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1. Riassunto Change Management di Andrea Montefusco

Cambiamento organizzativo (Università degli Studi di Milano-Bicocca)

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Change Management

Le regole per il governo del cambiamento (di Andrea Montefusco)

Prefazione (di Luigi Golzio)

Montefusco privilegia l’approccio pragmatico “da A a B”: il cambiamento è il processo che


modifica la forma organizzative (in tutti o in parte dei suoi elementi) dalla situazione esistente
(stato A) verso una nuova situazione prevista e desiderata (stato B). È una scelta euristica
che costituisce una semplificazione del cambiamento e la sua adozione funziona se si
comprende il comportamento, individuale e di gruppo.

La cultura manageriale attuale prescinde dalla natura del comportamento, limitandosi a


prescrivere processi da adottare, comportamenti da attuare, strutture organizzative da
costruire. Questa prospettiva positivista dell’impresa come sistema meccanico, qualificato
da relazioni causa-effetto, ha come conseguenza la rappresentazione del cambiamento
come un semplicistico passaggio da uno “stato A” verso uno “stato B”, dove “B” è pre-scritto
da un progetto.

Montefusco si concentra sul processo che dovrà essere attuato per condurre
l’organizzazione dallo stato A verso lo stato B.

L’approccio progettuale al cambiamento (approccio cooperativo alla sua progettazione)


offre elementi concreti per costruire una “relazione d’aiuto” tra le persone dell’impresa che
supporti ogni individuo a vincere le resistenze e a muoversi verso B.

Introduzione

All’interno della vita organizzativa, la parola “cambiamento” è molto frequente: sembra quasi
che il senso della continuità operativa, caratterizzata dalla classica concezione dell’impresa
come flusso ottimizzato, abbia lasciato il posto a una visione in cui dominano i concetti di
“inseguire” qualche cosa o di “costruire” qualche cosa di differente da quello che
l’organizzazione è nel “qui ed ora”.

1. Pragmatica: un obiettivo

Il primo obiettivo di questo testo consiste nel fornire una pragmatica: una guida all’azione,
individuale e organizzativa, per la costruzione, gestione ed esecuzione di un progetto di
cambiamento.

Come sostiene Gehlen, l’essere umano è prassico, cioè agisce.


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2. Approccio scientifico: un’esigenza pratica

Nelle imprese spesso si sentono affermazioni quali “si deve essere pratici”, “sì, ma questa
è teoria, poi in pratica” … Questo atteggiamento superficiale che si manifesta quando
trattiamo di persone e di gestione d’impresa origina da 2 elementi:

1) Visione positivista della realtà: ci spinge sempre a cercare relazioni di causa-


effetto dirette, sino a generare vere e proprie distorsioni cognitive.
2) Abitudine ad agire nei contesti sociali che ci fa apparire sufficiente il
buonsenso.

Quando siamo chiamati a governare l’impresa, in particolare per generare modifiche a una
sua stabilità acquisita nel tempo, l’agire inconsapevole diventa pericoloso. Occorre divenire
consapevoli dei fenomeni che sono implicati nei processi che abbiamo necessità di
governare. A questo scopo, il testo considera 3 ambiti scientifici differenti: psicologia del
comportamento e dell’apprendimento, organizzazione aziendale, teoria dei sistemi.

3. L’ambito del cambiamento

- Se, da un lato, occorre mantenere il treno costantemente sui binari dell’efficienza e


della produttività.
- Dall’altro, occorre fornire un sistema per costruire, con il treno in corsa, altri binari,
altre tratte ferroviarie.

Nella visione positivista dell’organizzazione, il tema del cambiamento viene affrontato con
modalità ingegneristica: partendo da un disegno strategico che ridefinisce gli obiettivi
dell’organizzazione, origina un processo di ristrutturazione organizzativa finalizzato ad
attuarlo. Sebbene questa visione sia ancora dominante, essa ha portato spesso a risultati
incompleti. Nel 2008, IBM Global Services ha condotto la ricerca Making Change Work:
intervistando 1500 change practitioners (project leader, project manager, change manager,
sponsor), ha cercato di misurare 2 elementi:

1) Percezione dell’esigenza di cambiamento nel futuro


2) Percezione attuale della propria capacità di gestire i cambiamenti

È emerso che:

1) 15% dei progetti di cambiamento organizzativo falliscono completamente: non


raggiungono alcun obiettivo di quelli definiti in partenza.
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2) La % di successo dei cambiamenti organizzativi varia da 54% (organizzazioni under


performer) a 66% (organizzazioni out performer).
3) Il gap percepito sulla capacità di gestione dei cambiamenti attesi varia da 29% (under
performer) a 19% (out performer).
4) Le imprese con > competenze specifiche di gestione del cambiamento hanno
ottenuto una % di successo >.

La ricerca ha anche misurato la percezione di quali siano le reali sfide / minacce da


affrontare per ottenere un cambiamento di successo.

Fenomeni sociali, economici e di Elementi di governance Elementi di management


comportamento
Modificare il quadro mentale e le Mancanza di risorse (33%) Mancanza di competenze sul
attitudini (58%) cambiamento (20%),
adottando solo il buonsenso
Cultura dell'impresa (49%) Mancanza di commitment Mancanza di trasparenza per
del top mgmt (32%) informazioni errate o
scarse (18%)
Sottostima della complessità (35%) Mancanza di motivazione
dei lavoratori coinvolti (16%)

4. Il quadro di riferimento

Il nostro percorso passa per 3 momenti, che ricorreranno ciclicamente nei vari argomenti
trattati:

1) Comprensione dei fenomeni sociali, economici e psicologici implicati nella


trasformazione delle imprese.
2) Apprendimento delle tecniche analitiche volte alla classificazione dei fenomeni e
all’individuazione delle tecniche di intervento.
3) Apprendimento delle tecniche di intervento.

5. Un regista e un attore del cambiamento consapevoli

La situazione di gestire il cambiamento e quella di viverlo sono per lo più unite


inscindibilmente: persone a cui “si chiede di cambiare” sono o dovrebbero essere anche
coinvolge nel progetto di gestione del cambiamento, dunque spesso il “gestore” del
cambiamento ne è anche attore protagonista.

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Quando ci si trova in questa situazione, sono sempre presenti degli aspetti paradossali. La
condizioni degli individui nei processi di cambiamento è simile al disegno di Escher “Mani
che disegnano”, in cui le mani si disegnano reciprocamente.

L’attore del cambiamento deve scrivere parte della trama della sua “rappresentazione”,
perché qualunque modello organizzativo richiede necessariamente un adattamento alla
specifica organizzazione, allo specifico contesto, alle specifiche persone, nello specifico
momento.

6. L’approccio

→ Costruzione e progettazione

- Costruzione (di un percorso): punto di partenza del nostro approccio al cambiamento.


Il nostro “sistema di regole” poggia sull’approccio costruttivista al comportamento
umano: la realtà è soprattutto ciò che noi esseri umani ci rappresentiamo (costruiamo),
piuttosto che un elemento oggettivo esterno. L’oggettività relativa che permette l’azione
si costruisce attraverso “accordi” sociali su sistemi di regole e simboli condivisibili nella
nostra comunità di appartenenza.
- Progettazione: punto di arrivo.
L’atto di progettare è spesso antecedente all’agire. Progettare è un’esigenza
psicologica, cioè progettare è anche un modo per comare l’indeterminatezza su ciò che
ci attende nel domani.

→ Classificare e normare: antecedenti dell’agire

- Classificare: esigenza pratica delle persone per risparmiare “energia psicologica”.


Classificare equivale sempre a semplificare: solo sviluppando una competenza critica
sulle ipotesi si può utilizzare in modo utile la semplificazione. Diversamente, l’approccio
diventa riduzionista. Se la classificazione supporta l’analisi (primo elemento del piano di
intervento), è necessario identificare le tecniche su cui fondare l’azione di cambiamento.
- Normare: identificare norme, cioè modelli o regole prescrittive da utilizzare nella
gestione del cambiamento. L’utilizzo delle norme deve sempre valutare 3 aspetti:
1) Ipotesi. Nell’applicare le norme è fondamentale prestare attenzione alle ipotesi sulle
quali esse si reggono, seppur una completa valutazione delle ipotesi è spesso
impossibile (per mancanza di dati o per una loro eccessiva complessità).
2) Validità “in media”. Il comportamento del singolo individuo o del singolo gruppo ha
elevata probabilità di differire dal comportamento medio.
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Occorre un’attenta e costante valutazione dei risultati: essi si distribuiscono in un


intervallo e non saranno puntuali.
3) Interpretazione. Ogni modello va interpretato alla luce dello specifico contesto. Ciò
può essere fatto attraverso il classico approccio pilot test:
1. Individuazione di un campione significativo dell’intera popolazione oggetto del
progetto di cambiamento.
2. Applicazione della norma, sia che si tratti di uno strumento analitico o di un
intervento.
3. Valutazione della coerenza del risultato rispetto a quanto previsto in teoria.
4. Aggiustamenti specifici.
5. Applicazione all’intera popolazione aziendale (quando richiesto).

La norma vuole affermare che, se sono verificate le ipotesi di partenza, a partire dalla
classificazione è possibile definire specifiche azioni. A questo scopo occorre avere (almeno)
3 accortezze:

1) Le scienze sociali forniscono modelli la cui validità è “in media”.


2) Occorre una rigorosa attenzione alle ipotesi: condizioni di partenza differenti anche
di poco possono condurre a una completa divergenza dei risultati (effetti dinamici).
3) Occorre essere rigorosi anche nell’applicazione, ponendo attenzione alla
contestualizzazione delle norme proposte. All’approccio “in media” si deve affiancare
l’approccio clinico: anche in medicina esistono regole su base statistica (stocastica);
ciononostante, lo sforzo del medico è di costruire una specifica risposta al problema
del singolo individuo. Questo approccio richiede la ricombinazione di conoscenze ed
esperienze.

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Capitolo 1. L’organizzazione come sistema complesso.

Gli elementi chiave per i modelli del cambiamento

1.1. Di quale cambiamento ci occupiamo

3 basi concettuali:

1) Cambiamento: processo attraverso il quale un’organizzazione evolve da uno stato


A iniziale, ipotizzato stabile, a uno stato B, finale, che dovrà essere nuovamente
stabile, in cui l’organizzazione aspira a trovarsi al termine del progetto.
2) Sistema: insieme di oggetti interagenti tra di loro e con il mondo esterno. È
finalizzato a un qualche tipo di risultato / obiettivo.
3) Organizzazione: sistema complesso di individui aggregati da una qualche finalità.

Gestire il cambiamento: progettare e realizzare le azioni necessarie, da compiere verso e


con il sistema organizzativo al fine di modificare il suo equilibrio da uno stato A iniziale stabile
a uno stato B finale stabile.

1.2. Il concetto di sistema: la consapevolezza della complessità

Dominare la complessità di un sistema operando un passo alla volta sui singoli elemento
che lo compongono è la soluzione più semplice ed è alla base delle tecniche di
progettazione in molti settori tecnologici.

Questo modo di operare è affidabile solo con ipotesi forti (che richiedono condizioni
“restrittive” per essere valide). Nei sistemi economici, in particolare in quelli organizzativi in
cui è in gioco il comportamento di persone e gruppi, questo approccio è quasi sempre
impraticabile se non con grande cautela.

Occorre allora apprendere un modo sistemico di osservare la realtà: anche se siamo in


grado di comprenderne solo elementi parziali, dobbiamo allenare noi stessi e i nostri
collaboratori a osservare tutta la complessità del contesto, divenendone consapevoli.
Successivamente, potremo procedere alle necessarie e opportune semplificazioni, al fine di
decidere e agire con le nostre “limitate” capacità cognitive. La nostra azione operativa sarà
sempre accompagnata da una continua ricognizione della validità delle semplificazioni.

Ignorare la complessità porta facilmente a condizioni di miopia che rendono l’intera


organizzazione vulnerabile non solo a problemi operativi, ma addirittura a reali disastri,
amplificando progressivamente gli errori anziché correggerli.

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Sistema: insieme di oggetti interagenti tra loro e con il mondo esterno.

Poiché noi ci occupiamo di sistemi organizzativi, gli elementi del sistema saranno le
determinanti organizzative: persone, strutture organizzative, processi, tecnologie,
ambiente (sia fisico, sia economico).

Per rendere operativa la definizione di sistema, dobbiamo introdurre altri 2 fattori:

1) Tempo. Ogni sistema ha una storia, cioè il suo comportamento attuale non può
essere previsto senza conoscere, almeno in parte, quello “passato”.
2) Stato. È costruito da un insieme di variabili che permettono di definire in quali
condizioni si trova il sistema in ogni istante, riassumendone in qualche modo la storia.
Una buona misura dello stato del sistema organizzativo A, ai fini della definizione del
processo / progetto di cambiamento verso B, è la cultura organizzativa (cap. 3).

1.3. Il concetto di modello

Quando riflettiamo, analizziamo e progettiamo, non operiamo sul sistema reale, bensì su un
modello: rappresentazione del sistema reale che ci permette di tenere in considerazione i
fattori che influenzano il sistema nell’utilizzo pratico di nostro interesse.

Una volta identificato un adeguato modello (o un gruppo di adeguati modelli), per noi il
sistema e il suo modello coincideranno. Ciò è vero se e solo se vengono rispettate le
ipotesi che ci permettono la semplificazione. Per ricordarci di verificare le ipotesi, è bene
richiamare alla mente questa frase: “Confondere il sistema con il modello è simile ad andare
al ristorante e mangiarsi il menù” (Tavella, 1996). Nella maggior parte della nostra vita, noi
interagiamo con i sistemi sulla base di una rappresentazione semplificata che conosciamo
e riusciamo a governare dal pdv cognitivo, cioè attraverso il modello. Nella maggior parte
dei casi, non saremmo in grado di gestire la complessità totale della realtà.

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Secondo Rasmussen:

1) Tutti noi siamo in grado di condurre un veicolo senza alcun problema nelle condizioni
“normali”. Questa modalità di governo di un sistema complesso è detta skill based
behaviour: comportamento “automatico” e ripetitivo, appreso stabilmente grazie alle
molte volte in cui è stato esercitato. Tuttavia, c’è una differenza di guida tra:
- Una strada asciutta e calda - Una strada bagnata
- Una strada asciutta ma molto fredda - Una strada innevata

2) Un pilota esperto possiede 4 diversi modelli skill based ed è in grado di “commutare” da


uno all’altro. Si parla di rule based behaviour: comportamento discrezionale basato
sull’applicazione di regole (quando le condizioni mutano).

3) Esiste inoltre il knowledge based behaviour: rielaborazione di conoscenze e


competenze per ottenere un’adeguata rappresentazione della realtà e successivamente
per costruire risposte corrette alla specifica situazione.

1.3.1. Modello operativo e cambiamento

L’obiettivo della gestione del cambiamento è modificare skills, rules, knowledge dello stato
A per costruire nuovi skills, rules, knowledge adeguati a gestire in modo stabile lo stato B.
Ne risulta un doppio vincolo (paradossale come il disegno di Escher):

- Da un lato, i modelli operativi dello stato A sono le chiavi con cui le persone tenderanno
a interpretare lo stato B e ad agire per raggiungerlo quando verrà loro presentato il
progetto di cambiamento.
- Dall’altro, quella stessa strumentazione mentale è oggetto del cambiamento verso B che
le persone sono chiamate a realizzare.

Il modello operativo delle persone costituisce l’oggetto di cambiamento.

In fase di progettazione, dovremo operare un’analisi di compatibilità tra ciò che è richiesto
nello stato A e ciò che sarà necessario nello stato B: persone con modelli operativi molto
strutturati faticheranno a passare a situazioni di costante navigazione nell’incertezza.

1.4. Caratteristiche fondamentali di un sistema organizzativo

1) Tempo-varianza

Un sistema si dice tempo-variante se le relazioni fra i suoi oggetti e il mondo esterno si


modificano con il passare del tempo.
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Un sistema tempo-variante non può essere rappresentato da un modello costante nel


tempo, bensì tale modello deve variare di conseguenza. Se così non accade, il modello
perde di validità.

2) Dinamicità

Un sistema si dice dinamico se per conoscerne le condizioni in un dato istante è necessario


conoscerne la storia.

I sistemi organizzativi sono dinamici in quanto non si comportano ponendo in immediata


relazione ingressi (input) e uscite (output); queste ultime, cioè i risultati delle nostre azioni,
sono in relazione con la storia passata non solo della singola persona, ma anche del gruppo
in cui opera e dell’organizzazione in cui si trova.

Possiamo rappresentare il sistema come una relazione tra:

- Ingresso, che identifica le azioni (input) che esercitiamo sul sistema per ottenere i
risultati desiderati
- Uscita, che indica i risultati realmente ottenuti dal nostro operato (output).

Esempio:

- Ingresso (input): quanto pago Mario Rossi


- Uscita (output): qualità del lavoro di Mario Rossi
- Sistema: Mario Rossi (o meglio, un modello di come Mario Rossi fornirà prestazioni in
cambio di denaro).

2 situazioni possibili:

1. In caso di sistema non dinamico, per conoscere l’uscita in un determinato tempo,


per es. la prestazione di Mario Rossi oggi, è sufficiente conoscere l’entrata nel
medesimo istante, per es. quanto sto pagando Mario Rossi per il suo lavoro.
2. In caso di sistema dinamico (più realistico), per conoscere l’uscita in un determinato
tempo, per es. la prestazione di Mario Rossi oggi, devo conoscere il valore nel tempo
della storia della variabile di entrata, cioè quanto ho pagato Mario Rossi in passato,
quanto lo hanno pagato i precedenti datori di lavoro, ecc.

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Talvolta è possibile identificare una o più variabili in grado di “riassumere” la storia del
sistema. Ciò accade quando si riesce a identificare lo stato, cioè una serie di variabili che
rappresentano la storia del sistema in modo sintetico. La cultura organizzativa può
parzialmente giocare questo ruolo, “riassumendo” per alcune variabili chiave di
comportamento il loro stato in A.

3) Non linearità

Un sistema si dice lineare se, applicando un ingresso somma di 2 ingressi, l’uscita che si
ottiene è la somma delle 2 uscite corrispondenti.

Purtroppo per noi, in generale i sistemi sono non lineari. Cercare di linearizzare la realtà
è una delle più frequenti e note distorsioni cognitive che deriva dalla nostra formazione
culturale positivista.

4) Stato

Stato di un sistema: insieme delle variabili in grado di riassumerne la storia sino a un dato
istante. Se conosco l’ingresso applicato al tempo “t” e il valore delle variabili di stato al tempo
“t”, posso conoscerne l’uscita del sistema al tempo “t”.

5) Stabilità

Un sistema si dice stabile se una perturbazione su di esso genera una variazione delle
variabili di uscita proporzionale alla perturbazione stessa.

Es. di sistema stabile: palla da calcio su un piano; il suo spostamento sarà proporzionale
alla forza che imprimo calciandola.

Tuttavia, nei sistemi non è sufficiente la stabilità: ci interessa la stabilità asintotica.

Un sistema è asintoticamente stabile se una perturbazione su di esso genera una


variazione delle variabili di uscita proporzionale alla perturbazione stessa e, una volta
cessata la perturbazione, l’uscita rientra nei valori normali.

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Es. di sistema asintoticamente stabile: pallina livera di muoversi in una scodella concava;
se la spingo verso le pareti, essa si “arrampica” con forza proporzionale alla spinta, ma poi
ritorna al centro.

Per ottenere un cambiamento organizzativo, è quasi sempre necessario rompere la


situazione di equilibrio asintoticamente stabile che caratterizza l’organizzazione nello stato
iniziale A, per poi ricostruire un secondo equilibrio asintoticamente stabile che dovrà
caratterizzare l’organizzazione in B. se non si adotteranno adeguate tecniche, il sistema
organizzativo sfuggirà di mano al “gestore del cambiamento”, mostrando 2 possibili
comportamenti: un ritorno alla traiettoria dello stato A, oppur uno spostamento a traiettorie
imprevedibili, e spesso parzialmente instabili, lontane dall’obiettivo B del progetto di
cambiamento.

6) Controllo dei sistemi

Un sistema si dice controllabile quando è possibile condurre le variabili di interesse entro


limiti desiderati.

La scienza del controllo è nata nell’ambito della teoria dei sistemi applicata all’ingegneria.
Per chiarire il concetto di controllo e controllabilità, occorre addentrarci, seppur rapidamente,
in qualche “schema a blocchi” e in un poco di teoria.

✓ I criteri chiave del controllo

Es. dello scaldabagno:

- Ingresso: corrente elettrica


- Uscita desiderata da mantenere in controllo: temperatura dell’acqua.

Il sistema dovrà mantenere le sue variabili di interesse nel valore desiderato in modo
asintoticamente stabile. Però in generale i sistemi non potranno realizzare esattamente
l’uscita che desideriamo. Ci accontentiamo quindi che essa sia sempre in un “intorno” del
valore richiesto, e che mantenga questo intorno anche quando subentrano incertezze e
modifiche dei parametri, ovviamente purché questi elementi di disturbo rimangano entro
certi limiti: solo i sistemi robusti o resilienti riescono ad evitare situazioni fuori controllo
seppur in modalità “degradata”.

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Le tecniche per mantenere in controllo un sistema dipendono dalla tipologia di sistema in


esame:

1. Sistemi “a controllo aperto” (o “a controllo in avanti” o “a controllo a priori”

Il sistema di controllo C è costruito sulla base della conoscenza a priori della relazione tra
l’uscita y(t) e l’ingresso u(t). Questo primo metodo funziona correttamente se e solo se non
ci sono incertezze sul sistema S.

Es.: il capo, consapevole delle capacità e delle conoscenze del collaboratore, gli fornisce
elementi per un lavoro e non se ne cura più: il prodotto andrà direttamente al “cliente”, così
come realizzato dal collaboratore.

2. Sistemi “a controllo in anello chiuso” (o “a retroazione” o “a feedback”)

Il sistema di controllo C non effettua semplicemente un calcolo a priori, bensì unisce a


questo la misura dell’uscita del sistema. Questa operazione è fondamentale per operare
sistemi di regolazione affidabili.

Il sistema di feedback dello scaldabagno è costituito da un termometro e da un relè: quando


la temperatura diminuisce sotto una certa soglia, il termometro aziona il relè che si chiude
e permette il passaggio della corrente, accendendo lo scaldabagno. Una volta superata la
soglia, il relè si apre e così via. La temperatura non sarà mai esattamente quella desiderata,
ma un po’ meno o un po’ di più. Il sistema è asintoticamente stabile, non perfetto.

Esempio della sala radar aeronautica: il controllore del traffico aereo (CTA) è l’elemento
decisione del loop di controllo del volo di un aeromobile (C).

