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Comportamento Organizzativo-Robert Kreitner Angelo Kinicki

Comportamento organizzativo (Università di Bologna)

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COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO
1. LE ORGANIZZAZIONI ORIENTATE ALLE PERSONE E IL COMPORTAMENTO ETICO
1.1 BENVENUTI NEL MONDO DEL COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO
Il comportamento organizzativo studia come le persone agiscono e reagiscono all’interno di
organizzazioni di ogni tipo. Secondo la definizione di Chester Bernard, un’organizzazione è un
sistema di attività consapevolmente coordinate di due o più persone. Le organizzazioni sono
un’invenzione sociale che ci aiuta a ottenere collettivamente risultati che i singoli non potrebbero
mai raggiungere e amplificano le potenzialità.

Per definizione, il comportamento organizzativo è il campo di studi interdisciplinare che mira a


una migliore comprensione e gestione delle persone nel contesto lavorativo. Esso è orientato sia
alla ricerca teorica sia all’applicazione pratica, e i tre livelli di base dell’analisi sono l’individuo, il
gruppo e l’organizzazione.

Lo studioso Edward Lawler III ha realizzato la “spirale di carriera virtuosa” per illustrare come le
capacità legate al comportamento organizzativo possono indirizzare verso il successo
professionale: capacità e prestazioni di maggiore qualità possono tradursi in posti di lavoro
migliori e riconoscimenti più importanti.

1.2 IL COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO: UNA PROSPETTIVA STORICA


Affrontando questo tema è utile adottare una prospettiva storica perché permette di
comprendere meglio come dov’è oggi il campo del comportamento organizzativo e dove sembra
dirigersi ricostruendo cosa è stato sino ad oggi e lungo quali direttrici si sta evolvendo. Si
esaminano quindi 4 punti di riferimento significativi nell’evoluzione della riflessione e della pratica
di gestione:
1) LA CORRENTE DELLE RELAZIONI UMANE
Questa corrente fu promossa da una serie di fattori durante gli anni ’30:
- prima di tutto, a seguito della legalizzazione delle contrattazioni collettive tra sindacati e
datori di lavoro negli USA, il management iniziò a cercare nuovi metodi di gestire i dipendenti;
- in secondo luogo, gli scienziati del comportamento iniziarono a richiamare l’attenzione sul
“fattore umano”.

L’eredità di Hawthorne
Uno studio condotto alla Western Electric di Chicago, nell’area dell’impianto di Hawthorne, fu
il primo stimolo al movimento delle relazioni umane, anche se i risultati si sono rivelati per
buona parte un mito. La corrente delle relazioni umane acquistò vigore negli anni ’50, quando
accademici e manager sottolinearono il potente effetto che i bisogni individuali, il controllo
motivante e le dinamiche di gruppo esercitavano sulla performance dei dipendenti.

Gli scritti di Mayo e Follet


Essenziali per lo sviluppo di questa corrente furono gli scritti di Mayo e Follet: il primo aveva
guidato i ricercatori ad Howthorne e consigliò ai manager di rispondere ai bisogni emotivi dei
dipendenti, la seconda raccomandò ai manager di motivare la performance lavorativa al posto
di richiederla semplicemente, seguendo una strategia pull piuttosto che push.

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La teoria Y di McGregor
Nel 1960 McGregor formulò due serie di ipotesi sulla natura umana nettamente in contrasto
tra loro. Le ipotesi della teoria X erano pessimistiche, negative e tipiche di come i manager
tradizionalmente percepiscono i loro dipendenti. Al contrario, la teoria Y era un insieme di
ipotesi più positive, secondo cui gli individui sono in genere responsabili e creativi.

Nuove ipotesi sulla natura umana


Gli studiosi appartenenti alla corrente delle relazioni umane credevano nell’assioma “un
dipendente soddisfatto è un dipendente che lavora sodo”. Nonostante i limiti, questa
corrente ha aperto le porte a un pensiero più moderno sulla natura umana ed i manager
hanno così iniziato a considerare i collaboratori come soggetti sociali attivi, creando ambienti
di lavoro più umani.

2) LA CORRENTE DELLA QUALITA’ TOTALE


Grazie al concetto di management della qualità totale (Total quality management, TQM) e agli
standard Six Sigma, la qualità della maggior parte dei beni che oggi compriamo è migliore
rispetto al passato. Il Six Sigma fu sviluppato nel 1986 alla Motorola per conseguire uno
straordinario obiettivo di qualità del 99,997% eliminando i difetti e riducendo gli sprechi.

Management della qualità totale (TQM) significa che la cultura dell’organizzazione supporta
ed è definita dal costante conseguimento della soddisfazione del cliente attraverso un sistema
integrato di strumenti, tecniche e formazione. Questo implica il continuo miglioramento dei
processi organizzativi, il cui risultato è un’alta qualità dei prodotti e dei servizi.
Schonberger riassume il TQM come “un miglioramento continuo, centrato sul cliente e
guidato dai collaboratori”.

L’eredità di Deming
Il TQM è oggi affermato grazie al lavoro di Deming, il quale richiese le seguenti condizioni
riguardo alla componente umana del miglioramento della qualità:
- una preparazione formale nelle tecniche statistiche di controllo dei processi e nel lavoro di
squadra;
- una leadership incentrata sul supporto;
- l’eliminazione della paura per far sentire i collaboratori liberi di fare domande;
- un’enfasi sui processi di miglioramento continuo;
- un lavoro di squadra;
- l’eliminazione degli ostacoli al miglioramento delle capacità dei collaboratori.
Una delle lezioni più importanti di Deming per i manager è la regola 85-15: quando le cose
non procedono nel migliore dei modi vi è approssimativamente un 85% di possibilità che la
colpa sia attribuibile al sistema, mentre solo il 15% delle volte è il collaboratore singolo a
sbagliare. Sfortunatamente la maggior parte delle volte il manager tipico incolpa e punisce
erroneamente gli individui per gli insuccessi del sistema.

I principi del TQM


Si possono individuare 4 principi comuni:
1. ottenere un risultato corretto la prima volta per eliminare costosi rifacimenti e ritiri dei
prodotti di mercato;
2. Ascoltare ed imparare dai clienti e dai dipendenti;
3. Rendere quotidiano il miglioramento continuo;

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4. Costruire il lavoro di squadra, la fiducia e il rispetto reciproco.


Ancora una volta, come è stato per la prima corrente, le persone sono concepite come fattore
chiave del successo organizzativo.
Il management della qualità totale funziona: quando le persone sono gestite secondo questi
principi ne derivano migliori opportunità di lavoro e una più alta qualità di beni e servizi.

3) LA RIVOLUZIONE DI INTERNET E DEI SOCIAL MEDIA


Internet si è confermato essere una vera e propria rivoluzione, tanto che quello che un tempo
era l’e-commerce è diventato oggi e-business, ovvero l’utilizzo di Internet per facilitare ogni
aspetto della gestione di un’impresa. Un altro importante cambiamento nel mondo di
Internet, generato dai social media, è la crescente importanza dei contenuti generati dagli
utenti. I consumatori passivi dei contenuti di massa (programmi televisivi, film e giornali) sono
diventati artefici e divulgatori di contenuti individuali (blog, profilo facebook), e questa
dinamica ha conferito grande potere al singolo.
Le organizzazioni e la vita organizzativa sono dunque cambiate irreversibilmente per effetto
del mondo virtuale di internet.

4) LA COSTRUZIONE DEL CAPITALE UMANO E SOCIALE


Nell’attuale economia globalizzata che cosa si sa e chi si conosce rappresentano sempre di più
le chiavi del successo individuale e organizzativo. In questo contesto, il capitale umano è il
potenziale produttivo della conoscenza e delle azioni di un individuo, mentre il capitale
sociale è il potenziale produttivo risultante dalle relazioni forti, dalla buona volontà e dalla
collaborazione. L’apprendimento organizzativo, ovvero la conoscenza condivisa, e i
programmi di knowledge management necessitano del capitale sociale per utilizzare il
capitale umano individuale per il bene comune.

1.3 IL CONTESTO MANAGERIALE: OTTENERE RISULTATI CON E ATTRAVERSO GLI ALTRI


Il management è un processo che consiste nel lavorare con e attraverso gli altri per raggiungere gli
obiettivi organizzativi in modo efficiente ed etico, in un contesto in continuo mutamento.
I manager ricoprono dunque un ruolo costantemente in evoluzione e quelli efficaci sono giocatori
di una autorevole squadra il cui potere deriva dalla volontà e dal supporto attivo di altri individui.

Il filone di ricerca di Clark Wilson ha fornito un profilo pratico e convalidato delle capacità
manageriali. Questo profilo si concentra su 11 categorie osservabili del comportamento
manageriale:
1) Rende chiari scopi e obiettivi
2) Incoraggia la partecipazione
3) Pianifica e organizza
4) Possiede una competenza tecnica amministrativa
5) Facilita il lavoro
6) Fornisce feedback
7) Fa funzionare le attività
8) Controlla i dettagli
9) Esercita una ragionevole pressione per il raggiungimento degli obiettivi
10) Autorizza e delega
11) Riconosce una buona performance
La tecnica di Wilson per la valutazione delle capacità, oltre a chiedere direttamente a un manager
di auto-valutarsi rispetto alle 11 capacità, prevede anche di chiedere a coloro che riportano

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direttamente a lui di valutarlo: il risultato è quindi una valutazione dell’effettiva padronanza delle
capacità.
Quattro sono le conclusioni della ricerca sulle capacità manageriali:
1. Trattare efficacemente con le persone è l’essenza del management;
2. I manager con un’alta padronanza delle proprie capacità tendono ad ottenere migliori
performance delle sotto-unità e un morale dei collaboratori migliore;
3. Manager uomini e donne efficaci non presentano profili delle capacità significativamente
diversi;
4. A ogni tappa della carriera, i manager che hanno fallito nella realizzazione del proprio
potenziale tendono ad essere coloro che sovrastimano la padronanza delle proprie
capacità.

Per quanto riguarda l’attuale mondo del lavoro, esso è sottoposto a grandi cambiamenti: al posto
dell’individuo, i team sono diventati la nuova componente costitutiva dell’organizzazione; inoltre i
leader sono sempre più concentrati sul cliente e i collaboratori sono considerati sempre più come
clienti interni.

Per applicare nel modo migliore il crescente numero di strumenti e tecniche di management
disponibili si è ricorso all’approccio contingente. Si definisce approccio contingente l’utilizzo delle
tecniche di management in modo appropriato alle situazioni, in contrapposizione al tentativo di
applicare il concetto di “one best way” o “one size fits all”. Secondo questa prospettiva, a
determinare quando e dove le diverse tecniche di management siano appropriate sono proprio le
situazioni in evoluzione, e non le rigide e semplici regole.

1.4 LA SFIDA DELL’ETICA


Vi sono numerose caratteristiche individuali e organizzative che contribuiscono ai comportamenti
non etici. Il comportamento organizzativo permette una migliore comprensione di questo aspetto
e un miglioramento dell’etica sul posto di lavoro. Nello specifico, l’etica comprende lo studio delle
questioni morali e delle scelte conseguenti, ovvero riguarda la contrapposizione tra ciò che è
giusto e ciò che è sbagliato.

Per responsabilità sociale d’impresa si intende l’idea che le aziende abbiano degli obblighi nei
confronti di gruppi sociali diversi dagli azionisti che vanno oltre le disposizioni di legge o i contratti
collettivi. Essa chiama le aziende a non limitarsi alla ricerca del profitto ma a servire gli interessi e i
bisogni degli stakeholder.
Lo studioso di etica Carroll ha realizzato un modello di responsabilità sociale d’impresa/etica
aziendale adeguato all’economia globale e alle multinazionali, che identifica 3 macro-tendenze:
I. La globalizzazione dell’economia;
II. Le crescenti aspettative in rapporto alla responsabilità sociale d’impresa;
III. L’appello per un’etica aziendale più sana.

La piramide della responsabilità sociale globale d’impresa offre i seguenti suggerimenti alle
organizzazioni che operano nell’economica globalizzata:
• realizzare profitti coerenti con le aspettative legate alle imprese internazionali;
• rispettare le leggi dei paesi ospitanti e la normativa internazionale;
• seguire prassi etiche che tengano conto degli standard applicati dai paesi ospiti e a livello
globale;

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• essere un buon “cittadino d’impresa” in particolare rispetto alle aspettative prevalenti nel
paese ospitante.
La struttura può reggere solo se ciascun livello è solido.

Kent Hodgson ha aiutato i manager a raggiungere decisioni etiche identificando sette principi
morali generali, da egli definiti come “i magnifici 7” per la loro rilevanza universale. Secondo
Hodgson non vi sono risposte etiche assolute nel momento in cui si deve prendere una decisione,
per questo il manager dovrebbe basarsi sui principi morali in modo da prendere decisioni ben
fondate, appropriate e difendibili. I 7 principi morali generali per i manager sono i seguenti:
1) Dignità della vita umana: la vita deve essere rispettata.
2) Autonomia: tutte le persone hanno valore intrinseco e hanno il diritto di autodeterminarsi.
3) Onestà, conosciuta anche come integrità, sincerità e onore: ognuno dovrebbe parlare e
agire così da riflettere la realtà della situazione.
4) Lealtà: promesse, contratti e impegni dovrebbero essere onorati.
5) Giustizia: le persone dovrebbero essere trattate giustamente, con imparzialità ed equità.
6) Umanità: comprende due parti: (a) bisognerebbe fare il bene e (b) bisognerebbe evitare di
fare il male.
7) Bene comune: nelle proprie azioni si dovrebbe realizzare “il maggior bene possibile per il
maggior numero di persone”.

Migliorare l’etica sul posto di lavoro può determinare effetti positivi sui risultati economici. In
particolare, sono state identificate alcune azioni per migliorare l’etica sul lavoro:
• Comportarsi eticamente in prima persona. I manager sono importanti modelli di ruolo, è
importante quindi che il comportamento etico parta dall’alto;
• Esaminare i potenziali collaboratori. I selezionatori in genere trascurano di controllare la
veridicità di referenze, credenziali e altre informazioni fornite dai candidati, pratica che
invece permetterebbe di verificare l’integrità delle persone;
• Sviluppare un codice etico significativo. I codici etici possono avere un impatto positivo se
soddisfano 4 criteri:
1. devono essere distribuiti a ogni dipendente;
2. devono essere fermamente supportati dal top management;
3. devono riferirsi a pratiche specifiche e a dilemmi etici che probabilmente un certo
gruppo di collaboratori si trova ad affrontare;
4. devono essere applicati in modo equanime, con ricompense per chi li rispetta e penalità
per i trasgressori.
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• Rinforzare il comportamento etico;


• Creare posizioni, unità e altri meccanismi strutturali per affrontare le questioni etiche;
• Creare un clima in cui non ci sia bisogno del “whistle-blowing”, ovvero la denuncia da parte
di un dipendente di attività non etiche commesse dall’azienda. le organizzazioni possono
prevenire questo fenomeno incoraggiando l’espressione libera del dissenso.

Infine, l’etica tocca anche la percezione e la motivazione individuali. È importante, infatti, che gli
individui siano attenti alla sfera morale e che i collaboratori desiderino di fare la cosa giusta e
abbiano il coraggio di agire.

1.5 APPRENDERE IL COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO: L’IMPORTANZA DELLA RICERCA


Il comportamento organizzativo acquista credibilità perché si basa sulla ricerca. In particolare,
sono le 5 le fonti di evidenza empirica:
1. Meta-analisi: tecnica statistica che permette di riassumere i risultati di ricerche differenti.
2. Studio sul campo: ricerca svolta in un contesto organizzativo reale, i cui risultati hanno una
rilevanza immediata e pratica per i manager.
3. Studio di laboratorio: ricerca svolta in situazioni artificiali, i cui risultati devono essere
generalizzati ed applicati al management con cautela.
4. Indagine campionaria: risultati ottenuti tramite questionari inviati a un campione di
persone, che permettono di trarre conclusioni sull’insieme della popolazione. La possibilità
di generalizzare i risultati dipende dalla qualità del campionamento e dalle tecniche di
costruzione dei questionari.
5. Studio di un caso: analisi approfondita su un individuo, un gruppo o un’organizzazione.
Questi studi utilizzano risultati realistici ma non molto generalizzabili.

2. LA GETIONE DELLE DIVERSITA’: LIBERARE IL POTENZIALE DI OGNI PERSONA


2.1 DEFINIRE LA DIVERSITA’
La diversità rappresenta l’insieme delle differenze e somiglianze tra i singoli individui. Essa
riguarda la molteplicità di caratteristiche che rendono ogni individuo unico.

Lee Gardenswartz e Anita Rowe hanno identificato quattro livelli di diversità, che costituiscono
uno schema per distinguere le modalità con cui le persone
differiscono. Considerati nel loro insieme, questi strati
definiscono una singola identità personale e influenzano il modo
in cui ciascuno vede il mondo.
I. La personalità è rappresentata al centro della ruota della
diversità, perché rappresenta un gruppo di caratteristiche
stabili collegate all’identità di una persona.
II. Lo strato successivo è composto da una gamma di
dimensioni interne, le quali non sono in gran parte sotto il
controllo cosciente della persona, ma influenzano
fortemente atteggiamenti, aspettative e considerazioni
circa gli altri, e di conseguenza il comportamento
individuale.

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III. Il livello successivo della diversità è composto dalle dimensioni esterne, definite anche
secondarie. Esse rappresentano le differenze individuali che possono essere controllate con
maggiore successo. Ad esempio la scelta religiosa, l’avere dei figli e le esperienze lavorative.
Queste dimensioni esercitano anch’esse un’influenza significativa sulle percezioni, sui
comportamenti e sugli atteggiamenti individuali.
IV. L’ultimo livello delle diversità concerne le dimensioni organizzative quali l’anzianità
aziendale, la qualifica professionale e il luogo di lavoro.

Le aziende devono tentare di gestire efficacemente le diversità non solo perché è “socialmente
accettabile”, ma perché contribuisce al raggiungimento degli obiettivi strategici.
Le azioni positive sono originate dalle leggi a tutela delle pari opportunità lavorative, mirate a
vietare le discriminazioni incoraggiando le organizzazioni ad attuare forme attive di prevenzione.
La discriminazione avviene quando le decisioni riguardanti un individuo sono slegate dalle sue
prestazioni lavorative; le organizzazioni non possono discriminare per razza, religione, nazionalità,
genere o altro.
Contrariamente all’approccio proattivo della normativa in materia di pari opportunità lavorative,
le azioni positive sono interventi che mirano a raggiungere l’eguaglianza di opportunità in
un’organizzazione. In nessuna circostanza le esse richiedono alle aziende di assumere personale
non qualificato o non adeguato alle posizioni. Anche se le azioni positive hanno creato buone
opportunità per le donne e le minoranze, esse non sempre promuovono il substrato culturale
necessario per gestire effettivamente la diversità. Si è, inoltre, scoperto che le azioni positive
possono anche influenzare negativamente le donne e le minoranze che dovrebbero esserne
tutelate: le persone oggetto delle azioni positive si sono sentite stigmatizzate dal gruppo di
appartenenza come se avessero raggiunto la posizione senza la qualifica necessaria.

