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1.

Per quale motivo le informazioni fornite dall’Activity-based Costing sono più utili di quelle fornite da
tradizionali sistemi di Cost Accounting per supportare azioni di cost management?

L’Activity-based Costing, rispetto ai tradizionali sistemi di Cost Accounting, permette di misurare in modo più
preciso i costi da imputare ai diversi oggetti di costo perché, tramite l’allocazione dei costi attraverso gli
activity drivers, riesce a cogliere la complessità e non solo le dimensioni dell’oggetto di costo. I sistemi di Cost
Accounting tradizionali sono stati sviluppati in un contesto in cui i costi indiretti erano molto contenuti e le
imprese erano prevalentemente di piccole e medie dimensioni. Oggi, in presenza di costi indiretti molto
eterogenei (come costi di marketing, progettazione, software etc.) e imprese strutturalmente più complesse,
i sistemi di allocazione dei costi a base unica conducono a risultati poco utili. L’allocazione dei costi tramite
activity cost driver generici, che sono poco rappresentativi della realtà, può creare distorsioni nella redditività
dei prodotti. Anche se il sistema ABC è più lungo e costoso e dunque adatto solo ad applicazioni sporadiche,
rispetto ai sistemi tradizionali, è quello con meno margine di errore per la maggior parte delle imprese.

2. Come si caratterizza la matrice di Kraljic e quali sono le più opportune soluzioni manageriali per ciascun
quadrante della matrice?

La matrice di Kraljic è un modello per la classificazione dei fornitori e per la conseguente gestione in base alla
classificazione effettuata. Si sviluppa lungo due dimensioni: sull’asse delle ascisse abbiamo i volumi di
acquisto mentre sull’asse delle ordinate abbiamo il rischio d’acquisto. Si creano in questo modo quattro
categorie di fornitori:

• Acquisti standard (volume alto - rischio basso): dato che si acquista molto ma è molto facile sostituire
questo tipo di fornitori, l’azienda ha ampio potere contrattuale e può chiedere sconti e dilazioni. Non
interessa preservare il rapporto, ma solo ottenere il prezzo minore. Talvolta in questi casi si ricorre ad aste
online per stimolare i fornitori a farsi guerre di prezzo.
• Acquisti critici (volume basso - rischio alto): il fornitore ha basso impatto economico ma sostituirlo è
un problema. In questi casi l’impresa potrebbe limitare il rischio di mancata fornitura acquisendo il fornitore
stesso se la dipendenza è molta e la cosa risulta possibile, oppure trovando valide alternative, o ancora
facendo molte scorte in caso di beni materiali.
• Acquisti non critici (volume basso - rischio basso): non si ha necessità di chiedere sconti e non occorre
supportare il fornitore in quanto si potrà sostituire facilmente se necessario. L’unica strategia da adottare in
questo caso è la riduzione della complessità. Si pensi alle forniture di cancelleria: è opportuno soltanto
snellire i processi di gestione.
• Acquisti strategici (volume alto-rischio alto): data la rilevanza strategica di tali fornitori è opportuno
conoscerli a fondo e cooperare con essi supportandosi a vicenda. Si pensi allo sviluppo delle automobili
sportive in cui vi è una stretta collaborazione con i fornitori di freni ad esempio: si parla di co-makership, il
successo del prodotto principale determina il successo del prodotto del fornitore.

