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PSICOLOGIA DELLE RISORSE UMANE

PREFAZIONE
- Termine “risorse umane”

valore pragmatico del termine: si è passati da una concezione amministrativa ad una di lealtà, flessibilità e
crescita.
Si può essere al contempo risorse e persone? La GRU propone un orientamento di valorizzazione delle
caratteristiche di ogni lavoratore.

CAPITOLO 1 – SVILUPPO DELLA DISCIPLINA


4 stadi evolutivi della professione:
- TAYLOR, L’AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE (1850-1915)
Reclutare, pagare e regolamentare i lavoratori.
Importante un preciso rapporto di ruoli, senza attenzione alle specifiche caratteristiche dei lavoratori.
- MAYO, LE RISORSE UMANE (1930-1950)
Gli elementi di natura sociale determinano il rendimento lavorativo. L’organizzazione viene quindi vista
come composta da gruppi di individui piuttosto che da persone isolate.
Si ha quindi:
a) una nuova concezione dell’uomo e dei suoi bisogni,
b) un nuovo concetto di potere basato sulla collaborazione
c) un nuovo concetto di organizzazione fondata su ideali umanistico-democratici.
- IL MANAGMENT STRATEGICO DELLE RU(1980-1990)
le risorse umane raggiungono due nuovi tipi di autonomia: specialistica e politica.
Organizzazione razionale, aperta all’ambiente e dinamica.
Lo stile partecipativo ha il vantaggio di far sapere ai lavoratori cosa ci si aspetta da loro.
- SVILUPPO DEL POTENZIALE UMANO (1993-2007)
Il potenziale umano riguarda risorse fisiche, tecnologiche, finanziarie, conoscenze, capacità e competenze
delle persone.

CAPITOLO 2 – LA SELEZIONE DEL PERSONALE


DEFINIZIONE E OBIETTIVI DELLA SELEZIONE
Elemento fondamentale per il successo dell’azienda.
La selezione è un processo volto alla valorizzazione delle caratteristiche proprie dell’individuo e alla successiva
valutazione di esse, con conclusiva scelta di quei soggetti le cui caratteristiche risultano essere più congrue alla
posizione aperta. Da un punto di vista concettuale, la selezione consiste nella scelta di un soggetto destinato a una
mansione nella quale si prevede che le sue qualità trovino la migliore utilizzazione; da un punto di vista tecnico, essa
consiste invece nell’individuazione e nella misurazione, per mezzo di determinati strumenti, delle qualità e dei
requisiti del soggetto, in relazione alle caratteristiche delle mansioni.
Un’organizzazione può utilizzare la selezione per due scopi:
- Reclutare e valutare nuovo personale da assumere
- Valutare le competenze e il potenziale di persone già assunte (ad esempio per un ruolo maggiore)
È necessario che sia svolta da esperti e con strumenti standardizzati. Bisogna inoltre rispettare norme ed etica.

EVOLUZIONE STORICA
L’utilizzo dei primi test mentali per la selezione del personale ebbe luogo alla fine dell’ottocento. Finchè, nel 1905,
venne messo a punto il primo test di intelligenza da Binet e Simon. In seguito vennero creati i test per l’arruolamento
nell’esercito americano per la prima guerra mondiale. Fino ad arrivare agli anni ’30 in cui si creò la scala per la
misurazione dell’intelligenza.
Negli anni ’60 il congresso americano regolamentò la somministrazione di questi test in fase di assunzione vietando
così la discriminazione di ogni minoranza.
ASPETTI LEGISATIVI E NORMATIVI
Tutela della libertà è della dignità dei lavoratori.
ASPETTI ETICI E DEONTOLOGICI
Sono stati riconosciuti alcuni principi fondamentali che possono essere suddivisi nelle seguenti categorie:
- Rispetto dei diritti e della dignità dei candidati
- Professionalità e competenze del valutatore
- Responsabilità del valutatore
- Diritti del valutatore

FASI E STRUMENTI DEL PROCESSO DI SELEZIONE


5 fasi:
- JOB ANALYSIS: prima di avviare la selezione è necessario individuare quali profili professionali ricercare e
definire i requisiti e le caratteristiche richiesti per ricoprire adeguatamente quel ruolo e le attività previste.
I metodi più diffusi per raccogliere info sono:
a) L’osservazione diretta
b) L’intervista
c) Episodi critici e diari di lavoro
d) Questionario

- RECLUTAMENTO: composto dalle seguenti fasi


a) Raccolta delle candidature potenzialmente interessanti, attraverso canali interni o esterni all’azienda
b) Screening dei candidati
c) Convocazione dei candidati

- SELEZIONE
Le principali metodologie per la selezione sono l’intervista individuale, gli assessment center e i test.
(descrivere)
Esistono poi il colloquio in serie e il colloquio in panel.
La valutazione non dovrebbe essere influenzata da nessun tipo di caratteristica demografica (genere, razza,
età).
“Integration”: comportamenti che il candidato mette in atto per riscuotere un’impressione positiva.
“Deception”: insieme di comportamenti che il candidato fa per nascondere i propri aspetti negativi.

- ACCOGLIMENTO E INSERIMENTO
Aspetto spesso trascurato ma molto importante per determinare il futuro del candidato in azienda.
L’inserimento consiste in un programma di formazione e assistenza volto a fornire al neoassunto le
procedure dell’azienda.
L’accoglimento è invece volto a fornire tutte le informazioni di tipo generale, la cultura aziendale, le regole di
convivenza e le competenze di ciascun ruolo.

- VALUTAZIONE DEL PROCESSO DI SELEZIONE


Il processo di selezione consiste nella previsione del futuro comportamento del candidato. La valutazione del
selezionatore dovrebbe essere, a distanza di tempo, verificata dall’efficacia del processo stesso.

CAPITOLO 3 – L’ORIENTAMENTO PROFESSIONALE


Questo termine si riferisce all’insieme di pratiche volte a sostenere la persona nelle sue scelte formative e lavorative.
ORIGINI DELLA PSICOLOGIA DELL’ORIENTAMENTO
L’obiettivo dell’orientamento è quello di scoprire il nesso tra le attitudini individuale e le caratteristiche richieste per
l’esercizio di una professione.
Nella scelta professionale intervengono 3 fattori:
a) Una comprensione chiara di se stessi e delle proprie capacità
b) Una conoscenza articolata dei differenti ambiti lavorativi
c) Un’analisi tra le relazioni che ci sono tra questi due fattori.

Secondo questo approccio però la scelta avviene in modo completamente razionale e passivo, senza tenere conto
dell’autorealizzazione individuale.
Entrò poi in gioco lo studio dell’intelligenza; prima studiata come capacità generale e in seguito con l’applicazione
dell’analisi fattoriale.

Parsons introduce l’importanza del rapporto persona-ambiente. Nello specifico, le caratteristiche della persona sono
definibili in termini di abilità e bisogni. Riguardo alle caratteristiche del lavoro, un’occupazione può essere descritta
rispetto alle abilità richieste e alle ricompense previste per il suo svolgimento. Al momento della scelta vocazionale,
la persona deve individuare un’occupazione corrispondente alle sue abilità e bisogni.
Nella psicologia dell’orientamento esistono due tipi di approccio:
- il modello disposizionale: identifica l’insieme di tratti stabili che definiscono il carattere della persona. Questi
possono essere relativi al perché o alla modalità del comportamento.
- il modello interazionista: sostiene che la personalità sia data dall’interazione tra variabili situazionali e
personali; di conseguenza il comportamento è determinato dalle interazioni individuo-ambiente.

L’approccio psicodinamico sostiene che le scelte professionali siano manifestazioni del carattere. Quest’approccio
mostra la funzione della spinta all’autorealizzazione e del bisogno di successo.

Gli interessi professionali sono le preferenze per classi di attività.


Secondo Roe questi si fondano su bisogni innati ma vengono modulati dall’educazione. Lei ritiene che le occupazioni
possano essere classificate secondo la dimensione “orientamento verso le persone” e “orientamento verso le cose”.
Holland ritiene invece che le persone cercino ambienti lavorativi in linea con i propri tratti comportamentali e quindi
che la scelta professionale sia manifestazione di personalità.

