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(Quacquarelli)
Preappello frequentanti 17/12/2020
Domande aperte:
Rappresenta uno stato di stress mentale e fisico che deriva dal contatto con una cultura completamente differente dalla propria con
conseguente perdita di riferimenti della vita emotiva, cognitiva e pratica.
L’espatrio pone un individuo in un contesto totalmente differente dal proprio e inizialmente il contatto con persone che parlano una
lingua differente e che hanno una cultura differente può essere molto difficile. La lingua, quindi rappresenta la prima barriera, ma
anche la comunicazione non verbale lo è in quanto è difficile quando i gesti, simboli che ci sono stati insegnati e che vengono
utilizzati inconsciamente non vengono più riconosciuti.
Il culture shock può essere più o meno violento, in base alla distanza che vi è tra la cultura di origine e la cultura di destinazione.
Possiamo descrivere il culture shock come modello di evoluzione che segue le diverse fasi dell’adattamento alla vita in un
paese straniero. Il modello è denominato anche modello a U o W a seconda che le fasi comprendano anche la fase di
rientro al paese d’origine:
1^ FASE: Luna di miele
Per l’espatriato tutto è nuovo, stimolante ed eccitante. La città deve essere visitata, il cibo è diverso rispetto a quello a cui si è
abituati, il paesaggio è diverso. Tutta questa fase è accompagnata da una sensazione di euforia, ma dura solo qualche settimana.
2^ FASE: Negoziazione
Tutto quello che era sembrato eccitante all’inizio, diventa fastidio. È difficile farsi capire, comprendere le abitudini della nuova
cultura, adattarsi al cibo, trovare dei punti di riferimento. Questa fase è associata a dei sentimenti di tristezza, frustrazione,
depressione, ansia.
3^ FASE: Adattamento
Dopo circa 6-12 mesi tutto ciò che sembrava completamente diverso inizia a risultare familiare, iniziano a stabilirsi le nuove routine
che scandiscono le giornate e danno un senso di appartenenza. La lingua si inizia a masticarla e vi sono meno incomprensioni
linguistiche. La persona torna a sentirsi in equilibrio e con un obiettivo.
Gli stadi del processo si presentano in tempi diversi e ciascun individuo ha il suo modo personale di reagirvi.
L’idea è che le persone esposte a influenza culturali eterogenee possano essenzialmente accettare o resistere al fatto di diventare
multiculturali.
Il modello di Berry classifica le possibili risposte individuali in 4 categorie:
Assimilazione: l’espatriato, specialmente quando la cultura ospitante gode di uno status più elevato rispetto a quella di partenza,
rigetta la sua cultura di origine e adotta la nuova cultura convertendosi completamente.
Separazione: la cultura ospite viene del tutto rifiutata rafforzando le norme della cultura di origine; questo atteggiamento porta a
forme di segregazione ed etnocentrismo.
Marginalizzazione: le due culture sono percepite sullo stesso piano, ma come incompatibili. L’individuo oscilla tra le
due ma non si sente di appartenere a nessuna delle due.
Integrazione: le due culture sono percepite alla pari e compatibili fra loro. L’espatriato diviene un soggetto
multiculturale e si sente a suo agio in entrambe. Queste persone sono definite “mediatori”.
Questo modello è stato criticato per il suo presupposto implicito che l’esperienza di vivere in una cultura diversa, genera
emozioni negative.
Il rientro è una fase in genere sottovalutata nel suo impatto sia dagli individui che dalle imprese che invano all’estero i propri
dipendenti. È con grande amara sorpresa che i manager e le loro famiglie realizzano che tornare a casa è per certi versi più difficile e
doloroso che partire.
Si sviluppa nell’espatriato e nella famiglia un senso di alienazione nei confronti della cultura del paese di origine, una negazione nei
confronti dei cambiamenti personali che si sono verificati e un’intensa voglia di fuggire. L’espatrio è accompagnato da una
preparazione psicologica al cambiamento, al doversi riadattare, mentre per quanto riguarda il rientro questo non avviene. Un
individuo pensa che tornerà nel paese d’origine senza troppi problemi in quanto nulla è cambiato e il luogo di rientro è un luogo
molto conosciuto. La delusione e il sentimento di tristezza derivano proprio da questo, l’espatriato è venuto a contatto con diverse
prospettive, con una nuova cultura, ha maturato nuove esperienze che fanno percepire la dimensione limitata del paese di origine.
2. Come si gestisce una supply chain a livello globale e con che scopo
Cos’è la Supply chain: Quando si parla di supply chain è possibile incontrare il concetto di catena di valore. Essa si riferisce al
flusso completo che un prodotto attraversa dalla fase di produzione fino alla sua vendita.
È possibile individuare tre grandi fasi principali o anelli della supply chain:
● Approvvigionamento: si riferisce al come, dove e quando richiedere le materie prime necessarie per realizzare la
produzione.
● Produzione: è l'attività di fabbricazione vera e propria in cui si utilizzano le materie prime.
● Distribuzione: comprende tutte le operazioni che portano alla consegna di un determinato bene al cliente. È il risultato del
lavoro di distributori, magazzini, retailer e piattaforme digitali.
Di particolare importanza è la logistica, che gestisce la supply chain globale e rappresenta l’insieme delle attività e strategie che
un’impresa mette in atto per gestire i flussi di materiali, lo stoccaggio delle materie prime e la distribuzione dei propri prodotti,
minimizzandone il costo e massimizzando il livello di servizio al cliente, stabilendo quindi un vantaggio competitivo.
Una delle metodologie più utilizzate dalla logistica delle imprese globali (soprattutto del settore manifatturiero) è il metodo Just in
time.
Questa filosofia si basa sul risparmio dei costi di mantenimento delle scorte, facendo si che i materiali arrivino all’impianto di
produzione appena in tempo per entrare nel processo di produzione, aumentando la rotazione delle giacenze.
Il limite di questo modello è che non avendo scorte di riserva, si rischia di non poter rispondere rapidamente a eventuali aumenti
della domanda e/o proteggere l’azienda da mancanze legate ad interruzioni nella fornitura.
Alcuni modi per sopperire a questo rischio è rifarsi a vari piccoli fornitori non dipendendo da uno solo e utilizzare sistemi IT per
sopperire alla rapidità dell’aumento della domanda.
Le imprese, infatti, utilizzano in misura crescente sistemi di scambio elettronico dei dati (EDI) per coordinare il flusso di materiali
lungo le operations e fino ai clienti.
Questi sistemi richiedono collegamenti tra i sistemi informatici dell’impresa e quelli dei suoi fornitori e spedizionieri, che vengono
utilizzati per: comunicare gli ordini ai fornitori, segnalare le parti spedite, tracciare i materiali e i componenti durante il trasporto e
registrare il loro arrivo.
Gli effetti che essi hanno sono legati all’immediatezza della comunicazione tra i vari attori della catena di valore, alla maggiore
flessibilità e reattività del sistema di fornitura, ad eliminare documenti cartacei e pertanto snellire la burocrazia.
I sistemi basati sul Web stanno rapidamente trasformando la gestione di supply chain globale, permettendo anche alle
imprese più piccole di ottenere un miglior bilanciamento tra offerta e domanda.
Poiché il numero di imprese che adottano questi sistemi è in aumento, quelle che non lo usano si trovano con uno svantaggio
competitivo significativo.
Sviluppare e dislocare talenti culturalmente preparati è divenuta una sfida importante per le aziende che operano a livello globale.
L’insieme delle questioni critiche affrontate dalle multinazionali, in relazione all’ impiego di persone della casa madre in paesi ove si
trovano le sussidiarie, per coprire posizioni chiave negli headquarter o nelle operazioni locali all’ estero si chiama staffing globale.
La selezione di queste figure resta un elemento critico per ottenere un elevato livello di successo nell’incarico. Molti studiosi, infatti,
collegano la performance degli espatriati ad un efficace processo di selezione.
Le organizzazioni necessitano di operare in un ambiente sempre più globale per avere successo e dunque i loro manager devono
sviluppare un insieme di abilità e competenze che li mettano in grado di dare il contributo in un contesto internazionale ed
estremamente competitivo.
Il manager globale, infatti, deve possedere le seguenti caratteristiche:
Saper capire contesti e culture differenti, saper adattare il proprio stile di gestione, gestire l’incertezza, bilanciare globale e locale,
aver consapevolezza delle opportunità e dei limiti dei mercati e della propria organizzazione in un’ottica globale.
Le ricerche inoltre hanno dimostrato che le ricerche hanno dimostrato che fattori psicologici e di personalità ( estroversione,
amabilità, coscienziosità, stabilità emotiva e apertura mentale), caratteristiche individuali, competenze linguistiche, esperienze
internazionali precedenti, influenza della famiglia, durata dell’incarico e buona disposizione verso il trasferimento, sono tutti fattori
cruciali per predire la buona riuscita di un espatriato e che quindi dovrebbero essere inclusi nei criteri di selezione degli incarichi
internazionali.
Attualmente però, le procedure di selezione sono ancora poco strutturate, spesso non in linea con gli obiettivi di business dichiarati
e sostanzialmente basate su due criteri principali: le competenze tecniche per la posizione e le prestazioni precedenti.
Questo avviene perché: è difficile valutare caratteristiche personali come abilità interpersonali e sensibilità culturale, la maggioranza
degli incarichi ricoprono posizioni vacanti per cui è necessario un alto grado di specializzazione tecnica e perché spesso si incappa
nel cosiddetto “coffee- machine system” che rischia di rendere opaco e poco equo il processo di selezione, effettuando di per sé una
pre- selezione a cui sono invitati solo i dipendenti che fanno parte del network di conoscenze aziendali dei selezionatori.
Secondo Harris, occorre invece potenziare i sistemi formali di selezione, considerando l’impatto che i giudizi di natura personale dei
reclutatori potrebbero avere sul processo di selezione.
Il bacino più comune di reclutamento degli espatriati è spesso il mercato interno. Questo porta sicuramente dei vantaggi come:
avere già conoscenza diretta delle performance, abilità, personalità e situazioni familiari del candidato, conoscenza dei valori
aziendali da parte del candidato, costo del lavoro più basso per selezione interna, adattamento alla situazione più rapido rispetto ai
candidati esterni, possibilità di far valere questo tipo di reclutamento come percorso di carriera e/o mobilità interna.
Per evitare le opacità dovute a questo metodo e garantire trasparenza al processo di selezione è utile ricorrere a strumenti come il
job posting per le autocandidature e/o utilizzo di sistema informativo del personale, dove contenere un inventario di tutti i
dipendenti, che facilità l’identificazione di quelli ad alto potenziale.
Tra le best practices nel reclutamento interno, è molto importante fornire ai candidati, accurate e veritiere presentazioni del lavoro
e dei rischi dell’incarico, solo così il candidato potrà crearsi aspettative adeguate, aumentare il proprio senso di auto-efficacia,
prendere la decisione giusta sulla base di dati realistici e valutando ogni aspetto dell’opportunità proposta.
Qualora il mercato interno non soddisfi le necessità di reclutamento e/o si voglia creare una competizione tra mercato interno ed
esterno, è possibile attivare un processo di selezione attingendo a candidature esterne.
Questo metodo ha come vantaggi: la possibilità di inserire in azienda nuove competenze, ibridando la cultura aziendale con
contestuale riduzione dell’obsolescenza; attivare concorrenza tra lavoratori interni ed esterni.
Gli strumenti di ricerca nel mercato esterno sono numerosi e l’impresa può decidere di combinarli a seconda del tipo di
figura ricercata, ottimizzando il loro utilizzo rispetto ai costi, ai tempi e alle caratteristiche dei candidati, ad esempio:
Ricorso a società di executive search o di headhunting (processo di scrematura e selezioni dei candidati attraverso consulenti
esterni), reclutamento attraverso internet al fine di aumentare il bacino di utenza raggiungibile a costi contenuti e velocemente (siti
aziendali, siti di recrutiment, social network), reclutamento diretto da università e master (targhettizzando in partenza la selezione).
Data l’importanza dei tratti personali per la selezione degli espatriati, i test di personalità e psicologici sono tra gli
strumenti utilizzati ma occorre fare attenzione poiché i test di personalità non possono prescindere dal fatto che i tratti
di personalità non sono definiti e valutati nello stesso modo in culture differenti.
L’utilizzo di assessment center può essere molto utile nella selezione dei manager internazionali, in quanto mette in luce
le carenze o le doti dei candidati relativamente a capacità di ascolto, comunicazione, flessibilità, empatia culturale,
orientamento al lavoro di team.
4. Cosa sono i team multiculturali e quali sono le sfide che devono affrontare?
Nell’economia attuale le organizzazioni multinazionali richiedono sempre di più alle persone di lavorare in team che superino gli
usuali confini geografici e culturali. Possiamo definire team globali gruppi culturalmente diversificati, strutturalmente dinamici,
geograficamente distribuiti tra diverse sedi e i cui membri collaborano per raggiungere un obiettivo globale utilizzando le tecnologie
della comunicazione e dell’informazione.
A questi team le aziende chiedono di creare un vantaggio competitivo significativo mettendo a lavorare insieme persone con
conoscenze specifiche, abilità, esperienze, approccio al lavoro diversificati e vari.
