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Change Management
Montefusco si concentra sul processo che dovrà essere attuato per condurre
l’organizzazione dallo stato A verso lo stato B.
Introduzione
All’interno della vita organizzativa, la parola “cambiamento” è molto frequente: sembra quasi
che il senso della continuità operativa, caratterizzata dalla classica concezione dell’impresa
come flusso ottimizzato, abbia lasciato il posto a una visione in cui dominano i concetti di
“inseguire” qualche cosa o di “costruire” qualche cosa di differente da quello che
l’organizzazione è nel “qui ed ora”.
1. Pragmatica: un obiettivo
Il primo obiettivo di questo testo consiste nel fornire una pragmatica: una guida all’azione,
individuale e organizzativa, per la costruzione, gestione ed esecuzione di un progetto di
cambiamento.
Nelle imprese spesso si sentono affermazioni quali “si deve essere pratici”, “sì, ma questa
è teoria, poi in pratica” … Questo atteggiamento superficiale che si manifesta quando
trattiamo di persone e di gestione d’impresa origina da 2 elementi:
Quando siamo chiamati a governare l’impresa, in particolare per generare modifiche a una
sua stabilità acquisita nel tempo, l’agire inconsapevole diventa pericoloso. Occorre divenire
consapevoli dei fenomeni che sono implicati nei processi che abbiamo necessità di
governare. A questo scopo, il testo considera 3 ambiti scientifici differenti: psicologia del
comportamento e dell’apprendimento, organizzazione aziendale, teoria dei sistemi.
Nella visione positivista dell’organizzazione, il tema del cambiamento viene affrontato con
modalità ingegneristica: partendo da un disegno strategico che ridefinisce gli obiettivi
dell’organizzazione, origina un processo di ristrutturazione organizzativa finalizzato ad
attuarlo. Sebbene questa visione sia ancora dominante, essa ha portato spesso a risultati
incompleti. Nel 2008, IBM Global Services ha condotto la ricerca Making Change Work:
intervistando 1500 change practitioners (project leader, project manager, change manager,
sponsor), ha cercato di misurare 2 elementi:
È emerso che:
4. Il quadro di riferimento
Il nostro percorso passa per 3 momenti, che ricorreranno ciclicamente nei vari argomenti
trattati:
Quando ci si trova in questa situazione, sono sempre presenti degli aspetti paradossali. La
condizioni degli individui nei processi di cambiamento è simile al disegno di Escher “Mani
che disegnano”, in cui le mani si disegnano reciprocamente.
L’attore del cambiamento deve scrivere parte della trama della sua “rappresentazione”,
perché qualunque modello organizzativo richiede necessariamente un adattamento alla
specifica organizzazione, allo specifico contesto, alle specifiche persone, nello specifico
momento.
6. L’approccio
→ Costruzione e progettazione
La norma vuole affermare che, se sono verificate le ipotesi di partenza, a partire dalla
classificazione è possibile definire specifiche azioni. A questo scopo occorre avere (almeno)
3 accortezze:
3 basi concettuali:
Dominare la complessità di un sistema operando un passo alla volta sui singoli elemento
che lo compongono è la soluzione più semplice ed è alla base delle tecniche di
progettazione in molti settori tecnologici.
Questo modo di operare è affidabile solo con ipotesi forti (che richiedono condizioni
“restrittive” per essere valide). Nei sistemi economici, in particolare in quelli organizzativi in
cui è in gioco il comportamento di persone e gruppi, questo approccio è quasi sempre
impraticabile se non con grande cautela.
Poiché noi ci occupiamo di sistemi organizzativi, gli elementi del sistema saranno le
determinanti organizzative: persone, strutture organizzative, processi, tecnologie,
ambiente (sia fisico, sia economico).
1) Tempo. Ogni sistema ha una storia, cioè il suo comportamento attuale non può
essere previsto senza conoscere, almeno in parte, quello “passato”.
2) Stato. È costruito da un insieme di variabili che permettono di definire in quali
condizioni si trova il sistema in ogni istante, riassumendone in qualche modo la storia.
Una buona misura dello stato del sistema organizzativo A, ai fini della definizione del
processo / progetto di cambiamento verso B, è la cultura organizzativa (cap. 3).
Quando riflettiamo, analizziamo e progettiamo, non operiamo sul sistema reale, bensì su un
modello: rappresentazione del sistema reale che ci permette di tenere in considerazione i
fattori che influenzano il sistema nell’utilizzo pratico di nostro interesse.
Una volta identificato un adeguato modello (o un gruppo di adeguati modelli), per noi il
sistema e il suo modello coincideranno. Ciò è vero se e solo se vengono rispettate le
ipotesi che ci permettono la semplificazione. Per ricordarci di verificare le ipotesi, è bene
richiamare alla mente questa frase: “Confondere il sistema con il modello è simile ad andare
al ristorante e mangiarsi il menù” (Tavella, 1996). Nella maggior parte della nostra vita, noi
interagiamo con i sistemi sulla base di una rappresentazione semplificata che conosciamo
e riusciamo a governare dal pdv cognitivo, cioè attraverso il modello. Nella maggior parte
dei casi, non saremmo in grado di gestire la complessità totale della realtà.
Secondo Rasmussen:
1) Tutti noi siamo in grado di condurre un veicolo senza alcun problema nelle condizioni
“normali”. Questa modalità di governo di un sistema complesso è detta skill based
behaviour: comportamento “automatico” e ripetitivo, appreso stabilmente grazie alle
molte volte in cui è stato esercitato. Tuttavia, c’è una differenza di guida tra:
- Una strada asciutta e calda - Una strada bagnata
- Una strada asciutta ma molto fredda - Una strada innevata
L’obiettivo della gestione del cambiamento è modificare skills, rules, knowledge dello stato
A per costruire nuovi skills, rules, knowledge adeguati a gestire in modo stabile lo stato B.
Ne risulta un doppio vincolo (paradossale come il disegno di Escher):
- Da un lato, i modelli operativi dello stato A sono le chiavi con cui le persone tenderanno
a interpretare lo stato B e ad agire per raggiungerlo quando verrà loro presentato il
progetto di cambiamento.
- Dall’altro, quella stessa strumentazione mentale è oggetto del cambiamento verso B che
le persone sono chiamate a realizzare.
In fase di progettazione, dovremo operare un’analisi di compatibilità tra ciò che è richiesto
nello stato A e ciò che sarà necessario nello stato B: persone con modelli operativi molto
strutturati faticheranno a passare a situazioni di costante navigazione nell’incertezza.
1) Tempo-varianza
2) Dinamicità
- Ingresso, che identifica le azioni (input) che esercitiamo sul sistema per ottenere i
risultati desiderati
- Uscita, che indica i risultati realmente ottenuti dal nostro operato (output).
Esempio:
2 situazioni possibili:
Talvolta è possibile identificare una o più variabili in grado di “riassumere” la storia del
sistema. Ciò accade quando si riesce a identificare lo stato, cioè una serie di variabili che
rappresentano la storia del sistema in modo sintetico. La cultura organizzativa può
parzialmente giocare questo ruolo, “riassumendo” per alcune variabili chiave di
comportamento il loro stato in A.
3) Non linearità
Un sistema si dice lineare se, applicando un ingresso somma di 2 ingressi, l’uscita che si
ottiene è la somma delle 2 uscite corrispondenti.
Purtroppo per noi, in generale i sistemi sono non lineari. Cercare di linearizzare la realtà
è una delle più frequenti e note distorsioni cognitive che deriva dalla nostra formazione
culturale positivista.
4) Stato
Stato di un sistema: insieme delle variabili in grado di riassumerne la storia sino a un dato
istante. Se conosco l’ingresso applicato al tempo “t” e il valore delle variabili di stato al tempo
“t”, posso conoscerne l’uscita del sistema al tempo “t”.
5) Stabilità
Un sistema si dice stabile se una perturbazione su di esso genera una variazione delle
variabili di uscita proporzionale alla perturbazione stessa.
Es. di sistema stabile: palla da calcio su un piano; il suo spostamento sarà proporzionale
alla forza che imprimo calciandola.
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Es. di sistema asintoticamente stabile: pallina livera di muoversi in una scodella concava;
se la spingo verso le pareti, essa si “arrampica” con forza proporzionale alla spinta, ma poi
ritorna al centro.
La scienza del controllo è nata nell’ambito della teoria dei sistemi applicata all’ingegneria.
Per chiarire il concetto di controllo e controllabilità, occorre addentrarci, seppur rapidamente,
in qualche “schema a blocchi” e in un poco di teoria.
Il sistema dovrà mantenere le sue variabili di interesse nel valore desiderato in modo
asintoticamente stabile. Però in generale i sistemi non potranno realizzare esattamente
l’uscita che desideriamo. Ci accontentiamo quindi che essa sia sempre in un “intorno” del
valore richiesto, e che mantenga questo intorno anche quando subentrano incertezze e
modifiche dei parametri, ovviamente purché questi elementi di disturbo rimangano entro
certi limiti: solo i sistemi robusti o resilienti riescono ad evitare situazioni fuori controllo
seppur in modalità “degradata”.
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Il sistema di controllo C è costruito sulla base della conoscenza a priori della relazione tra
l’uscita y(t) e l’ingresso u(t). Questo primo metodo funziona correttamente se e solo se non
ci sono incertezze sul sistema S.
Es.: il capo, consapevole delle capacità e delle conoscenze del collaboratore, gli fornisce
elementi per un lavoro e non se ne cura più: il prodotto andrà direttamente al “cliente”, così
come realizzato dal collaboratore.
