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RISORSE UMANE INTERNAZIONALI Cultura, competenza, strategia di

F. Prandstraller B. Quacquarelli
INTRODUZIONE
Attualmente la competizione è globale: business di tutti i generi e dimensioni affrontano la concorrenza di
prodotti stranieri o di aziende locali a proprietà straniera. Nessuna azienda può evitare di competere e agire
in un mercato realmente senza confini.
In questo contesto la determinante per ottenere un vantaggio competitivo risiede nel capitale umano: le
organizzazioni devono essere in grado di attirare, formare, trattenere e sviluppare le persone con il maggior
potenziale a prescindere dalla loro provenienza geografica e culturale e devono formare risorse affinché
siano in grado di lavorare in un ambiente interculturale e internazionale.
I sistemi di HR rivestono un ruolo importante anche nel supporto di processi di adattamento organizzativo
nelle aziende internazionali, nello sviluppo di team transnazionali, e nelle capacità di attingere alle risorse
manageriali migliori dai diversi mercati locali (tutti fattori di vantaggio competitivo per le aziende); inoltre,
una fonte fondamentale di vantaggio competitivo si trova nelle capacità di creare, trasferire e integrare la
conoscenza attraverso i confini = il knowledge management globale emerge come un’area di presidio
strategico nelle aziende multinazionali per la funzione HR;
L’IHRM comprende la gestione delle risorse umane su tematiche quali reclutamento, formazione e sviluppo,
sistemi di remunerazione, valutazione della performance, carriera. Ciò che distingue l’IHRM dal
management delle risorse umane domestiche è l’aggiunta di elementi di complessità che derivano dai
differenti contesti nazionali, dalle differenze linguistiche e culturali e dalla necessità di gestire sia gli
espatriati, i manager locali e i third country nationals, cioè i manager che si spostano tra Paesi in ottica
globale.
Evans, Pucik e Barsoux hanno identificato tre categorie per descrivere in modo accurato gli sviluppi
riguardanti la pratica dell’IHRM utilizzando i termini:
- Building: studi su specifici Paesi o culture e relative pratiche, approcci, e politiche di gestione delle
risorse umane come il reclutamento, la formazione, selezione, sviluppo. Per alcuni anni si è cercato di
formulare un percorso strategico universalmente applicabile ai processi di internazionalizzazione (non
possibile, poiché molti paesi hanno proprie caratteristiche specifiche legate alla cultura nazionale di
riferimento);
- Aligning: studi comparativi tra due o più Paesi e tra i relativi sistemi di HR. L’assunto di base è che le
diverse culture e nazioni influenzino in maniera differente anche l’ambito manageriale e gestionale, si cerca di
individuare pratiche di HR che differenziano le culture e nazioni e il raccordo tra di esse;
- Steering: studio sul management delle risorse umane nelle aziende multinazionali ; le ricerche in questo
ambito sono finalizzate allo studio delle pratiche attuate dalle organizzazioni al fine di individuare quali
siano le politiche maggiormente di successo adottate dalle aziende e i problemi riscontrati.
Il ruolo della funzione HR nell’impresa internazionale
Le responsabilità e le attività legate alla gestione delle risorse umane internazionali variano a seconda della
forma di internazionalizzazione scelta: esportazione, licenze o contratti di produzione o assemblaggio, joint
venture, partnership o alleanze;
La tipologia di dipendenti con un ruolo internazionale è una variabile chiave, in quanto decisioni sul numero
e la composizione della forza lavoro sono una responsabilità della funzione HR in relazione alle diverse fasi
e scelte del processo di internazionalizzazione. Per i manager HR è fondamentale aiutare l’azienda a
raggiungere i propri obiettivi a livello internazionale operando su diverse dimensioni:
- Aiutare il top management a capire le differenze culturali che caratterizzano l’organizzazione;
- Fornire informazioni sul modo in cui l’organizzazione può coordinare le funzioni in questa varietà
culturale;
- Assicurarsi che tutti i collaboratori abbiano competenze cross-culturali;
- Creare programmi di sviluppo per il management, che comprendano l’assegnazione a incarichi
internazionali;
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- Comprendere il marketing e la finanza internazionale, e le specificità dell’economia internazionale, in
modo da essere più efficienti nell’aiutare il top management ad attuare una strategia internazionale.
Per fare questo è necessario che i manager dell’HR per primi sviluppino la loro professionalità con
competenze ed esperienze internazionali perché la loro capacità venga riconosciuta come una risorsa
strategica dell’azienda globale.

CAP.1:LE TENDENZE DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE NELLA PROSPETTIVA DELLE RISORSE


UMANE
La sfida odierna è: standardizzare il più possibile e al tempo stesso, riuscire ad adattarsi ai mercati e ai
contesti socio-politici. Inoltre per raggiungere un vantaggio competitivo, le imprese devono accumulare
risorse tangibili e intangibili, difficilmente imitabili dai concorrenti: e l’accumulo di esperienza dei manager
con incarichi internazionali rappresenta una risorsa strategica per valore e inimitabilità.
Il management globale è il processo di sviluppo delle strategie, di progettazione delle strutture
organizzative e dei sistemi operativi, di organizzazione del lavoro delle persone intorno al mondo per
assicurare all’azienda un vantaggio competitivo sostenibile.
Negli ultimi anni gli studiosi di strategia hanno riportato visioni differenti e contrastanti: Friedman vs
Ghemawat.
Friedman → nel libro “The world is flat”: partendo dall’analisi di dieci eventi che hanno determinato
l’appiattimento del mondo (es: 1) caduta del muro di Berlino; 2) delocalizzazione; 3) informing; 4) lo
sviluppo dei motori di ricerca ecc.) afferma che la globalizzazione è una forza che porta inevitabilmente
verso l’omogeneità, comportando l’appiattimento del mondo in meno di 15 anni. A questa si unisce un altro
tipo di convergenza, che richiede un mutamento nel modello di business delle aziende: da collaborazione
verticale a orizzontale (le aziende e le persone devono collaborare con altre funzioni/aziende per creare
valore aggiunto o innovare). L’ultimo elemento di convergenza consiste nell’emergere dell’importanza della
Cina, India e altri Paesi, fino a poco prima escluse dalle istituzioni delle culture occidentali. L’importanza del
contributo di Friedman: porre all’attenzione delle aziende occidentali sull’impatto di ciò che sta accadendo
dall’altra parte del mondo. Secondo l'autore è necessario modificare il modo di intendere le carriere e di
educare i bambini a questo nuovo mondo. La conclusione è di imparare come imparare in questo mutato
scenario.
Ghemawat → ritiene che il mondo non sia affatto piatto, i confini esistono e sono un tema rilevante per
l’ideazione delle strategie aziendali cross-border, in quanto il mondo è in realtà semi-globalizzato, esistono
delle similitudini e delle differenze. Il modello CAGE (Cultura, Amministrazione, Geografia, Economia) ci
riporta la necessità di lavorare in modo differenziato nei diversi Paesi a causa di alcuni elementi:
- Distanza culturale (fattori sociali che si basano sulla interazione tra le persone, come ad esempio il
linguaggio);
- Distanza politica e amministrativa (leggi, politiche o istituzioni es: valuta di uso comune);
- Distanza geografica (distanza fisica, confini comuni, differenze climatiche, fuso orario o distanze interne);
- Distanza economica (es: reddito pro capite o costo del lavoro).
In questa visione Ghemawat da rilievo all’idea di semi-globalizzazione in opposizione alla globalizzazione;
guardando, infatti, ai grandi numeri la maggior parte delle attività economiche è ancora domestica, a causa
delle differenze nazionali. Il suo suggerimento per le aziende è individuare quali differenze tra quelle da lui
descritte (culturali, politiche, geografiche, economiche) sono rilevanti per il proprio settore e di cercare
differenze nelle differenze: categorizzare i Paesi esteri in quelli che sono vicini lungo la base delle
dimensioni chiave, distinguendo rispetto a quelli che sono distanti. Ignorare queste differenze vuol dire
rischiare di fallire nei mercati esteri. L’autore, per affrontare il mondo semi-globalizzato, suggerisce
strategie come:
- Adattamento (adottato ogni volta che le aziende superano i confini);
- Aggregazione (permette alle aziende di semplificare l’approccio ad alcuni Paesi raggruppati secondo
alcune caratteristiche comuni);
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- Arbitraggio (aiuta le aziende a sfruttare alcune differenze tra i Paesi a loro vantaggio).
Prendere in considerazione le similarità e le differenze, aiuta ad avere una guida per analizzare le
opportunità di crescita, e vuol dire saper gestire le risorse umane in maniera efficace (soprattutto quando si
hanno culture differenti).
LE TIPOLOGIE DI STRATEGIE GLOBALI
Gli stadi di internazionalizzazione di un’impresa sono quattro:
I. Stadio domestico: esportazioni occasionali, in cui esiste un primo coinvolgimento sui mercati esteri,
con la nascita eventualmente di una prima unità organizzativa dedicata;
II. Stadio internazionale o multidomestico: l’azienda gestisce ogni Paese in via indipendente, come un
mercato a sé stante, senza sinergie nella gestione internazionale del business;
III. Stadio multinazionale: l’azienda inizia a realizzare all’estero strutture di marketing, produzione o
ricerca & sviluppo nei Paesi esteri. L’azienda inizia ad avere le proprie attività sparse in diversi luoghi del
mondo, e gran parte delle vendite vengono realizzate al di fuori dei confini nazionali;
IV. Stadio globale: l’identità dell’azienda non è più situata nazionalmente, sono le “aziende senza patria”:
il mercato di riferimento è il mondo e le attività delle sussidiarie locali si influenzano reciprocamente.
Si tratta di un approccio che favorisce il raggiungimento di economie di scala con una forte
standardizzazione in termini di progettazione del prodotto, produzione e strategia di marketing e con una
visione unica del mondo: approccio geocentrico. Tipicamente questa strategia viene opposta a quella
multinazionale che vede la competizione all’interno dei Paesi svolgersi in via indipendente rispetto a quanto
accade negli altri mercati locali, con un approccio, quindi, policentrico.
La critica posta è che il processo non avviene sempre in modo così deterministico, ma può prevedere
anche delle discontinuità, non seguendo tutti gli stadi previsti (es: tramite acquisizioni o anche dovuto ai
rapidi cambiamenti portati dalle nuove tecnologie).
1.1 Lo sviluppo di carriera delle risorse umani internazionali
Una multinazionale attua la sua strategia di globalizzazione attraverso il coordinamento delle strategie di
centralizzazione e di decentralizzazione. Gli espatriati aiutano nel mantenere la coerenza di queste
strategie e questa funzione difficilmente è trasferibile al personale locale.
Al fine di implementare l’integrazione strategica globale, la casa madre usa il personale espatriato per
rispondere alla strategia di internazionalizzazione delle imprese. Il personale espatriato costituisce uno
strumento base per l’integrazione globale, così come per l’internazionalizzazione, rispondendo alla
necessità di integrazione globale di indirizzare i valori locali. La competenza a livello internazionale delle
risorse umane manageriali è per una multinazionale un fattore critico di successo in termini di capacità di
interazione interculturale, coordinamento e cooperazione con le aziende straniere, integrazione e sensibilità
nei confronti dei cambiamenti ambientali.
LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE INTERNAZIONALI (IHRM): LA PROSPETTIVA DELLA
RESOURCE BASED VIEW
La resource based view sottolinea come i beni, le competenze e le attività hanno un valore strategico in
quanto possono essere un’importante fonte di vantaggio competitivo se sono di valore, rare, difficili da
imitare e sostituire. La gestione delle risorse umane internazionali (IHRM) è riconosciuta come una delle
determinanti del successo o del fallimento del business internazionale. Poiché gli altri fattori di produzione
come il capitale, la tecnologia, le materie prime, possono essere reperite o imitate, le risorse umane sono
una fonte cruciale di vantaggio competitivo, poiché assicurano il controllo delle altre risorse. Il ruolo delle
pratiche di IHRM diventa, quindi, cruciale nelle attività di:
- Reclutamento e selezione (manager internazionali e persone delle sussidiarie);
- Formazione (Sviluppare competenze interculturali che aiutano la gestione dell’ interdipendenza tra le
sussidiarie);
- Costituzione e uso di team interculturali (per permettere combinazione e sintesi delle risorse e delle
competenze globalmente disperse, e trasferire all’interno dell’azienda conoscenza tecnica e manageriale).
- Valutazione delle prestazioni e sistemi di compensation (aumentano la capacità di coordinamento
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all’interno dell’azienda tra le diverse sussidiarie, permettendo che i manager si focalizzino non solo su
obiettivi ma anche sul posizionamento competitivo della multinazionale).
Senza creare un sistema coerente tra strategia, struttura, reclutamento, un’organizzazione internazionale
non potrà diventare pienamente efficace

CAP. 2: LE STRUTTURE PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE TRA GLOBALE E LOCALE


LE FUNZIONI DELLA CASA MADRE (HQ)
Chandler individua due funzioni principali che vengono ricoperte dalla casa madre:
1) Funzione di integrazione: consiste nel coordinare le attività nei singoli mercati, attivando le sinergie,
mettendo insieme le risorse e centralizzando le attività a valore aggiunto; la casa madre può aumentare il
profitto dell’intera azienda. Inoltre, l’headquarter contribuisce a progettare il contesto: la struttura, i processi
e gli incentivi per far sì che le sussidiarie mettano a fattor comune le loro risorse affinché le sinergie siano
effettivamente realizzate.
2) Funzione imprenditoriale: indica il compito di scoprire ed esplorare nuove opportunità di business nel
mondo, avviare iniziative, aiutare le sussidiarie locali a comprendere i cambiamenti del loro ambiente di
riferimento e del settore, e assisterle nel fronteggiare queste trasformazioni.
Di seguito analizziamo un excursus storico di come nel tempo sono state progettate le organizzazioni
multinazionali per svolgere al meglio questi due funzioni sull'evolversi della strategia e dei mutati ambienti
competitivi.
LE STRUTTURE GERARCHICHE
Chandler, analizzando la strategia della General Motors, concluse che un’attenta progettazione
dell’headquarters e della struttura gerarchica sono fondamentali per realizzare la strategia. Ne deriva che il
tipo di strategia influenza la struttura, per cui è possibile definire la struttura organizzativa necessaria per
realizzare diverse strategie:
1) La struttura globale funzionale: è progettata sulla base delle funzioni aziendali (marketing,
produzione, vendite). È una struttura molto centralizzata, che funziona in situazioni in cui la multinazionale
opera con pochi prodotti in mercati esteri molto simili fra loro. La funzione HR è chiamata a standardizzare
e omogeneizzare le politiche e le prassi in una gestione del personale unitaria a livello globale.
2) La struttura globale per prodotto: pur rispondendo alla necessità di una forte integrazione globale
centralizzata, ha il vantaggio di fare in modo che ogni prodotto o linea sia gestita da una divisione separata.
È una struttura che ben si adatta in situazioni in cui è necessario centralizzare le attività di creazione, in
modo tale da consentire un rapido trasferimento delle competenze distintive e l’introduzione simultanea di
nuovi prodotti. Ha il limite di non consentire molta autonomia decisionale a livello locale, questo riduce la
capacità di adattarsi alle caratteristiche di mercato dei singoli Paesi.
3) La struttura globale per area geografica: va incontro alla domanda di aumentare la reattività locale
per far fronte alle differenze in termini di mercati, canali distributivi, bisogni dei clienti. Ogni responsabile
dell’area geografica è garante delle operazioni e dei risultati ottenuti all’interno della propria area, ciò
consente un importante adattamento agli usi e costumi locali. La gestione delle risorse umane in questa
situazione cerca di adattare le proprie politiche alle richieste specifiche dei Paesi. La funzione HR centrale
indica le linee guida, ma gran parte della responsabilità è demandata a livello locale. Questa struttura ha il
limite di rallentare il coordinamento fra le aree e quindi lo scambio di esperienze, rendendo più difficile
la possibilità di cogliere delle opportunità cross-border.
La struttura divisionale per area geografica è più indicata se l'azienda persegue una strategia di
localizzazione; mentre una struttura divisionale per prodotto è più efficace per le imprese che vogliono
realizzare il proprio vantaggio competitivo sulla base di una strategia di standardizzazione globale.
Galbraith individua la struttura a matrice attraverso la quale le multinazionali integrano le loro operazioni
secondo due (geografica e di prodotto) o tre (geografica, di prodotto e funzionali) dimensioni. Questa
struttura è la più adatta a seguire simultaneamente molteplici dimensioni di business dando ad ognuna la