I vantaggi di questi team sono: la possibilità di creare coesione tra unità nazionali e funzionali, creare network che migliorino la
comunicazione e i flussi di informazioni, dare la possibilità ai membri del team di comprendere problematiche internazionali e di
settori diversi aziendali locati in nazioni diverse, fornire l’occasione ai membri di imparare a confrontarsi e rapportarsi con nuove
culture, aumentare il trasferimento della conoscenza e l’apprendimento organizzativo.
Secondo Evans, questa tipologia di team è l’unità base dell’economia globale in quanto possiede tutte le premesse per fornire
soluzioni innovative facendo leva su diversi fattori come: la possibilità di selezionare le eccellenze tra i dipendenti di diverse sedi,
possibilità di sfruttare la differenza di fuso orario a proprio vantaggio (se mando una mail alle 18.00 la sera il collega americano mi
risponderà nella notte perché per lui è giorno), acceddo ai mercati internazionali con costi minori, sfruttando la possibilità di non
dover finanziare viaggi o soggiorni di lungo periodo.
Non sempre, tuttavia, le aspettative sugli esiti positivi del lavoro di gruppo si realizzano, dato che i team globali si confrontano anche
una serie di sfide.
La differenza tra team e performance elevata e team a performance scarsa sta nel modo in cui questi gestisco la diversità.
Differenze culturali, infatti, sono da un lato fonte di conflitti tra i membri del gruppo che danno per scontati i valori norme e
comportamenti, dall'altro sono proprio queste differenze che forniscono il potenziale di innovazione. I team multiculturali sembrano
funzionare meglio infatti, nelle situazioni dove sono richieste innovazione e creatività, mentre sono poco produttivi dove i compiti
sono più standardizzati e routinari.
Le sfide che questi team devono affrontare sono legate a: differenze culturali, dispersione geografica, dipendenza dalle tecnologie
della comunicazione, la propria struttura dotata di alto grado di dinamicità.
1. I team globali hanno altissimo grado di diversità culturale, non solo per la provenienza dei propri membri, ma anche per
l’appartenenza degli stessi a culture, livelli organizzativi e background professionali differenti.
Le differenze di contesto di provenienza dei membri del team si traducono dunque in norme, aspettative e comportamenti
riguardanti il lavoro, che sono diversi tra loro e che vanno accordati per far sì che il team possa funzionare efficacemente. Ad
esempio, risulta particolarmente importante l’aspetto comunicativo legato all’ accento e/o la differenza tra culture che utilizzano
una comunicazione diretta (occidente, significato del messaggio esplicito e chiaro) e quelle che utilizzano una comunicazione
indiretta (oriente , significato implicito), queste differenze possono avere effetti disastrosi sul rapporto di lavoro, specialmente
quando il team si trova in difficoltà l’inglese è ritenuto la lingua internazionale degli affari ma gli accenti la mancata padronanza della
lingua ai problemi e traduzione o di uso possono essere causa di fraintendimenti e frustrazioni.
Un’altra dimensione da non sottovalutare è l’orientamento dei membri del team verso il lavoro, il quale può essere influenzato
dalla loro appartenenza culturale. La differenza sta tra le culture individualiste (Usa, GB, GER- enfasi sul raggiungimento degli
obiettivi e risultati individuali) e collettiviste (CINA, BRAS, SINGAPORE- enfasi sugli obiettivi di gruppo e al mantenimento
dell’armonia).
2. Anche la distanza dal potere, che si riferisce all’accettazione e rispetto della gerarchia, influisce molto sulla buona riuscita di un
team globale, gli appartenenti a culture ad alta distanza di potere (Francia, India, Giappone) hanno a cuore la gerarchia lo status che
ne deriva, mentre coloro che provengono da culture a bassa distanza come (Stati Uniti e Svezia) tendono a minimizzare le differenze
in questo senso e a seguire un approccio più egualitario.
Questa diversità influenza il livello di formalità del gruppo, la possibilità di attuare una condivisione delle conoscenze, la
partecipazione alle riunioni.
I team multiculturali di successo sono quelli che riescono a interagire seguendo 3 principi di base: mappare le differenze e farle
emergere, comunicare e agire tenendo le differenze esplicitamente in considerazione nel lavoro e infine integrare i membri attorno
a idee che emergono dal team stesso monitorando costantemente la partecipazione delle persone, risolvendo i disaccordi e creando
nuove prospettive.
Riguardo a questo punto HR manager devono dunque svolgere il ruolo di facilitatori nel superare i problemi legati alle diversità
culturali dei membri del team, prima di tutto sensibilizzando le persone sull’esistenza di tali barriere e difficoltà incoraggiando stili di
comunicazione e di lavoro in gruppo che le minimizzino, poi fornendo training e supporto e strutture di comunicazione adatti, oltre
che progettando sistemi di ricompensa opportunità di carriera e incentivi che non risultino discriminanti.
3. Un’ altra difficoltà riguarda la dispersione geografica, in quanto i membri del team non risiedono nello stesso spazio fisico e
pertanto, vi è difficoltà nella condivisione della conoscenza tacita e situata dato che i membri del team dislocati in posti diversi,
tendono a dare per scontata la conoscenza del contesto a cui appartengono e ad avere difficoltà a esplicitarla e condividerla con gli
altri membri del gruppo. La coesione e identificazione con il team, è messa a dura prova da questi problemi perché la distanza fisica
e la mancanza di incontri faccia a faccia può portare a dimenticare i membri più distanti e periferici del team e ad avere ripercussioni
sulla comunicazione.
I manager HR possono aiutare a superare queste difficoltà organizzando incontri periodici all'interno del team in uno stesso luogo o
consentendo i viaggi dei membri per facilitare l'allineamento degli obiettivi.
La dipendenza dalle tecnologie ricopre una sfida molto importante per i team multiculturali. Queste tecnologie sono essenziali per
permettere di sviluppare il lavoro in maniera flessibile, coordinandosi tra zone e orari diversi, ma alcuni hanno controindicazioni. I
membri dei team virtuali devono acquisire nuove abilità per essere in grado di comunicare elettronicamente non solo facendo
funzionare una varietà di strumenti, ma imparando nuovi modi di esprimersi, di comprendere gli altri e gli ambienti virtuali che
riducono la presenza sociale e con esso gli importantissimi segnali che caratterizzano la comunicazione faccia a faccia. La mancanza
dei luoghi e modalità di socializzazione informale in questi gruppi può rallentare la conoscenza e l'accettazione reciproca dei
membri e il trasferimento di informazioni. Le ricerche hanno dimostrato che per far funzionare le relazioni elettroniche i processi di
socializzazione e di comunicazione sociale sono importanti sia che si stabilisca attraverso riunioni periodiche, sia che avvenga
attraverso la comunicazione mediata dalla tecnologia.
In generale le linee guida per un'adeguata comunicazione nei team virtuali sono 2:
- accoppiare la tecnologia con il messaggio, la frequenza della comunicazione, il tipo di compito e la sua fase di avanzamento.
- più complesso è il messaggio da condividere, nel senso del contesto e dei punti di vista diversi, più le tecnologie devono
essere sofisticate.
5. Infine, è utile menzionare la dinamicità e mutabilità della struttura dei global team. Molti di questi team sono di breve durata e
basati sul completamento di progetti. Sono spesso composti da membri provenienti da organizzazioni diverse, fatto che spesso
scoraggia i partecipanti a condividere conoscenze proprietarie, o con persone assunte temporaneamente per lavorare su
specifici progetti.
La valutazione delle performance di questi dipendenti è difficile sia per i manager dell'azienda a cui sono assegnati, che per i loro
capi distanti migliaia di chilometri e loro livello di coinvolgimento resta scarso dato la temporaneità della situazione. I benefit forniti
ai membri permanenti del gruppo, come training e i passaggi di carriera, non si applicano a questi impiegati temporanei.
In poche parole:
Hybrid- dual based approach: approccio - rende più agevole l’applicazione - Complicazione nei calcoli per
abbastanza recente. del trattamento indicato in convertire il salario base del
valute ≠, riducendo le paese di origine in valuta locale.
Prevede la suddivisione del trattamento
conseguenze delle oscillazioni - Disparità tra espatriati in uno
in 2 parti distinte legate alla realtà del
dei cambi. stesso paese, provenienti da
paese di origine e a quella di
paesi ≠.
destinazione, quest’ultima influenzerà i
trattamenti esteri che saranno
equivalenti per tutte le persone di
qualunque origine che operano in un
determinato paese.
6. Quali sono le strategie con cui una impresa può decidere di operare a livello internazionale (Porter)?
La strategia può essere definita come l’insieme di azioni che i manager devono intraprendere per raggiungere gli obiettivi
dell’impresa.
Per la maggior parte delle imprese, lo scopo principale è massimizzare il valore d’impresa per i suoi proprietari.
Per fare ciò il management deve aumentare redditività aziendale e il tasso di crescita dei suoi profitti.
La crescita del profitto è misurata dall’aumento percentuale dei profitti netti nel tempo.
Si può aumentare redditività riducendo costi o assumendo strategie che, aggiungendo valore al prodotto, permettano di
aumentare i prezzi.
L’aumento del tasso di crescita dei profitti può legarsi a strategie per incrementare le vendite nei mercati esistenti o entrare in
nuovi mercati. L’espansione a livello internazionale può aiutare ad aumentare entrambi.
Il modo per aumentare la redditività di un’impresa è creare più valore. L’ammontare di valore che un’impresa crea è misurato dalla
differenza tra i suoi costi di produzione e il valore che i consumatori associano ai suoi prodotti.
Michael Porter afferma che ci sono due strategie di base per creare valore e ottenere un vantaggio competitivo in un settore:
- La strategia low-cost, suggerisce che un’impresa ha alti profitti quando crea più valore per i suoi clienti e lo fa imputando ai
propri prodotti un costo inferiore.
- La strategia di differenziazione, suggerisce che un’impresa ha maggior redditività quando aumenta la capacità di attrazione
del prodotto, differenziandolo dagli altri, così che i consumatori stessi riconoscano il valore del prodotto e siano disposti a
pagare un sovrapprezzo per averlo.
Tuttavia, creare un valore maggiore non vuol dire per forza che l’impresa abbia i costi più bassi del mercato e/o crei prodotti di
maggior valore rispetto alle concorrenti ma, è necessario quindi che il GAP tra V= valore e C= costo del prodotto sia maggiore di
quella ottenuta dai concorrenti (miglior rapporto qualità/ prezzo).
Porter osserva che è importante per un’azienda esplicitare le proprie scelte strategiche per creare valore e ridurre i costi,
configurandone le operazioni interne al fine di supportarla.
Per scegliere la strategia migliore occorre che i manager tengano in considerazione 3 vantaggi fondamentali:
1. Scegliere una posizione praticabile, basata sulla reale esistenza di una domanda sufficiente per supportare la propria
scelta.
2. Organizzare le operations interne in modo da sostenere tale posizione.
3. Assicurarsi che la struttura organizzativa aziendale sia coerente con la strategia che si vuole realizzare.
Ogni impresa si compone di una serie di attività distinte (operations) che creano valore ovvero: Attività primarie (R&S, Produzione di
beni e servizi, Marketing, e vendita, Costumer service) e Attività di supporto che offrono input per realizzare le primarie (Gestione
dei materiali e logistica, Risorse umane, Sistemi informativi, Infrastruttura dell’impresa)
L’espansione a livello globale permette alle imprese di incrementare la redditività e il tasso di crescita dei profitti con modalità non
disponibili alle aziende che si limitano al mercato domestico, infatti, le imprese che operano a livello internazionale sono in grado di:
Espandere il mercato dei propri prodotti domestici; Realizzare economie di localizzazione dislocando le singole attività di creazione
del valore; Realizzare maggiori economie di costo; Ottenere un maggior ritorno sfruttando ogni competenza utile sviluppata nelle
operations estere.
Un’impresa, ad esempio, può aumentare il suo tasso di crescita prendendo i beni e servizi sviluppati nel mercato domestico e
vendendoli a livello internazionale e/o sfruttando le competenze distintive ( capacità interne all’ impresa che i concorrenti non
possono facilmente raggiungere, che sono alla base del vantaggio competitivo di un’impresa e le permettono di ridurre i costi di
generazione del valore) dei diversi paesi, trasferendole anche alle filiali all’estero attraverso una condivisione di esperienze e
competenze (es: Starbucks).
La scelta della strategia da perseguire non è affatto semplice. Prima di tutto deve tenere conto di economie di scala (riduzione dei
costi all’ aumento del volume di produzione di un bene), effetti di apprendimento (risparmio sui costi che si origina dal learning by
doing) ed economie di localizzazione (economie che sorgono dalla realizzazione di un’ attività di creazione del valore nella località
ottima per quella attività) successivamente, occorre calcolare anche la necessità di adeguare l’offerta dei prodotti alle condizioni
locali, che spesso non consento di sfruttare a pieno le competenze distintive di un paese in paesi differenti (es MC Donald).
Fatte queste premesse, è possibile individuare 4 diverse strategie da adottare, a seconda del rapporto tra pressione per la riduzione
dei costi e pressione per l’adattamento locale.