Esempio della sala radar aeronautica: il controllore del traffico aereo (CTA) è l’elemento
decisione del loop di controllo del volo di un aeromobile (C).
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Ottenere feedback sulle prestazioni economiche è uno dei grandi problemi dell’impresa: la
balanced scorecard di Kaplan e Norton (1996) è un modello per la gestione dell’impresa
che ruota attorno al feedback di alcuni indicatori.
Comprendere come nel sistema organizzativo stia agendo un sistema di controllo piuttosto
che un altro è di vitale importanza per la gestione del cambiamento: ogni feedback presente
influenza in modo significativo il comportamento.
Un gestore del cambiamento che non comprenda i loop di influenza sociale e manageriale
si lancerà in nervosi commenti del tipo: “Ma perché è così semplice e non lo fa?”.
Certamente la resistenza ha anche una sorgente soggettiva, ma al gestore del cambiamento
sono sfuggiti alcuni loop di controllo che mantengono il comportamento, in modo
asintoticamente stabile, nello stato A. L’effetto sarà ancora più marcato quando un intero
gruppo di persone è inserito in uno o più loop di controllo: l’apprendimento organizzativo
mostra più resistenze di quello individuale.
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1. Errore dovuto ad un aumento del feedback: una persona che, presa dal panico
per un evento inatteso, riporta un dato con molta enfasi, amplificando il feedback.
2. Errore dovuto alla diminuzione del feedback a partire da una situazione in cui il
sistema funzionava correttamente.
3. Errore dovuto alla degradazione del comportamento dei 5 operatori.
Immaginiamo un sistema con 5 persone nel feedback che devono riportare
l’informazione sull’andamento dell’organizzazione. Se il sistema non è in grado di
reagire ai disturbi, questi ultimi creano un certo scompiglio, inducendo le persone a
modificare il loro comportamento, “sottraendo” il 10% dell’informazione dal feedback.
Inoltre, ogni operatore potrebbe essere ignaro del comportamento altrui e del modello
del sistema. Ciò porterebbe a …
4. Errori legati a tentativi di correzione che possono comportare un’ulteriore
degradazione del sistema. Una errata interpretazione del sistema organizzativo e
dei suoi fenomeni è talvolta peggiore del suo “libero movimento”.
Per comprendere quest’ultimo punto, riflettiamo sul fatto che nel feedback esistono spesso
componenti, denominate non raggiungibili e non osservabili, sulle quali la chiusura di un
feedback non può avere alcun effetto. Queste componenti non sono in alcun modo
controllabili attraverso il feedback. 1
Per indirizzare un sistema organizzativo verso gli obiettivi, occorre comprendere se i sistemi
di controllo in anello chiuso (feedback) garantiscono l’osservabilità e la raggiungibilità di tutte
le variabili rilevanti del sistema. In particolare, un’adeguata gestione dei gruppi permette
l’estensione della raggiungibilità e della controllabilità del sistema organizzativo.
Esempio per capire cosa si intende per campionamento: film in cui un’automobile con le
ruote a raggi attraversa una scena. La ruota gira in avanti, in accordo con il movimento
dell’automobile e con le nostre aspettative frutto dell’esperienza comune, ma se non ne
avessimo esperienza affermeremmo che gira all’indietro. La spiegazione scientifica è che:
Questo è il fenomeno più subdolo del campionamento: leggere una realtà che varia nel
tempo in modo troppo lento.
Dunque, non solo occorre accertarsi che il modello con cui rappresentiamo il sistema
organizzativo consideri tutte le parti rilevanti e i feedback di controllo, ma anche che i
momenti in cui compiamo le osservazioni – lo stato di avanzamento lavori del progetto –
siano quelli corretti.
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1) Modello comportamentista
2) Modello cognitivista
o Nato dagli scambi culturali del fertile “triangolo” multidisciplinare in cui nei 60’s si
stavano sviluppando i concetti del calcolo automatico e dell’AI:
▪ Università di Princeton (Von Neumann)
▪ MIT di Boston (Simon, Chomsky)
▪ Palo Alto (Bateson, Watzlawick)
o Nella sua prima formulazione cerca di spiegare il comportamento rappresentando
l’essere umano similmente a un sistema di intelligenza artificiale:
▪ Un insieme di apparati per la lettura di informazioni esterne,
similmente ai sistemi di input/output dei computer
▪ Un insieme di elementi di comunicazione interna, similmente al “bus”
di comunicazione dei computer
▪ Un sistema di elaborazione dei simboli, similmente alla CPU del
computer
▪ Un sistema di memorizzazione dei simboli, similmente alla memoria dei
computer.
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3) Modello costruttivista
o 70’s: obiezione forte al cognitivismo, che non riesce a includere il contesto sociale
nel comportamento e non prende una posizione chiara su cosa si intenda per
realtà sterna
o Modello più articolato e meno schematizzabile, ma che trova riscontro nei recenti
esperimenti neuroscientifici
o La realtà non può essere oggetto diretto di conoscenza: le persone possono
conoscere solo una rappresentazione, socialmente costruita, della realtà, tanto
da spingere alcuni costruttivisti ad affermare che “la realtà non esiste, ma è
socialmente costruita”
o 4 elementi del modello:
▪ Le persone interpretano la realtà attraverso un modello costruito
▪ Il processo di costruzione del modello è fortemente correlato alle
finalità dell’azione che l’individuo dovrà/vorrà condurre utilizzandolo
come interpretazione
▪ Il processo di costruzione è continuo: le persone sono costrette a un
continuo adattamento negoziato (Bruner), all’interno della comunità sociale
in cui agiscono
▪ Il processo di costruzione è situazionale: è in relazione allo specifico
contesto in cui le persone agiscono.
1) Identificazione di un obiettivo
2) Costruzione di una domanda operativa: razionalizzazione cognitivamente
rappresentabile dell’obiettivo
3) Costruzione della risposta operativa: imparare a fare e agire in risposta al nuovo
problema o alla nuova esigenza
4) Sperimentazione in cui si consolida il modello appreso nel proprio personale
contesto.
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Questo processo di apprendimento è fondato sul costruttivismo perché sottolinea il fatto che
apprendere non equivale a “sommare” competenze a quelle attuali, bensì costruire un nuovo
modello di relazione con la realtà.
Comprendere e governare l’evoluzione dei singoli individui non è sufficiente per governare
gli sviluppi dell’organizzazione e dell’impresa, né tantomeno per gestire i cambiamenti.
È necessario adottare un modello per l’apprendimento organizzativo.
1) Scongelamento delle norme, delle prassi, delle routine in uso: skills, rules,
knowledge. Questa fase può realizzarsi in 2 modalità (Mintzberg):
I. Modalità progettale o deduttiva, tipica dei cambiamenti pianificati, in cui il
sistema organizzativo è chiamato a un percorso di evoluzione verso nuovi
modelli operativi; l’origine è l’introduzione di concettualizzazioni strategiche e
decisioni del top mgmt.
II. Modalità induttiva, tipica del cambiamento continuo; l’origine è la prassi,
l’operatività quotidiana.
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2Assioma = proprietà sulla quale si fonda un sistema scientifico e che è indimostrabile. A partire dagli assiomi
si costruiscono i teoremi.
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1) Persone e cambiamento
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Si vedrà in seguito che anche altri fattori agiscono sulle scelte relative agli stati A e B, tali
da determinare un’instabilità di B nel tempo. Ciò rafforza l’esigenza di non utilizzare in modo
preponderante A e B come leve della trasformazione.
3 Emozionale ≠ irrazionale. Le emozioni fanno parte del sistema di funzionamento di ogni individuo sano e
hanno una razionalità, anche se essa sfugge alla semplice ricerca di nessi causali cui siamo abituati o che è
consentita nel piano economico dell’impresa.
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3) Tecnologia e cambiamento
Molte ricerche indagano il modo in cui la tecnologia determina “perché lasciare A” e i “motivi
per pianificare un particolare B”. operando una semplificazione, possiamo riassumere gli
impatti delle tecnologie in 2 tipologie, che agiscono ciclicamente sull’impresa.
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Questi elementi verranno analizzati nello sviluppo del metodo e nella gestione del progetto.
4) Ambiente e cambiamento
- Esiste una percezione di inadeguatezza ambientale dello stato A, che può consistere
in:
o Percezione di inadeguatezza della cultura aziendale rispetto alla cultura
del mercato di riferimento (in particolare delle imprese di successo)
o Percezione di inadeguatezza del modello di business dell’impresa
rispetto a quello del mercato di riferimento.
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2.3. Gli effetti operativi della contingenza sulla gestione del cambiamento
Nella prassi: poiché A e B sono dimensioni contingenti, legate anche a fattori emozionali,
la gestione del cambiamento non può fare leva in modo importante su di essi. Deve invece
fare leva sul processo di trasformazione, il quale mostra caratteristiche stabili e ripetibili,
indipendenti dalla contingenza del cambiamento.
Illustrare B, chiarendone gli aspetti operativi e quelli strategici, non è condizione sufficiente
per attivare un cambiamento di successo, anche se per certi aspetti può essere considerata
una condizione necessaria.
Come però tratteremo nella sezione sulla gestione del progetto, è fondamentale
un’adeguata co-municazione e condivisione del progetto di cambiamento per supportare la
costruzione di adeguate rappresentazioni specifiche dei singoli ruoli nelle future strutture
organizzative dello stato B.
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- Stato in cui l’impresa persegue l’efficacia, cioè cerca di raggiungere gli obiettivi al di là
del risultato economico.
- Periodo in cui le persone cercano di percorrere strade nuove e di migliorare in modo
drastico i processi operativi.