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medesima priorità. E’ progettata in modo tale che i processi operativi relativi a un prodotto siano condivisi
dalle diverse divisioni. E’ una struttura costosa e richiede forte
coinvolgimento continuo da parte delle persone e attenzione particolare a non appesantire i
processi aziendali.
Barlett e Ghoshal hanno isolato 4 fattori che rendono la gestione delle strutture a matrice particolarmente
difficile:
1) Il doppio riporto, che porta a conflitti e confusione;
2) La proliferazione di canali comunicativi, porta a impasse informative;
3) La sovrapposizione di responsabilità, produce mancanza di specifiche attribuzioni;
4) Le barriere fisiche, linguistiche, temporali e culturali, che rendono virtualmente impossibile per i
manager risolvere conflitti e diminuire la confusione.
Proprio per queste motivazioni, l’attenzione si è spostata verso strutture più flessibili, come le strutture a
rete, in cui i flussi di informazione e di conoscenza possono essere più facilmente riconfigurati per andare
incontro alla varietà dei problemi.
LE STRUTTURE A RETE
Forma transnazionale: vede l’organizzazione operare a livello internazionale, riuscendo ad essere reattiva
localmente, efficiente a livello globale e capace di trasferire la conoscenza. La logica di base è che sia
sempre necessario strutturare le organizzazioni globali mantenendo il coordinamento e la reattività locale,
ma al tempo stesso potenziando la capacità dell’organizzazione di apprendere e di trasferire conoscenza
(quindi non ci si focalizza nè solo sulla strategia globale né solo sulla strategia multinazionale) .
Multinazionale a network: può essere descritta come un’intricata rete di relazioni. Una sussidiaria può
agire come un nodo che si collega a un gruppo di organizzazioni satelliti, arrivando ad assumersi la
responsabilità delle altre unità all’interno di un Paese.
Queste due prime forme cercano di creare i vantaggi di un’organizzazione orizzontale (mettere in
connessione le diverse funzioni e sussidiarie).
L’eterarchia: prevede che differenti sussidiare assumano molte delle funzioni dei tradizionali headquarters
centrali, riportando alla struttura centrale il controllo, ma minimizzando il ruolo del top management
centrale. ogni sussidiaria può essere un centro e un coordinatore globale di alcune attività, in modo tale da
non ricoprire un ruolo strategico per se stessa, ma per la multinazionale nel suo complesso.
Caratteristica comune tra queste strutture è che Il network interno diventa un’arena per la creazione e la
sperimentazione e per lo sfruttamento di conoscenza. Tutte queste strutture condividono l’idea che la
mobilità internazionale del personale giochi un ruolo critico nell’integrazione e nel coordinamento.
L’impatto dell’information technology sulle forme organizzative cambia il ruolo della casa madre, che
diventa knowledge webmaster, ponendo e rinforzando le regole di scambio tra i membri del network, ma
contribuendo poco alla diffusione della conoscenza; diventano importanti le relazioni tra l’headquarters e le
sottounità per esplorare e mobilitare la conoscenza.
Altro modello molto recente è il Global Multi–business Firm (GMBF), in cui il ruolo della sede centrale e
del top management è di immaginare ed eseguire i processi di assemblaggio e di animazione
dell’organizzazione alla ricerca di prodotti, processi e sedi competitive a livello globale. Si tratta di un
modello in cui i manager devono perseguire la creazione di una strategia seguendo due linee guida:
- Assemblare strategicamente l’azienda globale:
- Animare la capacità complessiva dell’organizzazione globale di auto-innovarsi:.
IL RUOLO E LE FUNZIONI DELLE RISORSE UMANE INTERNAZIONALI
I principali compiti delle risorse umane internazionali (IHRM) sono:
- Sviluppare le persone che, cresciute in una cultura, possano interagire con persone cresciute in culture
differenti;
- Implementare le politiche e pratiche che siano efficaci in ognuno degli ambienti in cui le persone
operano;
- Integrare e coordinare le attività che avvengono in ambienti diversi con persone con un diverso retaggio
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culturale.
A seconda delle relazioni e dei processi decisionali tra la casa madre verso le sussidiarie è possibile
individuare diversi approcci:
- Etnocentrico: tutte le posizioni chiave nelle filiali estere sono ricoperte da personale proveniente dalla
sede centrale. I PCN: Parent-Country Nationals. L’approccio offre un controllo diretto della filiale estera,
viene adottato quando è necessario mantenere una buona comunicazione e familiarità con la casa madre.
Tipicamente, si riscontra nelle prime fasi di internazionalizzazione o in tutti in quei casi in cui nel Paese
ospitante non è possibile trovare competenze manageriali a livello locale e riuscire a costruire le condizioni
per un controllo stabile della sussidiaria. In questo approccio l’uso degli espatriati è il metodo più efficace
per esportare cultura, valori, procedure e pratiche direzionali in modo uniforme.
Svantaggi:
- Rischio di mancate possibilità di sviluppare manager locali, di scarso adattamento e di una scarsa
performance degli espatriati nel Paese straniero;
- Rischio di processi inefficaci di comunicazione e coordinamento tra gli espatriati e la casa madre;
- I lavoratori locali tendono a percepire i manager di alto livello che provengono dall’headquarters come
estranei che impongono una cultura “altra”.
Il focus di questo approccio è l’autorità basata sulla casa madre e si traduce in un trasferimento dei sistemi
di HRM dal centro alle sussidiarie, favorisce il controllo organizzativo, ma è strettamente dipende dalla
quantità e qualità degli espatriati reperibili all’interno dell’organizzazione e sul mercato.
- Policentrico: prevede che siano selezionate per le posizioni chiave della sussidiaria manager del Paese
ospitante. I HCN: Host-Country Nationals. Questo approccio parte dal presupposto che le differenze
culturali vadano mantenute e che i manager locali siano nella posizione migliore per comprendere e gestire
le specificità dei mercati e dei paesi in cui opera l’azienda. In questo modo si ha un completo adattamento
locale e si colgono i vantaggi di costo derivanti dall’assunzione in loco. Seguendo questo approccio si
costituisce una funzione HR pienamente funzionante per ogni sussidiaria che imposta le sue politiche delle
risorse umane e il ruolo del corporate HR è di coordinare le attività rilevanti con le controparti nelle attività
estere, limitando il suo intervento diretto.
Svantaggi: legati alla difficoltà di coordinare le attività e gli obiettivi tra la sussidiaria e la casa madre,
soprattutto se a livello centrale non ci sono manager con un’esperienza internazionale elevata.
- Globale: con questo orientamento si supera la distinzione tra i diversi contesti nazionali. Questo
approccio prevede il reclutamento di persone con i migliori profili per tutti i ruoli chiave dell’organizzazione,
indipendentemente dalla loro provenienza geografica o nazionalità. I TCN: Third-Country Nationals; è
l’approccio migliore per sviluppare un gruppo dirigente internazionale. Si tratta di manager molto flessibili
che conoscono le lingue e si spostano con facilità da un Paese all’altro, i “transpatriati. Questo approccio
rende possibile essere simultaneamente efficienti a livello globale e reattivi a livello locale, bilanciando
l’aspetto domestico con quello internazionale.
- Regiocentrico: le operations sono divise per area geografica e il personale si muove all’interno di una
specifica area. Questo approccio implica un mix di persone della nazionalità della casa madre, di persone
locali e di persone di Paesi terzi.

CAP.3: ESPATRIO E FORME ALTERNATIVE DI LAVORO INTERNAZIONALE


CHE COS’E’ L’ESPATRIO
L’espatrio implica il trasferimento di persone per motivi di lavoro tra due Paesi per un periodo di tempo che
richiede un cambio di indirizzo e un certo grado di adattamento semi-permanente alle condizioni locali. Si
considerano espatriate le persone che si trasferiscono, per periodi della durata da 3 a 5 anni, con il compito
di gestire temporaneamente alcuni processi chiave del business, in una sussidiaria estera.
Edström e Galbraith affermano che le motivazioni prevalenti che originano il trasferimento di manager
sono raggruppabili in tre categorie:
- Ricoprire posizioni vacanti: a causa della mancanza di personale locale qualificato o di necessità di
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instaurare rapporti di controllo basati sulla fiducia tra casa madre e sussidiaria.
- Sviluppare il management: si tratta di trasferimenti pianificati allo scopo di sviluppare conoscenze di
business, competenze professionali, personali e relazionali dei manager scelti per avanzamenti di carriera.
- Sviluppare l’organizzazione e creare network informali: lo scopo è quello di aiutare l’evoluzione
organizzativa delle sussidiarie e sviluppare la capacità di comunicazione, il passaggio di conoscenze e i
processi decisionali tra sedi diverse.
Pucik distingue i motivi di espatrio:
- Motivi di espatrio demand driven (o incarichi funzionali) = guidati dalle esigenze della casa madre in
cui rientrano quelli con lo scopo di coprire posizioni vacanti e di controllo della sussidiaria.
- Motivi di espatrio learning driven = guidati dall’apprendimento, in cui rientrano quelli con lo scopo di
sviluppo di competenze manageriali e dell’organizzazione
La distinzione è importante perché negli espatriati guidati dall’apprendimento, le persone cercano di
adattare il loro comportamento alle richieste del nuovo ambiente in cui sono inserite; mentre negli espatriati
a scopo di controllo l’espatriato si sforza di allineare le operazioni della sussidiaria a quella della casa
madre e si aspetta che siano i manager locali ad assorbire la conoscenza che proviene dal centro e ad
allineare le proprie visioni a quelle di cui è portatore.
Su questa base, Evans aggiunge la variabile della durata dell’incarico per creare una matrice di
classificazione della durata e dello scopo degli incarichi internazionali.
Gli espatri tradizionali che derivano dalle esigenze della casa madre, di solito sono di durata superiore a 3
anni, allo scopo di trasferire conoscenze dal centro alla periferia o di controllare operazioni appena avviate.
Gli espatri di sviluppo organizzativo o manageriale (learning driven) possono avere durata lunga quando si
tratta di aumentare il coordinamento tra le parti dell'organizzazione, o breve quando sono volti a uno
sviluppo di carriera dei manager.
Harzing identifica tre ruoli specifici assegnati agli espatriati in base alla quantità e qualità del controllo
culturale e personale che viene richiesto loro di esercitare nell’incarico estero:
- Orsi: i manager possono agire come mezzo di controllo diretto sulle operazioni della sussidiaria
esercitando un ruolo dominante;
- Calabroni: il controllo avviene attraverso la socializzazione del personale della sussidiaria e lo
sviluppo di reti di comunicazione informale, in una sorta di “impollinazione” trasversale tra le varie
sedi;

- Ragni: il controllo viene esercitato attraverso la tessitura di network informali di comunicazione all’interno
dell’azienda.

Secondo la classificazione più recente di Caligiuri è possibile riconoscere quattro tipologie di incarichi
internazionali:
- Espatri tecnici: vengono effettuati quando nella sussidiaria esterna non sono presenti abilità tecniche
importanti e necessarie. Vengono mandate all’estero figure come ingegneri, professionisti delle tecnologie
dell’informazione, analisti o tecnici, ai quali non è richiesta una particolare sensibilità interculturale o
l’acquisizione di particolari competenze all’estero. Il contenuto della mansione è lo stesso della posizione
nella casa madre e l’interazione con i locali non influisce in modo particolare sul compito che risente della
presenza o meno delle abilità tecniche richieste.
- Espatri funzionali: i più comuni incarichi all’estero, sono richieste specifiche competenze tecniche
per uno specifico incarico, ma in questo caso l’interazione con i locali è elevata e cruciale.
- Espatri di sviluppo o di alti potenziali: in alcune aziende l’espatrio nel percorso di carriera dei manager
in crescita, è coerente con i piani di sviluppo manageriale dell’organizzazione. Gli espatriati hanno
l’obiettivo di sviluppare competenze individuali, professionali o tecniche.
- Espatri strategici: sono incarichi che vengono affidati ai manager di alto livello a cui viene richiesto di
ricoprire posizioni internazionali altamente critiche e di livello strategico per l’impresa. L’intento è sia di
sviluppo manageriale che strategico per l’organizzazione. Fanno parte di questo gruppo anche gli “inpatri”
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di manager di alto profilo da altri Paesi verso la casa madre
NUOVE FORME DEGLI INCARICHI INTERNAZIONALI
Nell’espatrio tradizionale il titolare dell’incarico si trasferisce in modo semi-permanente nel Paese di
destinazione portando al seguito il partner e la famiglia per un periodo di tempo medio-lungo, con problemi
di adattamento sia all’andata che al rientro. Questo tipo di incarico porta con sé una serie di problematiche
e di sfide che le aziende devono affrontare per acquisire manager con competenze specifiche ed avere
successo nei mercati globalizzati. La difficoltà di reperimento di potenziali espatriati per incarichi di tipo
tradizionale a lungo termine è data da più fattori:
- Difficoltà crescente di reperire candidati disposti a trasferirsi a causa dei problemi legati alla carriera dal
proprio partner, al bilanciamento delle esigenze di lavoro con quelle di famiglia e dell’educazione dei figli;
- Difficoltà incontrate ed elevato turn-over riscontrato al rientro dall’espatrio e nella debolezza del sistema
di gestione dei talenti, poiché le aziende non riescono a identificare i manager da far crescere o coloro che
hanno performance migliori;
- Cambiamento del concetto di carriera nel contesto internazionale: i manager oggi tendono a una
maggiore mobilità tra le organizzazioni per sviluppare la propria carriera. I manager con incarichi
internazionali percepiscono il valore della missione nello sviluppo di competenze individuali che possono
trasferire tra aziende e avere un valore nel mercato del lavoro, ponendo enfasi sulla propria spendibilità più
che sul ritorno e fedeltà all’organizzazione. I costi elevati associati agli incarichi internazionali tradizionali e
la complessità di stimarne i benefici effettivi, hanno portato alla ricerca di soluzioni alternative.
ESPATRI A BREVE TERMINE
In generale, sono missioni più lunghe di un semplice viaggio di lavoro ma di durata inferiore all’anno, che
generalmente non prevedono il trasferimento della famiglia. Retribuzione, contributi e pensione continuano
a maturare nel Paese di origine.
Scopo: sviluppo organizzativo e individuale e vengono realizzati per risolvere problemi temporanei o
trasferire conoscenze, effettuare controlli sulle sussidiarie, sviluppare qualità manageriali, realizzare
progetti specifici.
Vantaggi: incrementare flessibilità, semplicità ed efficienza dello spostamento, eliminando i costi monetari e
psicologici del trasferimento della famiglia.
Problemi: di tassazione per gli incarichi superiori a sei mesi; relativi al prolungato distacco dalla famiglia;
difficoltà a stabilire relazioni proficue con i colleghi e i clienti locali; problemi legati all’ottenimento dei visti di
lavoro.
ESPATRI FREQUANT FLYER O INTERNATIONAL BUSINESS TRAVELLER (IBT)
Frequent flyers = persone per le quali il viaggio di lavoro è una componente prevalente ed essenziale
dell’incarico. Questi incarichi permettono di ottenere i vantaggi della relazione diretta senza gli svantaggi
derivanti dalla necessità di trasferire fisicamente i manager e le loro famiglie, con i costi e i problemi che ne
conseguono. Gli IBT sono appropriati in progetti che prevedono sviluppo di nuovi mercati in Paesi in cui i
lavoratori sono riluttanti a trasferirsi, per portare a termine obiettivi che non hanno cadenza regolare o per la
creazione di un network di contatti in mercati locali; inoltre, sono utili per mantenere un “tocco personale”
nella gestione delle sussidiarie senza il bisogno di un trasferimento prolungato.
Vantaggi: aiutano a mantenere relazioni personali con le sussidiarie locali e sviluppano il capitale sociale
senza il bisogno di un trasferimento a lungo termine. Questo minimizza l’interruzione della carriera e riduce
i costi per l’azienda.
Problemi: viaggi frequenti portano a un incremento dello stress; difficile bilanciamento della vita privata con
quella lavorativa, che a lungo termine hanno impatto sul benessere psicofisico della persona; effetti sulla
vita familiare, limitata al weekend (problemi maggiori rispetto agli incarichi a lungo termine).
PENDOLARI E INCARICHI A ROTAZIONE
Pendolari: gli assegnatari lavorano sia nel Paese d’origine che in quello ospitante, trasferendosi da un
luogo all’altro una o due volte alla settimana.
Incarichi a rotazione: gli assegnatari lavorano sia nel Paese d’origine che in quello ospitante, alternando
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brevi periodi nei due posti.
Sono forme di dual desk: i lavoratori hanno due scrivanie, due sedi di lavoro fisse, ma in luoghi lontani tra
loro, ed è una valida alternativa all’espatrio tradizionale.
Vantaggi: Mantenere strette relazioni e contatti sia con l’headquarters che con le sedi estere; evitare
problematiche dovute alla riallocazione del nucleo familiare. Svantaggi: Stress causato dai continui
spostamenti da un luogo all’altro; difficile gestione delle relazioni interpersonali sia in un Paese che
nell’altro; problematiche relative a retribuzione, tassazione e contribuzione
GLOBAL VIRTUAL TEAM
Gruppi di lavoro internazionali virtuali = consistono in team di persone collocate in aree geograficamente
distanti tra loro che operano e coordinano il proprio lavoro attraverso l’uso delle ICT. Sono forme utili per
attività di tipo routinario, ma hanno il difetto di non poter essere utilizzati in attività in cui è richiesta una
comunicazione faccia a faccia.
Svantaggi, relativi a: problematiche tipiche dei gruppi multiculturali (es: le differenze di comunicazione
danno vita a incomprensioni oppure il team è affetto da tensioni emotive legate alla padronanza della lingua
o a pregiudizi); l’efficienza dei gruppi che lavorano attraverso la tecnologia, questi gruppi riescono meglio in
task strutturati e non ambigui o complessi e che la costruzione di fiducia, delle relazioni sociali e del
successo nelle attività siano in relazione diretta con la ricchezza e la varietà di canali comunicativi a
disposizione del team.
INPATRIATI
Inpatriati: manager che vengono trasferiti dalle sussidiarie verso la casa madre per periodi di tempo
determinati o anche in via permanente.
Questi trasferimenti permettono ai manager di apprendere le prassi della casa madre e di creare network
relazionali informali nell’headquarters; all’azienda di socializzare gli individui alla cultura aziendale e di
favorire il trasferimento di conoscenza tacita dalla periferia al centro.
Le ragioni che spingono le aziende in questa direzione sono varie:
- Il desiderio di creare nel top management competenze globali, attenzione strategica alla diversità e una
cornice di riferimento multiculturale e di trasferire conoscenza dalle sussidiarie alla casa madre;
- L’emergere di mercati in Paesi in via di sviluppo considerati difficili per gli espatriati e che quindi sono
mete per le quali le risorse umane da inviare sono di difficile reperimento;
- La volontà di aumentare la capacità aziendale di “pensare globalmente e agire localmente”;
- La necessità di aumentare le opportunità di carriera per i manager ad alto potenziale dei Paesi ospiti
delle sussidiarie.
Vantaggi: diffondono nella sede centrale la conoscenza dei diversi ambienti in cui l’organizzazione è
presente, aiutando a sviluppare una mentalità multiculturale anche nelle persone che non hanno incarichi
esteri; agiscono da collegamento sussidiaria-casa madre; creano network di relazioni informali che aiutano
a superare i confini interni all’organizzazione; sono una fonte alternativa di reperimento delle risorse umane
di talento in risposta alla crescente difficoltà di trovare manager disposti ad espatriare; facilitano la
trasmissione della cultura, dei valori e dei processi decisionali aiutando il processo di identificazione con
l’intera organizzazione; al loro rientro nel Paese di origine, grazie alla loro conoscenza dell’ambiente
competitivo e istituzionale locale, facilitano l’implementazione del processo di localizzazione dell’impresa
(obiettivo strategico della multinazionale).
Svantaggi: Sfide di integrazione di queste risorse nel team della casa madre; problemi di adattamento alle
diversità culturali dall’ambiente esterno e interno all’organizzazione; gli inpatriati devono guadagnarsi
l’accettazione da parte dei colleghi dell’headquarters (non li accettano e si sentono minacciati); dato il
ruolo di outsider, gli inpatriati spesso godono di minore influenza e credibilità nell’azienda ospite;
necessario tenere conto delle diversità culturale degli inpatriati anche quando si offrono training o corsi di
formazione.

