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PSICOLOGIA DEL

LAVORO E DELLE
ORGANIZZAZIONI

Martina Madaffari
LEZIONI PROFESSORESSA COLOMBO

INTRODUZIONE

L’obiettivo dello psicologo che studia il lavoro e le organizzazioni è in primo luogo l’analisi del
comportamento dei lavoratori, nelle sue componenti emotive, cognitive e sociali.
L’organizzazione (= qualsiasi realtà organizzata con un obiettivo lavorativo) è vista come “sistema
sociale” nel quale i membri condividono modi di pensare e di agire, è il “fare”, è un’organizzazione
vista come cultura (gli aspetti culturali che influenzano l’agire delle persone) e azione, in un
contesto sociale condiviso.
Lo psicologo del lavoro e delle organizzazioni è interessato ai temi inerenti la psicologia:
 del lavoro
 delle organizzazioni
 delle risorse umani

PSICOLOGIA DEL LAVORO


Si occupa dell’analisi psicologica dell’interazione tra l’individuo e l’attività lavorativa e si occupa
dei sentimenti delle persone, dei loro atteggiamenti, delle loro condotte e dei processi
sociopsicologici e prestazioni lavorative (= quindi come la persona vive il suo lavoro).
E quindi i seguenti temi: sicurezza lavorativa e rischi psico-sociali, interessi e valori individuali e
professionali, la motivazione, il benessere e la soddisfazione lavorativa, l’apprendimento delle
prestazioni e delle competenze, i percorsi di carriera.
Qui l’individuo è visto come un operatore addetto allo svolgimento di un compito che richiede
prestazione all’interno dell’organizzazione.
La psicologia dello sport pure ricade sotto la psicologia del lavoro, avendo comunque tante
tematiche in comune.
Anche la psicologia ergonomica subisce l’intervento degli psicologi del lavoro, poiché studia le
modalità di regolazione del rapporto uomo-macchina-ambiente.

PSICOLOGIA DELLE ORGANIZZAZIONI


Si è sviluppata negli U.S.A. come psicologia industriale e organizzativa (il rapporto del lavoratore
rispetto alla sua prestazione lavorativa, Tylorismo e Ford) e come Organizational Behavior implica
un’analisi psicologia del comportamento di individui e gruppi in relazione alla messa a punto e al
funzionamento delle organizzazioni. Studia il rapporto dell’individuo con l’organizzazione, dei
gruppi all’interno del sistema organizzativo.
E quindi i seguenti temi: il funzionamento del gruppo, la cultura e il clima organizzativo, la
leadership, la sostenibilità e responsabilità sociale, la comunicazione, la relazione lavoro-famiglia,
la psicologia dei consumi e del marketing, la gestione dele emergenze, la presa di decisione, il
cambiamento e lo sviluppo organizzativo, il conflitto e la sua gestione.
L’individuo è visto come un membro di una data organizzazione all’interno di un sistema di
interdipendenza con altri individui e gruppi (le dinamiche di gruppi, i conflitti, la qualità delle
relazioni con colleghi e il capo).

PSICOLOGIA DELLE RISORSE UMANE


Si occupa dell’analisi psicologica delle interazioni tra l’individuo e il contesto in cui opera (selezione
del personale, formazione, i processi di carriera, la socializzazione= una volta assunto viene fatta
una socializzazione al ruolo, viene guidato, gli viene spiegato come fare e i vari punti di
riferimento).
Tale analisi è centrata sulle caratteristiche dell’individuo e sulle relative metodologie di analisi e di
intervento per la gestione delle risorse umane in organizzazione.
E quindi i seguenti temi: la selezione del personale, la formazione azienda, i sistemi di
remunerazione, la socializzazione, la gestione dell’interfaccia lavoro-famiglia, gli avanzamenti di
carriera.
Qui l’individuo è visto come un elemento che fa parte temporaneamente di un sistema
organizzativo, con particolare attenzione alle fasi in cui l’interazione con l’organizzazione si
instaura, si consolida e finisce,

