Sei sulla pagina 1di 9

I processi di internazionalizzazione

Esportazione  in alcuni paesi possono essere create delle sales subsidiaries o consociate

commerciali, cominciando da paesi che hanno maggior successo per quanto riguarda l’export. Dopo

le SaSu, si localizzano all’estero delle aree dove produrre il prodotto perché potrebbe ridurre i costi

generali di produzione (es. Tesla con la GigaFactory in Germania). Quindi questo percorso porta ad

avere una rete di subsidiaries ma non per forza sono tutte uguali perché ogni subsidiary ha funzioni

diverse (es. commerciale, gestionale, produttiva). Altre strategie possono essere il franchising e il

licensing che sono alternative a quello che viene chiamato investimento diretto. Faccio un contratto

di licensing con un produttore locale così internazionalizzo la produzione attraverso sub-contracting

che mi garantisce una presenza longeva sul territorio senza dover effettuare un investimento diretto

che però può rivelarsi tale nel momento in cui ritengo che l’attività stia generando i guadagni che mi

aspettavo dunque pago l’imprenditore che avevo in sub-contracting e rilevo totalmente l’attività,

entrando così direttamente nel mercato e nel territorio del luogo prescelto. La strada del licensing e

sub-contracting è molto più veloce e meno dispendiosa rispetto a quella delle sales subsidiaries. Altre

soluzioni sono le Joint Venture e alleanze che sono accordi fatte tra grandi aziende per entrare nei

mercati.

Parlando di strategie di esportazione, ne individuiamo due:

 esportazione passiva che consiste in una mera gestione di ordini provenienti dall’estero

senza particolari adattamenti; eventualmente costituendo un’unità organizzativa

“dedicata”.

 esportazione attiva che consiste nella promozione dei prodotti e dei servizi sui mercati

esteri attraverso diverse modalità. La prima modalità con cui posso rendere migliore

questa strategia, è l’esportazione indiretta. Si fa ricorso ad intermediari locali per ottenere

le conoscenze e i servizi necessari per lo sviluppo delle vendite estere. I produttori locali

conoscono bene come funziona il mercato locale e saprebbero come far crescere il

prodotto. I principali intermediarti sono gli Export Management Company (EMC) che

sono specializzati per prodotti e che svolgono la propria attività su commissione per

conto del produttore e promuovono la sua offerta presso compratori e distributori

svolgendo varie funzioni, come partecipazioni a fiere, acquisto di pubblicità, sviluppi di

reti commerciali e logistiche, richieste di adattamenti del prodotto per incontrare le

preferenze locali, chiedendo una percentuale per la sponsorizzazione. La EMC può

assumere la forma di Export Trading Company (ETC) che a differenza della EMC
acquista direttamente il prodotto e lo rivende in proprio, assumendosi il rischio della

vendita e del proprio guadagno. I vantaggi delle EMC e delle ETC sono la velocità

d’ingesso nei vari mercati, i minori investimenti e rischi. A lungo andare però possono

emergere problemi di controllo su quello che succede con il distributore nella

commercializzazione del mio prodotto, possibili conflitti nel tempo e pochi margini di

manovra.

Strategie attive: esportazione diretta


• Il produttore gestisce direttamente le vendite estere con proprio personale che svolge le funzioni di una ETC.
Vantaggi: controllo, conoscenza diretta del mercato, margini più elevati. Svantaggi: investimenti, gestione di
risorse umane.
• In genere, ma non sempre, l’esportazione diretta costituisce un secondo stadio di sviluppo della presenza
all’estero. La decisione, infatti, dipende molto anche da diversi fattori, quali:
- criticità percepita del controllo sul mercato e della conoscenza del cliente finale
- disponibilità di risorse finanziarie per investimento
- disponibilità di risorse umane

Licensing  contratti con aziende locali che hanno l’esperienza per produrre, ed eventualmente anche
distribuire i prodotti. Viene regolata la cessione di brevetti, marchi, know how in cambio di un pagamento,
spesso sotto forma di royalty ovvero una percentuale del ricavo. Così si ha una minimizzazione dei costi e dei
rischi sul breve periodo ma si va incontro ad una minore redditività e a possibili conflitti e rischi nel lungo
periodo.