Alta
Strategia di Strategia
standardizzazione transnazionale
Pressione per la globale
riduzione dei costi
Strategia Strategia di
internazionale localizzazione
Bassa
Bassa Alta
Strategia di standardizzazione globale (alta pressione sui costi/ bassa pressione sull’adattamento locale)
Lo scopo è produrre prodotti standardizzati a basso costo. Questa strategia è efficace, infatti, dove le pressioni sulla riduzione dei
costi sono forti, e c’è bassa domanda di adattamento locale. Ottima quindi per la riduzione costi e la bassa domanda di
personalizzazione locale in quanto non prevede la personalizzazione del prodotto.
Strategia di localizzazione (alta pressione sull’ adattamento locale/ bassa pressione sui costi)
Lo scopo principale è il massimo adattamento locale si focalizza sull’aumento redditività attraverso l’adattamento dei beni o servizi
dell’impresa per adeguarsi a gusti o preferenze dei mercati locali. Le imprese che la adottano tendono ad operare con strutture
globali per area geografica, all’interno delle quali le decisioni operative sono delegate a filiali nazionali funzionalmente indipendenti.
Adattando l’offerta alla domanda l’impresa accresce il valore del suo prodotto sul mercato locale, ma la personalizzazione non
permette di sfruttare le riduzioni di costo associate alla produzione di massa.
Strategia transnazionale (alta pressione sull’ adattamento locale/ alta pressione sui costi)
Per affrontare la concorrenza, le imprese si impegnano alla riduzione dei costi, a trasferire le competenze distintive, ponendo
attenzione alle pressioni dell’adattamento locale. Si focalizza infatti, sul raggiungimento simultaneo delle economie di
localizzazione e di esperienza, sulla reattività alle esigenze locali e sull’apprendimento globale, con conseguente trasferimento
delle conoscenze dalla filiale estera al paese di origine.
È davvero difficile da perseguire a causa delle contraddittorie domande poste dall’ azienda:
- Bisogno di coordinamento elevato, che si traduce nello sviluppo di meccanismi formali e informali come strutture matriciali
formali e network informali di gestione informali
- Elevato livello di interdipendenza
- Significative ambiguità di performance che aumentano i costi di controllo
- Occorre coltivare una cultura forte e stabilire incentivi che promuovano la collaborazione a più livelli
Strategia internazionale (bassa pressione sull’ adattamento locale/ bassa pressione sui costi)
Questa strategia è efficace se l’impresa affronta deboli pressioni all’adattamento locale e alla riduzione dei costi in quanto crea
valore trasferendo le competenze distintive dalle unità domestiche alle controllate estere che non hanno concorrenti locali.
La sede centrale ha il controllo centralizzato sulle competenze distintive, esercita poi uno stretto controllo su R&S, marketing e
produzione che sono sviluppate localmente, successivamente i beni prodotti per il mercato domestico vengono venduti a livello
internazionale con minimo adattamento locale.
Il tallone di Achille della strategia internazionale è che nel tempo inevitabilmente emergono concorrenti e quindi potrebbe non
essere attuabile nel lungo termine.
Quando la concorrenza si fa più intensa, strategia internazionale e localizzazione sono meno praticabili, meglio optare per una
strategia di standardizzazione globale e/o transnazionale.
7. Strategie al rientro degli espatriati, dal punto di vista dell’individuo e la possibilità di avere un atteggiamento proattivo
Per le aziende, essere in grado di trarre vantaggio dagli incarichi internazionali significa assicurarsi che i manager espatriati restino in
azienda al loro rientro e trasferiscano gli apprendimenti realizzati, sia in termini di conoscenze che di abilità, a beneficio l'intera
organizzazione.
In realtà, molte aziende internazionali lamentano un elevato tasso di turn over e vedono come una sfida significativa, la capacità di
trattenere queste risorse al loro interno al termine l'incarico all'estero.
Le ragioni di questa difficoltà vanno ricercate nelle sfide poste dal processo di rientro degli espatriati. Esso si rivela spesso uno dei
momenti più duri tutto il processo di espatrio. Molte persone sperimentano al rientro una fase di disadattamento simile a quella
vissuta all'arrivo nella destinazione estera.
Nonostante sia oggi più chiaro agli studiosi che questa parte del processo di espatrio richiede una gestione attenta il rientro è ancora
oggi una fase in genere sottovalutata.
Gli studiosi Suustari e Valimaa hanno distinto ulteriormente il riadattamento al lavoro in 2 dimensioni: riadattamento
all'organizzazione e allo specifico contenuto della mansione.
Dal punto di vista emotivo, la maggior parte degli individui, soffre di uno stress maggiore in questa fase rispetto al processo
adattamento nel paese di espatrio.
Gli individui, infatti, passano attraverso una nuova fase di assestamento che viene definita reverse culture shock, che si colloca
nell’ultima fase del modello della curva a W, nel quale ai periodi di adattamento della nuova cultura segue la fase di riadattamento
alla propria al momento del rientro.
In chi rientra e nella sua famiglia si registrano vari sintomi:
- Senso di alienazione: ansia, depressione sentimenti negativi verso la cultura e il modo di vivere del paese di origine.
- Negoziazioni: si negano gli importanti cambiamenti personali avvenuti in seguito all’adattamento a una cultura straniera
- Fuga: rifiuto di integrarsi e desiderio intenso di tornare all'estero
- Senso di su colpa e inquietudine: per le proprie azioni che non si sanno spiegare e che vengono giudicate irrazionali da sé e
dagli altri. Questo perché quando si affronta l’espatrio si è preparati al cambiamento ( si alzano le difese psicologiche),
quando invece si rimpatria le difficoltà sono inaspettate.
Chi ha vissuto un’altra cultura per un tempo significativo, si è sforzato di adattarsi ed è passato attraverso una crisi che ha
modificato la propria mentalità e ha ridefinito la propria identità e il modo di guardare le cose.
Sussman, infatti, ha applicato il concetto di identità culturale al rientro e ha trovato che le diverse tipologie di cambiamento delle
identità culturali agiscono come predittori dei diversi esiti del rimpatrio. (a seconda di come ci si è adattati alla nuova cultura,
cambia il modo in cui ci si riadatta alla propria).
Nel modello vengono individuate 4 tipologie di identità culturale sviluppate dopo l’adattamento:
- Affermative: comporta il rafforzamento dei sentimenti positivi verso il Paese d’origine, fatto che implica un processo di
rientro positivo e poco stressante
- Sottrattive e additive: appartengono a individui che si sono integrati maggiormente nella cultura ospite e che quindi
avranno un’esperienza di rimpatrio più difficile
- Globali: appartiene tipicamente agli individui che hanno ripetute esperienze all’estero e che si sentono parte di una società
globale. Per costoro affrontare una nuova cultura non è drammatico e il ritorno a casa non comporta problemi.
Chi ha vissuto l’esperienza di espatrio intensamente, sviluppa una spiccata capacità di analisi e valutazione della società d’ origine,
che non si accetta più in modo acritico ma piuttosto si guarda con gli occhi di un outsider. Inoltre, si desidera comunicare la propria
esperienza agli altri ma ci si trova molto spesso davanti ad un muro di indifferenza che crea un senso di solitudine, incomprensione,
incomunicabilità.
Dal punto di vista lavorativo, chi espatria si aspetta che la propria esperienza venga trattata come un arricchimento dell’azienda.
Purtroppo, in molti casi non è così. Diversi studi hanno dimostrato che i manager rimpatriati vengono incontro a cocenti delusioni
su questo fronte e che le aziende spesso perdono le conoscenze e le skill dei propri manager, che rientrano per incapacità di
metterle a frutto e successivamente cambiano azienda, avviando un processo di turnover e perdita della conoscenza.
Il problema è aggravato dall’incapacità delle direzioni RU di riconoscere le difficoltà e le peculiarità della situazione di chi rimpatria
e della sua famiglia. Nell’accettazione di un incarico internazionale una delle motivazioni più forti è lo sviluppo di carriere; perciò,
non sorprende che l’ansia e i problemi legati alla carriera siano uno dei fattori più citati.
Cause di questa ansietà sono:
- Mancanza di garanzia di reimpiego
- Differenza tra la posizione di lavoro effettiva e le aspettative
- Perdita di visibilità legata all’assenza
- Perdita del reddito e status
- Mancata valorizzazione dell’esperienza all’estero
- Riadattamento alla cultura organizzativa e alle pratiche manageriali
- Pianificare il rientro prima ancora di partire si può delineare un repatriation agreement con cui l'azienda fornisce al
candidato garanzie scritte sulla durata dell'incarico, sulla disponibilità di una posizione mutualmente accettabile al rientro e
sulle aspettative reciproche.
- Fornire programmi di ri-orientamento al manager e la famiglia per aiutare a superare più agevolmente consapevolmente le
difficoltà che si incontrano al rientro
- Fornire assistenza finanziaria e fiscale personalizzata aiutare nella ricerca della casa e dare supporto per il reinserimento
lavorativo del partner e scolastico dei figli
- Favorire un clima organizzativo ricettivo a riconoscere e alleviare i problemi di chi rimpatria in modo da facilitare anche
atteggiamenti proattivi da parte dei manager e dei loro familiari nell’affrontare questa fase
- Assegnare un mentore che segua l’espatriato durante tutto il periodo all'estero e lo aiuti nel reinserimento lavorativo e
sociale al rientro
- Durante l'espatrio istituire procedure formali per mantenere i contatti e le comunicazioni tra casa madre ed espatriato
- Stabilire procedure e politiche che valutino sistematicamente e valorizzino nell'organizzazione, le abilità acquisite durante
l'incarico internazionale
Si tratta quindi di misure tese a diminuire l'ansia e l'incertezza di chi espatria anticipando rendendo note le condizioni di rientro fin
dall'inizio della missione chiarendo gli obiettivi, garantendo sostegno e comunicazione.
Dal punto di vista del lavoratore, è possibile superare le difficoltà da rimpatrio attraverso un’atteggiamento proattivo ovvero è
necessario:
- Essere consci di quel che sta per avvenire già prima della fase di rientro, in modo da anticipare e prefigurare il percorso
tipico di riadattamento all’ambiente di origine
- Prevedere un periodo di decompressione che consenta un passaggio meno brusco da una situazione all’altra
- Trovare il modo di comunicare e di condividere la propria esperienza con altri che ci sono già passati, sanno di cosa si
tratta e possono suggerire modi per affrontare lo stress da rientro
- Mantenere i contatti con gli amici del Paese che si è lasciato
- Portare con sé artefatti, vestiti, ricette, fotografie provenienti dalla cultura che si è lasciata
- Continuare a leggere pubblicazioni del paese ospite, guardare programmi televisivi, ascoltare radio, cucinare e mangiare
cibo a cui si era fatta l’abitudine.
(già domanda 3)
Secondo lo studioso olandese Trompenaars, la cultura è il modo in cui un gruppo di persone risolve i problemi.
Le sue ricerche si concentrano su come sono gestite le organizzazioni e su come sono affrontati i problemi aziendali in un certo
setting culturale.
Analizza le culture nazionali sulla base di sette dimensioni:
1. Universalismo vs particolarismo: l’approccio universalistico applica regole e sistemi in modo oggettivo, non considerando le
circostanze individuali; mentre le culture particolaristiche pongono attenzione agli obblighi delle relazioni e alle circostanze uniche e
sono più soggettive anteponendo l’obbligo verso le relazioni.
2. Individualismo vs collettivismo: ovvero se viene data prevalenza agli interessi individuali o a quelli di gruppo.
3. Culture specifiche vs culture diffuse: i manager nelle culture specifiche separano lavoro e relazioni personali mentre nelle culture
diffuse c’è un’espansione dal lavoro alle relazioni personali e viceversa.
4. Relazioni neutrali vs emotive/affettive: il focus è sull’orientamento emotivo delle relazioni e quindi, quanto mostrare le
emozioni? Alcune culture sono affettive, nel senso che le emozioni sono mostrate; altre culture sono neutrali nel senso che le
emozioni sono controllate e frenate
5. Achievement vs attribuzione: c’è un orientamento all’achievement se viene data maggiore importanza a quello che le persone
raggiungono rispetto allo status che viene loro attribuito, in questo caso la fonte di status e di influenza è basata sull’achievement
individuale. In una società orientata all’attribuzione, le persone stabiliscono lo status sulla base della classe, dell’età, del genere, di
appartenenza
6. Culture sequenziali vs sincroniche: sequenziale = quando il tempo viene inteso come una serie di eventi che passano; sincronico
= quando si interpreta il passato, presente e futuro come se fossero interrelati.
7. Controllo interno vs esterno: risponde al quesito su quanto noi siamo in grado di controllare il nostro ambiente e quanto
possiamo cambiarlo.
Il principale pregio di questo modello è fornire degli esempi pratici di come opera la cultura sul luogo di lavoro.
Un primo importante schema di analisi per comprendere le culture si ritrova nella distinzione tra:
- culture a struttura complessa: in esse la prima cosa che va stabilita è un certo grado di fiducia sociale, all’interno della
quale sono valorizzate le relazioni personali e la buona volontà. Gli accordi avvengono sulla base di fiducia generale che si è
creata tra le persone. (Es.: cultura cinese, coreana, giapponese e vietnamita)
- culture lineari: il business è anteposto alla relazione. L’esperienza e i risultati raggiunti negli affari contano più di ogni altra
casa, e ogni accordo è preso alla base di un contratto specifico e legalmente vincolante con negoziazioni condotte in modo
più efficiente possibile. (Es.: cultura tedesca, svizzera, scandinava e nordamericana).