I PRINCIPALI INTERVENTI DELLO PSICOLOGO DEL LAVORO E DELLE ORGANIZZAZIONI


 La selezione del personale
1. Identificazione del fabbisogno e analisi della posizione di lavoro (analisi del lavoro =
processo sistematico che consiste nello scoprire la natura di un lavoro scomponendolo in
unità più piccole, processo che ha come risultato uno o più prodotti scritti che specificano
che cosa fanno le persone quando svolgono quel lavoro e di quali capacità hanno bisogno
per svolgerlo efficacemente).
2. Reclutamento
3. Screening iniziale (moduli di assunzione, referenze)
4. Selezione (test, interviste, metodi di gruppo)
5. Socializzazione
6. Training
7. Pianificazione della carriera
 La formazione aziendale (e la progettazione di un intervento formativo)
Si occuperà di fare formazione sui comportamenti organizzativi (= leadership, cambiamento,
relazioni, comunicazione).
La formazione rappresenta un momento di trasmissione e di acquisizione di un sapere tecnico-
professionale e psicosociale in ambito lavorativo (Maggi, 1988) e costituisce una delle
componenti del sistema di gestione del personale che, in rapporto alla pianificazione
aziendale, si propone di soddisfare le esigenze di un efficace funzionamento organizzativo,
assicurando che tutti i soggetti possano svolgere le funzioni e i compiti loro assegnati.
 Formazione per i neoassunti: socializzazione al ruolo
 lavorativa viene guidata a gestire per esso.
 Formazione per la mobilità: un passaggio di promozione o carriera
Per sviluppare competenze, conoscenze, abilità per assicurare lo svolgimento dei compiti, per
una presenza attiva ed efficace nel contesto organizzativo.
Le competenze si possono distinguere tra specifiche (legate al compito) e trasversali
(diagnosticare, affrontare, relazionarsi).
PROGETTARE LA FORMAZIONE
1. Analisi dei bisogni formativi
2. Definizione degli obiettivi
3. Progettazione del corso (contenuti e metodi)
4. Attuazione del corso
5. Valutazione dei risultati finali
Come si impara a fare formazione? Buttandosi e imparando, seguendo delle guide.
 L’orientamento professionale
L’orientamento consiste nel rendere l’individuo capace di prendere coscienza delle proprie
caratteristiche personali e di svilupparle in vista di una scelta delle attività professionali in tutte
le congiunture della sua esistenza.
L’obiettivo: aiutare qualcuno a interrogarsi su ciò che vuole essere per prendere una decisione
autonoma.
Le finalità: lo sviluppo dell’individuo e la sua capacità di far fronte alle transizioni biografiche.
Avviene il sostegno dei momenti di transizione secondo l’approccio del life space carreer
development (sviluppo della carriera nello spazio di una vita)
 La ricerca in organizzazione (per lo sviluppo organizzativo)
La ricerca in organizzazione rappresenta un’occasione di diagnosi aziendale e una pratica
essenziale per intervenire nei contesti organizzativi, con l’obiettivo di risolvere un problema o
impostare nuove pratiche gestionali.
Le problematiche derivano solitamente da ampie questioni globali o da fattori interni
all’organizzazione.
In tal senso, la ricerca in organizzazione si colloca nell’ambito del tema del cambiamento e più
specificamente dello Sviluppo Organizzativo.
L’organizzazione può avvalersi della ricerca per la risoluzione «del problema» con l’obiettivo
massimizzare il proprio vantaggio competitivo e la propria efficacia.
La ricerca in organizzazione è una successione processuale di operazioni per produrre risposte
a domande sulla realtà:
1. Contatto iniziale: si contatta il consulente
2. Analisi della domanda e alleanza con la committenza
3. Definizione della proposta progettuale (individuazione del disegno di ricerca), del
cronoprogramma (Gantt) e dell’offerta economica
4. Contratto con l’organizzazione
5. Comunicazione aziendale e avvio della ricerca (realizzazione delle fasi di ricerca)
6. Restituzione dei dati e definizione delle linee guida di intervento
LA RACCOLTA DATI
Termine utilizzato per indicare le operazioni che il ricercatore compie per ottenere l’evidenza
empirica sulla base svolgere l’analisi dei dati.
È maggiormente corretto asserire che i dati non sono “raccolti”, ma “costruiti” dal ricercatore
attraverso procedure di interpretazione e di attribuzione di significato.
I dati, infatti, non esistono al di fuori delle operazioni che il ricercatore compie alla luce di un
determinato quadro di riferimento teorico. Ciò che il ricercatore può “raccogliere” sono
informazioni che poi trasforma in dati.
La raccolta dati tra ricerca quantitativa e qualitativa:
Ricerca quantitativa
Ø organizzazione dei dati in matrice CxV (casi per variabili)
Ø ricorso alla statistica e all’analisi dei dati.
Usiamo:
 questionario
 test
 fonti statistiche ufficiali (dati secondari)
 diari
Ricerca qualitativa (es. ricerca etnografica):
Ø assenza della matrice dati
Ø il carattere informale delle procedure di analisi dei dati e assenza dell’uso della
statistica.
Usiamo:
 colloquio
 interviste (strutturate, semi-strutturate, narrative)
 focus group
 documenti, diari di bordo, documenti scritti, etc.
 osservazione
 La consulenza e il sostegno ai lavoratori
Il sostegno ai lavoratori in caso di difficoltà nella gestione di problematiche lavorative (legate al
rapporto con il lavoro, con i colleghi, con il capo) può avvenire sia in «individuale», sia «in
gruppo».
Il sostegno può realizzarsi sotto forma di incontri di counseling= intervento specifico in ambito
sociale e sanitario, distinto dalla psicoterapia.
Il counseling nasce intorno agli anni ’40 ad opera di Carl Rogers (terapia centrata sul cliente)
dell’Università di Chicago e Rollo May dell’Università del Michigan.
Già dal suo esordio, il counseling presenta connotazioni di intervento specifico di aiuto in
ambito sociale e sanitario, con caratteristiche tali che permettevano di distinguerlo dal social
work e dalla psicoterapia.
Per l’APA (American Psychological Association), il counseling indica le attività psicologiche
connesse all’orientamento e allo sviluppo personale.
Il consulente prende la persona qui ed ora e lo traghetta verso un obiettivo futuro (lavoro di
sostegno), la differenza con lo psicoterapeuta che fa un lavoro di cura.
Counseling ambiti di intervento:
Ø l’orientamento scolastico-professionale (scelta del percorso di studi, scelta di entrare nel
mondo del lavoro);
Ø l’orientamento professionale (sviluppo di carriera, sviluppo degli interessi professionali,
interventi per favorire le decisioni professionali);
Ø lo studio della personalità, indirizzando l’attenzione al vissuto emotivo, ai valori personali,
all’occupazione professionale e alle relazioni interpersonali del cliente (ambito
psicoterapeutico del counselling);
Ø la promozione della salute e per gli interventi preventivi in ottica di comunità. Questo
ambito di intervento è legato alla nascita della Psicologia della salute che prende le
distanze da un’ottica centrata sulla malattia in favore di un’ottica orientata alla promozione
della salute e del benessere della persona.
La psicologia del counselling si occupa delle persone che necessitano di compiere degli
“aggiustamenti” nella loro vita.
Si tratta di fornire aiuto nella consapevolezza che l’aiuto non può che essere contestualizzato
all’interno del mondo personale e non può consistere in una soluzione precostituita
dall’esterno.
L’enfasi è posta su:
 prevenzione
 salute mentale
 sviluppo delle potenzialità personali
 interventi brevi
 interazioni persona-ambiente
 sviluppo della persona nelle diverse fasi
COUNSELING E PSICOTERAPIA: QUALE E’ IL CONFINE?
Nel counseling il focus è sulla salute del cliente e sul suo funzionamento adattivo. Ha come ottica
privilegiata e punto di partenza le condizioni di benessere portate dalla persona insieme alle sue
difficoltà.
Nella pratica psicoterapeutica si procede concentrandosi e rintracciando ciò che è patologia per
favorire il cambiamento. Costituisce un intervento di cura e di riabilitazione che parte anche dalla
ricognizione del malessere dell’individuo per approdare al benessere.
Sui confini operativi tra counseling e psicologia, il tribunale di Milano, con la sentenza n.
10289/2011, si è pronunciato sull’applicabilità dell’art. 21 del codice deontologico degli psicologi:
“Lo psicologo, a salvaguardia dell’utenza e della professione, è tenuto a non insegnare l’uso di
strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo, a soggetti estranei alla
professione stessa, anche qualora insegni a tali soggetti discipline psicologiche. È fatto salvo
l’insegnamento agli studenti del corso di laurea in psicologia, ai tirocinanti, ed agli specializzandi in
discipline psicologiche”.