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CAP. 4: LE DIFFERENZE CULTURALI NEL MANAGEMENT
4.1 Che cos’è la cultura?
Le definizioni di cultura che troviamo utilizzate nella lettura manageriale sono molteplici. La cultura
rappresenta un insieme complesso di tradizioni, credenze, valori, norme, simboli e significati che sono
condivisi a vari livelli attraverso l’interazione tra i membri di una comunità.
La cultura è il risultato di un processo di condivisione di un gruppo, è transgenerazionale in quanto si forma
in modo cumulativo, è trasmessa nel tempo ed è veicolata da mezzi simbolici. La socializzazione è il
principale mezzo di apprendimento della cultura.
Il management tradizionale soffre di un connaturato etnocentrismo, ovvero la convinzione che la propria
cultura, lingua e comportamenti del proprio Paese di origine siano superiori a tutti gli altri. Ma il lavoro
all’estero o semplicemente il dover interagire con fornitori e clienti stranieri richiede una continua messa in
discussione di modi di fare, lavorare, guidare le altre persone da parte dei manager e la necessità di
confrontarsi con dilemmi su come operare in termini di integrazione culturale o quanto riconoscere e
salvaguardare le identità delle culture locali. In questo continuo trade-off, il primo passaggio fondamentale è
di rendere le persone esposte a input culturali diversi, consapevoli della propria posizione culturale, ovvero
di quanto siano influenzati dal proprio contesto di provenienza.
La cultura (METAFORA DELL’ICERBEG) si presenta con:
- una parte sommersa fatta da significati simbolici, norme, valori, credenze e tradizioni culturali:
espressione specifica delle necessità universali dell’uomo;
- una parte emersa: visibile nel linguaggio e nei simboli verbali e non verbali che si traduce in artefatti
culturali (arte, moda, ecc).
Quando avviene l’incontro tre due culture, sebbene lo scontro visibile riguardi la parte emersa, la vera
collisione riguarda la parte sommersa che raramente viene messa in discussione o portate a emersione.
- la cultura è appresa (è una risposta di gruppo ai bisogni universali dell'uomo, e l'apprendimento avviene
attraverso l'insegnamento esplicito o l'osservazione);
- la cultura è condivisa (si trasmette tra persone e tra generazioni);
- la cultura cambia: si evolve, ma si stratifica, nel senso che ogni variazione si aggiunge su percorso e
tradizioni precedenti.
Un primo importante schema di analisi per comprendere le culture si ritrova nella distinzione tra:
1) culture a struttura complessa: dove è centrale la fiducia sociale, all’interno della quale sono
valorizzate le relazioni personali e la buona volontà. Gli accordi avvengono sulla base di fiducia generale
che si è creata tra le persone e dopo negoziazioni lente e ritualistiche. (Es.: cultura cinese, coreana,
giapponese e vietnamita)
2) culture lineari: dove l’esperienza e i risultati raggiunti negli affari contano più di ogni altra cosa, e ogni
accordo è preso alla base di un contratto specifico e legalmente vincolante con negoziazioni condotte in
modo più efficiente possibile. (Es: cultura tedesca, svizzera, scandinava e nordamericana).
Le principali teorizzazioni si devono a Edward Hall e riguardano la comunicazione, la percezione del tempo
e dello spazio.
LA COMUNICAZIONE AD ALTO E BASSO CONTESTO
Hall ritiene che l'interazione umana può essere divisa in sistemi di comunicazione a basso ed alto contesto.
Il contesto è definito come l'informazione che circonda un evento.

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Questa diversa percezione del momento conclusivo dell'accordo può portare a fraintendimenti: in una
cultura ad alto contesto, la pressione a voler firmare un documento scritto potrebbe essere intesa come una
mancanza di fiducia.
PERCEZIONE CULTURALE DEL TEMPO
La percezione del tempo è una variabile culturale, e varia notevolmente tra i paesi. Hall distingue:
il tempo monocronico (M-Time) caratterizzato dall'orientamento a fare le cose una alla volta, perché si
intende che il tempo sia limitato, per cui diventa necessario suddividerlo in segmenti precisi e regolarlo
attraverso gli orari. Le culture monocroniche sono Stati Uniti, Svizzera, Germania, in cui il tempo è utilizzato
e vissuto in modo lineare e si tende a fare una cosa alla volta; è il tempo scandito dall'orologio, dagli
appuntamenti, ed è un tempo per raggiungere un obiettivo, dei risultati tangibili, per cui si ha un approccio
focalizzato sul futuro.
Il tempo policronico (P-Time) è in relazione all'orientamento a fare più cose nello stesso momento, poiché
il tempo viene inteso in senso flessibile e multidimensionale. Nelle culture policroniche lo stile è sincronico:
passato, presente, futuro sono interrelati. Il tempo policronico è un tempo contingente, inteso in modo
flessibile, dove è possibile svolgere più attività simultaneamente, in una prospettiva orientata alla relazione.
E’ un tempo per sperimentare, e lo troviamo nella nostra cultura italiana, in quanto parte dell'influenza delle
culture mediterranee, ma è tipico delle culture arabe, africane, latino-americane asiatiche.
PERCEZIONE CULTURALE DELLO SPAZIO
Hall ha studiato l’esistenza di una relazione tra la percezione dello spazio e la cultura delle persone. Lo
spazio secondo Hall è distinguibile in:
- spazio dell’intimità (entrano in questo spazio solo persone vicine e intime);
- spazio sociale (spazio in cui ci si sente a proprio agio, gestendo interazioni sociali abituali sia con
conoscenti che non);
- spazio pubblico (area dello spazio in cui le persone percepiscono le interazioni come impersonali e
anonime).
L’uso e la percezione che l’uomo fa spazio è sono una risultante della cultura, che determina i modi
condivisi attraverso i quali lo spazio viene vissuto, partecipato, organizzato.
L’Italia è un paese con una cultura ad alto contatto in cui è presente un’alta esposizione sensoriale, mentre
la Cina, il Giappone e la Corea sono culture a basso contatto. L’incontro tra culture così diverse può
tradursi in una situazione imbarazzante per entrambi, in cui un individuo tenta di “inseguire” l’altro, che
continua istintivamente a prendere le “distanze”, per ricostruire la sua situazione di “comfort”. (es: Stati Uniti
molto distanti, Arabi molto vicini anche in relazioni di affari).

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L’INFLUENZA DELLA CULTURA: MODELLI TEORICI DI RIFERIMENTO
• IL MODELLO DI HOFSTEDE
E’ uno psicologo olandese che studiò l’IBM attraverso un questionario sui dipendenti nelle stesse posizioni
presenti in 72 paesi diversi, pubblicando i risultati nel 1980. Tale ricerca portò alla formulazione del Value
Survey Model (VSM), considerato il riferimento principale nelle analisi del rapporto fra cultura e
management. Hofstede ha cercato di identificare le conseguenze della cultura attraverso le differenze
internazionali nei valori collegati al lavoro. Ha individuato che:
- i valori collegati al lavoro non sono universali: le persone percepiscono il loro ruolo lavorativo in modo
diverso a seconda delle culture e questo ha delle implicazioni su come le persone sono gestite e motivate;
- i valori persistono anche quando una multinazionale cerca di imporre le stesse norme in tutti i Paesi;
- i valori locali determinano come sono interpretate le indicazioni della casa madre;
Hofstede originariamente ha considerato 4 dimensioni del comportamento, a cui in seguito ne ha aggiunta
una quinta:
- Distanza dal potere: analizza in che misura le persone si aspettano e accettano una sproporzione di
potere nell’ambito delle istituzioni sociali (famiglia, gruppi…) ed è negativamente correlata alla resistenza
psicologica delle persone all’accettazione. Le organizzazioni in culture a bassa distanza di potere si
caratterizzano per essere decentralizzate, per avere differenziali retributivi ravvicinati, per favorire i
processi decisionali consultivi (USA, Regno Unito e Paesi scandinavi). Le organizzazioni in cultura ad alta
distanza di potere sono organizzazioni gerarchiche con una forte centralizzazione, in cui i differenziali
retributivi sono ampi, in cui dipendenti si aspettano delle regole precise su cui adattare i propri
comportamenti (Paesi latini, i Paesi asiatici e africani).
- Individualismo-collettivismo: esamina quanto forte è il legame tra individui e gruppi sociali.
L’individualismo esalta l’Io, con una maggiore importanza attribuita alla libertà e alla scelta del singolo
rispetto al gruppo. Gli obiettivi di lavoro legati all'individualismo sono il tempo per sé, la libertà e il senso
della sfida. Gli individui sono orientati al compito che risulta prevalente rispetto all’orientamento alla
relazione (Stati Uniti, Italia, Australia, Regno Unito, Canada, Francia, Svezia). Il collettivismo è la cultura del
noi, dove viene conferito maggior valore agli obiettivi condivisi rispetto a quelli individuali, e dove i desideri
individuali passano spesso in secondo luogo. Nei Paesi collettivistici le persone sin dalla nascita sono
integrate in gruppi forti, coesi, che continuano a proteggersi in cambio di lealtà indiscussa. Gli obiettivi di
lavoro sono opportunità di formazione, condizioni fisiche e l’uso delle competenze. In questi la relazione
datore di lavoro-dipendente è intesa in termini morali ed è valutata in modo preponderante la gestione dei
gruppi con un orientamento alla relazione (Giappone, India, Perù, Colombia, Costa Rica, Pakistan,
Indonesia).
- Mascolinità-femminilità: indicano in che misura gli individui agiscono in base a tratti associati a
stereotipi maschili, come il successo, l’assertività, il risultato, l’aggressività e la dominanza, piuttosto che a
tratti più tipicamente femminili come la solidarietà, l’importanza dei rapporti personali, l’orientamento al
servizio, l’attenzione alla qualità della vita, l’armonia e l’empatia. In realtà, nelle versioni aggiornate del
modello, onde evitare di cadere in questioni di genere, si parla di orientamento al successo vs orientamento
alla qualità della vita.
Questa dimensione influenza l’assetto organizzativo nelle capacità riconosciute e premiate, nella centralità
del lavoro e nella gestione delle differenze di genere. In un contesto mascolino ci si aspetta manager
assertivi, valori come la competizione e la performance e i conflitti si risolvono “combattendo”; nei contesti
femminili, i manager sono predisposti ad usare l’intuizione e cercare il consenso. I valori sono la solidarietà
e la qualità della vita, la risoluzione dei conflitti avviene attraverso il compromesso e la negoziazione.
- Avversione all’incertezza: misura quanto gli individui preferiscono situazioni strutturate rispetto a quelle
non strutturate, e indica quanto i membri di una cultura si sentano minacciati dalle situazioni incerte o
sconosciute e cerchino di evitarle. Questa dimensione influenza gli assetti organizzativi rispetto al grado di
strutturazione, il grado di formalizzazione, grado di specializzazione tecnica, l’accettazione di rischi.
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Le nazioni a maggiore avversione all’incertezza sono Grecia, Portogallo, Francia, Belgio, in generale i
Paesi dell’America Latina, nei Paesi latino-europei (anche l’Italia) e in Corea del Sud. Punteggi medio-bassi
si riscontrano in Paesi asiatici, africani, anglosassoni e nordici.
- Orientamento al lungo o al breve termine, dimensione aggiunta dal modello del 1987 da Michael
Bond: indica in che misura gli individui sono orientati verso il futuro, pianificando e risparmiando, e quanto
ancora sono ancorati al presente e al passato, con un rispetto della tradizione e degli obblighi sociali ad
essa associati. Alti punteggi nell’indice di orientamento a lungo termine si riscontrano in Cina, Giappone e in
Corea del Sud.
L’analisi multidimensionale del modello di Hofstede consente di raggruppare i Paesi che esprimono
proprietà culturali comuni.
Il modello sostiene l’ipotesi “culture bounded”: esiste una cultura di sfondo sulla base della quale le
aziende devono progettare le soluzioni organizzative più adatte. Questo vuol dire però che difficilmente è
possibile trasferire politiche e pratiche organizzative in contesti culturali molto diversi senza operare un
necessario adattamento.
Critiche a tale modello:
- Ipotizza una corrispondenza uno ad uno tra la cultura e lo stato nazionale, difficilmente sostenibile nella
nostra epoca dove in pochi anni gli stati nazionali sono molto mutati (es: caduta del muro di Berlino);
- Non considera l’esistenza delle subculture all’interno dei Paesi;
- Gli intervistati appartenevano ad una sola impresa (IBM) ed erano personale specifico del settore
informatico; questo fatto espone la ricerca ad essere culturalmente influenzata e limitata dalla matrice di
pensiero occidentale propria dell’azienda.
Nonostante queste critiche resta un importante contributo, ancora oggi usato per analizzare il rapporto tra
cultura e management (anche perché si avvale di una metodologia robusta, anche ricerche moderne ne
hanno confermato i risultati).

• IL MODELLO DI TROMPENAARS: LA MULTICULTURAL COMPANY


Secondo Trompenaars la cultura è il modo in cui un gruppo di persone risolve i problemi. Le sue ricerche si
concentrano su come sono gestite le organizzazioni e su come sono affrontati i problemi aziendali in un
certo setting culturale. Analizza le culture nazionali sulla base di sette dimensioni (le prime 4 riguardano le
relazioni con le altre persone):
1. Universalismo vs particolarismo: l’approccio universalistico applica regole e sistemi in modo oggettivo,
non considerando le circostanze individuali; mentre le culture particolaristiche pongono attenzione agli
obblighi delle relazioni e alle circostanze uniche e sono più soggettive, anteponendo l’obbligo verso le
relazioni. Paesi universalistici sono Stati Uniti, Regno Unito, Paesi Bassi, Germania.
2. Individualismo vs collettivismo: ovvero se viene data prevalenza agli interessi individuali o a quelli di
gruppo (simile al concetto di Hofstede);
3. Culture specifiche (livelli singoli della personalità) vs culture diffuse (aree multiple della vita e diversi
livelli della personalità): i manager nelle culture specifiche separano lavoro e relazioni personali, mentre
nelle culture diffuse c’è un’espansione dal lavoro alle relazioni personali e viceversa;
4. Relazioni neutrali vs emotive/affettive: il focus è sull’orientamento emotivo delle relazioni: quanto
mostrare le emozioni? Alcune culture sono affettive, nel senso che le emozioni sono mostrate; altre culture
sono neutrali nel senso che le emozioni sono controllate e frenate. L’Italia è fortemente affettiva/emotiva;
5. Achievement (realizzazione) vs attribuzione: Vi è orientamento all’achievement se viene data
maggiore importanza a ciò che le persone raggiungono rispetto allo status che viene loro attribuito (es
appartenenza ad una classe sociale). In una società orientata all’attribuzione, le persone stabiliscono lo
status sulla base della classe, dell’età, del genere, di appartenenza;
6. Culture sequenziali vs sincroniche: fa riferimento alla dimensione del tempo, come le persone in
diverse culture strutturano, interpretano e comprendono il tempo. tempo sequenziale: quando il tempo viene
inteso come una serie di eventi che passano; tempo sincronico: quando si interpreta il passato, presente e
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futuro come se fossero interrelati.
7. Controllo interno vs esterno: attiene al rapporto con la natura. Risponde al quesito su quanto noi
siamo in grado di controllare il nostro ambiente e quanto possiamo cambiarlo.
Il principale pregio di questo modello è fornire degli esempi pratici di come opera la cultura sul luogo di
lavoro. Per gestire i rapporti tra culture diverse è necessario trasformare l’incontro tra diversità in
opportunità.

• IL PROGETTO GLOBE
Il progetto GLOBE (Globe Leadership and Organizational Behavior Effectiveness) è un programma di
ricerca focalizzato sulla cultura e sulla leadership in 61 paesi. Le culture nazionali sono esaminate sulla
base di nove dimensioni, queste variabili sono utilizzate per esplorare i valori e le pratiche culturali in
un'ampia varietà di paesi, con l'obiettivo di identificare il loro impatto sulle pratiche organizzative e sugli
attributi della leadership:
- Distanza dal potere;
- Avversione all’incertezza;
- Collettivismo sociale;
- Collettivismo di gruppo;
- Uguaglianza di genere;
- Assertività: si riferisce a quando ci si aspetta che le persone all’interno di una società siano dure,
conflittuali e competitive piuttosto che modeste e tenere;
- Orientamento al futuro: si riferisce a quanto una società attribuisce importanza a comportamenti orientati
al futuro come pianificare ed investire;
- Orientamento al risultato: misura quanto in una società è importante il miglioramento della
prestazione e l’eccellenza;
- Orientamento alle persone: si riferisce alla misura in cui una società incoraggia e ricompensa le persone
per essere leali, altruiste, generose, premurose e gentili.
Il progetto conferma la validità delle dimensioni di Hofstede, e piuttosto che essere un modello alternativo,
lo completa.
Il progetto basandosi sull’analisi di questi valori ha identificato dieci cluster di nazioni: Inglese, Europa
Latina, Europa Nordica, Europa Germanica, Europa Orientale, America Latina, Africa Sub-Sahariana,
Arabo, Asia Meridionale e Asia Confuciana. Le culture appartenenti al cluster non sono identiche, ma
presentano delle caratteristiche comuni, di similarità. Saper prevedere quali saranno le similarità e le
differenze tra la cultura d’origine e quella di rilocazione è molto importante per gli espatriati. Questa
previsione consente di sviluppare comportamenti e competenze adeguati, necessari per agire e decidere in
modo appropriato in relazione alle aspettative e alle norme sociali del Paese ospitante.
Il limite dei modelli riportati è quello di essere modelli “statici”, tendono a fotografare la realtà in un
determinato periodo storico, mentre la cultura non è costante, ma si evolve nel tempo. La conseguenza è
che le pratiche di risorse umane non possono essere universali e la loro trasferibilità non deve essere data
per scontata

CAP. 5: LA CULTURA E L’ADATTAMENTO INDIVIDUALE

Cultura = È un prodotto condiviso di un gruppo sociale che dà forma all’azione e che struttura la
percezione della realtà da parte degli individui che ne fanno parte. La cultura è un disegno invisibile e
condiviso che fa agire inconsciamente le persone secondo modelli che li aiutano a interagire con successo.
L’invisibilità rende la cultura potente nel guidare gli individui ed è difficile da modificare. Anche il modo in cui
le emozioni (paura, rabbia, gioia ecc) vengono espressi sono culturalmente determinati.
Chi espatria deve interagire con persone che hanno una diversa “programmazione” culturale. Espatriare
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significa entrare in contatto con una cultura che non ci appartiene. Per questo l’interazione può essere
inizialmente difficile, insolita o fonte di stress, che viene chiamato culture shock. Il nuovo arrivato in una
cultura deve affrontare la ricostruzione dei significati delle parole, dei gesti e dei comportamenti più semplici
nelle situazioni di vita quotidiana e nelle relazioni con gli altri.
CULTURE SHOCK
Oberg, negli anni 70, ha introdotto il concetto di culture shock: stato di stress psicologico, talvolta anche
fisico, che si presenta quando un individuo viene improvvisamente immerso in un contesto culturale che
non gli è familiare, con conseguente perdita di riferimenti nella vita emotiva, cognitiva e pratica (barriere
linguistiche, incapacità di comprendere gesti o convenzioni sociali genera ansia).
Taft ha poi suddiviso il culture shock in sei aspetti distinti: la difficoltà di adattamento alla nuova cultura, il
senso di perdita, la confusione nelle aspettative di ruolo e nell’identità del soggetto, un sentimento di rigetto
da parte degli appartenenti alla nuova cultura, ansietà e senso di impotenza dovuti all’incapacità di far
fronte al nuovo ambiente.
Mumford ha esplorato i fattori predittivi dell’insorgenza del culture shock, e l’elemento più significativo è la
distanza culturale, cioè il grado di differenza tra la cultura del Paese di origine e di arrivo.
Considerando il culture shock come uno stato in evoluzione, esso può essere rappresentato da un modello
U o a W, a seconda che le fasi in cui si divide il modello comprendano anche la fase di rientro nel Paese di
origine o meno:
1. prima fase, Luna di miele: il nuovo arrivato si sente euforico e affascinato da tutte le novità che
incontra (cibo, lingua, abitudini). Fase di scoperta e osservazione. Questa fase dura solo qualche
settimane.
2. Negoziazione: passato l’entusiasmo l’espatriato incontra difficoltà nella vita quotidiana e nella
comunicazione. L’esperienza diventa irritante e possono subentrare sentimenti di impotenza, frustrazione,
rabbia, tristezza e incompetenza. I problemi si accentuano dove la cultura di arrivo è molto diversa da
quella di origine. La transizione può essere lunga e dolorosa, spesso accompagnata da sentimenti di
insoddisfazione, mancanza di fiducia verso il prossimo e fraintendimenti.
3. Adattamento: inizia dopo qualche mese, quando la persona comincia a sviluppare routine e capacità
che la aiutano a interagire con la nuova cultura: ciò che appariva nuovo non lo è più, nasce un nuovo senso
di soddisfazione e di comprensione di ciò che appariva estraneo. Ritorna la sensazione di essere in
equilibrio con sé stessi. La familiarità con il nuovo ambiente genera un nuovo senso di appartenenza.
4. Ultima fase della curva a W, Re-entry shock o reverse culture shock: fase di riadattamento nel
momento del rientro nel Paese di origine che può essere tanto più forte quanto più questo trauma è
inaspettato. Molte persone sperimentano al rientro un profondo senso di nostalgia, di perdita, soprattutto
coloro che si sono meglio adattati alla cultura ospitante, e quando vi è una forte differenza tra le due
culture. Il culture schock e il suo inverso (che si presenta nella fase di rientro) hanno andamenti e
sintomatologia simili, ma variano di intensità e durata da persona a persona.