I valori personali sono caratteristiche o condizioni di lavoro corrispondenti ad aspirazioni personali che possono
soddisfare più o meno indipendentemente dai diversi settori professionali. Abbiamo valori di tipo intrinseco (centrati
sulla realizzazione di sé) e di tipo estrinseco (centrata sul valore strumentale del lavoro). Essi influenzano le scelte di
carriera.

Teoria socio cognitiva di Bandura. Persona, comportamento, ambiente.


Attraverso il comportamento la persona agisce sull’ambiente e lo modifica, ma al tempo stesso i risultati del
comportamento modificano le cognizioni della persona. L’autoefficacia percepita non determina solo la gamma di
opzioni che vengono considerate, ma influenza anche altri aspetti della presa di decisione come per esempio, il tipo
di informazioni che vengono raccolte e il modo in cui vengono interpretate e dotate di significato.
Le esperienze di successo nello svolgimento di determinate attività indirizzerebbero fin gli interessi verso le
medesime, ovvero la persona si ad per le quali si competente. Ad influenzare le scelte professionali sono anche le
variabili di contesto. L’influenza dei valori contestuali può essere di due tipi: quella prossimale che
riguarda l’effetto di moderazione di alcuni fattori di contesto nella traduzione degli interessi in obiettivi, quella
distale che riguarda quei fattori di contesto che in passato hanno influenzato le esperienze di apprendimento.

Lo sviluppo dell’identità personale riguarda la persona durante tutto l’arco della sua vita. E l’identità vocazionale ne
segue il percorso.
Secondo Dumora le aspettative si formano attraverso tre processi:
1) Il processo di riflessione comparativa che riguarda la messa in relazione di elementi di sé e della professione e si
fonda su un processo di identificazione con una persona che svolge la professione che interessa. Si basa
sull’identificazione con persone appartenenti al proprio contesto sociale.
2) La riflessione probabilistica appare influenzata dall’esperienza nel contesto scolastico.
3) La riflessione implicativa prevede un confronto tra i mezzi e i fini, per confermare o abbandonare l’interesse verso
la professione.
Teoria di Super
Super ha elaborato la “Teoria dello sviluppo vocazionale”, partendo dal presupposto che sia possibile individuare
tappe evolutive di maturazione alla scelta che portano l’individuo a decidere del proprio futuro sia scolastico che
professionale. Tale processo evolutivo investe tutta la vita dell’individuo, ed è caratterizzato dall’interazione delle
caratteristiche personali con la realtà esterna. Secondo Super l’individuo raggiunge la maturità professionale e
progettuale attraverso l’immagine che ha di sé nei vari stadi del suo sviluppo.

I maggiori cambiamenti sembrano riguardare la fase centrale della carriera (recylcing)


Le persone possono scegliere tra diverse possibili direzioni di sviluppo:
- Aggiornare le proprie competenze mantenendo lo stesso ruolo
- Intraprendere un percorso di specializzazione tecnico-pratica
- Cercare di raggiungere un ruolo direttivo puntando ad uno sviluppo verticale.

Il modello di Guichard e Huteau propone una sintesi tra gli approcci individualisti e quelli sociologici allo sviluppo
dell’identità. Vengono infatti considerati 3 aspetti: sociologico (offerta identitaria di un contesto sociale), psicologico
(la costruzione dei sé di basa su strutture cognitive che la persona ha sviluppato attraverso l’azione e l’interazione) e
dinamico (interazione tra individuo e ambiente).

Il processo di socializzazione professionale si articola in alcune fasi (prelavorativa, di ingresso, di assegnazione dei
compiti, di gestione del ruolo e di uscita).
Questo processo richiede sia componenti cognitive (volte e valorizzare e interpretare la situazione) che quelle
emotive (legate ai vissuti soggettivi).
Le situazioni critiche che caratterizzano lo sviluppo della carriera possono essere definite come transizioni lavorative:
esse sono considerate il nodo cruciale e l’unità di analisi nello studio delle carriere, in quanto comportano uno stato
temporaneo di disorganizzazione che richiede al soggetto la capacità di attivarsi per superare una minaccia alla
propria identità. La bassa autostima induce la persona a pensare di non affrontare la situazione, ma il tentativo di
superare la crisi porta il soggetto a ristrutturare i propri significati e a ripristinare il proprio livello di autostima.
Le differenze interindividuali in merito alle modalità di fronteggiamento delle transizioni dipendono da una serie di
variabili riassumibili nel “sistema delle 4S”:
- La situazione  Fattori contestuali che caratterizzano il momento di transizione;
- Il sé  Comprende caratteristiche personali e le risorse personali;
- Il supporto  La presenza più o meno stabile di sostegno sociale;
- Le strategie  Le strategie di coping utilizzate per affrontare la transizione (comportamentali, cognitive,
centrate sulla gestione dello stress).

LE PRATICHE DI ORIENTAMENTO
Educational and vocational guidance.
Si propone lo sviluppo di competenze orientative finalizzate a preparare le persone ad affrontare le scelte in modo
autonomo.
Questa pratica enfatizza il metodo di gruppo perché il confronto sociale e il conflitto socio cognitivo attivano le
competenze orientative.
Sapersi orientare in modo consapevole è una capacità legata al perseguimento di diversi obiettivi:
- Far acquisire alla persona un atteggiamento proattivo rispetto alla gestione della propria storia personale
- Far maturare nella persona la capacità di tenere sotto controllo lo svolgersi delle esperienze in atto
- Far sviluppare al soggetto la capacità di affrontare gli eventi decisionali attraverso una progettazione di sé nel
tempo
Vocational an career counseling
Quest’attività si pone come obiettivo quello aiutare la persona in un percorso di risoluzione di un problema
orientativo. Con essa ci si riferisce ad una ridefinizione del sé professionale partendo dalle proprie esperienze
personali e dalla sua evoluzione progettuale e lavorativa.
CAPITOLO 4 – LA SOCIALIZZAZIONE ORGANIZZATIVA
Sarchielli identifica la socializzazione come l’insieme dei processi con cui l’individuo acquista conoscenze,
atteggiamenti e valori di un gruppo sociale.
Gli elementi di sovrapposizione sono:
a) La ridefinizione cognitiva verso una situazione nuova
b) L’interazione tra soggetto e contesto
c) La presenza di alcune situazioni dove tale processo ha effetti più rilevanti
d) La concezione di socializzazione come processo parzialmente prevedibile.

SOCIALIZZAZIONE LAVORATIVA
L’apprendimento prevede l’evoluzione di quattro fasi:
I) Dalla concreta esperienza di un fatto
II) All’osservazione riflessiva
III) Per mezzo di un processo di astrazione sulla catalogazione concettuale
IV) All’applicazione pratica
Stili di apprendimento, come strutture mutanti che risultano dalla specificità individuale
1. Diverger: orientato verso l’esperienza concreta e osservazione riflessiva
2. Converger: abilità di apprendimento
3. Assimilator: capacità di astrazione e osservazione riflessiva
4. Accomodator: caratteristiche opposte al precedente ed è orientato verso l’esperienza.

Si può rappresentare la socializzazione al lavoro come una transizione psicosociale e un’occasione di sviluppo e
cambiamento per la persona.

Il modello di Lewin ci suggerisce che ogni trasformazione, e quindi ogni apprendimento, oscilla su tre fasi di
scongelamento, di cambiamento e di ricongelamento. I processi che accompagnano tali fasi mutano radicalmente la
definizione di Sé, le strategie di risposta alla nuova situazione e le relazioni che si vanno a creare.
Occorre poi considerare un altro fattore significativo per la persona in transizione, il concetto di aspettativa. Vroom,
con le sue applicazioni nella ricerca motivazionale, pone la teoria dell’aspettativa al centro degli interessi degli
studiosi dei contesti organizzativi. Le aspettative che si hanno verso il lavoro, l’organizzazione, i colleghi e verso le
opportunità di crescita professionale incidono sul livello di impegno profuso e le qualità della performance agita.
Quando tali aspettative non vengono soddisfatte c’è una bassa soddisfazione lavorativa, un basso commitment e un
alto turnover.