PSICOLOGIA DEL LAVORO VS PSICOLOGIA CLINICA


In generale, la psicologia del lavoro e delle organizzazioni utilizza i modelli e le teorie della
psicologia e li applica all’ambiente di lavoro per:
Ø favorire sia il benessere delle persone che lavorano, sia il massimo vantaggio per
l’organizzazione per cui lavorano;
Ø migliorare le condizioni psicologiche, la motivazione e i rapporti tra i diversi soggetti
coinvolti, all’interno e all’esterno dell’organizzazione.
L’ambiente di lavoro rappresenta un ideale oggetto di studio in quanto costituisce un contesto
artificiale connotato da regole, strutture e obiettivi misurabili.
MA:
le regole e le logiche del mondo del lavoro non sono sempre razionali e comprensibili;
la realtà lavorativa non è sempre il luogo di coerenza: nel suo funzionamento non possiamo
escludere l’azione delle emozioni e dell’irrazionalità;
lo studio e l’intervento di uno psicologo all’interno degli ambienti lavorativi non può essere
limitato allo sviluppo di un’attitudine o alla facilitazione dei processi organizzativi.
La psicologia dovrebbe quindi analizzare, interpretare e comprendere le dinamiche, talora
inconsce, che agiscono negli ambienti di lavoro.
COME?
Attraverso una fusione tra le due macroaree della psicologia: quella delle organizzazioni e quella
clinica.
Solo attraverso questa fusione disciplinare è possibile andare oltre una visione razionale e
strutturale del mondo del lavoro ovvero una visione che considera le aziende come ambienti
razionali e i lavoratori come persone che possono ottimizzare ogni fase dei processi lavorativi
migliorando la produttività e il loro benessere.
Le organizzazioni, come gli individui, sono caratterizzati da aspetti irrazionali e inconsci che non
possono trovare posto in una visione razionale strutturale delle organizzazioni.
Il ruolo dello psicologo clinico del lavoro potrebbe essere riassunto come quello di uno specialista
dell’ambito clinico in grado di leggere le dinamiche disfunzionali che portano allo sviluppo della
patologia psichica all’interno di un ambiente di lavoro, riconoscendone al contempo i complessi
intrecci relazionali e le spinte motivazionali.
Lo psicologo clinico del lavoro si occupa dell’intera organizzazione intesa come «entità» dotata di
una personale struttura a cui si collegano resistenze, conflitti e spinte irrazionali.

IL CAMBIAMENTO E LO SVILUPPO ORGANIZZATIVO


Come mi devo comportare quando sono davanti ad una proposta di cambiamento?

Quali sono le spinte al cambiamento? Che portano le organizzazioni a dover gestire il tema del
cambiamento; in alcuni casi le aziende cercano consapevolmente di mettere in atto un
cambiamento perché necessario, e sono
legate alle spinte interne e individuali
(sono più meditate e organizzate, si ha
tempo di perfezionare le proposte e i vari
passaggi). Le altre sono le spinte esterne,
che non sono prevedibili, non controllare
dalle organizzazioni e sono più rischiose e
meno desiderabili.

DEFINIZIONI
 “Il cambiamento è un fenomeno
che ha un aspetto tecnico e uno sociale” (Lawrence, 1954)
 “il cambiamento è mutamento dei ruoli e delle relazioni proprie dei ruoli e quindi anche
delle mansioni e dei rapporti personali di coloro che li esplicano” (Rice, 1963)
 “il cambiamento è un processo volontario e collaborativo per risolvere un problema o, in
via più generale, per programmare e attuare un miglior funzionamento
dell’organizzazione” (Bennis, 1969)
 “il cambiamento ha come risultato il conseguimento di nuove modalità di azione, di nuovi
valori e atteggiamenti per significativi gruppi di individui, membri dell’organizzazione”
(Schein, 1970)
 “il cambiamento è trasformazione di un sistema d’azione […] una operazione che mette in
gioco la capacità di gruppi diversi, impegnati in un sistema complesso, a collaborare in
modo diverso nella stessa azione […] una scoperta e una costruzione umana […] la rottura
di circoli viziosi già istituiti” (Crozier e Friedberg, 1977)
 “il cambiamento induce maggior interesse e coinvolgimento per orientare e gestire
interventi finalizzati a trasformare e sviluppare l’organizzazione, e aumenta l’esigenza e il
bisogno di disporre di strategie efficaci coerenti con sempre più impegnative sfide di
cambiamento” (Beckard e Harris, 1977)
 Gli studi sul cambiamento organizzativo possono essere definitivi come “dei processi
dinamici ed evolutivi delle culture, delle strutture, delle strategie e dei gruppi di potere
nelle organizzazioni” (Fraccaroli, 1998)
 Il cambiamento organizzativo “può essere letto come l’adozione da parte di
un’organizzazione di una nuova idea, intenzione o comportamento” (Daft e Noe, 2001)
 Il cambiamento organizzativo può essere definito come “il movimento di un’organizzazione
dal presente stato a uno stato futuro/desiderato per aumentare la sua efficacia” (George e
Jones, 2002).

IL CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO
Il cambiamento organizzativo, laddove sia inteso come un atto finalizzato e deliberativo, è
caratterizzato da un “passaggio di stato” dell’organizzazione, da uno stato A a uno stato B. Questa
transizione è collocata in un’unità di tempo: da un presente t1 a un futuro più o meno prossimo t2
(= quindi si analizzerà tramite uno studio longitudinale).
In questa transizione ci sono gli elementi sociali (attori organizzativi) e apparati tecnici (obiettivi,
compiti, strumenti, disegno strutturale).
Il cambiamento nelle organizzazioni provoca anche un cambiamento dello stile di vita in generale,
quando bisogna gestire i cambiamenti, quindi, vanno gestiti anche le resistenze delle persone la
cui vita viene toccata da questo cambiamento.
Noi in quanto esseri umani tendiamo alla stabilità, all’equilibrio e quindi tendiamo a resistere al
cambiamento.

• TIPI DI CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO


 PIANIFICATO = È il risultato di uno specifico sforzo da parte di agenti di cambiamento ed è
la risposta alla percezione di una discrepanza in termini di prestazione tra uno stato
desiderato e lo stato presente.
 NON PIANIFICATO= Accade spontaneamente e in modo casuale. In presenza di questo tipo
di cambiamento è necessario minimizzare gli effetti negativi e potenziare ogni ottenibile
beneficio.
La denominazione cambiamento organizzativo si riferisce a mutamenti pianificati e deliberati
compiuti per modificare il corso di azioni e decisioni organizzative.
Il cambiamento è quindi un atto intenzionale in cui si combinano capacità diagnostica e abilità
tecnica. Non sempre però il cambiamento nelle organizzazioni è prevedibile con anticipo o
comunque “libero” da vincoli interni ed esterni.

• COSA CAMBIA NELLE ORGANIZZAZIONI?


Ø Nelle strutture e nelle strategie organizzative= cambiamenti nel sistema di ricompense, di
controllo, di coordinamento, nelle caratteristiche strutturali e negli obiettivi strategici.
Ø Nei processi di lavoro e nell’ambiente lavorativo= programmi a favore del benessere e
della qualità di vita dei lavoratori; di progettazione dei processi di lavoro; di valorizzazione
del potenziale delle persone.
Ø Nella cultura organizzativa= cambiamenti nei valori, nelle norme, negli atteggiamenti, nelle
credenze e nei comportamenti degli attori organizzativi.

IL CAMBIAMENTO SECONDO KURT LEWIN


Il primo modello teorico di riferimento è quello proposto da Lewin negli anni Cinquanta che
propone un modello dinamico del comportamento dei gruppi che punta l’attenzione sulla
tendenza a mantenere uno stato di equilibrio costante nel tempo (omeostasi), anche in presenza
di spinte al cambiamento.