Il modello di Berry classifica le possibili risposte individuali al culture shock in 4 categorie:


- Assimilazione: l’espatriato rigetta la sua cultura di origine e adotta la nuova cultura convertendosi
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completamente rispetto a norme, valori ecc.
- Separazione: la cultura ospite viene del tutto rifiutata, rafforzando le norme della cultura di origine;
questo atteggiamento porta a forme di segregazione e etnocentrismo.
- Marginalizzazione: le due culture sono percepite sullo stesso piano, ma come incompatibili. L’individuo
oscilla tra le due ma non si sente di appartenere a nessuna delle due.
- Integrazione: le due culture sono percepite alla pari e compatibili fra loro. L’espatriato diviene un
soggetto multiculturale e si sente a suo agio in entrambe. Queste persone sono definite “mediatori”.
Il modello del culture shock è stato criticato per il suo presupposto implicito che l’esperienza di vivere in una
cultura diversa genere emozioni negative.
L’ADATTAMENTO
Adattamento= esito di un processo di apprendimento, l’insieme dei cambiamenti che hanno luogo negli
individui e nei gruppi in risposta alle domande poste dal contesto e che permettono di essere efficaci e
soddisfatti in circostanze e contesti nuovi.
Graves ha introdotto il concetto di acculturazione psicologica: si riferisce ai cambiamenti in un individuo
che partecipa a una situazione di contatto con una diversa cultura, restando influenzato sia in modo diretto
dalla cultura esterna, sia in modo indiretto dai cambiamenti che avvengono nella cultura di cui è membro al
contatto con la nuova. In questa cornice teorica gli approcci più recenti hanno collegato l’adattamento degli
espatriati a una cultura diversa a due processi più ampi:
- Adattamento socio-culturale: L’adattamento è identificato con le competenze sociali, cioè con l’abilità
dell’individuo di interagire efficacemente nella cultura ospite. L’approccio presuppone che i problemi
sorgano dalla difficoltà delle persone nel gestire i rapporti sociali in una nuova cultura. L’adattamento
consiste quindi nell’apprendimento delle abilità sociali specifiche della cultura ospite. Le azioni che si
possono intraprendere per attutire l’impatto del cambiamento hanno a che vedere con la preparazione,
l’orientamento preventivo, la formazione culturale e il training sui comportamenti socialmente accettati nel
nuovo contesto.
- Adattamento psicologico: L’adattamento è visto come una risposta psicologica a un cambiamento di
vita che provoca stress e che richiede all’individuo di mobilitare le risorse psicologiche emotive legate alle
sue caratteristiche individuali e alla situazione. Tra le azioni preventive, prevalgono il rafforzamento delle
risorse individuali e interpersonali e dei meccanismi psicologici che aiutano il processo di adattamento.
Entrambi i processi devono essere presenti per arrivare a un soddisfacente livello di benessere e
rappresentano le persone come attivamente coinvolte nel rispondere in modo costruttivo alla nuova
situazione.
Oggi più che di Culture Shock si parla di Adattamento Cross-Culturale (esperienza non necessariamente
negativa), Anderson distingue tra i concetti di:
- Adjustment = assestamento: riduzione di stress o soddisfazione di esigenze di breve periodo;
- Adaption = adattamento: comporta conquiste utili alla sopravvivenza di lungo termine. L’adattamento
richiede al contempo assestamento e apprendimento, è ciclico, continuo e interattivo e implica uno sviluppo
personale poiché coinvolge sia aspetti cognitivi che comportamentali.
Ward propone un modello di adattamento a più componenti, chiamato ABC (Affective, Behavioral,
Cognitive) che consiste in 3 diversi elementi: affettivo, come le persone sentono, comportamentale, come
agiscono, e cognitivo, come pensano quando sono esposte all’influenza di una nuova cultura.
- La componente affettiva del modello si riferisce alla parte emotiva dell’adattamento, ai sentimenti
negativi di ansia e frustrazione e introduce interventi di counselling che aiutino a ridurre l’ansia, ad
aumentare la resistenza psicologica del soggetto e che sostengano la capacità di sviluppare strategie
efficaci utilizzando le risorse personali per far fronte alla situazione.
- La componente comportamentale l’espatriato deve imparare a muoversi secondo le regole
comportamentali del Paese ospite per essere in grado di avere relazioni positive con l’ambiente che lo
circonda. Training, mentoring e conoscenza delle regole sociali di base e delle premesse filosofiche e
storiche della cultura ospite sono strumenti per affrontare questo aspetto del processo di acculturazione.
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- La componente cognitiva si fonda sull’idea che le persone interpretano le situazioni a partire dal
sistema di significati condivisi tipico della propria cultura, appreso sin da bambini. Questo aspetto può
essere aiutato dal training e dalla sensibilizzazione sulla diversità e la relatività culturale.
Le 3 componenti hanno uguale importanza, non agiscono isolate, ma ognuna influenza e viene a sua volta
influenzata dalle altre. Questo modello ha il pregio di tenere insieme diversi approcci teorici e di fornire una
visione integrata del problema.

CAP. 6: LO SVILUPPO DELLE CARRIERE INTERNAZIONALI

Un incarico internazionale è usato dalle aziende per attrarre, sviluppare e trattenere i talenti; può essere
osservato da due punti di vista: quello dell’individuo e quello dell’organizzazione.
Nonostante le dichiarazioni iniziali, le aziende raramente si occupano di integrare l’esperienza dell’incarico
internazionale in un percorso di carriera di lungo periodo e nei piani di successione. Di conseguenza, dal
punto di vista aziendale si rileva che il tasso di turnover è elevatissimo in quanto molti espatriati lasciano
l’azienda al rientro da un incarico internazionale. Esistono numerose variabili organizzative che
intervengono; un ruolo determinante per attuare una corretta pianificazione è dato dall’impegno
organizzativo prima dell’incarico, dal supporto durante l’espatrio e dalla sistemazione organizzativa dopo il
rientro e le prestazioni durante gli incarichi internazionali.
Questo ci fa comprendere come per gli individui l’esperienza internazionale diventi un modo per aumentare
la propria employability, ovvero la loro possibilità di essere ri-allocati sul mercato.
L’avvento di carriere senza confini è una risposta ai più ampi cambiamenti economici e sociali avvenuti
negli ultimi anni. Questo tipo di carriere sono spinte da un desiderio di mantenere uno stato permanente di
impiegabilità in un ambiente economico insicuro e dove si rileva una decrescente fiducia tra i dipendenti e
le aziende.
Un piano di sviluppo di carriera ben progettato, dei programmi di supporto e lo sviluppo di una cultura che
valorizzi l’esperienza internazionale possono aiutare un efficace rimpatrio e la retention delle persone; Nei
casi in cui gli espatriati abbiano acquisito nuove capacità e aumentato la propria employability è più
probabile che lascino l’azienda per andare incontro a nuove opportunità più soddisfacenti. Così facendo le
organizzazioni corrono il rischio di perdere i manager più esperti a livello internazionale a causa di uno
scarso supporto, e per l’incapacità di aiutare le persone nella loro crescita personale e nel raggiungimento
dei loro obiettivi di carriera.
SISTEMI DI SUPPORTO ALLA CARRIERA DEGLI ESPATRIATI
Le principali attività per lo sviluppo di carriera degli espatriati sono:
- Job posting: i dipendenti sono messi a conoscenza dei posti vacanti tramite sistemi online di job posting
o siti internet;
- Informazioni sui percorsi di carriera forniti dall’organizzazione (gli individui possono confrontare
questi con i loro percorsi di carriera personali);
- Revisione della performance annuale;
- Piani di sviluppo rapido (prevedono rotazioni attraverso diverse divisioni o aree dell’azienda);
- Informazioni o pianificazione della carriera offerti dall’organizzazione (piano più generale rispetto al
precedente);
- Counseling individuali di carriera (esperti aiutano gli individui a gestire le proprie carriere, attraverso
incontri, interviste, telefono ecc.);
- Test di carriera, includono test su interessi, profili di personalità e test attitudinali;
- Coaching e mentoring (fornito dai senior manager);
- Assessment center (usati per mettere in evidenza un potenziale individuale per il successo in un raggio
di carriere alternative);
- Workshop di pianificazione delle carriere (Esperienze di apprendimento che enfatizzano l’auto-
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valutazione e lo sviluppo di capacità di pianificazione).
IL GLOBAL MENTORING
Harvey suggerisce che un mentore formale può aiutare un espatriato nel processo pre-partenza, espatrio e
rimpatrio. Il mentore deve conoscere il Paese ospitante, il Paese di origine, il processo di espatrio e
l'organizzazione. Può essere particolarmente difficile, però, trovare un solo individuo che possa ricoprire
tutte questa funzione del mentoring. Per questo, Mezias e Scandura propongono che l’espatriato potrebbe
beneficiare di diversi mentori con competenze diverse, per fornire assistenza nelle diverse fasi del processo
e sul lavorare in un’altra cultura.
La pratica del mentoring per gli espatriati, nel nostro Paese è ancora poco diffusa, e lo stadio meno curato
risulta essere il rimpatrio, che invece dovrebbe essere il momento più importante per la valorizzazione
dell’esperienza di espatrio.

CAP. 7: RECLUTAMENTO E SELEZIONE DI UNO STAFF INTERNAZIONALE

Molti studi collegano la performance degli espatriati a un efficace processo di selezione, e viceversa, il
fallimento di incarichi internazionali deriva da scelte di reclutamento/selezione errati. Dowling sottolinea
che oltre all’adattamento culturale e alla formazione, la selezione dei candidati rimane un elemento critico
per ottenere un livello elevato di successo nell'incarico. Diversi autori indicano la difficoltà di reperire
candidati adatti alle sfide competitive della globalizzazione come uno dei problemi più importanti delle
aziende che competono a livello internazionale.
Il manager globale dovrebbe possedere alcune caratteristiche essenziali (anche se non si è ancora giunti
ad una profilo ideale):
- Saper capire culture e contesti differenti, per valorizzare la diversità;
- Saper adattare il proprio stile di gestione, di comportamento e leadership;
- Gestire l’incertezza;
- Bilanciare globale e locale;
- Avere consapevolezza delle opportunità e dei limiti dei mercati e della propria organizzazione a livello
globale.
Tradurre queste caratteristiche in criteri di selezione può risultare arduo. Competenza tecnica e risultati di
performance precedenti positivi nella casa madre sono criteri ancora molto utilizzati, mentre le variabili soft
(capacità di relazione) vengono spesso trascurate.
Il concetto di fallimento è spesso correlato al ritorno anticipato dell’espatriato rispetto ai tempi previsti. In
realtà la questione è più complessa: la fine prematura di un incarico può derivare anche dalla mancanza di
obiettivi precisi, la scarsa chiarezza, problemi organizzativi dell’impresa indipendenti dal singolo, così come
l’insoddisfazione personale del manager o la mancata accettazione da parte dei manager locali, possono
essere considerati segnali di fallimento.
Le ricerche hanno dimostrato che fattori psicologici e di personalità, caratteristiche individuali, competenze
linguistiche, esperienza internazionale precedente, influenza della famiglia, durata dell’incarico e buona
disposizione verso il trasferimento sono tutti fattori cruciali per predire la buona riuscita di un espatriato e
che quindi dovrebbero essere inclusi nei criteri di selezione degli incarichi internazionali. Di seguito i
principali fattori che influenzano il successo dell’incarico internazionale.
COMPETENZE TECNICHE E MANAGERIALI
Per scegliere la persona più qualificata è normale considerare per prime le capacità, conoscenze e abilità
che consentono di svolgere il lavoro richiesto. Per questo la competenza tecnica è un criterio di selezione
fondamentale che viene spesso correlato alle performance precedenti. Tuttavia, questo criterio viene
spesso sopravvalutato o addirittura usato come unico parametro.
Tra un pool di candidati già identificati come in grado di svolgere il lavoro, si dovrebbero cercare quelli che
sono più adatti al contesto di arrivo.

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TRATTI DI PERSONALITA’
Molte ricerche hanno rilevato come gli espatriati “di successo” tendano a condividere alcuni tratti di
personalità specifici, che fungono da fattori abilitanti per la loro capacità di essere aperti e ricettivi
nell’apprendere le regole della nuova cultura, essere disponibili a cercare contatti locali e informazioni
culturali e sapere gestire un elevato grado di stress.
I tratti di personalità (precise caratteristiche psicologiche degli individui), sono tendenze individuali
relativamente stabili e durature a reagire in un certo modo a livello emotivo o comportamentale.
Tra le diverse classificazioni, troviamo i Big Five: classificazione che identifica cinque grandi fattori, che si
sono dimostrati altamente affidabili nello studio della struttura della personalità ed hanno dimostrato di
mantenere un buon grado di stabilità per tutto l’arco dell’età adulta:
- Estroversione: valuta la qualità e intensità dei rapporti interpersonali, il livello di attività, il bisogno di
stimoli e la capacità di provare gioia; orientamento fiducioso ed entusiasta nei confronti delle circostanze
della vita, vs introversione, distacco, chiusura;
- Amabilità: include caratteristiche come l’altruismo, dare supporto emotivo, prendersi cura degli altri; vs
ostilità, indifferenza e egoismo.
- Coscienziosità: fa riferimento a caratteristiche come la precisione, l’affidabilità, la responsabilità, la
volontà di avere successo, perserveranza; vs negligenza, inaffidabilità e poca attenzione ai compiti.
- Stabilità emotiva: comprende una varietà di caratteristiche collegate a individui calmi, rilassati, poco
emotivi e soddisfatti di sé; vs ansietà e alla presenza di problemi di tipo emotivo, quali la depressione,
l’instabilità di umore e irritabilità;
- Apertura mentale: fa riferimento all’apertura verso nuove idee, valori, sentimenti;
vs cinismo, sospettosità e chiusura verso il nuovo.
Estroversione, stabilità emotiva, amabilità e coscienziosità sono indicati come fattori predittivi di
performance positiva degli espatriati; a questi si aggiungono sensibilità culturale e abilità nel padroneggiare
la lingua locale.
Ciascuna delle dimensioni del Big Five ha una relazione specifica con il successo dei soggetti in missione
internazionale.
Estroversione e amabilità permettono di formare legami interpersonali più forti con i locali, con altri
espatriati e con le persone in genere, anche fuori dall’ambiente di lavoro. Portano a gestire il conflitto in
termini più collaborativi, promuovendo la comprensione reciproca.
La stabilità emotiva permette di far fronte allo stress ambientale; l’apertura mentale consente di percepire e
interpretare accuratamente la cultura ospite; consente, inoltre, di avere punti di vista meno rigidi riguardo ai
comportamenti appropriati o inappropriati rispetto al contesto e più alta accettazione verso la nuova cultura.
Questi tratti di personalità dovrebbero essere inclusi in un sistema di selezione disegnato per prevedere il
successo di un incarico internazionale, tenendo presente che queste devono essere messe in relazione alla
tipologia di lavoro e di incarico per la quale si avvia il processo di selezione.
COMPETENZE LINGUISTICHE ED ESPERIENZE PRECEDENTI
Molti studiosi hanno evidenziato la relazione positiva tra competenze linguistiche (la conoscenza della
lingua locale) e successo nell’incarico. Questo fattore, però, è una sorta di premessa potenziale che deve
trovare un’interazione positiva anche con altri fattori (di personalità e tecnici). Le precedenti esperienze
maturate all’estero possono facilitare la capacità di un individuo di lavorare e vivere in un nuovo Paese
ospite accelerandone l’adattamento, a patto che l’esperienza precedente abbia fornito un’accurata e
realistica rappresentazione di norme, costumi e valori del Paese ospite.
FAMIGLIA ED ALTRI FATTORI DELLA SFERA PERSONALE
Le caratteristiche del nucleo familiare quali coesione, comunicazione, adattabilità, motivazione al
trasferimento, sono collegate al livello di adattamento cross-culturale nel vivere in un Paese straniero, e
questo è un fattore determinante nell’adattamento lavorativo del manager.
Date queste premesse, il sistema di selezione potrebbe includere una valutazione della famiglia prima di
decidere dell’incarico; questi fattori non vengono normalmente considerati dalle organizzazioni, sia per
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ragioni di privacy del dipendente, sia per i costi aggiuntivi che comporta la loro esplorazione. La gran parte
delle aziende lascia questo tema all’autovalutazione e all’autoselezione del candidato. Sarebbe, tuttavia,
importante che l’azienda aiutasse il candidato a impegnarsi in un’accurata valutazione delle variabili
familiari che potrebbero impattare sul successo dell’incarico (es: programmi di supporto per la famiglia) .
CANALI DI RECLUTAMENTO
Le procedure di selezione sono ancora poco strutturate, spesso non in linea con gli obiettivi di business
dichiarati e sostanzialmente basate su due criteri principali: le competenze tecniche per la posizione e le
prestazioni precedenti. Ciò avviene per varie ragioni:
Molte selezioni si basano su raccomandazioni personali e metodi informali anziché sui criteri chiari e
condivisi nell’organizzazione. Il “coffee-machine system”: gli incarichi che nascono da conversazioni davanti
alla macchina del caffè e danno luogo a processi di selezione opachi. Questo sistema rinforza la natura
chiusa e informale del processo restringendo il potenziale bacino di candidati a coloro che appartengono al
network e che sono conosciuti dai selezionatori.
Il reclutamento interno offre diversi vantaggi:
- I selezionatori hanno già una conoscenza diretta delle performance, personalità, abilità e situazione
familiare del candidato;
- Il candidato è già esperto della cultura organizzativa e degli obiettivi dell'azienda;
- Il costo dell’accesso al mercato interno del lavoro è più basso;
- I candidati reclutati internamente si adattano più rapidamente di quelli reclutati sul mercato esterno sia
nell’incarico che nella fase di rientro;
- Il reclutamento può facilmente legarsi ai percorsi di carriera e alla mobilità interna.
Per evitare le opacità dei meccanismi di reclutamento è utile ricorrere:
- al sistema informativo del personale: molte organizzazioni identificano un gruppo di dipendenti ad alto
potenziale per creare un bacino di talenti e tavole di rimpiazzo. Un inventario sistematico delle persone di
talento facilita il processo di accoppiamento dei candidati interni con le opportunità più adatte. Questo deve
contenere dati anagrafici, posizioni/esperienze ricoperte dalla persona in passato, la sua storia in termini
retributivi, interessi, preferenze geografiche, obiettivi di carriera. Questo approccio proattivo assicura
all'azienda di essere in grado di considerare e valutare tutti i candidati interni con le qualificazioni
necessarie.
- Job posting: bacheca virtuale nella quale viene data pubblicità alle posizioni ricercate, complete di job
description e requisiti, in modo tale che i dipendenti dell’azienda possano venirne a conoscenza e
presentare la propria candidatura. Le autocandidature sono utili, in quanto il candidato è in grado di
valutare la propria adeguatezza ai requisiti richiesti dalla posizione, in particolare per quanto concerne le
proprie caratteristiche individuali e di personalità, le problematiche di carriera e familiari, favorendo una
presa di decisione realistica.
Tra le best practices nel reclutamento interno vi è: l’importanza di fornire ai candidati accurate e realistiche
presentazioni del lavoro e dei rischi dell’incarico, per favorire aspettative adeguate. Gli effetti:
- Favorisce la formazione di aspettative adeguate;
- Favorisce la sensazione di auto efficacia, con effetti positivi sull’esito incarico;
- Aiuta i candidati a prendere decisioni e a formare aspettative realistiche riguardo le proprie possibilità di
successo, aspetti che facilitano l’adattamento cross-culturale.