La gestione della diversità è un cambiamento organizzativo che permette a ciascuna persona di


esprimersi al massimo del proprio potenziale. Questa strategia si realizza intervenendo sulla
cultura e le infrastrutture organizzative con l’obiettivo di mettere le persone in condizione di
ottenere la maggior produttività possibile. Tre sono le strategie chiave per il successo:
- Educazione e la formazione à La componente educativa della strategia ha due obiettivi: il
primo è di preparare manager innovativi per incarichi che comportano responsabilità
maggiori, il secondo è di aiutare i manager tradizionali a superare i loro pregiudizi nel pensare
e nell’interagire con persone di sesso o etnia diversa.
- Rinforzo di comportamenti desiderabili à Esso mette in evidenza l’importanza di obiettivi
riguardanti la diversità e incoraggia il comportamento conseguente.
- Opportunità per le persone di vivere esperienze diversificate à Essa permette di elaborare
strategie personali di gestione delle diversità aiutando i manager a conoscere e rispettare le
peculiarità di ciascuno.

In generale, è migliore la strategia organizzativa di gestione delle diversità piuttosto che la


semplice valorizzazione o l’utilizzo delle azioni positive.

2.2 GLI ARGOMENTI A FAVORE DELLA GESTIONE DELLA DIVERSITA’


La comprensione degli andamenti demografici è un aiuto indispensabile per costruire una politica
di gestione delle risorse umane; essa permette ai manager di anticipare problemi relativi alla
carenza o sovrabbondanza di determinate figure professionali.
Vediamo ora le implicazioni manageriali di 4 caratteristiche della forza lavoro legate alla gestione
della diversità:

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• Oltre il soffitto di vetro, il labirinto. Coniata nel 1986 da Hymowitz e Schellhardt, l’espressione
glass ceiling (soffitto di vetro), indicava le barriere e gli ostacoli che impedivano alle donne di
conquistare posizioni di livello più elevato, relegandole in mansioni di più basso profilo.
Successive ricerche hanno inoltre evidenziato l’esistenza di un pay gap, una differenza salariale
tra i generi pur nelle stesse posizioni organizzative. Le possibili cause di queste differenze sono
molteplici, alcuni esempi riguardano le pratiche discriminatorie subite dalle donne e il fatto che
esse dedichino più tempo alla cura della casa e alla famiglia.
• La percezione di discriminazione nei gruppi razziali. L’avanzamento di carriera delle minoranze
è più lento di quello dei bianchi, inoltre le persone appartenenti alle minoranze tendono ad
avere un reddito inferiore e fanno esperienza di maggiori discriminazioni percepite, stress
causato da atteggiamenti razzisti e minor supporto psicologico.
• La mancata corrispondenza fra il livello di istruzione e le esigenze occupazionali. In
particolare, sono 3 le tendenze che indicano tale mancata corrispondenza:
- i laureati evidenziano lacune nelle capacità di lavoro in gruppo, pensiero critico e
ragionamento analitico;
- si registra una carenza di laureati in settori tecnici legati alla scienza, alla matematica e
all’ingegneria;
- i diplomati al primo impiego non possiedono le competenze di base necessarie per fornire
prestazioni efficaci.
• L’invecchiamento della forza lavoro. La popolazione e la forza lavoro stanno invecchiando in
tutti i paesi del mondo. Proprio per questo, i manager sono chiamati a gestire efficacemente la
compresenza di quattro generazioni di lavoratori, con le conseguenti differenze sul piano dei
valori, degli approcci e dei comportamenti.

Per attrarre e trattenere le persone migliori, le aziende si devono attrezzare con politiche e
programmi che soddisfino i bisogni di tutti:
• Gestire la diversità di genere: sono necessarie misure specifiche per aiutare le donne a
raggiungere il successo professionale. Le organizzazioni possono dunque contribuire
assegnando incarichi di sviluppo che le preparino per future opportunità di promozione.
• Gestire la diversità razziale: le organizzazioni sono chiamate a educare i dipendenti sugli
stereotipi negativi riguardanti le diverse etnie, in quanto essi non solo impediscono a individui
qualificati di ottenere avanzamenti di carriera, ma possono minare la loro fiducia nelle proprie
capacità di leadership.
• Gestire la diversità di istruzione: il divario tra le competenze necessarie alle imprese per
raggiungere i propri risultati e la formazione scolastica sta crescendo e ciò determina due
potenziali problemi per le organizzazioni. In primo luogo, si registrerà una carenza di lavoratori
qualificati in ambito tecnico, problema che può essere superato introducendo forme retribuite
di apprendistato o tirocinio per attirare studenti di scuola superiore interessati alle scienze. In
secondo luogo, la sottoccupazione dei laureati minaccia di erodere la soddisfazione
professionale e la motivazione. Poiché lavoratori con una solida preparazione di studi
cercheranno impieghi commisurati alle loro qualificazioni e aspettative, l’assenteismo e il
turnover sono destinati ad aumentare, dunque questo problema sottolinea il bisogno di una
ridefinizione delle posizioni.
• Gestire la diversità generazionale: le organizzazioni possono trarre vantaggio dal capitale
umano e sociale dei dipendenti più anziani implementando programmi che li incoraggino a
continuare a lavorare e trasferire le proprie conoscenze agli altri. Alcune iniziative potrebbero
riguardare l’assegnazione di incarichi sfidanti, la concessione di ampia autonomia nel
completamento di un incarico o l’offerta di frequenti riconoscimenti per l’esperienza acquisita.

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Le diversità possono determinare effetti sia positivi che negativi sui risultati aziendali. Questa
apparente contraddizione è generata dalle modalità di gestione organizzativa di due
problematiche: quella della categorizzazione (o in group) e quella delle modalità di decisione
all’interno di un’organizzazione.

- La teoria della categorizzazione sociale


Secondo la prospettiva della categorizzazione sociale, affinità e differenze rappresentano la
base per la categorizzazione di sé e degli altri all’interno di gruppi, con la conseguente
distinzione tra gruppo di appartenenza e uno o più gruppi di non appartenenza. Gli individui
tendono a sviluppare empatia e fiducia verso i membri del gruppo di appartenenza, per i quali
generalmente manifestano una preferenza.
Secondo la teoria della categorizzazione sociale, quindi, l’affinità determina simpatia e
attrazione e favorisce una molteplicità di risultati positivi: maggiore è l’omogeneità all’interno
di un gruppo di lavoro, maggiori saranno l’impegno dei membri e la coesione, minori i conflitti
interpersonali. In sintesi, secondo questo modello, l’omogeneità va preferita alla diversità per i
suoi effetti sull’atteggiamento, il comportamento e le prestazioni in ambito lavorativo.

- La teoria dell’informazione e del processo decisionale


Il secondo approccio teorico trae le conclusioni contrarie suggerendo che i gruppi eterogenei
evidenzino prestazioni migliori rispetto ai gruppi omogenei: I gruppi eterogenei hanno infatti
maggiori probabilità di possedere un ventaglio più ampio di conoscenze, capacità diverse e non
ripetitive, e di contare su opinioni e prospettive diverse sul compito da svolgere.
Questo approccio sottolinea tre effetti positivi della diversità all’interno dei gruppi di lavoro.
1. In primo luogo, si ipotizza che i gruppi eterogenei siano in grado di gestire più efficacemente
le prime fasi del problem solving perché esistono maggiori probabilità che attingano a
esperienze diverse per ottenere una visione più globale di un problema.
2. In secondo luogo, la diversità di prospettive può essere d’aiuto nella fase di brainstorming e
ricerca di soluzioni innovative ai problemi.
3. Infine, la diversità può contribuire ad accrescere i contatti di un gruppo o di un’unità di
lavoro.
I risultati delle ricerche confermano la validità di questo approccio: gruppi eterogenei prendono
decisioni migliori ed evidenziano una produttività più alta.

L’esame della teoria della categorizzazione sociale e di quella dell’informazione e del processo
decisionale ha mostrato che le diversità determinano effetti positivi ed effetti negativi. Il modello
in figura presenta una sintesi sottolineando tali effetti. In linea con la teoria della categorizzazione
sociale, esiste una relazione negativa tra la diversità all’interno di un gruppo di lavoro e la qualità
dei processi interpersonali e delle dinamiche di gruppo (percorso A), che determina esiti negativi
perché la qualità dei processi interpersonali e delle
dinamiche di gruppo è legata positivamente ai risultati
(percorso C). Questa relazione negativa è più accentuata
quando all’interno dei gruppi esistono faglie demografiche
significative, ovvero barriere ipotetiche che dividono un
gruppo in sottogruppi sulla base di attributi demografici.
Al contrario, le ricerche riguardanti la teoria
dell’informazione e del processo decisionale evidenziano
che la diversità all’interno di un gruppo è associata
positivamente ai processi importanti per il compito e al

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processo decisionale (percorso B), favorendo esiti positivi (percorso D). Secondo questo approccio,
la diversità di genere e la diversità razziale determinano risultati positivi perché migliorano i
processi legati al compito e la fase decisionale.
Poiché la diversità all’interno dei gruppi di lavoro è associata a effetti positivi e negativi, dobbiamo
considerare in che modo il management può ridurre i potenziali effetti negativi. Anzitutto, le
organizzazioni possono ricorrere alla formazione per attenuare gli effetti della relazione negativa
tra le diversità e i processi interpersonali e le dinamiche di gruppo (percorso A). In secondo luogo, i
manager possono cercare strategie per aiutare i dipendenti ad allentare le tensioni causate dal
lavoro in gruppi eterogenei, per esempio creando gruppi di supporto. Infine, si possono adottare
misure volte a ridurre gli effetti negativi degli stereotipi inconsci e ad accrescere il ricorso a
obiettivi di gruppo nei team eterogenei.

2.3 LE BARRIERE E LE SFIDE ALLA GESTIONE DELLA DIVERSITA’


Le organizzazioni incontrano barriere significative nel momento in cui tentano di implementare
programmi per la gestione della diversità, una componente critica nel successo organizzativo. Le
barriere più comuni sono:
1. Stereotipi e pregiudizi: Barriera che si manifesta nella convinzione che le differenze siano un
elemento di debolezza.
2. Etnocentrismo: Barriera che consiste nel ritenere superiori o più appropriate le regole e le
norme di una cultura (generalmente la propria) rispetto a quelle di un’altra.
3. Scarsa attenzione allo sviluppo delle carriere: Barriera legata alla mancanza di opportunità
per i collaboratori con alcune caratteristiche di diversità.
4. Clima impermeabile alla diversità: Per clima legato alla diversità si intende l’insieme delle
percezioni relative alle caratteristiche formali e ai valori di un’organizzazione riguardanti la
diversità. Il clima viene considerato positivo quando le persone riferiscono un trattamento
equo nei confronti di tutti, il quale amplifica gli effetti benefici delle diversità, mentre un
clima negativo li riduce.
5. Ambiente di lavoro intollerante e ostile: È difficile che le persone lavorino al massimo delle
proprie potenzialità quando si trovano in un ambiente ostile. È importante ricordare che
l’ostilità è percettiva, quindi individui diversi riportano percezioni diverse di ciò che è “ostile”.
6. Mancanza di sagacia politica: I dipendenti diversi possono non essere promossi perché non
conoscono le “regole del gioco” per muoversi in un’organizzazione.
7. Difficoltà nel bilanciare carriera e impegni familiari.
8. Paura di “discriminazioni alla rovescia”: Alcuni dipendenti credono che la gestione della
diversità si traduca in una forma di discriminazione alla rovescia.
9. Bassa priorità organizzativa: Conduce a una resistenza che si manifesta sotto forma di
rimostranze e atteggiamenti negativi.
10. Necessità di ridefinire i sistemi organizzativi di valutazione e ricompensa: Questi sistemi
devono rinforzare il bisogno di gestire efficacemente la diversità.
11. Resistenza al cambiamento.

2.4 PRATICHE ORGANIZZATIVE PER LA GESTIONE DELLA DIVERSITA’


R. Roosvelt Thomas ha proposto un quadro teorico per categorizzare le iniziative organizzative che
permettano di gestire efficacemente la diversità. In particolare, egli ha identificato otto possibilità
d’azione che possono essere usate per affrontare i problemi della diversità:

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• Opzione 1: includere (Ö) /escludere (-). Questa scelta è una derivazione dei programmi di
azioni positive. Il suo scopo primario è incrementare o diminuire il numero di persone
diverse a ogni livello dell’organizzazione.
• Opzione 2: negare (-). Le persone che utilizzano questa opzione negano che le differenze
esistano. La negazione si può manifestare proclamando che tutte le decisioni sono indi-
pendenti dalla razza, dal genere e dall’età, e che il successo è determinato solamente dal
merito e dalla performance.
• Opzione 3: assimilare (-). La premessa è che tutte le persone, per quanto diverse,
impareranno ad adattarsi o a diventare come il gruppo dominante. Le organizzazioni
inizialmente assimilano i dipendenti attraverso le pratiche di selezione e l’utilizzo di
programmi di orientamento; queste pratiche creano omogeneità tra i collaboratori.
• Opzione 4: nascondere (-). Quando si utilizza questo approccio le differenze sono represse o
scoraggiate. Ciò si ottiene costringendo o incentivando le persone ad abbandonare le
lamentele rispetto ai problemi della diversità.
• Opzione 5: isolare (-). In questo caso le persone diverse vengono messe da parte, in modo
da non causare un cambiamento organizzativo. I manager possono isolare le persone diverse
assegnandole a progetti speciali.
• Opzione 6: tollerare (-). La tolleranza implica il riconoscimento delle differenze ma non la
loro valorizzazione o accettazione. La tolleranza è diversa dall’isolamento in quanto
permette di includere le persone diverse.
• Opzione 7: costruire relazioni (Ö). Questo approccio è basato sulla premessa che delle
buone relazioni possono superare le differenze: incoraggia relazioni di qualità, caratterizzate
dall’accettazione e dalla comprensione, fra gruppi differenti.
• Opzione 8: promuovere l’adattamento reciproco (Ö). Le persone hanno la volontà di
adattare o cambiare le loro prospettive allo scopo di creare relazioni positive con gli altri.
Questo implica che i collaboratori e il management devono avere la volontà di accettare le
differenze e concordare che tutto e tutti possono cambiare.

In conclusione, sebbene le opzioni d’azione possano essere usate singolarmente o in


combinazione tra loro, alcune sono chiaramente meglio di altre (- strategie meno auspicabili, Ö
strategie da adottare). L’adattamento reciproco è l’unica strategia che promuova integralmente la
filosofia di gestione della diversità. La scelta di come gestire al meglio la diversità è però un
processo dinamico determinato dal contesto.

3. CULTURA ORGANIZZATIVA, SOCIALIZZAZIONE E MENTORING


3.1 LA CULTURA ORGANIZZATIVA: DEFINIZIONE E CONTESTO
La cultura organizzativa è “l’insieme di idee condivise, implicite e assunte all’interno di un gruppo,
che determina il modo in cui il gruppo percepisce, valuta e reagisce all’ambiente esterno”. Questa
definizione mette in luce tre caratteristiche importanti della cultura organizzativa:
- Si trasmette ai nuovi collaboratori attraverso la socializzazione;
- Influenza il comportamento sul lavoro;
- Opera a diversi livelli.
La cultura organizzativa è determinata da quattro componenti fondamentali: i valori dei fondatori,
il settore, la cultura nazionale e infine la visione e il comportamento del gruppo dirigente. A sua
volta, la cultura influenza il tipo di struttura organizzativa che un’azienda adotta. Queste

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caratteristiche influenzano a loro volta molti processi sociali e di gruppo, e si riflettono negli
atteggiamenti e nei comportamenti dei collaboratori. La cultura organizzativa è dunque una
variabile di contesto che influenza il comportamento dell’individuo, del gruppo e
dell’organizzazione nel suo insieme.

3.2 DINAMICHE DELLA CULTURA ORGANIZZATIVA


La cultura organizzativa è composta da 3 livelli fondamentali, che differiscono in termini di
visibilità e di resistenza al cambiamento, ed influenzano ciascuno il livello sottostante.
I 3 livelli sono:
1. Manifestazioni osservabili
La cultura organizzativa è rappresentata, nel suo livello più visibile, dalle manifestazioni
osservabili, che comprendono ad esempio il modo di vestire, le storie aziendali e
l’arredamento. Le manifestazioni osservabili sono molto più facili da cambiare rispetto ad
aspetti meno evidenti della cultura organizzativa.
2. Valori dichiarati
Si possono descrivere i valori attraverso cinque caratteristiche fondamentali: “I valori
(1) sono concetti o convinzioni, (2) si riferiscono a comportamenti e conseguenze desiderate,
(3) non dipendono dalle situazioni, (4) guidano nella scelta e nella valutazione dei
comportamenti e degli eventi, e infine (5) sono in ordine di importanza relativa”.
È importante distinguere tra valori dichiarati e valori praticati:
- i valori dichiarati sono valori stabiliti e consuetudini che l’organizzazione privilegia,
solitamente stabiliti dal fondatore o dal gruppo dirigente. Molte aziende stanno spostando il
valore della sostenibilità in quanto ritengono che possa rappresentare una fonte di vantaggio
competitivo, in particolare essa rappresenta la capacità di raggiungere i propri obiettivi senza
danneggiare le generazioni future. I valori dichiarati però non producono automaticamente i
comportamenti voluti perché non sempre le persone passano dalle parole ai fatti.
- i valori predicati sono invece valori e consuetudini che sono messi in atto dai collaboratori.
È importante ridurre il divario esistente tra i valori dichiarati e quelli praticati, perché questi
ultimi possono influenzare gli atteggiamenti dei collaboratori e la performance
dell’organizzazione.
3. Assunti di base
Gli assunti di base non sono osservabili e rappresentano il substrato della cultura
organizzativa. Si tratta di valori organizzativi che sono divenuti così scontati nel tempo da
trasformarsi in ipotesi implicite che guidano il comportamento organizzativo e la cui
resistenza al cambiamento è dunque altissima.