- la comunicazione: esistono culture con comunicazione a basso contesto in cui l’intenzione è esplicita e il messaggio è
chiaro, in cui si ricerca l’informazione di cui si ha bisogno individualmente senza condividere con gli altri (USA, e Nord
Europa) e culture con comunicazione ad alto contesto dove l’intenzione e/o il significato è espresso attraverso il contesto,
ruoli sociali e posizioni e in cui si usa molto la comunicazione non verbale e para verbale. In queste culture le informazioni si
ottengono attraverso reti di relazioni personali come famiglia, amici, conoscenti. (Cina, Corea, Giappone, Messico, culture
arabe) Esempio: la negoziazione nelle culture ad alto contesto è conclusa con la stretta di mano, per le culture a basso
contesto la stretta di mano e solo precedente al contratto e alla negoziazione vera e propria.
- la percezione del tempo: le culture in cui il tempo è percepito come monocronico (USA, Svizzera, Scandinavia, Germania) si
è orientati a fare una cosa alla volta poiché il tempo è limitato, scandito dall’orologio e lineare pertanto occorre
segmentarlo per raggiungere un obiettivo futuro. Nelle culture in cui il tempo è policronico (Italia, cultura araba, africata,
latino-americana) ci si orienta a fare più cose insieme poiché il tempo è inteso come flessibile e multidimensionale, in cui
passato presente e futuro si intrecciano e rendono il tempo flessibile.
- La percezione dello spazio: ci sono culture ad alto contatto, in cui è presente un’alta esposizione sensoriale (Italia) e
culture a basso contatto in cui c’è un profondo rispetto per lo spazio personale (Cina, Giappone)
Gli studi di Hall sono spesso citati nella letteratura manageriale in quanto le incomprensioni culturali in azienda sono riscontrabili a
diversi livelli: a livello dei valori e a livello dell’interazione.
Modello di Hofstede
La modalità in cui la cultura di una società influenza i valori propri dell’ambiente lavorativo è di fondamentale importanza per
un’impresa internazionale.
Lo studio più famoso su come la cultura sia collegata ai valori negli ambienti di è quello di Hofstede che raccolse dati sulle attitudini
e i valori degli impiegati dell’IBM, tra 1967 e ‘73 potendo paragonare dimensioni culturali tra 40 paesi.
Isolò quindi 4 dimensioni che sintetizzassero diverse culture:
1. Distanza di potere 🡪 la posizione in classifica di una cultura riguardo a questa dimensione dipende dalla capacità particolare
della società di affrontare le disuguaglianze. Paesi a bassa distanza sono USA, UK, paesi scandinavi. Paesi ad alta distanza
sono i paesi latini, asiatici e africani.
2. Individualismo (occidente) vs collettivismo (oriente)🡪si focalizza sulla relazione tra l’individuo e i suoi colleghi. Nelle società
individualistiche legami blandi e si dà molto valore al successo individuale, mentre in quelle collettiviste si suppone che
ognuno agisca per il bene collettivo.
3. Avversione all’incertezza 🡪 misura il grado in cui diverse culture integrano i propri membri nell’accettazione di situazioni
ambigue e nella tolleranza dell’'incertezza. Alta avversione all’incertezza (grecia, portogallo, francia e belgio) danno molto
valore alla sicurezza del lavoro, piani di supporto, regolamenti e norme. Quelle con minor avversione ( Asia, africa, paesi
anglosassoni e scandinavi) sono più propense ad assumere rischi e meno resistenza emotiva al cambiamento.
4. Mascolinità (italia, giappone, austria, venezuela, svizzera, messico, irlanda) / femminilità (culture scandinave)🡪 Guarda alla
relazione tra genere e posizione di lavoro. Misura quindi il livello d’importanza dato da una cultura a valori maschili
stereotipici come assertività, ambizione, potere e materialismo, nonché a valori femminili stereotipici come l’enfasi data
alle relazioni umane. Le culture mascoline in genere hanno differenze più rilevanti tra i sessi e tendono a essere più
competitive e ambiziose. Quelle con punteggi bassi mostrano meno differenze tra i sessi e danno un valore maggiore allo
sviluppo di relazioni.
Molte scoperte di Hofstede sono consistenti con gli stereotipi standard occidentali sulle differenze culturali.
5. Orientamento al lungo o breve termine ovvero il dinamismo confuciano (grazie al contributo di Bond) 🡪 indica in che
misura gli individui sono orientati verso il futuro, pianificando e risparmiando, e quanto sono ancorati al presente e al
passato, con un rispetto della tradizione e degli obblighi sociali ad essa associati. Nell’orientamento a lungo termine sono
considerati importanti i valori della persistenza e della perseveranza, le relazioni sono ordinate attraverso lo status e c’è un
forte orientamento delle persone a risparmiare e ad essere modesti nel proprio modo di essere. L’orientamento a lungo o
breve termine influenza l’orientamento temporale della strategia, i comportamenti negoziali e il peso dei ritualismi nella
socializzazione organizzativa.
Hofstede arrivò a dimostrare che paesi con alti tassi di crescita economica avevano punteggi maggiori su dinamismo confuciano e
bassi su individualismo, ma la tesi viene smontata da Usa che ebbero alto individualismo e basso dinamismo confuciano ed ebbero
comunque alto sviluppo economico.
Questa analisi multidimensionale consente di raggruppare i Paesi che esprimono proprietà culturali comuni.
Emergono così 8 gruppi (corrispondenti a macro-aree geografiche) e 4 Paesi residuali (culture uniche).
L’ipotesi che ne scaturisce è la “culture bounded”: esiste una cultura di sfondo sulla base della quale le aziende devono progettare
le soluzioni organizzative più adatte.
Critiche:
- Ipotizza una corrispondenza uno ad uno tra la cultura e lo stato nazionale, difficilmente sostenibile nella nostra epoca dove in pochi
anni gli stati nazionali sono molto mutati;
- Non considera l’esistenza delle subculture all’interno dei Paesi
- Gli intervistati appartenevano ad una sola impresa ed erano personale specifico; questo fatto espone la ricerca ad essere
culturalmente influenzata e limitata dalla matrice di pensiero occidentale propria dell’azienda.
Nonostante queste critiche resta un importante contributo.
Progetto Globe
È un progetto di ricerca sulla cultura e sulla leadership in 61 Paesi. Le culture nazionali vengono studiate secondo nove variabili e si
cerca di capire quanto queste variabili abbiano impatto sulle procedure organizzative e sulla leadership.
Alcune di queste variabili sono presenti anche nel modello di Hofstede (distanza di potere, avversione all’incertezza), mentre altre
sono diverse:
- Assertività: quanto per gli individui sia normale trovare un clima di competizione e degli individui duri all’interno delle
società piuttosto che dolci e teneri;
- Orientamento al futuro: quanto per la società sia importante investire e pianificare a lungo termine
- Orientamento al risultato: quanta importanza venga data al miglioramento delle prestazioni e all’eccellenza
- Orientamento alle persone: quanto la società incoraggi le persone ad essere leali, generose
Questo modello non rappresenta un’alternativa al modello di Hofstede, ma lo completa.
Dalla ricerca emergono nove cluster e i Paesi che si trovano all’interno dello stesso cluster sono simili tra loro. È importante
prima di un espatrio sapere quanto lontano o vicino sarà il paese in cui mi trasferirò dal punto di vista culturale.
10. Quante e quali sono le strategie di ingresso nei nuovi mercati evidenziando anche il coinvolgimento delle risorse umane
Ogni impresa che valuti l’entrata in un mercato estero deve affrontare le seguenti decisioni:
- In quale mercato estero entrare, a seconda della sua dimensione, ricchezza, tasso di crescita.
- Quando e in che misura entrarci. In anticipo rispetto ai concorrenti o attendere che il mercato venga esplorato prima dai
concorrenti?
- Che modalità d’entrata utilizzare.
Un'impresa che decide di espandersi in un mercato estero per ricavare un più alto profitto dalle proprie competenze, trasferisce le
proprie capacità, o i prodotti da questi ottenute, sfruttando i mercati in cui i concorrenti locali non dispongono di competenze
analoghe.
Le modalità di entrata migliore per un’impresa dipendono dalle sue competenze e specificità.
Può essere, quindi, fatta una distinzione tra imprese le cui competenze principali sono costituite dal proprio know-how tecnologico
e imprese che invece hanno competenze nella gestione di un determinato business Know how gestionale.
Contratti di licenza
i contratti di licenza sono accordi in cui il soggetto titolare di un diritto di proprietà intellettuale o industriale (licenziante) concede
tale diritto a un altro soggetto (licenziatario) per un periodo determinato, in cambio di un pagamento di un corrispettivo (royalty).
Vantaggi:
- L’impresa licenziante riduce i costi di sviluppo ed i rischi connessi allo sfruttamento commerciale della sua proprietà intellettuale in
un paese estero (attraente per le imprese che non hanno a disposizione capitale sufficiente per sviluppo mercato estero);
- Attraverso la licenza, un'impresa può evitare di impiegare risorse finanziarie in un mercato estero poco conosciuto, o politicamente
instabile, o in un mercato estero in cui vi siano dei vincoli legislativi.
- Infine, la licenza viene usata quando il diritto intellettuale ha un’applicabilità operativa, ma l'impresa che lo possiede non vuole
realizzare gli impianti fisici e preferisce delegare questo impegno a un'altra società (Coca-cola realizzare magliette con suo marchio).
Svantaggi:
- Spesso non danno all’impresa controllo efficace su marketing e produzione, ciò impedisce di avvantaggiarsi di curve d’esperienza
ed economie di localizzazione (ogni impresa che ha ottenuto la licenza costruisce un proprio impianto produttivo e sfrutta il diritto
ricevuto, non creando esperienza o economie di scale);
- Limita il coordinamento delle strategie attuate dai vari mercati regionali, e l’impiego dei profitti ottenuti in una regione per
investire in un’altra;
- Rischio di concedere il know how tecnologico a imprese estere, perdendo il proprio vantaggio competitivo. Per ridurre questo
rischio è possibile costituire dei contratti di licenza incrociati che consentono ad entrambe le imprese di tenersi in ostaggio, questo
riduce la probabilità che una si comporta in maniera opportunistica nei confronti dell'altra. Una seconda opzione è la creazione di
una joint ventures, in cui entrambe le aziende possiedono un'importante partecipazione (Xerox che ha creato una joint ventures con
fuji, creando la Fuji Xerox per vendere nel mercato giapponese dato che il governo non permetteva ad aziende estere di costruire
impianti nel paese).
Franchising
Il franchising è un contratto di licenza per il quale il franchisor non solo consente al franchisee l'utilizzo della proprietà intangibile
(marchio commerciale), ma impone al franchisee strette direttive su come sviluppare il business.
Il franchisor spesso assiste il franchisee nello sviluppo del suo business nel lungo periodo, e riceve un ritorno come corrispettivo
della proprietà intellettuale ceduta (royalty), spesso sotto forma di percentuale dalle vendite realizzate dal franchisee. Questo tipo di
contratto è utilizzato maggiormente da imprese di servizi (es: McDonald's che impone controllo di menu, cottura o arredamento).
Vantaggi:
- l’impresa evita di sostenere molti dei costi e rischi connessi all’apertura di un’attività in paese estero;
- tramite questo contratto l’azienda può espandersi velocemente in tutto il mondo, con rischi e costi contenuti.
Svantaggi:
- Come per la licenza, il franchisor non può dirottare gli extra profitti realizzati in un mercato verso un altro mercato, per difendersi
da attacchi di altri concorrenti;
- Difficile che il franchisor possa controllare il servizio erogato dal franchisee (Il fondamento del franchising è che il marchio
dell’impresa comunica ai consumatori un messaggio di fiducia sulla qualità del prodotto offerto, es: Four Season Hotel, un
viaggiatore si aspetta che la qualità sia elevata in qualsiasi hotel in qualsiasi parte del mondo, se il franchisee non è scrupoloso,
genera pubblicità negativa che può danneggiare la reputazione della società in tutti i mercati in cui essa è presente).
- La distanza geografica del franchisee dal franchisor può far si che carenze qualitative nel servizio erogato siano difficili da
individuare.
Per evitare queste difficoltà è possibile costituire una sussidiaria in ogni paese nel quale si vuole entrare, in modo tale che possa
diffondere il servizio attraverso il franchising e collocare i propri manager per assicurare un buon controllo della qualità (es:
McDonalds).
Joint Venture
Implica la costituzione di un'impresa posseduta da 2 o più imprese indipendenti (es: Fuji-Xerox era costituita come joint-venture tra
Fuji Photo e Xerox). Le Joint venture sono molto utilizzate per entrare in mercati nazionali.
Solitamente, vi è partecipazione paritetica tra le imprese che la costituiscono: 2 partner mettono il 50% a testa ed entrambe
contribuiscono alla gestione della società costituita; alcune imprese preferiscono costituire joint venture in cui hanno una quota di
maggioranza, per mantenere maggior controllo sull’attività.