SOCIALIZZAZIONE ORGANIZZATIVA
Passaggio da una relazione tra individuo e organizzazione più stabile e prevedibile a una relazione in cui è necessario
contare sulle proprie competenze per essere continuamente utili.

Louis definisce la socializzazione organizzativa come un processo attraverso il quale l’individuo fa propri valori e
abilità necessari per l’azienda.

Wanous – Modello RJB (realistic job preview): nei processi di selezione si tende ad eliminare soggetti incoerenti con
la cultura organizzativa.
Tattiche istituzionali che incoraggiano i neoassunti a far propri i ruoli preconfezionati: collettive, formali, sequenziali,
fisse, seriali e a investitura.
Mentre la polarità opposta del continuum (individuali, random, informali, variabili, disgiuntive, e a non investitura)
tendono a sviluppare un approccio personalizzato e innovativo al ruolo.

Jones individua tre fattori che rappresentavo le sei tattiche:


1. Tattiche sociali (influenzano l’apprendimento)
2. Tattiche di contenuto (concernono le informazioni)
3. Tattiche di contesto (riguardano il modo in cui si trasmettono le informazioni).

Una forma nota di ingresso al lavoro è quello del tirocinio o stage, favorevole per costruire lentamente la nuova
identità lavorativa. Forme di sostegno alla transizione lavorativa:
a) Coaching – favorisce il processo creativo
b) Mentoring – rappresentazione della cultura e dei valori dell’organizzazione
c) Tutoring – integrazione e sostegno

CAPITOLO 5 – CONTRATTO PSICOLOGICO E COINVOLGIMENTO


Nel nuovo contesto economico il contratto giuridico non è più sufficiente per regolare i rapporti fra le parti.
Il contratto psicologico è definito come quell’insieme di aspettative reciproche e mutamente accettate tra
organizzazione e lavoratori.
Rousseau lo definisce come l’insieme delle credenze dell’individuo circa gli obblighi reciproci esistenti tra individuo e
organizzazione.
Le principali funzioni del contratto psicologico sono:

1. Ridurre l’incertezza, poiché riempie il vuoto normativo, regolando i diversi aspetti della relazione lavoratore-
azienda.
2. Fornire un modello di comportamento; il lavoratore compie le proprie scelte tenendo conto di equità
percepita
3. Offrire al lavoratore il senso della propria influenza su ciò che accade dentro l’organizzazione

TIPOLOGIE E CONTENUTI
Le tipologie dei contratti psicologici si distribuiscono sul continuum relazionali / transazionali e strutturazione del
tempo / richieste di performance.
I contratti transazionali hanno elementi tipici come la durata limitata nel tempo e compiti ben specificati con basso
investimento affettivo. Nel contratto di transizione le richieste di produzione sono basse e ci sono scarse possibilità
di guardare al futuro con ottimismo, il lavoratore di trova quindi in uno stato negativo e conflittuale.
Nel contratto relazionale gli elementi tipici sono la durata a tempo indeterminato e minore definizione dei contenuti
del lavoro, reciproca fiducia e lealtà, con ricompense determinate dalla prestazione.
Contratti bilanciati, tempo indeterminato ma miglio specificazione dei contenuti, con anche accordi sull’andamento
dell’organizzazione.
ROTTURA E VIOLAZIONE DEL CONTRATTO PSICOLOGICO
La rottura consiste nella constatazione da parte del lavoratore che l’azienda ha fallito nell’adempiere a uno o più
obblighi.
La violazione, invece, è un’esperienza affettiva di frustrazione, rabbia o risentimento vissuta dal lavoratore in
conseguenza del mancato rispetto dell’organizzazione.

MISURAZIONE DEL CONTRATTO PSICOLOGICO


1) Misurazione orientata ai contenuti: individua aspetti specifici e propone classificazioni quali, ad esempio, la
distinzione tra contratti transazionali e relazionali.
2) La misurazione orientata alle caratteristiche fa riferimento a configurazioni del contratto, ad esempio
l’essere esplicito o implicito, stabile o meno nel tempo, ecc
3) Misurazione orientata alla valutazione, basata sulle modalità di apprezzamento del contratto da parte dei
lavoratori. Esplora le reazioni provocate dal fatto che l’azienda abbia mantenuto le promesse fatte o meno.

Strumenti:
a) questionari self report
b) metodi basati sul ricorso a scenari (es lettura di testi)
c) tecnica degli incidenti critici (individuali e di gruppo)
d) diari giornalieri
e) interviste
f) studio dei singoli casi

CONTRATTO IN LAVORI TIPICI O ATIPICI


Con il termine atipico si indica solitamente una realtà dalle molteplici dimensioni che interessa categorie molto
diverse tra loro: part-time, lavoro somministrato, collaborazioni a progetto, apprendistato, ecc. Il contratto
psicologico dei lavoratori atipici sembra, in generale, essere caratterizzato maggiormente dagli aspetti transazionali
rispetto a quelli relazioni. È stata riscontrata una diversità nella tendenza a percepire le violazioni del contratto tra i
lavoratori atipici e quelli standard: i primi colgono con minor frequenza degli altri eventuali rotture nel contratto
psicologico.
Un ruolo cruciale è svolto dalla motivazione che spinge le persone a svolgere un lavoro atipico: chi lo sceglie
volontariamente ne coglie a valorizza l’aspetto transazionale al contrario di chi se ne serve seguendo comunque una
prospettiva di futura evoluzione: in questo caso prevale l’ottica relazionale.

CAPITOLO 6 – LA FORMAZIONE IN ORGANIZZAZIONE


Cos’è la formazione?
- McGhee: procedura che un’azienda utilizza per facilitare l’apprendimento, allo scopo di contribuire al
raggiungimento degli obiettivi aziendali.
- Goldstein: processo di acquisizione di abilità o atteggiamenti che portano ad una migliore prestazione on the
job.
- Goad: attività che contribuisce al successo degli individui nelle organizzazioni.

Quando si parla di formazione si parla anche di cambiamento personale; individuiamo infatti 3 approcci: formazione
per le competenze, formazione per il cambiamento e formazione per lo sviluppo personale. (per, in e oltre
l’organizzazione).
Chi prende parte alla formazione?
- Il formatore: gestore (opera nella direzione delle ru ed è un esperto di processi di apprendimento in età
adulta) e docente (competente nel contenuto formativo)
- Consulente, tutor e testimone: il formatore-gestore si avvale del primo per attività specifiche, mentre il
formatore-docente si avvale degli altri due per farlo intervenire in aula
- Discente: in grado di influenzare l’esito dell’apprendimento. Oltre alle abilità cognitive si considerano anche
aspettative, abilità mentale generale e aspettativa di successo.

Come avviene il processo di formazione?


1. Analisi dei bisogni (dell’organizzazione)
2. Progettazione in ogni aspetto (obiettivo, contenti, metodo, materiali, durata, budget, ecc)
3. Realizzazione: relazione con i discenti (tenere conto di richieste e vincoli), relazione con il formatore-docente
(coprogettazione e ricerca di sintonia) e cura della logistica e predisposizione delle risorse
4. Valutazione dei risultati: vista come monitoraggio che può aggiungere valore alla formazione stessa.
Possiamo valutare: reazione (apprezzamento de discenti), apprendimento (sviluppo competenze),
comportamenti (dalla teoria alla pratica) e cambiamento dell’organizzazione.

Quali sono i metodi di formazione di gruppo?


- Lezione
- Utilizzo di un caso
- Esercitazioni
- Metodi outdoor
- Action learning
- Film

Quali sono i metodi di formazione individuale?


- Counseling: aiutare ad aiutarsi, autoriflessione guidata sull’oggetto di analisi. 3 fasi: definizione del
problema, ridefinizione del problema con i counselor e gestione del problema.
- Coaching: riguarda il passaggio di competenze specialistiche da un responsabile al collaboratore.
- Mentoring: insegna a superare gli ostacoli e aumenta l’autoefficacia

L’evoluzione della formazione


- Web training: innovazione dei metodi, si diffonde con internet. I dispositivi possono essere classificati
secondo un duplice criterio: temporalità e potere di interlocuzione.
- Learning organization: organizzazioni che si mostrano in grado di apprendere il modo proattivo oltre che
reattivo.
- Autoformazione: innovazione nella concezione di discente; 2 approcci: istruttivo (autoformazione come
modalità per risolvere da sé compiti cognitivi) ed educativo (coinvolgimento in compiti evolutivi).