3. Cosa si intende per Total Cost of Ownership e come si calcola?

Per TCO si intende il costo totale di gestione del fornitore, comprensivo di tutti i costi ad esso legati e non
solo del costo d’acquisto. Include sia i costi diretti del fornitore (ad esempio relativi ai vari costi di acquisto
fatturati dal fornitore), sia i costi indiretti (ad esempio relativi alla selezione, negoziazione, solleciti, trasporto,
controllo qualità, gestione amministrativa). Il TCO è anche misurato a livello di complessità attraverso l’Indice
di complessità della relazione di fornitura. Questo indicatore è estremamente importante in quanto dà
indicazione rispetto alla complessità del fornitore. Si calcola con il rapporto tra i costi indiretti generati del
fornitore e i costi diretti. Più l’indice è elevato e più il fornitore sarà complesso e più il fornitore è complesso,
più la gestione del rapporto sarà dispendiosa in termini di tempo e costi. Il calcolo del TCO è basato
sull’Activity Based Costing. Si considerano le attività connesse con la gestione del fornitore e si individuano
gli activity driver che permettono di misurare quante risorse un fornitore ha richiesto di un’attività. Un valore
del TCO superiore all’11% è indice di una gestione del fornitore complessa.
4. Quali sono i differenti approcci di Cost Management e cosa li caratterizza?

Gli approcci di Cost Management sono 4: Cost containment, cost efficiency, Cost and Value Alignment e Cost
for Business Modelling. È possibile rappresentarli in un grafico considerando quattro variabili: evoluzione
temporale, livello di competenze, facilità d’implementazione, sostenibilità competitiva.

Il cost containment sostanzialmente permette di risparmiare continuando a fare le attività di sempre e senza
variare il valore percepito dal cliente. Ha impatto in pratica solo sul conto economico. Le tecniche di
implementazione di questo modello possono essere, ad esempio:
• negoziazioni con i vari fornitori dell’impresa per ottenere condizioni di acquisto migliori;
• centralizzazione degli acquisti per gruppi d’aziende - i gruppi elaborano ed inviano acquisti
centralizzati e non singoli per ottenere conseguenti sconti;
• zero based budgeting – riformulare il budget da zero senza dare nulla per scontato in modo da non
ripetere eventuali errori e sprechi che si erano sviluppati nel tempo.
Questo modello è molto semplice e rapido da realizzare e può essere facilmente replicato dalle altre imprese,
ragion per cui non crea valore sostenibile, chiunque può attuarlo. Inoltre, un rischio che porta con sé è la
probabilità di sfociare in un cost cutting che va a tagliare costi utili (rischi di disfunzionalità organizzativa e
strategica).

Il cost efficiency permette di ridurre i costi mutando i processi aziendali ma senza che il cliente percepisca
differenze. Le tecniche di implementazione di questo modello possono essere, ad esempio:
• Lean Management il cui obiettivo principale è eliminare gli sprechi e attuare il cosiddetto Kaizen
(miglioramento continuo e a piccoli passi dei processi in una logica bottom-up, a partire dai lavoratori a
diretto contatto coi processi);
• Business project engineering il cui obiettivo è azzerare i processi e in una logica top Down ricostruirli
in modo migliore;
Il cost efficiency presenta minori rischi di disfunzionalità organizzative e strategica ma è comunque
facilmente replicabile dalle altre imprese.

Il Cost and Value Alignment consiste in un allineamento tra attività, costi e valore generato per il
cliente che si deve quindi accorgere del cambiamento nel modo di operare dell’impresa, di
conseguenza aumenta il valore generato e aumenta il posizionamento nella mente del cliente. Si ragiona su
tutto il ciclo di vita del prodotto e si valutano preventivamente i costi. Ha pochi rischi di disfunzionalità e non
è facilmente replicabile perché ogni impresa sviluppa la propria combinazione costi-valore.

Il Cost for Business Modelling rappresenta un mix tra i tre approcci precedenti. In questo caso l’intero
business model è focalizzato sulla massimizzazione del rapporto tra valori e costi. È il miglior modello di Cost
management esistente ma al tempo stesso il più difficile da realizzare. Un esempio può essere Ryanair che
gestisce da sempre tutte le sue attività nell’ottica del suo modello di business (prezzi bassi, tratte brevi e
frequenti, puntualità, pochi servizi aggiuntivi, un solo modello di aereo per diminuire la complessità).