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Ottenere feedback sulle prestazioni economiche è uno dei grandi problemi dell’impresa: la
balanced scorecard di Kaplan e Norton (1996) è un modello per la gestione dell’impresa
che ruota attorno al feedback di alcuni indicatori.

I sistemi organizzativi complessi hanno la tendenza a divenire opachi: i singoli operatori


– per la numerosità dei processi con cui hanno a che fare, la quantità spesso elevata di
regole ed eccezioni, il numero significativo di interazioni sociali richieste, la complessità della
tecnologia – non riescono a rappresentarsi cognitivamente come sono posizionati i loro ruoli
specifici rispetto al complesso sistema organizzativo. L’opacità del sistema organizzativo e
in particolare della tecnologia è un’importante minaccia che:

- Rende difficile all’operatore l’azione sul sistema


- Rende complesso il controllo del sistema, in particolare quando si esce dalle situazioni
di routine stabili.

Catino parla di miopia organizzativa che rende le organizzazioni incapaci di “vedere”


correttamente sia le minacce sia le opportunità.

Comprendere come nel sistema organizzativo stia agendo un sistema di controllo piuttosto
che un altro è di vitale importanza per la gestione del cambiamento: ogni feedback presente
influenza in modo significativo il comportamento.

Un gestore del cambiamento che non comprenda i loop di influenza sociale e manageriale
si lancerà in nervosi commenti del tipo: “Ma perché è così semplice e non lo fa?”.
Certamente la resistenza ha anche una sorgente soggettiva, ma al gestore del cambiamento
sono sfuggiti alcuni loop di controllo che mantengono il comportamento, in modo
asintoticamente stabile, nello stato A. L’effetto sarà ancora più marcato quando un intero
gruppo di persone è inserito in uno o più loop di controllo: l’apprendimento organizzativo
mostra più resistenze di quello individuale.

Per ottenere un cambiamento organizzativo è spesso necessario “tagliare” alcuni loop di


controllo per ricostruirne altri.

✓ Il feedback funziona sempre?

Ove vi è incertezza, il controllo deve essere effettuato attraverso un feedback. Non ci si


deve illudere però che questa tecnica risolva tutti i problemi.

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Esistono trappole che addirittura peggiorano la situazione rispetto a un sistema senza


feedback (figure da pag. 42):

1. Errore dovuto ad un aumento del feedback: una persona che, presa dal panico
per un evento inatteso, riporta un dato con molta enfasi, amplificando il feedback.
2. Errore dovuto alla diminuzione del feedback a partire da una situazione in cui il
sistema funzionava correttamente.
3. Errore dovuto alla degradazione del comportamento dei 5 operatori.
Immaginiamo un sistema con 5 persone nel feedback che devono riportare
l’informazione sull’andamento dell’organizzazione. Se il sistema non è in grado di
reagire ai disturbi, questi ultimi creano un certo scompiglio, inducendo le persone a
modificare il loro comportamento, “sottraendo” il 10% dell’informazione dal feedback.
Inoltre, ogni operatore potrebbe essere ignaro del comportamento altrui e del modello
del sistema. Ciò porterebbe a …
4. Errori legati a tentativi di correzione che possono comportare un’ulteriore
degradazione del sistema. Una errata interpretazione del sistema organizzativo e
dei suoi fenomeni è talvolta peggiore del suo “libero movimento”.

Per comprendere quest’ultimo punto, riflettiamo sul fatto che nel feedback esistono spesso
componenti, denominate non raggiungibili e non osservabili, sulle quali la chiusura di un
feedback non può avere alcun effetto. Queste componenti non sono in alcun modo
controllabili attraverso il feedback. 1

- Componenti non osservabili: non si manifestano nell’uscita.


Un manager che non è al corrente di alcuni dati dell’impresa – fondamentali per le sue
decisioni.
- Componenti non raggiungibili: non si raggiungono dall’ingresso.
Es.: Un capo che cerca di far compiere azioni ai suoi collaboratori utilizzando “leve” non
di loro interesse (come il denaro al posto di lavoro motivante).

Per indirizzare un sistema organizzativo verso gli obiettivi, occorre comprendere se i sistemi
di controllo in anello chiuso (feedback) garantiscono l’osservabilità e la raggiungibilità di tutte
le variabili rilevanti del sistema. In particolare, un’adeguata gestione dei gruppi permette
l’estensione della raggiungibilità e della controllabilità del sistema organizzativo.

1 Vedi la decomposizione canonica di Kalman (teoria dei controlli automatici), pag. 46


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✓ Quando monitorare il sistema organizzativo?

Esempio per capire cosa si intende per campionamento: film in cui un’automobile con le
ruote a raggi attraversa una scena. La ruota gira in avanti, in accordo con il movimento
dell’automobile e con le nostre aspettative frutto dell’esperienza comune, ma se non ne
avessimo esperienza affermeremmo che gira all’indietro. La spiegazione scientifica è che:

- La cinepresa riprende 25 fotogrammi/secondo; fin quando la rotazione è lenta, vediamo


correttamente i raggi, ma man mano che accelera li vediamo rallentare, sino a fermarsi
per poi iniziato una rotazione all’indietro. Questo effetto è dovuto all’eccessiva lentezza
con cui la cinepresa riprende le immagini della ruota in movimento.

Questo è il fenomeno più subdolo del campionamento: leggere una realtà che varia nel
tempo in modo troppo lento.

Dunque, non solo occorre accertarsi che il modello con cui rappresentiamo il sistema
organizzativo consideri tutte le parti rilevanti e i feedback di controllo, ma anche che i
momenti in cui compiamo le osservazioni – lo stato di avanzamento lavori del progetto –
siano quelli corretti.

4 regole per una visione sistemica dei fenomeni organizzativi:

1) Le attività umane accadono all’interno dei sistemi organizzativi


2) Per comprendere appieno le caratteristiche di controllabilità, occorre analizzare le
tipologie di controllo attuate nelle specifiche attività di interesse: in feed forward o
in feedback
3) Occorre anche prestare attenzione alla qualità dei feedback, in particolare
analizzando con cura le condizioni di raggiungibilità e di controllabilità
4) Occorre ricordare che le variabili di un sistema organizzativo non sono osservate
e misurate con continuità, ma solo attraverso un campionamento, che deve essere
adeguato ai fenomeni che caratterizzano il sistema.

1.5. Un modello del comportamento per il cambiamento

Introduciamo il modello costruttivista: modello del comportamento del singolo individuo


che utilizzeremo come riferimento nel seguito del percorso. Percorreremo rapidamente
l’evoluzione dei modelli più utilizzati nella psicologia per rappresentare il comportamento.

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1.5.1. I 3 modelli del comportamento umano (complementari)

1) Modello comportamentista

o Nato sulla scia del positivismo scientifico e della concezione razionalista


dell’essere umano
o Comportamento dell’individuo: reazione a stimoli “prodotti” dalla realtà esterna
(stabile e immutabile)
o Essere umano privo di stati interiori; il comportamentismo ortodosso rifiuta
concetti quali mente e inconscio
o Pur essendo inadatto a spiegare la > parte dei comportamenti complessi e
dell’apprendimento, è il modello + utilizzato nella normalità della vita quotidiana,
intuitivamente e inconsapevolmente, nella nostra società attuale. Ciò perché:
▪ Offre una semplice chiave interpretativa dei fenomeni
▪ Favorisce una interpretazione meccanicistica del comportamento

2) Modello cognitivista

o Nato dagli scambi culturali del fertile “triangolo” multidisciplinare in cui nei 60’s si
stavano sviluppando i concetti del calcolo automatico e dell’AI:
▪ Università di Princeton (Von Neumann)
▪ MIT di Boston (Simon, Chomsky)
▪ Palo Alto (Bateson, Watzlawick)
o Nella sua prima formulazione cerca di spiegare il comportamento rappresentando
l’essere umano similmente a un sistema di intelligenza artificiale:
▪ Un insieme di apparati per la lettura di informazioni esterne,
similmente ai sistemi di input/output dei computer
▪ Un insieme di elementi di comunicazione interna, similmente al “bus”
di comunicazione dei computer
▪ Un sistema di elaborazione dei simboli, similmente alla CPU del
computer
▪ Un sistema di memorizzazione dei simboli, similmente alla memoria dei
computer.

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3) Modello costruttivista

o 70’s: obiezione forte al cognitivismo, che non riesce a includere il contesto sociale
nel comportamento e non prende una posizione chiara su cosa si intenda per
realtà sterna
o Modello più articolato e meno schematizzabile, ma che trova riscontro nei recenti
esperimenti neuroscientifici
o La realtà non può essere oggetto diretto di conoscenza: le persone possono
conoscere solo una rappresentazione, socialmente costruita, della realtà, tanto
da spingere alcuni costruttivisti ad affermare che “la realtà non esiste, ma è
socialmente costruita”
o 4 elementi del modello:
▪ Le persone interpretano la realtà attraverso un modello costruito
▪ Il processo di costruzione del modello è fortemente correlato alle
finalità dell’azione che l’individuo dovrà/vorrà condurre utilizzandolo
come interpretazione
▪ Il processo di costruzione è continuo: le persone sono costrette a un
continuo adattamento negoziato (Bruner), all’interno della comunità sociale
in cui agiscono
▪ Il processo di costruzione è situazionale: è in relazione allo specifico
contesto in cui le persone agiscono.

1.5.2. Il processo di apprendimento nell’individuo adulto

Il processo di cambiamento è ben modellizzato come un processo di apprendimento


organizzativo. Per apprendere, l’individuo ha bisogno di percorrere un cammino di
costruzione di un nuovo modello operativo a partire dalla sua situazione attuale e dalla sua
storia: la cascata dell’apprendimento (learning waterfall), composta da 4 fasi:

1) Identificazione di un obiettivo
2) Costruzione di una domanda operativa: razionalizzazione cognitivamente
rappresentabile dell’obiettivo
3) Costruzione della risposta operativa: imparare a fare e agire in risposta al nuovo
problema o alla nuova esigenza
4) Sperimentazione in cui si consolida il modello appreso nel proprio personale
contesto.

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Es.: processo di apprendimento del pilotaggio di un aeroplano:

1) Obiettivo generico “Voglio imparare a volare”


2) Per imparare a volare occorre:
o Scegliere quale mezzo: decido per l’aliante
o Presentarsi a un aeroclub: vado a Calcinate presso l’ACAO
o Frequentare un corso di n lezioni pratiche
3) Frequento il corso, imparando gradualmente a pilotare, sinché non sono pilota, cioè
sinché non ho acquisito quei comportamenti automatici per condurre il velivolo
4) Una volta ottenuta la licenza, consolido il modello operativo durante il pilotaggio.

Questo processo di apprendimento è fondato sul costruttivismo perché sottolinea il fatto che
apprendere non equivale a “sommare” competenze a quelle attuali, bensì costruire un nuovo
modello di relazione con la realtà.

L’ansia di apprendimento costituisce una delle resistenze al cambiamento più importanti,


perché coglie anche soggetti positivi verso il cambiamento, non solo soggetti passivi o
negativi.

1.5.3. Il processo di apprendimento nell’organizzazione

Comprendere e governare l’evoluzione dei singoli individui non è sufficiente per governare
gli sviluppi dell’organizzazione e dell’impresa, né tantomeno per gestire i cambiamenti.
È necessario adottare un modello per l’apprendimento organizzativo.

1.5.4. Il modello di Lewin

Lewin propone un processo a 3 passi:

1) Scongelamento delle norme, delle prassi, delle routine in uso: skills, rules,
knowledge. Questa fase può realizzarsi in 2 modalità (Mintzberg):
I. Modalità progettale o deduttiva, tipica dei cambiamenti pianificati, in cui il
sistema organizzativo è chiamato a un percorso di evoluzione verso nuovi
modelli operativi; l’origine è l’introduzione di concettualizzazioni strategiche e
decisioni del top mgmt.
II. Modalità induttiva, tipica del cambiamento continuo; l’origine è la prassi,
l’operatività quotidiana.

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2) Ristrutturazione cognitiva: il sistema organizzativo costruisce progressivamente –


in relazione al contesto, ai propri obiettivi, alle azioni strutturate di modifica della
cultura operate attraverso valori e artefatti, il nuovo modello interpretativo e di azione
collettiva.
3) Ricongelamento: il sistema trasforma in routine il nuovo modello, che assume il
ruolo di nuovo sistema operativo.

Apprendimento individuale e apprendimento organizzativo sono connessi e


procedono in parallelo. Questo perché l’apprendimento, anche individuale, è un fenomeno
che accade nel contesto sociale.

In accordo con lo schema di Mintzberg, l’apprendimento organizzativo può originarsi


attraverso meccanismi sia induttivi che deduttivi. Adottando differenti modelli di attuazione
del cambiamento, si può fare leva su 2 approcci:

- Approccio induttivo → cambiamento distribuito e cooperativo


- Approccio deduttivo → cambiamento deliberato e ingegneristico

Il modello di Argyris e Schön (cap. 5) completa l’apprendimento organizzativo di Lewin:


l’apprendimento di secondo livello permette, agli individui e all’intera organizzazione, di
elaborare e risolvere i paradossi che ogni cambiamento propone.

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Capitolo 2. I fenomeni e i modelli base di rappresentazione del cambiamento

La dimensione contingente dei processi di cambiamento

Nel passato recente si assisteva a un’impostazione dei progetti di comunicazione del


cambiamento in cui la leva principale consisteva in un’ipotetica necessità oggettiva di
abbandonare lo stato A e spostarsi nello stato B. Progressivamente questo approccio si è
rivelato poco costruttivo: anche qualora fosse possibile identificare uno stato B “ottimale”,
difficilmente nella > parte dei mercati resterà tale per più di una qualche decina di mesi.

A e B sono contingenti. Occorre trasmettere questo concetto alla popolazione aziendale.

Il cambiamento dei sistemi organizzativi è contingente.

Contingente: non fondabile su un preciso ragionamento scientifico, ma attribuibile a


decisioni manageriali assunte in condizioni di incertezza.

2.1. Perché affermare che “il cambiamento è contingente”

- A e B sono concepiti come contingenti


- Il processo con cui viene effettuata la transizione ha caratteristiche stabili nel tempo e si
presta a una strutturazione metodologica (governo del cambiamento dei sistemi org.).

Assioma: 2 Il cambiamento di un sistema organizzativo è un fenomeno contingente


relativamente allo stato di partenza A (perché abbandonarlo) e allo stato di arrivo B (perché
perseguirlo). A e B sono di interesse solo per l’influenza che hanno nel determinare modalità
e tempi del processo di trasformazione.

2Assioma = proprietà sulla quale si fonda un sistema scientifico e che è indimostrabile. A partire dagli assiomi
si costruiscono i teoremi.
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2.2. Le dimensioni contingenti del cambiamento

Per comprendere come mai A e B vengono ritenuti elementi contingenti, riprendiamo il


concetto di sistema organizzativo e analizziamo come ciascuno dei sotto-insiemi da cui è
costituito sia portatore di contingenza.

2.2.1. Sistema organizzativo

Nella prassi, il sistema organizzativo è costituito da:

1) Persone che prendono parte alle attività del sistema


2) Processi:
- Sequenze di attività stabilmente ripetute e finalizzate a qualche risultato
- Strutture di coordinamento
- Regole e norme
- Procedure che permettono di compiere un lavoro cooperativo e finalizzato
- Elementi comunemente definiti “organizzazione”
3) Tecnologie: strumenti e macchinari per il lavoro
4) Ambiente: spazi in cui il lavoro accade e il contesto in cui l’impresa è inserita.

Il sistema organizzativo, in toto o in alcune sue parti, è l’oggetto del cambiamento.


Analizziamo singolarmente i suoi singoli elementi.

1) Persone e cambiamento

L’impatto individuale nel cambiamento può essere osservato a 2 diversi livelli:

1. Decisori con impatto organizzativo: persone in grado di influenzare gli indirizzi


dell’organizzazione, la sua struttura, i suoi scopi. Hanno un impatto diretto sul perché
abbandonare A o sul perché perseguire B.
2. Attori organizzativi generici: coloro che saranno chiamati, in modo più o meno
attivo a seconda del modello di riferimento del cambiamento adottato, a modificare il
loro comportamento operativo, cioè il loro modello operativo consolidato.

Le persone introducono nell’organizzazione:

1. Fattore razionale secondo cui in un certo modo riconoscono obiettivi da perseguire


per massimizzare una o più variabili

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2. Fattore emozionale 3 che anch’esso influenza la loro azione individuale e


organizzativa. “Il cambiamento è questione di pancia”:
- I decisori definiscono anche emotivamente perché lasciare A e andare a B.
- Gli attori interpretano anche emotivamente i motivi per cui lasciare A e quelli
per cui andare a B.
Gestire il cambiamento non significa solo cercare di dimostrare che B ha un
significato concreto per le persone e per l’impresa, ma anche riconoscere che occorre
intervenire considerando molteplici fattori emotivi che ogni attore metterà in gioco
durante il processo di cambiamento. A tal proposito vediamo la relazione tra …

Dimensione emozionale individuale e contingenza: la dimensione emozionale dei


processi di cambiamento rende contingenti:

1. Le motivazioni che hanno spinto i decisori (il mgmt) a considerare “obsoleto” A


2. Le interpretazioni che spingeranno gli attori ad abbandonare operativamente A
3. Le motivazioni che hanno spinto i decisori (il mgmt) a considerare “desiderabile” B
4. Le interpretazioni che spingeranno gli attori a raggiungere B.

Si vedrà in seguito che anche altri fattori agiscono sulle scelte relative agli stati A e B, tali
da determinare un’instabilità di B nel tempo. Ciò rafforza l’esigenza di non utilizzare in modo
preponderante A e B come leve della trasformazione.

2) Processi, organizzazione e cambiamento

- Processi: processi operativi del sistema organizzativo


- Organizzazione: struttura & insieme di norme e regole formalizzate ed eventuali
procedure

All’interno di questi sotto-sistemi, emerge in parte la dimensione individuale della


contingenza di cui sono portatori i singoli individui e quindi la stessa esistenza di questi
elementi introduce contingenza non solo nel cambiamento, ma nella stessa quotidianità
organizzativa. Spesso il cambiamento si innesta sulla percezione – che può originarsi sia
nei decisori che nei gruppi di attori organizzativi – dell’inadeguatezza dello stato A rispetto
a certi scopi dell’organizzazione. Tale valutazione non è oggettiva e assoluta, bensì origina
da ipotesi che si fondano su credenze manageriali degli attori.

3 Emozionale ≠ irrazionale. Le emozioni fanno parte del sistema di funzionamento di ogni individuo sano e
hanno una razionalità, anche se essa sfugge alla semplice ricerca di nessi causali cui siamo abituati o che è
consentita nel piano economico dell’impresa.
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La dimensione contingente della valutazione di processi operativi e


dell’organizzazione negli stati A e B:

- Esiste una percezione di inadeguatezza dello stato A


- Esiste la percezione dell’esistenza di uno stato B, perseguibile e raggiungibile, che
potrà contribuire a ripristinare l’adeguatezza operativa verso gli scopi.

Questi fenomeni possono essere originati da:

- Confronti all’interno del mercato di riferimento


- Studi organizzativi
- Interventi della consulenza
- Riflessioni sul proprio modo di svolgere il lavoro
- Percezione di potenzialità inesplorate.

Ne consegue che l’innesco del cambiamento è dovuto a situazioni contingenti di


contatto con queste fonti informative, non a valori scientifici oggettivi e assoluti.

3) Tecnologia e cambiamento

Molte ricerche indagano il modo in cui la tecnologia determina “perché lasciare A” e i “motivi
per pianificare un particolare B”. operando una semplificazione, possiamo riassumere gli
impatti delle tecnologie in 2 tipologie, che agiscono ciclicamente sull’impresa.

La dimensione contingente della tecnologia: possibilità e artefatti cognitivi:

- Esiste una percezione di inadeguatezza tecnologica dello stato A e/o


- Esiste la percezione che sia disponibile una nuova tecnologia (nuova per
l’impresa, non necessariamente in assoluto), da introdurre con un cambiamento che
porterà a uno stato B, perseguibile e raggiungibile, che contribuirà a ripristinare
l’adeguatezza operativa verso gli scopi oppure a introdurre nuovi scopi/prodotti.

Questi fenomeni possono essere originati da:

- Confronti all’interno del mercato di riferimento


- Studi organizzativi
- Interventi della consulenza
- Riflessioni sul proprio modo di svolgere il lavoro
- Percezione di potenzialità inesplorate.

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Ne consegue che l’innesco del cambiamento generato dalla tecnologia è dovuto a


situazioni contingenti di contatto con nuove tecnologie, non a valori scientifici oggettivi
e assoluti.

L’introduzione di una nuova tecnologia (es.: un nuovo sistema informativo):

- Fornisce informazioni sul tipo di paradigma che viene adottato dall’organizzazione


- Fornisce informazioni circa il modello “attività/comportamenti” che potrebbe essere
utilizzato nel processo di cambiamento
- Permette di comprendere quali potrebbero essere le modalità di diffusione del
cambiamento.

Questi elementi verranno analizzati nello sviluppo del metodo e nella gestione del progetto.

4) Ambiente e cambiamento

È possibile identificare 2 tipologie di influenza dell’ambiente sull’impresa.

L’effetto contingente della dimensione ambientale:

- Esiste una percezione di inadeguatezza ambientale dello stato A, che può consistere
in:
o Percezione di inadeguatezza della cultura aziendale rispetto alla cultura
del mercato di riferimento (in particolare delle imprese di successo)
o Percezione di inadeguatezza del modello di business dell’impresa
rispetto a quello del mercato di riferimento.

Questi fenomeni possono essere originati da:

- Confronti all’interno del mercato di riferimento


- Studi organizzativi
- Interventi della consulenza
- Riflessioni sul proprio modo di svolgere il lavoro
- Percezione di potenzialità inesplorate.

Ne consegue che l’innesco del cambiamento generato dall’ambiente è dovuto a


situazioni contingenti, quali le relazioni tra il mgmt e gli altri attori di mercato a vario
titolo e genere, non a valori scientifici oggettivi e assoluti.

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Gavetti e Rivkin (2007) sostengono – supportati da riscontri sperimentali – che la relazione


con il contesto cui il mgmt è a contatto contribuisce a influenzare gli elementi induttivi di
costruzione della strategia (di costruzione dello stato B) e quelli deduttivi.

2.3. Gli effetti operativi della contingenza sulla gestione del cambiamento

Da questi elementi nasce il seguente e fondamentale suggerimento operativo:

Nella prassi: poiché A e B sono dimensioni contingenti, legate anche a fattori emozionali,
la gestione del cambiamento non può fare leva in modo importante su di essi. Deve invece
fare leva sul processo di trasformazione, il quale mostra caratteristiche stabili e ripetibili,
indipendenti dalla contingenza del cambiamento.