Franchising  è uno speciale contratto di licensing che riguarda la cessione di un intero business model.
Prevede anche dei diritti di coordinamento sull’attività del licenziatario da parte del produttore, che possono
comprendere:

 definizione di procedure operative


 standardizzazione dell’offerta
 raccolta e gestione di informazioni commerciali sui clienti
 controllo sui prezzi
 diritti di spedizione

Il franchsing comporta una riduzione degli investimenti unita a buone proprietà di controllo ed
un’imprenditorialità diffusa ma si è di fronte ad una minore redditività anche di fronte ad un’espansione più
veloce.
Investimento estero diretto  modalità “Greenfield” ovvero costituire proprie subsidiaries da zero in modo da
poter gestire i diversi segmenti della catena del valore, o eventualmente replicarla nella sua interezza. Questa
soluzione fornisce un miglior coordinamento ma richieste uno sforzo molto oneroso in termini di fabbisogni di
risorse, complessità e tempi medio-lunghi. Alternativa a questa modalità è il “Brownfield” che comporta
l’acquisizione di un’organizzazione giù esistente. Questo modo è più veloce in termini di sviluppo ma ha dei
costi superiori e problemi di organizzazione perché in quel posto ci sono persone che lavorano seguendo un
determinato metodo ed è difficile cambiare ciò. Gli investimenti diretti nella produzione estendono
ulteriormente l’internazionalizzazione nella catena del valore. Comportano anche investimenti elevati e
aumentano molto la complessità organizzativa. Diventano scelta “obbligata” in molti casi per problemi di
“inseparabilità” della produzione rispetto alle vendite ovvero i costi di trasporti e la produzione dei servizi. Un
IDE consente anche di cogliere “opportunità” derivanti dalla disponibilità di risorse a minor costo/qualità più
elevata negli altri paesi.

Alleanze strategiche  accordo tra aziende di diverse nazioni che si uniscono per cooperare in molteplici
segmenti della catena del valore (dalla R&S alle vendite). Possono avere due forme principali:
 Joint venture (paritetiche): le aziende che si alleano costituiscono una terza impresa che controllano
congiuntamente.
 Alleanze cooperative: accordi che non prevedono la costituzione di entità legali autonome.
Questi accordi strategici promuovono l’innovazione e lo sviluppo ma aumentano i conflitti e i rischi a medio-
lungo termine e vi sono presenti eventuali difficoltà di integrazione.

Nel pianificare le loro strategie di internazionalizzazione, le aziende si trovano a dover bilanciare due
dimensioni potenzialmente in conflitto:
 Fabbisogno di integrazione globale  approccio omogeneo alla definizione di un’offerta per tutti i
mercati di presenza. C’è un coordinamento centralizzato di tutte le attività della catena del valore per
sfruttare al meglio le similarità fra diversi mercati allo scopo di massimizzare le sinergie e le economie
di scala, conseguire elevati livelli di efficienza operativa e favoriscono l’apprendimento e
l’innovazione da “fertilizzazione incrociata”.
 Fabbisogno di reattività locale  capacità di dare risposte adattive e definite sulle esigenze dei singoli
mercati. Questo fabbisogno è importante se si compete attraverso una strategia di cost leadership e se
l’offerta per i diversi paesi può essere standardizzata. Qui c’è una forte autonomia delle subsidiaries
che massimizzano le capacità delle aziende di rispondere alle esigenze dei clienti. L’innovazione è
market driven, ovvero guidata dal mercato. Questo fabbisogno è rilevante quando i mercati sono
diversi in termini di maturità, competizione, bisogni e modelli di consumo dei clienti, quando si
compete attraverso una strategia di leadership di prodotto e/o servizio e quando è difficile
standardizzare l’offerta per i diversi paesi anche a causa di rilevanti differenze culturali.
La prima dimensione produce efficienza, la seconda invece produce efficacia. Per efficienza s’intende la
massimizzazione del rapporto tra la quantità di risultato che produco e le risorse che impiego (stessi
dipendenti ma aumento della produzione oppure meno dipendenti ma uguale aumento della produzione).
L’efficacia invece è data dalla coerenza tra la mia offerta e la domanda dei consumatori, migliorando, se
possibile, anche il prodotto.
L’Integration-Responsiveness framework combina le due dimensioni creando quattro orientamenti
strategici: internazionale, multi-domestico, globale, transnazionale.

La prima fase è rappresentata dalla creazione di un reparto di export. Quando il reparto viene
collocato ad un livello più alto, questo può portare ad una divisione internazionale (n 1 nello
schema, Esportazioni).