5. Quali sono le principali novità dello Strategic Cost Management rispetto alla tradizionale analisi dei
costi?

• Approfondimento delle strutture e delle dinamiche di gestione delle risorse economiche: comprendere
quali attività e processi assorbono i costi aziendali, quali clienti, prodotti, canali distributivi e fornitori ne
determinano il sostenimento;
• Ricerca del necessario collegamento tra costi e valore: discriminare tra costi “buoni”, che generano
valore per il cliente, da quelli “cattivi” che non conducono ad alcun vantaggio per l’azienda;
• Approfondimento delle cause generatrici dei costi (cost driver): comprendere quali sono i fattori che
determinano il sostenimento dei costi per poter intervenire;
• Ampliamento “temporale” dell’analisi: dal breve termine all’ottica strategica;
• Ampliamento “spaziale” dell’analisi: dalla sola azienda alla filiera complessiva. Analizzo anche i costi
delle altre imprese fornitrici e dei clienti della filiera;
• Ampliamento “organizzativo” dell’analisi: dalla sola produzione a tutte le funzioni aziendali. La
contabilità analitica si chiamava contabilità industriale, oggi è diventato sempre più importante ampliare
l’orizzonte organizzativo dell’analisi.

6. Per quale motivo l’analisi di attività e processi risulta particolarmente prodromica allo sviluppo di
azioni di cost management?

La disequazione fondamentale da rispettare in azienda in ottica strategica di lungo periodo è C < P < V: i costi
sostenuti devono essere minori del prezzo richiesto al cliente che deve essere minore del valore percepito
dal cliente. L’obiettivo diventa massimizzare la differenza tra costi e valore e di conseguenza ottenere una
buona marginalità. Occorre dunque chiedersi cosa genera costi e cosa genera valore. Ad entrambi i quesiti si
può rispondere soltanto conoscendo le attività (azioni svolte all’interno dell’impresa) e i processi (sequenze
di attività appartenenti a unità organizzative diverse finalizzate a ottenere un certo output comune per
l’impresa). È importante effettuare un’analisi dettagliata su attività e processi in modo predittivo in quanto
bisogna capire il perché si stanno sostenendo determinati costi che utilizzano delle risorse. L’impresa in
questo modo sarà in grado di adottare misure correttive e capire se sta investendo nelle giuste attività per
creare valore.

7. Qual è la differenza tra Activity-based Costing e Activity-based Management?

La differenza tra Activity-based Costing e Activity-based Management è che la prima fa riferimento ad una
tecnica di cost accounting che alloca i costi in base alle attività dell’azienda e quindi dà importanza a calcolare
in modo preciso quanti costi si riferiscono ad ognuna di esse; l’ABM, invece, è un sistema di cost management
e si occupa di capire come gestire i costi tramite dei fattori che esprimono le cause dei costi generati dalle
varie attività svolte dall’impresa. A differenza dell’ABC in cui vengono utilizzati gli Activity cost drivers,
nell’ABM si utilizzano i cost drivers che non sono valori numerici utilizzati per l’allocazione, ma determinanti
che spiegano la ragione del costo.

8. Spiegare la differenza tra Activity-based Management Operativo e Strategico.

Esistono due tipi di Activity Based Management: quello operativo e quello strategico. Il primo, quello
operativo, può essere sintetizzato con l’espressione “to do things right”, si focalizza cioè sull’impiegare le
risorse in attività e processi nel modo corretto (efficienza). Il secondo, quello strategico, può essere
sintetizzato con l’espressione “to do the right things”, si focalizza cioè sul dedicare risorse alle attività che
generano valore (efficacia). È possibile affermare che l’ABM strategico è più importante perché occorre prima
focalizzarsi sul creare valore per il cliente; solo in secondo momento ci si può concentrare sull’efficienza delle
attività e dei processi.