CAPITOLO 7 – LA VALUTAZIONE DEL PERSONALE


Nasce come attività centrata sulla misurazione di aspetti connessi alle prestazioni lavorative.
La valutazione è inoltre necessaria per la gestione e lo sviluppo delle risorse umane.
ESISTONO TRE TIPI DI VALUTAZIONE:
- La valutazione delle prestazioni che si propone di stabilire quanto la persona abbia contribuito al
raggiungimento dei risultati aziendali. Prevede il confronto tra gli obiettivi e i risultati finali.
Articolata in 4 fasi: assegnazione obiettivi, verifiche periodiche, valutazione dei risultati conseguiti,
comunicazione della valutazione
- La valutazione del potenziale che si concentra sulle caratteristiche possedute ma non ancora espresse nel
ruolo ricoperto.
- La valutazione delle competenze che esamina il patrimonio di conoscenze, qualità e capacità possedute e
dalla loro coerenza rispetto agli obiettivi organizzativi.

ALTRI ELEMENTI SOGGETTI A VALUTAZIONE:


- Valutazione dei tratti, si concentra su ciò che una persona è e sulle caratteristiche personali rilevanti per il
lavoro svolto
- Valutazione dei comportamenti mesi in atto sul lavoro, più semplici da osservare, studiare e verificare
rispetto ai tratti ma non altrettanto esaustivi
- Valutazione dei risultati ottenuti

METODI E STRUMENTI DI VALUTAZIONE


Distinzione tra metodi
- formali (caratterizzati da applicazione periodica e costante delle metodologie stabilite e strumenti oggettivi)
- informali (inevitabile, prodotto delle costanti interazioni sul luogo di lavoro).
Abbiamo in seguito misure di valutazione
- oggettive: costituito dalla valutazione dei risultati
- soggettive: valutazione dei tratti o dei comportamenti.
Poi abbiamo anche metodi tradizionali e distributivi: i secondi tengono conto della variabilità della prestazione
individuale.
Infine abbiamo la distinzione tra metodi qualitativi e quantitativi: concentrati rispettivamente sulla qualità e sulla
quantità dell’aspetto valutato.
Infine un aspetto può essere valutato con metodi:
- relativi: in cui i soggetti sono valutati in confronto con gli altri
- assoluti, soggetti valutati isolatamente.

Esiste un’ampia varietà di strumenti:


a) Conteggio: Utilizzato quando la valutazione ha per oggetto gli esiti del lavorativo, concretamente riferibili ad
ambiti quali la quantità del lavoro, la qualità del risultato, gli indici di presenza, la sicurezza.
b) Ranking: è uno strumento che permette di classificare le persone in base a una valutazione globale.
Generalmente adottato per soggetti, ma risulta meno utile con un grande numero di persone da valutare.
Nonostante ciò per superare tale difficoltà, è disponibile la tecnica del “confronto a coppie” dei valutati, in cui
ciascun soggetto viene singolarmente paragonato a tutti gli altri valutati. Una seconda variante è l’“alternate
ranking”, dove si scelgono i soggetti con migliore e peggiore punteggio rispetto alla dimensione valutata;
successivamente si individuano il secondo e il penultimo, e così via. Un’ultima tecnica di ranking è la “distribuzione
forzata”, che assegna percentuali di casi prestabilite a ogni categoria di valutazione, pertanto non si può attribuire il
medesimo giudizio a più di un certo numero di valutati.
c) Tecniche grafiche di ranking: Prevedono l’utilizzo di una lista generale di caratteristiche, di comportamenti o
di tratti di personalità, rispetto alla quale si valuta la persona su una scala, collocando graficamente il giudizio
tra due estremi; le caratteristiche valutate sono in genere molto ampie. Questa tecnica è stata criticata per
essere soggetta ad errori come l’effetto alone o l’eccessiva indulgenza. Per ovviare questo limite si usa la
“scala di valutazione ancorata ai comportamenti” che vede il valutatore indicare, lungo un continuum, quali
tra i comportamenti presentati sono tipici della persona valutata.
Un’altra scala adoperata è quella di “osservazione del comportamento”, in cui vengono riportati specifici
esempi di comportamento per ogni dimensione valutata e rispetto ai quali il valutatore indica la misura che
riflette il comportamento agito dal valutato.
d) Lista di controllo (checklist): Consiste in un elenco di frasi espresse in forma descrittiva o interrogativa, in
genere specificamente riferite a precisi comportamenti o risultati e al particolare tipo di lavoro di cui
intendono essere rappresentative. Questa tecnica permette al valutatore di concentrarsi sugli elementi
rilevanti per la valutazione. Una variante di tale strumento è la lista di controllo a risposta libera, in cui il
valutatore è libero di esprimersi senza dover scegliere tra risposte codificate.
e) Descrizione narrative: Prevedono da parte del valutatore, la libera descrizione delle osservazioni e delle
valutazioni effettuate. La destrutturazione di questo metodo può rappresentare un limite, poiché la ricchezza
della valutazione dipende dall’abilità ideativa ed espressiva del valutatore, e inoltre risultano difficili i
confronti tra più persone.
f) Eventi critici: Presuppone l’individuazione di precisi esempi di comportamenti adeguati o inadeguati, che
contribuiscono al successo o all’insuccesso in una determinata mansione, e il rilevamento nel valutato dei
comportamenti riferibili agli standard individuati.
g) Assessment center: Consiste in una serie di prove comportamentali standardizzate, basate su diversi stimoli
in cui il comportamento attuato viene considerato come un indicatore del comportamento nel contesto
reale di lavoro.
A queste tecniche si aggiungono strumenti più tradizionali utilizzati per fini valutativi:
h) L’intervista di valutazione: Condotta sul singolo individuo o su gruppi, utilizza una traccia più o meno
strutturata circa gli elementi da approfondire nella valutazione. In tale tecnica, per salvaguardare
l’oggettività e la completezza della valutazione, di fondamentale importanza è la capacità del valutatore di
instaurare un’adeguata relazione con l’intervistato.
i) L’osservazione diretta: Utile quando si valutano lavori semplici e/o ripetitivi.
l) I questionari: Domande aperte o chiuse.
m) I test: Danno la possibilità di condurre la valutazione su un elevato numero di persone e velocità di correzione e
di elaborazione dei risultati. Sono utili perché standardizzati e utilizzabili con un ampio campione.

FONTI DELLA VALUTAZIONE


Chi svolge la valutazione?
- I superiori  Hanno un punto di vista privilegiato nell’osservazione ed elaborazione dei dati.
- I subordinati  Valutazione di tipo verticale. Utile per il miglioramento della relazione e della comunicazione
tra capo e collaboratore, e per i superiori che ottengono info utili per identificare i propri punti di debolezza.
- I colleghi  Valutazione di tipo orizzontale. Sono usate nelle organizzazioni che privilegiano i lavori di gruppo.
Sono funzionali ad incrementare la motivazione, l’efficacia e l’apertura al cambiamento ma possono creare
delle ostilità tra i membri nel caso di una valutazione negativa.
- Autovalutazione  È utile ma presenta più bias rispetto alle valutazioni esterne.
- Clienti / utenti  Consente la ricezione di una notevole quantità di informazioni. Può avvenire in forma
diretta (apposite indagini per valutare il servizio offerto) o in forma indiretta (reclami dei clienti).

Un approccio sempre più utilizzato è quello di combinare differenti valutazioni.