- Periodo in cui nascono prodotti, processi, tecniche e metodi drasticamente nuovi.
- Ciò comporta la modifica dei riferimenti, dei canali e degli stili comunicativi, delle reti di
conoscenza, dell’equilibrio tra pensare e fare.
- Momento di conflitto importante: l’organizzazione verifica l’incapacità di “fare il nuovo”
con modelli operativi vecchi.
- Alcune comunità vivono la paura di “essere superate”.
- Mancano le certezze rassicuranti.
Il modello “oscillatore”: immaginando che l’impresa viva gli stati di efficienza e di efficacia
in periodi sequenziali, Lewin ipotizzava che il cambiamento del sistema organizzativo
corrispondesse allo stato di innovazione/efficacia. L’impresa si trova in una sorta di
oscillazione tra:
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Similmente a questi esempi, per Lewin il problema del sistema organizzativo sta nel trovare
una stabilità che gli permetta di oscillare tra gli stati producendo valore.
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Assioma del cambiamento necessario: per un qualunque individuo e per una qualunque
entità organizzativa, multipla o singola, configurabile come sistema chiuso o aperto, il
cambiamento è una necessità intrinseca vitale. Non si può non cambiare.
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Cambiamento PP e cambiamento II
Riferendoci al modello:
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- Apprendimento individuale
- Apprendimento organizzativo (3 stadi di Lewin)
- Sul singolo individuo occorrerà innescare il processo fornendo obiettivi “vicini” alla sua
realtà operativa, supportarlo nel costruire la sua domanda e la sua personale risposta,
spingerlo a ricostruire un modello operativo consolidato e “psicologicamente
economico”.
- Si agirà sull’organizzazione attraverso azioni volte alla costruzione di obiettivi condivisi
e di risposte alle nuove domande, ottenute attraverso nuove strutture, regole e relazioni,
e al consolidamento delle medesime in routine efficienti.
- Per ogni individuo un percorso che attraversi le 4 fasi della learning waterfall
- Per le unità organizzative un percorso che preveda i 3 stati di Lewin.
A questo scopo, occorre un’accurata gestione del progetto di cambiamento, tema che
affronteremo in seguito.
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Non si deve mai dimenticare che l’azione organizzativa è sempre e comunque effetto di
azioni individuali e, per questo, la gestione del cambiamento deve far leva
sull’apprendimento individuale.
Un buon approccio alla gestione del cambiamento organizzativo tra uno stato A e uno stato
B consiste nel progettare, costruire e attuare un processo di apprendimento individuale in
sinergia con un processo di apprendimento organizzativo.
Il risultato si otterrà attraverso una serie di azioni nei vari livelli e gruppi sociali da cui
l’organizzazione è costituita, condotte in 2 momenti:
Il concetto di paradigma fu introdotto da Kuhn nel 1962. Egli affermava che lo sviluppo di
una disciplina scientifica passa attraverso i seguenti stadi:
1) Stadio pre-paradigmatico
2) Periodo della ricerca normale, che inizia quando viene identificato un gruppo di
paradigmi
3) Periodo di crisi, in cui il paradigma fino ad allora accettato incontro problemi che
esso stesso ha generato, ma che non può risolvere
4) Periodo di rivoluzione, in cui emerge un altro paradigma che rende di nuovo
possibile la ricerca normale.
Ciò significa che il processo decisionale è connaturato a tutte le attività del sistema
organizzativo, rompendo così lo schema che vedeva il paradigma della decisione staccata
dall’azione. Da Simon sino a oggi è progressivamente aumentato il consenso della comunità
scientifica nell’interpretare l’impresa come una comunità di ricerca. Esempi:
- Levinthal (1991) mostra come l’inerzia – che noi abbiamo simbolizzato con la situazione
di asintotica stabilità – spinge le imprese a ricercare la soluzione prima nel loro insieme
di risorse già consolidate, per muovere lo sguardo verso l’esterno solo successivamente.
- Gavetti e Levinthal (200) mostrano come sia indispensabile, nell’azione quotidiana,
bilanciare “sguardo avanti” e “sguardo indietro” per identificare degli ottimi operativi.
1. Valori: linee guida per l’azione; si distinguono dai paradigmi perché vengono
richiamati frequentemente e consapevolmente e vengono classificati in attuali e
desiderati.
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La modifica della cultura non sempre è positiva: sono anzi numerosi i fenomeni di devianza
che nelle organizzazioni critiche hanno portato a incidenti e disastri.
1) Skill behaviours: sono costruiti secondo i paradigmi e i valori, in accordo con gli
artefatti disponibili (es. tecnologie), e vengono trasmessi in accordo con la visione
dell’apprendimento della particolare organizzazione.
2) Rules: sono intrise di paradigmi e valori, si appoggiano sugli artefatti disponibili, sono
a loro volta artefatti pervasivi e vengono trasmesse attraverso i processi di
apprendimento dell’organizzazione.
3) Knowledge: è forse la manifestazione più forte della visione paradigmatica: è il livello
dell’interpretazione di situazioni non ancora affrontate o non completamente
normate; nelle fasi del problem setting, i paradigmi sono un aggancio solido.
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virgolette perché non è mai totale: la convivenza integrata di differenti subculture permette
alle organizzazioni la lettura e l’interpretazione di segnali deboli complessi.
La persona che opera in un’organizzazione strutturata, cioè nella quale esistono e sono
perseguiti i 3 livelli indicati nella figura della pag. precedente, non utilizza costantemente il
loop knowledge based. Infatti, poiché il feedback ha un costo significativo, una parte
considerevole del controllo sull’azione organizzativa viene affidata all’addestramento
all’utilizzo delle regole, interrompendo così parzialmente i loop knowledge based di una
parte dell’organizzazione. Questa situazione viene descritta da Weick e Sutcliffe come una
carenza di mente collettiva: l’organizzazione perde la capacità di visione integrata del
contesto, sacrificandola a una maggiore efficienza operativa di un lavoro modularizzato.
Weick e Sutcliffe sottolineano come una cultura che non sia in grado di accettare una certa
quantità di ambiguità e incompletezza rischia di essere cieca non solo durante i momenti di
revisione delle skills, delle regole e nello sviluppo delle competenze, ma anche durante
l’azione, nei momenti in cui occorre interpretare in modo immediato segnali non già noti o
comunque che non si erano mai presentati in quelle modalità. Catino (2009) mostra come
per ben 2 volte la NASA, cadendo in questa trappola, abbia vissuto 2 disastri “costruiti” dal
contesto organizzativo, il quale ha generato sia miopia sia addirittura cecità.
Schein (1999) classifica 5 assunti di base della cultura organizzativa, 4 dei quali sono in
coincidenza con la visione di paradigma guida da noi proposta:
Assumiamo quindi che l’impresa decida riguarda al cambiamento come se fosse una
comunità scientifica che si trova nella fase 2 descritta da Kuhn. Questa assunzione è forte
e limitante: difficilmente spiega i cambiamenti che Weick e Quinn definiscono come
continuous change, in cui anche i paradigmi “fondativi” sembrano essere oggetto della
discussione organizzativa.
L’organizzazione parte da alcuni possibili paradigmi che sono dati per scontati, tanto che i
membri dell’impresa non riescono a tenere conto dell’effetto di polarizzazione che essi
inducono durante le decisioni, generando spesso effetti filtro e distorsioni euristiche.
1) Paradigma dell’ottimizzazione
- Organizzazione come macchina che può essere misurata e ottimizzata in accordo
con alcune regole
- Connesso a una visione positivista della realtà: esiste un mondo esterno conoscibile
attraverso la scienza (unico metodo possibile per conoscerlo)
- Poiché la conoscenza progredisce in modo ordinato e razionale, nell’organizzazione
si ottiene una progressiva riduzione dell’incertezza
- La sua dominanza porta l’impresa a ottimizzare ciò che si misura e a attribuire il
primato alla definizione delle strutture e dei metodi (e non all’analisi di sistema)
- In quest’ottica si è sviluppato il filone del cambiamento ottenuto con il business
process reengineering, che dà priorità alla progettazione dei processi come
componenti di una macchina ottimizzabile tramite un processo di ottimizzazione delle
singole parti (e non come elementi di un sistema complessa).
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4) Paradigma dell’evoluzione
- L’organizzazione è in una relazione evolutiva con il mondo esterno. Essa genera
continuamente routine di mediazione con il mondo esterno, mentre un’azione di
selezione guida il processo evolutivo
- La sua dominanza ports l’organizzazione a non sviluppare una propria strategia di
adattamento al mondo esterno, ma favorisce la generazione di routine, procedendo
poi per selezione ed eliminazione
- Questo paradigma tende a portare l’organizzazione a un approccio di
cambiamento continuo.
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Sono stati tentati vari modelli di descrizione del motivo per cui l’azione di cambiamento
possa avere origine e poi svilupparsi. Una schematizzazione ancora attuale, che può
fungere da guida anche la “normazione” di regole progettuali, è quella di Van de Ven e
Poole (1995): essi hanno definito 4 tipologie di processi di cambiamento
3.2.1. Classificazione delle teorie sul processo di cambiamento di Van de Ven e Poole
2) Teorie evoluzionistiche
- L’organizzazione attraversa, necessariamente e ciclicamente, 3 eventi:
1) Variazione
2) Selezione della variazione
3) Ritenzione
- Il meccanismo di generazione del cambiamento opera sulla base della selezione
competitiva e della scarsità di risorse.