9. Cosa si intende per Value Analysis?

La value analysis è un modo per calcolare la capacità di generare valore, quanto l’azienda sta spendendo per
fare ciò che il cliente desidera. Una volta individuate le attività e il loro relativo costo occorre attribuirle ad
una delle seguenti quattro categorie:

• attività a valore (VA): generano valore che il cliente percepisce subito;


• attività a valore futuro (FVA): generano valore che il cliente percepirà in futuro;
• attività di supporto (SA) (chiamate anche non a valore ma necessarie): non generano valore ma sono
necessarie, come ad esempio l’amministrazione o la redazione del bilancio;
• attività waste: si potrebbero ridurre o eventualmente eliminare se si svolgessero meglio altre attività
nel processo produttivo. È il caso del controllo qualità: se tutte le attività fossero svolte nel modo giusto non
ci sarebbe bisogno del controllo qualità.

Le attività non si possono categorizzare nello stesso modo per tutte le imprese, dipende dal tipo di azienda,
dalla strategia, ecc.. Ad esempio la ricerca e sviluppo in alcuni casi può essere VA, in altri FVA.

Le attività a valore e le attività a valore futuro sono attività che generano valore (riconosciuto dal cliente)
mentre le attività di supporto e le attività waste sono attività che assorbono valore (il cliente non riconosce
valore).

10. Fornire esempi di attività VA, FVA, SA e W

Esempi di attività a valore (VA) Possono essere: l’assemblaggio del prodotto, la relazione commerciale col
cliente, marketing, personalizzazione, consegna, produzione, assistenza… Possono essere di due tipi: le VA
differenzianti consentono all’azienda di acquisire un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti
perché rendono unico e identificabile il mio prodotto. Le VA igieniche sono attività necessarie, alla base della
mia produzione ma non creano un valore differenziante, non mi distinguono dai concorrenti e cerco di
renderle più efficienti possibili.

Esempi di Attività a valore futuro: R&S, Apertura a nuovi mercati, progettazione, sviluppo nuovi canali
distributivi….

Esempi di attività di supporto: Amministrazione, Gestione fornitori, gestione logistica in uscita,


approvvigionamento, programmazione, manutenzione, inserimento ordini…

Esempi di attività waste: controllo qualità in entrata e uscita, capacità produttiva inutilizzata, code, difetti,
duplicazione attività…

11. Cos’è il profitto potenziale e come si calcola? Come si interpreta tale valore?

Il profitto potenziale è il profitto che avrei avuto se avessi svolto solo attività che generano valore. Trattasi di
un obiettivo ideale che non è possibile raggiungere ma la sua conoscenza è utile per confrontare l’effettivo
profitto conseguito ed evidenziare su quali aree agire. Si calcola nel seguente modo:

Se il profitto potenziale risulta alto confrontandolo con ricavi e reddito operativo vi è un problema di
efficienza, occorre quindi efficientare le attività waste e di supporto (con l’activity-based management
operativo).
Se invece il profitto potenziale risulta basso vi è un problema di efficacia, impresa deve cercare di creare
maggiore valore (con l’activity-based management strategico).

12. Cos’è un Value Multiplier e come si calcola?

Un value multiplier è un indicatore che permette di capire quali attività generano più valore e quindi in quale
attività andrebbe riconosciuto più denaro. Richiede analisi di diverso tipo ed in particolare analisi di
marketing finalizzate ad individuare quali sono le caratteristiche a cui il cliente dà più peso e quanto incide
ciascun attributo sulla percezione complessiva di valore e analisi dei costi finalizzate a misurare il costo
richiesto dalle predette caratteristiche.

Si calcola col rapporto tra i ricavi ottenuti grazie a ciascun attributo e i costi che hanno partecipato per
ottenere tale attributo. Si ottiene di conseguenza un value multiplier per ogni attributo. Un valore alto di tale
indice potrebbe sì indicare che per ogni euro speso per ottenere quell’attributo si ottengono molti ricavi ma
potrebbe anche essere sintomo di un basso investimento nell’ottenere l’attributo in questione. Calcolando
poi la media ponderata dei value multiplier di tutti gli attributi in base al peso di ciascuno attributo si ottiene
il value index.