Un tema importante è quello dell’anonimato: se presente le valutazioni potrebbero essere meno accurate.
LA COMUNICAZIONE DELLA VALUTAZIONE
Il colloquio finale ha lo scopo di ripercorrere il processo e gli esiti della valutazione in modo da considerare diversi
aspetti del futuro lavorativo del valutato. Lo stile di comunicazione adottato deve quindi essere centrato sul
comportamento, non sulla persona e soprattutto orientato allo scambio.
È importante che questo momento abbia un tempo e uno spazio dedicati, inoltre i feedback negativi devono essere
elencati solo dopo quelli positivi.
FONTI DI ERRORE NELLA VALUTAZIONE
- Indulgenza e severità
- Effetto alone (giudizio globalmente positivo o negativo in base a un singolo aspetto)
- Tendenza centrale (uso di valori medi nella scala di valutazione)
- Abitudine ed errori di memoria
- Standardizzazione
- Pregiudizi e stereotipi
- Somiglianza e contrasto
- Effetto dell’ordine temporale di raccolta delle info
- Proiezione
- Coazione a giudicare (giudizi precoci)

CAPITOLO 8 – LA RETRIBUZIONE
In Italia gli elementi che costituiscono la retribuzione possono essere letti sulla base di 3 criteri:

1. obbligatorietà e discrezionalità del datore di lavoro: esistono due forme di retribuzione, contrattuale e
discrezionale
2. soggetto erogante: retribuzione aziendale vs sociale
3. modalità di erogazione: 4 elementi
- retribuzione diretta, connessa alla prestazione
- retribuzione indiretta, indennità di malattia
- retribuzione differita, es tredicesima
- fringe benefits, rimborsi spese, auto aziendale ecc

Ogni azienda ha una propria politica retributiva che deve garantire equità, competitività, sviluppo motivazionale e
gestibilità. Questa politica retributiva si delinea sulla base di 3 parametri:
1. Livello: determinato da contrattazione collettiva, mercato di riferimento (esterno), mercato del lavoro e capacità
retributiva dell’azienda; i lavoratori fanno confronti con il proprio livello retributivo sia all’esterno che all’interno
dell’azienda.
2. Struttura: Si definisce in base all’associazione classi retributive-classi di posizioni di lavoro, ed è essa a definire sia
la mobilità retributiva orizzontale che verticale.
3. Dinamica: fa riferimento alle variazioni salariali nel tempo, solitamente adattati al fine di evitare effetti
inflazionistici nel tempo strumento incentivante per la professionalità dei lavoratori.

Il sistema delle relazioni industriali italiane prevede 2 livelli di contrattazione della retribuzione: centrale e
decentralizzata.
Sistemi retributivi:
- retribuzione basata sull’appartenenza all’organizzazione e sull’anzianità
- retribuzione basata su abilità e competenze
- retribuzione basata sulle prestazioni
a) ricompense individuali: lavoro a cottimo
b) ricompense a livello di gruppo, divisione o stabilimento
c) ricompense organizzative: profit-sharing e piani di acquisto azionari.

TEORIE MOTIVAZIONALI SULLA PAGA


La retribuzione può essere vista o come la ricompensa per il lavoro svolto, o come meccanismo in grado di motivare
il lavoratore a continuare ad impegnarsi; esistono diverse teorie motivazionali a tal proposito, tra cui:
 Teoria dell’equità (Adams): le persone prendono in considerazione la relazione tra input e output; tale relazione è
poi confrontata con quella di colleghi con la stessa posizione o di altre organizzazioni una condizione di iniquità
determinerà una tensione, che curiosamente influenza non tanto la prestazione quanto la soddisfazione per il
proprio lavoro; è questa insoddisfazione poi ad influenzare la prestazione.
 Teoria dell’aspettativa-valenza (Vroom): la motivazione di un lavoratore a sostenere un determinato sforzo
dipenderà da: (A) ASPETTATIVA: quanto si ritiene in grado di eseguire un determinato compito; (B)
STRUMENTALITÀ: quanto ritiene che quella prestazione sarà ricompensata; (C) VALENZA: quanto la ricompensa è
attrattiva.
 Goal setting theory (Locke, Latham): obiettivi difficili ma ben precisati, accompagnati da feedback conducono ad
un’elevata prestazione.
Tre modalità in cui usare gli incentivi in vista degli obiettivi:
1. Collegare il raggiungimento dell’obiettivo ad un premio, approccio “tutto o niente”.
2. Porre un obiettivo difficile e poi ricompensare il lavoratore in funzione di quanto si sia avvicinato.
3. I lavoratori stessi stabiliscono degli obiettivi, e la direzione verifica il loro raggiungimento.
Ci si è chiesti poi se la paga sia effettivamente in grado di motivare adeguatamente il lavoratore Herzberg
distingue tra caratteristiche del contenuto del lavoro (che influiscono sulla motivazione) e fattori relativi al contesto
di lavoro (che contribuiscono a non demotivarla); per lui il denaro, essendo una componente del CONTESTO è dato
per scontato, per cui non è in grado di influenzare il comportamento lavorativo.
Cameron ha invece identificato una relazione tra retribuzione e motivazione intrinseca L’unico caso in cui il denaro
riduce questa è quando viene offerto a prescindere dal completamento del compito o dalla qualità della prestazione.

RETRIBUZIONE E BENFIT
I benefit sono stati sviluppati per attrarre e trattenere persone competenti. Questi sono in grado di influenzare
atteggiamenti e comportamenti dei lavoratori.

CAPITOLO 9 – EMPOWERMENT INDIVIDUALE E ORGANIZZATIVO


L’empowerment è un concetto multidimensionale multilivello che indica tanto un’esperienza soggettiva e psicologica
delle persone quanto le condizioni oggettive sociopolitiche entro le quali i soggetti sviluppano le loro esperienze.
Zimmermann individua 3 concetti fondamentali attraverso i quali definire i diversi livelli di empowerment:

- il controllo, riferito alla capacità, percepita o effettiva, di influenzare le decisioni


- la consapevolezza critica, che consiste nella comprensione del funzionamento delle strutture di potere e dei
processi decisionali
- la partecipazione, rimanda all’operare per ottenere risultati desiderati.

EMPOWERMENT E POTERE
Kanter definisce le persone disempowered prive di potere. In questa prospettiva empowerment significherebbe la
ridistribuzione di un potere reificato: chi ne possiede troppo deve cederlo a che ne ha meno, o chi ne ha meno deve
toglierlo a che ne possiede troppo, incontrando presumibilmente delle resistenze. Accanto alla concezione reificate
del potere si trovano quelle che ne sottolineano la sua componente sociale e di interdipendenza: il potere non esiste
in sé, ma risiede nelle relazioni tra le persone. Questa posizione si incontra già in Weber che definisce il potere come
“possibilità di far valere, entro una relazione sociale, anche di fronte a una opposizione, la propria volontà quale che
sia la base di questa possibilità. Potere, qui, è l’influenza di una persona su un’altra.
La prospettiva dell’empowerment, invece, ci aiuta a pensare al potere anche in termini positivi e processuali. La
parola “potere”, in quanto verbo, richiama la dimensione dell’opportunità e della possibilità del “poter fare”.
Secondo questa concezione, avere potere, essere empowered, significa non tanto detenerlo, quanto avere la
potenzialità e la capacità di agire. In termini relazionali, questo significa coniugare l’interdipendenza con la
condivisione, la reciprocità, la mutualità e la solidarietà, e rimanda alla dimensione partecipativa dell’empowerment,
all’essere rafforzati dall’agire insieme con e non sugli altri.

PROCESSO DI EMPOWERMENT INDIVIDUALE E PSICOLOGICO


L’empowerment individuale riguarda soprattutto i concetti di controllo e consapevolezza critica e avvia cambiamenti
a tre livelli:

- processo di attribuzione: fa riferimento al modo in cui spieghiamo i nostri successi o insuccessi


attribuendone le cause a fattori interni o esterni;
- il processo di valutazione: fa riferimento alle nostre credenze, con le quali valutiamo le nostre prestazioni (se
standard irrealistici portano a insuccessi e frustrazione)
- il processo di prefigurazione rappresenta il modo in cui immaginiamo in nostro futuro.

Essere consapevoli sui nostri modi di interpretare la realtà e ridefinire il nostro grado di controllo su di essa significa
acquisire un buon grado di autoefficacia.

EMPOWERMENT E ORGANIZZAZIONE

Zimmermann distingue le “organizzazioni empowering” dalle “organizzazioni empowered”.


Le organizzazioni empowering sono quelle che forniscono ai propri membri strumenti per ottenere controllo sulla
propria vita e sviluppare competenze.
Le organizzazioni empowered sono invece quelle che prendono o influenzano le decisioni politiche che sviluppano
alternative nell’offerta dei servizi. Compongono, insieme a cittadini e istituzioni, il livello comunitario. Es ONG e no
profit.