Il principale spunto di riflessione, relativo ai livelli della cultura organizzativa, riguarda


l’adattamento persone-ambiente, ovvero “la compatibilità tra un individuo e un ambiente di
lavoro che si ottiene quando le rispettive caratteristiche si adattano bene le une alle altre.”
Gli individui riportano una maggiore soddisfazione del lavoro, manifestano un impegno più elevato
nei confronti dell’organizzazione e meno intenzioni di cambiare lavoro quando le loro
caratteristiche personali e i loro valori corrispondono alle richieste del lavoro, ai valori
organizzativi e ai valori del gruppo di lavoro. Proprio per questo l’adattamento persona-ambiente
è importante per la carriera e le soddisfazioni professionali.
Per determinare il proprio adattamento persona-ambiente occorre effettuare una valutazione dei
propri punti di forza, punti di debolezza e valori; successivamente la stessa valutazione va operata
per l’azienda o l’unità organizzativa. Le informazioni così ricavate servono per elaborare un

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insieme di domande da porre durante il colloquio per determinare il possibile livello di


adattamento da parte nostra.

Come mostrato in figura, una cultura organizzativa realizza 4 funzioni:


I. Dare alle persone un’identità organizzativa;
II. Favorire l’impegno collettivo;
III. Promuovere la stabilità dell’ambiente sociale: La stabilità
dell’ambiente sociale riflette la misura in cui l’ambiente di
lavoro viene percepito come positivo e motivante, e l’efficacia
con cui vengono gestiti il conflitto e il cambiamento.
IV. Formare il comportamento aiutando le persone a dare un
senso all’ambiente in cui lavorano: Questa funzione aiuta il
collaboratore a capire le scelte aziendali e le modalità che
l’organizzazione adotta per il raggiungimento degli obiettivi a
lungo termine.

I ricercatori di comportamento organizzativo hanno proposto tre modelli per descrivere i vari tipi
di culture organizzative:
• Inventario della cultura organizzativa
• Modello dei valori competitivi
• Profilo della cultura organizzativa

Il modello dei valori competitivi è il più utilizzato ed è uno strumento pratico per comprendere,
misurare e modificare la cultura organizzativa. Esso è stato sviluppato per classificare modalità
diverse di valutazione dell’efficacia organizzativa. I parametri di misurazione di tale efficacia
variano lungo due dimensioni fondamentali:
- La prima misura quanto l’organizzazione focalizza la sua attenzione e i suoi sforzi sulle
dinamiche interne e sui collaboratori oppure sull’ambiente esterno, sui clienti e sugli
azionisti;
- La seconda riguarda quanto l’organizzazione privilegia la flessibilità e la discrezionalità
oppure il controllo e la stabilità.
La combinazione dei due assi consente di individuare 4 tipi di culture organizzative per conseguire
l’efficacia organizzativa. In generale le organizzazioni possono presentare caratteristiche associate
a ciascun tipo di cultura organizzativa, ma nonostante ciò un solo tipo di cultura tenderà ad essere
dominante.
Analizzando il grafico, è possibile
vedere come alcuni tipi di culture
riflettono valori fra loro opposti e per
questo si trovano nei quadranti
opposti. Queste contraddizioni sono
importanti perchè il successo di
un’organizzazione potrebbe
dipendere proprio dalla sua capacità
di scegliere valori fondamentali
associati a tipi di culture in
competizione.

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1. CULTURA DI CLAN
Caratterizzata da focus interno ed enfasi sulla flessibilità, anziché su stabilità e controllo, la cultura
di clan dà vita a un’organizzazione di tipo familiare nella quale si raggiunge l’efficacia favorendo la
collaborazione tra i dipendenti. Questo tipo di cultura è molto “orientata ai dipendenti” e mira a
costruire la coesione mediante il consenso e la soddisfazione del lavoro. Le organizzazioni
caratterizzate da tale cultura investono considerevoli risorse nell’assunzione e nello sviluppo dei
dipendenti e considerano i clienti come partner.
2. CULTURA ADHOCRATICA
Con focus esterno ed enfasi sulla flessibilità, la cultura adhocratica favorisce la creazione di
prodotti e servizi innovativi mediante l’adattabilità, la creatività e la rapidità nel rispondere ai
cambiamenti del mercato. Tale cultura favorisce l’empowerment dei dipendenti incoraggiandoli
ad assumere rischi, coltivare il pensiero creativo e sperimentare nuove modalità di svolgimento
dei compiti. È una cultura adatta alle start-up, alle aziende che operano in settori in costante
mutamento e a quelle operanti in settori maturi che puntano sull’innovazione per conseguire la
crescita.
3. CULTURA DI MERCATO
La cultura di mercato si caratterizza per un forte focus esterno e un’enfasi sulla stabilità e il
controllo. L’obiettivo principale è ottenere produttività, utili e soddisfazione del cliente, che ha la
precedenza sullo sviluppo e la soddisfazione dei dipendenti.
4. CULTURA GERARCHICA
Il pilastro della cultura gerarchica è il controllo. Essa è caratterizzata da un focus interno e da
un’enfasi sulla stabilità, orientamento che si traduce nello sviluppo di processi interni affidabili e
parametri di misurazione. In particolare, le organizzazioni che adottano tale cultura valutano
l’efficacia mediante misure di efficienza, tempestività, qualità, sicurezza e affidabilità nella
produzione ed erogazione di beni e servizi.

La scelta della cultura organizzativa ha delle conseguenze sugli atteggiamenti dei dipendenti,
sull’efficacia e sulla performance aziendale. In particolare, possono essere tratte 5 conclusioni:
- La cultura organizzativa è correlata a misure di efficacia organizzativa.
- I dipendenti sono più soddisfatti e mostrano un maggiore coinvolgimento verso le
organizzazioni con una cultura di clan. Essi preferiscono lavorare in organizzazioni che
avvalorano la flessibilità e sono più attente a soddisfare i bisogni dei collaboratori.
- È possibile promuovere l’innovazione e la qualità sviluppando all’interno dell’organizzazione
caratteristiche associate alle culture di clan, adhocratica e di mercato.
- I risultati economici di un’organizzazione non sono fortemente correlati alla cultura
organizzativa.
- Le aziende dotate di una cultura di mercato tendono a ottenere conseguenze più positive a
livello organizzativo.

3.3 IL PROCESSO DI CAMBIAMENTO CULTURALE


Prima di esaminare le modalità attraverso le quali i manager possono modificare la cultura
organizzativa, è importante ricordare 4 importanti considerazioni sul cambiamento culturale:
• I leader sono gli architetti e gli artefici della cultura organizzativa;
• Il processo del cambiamento culturale inizia con l’individuazione dei tre livelli della cultura
organizzativa (manifestazioni osservabili, valori dichiarati e assunti di base);
• È importante valutare in che misura la cultura adottata si allinea alla visione e al piano
strategico prima di tentare di modificarne qualsiasi aspetto. In particolare, per visione si
intende un obiettivo a lungo termine che descrive “cosa” un’azienda vuole diventare,
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mentre per piano strategico si intende un piano a lungo termine che delinea le azioni
necessarie per raggiungere i risultati desiderati;
• Nell’attuazione di un cambiamento culturale, è importate ricorrere a un approccio
strutturato.

Edgar Schein sostiene che il radicamento di una cultura implica un processo di apprendimento,
ovvero i componenti dell’organizzazione insegnano gli uni agli altri quali siano i valori di
riferimento, le regole implicite e i comportamenti. Questo passaggio di conoscenze avviene
attraverso uno o più dei seguenti percorsi:
1. Affermazioni formali relative alla filosofia aziendale, la missione, la visione e i valori;
materiali utilizzati nella ricerca, nella selezione e nella socializzazione del reclutamento
persone.
2. L’organizzazione dello spazio fisico, gli ambienti di lavoro e gli edifici.
3. Slogan, linguaggio, acronimi e modi di dire.
4. Creazione esplicita di modelli a cui ispirarsi, percorsi di formazione, insegnamento e
affiancamento da parte di manager e supervisori.
5. Premi, status symbol e criteri di promozione.
6. Storie, leggende o miti riguardanti persone ed eventi fondamentali per l’azienda.
7. Attività, processi, risultati che i leader osservano, misurano e controllano.
8. Reazione dei leader di fronte a incidenti gravi per l’azienda e a crisi organizzative.
9. Struttura organizzativa e gerarchia. Le strutture gerarchiche sono più orientate al controllo
rispetto alle organizzazioni orizzontali. Molti dirigenti tendono a ridurre il numero di livelli
nel tentativo di responsabilizzare i collaboratori e incrementare il loro impegno.
10. Sistemi e procedure organizzative. Le aziende fanno uso di reti elettroniche per favorire la
collaborazione tra i dipendenti e conseguire innovazione, qualità ed efficienza.
11. Obiettivi organizzativi e relativi criteri per la ricerca, la selezione, lo sviluppo, le promozioni, i
licenziamenti e il pensionamento del personale.

3.4 IL PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE ORGANIZZATIVA


Si definisce socializzazione organizzativa “il processo tramite il quale un individuo apprende valori,
consuetudini e comportamenti richiesti che gli permettono di essere parte integrante
dell’organizzazione”. Essa è un meccanismo fondamentale che le organizzazioni utilizzano per
radicare le loro culture tra le persone e che trasforma elementi esterni all’azienda in elementi
perfettamente integrati.

Più specificamente, il processo di socializzazione è caratterizzato da una sequenza di fasi ben


precise e, a tal proposito, Daniel Feldman ha proposto un modello di socializzazione organizzativa
in tre fasi:
§ Fase 1: socializzazione anticipatrice. Questa fase avviene prima che l’individuo entri a far
parte di un’organizzazione, e include tutte le informazioni acquisite su carriere,
occupazioni, professioni. Le informazioni provengono da diverse fonti, tra cui i dipendenti, i
social media e internet. In questa fase vengono spesso formulate aspettative non
realistiche sul nuovo lavoro e sulla realtà aziendale, per questo motivo le organizzazioni
ricorrono a presentazioni realistiche del lavoro descrivendo sia gli aspetti positivi del posto
di lavoro sia gli aspetti negativi.
§ Fase 2: incontro. Questa fase inizia con la firma del contrato d’assunzione e permette agli
individui di capire com’è nella realtà l’organizzazione, così che essi possano rivedere le loro
aspettative. Molte aziende ricorrono a una combinazione di orientamento e programmi di

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formazione per favorire il processo di socializzazione dei dipendenti durante la fase


dell’incontro, tra cui l’onboarding.
§ Fase 3: cambiamento e integrazione. Questa fase richiede all’individuo la capacità di
gestire obiettivi e ruoli importanti e di adattarsi a valori e consuetudini del suo gruppo di
lavoro. Ciò è possibile solo quando i dipendenti hanno una visione chiara del proprio ruolo
e sono efficacemente integrati nell’unità di lavoro.

3.5 RADICARE LA CULTURA ORGANIZZATIVA ATTRAVERSO IL MENTORING


Si definisce mentoring il processo di costruzione e mantenimento di relazioni intense e durature
tra una o più persone che svolgono il ruolo di mentore e un giovane (mentee). Qualora i mentori e
i mentee lavorino all’interno della stessa organizzazione, può essere utile per radicarne la cultura,
per due ragioni. Innanzitutto, il mentoring contribuisce a creare un senso di unità, e in secondo
luogo, l’aspetto di socializzazione proprio del mentoring favorisce anche il senso di appartenenza.
Il mentoring non è importante solo come strategia per il radicamento della cultura organizzativa:
esso può influire in modo significativo sulla carriera del mentee.

La ricercatrice Kram ha identificato due tipologie di funzioni del processo di mentoring: le funzioni
legate alla carriera e quelle psicosociali. Le 5 funzioni del mentoring legate alla carriera sono:
- la sponsorizzazione da parte di un superiore
- l’esposizione e la visibilità
- il sostegno
- la protezione
- l’assegnazione di obiettivi complessi
Le 4 funzioni psicosociali sono:
- l’esemplificazione di un modello di ruolo
- l’accettazione e la conferma
- la distribuzione di consigli utili
- l’amicizia
Le funzioni psicosociali hanno contribuito a costruire le identità lavorative dei partecipanti e a
migliorare le loro percezioni sulle proprie competenze.

La diversità e la forza delle relazioni di ogni individuo sono funzionali all’ottenimento del sostegno
di cui questi ha bisogno per gestire il proprio percorso professionale. Nella figura sono
rappresentate diverse tipologia di network di sostegno basate sull’integrazione di queste due
caratteristiche.
La diversità delle relazioni di sviluppo riflette la varietà di persone all’interno di una struttura cui
l’individuo si riferisce per ricevere assistenza. Due sono le componenti associate alla diversità:
(1) il numero di persone con cui l’individuo è connesso;
(2) la varietà dei differenti sistemi sociali da cui derivano le sue relazioni.
La diversità delle relazioni di sviluppo può variare da bassa (poche persone o sistemi sociali) ad
alta (numerose persone o sistemi sociali).
La forza delle relazioni di sviluppo riflette la qualità delle relazioni tra un individuo e le persone
coinvolte nella sua rete di sviluppo: legami forti indicano rapporti basati su interazioni frequenti,
reciprocità e sentimenti positivi, mentre i legami deboli sono associati a relazioni più superficiali.
La diversità e l’intensità delle relazioni di sviluppo danno vita nel loro insieme a 4 tipologie di reti
di sviluppo associate al mentoring: ricettiva, tradizionale, imprenditoriale e opportunistica.

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Una rete ricettiva si compone di pochi legami deboli derivanti


da un unico sistema sociale.
Una rete di tipo tradizionale contiene pochi legami forti tra un
dipendente e degli attori appartenenti a uno stesso sistema
sociale.
La rete di tipo imprenditoriale è la tipologia più forte tra le
reti di sviluppo, ed è composta da legami forti con numerosi
attori provenienti da sistemi sociali diversi.
Infine, la rete di tipo opportunistico ha legami deboli con
numerosi attori provenienti da sistemi sociali differenti.

Ci sono 5 implicazioni personali che derivano dalle reti di sviluppo:


I. E’ importante sviluppare un’ampia rete di sviluppo perché il numero e la qualità dei contatti
possono incidere sul futuro successo professionale.
II. La soddisfazione sul lavoro e il percorso di carriera sono facilmente influenzati dalla coerenza
tra gli obiettivi di carriera che un individuo si pone e il tipo di rete per lo sviluppo di carriera
che ha a disposizione. Ad esempio chi si trova in un network di tipo imprenditoriale avrà
maggiori opportunità di affrontare dei cambiamenti all’interno del proprio percorso
professionale.
III. La volontà di un mentore di fornire assistenza professionale e psicosociale al suo mentee è
legata alle capacità di quest’ultimo di costruire una solida relazione interpersonale. La qualità
della relazione di mentoring può essere più elevata quando le parti coinvolte presentano
valori e caratteristiche personali simili.
IV. È importante servirsi efficacemente di strumenti per il networking come Twitter, LinkedIn e
Facebook perchè strumenti di questo tipo consentono non solo di ampliare la propria rete
sociale, ma anche di accrescere la produttività.
V. È opportuno mettere a punto un piano di mentoring che dovrebbe comprendere i seguenti
elementi:
- identificare gli obiettivi basandosi su quello che si desidera imparare e stabilire delle priorità;
- identificare individui competenti o esperti nelle aree in cui si vuole migliorare;
- stabilire il modo migliore per instaurare un rapporto con le persone individuate;
- stabilire che cosa offrire al mentore;
- stabilire quando è tempo di cambiare.
Il mentoring apporta diversi benefici anche all’organizzazione, migliorando l’efficacia della
comunicazione organizzativa sia verso l’alto che verso il basso.

4. COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO NEL MONDO: MANAGEMENT


INTERCULTURALE
4.1 CULTURA E COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO
La cultura consiste in un insieme di convinzioni e valori di una comunità rispetto ai
comportamenti, e consuetudini a supporto di tali valori. La cultura è costituita sia da elementi
prescrittivi (ciò che la gente dovrebbe fare), che da elementi descrittivi (ciò che effettivamente fa).
Essa passa da una generazione all’altra attraverso la socializzazione e viene consolidata tramite
l’osservazione e l’imitazione di modelli di comportamento osservati nella quotidianità o attraverso
i mass media.

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La cultura influenza il comportamento organizzativo in due modi:


- gli individui portano la cultura del proprio gruppo sociale di appartenenza sul posto di lavoro
sotto forma di comportamenti e linguaggi;
- la cultura aziendale influisce a sua volta sui valori e sull’etica degli individui, sui loro
atteggiamenti, sugli assunti di base e le aspettative.
La cultura di un gruppo sociale è influenzata dai diversi fattori ambientali (elencati sul lato sinistro
della figura), inoltre, quando l’individuo si trova all’interno della sfera d’influenza
dell’organizzazione è ulteriormente condizionato dalla cultura dell’organizzazione stessa.

Quando si gestiscono le persone è necessario prendere in considerazione la cultura sociale del


singolo, la cultura organizzativa e i diversi tipi di interazione tra le due dimensioni.

4.2 SVILUPPARE L’INTELLIGENZA CULTURALE


L’etnocentrismo è la convinzione che la cultura, la lingua e i comportamenti del proprio paese
nativo siano superiori a tutti gli altri. I manager etnocentrici preferiscono collocare i loro
connazionali in posizioni chiave, spesso assicurando loro uno stipendio superiore a quello che la
posizione dovrebbe garantire. È questa la conseguenza del ritenere il proprio gruppo più
intelligente, più capace o più affidabile.
L’etnocentrismo ha un’influenza negativa sulle performance aziendali e, per gestire il problema
dell’etnocentrismo, i manager possono ricorrere alla formazione, ad una maggiore consapevolezza
interculturale, all’esperienza internazionale e a uno sforzo volto a valorizzare la diversità culturale.

Per gestire i paradossi culturali occorre dunque sviluppare l’intelligenza culturale, ovvero la
capacità di interpretare correttamente situazioni interculturali ambigue. Come sostenuto da David
C Thomas e Kerr Inkson, l’intelligenza culturale si articola in tre componenti:
1. L’individuo dotato di intelligenza culturale deve poter contare su un insieme di conoscenze
sulla cultura e i principi fondamentali delle interazioni interculturali (sa che cos’è la cultura,
come cambia e come influenza il comportamento).
2. Egli deve praticare la consapevolezza, cioè deve essere in grado di valutare gli elementi
ricavabili dalle situazioni interculturali, i propri sentimenti e le proprie conoscenze.
3. Sulla base delle conoscenze e della consapevolezza, l’individuo dotato di intelligenza
culturale sviluppa capacità di interazione interculturale e diventa in grado di gestire un
ampio ventaglio di situazioni.
Chi desidera sviluppare l’intelligenza culturale deve prima coltivare la propria intelligenza emotiva
e poi fare pratica in situazioni interculturali poco familiari.