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3) Teorie teleologiche
- L’organizzazione attraversa, necessariamente e ciclicamente, 4 eventi:
1) Visione e identificazione di obiettivi
2) Realizzazione degli obiettivi
3) Insoddisfazione
4) Ricerca e interazione con il mondo esterno
- Il meccanismo di generazione del cambiamento è quello dell’attivazione di scopo e
della costruzione sociale.
4) Teorie dialettiche
- L’organizzazione attraversa, necessariamente e ciclicamente, 3 eventi:
1) Generazione di tesi / antitesi
2) Conflitto
3) Sintesi
- Il meccanismo di generazione del cambiamento è fondato su pluralismo, conflitto e
confronto.
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- Paradigmi: identificano gli assunti di base che vengono utilizzati dal sistema
organizzativo per progettare, gestire e supportare il cambiamento.
- Motori: sono le forze che, dall’interno dell’organizzazione, agiscono il cambiamento,
rendendolo di fatto possibile.
Se, e solo se, il paradigma avrà generato un cambiamento tale da “azionare” il motore
esistente nell’organizzazione, allora il cambiamento organizzativo sarà “facile”, altrimenti
probabilmente sarà particolarmente faticoso.
Dunphy (1996) afferma che ogni teoria che cerchi di spiegare il cambiamento organizzativo
contiene almeno 5 proprietà:
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A livello di intervento, Weick e Quinn (1999) affermano che nel continuous change il
problema è reindirizzare ciò che è già in mutamento; questa operazione può essere
compiuta tramite la sequenza congelamento-ribilanciamento-scongelamento. Tale
sequenza colpisce per la profonda differenza rispetto a quella di Lewin, ma a uno sguardo
tecnico coincide con essa se spostiamo il problema del cambiamento alle 5 componenti.
Esse infatti, presenti per definizione nell’organizzazione continuous change, costituiscono il
meta-livello dei processi e delle abilità operative, che è un insieme di comportamenti e di
pattern cognitivi che risultano non più adeguati, ma non sono esplicitati: dunque occorre
“congelarli”, per renderli osservabili, razionalizzazioni e poi modificabili.
Apprendimento, paradigmi culturali e motori non sono solo strumenti analitici, ma anche
norme di azione: progettare il cambiamento come un processo di apprendimento individuale
e organizzativo, tenendo in considerazione la necessità di costruire una dialettica positiva
tra i paradigmi culturali degli autori e i motori del cambiamento disponibili all’interno
dell’impresa, assicurando che le azioni intraprese contribuiscano a identificare e rendere
consapevoli le 5 componenti di Dunphy presenti.
Beck e colleghi (2008) presentano numerosi dati che confutano un’ipotesi che alcuni davano
per consolidata: più un’impresa vive situazioni di cambiamento, più è adatta a cambiare.
L’ipotesi mostra una sua plausibilità se si adotta un modello comportamentista dell’essere
umano. Come però sottolineato da vari autori 4, gli esseri umani “faticano” nelle variazioni,
non nelle ripetizioni. La diminuzione degli sforzi di cambiamento è realistica se e solo se le
nuove situazioni da affrontare sono interpretabili con i modelli operativi attuali:
apprendimento organizzativo e individuale saranno guidati dai paradigmi della cultura
attuale dell’impresa.
Il lavoro che stiamo compiendo ha come punto centrale l’identificazione di modalità per
comprendere e sfruttare ogni minima energia presente nell’organizzazione, piuttosto che
generarne di nuove o, addirittura, contrastare quelle esistenti. Non esiste un modo di evitare
le resistenze al cambiamento, ma certamente è possibile mitigare quelle esistenti e
soprattutto evitare di crearne di nuove. Quando ciò accade, tipicamente, sono le più robuste
e difficile da superare, tanto che negli 80s gli studiosi anglosassoni le paragonavano ai black
hole astronomici.
Occorre però anche costruire una rappresentazione del modello di azione rappresentabile
e condivisibile a livello di collettività organizzativa. Non è facile progettare un processo di
cambiamento se non si ha un modello a cui “ispirarsi” per la costruzione del progetto.
Attenzione ai blocchi:
La risposta è che gli sforzi vengono concentrati su come indurre all’azione, anche con
operazioni di facilitazione importanti, trascurando che l’obiettivo principale dovrebbe essere
quello di rimuovere i blocchi all’apprendimento (Argyris e Schön, 1996) che solo in parte
corrispondono alle resistenze.
43
Concretezza e progett-azione:
Per i motivi sopra citati, nella costruzione e gestione del processo di cambiamento di un
sistema organizzativo occorre predisporre un modello d’azione che sia concreto e
progettuale.
44
Per ottenere una progettualità di questo tipo, è necessario disporre di un modello a cui
riferirsi. Un modello:
- Non è la realtà
- In questo caso, non rappresenta la realtà in odo quasi isomorfo, bensì è
particolarmente semplificato, ma dotato di valore operativo.
Ciò che appariva come una limitazione – la genericità del modello – è invece il suo punto di
forza. Infatti, questo modello:
45
Il modello T-C contiene 10 componenti, connessi tra loro in modo differente a seconda
della tipologia di cambiamento che viene attuato.
1] Organizzazione
- Task espliciti: attività eseguite in modo formalizzato o almeno di cui le persone sono
consapevoli, cioè sanno che fanno parte del modello operativo e del relativo processo
in modo sufficientemente stabile e ri-conosciuto.
- Task impliciti: attività eseguite nell’organizzazione senza che siano formalizzate né
agite consapevolmente. Possono essere di 2 tipi:
o Stabili: agite con continuità e parte integrante dei processi operativi.
o Episodiche: agite di tanto in tanto come risposta a particolari situazioni.
il cambiamento di task impliciti richiede un processo più lungo in quanto non può
sfruttare un confronto diretto e razionale tra la situazione A e B.
- Comportamenti individuali: comportamenti che le singole persone adottano
nell’organizzazione per realizzare i task.
- Comportamenti di gruppo: pattern comportamentali di gruppo descrivibili come una
sorta di mente collettiva (Weick e Roberts, 1993).
46
I task impliciti possono portare ad ambiguità nella comunicazione tra gli agenti del
cambiamento e l’individuo che li agisce, con il rischio che emergano criticità importanti.
Secondo Schein, questo fenomeno può portare a credere di agire in modo completamente
differente da quanto accade. Ciò implica un’ambiguità tra quanto “raccontato” rispetto a ciò
che si fa e ai propri obiettivi dal lato della persona, mentre il consulente (nel ns caso, agente
del cambiamento) rileva durante l’osservazione il comportamento reale.
2] Performance
La prestazione non può entrare nel modello operativo in quanto, pur essendo per la maggior
parte dei casi ciò che spinge l’organizzazione a lasciare “A”, è anche la misura del
cambiamento in quanto misura dell’aspirazione a “B”. La prestazione è:
Le distorsioni cognitive, nella forma di frame e stereotipi, sono numerose e hanno effetti
importanti quando si effettuano valutazioni delle prestazioni.
Il cambiamento parte spesso da una differenza (gap) tra prestazione e prestazione attesa.
47
Norma operativa “della performance attesa e del gap”: prima di intraprendere azioni di
progettazione e gestione del cambiamento organizzativo, è necessario comprendere:
Anche la performance attesa e l’analisi del gap sono in relazione con la 3° e 4° proprietà del
cambiamento di Dunphy.
Una corretta analisi del gap non è sufficiente per spingere a lasciare “A”: una corretta
comunicazione e condivisione del gap serve a offrire adeguati obiettivi di apprendimento
individuale e organizzativo che supportino il processo di trasformazione verso “B”.
Questi temi verranno ripresi nella parte sulla gestione del progetto.
Questa fase è critica: “ci si gioca” molto del futuro del progetto in quanto è qui che possono
nascere e prendere una vera e propria “struttura” i fenomeni di blocco (Schein).
48
- Paradigma
- Motore del cambiamento
- Conseguente modello di cambiamento adottato.
La visione semplificata del “prima pensare e poi fare” non è realistica nel turbolento mondo
economico attuale. Ad es., Gavetti e Levinthal sottolineano come l’azione organizzativa si
confronti con l’esigenza di integrare looking forward e looking backward.
8] Nuovi task
9] Nuovi comportamenti
+ 10] Turnaround
Quindi il modello T-C assume un significato NON di analisi, bensì di prescrizione per
strutturare l’intervento. Infatti:
- Per agire in modo operativo sul processo di apprendimento, la relazione d’aiuto deve
essere strutturata e offrire un territorio di confronto e feedback
- È possibile – e talvolta consigliabile, se motivato – integrare più di un modello.
50
51
- La selezione:
o È un’operazione che si verifica “ai livelli alti” dell’organizzazione, anche se i
profili di B nascono e vengono testati “ai livelli bassi”, tanto che Mintzberg e
Westley definiscono l’intervento induttivo.
o Presuppone una serie di paradigmi e criteri di misura appartenenti alla cultura
organizzativa, che quindi in qualche modo talvolta rientra nella logica
dell’ottimizzazione.
52
(4) Turnaround
53
Intervento turnaround:
5.1. Introduzione
Gli studi di psicologia applicata all’economia (economia cognitiva) hanno assestato gli ultimi
colpi alla posizione paradigmatica dell’attore economico razionale, figura umana capace di
54
controllare le sue decisioni con una logica di tipo matematico, ottimizzando alcune variabili
– guadagno – e minimizzandone altre – perdita.
Nell’azione umana, gli eurismi e le distorsioni fanno sì che spesso le nostre interpretazioni
del contesto siano incredibilmente fallaci: di conseguenza, possono essere fallaci anche le
decisioni che da esse costruiamo (Tversky e Kahneman, 2000).