L’analisi dei value multiplier risulta tuttavia molto complessa e quasi quasi sempre non utilizzata perché il
costo dell’analisi supera i benefici stessi. Si preferisce invece fare analisi meno analitiche e più qualitative, ad
esempio coinvolgendo figure aziendali di diverse divisioni come quella commerciale e quella contabile, il cui
risultato risulta comunque accettabile.

13. Per quale motivo un’azienda con percentuale elevata di costi a valore potrebbe presentare redditività
inferiore a una che destina meno denaro a risorse a valore?

Le cause per cui un’azienda che attribuisce elevati costi a valore può avere una redditività inferiore a una che
destina meno denaro a risorse a valore sono tre. 1 La prima riguarda le marginalità intrinseche dei settori in
cui operano le diverse imprese, aziende diverse hanno marginalità diverse a seconda del proprio business e
questo limite non può essere del tutto superato con l’attribuzione del denaro a risorse a valore. 2 La seconda
causa dipende dal valore delle attività, per l’impresa può essere agevole individuare quali sono le attività a
valore, ma distinguere semplicemente tra attività a valore e non a valore non dice nulla su quanto valore sia
effettivamente generato da un’attività. 3 La terza causa è la capacità inutilizzata, la quota di risorse dedicate
ad attività a valore che non viene utilizzata e genera sprechi.

14. Cos’è la Cost Driver Analysis e a quale scopo è realizzata?

L’impresa può essere intesa come un sistema di attività che vengono svolte al suo interno per generare valore
per i clienti, in base alle esigenze da questi manifestati. Lo svolgimento delle attività richiede l’utilizzo di
risorse che generano costi. Quindi per realizzare le attività l’impresa sostiene dei costi. L’impresa deve essere
capace di gestire i costi perché maggiore è la differenza tra i costi e il valore percepito dai clienti, maggiore
sarà il profitto ottenuto dall’impresa. La Cost Driver Analysis è un metodo di analisi della relazione tra attività
e costi che consiste nell’individuare e analizzare i cost driver, ovvero i fattori che causano i costi per le diverse
attività, e per ciascun cost driver calcolare l’ammontare di costi generati per poter intervenire sulla loro
gestione. Individuare i cost driver significa, per ogni attività svolta dall’impresa, rispondere alla domanda
“perché si sostengono i costi dell’attività in oggetto?”.

15. Qual è la differenza tra cost driver operativi e strutturali?

I cost driver strutturali sono quelli che dipendono dalle scelte strutturali e strategiche dell’azienda, non
possono essere modificati nel breve termine e limitano maggiormente la possibilità di azioni interventive sui
costi dei quali sono causa. I cost driver operativi dipendono da fattori operativi non legati alla struttura
dell’azienda, ma a come essa svolge le attività, possono essere modificati nel breve termine e senza sforzi
eccessivi. Nella maggior parte dei casi la distinzione tra operativo e strutturale può avvenire solo valutando
lo specifico cost driver e l’attività a cui è associato. Ad esempio il cost driver tecnologia è strutturale se inteso
come investimenti in particolari impianti di produzione (legati a scelte strategiche), è operativo se inteso come
costo per l’uso del software amministrativo. Se l’impresa vuole sviluppare vantaggio competitivo sostenibile
sarà conveniente intervenire su cost driver strutturali, mentre se l’obiettivo è migliorare la gestione dei costi
sarà meglio intervenire su cost driver operativi.