Lo psicologo americano definisce il cambiamento, innanzitutto, come una temporanea instabilità


che agisce sull’equilibrio esistente e propone il suo modello come una teoria della stabilità più che
non del cambiamento.
IL CAMBIAMENTO SECONDO LUSSIER
Nel 1996 Lussier propone il suo modello di cambiamento integrandolo a quello di Lewin, ritenuto
eccessivamente generico per una comprensione e una spiegazione approfondita del cambiamento
organizzativo.
Il modello proposto da Lussier si sviluppa in cinque fasi che mettono in evidenza più puntualmente
gli aspetti gestionali del cambiamento.

IL CAMBIAMENTO SECONDO L’APPROCCIO SISTEMICO


L’approccio sistemico è basato sull’assunto che ogni tipo
di cambiamento ha un impatto a cascata all’interno
dell’organizzazione.
Il modello sistemico è caratterizzato dall’azione congiunta
di tre componenti in interazione.
LE REAZIONI AL CAMBIAMENTO
Le azioni di cambiamento organizzativo generano negli individui un’ampia gamma di emozioni che
possono andare dal senso di liberazione da una situazione ritenuta insostenibile, a quello di
depressione e addirittura di umiliazione.
Gli individui supportano il cambiamento, oppure mettono in atto resistenze e difese a seconda del
tipo di risposta che danno a queste domande:
Ø Conosco e comprendo la natura del cambiamento?
Ø Sono d’accordo con le opportunità che sembra offrire?
Ø Ho fiducia in colui/coloro che lo promuovono?
Ø Il cambiamento, in termini di valore, rappresenta per me un guadagno o di perdita?
Ø Rispetto alla mia situazione personale, ai miei valori e ai miei atteggiamenti, come lo
“sento”, lo percepisco e lo valuto?

EXCURSUS DA “CAOS CALMO”


Samuele: La seconda cosa che volevo dirti è che questa fusione è veramente un suicidio. Un errore
enorme. Ma non solo per le ragioni che ho cercato di spiegare in quel, non so come chiamarlo, in
quel documento che ti ho fatto leggere l'altra volta. A prescindere da quelle ragioni, che
riguardano tutte le fusioni, io dico proprio che questa fusione, così com'è concepita, è un errore
madornale. Vuoi sapere perché?
Pietro: Sì
Samuele: Allora segui il mio ragionamento. Abbiamo due grandi gruppi industriali, giusto? Uno
europeo e uno americano, che hanno deciso di fondersi. Quello europeo è posseduto da un certo
numero di banche, di società e di singoli investitori, ed è controllato da Boesson; quello americano
è controllato e posseduto da una singola famiglia, al cui vertice c'è Isaac Steiner. Ovviamente
questo intento di fondersi presuppone l'esistenza di un tornaconto comune, in ragione del quale si
ipotizza che entrambi i gruppi, quello di Boesson, che d'ora in poi chiamerò Noi, e quello di
Steiner, che chiamerò Loro, alla fine del processo ci guadagneranno. Le cose che ho scritto giorni
fa, e che tu hai letto, confutano proprio questo assunto, cioè sostengono che la ricchezza generata
dalla fusione, se si considera tutto, sarà inferiore a quella che veniva generata dai due gruppi
originari; ma ormai la fusione verrà fatta e dunque il punto non è questo. Il punto è che quando
due colossi come Noi e Loro si fronteggiano, anche solo per fondersi nel miraggio di un guadagno
comune, uno dei due finisce per prevalere sull'altro. Nonostante ci si metta laboriosamente
d'accordo per evitarlo, l'idea del Noi e del Loro sopravvive, non verrà mai completamente
eliminata. Potrà scomparire al nostro livello, ma non scompare certo al livello di Steiner e Boesson:
loro due non potranno mai fondersi, loro due rimarranno sempre Io e Lui. Mi segui?
Pietro: Sì
Samuele: In pratica è da questo che proviene l'espressione, tecnicamente senza senso, di vincere
una fusione: per quanto tecnicamente senza senso, infatti, quest'espressione è giustificata, dato
che abbiamo a che fare con due esseri umani mossi da un'ambizione smisurata, e alla fine della
fiera uno dei due controllerà l'altro. Seppur di poco, seppure ad altezze siderali, uno starà sotto e
uno starà sopra. Bene. Ora, è noto che nel nostro caso, per utilizzare quell'espressione
tecnicamente insensata, la fusione la vinceremo Noi. È vero o no? Risulta anche a te, no?
Pietro: Sì
Samuele: Bene. Ciò significa che, indipendentemente da quel che accadrà a tutti gli altri
duecentomila e rotti dipendenti del gruppo risultante, alla fine Boesson dovrà stare sopra a
Steiner. Effettivamente sopra, intendo. Be', scordiamocelo. Ho avuto modo di studiare i dettagli
della fusione, quei documenti che da mesi vengono negoziati, discussi, limati, approvati, rimessi in
discussione, rinegoziati, riapprovati eccetera per dar luogo a quella che sarà la struttura finale, e ti
dico che non sarà così. Non vinceremo Noi, vinceranno Loro. Anche se alla fine le cariche più
importanti le ricoprirà Boesson, a vincere sarà Steiner, e sai perché? Per il canone che è stato
scelto, Pietro: il modello strutturale…
Pietro: qui il discorso diventa complicato, perché fa una pausa. Poi, constatando che non gli faccio
nessuna domanda, prosegue…
Samuele: Vedi, si dà il caso che sia Boesson sia Steiner siano conosciuti come persone religiose.
Boesson cattolico, Steiner ebreo; Boesson per la sua vita super-morigerata, la sua strettissima
osservanza quotidiana, la messa ogni mattina, il digiuno il venerdì, eccetera – insomma, le cose
che sanno tutti; e Steiner, benché dissoluto, per il noto, storico impegno che si è assunto di
ottenere la restituzione dei beni sottratti agli ebrei durante il nazismo. Ognuno a suo modo,
dunque, i due grandi capi sono i campioni delle rispettive religioni. Due religioni diverse, mi
spiego? Ognuna con un proprio canone: gerarchico e immutabile quello ebraico, elastico e
complesso quello cattolico. Be', secondo te a quale dei due modelli si ispira la fusione?
Pietro: si arresta, mi guarda, ma è chiaro che non vuole la mia risposta. Sta solo spizzicando un po'
prima di calare il punto…
Samuele: A quello ebraico, Pietro, non a quello cattolico. Quando Boesson sarà Dio in terra,
pédégé del più grande gruppo di telecomunicazioni del mondo, sarà il Dio del suo nemico. E allora
avrà perso. Per vincere sul serio questa fusione doveva strutturarla in un altro modo, doveva
seguire il canone cattolico
Pietro: E quale sarebbe?
Samuele si illumina, visibilmente soddisfatto della risposta che sta per dare. Poi unisce gli indici e li
muove lentamente nell'aria, disegnando un triangolo
Samuele: La Trinità, Pietro: Padre, Figlio e Spirito Santo
tocca con la punta dell'indice destro i tre vertici del triangolo, e ora è proprio come se il triangolo
fosse qui davanti a noi, appeso a mezz'aria dai suoi tocchi.
Samuele: Per sé non doveva progettare lo scranno più alto di tutti, quello del Dio vecchio e
solitario degli ebrei. Doveva progettare tre scranni alla stessa altezza: uno per lo Spirito Santo,
divinità neutra e senza poteri, che non conta; poi uno per il Padre e uno per il Figlio. E poiché
sappiamo tutti che fine fa il Figlio. Anziché la propria onnipotenza Boesson avrebbe dovuto
progettare la contesa con Steiner per il ruolo del Padre. Una contesa da consumarsi lentamente,
ogni giorno, con pazienza, umiltà, disciplina, lasciando a Steiner la convinzione di poter prevalere,
senza però dargliene il tempo: perché ha settant'anni, Steiner, e tre by-pass, ed è un bevitore, un
donnaiolo, un fumatore di sigaro, mentre Boesson ha quarantacinque anni, è astemio e gode di
ottima salute. Bastava sederglisi accanto, Pietro. Non sopra: accanto. Aspettare un po', e un bel
giorno al posto di Steiner si sarebbe seduto il figlio di Steiner. Il Figlio, per l'appunto... Allora sì, che
avrebbe vinto.
LE REAZIONI AL CAMBIAMENTO
Le risposte ai precedenti interrogativi condizionano le possibili reazioni dell’individuo di fronte al
cambiamento.