Vantaggi:
- l’impresa estera beneficia delle conoscenze del partner locale per quanto riguarda la situazione competitiva del paese estero, la
sua cultura, lingua o politica;
- Quando i costi/rischi connessi all’entrare in un nuovo mercato sono alti, l’impresa estera può avere convenienza a condividerli con
il partner locale;
- in alcuni paesi, i limiti imposti dalle autorità politiche, fanno delle joint-venture l’unico mezzo per potervi entrare (partner locale
esercita influenza sulla politica del governo).
Svantaggi:
- Rischio, come per le licenze, che il partner si appropri della tecnologia intrinseca del processo produttivo (si può risolvere facendo
mantenere una maggiore quota di maggioranza all’azienda che possiede la tecnologia o non utilizzando la tecnologia principale, ma
altre);
- Non garantisco alle aziende coinvolte un completo controllo sulle società costituite, necessario per raggiungere curve di esperienza
o economie di localizzazione;
- La proprietà condivisa della società può portare conflitti o scontri per il suo controllo, tra le imprese che partecipano alla joint-
venture. Ciò avviene se i fini perseguiti dalle aziende sono diversi o cambiano nel corso del tempo (soprattutto se le aziende sono di
nazionalità diverse, es: una volta che l’impresa estera ha compreso la cultura del paese in cui è penetrata, potrebbe non aver più
bisogno del partner locale).
Il coinvolgimento delle HR è legato alla strategia che si intende perseguire, che deve essere coerente con la modalità d’entrata nei
mercati scelta.
la competitività delle multinazionali è legata alla capacità di adeguare strategicamente le proprie risorse ai mutamenti del mercato
globale, ciò significa che da un lato occorre mettere in atto iniziative per sviluppare persone in grado di gestire operativamente
business sparsi geograficamente coerentemente con il piano strategico aziendale (incentivi, promozioni, controllo etc..), dall'altro la
possibilità di trovare un adattamento locale alle situazioni economiche, politiche e sociali presenti nei vari paesi.
La globalizzazione richiede competenze sempre maggiori nella gestione dell’intangibile, base del vantaggio competitivo per cui noi
importante responsabilità è affidata in misura crescente ai gestori delle risorse umane.
In particolare, in base ai modelli sopra descritti, il coinvolgimento delle HR può essere più o meno cruciale per la buona riuscita.
1) Esportazioni 🡪 IHRM poco coinvolto, ci sono solo delle persone che si occupano delle pratiche connesse al commercio
estero.
2) Chiavi in Mano🡪IHRM coinvolto nei processi di trasferimento del know how e formazione.
3) Licencing 🡪 IHRM non è coinvolto.
4) Franchising 🡪 IHRM coinvolto perché si occupa di selezione del personale del franchisee, della formazione e anche
dell’avvio dell’attività imprenditoriale.
5) Join Venture 🡪 coinvolto come mediatore culturale tra le aziende e per trasferimento del know how e integrazione.
6) Sussidiaria completamente posseduta
Greenfield 🡪 IHRM coinvolto per la selezione del personale e/o eventuale espatrio.
Brownfield 🡪 nelle acquisizioni è coinvolto perché si occupa di integrare le operations delle due imprese e la gestione
della fusione del personale.
11. Sintetizzare il dibattito sull’etica delle multinazionali (esempio del capitolo la NIKE, che sfruttava la manodopera minorile e/o
sottopagata in paesi in via di sviluppo)
L’ETICA DEGLI AFFARI si riferisce ai principi del giusto e dello sbagliato che governano la condotta dei manager delle imprese. Una
strategia etica è una strategia che non viola principi morali condivisi.
Molti problemi etici emergono per differenze culturali, economiche, politiche e pertanto I manager di imprese multinazionali
devono prestare molta attenzione a queste differenze.
Nel contesto dell’impresa internazionale, le questioni etiche più comuni riguardano: le condizioni occupazionali; i diritti umani; le
norme ambientali; la corruzione; i doveri morali delle imprese multinazionali.
Per quanto riguarda le condizioni occupazionali, occorre domandarsi prima di tutto, quali siano le condizioni standard da applicare
sempre e in qualunque caso, anche se le condizioni lavorative del paese ospitante sono qualitativamente nettamente inferiori a
quelle del paese di origine.
In secondo luogo, preso atto delle diversità economiche, sociali e politiche dei diversi paesi, sarebbe bene valutare quale grado di
diversità può considerarsi accettabile.
Parlando di diritti umani invece, bisogna porre attenzione al fatto che purtroppo, essi non sono sempre rispettati in tutto il mondo.
Infatti, diritti dati per scontati in un paese come la libertà di parola, di associazione, di movimento etc.. non sono ancora accettati
universalmente.
Una multinazionale pertanto deve domandarsi quale sia la propria responsabilità nel momento in cui decide di operare in un paese
in cui i diritti umani sono negati. (es apartheid in Sudafrica, nonostante ci fosse le imprese operavano lo stesso, verso gli anni 70/80
però la cosa cambia, le aziende diventano più sensibili e iniziano a dire la propria sfruttando il proprio potere economico, in quei
paesi dove i diritti umani non erano rispettati).
In materia di inquinamento ambientale, sorgono questioni etiche quando le normative ambientali nei paesi ospitanti sono
notevolmente inferiori a quelle vigenti nel paese d’origine. In paesi in via di sviluppo, infatti, mancano spesso normative che tutelino
l’ambiente e quindi, le multinazionali sono portate ad investire in quei paesi anche perché avrebbero la possibilità di utilizzare
metodi di lavorazione e prodotti, non consentiti nei loro paesi o comunque senza dover sottostare alle norme.
Le questioni ambientali assumono sempre più importanza, perché l’ambiente e la terra, sono un bene pubblico condiviso di cui
nessuno è proprietario ma che tutti possono danneggiare e proprio per questo, nessuno se ne assume la responsabilità.
La corruzione è sempre stata un problema in quasi tutte le società della storia e continua ad esserlo oggi in quanto imprese
multinazionali possono guadagnare o hanno guadagnato, vantaggi economici pagando tangenti ai funzionari governativi, politici,
forze dell’ordine, etc.. Per ovviare a questo problema, diversi stati hanno approvato manovre contro la corruzione, istituendo
organizzazioni che si impegnino a farle rispettare.
Da un punto di vista etico le tangenti sono sicuramente scorrette ma anche facilitanti in quanto, in alcuni casi e in alcuni paesi, sono
l’unica via per entrare in paesi esteri con norme rigide, infatti, c’è chi sostiene che la corruzione può facilitare l’economia (es
Thailandia, Venezuela).
Altri economisti invece, sostengono che la corruzione diminuisce gli investimenti delle imprese e rallenta la crescita di un paese.
È quindi difficile generalizzare, in quanto non ci troviamo in un mondo perfetto e soprattutto, privo di barriere, pertanto, nonostante
per noi occidentali la corruzione non sia eticamente accettabile, in alcuni casi può far bene in altri meno.
Le imprese multinazionali hanno un potere che deriva loro dal controllo sulle risorse e dalla loro capacità di spostare la produzione
da un paese all’altro.
I filosofi morali sostengono che il potere si accompagni al la responsabilità sociale delle imprese in base alla quale devono dare
qualcosa in cambio alle società che consentono loro di prosperare e di crescere.
La responsabilità sociale consiste nell’idea che gli uomini di affari, debbano considerare le conseguenze sociali delle azioni
economiche quando prendono decisioni optando per un comportamento onorabile e benevolo, in quanto ci si aspetta che
un’impresa di successo e ricca di investimenti possa permettersi di compiere il proprio dovere morale aiutando un paese in difficoltà
in cui ha deciso di investire.
Quando nessuna delle alternative valutate è perseguibile ed eticamente accettabile allora ci si trova davanti ad un dilemma etico.
Un'impresa multinazionale e i suoi manager, al fine di assicurarsi che le questioni etiche siano considerate possono:
● Favorire l'assunzione e la promozione di personale che abbia un forte senso di etica personale
● Promuovere una cultura dell'organizzazione che attribuisca un valore ad azioni etiche
● Codificare i valori che caratterizzano un comportamento etico
● Enfatizzare l'importanza dei principi etici codificati e agire di conseguenza a partire dai dirigenti
● Assicurarsi che i leader dell'organizzazione non solo sottolineano l'importanza di un comportamento etico, ma che agiscano
in maniera coerente rispetto a quanto affermano
● Implementare i processi decisionali che obblighino le persone a considerare la dimensione etica delle decisioni.
Quando un manager decide di dissociarsi da decisioni redditizie ma immorali ed è quindi capace di dire di no ai propri superiori
quando gli chiedono di compiere un'azione non etica, mostra il proprio coraggio morale fungendo da esempio per i dipendenti che
saranno più portati a mostrare la propria integrità rendendo pubblici comportamenti immorali persistenti all'interno di un'azienda.
Il coraggio morale è una caratteristica che non si trova facilmente, molte persone infatti hanno perso il proprio lavoro per aver
mostrato questo lato.
12. Quali sono i fattori da prendere in considerazione quando una impresa valuta la possibilità di produrre a livello internazionale.
La risposta a questa domanda è molto generale e si può fare un ragionamento spaziando su entrambi i libri.
I fattori da prendere in considerazioni possono essere:
- La cultura del paese estero
- Le barriere in ingresso
- La propria strutta aziendale che deve essere compatibile
- La propria cultura aziendale
- I costi del paese estero
- La lingua parlata
- Il mercato estero
Il concetto di azienda multinazionale ha subito una lunga serie di trasformazioni e di conseguenza è cambiato anche il ruolo svolto al
suo interno dalla casa madre.
le prime multinazionali utilizzavano un modello contingente considerando l'organizzazione come un'unica unità deputata
implementare le strategie, secondo uno schema classico dove la casa madre agisce in quanto unico soggetto deputato a prendere
decisioni e a esercitare il controllo sulle sussidiarie estere. La multinazionale, infatti, era vista come una burocrazia con importante
funzione di comando centrale e di controllo su una struttura geograficamente dispersa ma unificata dal punto di vista organizzativo.
con il tempo le multinazionali si sono progressivamente democratizzate seguendo lo schema transnazionale per cui le esse devono
essere in grado di adattarsi localmente ma al tempo stesso di integrarsi a livello globale. Questa sfida ha portato a dover riflettere
sulle relazioni tra le sussidiarie locali e le sedi centrali delle aziende.
All'inizio degli anni 80 quindi iniziano a svilupparsi le network Organization strutture che nascono per ovviare ai limiti delle strutture
gerarchiche con la convinzione che siano più idonei di queste ultime per fronteggiare la crescenza dinamicità dei mercati globali.
la crescita di strutture a rete ha reso fondamentale una diversa interpretazione degli incarichi internazionali e un diverso ruolo
svolto dalla casa madre tant'è che secondo alcuni esperti non ha neanche più senso considerarla come una diversa entità da
qualsiasi altra unità del network della multinazionale stessa.
L’headquarter, quindi, svolge due funzioni fondamentali:
La funzione di integrazione che consiste nel coordinare le attività dei singoli mercati attivando le sinergie e mettendo insieme le
risorse per dare valore aggiunto, contribuendo a progettare la struttura, i processi e gli incentivi per far sì che le sussidiarie mettono
a fattor comune le loro risorse.
la funzione imprenditoriale che indica il compito di scoprire ed esplorare nuove opportunità di business nel mondo avviando
iniziative aiutando le sussidiarie locali e assisterle nel fronteggiare le trasformazioni del mercato.
I sistemi di gestione delle risorse umane transazionali sono quelli che supportano la strategia.
Possono essere definiti come le pratiche e politiche che le Risorse Umane utilizzano per attrarre, sviluppare e mantenere il
proprio personale agendo in coerenza con la strategia, standardizzando globalmente e adattando localmente strutture e
processi.
Per raggiungere questo obiettivo, i sistemi di gestione di risorse umane devono essere allineati orizzontalmente e
verticalmente. Orizzontalmente perché le diverse pratiche non sono indipendenti l'una dall'altra ma devono essere
integrate e coerenti. Verticalmente perché le pratiche devono essere collegati con fattori interni di contesto.
Il processo per arrivare all'allineamento è complicato dal fatto che ogni politica di risorse umane, deve essere un combinato di
elementi di adattamento locale e di forme di standardizzazione che rendano omogenee le scelte in tutta l'azienda.
La standardizzazione globale è il risultato di una combinazione integrativa delle migliori pratiche implementate, per
raggiungere economie di scala e di raggio d'azione.
La funzione delle risorse umane, infatti, deve essere quella di riuscire a mantenere l'equilibrio fra standardizzazione globale e
localizzazione.
Ogni elemento di gestione del personale le chiede la necessità di confrontarsi continuamente con questo trade off.
Segmentare il mercato vuol dire individuare gruppi distinti di consumatori il cui comportamento d’acquisto differisce da quello
degli altri in misura significativa. La segmentazione può avvenire in base a diversi criteri:
Geograficamente
Demograficamente (sesso, età, reddito, tasso di scolarità)
Fattori socioculturali (classe sociale, religione, scelte di vita)
Fattori psicologici (personalità)
I diversi segmenti esprimono diversi comportamenti di acquisto, per questo le imprese adeguano la propria strategia in base al
segmento al fine di definire un marketing mix rispondente alle caratteristiche di ogni segmento, con lo scopo finale di massimizzare
le vendite in ciascuno di essi.