Il ricorso al mercato del lavoro ha dei benefici:


- Favorisce l’iniezione di nuove competenze e l’ibridazione della cultura aziendale
- esternalizza i costi di creazione di competenze e caratteristiche professionali richieste dalla posizione e
riduce il rischio di obsolescenza delle risorse interne
- attiva la concorrenza tra lavoratori interni ed esterni
Tra gli strumenti per il ricorso al mercato del lavoro abbiamo:
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- Il ricorso a società di executive search (headhunting) che si orienta alla ricerca di specialisti e
manager. Il consulente viene contattato per trovare una figura da inserire in una determinata posizione. Le
aziende globali chiedono alle società di headhunting di operare a livello internazionale, per questo le
società hanno sviluppato partnership che permettono loro di accedere al mercato senza barriere
geografiche.
- Inserzioni sulla stampa internazionale. Ad esempio anche attraverso pubblicità negli aeroporti e i
magazine delle linee aree.
- Internet, fonte significativa per la ricerca di manager internazionali, è un canale in crescita e si articola nei
siti delle aziende sia in siti di recruitment, sia in siti di associazioni professionali, o attraverso il social
networking (Fb, Linkedin..).
I vantaggi sono: l’aumento del bacino di utenza raggiungibile a costi contenuti; tempi di reclutamento più
brevi; un approccio più sofisticato attraverso mirata ricerca su gruppo con specifici stili di vita e affinità
culturale; e incoraggia la proattività dei candidati.
Tra gli svantaggi: alta visibilità e raggiungibilità, attira i segmenti di candidati che cadono al di fuori dei
requisiti sporcando la centratura; lentezza di risposta e nei contatti seguenti; scarsità di posizioni elencate
che scoraggiano l’intraprendere lo sforzo di candidare i propri dati; mancanza di info sull’azienda,
preoccupazione sul trattamento e la sicurezza dei dati personali forniti, difficoltà di navigazione del sito.
METODI DI SELEZIONE
L’intervista è lo strumento principale di ogni selezione. Possono essere utilizzate:
• Interviste non strutturate: l’intervistatore prepara una lista di argomenti da trattare, e pone o meno
specifiche domande a seconda di come procede la conversazione
• Interviste strutturate: stesse domande nello stesso ordine per tutti i candidati
• Interviste comportamentali: approccio semistrutturato dove l’attenzione viene focalizzata sui
comportamenti usati in passato del candidato, i quali devono riflettere una competenza oggetto di
ricerca da parte del datore di lavoro oppure pongono al candidato ipotetiche situazioni che potrebbero
presentarsi sul lavoro chiedendogli come reagirebbe.
Gli intervistatori sono tipicamente più di uno, incontrano il candidato in sequenza, ma possono anche
essere utilizzati panel di intervistatori che incontrano assieme lo stesso candidato (per prevenire pregiudizi
negli intervistatori).
L’ideale sarebbe condurre l’intervista con un rappresentante dell’ufficio centrale che spieghi i requisiti
tecnici per la posizione, uno dell’ufficio di destinazione, il manager da cui dipende la posizione, un esperto
che possa valutare il grado di adattabilità del candidato e della famiglia ad una nuova cultura.
Test psicologici e di personalità (data l’importanza dei tratti nei candidati) Alcuni autori criticano il fatto
che la maggior parte dei test siano made in USA, influenzati quindi dalla cultura occidentale americana,
perciò non troppo affidabili.
Assesment center : role play, esercizi di orientamento, giochi, simulazioni e discussioni di gruppo. Aiuta a
mettere in luce carenze o doti dei candidati su capacità di ascolto, comunicazione, flessibilità, empatia
culturale, orientamento al lavoro di team. Tuttavia vi sono svantaggi legati alla cultura di appartenenza (es.
candidati di cultura orientale, difficilmente si imporranno con le proprie opinioni sugli altri, poiché è una cosa
poco comune nella loro cultura).
LIMITAZIONI ESTERNE
Nella maggior parte dei Paesi, le aziende devono dimostrate di non essere in grado di reperire e assumere
un lavoratore locale prima di poter ottenere il visto di ingresso e il permesso di lavoro per un manager
straniero. Queste barriere all’ingresso degli espatriati, vanno valutate prima di iniziare il processo di
selezione. Anche molti Paesi in via di sviluppo hanno legislazioni severe a riguardo e, dunque, è necessario
un continuo aggiornamento sulle condizioni legislative dei Paesi obiettivo. Inoltre, il permesso di lavoro
viene concesso soltanto all’espatriato e non al coniuge al seguito.

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CAP.8:FORMAZIONE E SVILUPPO PER LE RISORSE UMANE INTERNAZIONALI

GLOBAL MAINDSET
Il global mindset è stato definito come: “l’abilità cognitiva che aiuta gli individui a capire come influenzare
al maglio individui, gruppi, organizzazioni provenienti da diversi sistemi socioculturali”. Le dimensioni
sottostanti il global mindset sono quindi l’orientamento cosmopolita e la complessità cognitiva.
Gli espatriati devono porsi come mediatori culturali, ovvero analizzare e capire quando e come sia il caso
di adattare modelli e comportamenti del paese ospitante. Per fare ciò diventa fondamentale che l’espatriato
abbia cognizione delle differenze e delle possibilità di incontro e di comunicazione tra mondi diversi;
certamente la miglior forma di apprendimento rimane l’immersione nella cultura di destinazione e il
contratto continuo con persone straniere. Ma dotare di alcuni strumenti di base la persona che andrà a
vivere l'esperienza di espatrio, significa aumentare le probabilità di successo.
Diviene, perciò, necessaria una formazione culturale preventiva e l’incarico dell’espatriato deve essere
gestito con accuratezza per contribuire alla formazione del mindset.
LA FORMAZIONE PER LA CONSAPEVOLEZZA E L’ORIENTAMENTO CULTURALE
La formazione alla multiculturalità (rinominata formazione alla consapevolezza culturale) non punta alla
formazione sui comportamenti da tenere, ma punta ad aumentare la coscienza delle differenze e delle
similarità tra le culture, per permettere un più rapido processo di apprendimento in condizioni di forte
incertezza e ambiguità. Il processo deve preparare l’espatriato sia sui contenuti sia sulle capacità che dovrà
migliorare per ridurre al minimo il rischio di incomprensioni o comportamenti inappropriati.
È chiaro che esiste un trade-off tra l’investimento in formazione e la sempre più pressante richiesta di
ridurre i costi legati alla gestione dell’espatrio. Ma numerose ricerche ormai hanno dimostrato come può
essere rischioso un espatrio senza preparazione e supporto.
Tarique e Caligiuri propongono un processo in 5 fasi come strategia generale da seguire per progettare
iniziative di formazione interculturale:
1. Identificare il tipo di incarico internazionale per cui è necessario fare una formazione interculturale;
2. Determinare gli specifici fabbisogni di formazione interculturale (per
l’organizzazione, per l'incarico e per l’individuo);
3. Stabilire gli obiettivi e le misure per determinare l’efficacia della formazione interculturale;
4. Sviluppare e mettere in atto un programma di formazione interculturale;
5. Valutare se il programma di formazione interculturale è stato efficace.
LE TECNICHE DI FORMAZIONE
Tung classifica le tecniche possibili per assistere le persone che assumono un incarico internazionale in:
• Studi di area: programmi di documentazione che riguardano la geografia, l’economia, la storia socio-
politica ecc;
• Assimilatori di cultura: esposizione dei formandi a tipi di situazioni che probabilmente affronteranno;
• Formazione linguistica;
• Formazione alla sensibilità culturale;
• Esperienza sul campo, esposizione a persone di altre culture all’interno del proprio Paese.
Accanto a queste, Ronen suggerisce delle tecniche specifiche, che includono l’esperienza sul campo
chiamata “surrogato della famiglia ospitante” dove la multinazionale paga e posiziona la famiglia
dell’espatriato in una famiglia ospitante come parte di un programma di immersione e familiarizzazione
nella nuova cultura.
In alternativa ai piani di formazione formale, è possibile sviluppare:
- Briefing informali: opportunità di incontrare e discutere del luogo dove si andrà a vivere e a lavorare
con persone che lo conoscono bene (colleghi), modo più veloce e più economico per prepararsi.
- Visite pre-partenza: sono il modo più ovvio e immediato per preparare l’espatriato e la sua famiglia al
trasferimento, consentono di arrivare in un Paese avendo una minima conoscenza del contesto e di
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prendere i primi contatti con la comunità locale. Il limite è che in questa visita, considerata più come una
vacanza, tutto appaia bello, sarà più duro poi l'impatto con la realtà, una volta trasferitesi.
- Affiancamenti: sono comuni per le posizioni manageriali più alte. Presentano vantaggi oggettivi quali la
possibilità di essere presentati ai clienti più importanti. Lo svantaggio risiede nel fatto di essere
particolarmente costosi e difficili da organizzare, e difficile comprendere chi riveste l’incarico ufficiale.
- Shadowing: possibilità di “seguire come un’ombra” i temi più importanti che coinvolgono il Paese di
destinazione dell’espatrio, come i report, comunicazioni e risultati. Questo consente di visitare il Paese e
incontrare i membri dello staff locale quando sono in casa madre (coinvolgimento progressivo con
tematiche del Paese).
- Formazione a distanza (e-learning): in molte multinazionali si stanno approntando delle intranet
dedicate agli espatriati, sia per generare una community sia per veicolare contenuti formativi. Sono sistemi
flessibili che vanno incontro alle esigenze dell’espatriato, con costi bassi. Ovviamente però a questi devono
essere affiancati anche dei metodi esperienziali e di contatto diretto con la nuova cultura.
-Coaching culturale: fornisce all’espatriato consigli e suggerimenti da una prospettiva esterna. L’obiettivo
è quello di assistere l’espatriato a identificare i problemi sul lavoro e nella vita e di offrire uno spazio
confidenziale, per garantire un apprendimento riflessivo che porti alla risoluzione dei problemi. A questo può
seguire un momento di e-coaching online. E’ un metodo molto valido soprattutto per formare i talenti nella
logica del global mindset; però è molto costoso e difficoltoso trovare efficaci coach culturali.
- Mentoring culturale: è uno strumento meno costoso ed ha il vantaggio di avere degli effetti in termini di
socializzazione e trasferimento delle conoscenze (mentori possono essere senior manager o ex espatriati).
-Preparazione pre-rientro
L'apprendimento può essere di tipo didattico o esperienziale, e può avere focus differenti. Mentre i metodi
didattici cercano di trasmettere conoscenza attraverso letture, film ecc. i metodi di formazione esperienziale
comprendono casi basati su esperienza e simulazione. La formazione esperienziale fornisce quindi
esperienze simulate simili alla realtà, ma difficilmente è possibile gestirla su grandi gruppi e può contribuire
alla formazione di nuovi stereotipi sulle altre culture. Inoltre esiste il rischio che sia vissuta come un insieme
di giochi divertenti che non vengono presi seriamente dai partecipanti. La raccomandazione per i formatori
è quella di prevedere sempre una molteplicità di metodi. La maggior parte dei programmi di formazione si
tengono nella nazione dell’espatriato prima della partenza, sebbene sia certamente conveniente l’impatto di
un programma nel paese ospitante (+ pratica e - teorica).
FORMARE IL PERSONALE LOCALE
La formazione del personale locale assicura processi di trasferimento delle politiche della casa madre più
fluidi e una migliore comprensione delle eventuali necessità di adattamento. Le multinazionali formano i
manager e i lavoratori locali per colmare la distanza tra le culture e le pratiche di corporate e locali. Il
successo di queste iniziative è strettamente collegato alla misura in cui ci si assicura che esse vadano
incontro a necessità ben chiare alle persone del posto. È opportuno anche monitorare che i materiali siano
appropriati alla situazione locale del business e alla cultura. È consigliabile dunque utilizzare formatori che
possano distribuire materiali nella lingua e nello stile locale.

CAPITOLO 9: LA RETRIBUZIONE E LE POLITICHE FISCALI

Per un espatriato, secondo il sistema retributivo “home based”,


PRINCIPALI SISTEMI SALARIALI APPLICATI DALLE AZIENDE
Non esiste un unico modello di retribuzione per gli espatriati e le variazioni sul tema sono diverse e
importanti. Ciò premesso, i principali sistemi salariali applicati ai lavoratori espatriati sono essenzialmente i
seguenti:

