DI FUSIONE
I. Prima fase (redazione da parte degli amministratori delle società partecipanti alla fusione dei seguenti
documenti): Progetto di fusione (informazioni, atto costitutivo e rapporto di cambio). Situazione
patrimoniale (norme bilancio di esercizio). Relazione degli amministratori (giustificazione giuridico-
economica).
II. Seconda fase (approvazione del progetto di fusione da parte delle società partecipanti Quorum previsti
e facoltà di recesso Iscrizione della delibera nel registro delle imprese
III. Terza fase (stipula dell’atto di fusione) 60 giorni dopo iscrizione nel registro delle imprese

L’acquisizione

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

FASE DI PRE - ACQUISIZIONE:


Le motivazioni strategiche
1. Consolidamento/incremento del potere di mercato
2. Superamento delle barriere di ingresso (Superamento barriere che bloccano in modo assoluto l’ingresso di
nuovi concorrenti/Riduzione dei costi di ingresso/ Entrata in mercati esteri (cross-border M&A))
3. Innovazione e incremento dello speed to market (Riduzione tempi e rischi connessi all’innovazione in
house/ Fenomeno diffuso anche nei contesi high-tech)
4. Apprendimento e sviluppo nuove competenze
5. Attuazione strategie di diversificazione

Criteri di classificazione
In base alla motivazione strategica dell’acquisizione/fusione:
a) Acquisizione verticale (a monte/a valle).
b) Acquisizione orizzontale (concorrenti; obiettivi: aumento potere e economie).
c) Acquisizione per estensione del prodotto (produzioni complementari).
d) Acquisizione per estensione del mercato (geografica o nuovi segmenti).
e) Acquisizione conglomerale (legami solo finanziari).
In base alla funzione dell’acquisizione/fusione rispetto ai business attuali dell’impresa:
a) Rafforzamento del dominio (business attuali).
b) Estensione del dominio (business collegati).
c) Esplorazione di nuovi domini (nuovi mercati, nuove tecnologie).

FASE DI VALUTAZIONE E FISSAZIONE DEL PREZZO


La fissazione del prezzo può avvenire mediante: Negoziazione a trattativa privata /Contrattazione in borsa/
Contrattazione fuori borsa («ai blocchi»). Il prezzo di scambio (di concambio nel caso di fusioni) dipende
da: valore attuale dell’impresa (valutazione dell’azienda)./ potere di mercato del venditore (condizione
economico/finanziaria; tempo etc.)./ informazioni possedute dall’acquirente (rischi di asimmetria
informativa).
La valutazione dell’impresa volta alla definizione del prezzo può essere effettuata impiegato differenti
metodi:
- Metodi patrimoniali (slide Dott. Donato)
- Metodi reddituali (slide Dott. Donato)
- Metodi multipli (slide Dott. Donato)
- Metodi finanziari • Discounted Free cash flow (DFC)
- Metodi misti patrimoniali-reddituali • Economic Value Added

MOTIVI PER ABBANDONARE LA TRATTATIVA

1. Strategici
Assenza sinergie attese, Scarso potenziale di sviluppo, Assenza di «strategic fit» e incoerenza con gli
obiettivi dell’acquisizione, Scarse possibilità di integrazione
2. Economico-finanziari Prezzo troppo elevato, Bassa profittabilità dell’impresa target, Problematiche
connesse alla modalità e alla tempistica di pagamento del prezzo, Scarsa affidabilità delle proiezioni
economico-finanziarie
3. Manageriali Basso livello del management, Assenza di fiducia nel management locale, Assenza di
un accordo sulle questioni connesse alla governance
4. Connessi al rischio Assenza garanzie reali o coperture da rischi materiali, Incertezze in merito agli
aspetti legali e di tassazione
5. Legali Scoperta di frodi o illegalità; identificazione di passività «undisclosed», Problematiche
potenziali connesse alle leggi antitrust.
6. Socio-ambientali Problematiche connesse all’environment, Motivazioni etiche, vincoli sociali legati
al personale
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

FASE DI PIANIFICAZIONE

FASE DI COMUNICAZIONE
- Azionisti (shareholders): comunicazione delle motivazioni e degli obiettivi; possibili impatti sulle
quotazioni.
- Comunità finanziaria (obbligazionisti, analysts, ecc.): possibili stress sulle condizioni di credito,
rischi connessi alla leva finanziaria, ecc.
- Governo e policy makers
- Antitrust
- Competitors
- Personale
- Clienti: effetti sull’immagine, problematiche connesse al mantenimento della quota di mercato, ecc.
- Fornitori: rischi connessi a cambiamenti nelle clausole contrattuali, modifiche nel parco fornitori,
ecc.

FASE DI IMPLEMENTAZIONE
PROBLEMATICHE
o Strategiche e gestionali
▪ Identificazione di obiettivi comuni a livello «multinazionale»
▪ Integrazione delle attività di implementazione ed esecuzione
▪ Implementazione di procedure e tecniche operative comuni e sofisticate
o Organizzative
▪ Gestione delle differenze culturali
▪ Integrazione di differenti strutture organizzative
▪ Rapporti con i sindacati
▪ Mantenimento del personale (chiave) nel proprio posto di lavoro
▪ Remunerazione del management (stock-option)
CORRETTIVI
o Selezione team di management per l’integrazione
▪ Contratti di lungo periodo con i manager (chiave);
▪ Visite «on site» da parte del management operativo.
o Motivazione del personale
▪ Incentivazione monetaria e non monetaria;
▪ Management by objectives;
▪ Impiego di consulenti HR
o Controllo e misurazione
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

▪ Nomina di «business unit controllers» per il monitoraggio dell’integrazione


▪ Definizione e monitoraggio di KPI (Key Performance Indicators) per l’integrazione
(finanziari, connessi al rischio; relativi al personale; connessi ai clienti)

VANTAGGI E SVANTAGGI CRESCITA ESTERNA


VANTAGGI: • Sfruttamento risorse e competenze tecnologico-produttive dell’impresa acquisita. •
Sfruttamento conoscenze di mercato dell’impresa target, base clienti, immagine del brand e reputazione. •
Superamento di ostacoli di natura politico, normativa e istituzionale • Crescita senza aumento della capacità
complessiva del settore. • Minor rischio di reazioni violente dai competitors. • Maggiore rapidità di
attuazione della strategia
SVANTAGGI: Vincoli esterni connessi alla disponibilità di aziende adeguate. Rischio di pagamento di un
prezzo troppo elevato. Difficoltà nella valutazione degli assets da acquisire. Possibili difficoltà di
coordinamento e integrazione. Difficoltà derivanti da diversità culturali (specie nel caso di operazioni
crossborder). Possibile allungamento non previsto nei tempi di implementazione della strategia.

Il successo / insuccesso delle modalità di crescita esterna


Definizione e misurazione del concetto di successo / insuccesso
- Impiego di indicatori economico/finanziari (valore creato per gli azionisti)
- Numero di disinvestimenti successivi all’M&A (Porter).
- Giudizi esterni (opinioni investitori, analysists, ecc.) e andamento borsistico.
I fattori rilevanti per il successo / fallimento delle operazioni di M&A:
➔ Fattori di processo: fattori che riguardano la progettazione/gestione delle fasi di negoziazione e
implementazione, su cui l’impresa acquirente può esercitare un

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Le modalità di crescita di tipo collaborativo


Specificità: Si configurano come rapporti di collaborazione che possono prevedere differenti orizzonti
temporali, livelli di commitment ed esposizione al rischio. Permettono di accedere a risorse, competenze e
tecnologie non presenti internamente. Consentono di ampliare l’ambito competitivo attraverso l’ingresso in
nuovi business, nuove aree geografiche, nuovi segmenti di mercato.
Modalità attuative:
- Accordi equity: prevedono la partecipazione al capitale di rischio (joint ventures, consorzi,
cooperative, partecipazioni di minoranza in altre imprese, acquisizioni educative, ecc…)
- Accordi non equity: accordi che non prevedono la compartecipazione al capitale di una società e si
basano invece su clausole contrattuali modificabili dalle parti (collaborazione sistematica o
plurifunzionale, collaborazione occasionale e monofunzionale, franchising, management contract,
associazione a catena, accordi collusivi, ecc.). Possono essere unidirezionali (licencing) o
bidirezionali (scambio di tecnologia)
Presupposti teorici:
*Forma efficiente di espansione in attività complementari aventi scarse affinità.
*Forma di transazione intermedia rispetto al mercato e alla gerarchia.
*Forma di «quasi integrazione» volta alla flessibilità produttiva.
*Soluzione innovativa per contesti tecnologici incerti e per attività R&D.
*Impresa come «sistema aperto».
Trend e trasformazioni ambientali rilevanti che hanno comportato una crescita di questi fenomeni:
Internazionalizzazione e globalizzazione dei mercati (effetti sulla concorrenza)/ Nuove tecnologie
(pervasività, trasversalità, interdipendenza scienza-tecnologia, convergenza tecnologia)/ Cambiamenti nella
domanda (varietà e variabilità; opportunità globali)/ Fattori sociali, normativi, politici e istituzionali
(regolamentazione, deregolament.)
VANTAGGI: • Accesso a risorse e competenze complementari (produttive, tecnologiche, di mercato). •
Riduzione del rischio (finanziario). • Possibilità di dilazionare commitment e investimenti (cfr. opzioni
reali). • Rapidità dell’operazione. • Possibilità di sfruttare «finestre» di opportunità (cfr. «strategic windows»
di Abell).

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

SVANTAGGI: Mancanza di controllo (gerarchico). Rischi connessi a comportamenti opportunistici dei


partners. Rischi connessi a spill-over tecnologici (a vantaggio dei partners). Scarse garanzie di durata.
Problematiche connesse all’apprendimento.
i Consorzi
Specificità: associazione di imprese, che giuridicamente ed economicamente restano autonome, per il
compimento di un’opera, la prestazione di un servizio, o la regolamentazione dei rapporti reciproci dei
consorziati.
Definizione e aspetti normativi (Art 2602 c.c., comma 1): è un contratto con cui «più imprenditori
istituiscono un organizzazione comune per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese».
Scopo: forma di collaborazione volta alla creazione di una struttura comune per lo svolgimento di servizi
specifici o per la realizzazione di singole attività del ciclo produttivo (ricerca tecnologie, manutenzione
impianti, creazione marchi, ecc.).
• Consorzi con sola attività interna.
• Consorzi con attività esterna (Art 2612 c.c.).
• Consorzi società.
Consorzi volontari e consorzi obbligatori. Esempi (consorzi per l’esportazione, consorzi per la produzione
alimentare, ecc.)
Joint venture (societaria)
Specificità: costituzione di un soggetto giuridico autonomo da parte di più imprese associate, che ha il ruolo
di realizzare l’azione comune. L’accordo prevede (solitamente) la nascita di una nuova impresa, avente veste
giuridica di società di capitali, al fine di perseguire politiche di alleanze stabili e durature per lo sviluppo di
progetti complessi (joint target).
In base al grado di autonomia decisionale riservato all’impresa congiunta è possibile distinguere in: Joint
venture indipendente/ Joint venture a gestione comune/ Joint venture dominata
Franchising
Specificità: E’ un contratto con cui un’impresa principale aggrega una rete di imprese satelliti,
giuridicamente autonome, concedendo la possibilità di commercializzare i propri prodotti e servizi.
Definizione e aspetti normativi (affiliazione commerciale ex lege 129/04):
- è un rapporto tra due soggetti: un produttore o rivenditore di beni e servizi («franchisor» o
«affiliante») e un distributore («franchisee» o «affiliato»);
- L’affiliata si avvale del patrimonio di conoscenze e competenze, dei marchi, del nome, dell’insegna
commerciale, dei ritrovati tecnici, amministrativi e organizzativi messi a disposizione dall’affiliante.
- L’affiliante trae vantaggio dall’esperienza e dall’eventuale avviamento dell’affiliata; penetra i
mercati su scala locale e ottiene il pagamento di un corrispettivo.
- Il corrispettivo è composto da una quota fissa (diritto d’entrata o entry fee) per l’uso della formula
commerciale, la formazione, l’affiancamento, il know-how, ecc. e una quota variabile (royalties)
proporzionale al fatturato generato.
Tipologie di franchising: 1) di distribuzione: l’affiliante cede all’affiliata il know-how commerciale, l’uso
del marchio, servizi vari a fronte del pagamento dell’entry fee e/o delle royalties. • Catene di supermercati,
abbigliamento, scarpe, gioielleria, ecc. 2) di servizi: l’affiliante trasferisce il know-how relativo alla
prestazione di servizi efficacemente organizzati e sperimentati. Richiede la replicabilità della formula
imprenditoriali. • Ristorazione, turismo, autonoleggio, ecc. 3) Industriale: i partner sono due imprese
industriali, l’affiliante concede all’affiliata la licenza dei brevetti di fabbricazione e i marchi; trasferisce la
tecnologia e assicura assistenza tecnica. L’affiliante fabbrica e commercializza i prodotti producendoli nei
propri stabilimenti usando il know-how e le tecniche di vendita dell’affiliante.
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Grado di ingerenza dell’affiliante nell’attività dell’affiliato: Franchising imprenditoriale / Franchising


pianificato
MANAGEMENT CONTRACT
Contratto di gestione mediante il quale il proprietario di un immobile o di un’infrastruttura affida la
direzione dello/a stesso/a ad uno staff di esperti (o ad un impresa) che si occupa di rendere lo redditizio.
Focus sulle competenze gestionali e di marketing del soggetto incaricato. La società che prende in gestione
l’immobile/infrastruttura, ecc. utilizza, nella maggior parte dei casi, il proprio marchio. Il pagamento per il
soggetto che gestisce il bene può essere costituito da un fisso o dalla compartecipazione agli utili. Contratto
impiegato nell’ambito di servizi in cui rileva la competenza gestionale: Alberghi Terminal portuali ecc.