Le questioni importanti di cui le multinazionali devono tener conto quando si accingono segmentare un mercato sono:
1. Differenza tra paesi nella struttura dei segmenti del mercato: la struttura dei segmenti di mercato può differire
significativamente da paese a paese, infatti, un segmento in un determinato paese estero può non esistere nel paese di origine
dell’impresa o viceversa.
2. Esistenza di segmenti che trascendono i confini nazionali: consente alle imprese di considerare i diversi mercati come una sola
entità e di perseguire un'unica strategia globale vendendo prodotti standardizzate in tutto il mondo e utilizzando il medesimo
marketing mix.
Le caratteristiche del prodotto tengono conto delle differenze culturali dello sviluppo economico e degli standard tecnici e di
prodotto. i prodotti si vendono bene quando soddisfano i bisogni dei consumatori e quando il loro prezzo è coerente. I
bisogni dei consumatori variano da paese a paese a causa delle differenze culturali e dello sviluppo economico.
La capacità di un'impresa di vendere lo stesso prodotto in tutto il mondo e ulteriormente condizionata dall'esistenza di diversi
standard tecnici richiesti.
La strategia distributiva è il secondo elemento di marketing mix, essa viene individuata come il modo con cui l'impresa sceglie di far
giungere il prodotto al consumatore finale.
Un’impresa che dà vita ad un prodotto, sia nel paese in cui intende commercializzarlo che fuori, può venderlo direttamente al
grossista, al dettagliante o al consumatore finale.
Le principali differenze tra possibili sistemi distributivi dipendono da:
concentrazione dei distributori a dettaglio: in paesi industrializzati è più concentrata mentre in paesi meno industrializzati è più
semplice trovare negozi di vendita al dettaglio.
lunghezza della catena distributiva: dipende dal numero di intermediari tra produttore e consumatore, nei sistemi dove sono
presenti i grossisti, la catena si allunga in quanto essi fungono da intermediari per i dettaglianti.
esclusività del canale distributivo scelto: una catena distributiva esclusiva quando ha un basso grado di apertura verso nuove
imprese. L'esclusività di un sistema distributivo varia da paese a paese.
qualità del canale: dipende dall'esperienza, dalla competenza e dalla capacità dei distributori al dettaglio. Quando la qualità della
distribuzione bassa può accadere che un'impresa estera si deve impegnare per migliorarla, fornendo assistenza e formazione
distributori già presenti o impiantando addirittura una propria catena distributiva.
La scelta della strategia distributiva determina quale canale l'impresa utilizzerà per raggiungere i potenziali consumatori del
prodotto. La strategia ottimale dipende quindi dal confronto tra costi e benefici di ogni singola alternativa in ogni singolo paese.
Il terzo elemento del marketing mix e la strategia di comunicazione essa serve a comunicare le caratteristiche del prodotto e
proprio potenziali consumatori. è possibile utilizzare diversi canali quali la vendita diretta le vendite promozionali, il marketing
diretto la pubblicità.
Esistono però diverse barriere alla comunicazione internazionali, che possono essere individuate nelle barriere culturali e negli
ostacoli alla comunicazione dipendenti dall'impatto della provenienza e del paese di origine del prodotto.
Quando in un mercato abbia molta competizione rispetto a un prodotto il rumore dovuto all'elevato numero di messaggi di
marketing generati dalle imprese che si rivolgono al medesimo potenziale consumatore viene detto rumore di fondo. In paesi
fortemente industrializzati il rumore di fondo estremamente forte mentre nei paesi in via di sviluppo il rumore è più tenue perché ci
sono meno competitor.
Un'impresa, in merito alle strategie di comunicazione, può decidere se adottare una strategia push, ossia promuovere il prodotto
attraverso la vendita diretta che in generale è molto efficace ma richiede una consistente forza di vendita ed è quindi relativamente
costosa; oppure una strategia pull che implica una comunicazione di massa, volta a trasmettere il messaggio di marketing ai
potenziali consumatori.
Tale scelta dipende dall'interazione tra tipo di prodotto e grado di sofisticatezza del consumatore, dalla lunghezza della catena
distributiva e dalla disponibilità di mezzi di comunicazione di massa.
Strategia Push
- Per prodotti industriali complessi e/o nuovi prodotti
- Quando il canale distributivo è corto
- Quando sono disponibili pochi media elettronici o convenzionali (carta stampata)
Vi è infine, una discriminazione di prezzo quando i consumatori in paesi diversi pagano un prezzo diverso per lo stesso prodotto.
Ciò implica imporre il prezzo che il mercato può sostenere per quel prodotto. In un mercato concorrenziale i prezzi che un'impresa
può fissare per il proprio prodotto sono più bassi che in un mercato in cui la stessa impresa è monopolista.
Le politiche di prezzo che possono essere utilizzate sono chiamate strategic pricing e coinvolgono tre diverse prassi:
La politica di prezzo predatoria e una pratica che consiste nell'utilizzare il prezzo come uno strumento di competizione con il fine di
estromettere i concorrenti più deboli da un mercato. Una volta che concorrenti hanno abbandonato il mercato l'impresa rialza i
prezzi ottenendo elevati profitti.
il multipoint pricing è il termine che indica che la strategia di prezzo di un'impresa in un paese può avere impatto sulla strategia di
prezzo di un'impresa del rivale in un altro paese in poche parole una strategia di prezzo che aggredisce il mercato può determinare
per reazione, un'analoga strategia di prezzo da parte di un concorrente in un altro mercato.
Experience curve pricing prevede che il prezzo, possa essere una leva importante per l'ottenimento degli effetti delle economie di
esperienza, una strategia di prezzo aggressiva, unita ad una campagna pubblicitaria e promozionale coerente, può far accrescere i
volumi di vendita al punto da spingere un'azienda lungo una curva di esperienza.
Molte aziende che la adottano impongono prezzi bassi per il loro prodotto in tutti i mercati in cui operano, con l'obiettivo di
aumentare i volumi di vendita il più velocemente possibile anche se ciò può comportare delle perdite iniziali.
L’architettura organizzativa è il complesso dell’organizzazione dell’impresa, che comprende la struttura organizzativa formale, i
sistemi di controllo e gli incentivi, i processi, la cultura aziendale e le persone.
Per soddisfare una maggiore richiesta di redditività aziendale l'architettura organizzativa deve: adattarsi o concordare con la
strategia d'impresa, essere composta da diversi elementi coerenti tra loro e consistenti con le condizioni competitive.
Le varie componenti dell'architettura di un'azienda non sono indipendenti le une dalle altre in quanto ogni componente determina
ed è determinata dalle altre.
1. Differenziazione verticale: che si riferisce all’allocazione delle responsabilità decisionali all'interno della struttura.
In questo caso, il potere decisionale può essere accentrato ai vertici o decentrato ai dirigenti di livello inferiore.
Nei casi di accentramento si noterà:
- maggior facilità nel coordinamento
- maggior coerenza con gli obiettivi aziendali
- facilità per il top management di generare cambiamenti aziendali significativi evitando la duplicazione di attività.
Nei casi di decentramento invece sarà possibile:
- focalizzarsi sulle dimensioni critiche delegando le problematiche di routine ai dirigenti di livello inferiore
- permettere risposte più rapide ai cambiamenti ambientali
- accrescere il controllo utilizzando sottounità più libere e indipendenti, dove i manager sono ritenuti direttamente responsabili delle
proprie performance e pertanto meno giustificati in caso di performance non adeguate
Inoltre, gli studi sulla motivazione dimostrano che un maggior grado di libertà e minor controllo portano a dare di più nel proprio
lavoro.
LA STRUTTURA DELLE IMPRESE DOMESTICHE: La maggior parte di queste imprese, nasce senza una struttura formale e viene gestita
dal singolo imprenditore o piccolo gruppo.
Quando l’azienda cresce viene divisa in funzioni che riflettono le sue
attività di creazione del valore che vengono, tipicamente, coordinate e
gestite dal top management.
Il processo decisionale in questa struttura funzionale tende ad essere
centralizzato.
LA DIVISIONE INTERNAZIONALE: Quando un’impresa si espande all’estero tende a raggruppare le proprie attività internazionali in
una divisione internazionale organizzata su base geografica, indipendentemente dalla propria struttura domestica.
Nonostante la sua diffusione, una struttura con una divisione internazionale può far sorgere alcuni problemi come, ad esempio,
possibilità di conflitto e problemi di coordinamento tra le attività domestiche e quelle estere in quanto i dirigenti delle filiali estere
hanno generalmente meno peso rispetto ai dirigenti delle funzioni domestiche, mancanza di coordinamento tra le operations
domestiche e quelle estere.
Per superare questi problemi, le imprese decidono di abbandonare questa struttura e adottano una delle seguenti strutture globali:
- Struttura globale per divisioni di prodotto che tende ad essere sviluppata dalle imprese diversificate che hanno divisioni di
prodotto domestiche.
- Struttura globale per area geografica che tende ad essere adottata da imprese non diversificate la cui struttura domestica è
disegnata per funzioni.
STRUTTURA GLOBALE PER AREA GEOGRAFICA: Le imprese con un basso grado di diversificazione e con una struttura domestica
organizzata per funzioni, tendono ad articolare la loro struttura globale per aree geografiche, dove ogni area tende a essere un
soggetto indipendente e molto autonomo nella gestione delle proprie attività di creazione del valore.
Mentre la sede centrale si occupa della strategia generale dell’impresa e del controllo finanziario, il controllo delle operations e
delle decisioni strategiche per ciascuna area sono decentralizzate
Questa struttura facilita l’adattamento locale da una parte, ma stimola la frammentazione dell’organizzazione in entità altamente
autonomi, rendendo difficile il trasferimento delle competenze distintive e il conseguimento di economie di localizzazione e di
esperienza.
STRUTTURA GLOBALE PER DIVISIONE DI PRODOTTO: Tende a essere adottata da imprese con un buon grado di diversificazione che
danno origine a un’organizzazione domestica basata su divisioni di prodotto.
Le attività di creazione del valore di ogni divisione di prodotto sono coordinate a livello mondiale all’interno della medesima
divisione.
Questa struttura ha l’obiettivo di realizzare economie di localizzazione e di apprendimento; facilita il trasferimento di competenze
all’interno delle operations globali e favorisce l’introduzione simultanea, a livello mondiale, di nuovi prodotti.
Un limite risulta essere lo scarso potere attribuito ai manager di area, che sono subordinati ai vertici delle divisioni di prodotto,
portando ad un ridotto adattamento locale.
Sia la struttura globale per area geografica sia la struttura globale per divisione di prodotto hanno punti di forza e di debolezza.
Per sopravvivere in certi settori però, le imprese devono adottare una strategia transnazionale ovvero devono focalizzarsi
simultaneamente sulla realizzazione di economie di localizzazione di esperienza, sulla reattività alle esigenze locali e sul
trasferimento interno delle competenze distintive (apprendimento a livello globale).
Per fare ciò la struttura più indicata risulta essere quella a matrice.
Nella STRUTTURA GLOBALE A MATRICE: l'articolazione orizzontale procede lungo la dimensione della divisione di prodotto e quella
delle aree geografiche.
La doppia responsabilità decisionale (un manager appartiene contemporaneamente ad una divisione di prodotto specifica e ad
un’area geografica specifica) consente di raggiungere contemporaneamente tutti gli obiettivi perseguiti attraverso una strategia
transazionale.
La matrice, però, induce spesso ad un’elevata burocrazia che può rallentare il processo decisionale, a contrasti tra le aree e le
divisioni di prodotto e a deresponsabilizzazione in caso di situazioni critiche o fallimentari (ogni manager incolpa una divisione o
un’area); in generale può essere una struttura poco flessibile e responsiva ai cambiamenti di mercato o a creare innovazione.
Alla luce di ciò molte imprese hanno cercato di costruire strutture a matrice “flessibili”, basate maggiormente su reti di conoscenze
tra manager aziendali e su una cultura e visioni condivise piuttosto che sulla rigida relazione gerarchica; in questo caso la struttura
informale gioca un ruolo primario rispetto alla struttura formale.
In ultimo, è necessario parlare della struttura a rete, detta anche Network Organization:
All’inizio degli anni Ottanta iniziano a svilupparsi le “network organizationS” queste strutture nascono per ovviare ai limiti delle
strutture gerarchiche con la convinzione che siano più idonee di queste ultime per fronteggiare la crescente dinamicità dei mercati
globali. Le strutture a rete possono essere di 3 tipi:
Forma transnazionale, vede l’organizzazione operare a livello internazionale, riuscendo ad essere reattiva localmente, efficiente a
livello globale e capace di trasferire la conoscenza.
Multinazionale a network, può essere descritta come un’intricata rete di relazioni. Una sussidiaria può agire come un nodo che si
collega a un gruppo di organizzazioni satelliti, arrivando ad assumersi la responsabilità delle altre unità all’interno di un Paese.
L’eterarchia, prevede che differenti sussidiare assumano molte delle funzioni dei tradizionali headquarters centrali, riportando alla
struttura centrale il controllo, ma minimizzando il ruolo del top management centrale.
Qualunque tipologia di struttura a rete si scelga, il risultato è un flusso di potere e di risorse trasversali alle sottounità organizzative.