I contributi per studiare e promuovere le prime si possono distinguere in due approcci:

- l’approccio psico-socio-politico, il destinatario dell’intervento e ancora l’individuo, per passare da una


situazione di powerless ad una di empowerment
- l’approccio socio-organizzativo, si distingue dal primo soprattutto per il fatto che analisi e intervento non
partono da una presunta condizione di disempowerment dell’organizzazione e delle persone che la
compongono, ma da situazioni organizzative per lo meno potenzialmente empowered ed empowering.

Mentre un’organizzazione empowering non deve per forza essere empowered (può non avere molta influenza
politica ma offrire ai propri membri l’occasione di sviluppare competenze e senso di controllo), essere empowering
per un’organizzazione empowered sembra sia fondamentale.

CAPITOLO 10 – IL CAREER COUNSELING


Si è passati da una forma di lavoro lineare, prevedibile e con percorsi di carriera predefiniti ad un ambito incerto e
caratterizzato da richieste di flessibilità.

Nel career counseling continuano a essere presenti elementi volti ad assistere il cliente nel conoscere se stesso,
acquisire conoscenze riguardo al mondo del lavoro, integrare le informazioni su di sé e sulle occupazioni.

Debolezze: spesso il career counseling è basato su un limitato set di pratiche comuni, inoltre c’è una mancanza di
ricerche sul career counseling rivolto a diverse popolazioni.

Il primo compito per un career counselor è organizzare le informazioni fornite dal cliente, identificare i problemi
principali, gli esiti desiderati e il piano d’azione.

Bobek e Robbins sottolineano quanto siano d’aiuto le teorie di sviluppo personale e di carriera nel:

- far emergere le connessioni tra il punto di vista del counselor e ciò che fa per aiutare il cliente
- rinforzare il piano teorico d’azione per poi svolgerlo
- integrare questioni personali e professionali.

Le teorie di sviluppo professionale evidenziate sono le seguenti:

- la prospettiva di adattamento persona-ambiente: ovvero l’applicazione di abilità e conoscenze al contesto


lavorativo.
- La teoria dello sviluppo professionale di Super: secondo cui è fondamentale comprendere gli stadi della vita
e i ruoli degli individui per aiutarli ad inquadrare bisogni e aspettative.
- La teoria socio cognitiva: enfatizza i fattori motivazionali, come credenze di autoefficacia e le aspettative sul
risultato.
- Le teorie dello sviluppo degli adulti:
a) La teoria di Baltes: sostiene che con l’età le persone mostrano una considerevole plasticità e capacità di
adattamento
b) La teoria della continuità di Atchley: Fare scelte adattive o realistiche dipende dal riuscire a connettere il
precedente lavoro e il nuovo nel contesto dei cambiamenti esterni o interni. A livello personale, ciò
richiede rischio emotivo e supporto sociale.

LE TRANSIZIONI DELL’ETÀ ADULTA

- Career Pathing: si occupa di sviluppare le risorse volte ad aiutare gli individui a rendere il proprio contributo
sempre più significativo.
Bisogna innanzi tutto identificare la meta (crescita verticale o orizzontale), in seguito bisogna accertare
abilità, esperienza e motivazione. In seguito bisogna individuare azioni e strumenti consoni al favorire la
transizione.
- Perdita del lavoro: ad una certa età la paura è quella di non trovare una posizione di status comparabile a
quella che si aveva senza essere ancora pronti al pensionamento. La perdita del lavoro può compromettere
salute fisica e mentale. L’azione del career counselor in questi casi è coinvolgere l’adulto nella ricerca attiva.
- Rientro: Sono le donne ad affrontare più frequentemente transizioni di carriera. Il rientro può essere
motivato da fattori vocazionali, familiari o finanziari e può implicare tanto il desiderio di avere una carriera
quanto quello di diventare autosufficienti. Possono pertanto sperimentare conflitti di ruolo e problemi
emotivi, tentando di bilanciare le richieste della famiglia e gli obblighi lavorativi, così come altre difficoltà
comuni riscontrate, per esempio la scarsa autostima, la sottovalutazione delle proprie abilità e autonomia, la
minor assertività rispetto alle donne in carriera. Un career counseling efficace, in riferimento a tale target di
intervento, richiede agli operatori di tenere nella giusta considerazione tutti i fattori menzionati e di
considerare le adeguate prospettive teoriche ed empiriche.
- Problemi frequenti dei clienti del career counselor: stabilire un’autovalutazione realistica delle proprie
competenze e abilità; fronteggiare la perdita economica e l’ansia, la perdita della sicurezza del lavoro, dei
colleghi, dell’identità, la mancanza di fiducia e autostima e la paura del fallimento; reagire gli svantaggi legati
all’età.

IL TRANSITION COUNSELOR

Krumbolts e Chan propongono il concetto di transition counseling focalizzato su 5 cambiamenti:

1. Espandere l’obiettivo di intervento (non sono lavoro ma anche soddisfazione)


2. Includere tutti gli aspetti della vita
3. Predisporre training più ampi e comprensivi di maggiori abilità (più inclusione)
4. Confrontarsi con tutte le transizioni (non solo lavorative)
5. Costruire una relazione a lungo termine.

CAPITOLO 11 – CONCILIAZIONE TRA LAVORO REMUNERATO E RESTO DELLA VITA


La tensione in questi due ambiti può causare stress e malessere fisico e psicologico.

MODELLI TEORICI

A) CONFLITTO LAVORO – FAMIGLIA


la partecipazione ad uno dei due ruoli è resa complicata dalla partecipazione al ruolo opposto.
Questo conflitto è bidirezionale e può essere o reciproco.
Questo costrutto può essere causa di insoddisfazione sul lavoro ed è una delle possibili cause di assenteismo
e intenzione di cambiare impiego.

B) SPILLOVER
Il modello dello spillover segnala quella condizione per cui sentimenti, valori, comportamenti da un contesto
“scivolano” nell’altro. Può essere anche positivo.
C) LA COMPENSAZIONE
Fa riferimento ad una relazione tra i domini lavoro e famiglia che prevede il tentativo di rimediare alle
difficoltà o mancanze in un contesto attraverso un maggior investimento nell’altro.

D) LA STRUMENTALITÀ
Questo modello ipotizza che un contesto sia strumentale al raggiungimento dei risultati nell’altro. Può essere
pensata in entrambe le direzioni.

E) IDENTITÀ E IMPEGNO DI RUOLO


L’identità lavorativa e quella familiare riflettono il concetto di sé e contribuiscono all’autorealizzazione e
sono predittive delle prestazioni di ruolo. Gli individui tenderebbero a investire risorse nel ruolo associato
all’identità con maggiore importanza, con l’obiettivo di consolidare la propria autostima.
Tuttavia è riduttivo pensare che un maggiore investimento da una parte causi un minore investimento da
un’altra.
L’esito in termini di relazione tra lavoro e famiglia, dell’impegno richiesto dall’assunzione dei diversi ruoli
può essere infatti un vissuto negativo di “svuotamento” oppure un vissuto positivo di “arricchimento” nella
duplice direzione.
Dalle ricerche svolte sembra che le donne, rispetto agli uomini, tendano a integrare maggiormente i due
contesti e di conseguenza i due ruoli. A questa considerazione si aggiungono i dati riportati dalle ricerche,
per cui sembrerebbe che gli uomini vivano con maggiore difficoltà la possibilità di conciliare più ruoli
sottraendosi, dunque, al conflitto

F) EQUILIBRIO
Reiter propone di distinguere tra definizioni di equilibrio:
- Assolutiste, per cui l’equilibrio sarebbe il miglior risultato possibile indipendentemente dalle caratteristiche
della situazione o del soggetto;
- Situazioniste, che considerano l’equilibrio come strettamente dipendente dalle situazioni;
- Soggettiviste, per cui l’equilibrio sarebbe basato non tanto su principi universali quanto su valori personali;
- Eccezionaliste, per cui l’idea di equilibrio fornita da qualche soggetto diviene la definizione di riferimento per
impostare un disegno di ricerca.
Secondo la riflessione di Reiter, la prospettiva situazionista risulta essere la più adeguata alla ricerca.