Definizione obiettivi e motivazioni strategiche


In base agli obiettivi le forme collaborative possono essere distinte in (Contractor e Lorange, 1990):
strategiche e tattiche.
Alleanze strategiche
Finalità: • Costruire/migliore il VC dell’impresa nel medio/lungo termine con valenza globale; • Lancio,
sviluppo e sfruttamento economico di innovazioni o prodotti con potenzialità inespresse; • Controllare la
dinamica delle traiettorie di sviluppo di risorse complementari.
Caratteristiche: • Elevato grado di complementarietà tra i soggetti partecipanti. • Focus sugli aspetti connessi
alle risorse immateriali. • Poliedricità dell’accordo (ampiezza degli aspetti)
Alleanze tattiche
Sfruttamento vantaggi già posseduti. Orizzonte temporale tendenzialmente di breve periodo. Rapporti inter-
organizzativi gestiti secondo una logica di «transazioni ripetute». Svolgimento di un numero contenuto di
attività e scambio di risorse specifiche.
Principali motivazioni strategiche
1. Riduzione tempi e rischi (connessi all’avvio di un nuovo business o l’ingresso in un nuovo mercato).
2. Accesso rapido ai progressi tecnologici (problematiche connesse alle attività di R&D).
3. Accesso e apprendimento alle conoscenze e competenze dei partner.
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

4. Creazione/sfruttamento nuova conoscenza e nuove


competenze (iterazione tra i partner).
5. Conseguimento economie di scala (massa critica,
ampliamento confini).
6. Modifica ambiente competitivo (comportamento dei
concorrenti).
7. Effetti analoghi all’incremento del grado di concentrazione
del settore (riduzione spazi di mercato per concorrenti;
innalzamento barriere per nuovi entranti; aumento potere di
mercato vs. fornitori o clienti).
Scelta del partner
Tipologia di partner: definisce la «direzione» della
collaborazione:
1. Accordi verticali: stessa filiera (a monte o a valle).
2. Accordi orizzontali: con i concorrenti (facilità di
identificazione obiettivi comuni).
3. Accordi di diversificazione: correlata (produttori di beni/servizi complementari o sostitutivi) o prospettica
(business interessati da fenomeni di «convergenza tecnologica).
4. Accordi trasversali: Università, enti di ricerca, ecc. (donors e recipient; spin-off; trasferimento
tecnologico).
Caratteristiche socio-demografiche e culturali: influenzano le fasi di negoziazione, implementazione
operativa e gestione dell’alleanza.
Risorse, conoscenze e competenze: Risorse tangibili vs. risorse intangibili (sinergie; economie di scopo;
prospettiva knowledge based). Risorse complementari vs. risorse supplementari.
Negoziazione delle condizioni
Definizione della soluzione negoziale:
- Soluzioni equity/non equity (societarie/contrattuali)
- Scelta del grado di controllo (degree of control): POS (partially owned subsidiaries); JV paritetiche e
consorzi; minority shareholding; shadow entry.
Definizione dei compiti, delle funzioni, delle specifiche risorse apportate.
Possibilità di distinguere le alleanze in ragione delle attività della catena del valore cui afferisce la
collaborazione:
a. Alleanze tecnologiche  Trasferimento di tecnologia tra partner con diverse dotazioni (Technology
transfer; «tech for money».  Complementarietà tecnologica (leveraging delle diverse competenze e
conoscenze complementari nell’ambito dell’innovazione tecnologica).  Compartecipazione al rischio
(partner industriale operativo + partner finanziari per sfruttamento economico di brevetti o nuove
tecnologie).
b. Alleanze per la produzione e le funzioni logistiche  Produzione su scala più elevata. 
Raggiungimento i sinergie nell’ambito delle attività logistiche
c. Alleanze per marketing, distribuzione e assistenza  Sfruttamento delle conoscenze di mercati,
segmenti, o aree geografiche (Case study Fiat – Tata Motors).  Ricerca di sinergie nell’ambito del
marketing e della distribuzione (Case study Erg – Total).  Ingresso in nuovi mercati e superamento di
eventuali barriere (Caso Lukoil – Erg; Caso Fiat – Guangzhou Automobile Group Co.).
Definizione dell’estensione e dell’ambito della collaborazione: Uno/più prodotti Una/più aree geografiche
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

LA FORMULAZIONE DELLA STRATEGIA


1. Sviluppo vision e mission
2. Definizione di obiettivi
3. Elaborazione di una strategia (obiettivi + risorse + azioni) … RUOLO VALUTAZIONE EX ANTE
4. Implementazione della strategia scelta
5. Valutazione delle performance RUOLO VALUTAZIONE EX POST
1-SVILUPPO VISION E MISSION
LA VISION:
La vision rappresenta la prospettiva di un futuro
realistico, credibile e desiderabile per l’organizzazione:
DOVE STIAMO ANDANDO? STRATEGIC
INTENT…. Con la vision il manager fornisce un ponte
tra il presente e il futuro dell’organizzazione.
Deve spiegare come il management vuole che diventi
l’impresa
Deve spiegare all’organizzazione dove vuole arrivare
l’impresa
Nel definire la propria vision, il management definisce, in generale: il ruolo sociale che l’impresa intende
svolgere; i confini entro cui intende muoversi; i principi etici a cui intende ispirare le sue scelte di governo e
i suoi comportamenti.
LA MISSION:
La missione rappresenta “la ragion d’essere dell’impresa” -> Enunciazione dello scopo fondamentale
dell’impresa che si distingue dagli altri obiettivi in termini di ampiezza del prodotto, ampiezza del mercato,
ed estensione geografica.
La definizione della missione rappresenta il primo passo per la definizione del comportamento strategico e
della strategia d’impresa. CHI SIAMO? COSA FACCIAMO? PERCHE’ SIAMO QUI?
2-DEFINIZIONE DEGLI OBBIETTIVI
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Definire un chiaro insieme di obiettivi a lungo termine verso cui la strategia è diretta. Tali obiettivi si
riferiscono generalmente alla posizione sul mercato o allo status che l’impresa spera di raggiungere
attraverso la strategia. Gli obiettivi devono essere più specifici della generica definizione “massimizzare i
profitti”: questo obiettivo è troppo ampio per avere un contenuto strategico. Gli obiettivi possono essere visti
come il “dove” della strategia: dove i managers vogliono posizionare l’impresa? MISURABILI!!!!!
Gli obbiettivi possono essere:
- a lungo e a breve
- a tutti i livelli dell’organizzazione
- dall’altro verso il basso (corporate strategy)

3-FORMULAZIONE STRATEGIA VERA E PROPRIA


La strategia rappresenta lo schema o il modello
decisionale atto a coordinare gli obiettivi, le linee
di comportamento e l’allocazione delle risorse
dell’impresa, in una visione unitaria e coerente
Chi prende parte alla formulazione della
strategia?
- imprenditore
- CEO o amministratore delegato
- CEO + CFO + manager di divisione o funzione
Come gestire il processo?
APPROCCIO RAZIONALISTICO:
Il problema decisionale può essere scomposto in quattro passaggi: 1) individuazione della necessità di
prendere una decisione; 2) formulazione di diverse alternative 3) valutazione delle alternative 4) scelta e
attuazione di una o più alternative individuate
Questo approccio è stato recepito negli studi di strategia dano origine al sistema di pianificazione.
PIANIFICAZIONE STRATEGICA
La pianificazione si dedica alla comprensione dei principali fattori di cambiamento delle variabili ambientali
relativi a ciascun business dell’azienda (ottica anticipativa)
- Viene sviluppato il concetto di Strategic Business Unit, unità organizzative che operano
autonomamente come imprese nell’impresa.
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

- Al vertice spettano decisioni riguardanti l’allocazione delle risorse e la definizione dei parametri di
performance per la valutazione dei business, al fine di stabilire le priorità di investimento
A livello corporate, viene ricercata una visione complessiva dell’impresa al fine di analizzare le condivisioni
di risorse, impianti di produzione, reti di distribuzione. Per l’elaborazione di una strategia complessiva, si
rendono necessarie la definizione di compiti da assegnare ai diversi livelli e la predisposizione della
sequenza delle azioni da intraprendere con l’assegnazione
delle responsabilità per l’esecuzione di tali compiti (top
down).
Le critiche all’approccio razionalistico – l’approccio
emergente/comportamentale
La pianificazione è un percorso denso di tranelli
(mancanza di coinvolgimento dell’intera struttura
dell’impresa) e inganni (inattendibilità delle previsioni,
separazione tra pianificatore e management,
formalizzazione eccessiva)
Le imprese complesse tendono a fare quindi un piano.
Le imprese necessitano di sistemi di pianificazione nuovi, basati sui seguenti principi, tra i quali (Taylor B.,
1997):
- la strategia deve essere continua e non elaborata periodicamente;
- la discussione sulla strategia deve essere focalizzata non su piani operativi ma su alcuni specifici
principi;
- le decisioni strategiche sono assunte dal top management a livello corporate, in connessione con i
manager di line. Personale specifico e competenze specifiche possono essere reperiti mediante il
ricorso a società di consulenza
- aumenta l’attenzione per la fase di implementazione.
Perché è ancora necessario il piano? I vantaggi
Un sistema di pianificazione strategica può supportare le imprese nel risolvere quattro importanti dilemma
che devono affrontare.
Il primo dilemma riguarda la tensione tra le risorse attuali e i progetti futuri, e quindi tra di ottica di breve e
quella di lungo periodo.
Un ulteriore dilemma concerne la ricerca di nuove opportunità, giacchè spesso le imprese tendono ad
estendere il business presente o ad estrapolare comportamenti passati piuttosto che ricercare nuovi ambiti o
nuove modalità di competizione.
Un terzo dilemma è connesso con la mancanza di partecipazione e committment e di condivisione da parte
dell’organizzazione alle scelte aziendali; problema che può essere risolto mediante l’adozione di un processo
di formulazione della strategia assai partecipativo.
Un ulteriore dilemma concerne la capacità dell’impresa di acquisire una conoscenza incrementale su come la
strategia sta lavorando. Il processo di pianificazione consente quindi di agevolare il controllo.

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Il processo di pianificazione si svolge attraverso i tre livelli gerarchici in modo tipicamente top down:
dapprima il corporate definisce le strategie generali d’impresa
successivamente i responsabili delle unità di business stabiliscono le strategie di business, concordandole
con il management del corporate
quindi i responsabili di funzione individuano le strategie funzionali, contrattandole con i responsabili delle
unità di business
da ultimo le informazioni risalgono al livello corporate, ove si ha una verifica e approvazione delle
decisioni prese ai livelli inferiori
Il processo si articola in modo del tutto analogo anche nelle fasi successive di definizione degli obiettivi e
di definizione dei piani operativi.

I Requisiti Fondamentali del Piano Industriale sono:


1. La Sostenibilità Finanziaria, ovvero l’assenza di
gravi squilibri nella struttura finanziaria;
2. La Coerenza dei piani predisposti, ovvero l’assenza
di fattori di “incoerenza”,
3. L’Attendibilità che fa riferimento alla fondatezza
degli elementi di riscontro delle ipotesi contenute nel
piano medesimo.