Divisione internazionale

Ha delle divisioni domestiche organizzate per linee di prodotto è una divisione International
che favorisce il collocamento dei prodotti all’estero. la divisione internazionale è sullo stesso
piano gerarchico delle altre unità. Generalmente queste divisioni, a differenza di quelle
domestiche che sono organizzate principalmente in funzioni e prodotti, sono organizzate
seguendo le zone geografiche interessate. In questo modo rispetto a un’organizzazione nella
divisione a livello funzione si riesce a snellire la divisione che altrimenti risulterebbe troppo
estesa complessa e di difficile gestione.

In sostanza possiamo quindi dire che questo tipo di struttura interessa principalmente aziende
ad uno stadio iniziale di espansione internazionale, caratterizzato da bassa spinta alla
standardizzazione e scarso adeguamento alle necessità dei vari paesi, in cui la loro presenza
all’estero si esplica maggiormente attraverso export, le cui unità si sviluppano in divisioni
internazionali organizzate secondo criteri geografici.

Questo tipo di scelta organizzativa viene sfruttata principalmente da aziende che hanno iniziato da
poco ad esplorare i mercati esteri, infatti incominciando dalla creazione da un’unità di export, la
svilupperanno in una divisione internazionale.

Si realizza quando la percentuale di fatturato estero sul fatturato totale e bassa. All’interno della
funzione commerciale si costituisce un reparto export che non ha però una grande autonomia
decisionale, ma si limita a specializzarsi su competenze richieste per la gestione. Questo reparto può
crescere e si comincia ad aumentare il numero di paesi di presenza all’estero quella divisione
diventa un avere propria divisione internazionale. Struttura semplice e leggera, il grosso della
struttura è ancorato alla gestione del business domestico, mentre quella export la accompagna. Poco
costosa, sostenibile anche se il fatturato estero non sale.

Globale per aree di mercato

Con la struttura per area geografica avremo che il mondo viene diviso in regioni geografiche, a cui
ognuna di queste regioni verrà accostata una divisione specifica, e ognuna di queste divisioni
riporterà direttamente all’amministrato delegato. Queste divisioni avranno il pieno controllo sulle
attività funzionali all’interno della loro area geografica. Questo tipo d’approccio regionale si adatta
maggiormente a quelle aziende che perseguono una strategia multidomestica; infatti, nel caso in cui
si volesse gestire un prodotto specifico per ogni singolo mercato la struttura divisionale geografica
permette appunto di gestire l’intero ciclo di vita in modo indipendente e specifico. Questo tipo di
struttura riscontra un grosso successo non solo tra le aziende manifatturiere ma anche tra quelle di
servizi, che necessitano di aver luogo a livello locale. C’è un unico prodotto oppure una
diversificazione dei prodotti molto bassa, che però è distribuita in tutto il mondo. All’interno questa
struttura varia in base alla zona. L’orientamento è multidomestico. Cresce il fatturato estero con
pochi prodotti gestiti in modo simile oppure uno solo. È usata di solito da aziende che presentano
una scarsa diversificazione dei prodotti ed una struttura nazionale divisa per funzioni. Nella
struttura ogni divisione geografica è autonoma e responsabile delle proprie attività di creazione del
valore.

Globale per prodotti

In questo tipo di struttura le divisioni di prodotto hanno la responsabilità per le attività globali
relative alla loro area di prodotto specifica. Questo tipo di struttura si adatta maggiormente alle
situazioni in cui un’azienda adotti la strategia di globalizzazione per i suoi prodotti e/o servizi.
Infatti, questo tipo di struttura si accosta perfettamente alla strategia di globalizzazione prestandosi
in modo egregio allo sfruttamento delle economie di scala e alla standardizzazione dei prodotti.
Rappresenta un’evoluzione, si tende ad andare in questa direzione quando cresce la diversificazione
dei prodotti ma non per forza il fatturato estero. Ci sono delle divisioni di prodotto che devo gestire
indipendentemente perché si è creato 1° di diversificazione dei prodotti. Avrò delle divisioni di
prodotto al primo livello e dentro ognuna di queste mi troverò una parte che alla struttura domestica
è una parte che alla struttura internazionale. Prevale l’orientamento alla globalità. Gestisce linee di
prodotto su scala globale. Ogni divisione di un prodotto coordina le attività di creazione del valore a
livello globale, ogni divisione è infatti pienamente responsabile del rendimento mondiale di un
particolare prodotto. Questo tipo di struttura è molto diffusa, infatti si dimostra essere un metodo
diretto ed efficace per gestire un numero elevato di prodotti in diversi mercati, garantendo però
sempre ai più alti piani gerarchici di avere un’ampia prospettiva sulla competizione, permettendo
quindi anche all’azienda di rispondere più rapidamente alla mutevolezza del mercato.