Il network interno diventa un’arena per la creazione e la sperimentazione e per lo sfruttamento di conoscenza. Tutte queste
strutture condividono l’idea che la mobilità internazionale del personale gioco un ruolo critico nell’integrazione e nel
coordinamento.
Esistono anche meccanismi informali di integrazione che possono essere adottati in casi di alta necessità di coordinamento
quando si vuole evitare la burocrazia dei meccanismi formali.
Tali meccanismi devono essere basati su una cultura aziendale che attribuisce valore al lavoro di gruppo e alla cooperazione
tra le unità.
Nello specifico è una rete per la trasmissione di informazioni all'interno di un'azienda che è basata su contratti informali tra
manager e sui sistemi informativi distribuiti.
Le tecniche impiegabili per costruire network sono:
ITC= i sistemi informativi come la posta elettronica, video call, trasmissione dei dati a banda larga, motori di ricerca, che
rendono più semplice l'integrazione tra soggetti dispersi nel globo e risolvono problemi relativi alla condivisione delle best
practice.
Politiche di sviluppo del personale= come, ad esempio, i programmi di sviluppo manageriale o la rotazione dei manager che
favoriscono la reciproca conoscenza oltre a sistemi di controllo e incentivi e alla cultura aziendale.
L’espatrio resta un’importante pratica di HRM, affiancato oggi, nella sua forma tradizionale, con altre modalità.
L’espatrio implica il trasferimento di persone per motivi di lavoro tra due Paesi, per un periodo di tempo che richiede un cambio di
indirizzo e un certo grado di adattamento semi-permanente alle condizioni locali. Si considerano espatriate le persone che si
trasferiscono, per periodi della durata da 3 a 5 anni, con il compito di gestire temporaneamente alcuni processi chiave del business.
La chiave di sviluppo dell’internazionalizzazione passa attraverso la gestione del personale in termini di gestione degli
espatriati, ma anche coordinamento e controllo tra la sussidiaria locale e la casa madre, di gestione della conoscenza e di
sviluppo di talenti globali.
Dal punto di vista dell’individuo gli incarichi internazionali sono diventati una parte importante delle carriere manageriali e sono
considerati uno degli strumenti più efficaci per lo sviluppo della leadership.
Secondo Arthur e Lawrence la carriera è una serie di processi di cambiamento delle posizioni lavorative di un individuo, in grado
di portare allo sviluppo e alla crescita dell’individuo nella sua vita professionale e privata.
Questo ci fa comprendere come per gli individui l’esperienza internazionale diventi un modo per aumentare la propria
employability, ovvero la possibilità di essere ri-allocati sul mercato.
Questo modo di gestire il proprio percorso professionale rientra nelle nuove prospettive di carriera, in linea con il concetto di
carriere senza confini e con l'idea che il “carrierista senza confini” sia un professionista molto qualificato che costruisce le
sue competenze e il suo valore di mercato attraverso un apprendimento un trasferimento continuo oltre ai confini
organizzativi e nazionali. Per questi individui, dunque, la carriera diventa una “carriera interna”.
L’avvento di carriere senza confini è una risposta ai più ampi cambiamenti economici e sociali avvenuti negli ultimi anni, spinte
da un desiderio di mantenere uno stato permanente di impiegabilità in un ambiente economico insicuro e dove si rileva
una decrescente fiducia tra i dipendenti e le aziende.
Questa tendenza è coerente con il cambiamento del “contratto psicologico”: da contratti relazionali basati sulla lealtà a
contratti più transazionali basati sullo scambio economico. Di conseguenza, la responsabilità per lo sviluppo di carriera è
passata dall’organizzazione all’individuo.
Esistono due tipologie di incarichi internazionali:
- Quelli orientati della domanda o dal compito chiamati incarichi funzionali
- Quelli orientati dall'apprendimento chiamati incarichi per l'apprendimento che possono includere incarichi a breve
termine per imparare o incarichi a lungo termine che costituiscono una parte integrante della pianificazione dello sviluppo
di carriera per giovani manager ad alto potenziale.
Dal punto di vista dell’azienda, integrare gli incarichi internazionali con lo sviluppo di carriera a lungo termine sembra essere la
variabile più critica nel trattenere gli espatriati e facilitare il successo del rimpatrio.
La variabile più importante è che il senior management creda nel valore intrinseco dell’esperienza internazionale come perno
per aumentare le possibilità di un avanzamento di carriera all’interno dell’organizzazione.
È possibile distinguere due
differenti approcci nei
confronti dell’espatriato
da parte delle aziende:
Le principali attività per lo sviluppo di carriera degli espatriati sono:
- Job posting: i dipendenti sono messi a conoscenza dei posti vacanti tramite sistemi online di job posting o siti internet;
- Informazioni sui percorsi di carriera forniti dall’organizzazione;
- Revisione della performance annuale;
- Piani di sviluppo rapido (prevedono rotazioni attraverso diverse divisioni o aree dell’azienda);
- Informazioni o pianificazione della carriera offerti dall’organizzazione;
Counseling individuali di carriera;
- Test di carriera, includono test di interessi, profili di personalità e test attitudinali;
- Coaching e mentoring;
- Assesment center (usati per mettere in evidenza un potenziale individuale per il successo) - Workshop di pianificazione
delle carriere.
Un mentore formale, ad esempio, può aiutare un espatriato nel processo pre- partenza, espatrio e rimpatrio.
È difficile però trovare un solo individuo che possa ricoprire tutte queste funzioni di mentoring. Ecco perché gli studi
propongono che l'espatriato potrebbe beneficiare di diversi mentori con competenze diverse per fornire assistenza nelle
varie fasi del processo.
Per l’espatriato ogni stadio del suo incarico e un ciclo di apprendimento che non avviene solo in base alle esperienze sul posto,
ma anche mantenendo una connessione con la casa madre; pertanto, è necessario immaginare molteplici mentori nei vari
luoghi.
La pratica del mentoring per gli espatriati, nel nostro Paese è ancora poco diffusa, e lo stadio meno curato risulta essere il
rimpatrio, che invece dovrebbe essere il momento più importante per la valorizzazione dell’esperienza di espatrio.
Per quanto riguarda le performance dell’espatriato invece, sono spesso definite in termini di adattamento, commitment,
prestazioni e intenzioni di completare l'incarico.
la performance degli espatriati andrebbe distinta in:
Prestazione legata al compito = l’efficacia con cui gli espatriati svolgono le attività che contribuiscono al nucleo tecnico
dell’organizzazione, piuttosto che a implementare una parte del processo tecnologico o indirettamente a fornire
l’organizzazione dei servizi e dei materiali necessari.
Prestazione legata al contesto = le attività che sono dirette a mantenere l’ambiente interpersonale e psicologico che è
necessario che ci sia per permettere al nucleo tecnico di operare.
La natura dell’incarico, il supporto e l’interazione con la casa madre, il tipo di ambiente e il grado di adattamento hanno un
impatto decisivo che ha conseguenze sulle misure della performance che non possono essere una mera trasposizione delle
misure utilizzate nel mercato domestico, proprio per questo, il compito dell’IHRM deve essere quello di prendersene cura,
valutandole e offrendo incentivi e ricompense al raggiungimento.
Un’ azienda che decide di investire in un’acquisizione internazionale al fine di entrare in un mercato estero, può farlo con una
sussidiaria interamente posseduta (greenfield) o acquisendone una già esistente (brownfield).
18. In cosa consistono i team interfunzionali e perché sono importanti per lo sviluppo di nuovi prodotti
Le imprese che sviluppano e commercializzano un nuovo prodotto possono avere profitti enormi ( es Sony con PS) L’innovazione
tecnologica è essenziale, a causa del continuo cambiamento che obbliga le aziende a rimanere sempre aggiornate ed a investire.
Il tasso di sviluppo di nuovi prodotti è maggiore nei paesi in cui: Si investe maggiormente in R&S, la domanda interna è forte, i
consumatori hanno reddito alto, la competizione è intensa.
Alle R&S è assegnato il compito di generare nuove tecnologie da commercializzare al fine di stimolare l’innovazione data dalla
competizione tra aziende.
È bene rammentare che il processo di sviluppo di nuovi prodotti mostra anche un elevato tasso di fallimento.
Le ragioni di tale fallimento possono essere: Lo sviluppo di una tecnologia per la quale la domanda è limitata, l'incapacità di
commercializzare adeguatamente tecnologie promettenti, l’incapacità di produrre un nuovo prodotto ha un costo sostenibile.
Una stretta relazione tra r&s e marketing è quindi necessaria per assicurarsi che il prodotto sia sviluppato in modo da rispondere
ai bisogni reali dei clienti. Senza integrazione tra le due funzioni si corre il rischio di sviluppare prodotti per i quali vi è scarsa
domanda o non viene affatto. L'integrazione tra r&s e produzione consente invece di sviluppare prodotti coerenti con i vincoli
produttivi esistenti e può anche essere funzionale alla riduzione dei costi di sviluppo e facilitare l'introduzione dei prodotti nel
mercato.
Un modo per realizzare questa integrazione è la realizzazione di un team interfunzionale costituito da soggetti provenienti dalla
r&s, dal marketing e dalla produzione.
L'obiettivo di questi gruppi dovrebbe essere la gestione del processo di innovazione di prodotto, dalla sua progettazione al suo
ingresso nel mercato.
Per essere efficace nello sviluppo di un nuovo prodotto, il team deve possedere alcune caratteristiche specifiche:
- essere guidato da un manager con una forte capacità direzionale e adeguato livello gerarchico all'interno della società, in
modo da ottenere le risorse umane e finanziarie necessarie perché lo sviluppo del prodotto abbia successo;
- essere composto da almeno un membro proveniente da ognuna delle aree coinvolte. I membri del gruppo dovrebbero
possedere diverse qualità, tra cui la capacità di contribuire al lavoro del team con la propria esperienza maturata nella
funzione di provenienza.
- I membri del team dovrebbero essere situati fisicamente nello stesso luogo per sviluppare il senso di appartenenza al
gruppo e facilitare la comunicazione. Una soluzione è il trasferimento di persone chiave in un'unica location per tutta la
durata del progetto;
- Il team dovrebbe avere un piano operativo chiaro e obiettivi ben definiti. L'assegnazione di premi è una buona prassi per
incentivare i membri al raggiungimento degli obiettivi;
- Ogni Team deve definire i meccanismi interni per la comunicazione e la risoluzione dei problemi.
Una decisione essenziale che un’impresa internazionale deve affrontare è dove localizzare le attività produttive, per minimizzare
i costi e massimizzare la qualità del prodotto. Un’impresa che valuti la possibilità di produrre a livello internazionale, deve
considerare un insieme di fattori, raggruppati in tre ampie categorie:
1) Fattori paesi: economia politica, cultura e costo relativo dei fattori, sono differenti da paese a paese. A parità di condizioni
un'impresa dovrebbe localizzare le sue attività manifatturiere laddove le condizioni economiche, politiche e culturali
favoriscono il conseguimento delle migliori performance.
2) Fattori tecnologici: La tecnologia che un’impresa utilizza per realizzare specifiche attività produttive può essere fondamentale
nelle decisioni di localizzazione.
Sono 3 le caratteristiche rilevanti di una tecnologia produttiva:
- I costi fissi per l’installazione e il mantenimento dell’impianto
- Scala minima efficiente= il concetto di economie di scala afferma che all’aumentare dei volumi produttivi di un impianto, i
costi unitari diminuiscono. Tra le ragioni dell’insorgere di economie di scala ci sono il maggior utilizzo di macchinari e gli
incrementi di produttività che si realizzano con la specializzazione degli addetti all’interno dello stabilimento. Tuttavia, oltre
un certo livello di produzione, la possibilità di sfruttare economie di scala si attenua perché si raggiunge un certo livello di
produzione oltre il quale i miglioramenti nei costi risultano marginali e non si riescono a ottenere ulteriori economie di scala
a livello di impianto.
Questo livello viene definito scala minima efficiente dell'output ovvero la scala di produzione a cui un impianto deve operare
per realizzare tutte le economie di scala più significative a livello di impianto.
- Produzione flessibile e personalizzazione di massa= all'interno del concetto di economia di scala, vi è l’idea che il miglior
modo per ottenere alta efficienza e conseguentemente ridotti costi unitari, è realizzare una produzione di massa di un
prodotto standardizzato.
3) Fattori prodotto:
le caratteristiche del prodotto che influenzano le decisioni di localizzazione sono 2:
a) la densità di valore (rapporto valore-peso o valore-volume di un prodotto, poichè influenza i costi di trasporto e di
mantenimento a scorta). Prodotti farmaceutici o elettronici hanno densità elevata, sono piccoli e facili da spedire; quindi, i
costi di trasporto incidono poco sui costi totali; pertanto, tali prodotti vengono prodotti nella localizzazione ottimale e poi
da lì si serve il mercato mondiale. Al contrario, prodotti con densità alta (prodotti chimici, zucchero, ecc), economici, che
ingombrano molto, hanno una percentuale più elevata sui costi di trasporto, ed è meglio produrli in prossimità dei mercati
di sbocco, per ridurre tali costi;
b) la capacità di servire bisogni universali (identici in tutto il mondo), (es: elettronica industriale, acciaio, pc, calcolatrici ecc). In
questi prodotti vi sono differenze limitate nei gusti dei consumatori, per cui si riduce il loro adattamento locale, ed è più
opportuna la produzione nella località ottimale.