SOSTENIBILITA FINANZIARIA: Qualità e quantità delle fonti di finanziamento che il management


intende utilizzare per far fronte ai fabbisogni correlati alla realizzazione della strategia.
Per esempio: Durante l’arco temporale di piano è opportuno che i cash flows (intesi come utile netto +
ammortamenti) coprano gli assorbimenti di Capitale Circolante Netto e gli Investimenti netti di
sostituzione/mantenimento: Cash flow > = ΔCCN + Investimenti di sostituzione / mantenimento
COERENZA: E’ un requisito “interno” del piano che si manifesta se esistono i nessi causali tra: - Strategia
realizzata; - Situazione aziendale di partenza e opportunità di cambiamento; - Intenzioni strategiche; -
Action Plan; - Ipotesi e previsioni economico-finanziarie
Altro aspetto della COERENZA riguarda la realizzabilità dell’Action Plan e più precisamente la
compatibilità tra: - Azioni Pianificate; - Tempistica proposta; - Risorse attuali e prospettiche (umane,
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

organizzative e tecnologiche) di cui l’azienda dispone e si doterà. => IL PIANO DEVE ESSERE
REALIZZABILE….
ATTENDIBILITA’: Un piano industriale è attendibile se le ipotesi sono realistiche. I contenuti del piano
industriale devono essere realistici in particolare rispetto a: - Andamento della domanda e quota di mercato;
- Tendenze in atto nei bisogni dei consumatori (trend); - Comportamento dei competitors (benchmark); -
Struttura e cambiamenti dei canali distributivi e dei rapporti di fornitura; - Contesto normativo, tecnologico,
sociale e ambientale.
Quali piani prevalgono? L’instabilità ambientale sospinge, diversamente da quanto preconizzato da
Mintzberg, verso una maggiore pianificazione. In particolare, modelli di pianificazione di tipo transattivo e
generativo sono associati con ambienti esterni turbolenti. Si è invece verificato che pianificazioni di tipo
simboliche e razionali sono correlati più alla dimensione aziendale (grande!) che al tipo di ambiente.
Obiettivi: performance strategica e performance eco-fin
Una migliore performance strategica favorisce una migliore performance finanziaria
36% (per alcuni il 40%) delle imprese globali adottano la Balance Scorecard per definire (e controllare) gli
obiettivi
Perché è utile la Balanced Scorecard? Aiuta a rimuovere alcuni ostacoli alla concreta realizzazione degli
obiettivi strategici.
Ostacoli: la strategia non è condivisa e/o il suo grado di attuazione non misurabile; le risorse non sono
allocate in funzione delle strategie; i processi non sono progettati in linea con le priorità strategiche;
l'organizzazione, la formazione e i sistemi di incentivazione non sono allineati alla strategia.
La BS cerca di rendere coerenti le quattro diverse prospettive di valutazione delle performance dell'impresa:
- la prospettiva finanziaria (financial perspective) la domanda chiave è: per avere successo dal punto di
vista finanziario, come dovremmo apparire ai nostri azionisti? Gli obiettivi sono quelli economici
finanziari, misurati dai tradizionali indicatori di performance e redditività;
- la prospettiva del consumatore (customer perspective) – La domanda chiave è: come dovremmo
apparire ai nostri consumatori? L'obiettivo è il miglioramento dell'offerta e del servizio per il cliente;
- la prospettiva interna dell'impresa (business process perspective) – La domanda chiave è: per
soddisfare i consumatori, in cosa dovremmo eccellere? L'obiettivo è il miglioramento dei processi
core;
- la prospettiva di innovazione e apprendimento (learning and growth perspective) – La domanda
chiave è: Come manterremo le nostre capacità di apprendimento e miglioramento? L'obiettivo è
l'apprendimento e sviluppo organizzativo.
Interrelazioni possibili tra le diverse prospettive e i relativi obiettivi: un miglioramento del processo di
evasione degli ordini nella business process perspective, inevitabilmente migliora il servizio al cliente
(prospettiva del consumatore) aumentando anche il fatturato (prospettiva finanziaria).
Per ciascuna prospettiva risultano così individuati:
gli obiettivi: ciò che deve raggiungersi ed è critico per il successo;
le misure: gli strumenti che verranno utilizzati per quantificare il raggiungimento di ciascun obiettivo;
i bersagli: i valori-obiettivo delle misure;
le iniziative: le azioni chiave e i programmi che verranno attuati al fine del raggiungimento degli obiettivi.

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

LA GOVERNANCE
Cosa significa governare l’impresa? Le decisioni
Nelle imprese vengono assunte decisioni aventi ciascuna caratteristiche diverse sotto il profilo
dell’importanza della decisione, dei contenuti e della collocazione della responsabilità a livello
organizzativo. Partendo da questo riconoscimento, l’insieme delle decisioni aziendali possono essere
propriamente classificate, proprio in ragione dei suddetti profili, in tre livelli ordinati gerarchicamente:
 − decisioni strategiche;  − decisioni amministrativo-organizzative;  − decisioni operative.
DECISIONI STRATEGICHE
Scaturiscono dal tentativo di armonizzare il rapporto dinamico che esiste tra impresa e ambiente. Presentano
alcune caratteristiche fondamentali:
 sono fortemente centralizzate;  si adottano in condizioni di incertezza;  non sono ripetitive;  non sono
evidenti, cioè non si impongono all’attenzione del decisore  I risultati derivanti da tali decisioni hanno
incidenza sulla performance aziendale  Costituiscono il vertice delle responsabilità a livello organizzativo
DECISIONI ORGANIZZATIVO-AMMINISTRATIVE
Riguardano il problema della combinazione ottimale delle risorse a disposizione dell’impresa (mezzi
finanziari, capitale umano, conoscenze, etc.), al fine di raggiungere il massimo di produttività compatibile
con il massimo grado di economicità.
DECISIONI OPERATIVE
Riguardano l’utilizzo ottimale delle risorse nell’ambito di ciascuna area funzionale. Assorbono la maggior
parte delle energie decisionali dell’impresa e attengono essenzialmente al come produrre.

CORPORATE GOVERNANCE: (nati negli stati uniti per studiare la grande impresa manageriale; si trattava
di risolvere un conflitto tra manager) Il termine corporate governance ha assunto nel tempo e nello spazio
definizioni non univoche. In particolare, in letteratura si ritrovano due accezioni di corporate governance:
• in senso allargato • in senso ristretto
L’analisi del sistema di governo delle imprese ha da sempre rivestito una fondamentale importanza
nell’ambito della gestione strategica aziendale. Gli assetti di governo delle imprese costituiscono, infatti, una
leva fondamentale della competitività delle imprese, una chiave di cui le imprese hanno bisogno per
massimizzare l’efficienza della gestione aziendale.
La corporate governance: indica quali soggetti sono responsabili di compiere le scelte strategiche; determina
l’ampiezza del potere e della responsabilità attribuita ai decisori aziendali, l’efficacia dei controlli a cui sono
sottoposti; determina, in senso più ampio, gli equilibri e i rapporti tra i diversi stakeholder.

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

CONCEZIONE ALLARGATA
Il concetto di corporate governance nell'accezione più ampia presuppone una visione dell’impresa quale
sistema che interagisce con una serie di stakeholders, ciascuno dei quali è portatore di interessi che devono
essere tutelati. In questo ambito, rientrano tutti gli studi che analizzano, a livello di sistema delle imprese, il
rapporto tra governo delle stesse e insieme delle forze esterne con cui esse interagiscono.

Nella prima definizione si pone l’attenzione sul sistema finanziario e sugli azionisti.
Nella seconda ci si focalizza sulle strutture e i processi.
Nell’ultima definizione si fa riferimento shareholders e managers.
Nell’ambito della concezione allargata di CG, è utile partire dai vincoli posti all’attività di governo (il
soggetto economico da chi è condizionato?):
- dagli stakeholders;
- dal sistema giuridico formale.
Stakeholders Possibili modalità di influenza sugli obiettivi di impresa:
 Compatibilità, convergenza tra gli obiettivi dell’impresa e quelli del portatore di interessi;
 Ricerca di posizioni di monitoraggio;
 Ricerca di una posizione di influenza (capacità di incidere sulla composizione degli obiettivi aziendali).
Due tipi di classificazioni:
- Secondo il tipo di coinvolgimento (diretto o indiretto) nella vita dell’impresa:
1) stakeholder interni (il conflitto più grande avviene tra azionisti di minoranza e management, situa
caratterizzata da capitale investito. Altro problema si pone quando si cerca di tutelare gli azionisti di
minoranza da quelli di maggioranza, perché spesso hanno interessi diversi)
- Azionisti (di minoranza o maggioranza) finanziari (ottenere un rendimento sul capitale investito
soddisfacente) industriali (partecipazioni in altra impresa ad es) altri interessi
- Dipendenti
- Management
2) stakeholder esterni
- imprese implicate nelle attività produttive (fornitori di beni e servizi)
- Clienti
- Imprese concorrenti
- Soggetti erogatori di capitale di credito
- Istituzioni: enti locali, Stato, Comunità internazionale
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

- Associazioni di tutela di interessi specifici)

- Secondo il grado di influenza sulla gestione aziendale:


1) stakeholder primari (Soggetti che esercitano una pressione più diretta ed immediata sulla gestione
aziendale: proprietari management dipendenti clienti fornitor)
2) stakeholder secondari (Soggetti in grado di influenzare i comportamenti di lungo termine
dell’impresa, potendo incidere, in particolare, sul clima sociale delle relazioni aziendali: società
civile comunità locale media sindacati gruppi ambientalisti)
Sistema giuridico formale: Il governo dell’impresa, in tutti i Paesi, presenta aspetti giuridico-formali che
non possono essere trascurati. Le legislazioni delle varie nazioni prevedono, infatti, assetti precisi e
dettagliate regole che influenzano il governo e potere delle imprese. Il governo delle imprese si muove, così,
nell’ambito di quadri normativi specifici per ogni sistema Paese.
La protezione legale comprende:
- per gli azionisti, una serie di norme legate al diritto societario e fallimentare, leggi sulla regolazione dei
mercati, quale quella antitrust, regolamenti interni delle borse, principi contabili, ecc.;
- per i creditori, una serie di diritti che li proteggono in sede di fallimento e di procedure di riorganizzazione
aziendale.
Ovviamente non tutti i paesi sono dotati dello stesso bagaglio legislativo, per cui il livello di protezione
legale può variare da paese a paese.

Il livello di protezione legale garantito agli azionisti-risparmiatori e, più in generale, agli investitori
influenza gli equilibri che vengono a formarsi relativamente a diversi profili quali:
 l’ampiezza e lo sviluppo del mercato dei capitali (tanto più vi è tutela degli investitori tanto più si
sviluppano i mercati di capitali);  l’accesso alle diverse fonti di finanziamento esterne e le opportunità
di investimento (la certezza di vedere riconosciuto un proprio credito è un elemento che stimola la
creazione di strumenti diversi);  la concentrazione proprietaria (se sono molto tutelato vedo nell’impresa

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

un bene contendibile e quindi vendo azioni a seconda delle mie esigenze, una proprietà concentrata sa
tutelare i propri interessi);  le politiche dei dividendi (l’interesse dell’azionista è quello di ricevere non
solo il capital gain ma di avere dividendi e quindi l’impresa con maggiore esposizione ai mercati finanziari
non può non considerare questo aspetto);  la valutazione delle imprese.
Quando vi è certezza dell’applicazione della legge magari ci sono più difficoltà all’ingresso del mercato, ma
poi è tutto in discesa.
Modelli di corporate governance
La letteratura in materia di Corporate Governance ritiene che gli attuali sistemi economici delle nazioni più
sviluppate, sulla base dell’intensità del rapporto con il mercato finanziario e della conseguente articolazione
della struttura proprietaria (aperta o chiusa su pochi azionisti), siano riconducibili a due modelli
fondamentali:
• modello anglo-americano (outsider
system)
• modello renano, giapponese e latino
(insider system)

Nei market based si era previsto il mercato finanziario come forma principale di finanziamento, per questo è
molto liquido e efficiente. In quello relationship based non è proporzionato alle economie sottostanti (la
capitalizzazione di Germania non è uguale a quella dell’Italia). Il mercato per il controllo societario significa
che nei sistemi market based la proprietà delle imprese è contendibile (anche nell’altro mercato però non si
ribalta assolutamente la governance delle imprese, l’impresa non riesce ad essere considerata un bene del
tutto contendibile).
Outsider system

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Sistemi basati sul mercato, tipici delle culture anglosassoni, quali Stati Uniti, Gran Bretagna, Irlanda e
Canada. Tali Paesi risultano accomunati dalla presenza di un livello minimo di regolamentazione e di
intervento dello Stato, il quale si limita a “fissare le regole del gioco” e da una cultura degli operatori
orientata ai mercati finanziari. Essi hanno, inoltre, in comune il fatto di essere regolati da un sistema
legislativo basato sulla common law.
Tali sistemi di governance sono caratterizzati da:
• un decisivo ruolo del mercato finanziario; • la netta separazione tra proprietà e controllo
RUOLO DECISIVO DEL MERCATO FINANZIARIO: Nei sistemi outsider i mercati finanziari sono molto
sviluppati, essendo dotati di un buon livello di efficienza e liquidità. Su tali mercati i titoli vengono
scambiati con facilità e ad un prezzo che è espressione del loro valore effettivo (legato alle performance
dell’impresa), cioè pari al valore (valore pari alle potenzialità che l’impresa manifesta in futuro) attuale dei
cash flow futuri. Il mercato finanziario costituisce la principale fonte di finanziamento per lo sviluppo delle
imprese.
Nel caso degli Stati Uniti il riferimento ad un mercato finanziario dotato di un buon livello di efficienza
appare giustificato. Esistono più mercati borsistici e di notevole spessore: NYSE, NASDAQ e altri listini
over the counter. Il solo NYSE raccoglie la quotazione di circa 2.800 imprese (di cui 470 straniere), con una
capitalizzazione complessiva di 15.000 miliardi di dollari. Il gran numero di investitori istituzionali
indipendenti (fondi di investimento, fondi pensione, gestori di portafogli, ecc.), dotati di ampie disponibilità
finanziarie, conferisce inoltre stabilità al mercato.
Il mercato finanziario agisce anche come meccanismo di controllo esterno sull’operato del management
-> Market for corporate control (Mercato per il controllo societario)
Tale mercato può influire sul comportamento del management in due diversi modi:
- ex ante (la minaccia di scalata, con conseguente rimozione del management, porta questi ultimi ad
allineare i propri interessi a quelli degli azionisti attraverso una gestione in grado di aumentare il
valore dell’impresa)
- ex post (il management, dopo la scalata, viene sostituito con un team più efficiente in grado di
massimizzare il valore dell’impresa)
Le imprese vengono, quindi, monitorate dai mercati in base alla loro capacità di creare valore per gli
azionisti attraverso i prezzi delle azioni e quelle che non raggiungono performance ottimali sono più
soggette a tentativi di scalate (shareholder view).
NETTA SEPARAZIONE TRA PROPRIETÀ E CONTROLLO: La struttura proprietaria delle imprese
appartenenti ai sistemi outsider risulta poco concentrata, senza soci di riferimento che non intervengono
nella gestione aziendale, la quale è affidata al management. In questo sistema, infatti, il modello prevalente
di grande impresa è rappresentato dalla grande corporation con azionariato diffuso: la public company.
Questa tipologia di sistema ha come riferimento aziendale le public companies, cioè imprese caratterizzate
da:
- un elevatissimo numero di azionisti;
- nessun socio detentore di una quota elevata di azioni tale da garantirgli il controllo delle società;
- esercizio del controllo da parte del management, da cui deriva la separazione tra proprietà e controllo
(=direzione aziendale);
- la contendibilità del controllo (concreta possibilità di perdita del controllo da parte di chi lo esercita,
anche senza il suo consenso);
- la riallocazione del controllo societario affidata al mercato.