Matrice

Ci sono due braccia, uno riguarda le divisioni di prodotto e l’altro riguarda le aree di mercato. In
questo caso va gestita una grande diversificazione dei prodotti e ho fatturato estero superiore al
fatturato totale. La struttura globale a matrice è un tipo di struttura ideale nei casi in cui
l’organizzazione debba rispondere a opportunità sia globali che locali. Questo tipo di struttura
molto simile alla struttura a matrice precedentemente esposta, offre l’opportunità di focalizzare le
attività sia nella dimensione orizzontale che verticale. Grazie a questa struttura, infatti, è permesso
sia standardizzare globalmente sia focalizzarsi sulle necessità del singolo mercato. Questo tipo di
struttura si pone come miglior alternativa nel caso in cui l’organizzazione riceva in modo bilanciato
pressioni sia dall’area geografica che dalle linee di prodotto, offrendo sia un ottimo coordinamento,
sia una buona efficienza complessiva. Questa struttura inoltre permette lo sfruttamento di economie
di scala a livello globale e flessibilità e reattività a livello globale.

Discussione caso Bull: Bull gruppo informatico con una storia già di internazionalizzazioni: è il
risultato di una fusione tra un’azienda americana Honeywell e un gruppo francese che si chiamava
Che tipo di strategia cerca di realizzare il gruppo Bull? Kurt è stato promosso ad account manager
internazionale (manager di un solo cliente: Helvetica, una grande compagnia di assicurazioni globali
che ha sede in Svizzera e come cliente globale viene assegnato a qualcuno che giustamente sta in
Svizzera). Kurt deve realizzare una strategia globale solo per Helvetica, non per tutti i clienti del
mondo e prova a portare di più un orientamento globale un’impresa che sembra essere cresciuta con
un approccio principalmente multidomestico. L’approccio multidomestico si scontra col fatto che
molti clienti sono diventati globali, cambia il mondo dei clienti e quindi è necessario che cambi
strategia anche il fornitore.
Helvetica mette in competizione i diversi fornitori chiedendo a questi di fare un piano globale, c’è una
gara internazionale, tutti dicono cosa offrirebbero e quotano un prezzo. Il cliente vuole conseguire
vantaggi economici, fa un solo contratto importante di 15-20 milioni, i fornitori saranno incentivati a
competere sui costi. Vuole anche cominciare a guardare i suoi sistemi informativi con un approccio
globale, con una standardizzazione dal centro del processo informatico. 
Bull quindi si sta rendendo conto che non è solo lei a fare così, ma tutti i principali clienti. Quindi
vuole riorganizzarsi, dandosi posizioni che prima non c’erano (account manager internazionale). 
Kurt non è il solo account manager di Bull, sono 20-25, sono diffusi in diversi paesi e gestiscono altri
clienti importanti.
Struttura organizzativa: è a matrice, è un segnale che l’azienda vuole provare a raggiungere un
maggiore coordinamento centrale rispetto a quello preesistente, prima organizzata per aree
geografiche e recentemente si è passati a una struttura a matrice.  C’è una struttura di comando a cui
rispondono una serie di staff centrali dove troviamo il manufacturing (produzione), in una casella più
grossa, dove c’è gestione delle fabbriche, questa posizione al centro ci dice che le fabbriche sono
gestite a livello globale, una risorsa di tutto il gruppo, le fabbriche gestite con strategie di
standardizzazione. La parte più importante della struttura è quella sotto: abbiamo due divisioni di
prodotto: Bull system product e Zenith data system e rappresentano due diversi sistemi di prodotto il
primo quelli più grossi e centrali, mentre il marchio Zenit sono più legati alla microinformatica (PC,
software di rete), come se fosse una divisione macro e microinformatica.
Poi ci sono le divisioni di mercato, che sono l’altro braccio, e sono 4: Nord America, Europa, Francia
e oltre mare (tutti i territori minori). Dentro le divisioni si fa: sales and services che devono essere
vicino ai clienti perché gestiscono le vendite finali, mentre bull system product e zenit data system
fanno lo sviluppo dei prodotti, non fanno sales direttamente. 
La posizione di Kurt quindi si trova in mezzo alla matrice e si trova a dover coordinare tutti i paesi di
rilievo per le vendite (diversi paesi dell’Europa e della Francia, non gli Stati Uniti per questo
particolare cliente, Helvetica), e deve coordinarli anche nelle divisioni che devono mettere a punto
l’offerta per il cliente. Posizione complessa, deve far parlare persone che hanno in testa i prodotti e
persone che hanno in testa i mercati. Deve riuscire a mettere insieme, a far parlare tante persone.
Quali sono le difficoltà che emergono? 