4.3 COMPRENDERE LE DIFFERENZE CULTURALI


Si possono adottare diverse modalità per descrivere e paragonare le culture. In primo luogo, si
possono mettere a confronto culture a struttura complessa e culture lineari:
- Culture a struttura complessa (o ad alto contesto) sono culture che nella comunicazione e
nella percezione dei significati si riferiscono a segnali deboli, situazionali e non verbali. Tra

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queste culture vi sono la Cina, la Corea, il Giappone, il Vietnam, il Messico e le culture arabe.
Nell’ambito di culture a struttura complessa si ha la tendenza a prendere accordi basandosi
sulla parola di qualcuno o su di una stretta di mano;
- Culture lineari (o a basso contesto) sono culture che attribuiscono un alto valore alle parole
scritte e pronunciate. Alcuni esempi di queste culture sono la Germania, la Svizzera, il Nord
America e la Gran Bretagna. In questo ambito si considera la stretta di mano come un
semplice segnale preliminare in vista della firma di un contratto formale.

Il fraintendimento e l’incapacità di comunicazione rappresentano un problema nelle relazioni


commerciali internazionali quando le parti in causa provengono da culture agli estremi di questo
spettro. Per ovviare questo problema si può ricorrere ad alcuni suggerimenti:
• Le persone, da entrambe le parti, devono essere formate in modo da modificare il proprio
punto di vista e accettare i compromessi.
• Un nuovo collaboratore deve essere accolto da un gruppo comprendente il suo superiore
diretto, colleghi che ricoprono mansioni simili alle sue e un collega geograficamente vicino a
lui.
• Nel fornire spiegazioni si devono aggiungere le opportune informazioni di contesto.
• Non dare per scontato che il nuovo arrivato sia autonomo, è necessario fornire istruzioni
esplicite in merito agli obiettivi e ai processi necessari al loro raggiungimento.

In secondo luogo, si possono analizzare le 9 dimensioni culturali del progetto GLOBE, ideato dal
Robert J. House con l’obiettivo di elaborare una teoria che descriva, comprenda e predica
l’impatto di specifiche variabili culturali sulla leadership, sui processi organizzativi e sulla loro
efficacia. Le 9 dimensioni sono:
1. Distanza dal potere
2. Rifiuto dell’incertezza
3. Collettivismo orientato all’istituzione
4. Collettivismo orientato al gruppo
5. Uguaglianza di genere
6. Assertività
7. Orientamento verso il futuro
8. Orientamento al risultato
9. Orientamento alle persone

Infine, si possono esaminare le differenze interculturali relative all’individualismo, al tempo, allo


spazio e alla religione:
• INDIVIDUALISMO E COLLETTIVISMO
Le culture individualistiche attribuiscono maggiore importanza alla libertà e alla scelta del
singolo, tendono dunque a sottolineare la responsabilità individuale rispetto a problemi e
questioni di varia natura (es. USA). Le culture collettivistiche attribuiscono invece un valore
maggiore agli obiettivi condivisi, piuttosto che a quelli individuali (es. Egitto, Giappone).
Esistono poi importanti differenze anche tra le culture collettivistiche, ad esempio gli
individui potrebbero avere la tendenza a identificarsi con la famiglia, l’azienda o la religione.
Tale osservazione giustifica la distinzione, fatta nell’ambito del progetto GLOBE, tra
collettivismo orientato all’istituzione e collettivismo orientato al gruppo.
• PERCEZIONE CULTURALE DEL TEMPO
Quando nell’ambito del lavoro le culture coinvolte sono diverse, il tempo diventa una
questione molto complessa. Si distingue infatti tra tempo monocronico, che prevede un

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orientamento a fare le cose una alla volta poiché il tempo è limitato, suddiviso in segmenti
precisi e regolato da orari, e tempo policronico, che prevede invece un orientamento a fare
più cose nello stesso momento poiché il tempo è flessibile e multidimensionale. Le culture
lineari hanno la tendenza a basarsi sul tempo monocronico, mentre quelle a struttura
complessa si basano tendenzialmente sul tempo policronico.
• SPAZIO INTERPERSONALE
Edward T. Hall ha rilevato un legame tra la cultura e la distanza interpersonale preferita: ha
osservato come gli individui appartenenti a culture a struttura complessa stiano a distanza
ravvicinata quando sono coinvolti in una conversazione con qualcuno, mentre nelle culture
lineari si preferisce uno spazio interpersonale nettamente superiore. Nel fare ciò, egli ha
utilizzato la prossemica, ovvero lo studio delle aspettative culturali in merito alla distanza
interpersonale. In particolare, ha individuato quattro zone di distanza intersoggettiva
(“bolle di spazio personale”): le zone intima (da 0 a 0,5mt), personale (da 0,5 a 1,5mt),
sociale (da 1,5 a 3,5mt) e pubblica (da 3,5 in su). Le differenze originate da valutazioni dello
spazio personale diverse tra le varie culture possono essere estremamente fastidiose per
chi non sia preparato, per questo è fondamentale essere consapevoli delle differenze
culturali ed essere capaci di adeguarsi alle diverse situazioni.
• RELIGIONE
L’espressione della fede e l’adempimento di pratiche religiose possono avere importanti
conseguenze sulle relazioni interculturali. In particolare, si possono evidenziare alcuni
approcci al lavoro conseguenti alla fede religiosa, che non sono però universali:
- Cattolica – Considerazione (“Attenzione a che i collaboratori siano presi sul serio, siano
tenuti informati, e che si ricorra alle loro opinioni”);
- Protestante – Efficacia del datore di lavoro (“Desiderio di lavorare per un’impresa che sia
efficiente, di successo e leader nella tecnologia”);
- Buddista – Responsabilità sociale (“Attenzione a che il datore di lavoro si senta
responsabile del benessere della società”);
- Mussulmana – Continuità (“Desiderio di un ambiente stabile, con rapporti di lavoro di
lunga durata, con poca incertezza”);
- Nessuna fede religiosa – Sfida professionale (“Interesse ad avere un lavoro che fornisca
opportunità d’apprendimento e la possibilità di fare un uso appropriato delle proprie
capacità”).

4.4 CONSEGUENZE OPERATIVE DELLE RICERCHE SUL MANAGEMENT INTERCULTURALE


Nancy Adler ha definito il Management interculturale come una disciplina dedicata a
comprendere e gestire i comportamenti individuali in organizzazioni che coinvolgono culture
diverse. Storicamente, le ricerche di management interculturale si sono soffermate quasi
esclusivamente sulle differenze tra una cultura e l’altra, per implementare la ricerca Mansour
Javidan e Robert J House suggeriscono di studiare anche le affinità tra di esse, così da poter capire
meglio quanto le singole pratiche di management siano condivisibili da culture altre. In particolare,
ci sono tre diversi filoni di ricerca relativi al management interculturale che offrono utili
suggerimenti per i manager che operano nell’economia globalizzata:
1. Lo studio di Hofstede. Il ricercatore Geert Hofstede ha effettuato un confronto interculturale
incentrato su quattro dimensioni culturali:
- Distanza dal potere
- Individualismo-collettivismo
- Mascolinità-femminilità
- Rifiuto dell’incertezza

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Alla luce delle variazioni riscontrate tra culture diverse, Hofstede ha tratto due conclusioni:
(1) le teorie e le prassi manageriali devono essere adattate alla cultura locale;
(2) nell’ambito di un’economia globale, l’arroganza culturale è un lusso che gli individui e le
imprese non si possono permettere.
2. Lezioni di leadership dal progetto GLOBE. I ricercatori del progetto GLOBE si sono posti
l’obiettivo di individuare l’esistenza di caratteristiche di leadership che fossero
universalmente giudicate in modo positivo o negativo. Ciò che hanno osservato è che i leader
carismatici, dotati di visione e della capacità di ispirare i collaboratori, sono generalmente
considerati i migliori, mentre i leader concentrati su se stessi e visti come individui solitari
non sono giudicati positivamente.
3. Lo stile di management varia tra i paesi. I ricercatori Nicholas Bloom e John Van Reenen
hanno assegnato un punteggio ai manager sulla base dell’impiego di 18 prassi di
management efficaci, le quali sono riconducibili a tre categorie:
- Monitoraggio;
- Obiettivi;
- Incentivi.
I risultati hanno mostrato come gli Usa siano i primi nella classifica dei paesi rispetto alla
qualità delle pratiche di management combinate, che non esiste un singolo stile di
management più efficace a livello mondiale e che le multinazionali sono meglio gestite delle
imprese locali e sono dunque una fonte di buone pratiche di management.
Questo studio consiglia dunque ai manager di essere flessibili e adattare il proprio stile alle
preferenze locali se lavorano in un paese diverso dal proprio.

4.5 COME PREPARARSI PER INCARICHI ALL’ESTERO


Con il termine espatriati si indica chiunque viva e/o lavori fuori dal suo paese di origine. In
particolare, è risultato che i cittadini americani sono poco predisposti alla sfida della diversità
culturale e inclini al fallimento negli incarichi internazionali. I maggiori ostacoli per i manager
americani impiegati all’estero sono i problemi di adattamento personale e familiare e la nostalgia
di casa. In generale poi la percentuale di donne nordamericane dipendenti di grandi imprese
impegnate in incarichi all’estero è aumentata raggiungendo circa il 15%, mentre i principali
ostacoli che esse incontrano in un trasferimento sono l’autosvalutazione e l’ipotesi da parte del
vertice le donne non saranno bene accette nel paese ospitante. Nonostante ciò, Le donne
nordamericane conseguono un’elevata percentuale di successo nei loro incarichi all’estero.

Osservando il ciclo dell’incarico all’estero si possono osservare i fattori problematici di


comportamento organizzativo più comuni. In particolare, degli stadi mostrati il primo e l’ultimo
avvengono in patria, mentre i due stadi intermedi nel paese straniero. Ciascuno di questi stadi cela
un punto nodale correlabile al comportamento organizzativo che deve essere individuato in
anticipo e neutralizzato:
1. Evitare aspettative irrealizzabili tramite una preparazione
interculturale. Le presentazioni realistiche del lavoro si sono
dimostrate efficaci per fornire alle persone in attesa di un
incarico all’estero le necessarie informazioni positive e negative;
gli individui con aspettative realistiche risultano infatti essere
più soddisfatti. Successivamente le presentazioni realistiche
devono essere accompagnate da una adeguata formazione
interculturale, ovvero una serie di percorsi formativi strutturati
volti a fornire un sostegno nell’adattamento a una nuova cultura

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o a un nuovo paese. I programmi di formazione devono cambiare in considerazione della


tipologia di incarico, che si distingue tra:
- Incarichi a bassa complessità à La preparazione si limita a fornire materiale informativo;
- Incarichi a complessità media à La preparazione va progettata attraverso lo studio di casi e
una introduzione alla lingua del paese;
- Incarichi a elevata complessità à Viene fornita una formazione come nel caso precedente,
più una buona conoscenza della lingua e un’esperienza sul campo nella cultura di interesse.
2. Evitare lo shock culturale. Lo shock culturale comporta ansia e dubbi causati da un
sovraccarico di situazioni e segnali sociali sconosciuti, tanto che il manager che subisce uno
shock culturale spesso chiede un rientro anticipato. La migliore difesa consiste in una completa
preparazione interculturale che comprenda lo studio intensivo della lingua, la cui conoscenza
consente di cogliere sottili ma importanti segnali culturali.
3. Sostegno durante l’incarico all’estero. Quando all’espatriato tutto appare come una novità è
necessario un appropriato sistema di sostegno, ad esempio ricorrendo a sponsor del paese
ospitante che fungono da guida per il lavoratore.
4. Evitare lo shock da rientro. Tre sono i settori che possono provocare un eventuale shock da
rientro: il lavoro, le attività sociali e l’ambiente complessivo. La portata dello shock da rientro
può essere contenuta attraverso un servizio di sostegno e consulenza ai dipendenti e con
sponsor del paese d’origine.

5. LE DIFFERENZE INDIVIDUALI

Questa immagine rappresenta una


mappa per lo studio delle differenze
individuali nel comportamento
organizzativo. Essa illustra i collegamenti
tra il concetto di sé e l’espressione di sé.

5.1 IL CONCETTO DI SÉ
Viktor Gecas definisce il concetto di sé come la percezione che una persona ha di sé stessa in
quanto essere fisico, sociale, spirituale. Il concetto di sé non potrebbe esistere senza il pensiero e
questo porta a considerare il ruolo delle cognizioni, le quali rappresentano la conoscenza, le
opinioni e le convinzioni di un individuo. Tre sono gli argomenti onnipresenti nelle discussioni sul
concetto di sé:
1. Autostima
L’autostima è l’opinione di un individuo sul proprio valore basata su una complessiva
autovalutazione, che viene misurata chiedendo agli intervistati di indicare se sono d’accordo
o meno con affermazioni positive e negative: gli individui che si dichiarano d’accordo con le
affermazioni positive e in disaccordo con quelle negative hanno un alto livello di autostima,

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viceversa faranno coloro che hanno un basso livello di autostima. In generale, i manager che
operano a livello globale devono dare meno importanza all’autostima quando si trovano a
lavorare all’interno di culture collettivistiche, mentre devono darne molta all’interno di
culture individualistiche.
2. Auto-efficacia
L’auto-efficacia è la convinzione che una persona ha sulle proprie possibilità di riuscire a
portare a termine con successo un determinato compito. La relazione tra auto-efficacia e
performance è di tipo ciclico, inoltre vi sono stretti legami tra grandi aspettative di auto-
efficacia e il successo, mentre bassi tassi di successo si hanno in corrispondenza a persone
con basse aspettative di auto-efficacia.
Il modello seguente rappresenta il modello base dell’auto-efficacia proposto da Bandura:

In conclusione, vi è una rilevante correlazione positiva tra l’auto-efficacia e le prestazioni


lavorative, per questo i manager dovrebbero alimentarla sia in se stessi sia negli altri. In
particolare, l’auto-efficacia può essere incrementata mediante politiche di assunzione
attente, compiti sfidanti, formazione, determinazione di obiettivi, mentoring d
riconoscimenti per i progressi evidenziati.
3. Auto-osservazione
L’auto-osservazione è la capacità di osservare il proprio comportamento autoespressivo,
adattandolo alla situazione. Le persone con un alto livello di auto-osservazione sono molto
reattive a tutti i segnali sociali e interpersonali che indicano quanto la loro performance
risulti adeguata alla situazione, e per questo sono spesso definite camaleonti. L’auto-
osservazione è una questione di misura che si traduce nella collocazione in un punto alto o
basso di una scala che misura gli schemi di espressione di sé. Alcuni studi hanno definito una
serie di raccomandazioni:

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- Per tutti, con qualunque livello di auto-osservazione: essere maggiormente consapevoli


della propria immagine e di come questa influenzi gli altri.
- Per chi ha un alto livello di auto-osservazione: non esagerare diventando un individuo
percepito come sleale e inaffidabile.
- Per chi ha un basso livello di auto-osservazione: cercare di essere più accomodanti, pur
rimanendo fedeli ai propri principi di base.

L’identificazione organizzativa è un processo centrale all’interno della cultura e della


socializzazione organizzativa ed avviene quando valori e norme organizzative diventano parte
dell’identità di un individuo.
Per quanto riguarda le implicazioni dell’identificazione organizzativa, il dipendente che si identifica
strettamente con l’organizzazione dovrebbe essere più leale e impegnato e lavorare di più.
Nonostante ciò, ci sono profonde implicazioni etiche dietro a un’eccessiva identificazione che
possono portare alla nascita di un groupthink deleterio e alla scomparsa del conflitto costruttivo.

5.2 LA PERSONALITÀ: CONCETTI E CONTROVERSIE


Personalità: insieme delle caratteristiche fisiche e mentali costanti che determinano l’identità di
un individuo. Tali caratteristiche (o tratti) sono il prodotto dell’interazione tra influssi genetici e
ambientali.
Si definiscono Big Five le cinque grandi dimensioni della personalità: estroversione, amabilità,
coscienziosità, stabilità emotiva e apertura a nuove esperienze.

Per derivare tali dimensioni, si ricorre a test standardizzati che indagano la personalità circa
ognuno dei Big Five. Il punteggio che ciascuno ottiene nei Big Five rivela un profilo personale unico
e irripetibile che tende a risultare stabile nel tempo.
È importante conoscere il collegamento fra Big Five e performance lavorativa: viene utilizzato tale
test anche in campo HR per la selezione, formazione e valutazione del personale. Alcuni esempi:
-il tratto della coscienziosità è quello che ha avuto maggior correlazione con le prestazioni
lavorative
-il tratto dell’estroversione invece con lo sviluppo della carriera professionale, il livello salariale e la
soddisfazione lavorativa
-il tratto del nevroticismo (scarsa stabilità emotiva) è stato associato con bassi livelli di
soddisfazione lavorativa

La personalità proattiva
Personalità proattiva: persona portata all’azione, che dimostra iniziativa e persegue il
cambiamento, relativamente libera rispetto alle situazioni specifiche e che attua un cambiamento
nell’ambiente.
Le persone proattive identificano le opportunità e agiscono su di esse, dimostrano spirito di
iniziativa, agiscono e perseverano fino ad ottenere cambiamenti significativi; sono da considerare
capitale umano di importante spessore.
La personalità proattiva è correlata positivamente con successo personale, di gruppo e
dell’organizzazione di appartenenza, spesso è tipica di imprenditori di successo.
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Le persone dotate di personalità proattive sono caratterizzate da locus of control interno


Locus of control interno: attribuire i risultati alle proprie azioni, convinzione di controllare gli eventi
e le loro conseguenze.
Che si contrappone a:
Locus of control esterno: attribuire i risultati a circostanze che esulano dal proprio controllo, ad
esempio cause ambientali quali la fortuna o il destino

È corretto utilizzare i test di personalità sul posto di lavoro?


L’uso di tali test è molto comune per decidere relativamente ad assunzioni, formazioni e
promozioni.
Tuttavia, esiste il grave problema della somministrazione approssimativa dei test: spesso si
acquistano test standardizzati che vengono somministrati in maniera indistinta da persone prive di
formazione e qualifiche adeguate, oltretutto senza curare l’aspetto della privacy dei risultati.
Pertanto, i risultati sono spesso dettati da improvvisazioni di test non creati professionalmente da
psicologi competenti cui risultati andrebbero mantenuti riservati.
Altri problemi inerenti a ciò sono la possibilità di fingere le proprie risposte (ad esempio simulando
maggior coscienziosità rispetto a quella che si avrebbe realmente) o il rischio di utilizzo
discriminatorio.
Per evitare utilizzi scorretti o discriminatori dei test psicologici e di personalità, si consigliano i
seguenti suggerimenti:

5.3 CAPACITÀ (INTELLIGENZA) E PERFORMANCE


Capacità: caratteristica generale e stabile di un individuo,
responsabile della sua massima (non tipica) performance nello
svolgimento di determinati compiti fisici o mentali.
Abilità: specifica competenza di un individuo di manipolare
fisicamente degli oggetti.