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Nei mercati dei contesti outsider è presente un gran numero di investitori istituzionali indipendenti (fondi di
investimento, fondi pensione, gestori di portafogli, ecc.), dotati di ampie disponibilità finanziarie, che
conferisce stabilità ai mercati stessi. Essi non sono interessati ad alcun coinvolgimento diretto nella gestione
delle imprese, ma badano esclusivamente al ritorno finanziario dell’investimento in un’ottica di breve
periodo. Le aziende quotate sui mercati di borsa dipendono quindi più da un azionariato itinerante di
investitori istituzionali, che da singoli investitori.
Implicazioni della separazione tra proprietà e controllo:
- i managers più capaci, ma privi di capitale di rischio, hanno la possibilità di gestire un’impresa con
efficienza, allontanando a volte gli eredi, spesso meno capaci dei fondatori
- maggiore discrezionalità del management, che è possibile ridurre attraverso il ricorso
all’indebitamento
- informazione parziale e incompleta a disposizione dei finanziatori (asimmetrie informative)
- costi di agenzia
- short termism, derivante da un’esasperata concentrazione sulla performance a breve, che ostacola
progetti di ampio respiro
Il ruolo del management nel governo di questa tipologia di sistema è stato studiato nell’ambito di diverse
teorie, tra cui:
• la teoria dell’agenzia
• la teoria della stewardship
• la teoria della dipendenza dalle risorse
• la teoria dei diritti proprietari
TEORIA DELL’AGENZIA
Questa teoria, elaborata da Jensen e Meckling nel 1976, si applica alle relazioni in cui un soggetto,
denominato “principale” (l’azionista), delega l’utilizzo di alcune risorse ad un altro soggetto, denominato
“agente” (il management), il quale, legato da un accordo di tipo formale o informale, opera rappresentando
gli interessi del principale. L’agente ha il dovere fiduciario di agire nell’interesse del principale. L’obiettivo
è quello di sviluppare l’accordo tra i due.
Il problema centrale risiede nell’asimmetria informativa esistente tra principali (azionisti) e agenti
(management), che comporta costi di monitoraggio e incentivazione denominati: costi di agenzia.
Si tratta di costi (sopportati dai principali) relativi alla messa a punto e all’applicazione di sistemi di
controllo, monitoraggio e incentivo sull’operato del management, nel tentativo di ridurne il comportamento
opportunistico ed allineare gli interessi di questi a quelli degli azionisti.
STRUMENTI PER RIDURRE I COSTI DI AGENZIA
 Strumenti interni:
• Consiglio di Amministrazione (modo far si che l’operato dei managers sia monitorato dall’interno)
• Sistemi di incentivazione del management (se i managers vengono motivati sulla base del
rendimento azionario allora si prevedere un allineamento tra le esigenze dei managers e le esigenze
degli azionisti)
• Presenza di azionisti di rilevanti dimensioni
• Presenza di capitale di debito (se un’impresa accende dei finanziamenti dovrà rendere conto ad un
istituto di credito che chiederà un monitoraggio e dei piani per capire come verrà impiegato il
capitale; quindi avere capitale di debito è uno strumento di controllo aggiuntivo, colui che ha chiesto
il finanziamento sarà più attento)

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

 Strumenti esterni:
• Mercato finanziario
• Mercati reali (un peggioramento della performance sul mercato reali risulta essere uno strumento che
immediatamente da un’idea su quella che è l’azione dei managers)
• Mercato per il lavoro manageriale (il manager terrà alla sua remunerazione nell’impresa ma anche
alla sua reputazione sul mercato manageriale)
Insider system
I sistemi basati sulle relazioni sono tipici dei paesi dell’Europa continentale e del Giappone. In tali contesti
si persegue la massimizzazione del valore dell’impresa, piuttosto che la massimizzazione del valore per i
soli azionisti. Il ruolo di chi governa l’impresa è quello di bilanciare i contributi e gli interessi dei vari gruppi
di individui che hanno interesse per l’azienda. -> Sistema legislativo basato sulla civil law.
I mercati finanziari si presentano poco liquidi e sviluppati rispetto ai contesti outsider. Le imprese sono
tendenzialmente chiuse, con strutture proprietarie stabili. La proprietà è, quindi, poco contendibile (“market
for corporate control” sostanzialmente bloccato). Gli azionisti di maggioranza, al fine di “chiudere”
l’impresa utilizzano una serie di strumenti: azioni con voto limitato, gruppi di imprese, sindacati di voto o di
blocco, incroci azionari, board interlocking (contratto tra soggetti che hanno pacchetti piuttosto rilevanti che
impongono agli altri di esprimere un voto nella stessa direzione. Il sindacato di blocco avviene sempre tra
persone con pacchetti rilevanti ma senza maggioranza assoluta da soli; per questo si creano queste azioni di
blocco per avere maggiore stabilità al sindacato di voto: il membro del sindacato non può vendere
all’esterno le azioni se non prima di proporle all’interno. Il board interlocking: le imprese che non hanno
partecipazioni azionarie tra di loro ma posseggono amministratori uguali quindi si dà maggiore chiusura
all’impresa).
Le banche assumono un ruolo fondamentale nel finanziamento delle imprese (imprese italiane
sottocapitalizzate perché ricorrono molto alle banche). I lavoratori rappresentano uno stakeholder molto
importante.
3 tipologie di sistemi:
- di tipo renano (germanico)
- di tipo giapponese
- di tipo latino
SISTEMA DI TIPO RENANO
Sistema tipico di Paesi quali Germania, Austria e Paesi Scandinavi, con le seguenti caratteristiche: presenza
di pochi grandi azionisti che hanno una forte influenza sulla gestione aziendale; il ruolo del mercato
azionario è meno rilevante rispetto ai sistemi angloamericani; le banche e i lavoratori sono attori cruciali nel
sistema impresa.
Il sistema bancario rappresenta uno degli stakeholder più importanti nel governo delle imprese. Esso è
focalizzato sul modello di banca universale che, oltre alle funzioni della banca commerciale, può investire in
partecipazioni e azioni di imprese industriali. La detenzione di pacchetti azionari, di cui hanno la possibilità
di esercitare il diritto di voto, costituisce proprio la fonte del potere delle banche. Il rapporto con le imprese
è assimilabile ad una partnership, piuttosto che ad una mera fornitura di capitale di credito. Il rapporto che si
instaura tra banca e impresa risulta nella maggioranza dei casi esclusivo, vengono cioè forniti da una stessa
banca tutti i servizi finanziari necessari (“Hausbank”).
Caso tedesco:
Le società per azioni tedesche si caratterizzano per:  la netta separazione tra le funzioni gestionali svolte
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

dal Vorstand (Consiglio di Amministrazione) e quelle di controllo affidate all’Aufsichtsrat (Consiglio di


Sorveglianza);  l’assemblea, quale organo degli azionisti, nomina i membri dell’organo di controllo, i quali
nominano, controllano e consigliano il Vorstand;  la legislazione tedesca presuppone il principio collegiale
nei processi decisionali dell’organo amministrativo; l’amministratore delegato è, quindi, primus inter pares,
non può dare ordini agli altri membri del Consiglio di Amministrazione, come avviene per il CEO
americano;  i rappresentanti dei lavoratori hanno il diritto di rappresentanza nell’organo di controllo
(codeterminazione). A seconda della dimensione dell’impresa, i dipendenti nominano un terzo (nel caso di
imprese con dipendenti compresi tra 500 e 2.000 unità) o metà dei membri dell’Aufsichtsrat (più di 2.000
dipendenti);  anche se i finanziatori non hanno diritto ad essere rappresentati nell’organo di controllo, i
rappresentanti delle grandi banche hanno un peso notevole
SISTEMA DI TIPO GIAPPONESE
Tale sistema appare per alcuni tratti simile a quello renano, con alcune peculiarità: i legami che le imprese
detengono con i lavoratori appaiono ancora più accentuati. Nella maggior parte dei casi, le persone svolgono
tutta la loro carriera all’interno di una stessa azienda e il sistema premiante e la carriera sono legati alle
competenze sviluppate. Nonostante la Borsa di Tokyo abbia raggiunto dimensioni notevoli, il sistema appare
ancora poco orientato al mercato finanziario. Le imprese giapponesi si rivolgono generalmente ad una main
bank, la quale si occupa di tutti i servizi finanziari e interviene direttamente nei casi di crisi aziendale,
arrivando anche a negoziare direttamente una operazione straordinaria (es. fusione).
L’economia giapponese è fondata sui gruppi societari, alcuni dei quali sono nati nel dopoguerra dai vecchi
zaibatsu. Allo stato attuale, esistono due distinte forme di raggruppamenti societari: i keiretsu e i gruppi
gerarchici. I keiretsu sono costituiti da una coalizione di imprese, ciascuna delle quali detiene azioni
dell’altra ed il cui cuore è rappresentato da una banca commerciale. I gruppi gerarchici, invece, sono
costituiti da una o più società principali e da una serie di imprese minori. La società principale è spesso
azionista di maggioranza delle imprese sussidiarie.
SISTEMA DI TIPO LATINO
Sistema tipico di Paesi quali Francia,
Italia, Spagna, Portogallo e Grecia,
con le seguenti caratteristiche: grande
presenza di imprese familiari; presenza
di azionisti di riferimento che limitano
l’autonomia del management; sistema
legislativo basato sulla civil law;
mercati borsistici ancora non troppo
sviluppati rispetto ai mercati outsider;
il ruolo delle banche e dei lavoratori
nella gestione aziendale non è così
forte come nel sistema renano. Esse
partecipano direttamente solo in
situazioni di crisi aziendali; forte
presenza storica dello Stato.