G) GESTIONE DEI CONFINI


Inizialmente l’idea di segmentazione veniva intesa come un’assenza di relazione tra ruoli lavorativi e non,
dovuta alla separazione fisica e temporale dei due ruoli. Più recentemente ci si è resi conto di quanto i due
domini siano vicini, così la segmentazione è stata rielaborata come un processo psicologico attivo che le
persone possono scegliere di mantenere.

RUOLO DELL’ORGANIZZAZIONE

Work family: caratterizzata da “assunzioni condivise, credenze e valori relativi alla tendenza dell’organizzazione a
sostenere e valorizzare l’integrazione tra vita lavorativa e familiare delle persone”.

Family friendly: l’organizzazione è effettivamente impegnata a sostenere i dipendenti nella gestione delle loro
responsabilità familiari affiancando all’accessibilità delle soluzioni pro conciliazione la presenza di una classe
dirigente sensibile e attenta.

Ci sono varie direzioni che le organizzazioni possono seguire per migliorare la qualità di vita percepita dai dipendenti,
attivando strategie family-friendly. I livelli di intervento possono riguardare:
Le forme di contratto (es. flessibilità di orario, lavoro a distanza, ecc. );
Le azioni di sostegno e sviluppo a carattere formativo e/o consulenziale;
Le agevolazioni economiche e i servizi direttamente offerti all’interno delle strutture aziendali;
Le politiche, le procedure gestionali e l’organizzazione del lavoro (per esempio il lavoro di gruppo per condividere le
responsabilità).
Tali iniziative sono rese disponibili da molte aziende di grandi dimensioni (anche per proteggere la propria
immagine). Questo tipo di organizzazione, dunque, si presenta come particolarmente attento ai bisogni e alle
differenze degli individui e dei contesti di lavoro. Le conseguenze possono essere certamente positive in quanto
profondamente supportive, tuttavia non si può ignorare l’aspetto economico che va affrontato, l’esigenza di un
feedback positive e l’obbligo di precedere questo processo attraverso un’analisi dei bisogni di conciliazione dei
dipendenti.

CAPITOLO 12 – VALUTAZIONE DEI RISCHI PSICOSOCIALI (so cazzi tua)


CAPITOLO 13 – IL MANAGEMENT INTERNAZIONALE
Molte aziende vengono definite stateless corporations per via di differenti cause: globalizzazione dei mercati,
dislocazione del lavoro manifatturiero presso i paesi in via di sviluppo, diffusione delle tecnologie informatiche e
processi di migrazione ed immigrazione. Il cambiamento di un’azienda in questa direzione avviene attraverso 4 stadi
di sviluppo:
1. Domestico: azienda orientata ad un mercato nazionale ma i dirigenti sono consapevoli di doverlo ampliare.
2. Internazionale: l’azienda considera l’idea di rivolgere la propria attenzione all’estero, gestendo ogni paese
singolarmente.
3. Multinazionale: grande numero di attività svolte al di fuori del paese di origine.
4. Globale: aziende sussidiarie collegate tra loro nella misura in cui la posizione competitiva in una nazione influenza
significativamente le attività in altre.

La GRU in contesti multinazionali richiede la necessità di approfondire il concetto di conoscenza, ben diverso da
quello di “informazione”: mentre l’informazione è un insieme di dati uniti ad altri poi convertiti in un contesto, la
conoscenza consiste nella conclusione che deriva dal collegamento di un’informazione con altre. La conoscenza può
essere di 3 tipi: esplicita (formale), implicita (tacita) e prescrittiva (come sarebbe opportuno procedere).
Le persone che operano in contesti socioculturali differenti da quello d’origine vengono chiamati espatriati

LA CULTURA
Le aziende devono essere consapevoli dell’importanza della propria cultura organizzativa e di quella dei contesti in
cui opera.
La cultura organizzativa è un insieme di idee condivise che determina il modo in cui il gruppo percepisce e valuta
l’ambiente esterno.

Una cultura è formata da diversi strati:


1. Il più facilmente rintracciabile è quello dei comportamenti: abbigliamento, linguaggio, organizzazione dello spazio.
2. Valori = “convinzioni sui modi di agire e le loro conseguenze”; distinzioni tra VALORI DICHIARATI (consuetudini che
l’organizzazione privilegia) e VALORI PRATICATI (comportamenti realmente agiti).
3. Assunti di base che non sono osservabili e rappresentano il substrato della cultura; sono abitudini talmente
scontate da non essere facilmente riconoscibili.

 Hofstede: identifica 53 tipologie di cultura basate su 4 dimensioni culturali:


1. Distanza dal potere: percezione del grado di disparità di potere tra chi lo detiene e chi vi è sottomesso.
2. Controllo dell’incertezza: grado di tolleranza che una società può accettare di fronte all’incertezza causata
da eventi futuri. Paesi con un elevato livello di controllo dell’incertezza sono caratterizzati da scarse
ambizioni di carriera, dirigenti anziani, grandi imprese ed evitamento della concorrenza tra dipendenti.
3. Individualismo-collettivismo: i paesi più ricchi risultano anche i più individualisti.
4. Mascolinità-femminilità: società con caratteristiche maschili tende ad avere ruoli più differenziati, e il
lavoro è visto come un mezzo per affermarsi, mentre nelle culture femministe è un modo per realizzare
una collaborazione.
Trompenaars: classifica le culture in 5 differenti tipologie:
1. Universalismo-Particolarismo: mentre verso il primo polo vi sono pratiche di gestione applicate ovunque
alla stessa maniera, verso il secondo le circostanze indicano come le idee debbano essere applicate in
maniera contestualizzata.
2. Individualismo-Comunitarismo: persone centrate su se stesse VS persone che si sentono parte di un gruppo.
3. Neutrale-Affettivo: emozioni tenute sotto controllo (UK) VS emozioni liberamente espresse (MEX).
4. Cultura specifica-Diffusa: grande spazio pubblico condiviso apertamente e spazio personale molto
riservato VS spazio pubblico molto protetto poiché consente l’accesso a quello privato.
5. Status conquistato-Status acquisito: potere sulla base delle performance VS status attribuito sulla base di
ciò che si è.

GLI ESPATRIATI
Con questo termine si fa riferimento ad individui che si recano all’estero per conseguire obiettivi lavorativi.
Esistono diverse classificazioni: sulla base delle reazioni psicologiche nei confronti della cultura ospitante, sulle cause
di trazione e spinta verso una meta, in base a come percepiscono se stessi e si adattano all’ambiente.

GESTIONE DELLE CARRIERE INTERAZIONALI


Con international assignment si intende un incarico programmato con la durata a tempo determinato e prevede il
rientro in patria; diverso è invece quando si passa da un Paese all’altro con la necessità della famiglia di seguirlo.

Le caratteristiche di personalità che possono predisporre favorevolmente le persone verso questo tipo di esperienza
sono: estroversione, abilità nel formare alleanze sociali, personalità amicale, stabilità emotiva, competenze
linguistiche, motivazione e leadership.
La competenza più importante per ricoprire incarichi all’estero è quella politica, intesa come combinazione di abilità
sociali, capacità, conoscenze il cui possesso può essere funzionale all’adattamento ad un nuovo contesto. Gli
elementi chiave sono: consapevolezza di sé, influenza interpersonale, genuinità e capacità di costruire relazioni
sociali.
È inoltre presente in letteratura il dibattito sugli studi di adattamento attraverso i quali passano gli espatriati:
 Curva a U: dopo la sorpresa iniziale, il benessere e l’interesse degli espatriati comincia a diminuire in modo
regolare, per poi tornare gradualmente al livello iniziale se non maggiore.
 Curva a W (meglio doppia U): fa riferimento all’andamento del benessere all’estero e poi al ritorno in patria.

CAPITOLO 14 – DIVERSITY MANAGEMENT


Il Diversity Management è un approccio teorico-pratico che si propone di:

1. Indagare i processi che generano conflitti sulla base della percezione della reciproca diversità fra le persone
2. Intervenire per modificare gli effetti indesiderati di tali processi sulla produttività, il clima di gruppo e il
benessere lavorativo
3. Potenziare i comportamenti creativi e innovativi dei gruppi diversificati, che generano profitto e benessere.