Intelligenza e capacità cognitive


Intelligenza: capacità di elaborare un pensiero costruttivo, ragionare e risolvere problemi.
In passato si credeva che l’intelligenza fosse una capacità innata dell’individuo e che si
tramandasse geneticamente da una generazione all’altra; tuttavia diverse ricerche hanno
dimostrato che essa, come altri aspetti dell’individuo, è funzione anche degli influssi ambientali e

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del contesto più generale.


Oltre a questi, sono state di recente aggiunte anche altre concause come i fattori organici (ad
esempio, è stato provato che esiste una connessione tra l’uso di alcool e droga nelle donne in
gravidanza e l’insorgere di problemi nello sviluppo intellettivo dei figli).
Interessante è il seguente dato: negli ultimi 70 anni si è osservato un aumento continuo e
significativo dell’intelligenza media nelle nazioni sviluppate. Questo è dovuto ad una combinazione
tra un migliore livello di istruzione, miglioramento dello status socioeconomico e una società più
complessa a livello tecnologico; tutti fattori probabilmente causanti un aumento nei punteggi di
QI.
Secondo lo studioso Spearman, esistono due tipologie di capacità:
1) capacità mentale generale necessaria in tutti i compiti cognitivi
2) caratteristica peculiare del computo in esame/specifico
Nel corso degli ultimi anni, molte ricerche hanno cercato di approfondire le idee circa la relazione
fra capacità cognitive e intelligenza. Fra le varie, è stata stilata una lista di 120 capacità mentali
diverse.
Le sette più citate sono state:

In particolare, 4 di queste (capacità di comprensione verbale, numerica, spaziale e di


ragionamento induttivo) sono valide per prevedere le performance dei potenziali candidati ad un
posto di lavoro.

Siamo dotati di intelligenze multiple?


Lo studioso Gardner studiò un paradigma dell’intelligenza umana e basandosi su ciò identificò 8
diverse forme di intelligenza, che ampliano notevolmente il concetto di intelligenza così come è
stato inteso per lungo tempo. Viene formulata così la teoria delle intelligenze multiple:
• Intelligenza linguistica: capacità di apprendere e usare le lingue in forma scritta e orale.
• Intelligenza logico-matematica: capacità legate al ragionamento deduttivo, all’analisi dei
problemi e al calcolo matematico
• Intelligenza musicale: capacità di apprezzare la musica, talento nel comporre e suonare uno o
più strumenti
• Intelligenza corporeo-cinestesica: capacità di usare la mente e il corpo per coordinare i
movimenti.
• Intelligenza spaziale: capacità di riconoscere e utilizzare schemi di vario genere.
• Intelligenza interpersonale: capacità di entrare in sintonia con gli altri, comprenderli e
collaborare efficacemente.
• Intelligenza intrapersonale: capacità di comprendere sé stessi e controllarsi.
• Intelligenza naturalistica: capacità di vivere in armonia con l’ambiente.

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La teoria delle intelligenze multiple fornisce una spiegazione per tutti quei bambini dotati di
specifiche capacità ma che riportano basso punteggio nei test di punteggio QI, i quali coprono solo
i primi due tipi di intelligenza (linguistica e logico-matematica).

5.4 LE EMOZIONI NELLA VITA ORGANIZZATIVA


Emozioni: reazioni complesse di fronte a successi e fallimenti personali; possono essere sentite
interiormente e manifeste. Sono strutturate dall’organismo (in quanto coinvolgono l’intera
persona, dal punto di vista, biologico, psicologico e sociale) per sopravvivere, prosperare e
ottenere ciò che desideriamo.
Vengono distinte le emozioni provate e le emozioni manifeste:
una persona può nutrire collera (emozione provata) ma evitando
di farlo vedere rispondendo con rabbia (emozione manifesta).
Lo studioso Lazarus, oltre alla definizione di “emozioni” appena
citata, definisce anche le emozioni cosiddette negative: quelle,
cioè, che nascono da un fallimento o da una frustrazione nel
raggiungimento di un obiettivo. Tali emozioni sono incongruenti
con l’obiettivo posto.
Di conseguenza, le emozioni positive sono quelle coerenti con un
importante obiettivo.

Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva


Partendo dal concetto di intelligenza interpersonale elaborato da Gardner, Goleman critica i
tradizionali modelli per la misurazione dell’intelligenza (QI) in quanto troppo ristretti e non
considerano la competenza interpersonale.
Egli redige così un elenco molto più ampio di competenze personali sviluppate tramite
l’intelligenza emotiva (anche chiamata IE o QE), definita da lui stesso la capacità di autogestirsi e di
interagire con gli altri in modo maturo e costruttivo. Comprende 4 dimensioni principali:
consapevolezza di sé, gestione di sé, consapevolezza sociale e gestione delle relazioni. In particolar
modo, le prime due componenti costituiscono la competenza personale, le altre due la
competenza sociale.

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6. VALORI, ATTEGGIAMENTI E SODDISFAZIONE LAVORATIVA


6.1 VALORI PERSONALI
I valori personali rappresentano essenzialmente tutto ciò che per noi è significativo nella vita.
Schwartz ha elaborato una teoria generale dei valori personali: i valori sono motivazionali perché
rappresentano obiettivi ampi che si applicano in contesti diversi nel tempo. Inoltre, sono
relativamente stabili e possono influenzare il nostro comportamento senza che ne siamo
consapevoli.
Egli ha proposto 10 valori di base che guidano il comportamento e ha identificato i meccanismi
motivazionali alla base di ciascun valore; è proprio tramite tali meccanismi che i valori influenzano
il comportamento. Questi valori sono anche validi in diversi contesti culturali.
La seguente tabella illustra da cosa sono motivati gli individui nel mettere in atto determinati
comportamenti:

Dietro tali valori intercorrono determinate relazioni che possiamo mostrare all’interno di un
modello circolare: esso mostra i valori più strettamente correlati fra loro e quali invece si trovano
in conflitto. Generalmente:
• i valori adiacenti sono quelli che presentano
una relazione positiva (es. indipendenza e
universalismo)
• i valori distanti gli uni dagli altri sono dotati
di una relazione meno forte (es.
indipendenza e potere)
• i valori in posizioni opposte alla figura si
trovano in conflitto fra di loro (es. potere e
universalismo oppure tradizione e
orientamento al cambiamento).
Esistono tre tipologie di conflitti di valori collegabili agli atteggiamenti, alla soddisfazione
lavorativa, al turnover, alla prestazione e ai comportamenti controproducenti individuali:

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Conflitti di valori fra individuo e


Conflitti di valori intrapersonali Conflitti di valori interpersonali
organizzazione
•Gli individui possono vivere una •Spesso è alla base di scontri fra •Le organizzazioni cercano
condizione di conflitto interiore personalità diverse e può attivamente di radicare
e stress quando i valori sono in incidere negativamente sulla determinati valori all’interno
contrasto fra loro (es. successo carriera della loro cultura aziendale. Il
e tradizione). Secondo gli conflitto può verificarsi quando
esperti, questo tipo di conflitto i valori dichiarati e messi in atto
di valori può essere attenuato dall’organizzazione entrano in
prestando particolare orgoglio collisione con i valori personali
alle proprie caratteristiche dei collaboratori
personali immutabili (come
virtù, integrità e onestà) a
prescindere dalle situazioni.
Consigliano inoltre di dedicare
maggiore tempo ai rapporti con
i familiari, amici e la comunità.
Quando i valori personali di un
individuo sono allineati, infatti,
vi sarà maggior serenità e meno
stress.

Possono anche verificarsi conflitti fra lavoro e vita familiare e questo accade quando vi è
disequilibrio fra vita privata e lavoro, situazione che capita specialmente durante le fasi di
recessione caratterizzate da alta disoccupazione.
Perrewé e Hochwarter hanno proposto il seguente modello di conflitto lavoro/famiglia:
Sul lato sinistro sono indicati i valori generali di vita, che alimentano i valori collegati alla famiglia e
al lavoro:
-i valori familiari includono le convinzioni durature sull’importanza della famiglia e su chi riveste i
ruoli fondamentali al suo interno
-i valori legati al lavoro si concentrano sull’importanza relativa del lavoro e degli obiettivi lavorativi
nella vita di una persona
Si parla di:
-similitudine di valori per definire il grado di consenso tra i membri della famiglia sui valori familiari
(es. se una moglie intraprende un lavoro nonostante il marito voglia essere l’unico a portare a casa
lo stipendio, si verifica un conflitto lavoro/famiglia)
-congruenza di valori per definire l’accordo sui valori fra dipendente e datore di lavoro (es. se il
datore di lavoro considera una slealtà nei confronti dell’azienda il fatto che un dipendente non
parta per un viaggio d’affari per non perdere il
compleanno del figlio, si crea anche in questo caso
un conflitto lavoro/famiglia)
In particolare, il conflitto lavoro/famiglia può
assumere due forme:
1) interferenza del lavoro con la famiglia
2) interferenza della famiglia con il lavoro
A destra vi sono due riquadri, perseguimento dei
valori e soddisfazione nella vita, essi vanno di pari
passo: la soddisfazione è tendenzialmente maggiore
per chi vive secondo i propri valori, minore per chi
non lo fa.

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Le organizzazioni oggigiorno implementano una molteplicità di programmi e servizi per la famiglia


mirati ad aiutare i collaboratori a trovare equilibrio fra lavoro e vita personale. Tali programmi
prendono il nome di politiche organizzative rispetto al conflitto lavoro-famiglia e sono costituite
da contributi alla gestione familiare (es. integrazioni sanitarie, contributi per asili nido, assistenza
agli anziani, convenzioni con organizzazioni che offrono determinati servizi).

6.2 ATTEGGIAMENTI
Atteggiamento: predisposizione acquisita a reagire in modo coerentemente favorevole o
sfavorevole nei confronti di qualcosa.
Un banale esempio è il gelato al cioccolato: se si ha atteggiamento positivo verso questo gusto è
più probabile che lo scegliamo, piuttosto che se si ha atteggiamento negativo verso di esso o se
abbiamo un atteggiamento più positivo verso il gusto alla crema sceglieremo quest’ultimo.
Gli atteggiamenti influenzano i comportamenti degli individui. In particolare, sul posto di lavoro, gli
atteggiamenti erano legati positivamente alla performance e negativamente a indicatori quali
pensieri di abbandono, tendenza ad arrivare tardi, assenteismo e turnover.
Se si ha un atteggiamento positivo verso il proprio lavoro (cioè il proprio lavoro piace), ci sarà una
propensione sempre maggiore al massimo impegno, lavorando duramente e più a lungo.
La differenza con i valori è che questi ultimi rappresentano delle convinzioni di fondo che
influiscono sul comportamento in ogni situazione, mentre gli atteggiamenti hanno a che fare
solamente con il comportamento in determinate situazioni o nei confronti di alcune persone o
cose.
Gli atteggiamenti sono determinati da una funzione dell’influenza combinata di tre componenti:
1. Componente affettiva: racchiude i sentimenti/le emozioni che una persona prova nei
confronti di una determinata cosa o situazione
2. Componente cognitiva: rappresenta le convinzioni/le idee che un individuo ha su una cosa
o una situazione
3. Componente comportamentale: individua come un individuo intende comportarsi nei
confronti di qualcosa o qualcuno
Un esempio di ciò riguarda il comportamento di una persona che parla al cellulare al ristorante:
tale comportamento può irritare (componente affettiva) oppure possiamo ritenere che l’uso del
cellulare aiuti le persone a gestire la propria vita (componente cognitiva) o ancora possiamo
andare a dire qualcosa a quella persona (componente comportamentale).

Quando un atteggiamento fortemente consolidato entra in conflitto con la realtà, si parla di


dissonanza cognitiva: disagio psicologico provato quando gli atteggiamenti sono incoerenti con il
comportamento. Questo argomento viene studiato da Festinger, il quale ha ipotizzato che gli
individui sono motivati a mantenere coerenza fra atteggiamenti, credenze e comportamenti e che
cercheranno di ridurre la dissonanza (cioè la tensione psicologica) attraverso uno dei seguenti
modi:
1. Modificare l’atteggiamento o il comportamento o entrambi: è la soluzione più semplice
2. Minimizzare la gravità di un comportamento incoerente: soluzione molto frequente
3. Trovare elementi consonanti che bilancino gli elementi: questo approccio consiste
nell’eliminare la dissonanza razionalizzandola.
Gli atteggiamenti lavorativi rimangono piuttosto stabili, sia quelli positivi che negativi, anche se
l’individuo cambia lavoro (in media per un periodo circa pari a 5 anni).
Gli atteggiamenti generali sono più suscettibili al cambiamento nella prima giovinezza e nella

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maturità rispetto al periodo di mezzo. I fattori responsabili della stabilità che caratterizza la mezza
età sono:
1. Maggiore sicurezza personale
2. Percezione di avere competenze significative
3. Bisogno di atteggiamenti saldi

Gli atteggiamenti influenzano il comportamento attraverso le intenzioni


Ajzen sviluppò un modello incentrato sulle intenzioni come collegamento chiave fra gli
atteggiamenti e il comportamento pianificato. La sua teoria sul comportamento pianificato (in
figura) mostra 3 determinanti, separate ma interagenti, dell’intenzione individuale di agire in un
certo modo:
1-Atteggiamento nei confronti del comportamento: misura in
cui la persona esprime una valutazione favorevole o meno sul
comportamento in questione
2-Norma soggettiva: fattore sociale riferito alla pressione
percepita che spinge ad avere o meno un certo
comportamento
3-Grado di controllo comportamentale percepito: facilità o
difficoltà nell’assumere un comportamento; riflette sia le
esperienze passate del soggetto, sia impedimenti e ostacoli
previsti

6.3 ATTEGGIAMENTI NEI CONFRONTI DEL LAVORO


Esistono due tipi di atteggiamenti lavorativi:
1) Impegno verso l’organizzazione (organizational commitment): per impegno si intende una
forza che vincola un individuo a un corso di azione importante per il raggiungimento di uno o
più obiettivi.
L’impegno verso l’organizzazione riflette quanto un individuo si identifica con l’organizzazione
per cui lavora e si impegna per raggiungerne gli obiettivi à individui impegnati esprimono
una maggiore disponibilità a lavorare intensamente per raggiungere gli obiettivi aziendali e un
maggiore desiderio di restare all’interno dell’organizzazione cui appartengono.
Un modello dell’impegno verso l’organizzazione è rappresentato dalla figura. Come è
possibile notare vi sono tre componenti, distinte ma legate l’una all’altra. Le compopnenti si
associano determinando un effetto
vincolante che esercita un’influenza su
aspetti come il turnover e comportamenti
lavorativi. Ognuna di tali componenti è
influenzata da un insieme specifico di
antecedenti, ossia un qualcosa che attiva
una particolare componente dell’impegno.
Tali componenti sono:
-l’impegno affettivo (affective commitment):
si riferisce all’attaccamento emotivo,
all’identificazione e al coinvolgimento di un
collaboratore nei confronti
dell’organizzazione à le persone che
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manifestano tale impegno, restano nell’organizzazione perché lo desiderano


-l’impegno di continuità (continuance commitment): è legato alla consapevolezza dei costi
associati alla decisione di lasciare l’organizzazione à le persone che manifestano tale
impegno, restano perché lo necessitano
-l’impegno normativo (normative commitment): riflette un senso di obbligo a continuare il
rapporto di lavoro à le persone che manifestano tale impegno, restano perché sentono di
dover restare. In tal senso si definisce contratto psicologico la percezione di un individuo
rispetto a termini e condizioni di uno scambio reciproco con un’altra parte (nel contesto
organizzativo, è rappresentato dal bilancio di avere e dare in termini personali e non giuridici,
tra individuo e organizzazione).

2) Coinvolgimento del personale (employee engagement): quanto un individuo è assorbito dal


lavoro che fa, quanto egli è coinvolto, quanto spende di sé e si esprime sul piano fisico,
cognitivo ed emotivo attraverso l’esecuzione del proprio ruolo.
Si articola in:
a) sentimenti di urgenza
b) sentimenti di concentrazione
c) sentimenti di intensità
d) sentimenti di entusiasmo

Le cause del coinvolgimento del personale possono essere raggruppate in 2 categorie:


1. Fattori personali: positività e ottimismo, personalità proattiva, coscienziosità, adattamento
persona-ambiente, essere presenti o consapevoli e concentrati (mindfulness)
2. Fattori legati all’ambiente di lavoro o contesto: cultura organizzativa (sviluppo dei
dipendenti, riconoscimento e fiducia tra management e personale), sicurezza del posto di
lavoro, libertà di manifestare le proprie idee e proposte, il comportamento del leader
(appoggio del diretto supervisore).

6.4 LA SODDISFAZIONE LAVORATIVA


Soddisfazione lavorativa: risposta affettiva o emotiva di una persona nei confronti dei vari aspetti
del lavoro. Non è un concetto univoco à una persona può essere soddisfatta del proprio lavoro e
insoddisfatta per altri aspetti.