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

CORPORATE GOVERNANCE – PROF- GENCO


CONCEZIONE RISTRETTA
Collegamenti con questioni di corporate governance già affrontate o in corso di studio
- l’attività di governo di un’impresa si esplica prendendo decisioni di varia natura ed importanza, ma le
decisioni che contano ai nostri fini sono le decisioni strategiche, perché orientano la vita dell’impresa
- d’altra parte, non a caso il tema viene affrontato in un corso di Management Strategico che è appunto
focalizzato sul significato generale delle strategie come scelte volte alla creazione di valore, cui è connesso
lo sviluppo e la sopravvivenza dell’impresa nel lungo termine
- esiste quindi un nesso essenziale e imprescindibile tra strategia e assetti di governo dell’impresa; un nesso
che, intuitivamente e sommariamente, ha come implicazione la coerenza tra scelte strategiche e assetti di
governo.
- in sede di formulazione della strategia, la definizione degli obiettivi deve darsi carico dei rapporti e degli
equilibri con gli stakeholders, con scelte atte a soddisfare le loro aspettative; un profilo che richiama dalla
nostra attuale prospettiva di analisi il ruolo di condizionamento che le forze dell’ambiente esterno
(nell’accezione più ampia) sono in grado di esercitare sulle scelte e sugli assetti di governo dell’impresa
- rimane comunque aperta la domanda circa il soggetto che compie le scelte strategiche; e questa è una
questione centrale della nostra impostazione in quanto introduce il concetto di potere di governo, ovvero
l’individuazione del soggetto cui competono effettivamente le scelte di governo, le fonti e gli strumenti che
legittimano l’esercizio del potere di governo, le logiche le finalità che ispirano l’esercizio di tale potere
Le problematiche sinteticamente evocate in precedenza forniscono una prospettiva di analisi che riconduce
le questioni degli assetti di governo a due approcci fondamentali:
- la C.G. nella concezione allargata, in cui l’attenzione è rivolta in particolare all’incidenza che le forze
dell’ambiente esterno hanno sugli assetti di governo delle imprese
- la C.G. nella concezione ristretta, in cui la questione centrale è il potere di governo e i suoi presupposti,
la natura e il ruolo dei soggetti che esercitano tale potere
Chi esercita il potere di governo dell’impresa?
La concezione ristretta di corporate governance è quindi rivolta principalmente ad analizzare chi è il
soggetto che detiene il potere di governo dell’impresa, approfondendo una questione centrale riguardante il
rapporto che esiste tra proprietà del capitale apportato nell’impresa e titolarità del potere di governo, ovvero
tra soggetto legittimato dalla forma giuridica dell’impresa e potere di governo della stessa impresa.
In linea generale, il rapporto tra proprietà del capitale apportato e potere di governo può essere utilmente
analizzato attraverso lo studio delle relazioni che intercorrono tra due diverse figure:
 soggetto giuridico;  soggetto economico.
➔ Il soggetto giuridico è composto da chi, in relazione alla forma giuridica che regola la vita
dell’impresa, costituisce gli organi formalmente investiti dalla legge del potere di decisione. A tale
soggetto viene, infatti, affidato il potere formale di governo di un’impresa attraverso l’attribuzione di
ruoli e responsabilità negli organi direttivi previsti dalle norme che regolano la specifica forma
giuridica dell’impresa (ad esempio, il ruolo di presidente, amministratore unico, ecc.).
➔ Il soggetto economico rappresenta il soggetto che possiede l’effettivo potere di governare
un’impresa, di decidere cioè le scelte strategiche. Può essere costituito da una o più persone fisiche o
da una persona giuridica. Se la persona giuridica è pubblica, l’impresa è pubblica. Storicamente, il
concetto di soggetto economico, proprio della cultura aziendalistica italiana, viene collegato alla
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

proprietà del capitale di rischio investito nell’impresa, da cui deriva il potere di controllare il voto
delle assemblee sociali. (Con l’evoluzione dei sistemi industriali verso situazioni di grande
frammentazione del capitale di rischio, il controllo è possibile senza la maggioranza).
Il potere di governo sostanziale discende anche dal fatto che, specie nel caso della SpA, è il soggetto
economico:
- a definire la costituzione, l’articolazione e i compiti degli organi di governo;
- a far nominare nell’assemblea degli azionisti i membri degli organi amministrativi dell’impresa.
Le persone elette, detenendo un potere formale di governo, non hanno tra i compiti effettivi quello di
riformare decisioni che sono già state prese dal SE (nel caso del CdA), né quelle riguardanti il
controllo delle scelte di governo, atteso che il SE predispone procedure di controllo interno (nel caso
del Collegio Sindacale).
Qual è allora il ruolo dei membri «prescelti» per la costituzione degli organi di amministrazione e
controllo della società? Attraverso l’instaurazione di rapporti duraturi, questi soggetti svolgono ruoli
di rappresentanza, di difesa degli azionisti, di collegamento con l’ambiente esterno. (In questi casi si
coinvolgono persone autorevoli del mondo finanziario e industriale, della scienza, delle professioni,
membri di altri consigli di amministrazione, rappresentanti di minoranze, che possono fornire
informazioni, consulenze, e così via).
Soggetto giuridico e soggetto economico possono coincidere o meno. La coincidenza è più o meno elevata
in funzione della forma giuridica dell’impresa e in particolare della tipologia societaria Ad es. nelle imprese
individuali i due soggetti coincidono e si identificano nella figura dell’imprenditore; nelle società di persone
coincidono; nelle società di capitali sono distinti perché il soggetto giuridico è la società stessa mentre il
soggetto economico è il detentore del capitale di comando.
Nel capitale aziendale dobbiamo distinguere due quote:
 il capitale di comando, costituito dalla quota conferita dal soggetto economico;
 il capitale controllato, che è rappresentato dalla quota conferita dai terzi che non partecipano alla
gestione aziendale. Esso può essere distinto in: - partecipazioni di minoranza - altri soci risparmiatori
SOCI DI MINORANZA: Soggetti che, pur non detenendo quote di partecipazione tali da garantire il potere
di governo dell’impresa, sono in grado di far valere la propria “voce” nell’ambito degli organi di governo.
Essi sono in grado di stabilire particolari rapporti con il soggetto economico e possono, quindi, influenzare
le sue principali decisioni. La partecipazione di tali soggetti al governo delle imprese si manifesta, in
particolare, in occasione di:  aumenti di capitale sociale (assenso preventivo ai fini della collocazione
dell’emissione, modalità di emissione, ecc.);  richieste di interventi, attraverso l’acquisto di azioni proprie,
sul mercato azionario per contrastare movimenti al ribasso delle quotazioni;  operazioni straordinarie o
accordi di mercato;  altre forme di collaborazione (scambi di informazioni ed esperienze, consigli, ecc.).
SOCI RISPARMIATORI: I soci risparmiatori, più facilmente rintracciabili nelle imprese di grandi
dimensioni organizzate in forma di società per azioni, investono, invece, nell’impresa con un’ottica
meramente speculativa, inteso come forma di impiego di risorse finanziarie. In questo caso, le partecipazioni
appaiono di dimensioni modeste anche per permettere un facile smobilizzo in caso di decisioni aziendali che
possano far diminuire il valore dell’impresa. Tali soci finanziatori sanno già al momento dell’acquisto della
partecipazione che non gestiranno la società, ma ciò non rappresenta il loro obiettivo: l’investimento è reso
conveniente proprio dal fatto che altri gestiranno il patrimonio aziendale.
INVESTITORI ISTITUZIONALI: Gli investitori istituzionali sono soggetti che assumono partecipazioni
nelle imprese per conto di altri soggetti dei quali gestiscono il portafoglio, senza prendere posizioni a
proprio rischio nelle società di cui sono azionisti. Tali soggetti raccolgono, quindi, fondi dai sottoscrittori e li
investono per conto di questi ultimi. Appartengono a tale categoria: i fondi pensione, i fondi comuni di

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

investimento, le imprese di assicurazione e altri organismi di investimento collettivo e di gestione del


risparmio.
Nel capitale complessivo di un’impresa si deve, inoltre, distinguere tra:
 capitale proprio, cioè il capitale conferito nell’impresa dal titolare o dai soci;
 capitale di credito, cioè il capitale ottenuto con operazioni di prestito.
Il soggetto economico ha il potere di decidere sull’impiego di tutto il capitale aziendale, sia proprio che di
credito.
Un’altra questione importante che affronta la concezione ristretta di corporate governance riguarda la
posizione che assume la proprietà nei confronti del controllo di un’impresa e nei rapporti con il
management. Secondo il C.C., (art. 832) “il proprietario ha il diritto di godere e di disporre delle cose in
modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento
giuridico”.
La titolarità del capitale di rischio sembrerebbe, quindi, in prima approssimazione, legittimare la proprietà
all’esercizio del controllo dell’impresa, inteso, in generale, come capacità di indirizzo strategico e di
determinazione delle vie gestionali più idonee al conseguimento dei correlati obiettivi (funzioni del soggetto
economico). La proprietà, però, risulta essere in primo luogo una posizione finanziaria, che dà diritto ad un
reddito in funzione di un investimento a rischio, e solo in secondo luogo una posizione imprenditoriale, che
garantisce un potere sulle attività aziendali.
Dal punto di vista del governo, il proprietario può assumere diversi ruoli all’interno della compagine
aziendale:
• quello dell’imprenditore o dell’azionista di comando che è anche soggetto economico dell’impresa;
•quello dell’azionista di minoranza che può assumere un qualche ruolo all’interno degli organi di governo,
ma non si occupa della gestione;
•quello del piccolo risparmiatore o dell’investitore che opera con un’ottica speculativa, il quale è
interessato all’impresa come mero investimento e non ha interesse né potere a partecipare in alcun modo alla
gestione aziendale

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

La posizione della proprietà è, quindi, differente dal governo dell’impresa. Essa deve essere distinta dalla
funzione imprenditoriale che è invece propria del soggetto economico, sia esso proprietario o manager
professionista.
La proprietà può però esercitare due tipi di controllo, a seconda della partecipazione o meno al governo
dell’impresa:
 attivo, o ex-ante (la proprietà decide di porsi all’interno dell’organo di governo e influenzare ex ante le
decisioni da questo assunte, in modo da orientare le scelte verso il conseguimento dei propri interessi);
 passivo, o ex-post ( la proprietà decide di non partecipare all’organo di governo, prospettando particolari
relazioni con l’organo stesso, in modo tale da assicurare comunque un controllo ex ante e una verifica ex
post del grado di soddisfacimento dei propri interessi. Il controllo, in questo caso, è esercitato
indirettamente)
Nel caso in cui si ponga al di fuori dell’organo di governo, il ruolo della proprietà può assumere:
 carattere partecipativo, attraverso l’espressione di voto nell’assemblea dei soci;
 carattere correttivo, attraverso l’impugnazione degli atti sociali.
In particolare, nel caso in cui le decisioni prese dal soggetto economico non soddisfino la proprietà, questa
può avere diversi atteggiamenti: passivo, ossia non fare nulla; cedere la propria partecipazione (opzione
“exit”); intervenire nell’assemblea, esercitando il diritto di voto (opzione “voice”).
TIPOLOGIE DI CONTROLLO PROPRIETARIO
Sulla base del controllo proprietario, si possono individuare le seguenti tipologie di imprese:

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

• imprese a controllo proprietario forte, caratterizzata dalla presenza di una proprietà stabile, coesa e
intenzionata a svolgere un ruolo significativo nel governo dell’impresa;
• imprese a controllo proprietario debole; qui è possibile individuare due fattispecie: una prima
contraddistinta dall’assenza del capitale di comando per l’estremo frazionamento del capitale; una
seconda, caratterizzata dalla presenza nella compagine proprietaria degli investitori istituzionali, in
grado di esercitare una certa influenza sui decisori aziendali.
RUOLO E POSIZIONE DEL MANAGEMENT
I manager sono soggetti controllati dal soggetto economico, nel senso che sono da questo scelti e legati
all’impresa da un rapporto di lavoro, con caratteristiche fiduciarie, che prevede ricompense e premi. In
condizioni fisiologiche, tali individui risultano controllati dal soggetto economico. Esistono diversi gradi o
livelli di collaborazione nel governo dell’impresa:
o top management (funzione direttive di coordinamento e indirizzo. Dal punto di vista della funzione
svolta, è assimilabile e quella del soggetto economico);
o middle management (responsabili di un’area funzionale, nella quale hanno il potere di allocare le
risorse necessarie);
o esecutivo (rende esecutive le decisioni prese ai livelli superiori).
L’attività del soggetto economico si colloca a livello di top management. I due termini coincidono quanto a
contenuto, ma possono differire nella composizione:  soggetto economico è tale in quanto detentore del
capitale di comando;  soggetto economico, in quanto vertice del processo di decisione aziendale, può
essere costituito anche da persone legate all’impresa da un rapporto di lavoro.
I cambiamenti organizzativi che intervengono nel corso della vita di un’azienda possono portare alla
formazione di un vertice decisionale in cui il detentore del capitale di comando non svolge alcuna funzione
direttiva; così come nei managers viene talvolta a concretizzarsi la figura dell’imprenditore (colui che
assume il compito di organizzare nell’impresa tutti i fattori della produzione).
Possiamo individuare due configurazioni estreme del top management:
1. imprenditore proprietario
2. manager funzionario
1 - Caratteristiche dell’imprenditore proprietario: gestione diretta dei propri beni organizzati in impresa;
ripercussione diretta ed integrale delle vicende della gestione aziendale sul patrimonio personale;
coincidenza tra profitto aziendale e reddito individuale.
2 - Caratteristiche del manager funzionario: separazione tra proprietà e direzione; separazione tra rischio
d’impresa e direzione; le vicende aziendali si ripercuotono sul capitale posseduto dagli azionisti; non
coincidenza, ma qualche correlazione tra profitto d’impresa e remunerazione del manager funzionario.
FORME GIURIDICHE DI IMPRESA
L’esercizio del potere di governo nell’impresa è strettamente collegato alla scelta della forma giuridica.
Nell’ordinamento giuridico italiano le principali forme di imprese sono:
1) Impresa individuale
2) Società semplice
3) Società in nome collettivo
4) Società in accomandita (semplice e per azioni)
5) Società cooperativa
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