Illustrare B, chiarendone gli aspetti operativi e quelli strategici, non è condizione sufficiente
per attivare un cambiamento di successo, anche se per certi aspetti può essere considerata
una condizione necessaria.

Come però tratteremo nella sezione sulla gestione del progetto, è fondamentale
un’adeguata co-municazione e condivisione del progetto di cambiamento per supportare la
costruzione di adeguate rappresentazioni specifiche dei singoli ruoli nelle future strutture
organizzative dello stato B.

2.4. Il cambiamento dei sistemi organizzativi come processo

Approfondiamo ora le dimensioni operative del cambiamento.

2.4.1. Il cambiamento come alternanza tra stati di equilibrio e di transizione

L’impresa effettua una continua transizione tra 2 differenti stati:

1) Stato di produzione ed efficienza

- Stato in cui l’impresa persegue l’efficienza, il periodo della stabilità operativa,


consolidata in norme e regole formalizzate attraverso procedure.
- Periodo dell’organizzazione come macchina operativa che trasforma, in modo efficiente,
input (anche intangibili) in output, producendo valore a favore di una qualche entità
economica.
- Le persone hanno riferimenti chiari e una missione personale in linea con quella
aziendale.

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- Tale situazione è un’ipotesi di lavoro comoda e utile, ma altrettanto idealizzata: non


esiste alcuna impresa che viva una situazione di perfetto equilibrio nelle proprie
dinamiche interne.

2) Stato di innovazione ed efficacia

- Stato in cui l’impresa persegue l’efficacia, cioè cerca di raggiungere gli obiettivi al di là
del risultato economico.
- Periodo in cui le persone cercano di percorrere strade nuove e di migliorare in modo
drastico i processi operativi.
- Periodo in cui nascono prodotti, processi, tecniche e metodi drasticamente nuovi.
- Ciò comporta la modifica dei riferimenti, dei canali e degli stili comunicativi, delle reti di
conoscenza, dell’equilibrio tra pensare e fare.
- Momento di conflitto importante: l’organizzazione verifica l’incapacità di “fare il nuovo”
con modelli operativi vecchi.
- Alcune comunità vivono la paura di “essere superate”.
- Mancano le certezze rassicuranti.

Nel complesso sistema economico attuale, le organizzazioni si trovano a vivere stati di


ricerca continua di significati, innovazioni vincenti, relazioni più efficaci e stabili con clienti e
fornitori. Alcune recenti ricerche confermano che la continua esposizione al
cambiamento non determina un miglioramento della predisposizione al
cambiamento, bensì un aumento dell’inerzia.

L’esperienza di cambiamento permette di affrontarlo con competenza, ma il cambiamento


è psicologicamente faticoso e quindi sorgente di innumerevoli resistenze.

Il modello “oscillatore”: immaginando che l’impresa viva gli stati di efficienza e di efficacia
in periodi sequenziali, Lewin ipotizzava che il cambiamento del sistema organizzativo
corrispondesse allo stato di innovazione/efficacia. L’impresa si trova in una sorta di
oscillazione tra:

- Uno stato stabile di


produzione/efficienza
- Uno stato di
transizione di
innovazione/efficacia

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Nel mondo fisico esistono numerosi oscillatori stabili, come:

- L’orologio (prima meccanico, poi al quarzo)


- Il sistema cardiovascolare
- I sistemi di trasmissione radio
- I sistemi di telecomunicazione in qualunque forma (dal filo alla fibra ottica)

Similmente a questi esempi, per Lewin il problema del sistema organizzativo sta nel trovare
una stabilità che gli permetta di oscillare tra gli stati producendo valore.

3 tipologie di oscillatori possibili:

1. Oscillatori paralleli conflittuali: modalità di innovazione dell’impresa contenuta


nella dialettica (conflittualità positiva, Pagliarani) tra diverse funzioni o comunità di
pratica. Es.:
o R&S vs produzione
o R&S e produzione vs marketing
o Processi improntati all’efficacia (sviluppo di prodotto) vs processi improntati
all’efficienza (es.: pianificazione e controllo).
2. Oscillatori periodici: è il caso idealizzato da Lewin nel modello base: l’impresa
alterna periodi di efficienza e produzione a periodi di efficacia e innovazione.
3. Oscillatori interiori continui: è il caso in cui ogni individuo è in grado di attraversare
continuamente stati di efficienza e di efficacia in modo sincronizzato alle esigenze
dell’impresa.

Le difficoltà che le persone, e di conseguenza l’impresa, incontrano ad attuare una di queste


tipologie sono differenti tra i vari tipi di oscillatore, come può essere notato in questa figura:

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Questa difficoltà va posta in relazione anche con:

- La rapidità richiesta per la realizzazione delle trasformazioni (= frequenza


dell’oscillazione)
- La cultura dell’impresa e del mercato di riferimento
- La specifica caratteristica “tecnica” della particolare trasformazione.

Per illustrare il concetto di “difficoltà a stabilizzare”, introduciamo qui un assioma:

Assioma del cambiamento necessario: per un qualunque individuo e per una qualunque
entità organizzativa, multipla o singola, configurabile come sistema chiuso o aperto, il
cambiamento è una necessità intrinseca vitale. Non si può non cambiare.

L’assioma – profondamente radicato nella letteratura e che diviene fondamento


epistemologico del nostro approccio (ecco perché è un assioma) – è connesso alla relazione
tra cambiamento e apprendimento.

Il modello di Lewin a 3 stadi:

Per essere efficace, un processo di cambiamento organizzativo deve necessariamente


attraversare 3 stadi:

1. Scongelamento delle / dei:


o Routine organizzative o Processi operativi
o Prassi consolidate o Modelli del compito
o Reti di relazione
Obiettivo: “sganciare” le persone dal modello operativo abituale.

2. Apprendimento o ristrutturazione cognitiva: si effettua la transizione dal modello


operativo di partenza a quello “a tendere”, costruendo nuove / i:
o Prassi o Processi operativi
o Reti di relazione o Modelli del compito

3. Ricongelamento: si effettua il consolidamento del nuovo modello operativo

Assioma dell’equilibrio dinamico: qualunque tipo di equilibrio di un sistema organizzativo


è un equilibrio relativo a un movimento dello stato e dunque è un equilibrio dinamico. Nei
sistemi organizzativi non si può avere equilibrio statico, anche se in taluni casi esso può
rappresentare un’adeguata approssimazione.

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- Esempio di equilibrio quasi-statico: un’azienda prevalentemente dedita alla


produzione di un bene in un mercato consolidato durante la sua fase di stabilità vivrà in
una condizione di apprendimento minimo, volto alla manutenzione dei processi
necessaria alla risoluzione delle imperfezioni e al continuo perseguimento dell’efficienza
operativa.
- Esempio di equilibrio dinamico: una società multinazionale di un settore ad alta
tecnologia, in un mercato ad alto tasso di innovazione e concorrenza, durante la sua
fase di stabilità si troverà comunque a vivere processi di apprendimento molto intensi,
continue ridefinizioni di obiettivi aziendali e individuali, continui cambiamenti di rotta. La
ricerca dell’efficienza è volta a rendere efficace il processo di adattamento alla realtà
complessa. Quindi, questa impresa vive una situazione costante di equilibrio dinamico,
in cui la dialettica, la negoziazione, la continua modifica dei processi operativi sono
processi consolidati che fanno parte del modello operativo individuale e organizzativo.

Cambiamento PP e cambiamento II

Riferendoci al modello:

- Nel 1° caso, cambiare significa ri-costruire routine di produzione efficienti.


- Nel 2° caso, cambiare significa ri-costruire routine dinamiche di adattamento.

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2.4.2. Cambiamento come processo sinergico di apprendimento individuale e


organizzativo

Confrontiamo il processo di apprendimento individuale con il modello di Lewin a 3 stadi.

Nel cambiamento esistono 2 processi di apprendimento paralleli:

- Apprendimento individuale
- Apprendimento organizzativo (3 stadi di Lewin)

Le tipologie di azione volte a innescare, gestire e concludere un processo di cambiamento


in un sistema organizzativo dovranno essere progettate al fine di attivare, sostenere e
concludere entrambi questi processi.

- Sul singolo individuo occorrerà innescare il processo fornendo obiettivi “vicini” alla sua
realtà operativa, supportarlo nel costruire la sua domanda e la sua personale risposta,
spingerlo a ricostruire un modello operativo consolidato e “psicologicamente
economico”.
- Si agirà sull’organizzazione attraverso azioni volte alla costruzione di obiettivi condivisi
e di risposte alle nuove domande, ottenute attraverso nuove strutture, regole e relazioni,
e al consolidamento delle medesime in routine efficienti.

Norma operativa: è necessario prevedere:

- Per ogni individuo un percorso che attraversi le 4 fasi della learning waterfall
- Per le unità organizzative un percorso che preveda i 3 stati di Lewin.

A questo scopo, occorre un’accurata gestione del progetto di cambiamento, tema che
affronteremo in seguito.
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Apprendimento organizzativo come meta-processo di cambiamento individuale:


Questo è il livello in cui l’individuo è in grado di confrontare il suo specifico processo di
apprendimento con la realtà aziendale, traendo obiettivi, conferme, smentite, dialettica.

Non si deve mai dimenticare che l’azione organizzativa è sempre e comunque effetto di
azioni individuali e, per questo, la gestione del cambiamento deve far leva
sull’apprendimento individuale.

Capitolo 3. Il ruolo della cultura nei processi di cambiamento

Dalla storia all’azione: l’organizzazione tra passato e futuro

Un modello del processo di cambiamento particolarmente utile per il nostro scopo –


apprendere come gestire un cambiamento organizzativo – è costituito dall’utilizzo sinergico:

- Del modello di apprendimento individuale di matrice costruttivista


- Del modello di apprendimento organizzativo che già Lewin introdusse.

Un buon approccio alla gestione del cambiamento organizzativo tra uno stato A e uno stato
B consiste nel progettare, costruire e attuare un processo di apprendimento individuale in
sinergia con un processo di apprendimento organizzativo.

Il risultato si otterrà attraverso una serie di azioni nei vari livelli e gruppi sociali da cui
l’organizzazione è costituita, condotte in 2 momenti:

1) Analisi della realtà, attraverso l’analisi:


o Del contesto
o Delle strutture organizzative
o Degli stati di partenza A e di arrivo B
o Della cultura organizzativa
o Del mercato.

2) Sintesi (progett-azione) di azioni opportune.

Prima di passare all’azione operativa di cambiamento, dobbiamo approfondire il tema degli


antecedenti che hanno portato l’organizzazione alla scelta di allontanarsi dal noto stato A
muovendo verso l’incerto stato B.

L’azione decisionale all’interno delle imprese non è frutto di processi decisionali


ottimizzanti di stampo neoclassico, bensì fonda le sue radici nel sistema di credenze del
management (paradigmi).
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3.1. I paradigmi del cambiamento

3.1.1. Il concetto di paradigma e il suo significato nell’analisi dei processi di


cambiamento

Il concetto di paradigma fu introdotto da Kuhn nel 1962. Egli affermava che lo sviluppo di
una disciplina scientifica passa attraverso i seguenti stadi:

1) Stadio pre-paradigmatico
2) Periodo della ricerca normale, che inizia quando viene identificato un gruppo di
paradigmi
3) Periodo di crisi, in cui il paradigma fino ad allora accettato incontro problemi che
esso stesso ha generato, ma che non può risolvere
4) Periodo di rivoluzione, in cui emerge un altro paradigma che rende di nuovo
possibile la ricerca normale.

Assioma: lo sviluppo della conoscenza, la risoluzione dei problemi, la prese di decisione


all’interno dei sistemi organizzativi sono assimilabili a processi di “prova ed errore” e di
“falsificazione”, piuttosto che alla ricerca di un ottimo in relazione a regole autoposte o
mutuate dal mondo esterno.

Ciò significa che il processo decisionale è connaturato a tutte le attività del sistema
organizzativo, rompendo così lo schema che vedeva il paradigma della decisione staccata
dall’azione. Da Simon sino a oggi è progressivamente aumentato il consenso della comunità
scientifica nell’interpretare l’impresa come una comunità di ricerca. Esempi:

- Levinthal (1991) mostra come l’inerzia – che noi abbiamo simbolizzato con la situazione
di asintotica stabilità – spinge le imprese a ricercare la soluzione prima nel loro insieme
di risorse già consolidate, per muovere lo sguardo verso l’esterno solo successivamente.
- Gavetti e Levinthal (200) mostrano come sia indispensabile, nell’azione quotidiana,
bilanciare “sguardo avanti” e “sguardo indietro” per identificare degli ottimi operativi.

Definizione di cultura organizzativa di Schein

La cultura di un sistema organizzativo è composta da 3 insiemi:

1. Valori: linee guida per l’azione; si distinguono dai paradigmi perché vengono
richiamati frequentemente e consapevolmente e vengono classificati in attuali e
desiderati.

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o Es.: un’azienda che lavora per progetti, frequentemente richiamerà le


espressioni “on time” e “on budget”.
2. Artefatti: tutto ciò che è visibile all’interno dell’organizzazione, in gran parte frutto dei
paradigmi e dei valori:
o Comportamenti o Macchine
o Processi o Ambienti fisici
o Procedure o Modalità di sfruttamento
o Regole scritte dello spazio fisico
o Regole agite (visibili nei
comportamenti)
Costituiscono chiavi di accesso alla cultura organizzativa: attraverso gli artefatti è
possibili, con processi di osservazione non elementari quali l’etnografia,
comprendere paradigmi e valori.

3. Assunti di base: assunti impliciti, credenze fondamentali su cui l’organizzazione


fonda l’azione, lo sviluppo della conoscenza, l’interpretazione del contesto. Sono così
radicati e pervasivi che il loro utilizzo è inconsapevole.
o Nelle organizzazioni economiche occidentali legali, nessuno si pone il
problema di eliminare il collega che non ha accettato le proposte durante la
riunione.
o 16, 10000, 10 sono lo stesso numero (16) solo se adottiamo il paradigma di
una lettura con differenti basi: codifica decimale, binaria, esadecimale.
Per il gestore del cambiamento, è fondamentale comprendere i paradigmi da cui esso
è originato.

Il comportamento è in un rapporto di doppio feedback con la cultura:

- I comportamenti vengono agiti in funzione delle interpretazioni, che sono in funzione


di paradigmi e valori
- Progressivamente, in funzione del variare delle finalità delle azioni nel tempo, gli
artefatti influenzano la cultura organizzativa che introduce, ovviamente in modo
inconsapevole, nuove categorie di paradigmi e di artefatti. Questo è l’apprendimento
di seconda specie: riguarda la possibilità di imparare a imparare risolvendo
progressivamente i fenomeni di miopia.

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La modifica della cultura non sempre è positiva: sono anzi numerosi i fenomeni di devianza
che nelle organizzazioni critiche hanno portato a incidenti e disastri.

Riprendendo i 3 livelli di azione di Rasmussen (cap. 1), la cultura organizzativa svolge


un’importante influenza su di essi:

1) Skill behaviours: sono costruiti secondo i paradigmi e i valori, in accordo con gli
artefatti disponibili (es. tecnologie), e vengono trasmessi in accordo con la visione
dell’apprendimento della particolare organizzazione.
2) Rules: sono intrise di paradigmi e valori, si appoggiano sugli artefatti disponibili, sono
a loro volta artefatti pervasivi e vengono trasmesse attraverso i processi di
apprendimento dell’organizzazione.
3) Knowledge: è forse la manifestazione più forte della visione paradigmatica: è il livello
dell’interpretazione di situazioni non ancora affrontate o non completamente
normate; nelle fasi del problem setting, i paradigmi sono un aggancio solido.

Influenza della cultura nell'azione individuale e collettiva

Weick e Sutcliffe (2010) affermano che la cultura è fonte di un’economica e potente


“omogeneità di approccio”. Essa deriva da valori, norme e percezioni condivise che
rappresentano i materiali grezzi della cultura. Gli autori pongono la parola omogeneità tra

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virgolette perché non è mai totale: la convivenza integrata di differenti subculture permette
alle organizzazioni la lettura e l’interpretazione di segnali deboli complessi.

La persona che opera in un’organizzazione strutturata, cioè nella quale esistono e sono
perseguiti i 3 livelli indicati nella figura della pag. precedente, non utilizza costantemente il
loop knowledge based. Infatti, poiché il feedback ha un costo significativo, una parte
considerevole del controllo sull’azione organizzativa viene affidata all’addestramento
all’utilizzo delle regole, interrompendo così parzialmente i loop knowledge based di una
parte dell’organizzazione. Questa situazione viene descritta da Weick e Sutcliffe come una
carenza di mente collettiva: l’organizzazione perde la capacità di visione integrata del
contesto, sacrificandola a una maggiore efficienza operativa di un lavoro modularizzato.

Weick e Sutcliffe sottolineano come una cultura che non sia in grado di accettare una certa
quantità di ambiguità e incompletezza rischia di essere cieca non solo durante i momenti di
revisione delle skills, delle regole e nello sviluppo delle competenze, ma anche durante
l’azione, nei momenti in cui occorre interpretare in modo immediato segnali non già noti o
comunque che non si erano mai presentati in quelle modalità. Catino (2009) mostra come
per ben 2 volte la NASA, cadendo in questa trappola, abbia vissuto 2 disastri “costruiti” dal
contesto organizzativo, il quale ha generato sia miopia sia addirittura cecità.

L’adozione delle routine, se non bilanciata da una costante attenzione ai segnali


deboli, impedisce il cambiamento perché ostacola in partenza ogni cambio
paradigmatico.

Assunti di base della cultura organizzativa, paradigmi e cambiamento:

Avallone e Farnese, riprendendo Schein, descrivono i paradigmi o assunti di base come


l’insieme degli assunti impliciti – dati per scontati, invisibili, inconsapevoli – che orientano il
comportamento e danno indicazioni su come pensare, sentire e intervenire nella realtà.

Schein (1999) classifica 5 assunti di base della cultura organizzativa, 4 dei quali sono in
coincidenza con la visione di paradigma guida da noi proposta:

1) Rapporti del genere umano con la natura


2) La natura della realtà e della verità
3) Le concezioni sulla natura dell’uomo
4) Il valore e il significato dell’attività lavorativa.
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Il processo di cambiamento e l’assunzione di alcuni paradigmi guida:

Secondo Weick e Quinn, il processo di cambiamento – da loro definito episodico – si attiva


poiché l’impresa percepisce una “divergenza dalle condizioni di equilibrio”. La modalità
di percepire questa divergenza è guidata dall’assunzione di uno specifico gruppo di
paradigmi, a partire dai quali l’impresa muove per l’impostazione del processo di
cambiamento, comprendendo con questo anche la complessa definizione dello stato B.

Assumiamo quindi che l’impresa decida riguarda al cambiamento come se fosse una
comunità scientifica che si trova nella fase 2 descritta da Kuhn. Questa assunzione è forte
e limitante: difficilmente spiega i cambiamenti che Weick e Quinn definiscono come
continuous change, in cui anche i paradigmi “fondativi” sembrano essere oggetto della
discussione organizzativa.

L’organizzazione parte da alcuni possibili paradigmi che sono dati per scontati, tanto che i
membri dell’impresa non riescono a tenere conto dell’effetto di polarizzazione che essi
inducono durante le decisioni, generando spesso effetti filtro e distorsioni euristiche.

3.1.2. I paradigmi del cambiamento

Parleremo di dominanza: non è corretto immaginare che tutta l’organizzazione agisca in


modo concorde a un unico paradigma, bensì la situazione più probabile è quella di una
coesistenza di più di un paradigma, con una dominanza identificabile.

1) Paradigma dell’ottimizzazione
- Organizzazione come macchina che può essere misurata e ottimizzata in accordo
con alcune regole
- Connesso a una visione positivista della realtà: esiste un mondo esterno conoscibile
attraverso la scienza (unico metodo possibile per conoscerlo)
- Poiché la conoscenza progredisce in modo ordinato e razionale, nell’organizzazione
si ottiene una progressiva riduzione dell’incertezza
- La sua dominanza porta l’impresa a ottimizzare ciò che si misura e a attribuire il
primato alla definizione delle strutture e dei metodi (e non all’analisi di sistema)
- In quest’ottica si è sviluppato il filone del cambiamento ottenuto con il business
process reengineering, che dà priorità alla progettazione dei processi come
componenti di una macchina ottimizzabile tramite un processo di ottimizzazione delle
singole parti (e non come elementi di un sistema complessa).
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2) Paradigma dell’adattamento passivo


- L’organizzazione deve essere capace di adattarsi al mondo esterno (mercato e
società), su cui essa ha un influsso trascurabile
- Impresa come sistema aperto in scambio con il mondo esterno
- La conoscenza progredisce come capacità di agire nell’incertezza del mondo esterno
attraverso l’adattamento dei comportamenti
- La sua dominanza porta l’impresa a un atteggiamento di reazione al mondo esterno
che la spinge alla ricerca di un continuo aumento di flessibilità, ottenuta per adattarsi,
non per modificare l’ambiente esterno
- A differenza del paradigma precedente, questo introduce una visione complessa
della realtà, in cui non è facile sviluppare ottimizzazioni, in quanto è già complesso
identificare cosa sia da ottimizzare.

3) Paradigma dell’adattamento proattivo


- L’organizzazione deve essere capace di adattarsi al mondo esterno (mercato e
società) per aumentare l’influsso esercitato su di esso
- Impresa come sistema aperto in scambio con il mondo esterno
- La conoscenza progredisce come capacità di agire nell’incertezza del mondo esterno
attraverso l’adattamento dei comportamenti finalizzato ad un’azione di modifica del
sistema complessivo impresa-ambiente
- La sua dominanza porta l’impresa a definire strategie di azione nate all’interno
dell’interazione con la realtà complessa
- La complessità dei processi decisionali cresce in modo importante, enfatizzando
fenomeni competitivi interni ed esterni
- Questo paradigma tende a portare l’organizzazione a un approccio di
cambiamento continuo, che mostra anche aspetti controversi.

4) Paradigma dell’evoluzione
- L’organizzazione è in una relazione evolutiva con il mondo esterno. Essa genera
continuamente routine di mediazione con il mondo esterno, mentre un’azione di
selezione guida il processo evolutivo
- La sua dominanza ports l’organizzazione a non sviluppare una propria strategia di
adattamento al mondo esterno, ma favorisce la generazione di routine, procedendo
poi per selezione ed eliminazione
- Questo paradigma tende a portare l’organizzazione a un approccio di
cambiamento continuo.
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3.1.3. Norma operativa “del paradigma fondante”

Prima di intraprendere azioni di progettazione e gestione del cambiamento organizzativo, è


necessario comprendere quale sia il paradigma fondante a partire dal quale sono stati
determinati dai decisori i motivi per abbandonare lo stato di partenza A ed è stato progettato
lo stato di arrivo B.