• QUALI SONO LE RESISTENZE AL CAMBIAMENTO?


Ø Da parte dell’individuo= incertezza e insicurezza, abitudini e routine, selezione percettiva
delle informazioni
Ø Da parte del gruppo= dinamiche di potere e di conflitto, struttura organizzativa
burocratica, cultura organizzativa (commitment e decisioni di gruppo)

• QUAL È L’ORGINE DELLE RESISTENZE AL CAMBIAMENTO?


Partendo dal fatto che le resistenze sono un fatto “naturale” associato al cambiamento, è
necessario saperle affrontare in modo adeguato.
Per affrontare in modo strategico le resistenze è fondamentale, innanzitutto, individuare la loro
origine, distinguendo le manifestazioni e le conseguenze.
Le resistenze al cambiamento possono essere rivolte:
 al cambiamento stesso= l’oggetto del cambiamento è l’oggetto della resistenza
 alle strategie di cambiamento= i modi utilizzati per gestire il cambiamento
 agli agenti di cambiamento= resistenza a chi promuove il cambiamento

• COME SI MANIFESTANO LE RESISTENZE?


GUIDARE IL CAMBIAMENTO IN ORGANIZZAZIONE
La guida verso il cambiamento è opera degli agenti di cambiamento che possiedono le giuste
competenze, le abilità e il potere per guidare e facilitare il cambiamento.
Gli agenti di cambiamento si interessano dell’efficacia organizzativa, quindi dello sviluppo e del
progresso tecnologico, strutturale e di compito e presidiano in modo particolare i rapporti
interpersonali o di gruppo.
Gli agenti di cambiamento possono essere, rispetto all’organizzazione:
 Interni: individui che occupano posizioni di leadership e che possiedono le competenze
necessarie per realizzare il cambiamento desiderato
 Esterni: consulenti/ricercatori professionisti che mettono a disposizione le loro
competenze per guidare il cambiamento pianificato

VERSO IL CAMBIAMENTO PIANIFICATO


Lo sviluppo organizzativo (OD) è un’azione pianificata, guidata dal vertice, che coinvolge l’intera
organizzazione e si pone lo scopo di accrescere l’efficienza organizzativa mediante interventi
pianificati.
Molte delle attività di OD fanno affidamento sulla ricerca azione come progetto di pianificazione
del cambiamento attraverso l’uso sistematico dei risultati della ricerca come effettivo intervento.
ESSERE IN RETE: I VANTAGGI E SVANTAGGI DELLA CONNESSIONE

ESSERE CONSUMATORI DI INTERNET

L'abuso nell'utilizzo delle informazioni disponibili in rete può portare:


- a un sovraccarico cognitivo che riduce l’attenzione
- alla creazione di un circolo vizioso: lo stare molte ore su internet comporta isolamento
sociale, l’isolamento sociale sostiene il ricorso a internet per cercare occasioni di
socializzazione virtuale
- alla sperimentazione di parti di sé, lati della propria identità sperimentabili esclusivamente
nella socializzazione virtuale
- all’esperienza di solipsismo telematico cioè la propensione a vivere il web come un rifugio
per trovare sollievo da problemi quotidiani.

• ATTENZIONI ALLE ILLUSIONI DELLA RETE


La rete può portare a una serie di illusioni legate:
- alla sensazione di onnipotenza, come vincere le distanze e il tempo, o cambiare perfino
identità e personalità
- alla possibilità di sperimentare emozioni intense, sentendosi al contempo protetti
- alla possibilità di realizzare discorsi paralleli attraverso le chat
- sensazioni di appartenenza grazie alle community (=in un mondo parallelo)

LE NUOVE DIPENDENZE
Negli ultimi anni si parla, sempre più frequentemente, di new addictions (nuove dipendenze).
Secondo la Società Italiana Intervento Patologie Compulsive (S.I.I.Pa.C) sono classificabili come
new addictions le forme di dipendenza che non prevedono l’assunzione di sostanze chimiche,
come ad esempio il gioco d’azzardo, il sesso, lo shopping, i social, le chat, lo smartphone, il cibo, lo
sport, i videogiochi, le serie TV.
L’oggetto della dipendenza è in questo caso un comportamento o un’attività spesso considerati
leciti e socialmente accettati. Le new addictions si definiscono dipendenze comportamentali
presenti nella vita, che ne influenzano la salute e l’identità personale (Lawman, 1993).

La dipendenza è un evento molto complesso che coinvolge l’intera sfera individuale: le esperienze,
i vissuti e la personalità.
La dipendenza presenta le seguenti caratteristiche (Guerreschi, 2009):
Ø è patologica
Ø è connessa con una trasformazione del funzionamento della capacità di gratificazione e con
una limitazione degli elementi da cui il soggetto trae benessere
Ø è caratterizzata da una spinta compulsiva
Ø è in relazione con l’oggetto da cui non si riesce ad allontanarsi