6) Società a responsabilità limitata


7) Società per azioni
Molteplici elementi hanno un’influenza rilevante sulla scelta della forma giuridica:
 il rischio che il soggetto economico intende assumere;
 le modalità di finanziamento (es. le obbligazioni possono essere emesse solo da società di capitali);
 motivazioni di ordine fiscale (es. le società di persone prevedono procedure fiscali e tributarie
semplificate. Le società cooperative presentano agevolazioni tributarie);
 diversi tipi di controllo pubblico;  riservatezza sulle persone che hanno il controllo e nel passaggio di
controllo da un soggetto ad un altro. Va comunque tenuto presente che la forma giuridica in cui l’impresa è
costituita non risponde ad esigenze di tipo organizzativo, ovvero non rappresenta un modo particolare di
strutturare il processo di decisione e quindi il potere dell’impresa, ma è il risultato di uno dei molti calcoli di
convenienza economica che effettua il soggetto economico sulle forme di finanziamento e sulle modalità di
delimitazione del rischio.
IMPRESA INDIVIDUALE: Esiste un soggetto economico che conferisce il capitale e si assume tutti i
rischi: il titolare dell’impresa. Esiste perfetta identità tra soggetto economico e soggetto giuridico. Se il
titolare dell’impresa ha, però, delegato i propri poteri ad altre persone o non è in grado di esercitarli, tale
identità viene a mancare.
SS – SNC – SAS – SAPA: Più persone conferiscono il capitale e sono disponibili ad assumere
illimitatamente e solidalmente il rischio di impresa. Nella società in accomandita un gruppo di soci che
assume una responsabilità illimitata si affianca a soci la cui responsabilità è limitata al capitale sottoscritto.
SOC COOP: Il nuovo diritto societario ha distinto le cooperative in due tipologie:  a mutualità prevalente
(presentano agevolazioni fiscali, ma devono avere alcuni requisiti: es. attività svolta in prevalenza per i soci,
o si avvalgono prevalentemente dell’attività lavorativa dei soci, ecc.)  diverse.
Entrambe le forme cooperative prevedono: la responsabilità limitata (S.p.A., o s.r.l. per le piccole
cooperative); capitale sociale variabile (è sempre possibile far entrare un nuovo socio senza modificare l’atto
costitutivo); ciascun socio può possedere una partecipazione non superiore a 100mila euro; il principio “una
testa un voto”; non esiste più l’obbligo che tutti gli amministratori siano soci (lo deve essere solo la
maggioranza); l’amministrazione e il controllo seguono le regole delle S.p.A. o s.r.l.
SPA: Figura giuridica in cui i rischi corrispondono all’entità del capitale conferito e il soggetto giuridico è la
società come tale, distinta dai soci. Il capitale conferito dai soci costituisce, quindi, la sola garanzia delle
obbligazioni sociali dell’impresa. Possibile distinzione tra capitale di comando e capitale controllato.
La società per azioni è posta in atto per conseguire due finalità:
 limitare a un ammontare predeterminato il capitale su cui cade il rischio dell’impresa;
 disporre, con l’emissione di azioni e obbligazioni, di una forma di finanziamento dell’impresa che le altre
forme giuridiche non consentono.
Il capitale delle società per azioni è costituito da diverse categorie di azioni che si differenziano in relazione
ai diritti conferiti al possessore riguardanti essenzialmente (il voto nelle assemblee sociali, cioè nella sede in
cui, tra l’altro, si nominano gli amministratori; la partecipazione alla ripartizione degli utili; il riparto del
capitale residuo all’atto della liquidazione della società).
Esistono attualmente molteplici tipologie di azioni la cui varietà si è allargata notevolmente con l’evoluzione
del diritto societario per cui un Spa può emettere:
 azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti o con diritto di voto
subordinato al verificarsi di determinate condizioni (queste tipologie di azioni non possono essere emesse
per valori superiori alla metà del C.S.);

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 azioni con incidenza limitata sulle perdite;


 azioni da assegnare ai prestatori di lavoro;
 azioni con diritti correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore;
 azioni di godimento attribuite ai possessori di azioni rimborsate, che non danno diritto di voto nelle
assemblee.
 azioni a voto plurimo (con determinate condizioni).
In termini sintetici si può ricondurre la varietà di tipologie di azioni che la Spa può emettere a tre categorie
principali:
- Azioni ordinarie: attribuiscono il diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie, il diritto di
partecipare alla ripartizione dell’utile e del capitale residuo all’atto della liquidazione della società;
- Azioni privilegiate: diritto di voto solo nelle assemblee straordinarie con prelazione nel riparto degli utili e
nel rimborso del capitale
- Azioni di risparmio: senza diritto di voto con prelazione nel riparto degli utili e nel rimborso del capitale.
Controllo di una S.p.A.
Il controllo di una società per azioni è garantito con il possesso della maggioranza assoluta (50% +1) delle
azioni (ordinarie) che costituiscono il capitale sociale, ovvero della maggioranza assoluta dell’Assemblea
dei Soci che provvede alla nomina degli amministratori. Nella realtà, però, si osserva che non sempre il
capitale di comando è costituito dal 50% + 1, ma talvolta raggiunge valori di molto inferiori alla
maggioranza assoluta.
Tecniche attraverso le quali è possibile pervenire al controllo di una S.p.A. con un capitale inferiore alla
maggioranza assoluta:
 emissione di azioni prive di diritto di voto o a voto limitato: L’ordinamento giuridico italiano prevede
diverse tipologie di azioni a voto limitato. La restrizione di voto può riguardare solo l’assemblea ordinaria o
anche quella straordinaria. Esse risultano particolarmente appetibili per quei risparmiatori guidati da logiche
speculativo-finanziarie e quindi poco interessati all’esercizio del potere di governo aziendale. Nella
legislazione italiana si ammettono azioni privilegiate nella ripartizione degli utili e del capitale sino al 50%
del capitale sociale. In tal caso, sfruttando al massimo l’utilizzo di queste tipologie di azioni, il controllo di
una S.p.A. si può ottenere con il 25% del capitale sociale.
 frazionamento del capitale sociale: Laddove il capitale sociale risulti disperso, o particolarmente
frazionato, come accade ad esempio nel caso delle public company, il controllo di un’impresa può di fatto
essere esercitato attraverso quote di capitale a volte anche irrisorie. In tali tipologie di imprese, la maggior
parte degli azionisti sono azionisti risparmiatori, disinteressati alla gestione della società e, quindi, al diritto
di voto. Il grado di assenteismo nelle assemblee sociali è pertanto molto elevato e tali organi deliberano
solitamente con maggioranze di molto inferiori alla maggioranza assoluta.
 sindacato di voto o di blocco: Accordi, in qualunque forma stipulati, con cui due o più azionisti vincolano
la gestione dell’impresa o il trasferimento delle proprie partecipazioni alle direttive e orientamenti stabiliti
dalla direzione del sindacato. Questi accordi vengono solitamente sottoscritti da azionisti rilevanti, che non
detengono però singolarmente le quote di partecipazione necessarie per diventare il soggetto economico
dell’impresa, al fine di pervenire al controllo dell’impresa. In questo caso, il soggetto economico della
società si identifica con la direzione del sindacato.
Nella pratica si possono riscontrare numerosi tipi di patti parasociali, riconducibili, però, a due tipologie
principali:
- i patti che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle S.p.A. o nelle società che le controllano
(sindacati di voto);
- i patti che pongono anche limiti al trasferimento delle azioni delle S.p.A. o delle partecipazioni in società
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

che le controllano (sindacati di blocco).


Esiste, però, un problema di dialettica interna al sindacato per conseguire il controllo della S.p.A.
 costituzione di società finanziarie: Creazione di una società finanziaria a cui vengono cedute le azioni di
cui si vuole mantenere il controllo. Questa finanzia l’acquisto della partecipazione di comando collocando
sul mercato la quota delle azioni che non servono per mantenere il controllo. L’abbassamento della quota di
capitale necessaria per controllare una società si definisce “effetto leva azionaria”. L’investimento da parte
della società finanziaria nella società di cui si vuole acquisire il controllo può essere finanziato anche con
capitale di credito. Ciò determina una “leva creditizia” che abbassa il fabbisogno di capitale necessario per
detenere il controllo.
➔ LEVA AZIONARIA: Il meccanismo con cui opera la società finanziaria segue sostanzialmente
questi passaggi: il soggetto economico, che controlla una società X, cede la propria quota di
comando in X ad una società finanziaria F, la quale finanzia l’acquisto di tale pacchetto attraverso il
collocamento sul mercato della quota di azioni non necessaria a mantenere il controllo. Il soggetto
economico, quindi, controllando solo il capitale di comando di F può di fatto controllare anche la
società X. Tale meccanismo può essere replicato costituendo altre società finanziarie, le quali
collocano a loro volta sul mercato le partecipazioni che non servono al controllo delle imprese.
Conflitti di interesse nelle spa: Se soggetto economico e azionisti di minoranza hanno diverse finalità
possono crearsi conflitti di interessi. I profitti rappresentano una fonte indispensabile di finanziamento della
crescita aziendale e, quindi, la loro formazione è rilevante per entrambi i soggetti. Capitale di comando e
capitale controllato, però, possono entrare in conflitto quando giunge il momento di stabilire i criteri con cui
il reddito viene determinato e la sua ripartizione.
In una società per azioni, la diversità delle motivazioni presenti nel soggetto economico e nei restanti
azionisti può dar luogo alla formazione di conflitti di interesse:
in sede di determinazione del reddito: Presso gli azionisti di minoranza vi è una tendenza a chiedere che,
nelle fasi in cui prezzi e volume delle vendite sono elevati, vengano corrisposti redditi conseguentemente
elevati. Il gruppo di comando, invece, è più durevolmente interessato nell’azienda ed è orientato a rilevare
utili al saggio medio risultante da un alternarsi di esercizi favorevoli e sfavorevoli. Fra i motivi di divergenza
tra interessi del capitale di comando e del capitale controllato vi è certamente una non coerente
considerazione dei costi dell’impianto e di altri importanti costi non monetari come gli accantonamenti a
fondi rischi su titoli, crediti, ecc.
in sede di ripartizione (distribuzione) del reddito: Il conflitto nasce in sede di determinazione della quota da
attribuirsi a riserva e di quella da versarsi agli aventi diritto. Il gruppo di comando potrebbe, infatti, ritenere
preferibile limitare la distribuzione dei profitti e dar largo sviluppo all’autofinanziamento mediante ampie
attribuzioni a riserva. Un’azionista di minoranza, invece, potrebbe ritenere preferibile ripartire la totalità
dell’utile conseguito.

GLI ORGANI
La concezione ristretta di corporate governance presuppone anche un’attenta definizione della struttura, del
ruolo e del funzionamento degli organi societari di un’impresa. Gli organi di governo riconosciuti dal diritto
societario italiano fino al dicembre 2003 (nel caso di una Società per Azioni) sono costituiti da:
1) assemblea degli azionisti:
RUOLO FORMALE - Nella prospettiva giuridico formale, il momento più importante del governo di
un’impresa è costituito dall’assemblea degli azionisti o dei soci. L’assemblea può essere ordinaria o
straordinaria.
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Nell’assemblea ordinaria si delibera su:  approvazione del bilancio  nomina e revoca degli
amministratori;  nomina dei sindaci e, se previsto, del soggetto al quale è demandato il controllo
contabile;  determinazione del compenso di amministratori e sindaci, se non stabilito dallo statuto;
 materie attinenti la gestione della società previste dall’atto costitutivo o proposte all’esame dal
C.d.A.
Nell’assemblea straordinaria si delibera su: modificazioni dello statuto; nomina, sostituzione e
poteri dei liquidatori.
Tale assemblea è regolarmente costituita con l’intervento di tanti soci che rappresentino almeno la
metà del capitale sociale, escluse le azioni senza diritto di voto e delibera a maggioranza assoluta,
salvo che lo statuto richieda una maggioranza più elevata. L’assemblea è convocata dagli
amministratori o dai sindaci in loro vece.
RUOLO SOSTANZIALE - L’assemblea degli azionisti, nella maggioranza dei casi è un organo poco
attivo, che viene utilizzato solo per una serie di compiti formali, quali l’approvazione del bilancio.
Nelle imprese con una elevata frammentazione del capitale sociale, questo organo delibera con
maggioranze irrisorie.
2) consiglio di amministrazione:
RUOLO FORMALE - Agli amministratori è affidata la gestione dell’impresa: essi hanno potere
decisionale su tutte le materie connesse all’amministrazione della società e hanno il compito di
organizzare, pianificare e programmare l’attività di impresa; hanno, inoltre, potere di rappresentanza
nei confronti di terzi; il CdA opera collegialmente ed i membri sono responsabili solidalmente. Se lo
statuto o l’assemblea lo consentono, il CdA può delegare proprie funzioni ad un comitato esecutivo
composto da alcuni dei suoi membri.
RUOLO SOSTANZIALE - Il CdA detiene nella maggioranza dei casi una funzione di ratifica delle
decisioni già assunte dagli esponenti del gruppo di controllo e dalla direzione generale; il Comitato
Esecutivo in numerosi casi assorbe le funzioni fondamentali del CdA; il CdA rappresenta quasi
esclusivamente gli azionisti di maggioranza; è sostanzialmente assente l’attivazione di organi del
CdA dedicati a specifiche funzioni (es. Comitato per il controllo interno, comitato per la
remunerazione, Comitato per le nomine); la presenza di Consiglieri effettivamente indipendenti è
molto limitata
3) collegio sindacale:
RUOLO FORMALE - Il collegio sindacale si compone di tre o cinque membri, soci o non soci. Esso
svolge la funzione di controllo nell’interesse della società, dei soci e dei terzi. In sintesi, esso deve: 
controllare l’amministrazione della società (in particolare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo,
amministrativo e contabile)  vigilare sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo  accertare la
regolare tenuta della contabilità sociale (dopo la riforma del diritto societario, questo compito è stato
attribuito ad una società di revisione o ad un revisore iscritto all’albo)  procedere alla convocazione
dell’assemblea quando gli amministratori siano impossibilitati  riferire all’assemblea annuale sui
risultati dell’esercizio.
RUOLO SOSTANZIALE - Esiste, nella maggioranza dei casi, sovrapposizione di ruolo tra collegio
sindacale e società di revisione; spesso le informazioni che occorrono al fine di operare un’azione di
controllo efficace, non rientrano tra quelle a disposizione del Collegio sindacale; scarsa indipendenza
dei sindaci.
i quali costituiscono il modello tradizionale nel nuovo diritto societario.
IL NUOVO DIRITTO SOCIETARIO
La riforma del diritto societario ha introdotto la possibilità, per le S.p.A., di scegliere tra tre diversi modelli
di governo societario:
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