3.2. Dalla definizione all’azione: i meccanismi generativi dell’azione di cambiamento

Sono stati tentati vari modelli di descrizione del motivo per cui l’azione di cambiamento
possa avere origine e poi svilupparsi. Una schematizzazione ancora attuale, che può
fungere da guida anche la “normazione” di regole progettuali, è quella di Van de Ven e
Poole (1995): essi hanno definito 4 tipologie di processi di cambiamento

3.2.1. Classificazione delle teorie sul processo di cambiamento di Van de Ven e Poole

1) Teorie del ciclo di vita


- L’organizzazione attraversa, necessariamente e ciclicamente, 4 eventi:
1) Nascita 3) Produttività (harvest)
2) Crescita 4) Termine
- Il meccanismo di generazione del cambiamento non è una scelta opzionale per
l’organizzazione, bensì è visto come una necessità immanente, proprio come accade
per gli esseri umani.

2) Teorie evoluzionistiche
- L’organizzazione attraversa, necessariamente e ciclicamente, 3 eventi:
1) Variazione
2) Selezione della variazione
3) Ritenzione
- Il meccanismo di generazione del cambiamento opera sulla base della selezione
competitiva e della scarsità di risorse.

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3) Teorie teleologiche
- L’organizzazione attraversa, necessariamente e ciclicamente, 4 eventi:
1) Visione e identificazione di obiettivi
2) Realizzazione degli obiettivi
3) Insoddisfazione
4) Ricerca e interazione con il mondo esterno
- Il meccanismo di generazione del cambiamento è quello dell’attivazione di scopo e
della costruzione sociale.

4) Teorie dialettiche
- L’organizzazione attraversa, necessariamente e ciclicamente, 3 eventi:
1) Generazione di tesi / antitesi
2) Conflitto
3) Sintesi
- Il meccanismo di generazione del cambiamento è fondato su pluralismo, conflitto e
confronto.

3.2.2. I motori del cambiamento

Da questa classificazione, Van De Ven e Poole anno discendere i 4 motori del


cambiamento, posizionati sul diagramma in relazione alle 2 dimensioni:

1) Modalità con cui si interpreta e si realizza il cambiamento:


o Cambiamento come prescrizione: riproduzione di politiche e pratiche
organizzative
o Cambiamento come co-costruzione: emerge durante l’attività, la
sperimentazione e la creazione.
2) Unità in cui avviene il cambiamento:
o Cambiamento a singola entità: cambiamento come tutt’uno indifferenziato
(es.: intera organizzazione)
o Cambiamento a multiple entità: cambiamento che avviene nell’interazione
tra entità multiple (es.: tra diverse unità organizzative).

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3.2.3. La differenza tra paradigmi e motori

- Paradigmi: identificano gli assunti di base che vengono utilizzati dal sistema
organizzativo per progettare, gestire e supportare il cambiamento.
- Motori: sono le forze che, dall’interno dell’organizzazione, agiscono il cambiamento,
rendendolo di fatto possibile.

Esiste una relazione tra i paradigmi che un’organizzazione probabilmente assumerà, in


relazione alla sua cultura, e il motore che la supporterà nell’attuazione nel cambiamento,
ma tra queste 2 classificazioni non esiste un isomorfismo ed esse non sono in relazione
diretta tra loro.

- Es.: talvolta il mgmt dell’organizzazione costruisce il cambiamento su paradigmi che


sono propri del suo ambiente culturale specifico – la direzione o il CDA – ma che non
sono condivisi da tutta l’organizzazione.

Se, e solo se, il paradigma avrà generato un cambiamento tale da “azionare” il motore
esistente nell’organizzazione, allora il cambiamento organizzativo sarà “facile”, altrimenti
probabilmente sarà particolarmente faticoso.

- Es.: generazione di un progetto di cambiamento a partire dal paradigma


ottimizzante, ma applicato a un’organizzazione in cui il motore del cambiamento è di
tipo costruttivo. Il cambiamento dovrà essere gestito grazie all’incontro degli obiettivi
ottimizzanti del mgmt con il processo di attuazione costruttivo tipico della realtà
organizzativa complessiva.
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Ciò renderà necessarie numerose azioni di cambiamento volte alla negoziazione di


significati tra il mgmt (autori) e le altre persone coinvolge nel cambiamento (attori).

3.2.4. Le 5 “componenti” di Dunphy

Dunphy (1996) afferma che ogni teoria che cerchi di spiegare il cambiamento organizzativo
contiene almeno 5 proprietà:

1) Una metafora base sulla natura del sistema organizzativo


2) Un quadro di riferimento analitico per comprendere il processo di cambiamento
3) Un modello ideale di un’organizzazione reale che specifichi la direzione del
cambiamento e i valori per misurare il successo del cambiamento (per es.
sopravvivenza, crescita, ecc.)
4) Un modello di intervento che specifichi da parte di chi, quando e come muovere
l’organizzazione verso quella ideale
5) La definizione dei ruoli degli agenti del cambiamento.

Assioma: qualunque progetto di cambiamento di un sistema organizzativo contiene al suo


interno, anche se non esplicitate, le 5 componenti di Dunphy. Con l’espressione “non
esplicitate” si intende che possono essere innestate (nel senso della parola nested)
all’interno delle capacità di azione e conoscenza di alcune delle forme organizzative che
compongono il sistema.

3.3. Norma operativa “delle 5 componenti”

Prima di intraprendere azioni di progettazione e gestione del cambiamento organizzativo, è


necessario verificare che siano presenti, anche se non esplicitate, le 5 componenti di
Dunphy.

Nell’attivare e poi condurre un cambiamento organizzativo, le componenti di Dunphy


costituiscono di fatto un frame decisionale che si rivela necessario per guidare il flusso di
decisioni di governo di qualunque progetto di cambiamento di un sistema organizzativo.

Inoltre, le organizzazioni in grado di operare continuous changes hanno un meta-livello


organizzativo che “gestisce” la nascita e lo sviluppo di fenomeni e strutture emergenti in
parallelo all’esecuzione dei processi finalizzati alla produzione.

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A livello di intervento, Weick e Quinn (1999) affermano che nel continuous change il
problema è reindirizzare ciò che è già in mutamento; questa operazione può essere
compiuta tramite la sequenza congelamento-ribilanciamento-scongelamento. Tale
sequenza colpisce per la profonda differenza rispetto a quella di Lewin, ma a uno sguardo
tecnico coincide con essa se spostiamo il problema del cambiamento alle 5 componenti.
Esse infatti, presenti per definizione nell’organizzazione continuous change, costituiscono il
meta-livello dei processi e delle abilità operative, che è un insieme di comportamenti e di
pattern cognitivi che risultano non più adeguati, ma non sono esplicitati: dunque occorre
“congelarli”, per renderli osservabili, razionalizzazioni e poi modificabili.

Capitolo 4. Il modello di intervento

Interpretazione, decisione e azione nel cambiamento

Apprendimento, paradigmi culturali e motori non sono solo strumenti analitici, ma anche
norme di azione: progettare il cambiamento come un processo di apprendimento individuale
e organizzativo, tenendo in considerazione la necessità di costruire una dialettica positiva
tra i paradigmi culturali degli autori e i motori del cambiamento disponibili all’interno
dell’impresa, assicurando che le azioni intraprese contribuiscano a identificare e rendere
consapevoli le 5 componenti di Dunphy presenti.

Con questo capitolo entriamo nella parte operativa.

4.1. Identificare l’energia organizzativa

Beck e colleghi (2008) presentano numerosi dati che confutano un’ipotesi che alcuni davano
per consolidata: più un’impresa vive situazioni di cambiamento, più è adatta a cambiare.
L’ipotesi mostra una sua plausibilità se si adotta un modello comportamentista dell’essere
umano. Come però sottolineato da vari autori 4, gli esseri umani “faticano” nelle variazioni,
non nelle ripetizioni. La diminuzione degli sforzi di cambiamento è realistica se e solo se le
nuove situazioni da affrontare sono interpretabili con i modelli operativi attuali:
apprendimento organizzativo e individuale saranno guidati dai paradigmi della cultura
attuale dell’impresa.

4 Argyris e Schön (1996), Weick e Quinn (1999), Gavetti e Rivkin (2007)


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Il lavoro che stiamo compiendo ha come punto centrale l’identificazione di modalità per
comprendere e sfruttare ogni minima energia presente nell’organizzazione, piuttosto che
generarne di nuove o, addirittura, contrastare quelle esistenti. Non esiste un modo di evitare
le resistenze al cambiamento, ma certamente è possibile mitigare quelle esistenti e
soprattutto evitare di crearne di nuove. Quando ciò accade, tipicamente, sono le più robuste
e difficile da superare, tanto che negli 80s gli studiosi anglosassoni le paragonavano ai black
hole astronomici.

4.2. Perché occorre un modello per l’interpretazione e l’azione di cambiamento

Per agire occorre interpretare: parte dell’interpretazione è dedicata alla comprensione e


successiva classificazione degli antecedenti, quali i paradigmi e i motori che:

- Condizioneranno il processo di cambiamento


- Lo alimenteranno di energia proficua.

Occorre però anche costruire una rappresentazione del modello di azione rappresentabile
e condivisibile a livello di collettività organizzativa. Non è facile progettare un processo di
cambiamento se non si ha un modello a cui “ispirarsi” per la costruzione del progetto.

4.2.1. Il processo di cambiamento come relazioni reciproche di influenza e sostegno

Il processo di cambiamento organizzativo è un processo di apprendimento organizzativo.


Se tutto è noto e semplice, perché non sempre si riesce a far accadere un cambiamento
organizzativo in modo pianificato e strutturato?

Attenzione ai blocchi:

La risposta è che gli sforzi vengono concentrati su come indurre all’azione, anche con
operazioni di facilitazione importanti, trascurando che l’obiettivo principale dovrebbe essere
quello di rimuovere i blocchi all’apprendimento (Argyris e Schön, 1996) che solo in parte
corrispondono alle resistenze.

Resistenze Blocchi all'apprendimento


Sono sostenute da una sorta Sono manifestazioni complessi
di scelta (processo volitivo) che impediscono un efficace
apprendimento individuale e
organizzativo

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Schein (1999) evidenzia come la situazione di resistenza si manifesti all’interno della


dinamica di relazione tra cliente e consulente e quindi sia da risolversi tramite una serie di
comportamenti che il consulente deve adottare per favorire una dinamica positiva. Essi sono
in relazione con:

- L’ansia di apprendimento sia individuale sia organizzativa


- Le dinamiche di comunicazione che si instaurano all’interno dell’impresa e che
coinvolgono sia gli agenti del cambiamento, sia la popolazione aziendale.

Schein sottolinea l’importanza di intervenire sull’apprendimento attraverso un’azione di


comunicazione che sia incisiva a livello di processo. A tale proposito, è particolarmente
complesso modificare le credenze delle persone – la cultura – in particolare in condizioni di
ansia primaria, cioè quando esse percepiscono rischi personali significativi (es.: rischio
economico).

Le persone tendono a evitare lunghi periodi di incertezza, la quale risulta ansiogena.

Concretezza e progett-azione:

Per i motivi sopra citati, nella costruzione e gestione del processo di cambiamento di un
sistema organizzativo occorre predisporre un modello d’azione che sia concreto e
progettuale.

Assioma: un progetto di cambiamento è fondato sulla relazione d’aiuto tra un gruppo di


persone – spesso chiamate agenti del cambiamento – e il resto della popolazione aziendale.
Tale relazione d’aiuto può essere fruttuosa se riesce a intervenire sui processi di
apprendimento individuale e organizzativo con il fine della ristrutturazione dei processi
cognitivi e operativi degli individui e dell’organizzazione.

4.2.2. Definizione operativa di progetto di cambiamento

Progetto di cambiamento: insieme di relazioni reciproche di influenza e sostegno nel


percorso di apprendimento, individuale e organizzativo, che l’impresa affronta durante la
sua transizione.

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4.3. Un modello operativo

Per ottenere una progettualità di questo tipo, è necessario disporre di un modello a cui
riferirsi. Un modello:

- Non è la realtà
- In questo caso, non rappresenta la realtà in odo quasi isomorfo, bensì è
particolarmente semplificato, ma dotato di valore operativo.

4.3.1. Il modello task-comportamenti (T-C)

Solari (1995) ha introdotto questo modello avente 2 peculiarità:

- Non ha connotazioni teoriche precise


- Si possono ricondurre a esso la > parte delle varianti dei processi di cambiamento
organizzativo.

Ciò che appariva come una limitazione – la genericità del modello – è invece il suo punto di
forza. Infatti, questo modello:

- Permette di rappresentare, seppur con blocchi che ne approssimano il


funzionamento, tutti i maggiori elementi organizzativi che intervengono nella
dialettica organizzativa in generale e in quella del cambiamento in particolare.
- È tra i pochi a esplicitare un loop chiuso. Gli anelli presenti nei sistemi non possono
essere trascurati: il funzionamento di un sistema con o senza feedback e
radicalmente differente.

Il modello T-C permette di considerare l’organizzazione come un bilanciamento negoziale


tra diverse componenti: la paradossalità di talune organizzazioni, unita alle profonde
capacità di gestione della conflittualità di cui dispongono talvolta gli individui, fanno sì che
frequentemente convivano e contribuiscano in modo concorrente al risultato operativo
dell’impresa tutte le componenti presenti nella seguente figura (a esclusione del
turnaround). Se infatti nella concezione comportamentista e positivista dell’impresa, i
momenti di design sono visti come antecedenti logici e tecnici all’azione operativa
organizzativa, nella visione costruttivista dell’impresa, questi momenti sono integrati,
simultanei e connessi tra loro con sistemi di feedback sia embedded nella struttura
organizzativa formale, sia frutto del confronto tra differenti paradigmi.

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Il modello T-C contiene 10 componenti, connessi tra loro in modo differente a seconda
della tipologia di cambiamento che viene attuato.

1] Organizzazione

Assioma: la rappresentazione di un’organizzazione (sistema organizzativo) che viene


utilizzata per l’impostazione del progetto di cambiamento è fondata su 4 componenti
(sistemiche e dinamiche):

- Task espliciti: attività eseguite in modo formalizzato o almeno di cui le persone sono
consapevoli, cioè sanno che fanno parte del modello operativo e del relativo processo
in modo sufficientemente stabile e ri-conosciuto.
- Task impliciti: attività eseguite nell’organizzazione senza che siano formalizzate né
agite consapevolmente. Possono essere di 2 tipi:
o Stabili: agite con continuità e parte integrante dei processi operativi.
o Episodiche: agite di tanto in tanto come risposta a particolari situazioni.
il cambiamento di task impliciti richiede un processo più lungo in quanto non può
sfruttare un confronto diretto e razionale tra la situazione A e B.
- Comportamenti individuali: comportamenti che le singole persone adottano
nell’organizzazione per realizzare i task.
- Comportamenti di gruppo: pattern comportamentali di gruppo descrivibili come una
sorta di mente collettiva (Weick e Roberts, 1993).
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I task impliciti possono portare ad ambiguità nella comunicazione tra gli agenti del
cambiamento e l’individuo che li agisce, con il rischio che emergano criticità importanti.
Secondo Schein, questo fenomeno può portare a credere di agire in modo completamente
differente da quanto accade. Ciò implica un’ambiguità tra quanto “raccontato” rispetto a ciò
che si fa e ai propri obiettivi dal lato della persona, mentre il consulente (nel ns caso, agente
del cambiamento) rileva durante l’osservazione il comportamento reale.

Obiettivo del progetto di cambiamento: intervenire in modo da modificare ciascuna delle 4


componenti per realizzare lo stato di arrivo B (sistemico e dinamico).

2] Performance

La prestazione non può entrare nel modello operativo in quanto, pur essendo per la maggior
parte dei casi ciò che spinge l’organizzazione a lasciare “A”, è anche la misura del
cambiamento in quanto misura dell’aspirazione a “B”. La prestazione è:

- Una variabile che risulta un output dell’organizzazione


- L’elemento quantitativo

Le distorsioni cognitive, nella forma di frame e stereotipi, sono numerose e hanno effetti
importanti quando si effettuano valutazioni delle prestazioni.

Norma operativa “della performance”: prima di intraprendere azioni di progettazione e


gestione del cambiamento organizzativo, è necessario comprendere:

- Se il processo di cambiamento ha un avvio razionale dovuto a valutazioni di


performance
- Quali siano le misure di performance adottate dall’organizzazione.

La performance è in relazione con la 3° e la 4° proprietà del cambiamento di Dunphy.

3] + 4] Performance attesa e gap

Il cambiamento parte spesso da una differenza (gap) tra prestazione e prestazione attesa.

Greve (2003) fonda su questa dinamica la nozione di apprendimento organizzativo dal


feedback di prestazione. Le organizzazioni agiscono in questo modo (ed è auspicabile),
ma spesso questo processo è agito male (causa distorsioni), comportando problemi.

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Norma operativa “della performance attesa e del gap”: prima di intraprendere azioni di
progettazione e gestione del cambiamento organizzativo, è necessario comprendere:

- Quale sia la performance attesa: se è formalizzata o tacita o se è coerente con la


misura della performance
- Quale sia la tecnica per la misura del gap di performance e se essa sia coerente con
la misura della performance e con la definizione di performance attesa.

Anche la performance attesa e l’analisi del gap sono in relazione con la 3° e 4° proprietà del
cambiamento di Dunphy.

Una corretta analisi del gap non è sufficiente per spingere a lasciare “A”: una corretta
comunicazione e condivisione del gap serve a offrire adeguati obiettivi di apprendimento
individuale e organizzativo che supportino il processo di trasformazione verso “B”.

5] Formalizzazione della situazione di cambiamento

- Si individueranno le modalità di gestione del progetto di cambiamento e le


corrispondenti modalità realizzative
- Si chiariranno le tecniche di misurazione
- Si definiranno i gruppi di lavoro
- Si identificheranno le responsabilità.

Questi temi verranno ripresi nella parte sulla gestione del progetto.

Questa fase è critica: “ci si gioca” molto del futuro del progetto in quanto è qui che possono
nascere e prendere una vera e propria “struttura” i fenomeni di blocco (Schein).

Norma operativa “della formalizzazione del cambiamento”: la formalizzazione del progetto


di cambiamento deve essere effettuata:

- In accordo con le condizioni relazionali per la gestione di un progetto


- Con l’obiettivo di costruire una relazione d’aiuto
- Con l’obiettivo di intervenire sull’apprendimento individuale e organizzativo
- In riferimento all’analisi di gap.

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6] Legittimazione e diffusione del cambiamento

- Legittimazione: resistenza vista in positivo, variabile misurabile frutto


dell’impostazione del processo di apprendimento individuale e organizzativo.
Montefusco preferisce concentrarsi solo sulla parola “diffusione” (≠ Solari), in quanto
“legittimazione” gli sembra un po’ imprecisabile dal punto di vista concreto.
- Diffusione (ciò che qui è rilevante): processo (NON variabile) riconducibile all’interno
del processo di apprendimento organizzativo. È la parte centrale della trasformazione
organizzativa: è all’interno di questo processo che è possibile governare il
cambiamento, cioè fornire indirizzo e supporto all’organizzazione da parte degli
agenti del cambiamento. Questo processo sarà ripreso durante la trattazione della
gestione del processo di cambiamento, poiché quest’ultimo ne costituisce la “spina
dorsale”.

7] Azioni di cambiamento dei task

Sono azioni di progettazione organizzativa riconducibili a 2 diverse modalità, in relazione al:

- Paradigma
- Motore del cambiamento
- Conseguente modello di cambiamento adottato.

1) Progettazione “a priori”: la progettazione organizzativa viene effettuata prima,


definendo dunque gli aspetti strutturali dello stato B; successivamente viene definito
il processo per trasformare l’organizzazione e condurla verso B. Generalmente:
o Paradigma dell’ottimizzazione
o Motore prescrittivo (ciclo di vita o evolutivo)
o Modello di cambiamento deliberato / ingegneristico
➔ Mintzberg e Westley parlano di cambiamento deduttivo: infatti, esso
origina a livello progettuale (e processuale) da riflessioni ai livelli “alti”
dell’organizzazione.
2) Progettazione “in trasformazione”: la progettazione organizzativa viene
“abbozzata” alla partenza del progetto di cambiamento, ma la definizione di dettagli
della struttura di B è uno degli obiettivi del progetto di cambiamento. Generalmente:
o Paradigma dell’adattamento
o Motore costruttivo (dialettico o teleologico)
o Modello di cambiamento: learning organization
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➔ Mintzberg e Westley parlano di cambiamento induttivo: infatti, esso


origina nei “livelli bassi” dell’organizzazione, spesso per rispondere a
esigenze pratiche, poi subisce un processo di strutturazione sino a che
viene formalizzato dai “livelli alti”.

La visione semplificata del “prima pensare e poi fare” non è realistica nel turbolento mondo
economico attuale. Ad es., Gavetti e Levinthal sottolineano come l’azione organizzativa si
confronti con l’esigenza di integrare looking forward e looking backward.

8] Nuovi task

Sono il risultato della trasformazione strutturale dell’organizzazione, sia esplicita che


implicita. Infatti, anche se il cambiamento è di tipo deliberato / ingegneristico, nessuna
azione di progettazione e formalizzazione sarà capace di rendere completamente espliciti i
task. La struttura “trasformata” si avvale di un mix di task espliciti e taciti.

9] Nuovi comportamenti

Sono la meta-struttura dell’organizzazione. Essi permettono il raggiungimento degli obiettivi


operativi completando la parte strutturale del sistema organizzativo.

+ 10] Turnaround

4.4. I modelli di intervento

È possibile utilizzare il modello T-C per schematizzare alcune tipologie di comportamento.


A differenza di Solari, che riconduceva alcune tipologie di cambiamento (definite in
letteratura) al modello, Montefusco afferma che, dovendo esistere un modello di
cambiamento (4° componente di Dunphy), esso dovrà essere operativamente ricondotto a
una delle tipologie costruibili dal modello T-C.

Quindi il modello T-C assume un significato NON di analisi, bensì di prescrizione per
strutturare l’intervento. Infatti:

- Per agire in modo operativo sul processo di apprendimento, la relazione d’aiuto deve
essere strutturata e offrire un territorio di confronto e feedback
- È possibile – e talvolta consigliabile, se motivato – integrare più di un modello.

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(1) Cambiamento deliberato / ingegneristico

- In questo tipo di intervento, il processo si fonda sull’identificazione formalizzata del


gap e sulla successiva formalizzazione della situazione di cambiamento.
- È il caso “ideale” in cui viene formalizzato uno stato di arrivo B, vengono progettati in
modo strutturato i task e successivamente viene impostato e poi governato il
processo di cambiamento, volto a diffondere la trasformazione operativa “a cascata”
attraverso una serie di azioni condotte da una rete di agenti del cambiamento.
- Si fonda sul paradigma dell’ottimizzazione e su una visione positivista della realtà, in
cui la razionalità ha il primato sulla relazione.