- 70’s: Simon dimostrava che l’azione umana non cerca un risultato ottimo, bensì una
soddisfacente sufficienza, da cui coniò il termine satisfacing. L’uomo dispone di una
razionalità limitata.
- Oggi: alla luce degli esperimenti della scuola di Tversky e Kahneman (confermati
anche sul piano neurofisiologico), questi concetti sono utilizzati frequentemente nelle
ricerche in economia, nella progettazione organizzativa nei sistemi complessi, nella
progettazione di sistemi e interfacce uomo-macchina. Purtroppo, questi concetti
sembrano ignorati nella gestione del cambiamento organizzativo, dove sopravvive la
credenza che una spiegazione “razionale” porti a una diminuzione delle resistenze.
I logici hanno dimostrato che la logica tradizionale [quella sillogistica che utilizzano i “non
addetti ai lavori”] è seriamente incompleta e non riesce neppure a dare una giustificazione
di molti principi di interferenza usati nei ragionamenti matematici più elementari.
Gregory Bateson (50’s) ha introdotto il concetto di doppio vincolo / legame per illustrare
dinamiche di relazione in cui le persone vengono spinte verso situazioni paradossali, in cui
non è pensabile trovare una soluzione soddisfacente se non uscendo dal sistema di regole
in cui ci si trova. Es.: “sii spontaneo”.
55
Un errore da non fare è credere che i paradossi siano negativi: non sono negativi né positivi,
ma fanno parte del funzionamento psichico di individui e gruppi a cui non è possibile
sfuggire.
L’analisi del contesto del cambiamento dei sistemi organizzativi ci mostra costantemente
situazioni paradossali.
Questo incident presenta in maniera emblematica il doppio vincolo più frequente nelle
organizzazioni attuali.
Italia Comunica è un’azienda del settore delle telecomunicazioni nata negli anni della new
economy. Il contesto di mercato è però molto cambiato:
Italia Comunica è nata dall’idea di un imprenditore che, sfruttando una serie di regole
innovative nel settore delle telecomunicazioni, ha costruito un’azienda multinazionale di
oltre 1500 addetti nel corso di 7 anni.
56
L’impatto è stato enorme non solo per i ricavi ingenti dell’impresa, ma anche per l’effetto
prodotto sulla popolazione italiana, che si avvicina in massa a un nuovo modo di comunicare
e interagire con il mondo.
L’azienda poi ha iniziato a strutturarsi dal pdv organizzativo: nascono le funzioni. Malgrado
lo sviluppo, nei primi 4 anni l’impresa mantiene caratteristiche di relazione particolari:
All’inizio del 5° anno, le dimensioni dell’impresa sono diventate considerevoli, grazie anche
all’acquisizione di aziende estere. Essa inizia a darsi una struttura organizzativa complessa
e così assume alcune persone, provenienti da aziende incumbent del settore, in ruoli chiave.
- Formalizzare processi
- Entrare in un’ottica di lavoro per progetti strutturati
- Formalizzare le modalità di carriera e di sviluppo organizzativo.
- Estendere il gruppo dei direttori
- Strutturare l’azienda per aree geografiche, con:
o Direzione corporate
o Direzione generale area
o Direzione di area.
1. Spinta verso l’efficienza: a differenza della fase iniziale, in cui grazie all’intuizione
dell’imprenditore il flusso di cassa era enorme rispetto a costi e investimenti, nella
situazione di contesto attuale l’impresa si trova di fronte alla necessità di diventare
efficiente.
57
1. Artefatti
2. Valori
3. Assunti di base
Il nostro intento è identificare quale sia il paradigma fondante (cap. 4). A tale scopo, l’analisi
suggerita ha un aspetto di contenuto e uno di processo.
1. Artefatti:
- Struttura organizzativa: es., organigramma e relazioni
- Procedure: es., processi esplicitati e formalizzati
- Tecnologie di produzione e supporto: es., macchine e sistemi
- Sistemi informativi: es., flussi e reti di relazioni tra nodi informativi
2. Valori (indicare assenza o presenza):
- Ricerca della qualità
- Ricerca del progresso
- Accettazione di obiettivi difficili e specifici
- Lavorare insieme
- Considerare il lavoro come divertimento
- Prendersi cura dell’altro
- Accettare la responsabilità delle proprie azioni
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1. È la meno invasiva
2. Ha tempi flessibili, definibili in base allo scopo
3. Non implica complessi processi di comunicazione per illustrarla
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Svantaggi:
1. Maggiore soggettività
2. Assenza di elementi quantitativi
60
→ Il 1° sviluppo
61
Autoritaria Cooperativa
Verso l'imprenditore Agli altri livelli e con l'imprenditore
nelle decisioni strategiche nella definizione di azioni tattiche
1. Valore fondamentale Rispetto dell'autorità Partecipazione, consenso
2. Concezione dell'uomo Dipendente, eteronomo Autonomo, indipendente
propositivo
→ Il 2° sviluppo
62
Burocratica Tecnocratica
1. Valore fondamentale Osservanza della norma Competenza professionale
2. Concezione dell'uomo Esecutore Razionale,
propositivo anaffettivo
→ I doppi vincoli a IC
63
L’intervento – della durata di 6 mesi – è stato gestito nelle 3 fasi già discusse, ma progettate
contestualmente ai tipi di paradosso e alle relative resistenze attese. Si è passati da un
gruppo iniziale di10 top manager a una rete del cambiamento di 75 persone.
L’incertezza è intrinseca nel lavoro del mgmt, tanto da costituire la base sulla quale viene
retribuito in modo sensibilmente maggiore rispetto a chi svolge attività più prevedibili e meno
“rischiose”.
Secondo la behavioural thoery of the firm, l’incertezza non è eliminabile con operazioni di
progettazione organizzativa, bensì con operazioni di esplorazione continua.
Incertezza: mancanza di conoscenza sul modello del sistema fisico di nostro interesse o su
alcuni suoi parametri (Vose, 2000).
65
1) La scoperta della soluzione perfetta, dimenticandoci che essa è frutto di una scelta
che, attraverso compromessi, implica responsabilità.
2) La relazione semplice e possibilmente lineare tra cause ed effetti.
6.2.1. Giochi o decisioni: le differenze chiave tra i modelli
In un problema di decisioni, gli attori coinvolti non sono in condizioni di concorrenza, bensì
hanno un obiettivo comune. Ciò che ostacola la decisione può essere dovuto a:
66
Nella fase di definizione del cambiamento, quando si stabilisce perché si lascia “A” e si
progetta “B”, si incorrerà in condizioni di concorrenza interna, dovute al differente modo di
interpretare il futuro, alla lotta per il “nuovo” sistema di potere, alla volontà di affermare la
bontà dei propri obiettivi.
È infatti nella comunicanza di obiettivi operativi che può nascere un nuovo comportamento
organizzativo, frutto di un processo di apprendimento individuale e organizzativo.
Ogni modello è da vedersi come razionale: l’essere umano esegue una serie di “calcoli
mentali” che mettono in relazione secondo precise regole determinate variabili, considerate
come ingressi, con stime di altre variabili, considerate come uscite.
67
Questo modello è utilizzato nella progettazione di sistemi modellizzati quali aeroplani, navi,
edifici, ponti, ecc. In talune circostanze trovano applicazione anche in economia.
68
Questo modello è il più utile e utilizzato nella prassi manageriale. Nelle imprese spesso gli
obiettivi non sono esenti da conflitti di interesse di singoli e gruppi, non sono chiariti sino in
fondo, non esiste la possibilità di un aumento di conoscenza progressivo e illimitato.
In quest’ottica, il decisore non ricerca l’ottimo assoluto, ma ciò che soddisfa il suo problema.
Questo modello, essendo basato su eurismi, è però soggetto a errori di vario genere, alcuni
dei quali sono modellizzati come distorsioni.
3] Modello “cibernetico”
Questo criterio trova ottima applicazione quando esiste un elevato numero di casi che
permettono un’adeguata selezione delle situazioni a esito positivo, non per eventi rari né in
ambiti in cui il rischio di errore non è accettabile.
Questo criterio permette una considerevole ripetibilità che lo rende auspicabile in contesti
ove le azioni devono garantire stabilità di prodotti, quale il processo esecutivo di una pratica
amministrativa in un ufficio pubblico.
Nelle sue forme più strutturate, assume la “semplice” forma di un albero logico.
Le distorsioni cognitive base sono fondate su un’errata interpretazione della probabilità che
gli eventi accadano. È come se tutti noi, in media, commettessimo sistematicamente alcuni
errori di calcolo in determinate situazioni.
Sulla base di alcuni stereotipi, la maggior parte delle persone sosterrà che Paolo fa il
bibliotecario, ma in realtà la descrizione di Paolo è assolutamente generica! L’unico criterio
razionale per minimizzare la probabilità di errore (l’incertezza in senso matematico) sarebbe
utilizzare la priorità a priori, quindi la risposta sarebbe agricoltore, professione ben più
diffusa delle altre. Inoltre, nel giudizio è rilevante chi ci pone la domanda e qual è l’ambito
(frame cognitivo) in cui ci troviamo.
Una città è servita da 2 ospedali. In quello più grande nascono circa 45 bambini al giorno,
in quello più piccolo circa 15. In generale, la percentuale di maschi nati è pari a 50, anche
se varia di giorno in giorno: a volte nascono più femmine, a volte più maschi. Durante un
periodo di 1 anno, ogni ospedale ha registrato i giorni in cui più del 60 per cento dei nati è
maschio. In quale ospedale si è avuto il maggior numero di tali giorni? Nel più grande, nel
più piccolo o uguale in entrambi?