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• Home country based approach: il sistema tradizionalmente più diffuso (soprattutto in Italia) per il
calcolo della retribuzione che prende come riferimento la retribuzione del Paese d’origine
dell’espatriato. Base di partenza è ciò che l’espatriato avrebbe percepito per mansioni equivalenti a
quelle svolte all’estero, rimanendo in patria. Questo importo è adeguato al costo della vita e al carico
fiscale e contributivo nel Paese di destinazione. Normalmente l’azienda riconosce ulteriori importi
come incentivi per motivare il lavoratore all’espatrio. Tale sistema compie le seguenti operazioni:
- riconosce un importo che ha un potere d’acquisto equivalente a quello del Paese di partenza
(foreign spendable income)
- Aggiungere elementi alla retribuzione legati all’assegnazione (benefit, ecc).
Il risultato finale è il cosiddetto “netto di assegnazione”; questo importo, poi, può essere “lordizzato”
delle tasse e dei contributi sociali del Paese di assegnazione. In questo modo tutti gli espatriati
vengono trattati in modo equo indipendentemente dal Paese di assegnazione. Questa politica
consente inoltre di giustificare eventuali differenze nel trattamento tra espatriati assegnati a diverse
località. Le differenze dipenderanno esclusivamente dalle condizioni di vita e delle differenze fra i costi
registrate nei vari Paesi di assegnazione.
Questo approccio tende ad essere inadatto per assegnazioni di lungo termine (+ di 3 anni). Il vero
punto critico consiste nel fatto di dare origine a differenti livelli di retribuzione per personale proveniente
da diversi Paesi e questo fatto può creare disagi all’interno di strutture multinazionali.
• Host based approach (o market rate): tendenza opposta alla precedente: la retribuzione
dell’espatriato è basata sui livelli salariali pagati nel Paese di destinazione. Generalmente, se la regola
usata è il confronto con il mercato dei lavoratori locali, vengono aggiunte indennità e benefit che
compensano oneri finanziari tipici degli espatriati. Queste indennità non vengono applicate quando il
mercato locale determina di per sé un miglioramento della retribuzione dell’espatriato. Questo sistema
privilegia un’equivalenza di trattamento all’interno di una struttura dove operano personaggi di
provenienza diversa. Di converso, i punti deboli stanno nel rendere difficile la mobilità verso
destinazioni con un mercato del lavoro di livello più basso rispetto a quello di partenza. Con questo
modello dunque gli espatriati della stessa nazionalità sono trattati diversamente nei differenti Paesi e la
mobilità tra Paesi può comportare difficoltà e ineguaglianze. Tuttavia questo approccio risulta
particolarmente adatto per l'assegnazione lungo termine.
• Selected Country: La retribuzione dell’espatriato si basa su un’unica struttura salariale valida per tutti
indipendentemente dal fatto che questa sia legata al Paese di origine o di destinazione. In genere
questo sistema si usa per garantire lo stesso standard all’intera forza lavoro espatriata e rafforza il
senso di unità e appartenenza al gruppo.
• Hybrid – dual based approach: Il sistema denominato Hybrid prevede la suddivisione del trattamento
in 2 parti distinte, legate alla realtà del Paese di origine e a quella di destinazione; quest'ultima
influenzerà i trattamenti esteri, che saranno equivalenti per tutte le persone, di qualunque origine, che
operano in un determinato Paese. L'importo scaturente dall'applicazione di questo sistema viene
calcolando distinguendo 2 elementi:
o riflette lo stile di vita del Paese di origine, definito da un pacchetto consumi aziendale ed espresso in
valute locali;
o l'importo fissato in valuta nazionale comprendente gli incentivi e gli impegni finanziari legati al Paese
di provenienza.
Uno dei pregi del sistema è anche quello di rendere più agevole l'applicazione del trattamento indicato
in valute diverse, riducendo le conseguenze delle oscillazioni dei cambi. I difetti si possono sintetizzare
in una complicazione nei calcoli, e che due espatriati di pari livello, ma di origine diversa, hanno
trattamenti diversi.
FATTORI DA CONSIDERARE NEL DEFINIRE LA POLITICA RETRIBUTIVA DEGLI ESPATRIATI
Equità: Assicurando al dipendente che le sue condizioni non peggioreranno rispetto a quelle acquisite nel
Paese di provenienza, l’home country based approach, rimane il metodo predominante.
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Contenimento dei costi: Questo fattore è destinato a influenzare la scelta del sistema salariale applicabile
alla forza lavoro espatriata. L'attenzione ai costi dell’espatrio è un elemento diffuso e di peso crescente
nelle scelte aziendali.
Competitività: Ci sono delle pressioni nella società per passare dal sistema build up al sistema home
country based, nel caso in cui il tasso salariale locale sia alto in termini reali e ci sia forte richiesta di forza
lavoro qualificata.
Globalizzazione: Il processo di globalizzazione sta accentuando le esigenze da parte delle aziende di
armonizzare i sistemi retributivi.
Indennità riconosciute
Circa il 70% delle società che hanno individuato nell’home country based approach il sistema salariale di
riferimento per definire il trattamento economico di espatrio prevede l’erogazione di incentivi, i più comuni
sono:
- Indennità di espatrio/ indennità di servizio estero (per incentivare a espatriare): il suo scopo è quello di
compensare i dipendenti e la loro famiglia per lo “sradicamento” dal Paese d’origine..
- Indennità di disagio (incentivo supplementare volto a compensare le differenze culturali di clima,
cultura, sicurezza personale, qualità di vita). Questo elemento della retribuzione è un compenso per le
condizioni di vita al di fuori dell’ambiente di lavoro, che comportano un disagio non solo per il
dipendente ma anche per la famiglia.
- Indennità di prima sistemazione: viene erogata allo scopo di coprire spese legate all’acquisto di mobilio
o vestiario, trasporto bagaglio.
- Altri tipi di indennità: possono consistere in:
- Indennità supplementare riconosciuta da un certo punto della carriera in poi;
- Indennità supplementare per le assegnazioni di lunga durata;
- Indennità pionieristica per le località in Paesi sottosviluppati o per nuove attività.
Oltre alle indennità monetarie possono essere erogati dei benefit aggiuntivi come:
- Alloggio nel paese di assegnazione;
-Spese di istruzione per i figli;
-Autovettura e altre;
- Biglietti aerei, assicurazione, fondo pensione.
POLITICHE DI NEUTRALITA’ FISCALE
La movimentazione del personale dipendente all’estero comporta implicazioni fiscali, pertanto è necessario
garantire al lavoratore la “neutralità fiscale” dell’assegnazione all’estero. Tale concetto implica che l’espatrio
di un dipendente venga effettuato garantendo che lo stesso non sia tenuto a sopportare oneri fiscali
aggiuntivi rispetto a quelli che avrebbe sostenuto in patria. Tale finalità viene generalmente soddisfatta
tramite l’adozione di opportune politiche di neutralità fiscale, ricondotte ai seguenti temi:
Tax equalization: il principio ispiratore è che il lavoratore dipendente non debba trarre alcun beneficio
economico a seguito della sua assegnazione all’estero. Con la Tax equalization il dipendente è tenuto a
sostenere un onere fiscale pari a quello che avrebbe sostenuto nel Paese d’origine. Questo concetto trova
applicazione pratica mediante l’effettuazione di una trattenuta fittizia operata dal datore di lavoro. Il calcolo
delle imposte ipotetiche tiene conto esclusivamente degli elementi retributivi cui il lavoratore avrebbe avuto
titolo se avesse continuato a prestare la propria attività lavorativa in Italia. Al momento della liquidazione
delle imposte nello stato estero, l’azienda utilizzerà l’ammontare trattenuto dal dipendente e le eventuali
differenze tra gli importi effettivamente versati e quelli trattenuti rimarranno a carico/beneficio della stessa.
Tax protection: il principio base è che il lavoratore non dovrà sopportare alcun danno economico a seguito
della sua assegnazione all’estero. Con tale politica, il dipendente è tenuto a sostenere un onere fiscale che
non potrà essere superiore a quello che avrebbe sopportato in Italia. Al momento del versamento delle
imposte verrà richiesto al dipendente di versare un importo pari a quanto avrebbe dovuto corrispondere nel
Paese d’origine, l’eventuale maggiore imposta resterà a carico della società. Nel caso in cui il Paese di
destinazione preveda un imposizione fiscale minore rispetto a quello di origine, il dipendente beneficerà del
ridotto carico fiscale. In sostanza questa politica prevede che il lavoratore sostenga l’imposta minore tra
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l’hypotetical tax e l’imposta estera effettivamente dovuta sull’intero trattamento economico. Caratteristica
importante di questa politica è che il datore di lavoro non opera alcuna trattenuta fittizia e il dipendente
percepisce l’importo lordo concordato. Al lavoratore sarà richiesto di versare le imposte estere sui redditi da
lavoro dipendente corrisposti dall’azienda.
Gross-Net-Gross: ha l’obiettivo di stabilire un sostanziale equiparazione tra fiscalità italiana e fiscalità del
Paese di destinazione, operata però solo in sede di definizione contrattuale del trattamento retributivo del
lavoratore assegnato all’estero. La società giunge a una preventiva determinazione del trattamento
monetario netto da garantire al dipendente distaccato, inteso come sommatoria tra gli elementi retributivi
cui il lavoratore avrebbe avuto titolo se avesse continuato a prestare la propria attività nel Paese d’origine e
le voci nette del trattamento aggiuntivo di sede estera.
Netto garantito: trae origine dalle filosofie ispiratrici della Tax equalization e del Gross-Net-Gross. In tal
caso si garantirà un netto che non subirà variazioni a prescindere da qualsiasi evento di carattere fiscale
che si verifica dopo l’espatrio. Il Netto garantito è stabilito contrattualmente e in alcuni casi l’importo
concordato prescinde dal raffronto con le imposte teoricamente dovute nel Paese d’origine. Il vantaggio, in
questo caso, consiste nel fatto che la società assicura al dipendente assegnato all’estero un importo netto
portando alla logica conseguenza che di eventuali possibilità di pianificazione fiscale ne gioverebbe
esclusivamente il datore di lavoro così come il datore di lavoro si assumerebbe il costo di eventuali
variazioni.

CAP. 10: LE CARRIERE FEMMINILI NEL MANAGEMENT INTERNAZIONALE

Nonostante l’aumento delle donne nel mondo del lavoro e il loro crescente interesse come protagoniste
dell’espatrio, il numero di manager con incarichi internazionali resta insoddisfacente, anche se in crescita.
I dati disponibili confermano l’impressione che lo scarso numero di donne tra chi ricopre incarichi
internazionali abbia più a che fare con le pratiche di selezione e i pregiudizi delle organizzazioni di
appartenenza, piuttosto che la loro disponibilità a partire. Diversi studi hanno rilevato che le organizzazioni
siano pronte a promuovere donne nella carriera manageriale interna, sono più riluttanti ad offrire loro le
opportunità di crescita di una carriera internazionale, e quando lo fanno i ruoli offerti sono meno prestigiosi
di quelli degli uomini.
Altri studi hanno confermato che esiste una differenza sostanziale nelle circostanze di accesso all’espatrio:
mentre agli uomini viene offerto di espatriare, le donne interessate a questa carriera devono comunicare il
proprio interesse, le proprie qualificazioni, ed effettuare richiesta formale per posizioni all’estero. Le senior
manager intervistate in un contesto europeo indicano come uno dei maggiori ostacoli per carriere
internazionali sia il fatto di essere donne. Da qui la definizione di glass border (confine di vetro) per
spiegare questo fenomeno di discriminazione nell’assegnazione di posizioni internazionali basato sugli
stereotipi della casa madre riguardo a disponibilità, preparazione e preferenze delle donne verso gli
incarichi internazionali.
IL GLASS BORDER
Nancy Adler, negli anni ’80 ha condotto studi in merito agli stereotipi e i pregiudizi rispetto donne con
incarichi internazionali (donne americane in Asia). Il suo lavoro ha sfidato i pregiudizi e le convinzioni di
molti senior manager, ha posto inoltre le basi per sfatare quelli che lei stessa ha definito come i 3 miti più
comuni relativi alle donne in questo campo:
1. Le donne non vogliono essere manager internazionali;
2. Le aziende rifiutano di mandare donne all’estero;
3. I pregiudizi degli stranieri nei confronti delle donne le rendono poco efficaci per questi incarichi.
LA DISPONIBILITA’ DELLE ESPATRIATE
Diversi studi suggeriscono che la scarsa partecipazione delle donne a incarichi internazionali potrebbe non
essere dovuta alla loro disponibilità, quanto piuttosto essere la risposta a un'opportunità bloccata: sanno
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che hanno poca possibilità di raggiungere l’obiettivo, pertanto vi è un calo di motivazione nel perseguirlo. La
maggior parte degli studi confermano che non c'è una sostanziale differenza tra gli uomini e le donne nella
possibilità espatriare. La decisione di espatriare viene influenzata nelle donne dal loro ruolo e dalla
responsabilità della famiglia: le barriere familiari, in particolare la resistenza dei membri della famiglia allo
spostamento ridimensiono la disponibilità, riducendo i comportamenti attivi di ricerca dell’incarico e dunque
diminuendo il numero di espatri effettivi delle donne.
LA SELEZIONE
Le donne sembrano subire un certo svantaggio nella selezione per incarichi internazionali principalmente
per una combinazione dei seguenti fattori: presunte difficoltà associate con l'adattamento in Paesi stranieri,
pregiudizi sulla reazione degli stranieri a donne manager. Bisogna tener conto del fatto che essere adatti a
un incarico e l'essere accettati solo concetti diversi. Le donne possono essere considerate adatte in termini
professionali e tecnici, ma un insieme di forze possono impedire che vengano considerati accettabili.
Harris e Brewster sostengono che il coffee machine system è ancora una delle modalità più comuni per
identificare potenziali espatriati: sistema che nasce da conversazioni davanti alla macchinetta del caffè.
Questo sistema rinforza la natura chiusa e informale del processo decisionale, riproducendo la natura
restrittiva del potenziale bacino di candidati a coloro che sono nel network e sostengono il pregiudizio
basato sul genere nella selezione. Diverse ricerche hanno dimostrato che il bacino di potenziali candidati
all'espatrio si limita alle persone che sono conosciute dai selezionatori. Tutto ciò rende le cose molto difficili
per le donne.
Secondo Vance e Paik le ragioni più citate per giustificare la selezione di uomini invece di donne è:
- La presenza di restrizioni culturali sul ruolo delle donne nel business nell’ambiente internazionale;
- La predominanza di uomini nelle interazioni d’affari internazionali;
- Migliori qualificazioni degli uomini per questi incarichi;
- La relativa incapacità delle donne di adattarsi alle sfide degli incarichi all’estero e in particolare la
maggiore vulnerabilità all’aggressività di un business dominato da uomini.
Gli autori, suggeriscono invece che il più grande ostacolo che le donne devono superare non si trova tanto
dell'ambiente del business internazionale, ma piuttosto nel “cortile di casa”, cioè nelle loro stesse
organizzazioni.
I PREGIUDIZI
Molte aziende sembrano condividere alcuni pregiudizi che utilizzano come ragioni per spiegare l’esitazione
nel mandare donne a ricoprire posizioni all'estero:
- Timori di pregiudizi contro le donne tra i manager del Paese di destinazione;
- Problemi di dual-career insormontabili per il partner;
- Preoccupazione di solitudine e isolamento (single);
- Preoccupazione per l’incolumità fisica delle donne (per Paesi a rischio)
Diversi studi hanno evidenziato che le aziende partono dal presupposto che in molti Paesi stranieri le donne
con incarichi manageriali sarebbero poco accettate a causa di pregiudizi culturali radicati nei paesi ospiti. Le
ricerche di Adler hanno sfidato la validità di tale percezione. In uno studio condotto su oltre 100 donne
manager espatriate prevalentemente in Asia, la studiosa ha infatti dimostrato che esse sono viste anzitutto
come rappresentanti dell'azienda, poi come straniere e solo da ultimo come donne, perciò le norme culturali
che impediscono l'accesso di donne locali a posizioni manageriali non valgono per le straniere.
DUAL-CAREER E FAMIGLIA
Gli stereotipi e i doppi standard emergono con forza quando si parla di situazioni personali delle candidate.
Lo stato di famiglia è sempre un presunto problema. I responsabili delle risorse umane che decidono le
missioni internazionali, in prevalenza uomini, tendono a credere che una donna sola sia più vulnerabile a
molestie, pericoli fisici, isolamento. Ma le aziende sono ancora più preoccupate quando si tratta di mandare
all'estero donne sposate, in quanto ritengono che i problemi dello spostamento del partner siano molto più
seri e difficili. In molte organizzazioni si assume che gli incarichi internazionali siano un problema per le

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coppie con dual carrier soltanto quando è la donna che viene mandato all'estero. Il profilo tradizionale di un
manager internazionale è ancora quella di un uomo sposato con una moglie che lo segue, le donne con i
mariti al seguito sono viste come atipiche. In ogni caso il problema retributivo non è da sottovalutare:
quando il pacchetto retributivo deve coprire la perdita di reddito dovuta all'abbandono dell'attività da parte di
uno dei 2 partner, il problema di una retribuzione soddisfacente diventa ancora più importante. Le difficoltà
connesse con la gestione della famiglia riguardano il conflitto di ruoli tra carriera e figli, la gestione del
tempo, la mobilità geografica, i sensi di colpa e la mancanza di supporto emotivo. Le donne che lavorano
sono sottoposte a maggior stress rispetto agli uomini, e la fonte di tale stress deriva dal ruolo atteso e reale
della donna nella società.
DIFFICOLTA’ E SUCCESSI
Le difficoltà rilevate sul campo per le donne manager non sono affatto dissimili da quelle riportate dalla
letteratura su espatriati in generale (problemi di adattamento culturale, bilanciamento lavoro/vita privata;
carriera del partner). Alcune ricerche hanno messo in luce la difficoltà per donne giovani di farsi accettare
dell'ambiente professionale giapponese e cinese. In questi Paesi infatti, l'età viene associata con la
posizione nella gerarchia aziendale, con la competenza e le autorità.
Diversi studi sui risultati ottenuti dalle donne nei loro incarichi internazionali hanno indicato un elevato livello
di successo. Adler riferisce che il 97% delle manager espatriate nella sua ricerca dichiaravano che il proprio
incarico era stato un successo. Altri indicatori oggettivi come promozioni in seguito all'incarico
internazionale, una proposta di un nuovo incarico all'estero o ancora l'invito di un maggior numero di donne
in simili posizioni da parte dell'azienda, sostanzialmente confermano questa percezione di successo.
Uno studio di Caligiuri ha dimostrato come le donne siano più abili nell’affrontare l'isolamento che deriva
dallo spostamento all'estero, abbiano relazioni migliori e gestiscano meglio lo stress. Caligiuri e Lazarova
hanno dimostrato come l'interazione e il supporto sociale da parte dei colleghi e dei superiori nel paese
ospite abbiano una grande influenza nel mobilitare risorse psicologiche che aiutano il processo di
adattamento delle donne espatriate. Caligiuri e Cascio hanno così proposto un modello basato su 4 fattori
per predire il successo delle espatriate nel loro adattamento culturale: tratti di personalità, supporto alla
famiglia, supporto dell'organizzazione, attitudine dei locali verso le donne espatriate. Quest’ultimo fattore
può influenzare negativamente il processo di adattamento. I vantaggi potenziali di essere donna in un
ambiente di lavoro all'estero sono legati al maggiore visibilità (e all’essere meglio ricordate), abilità
interpersonali e il fatto di costruire in qualche modo una novità.
Le qualità e abilità manageriali che sottolineano il bisogno di capacità relazionali interpersonali sono stati
indicati come criteri predittivi di successo nelle posizioni degli espatriati (capacità relazionali, sensibili,
empatiche, socievoli).
L’avanzamento da parte delle donne nel management internazionale non sarebbe tanto dovuto
all’applicazione di criteri razionali alla selezione o all’incrinarsi del glass border, quanto al fatto che le
prospettive tradizionali di carriera e di aumento retributivo associate con l’espatrio stanno venendo meno.
La femminilizzazione del management internazionale significherebbe perciò che gli uomini hanno
cominciato a disertare quest’area per altre più ricche di ricompense e non il fatto che le donne siano riuscite
nell’intento di smantellare le barriere d’accesso a queste posizioni.

CAP. 11 IL PROCESSO DI RIENTRO: SFIDE PERSONALI E DI CARRIERA

IL RIENTRO NEL PAESE D’ORIGINE


Per le aziende essere in grado di trarre vantaggio dagli incarichi internazionali significa assicurarsi che i
manager espatriati restino in azienda al loro rientro e trasferiscano gli apprendimenti realizzati, sia in termini
di conoscenze che di abilità, a beneficio dell'intera organizzazione. In realtà, molte aziende internazionali
lamentano un elevato tasso di turnover e vedono come una sfida significativa la capacità di trattenere
queste risorse al loro interno al termine l'incarico all'estero.