Le cause della soddisfazione lavorativa


Esistono 5 tipi di modelli principali che descrivono la soddisfazione sul lavoro, ognuno dei quali
privilegia cause diverse:
1. Soddisfacimento dei bisogni: la soddisfazione lavorativa è legata a quanto le caratteristiche di
un lavoro permettono all’individuo il soddisfacimento dei propri bisogni.
In particolare, è stato rilevato che i quattro aspetti del lavoro più importanti per la
soddisfazione lavorativa personale sono stati: retribuzione, benefit, certezza del lavoro ed
equilibrio lavoro-famiglia
2. Discrepanze: questi modelli ipotizzano che la soddisfazione sia una conseguenza delle
aspettative realizzate, ossia della differenza tra ciò che una persona si aspettava di ottenere
con un lavoro (es. buona retribuzione) e ciò che effettivamente riceve. Se le aspettative sono

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molto superiori a quanto ricevuto, la persona sarà insoddisfatta, sarà invece soddisfatta se
ottiene risultati uguali o superiori rispetto alle proprie aspettative
3. Realizzazione dei valori: la soddisfazione è legata alla percezione che nel lavoro sia possibile
perseguire importanti valori personali, ossia è legata alla misura in cui il lavoro permette la
realizzazione dei valori di una persona
4. Equità: la soddisfazione è il risultato della percezione che l’individuo ha del fatto che i risultati
del suo lavoro, in relazione agli input ricevuti, siano equamente giudicati in relazione a quelli
dei colleghi
5. Componente genetica/di predisposizione: la soddisfazione sul lavoro in parte è funzione di
tratti personali, quindi differenze individuali stabili possono rivestire un’importanza analoga
alle caratteristiche dell’ambiente di lavoro nella spiegazione della soddisfazione personale
Implicazioni e conseguenze della soddisfazione lavorativa

Nella tabella sono stati riportati i fattori maggiormente rilevanti a livello manageriale in termini di
soddisfazione lavorativa. I sette più importanti sono:
• Motivazione: la soddisfazione nei confronti dei capi è direttamente proporzionale alla
motivazione, pertanto i manager dovrebbero rivedere i propri comportamenti per capire
quanto essi influenzino la soddisfazione dei lavoratori
• Coinvolgimento lavorativo: rappresenta il grado di coinvolgimento personale nel lavoro. I
manager dovrebbero impegnarsi nel creare un ambiente lavorativo soddisfacente, al fine di
stimolare il coinvolgimento lavorativo dei lavoratori
• Comportamento di cittadinanza aziendale: sono comportamenti dei dipendenti che eccedono
quanto formalmente richiesto dal proprio ruolo. Oltre che un’importante correlazione con la
soddisfazione lavorativa, ulteriori studi hanno dimostrato che vi sono anche conseguenze a
livello individuale (migliori prestazioni, meno turnover e assenteismo) e a livello organizzativo
(produttività, soddisfazione ecc.). Tali comportamenti possono dunque determinare
impressioni positive su capi o colleghi e così incidere sulla capacità di collaborazione,
possibilità di ottenere promozioni e valutazioni più positive sulla performance
• Pensieri di abbandono del lavoro: pensieri e sentimenti sull’abbandonare il proprio posto di
lavoro
• Turnover: per un manager può avere lati positivi (quando un dipendente che ha performance
mediocri lascia l’azienda) e lati negativi (se l’azienda perde un contributo prezioso). La
correlazione fra soddisfazione lavorativa e turnover dei dipendenti è negativa e

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moderatamente forte, quindi i manager dovrebbero tentare di ridurlo incrementando la


soddisfazione
• Performance lavorativa: esiste una moderata correlazione positiva fra soddisfazione lavorativa
e performance e, in aggiunta, tale correlazione è molto complessa in quanto non è una
semplice relazione diretta in cui la soddisfazione causa la performance o viceversa, bensì i
ricercatori sono convinti che entrambe le variabili si influenzino a vicenda e siano a loro volta
influenzate da numerose differenze individuali e ambientali del posto di lavoro

6.5 I COMPORTAMENTI CONTROPRODUCENTI IN AMBITO LAVORATIVO


L’insoddisfazione può essere associata ad alcune tipologie di comportamento indesiderabile.
Comportamenti di questo genere appartengono a una più ampia categoria denominata
comportamenti controproducenti in ambito lavorativo (counterproductive work behavior CWB)
e sono comportamenti che hanno un impatto negativo sui lavoratori e l’organizzazione nel suo
insieme.

Maltrattamenti
Gran parte delle forme di CWB si concretizza in maltrattamenti di colleghi e subordinati o talvolta
dei clienti. Gli abusi commessi da supervisori sono molto insidiosi in quanto i collaboratori si
sentono intimiditi, umiliati e sminuiti, pertanto sono propensi a vendicarsi sugli stessi supervisori
adottando un comportamento controproducente. Questo tipo di reazione è più probabile nelle
situazioni in cui l’organizzazione non offre canali tramite cui i dipendenti possano segnalare il
problema.

Cause e prevenzione dei comportamenti controproducenti


• Le organizzazioni possono contenere i comportamenti controproducenti assumendo individui
che mostrano una minore tendenza a manifestarli
• Le organizzazioni dovrebbero motivare i comportamenti desiderati, per esempio, progettando
mansioni che favoriscono la soddisfazione e prevenendo gli abusi da parte dei supervisori à
procedure di assunzione adeguate e programmi di sviluppo dei manager possono non solo
rendere più piacevoli le vite dei dipendenti, ma anche migliorare le performance finanziarie
• Se un collaboratore assume comportamenti inaccettabili, l’organizzazione dovrebbe approntare
una reazione tempestiva e adeguata, definendo quali comportamenti specifici sono inaccettabili e
i requisiti dei comportamenti accettabili.

7. PERCEZIONI E ATTRIBUZIONI SOCIALI


7.1 LA PERCEZIONE COME MODELLO DI ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI
Percezione: processo cognitivo che ci permette di interpretare e capire ciò che ci circonda.
Una delle funzioni principali di questo processo è il riconoscimento degli oggetti.
Lo studio del modo in cui le persone si percepiscono l’un l’altra, è stato definito cognizione sociale
o elaborazione sociale delle informazioni: si occupa delle modalità tramite cui le persone danno un
senso a sé stesse e alle altre persone.

Una sequenza a 4 fasi


La sequenza di elaborazione dell’informazione a 4 fasi è tipica del processo di percezione.
Il modello base di questo processo può essere così rappresentato:

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Le prime tre fasi descrivono in che modo l’informazione specifica e gli stimoli ambientali vengano
notati e registrati nella memoria. L’ultima fase implica invece la trasformazione delle
rappresentazioni mentali in giudizi e decisioni reali. Nello specifico:
• Fase 1 – selezione attiva/comprensione
La selezione attiva è il processo posto in essere per selezionare determinati sottoinsiemi di
stimoli ambientali rispetto alla totalità di informazioni in arrivo, totalità che l’essere umano
non ha la capacità di elaborare.
L’attenzione è il processo per cui si diventa consapevoli di qualcuno o qualcosa; può
riguardare informazioni provenienti sia dall’ambiente che dalla memoria. La ricerca dimostra
che in generale le persone tendono a riservare la loro attenzione agli stimoli più rilevanti.
Per stimoli rilevanti si intendono quelli che emergono dal contesto, spesso sono i bisogni e gli
obiettivi della persona a rendere uno stimolo rilevante o meno. Inoltre, la ricerca dimostra che
le persone abbiano la tendenza a prestare maggiore attenzione alle informazioni negative
rispetto a quelle positive à atteggiamento detto bias negativo (es. gli automobilisti rallentano
per curiosare sul luogo di un incidente).
• Fase 2 – codificazione e semplificazione
Le informazioni raccolte non vengono immagazzinate in memoria nella loro forma originaria
ma vengono codificate (cioè interpretate e rappresentate mentalmente). Per fare ciò, la
persona alloca ciascuna informazione in categorie cognitive, ovvero archivi mentali per
l’immagazzinamento delle informazioni à le persone, gli eventi e gli oggetti vengono valutati
e interpretati tramite un confronto delle loro caratteristiche con le informazioni contenute in
tali schemi.
Uno schema rappresenta l’immagine o riassunto mentale che una persona si costruisce di un
determinato evento o tipo di stimolo. Lo schema di un evento (come andare a cena al
ristorante) viene chiamato script (=copione); ciascuno schema è dotato di etichetta per essere
immagazzinato nella memoria (es. etichetta: andare a cena al ristorante).
Dopodiché, si procederà con il processo di codifica dei risultati, che serve per interpretare e
valutare l’ambiente in cui viviamo. È un processo che può dar luogo a interpretazioni e
valutazioni diverse della stessa persona o dello stesso evento.
Le interpretazioni di ciò che vediamo sono diverse per 4 ragioni fondamentali:
-Ogni persona ha informazioni diverse all’interno dei propri schemi d’interpretazione
-I nostri stati d’animo e le emozioni possono influenzare la nostra attenzione e le valutazioni
degli altri

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-Le persone tendono ad usare per la codifica le categorie cognitive d’uso più recente
-Le differenze individuali influiscono sulla codifica
• Fase 3 – immagazzinamento e conservazione
Fase che prevede l’immagazzinamento delle informazioni nella memoria a lungo termine. Essa
è composta da categorie separate ma interconnesse fra di loro, ciascuna di esse contiene
diversi tipi di informazioni, le quali a loro volta si muovono fra le categorie stesse.
La memoria a lungo termine è composta da:
-Memoria degli eventi: informazioni su eventi generici o specifici
-Memoria semantica: fa riferimento a conoscenze generiche sul mondo à possiamo
immaginarla come un dizionario mentale dei concetti, ognuno dei quali ha una definizione e
delle caratteristiche proprie
-Memoria personale: contiene informazioni sui singoli individui. Le persone tendono a
ricordare le informazioni attraverso caratteristiche simili a qualcosa che è già immagazzinato
nella memoria, piuttosto che a qualcosa di “lontano”
• Fase 4 – recupero e reazione
L’individuo in questa fase recupera le informazioni dalla memoria, specialmente quando
giudica e decide. Decisioni e giudizi si basano infatti su deduzioni, interpretazioni e
integrazioni delle informazioni conservate nella memoria a lungo termine, o sul recupero di
giudizi già formulati in precedenza.

A livello manageriale, tutto ciò può essere riassunto in 7 implicazioni:


1. Assunzione: Gli intervistatori scelgono chi assumere in base alle loro impressioni sulla
corrispondenza tra il candidato e i requisiti percepiti necessari per un determinato posto di
lavoro. Tuttavia, molte di queste decisioni vengono prese sulla base della cognizione implicita,
ovvero l'insieme di pensieri e credenze automaticamente e inconsapevolmente attivato dalla
memoria. Essa induce le persone a prendere decisioni influenzate da particolari distorsioni
senza rendersene conto. Tali bias possono essere ridotti effettuando colloqui strutturati e
tenendo conto delle valutazioni di più intervistatori.
2. Valutazione della performance: I manager dovrebbero identificare in modo molto preciso le
caratteristiche di comportamento e i risultati indicativi di una buona performance, prima di
iniziare un ciclo di valutazione delle prestazioni. Si consigliano misure oggettive per la
valutazione della prestazione perché gli indicatori soggettivi possono essere influenzati da bias
e quindi non accurati e pregiudiziali.
3. Leadership: La ricerca dimostra che le valutazioni dei dipendenti sull’efficacia del leader
vengono fortemente influenzate dagli schemi in base a cui essi valutano la qualità del leader
stesso à se il capo assume atteggiamenti che rientrano nello schema del “leader cattivo”
verrà valutato così dai collaboratori e trattato come tale.
4. Comunicazione e influenza interpersonale: la percezione sociale è un filtro che può distorcere
la comunicazione. Messaggi scritti e orali vengono infatti interpretati in base agli schemi
elaborati nelle esperienze passate.
5. Comportamenti controproducenti in ambito lavorativo: i manager dovrebbero trattare i
collaboratori equamente al fine di evitare questa tipologia di comportamenti.

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6. Benessere fisico e psicologico: il bias negativo può sfociare in problemi fisici e psicologici, tra
cui ansia e paura. Questo potrebbe sfociare in insorgere di patologie, assenteismo o
intenzione di licenziarsi.
7. Design di pagine web: di recente sono state svolte indagini circa gli elementi che catturano
maggiormente l’attenzione degli utenti sul web (atteggiamenti rilevati con dispositivi tra cui
l’eye tracking); i risultati di tali ricerche possono aiutare le organizzazioni a investire più
efficacemente nel design delle pagine web.

7.2 STEREOTIPI: PERCEZIONI RELATIVE A GRUPPI DI PERSONE


Stereotipo: insieme di convinzioni di un individuo sulle caratteristiche o attributi di un gruppo.
Si tratta di una componente essenziale del processo percettivo e viene usata per elaborare una
gran quantità di informazioni: è intrinseco nel processo di osservazione della realtà; tuttavia, il suo
uso improprio può portare a decisioni sbagliate (es. barriere verso persone di etnia diversa).
La tabella mostra i cinque errori percettivi più diffusi à essi spesso distorcono la valutazione dei
candidati all’assunzione o della performance dei dipendenti

La creazione dello stereotipo avviene in 4 fasi:


1. categorizzazione delle persone in gruppi in base a vari criteri (genere, età, etnia)
2. presumere che tutte le persone appartenenti a quella categoria abbiano le stesse
caratteristiche
3. creazione di aspettative e interpretazione del comportamento degli altri in base agli stereotipi
4. radicazione degli stereotipi attraverso
-la sopravvalutazione della frequenza dei comportamenti stereotipici
-la spiegazione incorretta dei comportamenti corrispondenti alle aspettative
-la differenziazione degli individui sulla base di tali stereotipi

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Come interrompere la stereotipizzazione?


- Le persone sono meno predisposte a ricorrervi se si scontrano con informazioni rilevanti in netto
contrasto
- Avere motivazione per non incorrervi

Diversi tipi di stereotipi:


• Stereotipi legati ai ruoli sessuali: convinzioni sui ruoli maschili e femminili. A livello aziendale,
questo può tradursi in maggiore possibilità di promozione per gli uomini e di valutazioni
positive
• Stereotipi legati all’età: a livello organizzativo, tali stereotipi si traducono in credenze tipo gli
anziani poco motivati e coinvolti, in realtà è stato rilevato che fenomeni come l’assenteismo e
il turnover siano più frequenti fra i giovani
• Stereotipi legati a razza ed etnia: particolarmente problematici dato che si attivano
automaticamente e possono sfociare in micro aggressioni (pensieri, atteggiamenti e
sentimenti influenzati da bias, che esistono a livello inconscio).
Le organizzazioni dovrebbero affinare la sensibilità dei manager rispetto a falsi stereotipi
legati alla razza e alla minaccia dello stereotipo = situazione imbarazzante in cui i membri di
un gruppo sociale devono gestire la possibilità di venire giudicati o trattati stereotipicamente
o di fare qualcosa che confermerebbe lo stereotipo
• Stereotipi sulla disabilità: le persone disabili si ritrovano a dover combattere contro stereotipi
negativi che influenzano le loro prospettive occupazionali, oltre a essere stigmatizzate in
generale. Queste tendenze creano problemi quali maggior probabilità di essere disoccupate,
di avere uno stipendio inferiore e di vivere in povertà

Sfide manageriali
Le organizzazioni, in primo luogo, dovrebbero informare il personale circa il problema delle
stereotipizzazione mediante la formazione del personale stesso. In più si dovrebbe cercare di
impegnarsi ad ampio raggio per ridurre completamente gli stereotipi nell’intera organizzazione di
appartenenza, ad esempio attraverso contatti interpersonali fra gruppi misti. In tal senso,
potrebbe essere utile creare opportunità per i collaboratori di incontrarsi e lavorare insieme in
gruppi di cooperazione a parità di status.

7.3 PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA: L’EFFETTO PIGMALIONE


Tale profezia affonda le sue radici nella mitologia greca: il mito racconta di Pigmalione, uno
scultore che, pur odiando le donne, si innamorò di una figura femminile che egli stesso aveva
scolpito nell’avorio.
La sua infatuazione per la statua era tale da spingerlo a pregare la dea Afrodite di portarla in vita.
La dea udì la preghiera di Pigmalione, esaudì il suo desiderio e la statua prese vita.
L’essenza della profezia che si autoavvera, o effetto Pigmalione, è che le aspettative di un
individuo ne determinano comportamento e prestazioni.
Un’altra profezia che si autoavvera è il cosiddetto effetto Galatea, che si verifica quando le
aspettative elevate di un individuo nei confronti di sé stesso si traducono in prestazioni elevate. Il
processo fondamentale alla base degli effetti Pigmalione e Galatea consiste nel fatto che le
aspettative o le convinzioni delle persone, influendo sul loro comportamento e sulle loro
prestazioni, possono diventare realtà.

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La sintesi della profezia che si autoavvera può essere rappresentata da


questo modello (a fianco): il processo di tale profezia è innescato dalle
aspettative di un manager verso i propri collaboratori, le quali a loro volta
influenzano la leadership à aspettative positive generano leadership
positiva (effetto Galatea) e inducono i collaboratori a sviluppare aspettative
più elevate verso sé stessi. L’effetto Galatea a sua volta motiva i
collaboratori a impegnarsi di più e infine migliora la prestazione/
performance e di conseguenza le aspettative del supervisore. Non solo,
bensì migliora anche l’auto-efficacia, che alimenta l’aspettativa stessa dei
dipendenti nei confronti dei propri successi.
I ricercatori hanno inoltre definito effetto Golem la diminuzione delle
prestazioni di un individuo causata dal basso livello delle aspettative da parte del leader
sull’individuo stesso à è la versione negativa del processo di miglioramento della performance
raffigurato nel modello precedente.

Sfruttare al meglio la profezia che si autoavvera


I manager dovrebbero incentivare l'effetto Pigmalione costruendo una struttura gerarchica che
rinforzi le aspettative nei confronti di prestazioni positive in tutta l'organizzazione à una forma di
cooperazione di questo tipo incrementa la produttività a livello di gruppo e promuove il formarsi
di aspettative positive sulle prestazioni all'interno del gruppo stesso.
Dal momento che le aspettative positive nei confronti di sé stessi costituiscono il fondamento
dell'esistenza di un effetto Pigmalione diffuso nell’intera organizzazione, i manager possono creare
aspettative positive sulle prestazioni tramite diverse azioni:
1. Riconoscere che ogni individuo può, potenzialmente, migliorare la propria performance
2. Determinare i propri obiettivi di performance
3. Dare riscontri positivi per lavori ben fatti
4. Offrire feedback frequenti che comunicano fiducia nelle capacità dei collaboratori di portare a
termine i compiti assegnati
5. Offrire ai collaboratori la possibilità di gestire compiti e progetti sempre più complessi
6. Comunicare usando la mimica facciale, l’intonazione della voce, il linguaggio del corpo e
mediante commenti di incoraggiamento che lasciano trasparire aspettative elevate
7. Fornire ai collaboratori gli input, le informazioni e le risorse di cui necessitano per raggiungere i
loro obiettivi
8. Presentare i neo-assunti sottolineando le loro potenzialità
9. Incoraggiare i collaboratori a concentrarsi sul presente senza preoccuparsi di eventi negativi
legati al passato
10. Aiutare i collaboratori a padroneggiare perfettamente le proprie mansioni e le proprie abilità.

7.4 ATTRIBUZIONI CAUSALI


Attribuzioni causali: motivazioni dedotte o sospettate di un comportamento.
Gli individui formano continuamente relazioni causa-effetto per spiegare il comportamento nostro
e degli altri, quelle cioè che vengono definite attribuzioni causali.

Modello dell’attribuzione secondo Kelley


Il fondatore della teoria dell’attribuzione è Heider; proprio basandosi sui suoi studi Kelley formulò
la propria teoria dell’attribuzione: il cambiamento può essere attribuito o a fattori interni alla
persona (es. abilità) o a fattori esterni, insiti nell’ambiente (es. buona o cattiva sorte).