Il diversity management ambisce a essere una nuova via nelle politiche di riduzione della discriminazione: non mira
solo a introdurre programmi che fungano da rimedio alle iniquità sociali, ma è anche attento alle necessità di
business e al riconoscimento del valore della diversità. Il DM non include, pertanto, il concetto di tolleranza, spesso
presente nelle politiche di pari opportunità, in quanto intende favorire la comprensione delle differenze per rendere
possibile la costruzione di nuovi significati condivisi.

RISORSE UMANE DIVERSIFICATE


La sua potenzialità sta nella possibilità offerta dalla disomogeneità che può generare innovazione. Mentre la
complessità risiede nei processi che generano conflitto tra persona che si percepiscono come diverse.
- SOCIAL CATEGORY DIVERSITY
Secondo questo approccio non sempre l’appartenenza all’ingroup o all’outgroup è chiara e consapevole. I membri di
un gruppo usano le somiglianze tra di loro e le differenze percepite dell’outgroup come caratteristiche salienti per
fare paragoni, che spesso favoriscono il proprio gruppo. Tale processo serve per ridurre la minaccia percepita
all’integrità della propria identità personale, serve cioè a preservare intatta e positiva l’immagine del proprio gruppo
d’appartenenza, e quindi di se stessi, come membri di quel gruppo.

Quando si introducono situazioni cooperative che eliminano le differenze intergruppi, ci si espone al rischio di
minacciare l’identità distintiva e positiva dei componenti del gruppo. Possono quindi risultare proficui gli approcci
che creano una sorta di compromesso.

- INFORMATION / DECSION MARKETING


Questo approccio si focalizza sulla diversità intesa in termini funzionali e informativi, ossia sulle caratteristiche del
lavoro, della posizione e delle funzioni di ciascun contesto organizzativo. I gruppi diversificati, infatti, sarebbero in
possesso di una più ampia gamma di conoscenze utili allo svolgimento dei loro compiti. In particolare, la
diversificazione dei punti di vista solleciterebbe il gruppo ad analizzare più approfonditamente le alternative di
scelta, producendo un maggior numero di idee rispetto a un gruppo omogeneo.

INTERVENTI PER GESTIRE LA DIVERSITÀ NELLE ORGANIZZAZIONI


Diversity training: si tratta di una serie di attività che tendono a rendere consapevoli mng e dipendenti degli errori
sistematici di valutazione che compaiono sulla base di processi automatici di pensiero.
Se il diversity management coincide con le politiche del personale, esso rappresenta un nuovo modo di considerare
le persone in organizzazione seguendo un’ottica molto più ampia; inoltre questo garantirà il rispetto delle pari
opportunità sancite dalla legge.

CAPITOLO 15 – OUTPLACEMENT
È un’attività che si occupa di accompagnare le persone uscite da un’azienda in un’altra situazione lavorativa.

Al giorno d’oggi questo tema assume una connotazione negativa e riparatoria. In una concezione più positiva, invece,
la connotazione dovrebbe essere quella di sviluppo e valorizzazione.

Le modalità e le ragioni per cui le organizzazioni fanno ricorso all’outplacement registrano un cambiamento a partire
dalle importazioni originarie. Le linee di caratterizzazione di tali trasformazioni sono:

- Da un servizio “sconosciuto” a una “corporate commodity” alla promessa di un’occupazione duratura, di un


posto di lavoro sicuro, di una confortevole prospettiva di pensione si sostituisce l’offerta, da parte
dell’organizzazione, di servizi di consulenza, di accompagnamento e di formazione necessari per fronteggiare
l’eventualità di un licenziamento e l’opportunità della ricerca di un nuovo lavoro;
- Dal contenzioso giuridico-sindacale sul lavoro ai servizi di outplacement. Per fronteggiare senza conflitti
questa situazione, le imprese incoraggiano con incentivi le dimissioni volontarie e quindi intervengono
offrendo servizi di outplacement per accompagnare e gestire il percorso di licenziamento o di dimissione con
la possibilità di individuare nuove opportunità di business occupazionali
- Linee di tendenza attuali delle attività di consulenza per l’outplacement che integrano molteplici aspetti dei
contesti organizzativi.
– Servizi di career transition/outplacement integrati con interventi di career management e organizational
consulting service;
– Servizi di outplacement agiti in parallelo con attività di erogazione di lavoro temporaneo e di forme di
occupazione ad interim;
– Servizi di outplacement che prefigurano posizionamenti e connessioni con attività di International
executive coaching;
– interventi di outplacement integrati con un set comprensivo di servizi di human resource consulting in
un sistema di internazionalizzazione delle organizzazioni.
LA PROFESSIONE DI CONSULENTE PER L’OUTPLACEMENT
Il fondatore della professione si ritiene sia Bernard Haldane che definisce le modalità e gli strumenti d’intervento per
promuovere il reinserimento dei veterani di guerra nel nuovo scenario organizzativo del mondo del lavoro alla
ripresa dello sviluppo socioeconomico del dopoguerra.

Il processo di Haldane, il “System to Identify Motivated Skills” (SIMS), consente ai veterani di individuare le
potenzialità motivate attraverso la valorizzazione delle passate esperienze e l’individuazione di una strategia di
utilizzazione di questa consapevolezza per la ricerca di posizioni lavorative di successo e soddisfacenti.

Il ruolo del consulente per l’outplacement si delinea come quello di un esperto che accompagna il soggetto
nell’individuazione delle esperienze professionali di successo. In parallelo con l’evoluzione della domanda di
consulenza da parte delle organizzazioni, il profilo di competenze del professionista dell’outplacement deve
rispondere a un insieme di richieste riguardanti:
- La consulenza per il livello corporate/organizational client per la gestione dei processi di pianificazione delle
attività in fase di prelicenziamento;
- La consulenza individuale o di gruppo per i candidati al licenziamento;
- L’assessment relativo alle esperienze dei candidati, rilevazione di misure standardizzate di ricognizione delle
competenze critiche ed elaborazione di strategie di azione;
- La formazione alla ricerca di lavoro attraverso la pianificazione di campagne di job search;
- La consulenza per lo sviluppo di piani di carriera individuali – work-life balance;
- Le attività di executive coaching dedicate ai profili di livello medio alto.
- Gli interventi finalizzati a gestire I vari percorsi di carriera.

CAREER GROWTH MODEL


Gli autori mettono in relazione il processo di sviluppo e di crescita nella carriera con il livello di stress associato alla
perdita di lavoro; un basso livello di stress consente di gestire il percorso di sviluppo della carriera in maniera
corretta e congrua. In situazioni di perdita di un lavoro un moderato livello di attivazione e di stress consente
all’individuo di utilizzare strategie di esplorazione e di focalizzarsi, senza particolari ansietà, sulle opportunità e sul
proprio futuro professionale.

Le dimensioni rilevanti che definiscono questo modello di outplacement riguardano:


- Le dimensioni di caratterizzazione dell’individuo;
- Il contesto sociale e occupazionale di riferimento;
- Le modalità di gestione del processo di transizione in cui è implicato.

Il punto di forza del modello riguarda essenzialmente la centratura sul vissuto e sulle modalità di risposta del
soggetto. Le dimensioni individuali spesso confluiscono nel generare una sorta di stress che favorisce la risposta
strategica funzionale all’organizzazione e pianificazione della propria vita professionale. I fattori riconducibili al
contesto sociale riguardano invece l’insieme delle condizioni di natura economico-finanziaria: la perdita del lavoro si
associa al disagio economico e personale. Questa situazione fa insorgere sentimenti di depressione che si associano
a una minore disponibilità e proattività nella ricerca di nuove opportunità. L’altra componente è il supporto sociale
disponibile per il soggetto che perde il lavoro. Il punto di forza del modello riguarda la centratura sul vissuto e sulle
modalità di risposta del soggetto e l’intervento di outplacement è proprio finalizzato a favorire risposte proattive a
situazioni così stressanti.

CAPITOLO 16 – SUCCESSO OCCUPAZIONALE (so cazzi tua)

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