• sistema tradizionale, con un organo amministrativo monocratico o collegiale (consiglio di


amministrazione) e un collegio sindacale;
• sistema dualistico, di derivazione franco-tedesca, che prevede la presenza di un consiglio di
gestione e un consiglio di sorveglianza;
• sistema monistico, di derivazione anglosassone, che prevede un consiglio di amministrazione che, al
suo interno, istituisce un comitato per il controllo sulla gestione.
Le imprese possono scegliere alternativamente uno dei modelli previsti nell’ambito dello statuto.
TRADIZIONALE: Il modello tradizionale rimane comunque centrale, in quanto in mancanza di una
specifica deroga statutaria a favore di uno degli altri due modelli, questo è direttamente applicabile.
DUALISTICO: Tale modello prevede la presenza di:  un consiglio di gestione;  un consiglio di
sorveglianza.
Il consiglio di gestione ha il compito di amministrare la società e deve essere composto da un numero di
componenti non inferiore a due.
Il consiglio di sorveglianza, che viene nominato dall’assemblea dei soci, è, invece, l’organo deputato al
controllo sull’amministrazione e si compone di un numero di componenti non inferiore a tre. Ad esso
vengono attribuiti i compiti propri del collegio sindacale tradizionale, a cui si aggiungono alcune funzioni
proprie dell’assemblea dei soci, quali l’approvazione del bilancio, la nomina e la revoca dei consiglieri di
gestione, l’azione di responsabilità sociale nei loro confronti.
Il controllo contabile è esercitato da una società di revisione o da un revisore, a seconda che la società faccia
ricorso o meno al mercato del capitale di rischio. In questo modello, l’assemblea ordinaria dei soci ha il
compito di:  nominare e revocare i consiglieri di sorveglianza;  determinare il loro compenso;  deliberare
sulla responsabilità dei consiglieri di sorveglianza;  deliberare sulla distribuzione degli utili;  nominare il
revisore o la società di revisione.
MONISTICO: Tale modello prevede: un consiglio di amministrazione; un comitato per il controllo sulla
gestione, costituito al suo interno.
Al consiglio di amministrazione spetta la gestione societaria. Almeno un terzo dei componenti deve essere in
possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci.
Il comitato per il controllo ha, invece, gli stessi compiti affidati al collegio sindacale. Esso dovrebbe essere
composto in maggioranza da consiglieri indipendenti. La legge indica che il comitato sia composto da
amministratori che hanno il requisito di onorabilità e professionalità stabiliti dallo statuto, a cui sono state
attribuite deleghe o particolari cariche e comunque non svolgano funzioni attinenti alla gestione della società
Il controllo contabile spetta ad una società di revisione o ad un revisore.
CRITICHE ALLA RIFORMA SOCIETARIA
Il nostro sistema è sempre stato fondato su una netta separazione tra funzione di gestione e funzione di
controllo. Con la previsione dei due nuovi modelli, si assiste, invece, ad un annacquamento e possibile
commistione dei ruoli e delle funzioni:
 nel modello dualistico, i sorveglianti assumono anche alcuni non secondari compiti di amministrazione in
precedenza spettanti all’assemblea;
 nel modello monistico, gli amministratori assumono anche le vesti di controllanti.
Il sistema monistico fa riferimento al board statunitense, ma quest’ultimo non è propriamente un organo di
gestione, quanto piuttosto di consulenza e controllo sull’operato del management. Il comitato per il controllo
sulla gestione, invece, dovrebbe essere composto esclusivamente da consiglieri indipendenti. Il nuovo
ordinamento assegna, invece, a quest’organo le funzioni di gestione e non assegna, almeno direttamente,
compiti particolari agli amministratori indipendenti.
Il dualistico fa riferimento al caso franco-tedesco, che prevede all’interno del consiglio di sorveglianza una
partecipazione dei dipendenti e assegna a tale organo alcune funzioni di amministrazione. Il nuovo
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

ordinamento, invece, non prevede alcuna partecipazione dei dipendenti, né tantomeno degli azionisti di
minoranza e non assegna a tale organo alcuna funzione di alta direzione o amministrazione.
GRUPPI DI IMPRESE
Il problema del potere nella grande impresa e dei soggetti che ne sono detentori non può essere spiegato
attraverso la forma giuridica che regola i rapporti patrimoniali di un’impresa, né con l’analisi dei
comportamenti dell’impresa qualunque sia la forma giuridica prescelta.
Occorre, invece, far riferimento ad una particolare struttura organizzativa in cui si è andata via via
strutturando la grande impresa: il GRUPPO.
Nel nostro Paese, la struttura a gruppo può essere visto come lo strumento privilegiato a cui hanno fatto
ricorso in passato lo Stato e le grandi famiglie imprenditoriali per attivare le loro iniziative produttive: esso
viene definito da molti autori come “la risposta organizzativa alla grande impresa”, alternativa alla società
per azioni multi-divisionale di rilevanti dimensioni. Il fenomeno ha recentemente interessato anche le
imprese di piccole e medie dimensioni, le quali in modo crescente tendono a governare l’insieme delle loro
attività attraverso la costituzione di più società collegate tra di loro da partecipazioni azionarie.
GRUPPO: Complesso economico-finanziario costituito da più imprese che, pur dotate ciascuna di un
proprio soggetto giuridico, hanno in comune il soggetto economico (Saraceno, 1967).
In altri termini, si ha un gruppo quando una persona o un gruppo di persone hanno il potere di determinare
l’indirizzo di gestione di più imprese che si presentano come formalmente autonome.
GLI ELEMENTI COSTITUTIVI di un gruppo di imprese risultano, così, essere i seguenti:
• distinzione giuridica delle unità economiche;
• comunanza del soggetto economico;
• direzione economica unitaria, cioè le aziende facenti parte del gruppo devono agire in modo
complementare e interdipendente, deve esistere una strategia a livello di gruppo;
• controllo delle aziende attuato attraverso:
- partecipazioni azionarie (controllo azionario) - contratto di affitto, di agenzia, di fornitura, di
finanziamento, etc. (controllo contrattuale)
Caratteristica fondamentale dei gruppi è l’unificazione, a livello di centri di decisione strategica, del
processo di valorizzazione di capitali individuali che conservano in parte la loro specificità.
L’unità del centro di decisione strategica si colloca spesso in società di dimensioni modeste (società madre o
holding), cui fanno capo i rapporti di proprietà e controllo di numerose consociate poste a diverse livelli di
dipendenza. Il centro decisionale del gruppo procede per delegazioni di responsabilità successive
nell’insieme delle unità controllate e, quindi, il movimento di centralizzazione - decentramento decisionale è
la chiave di volta della struttura del gruppo.
MODALITA’ DI FORMAZIONE GRUPPI
I gruppi aziendali possono essere costituiti tramite:
• processi di aggregazione di imprese precedentemente gestite in modo individuale;
• processi di disaggregazione di attività economiche svolte precedentemente all’interno di una stessa
impresa.
Modalità tipiche di costituzione risultano essere:
1) acquisizione di partecipazioni azionarie (strumento principe): rappresenta la modalità di formazione
dei gruppi più ricorrente. Si possono distinguere:
• acquisizioni (o scalate) amichevoli, cioè concordate tra due soggetti;
• acquisizioni ostili, in cui l’acquisto del pacchetto di controllo è effettuata contro il volere dei soci di

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

maggioranza.
Rappresenta un meccanismo di crescita per via esterna piuttosto rapido.
2) costituzione di società autonome per lo sviluppo di nuove attività: un’impresa può decidere di
sviluppare nuove attività economiche attribuendo loro una struttura giuridica autonoma, piuttosto che
acquisire imprese già presenti sul mercato. Rappresenta una modalità di crescita per via interna, con
tempistiche più lunghe rispetto all’acquisizione di partecipazioni, ma in grado di valorizzare le
risorse e le competenze sviluppate dall’azienda fino a quel momento.
3) scorporo di un ramo di attività di un’impresa e suo conferimento in un’altra società: attraverso tale
modalità, una società conferisce in un’altra società, di solito costituita a tale scopo, uno o più rami
d’azienda, ricevendone in cambio quote o azioni di quest’ultima. La combinazione economica, nel
suo complesso, non subisce modifiche sostanziali: si ha solo una trasformazione giuridico-formale di
un’azienda già costituita.
+ non va comunque dimenticato che si può pervenire a rapporti di fatto anche attraverso rapporti
contrattuali: • affitto di impianti • finanziamenti e concessioni di crediti • rapporti di sub-fornitura
MORFOLOGIA GRUPPI
La struttura dei rapporti che legano le diverse società di un gruppo non è riconducibile a modelli generali
ben definiti: essa dipende da molteplici fattori connessi con la storia del gruppo, con la natura e l’estensione
delle sue attività, con le strategie che ogni gruppo persegue nel tempo, ect.
Nella definizione delle varie tipologie di gruppo va tenuto
presente:
• la forma della partecipazione: che può essere diretta, se il
soggetto economico detiene il capitale di comando di tutte
le società del gruppo o indiretta, se il controllo delle società
del gruppo si attua mediante una società capogruppo.

[Le holding si possono suddividere in:


• holding pure: la loro attività fondamentale è il possesso di partecipazioni
• holding strategiche: il loro oggetto principale è l’esercizio della funzione imprenditoriale di coordinamento
gestionale e di indirizzo
• holding industriali (miste): sono sempre delle capogruppo che svolgono una funzione imprenditoriale nei
confronti di tutte le società controllate, al fine di conseguire sinergie di gruppo]
• la struttura e i livelli di partecipazione, che possono essere strutture con collegamenti unilaterali semplice
(le azioni di controllo sono concentrate nella società di livello superiore) o complesso (le azioni di controllo
sono distribuite anche ad altri livelli superiori o presso la capogruppo) e strutture con collegamenti bilaterali
o circolari (strutture a catena). Le società del gruppo possiedono l’una azioni dell’altra. Il collegamento
bilaterale diretto non è ammesso, tuttavia le partecipazioni incrociate possono essere occultate attraverso
legami indiretti possibili con l’aumento di livelli.