LA DIPENDENZA DA INTERNET
Internet comporta un nuovo modo di comunicare e di pensare, per questo può favorire
l’insorgenza di fenomeni sociali (dovuti a relazioni web-mediate) e clinici degni di essere osservati.
La dipendenza da comportamenti presenta sul piano clinico alcune caratteristiche in comune con
le dipendenze da sostanze:
 la ripetitività comportamentale
 uno stato d’animo di tensione anticipatoria nell’attesa della soddisfazione
 una gratificazione, una sorta di “scarica” di piacere a seguito della soddisfazione
 un’esperienza di craving (desiderio impulsivo per una sostanza o un oggetto-
comportamento)
 l’implicazione di strutture e circuiti cerebrali che regolano la tolleranza e l’astinenza, come
anche il meccanismo di piacere/rinforzo
 difficoltà a gestire l’auto-controllo
 scarsa libertà comportamentale nei confronti del comportamento/oggetto della
dipendenza
 Pensiero ossessivo nei confronti del comportamento/oggetto della dipendenza
 l’immersione nell’attività talora impulsiva è fonte protratta di piacere ed è ricercata come
bisogno da soddisfare
 spesso vi è colpa, dopo il soddisfacimento; spesso il comportamento crea problemi della
funzionalità psicosociale e lavorativa o di studio.
Secondo Valentini e Biondi (2016) una questione fondamentale da affrontare è la seguente:
Dove finisce la dipendenza fisiologica, normale, egosintonica che è e parte di una comune vita
vissuta con i suoi piaceri e dove comincia il disturbo, la vera e propria dipendenza? Come andrà a
evolversi il concetto di dipendenza comportamentale in un mondo sempre più digitalizzato e
indirizzato alla legittimazione di tanta, varia ricerca del piacere personale come norma
psicologica?
Un'altra importante distinzione associata alla rete-dipendenza riguarda le condizioni (Cantelmi,
Talli, 1998):
- on line = abuso del tempo in rete, in genere anche 60-70 ore settimanali;
- off line = sintomi di ansia e irrequietezza, problematiche relazionali, lavorative o
scolastiche che permangono tra un collegamento ed un altro.

LE TECNOLOGIE E IL MONDO DEL LAVORO


Nell’ambito della psicologia del lavoro si parla sempre più spesso dei rischi da tecnostress, lo stress
legato all’uso eccesso delle tecnologie per motivi lavorativi.
Il diritto alla disconnessione è una misura importante per promuovere il benessere dei singoli e
dell’organizzazione, anche sul fronte della sua efficacia ed efficienza.
• GLI EFFETTI NEGATIVI DELL’IPER-CONNESSIONE AL LAVORO
L’essere connessi al lavoro attraverso le tecnologie, oltre l’orario di lavoro:
 limita le attività di recupero necessarie per il benessere
 accresce il conflitto tra lavoro e resto della vita
 produce effetti negativi sull’equilibrio tra lavoro e famiglia
 può ridurre il coinvolgimento e la partecipazione alla vita sociale e politica (informarsi,
interagire, comprendere, scegliere)
 può contribuire a generare forme di dipendenza dal lavoro (workaholism) e ad accrescere
la conflittualità organizzativa
• RIMEDIO PER IL TECNOSTRESS?
Distacco psicologico, controllo del tempo libero, impegno in attività diversi da quelle del lavoro
• GLI EFFETTI DI UNA VACANZA
Durante una vacanza la salute e il benessere aumentano rapidamente e raggiungono livelli ottimali
attorno all’ottavo giorno: in accordo con altri studi, serve qualche tempo per «uscire» da un
periodo stressante.
MA… l’effetto di una lunga vacanza svanisce quasi subito, dopo il primo giorno di rientro al lavoro
(e.g. Gilbert and Abdullah 2004; Lounsbury and Hoopes 1986; Westman and Etzion 2001). 
LA LEADERSHIP

• CHE COSA FAREMMO SE CI CAPITASSE DI VINCERE LA LOTTERIA?


I tedeschi, almeno a dar credito ad una notizia giornalistica dell’estate (apparsa su La Stampa),
hanno un pensiero sopra tutti: quello di sbarazzarsi del loro capo. La fantasia è incalzante:
qualcuno gli direbbe finalmente tutto quello che pensa di lui, qualcun altro gli «ruberebbe» la
moglie, e qualcun altro ancora esagererebbe comprandosi l’azienda o licenziandolo in tronco.
Riportando questa notizia, Gian Piero Quaglino nella prefazione all’edizione italiana di Leader,
Giullari e Impostori di Manfred F.R. Kets de Vries (1995), si chiede “Quanto odio si nasconde nelle
pieghe della vita organizzativa? Quanta frustrazione, quanta sofferenza, quanta «malattia»? E
come si vive tutti i giorni con queste fantasie di rivincita, con questi sentimenti di disprezzo, con
questa violenza trattenuta nei confronti della cosiddetta «gerarchia», del cosiddetto «capo»?”

ETIMOLOGIA DELLA PAROLA E PRIME DEFINIZIONI

La parola leader (oxford english dictionary) compare nel XIII sec., mentre leadership compare nella
prima metà del XIX secolo, per indicare l’influenza politica e il controllo del parlamento inglese.
Il verbo inglese to lead significa “condurre” (dal latino cum = insieme e ducere = tirare, trarre).
Nell’antico germanico, da cui il verbo deriva, il significato principale era andare.
Etimologicamente to lead significa: ANDARE PER PRIMO è colui che da l’esempio, si espone, ma
esiste solo se ha un seguito ovviamente.

Il tema della leadership diventa centrale negli studi della psicologia del lavoro e delle
organizzazioni a partire dalla metà del Novecento.
Sono numerosi i contributi teorici sul tema della leadership e si deve a Bass (1990) il merito di aver
sistematizzato la grande dispersione e frammentazione di questi studi (= è molto diffuso come
argomento anche non a livello scientifico poi).
In letteratura sono molteplici le definizioni di leadership; in generale, è possibile definire la
leadership come l’azione di avere seguito e di conseguire i risultati.
Centrale quindi è la relazione con i follower, a cui si legano i concetti di integrità, fiducia e
giustizia.

La difficoltà di fornire una definizione esaustiva di leadership si lega alla confusione spesso
esistente tra leadership e management. In termini generali:
Ø la leadership è una relazione d’influenza tesa a realizzare significativi cambiamenti (=
quando parliamo di cambiamenti in organizzazione allora parliamo di leader)
Ø il management è una relazione di autorità finalizzata a produrre e vendere beni e/o servizi
come esito di un’attività coordinata (= è più un aspetto commerciale e gestionale)

Da tutte le definizioni di leadership tratte dalla letteratura organizzativa emergono


sostanzialmente 2 aspetti “chiave”:
 gli obiettivi= possono essere più o meno ampi
 le persone= attenzione a queste, ai followers

Manager Leader
Orientamenti Pianifica e gestisce il budget Crea visione e strategia
Scopi Organizza e sceglie i collaboratori, Costruisce e consolida una cultura
dirige e controlla, crea confini condivisa, sostiene la crescita dei
gerarchici collaboratori, riduce i confini
gerarchici
Relazioni Dedica attenzione agli oggetti, alla Dedica attenzione alle persone,
produzione/vendita di beni e servizi ispira e motiva i follower, agisce
[Sistema] come coach e facilitatore
[Cultura]
Risultati Mantiene la stabilità [Potere di Guida il cambiamento [Potere
posizione] personale]

• SCENE DI LEADERSHIP

Il Diavolo veste Prada


Miranda giunge a New York dopo la laurea e trova lavoro come assistente di Miranda Priestly,
direttrice di una delle più conosciute riviste di moda. Un posto da sogno, se non fosse per il
carattere del suo capo, che sa renderle la vita un inferno.