La maggior parte delle persone risponde «nel più grande», mentre la risposta corretta è «nel
più piccolo». Infatti, essendo il campione più limitato, la probabilità di una distribuzione di
nati simile a quella teorica 50-50 è inferiore e di conseguenza è più probabile che siano più
numerosi i giorni in cui c’è un disallineamento.
3) Errata regressione
La regressione si basa sui valori medi e non riesce a predire i casi eccezionali sia in positivo
che in negativo.
70
In realtà non ha considerato che esiste una regressione alla media: i risultati più frequenti
sono quelli normali, non quelli eccezionali né quelli particolarmente problematici. Per questo
motivo è più probabile che dopo il «caso pessimo» segua la norma e viceversa.
4) Disponibilità
A New York in un anno sono più i deceduti per omicidio o per enfisema? La maggior parte
delle persone risponde «per omicidio».
Ricercando nei giornali si trova che le notizie che riportano i morti per omicidio sono dieci
volte più numerose rispetto a quelle che riportano i morti per enfisema, ma in realtà i morti
per enfisema sono dieci volte più numerosi.
Dopo aver ascoltato una lista di nomi di personaggi pubblici di entrambi i sessi, vi viene
chiesto di valutare e contiene più nomi femminili o maschili.
In generale si tende a indicare come più numerosa la classe (in questo caso il sesso) per la
quale i personaggi conosciuti sono maggiori. Infatti, essi (e solo essi!) vengono
automaticamente computati.
Questa distorsione indica che siamo portati a considerare più probabile una sequenza di
eventi riconoscibili.
6) Correlazione illusoria
Mario racconta a Giovanna: “Ieri mi è caduto un vaso di fiori in testa da un balcone, oggi
non può più succedermi: non sarò mica così sfortunato!”
La probabilità che anche un secondo vaso cada in testa a Mario non è influenzata dal fatto
che ne sia già caduto uno il giorno prima: i 2 eventi infatti non si condizionano.
71
7) Aggiustamento e ancoraggio
Durante una sessione di formazione manageriale, il docente pone questa domanda: “In
Danimarca la percentuale di donne manager è del 30%: qual è la percentuale di donne
manager in Svezia?”
La risposta può essere costruita a partire da dati ricercabili tramite fonti affidabili. L’aula
però, dopo una breve discussione, risponderà con una percentuale nell’intorno del 30%.
Questo effetto è detto ancoraggio ed è particolarmente insidioso nelle valutazioni
quantitative dei fenomeni.
1) Gli individui preferiscono risultati certi ma peggiori piuttosto che risultati probabili ma
migliori (certainty effect).
2) I “pesi” delle scelte sono minori delle corrispondenti probabilità, tranne che nel range
delle probabilità minori.
3) Gli individui sottostimano il valore della diminuzione della probabilità di un pericolo
rispetto al valore dell’eliminazione totale del pericolo.
4) Le “perdite” sono percepite in maniera più negativa rispetto ai “costi”.
5) Il comportamento degli individui e le loro scelte cambiamento se 2 problematiche
vengono poste insieme o in momenti distinti (concurrent decisions).
6) La comunicazione ha un effetto importante sulla propensione al rischio degli individui,
fino a trasformarsi da risk adverse a risk seekers (formulation effect).
7) Diverse descrizioni dello stesso problema possono portare a preferenze diversi degli
individui, contrariamente al principio di invarianza che dovrebbe caratterizzare la
teoria delle scelte razionali. Dunque, nessuna teoria decisionale può essere
normativamente adeguata e descrittivamente accurata.
8) L’avversione all’ambiguità (che dipende dalla quantità, dal tipo e dall'“unanimità” delle
informazioni, e che dà luogo al proprio grado di fiducia in una stima della probabilità
relativa) aumenta se, quando l’individuo deve compiere una scelta, per es. accettare
una scommessa sull’accadere di un evento, gli viene richiesto di compiere nello
72
stesso momento anche una scelta simile, dei cui elementi ha una maggiore
conoscenza.
9) Le scelte degli individui possono essere “manipolate” aggiungendo o togliendo
alternative “irrilevanti”. La teoria delle scelte basata sulla value maximization fallisce
nello spiegare i comportamenti umani perché:
o Non esiste una scala di preferenze globale
o Gli individui vengono influenzati dal contesto per identificare l’opzione “migliore”.
6.5. La prevenzione?
All’interno dei processi di cambiamento organizzativo, le distorsioni sono spesso alla base
di profonde resistenze, di decisioni errate, di errori di mgmt spesso difficilmente recuperabili.
L’agente di cambiamento deve comprendere appieno i concetti e il metodo del frame
cognitivo e le modalità per costruire un virtuoso utilizzo del gruppo.
7.1. Mitigare?
Per mitigare l’effetto delle distorsioni abbiamo (almeno) 2 tecniche (che non si escludono,
anzi si integrano; vedi cap. 6):
73
Esempi di contesti operativi sono relativi alla gestione del traffico aereo, ove il sistema è
costituito dai piloti e dagli aeroplani, dai controllori del traffico aereo e dai loro complessi
sistemi informativi, dall’ambiente fisico entro cui si svolgono le operazioni (condizioni
meteorologiche), dai sistemi di pianificazione del traffico aereo, dal personale addetto alla
gestione operativa a terra.
Esistono numerose tecniche di framing per inserire, all’interno del contesto operativo,
elementi che portino attenzione al fatto che si sta operando in condizioni di responsabilità
decisionale.
La consapevolezza del contesto e di ciò che stiamo facendo, dei nostri compiti, dei nostri
obiettivi, di come essi siano in relazione con altri elementi della vita organizzativa è quindi
l’antecedente più importante per ottenere un corretto frame cognitivo. Esercitare un’azione
organizzativa consapevole è cosa complessa che richiede la sinergia di numerose
dimensioni organizzative, quali procedure, processi, pianificazione. La più semplice delle
tecniche impiegate a tale scopo consiste nell’utilizzo di una check-list.
1) Aiutare il pilota a non “dimenticarsi” di verificare lo stato di alcuni elementi del sistema
in cui si opera (questo aspetto non ci interessa)
2) Portare l’attenzione su una particolare fase dell’azione individuale e organizzativa.
Questo 2° obiettivo è talvolta più importante del 1°, tanto che suggeriamo questa
norma a riguardo:
74
Norma operativa “del frame cognitivo decisionale”: prima di intraprendere attività che
comportino decisioni rilevanti, occorre costruire un contesto cognitivo adeguato in cui si
troverà a operare l’individuo e/o il gruppo.
Contesto cognitivo adeguato: qualunque strumento, dalla lista di controllo allo stesso
processo operativo, in cui venga richiamata l’attenzione sugli elementi chiave della
decisione: obiettivi e aspirazioni (eventuale conflitto di interesse), regole di decisione, regole
e insieme di ricerca, regole di apprendimento. Su ciascuno di questi elementi dovrà porsi
l’attenzione relativamente alla possibilità che essi generino distorsione o incoerenza
incontrollata.
Il gruppo evoluto può così gestire in modo efficace la conflittualità positiva (Pagliarani).
Solo per intuire l’enorme vantaggio associato alla dimensione gruppo, si immagini che:
La capacità di rappresentazione del gruppo, cioè il numero di modi differenti in cui esso può
rappresentarsi la realtà, è uguale a:
75
capacità_rappresentazione_gruppo = 3n
No, non sempre utilizzare il gruppo è più vantaggioso. Più i suoi membri lavorano insieme,
più tendono ad acquisire le medesime rappresentazioni della realtà del gruppo. Si ha un
fenomeno di omogeneizzazione: mentre l’integrazione è la chiave per un gruppo di
successo, l’omogeneizzazione è disastrosa. Essa porta a un’elevata efficienza operativa del
gruppo, ma abbatte in modo significativo la capacità critica reciproca negli individui.
L’omogeneità è pericolosa perché aumenta in modo vertiginoso l’efficienza del gruppo, tanto
che si può ritenerla utile nell’esecuzione di processi consolidati in risposta a eventi noti, ma
tende invece a rendere il gruppo cieco di fronte alle situazioni impreviste, diminuendo la sua
capacità di apprendimento e di rappresentazione alternativa dei fenomeni.
76
77
Il group-think può manifestarsi a livello dell’intero sistema organizzativo, non solo a livello di
piccolo gruppo. Nei disastri sopracitati la situazione era proprio questa: un nucleo (piccolo
gruppo) alimentava il group-think a livello di tutta l’organizzazione, che era messa
nell’impossibilità di qualunque azione che differisse da quanto atteso.
Il group-think genera un’elevata resistenza di tipo paranoico per cui ogni azione
successiva all’instaurarsi del fenomeno viene interpretata come un attacco da parte
dell’organizzazione. La risposta operativa a questo rischio è contenuta nella corretta
gestione del progetto.
Spesso sono proprio le organizzazioni di successo a cadere vittime del group-think. Ciò è
dovuto a 2 fenomeni:
Occorre allora un modello realista delle resistenze, che sia pragmatico ma che guidi al
governo della complessità, per evitare devastanti soluzioni riduttive.
78
→ La classificazione tattica
79
Per realizzare la mitigazione tattica delle resistenze, occorre classificare in modo tattico le
resistenze per ciascun gruppo organizzativo e adottare le seguenti tattiche corrispondenti:
Abbiamo identificato alcune soluzioni operative, che possono essere attuate se e solo se
vengono inserite all’interno del progetto di cambiamento in modo organico e integrato.