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Disciplina delle partecipazioni incrociate La normativa varia da paese a paese. Negli Stati Uniti non sono
vietate; in Italia l’ex art. 2359 del C.C. escludeva categoricamente la formazione di partecipazioni
incrociate; con l’art. 2359 bis è stata introdotta la possibilità da parte della controllata di acquisire o
sottoscrivere azioni della società controllante a condizione di utilizzare fondi prelevati dalle riserve (esclusa
quella legale). La società controllata non può, però, esercitare il diritto di voto nelle assemblee; il D.L. 58/98
stabilisce, poi, che qualora la partecipazione superi il 2% del capitale sociale (nel caso di una società
quotata) o il 10% nel caso di una società non quotata o una società a responsabilità limitata, la società
controllata non può esercitare comunque il diritto di voto e deve alienare le partecipazioni entro 12 mesi.
TIPOLOGIE DI GRUPPI
Le logiche imprenditoriali che animano l’attività dei gruppi di imprese portano alla distinzione tra:
• gruppi patrimoniali: Il governo del gruppo si limita alla detenzione di un portafoglio di attività in
un’ottica di taglio dei dividendi e di conseguimento di capital gains, senza svolgere interventi di indirizzo,
coordinamento e controllo. Il soggetto economico si preoccupa della composizione del portafoglio,
investendo e disinvestendo in rapporto alla redditività e alle prospettive di sviluppo delle singole imprese.
• gruppi finanziari: Assenza di legami economico-tecnici tra le società. Il governo del gruppo si basa sul
presupposto che le risorse finanziarie rappresentano il denominatore comune delle attività controllate;
l’acquisizione e l’utilizzo di tali risorse vanno ottimizzati attraverso una gestione comune, assicurata da
specifiche unità centrali e/o società di servizi finanziari.
La gestione finanziaria del gruppo si può concretizzare in più direzioni:
• centralizzazione della liquidità generata dalle imprese del gruppo • centralizzazione della raccolta dei
capitali • finanziamento dei progetti di investimento proposti dalle imprese del gruppo
• gruppi industriali: Il gruppo industriale si caratterizza per il fatto che le società componenti operano in
settori che presentano legami economico - tecnici. L’attività di governo del gruppo deve valorizzare i
denominatori comuni, le masse critiche di ordine finanziario, tecnologico, manageriale, di immagine.
Orientamenti di governo e assetti organizzativi:
• gestione centralizzata delle risorse strategiche (finanza, ricerca e sviluppo, personale) e delle funzioni e
servizi comuni (ad es disponibilità di una grande centrale elettrica per alimentare tutte le attività del gruppo);
• omogeneizzazione di meccanismi e sistemi operativi quali i sistemi informativi e il controllo di gestione;
• attivazione di una pianificazione integrata che finalizzi l’attività delle controllate a politiche ed obiettivi
stabili e coordinati a livello di gruppo.
ESEMPIO: GRUPPO CIR
Gruppo controllato dalla famiglia De benedetti

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

COFIDE: holding dove risiede il soggetto


giuridico
Sogefi: gruppo industriale - omogeneità
settore automobilistico
Sorgenia: gruppo industriale -
determinatore comune produzione di
energia da fonti diverse
Kos spa: gruppo industriale – attività
socio sanitarie

DETERMINANTI ALLA FORMAZIONE DEI GRUPPI


Le principali motivazioni che spingono alla formazione di un gruppo possono essere così classificate:
• motivazioni di carattere finanziario: l’organizzazione in forma di gruppo permette di distinguere attività a
diverso grado di rischio ed è quindi capace di attrarre finanziamenti in misura superiore a quelli attivabili
con una struttura unica; gli effetti della “leva finanziaria” consentono di ridurre la quota di capitale di
comando Esistono però limiti all’uso del leverage finanziario, cioè la situazione economica del gruppo deve
restare tale da rendere conveniente a creditori e azionisti di minoranza il mantenimento o l’aumento del loro
apporto finanziario
• motivazioni di carattere organizzativo: Il gruppo può essere la risultante di un processo di aggregazione di
società autonome rispondenti ad esigenze di coordinamento delle rispettive attività che non può ottenersi con
altre forme organizzative (consorzi, joint ventures, etc.); Il gruppo può essere la risultante di un
frazionamento di una struttura monolitica per esigenze di natura organizzativa. In questo caso il gruppo va
visto come la risposta organizzativa a problemi di diseconomie connesse alla crescita dimensionale.
• motivazioni determinate dalla possibilità di appropriarsi di esternalità positive: • Motivazioni di ordine
fiscale (gruppi multinazionali); • Incentivazioni di vario ordine concesse a singole società, o categorie di
imprese; • Mimetismo giuridico e conoscitivo: occultamento delle linee reali di potere dietro lo schermo di
società giuridicamente indipendenti. I gruppi possono essere creati per ridurre la trasparenza verso l’esterno.
Conflitti di interesse nei gruppi:
L’interesse di gruppo dovrebbe essere il punto di equilibrio, il centro di convergenza tra l’interesse della
controllante e quello delle società del gruppo. Il perseguimento di un interesse di gruppo può però procurare
vantaggi o svantaggi alle società dipendenti. Il perseguimento di politiche aziendali di gruppo aumenta,
infatti, i possibili pregiudizi a danno delle singole società del gruppo e ha un rilevante impatto sugli equilibri
tra gli stakeholders delle diverse società.
I conflitti di interesse in un gruppo possono quindi sorgere a motivo del divario tra esigenze di
ottimizzazione delle risorse complessivamente impiegate nel gruppo e connotati giuridico-formali del
gruppo stesso. Dal punto di vista giuridico-formale, infatti, le singole società del gruppo sono indipendenti e
i loro stakeholders presentano quindi interessi economico-patrimoniali distinti.
(quando si imposta una politica di gruppo si cerca di ottimizzare il bene dell’intero gruppo: è evidente che le
scelte che si compiono possono determinare delle situazioni di svantaggio per alcuni e vantaggio per altri)
La direzione unitaria non è, in quanto tale, fonte di conflitti tra gli stakeholders dell’intero gruppo, ma lo
diventa nel caso in cui essa rappresenti uno strumento privilegiato in mano agli azionisti della holding per
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

perseguire obiettivi di convenienza asimmetrica o conseguire benefici privati del controllo.

TIPOLOGIE DI CONFLITTI
La struttura a gruppo può dar luogo a diverse situazioni conflittuali:
• in sede di definizione della politica degli investimenti e dei finanziamenti
Nella logica di gruppo ogni società può attingere alle risorse tecniche, manageriali e finanziarie di cui il
gruppo dispone, ma tali risorse sono gestite unitariamente, per cui ogni società viene ad assumere una
priorità nel gruppo. Il conflitto può sorgere in relazione alle modalità di gestione della funzione finanziaria:
• gestione finanziaria non centralizzata: se ogni società decide autonomamente come finanziare gli
investimenti, sarà il costo del denaro e quindi il mercato dei capitali a definire, per ciascuna società, il limite
finanziario
• gestione finanziaria centralizzata: le sinergie finanziarie derivano dalla possibilità di usufruire di una
tesoreria centralizzata che consente una migliore allocazione delle risorse anche sotto il profilo del carico
fiscale. Possiamo distinguere due casi:
▪ senza politica selettiva degli investimenti (il costo del denaro attribuibile ad ogni società non dipende
dalle sue scelte di finanziamento, ma da decisioni centralizzate sulla base dell’ottimizzazione della
raccolta. Il rischio finanziario e il tasso di selezione sono unitari per tutte le società)
▪ con politica selettiva degli investimenti (la diversità nei costi della raccolta porterà a differenziare
l’imputazione del costo del denaro alle diverse società del gruppo in relazione al grado di rischio e
rendimento delle attività)
• in sede di gestione:
- nella determinazione dei prezzi interni di trasferimento
I potenziali conflitti di interesse sorgono in relazione alla fissazione dei prezzi di trasferimento tra
una società ed un’altra all’interno di un gruppo.
Con quali criteri si formano i prezzi di beni e servizi che si scambiano tra “fornitori” e “clienti”,
quando questi si identificano in un solo soggetto economico?
Se i prezzi dei beni e servizi trasferiti si effettuano a prezzi di mercato non vi sono motivi di
conflitto. Il conflitto di interesse sorge nel caso in cui:
• le cessioni di beni e/o prestazioni all’interno dei gruppi sono effettuate a valori che divergono dai
prezzi di mercato;
• i prezzi interni determinano vantaggi o svantaggi per le diverse società del gruppo e, in particolare,
per i loro stakeholders.
Il gruppo non sempre opera in una logica “neutrale” rispetto alla formazione dei prezzi, ma può
perseguire logiche di ottimizzazione globali che richiedono prezzi “manovrabili” tali da consentire il
raggiungimento di obiettivi di pianificazione fiscale, ridistribuzione del reddito, politiche di bilancio
a livello di gruppo. La manovra riguarda quei correttivi che si possono apportare ai prezzi di mercato
per il fatto che uno scambio interno comporta minori costi di vendita, di trasporto, minori rischi di
insolvenza, etc.
Un criterio per dirimere i possibili conflitti di interesse che si vengono a creare potrebbe essere
quello di definire i prezzi di trasferimento sulla base dei costi, riallocando il risultato economico
consolidato in base a: • valore aggiunto • margine di contribuzione
Il valore aggiunto è il valore addizionale che si “aggiunge” ai materiali per effetto del ciclo di
lavorazione che subiscono. Da un punto di vista quantitativo, esso è misurabile attraverso la
differenza tra i ricavi di vendita e i costi direttamente sostenuti per l’acquisizione dei materiali o
servizi necessari alla produzione. La tecnica del valore aggiunto implica la ricerca dell’allocazione
ottima di quest’ultimo fra le diverse società coinvolte.
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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

Il margine di contribuzione è dato dalla differenza tra i ricavi di vendita e i costi variabili. Esso
rappresenta la contribuzione dei ricavi di vendita alla copertura dei costi fissi. Anche in questo caso,
la tecnica consiste nella ricerca della migliore allocazione del margine di contribuzione fra tutte le
società del gruppo.
- nell’attribuzione di costi generali relativi ai servizi e alle funzioni centralizzate che vengono
svolte per le consociate
L’obiettivo di ottimizzare l’utilizzo delle risorse interne del gruppo porta talvolta a soluzioni
organizzative in cui talune funzioni e servizi sono centralizzati presso la holding o creando società
“ad hoc”. Si creano, quindi, costi con caratteristiche di indivisibilità, che devono essere ripartiti alle
società che beneficiano dei servizi o funzioni. Il criterio di ripartizione influisce sui profitti delle
singole società.
Possibili criteri di ripartizione:
• in proporzione al fatturato Inconvenienti: si penalizza una società che ha aumentato il suo fatturato,
solo perché le altre lo hanno diminuito, pur avendo ricevuto servizi analoghi. La singola società,
quindi, avrebbe interesse a non far crescere il proprio fatturato, anche quando questa crescita sarebbe
opportuna dal punto di vista del gruppo.
• in proporzione alle risorse potenzialmente disponibili presso la consociata anche se questa
scegliesse di lasciarle inutilizzate (addetti, capacità produttiva, etc.)
Utilizzando uno dei due criteri di ripartizione visti sopra, il gruppo realizza diversi benefici: ogni
società può beneficiare di sinergie, economie di gruppo che non si possono apprestare
convenientemente a livello di singola società; il costo di tali servizi è imputato al di fuori della
responsabilità e del controllo dei singoli dirigenti.
• in sede di operazioni straordinarie:
- nel trasferimento di azioni tra società interne al gruppo ed esterne al gruppo
- nell’acquisto di azioni proprie
- nelle cessioni e nei conferimenti d’azienda
FAMILY GOVERNANCE
Peculiarità dei gruppi a controllo familiare: • il grado di coesione tra gli azionisti familiari dipende non solo
da considerazioni di tipo economico, ma anche da complessi fattori psicologici; • i rapporti di tipo
economico, patrimoniale e finanziario tra la famiglia e il gruppo possono rappresentare una preziosa fonte di
autofinanziamento o una forma di depauperamento del gruppo; • il conferimento di incarichi ai membri della
famiglia non sempre risponde a criteri meritocratici e rischia di disincentivare i manager esterni; • i processi
decisionali possono essere agevolati dalla familiarità, ma anche rallentati dalla diffidenza;

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Ioanna Kircos – Appunti di Management strategico e corporate governance – anno 2020/21

DOMANDE FREQUENTI (programma da 9 cfu frequentanti)


- Proprietà e management: che tensione può nascere - Valore per lo stakeholder
tra questi due soggetti? - Soggetto economico e soggetto giuridico,
- Market for corporate control differenze
- Nell’ambito della governance quali sono le - Capitale di comando e controllato
caratteristiche dei sistemi outsider / connessi al - Che potere ha il ceo e sotto ceo
mercato? - Sindacati di voto
- Perché si sono creati questi sistemi basati sui - Ruolo società azionaria
mercati? - Strategia: diversificazione - motivazioni legate
- Strategia: integrazione verticale allo sfruttamento delle sinergie
- Come si possono realizzare queste strategie? - Interrelazioni tangibili e interrelazioni intangibili,
Come si attuano? effetti sull’impresa
- Valore aggiunto e indice di Adelman - Vantaggi crescita interna
- Altro problema dell’indice di Adelman è che va a - Creazione di valore
misurare solo integrazione equity. Perché? - Valore di una strategia corporate
- Acquisizioni e fusioni - Vision? Mission?
- Quali sono i vantaggi di crescita esterna rispetto a - Business model modello canvas
interna? - Sistema latino/giapponese
- Cos’è il business model? - Internazionalizzazione: perché oggi è importante?
- Strategie di corporate e business - Creazione di valore per stakeholder
- Sindacati di blocco e voto - Strategie oceano blu
- Caratteristiche di un sistema reniano - Business idea
- Sinergie, cosa sono? - In che modo il business model può aiutare
- Strategia di diversificazione e in particolare l’impresa?
conglomerale - Fasi del processo di acquisizione
- Sistema giapponese nipponico - Gruppi di imprese
- Differenze con quello latino - Strategie di crisi aziendale
- Quando parliamo di integrazione verticale, - Teoria dell’agenzia
nascono alcuni problemi tra cui il bilanciamento - controllo di una spa
della capacità produttiva. Approfondire -conflitti di interesse in una spa
- Qual è il valore della corporate strategy? Perché si
fa una strategia di corporate?
- Cosa sono i patti di sindacato?
- Modalità per internazionalizzarsi
- Quali sono le tipologie di integrazione verticale?
- Caratteristiche modello latino
- Cosa significa creare valore per lo shareholder?
- Sistema renano
- Diversificazione: sinergie
- Interrelazioni tangibili e intangibili
- Business model
- Differenza tra business model e strategia

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