→ Modello d’intervento del cambiamento deliberato / ingegneristico:

(2) Cambiamento evolutivo

- In questo tipo di intervento, il processo di cambiamento è guidato da nuovi


comportamenti che a loro volta vengono strutturati in nuovi task, sia espliciti che
impliciti.
- Questo modello non significa necessariamente evoluzione destrutturata. Anzi, il
processo di diffusione inizia dopo una selezione che in qualche modo formalizza lo
stato B dopo aver scartato soluzioni meno efficaci / efficienti.

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- La selezione:
o È un’operazione che si verifica “ai livelli alti” dell’organizzazione, anche se i
profili di B nascono e vengono testati “ai livelli bassi”, tanto che Mintzberg e
Westley definiscono l’intervento induttivo.
o Presuppone una serie di paradigmi e criteri di misura appartenenti alla cultura
organizzativa, che quindi in qualche modo talvolta rientra nella logica
dell’ottimizzazione.

→ Intervento evolutivo secondo il modello T-C:

(3) Cambiamento cognitivo e di apprendimento

- Modello introdotto da Montefusco (≠ Solari).


- In questo intervento esiste una ricerca costante di gap.
- Infatti, è tipico delle organizzazioni che hanno sviluppato un apprendimento di
secondo livello, in cui ogni individuo è alla “ricerca” del modo di confutare e
ristrutturare le proprie capacità di interpretazione della realtà e dunque di agire il
deuteroapprendimento (Bateson, 1976; ripreso da Argyris e Schön).

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- Levinthal e Rerup sostengono che proprio questa modalità è in grado di spiegare


come la visione mindfulness del lavoro, in cui le persone esercitano le attività
facendo leva su tutti i livelli di Rasmussen, integri la visione mindless, in cui la
prevalenza è skill based, abilitando l’innovazione.
- Questo tipo di intervento è basato sui motori di tipo costruttivo. Spesso, ma non
sempre, è un motore dialettico in quanto gli antecedenti sono di tipo
multidimensionale. In questo caso, il processo di gestione del cambiamento è un
processo di ristrutturazione dei meta-processi di apprendimento continuo (più che
della struttura organizzativa).

→ Intervento cognitivo e di apprendimento all’interno del modello T-C:

(4) Turnaround

- L’intervento turnaround ha come antecedente una crisi organizzativa profonda e


drammatica. Per questo motivo non è di particolare interesse in questa nostra
trattazione: le resistenze sono in minori in quanto esiste un timore diffuso circa la
sopravvivenza dell’organizzazione.
- Solitamente il turnaround:
o Risulta prescrittivo e monodimensionale
o Ricorre a dei crisis leader, più che a una rete di agenti del cambiamento.

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Intervento turnaround:

Capitolo 5. Il cambiamento come gestione del paradosso: un caso

Coerenza e incoerenza nei processi di cambiamento dei sistemi organizzativi: il


doppio vincolo

5.1. Introduzione

Le richieste contrastanti sono presenti in tutti i campi dell’esistenza: in ambito organizzativo,


si chiede alle persone di essere flessibili, ma anche di rispettare rigidamente le regole.

Gestione dell’incoerenza: capacità umana (e non solo, Bateson) di elaborare paradossi.


Si presenta tra differenti persone con differenti gradazioni e il singolo individuo mostra
variabilità nell’esercitarla in base ai contesti in cui si trova.

Pur essendo importante la ricerca della coerenza, il significato che attribuiamo


all’affermazione “questo pensiero è logico” (cioè coerente) si ferma a un’interpretazione
sillogistica di premesse e conseguenze. Nemmeno nei sistemi scientifici quantitativi la
“logica” è così robusta come viene immaginata nella nostra cultura operativa d’impresa.

Gli studi di psicologia applicata all’economia (economia cognitiva) hanno assestato gli ultimi
colpi alla posizione paradigmatica dell’attore economico razionale, figura umana capace di

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controllare le sue decisioni con una logica di tipo matematico, ottimizzando alcune variabili
– guadagno – e minimizzandone altre – perdita.

Nell’azione umana, gli eurismi e le distorsioni fanno sì che spesso le nostre interpretazioni
del contesto siano incredibilmente fallaci: di conseguenza, possono essere fallaci anche le
decisioni che da esse costruiamo (Tversky e Kahneman, 2000).

- 70’s: Simon dimostrava che l’azione umana non cerca un risultato ottimo, bensì una
soddisfacente sufficienza, da cui coniò il termine satisfacing. L’uomo dispone di una
razionalità limitata.
- Oggi: alla luce degli esperimenti della scuola di Tversky e Kahneman (confermati
anche sul piano neurofisiologico), questi concetti sono utilizzati frequentemente nelle
ricerche in economia, nella progettazione organizzativa nei sistemi complessi, nella
progettazione di sistemi e interfacce uomo-macchina. Purtroppo, questi concetti
sembrano ignorati nella gestione del cambiamento organizzativo, dove sopravvive la
credenza che una spiegazione “razionale” porti a una diminuzione delle resistenze.

I logici hanno dimostrato che la logica tradizionale [quella sillogistica che utilizzano i “non
addetti ai lavori”] è seriamente incompleta e non riesce neppure a dare una giustificazione
di molti principi di interferenza usati nei ragionamenti matematici più elementari.

La giustificazione del cambiamento per le persone dell’impresa non è un semplice


problema di logica elementare, bensì richiede la capacità di supportare l’elaborazione
dei paradossi della vita organizzativa.

5.1.1. I normali paradossi

Gregory Bateson (50’s) ha introdotto il concetto di doppio vincolo / legame per illustrare
dinamiche di relazione in cui le persone vengono spinte verso situazioni paradossali, in cui
non è pensabile trovare una soluzione soddisfacente se non uscendo dal sistema di regole
in cui ci si trova. Es.: “sii spontaneo”.

Si pensi all’educazione, in cui per addestrare all’autonomia, alla spontaneità e


all’individualità, si pretendono la dipendenza, l’obbedienza e l’uniformità (Odifreddi).

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Un errore da non fare è credere che i paradossi siano negativi: non sono negativi né positivi,
ma fanno parte del funzionamento psichico di individui e gruppi a cui non è possibile
sfuggire.

Il mgmt è costretto ad affrontare e sciogliere paradossi per governare l’impresa e in


particolare il cambiamento (Quinn, Cameron, 1988). Addirittura, è necessario utilizzare i
paradossi per costruire teorie sull’organizzazione (Van de Ven e Poole, 1989).

L’analisi del contesto del cambiamento dei sistemi organizzativi ci mostra costantemente
situazioni paradossali.

5.2. Incident didattico: il cambiamento a Italia Comunica

Questo incident presenta in maniera emblematica il doppio vincolo più frequente nelle
organizzazioni attuali.

5.2.1. Il contesto di mercato

Italia Comunica è un’azienda del settore delle telecomunicazioni nata negli anni della new
economy. Il contesto di mercato è però molto cambiato:

- I vantaggi competitivi ottenuti grazie ad alcune intuizioni sullo sfruttamento delle


nuove regole del settore sono ormai annullati
- Il volume critico di clienti e traffico per essere competitivi è drasticamente aumentato
- I competitor la considerano un pericoloso rivale, studiandone le mosse strategiche,
talvolta riuscendo ad anticipare le idee sulle quali l’azienda ha investito
- Alcuni grandi incumbent (azienda ex monopolista che continua a occupare una
posizione dominante nel mercato liberalizzato) italiani e stranieri la vedono come un
appetibile terreno di acquisizione.

5.2.2. La storia dell’impresa

Italia Comunica è nata dall’idea di un imprenditore che, sfruttando una serie di regole
innovative nel settore delle telecomunicazioni, ha costruito un’azienda multinazionale di
oltre 1500 addetti nel corso di 7 anni.

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L’impatto è stato enorme non solo per i ricavi ingenti dell’impresa, ma anche per l’effetto
prodotto sulla popolazione italiana, che si avvicina in massa a un nuovo modo di comunicare
e interagire con il mondo.

L’azienda poi ha iniziato a strutturarsi dal pdv organizzativo: nascono le funzioni. Malgrado
lo sviluppo, nei primi 4 anni l’impresa mantiene caratteristiche di relazione particolari:

- Elevato livello di condivisione delle decisioni tra i “direttori”


- Scarsa sensazione di gerarchia: un direttore, se necessario, collabora con un
operativo di call center ragionando “alla pari”
- Flessibilità e snellezza.

All’inizio del 5° anno, le dimensioni dell’impresa sono diventate considerevoli, grazie anche
all’acquisizione di aziende estere. Essa inizia a darsi una struttura organizzativa complessa
e così assume alcune persone, provenienti da aziende incumbent del settore, in ruoli chiave.

A questo punto, il cambiamento di modello di business diventa un imperativo, per adeguarsi


al contesto di mercato (descritto all’inizio).

Cambiamenti decisi dall’imprenditore:

- Formalizzare processi
- Entrare in un’ottica di lavoro per progetti strutturati
- Formalizzare le modalità di carriera e di sviluppo organizzativo.
- Estendere il gruppo dei direttori
- Strutturare l’azienda per aree geografiche, con:
o Direzione corporate
o Direzione generale area
o Direzione di area.

5.3. Analisi dell’incident

5.3.1. Gli impatti dell’evoluzione del mercato su Italia Comunica

1. Spinta verso l’efficienza: a differenza della fase iniziale, in cui grazie all’intuizione
dell’imprenditore il flusso di cassa era enorme rispetto a costi e investimenti, nella
situazione di contesto attuale l’impresa si trova di fronte alla necessità di diventare
efficiente.
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2. Spinta verso flessibilità, rapidità e innovazione, dovuta alla rapidità


dell’evoluzione tecnologica e all’aggressività della concorrenza sempre pronta a
inventare nuove tariffe e servizi.

5.3.2. L’interpretazione culturale del mgmt

La cultura organizzativa è costituita da 3 elementi (cap. 4, Schein):

1. Artefatti
2. Valori
3. Assunti di base

Qual è stata l’interpretazione culturale al cambiamento del posizionamento di IC all’interno


del mercato?

5.3.3. Un’analisi operativa della cultura

Il nostro intento è identificare quale sia il paradigma fondante (cap. 4). A tale scopo, l’analisi
suggerita ha un aspetto di contenuto e uno di processo.

→ Il contenuto dell’analisi operativa della cultura

Prima di intraprendere un progetto di cambiamento, occorre effettuare un’analisi operativa


della cultura, identificando e mappando:

1. Artefatti:
- Struttura organizzativa: es., organigramma e relazioni
- Procedure: es., processi esplicitati e formalizzati
- Tecnologie di produzione e supporto: es., macchine e sistemi
- Sistemi informativi: es., flussi e reti di relazioni tra nodi informativi
2. Valori (indicare assenza o presenza):
- Ricerca della qualità
- Ricerca del progresso
- Accettazione di obiettivi difficili e specifici
- Lavorare insieme
- Considerare il lavoro come divertimento
- Prendersi cura dell’altro
- Accettare la responsabilità delle proprie azioni
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- Preoccuparsi di misurare il successo


- Amministrare attivamente e praticamente
- Condividere fortemente e in modo omogeneo i valori operativi
3. Assunti di base:
- Rapporto organizzazione/ambiente:
o Dominante
o Sottomesso
o Di equilibrio
- Concetto di realtà e di verità:
o Esistenza di una realtà oggettiva (fatti interpretati da tutti =)
o Realtà come costruzione interpretativa
- Concezioni sulla natura dell’uomo
- Valore e significato dell’attività lavorativa: importanza dell’apporto soggettivo
al lavoro, rilevanza dell’attività lavorativa per l’essere umano
- Stili di convivenza e rapporti interpersonali
- Cooperazione o competizione
- Individualismo o integrazione
- Valorizzazione delle norme
- Valorizzazione della competenza
- Valorizzazione del consenso
- Valorizzazione dell’autorità.

Questa analisi è fondamentale per comprendere:

• Se la cultura dominante nell’organizzazione favorirà il cambiamento atteso verso “B”


• Quali potranno essere le resistenze e le leve operative disponibili, ai fini di progettare
il processo di cambiamento (da “A” a “B”).

→ Il processo di analisi operativa della cultura

Diverse metodologie possono contribuire a classificare una cultura organizzativa. In questo


caso, adottiamo la tecnica dell’osservazione per i seguenti motivi (vantaggi):

1. È la meno invasiva
2. Ha tempi flessibili, definibili in base allo scopo
3. Non implica complessi processi di comunicazione per illustrarla

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4. Non implica programmi complessi di esecuzione, come per interviste e questionari.

Svantaggi:

1. Maggiore soggettività
2. Assenza di elementi quantitativi

L’osservazione strutturata, se condotta con attenzione, permette di avere in ogni momento


un frame cognitivo più “prudente” a differenza di interviste e questionari, che possono dare
all’inesperto un pericoloso senso di oggettività.

Etnografia: processo in cui le rilevazioni effettuate con l’osservazione vengono poi


verificate durante l’intervento di cambiamento, osservando la congruenza delle reazioni
delle persone a quanto progettato per supportare il processo di trasformazione (es.: azioni
formative, comunicative, decisioni del mgmt).

5.3.4. I 2 prodotti dell’analisi operativa della cultura

1) Comprensione del paradigma fondante (cap. 3)


2) Tipologia di cultura organizzativa: vedi la classificazione di Enriquez (1970);
solitamente si identificano le culture dominanti, non una singola cultura, in accordo
con la seguente tabella:

1. Autoritaria 2. Burocratica 3. 4. Tecnocratica 5. Cooperativa


Paternalistico-
clientelare
1. Valori Rispetto Osservanza Appartenenza Competenza Partecipazione,
fondamentali dell'autorità della norma al "clan" professionale consenso
2. Concezione Dipendente, Esecutore Logica Razionale, Autonomo,
dell'uomo eteronomo amico/nemico anaffettivo indipendente,
propositivo
3. Bisogni Dipendenza Sicurezza, Appartenenza, Autoaffermaz., Autonomia,
stabilità protezione, successo, autorealizzaz.
identità riuscita
4. Struttura Piramidale Complessa, Informale, Dinamica A rete,
gerarchica formale trasversale essenziale
5. Percorsi di Ammirazione, Adempimento Fedeltà al clan Efficienza, Uguaglianza,
carriera, identificazione compiti efficacia, rotazione
sistema con l'autorità capacità,
premiante professionalità
6. Comportamenti Insubordinaz. Inadempiment Tradimento Mancato Disimpegno
stigmatizzati o raggiungimento
di un compito obiettivi

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7. Flusso di Unidirezionale, Limitato, Trasversale, Pluridirezionale Fluido,


comunicazione discendente discendente, informale informale,
e informazioni prescrittivo caotico
8. Rapporti Competitivi Formali, Informali, Fluidi, Collaborativi,
interpersonali anonimi affettivi informarli, solidali
competitivi
9. Leadership Assoluta, Garante della "Capo clan" Competente Diffusa
indiscussa norma
10. Presa di Accentrata, Esecuzione di Accentrata, Razionale, Lenta,
decisione autocratica regole e basata su decentrata a chi collettiva,
procedure, adesione ha info e esito di
assenza di e consenso competenze negoziazioni
discrezionalità
11. Conflitto Nascosto, Represso Punito Fisiologico, Funzionale,
negato costitutivo costruttiva
12. Ambiente Indifferente Indifferente Minaccioso e Interfaccia del Parte
esterno (sistema (autoregolaz.) persecutorio sistema integrante
chiuso) organizz. del sistema
13. Limiti, Dipendenza, Disimpegno, Conformismo, Stress, Stigmatizzaz.
degenerazioni immaturità disaffezione, incompetenza, rimozione del disimpegno
impotenza, scarsa dell'affettività
rassegnazione flessibilità

5.3.5. Il risultato dell’analisi culturale a Italia Comunica

→ Il 1° sviluppo

In IC la cultura dominante è l’integrazione di 2 tipologie:

1. Cultura autoritaria: l’imprenditore ha spesso atteggiamenti autoritari e dispotici nelle


decisioni strategiche, ma le persone “cresciute” con lui ne hanno profonda stima e
ripongono in lui grande fiducia.
2. Cultura cooperativa: l’imprenditore opera spesso in modo cooperativo nelle decisioni
quotidiane e tattiche. Tale modalità di operare si è diffusa a poco a poco nella
struttura. Di fatto dunque esiste anche una cultura cooperativa.

Esiste anche una componente paternalistico-clientelare (“clan”) che però è trascurabile.

Il paradigma fondante è quello dell’adattamento proattivo.

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Tabella 1. Tipologie culturali in IC ed elementi effettivamente rilevati

Autoritaria Cooperativa
Verso l'imprenditore Agli altri livelli e con l'imprenditore
nelle decisioni strategiche nella definizione di azioni tattiche
1. Valore fondamentale Rispetto dell'autorità Partecipazione, consenso
2. Concezione dell'uomo Dipendente, eteronomo Autonomo, indipendente
propositivo

3. Bisogni Dipendenza Autonomia,


autorealizzazione
4. Struttura gerarchica Piramidale A rete,
essenziale
5. Percorsi di carriera, Ammirazione, Uguaglianza,
sistema premiante identificazione rotazione
con l'autorità
6. Comportamenti Insubordinazione Disimpegno
stigmatizzati
7. Flusso di Unidirezionale Fluido,
comunicazione discendente informale
e informazioni caotico
8. Rapporti interpersonali Competitivi Collaborativi,
solidali
9. Leadership Assoluta, Diffusa
indiscussa
10. Presa di decisione Autocentrata, Lenta,
autocratica collettiva,
esito di negoziazioni
11. Conflitto Nascosto, Funzionale,
negato costruttivo
12. Ambiente esterno Indifferente Parte integrante del sistema
(sistema chiuso)
13. Limiti, degenerazioni Dipendenza, Stigmatizzazione del disimpegno
immaturità

→ Il 2° sviluppo

In seguito all’inserimento di esperti del settore provenienti da altre organizzazioni, in questa


fase si richiede alle persone un cambiamento organizzativo con un elevato impatto culturale.

• Il paradigma fondante non è più solo quello dell’adattamento proattivo, ma alcune


componenti organizzative sono portatrici dell’ottimizzazione e iniziano un progressivo
spostamento del “baricentro” organizzativo verso l’efficienza e l’azione per processi
normati da procedure.

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• All’integrazione di cultura autoritaria e cooperativa, si cerca di aggiungere altre 2


tipologie culturali (vedi tabella; gli elementi in corsivo non sono presenti, ma sono
ritenuti importanti da integrare).

Tabella 2. Culture da integrare alla IC

Burocratica Tecnocratica
1. Valore fondamentale Osservanza della norma Competenza professionale
2. Concezione dell'uomo Esecutore Razionale,
propositivo anaffettivo

3. Bisogni Sicurezza, Autoaffermazione,


stabilità successo,
riuscita
4. Struttura gerarchica Complessa, Dinamica
formale
5. Percorsi di carriera, Adempimento compiti Efficienza,
sistema premiante efficacia,
capacità,
professionalità
6. Comportamenti Inadempimento di un Mancato raggiungimento degli
stigmatizzati compito obiettivi
7. Flusso di Limitato, Pluridirezionale
comunicazione discendente,
e informazioni prescrittivo
8. Rapporti interpersonali Formali, Fluidi,
anonimi informali,
competitivi
9. Leadership Garante della norma Competente
10. Presa di decisione Esecuzione di regole Razionale,
e procedure, assenza decentrata a chi ha informazioni
di discrezionalità e competenze
11. Conflitto Represso Fisiologico,
costitutivo
12. Ambiente esterno Indifferente Interfaccia del sistema organizzativo
(autoregolazione)
13. Limiti, degenerazioni Disimpegno, Stress, rimozione dell'affettività
disaffezione,
impotenza,
rassegnazione

→ I doppi vincoli a IC

La richiesta, legittima da un punto di vista razionale, ha un che di paradossale: il desiderio


è ottenere un’organizzazione che disponga di elementi culturali in deciso contrasto.

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Si deve operare un intervento mirato all’apprendimento organizzativo e individuale, coerente


con il paradosso che si viene creando.

→ L’intervento di supporto al cambiamento di IC

L’intervento – della durata di 6 mesi – è stato gestito nelle 3 fasi già discusse, ma progettate
contestualmente ai tipi di paradosso e alle relative resistenze attese. Si è passati da un
gruppo iniziale di10 top manager a una rete del cambiamento di 75 persone.

Fase Tipo di intervento Finalità


1. Scongelamento Simulazione al computer, Mostrare al top mgmt che le sue visioni,
Target intervento: in contrasto distante dalla realtà, sia di cultura 1 (autoritaria e cooperativa)
top mgmt per mostrare che: o di cultura 2 (burocratica e
- si possono apprendere cose tecnocratica), soffrivano di
complesse cristallizzazioni cognitive inadeguate.
- anche se è competenti, ciò non ha
valore in ogni disciplina
- esistono situazioni in cui la routine
viene interrotta e occorre
"ri-costruire" un modello operativo.
2. Apprendimento Svolgimento di un progetto. Guidare l'apprendimento:
Target intervento: Contenuto del progetto è il - sia sul contenuto di cambiamento
middle mgmt meta-livello necessario a uscire dal (apprendimento a strutturare la
paradosso: complessità attraverso la tecnica del
progettare e realizzare un sistema di progetto)
gestione progetti. - sia sul processo (imparare a costruire un
sistema organizzativo che gestisce i
propri progetti).
3. Congelamento Adozione operativa del sistema di Ricostruire le routine operative in modo
Target intervento: gestione dei progetti, attraverso snello e contestuale.
top + middle mgmt formazione mirata e comunicazione A differenza delle fasi precedenti, questa
ufficiale (molto snella). fase è implementata senza alcun tipo di
consulente, ma grazie a una rete del
cambiamento costruita attraverso
la formazione e il coaching nella Fase 2.

L’intervento ha ottenuto un ragionevole successo.