Pagliarani sostiene che “a sostenerci nella sfida della molteplicità, della pluralità dei
linguaggi e di culture con cui siamo chiamati a confrontarci, è la bellezza del progetto”.
Riassumiamo gli elementi che servono per supportare, gestire, avviare … un processo di
apprendimento individuale e organizzativo.
80
3) Le 5 componenti
81
Per innestare questa relazione su “oggetti” concreti, che contribuiscano alla costruzione di
uno spazio cognitivo condiviso, è importante identificare un modello di cambiamento, che
può essere individuato all’interno del modello task-comportamenti modificato.
6) La simmetria informativa
Occorre mitigare i timori di asimmetria informativa. Essi generano timori di strategie avverse
negli individui e nei gruppi (cap. 7).
7) Le distorsioni
Occorre mitigare gli elementi che possono generare distorsioni: ciò può essere fatto sia con
un adeguato frame cognitivo, sia attraverso un corretto utilizzo del gruppo (cap. 7), con
particolare attenzione alla prevenzione del group-think.
82
1) Il sistema organizzativo
2) Il processo di apprendimento
3) Le 5 componenti
4) Il modello di cambiamento
5) L’analisi cultura e l’individuazione dei paradossi
6) La simmetria informativa
7) Le distorsioni
8) La mitigazione delle resistenze.
Queste relazioni di scambio – in gruppo ristretto di individui con un obiettivo comune – sono
finalizzate alla produzione di “oggetti” (deliverable) tangibili o intangibili, spesso molto
complessi. Un corretto stile di gestione del progetto costituisce le basi di quello che sarà il
modello operativo finale.
Figura 2. Ciclo organizzativo (3 fasi) e ciclo tecnico (5 fasi) di un progetto: le attività di progetto e la pianificazione
84
Tutti gli elementi che costituiscono l’oggetto di gestione del cambiamento (vedi sopra) sono
attuabili tramite 3 classi di attività:
1) Progett-azione: co-struzione innanzitutto di “un pensiero sulla realtà che può diventare”
(Caprara, 1996).
2) Gestione operativa volta a supportare il ritmo dell’apprendimento e il network di
diffusione, co-municazione, con-divisione.
3) Ascolto dei segnali deboli in tutta l’organizzazione.
Anche i cicli di cambiamento di Mintzberg e Westley (vedi figura pag. 86) portano con sé
l’ovvia esigenza del governo della trasformazione, tanto più necessario quanto più l’origine
è induttiva, cioè proveniente dalla parte operativa dell’impresa.
85
Purtroppo, il progetto non viene quasi mai correttamente interpretato dal punto di vista
cognitivo e comportamentale. Occorre superare la visione culturale del progetto come
gestione burocratica di certezza.
Piano di progetto: “spina dorsale” del progetto e in particolare del progetto di cambiamento.
86
- Raggiungibile
- Chiaro
- Specifico
- Condiviso
- Misurabile
Come passare dall’obiettivo generale / organizzativo del progetto a quello del singolo
individuo, che sia una guida operativa all’azione realizzativa di ogni persona?
87
1) Work Breakdown Structure (WBS): che cosa va fatto a livello operativo, attraverso la
descrizione di:
- Deliverable: i prodotti di progetto elementari per distribuire i compiti al singolo
individuo.
- Work package: i prodotti di progetto a livello aggregato, per distribuire il lavoro in
sottogruppi.
2) Organizational Breakdown Structure (OBS): chi fa ciò che è descritto nella WBS,
specificando responsabilità e competenze.
3) Tempi: quando ogni prodotto andrà realizzato:
1. Dei work package
2. Durata delle attività (resource-driven o time-driven)
3. Sequenza attività
4. Data di inizio/fine.
Questa documentazione ha il significato di fornire a ogni singolo individuo che partecipa alla
realizzazione del progetto il suo personale insieme di obiettivi parziali, con cui può
costantemente confrontarsi.
Il capo progetto è così in grado di costruire una vista comune sul progetto, che supporti ogni
fase mantenendo il confronto tra le persone concentrato sui dati piuttosto che sulle
percezioni.
Durante la fase di diffusione, denominata roll out, il progetto dovrà estendersi dal gruppo
iniziale degli agenti del cambiamento a tutta l’organizzazione, per supportare la
trasformazione verso “B”. A tal scopo, occorre utilizzare una tecnica denominata rete di
cambiamento (change network) che consiste nel seguente processo di diffusione del
modello operativo:
1) Individuazione – durante la fase iniziale del progetto – di alcuni attori organizzativi che
saranno coinvolti durante la fase di implementazione per inserirli in alcune attività chiave
88
del progetto. Avranno anche un ruolo di agenti del cambiamento attivatori durante la fase
di roll out.
2) Continua comunicazione a tutti gli attori coinvolti sia dell’obiettivo finale sia
dell’avanzamento del progetto, allo scopo di controllare il fenomeno di ansia che ogni
innovazione attesa genera
3) Attivazione – durante la fase di roll out – della rete del cambiamento che agirà secondo
un sistema a effetto valanga.
4) Attivazione della diffusione da parte degli agenti del cambiamento attivatori, i quali
inizieranno a supportare il gruppo di progetto nella 1° fase di diffusione, che avrà
l’obiettivo di creare un’ulteriore base di agenti del cambiamento e di transitare alcune
persone verso il nuovo modello operativo
5) Sostegno della diffusione da parte della rete del cambiamento che si estende, con effetto
valanga, grazie all’azione dei vari agenti del cambiamento.
6) Monitoraggio continuo dei risultati da parte della rete del cambiamento, che avrà anche
il compito di continuare a fornire un feedback sia verso il vertice aziendale, sia verso il
gruppo di gestione del progetto.
Questa tecnica è particolarmente efficace perché centrata sulla facilitazione quotidiana del
cambiamento attraverso la rete del cambiamento: gruppo di colleghi che hanno già
sperimentato il sistema e sono in grado di guidare altri all'applicazione, avendo presente sia
i limiti del sistema, sia le reali esigenze.
Il capo progetto costruisce un gruppo iniziale chiamato gruppo di gestione del programma
(max 4-8 persone) che guida durante le fasi iniziali del progetto con azioni di gestione e di
coaching. Il gruppo di gestione del programma deve presentare queste caratteristiche:
- Composizione eterogenea
- Alcune competenze tecniche
- Alcune persone devono avere già maturato esperienze di progetto.
Il capo progetto identifica quali sono i “gruppi” operativi e quelli “culturali” dell’organizzazione
e quali, all’interno di essi, possono essere gli agenti del cambiamento, cioè potenziali capi
progetto in grado di diffondere in modo integrato il messaggio culturale e quello operativo.
89
Quando la rete del cambiamento è attiva, sia il gruppo di gestione del programma sia ogni
agente del cambiamento – reciprocamente (con relazioni di influenza e sostegno) –
presidieranno:
9.1. Il ruolo del gruppo all’interno del progetto e il ruolo del progetto nei confronti del
gruppo
Gruppo (di lavoro) e progetto sono correlati in direzione biunivoca: mentre il gruppo ha la
responsabilità di sviluppare un progetto, le azioni organizzative, le difficoltà, la complessità
tecnica e relazionale che il progetto comporta sono catalizzatori dello sviluppo individuale e
organizzativo del gruppo di lavoro.
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Il piano di progetto:
- Un assunto dominante
- Una prospettiva socio-emotiva
- Una conseguente serie di attività che permettono di utilizzare in modo corretto le
capacità cognitive del gruppo.
Da un pdv pratico si può osservare che non esiste il gruppo, ma una collettività di individui,
e che gli atteggiamenti si dividono in attività volta a farsi ri-conoscere e passività volta
a difendersi.
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Pilati e Ondoli suggeriscono che in questa fase si lavori per costruire un territorio cognitivo
comune attraverso:
Da un pdv operativo, Pilati e Ondoli notano che di fatto il gruppo intraprende un censimento
delle risorse interne. La attività per catalizzare questo processo, già intraprese nella 1°
fase, qui diventano centrali e sono:
Questa è la fase “migliore”: mentre nelle fasi precedenti il gruppo non è creativo, poiché
svolge solo compiti di analisi e osservazione, in questo passaggio è in grado di creare e
costruire oggetti e pensieri. L’assunto adottato è “possiamo lavorare efficacemente poiché
ci conosciamo e ci accettiamo a vicenda”.
Da un pdv pratico, Pilati e Ondoli sottolineano che il gruppo è pronto per confronti accesi e
decisioni, quindi possono essere svolte attività di sintesi e attività costruttive.
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4) Fase di maturità
Schein sottolinea qui l’assunto: “Sappiamo chi siamo, cosa vogliamo e come ottenerlo.
Abbiamo avuto successo e quindi abbiamo ragione”. La concentrazione emotiva verte su:
Se da un lato questa fase di maturità porta all’efficienza, dall’altro presenta la minaccia del
group-think. Occorre dunque prestare grande attenzione alla gestione dei gruppi maturi.
Norma operativa dello sviluppo del gruppo: il piano di progetto di un progetto di gestione
del cambiamento dovrà essere definito tenendo in considerazione le fasi di sviluppo del
gruppo degli agenti e della successiva rete (change network).
Che potrà essere ottenuta tramite una corretta definizione del ritmo del progetto e della
sequenza delle attività.
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La forza del progetto risiede nel fatto che questo processo accade non grazie a una
sofisticata azione intellettuale conscia, ma attraverso la costruzione di oggetti e relazioni
finalizzati al raggiungimento degli obiettivi.
cambiamento
La spinta concreta e diffusa del progetto di cambiamento attuato attraverso un change
network diminuirà le naturali ansie della popolazione del sistema organizzativo.