16. Qual è la differenza tra Activity-cost driver e Cost driver?

L’Activity-cost driver è un parametro misurabile che rappresenta in termini numerici l’output o lo sforzo
richiesto da un’attività. L’Activity driver è utilizzato nel cost accounting (in particolare nell’ABC) per allocare
i costi di un’attività sui differenti oggetti di costo. Il Cost driver è un fattore che esprime la causa per cui
l’azienda sostiene i costi di un’attività o perché tali costi sono diversi da quelli dei competitors. I Cost driver
sono utilizzati nel cost management per capire come intervenire sui costi delle attività. Ad esempio
nell’attività di fatturazione l’activity driver utilizzato per allocare i costi di fatturazione sui diversi prodotti è
il numero di righe fattura, il cost driver che spiega perché si sostengono costi di fatturazione si può
determinare ponendosi alcune domande e può essere la complessità o la tecnologia.

17. Presentare la lista dei cost driver operativi con sintetica descrizione di ognuno.

I cost driver operativi sono: - coinvolgimento della forza lavoro, i costi del personale possono aumentare se i
dipendenti non sono adeguatamente formati e coinvolti nei processi aziendali;
- gestione della qualità totale, se i processi non sono ben sviluppati possono compromettere la qualità totale
e generare maggiori costi;
- utilizzo della capacità produttiva, stabilito l’output dell’impresa la capacità produttiva va gestita in modo da
evitare capacità inutilizzata, che è causa di sprechi;
- efficienza del layout degli impianti, la localizzazione e la disposizione degli impianti (sia di produzione che
uffici) può incidere sui costi;
- configurazione del prodotto, fa riferimento a come è organizzata la progettazione, realizzazione e
commercializzazione dei prodotti/servizi che è causa di costi (componenti, tipo di produzione, risorse…);
- relazioni con clienti e fornitori, gestire la relazione con clienti e fornitori è causa di costi anche elevati,
soprattutto se clienti e fornitori hanno comportamenti diversi da quelli attesi.

18. Presentare la lista dei cost driver strutturali con sintetica descrizione di ognuno.

I cost driver strutturali sono:


- dimensioni per economie di scala, connesse ad investimenti nella produzione, ricerca e sviluppo e
marketing, il costo dell’attività può risultare molto elevato se l’impresa è di piccole dimensioni (es. un
investimento di un certo ammontare ha un impatto diverso su imprese di dimensioni e fatturato diverso);
- campo di attività, i costi possono incidere notevolmente se l’impresa occupa in modo non efficiente una
parte della catena del valore ovvero se l’integrazione a monte o a valle non è ottimale;
- esperienza, i costi dipendono dal numero di volte che l’azienda ha già svolto l’attività, più un’azienda realizza
una stessa attività più sarà efficiente nel farla e diminuirà i costi;
- tecnologia, le tecnologie di processo utilizzate dall’impresa possono generare costi se non sono le migliori
a disposizione;
- complessità, la varietà di situazioni dal punto di vista del mercato e della tecnologia genera costi, la
complessità aumenta quando aumenta il numero di clienti e di prodotti e se non necessaria va evitata.

19. Cosa si intende per capacità di un’attività o processo? Fornire un elenco delle figure di capacità
conosciute.
La capacità di un’attività o processo è il volume di attività che può essere svolto dall’azienda in base alle
risorse disponibili per quell’attività o processo. Esistono diverse figure di capacità. La capacità teorica è il
livello di output che si potrebbe ottenere lavorando in condizioni di piena produttività 24/7, ogni giorno,
senza assenteismo e senza sprechi di alcun tipo. Rappresenta il 100% della capacità possibile, ma questo
valore è solo un tetto massimo teorico non raggiungibile, dato che presuppone condizioni di lavoro non
realistiche. La capacità pratica, minore rispetto alla teorica (si considera circa l’80%), è calcolata considerando
orari effettivi, un livello fisiologico di assenteismo e tutte le altre condizioni pratiche ed effettive che si
verificano in azienda. La capacità normale rappresenta l’output che viene assorbito dal mercato
normalmente, è calcolata come media della capacità assorbita negli ultimi 3 anni senza la presenza di eventi
anomali. La capacità attuale è il livello di output pratico che viene assorbito attualmente dal mercato. La
capacità di budget è il livello di output che ci si aspetta venga assorbito dal mercato nell’anno di budget. La
capacità inutilizzata è la differenza tra la capacità pratica e quella attuale, cioè lo scarto tra l’output che si
potrebbe realizzare in normali condizioni e l’output che si realizza effettivamente. La capacità inutilizzata
rappresenta una quota di risorse dedicate ad un’attività, ma non utilizzate per mancanza di domanda dal
mercato.