-          Vorrebbe avere più risorse ma ottiene il contrario. Che tipo di risorse vorrebbe? Vorrebbe degli
assistenti che lo aiutano per esempio, che diventerebbe anche un modo per far imparare quel mestiere
(Junior international account manager). Mestiere estremamente complesso e Kurt si ritrova buttato
dentro a 31 anni, probabilmente perché ha alto potenziale; quindi, bisogna essere contenti ma anche
preoccupati perché se fallisce si brucia. Avrebbe bisogno di aiuto ma non chiede risorse umane sue
ma si accontenterebbe di avere più collaborazione, poter costruire un international team, gli
basterebbe avere nelle diverse unità delle persone con cui parlare costruendo un team di persone che
dipendono da altre strutture (non è lui il capo quindi), li gestirebbe attraverso una leadership. Ma non
ci siamo ancora arrivati, è difficile mettere su un team internazionale (con le stesse persone) a causa
della distanza geografica.

-          Ci sono barriere linguistiche importanti (l’inglese non è sempre parlato bene da tutti), questa è
una grande difficoltà, produce incomprensioni.

-          Il capo diretto di Kurt, il capo della svizzera che spinge per cercare di lavorare nella prospettiva
che più gli interessa, cioè il mercato svizzero.
-          Non tutte le consociate sono disponibili a dare risorse, perché se Helvetica è importante per il
gruppo Bull e in Svezia è marginale, la Svezia sarà restia a collaborare perché rischia di perdere altre
opportunità, rischia di mettere delle risorse che non porterebbero a dei guadagni. Gli inglesi dicono
che non si fidano della corporate. Problemi di conflitti strutturali.

-          Problemi di interculturalità. Le persone che dovrebbero lavorare insieme vengono tutti da


esperienze locali. Oltre a un a babele linguistica è anche un a babele dei modelli di funzionamento
dell’organizzazione.

Si potrebbe intervenire sull’organigramma pensando di prendere gli account manager, tirarli fuori da
dentro la matrice e farli diventare un terzo braccio della matrice, portarli a un livello più alto, il
problema è che la matrice diventerebbe ancora più complicata ma servirebbe per dare un potere più
formale agli account manager. Lavoro di coordinatori ma la loro valutazione viene fatta a livello di
gruppo, ma è una mossa difficile da fare, sicuramente utile ma difficile perché per il momento queste
posizioni sono state istituite prendendo persone giovani con tanto potenziale ma con poca storia e
poco potere, fare questa operazione significherebbe metterli sullo stesso piano di soggetti che hanno
carriera più lunga, signori di 50 anni che farebbero fatica ad accettare questo cambiamento.
Bisognerebbe lavorare per la formazione di una cultura comune, più attuabile nell’immediato che però
richiederà alcuni anni. Si potrebbero organizzare corsi di formazione sulla gestione dei team
internazionali e invitare le persone che dovrebbero lavorare sullo stesso cliente. Approfittare dell’aula
per cimentare le relazioni tra le persone. Grandi investimenti formativi per creare culture
internazionali.
Partiamo da una struttura multidomestica e stiamo introducendo delle linee di coordinamento che non
c’erano, lungo la dimensione dei mercati per risolvere un problema, si va quindi verso una strategia
transnazionale.
La formazione è centrale, si doveva decidere di fare investimenti sulla formazione di team
internazionali 5 anni prima di costituirli. A volte viene letta come una leva bella, ma come uno spreco
di soldi. In realtà è una semina, poi ti ritrovi persone preparate. In questo caso c’è stato il
cambiamento strutturale ma le persone non sono state preparate, e quindi diventa difficile. In questo
momento sono in una missione un po’ impossibile, hanno uno scarsissimo potere gli account
manager, hanno le pressioni del capo nazionale, hanno le strutture internazionali che non ne vogliono
sapere perché pensano che gli stiano rubando il cliente, hanno barriere linguistiche e culturali.
1. Cos’è una cultura organizzativa? Per cultura si intende “il modo di vivere delle persone. La
somma dei loro comportamenti, modelli di azione e atteggiamenti appresi” (Hall, 1959);
“Dei modelli schematici di pensare, sentire

2. Come si sono avviati gli studi del management interculturale?

3. Quali altri modelli ed approcci sono stati proposti?

4. Quali sono le implicazioni per la gestione delle persone nei contesti internazionali?

Potrebbero piacerti anche