Pagliarani afferma, riprendendo Bateson e Bion, che nel cambiamento si attivano 2 differenti
tipi di ansie:
1) Ansia paranoica
o La realtà viene letta come minaccia
o L’interpretazione di azioni e messaggi ambigui, normali nella vita
organizzativa, è negativa e di difesa
o L’individuo o il gruppo divide la realtà tra buoni e cattivi, non è pensabile una
convivenza tra positivo e negativo
o L’azione di confronto e negoziato è impossibile, inutile e rischiosa.
o Questa è la situazione psicologicamente più semplice e meno faticosa, ma è
infruttuosa per lo sviluppo di una comunità organizzativa: non spinge ad
apprendere, ma solo a imporre la propria visione
2) Ansia depressiva
o La realtà viene letta con un desiderio di comprensione della sua complessità
o L’individuo o il gruppo desidera l’integrazione delle differenze attraverso il
dialogo e il confronto, negoziando con la realtà i propri significati (Bruner).
o Questa è una situazione psicologicamente faticosa: implica un processo di
apprendimento costruttivo e profondo di nuovi linguaggi e nuovi modelli
interpretativi.
1) Pace, in cui esiste una completa armonia. Situazione di equilibrio tra differenze che
risulta faticosa da mantenere, ma cui tutti aspiriamo (teoricamente).
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2) Guerra, in cui esiste la volontà di sopprimere i cattivi. È una situazione dagli esiti
dolori, ma facile psicologicamente: la classificazione è immediata, ci sono i buoni e i
cattivi, i cattivi vanno eliminati.
3) Conflitto, in cui esiste una presa di coscienza delle differenze. Il conflitto è il luogo
in cui di fatto apprendiamo dalla diversità attraverso un paziente e faticoso confronto
e negoziato.
Pagliarani ritiene che solo nella conflittualità positiva è possibile la creazione che egli
definisce come “mettere al mondo ciò che prima non c’era”. Es. di creazione: creazione del
pane, oggetto semplice ma tutt’altro che facile da realizzare. Creare implica osservare cose
presenti nel mondo e immaginare come potrebbero integrarsi con altre attraverso una
trasformazione per essere “ciò che prima non c’era”.
Il conflitto della contrapposizione invece non aiuta ad ascoltare i mondi possibili (Sclavi) che
le situazioni della realtà ci offrono: sono rifiutati in quanto minaccia.
Il conflitto del progetto, spesso molto acceso e serrato, è positivo: la presenza di una serie
di oggetti:
La cultura del gruppo contiene l’ansia (Schein). Durante il cambiamento, la cultura “vecchia”
del gruppo viene messa (almeno parzialmente) in discussione. Il progetto permette di ri-
costruire una cultura (composta da artefatti, valori e assunti di base), proprio attraverso
l’azione operativa. Per questo motivo, il cambiamento spinto da un motore costruttivo, in cui
lo stato B viene parzialmente progettato durante il progetto di trasformazione, è meno
traumatico, e ancora meno se è di tipo dialettico: questo binomio supporta in modo
eccellente la conflittualità positiva, anche se la trasformazione sarà più lenta.
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1) Ansia primaria: paura di non saper interpretare i segnali complessi che la realtà ci
propone. Il progetto, aggregando un gruppo di persone, costituisce una microcultura
che contiene questo tipo di ansia, fornendo:
o Un filtro ai segnali esterni
o Una certezza di migliore interpretazione dovuta alla (se positiva) interazione
tra le differenze cognitive.
2) Ansia secondaria: paura conscia che nelle organizzazioni è tipicamente legata ai
ruoli. Nella trasformazione è legata alla difficoltà stessa del doppio ruolo richiesto a
ogni persona:
o Essere parte dell’organizzazione svolgendo i compiti operativi
o Essere attore della trasformazione almeno di se stessi.
Anche qui l’apporto del progetto, come forma di supporto all’aggregazione di un
gruppo e al confronto, risulta significativo.
3) Ansia terziaria: sofferenza generata dai propri comportamenti percepiti come non
adeguati; dolore generato dall’evitare l’ansia primaria che ci porta ad atteggiamenti
paradossali, come la negazione del vero e oggettivo. Pagliarani chiama questa
situazione anestesia in quanto le manovre di esitamento della fatica psicologica, per
esempio dell’apprendere compiti difficili o dell’ammettere un errore, portano nel
tempo a una sorta di limitazione delle emozioni. Egli propone come soluzione
l’educazione sentimentale: imparare a usare le sensazioni positive o negative come
elementi di sviluppo. Il progetto può essere di profondo aiuto: forzando il contatto con
le situazioni, scandendo i ritmi in modo opportuno, può aiutare a leggere la realtà con
continuità, senza fuggire in avanti o indietro (regressione), ma supportati dal fatto che
esistono una destinazione e, ancora di più, un metodo per navigare.
Con La pragmatica della comunicazione umana, Watzlawick costruisce la sua teoria sulla
comunicazione umana fondata su 3 assiomi:
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3) Oltre al livello del discorso – in cui gli individui o il gruppo discutono dell’oggetto
(per es., come costruire una struttura organizzativa) – esiste la meta-
comunicazione: un meta-livello in cui essi discutono delle relazioni: è una
comunicazione sulla comunicazione e sulla relazione. Non ha accezione positiva né
negativa.
o All’interno delle situazioni di conflitto, la meta-comunicazione può assumere
una dominanza: si comunica sugli oggetti per meta-comunicare sulle relazioni.
o Pur non essendo negativa, se la meta-comunicazione diventa dominante:
▪ Il discorso organizzativo scivola lentamente verso situazioni che,
anziché risolvere i paradossi che il cambiamento genera, ne generano
a loro volta.
▪ Tende ad aumentare la percezione di comportamenti asimmetrici, con
la conseguenza di un aumento dell’ansia paranoica.
▪ Il progetto strutturato – grazie alla spinta verso la costruzione guidata
dal confronto con quanto ideato alla luce del piano di progetto – fa sì
che il gruppo di agenti del cambiamento sia in grado di mitigare
fenomeni meta-comunicativi, riportando le persone al confronto sugli
oggetti prodotti, da produrre, da gestire.
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L’azione delle persone non può modificare il passato, ma può sortire un effetto su ciò che
stiamo vivendo nel “qui e ora” a condizione che si riesca a collegarlo con quanto accaduto
in precedenza. Se l’integrazione con il contesto è stata efficace, potremo addirittura costruire
una situazione positiva nel futuro.
Sia il mestiere del gestore del cambiamento che quello del pilota richiedono la medesima
consapevolezza situazionale. Nei prossimi paragrafi, ripercorreremo gli elementi concettuali
necessari per essere consapevoli.
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- Cap. 6: i modelli decisionali offrono una chiave di lettura delle modalità per affrontare
l’incertezza.
- Cap. 7: il gruppo di persone diventa uno snodo chiave della costruzione del risultato, ma
può anche diventare la principale fonte delle resistenze (vedi anche cap. 9).
- Cap. 8: il metodo “del progetto”; un’interpretazione del project mgmt in ottica
comportamentale e sociale ci permette di identificare molti strumenti concreti per
costruire ciò che dovrà accadere.
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Check-list
Durante la conclusione:
- Sono state definite con chiarezza le nuove modalità operative per tutti gli attori organizzativi
coinvolti?
- È stato definito il piano di comunicazione per confermare la chiusura del progetto?
- È stato predisposto un servizio per la gestione della fase di “messa a punto” quando il sistema
sarà in produzione?
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- È stato definito il modo in cui attuare eventuali azioni relative alla gestione del personale
riguardanti il progetto, quali la valutazione della prestazione nell’esecuzione del progetto, le
ricadute sul sistema MBO individuale e aziendale, ecc.?
- È chiaro chi, quando e come dichiarerà la fine del progetto e la transizione alla produzione di
routine?
Per “volare a vista” occorre conoscere il territorio, identificare punti facilmente riconoscibili
da utilizzare come “punti rotta”, conoscere la “mappa” e la sua relazione col “territorio”,
conoscere l’orografia, interpretare l’evoluzione delle condizioni meteorologiche, stimare il
vento e calcolare le “derive” che esso genera, essere addestrati all’osservazione
dell’orizzonte per identificare altri aeromobili …
Il gestore del cambiamento volerà a vista, pianificando con cura ma adeguando, momento
per momento, il suo piano al contesto. Dalla sua mappa – il piano del progetto di
cambiamento – risulterà così, progressivamente, un nuovo territorio: la progressiva
costruzione dello stato B a cui aspira, il quale non è riconducibile al disegno iniziale.
Quando avremo, in parte, realizzato ciò che dovrà succedere, prenderemo coscienza che il
cambiamento è sia arte che scienza; per Pirandello (Arte e Scienza, 1908):
- Ogni opera di scienza è scienza e arte, così come ogni opera d’arte è arte e scienza.
- L’armonia di ogni opera d’arte può essere scomposta dalla critica, che può scorgervi una
scienza, un insieme di leggi complesse, di calcoli senza fine, che l’artista ha concentrato
nella sua azione spontanea.
Parafrasando Pirandello, in questo libro il lettore forse avrà scorto alcuni elementi “di
scienza”: applicandoli a un progetto concreto scoprirà, passo dopo passo, che il suo
procedere nel complesso cammino del cambiamento organizzativo non fonda il progresso
solo sulla scienza, ma su un elevato numero di “calcoli senza fine” che egli ha
spontaneamente eseguito, integrando gli enormi limiti che la scienza, quando tratta di
persone, purtroppo ci mostra.
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