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Il processo di rientro degli espatriati si rivela spesso uno dei momenti più duri di tutto il processo di espatrio,
sia dal punto di vista lavorativo che personale. Molte persone sperimentano al rientro una fase di
disadattamento, simile a quella vissuta all'arrivo nella destinazione estera, con senso di nostalgia, perdita e
smarrimento. I manager faticano a inserirsi in aziende dove chi è rimasto ha fatto carriera e che si sono
abituate alla loro assenza. Nonostante sia oggi più chiaro agli studiosi che questa parte del processo di
espatrio richiede una gestione attenta il rientro è ancora oggi una fase in genere sottovalutata.
Il processo che conduce a questa fase finale comincia prima ancora che abbia inizio l'incarico all'estero,
possiamo distinguere tre fasi:
1) una fase pre-partenza, in cui si mettono le basi per la gestione della fase di rientro già nella definizione
dell'incarico; azienda e manager dovrebbero chiarire le proprie aspettative/disponibilità reciproche al
termine del periodo, seppure in termini non vincolanti e modificabili. In questa fase l'azienda dovrebbe
creare un sistema formale di comunicazione con il dipendente, per mantenerlo aggiornato sui cambiamenti
nella casa madre che si verificano in sua assenza.
2) nella seconda fase, durante l'incarico lavorativo, si dovrebbe prevedere l’attività di scambio continuo di
informazioni relative al lavoro e allo sviluppo dell’headquarters, orientamento pre-rientro mano mano che il
momento si avvicina.
3) nella terza fase, al termine dell'esperienza, l'azienda dovrebbe fornire al manager non solo assistenza su
fattori non lavorativi (abitazione, scuole dei figli, riadattamento sociale), ma anche in merito alla
ricollocazione lavorativa e alla risocializzazione aziendale.
RIADATTAMENTO EMOTIVO
Gli individui che vivono una situazione di espatrio, non si aspettano di incontrare difficoltà nel riadattarsi alla
propria cultura di origine. La maggior parte degli individui soffrono di uno stress maggiore in questa fase,
che viene definita reverse culture shock (shock culturale inverso), rispetto al processo adattamento nel
Paese di espatrio. Sembra che l'esperienza di adattamento nel tornare in patria, sia molto più severa e
prolungata rispetto all'impatto con una nuova cultura. Inoltre chi meglio si adatta alla cultura ospite, sono
coloro che tendono ad avere maggiori difficoltà tornando a casa. In chi rientra e nella sua famiglia si
registrano vari sintomi:
▪ Senso di alienazione: ansia, depressione, sentimenti negativi verso la cultura e il modo di vivere del
Paese di origine (ciò che prima era accettato e ritenuto normale, cibo, traffico, smog, ritmo di vita, clima,
appaiono insopportabili);
▪ Negoziazione: si negano gli importanti cambiamenti personali avvenuti in seguito all’adattamento a una
cultura straniera.
▪ Fuga: rifiuto di integrarsi e desiderio intenso di tornare all'estero, si cerca di evitare il contatto con gli altri,
ci si sente intrappolati in una situazione senza via di uscita;
▪ Senso di colpa e inquietudine: per le proprie reazioni che non si sanno spiegare e che vengono giudicate
irrazionali da sé e dagli altri.
La prima e più ovvia spiegazione risiede nel fatto che le difficoltà sono inaspettate, mentre quando si
affronta l'espatrio le aspettative sono flessibili, al rientro le aspettative sono rigide, si è perciò impreparati ai
cambiamenti che sono avvenuti non solo nell'ambiente, ma anche in se stessi. Quando ci aspettiamo un
evento doloroso, le nostre difese psicologiche ed emotive agiscono in modo da prepararsi ad affrontarlo, ed
è ciò che accade durante l'espatrio. Ma nessuno si preoccupa del rientro a casa, dove tutto è o dovrebbe
essere familiare. Inoltre entrando in una nuova cultura le persone godono di una tolleranza da parte degli
ospiti, che concedono ai nuovi venuti di commettere errori e provare disagio; questo non accade in un
ambiente che dovrebbe essere quello più conosciuto, dove si ritorna le aspettative generali sono che le
persone tornino ad essere come prima che partissero.
Sussman ha applicato il concetto di identità culturale al rientro, e ha trovato che i diversi cambiamenti delle
identità culturali agiscono come predittori dei diversi esiti del rimpatrio. Nel modello vengono individuati 4
tipologie di identità culturale sviluppate dopo l'adattamento a una cultura:
1) Affermativo: comporta il rafforzamento dei sentimenti positivi verso il Paese d’origine, fatto che implica

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un processo di rientro positivo e poco stressante.
2) Sottrattivo e 3) additive: appartengono a individui che si sono integrati maggiormente nella cultura
ospite e che quindi avranno un’esperienza di rimpatrio più difficile.
4) Globale: appartiene tipicamente agli individui che hanno ripetute esperienze all’estero e che si sentono
parte di una società globale. Per costoro affrontare una nuova cultura non è drammatico e il ritorno a casa
non comporta problemi.
Al rientro in patria chi torna si sente arricchito e cambiato, mentre amici/colleghi/familiari sono rimasti tali e
quali a prima, e si aspettano lo stesso dal rimpatriato. Chi ha vissuto l’intensa esperienza all’estero
desidera comunicarla agli altri, ma si trova molto spesso davanti ad un muro di indifferenza. Molto spesso le
esperienze davvero significative non sono neppure facilmente comunicabili a chi non ha provato la
situazione di vivere in un Paese straniero. Senso di solitudine, incomprensione, incomunicabilità sono
sensazioni frequenti in questa fase. Si verifica di conseguenza una sorta di rottura comunicativa
interpersonale che causa dolori e frustrazioni.
RIADATTAMENTO LAVORATIVO
Vari studi dimostrano che per chi rientra la situazione professionale spesso non è soddisfacente, e per
questo cambiano lavoro. Alla base di ciò vi è una serie di difficoltà che hanno origine prevalentemente dallo
scostamento tra le attese degli individui e le realtà aziendali con cui si trovano a fare i conti. Chi espatria si
aspetta che la propria esperienza venga trattata come un arricchimento dell’azienda, che le nuove abilità e
conoscenze apprese si traducano in una crescita professionale o retributiva. Purtroppo in molti casi non è
così. Il problema dell'alto tasso di turnover tra chi torna può essere ascritto da un lato al cambiamento
intervenuto nelle persone e nell'organizzazione nel periodo di espatrio, e dall'altro lato alla mancanza di
efficaci piani di rientro da parte delle aziende. I problemi legati alla carriera siano uno dei fattori più citati
come problematici da chi rientra:
Mancanza di garanzia di reimpiego al termine dell’incarico: le aziende non sono sempre in grado, né voglio
uno garantire alla partenza, di avere a disposizione posizioni di lavoro adeguate al momento del rientro.
Questo fenomeno è presente in misura maggiore misura in aziende di medie dimensioni, che assumono il
candidato appositamente per l’incarico estero. Spesso la fine dell’incarico estero coincide con la fine del
contratto di lavoro, per impossibilità di ricollocare la figura nel Paese di origine.
• Posizione di lavoro e aspettative: Non è infrequente che la posizione di rientro non sia soddisfacente per
l'espatriato chi si aspetta un passaggio di carriera e la valorizzazione della sua esperienza.
• Perdita di visibilità legata all’assenza: L’espatriato sente che chi è rimasto in patria ha avuto più
opportunità di lui in termini di carriera e sviluppo, e pertanto si sente penalizzato.
• Perdita del reddito e status: è frequente il ridimensionamento della retribuzione al rientro, che viene
adeguata alla struttura retributiva aziendale. La perdita di molti vantaggi economici legati all’incarico
internazionale (premi, sussidi per la casa, scuole), costruisce una regressione del reddito familiare
(difficoltà economiche dovute ad esempio al fatto che il partner ha lasciato il lavoro per seguire
l’espatriato).
• Mancata valorizzazione dell’esperienza all’estero: il fatto che la posizione di lavoro assegnata al rientro
non sia quella che valorizza abilità/conoscenze acquisite durante l’incarico contribuisce a rinforzare la
sensazione, di chi rientra, che l’azienda non apprezzi e non tragga valore dal suo periodo all’estero.
• Riadattamento alla cultura e alle pratiche manageriali: Per chi rimpatria sarà più difficile il riadattamento
alla cultura organizzativa e alle pratiche lavorative dell’organizzazione di partenza.
Pertanto, per chi espatria, al rientro le difficoltà organizzative si sommano a quelle emotive. L'impatto del
reverse culture shock sulla famiglia del rimpatriato e le difficoltà di reinserimento professionale del partner,
sono un cocktail micidiale che si ripercuote sul manager; la gran parte delle aziende non tiene conto di tutto
ciò, non comprendendo che questo può comportare difficoltà future nel trovare persone disposte a trasferirsi
e a un alto tasso di turnover.

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GESTIRE IL RIENTRO
Harvey cita 3 ragioni per cui le aziende non si occupano della fase di rientro dell’espatriato:
• Mancanza di esperienza nell’avviare programmi specifici;
• Il costo delle iniziative;
• Il convincimento dei top management che tali programmi non siano necessari.
Altri autori sostengono che i top manager non si occupano di tali misure perché i problemi del rimpatrio non
sono così visibili, come quelli dell'espatrio, almeno fino al momento delle dimissioni dei dipendenti. Durante
l'incarico all’estero l'organizzazione tende a dimenticare che gli espatriati fanno parte del management
team, allenta la comunicazione e non li considera nei piani di carriera. Quasi sempre la valutazione della
loro performance è delegata all'organizzazione ospite perciò la casa madre non è in grado di utilizzare la
loro esperienza e le loro conoscenze quando tornano. Lazarova e Caligiuri hanno identificato 3 pratiche
che le aziende possono mettere in campo nei confronti degli espatriati che rientrano: segni tangibili che
l’azienda valuta la loro esperienza internazionale, sessioni di career planning e comunicazione con
l’azienda relativamente ai dettagli del processo di rientro. Le azioni da intraprendere per rendere questa
fase meno traumatica e più fruttuosa dal punto di vista lavorativo, sono:
• Pianificare il rientro prima ancora di partire, in fase di selezione. Si può delineare un repatriation
agreement, con cui l'azienda fornisce al candidato garanzie scritte sulla durata dell'incarico, sulla
disponibilità di una posizione mutualmente accettabile al rientro e sulle aspettative reciproche e
performance attese.
• Fornire programmi di riorientamento al manager e alla famiglia, per aiutare a superare più agevolmente
e consapevolmente le difficoltà che si incontrano al rientro
• Fornire assistenza finanziaria e fiscale personalizzata, aiutare nella ricerca della casa e dare supporto
per il reinserimento lavorativo del partner e scolastico dei figli.
• Favorire un clima organizzativo ricettivo a riconoscere e alleviare i problemi di chi rimpatria, in modo da
facilitare anche atteggiamenti proattivi da parte dei manager e dei loro familiari nell’affrontare questa
fase.
• Assegnare un mentore che segua l’espatriato durante tutto il periodo all'estero e lo aiuti nel
reinserimento lavorativo e sociale al rientro. Questa persona funge anche da sponsor interno per
rappresentare interessi di carriera e lavorativi di chi è lontano.
• Durante l'espatrio istituire procedure formali per mantenere i contatti e le comunicazioni tra casa madre
ed espatriato (report o visite).
• Stabilire procedure e politiche che valutino sistematicamente e valorizzino nell'organizzazione le abilità
acquisite durante l'incarico internazionale. Espressioni visibili di apprezzamento del valore
dell’espatriato per l’azienda.
STRATEGIE PROATTIVE INDIVIDUALI
Ci sono molte cose che i rimpatriati e le loro famiglie devono fare per minimizzare l'impatto del rientro,
specialmente quando si sentono supportate dall’organizzazione. Alcuni suggerimenti:
• Essere consci di quel che sta per avvenire già prima della fase di rientro, senza dare per scontato un
facile inserimento;
• Prevedere un periodo di decompressione che consenta un passaggio meno brusco da una situazione
all’altra (es: una breve vacanza);
• Trovare il modo di comunicare e di condividere la propria esperienza con altri che ci sono già passati, e
possono suggerire modi per affrontare lo stress da rientro;
• Mantenere i contatti con gli amici del Paese che si è lasciato (Internet/tecnologie);
• Portare con sé artefatti, vestiti, ricette, fotografie provenienti dalla cultura che si è lasciata;
• Continuare a leggere pubblicazioni del Paese ospite, guardare programmi televisivi, ascoltare radio,
cucinare e mangiare cibo a cui si era fatta l’abitudine.

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CAP. 12: LA GESTIONE DEI TEAM MULTICULTURALI

I TEAM GLOBALI
Possiamo definire i team globali come “gruppi culturalmente diversificati, strutturalmente dinamici,
geograficamente distribuiti tra diverse sedi e i cui membri collaborano per raggiungere un obiettivo globale
utilizzando le tecnologie della comunicazione e dell’informazione “. A questi team le aziende chiedono di
creare un vantaggio competitivo significativo, mettendo a lavorare insieme persone con conoscenze
specifiche, abilità, esperienze, approccio al lavoro diversificati. I vantaggi dei team internazionali includono:
- Incoraggiare la coesione tra unità nazionali e funzionali;
- Creare network laterali che migliorino la comunicazione e il flusso di informativo tra
sussidiaria/casa madre e tra le sussidiarie stesse;
- Fornire opportunità ai membri del team di capire problematiche internazionali;
- Dare occasioni alle persone coinvolte di imparare come agire in culture diverse con fornitori, clienti
e colleghi;
- Aumentare il trasferimento della conoscenza e l’apprendimento organizzativo.
Non sempre tuttavia le aspettative sugli esiti positivi del lavoro di gruppo si realizzano, dato le ricerche
mostrano che i team multiculturali tendo ad avere performance o molto alte o molto basse, mentre team
culturalmente omogenei hanno solitamente performance medie. Le differenze culturali, sono da un lato
fonte di conflitti tra i membri del gruppo che danno per scontati i valori norme e comportamenti, dall'altro
sono proprio queste differenze che forniscono il potenziale di innovazione, creatività e valore
LA DIVERSITA’ CULTURALE
La diversità dei membri è un fattore che riguarda sia la provenienza dai Paesi, ma anche le culture, livelli
organizzativi e background professionali. Le difficoltà inoltre riguardano anche l'aspetto comunicativo.
Alcuni studiosi individuano 2 categorie di problemi che possono costituire un ostacolo al successo del team
multiculturale: la differenza tra la comunicazione diretta e indiretta (in alcune culture il significato di un
messaggio è implicito nella maniera in cui questo viene proposto) e i problemi con l'accento e la
padronanza della lingua.
Un’altra dimensione culturale da non sottovalutare è l’orientamento dei membri del team verso il lavoro, il
quale può essere influenzato dalla loro appartenenza culturale. La differenza sta tra le culture individualiste,
che mettono più enfasi sul raggiungimento di obiettivi e risultati individuali, e collettiviste che danno più
importanza raggiungimento degli obiettivi di gruppo e al mantenimento dell’armonia.
Un'altra dimensione importante sul quale incidono le differenze culturali è la distanza dal potere, che si
riferisce direttamente al rispetto e all’accettazione della gerarchia. Gli appartenenti a culture ad alta
distanza di potere hanno a cuore la gerarchia e lo status che ne deriva, mentre coloro che provengono da
culture a bassa distanza tendono a minimizzare le differenze in questo senso e a seguire un approccio più
egualitario. Questa diversità influenza il livello di formalità del gruppo, la possibilità di attuare una
condivisione delle conoscenze, la partecipazione alle riunioni.
Secondo alcuni autori i team multiculturali di successo sono quelli che riescono a interagire seguendo 3
principi di base: a) mappare le differenze e farle emergere, b) comunicare e agire tenendo le differenze
esplicitamente in considerazione nel lavoro, c)integrare i membri attorno a idee che emergono dal team
stesso, monitorando costantemente la partecipazione delle persone, risolvendo i disaccordi e creando
nuove prospettive. Riguardo a questo punto, gli HR manager devono dunque svolgere il ruolo di facilitatori
nel superare i problemi legati alle diversità culturali dei membri del team, prima di tutto sensibilizzando le
persone sull’esistenza di tali barriere e difficoltà, incoraggiando stili di comunicazione e di lavoro in gruppo
che le minimizzino, poi fornendo training e supporto e strutture di comunicazione adatti, oltre che
progettando sistemi di ricompensa, opportunità di carriera e incentivi che non risultino discriminanti verso le
altre culture.
LA DISPERSIONE GEOGRAFICA
Una delle difficoltà più grandi nei team composti da membri che non risiedono nello stesso spazio fisico è la

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condivisione della conoscenza tacita e situata, dato che i membri del team dislocati in posti diversi tendono
a dare per scontata la conoscenza del contesto a cui appartengono e ad avere difficoltà a esplicitarla e
condividerla con gli altri membri del gruppo. Questo fatto porta a incomprensioni, confusione e conflitti tra i
membri del team. Inoltre l'appartenenza a fusi orari diversi rende ancora più difficoltoso innescare le
sinergie e il coordinamento delle azioni/informazioni necessarie. Altre difficoltà derivano dall’appartenere a
contesti organizzativi differenti, che determinano diverse strutture retributive, formative, di politiche e prassi.
I manager HR possono aiutare a superare queste difficoltà organizzando incontri periodici all'interno del
team in uno stesso luogo o consentendo i viaggi dei membri per facilitare l'allineamento degli obiettivi, il
trasferimento della conoscenza tacita e l’identificazione con il gruppo. Incentivi e premi legati alla
collaborazione di gruppo i risultati di team possono aumentare l'impegno dei singoli.
LA DIPENDENZA DALLE TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE
I membri dei team virtuali devono acquisire nuove abilità per essere in grado di comunicare
elettronicamente, non solo facendo funzionare una varietà di strumenti, ma imparando nuovi modi di
esprimersi, di comprendere gli altri e gli ambienti virtuali che riducono la presenza sociale e con esso gli
importantissimi segnali che caratterizzano la comunicazione faccia a faccia. Le conseguenze di questa
mancanza si ripercuotono sia sul contenuto della comunicazione, che sulla percezione degli altri
(impossibilità della comunicazione non verbale). Inoltre la comunicazione attraverso la tecnologia avviene
spesso in modo asincrono, riducendo l'immediatezza e l'efficacia dei feedback. Utilizzare sempre dei media
molto ricchi può essere impossibile per questioni di tempi, costi, fuso orario. Più complesso è il messaggio
da condividere, nel senso del contesto e dei punti di vista diversi, più le tecnologie devono essere
sofisticate affinché permettano un maggior livello di presenza sociale e feedback.
LA STRUTTURA DINAMICA
Una sfida ulteriore proviene dalla struttura dinamica e mutevole dei team globali. Molti di questi team sono
di breve durata e basati sul completamento di progetti, quindi i membri del team collaborano solo
temporaneamente. Sono spesso composti da membri provenienti da organizzazioni diverse, fatto che
spesso scoraggia i partecipanti a condividere conoscenze proprietarie, superando i confini organizzativi di
appartenenza. Inoltre il turnover dei membri del team e l'incertezza sulla durata, rendono difficile garantire
continuità e certezza, stabilire relazioni coese e la condivisione di conoscenza. Questi problemi possono
aggravarsi dove si costituiscono team composti con persone assunte temporaneamente per lavorare su
specifici progetti.
STRUMENTI PER AFFRONTARE LE SFIDE
Per superare le difficoltà messe in luce, i manager HR possono attivare alcuni meccanismi di
coordinamento specifici e alcune strategie strutturali:
1. Il primo è quello che possiamo definire mediazione culturale: un meccanismo informale che risulta
efficace nel coordinamento delle interazioni dei team globali. Si tratta di persone che fanno da ponte
culturale tra i diversi membri del gruppo, facilitando la comprensione reciproca e le relazioni grazie al
possesso di un’abilità definita “lateralità”, che indica la capacità di lavorare e di relazionarsi efficacemente
con persone con background culturali o funzionali, conoscenze e abilità diverse.
2. Il secondo meccanismo di coordinamento da attivare è l'identificazione: cioè il senso di appartenenza
dei membri del team. Attraverso questa gli individui mantengono un senso di legame sociale con gli altri
individui che facilita la comunicazione, la comprensione reciproca e il senso di un obiettivo comune. Questo
processo aumenta la fiducia interpersonale, la cooperazione, la coesione del gruppo, il desiderio di
rimanere in tale gruppo. Gli sforzi delle organizzazioni in questa direzione devono essere elevati: attività ed
eventi di team building, creazioni spazi fisici, simbolici ed elettronici dedicati.
3. Un altro strumento di coordinamento importante è costituito dalla creazione di documentazione scritta
dei processi, delle attività e delle norme del gruppo. Documentare è un meccanismo che preserva la
continuità spazio-temporale del gruppo a dispetto del turn over che si può verificare tra i suoi membri,
conserva la conoscenza, aiuta la definizione chiara delle fasi del processo e delle norme che devono

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essere esplicitamente negoziate tra i membri, se lasciati impliciti possono generare conflitti e tensioni.
Inoltre permette di aiutare l'esplicitazione e la condivisione delle conoscenze accumulate dal gruppo.
4. Per risolvere le difficoltà del team possono essere utili anche interventi strutturali. Si tratta di una
riorganizzazione del team o una riassegnazione degli incarichi appositamente rivolta a ridurre le tensioni
interpersonali o a rimuovere le fonti di conflitto.
5. L'estromissione di alcuni membri del team da parte del leader, è un intervento ultimo che va adottato
quando le emozioni raggiungono il culmine e la situazione è difficile da salvare.
Il ruolo dei manager HR è quello di aiutare i leader a costruire e sviluppare queste abilità e competenze soft
in aggiunta alle tradizionali competenze tecniche, dato che essi giocano un ruolo cruciale come facilitatori di
processi che differiscono di molto dai più abituali ruoli di capo gerarchico o esperto. I membri del team
devono essere formati e aiutati a sviluppare espliciti protocolli di comunicazione che documentino i processi
del team, assistiti nella creazione di archivi, data base di sistemi di knowledge management che preservino
la conoscenza accumulata dal team.