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Partendo da ciò, Kelley ipotizzò che le persone effettuino attribuzioni causali a partire da
informazioni su tre dimensioni del comportamento (variano indipendentemente l’una dall’altra):
1) Il consenso implica un confronto fra il comportamento dell’individuo e quello dei suoi pari. Il
livello di consenso è alto quando una persona si comporta come il resto del gruppo, basso
quando si comporta diversamente à si mettono a confronto le persone
2) La distinzione si determina confrontando il comportamento di un individuo nello svolgimento
di diversi compiti. Un alto livello di distinzione indica che l’individuo ha svoluto un certo
compito in maniera significativamente diversa rispetto ad altri compiti; un basso livello indica
una prestazione stabile dell’individuo a prescindere dal compito svolto à si mettono a
confronto i compiti
3) La coerenza viene determinata in base al fatto che la prestazione di un individuo nello
svolgimento di un determinato compito rimanga costante nel tempo. Un alto livello di
coerenza implica che la persona svolge quel compito nello stesso modo di volta in volta; un
basso livello di coerenza è invece legato ad una prestazione variabile nel tempo à si mette a
confronto la variabile nel tempo

Nel grafico:
• Consenso: è basso quando C ha una performance che si distacca rispetto a quella degli altri;
è alto quando A, B, C, D, E hanno livelli di prestazioni individuali simili
• Distinzione: la prestazione del dipendente nel compito 4 è fortemente distintiva in quanto si
discosta molto dalle sue prestazioni nei compiti 1, 2, 3 e 5
• Prestazione: il picco negativo nella prestazione riportato nel grafico a sinistra indica un basso
livello di coerenza; in questo caso, la prestazione del lavoratore nello svolgere un
determinato compito è variata nel tempo
Kelley ha ipotizzato che le persone attribuiscano il comportamento:
- a cause esterne (fattori ambientali) quando percepiscono un alto livello di consenso e di
distinzione ma un basso livello di coerenza
- a fattori personali quando il comportamento osservato è caratterizzato da bassi livelli di
consenso e distinzione, e alto livello di coerenza
Esempio: quando tutti i collaboratori esibiscono prestazioni di cattiva qualità (alto consenso),
oppure quando la prestazione di cattiva qualità si presenta solo con riferimento a un determinato
compito (alta distinzione) o solo in un determinato periodo di tempo (bassa coerenza), il
supervisore probabilmente la attribuirà a una fonte esterna.
La prestazione sarà invece attribuita alle caratteristiche personali del lavoratore (attribuzione
interna) quando solamente l’individuo in questione fornisce una performance di cattivo livello

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(basso consenso), quando tale livello è riscontrabile in compiti diversi (bassa distinzione) e persiste
nel tempo (alta coerenza).

Tendenze attributive
1) Bias attributivo di base: ignorare i fattori ambientali che influenzano il comportamento;
tendenza ad attribuire il comportamento di una persona alle caratteristiche della persona stessa,
anziché a fattori situazionali
2) Bias auto-funzionale: attribuire alla propria responsabilità più i successi che i fallimenti

Applicazioni e implicazioni manageriali


-Uomini e donne tendono ad attribuire le promozioni a cause diverse: gli uomini grazie
all’impegno, le donne grazie a fortuna o rete di conoscenze personali à i manager dovrebbero
aiutare le donne a sviluppare capitale sociale e promuovere i collaboratori sulla base di parametri
misurati e legati alla mansione
-Il manager tende ad attribuire il comportamento a cause interne troppo frequentemente, cosa
che può indebolire le motivazioni e le prestazioni à è utile che i manager seguano corsi di
formazione sull’attribuzione
-I manager dovrebbero provvedere ad educazioni circa il riallineamento attributivo, altrimenti
potrebbe succedere che alcuni collaboratori attribuiscano motivi del proprio fallimento ad una
mancanza di capacità, riducendo la propria autostima

CAPITOLO 8 – I FONDAMENTI DELLA MOTIVAZIONE


8.1 LA MOTIVAZIONE ATTRAVERSO I CONTENUTI DEL LAVORO
Motivazione: processi psicologici che provocano la nascita, la direzione e la persistenza di azioni
volontarie dirette verso un obiettivo.
Le teorie della motivazione sono riconducibili a due categorie, la prima riguarda le teorie della
motivazione basate sui contenuti del lavoro (content theories): identificano fattori interni che
influenzano la motivazione. Gran parte di tali teorie si basa sull’idea che la motivazione sia
influenzata dai bisogni dei collaboratori = esigenze fisiologiche o psicologiche che causano un
certo comportamento.
Le principali teorie fondati su ciò sono:
1) Teoria della gerarchia dei bisogni di Maslow
Maslow ipotizzava che la motivazione fosse funzione di cinque bisogni fondamentali:

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Come si evince graficamente, i bisogni alla base della piramide sono quelli più di base,
fisiologici, mentre quelli verso la punta sono successivi. A livello manageriale tale teoria
comporta:
-concentrazione da parte dei manager sul soddisfacimento dei bisogni dei collaboratori
legati ad autostima e autorealizzazione, dato che questi influenzano significativamente i
risultati
-motivazione delle persone con programmi e proposte che tengano in considerazione i
bisogni emergenti e specifici

2) Teoria ERC di Alderfer


Alderfer spiega i comportamenti utilizzando solo 3 bisogni:
1-Bisogni esistenziali (E): desiderio di avere un benessere fisiologico e materiale
2-Bisogni relazionali (R): desiderio di creare relazioni significative
3-Bisogni di crescita (C): desiderio di crescere come essere umano e utilizzare le proprie
capacità al massimo del proprio potenziale

A differenza della teoria di Maslow, questa non presuppone che i bisogni siano correlati
l’un l’altro in scala gerarchica, in quanto i bisogni possono attivarsi contemporaneamente.
Viene inoltre introdotta una componente di frustrazione-regressione à la frustrazione di
bisogni di ordie superiore può influenzare il deisderio di bisogni di ordine inferiore.
A livello manageriale:
-I manager dovrebbero tener conto del fatto che i collaboratori possono essere motivati a
perseguire bisogni di livello inferiore perché frustrati nei bisogni di livello superiore (es.
richiesta di un aumento di stipendio può nascondere un’insofferenza verso l’ambiente di
lavoro)
-Il management dovrebbe personalizzare i programmi di ricompensa in modo che
corrispondano ai bisogni dei lavoratori, variabili nel tempo à le persone sono motivate da
bisogni diversi in momenti diversi della loro vita

3) Teoria dei bisogni di McClelland


McClelland ha definito:
-Bisogno di realizzazione: desiderio di ottenere qualcosa di difficile
-Bisogno di affiliazione: desiderio di trascorrere del tempo coltivando relazioni sociali e
svolgendo attività
-Bisogno di potere: desiderio di influenzare, guidare, insegnare o incoraggiare gli altri alla
realizzazione

A livello manageriale:
-ogni organizzazione dovrebbe prendere in considerazione la creazione di programmi
mirati ad accrescere il bisogno di realizzazione dei propri dipendenti
-è necessario che tali bisogni vengano valutati negli individui al fine di assegnare al meglio i
ruoli§

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4) Teoria dei fattori duali di Herzberg


Herzberg rintracciò due gruppi distinti
di fattori responsabili della
soddisfazione e insoddisfazione
lavorativa:
1-Fattori motivanti: caratteristiche del
lavoro connesse alla soddisfazione
lavorativa à portano la persona a
passare da uno stadio di mancanza di
soddisfazione a uno di soddisfazione
2-Fattori igienici: caratteristiche del
lavoro connesse all’insoddisfazione
lavorativa
La chiave per comprendere questa teoria è che la soddisfazione non viene vista come l’opposto
dell’insoddisfazione: se i fattori motivanti ci sono, non è detto che non ci sia comunque
insoddisfazione; se i fattori igienici non ci sono c’è insoddisfazione, ma questo non implica che se
ci sono allora ci sia per forza soddisfazione.
Dunque, i manager dovrebbero prestare attenzione ad entrambi fattori.

8.2 LE TEORIE MOTIVAZIONALI INCENTRATE SUI PROCESSI


La seconda categoria delle teorie della motivazione riguarda le teorie motivazionali incentrate sui
processi e spiegano come fattori interni e cognizioni influenzano la motivazione.
Tre principali teorie:
1) Teoria motivazione dell’equità di Adams
Per teoria dell’equità s’intende un modello che sostiene che la motivazione sia funzione
dell’imparzialità negli scambi sociali; spiega dunque come la motivazione degli individui ad agire in
un certo modo sia alimentata da sentimenti di iniquità o mancanza di giustizia.
Questa teoria analizza la relazione di scambio tra individuo e organizzazione: essa presenta input
del collaboratore (es. abilità e formazione) e output forniti invece dall’organizzazione (es.
stipendio o compiti sfidanti).
Iniquità negativa e positiva: per iniquità si
intende la misura in cui una persona ritiene di
ricevere un trattamento adeguato che
compensa i contributi forniti. È un processo
comparativo che si basa su una forma di equità
e in particolare interessa confronti che le
persone fanno, specialmente rivolti a persone
con cui sono legate o con cui hanno qualcosa in
comune.
La situazione sarà equa quando il rapporto fra
output percepiti e input dell’individuo è pari al
rapporto fra output e input ad esempio di un
collega.
Se invece vi è iniquità, può essere negativa (=confronto nel quale un’altra persona riceve compensi
migliori a parità di input) oppure positiva (=confronto nel quale un’altra persona riceve compensi
peggiori a parità di input).

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La giustizia organizzativa espande il concetto di equità in campo organizzativo, in quanto riflette la


misura in cui le persone percepiscono di essere trattate equamente sul lavoro. È determinata da 3
componenti:
Giustizia organizzativa
In particolare:
-la prestazione lavorativa è positivamente
Giustizia distributiva: la giustizia associata alla giustizia distributiva e
percepita dal modo in cui le risorse procedurale
e le ricompense vengono distribuite -tutte e tre le forme di giustizia sono
positivamente correlate con la soddisfazione
Giustizia procedurale: la giustizia lavorativa, il commitment e la lealtà dei
percepita dal processo e dalle
procedure utilizzate per prendere collaboratori VS negativamente correlate con
decisioni di allocazione delle risorse comportamenti aggressivi nell’ambiente di
lavoro
Giustizia internazionale: la misura
in cui le persone si sentono trattate -correlazioni negative si sono riscontrate col
in modo equo nell'applicazione desiderio di lasciare l’azienda da parte dei
delle procedure collaboratori e il tasso di turnover

2) Teoria dell’aspettativa di Vroom


Tale teoria sostiene che le persone sono motivate ad assumere un comportamento che produce
risultati ritenuti importanti. La forza di una tendenza a comportarsi in un determinato modo
dipende dalla forza di un’aspettativa che l’individuo nutre nei confronti di una data conseguenza e
dall’attrattiva di tale conseguenza per chi compie l’atto. In altre parole, la motivazione è data da:

• Aspettativa: convinzione che l’impegno porti a un certo livello di prestazione.


I fattori che influiscono sulle percezioni di aspettativa del collaboratore possono essere
riassunti in autostima, auto-efficacia, successi passati nello svolgere lo stesso compito,
assistenza da collaboratori/supervisori, padronanza delle informazioni necessarie per
svolgere il compito, disponibilità di buoni materiali e attrezzature per lavorare
• Strumentalità: percezione di causalità fra prestazione e risultato. Convinzione che un
particolare risultato dipenda dal raggiungimento di uno specifico livello di prestazione.
La strumentalità varia da 1 (l’ottenimento di un certo risultato dipende del tutto dalla
prestazione nello svolgimento di un compito) a -1 (un’alta prestazione riduce la possibilità
di ottenere un risultato mentre un basso livello di prestazione l’aumenta), passando per 0
(non c’è relazione tra prestazione e risultato)
• Valenza: valore positivo o negativo che le persone assegnano ai risultati. Riflette le nostre
preferenze personali

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A livello manageriale e organizzativo, tale teoria comporta le seguenti implicazioni:

3) La motivazione attraverso il goal setting


Le persone di successo tendono ad avere in comune un forte orientamento all’obiettivo.
Per obiettivo (goal) si intende ciò che l’individuo tenta di realizzare, oggetto o scopo di un’azione.
Locke ha formulato un modello secondo il quale la definizione degli obiettivi è composta da 4
meccanismi motivazionali:
1. Gli obiettivi focalizzano l’attenzione e gli sforzi verso attività rilevanti per il raggiungimento
degli obiettivi stessi, distogliendoli da quelle irrilevanti
2. Gli obiettivi regolano lo sforzo: non solo ci rendono percettivi in modo selettivo, ma ci
motivano anche all’azione à il livello di sforzo impiegato è proporzionale alla difficoltà
dell’obiettivo
3. Gli obiettivi aumentano la tenacia, la quale rappresenta lo sforzo impiegato per
l’esecuzione di un compito sul lungo termine
4. Gli obiettivi incentivano lo sviluppo e l’applicazione di piani d’azione e strategie
A livello manageriale sono state formulate cinque riflessioni:
1. Obiettivi specifici ed elevati stimolano una performance migliore à la specificità
dell’obiettivo riguarda la sua quantificabilità
2. Il feedback amplifica gli effetti nel caso di obiettivi specifici e difficili à il feedback fa in
modo che le persone capiscano se sono indirizzate al raggiungimento dei propri obiettivi o
se devono reindirizzare i loro sforzi
3. Obiettivi sviluppati in maniera partecipativa, assegnati dall’alto e sviluppati
autonomamente hanno la stessa efficacia (non esiste un approccio significativamente più
efficace degli altri per incrementare la prestazione)
4. I piani d’azione facilitano il raggiungimento degli obiettivi à piano d’azione=attività e
compiti da portare a termine per raggiungere un obiettivo
5. Il livello di commitment e gli incentivi monetari influenzano i risultati del goal setting à il
livello di commitment nell’obiettivo rappresenta la misura in cui l’individuo è coinvolto nel
raggiungimento dell’obiettivo in questione (in altre parole, ci si aspetta che un individuo
persista nel raggiungere un obiettivo quando ne è particolarmente coinvolto)

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8.2 MOTIVARE I COLLABORATORI ATTRAVERSO LA RIORGANIZZAZIONE DEL LAVORO


Riorganizzazione del lavoro: cambiare i contenuti o i processi di un lavoro per incrementare la
soddisfazione e la performance
Approcci top-down
Storicamente la riorganizzazione del lavoro si è caratterizzata per un approccio top-down secondo
il quale i manager modificavano i compiti dei dipendenti con l’obiettivo di accrescere sia la
motivazione che la produttività à top-down=guidata dal management.
Cinque approcci top-down principali:
1. Scientific management
Significa utilizzare la ricerca e la sperimentazione per trovare il modo più efficace di svolgere
un compito; è quel tipo di management che propone mansioni standard ai suoi lavoratori,
stabilendo un processo sistematico di osservazione, sperimentazione e ragionamento.
L’applicazione di tale approccio è composta da cinque fasi:

Selezione attenta Addestramento dei


Supporto del
Sviluppo di metodi dei collaboratori collaboratori Offerta di incentivi
personale per
standardizzati per l'esecuzione dotati delle capacità all'utilizzo di metodi legati alla
ridurre le
dei compiti adeguate al compito e procedure prestazione
interruzioni
in questione standardizzate

Un lavoro così organizzato mira alla flessibilità, produttività e efficienza. D’altro canto,
l’impiego di occupazioni semplificate e ripetitive può causare nel collaboratore
insoddisfazione, scarso equilibrio psichico, alti livelli di stress e poco senso di realizzazione e
crescita personale.

2. Job enlargment
Job enlargment significa ampliamento delle mansioni = aumentare la varietà di un lavoro,
attraverso la combinazione di mansioni specializzate di difficoltà simili (può essere considerata
come una sorta di sviluppo orizzontale del lavoro).

3. Job rotation
Job rotation significa rotazione del lavoro = spostare i collaboratori da un lavoro specializzato
ad un altro. Lo scopo di tale approccio è simile a quello dell’approccio precedente, ossia dare
più varietà al lavoro, ma in questo caso vengono spostati i lavoratori da una postazione
all’altra cercando di stimolarne l’interesse e la motivazione. In questo caso si cerca di dar loro
una prospettiva più ampia dell’organizzazione in cui operano; talvolta la rotazione del lavoro
viene usata come strumento per dare ai collaboratori lavori scelti da loro cercando così di
ridurre il turnover e accrescere la performance.

4. Job enrichment
Applicazione pratica della teoria dei fattori duali (motivanti e igienici) di Herzberg.
L’arricchimento del lavoro (job enrichment) consiste nella modificazione delle condizioni di
lavoro in modo di dar la possibilità al collaboratore che lo svolge, di realizzarsi e sperimentare
riconoscimento, esecuzione di un computo stimolante, responsabilità e avanzamento di
carriera à può esser considerato una sorta di sviluppo verticale del lavoro, che consiste nel
dare più autonomia e responsabilità al singolo.

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5. Modello basato sulle caratteristiche del lavoro


Hackman e Oldham si sono interrogati circa in che modo si possa strutturare il lavoro per
motivare il personale intrinsecamente o internamente (motivazione intrinseca= motivazione
causata da sensazioni interne positive, generate dal fare bene il proprio lavoro e non
dipendenti da fattori esterni come incentivi/approvazione del capo).
Questo approccio vuole promuovere un’elevata motivazione interna; questa si realizza
tramite il possesso di tutte e cinque le dimensioni fondamentali del lavoro (=caratteristiche
del lavoro riscontrabili in vari gradi in qualsiasi tipo di occupazione):
-Varietà delle abilità richieste: misura quanto un lavoro richieda all’individuo di eseguire
diversi compiti, per i quali è tenuto ad utilizzare abilità e capacità diverse
-Identità del task: misura quanto un task venga eseguito in modo completo da un individuo
(cioè, se la persona lavoro su un prodotto o progetto dall’inizio alla fine)
-Significatività del task: misura quanto gli effetti di un lavoro si estendano sulla vita di altre
persone all’interno o all’esterno dell’organizzazione
-Autonomia: misura quanto il lavoro dia la
possibilità a un individuo di sperimentare
libertà, arbitrio e indipendenza, sia nella
programmazione che nella scelta delle
procedure da utilizzare per l’esecuzione
del compito à è la misura dalla quale
deriva la responsabilità all’individuo
-Feedback: misura quanto un individuo
riceva informazioni chiare e dirette
sull’efficacia del compito che sta
svolgendo à è la misura che genera
conoscenza dei risultati

Hackman e Oldham hanno ammesso che i lavoratori non desiderano un’occupazione che
contenga tutte queste caratteristice a livello elevato, bensì specialmente le prime tre sono
quelle che recano maggior soddisfazione.
A livello manageriale, è consigliabile migliorare la motivazione intrinseca dei lavoratori, il
coinvolgimento nel lavoro e la performance e cercare di incrementare le caratteristiche
fondamentali del lavoro al fine di ridurre assenteismo e stress.