5.4. Dalla cultura all’intervento

A questo punto dovremo introdurre i restanti elementi operativi (prossimi capp.):

- Le resistenze, che sono in relazione alle percezioni e alle ansie


- Le decisioni, con i relativi concetti di eurisma e distorsione, che influenzano sia gli
agenti del cambiamento, sia il resto della popolazione aziendale.
- Il progetto: strumento essenziale per la gestione del cambiamento.
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Capitolo 6. Le competenze manageriali:


il concetto di incertezza e il significato di decidere

6.1. Cambiamento e incertezza

La difficoltà decisionale nasce dalla presenza di incertezza, termine che ha 2 significati:

- Per il matematico, indica una conoscenza approssimata di una data variabile. Il


matematico cerca di quantificare la parola “circa” del “circa eguale” utilizzando la
rappresentazione di un intervallo:
𝑥−𝜀 <𝑥 <𝑥+𝜀
𝜀 = 𝑠𝑡𝑖𝑚𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙′𝑒𝑟𝑟𝑜𝑟𝑒
Questo modo di intendere l’incertezza è utilizzabile quando si ha una qualche
possibilità di costruire una rappresentazione matematica del comportamento della
variabile detta variabilità. Seppure abbia un impatto non trascurabile sul processo di
lavoro, la rappresentazione matematica non è di particolare interesse per lo studio
dei processi di cambiamento.
- Per lo studioso di organizzazione, indica una limitata prevedibilità del sistema, per
cui ogni decisore ha una serie di possibili risultati accettabili. Questo implica la
fondamentale nozione di scelta del decisore che porta al concetto di responsabilità.
Ogni ruolo che preveda decisioni effettive non può prescindere dall’assunzione di
responsabilità del decisore.

L’incertezza è intrinseca nel lavoro del mgmt, tanto da costituire la base sulla quale viene
retribuito in modo sensibilmente maggiore rispetto a chi svolge attività più prevedibili e meno
“rischiose”.

Secondo la behavioural thoery of the firm, l’incertezza non è eliminabile con operazioni di
progettazione organizzativa, bensì con operazioni di esplorazione continua.

Incertezza: mancanza di conoscenza sul modello del sistema fisico di nostro interesse o su
alcuni suoi parametri (Vose, 2000).

La cultura ha una funzione di filtro cognitivo che permette di limitare la percezione di


incertezza (Schein).

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Parlare di cambiamento significa parlare di incertezza culturale e di come le persone,


spesso attraverso il contatto con messaggi paradossali rispetto alla loro cultura, possano
apprendere a interagire con il “nuovo” in maniera rassicurante.

Apprendimento = cambiamento = (anche) processo decisionale, sequenza di decisioni in


condizioni di elevate incertezza.

6.2. I modelli decisionali nella cultura occidentale

In occidente, il nostro condizionamento più importante è l’approccio positivista, che vede


come unica forma di conoscenza quella scientifica. Questo sistema di riferimento è da
tempo in crisi anche nella scienza fisica, basti pensare al principio di indeterminazione di
Heisenberg. Nonostante ciò, siamo abituati dal sistema scolastico a ricercare 2 cose:

1) La scoperta della soluzione perfetta, dimenticandoci che essa è frutto di una scelta
che, attraverso compromessi, implica responsabilità.
2) La relazione semplice e possibilmente lineare tra cause ed effetti.
6.2.1. Giochi o decisioni: le differenze chiave tra i modelli

Parzialmente i modelli di giochi contengono i modelli di decisioni, ma esiste una differenza


importante che delimita le 2 classi di modelli: la situazione è modellizzabile con un problema
decisionale quando gli attori coinvolti tendono alla simmetria. Tale tendenza alla simmetria
si traduce in una tendenza alla condivisione di ogni tipo di informazione: questo nei limiti
delle capacità cognitive degli esseri umani, nonché delle abilità tecniche e relazionali degli
attori convolti nel problema di decisioni.

In un problema di decisioni, gli attori coinvolti non sono in condizioni di concorrenza, bensì
hanno un obiettivo comune. Ciò che ostacola la decisione può essere dovuto a:

1) Incompleta conoscenza del mondo fisico e delle sue variabili rilevanti


2) Caratteristiche cognitive degli individui
3) Incapacità tecnica
4) Incapacità relazionale: incapacità di “unire gli sforzi” per migliorare i processi di
decisione.

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Nelle condizioni di asimmetria, invece, l’assunzione di una decisione corretta è resa


complessa dal fatto che gli altri attori reagiscono in ottica concorrenziale alle decisioni,
cercando di opporvisi con mosse alternative.

→ Processo di cambiamento: giochi o decisioni?

Nella fase di definizione del cambiamento, quando si stabilisce perché si lascia “A” e si
progetta “B”, si incorrerà in condizioni di concorrenza interna, dovute al differente modo di
interpretare il futuro, alla lotta per il “nuovo” sistema di potere, alla volontà di affermare la
bontà dei propri obiettivi.

Nella fase di processo di cambiamento, in cui l’organizzazione compie il percorso di


apprendimento organizzativo, questa situazione può e deve essere mitigata.

È infatti nella comunicanza di obiettivi operativi che può nascere un nuovo comportamento
organizzativo, frutto di un processo di apprendimento individuale e organizzativo.

In questa fase, però, le ansie si trasformano in resistenze, generando pericolose


situazioni di competizione sino alla paranoia organizzativa, in cui i gruppi non solo non
dialogano, ma ricercano la soppressione reciproca. Solo grazie al mantenimento di una
condizione di simmetria – uno dei ruoli degli agenti del cambiamento – si potrà conservare
il conflitto nella condizione di conflittualità positiva delle idee (Pagliarani, 2001).

6.2.2. Gli elementi di un modello decisionale

Un modello decisionale è composto da 4 elementi (Grandori, 1984):

1) Obiettivi e aspirazioni (eventuale conflitto di interessi)


2) Regole di decisione
3) Regole e insieme di ricerca
4) Regole di apprendimento.

I vari modelli decisionali differiscono per ognuno dei 4 elementi.

Ogni modello è da vedersi come razionale: l’essere umano esegue una serie di “calcoli
mentali” che mettono in relazione secondo precise regole determinate variabili, considerate
come ingressi, con stime di altre variabili, considerate come uscite.

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1] Modello “a razionalità ottima”

1) Obiettivi e aspirazioni: chiari e assoluti. È necessario disporre di elementi che


permettano di individuare una qualche forma di ottimi oggettivo sul quale fondare la
massimizzazione.
2) Regole di decisione: massimizzazione del valore di una qualche variabile.
3) Regole e insieme di ricerca: calcolo matematico.
4) Regole di apprendimento: volte alla modifica delle stime di probabilità delle variabili
incerte in senso matematico.

Questo modello è utili dove esistano:

- Reale chiarezza di obiettivi


- Elevate comprensione dei fenomeni, tale da permettere un’adeguata rappresentazione
matematica, seppure affetta da incertezza.

Questo modello è utilizzato nella progettazione di sistemi modellizzati quali aeroplani, navi,
edifici, ponti, ecc. In talune circostanze trovano applicazione anche in economia.

La critica importante mossa da Simon riguarda la scarsa applicabilità ai problemi di


management: gli obiettivi sono sempre affetti da conflitti di interessi (ogni individuo
costruisce risultati anche personali, oltre che organizzativi) ed esistono problemi in cui non
ha senso pensare in termini di ottimo.

2] Modello “a razionalità limitata” del satisfacing

1) Obiettivi e aspirazioni: esiti di negoziato e conflitto poco definiti, non completamente


condivisi.
2) Regole di decisione: accettabilità di un livello soddisfacente, non ricerca di un risultato
ottimo.
3) Regole e insieme di ricerca: verifica di ipotesi di lavoro.
4) Regole di apprendimento: volte alla modifica degli obiettivi, delle alternative in cui
ricercare, dei processi decisionali di supporto, dei sistemi di informazione e delle
tecniche incrementali utilizzate.

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Questo modello è il più utile e utilizzato nella prassi manageriale. Nelle imprese spesso gli
obiettivi non sono esenti da conflitti di interesse di singoli e gruppi, non sono chiariti sino in
fondo, non esiste la possibilità di un aumento di conoscenza progressivo e illimitato.

In quest’ottica, il decisore non ricerca l’ottimo assoluto, ma ciò che soddisfa il suo problema.

Questo modello, essendo basato su eurismi, è però soggetto a errori di vario genere, alcuni
dei quali sono modellizzati come distorsioni.

3] Modello “cibernetico”

1) Obiettivi e aspirazioni: ad ambito limitato, precisi e contingenti.


2) Regole di decisione: imitazione di scelte risultate positive.
3) Regole e insieme di ricerca: scelte da una lista di causa/effetto collaudate con
riscontro positivo.
4) Regole di apprendimento: selezione e rinforzo.

Questo criterio trova ottima applicazione quando esiste un elevato numero di casi che
permettono un’adeguata selezione delle situazioni a esito positivo, non per eventi rari né in
ambiti in cui il rischio di errore non è accettabile.

Questo criterio permette una considerevole ripetibilità che lo rende auspicabile in contesti
ove le azioni devono garantire stabilità di prodotti, quale il processo esecutivo di una pratica
amministrativa in un ufficio pubblico.

Nelle sue forme più strutturate, assume la “semplice” forma di un albero logico.

6.3. Le distorsioni cognitive base

Le distorsioni cognitive base sono fondate su un’errata interpretazione della probabilità che
gli eventi accadano. È come se tutti noi, in media, commettessimo sistematicamente alcuni
errori di calcolo in determinate situazioni.

1) Insensibilità alla probabilità a priori

Individuare l’occupazione di un individuo partendo dalla descrizione degli elementi principali


del suo carattere: “Paolo è molto timido e introverso, poco socievole, pronto ad aiutare, ma
con scarso interesse per la gente o per il mondo”. 5 opzioni: agricoltore, venditore, pilota di
aerei, bibliotecario e psicologo.
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Sulla base di alcuni stereotipi, la maggior parte delle persone sosterrà che Paolo fa il
bibliotecario, ma in realtà la descrizione di Paolo è assolutamente generica! L’unico criterio
razionale per minimizzare la probabilità di errore (l’incertezza in senso matematico) sarebbe
utilizzare la priorità a priori, quindi la risposta sarebbe agricoltore, professione ben più
diffusa delle altre. Inoltre, nel giudizio è rilevante chi ci pone la domanda e qual è l’ambito
(frame cognitivo) in cui ci troviamo.

Adottando la tecnica decisionale della probabilità a priori, eliminiamo completamente le


informazioni, seppur incomplete, di cui disponiamo: le persone cercano di agganciarvisi,
anche quando questo tentativo non ha fondamento.

2) Insensibilità alla dimensione del campione di indagine

Una città è servita da 2 ospedali. In quello più grande nascono circa 45 bambini al giorno,
in quello più piccolo circa 15. In generale, la percentuale di maschi nati è pari a 50, anche
se varia di giorno in giorno: a volte nascono più femmine, a volte più maschi. Durante un
periodo di 1 anno, ogni ospedale ha registrato i giorni in cui più del 60 per cento dei nati è
maschio. In quale ospedale si è avuto il maggior numero di tali giorni? Nel più grande, nel
più piccolo o uguale in entrambi?

La maggior parte delle persone risponde «nel più grande», mentre la risposta corretta è «nel
più piccolo». Infatti, essendo il campione più limitato, la probabilità di una distribuzione di
nati simile a quella teorica 50-50 è inferiore e di conseguenza è più probabile che siano più
numerosi i giorni in cui c’è un disallineamento.

3) Errata regressione

La regressione si basa sui valori medi e non riesce a predire i casi eccezionali sia in positivo
che in negativo.

Un istruttore di volo nota che:


- Dopo un atterraggio eccezionale, segue di norma un atterraggio mediocre.
- Dopo aver ricevuto un rimprovero per un cattivo atterraggio, il pilota effettuerà una buona
performance.
Quale conclusione può trarre? Che i rimproveri sono propedeutici al raggiungimento di buoni
risultati.

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In realtà non ha considerato che esiste una regressione alla media: i risultati più frequenti
sono quelli normali, non quelli eccezionali né quelli particolarmente problematici. Per questo
motivo è più probabile che dopo il «caso pessimo» segua la norma e viceversa.

In questa situazione l’istruttore di volo ha immaginato una relazione causa-effetto


completamente errata.

4) Disponibilità

La disponibilità di un’informazione condiziona le stime che produciamo relativamente al


fenomeno in studio. Spesso nelle organizzazioni si esprimono giudizi importanti senza
considerare la rilevanza del campione.

A New York in un anno sono più i deceduti per omicidio o per enfisema? La maggior parte
delle persone risponde «per omicidio».

Ricercando nei giornali si trova che le notizie che riportano i morti per omicidio sono dieci
volte più numerose rispetto a quelle che riportano i morti per enfisema, ma in realtà i morti
per enfisema sono dieci volte più numerosi.

5) Prossimità e recuperabilità di esempi

Dopo aver ascoltato una lista di nomi di personaggi pubblici di entrambi i sessi, vi viene
chiesto di valutare e contiene più nomi femminili o maschili.

In generale si tende a indicare come più numerosa la classe (in questo caso il sesso) per la
quale i personaggi conosciuti sono maggiori. Infatti, essi (e solo essi!) vengono
automaticamente computati.

Questa distorsione indica che siamo portati a considerare più probabile una sequenza di
eventi riconoscibili.

6) Correlazione illusoria

Mario racconta a Giovanna: “Ieri mi è caduto un vaso di fiori in testa da un balcone, oggi
non può più succedermi: non sarò mica così sfortunato!”

La probabilità che anche un secondo vaso cada in testa a Mario non è influenzata dal fatto
che ne sia già caduto uno il giorno prima: i 2 eventi infatti non si condizionano.

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7) Aggiustamento e ancoraggio

Durante una sessione di formazione manageriale, il docente pone questa domanda: “In
Danimarca la percentuale di donne manager è del 30%: qual è la percentuale di donne
manager in Svezia?”

La risposta può essere costruita a partire da dati ricercabili tramite fonti affidabili. L’aula
però, dopo una breve discussione, risponderà con una percentuale nell’intorno del 30%.
Questo effetto è detto ancoraggio ed è particolarmente insidioso nelle valutazioni
quantitative dei fenomeni.

6.4. Le distorsioni cognitive complesse: cenni

Esempi di distorsioni cognitive complesse, il cui risultato è la somma di vari comportamenti


cognitivi, approccio all’apprendimento, competenze, comunicazione, contatto col contesto:

1) Gli individui preferiscono risultati certi ma peggiori piuttosto che risultati probabili ma
migliori (certainty effect).
2) I “pesi” delle scelte sono minori delle corrispondenti probabilità, tranne che nel range
delle probabilità minori.
3) Gli individui sottostimano il valore della diminuzione della probabilità di un pericolo
rispetto al valore dell’eliminazione totale del pericolo.
4) Le “perdite” sono percepite in maniera più negativa rispetto ai “costi”.
5) Il comportamento degli individui e le loro scelte cambiamento se 2 problematiche
vengono poste insieme o in momenti distinti (concurrent decisions).
6) La comunicazione ha un effetto importante sulla propensione al rischio degli individui,
fino a trasformarsi da risk adverse a risk seekers (formulation effect).
7) Diverse descrizioni dello stesso problema possono portare a preferenze diversi degli
individui, contrariamente al principio di invarianza che dovrebbe caratterizzare la
teoria delle scelte razionali. Dunque, nessuna teoria decisionale può essere
normativamente adeguata e descrittivamente accurata.
8) L’avversione all’ambiguità (che dipende dalla quantità, dal tipo e dall'“unanimità” delle
informazioni, e che dà luogo al proprio grado di fiducia in una stima della probabilità
relativa) aumenta se, quando l’individuo deve compiere una scelta, per es. accettare
una scommessa sull’accadere di un evento, gli viene richiesto di compiere nello

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stesso momento anche una scelta simile, dei cui elementi ha una maggiore
conoscenza.
9) Le scelte degli individui possono essere “manipolate” aggiungendo o togliendo
alternative “irrilevanti”. La teoria delle scelte basata sulla value maximization fallisce
nello spiegare i comportamenti umani perché:
o Non esiste una scala di preferenze globale
o Gli individui vengono influenzati dal contesto per identificare l’opzione “migliore”.

La maggior parte degli esempi proposti sono di Tversky e Kahneman.

6.5. La prevenzione?

Le distorsioni cognitive non sono eliminabili; sono però mitigabili.

- È necessario, ma non sufficiente, divenire consapevoli delle distorsioni per riuscire a


diminuire in modo significativo le trappole.
- Occorre anche far leva sulle differenze tra gli stili cognitivi dei differenti attori
organizzativi. L’interazione tra differenti soggetti in un processo decisionale cooperativo
è un ottimo metodo per ridurre l’entità delle distorsioni cognitive.

All’interno dei processi di cambiamento organizzativo, le distorsioni sono spesso alla base
di profonde resistenze, di decisioni errate, di errori di mgmt spesso difficilmente recuperabili.
L’agente di cambiamento deve comprendere appieno i concetti e il metodo del frame
cognitivo e le modalità per costruire un virtuoso utilizzo del gruppo.

Capitolo 7. Le competenze manageriali: il ruolo dei gruppi nel cambiamento

Individuo e gruppo: effetti positivi sulle distorsioni.


La mitigazione tattiche delle resistenze.

7.1. Mitigare?

Per mitigare l’effetto delle distorsioni abbiamo (almeno) 2 tecniche (che non si escludono,
anzi si integrano; vedi cap. 6):

1) Costruire un contesto cognitivo (frame) che aiuti l’individuo il gruppo di


individui ad attivare i processi cognitivi adatti a prendere una decisione.
2) Utilizzare, per la decisione, un gruppo.

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7.2. Il contesto cognitivo

Un processo decisionale è composto da 4 elementi (Grandori, 1984):

1) Obiettivi e aspirazioni (eventuale conflitto di interesse)


2) Regole di decisione
3) Regole e insieme di ricerca
4) Regole di apprendimento

Esiste però un meta-elemento: il contesto.

Contesto operativo di un individuo o di un gruppo: insieme delle variabili del sistema


organizzativo che influenzano la sua azione e che ne risultano influenzate.

Esempi di contesti operativi sono relativi alla gestione del traffico aereo, ove il sistema è
costituito dai piloti e dagli aeroplani, dai controllori del traffico aereo e dai loro complessi
sistemi informativi, dall’ambiente fisico entro cui si svolgono le operazioni (condizioni
meteorologiche), dai sistemi di pianificazione del traffico aereo, dal personale addetto alla
gestione operativa a terra.

Esistono numerose tecniche di framing per inserire, all’interno del contesto operativo,
elementi che portino attenzione al fatto che si sta operando in condizioni di responsabilità
decisionale.

La consapevolezza del contesto e di ciò che stiamo facendo, dei nostri compiti, dei nostri
obiettivi, di come essi siano in relazione con altri elementi della vita organizzativa è quindi
l’antecedente più importante per ottenere un corretto frame cognitivo. Esercitare un’azione
organizzativa consapevole è cosa complessa che richiede la sinergia di numerose
dimensioni organizzative, quali procedure, processi, pianificazione. La più semplice delle
tecniche impiegate a tale scopo consiste nell’utilizzo di una check-list.

Check-list: strumento semplice particolarmente utilizzato nel mondo aeronautico. 2 scopi:

1) Aiutare il pilota a non “dimenticarsi” di verificare lo stato di alcuni elementi del sistema
in cui si opera (questo aspetto non ci interessa)
2) Portare l’attenzione su una particolare fase dell’azione individuale e organizzativa.
Questo 2° obiettivo è talvolta più importante del 1°, tanto che suggeriamo questa
norma a riguardo:
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Norma operativa “del frame cognitivo decisionale”: prima di intraprendere attività che
comportino decisioni rilevanti, occorre costruire un contesto cognitivo adeguato in cui si
troverà a operare l’individuo e/o il gruppo.

Contesto cognitivo adeguato: qualunque strumento, dalla lista di controllo allo stesso
processo operativo, in cui venga richiamata l’attenzione sugli elementi chiave della
decisione: obiettivi e aspirazioni (eventuale conflitto di interesse), regole di decisione, regole
e insieme di ricerca, regole di apprendimento. Su ciascuno di questi elementi dovrà porsi
l’attenzione relativamente alla possibilità che essi generino distorsione o incoerenza
incontrollata.

7.3. Il gruppo come fattore mitigante le distorsioni

Se si dispone di un piccolo gruppo (max 10 persone) a uno stadio di sviluppo avanzato,


chiamato da Schein stadio del lavoro di gruppo e da Pilati e Ondoli stadio di coagulo, si ha
a disposizione una molteplicità di “punti vista”. Infatti, il piccolo gruppo evoluto è in grado di
manifestare comportamenti tali da essere assimilabili a un’unica mente. Tali comportamenti
hanno il loro culmine nella capacità decisionale di gruppo: capacità di manifestare
comportamenti decisionali molto più efficaci rispetto a quelli prodotti dal singolo individuo.
Ciò è dovuto al fatto che un gruppo evoluto è stato in grado di integrare le differenze
cognitive, senza per questo generare un processo di omogeneizzazione.

Il gruppo evoluto può così gestire in modo efficace la conflittualità positiva (Pagliarani).

7.3.1. Un’analogia matematica del vantaggio cognitivo

Solo per intuire l’enorme vantaggio associato alla dimensione gruppo, si immagini che:

- Il gruppo sia costituito da n persone


- Il gruppo sia nella fase del lavoro di gruppo
- Ciascuna persona disponga di una propria capacità di rappresentarsi il mondo in 3
modi differenti, cioè con 3 modelli interpretativi diversi.

Le capacità di rappresentazione si integrano in modo che il gruppo ha una differente


rappresentazione per ognuna delle combinazioni di rappresentazioni dei singoli individui.

La capacità di rappresentazione del gruppo, cioè il numero di modi differenti in cui esso può
rappresentarsi la realtà, è uguale a:
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capacità_rappresentazione_gruppo = 3n

Se n = 10, le capacità di rappresentazione diventerebbero 59.049.

Questa è un’esemplificazione estremamente superficiale, ma fornisce un ordine di


grandezza delle capacità di rappresentazione di un gruppo.

7.3.2. Il vantaggio è sempre presente?

No, non sempre utilizzare il gruppo è più vantaggioso. Più i suoi membri lavorano insieme,
più tendono ad acquisire le medesime rappresentazioni della realtà del gruppo. Si ha un
fenomeno di omogeneizzazione: mentre l’integrazione è la chiave per un gruppo di
successo, l’omogeneizzazione è disastrosa. Essa porta a un’elevata efficienza operativa del
gruppo, ma abbatte in modo significativo la capacità critica reciproca negli individui.

L’omogeneità è pericolosa perché aumenta in modo vertiginoso l’efficienza del gruppo, tanto
che si può ritenerla utile nell’esecuzione di processi consolidati in risposta a eventi noti, ma
tende invece a rendere il gruppo cieco di fronte alle situazioni impreviste, diminuendo la sua
capacità di apprendimento e di rappresentazione alternativa dei fenomeni.

Il gruppo, raggiungendo la fase chiamata da Schein maturità, ha sviluppato una cultura. Se


questa cultura risulta fortemente efficace nell’azione operativa, verrà data per scontata
come l’unico modo per concepire correttamente il mondo. Il group-think è la situazione più
deteriore e i suoi esiti possono essere catastrofici: gli incidenti allo Space Shuttle, la frana
del Vajont, il crollo delle discariche della Val di Stava. Che cosa genera il group-think?