CAPITOLO 13: LA FAMIGLIA AL SEGUITO

LA FAMIGLIA AL SEGUITO
I partner al seguito fronteggiano nuovi compiti e nuove aspettative, e nel caso ci siano figli ci sono sfide
aggiuntive da affrontare (cambio scuola o abbandono amici). Nello stesso tempo l'espatriato spesso è
soggetto a maggiori responsabilità sul lavoro, viaggia molto e ha meno tempo da dedicare alla famiglia:
oltre a fronteggiare le sfide della novità dell’incarico, dei colleghi e del contesto; dunque gli espatriati hanno
bisogno di adattarsi ai nuovi ruoli e nuove responsabilità familiari. Il successo dell’incarico internazionale è
fortemente influenzato dall’ adattamento al Paese straniero non solo dell’espatriato, ma anche del partner e
di tutti i membri della sua famiglia. In generale, il supporto del partner sembra giocare un ruolo cruciale
nell’adattamento degli individui a una nuova cultura e il benessere di chi lo accompagna ha un impatto sulle
performance lavorative dell’espatriato. Diversi studi hanno evidenziato che l'incapacità del coniuge di
adattarsi all’espatrio è fra le 2 cause più frequentemente citate per spiegare il fallimento della missione e il
rientro anticipato. Paradossalmente le organizzazioni sembrano ancora prestare poca attenzione al
problema della capacità della famiglia di adattarsi all’espatrio. I partner non sempre entrano in un
programma di training e supporto.
L’ADATTAMENTO
Shaffer e Harrison hanno ipotizzato che l’adattamento del partner consista in 3 dimensioni:
• Adattamento generale: cultura, lingua, costumi del Paese ospite;
• Adattamento relazionale: costruire relazioni interpersonali con i locali;
• Adattamento personale: capacità di sviluppare un senso di appartenenza che fa sentire la persona a
proprio agio nel Paese straniero.
Gli autori ritengono che raggiungere un positivo adattamento in tutte e 3 le dimensioni dipende dalla
possibilità dell'individuo di ricostruire la propria identità nella nuova cultura. Nella loro ricerca, gli autori,
hanno trovato che l'abilità di padroneggiare la lingua straniera è il fattore che influenza maggiormente la
capacità di ridefinire la propria identità, permette non solo di destreggiarsi meglio nelle attività quotidiane,
ma anche di costruire un network sociale e di esprimere se stessi, questo permette la capacità di ridefinire
la propria identità e quindi adattarsi meglio.
In particolare l'apertura mentale e la stabilità emotiva sono apparse fortemente collegate all’adattamento
psicologico e sociologico. A livello familiare, la coesione della famiglia e l'adattabilità, hanno mostrato di
avere un grande impatto sul livello di soddisfazione generale del coniuge.
COPPIE CON DOPPIA CARRIERA
Dual career = dove entrambi i partner lavorano e sono materialmente e psicologicamente impegnati in
attività professionali indipendenti.
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Ancora oggi la maggior parte delle coppie in cui entrambi i partner lavorano sono lasciate sole ad affrontare
i problemi dell’espatrio. Le soluzioni per il partner esistono, e sono:
• Assistenza nell’ottenimento del permesso di lavoro e altre pratiche burocratiche (es:
riconoscimento del titolo di studio);
• Assistenza e orientamento prima della partenza e durante la permanenza per conoscere il mercato
del lavoro e le opportunità di studio;
• Career counselling e contatti per facilitare la ricerca di un lavoro;
• Copertura dei costi relativi a un’attività di studio del partner;
• Offerta di una posizione interna all’organizzazione o ad essa collegate;
• Compensazione della mancata retribuzione per il lavoro abbandonato nell’espatrio;
• Supporto al rientro per riprendere la carriera interrotta.
I FIGLI DEGLI ESPATRIATI
Gli effetti di un trasferimento internazionale sui bambini possono essere molto positivi, ma anche molto
difficile gestire. Il modo in cui i genitori vivono la fase di adattamento al nuovo Paese, ha un forte impatto
sui figli, che ne vengono influenzati nel proprio processo di accettazione della nuova situazione. Questi
cambiamenti, uniti alla mancanza della famiglia allargata di origine, fanno sì che i legami familiari si
stringono e danno vita alla struttura familiare più coesa.
L’età in cui si affronta l'espatrio è un altro elemento importante:
• Per i bimbi in età prescolare, i genitori sono il riferimento primario, per cui possiamo dire che la loro casa
è dove sono i genitori e i legami esterni alla famiglia non sono ancora significativi.
• Durante il periodo scolare i bambini soffrono nel dire addio al loro ambiente abituale (casa, amici, sport,
giochi). La transizione è più facile se avviene durante l’anno, quando le attività scolastiche sono in pieno
regime, più difficile in estate quando le occasioni di incontro con i coetanei sono ridotte.
• L’adolescenza è il momento più difficile in cui affrontare sia l’espatrio che il rientro a casa. Gli
adolescenti devono già affrontare il cambiamento del loro corpo, la definizione della propria identità, per
cui i cambiamenti che un espatrio porta con sé possono aggiungere una buona dose di difficoltà e
confusione. A questa età altri interessi, come sport e hobby, sono già strutturati e definiti e può essere
complicato trovare un'adeguata soddisfazione di queste esigenze nel Paese ospite.
Le preoccupazioni riguardanti la scuola solo un altro tema importante dell’espatrio anche se le reti di scuole
internazionali ormai disponibili nelle principali città di molti Paesi. Il cambiamento di sistema scolastico,
specialmente durante gli anni della scuola superiore, non è consigliato in quanto le differenze nei curricula e
nella sequenza degli argomenti può penalizzare i risultati scolastici.
Vantaggi dei figli espatriati: lo scambio precoce con culture diverse incoraggia la tolleranza e la
comprensione delle differenze, mentre scoraggia il formarsi di pregiudizi e l'eccessiva importanza attribuita
agli status symbol. In genere questi bambini sono più aperti alle differenze, hanno una visione più ampia
dei valori, non sono spaventati dal viaggio e dal contatto con nuovi ambienti, hanno amici di diverse
nazionalità, comunicano bene con gli adulti e sono a loro agio in diverse lingue, sviluppano uno spiccato
senso dell’orientamento al servizio sociale verso chi ha bisogno e da ultimo sviluppano forti legami familiari
(unica entità stabile).

CAP.14.LE SFIDE DEL MANAGEMENT DELLE RISORSE UMANE INTERNAZIONALI: LA GESTIONE


DELLA CONOSCENZA E DEI TALENTI GLOBALI

LA GESTIONE DELLA CONOSCENZA COME COMPETENZA DISTINTIVA GLOBALE


Le risorse di conoscenza sono diventate negli ultimi anni una fonte di vantaggio competitivo per tutte le
aziende, sono “la chiave del progresso economico”.
Nel modello metanazionale, teorizzato da Doz, si individua come strategia di successo nell'economia
della conoscenza la capacità delle aziende di intendere la globalizzazione come un problema di
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apprendimento del mondo, anziché come un problema di penetrazione dei mercati.
La conoscenza è un complesso insieme di know-how, valori ed esperienze, dispersa attraverso le reti
globali delle organizzazioni, e come tale, proprio per la sua caratteristica di essere tacita è difficile da
reperire e condividere. Il saper mettere in circolo la conoscenza dispersa, al fine di riuscire a creare
prodotti e servizi innovativi, e a trasferirla lì dove serve, ovvero nelle unità operative, diventa una sfida per
far sì che il vantaggio competitivo di una multinazionale non sia legato alla localizzazione, ma alla capacità
dell'azienda.
Un efficace sistema di knowledge management all’interno di una multinazionale dovrebbe essere in grado
di individuare la conoscenza dove si sviluppa, mappare il suo valore potenziale e fornire un rapido ma
efficace trasferimento ed eventualmente adattamento in altre situazioni locali. In assenza di questo
processo, le risorse e le conoscenze sviluppate, si perdono nei meandri delle strutture formali
dell'organizzazione.
La conoscenza base di un’organizzazione è articolata: riguarda il chi (detiene il capitale sociale), il cosa
(risorse, clienti, mercati), il come (processi, procedure), il perché (motivi strategici, significati, logica).
Szulanski identifica 4 fattori che possono influenzare il trasferimento:
• Il tipo di conoscenza del trasferire;
• Le capacità organizzative;
• La fonte della conoscenza;
• Il ricevente e il contesto organizzativo nel quale il processo avviene.
Una complessità riguarda le caratteristiche delle organizzazioni coinvolte nell’apprendimento e nel
trasferimento di conoscenza. In particolare si parla di capacità di assorbimento delle aziende coinvolte nel
trasferimento. La capacità di assorbimento dipende dalla similarità tra le aziende in termini di strutture
organizzative, politiche e logiche dominanti legate all’uso e alla commercializzazione della conoscenza
prodotta. Non ultime la lingua e le barriere culturali rendono problematica la distinzione tra conoscenza
implicita ed esplicita (possono essere interpretate differentemente nelle diverse culture). In passato, l’abilità
delle multinazionali era quella di trasferire la conoscenza dai Paesi più sviluppati ai mercati meno sviluppati,
e la maggior parte della conoscenza tacita trasferita dagli espatriati. Con il passare degli anni, lo studio di
come connettere la conoscenza insita nelle sussidiarie dei diversi Paesi, è diventato un elemento
manageriale cruciale, una vera competenza distintiva tipica delle multinazionali.
Questo obiettivo porta le multinazionali a creare un’azienda “boundaryless”, senza confini, tentando di
produrre un’organizzazione che vede il cambiamento come opportunità. Senz’altro le nuove tecnologie, le
video-conferenze, Skype ecc. hanno contribuito notevolmente ad agevolare questi processi. Ma non
dobbiamo confondere il trasferire le informazioni, rispetto alla possibilità di trasferire le conoscenze.
La sfida del trasferimento della conoscenza per l’HRM è quindi connessa alla cosiddetta “guerra dei talenti”.
Trattenere le persone a fronte della difficoltà di pianificare le loro carriere in contesti ad elevata dinamicità,
fa sì che la retention delle persone sia notevolmente spostata sulla possibilità di trasferire in loro la
conoscenza tacita nell’azienda e in tutte le sue sedi e trasferire il know-how a tutti i suoi membri. In questa
direzione, compito dell’IHRM è di gestire i “temi globali”, ovvero la costruzione di competenze, employer
branding e la gestione dei talenti. Alcuni studiosi suggeriscono delle linee guida:
• Incoraggiare la diversità e focalizzarsi sulla selezione: Le aziende dovrebbero cercare di creare un
ambiente divergente, dove far proliferare le idee e allo stesso tempo progettare processi convergenti, per
far incontrare le idee.
• Progettare una “geometria variabile” di stili manageriali: essa comprende l’abilità delle persone e
delle organizzazioni ad adattare in modo appropriato il loro stile manageriale, alternando in modo
flessibile convergenza e divergenza, orientamento globale e locale.
• Costruire una cultura basata sulla fiducia e sulla reciprocità: collegare le persone in modo
costruttivo per costruire la cosiddetta “competenza distintiva globale”. Le pratiche di IHRM possono
intervenire in tal senso, costruendo rapporti di impiego di lungo periodo, sviluppando e diffondendo una

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visione e degli obiettivi condivisi, socializzazione di norme condivise, di linguaggi e valori → capitale
sociale.
• Sviluppare il capitale sociale imprenditoriale: Il ruolo dell’IHRM in questa direzione è di favorire la
mobilità. La partecipazione a forum e ad incontri incoraggia lo sviluppo di network, anche all’esterno
dell’organizzazione.
MECCANISMI PER SVILUPPARE LA CONOSCENZA TRA LE PERSONE NELL’AZIENDA GLOBALE
All’interno del contesto è importante sviluppare dei meccanismi intraorganizzativi per mettere in
connessione le persone. Chiaramente il meccanismo più semplice è costituito dai contatti personali, in
quanto la maggior parte delle innovazioni deriva da incontri casuali tra le persone. I contatti possono essere
favoriti dal costruire dei team di innovazione cross-nazionali, di cui ne esistono 4 tipi:
• Team classico: le persone con un retaggio culturale simile sono tutte posizionate nello stesso posto e
socializzano normalmente indipendentemente dal loro background nazionale o funzionale.
• Team della diaspora (opposto al precedente): esemplifica la situazione in cui degli espatriati
fortemente socializzati tra loro sono mandati all’estero e rivestono una funzione di collegamento nel
network globale di innovazione. Lavorano in posti diversi, ma possono condividere un contesto comune
attraverso la socializzazione con le persone della sussidiaria. Questi espatriati hanno un doppio ruolo,
come agenti locali e come custodi del sapere dell'impresa globale.
• Team torre di Babele: dove i rappresentanti di diverse culture sono rimpatriati nell’HQ, evitando in
questo modo il rischio di una possibile perdita di socializzazione.
• Team virtuale: non condivide né il contesto né la localizzazione, la loro probabilità di successo
nell’ambito dell'innovazione è bassa.
Altri meccanismi possibili a disposizione delle multinazionali per favorire l’innovazione a livello globale
sono:
- Posizionamento delle persone: mettere la persona giusta lì dove ci sono delle incertezze, e dove la
necessità di raccogliere info e di elaborarle è più alta;
- Centri di eccellenza (COE): unità organizzativa che ingloba un insieme di capacità organizzative. I COE
hanno la responsabilità di rendere le conoscenze disponibili in tutta l’azienda globale e di attivarsi per
incrementala e aggiornarla sempre. Le caratteristiche fondamentali dei COE sono:
• Hanno identità fisica, piuttosto che virtuale, non identificata come sussidiaria in sé;
• Agiscono come punti centrali per l’accumulazione di capacità competitive relativamente sia a risorse
tangibili sia intangibili (conoscenza, know-how);
• Il ruolo e titolo di COE viene riconosciuto fintanto che l’unità contribuisce allo sviluppo delle
competenze dell’intera organizzazione, tramite accumulo e diffusione della conoscenza.
È possibile identificare 3 tipi di centri nelle aziende globali di servizi:
Carismatici (un individuo);
Focalizzati (un piccolo gruppo di esperti in un solo posto, come i centri di competenza);
Virtuali (un gruppo di più specialisti in più posti, collegati tra di loro mediante database).
I centri di eccellenza rappresentano un meccanico formale per la diffusione della conoscenza.
LA GESTIONE DEI TALENTI GLOBALI
Il tema dei talent globali è una delle principali sfide della gestione risorse umane internazionali, a cui sono
affidate diverse attività:
• Portare le giuste competenze lì dove servono;
• Diffondere le conoscenze e pratiche attraverso l’organizzazione, indipendentemente da dove si sono
generate;
• Identificare i talenti globali.
Gestione dei talenti globali vuol dire riuscire ad allocare le persone giuste al posto giusto e con le
competenze giuste e un buon livello di motivazione. L’IHRM necessita dunque di strumenti, metodi e
processi per raggiungere questo risultato. Parlare di employer branding, strumento di eccellenza per
l’attrazione di talenti, vuol dire ampliare i confini delle risorse umane fino a includere attività e strumenti di
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marketing. Tutto ciò si traduce in un nuovo ruolo per l’HR di headquarters o la funzione IHRM: accanto ai
ben noti ruoli dell’HR, le pressioni derivanti dall’internazionalizzazione hanno portato a identificare 4 nuovi
ruoli:
• campione di processi: gestire in modo il più efficace ed efficiente possibile la catena di fornitura dei
talenti attraverso attività di pianificazione strategica della forza lavoro, la mappatura del mercato del
lavoro e l'employer branding.
• guardiano della cultura: Questo ruolo riguarda la diffusione dei sistemi dei valori organizzativi a livello
globale, per far sì che si sviluppi una vera e propria cultura del talento e una consapevolezza
dell’employer brand a livello globale. Compito dell’HR è che le persone vivano in un clima che
incoraggia la mobilità e la valorizzazione della diversità
• leadership ed intelligence del network: Si traduce così nel gestire un buon network all’interno e
all’esterno dell'organizzazione, facilitando la collaborazione e la costruzione di un capitale sociale. La
gestione del network da parte delle risorse umane internazionali si traduce nell'identificare le
connessioni che si vengono a creare nella popolazione dei talenti, al di là dei confini geografici o
organizzativi
• manager della ricettività interna: che accoglie tutta una serie di tematiche che vanno dalla
gestione della diversità, alla gestione della carriera e del work life balance. Il corporate IHRM
svolge una posizione dall'alto, per osservare i flussi di talenti e per poter modificare pratiche e
policy delle risorse umane.

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