L’Ultima Tempesta
Il film, tratto da una storia vera, è la riproduzione esatta di quello che accadde la notte del 18
febbraio 1952 durante una terribile perturbazione che colpì il New England. La SS Pendleton, una
petroliera T-2 diretta a Boston, venne spezzata in due e 30 marinai rimasero intrappolati, in bilico
tra la vita e la morte in attesa di essere tratti in salvo.

LE TEORIE

• LA TEORIA “DEL GRANDE UOMO”


Alla base di queste teorie sulla leadership c’è l’idea che alcune persone possiedano caratteristiche
(tratti, abilità, motivazioni) che li rendono «leader naturali» (Daft, 1999).
Quali sono, in base a questi studi, le caratteristiche che fanno di un individuo un «leader
naturale»?
• Lealtà • Persistenza
• Autostima • Estroversione
• Mascolinità • Socialità
• Iniziativa • Prontezza
• Adattabilità • Dominanza
• Conservatorismo

Dagli studi di Stogdill (1948) e di Mann (1959) è emerso che il valore della personalità nel rendere
conto della riuscita del leader appare limitato; cioè queste teorie non sono state confermate.
• TEORIE BASATE SUL COMPORTAMENTO
Queste teorie partono dagli studi di Lewin, Lippitt e White svolte negli anni Quaranta in tema di
leadership, clima di gruppo e performance.
Nel loro famoso studio, misero a confronto tre stili di conduzione dei gruppi:
- conduzione basata su una leadership autoritaria= c’è una persona che da ordini
- conduzione basata su una leadership democratica= c’è più interazione
- conduzione basata su un leadership laissez-faire= c’è uno scambio più caotico
Questo studio ha contribuito a spostare l’attenzione dallo studio dei tratti a quello dei
comportamenti che comportamenti mette in atto come leader?

SVILUPPO DELLE TEORIE SULLA LEADERSHIP


Tra la fine degli anni ‘50 e la fine degli anni ‘70 i modelli teorici sviluppano un’analisi dei differenti
stili di conduzione nelle relazioni capo-collaboratore per individuare i caratteri e le “regole” dello
stile di leadership più efficace.
Sono tre i contributi che si segnalano come più significativi in questo periodo:

Ø LO STILE DI DECISIONE DEL CAPO di Tannenbaum e Schmidt (1958)

Ø LA GRIGILIA MANAGERIALE di Blake e Mouton (1964)


Ø LA LEADERSHIP SITUAZIONALE Hersey e Blanchard (1982).

LA SVOLTA NEGLI ANNI 80

Il 1985 è l’anno di svolta degli studi: a causa di un cambiamento del contesto segnato da
un’accelerazione della competitività, la leadership che si afferma non è più per la sua capacità di
rispondere alla situazione ma per la sua abilità di anticipare l’azione.
Si tratta così di ragionare non per stili di leadership ma piuttosto per qualità e azioni.
A partire da queste premesse, si impone negli studi la Transformational Leadership (Leadership
Trasfomazionale):
 processo finalizzato al cambiamento e alla crescita
 il leader individua i bisogni dei follower e sa trasformare i propri follower in futuri leader
(Burns, 1978); un leader che non lascia un’eredità non è un buon leader, deve saper
investire nei suoi followers

Non confondere la Leadership Trasformazionale con la Leadership Transazionale (caratterizzata


dall’uso di sistemi di ricompensa da parte del leader per mantenere la motivazione dei
collaboratori, e quindi i presupposti di legami tra leader e follower sono diversi).

La leadership che si afferma nella seconda metà degli anni ’80 è contraddistinta:
 dalla priorità della visione, della cultura e del cambiamento (pianificato)
 dall’importanza della motivazione e del miglioramento continuo
 dalla crucialità della fiducia e del gioco di squadra

GLI ANNI 90

A partire da un maggior riconoscimento delle individualità e da un più deciso sostegno allo


sviluppo della squadra, si configura, nel corso degli anni ’90, il profilo di una leadership
“esemplare” che facilita la crescita dei collaboratori attraverso l’apprendimento dall’esperienza e
il raggiungimento dei risultati attraverso l’apertura al cambiamento.
È in questo periodo che nasce l’Empowering Leadership: Quinn e Spreitzer (1997) sostengono la
necessità di favorire una maggior presa di responsabilità da parte dei collaboratori, attraverso la
condivisione reale del potere, la promozione della partecipazione e della creatività, la non
penalizzazione dell’errore (che diviene opportunità di cambiamento, di apprendimento).

La Leadership Empowering (Bowen, Lawler, 1995) si esprime attraverso alcune azioni specifiche:
 Fare in modo che i collaboratori ricevano informazioni puntuali e continue sulla
prestazione organizzativa (lavorativa), si lavora sul feedback della prestazione
 Fare in modo che i collaboratori possano apprendere le conoscenze e le competenze
adeguate a contribuire agli obiettivi organizzativi (dare una formazione continua)
 Dare ai collaboratori il potere di prendere decisioni significative (delegare)
 Aiutare i collaboratori a comprendere il significato e l’impatto del loro lavoro
 Riconoscere il contributo dei collaboratori in funzione dei risultati dell’organizzazione

LA PSICODINAMICA DELLA VITA ORGANIZATTIVA E L’OMBRA DELLA LEADERSHIP

La psicodinamica della vita organizzativa analizza come le imprese risentano di processi interni sia
inconsci, sia consci in grado di influenzare molte decisioni organizzative e politiche aziendali.
I dirigenti, come tutti noi, sono solo in parte razionali e sono mossi da sentimenti, aspirazioni e
fantasie in grado di influenzare il loro modo quotidiano di condurre l’impresa di cui sono a capo.
I sentimenti irrazionali dei leader possono arrivare a pervadere di sé l’intera cultura e le strutture
manageriali dell’impresa.
Lo studio clinicamente orientato del tema della leadership ha evidenziato le “zone d’ombra” della
leadership che sono legate alla fiducia in sé esasperata che non considera limiti e vincoli e può
condurre al fallimento.
Spesso questo tema è associato alla tendenza narcisistica del leader (o dell’imprenditore) e alla
ricerca di ottenere il consenso ad ogni costo, costruendo l’illusione della perfezione, dimenticando
la dote dell’umiltà.
Uno dei pericoli del narcisismo consiste nel rendere difficile a un leader l’abbandono della propria
posizione di potere.