1) Ricognizione insufficiente di alternative


2) Ricognizione insufficiente degli obiettivi
3) Erronea valutazione dei rischi
4) Carente ricerca di informazioni
5) Errori selettivi nella gestione delle informazioni
6) Assenza di piani atti a contrastare eventuali imprevisti.

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→ Una check-list di prevenzione del group-think (divisa in 3 parti)

Parte 1: Riconoscimento dei sintomi

- Si manifesta una continua illusione di invulnerabilità ed esagerata fiducia nelle


proprie possibilità?
- Esiste una continua razionalizzazione a posteriori, per cui anche l’inesplicabile
diventa ragionevole?
- Esiste una continua illusione di moralità, per cui si continua ad affermare “non ci
capiscono perché vogliamo il bene ed è normale che ci contrastino”?
- I comportamenti diventano stereotipati e prevedibili?
- Esiste una pressione al conformismo sino alla generazione dell’autocensura?
- Esiste una continua illusione di unanimità, per cui sembra sempre che l’accordo
nel gruppo sia totale?
- Si stanno attuando difese mentali auto-imposte per allentare il disagio della
negazione dell’evidenza anche “fisica” degli eventi?
- Si sta generando una propensione al rischio, quale il non fermare il progetto in
tempo?

Parte 2: Prevenzione attiva e rimedi

- È stato nominato un “avvocato del diavolo”?


- Viene favorito il ruolo critico da parte di ogni individuo?
- Vengono valorizzati i dubbi?
- Ci si guarda da soluzioni o modi di vedere precostituiti?
- Si valutano più alternative per gli stessi problemi, ricorrendo a sottogruppi dalla
cultura eterogenea?
- Vengono eseguite verifiche in itinere con un’attenta ricognizione degli obiettivi?
- Si ricorre periodicamente ad arbitri e osservatori esterni?

Parte 3: Supporto e gestione del gruppo

- Si continua a comunicare gli obiettivi?


- Si presta attenzione al processo operativo, in particolare all’apprendimento?
- Si è impostato il gruppo con un’elevata differenziazione cognitiva?
- Il gruppo ha sufficiente empowerment?
- Il gruppo ha sviluppato cooperazione, fiducia, autostima?
- Si frenano le valutazioni premature?
- Si cerca di ottenere consenso, evitando le soluzioni direttive?
- Si gestisce il disaccordo verso una conflittualità positiva?
- Si presidia il contatto con la realtà (senso del contesto)?

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7.3.3. Group-think e cambiamento

Il group-think può manifestarsi a livello dell’intero sistema organizzativo, non solo a livello di
piccolo gruppo. Nei disastri sopracitati la situazione era proprio questa: un nucleo (piccolo
gruppo) alimentava il group-think a livello di tutta l’organizzazione, che era messa
nell’impossibilità di qualunque azione che differisse da quanto atteso.

Il group-think genera un’elevata resistenza di tipo paranoico per cui ogni azione
successiva all’instaurarsi del fenomeno viene interpretata come un attacco da parte
dell’organizzazione. La risposta operativa a questo rischio è contenuta nella corretta
gestione del progetto.

Spesso sono proprio le organizzazioni di successo a cadere vittime del group-think. Ciò è
dovuto a 2 fenomeni:

- La consapevolezza delle proprie capacità tende a far considerare con scetticismo


riflessioni e modelli provenienti dall’esterno
- L’efficienza raggiunta – relazionale e operativa – rende riluttanti a muovere verso
conflitti e disefficienze.

7.4. Introduzione alle resistenze

La resistenza al cambiamento è in relazione con le spinte al cambiamento, in un loop di


rinforzo delle resistenze: più forzo gli attori organizzativi verso il cambiamento attraverso
processi di apprendimento e comunicazione scorretti, più le resistenze aumentano,
giungendo spesso al totale blocco del processo.

Occorre allora un modello realista delle resistenze, che sia pragmatico ma che guidi al
governo della complessità, per evitare devastanti soluzioni riduttive.

7.4.1. Una classificazione normativa delle resistenze

Adotteremo un approccio analogo a quello di Watzlawick e Nardone (19990) in ambito


psicoterapeutico (approccio strategico).

Un generico processo di apprendimento comporta una reazione difensiva da parte


dell’individuo o del gruppo che apprende. Tale reazione difensiva ha una dinamica
complessa, ma l’effetto finale è la resistenza.

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Resistenza all’apprendimento o al cambiamento: effetto – generalmente rilevabile e


talvolta quantificabile – che consiste nell’inibizione della velocità e/o della qualità del
processo di apprendimento.

Assioma “della resistenza”: qualunque processo di apprendimento (cambiamento)


individuale o organizzativo genera resistenza. Tale resistenza non può essere annullata in
quanto è intrinseca al processo. Essa si manifesta addirittura nei casi di apprendimento
volontario per libera scelta, per es. quello di un hobby.

Norma operativa (che consegue all’assioma “della resistenza”): le resistenze


all’apprendimento (cambiamento) non possono essere ridotte a zero. Obiettivi degli agenti
del cambiamento, dati “A”, “B” e il sistema organizzativo da trasformare, saranno quindi:

- Individuare quale possa essere il minimo fisiologico del processo


- Mantenere le resistenze al minimo fisiologico.

A take scopo si adotta una classifica delle resistenze definita tattica.

→ La classificazione tattica

Le resistenze al cambiamento sono classificate in 2 tipologie (che sfumano l’una nell’altra):

1) Resistenze alpha: caratterizzate da un pensiero che può sembrare oggettivo ed è


difficilmente correlabile alle difese. 2 tipi:
1. “Non è corretto B”: si cerca di far leva sulla non correttezza di “B”, a
prescindere dal fatto che ciò sia ragionevole o meno.
2. “Non mi piace B”: si afferma che “B” non è di interesse, a prescindere dal fatto
che ciò sia reale o meno.
2) Resistenze beta: caratterizzate da un pensiero che appare meno lucido e più
direttamente correlabile alle difese. 3 tipi:
1. “C’è una strategia che ci attacca”: interpretazione paranoica di “B”.
2. “C’è disordine”. Interpretazione di “B” come uno stato di perenne mancanza
3. “Ho paura”: reazione quasi fobica a “B”.

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→ La mitigazione delle resistenze come processo tattico

Per realizzare la mitigazione tattica delle resistenze, occorre classificare in modo tattico le
resistenze per ciascun gruppo organizzativo e adottare le seguenti tattiche corrispondenti:

1) Resistenze alfa. Essendo caratterizzate da un pensiero che cerca di oggettivare la


resistenza, si devono adottare tattiche dialettiche, volte a dimostrare che le obiezioni
non sono oggettive ma soggettive, anche se rispettabili. A rinforzo si adotteranno
anche delle tattiche costruttive, coinvolgendo le persone nel sostegno alla
trasformazione o, se possibile, nella stessa progettazione fine di “B”.
2) Resistenze beta. Essendo caratterizzate da un pensiero che appare meno lucido e
più emotivo, oltre all’utilizzo di tattiche dialettiche e costruttive, si dovrà essere
estensivi nella comunicazione e si dovrà adottare il coaching e il counselling. Il rischio
di scivolare verso la situazione paranoica o verso l’emergere di una diffusa ansia
esistenziale primaria (Schein) è elevato. Occorrerà quindi prestare particolare cura
nella costruzione delle relazioni d’aiuto.

7.4.2. Riflessioni conclusive sulle resistenze

Abbiamo identificato alcune soluzioni operative, che possono essere attuate se e solo se
vengono inserite all’interno del progetto di cambiamento in modo organico e integrato.

Capitolo 8. Le competenze manageriali: il cambiamento come progetto

Le resistenze e le ansie nei processi di cambiamento: il progetto come risposta

8.1. Il significato del progetto all’interno del cambiamento

Pagliarani sostiene che “a sostenerci nella sfida della molteplicità, della pluralità dei
linguaggi e di culture con cui siamo chiamati a confrontarci, è la bellezza del progetto”.

Riassumiamo gli elementi che servono per supportare, gestire, avviare … un processo di
apprendimento individuale e organizzativo.

1) L’ambito: il sistema organizzativo

L’intervento di supporto al cambiamento deve considerare in modo corretto l’ambito, che


deve essere sistemi (capp. 1-2).

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- L’intervento deve essere progettato e attuato considerando l’intero sistema


organizzativo:
o Persone o Tecnologia
o Processi e organizzazione o Ambiente
- L’intervento dovrà considerare in modo corretto gli effetti dinamici:
o Relazione del sistema con la sua storia passata
o Latenze e tempi di ritardo nella risposta alle azioni organizzative
o Quali sono i fondamenti del suo equilibrio (statico o dinamico che sia).

2) Il cambiamento come processo di apprendimento

Dato che il cambiamento non accade in seguito a regole assolute e indiscutibili, ma è un


fenomeno che ha origini contingenti, l’attenzione deve essere centrata sul processo di
trasformazione (cap. 2). Tale processo deve essere organizzato in modo che favorisca
l’insorgere di un processo di apprendimento individuale (obiettivo, costruzione della
domanda operativa, sperimentazione e consolidamento) e integri l’apprendimento
individuale con un processo di apprendimento organizzativo in 3 fasi (Lewin:
scongelamento, apprendimento, ricongelamento).

I processi di apprendimento individuale e organizzativo saranno anche volti ad “apprendere


come apprendere” (Bateson), al fine di superare i paradossi che ogni processo di
cambiamento genera (es.: “Il modello – sino a ieri vitale – non è più da perseguire”).

3) Le 5 componenti

Per indirizzare un processo di cambiamento, occorre la presenza di 5 componenti (cap. 3):

1. Una metafora base della natura del sistema organizzativo


2. Un quadro di riferimento analitico per comprendere il processo di cambiamento
3. Un modello ideale di un’organizzazione reale che specifichi la direzione del
cambiamento e i valori per misurare il successo del cambiamento (per es.,
sopravvivenza, crescita, ecc.)
4. La definizione dei ruoli degli agenti del cambiamento.

Queste componenti dovranno essere in relazione con il paradigma fondante e con il


possibile motore del cambiamento dello specifico sistema organizzativo.

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4) Il modello di cambiamento: la concretezza della relazione d’aiuto

Un generico processo di apprendimento, specie se legato a un cambiamento organizzativo,


può trarre vantaggio dall’instaurarsi di una relazione d’aiuto (cap. 4).

Per innestare questa relazione su “oggetti” concreti, che contribuiscano alla costruzione di
uno spazio cognitivo condiviso, è importante identificare un modello di cambiamento, che
può essere individuato all’interno del modello task-comportamenti modificato.

5) L’analisi culturale e l’individuazione dei paradossi

Il cambiamento è sempre anche cambiamento (apprendimento) culturale. Ciò comporta la


generazione di messaggi paradossali, quali la negazione della bontà di “A” che fino a ieri
era la soluzione di tutti i problemi della realtà operativa (cap. 6).

Sono necessarie un’analisi culturale e la mappatura dei paradossi generati intrinsecamente


dal cammino verso il nuovo stato B.

6) La simmetria informativa

Occorre mitigare i timori di asimmetria informativa. Essi generano timori di strategie avverse
negli individui e nei gruppi (cap. 7).

Occorre allora presidiare con cui i processi di generazione, distribuzione ed elaborazione


delle informazioni.

7) Le distorsioni

Occorre mitigare gli elementi che possono generare distorsioni: ciò può essere fatto sia con
un adeguato frame cognitivo, sia attraverso un corretto utilizzo del gruppo (cap. 7), con
particolare attenzione alla prevenzione del group-think.

8) La mitigazione delle resistenze

Le resistenze sono una componente inevitabile in un processo di apprendimento


(cambiamento): non possono essere annullate, ma solo ridotte al minimo fisiologico. È
dunque necessario attuare una mitigazione tattica delle resistenze (cap. 7).

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8.2. Il progetto come luogo di integrazione

8.2.1. Le definizioni: gestire un progetto

Gestione del progetto: tutte le attività e i materiali realizzati da un gruppo di lavoro di


persone, al fine di supportare il raggiungimento dell’obiettivo finale di un progetto. Tali attività
si articolano dal supporto alla corretta impostazione della progettazione sino al supporto
della messa in produzione del prodotto finale, attraverso la fase realizzativa.

Progetto di gestione del cambiamento: progetto volto alla “realizzazione” di una


trasformazione organizzativa attraverso il presidio, la progettazione, la “costruzione” ed
eventuale gestione dei seguenti elementi:

1) Il sistema organizzativo
2) Il processo di apprendimento
3) Le 5 componenti
4) Il modello di cambiamento
5) L’analisi cultura e l’individuazione dei paradossi
6) La simmetria informativa
7) Le distorsioni
8) La mitigazione delle resistenze.

Progetto: insieme di relazioni reciproche di influenza e sostegno (Pilati e Ondoli, 2005).

Queste relazioni di scambio – in gruppo ristretto di individui con un obiettivo comune – sono
finalizzate alla produzione di “oggetti” (deliverable) tangibili o intangibili, spesso molto
complessi. Un corretto stile di gestione del progetto costituisce le basi di quello che sarà il
modello operativo finale.

8.2.2. Il progetto come processo di apprendimento organizzativo

Il progetto è efficace perché permette di costruire un contesto favorevole all’apprendimento


organizzativo. Il processo di apprendimento organizzativo segue lo stesso percorso di quello
individuale.

- Per apprendere, l’individuo ha bisogno di percorrere un cammino di costruzione di un


nuovo modello operativo (learning waterfall) a partire dalla sua situazione attuale e
dalla sua storia (vedi pag. 17). Questo processo di apprendimento si fonda sul
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costruttivismo: apprendere significa costruire un nuovo modello di relazione della


realtà.
- In un’organizzazione, occorre inoltre che il modello operativo nuovo venga appreso
dall’insieme degli individui, come sottolineato dalle 3 frecce in basso nella figura 1
(che riporta il concetto essenziale del modello di Lewin sul cambiamento aziendale,
vedi pag. 18).
- Queste 3 fasi coincidono con le 3 fasi del ciclo organizzativo di un progetto (fig. 2).

Figura 1. Le fasi di un progetto, apprendimento individuale e organizzativo come processo di cambiamento

Figura 2. Ciclo organizzativo (3 fasi) e ciclo tecnico (5 fasi) di un progetto: le attività di progetto e la pianificazione

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8.2.3. Il piano di progetto: un “luogo” di creazione e costruzione

Apprendere, e di conseguenza cambiare, enfatizza nelle persone una sensazione di


mancanza, spesso aggravata dal fatto che essa trae origine da messaggi contraddittori con
il passato in forma non logica ma paradossale (Schein, 1990; Bateson, 1976).

Tutti gli elementi che costituiscono l’oggetto di gestione del cambiamento (vedi sopra) sono
attuabili tramite 3 classi di attività:

1) Progett-azione: co-struzione innanzitutto di “un pensiero sulla realtà che può diventare”
(Caprara, 1996).
2) Gestione operativa volta a supportare il ritmo dell’apprendimento e il network di
diffusione, co-municazione, con-divisione.
3) Ascolto dei segnali deboli in tutta l’organizzazione.

Il progetto strutturato è il meta-livello che permette di risolvere in modo costruttivo i paradossi


che il cambiamento genera, presidiando, progettando, realizzando e gestendo gli ingredienti
del cambiamento.

Secondo Gavetti e Rivkin (2007), la realizzazione di una strategia è connessa non a


predizioni esatte di come evolverà la realtà del mercato, ma alla capacità manageriale di
adottare soluzioni plausibili all’interno della specifica impresa. Occorre che la “finestra
temporale” delle possibilità strategiche e quella delle possibilità realizzative di tali possibilità
nella specifica impresa si sovrappongano.

Gavetti e Rivkin ci portano a riflettere ulteriormente sull’importanza della progettualità nel


cambiamento. Essa abilita un’organizzazione al lavoro sincrono e sinergico di
apprendimento culturale, inducendolo attraverso la progressiva realizzazione di artefatti,
strumento fondamentale per colmare il vuoto dell’abbandono degli stati stabili precedenti.

Anche i cicli di cambiamento di Mintzberg e Westley (vedi figura pag. 86) portano con sé
l’ovvia esigenza del governo della trasformazione, tanto più necessario quanto più l’origine
è induttiva, cioè proveniente dalla parte operativa dell’impresa.

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Il progetto si trasforma in questo modo da strumento logico deduttivo in strumento costruttivo


di scenari e relazioni. La progettualità così impostata offre al cambiamento una mappa che,
interpretando territori organizzativi già noti e rassicuranti con differenti frame cognitivi,
permette una progressiva rappresentazione delle zone non ancora esplorate dall’attività
organizzativa precedente.

La progettualità del cambiamento abilita le persone a cercare e realizzare le nuove strategie


plausibili – l’exploration – sfruttando le capacità cognitive e operative attuali – l’exploitation
(March, 1991), grazie all’abilità del mgmt di governare i tempi in modo che le capacità attuali
dell’organizzazione contengano ancora le chiavi di lettura per innestare un apprendimento
di secondo livello (Argyris e Schön, 1996).

Purtroppo, il progetto non viene quasi mai correttamente interpretato dal punto di vista
cognitivo e comportamentale. Occorre superare la visione culturale del progetto come
gestione burocratica di certezza.

8.2.4 Il piano di progetto come territorio condiviso

Piano di progetto: “spina dorsale” del progetto e in particolare del progetto di cambiamento.

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La mappa condivisa che esso costruisce permette:

- La costruzione di un luogo di condivisione tra gli individui e i gruppi all’interno del


sistema organizzativo.
- Il presidio della simmetria informativa e la realizzazione di un territorio dove attuare
una conflittualità costruttiva.
- La costruzione e il supporto del processo di diffusione del cambiamento.
- La costruzione di un change network di agenti del cambiamento, finalizzato non solo
alla diffusione, ma anche all’ascolto dei segnali deboli in tutta l’organizzazione.

Il piano di progetto conterrà le seguenti informazioni:

1) Che cosa si deve realizzare


2) Quando
3) Quanto costa
4) Chi lo farà
5) Quali prodotti e servizi saranno generati
6) Come verrà realizzato il passaggio in produzione e chi lo farà
7) Quando e come si dichiarerà la fine
8) Chi darà l’“ok”
9) Come saranno gestite le eccezioni
10) Come si misureranno i risultati, l’avanzamento, ecc.

→ Il significato degli obiettivi: obiettivi di progetto

L’obiettivo del progetto ha la finalità di riassumere in sé i punti 1, 2 e 4 del piano di progetto.


È quindi una descrizione sintetica della destinazione finale, che permette di rappresentare
cognitivamente in modo adeguato il prodotto finale. Un obiettivo deve essere:

- Raggiungibile
- Chiaro
- Specifico
- Condiviso
- Misurabile

→ Dall’obiettivo di progetto al lavoro individuale

Come passare dall’obiettivo generale / organizzativo del progetto a quello del singolo
individuo, che sia una guida operativa all’azione realizzativa di ogni persona?
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- Scegliere accuratamente le attività (vedi poco sopra)


- Utilizzare strumenti “razionali” di gestione del progetto

A questo proposito occorre specificare 3 elementi:

1) Work Breakdown Structure (WBS): che cosa va fatto a livello operativo, attraverso la
descrizione di:
- Deliverable: i prodotti di progetto elementari per distribuire i compiti al singolo
individuo.
- Work package: i prodotti di progetto a livello aggregato, per distribuire il lavoro in
sottogruppi.
2) Organizational Breakdown Structure (OBS): chi fa ciò che è descritto nella WBS,
specificando responsabilità e competenze.
3) Tempi: quando ogni prodotto andrà realizzato:
1. Dei work package
2. Durata delle attività (resource-driven o time-driven)
3. Sequenza attività
4. Data di inizio/fine.

Questa documentazione ha il significato di fornire a ogni singolo individuo che partecipa alla
realizzazione del progetto il suo personale insieme di obiettivi parziali, con cui può
costantemente confrontarsi.

Il capo progetto è così in grado di costruire una vista comune sul progetto, che supporti ogni
fase mantenendo il confronto tra le persone concentrato sui dati piuttosto che sulle
percezioni.

8.2.5. Dal progetto al cambiamento operativo

Durante la fase di diffusione, denominata roll out, il progetto dovrà estendersi dal gruppo
iniziale degli agenti del cambiamento a tutta l’organizzazione, per supportare la
trasformazione verso “B”. A tal scopo, occorre utilizzare una tecnica denominata rete di
cambiamento (change network) che consiste nel seguente processo di diffusione del
modello operativo:

1) Individuazione – durante la fase iniziale del progetto – di alcuni attori organizzativi che
saranno coinvolti durante la fase di implementazione per inserirli in alcune attività chiave

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del progetto. Avranno anche un ruolo di agenti del cambiamento attivatori durante la fase
di roll out.
2) Continua comunicazione a tutti gli attori coinvolti sia dell’obiettivo finale sia
dell’avanzamento del progetto, allo scopo di controllare il fenomeno di ansia che ogni
innovazione attesa genera
3) Attivazione – durante la fase di roll out – della rete del cambiamento che agirà secondo
un sistema a effetto valanga.
4) Attivazione della diffusione da parte degli agenti del cambiamento attivatori, i quali
inizieranno a supportare il gruppo di progetto nella 1° fase di diffusione, che avrà
l’obiettivo di creare un’ulteriore base di agenti del cambiamento e di transitare alcune
persone verso il nuovo modello operativo
5) Sostegno della diffusione da parte della rete del cambiamento che si estende, con effetto
valanga, grazie all’azione dei vari agenti del cambiamento.
6) Monitoraggio continuo dei risultati da parte della rete del cambiamento, che avrà anche
il compito di continuare a fornire un feedback sia verso il vertice aziendale, sia verso il
gruppo di gestione del progetto.

Questa tecnica è particolarmente efficace perché centrata sulla facilitazione quotidiana del
cambiamento attraverso la rete del cambiamento: gruppo di colleghi che hanno già
sperimentato il sistema e sono in grado di guidare altri all'applicazione, avendo presente sia
i limiti del sistema, sia le reali esigenze.

→ La costruzione della rete del cambiamento: alcuni aspetti pratici

Il capo progetto costruisce un gruppo iniziale chiamato gruppo di gestione del programma
(max 4-8 persone) che guida durante le fasi iniziali del progetto con azioni di gestione e di
coaching. Il gruppo di gestione del programma deve presentare queste caratteristiche:

- Composizione eterogenea
- Alcune competenze tecniche
- Alcune persone devono avere già maturato esperienze di progetto.

Il capo progetto identifica quali sono i “gruppi” operativi e quelli “culturali” dell’organizzazione
e quali, all’interno di essi, possono essere gli agenti del cambiamento, cioè potenziali capi
progetto in grado di diffondere in modo integrato il messaggio culturale e quello operativo.