Negli ultimi anni, gli studiosi di strategia hanno riportato visioni differenti e contrastanti riguardo la globalizzazione.
Una visione guarda alla globalizzazione focalizzandosi sull’aspetto negativo dell’omogeneizzazione dei mercati e dei consumi dovuta
allo sviluppo delle tecnologie che hanno permesso di esporre a stimoli simili a popolazioni diverse e distanti. 🡪 mcdonaldizzazione.
(Friedman)
L’altra che pensa che grazie alle organizzazioni e alla tecnologia vi sia una rivincita dei localismi e l’effetto “glocale” ovvero che la
frammentazione dei mercati coesista e si alimenti tramite il processo di globalizzazione. (Ghemawat)
Friedman suggerisce di cambiare il modo di intendere le carriere e di educare i bambini e portare all’attenzione delle aziende
occidentali, l’impatto di quello che sta succedendo dall’altra parte del mondo, in quanto avrà conseguenze notevoli nei prossimi
anni.
Per lui la globalizzazione porta inevitabilmente verso l’omogeneità.
1) Visione di Ghemawat:
2) ritiene invece che il mondo non sia affatto piatto, esistono confini e sono
3) rilevanti per l’ideazione delle strategie aziendali cross-border. Il mondo è in realtà
4) semiglobalizzato ed esistono similitudini e differenze
5) ritiene invece che il mondo non sia affatto piatto, esistono confini e sono
6) rilevanti per l’ideazione delle strategie aziendali cross-border. Il mondo è in realtà
7) semiglobalizzato ed esistono similitudini e differenze
8) ritiene invece che il mondo non sia affatto piatto, esistono confini e sono
9) rilevanti per l’ideazione delle strategie aziendali cross-border. Il mondo è in realtà
10) semiglobalizzato ed esistono similitudini e differenze
11) ritiene invece che il mondo non sia affatto piatto, esistono confini e sono
12) rilevanti per l’ideazione delle strategie aziendali cross-border. Il mondo è in realtà
13) semiglobalizzato ed esistono similitudini e differenze
ritiene che il mondo non sia affatto piatto e che i confini esistono e sono un tema rilevante per l’ideazione delle strategie
aziendali cross-border, il mondo infatti è semi-globalizzato perché esistono similitudini e differenze.
Crea il modello CAGE (Cultura, amministrazione, geografia ed economia) e riporta la necessità di operare in modo
differenziato nei diversi Paesi a causa delle differenze, suggerendo alle aziende di individuare quali differenze siano rilevanti
per il proprio settore e di cercare le differenze nelle differenze, per ottenere vantaggio competitivo.
L’autore, per affrontare il mondo semi-globalizzato, suggerisce strategie come: Adattamento, Aggregazione, Arbitraggio.
Prendere in considerazione le similarità e le differenze, aiuta ad avere una guida per analizzare le opportunità di crescita e
vuol dire saper gestire le risorse umane in maniera efficace.
Fattori a favore:
1) Riduzione dei prezzi di beni e servizi grazie alla produzione di massa e alla localizzazione della produzione in luoghi in
cui la materia prima e il costo del lavoro è inferiore. Questo ha permesso a un gran numero di consumatori di accedere
a beni e servizi di lusso.
2) La globalizzazione ha stimolato la crescita economica perché permette di incrociare più opportunità e nuovi mercati. Il
grande sviluppo del tessile in Cina, ad esempio, ha consentito alle aziende italiane del comparto macchinari tessili di
poter vender un gran numero di macchine utensili in quel paese e di veder aumentati i fatturati.
3) Aumento del reddito dei consumatori
4) Aumento dei posti di lavoro nei paesi in via di sviluppo
5) I paesi si specializzano nella produzione di beni e servizi che producono in maniera più efficiente
Fattori contro:
1) Perdita dei posti di lavori nel settore manifatturiero nei paesi sviluppati come gli Stati Uniti e il Regno Unito.
I sostenitori della globalizzazione rispondono dicendo che quando un paese si apre al libero scambio, si verifica sempre un certo
sconvolgimento, ma l’economia nel suo complesso come conseguenza sta meglio. L’importazione di prodotti tessili dalla Cina porta
a prezzi dell’abbigliamento inferiori negli Stati Uniti e ciò permette ai consumatori di spendere una parte maggiore del loro denaro
in altri articoli. Allo stesso tempo, il maggior reddito generato in Cina dalle esportazioni di prodotti tessili aumenta i livelli di reddito
in quel paese, fatto che aiuta i cinesi ad acquistare più beni prodotti negli Stati Uniti, come i prodotti farmaceutici o i programmi
Microsoft.
2) Diminuzione dei salari dei lavoratori non qualificati
3) Le aziende grazie alla globalizzazione si spostano in paesi in via di sviluppo in cui vi sono poche norme a tutela dei
lavoratori e a tutela dell’ambiente. I sostenitori della globalizzazione affermano che l’interesse nei confronti dell’ambiente
e della tutela del lavoratore cresce con lo sviluppo economico.
4) Le persone contro la globalizzazione parlano di una perdita di sovranità da parte degli stati nazionali a favore degli
organismi sovranazionali quali OMC, Unione Europea, Onu. Gli economisti sostengono che questi organi in realtà abbiano
un potere limitato e che nascano per fare gli interessi collettivi e non per altro.
5) Molti sostengono che il Gap tra paesi ricchi e paesi poveri sia cresciuto ancora di più. In realtà la povertà estrema è stata
ridotta dal 30% al 18% soprattutto grazie allo sviluppo economico di Paesi molto popolati quali India e Cina.
L’espatrio implica il trasferimento di persone per motivi di lavoro tra due Paesi per un periodo di tempo che richiede un cambio di
indirizzo e un certo grado di adattamento semi-permanente alle condizioni locali.
Si considerano espatriate le persone che si trasferiscono, per periodi della durata da 3 a 5 anni, con il compito di gestire
temporaneamente alcuni processi chiave del business.
Le motivazioni prevalenti che originano il trasferimento di manager sono raggruppabili in tre categorie: Ricoprire i posti vacanti,
sviluppare i manager, sviluppare l’organizzazione e creare network informali.
Su questa base, Evans aggiunge la variabile della durata dell’incarico per creare una matrice di classificazione della durata e dello
scopo degli incarichi internazionali.
Secondo la classificazione più recente di Caligiuri gli incarichi internazionali variano secondo due variabili continue:
Espatri funzionali: sono richieste specifiche competenze tecniche per uno specifico incarico, ma in questo caso l’interazione con i
locali è elevata e cruciale. Le figure coinvolte sono manager funzionali di medio livello, tecnici con ruoli di collegamento o di
passaggio di informazioni.
Espatri di sviluppo o di alti potenziali: in alcune aziende l’espatrio nel percorso di carriera dei manager in crescita, è coerente con i
piani di sviluppo manageriale dell’organizzazione. Gli espatriati hanno l’obiettivo di sviluppare competenze individuali, professionali
o tecniche. Nell’incarico internazionale le risorse hanno diversi compiti. Il possesso di competenze interculturali non è un
prerequisito ma costituisce un risultato richiesto.
Espatri strategici: sono incarichi che vengono affidati ai manager di alto livello a cui viene richiesto di ricoprire posizioni
internazionali altamente critiche e di livello strategico per l’impresa. L’intento è sia di sviluppo manageriale che strategico per
l’organizzazione. Fanno parte di questo gruppo anche i rimpatri di manager di alto profilo da altri Paesi verso la casa madre. Dato il
livello di incarico è richiesto un alto grado di sensibilità interculturale.
Nell’incarico tradizionale, il titolare dell’incarico si trasferisce in modo semi-permanente nel Paese di destinazione portando al
seguito il partner e la famiglia per un periodo di tempo medio-lungo, con problemi di adattamento sia all’andata che al rientro
La necessità di fronteggiare alcune questioni critiche, quali la difficoltà di reperimento di potenziali espatriati per incarichi di tipo
tradizionale a lungo termine, hanno portato a fianco dell’espatrio tradizionale, all’introduzione di forme alternative di missioni
internazionali, meno costose per le aziende, allo scopo di creare una sorta di portfolio di possibilità da utilizzare
contemporaneamente.
Nonostante alcune critiche, la dicotomia globalizzazione/localizzazione è largamente accreditata per spiegare le strategie
di globalizzazione delle imprese.
Gli stadi di internazionalizzazione di un’impresa sono quattro:
I. Stadio domestico: esportazioni occasionali + primo coinvolgimento sui mercati esteri, con la nascita
eventualmente di una prima unità organizzativa dedicata;
II. Stadio internazionale o multidomestico: l’azienda gestisce ogni Paese in via indipendente, come un mercato a
sé stante, senza sinergie nella gestione internazionale del business;
III. Stadio multinazionale: l’azienda inizia a realizzare strutture di marketing, produzione o ricerca &
sviluppo nei Paesi esteri. L’azienda inizia ad avere le proprie attività sparse in diversi luoghi del mondo, e gran
parte delle vendite vengono realizzate al di fuori dei confini nazionali;
IV. Stadio globale: l’identità dell’azienda non è più situata nazionalmente e diventa un “aziende senza patria” = il mercato di
riferimento è il mondo e le attività delle sussidiarie locali si influenzano reciprocamente.
Dal punto di vista organizzativo la tendenza degli ultimi anni vede le aziende trasformarsi da multinazionali a globali.
Si tratta di un approccio che favorisce il raggiungimento di economie di scala con una forte standardizzazione in termini
di progettazione del prodotto, produzione e strategia di marketing e con una visione unica del mondo: approccio
geocentrico.
Tipicamente questa strategia viene opposta a quella multinazionale che vede la competizione all’interno dei
Paesi, svolgersi in via indipendente rispetto a quanto accade negli altri mercati locali, con un approccio, quindi,
policentrico.
In questa visione, l’internazionalizzazione avviene in modo graduale.
Glossario di alcune parole/concetti:
1. Densità di valore: (rapporto valore-peso o valore-volume di un prodotto, poiché influenza i costi di trasporto e di mantenimento a
scorta).
2. Curve di esperienza: Negli studi di strategia aziendale, la curva di esperienza è la rappresentazione grafica della relazione che lega
l'andamento del costo medio unitario del bene prodotto al volume di produzione cumulata.
È stato dimostrato che all'aumentare del volume di produzione cumulata il costo medio del bene prodotto diminuisce, e tale
diminuzione è legata al più alto livello di efficienza della produzione per effetto dell'esperienza.
3. Economie di localizzazione: scelta dell’impresa di investire e svolgere un’attività di creazione del valore, nella località ottimale per
quella data attività, qualunque essa sia nel mondo.
4. Economie di scala: si riferiscono alla riduzione dei costi unitari ottenuta attraverso la produzione di grandi volumi di prodotto. Il
conseguimento di economie di scala riduce i costi unitari di un’impresa ed aumenta la sua redditività.
5. Just in Time: Insieme delle tecniche industriali di derivazione giapponese applicato alla gestione della produzione, delle scorte e
della catena di fornitura. Nella sua accezione più ristretta, significa produrre solo quanto richiesto dal cliente nei tempi voluti dal
cliente; nella versione più estesa, l’applicazione del JIT è finalizzata alla riduzione, nonché all’eliminazione, di tutte le forme di spreco
che si realizzano all’interno della fabbrica e nei rapporti di fornitura.
6. Marketing: Il marketing è un ramo dell'economia che si occupa dello studio e descrizione di un mercato di riferimento, ed in
generale dell'analisi dell'interazione del mercato e degli utenti di un'impresa.
7. Marketing Mix: Insieme di elementi che definiscono la strategia da utilizzare in termini di caratteristiche del prodotto, strategie
distributive, comunicazione e prezzi. Nel definire ognuna di queste dimensioni è importante saper leggere le esigenze locali.
8. Logistica: La logistica è il processo che controlla il trasferimento dei materiali lungo la catena del valore, dall'approvvigionamento
alla produzione, fino alla distribuzione
9. R&S: è una locuzione usata generalmente per indicare quella parte di un'impresa industriale (persone, mezzi e risorse finanziarie),
che viene dedicata allo studio di innovazione tecnologica da utilizzare per migliorare i propri prodotti, crearne di nuovi, o migliorare i
processi di produzione.
10. Resource based view: punto di vista nella GRU, che sottolinea come i beni, le competenze e le attività hanno un valore
strategico in quanto possono essere un’importante fonte di vantaggio competitivo se sono di valore, rare, difficili da imitare e
sostituire
11. Economie miste: è un sistema economico che comprende aspetti e caratteristiche di più sistemi economici, combinando ad
esempio elementi capitalistici con concetti legati a una maggiore presenza e influenza statale in ambito economico attraverso la
politica economica.
12. Economie di mercato: sistema in cui, chi ha un’idea innovativa può realizzarla (con pratiche imprenditoriali), mentre le imprese
già esistenti possono migliorarsi attraverso innovazione.
13. Economie pianificate: lo stato possiede tutti i mezzi di produzione lasciando agli individui pochi incentivi economici (EX URSS)