20. Come si calcolano la capacità pratica e quella inutilizzata di un processo/attività?

La capacità pratica in volumi si calcola come il rapporto tra le ore disponibili e il tempo medio per unità di
output necessari a svolgere un’attività o un processo. La capacità inutilizzata in volumi si calcola come
differenza tra la capacità pratica e la capacità attuale (o quella di budget se si tratta di previsioni della capacità
inutilizzata). La capacità inutilizzata in termini di costi si calcola moltiplicando il valore in volumi per il costo
dell’attività.

21. Sotto quali condizioni si genera naturalmente il fenomeno della capacità inutilizzata?

La capacità inutilizzata si genera in quattro casi:


- rigidità delle risorse, si verifica quando manca la piena mobilità delle risorse, ovvero non si possono acquisire
o dismettere liberamente, e può creare capacità inutilizzata. La rigidità delle risorse può essere debole, se le
risorse non possono essere eliminate ma destinate ad altre attività, oppure forte quando le risorse non
possono essere eliminate e nemmeno destinate ad altre attività;
- stagionalità, alcuni business possono avere una richiesta molto variabile per cui il livello medio di risorse
necessario a svolgere l’attività in diversi periodi dell’anno può variare molto. Se la domanda non è regolare
nell’esercizio, la necessità di maggiori o minori risorse può generare capacità inutilizzata. Il rischio connesso
a tale fenomeno aumenta se unito alla rigidità delle risorse;
- insufficiente livello di efficienza, l’impresa definisce un determinato livello di efficienza in base a previsioni
e programmi basati su resource driver, ma se tale livello non viene raggiunto le risorse destinate all’attività
si rivelano capacità inutilizzata;
- incertezza nelle previsioni degli output, le previsioni di output per le attività possono risultare scorrette per
due motivi: incertezza connessa al piano di vendita (numero di unità vendute diverso dal previsto) o inesatta
definizione dell’activity driver. Questa causa di capacità inutilizzata è più difficile da gestire perché non
dipende solo dall’azienda, ma anche da fattori esterni non del tutto controllabili.

22. La capacità inutilizzata è sempre e comunque uno spreco? Se no, sotto quali condizioni è accettabile o
addirittura auspicabile il mantenimento di un certo livello di capacità inutilizzata?

La capacità inutilizzata non è sempre uno spreco. In caso di attività non a valore o waste le risorse sono già
destinate a non generare valore per il cliente quindi un livello di capacità inutilizzata limitato o elevato
determina una situazione di ulteriore spreco. Nelle attività di supporto una capacità inutilizzata limitata è
una situazione di efficienza, mentre un livello elevato rappresenta uno spreco. Nelle attività waste la capacità
inutilizzata è sempre una situazione di spreco. Nelle attività a valore la presenza di capacità inutilizzata, anche
elevata, può essere accettabile o necessaria per garantire all’impresa possibilità di sviluppo e miglioramento
delle risorse coinvolte (ad esempio se l’impresa vuole personale altamente formato e competente per le
attività a valore deve dedicare molto tempo alla formazione, in questo periodo i dipendenti sono parte della
capacità inutilizzata). La capacità inutilizzata limitata può essere un limite allo sviluppo dell’impresa e
potrebbe limitare la flessibilità dell’impresa alle variazioni della domanda di mercato.