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Successivamente, li aggrega al gruppo di lavoro iniziale attraverso:

- Un adeguato processo di definizione dei loro obiettivi


- Un supporto perché percorrono le fasi di sviluppo (apprendimento) sul progetto e
all’interno del gruppo.

Quindi li attiva in un processo di “produzione” in cui, attraverso l’esecuzione (navigazione)


del piano di progetto, essi costruiscono elementi “tangibili” della nuova realtà operativa per
la “comunità” loro assegnata.

Quando la rete del cambiamento è attiva, sia il gruppo di gestione del programma sia ogni
agente del cambiamento – reciprocamente (con relazioni di influenza e sostegno) –
presidieranno:

1) Le azioni delle altre persone coinvolte attraverso una “leadership contestuale”


2) Le “operazioni” attraverso un “ascolto” dei dati e la loro continua aggregazione in
informazioni in relazione al piano di progetto
3) Le decisioni, favorendo la simmetria “oggettiva” delle informazioni
4) Le condizioni organizzative: la presenza di un’adeguata sponsorship, l’autonomia,
comunicazione, la chiarezza su “cosa succede dopo”, la valutazione strutturata, l’utilizzo
dei metodi.

Capitolo 9. Le competenze manageriali: le resistenze e il progetto

Ancora su progetto, gruppo, ansie, co-municazione

9.1. Il ruolo del gruppo all’interno del progetto e il ruolo del progetto nei confronti del
gruppo

Gruppo (di lavoro) e progetto sono correlati in direzione biunivoca: mentre il gruppo ha la
responsabilità di sviluppare un progetto, le azioni organizzative, le difficoltà, la complessità
tecnica e relazionale che il progetto comporta sono catalizzatori dello sviluppo individuale e
organizzativo del gruppo di lavoro.

Nel caso del progetto di cambiamento, esistono 2 particolarità:

1) Il gruppo di lavoro iniziale, attivatore del cambiamento, è tipicamente considerato


come costituito dagli agenti del cambiamento.

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Solitamente solo questo gruppo gestisce in modo operativo tutto il processo di


trasformazione, svolgendo dunque un’opera di project mgmt.
2) Tale gruppo iniziale dovrà crescere con una logica a rete in modo tale da diffondere
il cambiamento attraverso l’organizzazione.

Il piano di progetto:

- È ciò che guiderà la diffusione della trasformazione: se ben costruito e costantemente


aggiornato e condiviso, esso sarà lo strumento che permette a ogni individuo di
negoziare i (nuovi) significati della sua presenza nell’organizzazione durante e dopo
la trasformazione.
- È il generatore di ritmo per lo sviluppo del gruppo: a tale scopo, dovrà cercare di
rispettare le fasi di crescita che un gruppo tipicamente attraversa. Quindi le attività
dovranno essere predisposte in relazione agli effetti che producono sulla crescita
(apprendimento) del gruppo.

9.1.1. Le 4 fasi di sviluppo di un gruppo (Schein, 1990; Pilati, Ondoli, 2005)

Ciascuna di esse presenta:

- Un assunto dominante
- Una prospettiva socio-emotiva
- Una conseguente serie di attività che permettono di utilizzare in modo corretto le
capacità cognitive del gruppo.

1) Fase di formazione o costituente

Generalmente è presente un assunto di dipendenza: “il leader sa cosa dobbiamo fare”


(Schein). Ciò determina la concentrazione emotiva su:

- Inclusione - Accettazione e intimità


- Potere - Identità e ruolo

Da un pdv pratico si può osservare che non esiste il gruppo, ma una collettività di individui,
e che gli atteggiamenti si dividono in attività volta a farsi ri-conoscere e passività volta
a difendersi.

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Pilati e Ondoli suggeriscono che in questa fase si lavori per costruire un territorio cognitivo
comune attraverso:

- La condivisione, definizione, taratura degli obiettivi del progetto e individuali

- La costruzione, durante il lavoro, di regole operative e comportamentali.

2) Fase di costruzione o identificazione

Se lo sviluppo del gruppo prosegue in modo positivo, è attivo un assunto di


identificazione: “siamo un gran gruppo; ci piacciamo tutti” (Schein). La concentrazione
emotiva verte su:

- Armonia - “Non esistenza” di differenze


- Conformità (non vengono considerate)
- Ricerca dell’intimità

Da un pdv operativo, Pilati e Ondoli notano che di fatto il gruppo intraprende un censimento
delle risorse interne. La attività per catalizzare questo processo, già intraprese nella 1°
fase, qui diventano centrali e sono:

- La prosecuzione dell’attività informativa per confrontare i punti di osservazione, le


fonti delle informazioni, gli stili cognitivi

- L’inizio di un’attività elaborativa (analisi di processo e analisi funzionale).

3) Fase di lavoro di gruppo o coagulo

Questa è la fase “migliore”: mentre nelle fasi precedenti il gruppo non è creativo, poiché
svolge solo compiti di analisi e osservazione, in questo passaggio è in grado di creare e
costruire oggetti e pensieri. L’assunto adottato è “possiamo lavorare efficacemente poiché
ci conosciamo e ci accettiamo a vicenda”.

Da un pdv emotivo, ci si concentra su:

- Missione del gruppo e compiti - Organizzazione del gruppo

- Successo del gruppo - Capacità di integrare le

- Lavoro di gruppo differenze

Da un pdv pratico, Pilati e Ondoli sottolineano che il gruppo è pronto per confronti accesi e
decisioni, quindi possono essere svolte attività di sintesi e attività costruttive.

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4) Fase di maturità

Schein sottolinea qui l’assunto: “Sappiamo chi siamo, cosa vogliamo e come ottenerlo.
Abbiamo avuto successo e quindi abbiamo ragione”. La concentrazione emotiva verte su:

- Sopravvivenza del gruppo e benessere


- Mantenimento del gruppo e della sua cultura
- Eliminazione delle differenze
- Timore della creatività

Se da un lato questa fase di maturità porta all’efficienza, dall’altro presenta la minaccia del
group-think. Occorre dunque prestare grande attenzione alla gestione dei gruppi maturi.

9.2. Una norma per lo sviluppo del gruppo nel progetto

Norma operativa dello sviluppo del gruppo: il piano di progetto di un progetto di gestione
del cambiamento dovrà essere definito tenendo in considerazione le fasi di sviluppo del
gruppo degli agenti e della successiva rete (change network).

Il piano di progetto dovrà dunque prevedere una coerenza tra:

- Fase del cambiamento (Lewin)


- Fase dello sviluppo del gruppo
- Fase dell’apprendimento individuale

Che potrà essere ottenuta tramite una corretta definizione del ritmo del progetto e della
sequenza delle attività.

9.3. Progettare è apprendere

“Progettare è apprendere”. In particolare, il lavoro nel progetto “catalizza” il


deuteroapprendimento (Bateson, 1976),cioè l’apprendimento relativo al come si
apprende, la cui importanza nei processi di apprendimento organizzativo del “nuovo” è più
volte sottolineata da Schein (1990, 1999) e da Argyris e Schön (1996).

9.3.1. Progettazione e superamento dei paradossi

Deuteroapprendimento all’interno del progetto: processo attraverso il quale gli individui


superano i paradossi.

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La forza del progetto risiede nel fatto che questo processo accade non grazie a una
sofisticata azione intellettuale conscia, ma attraverso la costruzione di oggetti e relazioni
finalizzati al raggiungimento degli obiettivi.

cambiamento
La spinta concreta e diffusa del progetto di cambiamento attuato attraverso un change
network diminuirà le naturali ansie della popolazione del sistema organizzativo.

9.4. Progettazione e mitigazione delle ansie

Pagliarani afferma, riprendendo Bateson e Bion, che nel cambiamento si attivano 2 differenti
tipi di ansie:

1) Ansia paranoica
o La realtà viene letta come minaccia
o L’interpretazione di azioni e messaggi ambigui, normali nella vita
organizzativa, è negativa e di difesa
o L’individuo o il gruppo divide la realtà tra buoni e cattivi, non è pensabile una
convivenza tra positivo e negativo
o L’azione di confronto e negoziato è impossibile, inutile e rischiosa.
o Questa è la situazione psicologicamente più semplice e meno faticosa, ma è
infruttuosa per lo sviluppo di una comunità organizzativa: non spinge ad
apprendere, ma solo a imporre la propria visione
2) Ansia depressiva
o La realtà viene letta con un desiderio di comprensione della sua complessità
o L’individuo o il gruppo desidera l’integrazione delle differenze attraverso il
dialogo e il confronto, negoziando con la realtà i propri significati (Bruner).
o Questa è una situazione psicologicamente faticosa: implica un processo di
apprendimento costruttivo e profondo di nuovi linguaggi e nuovi modelli
interpretativi.

9.4.1. Pace, guerra, conflitto

Non a caso, Pagliarani sosteneva che esistono 3 diverse condizioni:

1) Pace, in cui esiste una completa armonia. Situazione di equilibrio tra differenze che
risulta faticosa da mantenere, ma cui tutti aspiriamo (teoricamente).

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2) Guerra, in cui esiste la volontà di sopprimere i cattivi. È una situazione dagli esiti
dolori, ma facile psicologicamente: la classificazione è immediata, ci sono i buoni e i
cattivi, i cattivi vanno eliminati.
3) Conflitto, in cui esiste una presa di coscienza delle differenze. Il conflitto è il luogo
in cui di fatto apprendiamo dalla diversità attraverso un paziente e faticoso confronto
e negoziato.

Pagliarani ritiene che solo nella conflittualità positiva è possibile la creazione che egli
definisce come “mettere al mondo ciò che prima non c’era”. Es. di creazione: creazione del
pane, oggetto semplice ma tutt’altro che facile da realizzare. Creare implica osservare cose
presenti nel mondo e immaginare come potrebbero integrarsi con altre attraverso una
trasformazione per essere “ciò che prima non c’era”.

Il conflitto della contrapposizione invece non aiuta ad ascoltare i mondi possibili (Sclavi) che
le situazioni della realtà ci offrono: sono rifiutati in quanto minaccia.

Il conflitto del progetto, spesso molto acceso e serrato, è positivo: la presenza di una serie
di oggetti:

- Su cui confrontarsi (piano di progetto e sua descrizione della realtà)


- Da costruire (strutture organizzative, nuove relazioni, nuovi sistemi informativi)

Spinge le persone verso la concretezza operativa, colmando l’ansia paranoica generata,


principalmente, dalla sensazione di mancanza di riferimenti certi che il cambiamento
comporta.

9.4.2. Ansia primaria, secondaria, terziaria (Schein)

La cultura del gruppo contiene l’ansia (Schein). Durante il cambiamento, la cultura “vecchia”
del gruppo viene messa (almeno parzialmente) in discussione. Il progetto permette di ri-
costruire una cultura (composta da artefatti, valori e assunti di base), proprio attraverso
l’azione operativa. Per questo motivo, il cambiamento spinto da un motore costruttivo, in cui
lo stato B viene parzialmente progettato durante il progetto di trasformazione, è meno
traumatico, e ancora meno se è di tipo dialettico: questo binomio supporta in modo
eccellente la conflittualità positiva, anche se la trasformazione sarà più lenta.

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Per Schein esistono 3 tipi di ansie

1) Ansia primaria: paura di non saper interpretare i segnali complessi che la realtà ci
propone. Il progetto, aggregando un gruppo di persone, costituisce una microcultura
che contiene questo tipo di ansia, fornendo:
o Un filtro ai segnali esterni
o Una certezza di migliore interpretazione dovuta alla (se positiva) interazione
tra le differenze cognitive.
2) Ansia secondaria: paura conscia che nelle organizzazioni è tipicamente legata ai
ruoli. Nella trasformazione è legata alla difficoltà stessa del doppio ruolo richiesto a
ogni persona:
o Essere parte dell’organizzazione svolgendo i compiti operativi
o Essere attore della trasformazione almeno di se stessi.
Anche qui l’apporto del progetto, come forma di supporto all’aggregazione di un
gruppo e al confronto, risulta significativo.
3) Ansia terziaria: sofferenza generata dai propri comportamenti percepiti come non
adeguati; dolore generato dall’evitare l’ansia primaria che ci porta ad atteggiamenti
paradossali, come la negazione del vero e oggettivo. Pagliarani chiama questa
situazione anestesia in quanto le manovre di esitamento della fatica psicologica, per
esempio dell’apprendere compiti difficili o dell’ammettere un errore, portano nel
tempo a una sorta di limitazione delle emozioni. Egli propone come soluzione
l’educazione sentimentale: imparare a usare le sensazioni positive o negative come
elementi di sviluppo. Il progetto può essere di profondo aiuto: forzando il contatto con
le situazioni, scandendo i ritmi in modo opportuno, può aiutare a leggere la realtà con
continuità, senza fuggire in avanti o indietro (regressione), ma supportati dal fatto che
esistono una destinazione e, ancora di più, un metodo per navigare.

9.5. Progetto, gruppo e (meta-)comunicazione

Con La pragmatica della comunicazione umana, Watzlawick costruisce la sua teoria sulla
comunicazione umana fondata su 3 assiomi:

1) Non si può non comunicare


2) La comunicazione è sempre a 2 vie

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3) Oltre al livello del discorso – in cui gli individui o il gruppo discutono dell’oggetto
(per es., come costruire una struttura organizzativa) – esiste la meta-
comunicazione: un meta-livello in cui essi discutono delle relazioni: è una
comunicazione sulla comunicazione e sulla relazione. Non ha accezione positiva né
negativa.
o All’interno delle situazioni di conflitto, la meta-comunicazione può assumere
una dominanza: si comunica sugli oggetti per meta-comunicare sulle relazioni.
o Pur non essendo negativa, se la meta-comunicazione diventa dominante:
▪ Il discorso organizzativo scivola lentamente verso situazioni che,
anziché risolvere i paradossi che il cambiamento genera, ne generano
a loro volta.
▪ Tende ad aumentare la percezione di comportamenti asimmetrici, con
la conseguenza di un aumento dell’ansia paranoica.
▪ Il progetto strutturato – grazie alla spinta verso la costruzione guidata
dal confronto con quanto ideato alla luce del piano di progetto – fa sì
che il gruppo di agenti del cambiamento sia in grado di mitigare
fenomeni meta-comunicativi, riportando le persone al confronto sugli
oggetti prodotti, da produrre, da gestire.

Capitolo 10. Conclusioni

Cambiamento organizzativo: arte o scienza?

10.1. La consapevolezza situazionale

La criticità del cambiamento non è confinata a un danno economico a livello di “progetto


di cambiamento” fallito: le relazioni tra le persone o le funzioni danneggiate, il clima
aziendale orientato verso il sospetto e la mancanza di fiducia, l’autostima delle persone
danneggiata sono solo alcuni dei danni che perdureranno nel tempo, lasciando sul tappeto
dell’efficienza e dell’efficacia organizzativa una serie di minacce al cui eliminazione richiede
anni di sforzi.

Governare il cambiamento esige la stessa consapevolezza situazionale necessaria a


governare un processo operativo critico, quale per es. il pilotaggio di un aeromobile.
Adottando questa metafora, il gestore del cambiamento si trova nella scomoda situazione
di essere ai comandi di un aereo “in emergenza” continua.

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Istante dopo istante emergono:

- Elementi non considerati in precedenza


- Comportamenti che le persone mai avevano manifestato
- Alleanze imprevedibili
- Coraggio, paura
- Meschinità e magnanimità
- L’incertezza e l’incompletezza dei piani
- La volontà e la tenacia di costruire risultati e raggiungere obiettivi, sebbene spesso in
traiettorie non convergenti verso un’unica direzione, ma piuttosto verso una molteplicità
di percorsi differenti

Nei lavori critici si cerca di fonda l’azione sull’intersezione di 3 insiemi di coscienza:

S.A. = situational awareness, consapevolezza


situazionale

Fonte: Ispettorato Sicurezza Volo,


Aeronautica Militare

L’azione delle persone non può modificare il passato, ma può sortire un effetto su ciò che
stiamo vivendo nel “qui e ora” a condizione che si riesca a collegarlo con quanto accaduto
in precedenza. Se l’integrazione con il contesto è stata efficace, potremo addirittura costruire
una situazione positiva nel futuro.

Sia il mestiere del gestore del cambiamento che quello del pilota richiedono la medesima
consapevolezza situazionale. Nei prossimi paragrafi, ripercorreremo gli elementi concettuali
necessari per essere consapevoli.

10.1.1. Che cosa è successo in precedenza

- Cap. 1: organizzazione come sistema complesso; è necessario adottare modelli che ne


semplifichino la rappresentazione, ricordando però che “la mappa non è il territorio”.

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- Cap. 2: i modelli di interpretazione del cambiamento hanno introdotto le chiavi di lettura


per comprendere e schematizzare le modalità di variazione dell’impresa.
- Cap. 3: la cultura ci ha permesso di introdurre un metodo per comprendere la storia
dell’organizzazione e fare leva su di essa.

10.1.2. Che cosa sta succedendo

- Cap. 4: il modello task-comportamenti suggerisce come fondare l’azione del


cambiamento, classificando anche le 4 tipologie base di cambiamento progettuale.
- Cap. 5: le persone nel cambiamento ricevono spesso messaggi paradossali.

10.1.3. Che cosa potrà (e potrà → dovrà) succedere

- Cap. 6: i modelli decisionali offrono una chiave di lettura delle modalità per affrontare
l’incertezza.
- Cap. 7: il gruppo di persone diventa uno snodo chiave della costruzione del risultato, ma
può anche diventare la principale fonte delle resistenze (vedi anche cap. 9).
- Cap. 8: il metodo “del progetto”; un’interpretazione del project mgmt in ottica
comportamentale e sociale ci permette di identificare molti strumenti concreti per
costruire ciò che dovrà accadere.

10.2. Una check-list

La check-list, che va modificata durante il progetto, ha 2 scopi:

1. Sottolineare alcuni elementi da non dimenticare per governare il cambiamento.


Questo scopo è meno importante del secondo, in quanto gli elementi variano da
contesto a contesto, mentre così non è per la situational awareness.
2. Ricordarci che governare il cambiamento non è una cosa naturale né scontata, ma
ci mette a confronto con tutte le difficoltà tipiche della vita umana, sia individuale, sia
sociale e istituzionale. La situational awareness deve essere presente in tutti gli attori
organizzativi (non solo nel gruppo degli “agenti”). Essa permette almeno di
classificare ciò che accade (paura, fatica, rifiuto, incertezza) in un quadro organico.

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Check-list

Prima della partenza:


- L’obiettivo operativo generale del progetto è definito correttamente ed è chiaramente
comunicato?
- Il piano di progetto definisce, in modo chiaro e contestuale a tutti gli attori – gli obiettivi e
tutti gli elementi operativi individuali, compreso lo scenario finale?
- La realtà operativa del personale è compresa e condivisa dal gruppo di gestione del
cambiamento?
- La cultura aziendale e la “popolazione target” sono state accuratamente segmentate,
definendo adeguati processi di comunicazione e gestione del cambiamento per ciascun
gruppo?
- Lo stile di conduzione del progetto di cambiamento è adeguato alla cultura aziendale? Se non
lo è, è stato predisposto un piano di comunicazione accurato?
- È necessaria un’adozione, organizzazione, processo, sistemi informatici, tecnologie di
produzione ecc. da parte di tutta la popolazione aziendale?
- Le responsabilità sono state identificate e comunicate in modo chiaro e condiviso?

Ai controlli, durante il percorso:


- Ci si ricorda che la proporzionalità tra sforzi e risultati è “funzione” esponenziale del tempo?
- La strategia di gestione del processo di cambiamento è adeguatamente verificata ed
eventualmente adattata con un processo di “revisione della rotta”?
- Si sta mantenendo la coerenza nello stile di gestione del progetto di cambiamento o si fanno
modifiche non razionalizzate delle modalità comunicative, gestionali, dello stile di leadership,
ecc.?
- Si sta facendo adeguatamente leva sulla rete del cambiamento o si sta affidando il risultato a
“pochi capi straordinari” (rischio emozionale)?
- Il piano di progetto viene aggiornato e presidiato in modo da costituire una mappa condivisa
della rotta, sempre aggiornata e realistica (rischio burocratico)?
- È presidiata l’analisi di errori, problemi e scostamenti, con particolare attenzione alla
percezione dei segnali deboli, con una logica no blame culture?
- Viene presidiato e misurato il processo di apprendimento organizzativo, evidenziando in quale
delle 3 fasi (scongelamento, ristrutturazione cognitiva e ricongelamento) ci si trova di volta in
volta?

Durante la conclusione:
- Sono state definite con chiarezza le nuove modalità operative per tutti gli attori organizzativi
coinvolti?
- È stato definito il piano di comunicazione per confermare la chiusura del progetto?
- È stato predisposto un servizio per la gestione della fase di “messa a punto” quando il sistema
sarà in produzione?

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- È stato definito il modo in cui attuare eventuali azioni relative alla gestione del personale
riguardanti il progetto, quali la valutazione della prestazione nell’esecuzione del progetto, le
ricadute sul sistema MBO individuale e aziendale, ecc.?
- È chiaro chi, quando e come dichiarerà la fine del progetto e la transizione alla produzione di
routine?

10.3. Arte e scienza

Per “volare a vista” occorre conoscere il territorio, identificare punti facilmente riconoscibili
da utilizzare come “punti rotta”, conoscere la “mappa” e la sua relazione col “territorio”,
conoscere l’orografia, interpretare l’evoluzione delle condizioni meteorologiche, stimare il
vento e calcolare le “derive” che esso genera, essere addestrati all’osservazione
dell’orizzonte per identificare altri aeromobili …

Il gestore del cambiamento volerà a vista, pianificando con cura ma adeguando, momento
per momento, il suo piano al contesto. Dalla sua mappa – il piano del progetto di
cambiamento – risulterà così, progressivamente, un nuovo territorio: la progressiva
costruzione dello stato B a cui aspira, il quale non è riconducibile al disegno iniziale.

Quando avremo, in parte, realizzato ciò che dovrà succedere, prenderemo coscienza che il
cambiamento è sia arte che scienza; per Pirandello (Arte e Scienza, 1908):

- Ogni opera di scienza è scienza e arte, così come ogni opera d’arte è arte e scienza.
- L’armonia di ogni opera d’arte può essere scomposta dalla critica, che può scorgervi una
scienza, un insieme di leggi complesse, di calcoli senza fine, che l’artista ha concentrato
nella sua azione spontanea.

Parafrasando Pirandello, in questo libro il lettore forse avrà scorto alcuni elementi “di
scienza”: applicandoli a un progetto concreto scoprirà, passo dopo passo, che il suo
procedere nel complesso cammino del cambiamento organizzativo non fonda il progresso
solo sulla scienza, ma su un elevato numero di “calcoli senza fine” che egli ha
spontaneamente eseguito, integrando gli enormi limiti che la scienza, quando tratta di
persone, purtroppo ci mostra.

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