• NARCISISMO ED ESERCIZIO DEL POTERE


La leadership si identifica con l’esercizio del potere. La qualità della leadership dipende dalla
capacità di un individuo di esercitarlo.
L’origine del potere di un leader sta nell’autorità gerarchica conferitagli dall’organizzazione e, da
parte del leader stesso:
 nella competenza professionale
 nella capacità intellettuale
 nell’attitudine a creare relazioni interpersonali
 nel fascino personale
 nel senso di umorismo e determinazione
ma soprattutto…
 nella COSCIENZA DEL POTERE = composizione degli arcaici sentimenti di impotenza e
onnipotenza ereditati dal nostro primo periodo di sviluppo (Lapierre).
• IL DISTACCO DEL POTERE
Presto o tardi chi ha una posizione di potere dovrà staccarsene; per un leader il distacco dal potere
è particolarmente difficile.
Il ritorno alla sfera privata rappresenta un cambiamento di proporzioni enormi, poiché il leader è
abituato a identificarsi con un’istituzione di grande potere, a esercitare la propria influenza su
persone, politiche, finanze, o sulla comunità intera.
La difficoltà di abbandonare una posizione di potere può spiegare la ragione per cui tanti leader
insistono a mantenerla anche quando devono abbandonare il loro ruolo. Kets de Vries chiama
questo fenomeno «depressione dell’amministratore delegato» che rimanda alla reazione che
sopravviene quando si è stati troppo a lungo in una posizione di potere.
Il pensionamento mette il leader di fronte a molte difficoltà e a realtà dolorose. Sonnenfeld (1968)
chiama queste realtà consapevolezza di perdita di: ottimismo, salute, vitalità, fiducia nel futuro,
reputazione, notorietà, contatti pubblici, attenzione da parte degli altri, influenza, riscontri etc.
Aggrapparsi al potere è un modo per sottrarsi alla necessità di affrontare questa realtà.
Infatti, la consapevolezza del deterioramento del corpo e dell’esistenza di qualche difetto fisico
dato dall’invecchiamento può stimolare la ricerca di qualche soddisfazione sostitutiva: l’esercizio
del potere diventa un importante attività sostitutiva.
Una persona che è sempre stata visibile e avere potere cosa prova nel momento del
pensionamento? Si perde la salute, si perde l’ottimismo, gli obiettivi, depressione, non voler
accettare il normale declino della vita. s

LEGGE DEL TAGLIONE E SENSI DI COLPA


Un elemento di complicazione di fronte alla prospettiva di abbandonare il potere è il timore, a
volte inconscio, di una particolare punizione. Data la consapevolezza inconscia dell’esistenza della
legge del taglione, la leadership si può accompagnare alla paranoia legata al «senso di colpa»
(Levinson, 1964) che porta i leader a evitare o ridurre al minimo i conflitti per non stimolare l’ira di
altre persone.
Il potere costituisce così uno scudo protettivo, in quanto la prospettiva di lasciare la carica può
essere accompagnata dal timore ansioso di scatenare ritorsioni da parte di persone danneggiate in
passato.
Il timore paranoide di ritorsioni li rende attaccati al potere e pronti a prevenire eventuali
aggressioni altrui per mezzo di iniziative tese a demolire gli oppositori.
Un altro timore è che la propria eredità venga distrutta. A livello più significativo, il desiderio di
lasciare dietro di sé un ricordo delle proprie realizzazioni può essere paragonato simbolicamente a
quello di sconfiggere la morte. Ciò può portare a un’invidia generazionale (invidia per le nuove
generazioni).

THE DARK SIDE DELLA LEADERSHIP NELLA VISIONE, NELLA COMUNICAZIONE E NELLE
RELAZIONI (CONGER, 1990)

LA VISIONE
Ø RIFLETTE I BISOGNI EGOISTICI DEL LEADER
Ø NON È MISURATA SULLE RISORSE
Ø NON È FLESSIBILE AI CAMBIAMENTI ESTERNI
LA COMUNICAZIONE
Ø I TONI SONO ECCESSIVI
Ø SI MINIMIZZA L’INFORMAZIONE NEGATIVA
Ø SI CREA UN’ILLUSIONE DI CONTROLLO

LE RELAZIONI
Ø LA GESTIONE DELLE RELAZIONI È SCARSA
Ø TRA I GRUPPI DI LAVORO C’È RIVALITÀ
Ø NEI GRUPPI DI LAVORO C’È DIPENDENZA

• GLI ECCESSI DELLA LEADERSHIP


 INCOMPETENZA: il leader non possiede conoscenze professionali adeguate e perde
credibilità agli occhi del gruppo
 AUTORITARISMO: il leader si pone come comandante e tende a manipolare il gruppo a suo
piacimento, senza negoziazione
 DISINTERESSE: il leader è convinto che la sua funzione non sia importante per cui si
allontana progressivamente dal gruppo
 TROPPA COMPETENZA: il leader è troppo esperto e non riesce a farsi comprendere,
oppure si arrabbia se il gruppo non capisce tutto e subito
 INTERESSE PRIVATO: il leader cerca di utilizzare il gruppo per ottenere vantaggi personali e
non riconosce i meriti dei componenti
 BONTA’ ECCESSIVA: il leader è timoroso di esporre i componenti del gruppo a fatiche,
disagi e frustrazioni, limitando le occasioni di cambiamento e apprendimento

ESEMPIO DI COLLUSIONE SADOMASOCHISTA TRA CAPO E COLLABORATORE (TRATTO DA


KETS DE VRIES)
SUPERIORE: Dov’è il rapporto sull'ampliamento dell'impianto che le ho chiesto ieri?
DIPENDENTE: Non l'ha trovato sulla sua scrivania? L’ho lasciato lì stamattina.
S.: Ah, quel pezzo di carta straccia? Ho dato uno sguardo e pensavo che fossero solo appunti
preliminari. E le proiezioni che le ho chiesto? Non sono state elaborate. Non era questo che avevo in
mente quando ho parlato con lei! Comincio a chiedermi se lei non stia facendo un lavoro che non le si
addice, o se addirittura questa sia l’azienda più giusta per lei. Pensa di poter produrre qualcosa di
meglio?
D.: Mi dispiace forse ho capito male. Forse non ero completamente presente con la testa quando lei mi
ha affidato quel compito. Rivedrò completamente il rapporto. Lavorerò su quelle cifre tutto il tempo
necessario.
S.: Sarà meglio. Altrimenti questo potrebbe essere il suo ultimo progetto, almeno, in quest’azienda
SUPERIORE: Dov’è il rapporto sull'ampliamento dell'impianto che le ho chiesto ieri?
DIPENDENTE: Non l'ha trovato sulla sua scrivania? L’ho lasciato lì stamattina.
S.: Ah, quel pezzo di carta straccia? Ho dato uno sguardo e pensavo che fossero solo appunti
preliminari. E le proiezioni che le ho chiesto? Non sono state elaborate. Non era questo che avevo in
mente quando ho parlato con lei! Comincio a chiedermi se lei non stia facendo un lavoro che non le si
addice, o se addirittura questa sia l’azienda più giusta per lei. Pensa di poter produrre qualcosa di
meglio?
D.: Mi dispiace forse ho capito male. Forse non ero completamente presente con la testa quando lei mi
ha affidato quel compito. Rivedrò completamente il rapporto. Lavorerò su quelle cifre tutto il tempo
necessario.
S.: Sarà meglio. Altrimenti questo potrebbe essere il suo ultimo progetto, almeno, in quest’azienda

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