23. Quali considerazioni vanno effettuate nell’analizzare la capacità inutilizzata di un processo aziendale?

Nell’analizzare la capacità inutilizzata di un processo si deve considerare sia la capacità inutilizzata totale sia
la capacità inutilizzata delle singole attività che compongono il processo. La capacità inutilizzata totale è
accettabile se si mantiene al di sotto del 15%. La capacità inutilizzata spesso è distribuita in modo
disomogeneo tra le attività. Se la presenza di capacità inutilizzata nella attività è un fenomeno momentaneo
e ci sono possibilità di aumento dei volumi, per l’impresa è conveniente che la capacità inutilizzata sia
distribuita tra le varie attività in modo da recuperare uniformemente il totale del processo con l’aumento dei
volumi. Se la capacità inutilizzata è dovuta ad un calo permanente dei volumi allora per l’impresa è più facile
intervenire e risolvere gli sprechi se sono localizzati su alcune attività del processo. L’analisi della capacità
inutilizzata deve riguardare anche il tipo di attività nelle quali si manifesta, ovvero se si tratta di attività a
valore o attività non a valore e se il cost driver associato alle attività è di tipo operativo o strutturale.
La capacità inutilizzata di processo per l’impresa è un costo che non può essere giustificato con un aumento
dei prezzi perché i clienti non riconoscono un maggior valore. Per questo è particolarmente importante
controllare questo fenomeno e intervenire cercando di eliminare o ridurre questi costi.

24. Cos’è il Process Cost Mapping? Come si realizza?

Il Process Cost Mapping è un metodo di analisi dei processi che consiste nel mappare le singole operazioni
che compongono un’attività per evidenziare le inefficienze che scaturiscono anche in attività che di per sé
non costituiscono sprechi. L’obiettivo del Process Cost Mapping è individuare l’efficienza dei processi e capire
come intervenire per migliorarla. L’attività di mappatura dei processi può essere lunga e costosa quindi per
prima cosa l’impresa deve scegliere quali processi mappare. Successivamente dovrà declinare il processo
nelle macro attività che lo compongono e classificarle secondo la value analysis (a valore, supporto, waste).
Ogni attività va scomposta in micro attività delle quali si devono misurare i tempi necessari allo svolgimento
e la presenza di sprechi, che sono la causa di maggiori costi. Svolgere ognuno di questi passaggi per ogni
micro attività permette di calcolare il costo attuale di un processo (costo “as is”) e il costo potenziale in
condizioni di massima efficienza (costo “to be”), la differenza tra i due è il potenziale di miglioramento.
L’impresa individua la soluzione per ridurre i costi e migliorare tutto il processo, magari non eliminando del
tutto i waste ma riducendoli notevolmente.

25. Qual è l’output di una procedura di Process Cost Mapping?

Dopo aver eseguito la procedura di Process Cost Mapping sulle singole micro attività in cui è stato scomposto
il processo, si ottiene il costo finale delle micro attività dato dal prodotto tra costo della micro attività al
secondo, secondi necessari per svolgerla e numero di ripetizioni totali dell’attività. Se il costo calcolato è
eccessivo l’impresa può decidere di agire sulle tre leve per ridurre il costo dell’attività che genera sprechi e
ridurla o eliminarla per ottenere dei risparmi connessi al miglioramento dell’efficienza di tutto il processo. In
media il 30-35% del tempo dedicato alle attività, anche a valore, è uno spreco, quindi ridurre questa
percentuale può significativamente aumentare la redditività di un’azienda.
Appunti: All’interno dell’azienda vengono svolte delle attività che sono spesso costi fissi rispetto ai volumi
reali realizzati dall’attività (es 4 persone che fanno fatture anche se nel breve servono più o meno). Il costo è
fisso indipendentemente dal volume dell’attività svolta, capacità che una risorsa può sviluppare è il volume
di attività che potrebbe svolgere, la disponibile è quello che si potrebbe sviluppare, utilizzata è quella che
viene richiesta per lo svolgimento di quell’attività.

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