Approcci bottom-up
Sono approcci di recente sviluppo e si basano sull’idea che i collaboratori possano proattivamente
modificare o riorganizzare il proprio lavoro e che tale processo alimenti motivazione e impegno.
Secondo tali approcci, il processo di riorganizzazine del lavoro è guidato dai collaboratori anziché
dal manager.
Si parla infatti di job crafting = comportamenti proattivi e flessibili che gli individui apportano per
modificare la natura del proprio lavoro à in questo caso sono i lavoratori ad essere artefici del
lavoro in quanto ne stabiliscono e definiscono i confini.
Le principali forme di job crafting sono:

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Gli accordi personalizzati


Rappresentano l’approccio più recente alla riorganizzazione del lavoro, nonché un tentativo di
fondere le due teorie appena elencate. Secondo questa visione, la riorganizzazione del lavoro è un
processo nel quale manager e collaboratori negoziano il tipo di compiti che dovranno esser svolti
durante l’attività lavorativa. à le condizioni di impiego sono pertanto negoziate fra collaboratori e
manager.
Attraverso tale approccio si cercano di superare i limiti dell’approccio top down, quali il vincolo dal
fatto che i manager non sempre riescono ad implementare cambiamenti ottimali nelle
caratteristiche del lavoro di tutti i collaboratori, e quelli dell’approccio bottom-up, come la
limitazione data dalla libertà conferita ai dipendenti nel modificare il proprio lavoro.
Gli accordi personalizzati vogliono garantire maggior flessibilità a livello individuale, sviluppo
personale e l’obiettivo concerne anche l’aumento di motivazione e produttività concedendo ai
lavoratori la libertà di negoziare relazioni di impiego che ne soddisfino bisogni e valori.

8.3 APPLICARE LE TEORIE MOTIVAZIONALI NELL’AMBIENTE DI LAVORO


I manager sono chiamati ad affrontare due sfide complesse nell’elaborazione di programmi
motivazionali:
1) Dovendo gestire numerose attività contemporaneamente, molti manager si sentono spinti
in direzioni diverse e impiegano troppo tempo nella gestione delle emergenze invece di
concentrarsi proattivamente sui bisogni dei collaboratori; questa situazione frustrante può
incidere negativamente sulla soddisfazione lavorativa e la motivazione dei manager stessi
2) I manager devono conoscere metodi diversi dalle ricompense economiche per motivare i
collaboratori. In tal senso, le organizzazioni possono aiutare i manager offrendo loro
formazione e coaching incentrati su come migliorare le proprie capacità di motivare i
collaboratori.

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9. MIGLIORARE LA PERFORMANCE: OBIETTIVI, FEEDBACK, RICOMPENSE E RINFORZI


Per gestione delle prestazioni
(performance management) si
intende un ciclo continuo di
miglioramento delle prestazioni
lavorative mediante goal setting,
feedback e coaching, ricompense e
rinforzi positivi.
È un approccio in netto contrasto
con la prassi delle valutazioni
annuali della prestazione,
esperienza generalmente poco
soddisfacente per tutti i coinvolti.

9.1 IL GOAL SETTING


Viene introdotto il concetto di visibilità dei dipendenti (line of sight)=i dipendenti comprendono gli
obiettivi strategici dell’organizzazione e sanno quali azioni intraprendere.
È un elemento spesso mancante all’interno delle organizzazioni e che, invece, sarebbe del tutto
utile al fine di raggiungere gli obiettivi, sia a livello individuale che di team.

Due tipi di obiettivi


• Obiettivo di risultato delle prestazioni: mira al raggiungimento di uno specifico risultato
• Obiettivo di apprendimento: mira a sviluppare la creatività e le abilità
Generalmente i manager tendono a porre troppa enfasi sugli obiettivi del primo tipo ignorando
quelli del secondo, mal fine di spronare i dipendenti a impegnarsi di più. Tuttavia, per i dipendenti
privi delle abilità richieste, questo risulta frustrante e del tutto poco motivante.

Management by objectives
Al fine di promuovere quest’ottica di goal setting è stata sviluppata una tecnica di management,
ad oggi molto diffusa, chiamata MBO (management by objectives). Si tratta di un sistema
manageriale che implica alta partecipazione sia nel processo decisionale, sia nella definizione degli
obiettivi e sia nel feedback sugli stessi.
Il concetto chiave di tale modello è fare in modo che ciascun collaboratore possieda una parte
dello sforzo collettivo à i programmi di MBO si pongono in tal senso di unire obiettivi di
apprendimento e obiettivi di risultato in termini di prestazione, legati ad alti standard etici.

Gestire il processo del goal setting


Vi sono tre passaggi fondamentali da seguire per applicare un piano di goal setting:
FASE 1: Definire gli obiettivi
Gli obiettivi devono essere SMART (specifici, misurabili, attuabili, results-oriented e time-
oriented):
- Specifico à Gli obiettivi devono essere definiti in termini precisi e non vaghi. Ad esempio, un
obiettivo che stabilisce 20 ore di formazione tecnica per ciascun collaboratore è più specifico di
un obiettivo che impone al manager di inserire quante piú persone nei corsi di formazione.
Quando è fattibile, l’obiettivo va quantificato.
- Misurabile à È necessario disporre di uno strumento di misurazione per valutare la misura in
cui un obiettivo è raggiunto. Gli obiettivi devono quindi essere misurabili. È peraltro difficile

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considerare l’aspetto qualitativo dell’obiettivo quando si stabiliscono dei criteri di misurazione.


Ad esempio, se l’obiettivo è quello di completare uno studio a livello manageriale dei metodi
per incrementare la produttività, è necessario considerare come misurare la qualità dello
sforzo. Gli obiettivi andrebbero definiti considerando la relazione tra quantità e qualità del
risultato.
- Attuabile à Gli obiettivi dovrebbero essere realistici, complessi ma attuabili. Obiettivi
impossibili riducono la motivazione, perché le persone non amano fallire. È necessario ricordare
che ognuno ha un livello diverso di capacità e abilità.
- Orientato al risultato à Gli obiettivi aziendali dovrebbero orientarsi ai risultati finali che
sostengono la visione dell’organizzazione. A loro volta, gli obiettivi individuali dovrebbero
sostenere direttamente il raggiungimento di obiettivi aziendali. Le attività facilitano il
raggiungimento degli obiettivi e vengono descritte all’interno dei piani d’azione. Per focalizzare
gli obiettivi sui risultati desiderati, gli obiettivi dovrebbero iniziare con la parola per, seguita da
verbi come completare, acquisire, produrre, incrementare, e diminuire. Verbi come sviluppare,
condurre, applicare, o monitorare implicano attività e non dovrebbero essere utilizzati
all’interno di definizioni di obiettivi.
- Legato al tempo à Gli obiettivi contengono indicazioni specifiche riguardo al loro
raggiungimento.

FASE 2: Promuovere il commitment nei confronti dell’obiettivo


È possibile fare ciò applicando le seguenti linee guida:
1. Spiegare perché l’organizzazione applica un programma completo di goal setting
2. Creare una visibilità chiara illustrando gli obiettivi aziendali e collegando ad essi gli obiettivi
individuali
3. Consentire ai collaboratori di parteci0pare alla definizione dei loro obiettivi ed elaborare
autonomamente i piani d’azione à incoraggiarli a porsi obiettivi sfidati e ambiziosi, ma
non impossibili
4. Favorire la crescita personale chiedendo ai collaboratori di stilare scale di obiettivi (=catene
di obiettivi con difficoltà e sfide progressive)

FASE 3: Fornire sostegno e feedback


Questa fase richiede che si aiutino i collaboratori a raggiungere i rispettivi obiettivi secondo queste
linee guida:
1. Garantire che ogni collaboratore abbia abilità e informazioni necessarie per raggiungere i
propri obiettivi à no conoscenza = no motivazione
2. Badare alle percezioni dei collaboratori nei confronti delle aspettative (prestazioni, auto-
efficacia percepita e preferenze rispetto alla ricompensa)
3. Essere di sostegno ai collaboratori, conferire loro maggiore autonomia man mano che
crescono e non usare gli obiettivi come minaccia nei loro confronti
4. Fornire feedback al momento giusto, che sia di tipo specifico (conoscenza dei risultati)
5. Fornire incentivi monetari e non, e premiare sia il raggiungimento degli obiettivi che i
progressi significativi

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9.2 IL FEEDBACK
Il feedback rappresenta un’informazione oggettiva su una performance individuale o di gruppo. In
particolare:
Ø Il feedback è lo scambio di informazioni sullo status e la qualità dei risultati del lavoro;
garantisce inoltre che manager e dipendenti siano in sintonia e concordino sugli standard e
le aspettative circa il lavoro da svolgere
Ø Le valutazioni tradizionali, al contrario, scoraggiano la comunicazione a due direzioni e
attribuiscono valenza negativa al coinvolgimento dei collaboratori (essi sono scoraggiati nel
partecipare alla verifica della prestazione, si sentono giudicati)
Ø Per evitare questo genere di situazioni, la gestione delle prestazioni per essere efficace
deve prevedere un sano grado di feedback e coinvolgimento dei collaboratori

Due funzioni del feedback


1-Istruttiva: il feedback chiarisce i ruoli, insegna nuovi comportamenti
2-Motivazionale: il feedback si qualifica come ricompensa o promessa di ricompensa à può
essere aumentata tale funzione se vengono associati specifici feedback a parti specifiche di
obiettivi complessi
Bisogna tuttavia porre attenzione in quanto il feedback soggettivo spesso è contaminato da fattori
situazionali e quello oggettivo deve comprendere l’interazione fra le persone che lo ricevono e
l’ambiente in cui operano. In particolare:
-Caratteristiche del ricevente: chi ha bassa autostima e bassa auto-efficacia non cerca in modo
attivo un feedback; anche i più anziani e coloro con minor livello di auto-osservazione sono meno
probabilmente aperti ad un feedback
-Come il ricevente percepisce il feedback: il feedback può essere positivo o negativo à tanto più è
positivo, tanto più l’individuo sarà portato a percepirlo in maniera accurata e a ricordarlo; tuttavia
i feedback negativi possono avere impatti motivazionali positivi
-Come il ricevente valuta il feedback dal punto di vista cognitivo: fattori come la credibilità della
fonte, la precisione del giudizio, l’equità del sistema e le aspettative personali vengono adottati
per valutare cognitivamente il feedback à se tali fattori non sussistono, il feedback verrà tenuto
scarsamente in considerazione

Consigli pratici derivanti dalla ricerca sul feedback


Questi possono essere:
Ø L’accettazione del feedback non deve essere data per scontata, possono esserci rifiuti o
mal interpretazioni (specialmente per quanto riguarda quello negativo)
Ø I manager possono migliorare la loro credibilità come fonte di feedback
Ø Va adattato al ricevente
Ø È ancora troppo poco adottato dalle aziende
Ø Chi ottiene performance medie o inferiori alla media necessita di riconoscimenti estrinseci
della performance, chi invece si caratterizza per alti livelli di performance risponde a
feedback che migliorino l’idea della propria competenza e del proprio controllo
Ø I feedback sulla performance informatica comportano miglioramenti della performance più
elevati se direttamente inviati via rete
Ø I riceventi percepiscono i feedback come più accurati se partecipano attivamente alle
riunioni di definizione degli stessi
Ø Le critiche distruttive generalmente causano conflitti e riducono la motivazione

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Ø Più una persona sale nella gerarchia di un’organizzazione, meno ha probabilità di ricevere
feedback di qualità sulla propria performance lavorativa
Inoltre, possono esserci
segnali che indicano
problemi nel sistema di
feedback di
un’organizzazione à

Feedback a 360 gradi


Si tratta di un confronto fra i feedback anonimi forniti dal superiore, dai subordinati, dai colleghi e
le percezioni individuali. È un processo detto anche feedback a circolo completo nel quale possono
essere inclusi anche individui esterni all’azienda.
La fiducia sta alla base dell’utilizzo di una forma di feedback a 360 gradi allo scopo di incrementare
la produttività, essa determina la misura in cui un individuo desidera contribuire al successo del
suo datore di lavoro.

Come fornire feedback finalizzato al coaching e all’efficacia organizzativa


I manager dovrebbero tenere presente questi consigli per gestire le prestazioni:
• Concentrare il feedback sulla performance, non sulla personalità
• Dare feedback specifici, legati a obiettivi di apprendimento e risultati delle prestazioni
• Incanalare il feedback verso aree di risultato importanti per l’organizzazione
• Dare feedback prima possibile
• Dare feedback positivi volti al miglioramento attraverso il coaching, non relativi al solo risultato
finale
• Basare il feedback su informazioni accurate e credibili
• Collegare il feedback ad aspettative ben definite di miglioramento

9.3 SISTEMI DI RICOMPENSA


Le ricompense sono una caratteristica organizzativa onnipresente e sempre al centro di
controversie. Le ricompense possono essere di varie tipologie:
-Ricompense estrinseche: economiche, materiali o sociali che derivano dall’ambiente
-Ricompense intrinseche: autoassegnate o psicologiche
Una persona che lavora per ottenere ricompense estrinseche (denaro o apprezzamento) è
estrinsecamente motivata; una persona che trae invece piacere dal compito in sé si dice
intrinsecamente motivata.

Vi sono 3 diversi criteri di distribuzione delle ricompense:


-Performance: risultati à risultati tangibili a livello del singolo, del gruppo o dell’azienda = qualità
e quantità della performance
-Performance: azioni e comportamenti à il lavoro di gruppo, la cooperazione, l’assunzione di
rischi e la creatività
-Considerazioni slegate dalla performance à vengono ricompensati il tipo di lavoro, la natura del
compito svolto, equità, anzianità, livello all’interno della gerarchia eccetera.
Legati a ciò, vi sono i risultati desiderati dal sistema di ricompense:
un buon sistema di ricompense dovrebbe attirare persone di talento, incentivare il personale a
crescere e svilupparsi e fare in modo che le persone dotate di talento non abbandonino il posto di
lavoro.

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Il sistema delle ricompense si può così sintetizzare:

Le basi della motivazione e delle ricompense intrinseche


Le ricompense intrinseche sono concesse dall’individuo a sé stesso. I manager però non sono
esclusi: possono adoperarsi per creare situazioni in cui i collaboratori si concederanno ricompense
da cui trarranno motivazione intrinseca.
Il modello della motivazione intrinseca di Thomas fornisce
indicazioni utili a ciò: associa elementi di riorganizzazione del
lavoro, il concetto di empowerment e la teoria della
valutazione cognitiva di Deci e Ryan à secondo questi ultimi,
affinché un compito sia motivante, gli individui che lo svolgono
devono soddisfare il proprio bisogno di autonomia e
competenza.
Thomas usa il concetto di blocchi portanti per dimostrare ai
manager come costruire le condizioni giuste per le 4
ricompense intrinseche essenziali: significato, scelta,
competenza e risultato à

Perché le motivazioni estrinseche non riescono a motivare?


Otto possibili spiegazioni:
1. Troppa enfasi sulle ricompense monetarie
2. Le ricompense mancano del cosiddetto “effetto apprezzamento”
3. I benefit eccessivi diventano diritti
4. Si ricompensano comportamenti controproducenti (ad esempio, “un’azienda che consegna
pizze dava riconoscimenti a chi impiegava meno tempo a portare le pizze a destinazione,
per poi scoprire che così facendo premiava una guida spericolata”)
5. Si lascia troppo tempo tra la valutazione della performance e l’attuazione della ricompensa
6. Ricompense troppo uniformi
7. Utilizzo di ricompense una tantum con impatto motivazionale a breve termine
8. Uso continuo di pratiche demotivanti come licenziamenti, tagli e compensi eccessivi agli
alti livelli organizzativi
Retribuzione legata alla performance
Retribuzione legata alla performance (pay for performance): incentivi economici legati ai risultati e
alle realizzazioni dell’individuo. Si tratta di una retribuzione straordinaria rispetto a stipendi e
salari base (ad esempio il tradizionale cottimo: al dipendente viene pagato un certo ammontare in
denaro per ogni pezzo prodotto). Secondo l’opinione degli studiosi la retribuzione basata sulla
performance non riesce a ottenere un miglioramento della performance lavorativa in quanto vi è
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una progettazione e gestione poco efficace. Secondo diversi studi, è stata rilevata una moderata
correlazione positiva fra incentivi finanziari e quantità di performance, e impatto zero sulla qualità
di performance.

Trarre il meglio da ricompense estrinseche e retribuzioni basate sulla performance


• Collegare encomi, riconoscimenti e premi non monetari a risultati specifici
• Rendere la retribuzione legata alla performance parte integrante della strategia
• Fondare la determinazione degli incentivi su dati di performance oggettivi
• Fare in modo che tutti i collaboratori partecipino allo sviluppo, all’applicazione e alla revisione
delle formule di retribuzione basate sulla performance
• Incoraggiare una comunicazione bilaterale, per poter riconoscere quanto prima eventuali
problemi legati al piano di incentivi
• Progettare i piani di retribuzione legata alla performance su strutture partecipative, come
sistemi di raccolta delle opinioni o team per la risoluzione dei problemi
• Quando possibile, premiare il lavoro di gruppo e la collaborazione
• Coinvolgere attivamente nel piano supervisori e manager di secondo livello che potrebbero
considerare la partecipazione del dipendente come una minaccia al loro concetto di autorità
• Se si assegnano bonus annuali in contanti, pagarli tutti insieme per massimizzarne l’impatto
motivazionale
• Fare un uso selettivo di incentivi non monetari innovativi per creare entusiasmo e interesse

9.4 IL RINFORZO POSITIVO


Il rinforzo positivo supporta il manager nell’ottenere la disciplina necessaria e gli effetti desiderati
col giusto feedback e le adeguata ricompense estrinseche.
Thordinke per dimostrare ciò e formulare la propria legge dell’effetto partì da un esperimento: un
gatto, posto in una piccola gabbia con una levetta nascosta per aprirla, si comportava in modo
casuale e selvaggio. Una volta che era riuscito ad azionare casualmente la levetta e uscire, però,
l’animale se rimesso nella gabbia andava direttamente verso la levetta, azionandola, per riuscire a
scappare nuovamente.
Dunque, a partire da ciò Thordinke formulò la propria legge degli effetti: un comportamento che
ha conseguenze positive si ripete, un comportamento con conseguenze negative scompare.

Il modello di Skinner del condizionamento operativo


Skinner ha elaborato un modello che si può definire come comportamentismo in quanto trattasi di
studi rivolti principalmente a comportamenti osservabili. Skinner era infatti convinto che fosse
inutile spiegare il comportamento in termini non osservabili (es. bisogni, atteggiamenti e processi
mentali).
Skinner, d’altra parte, riteneva importante definire il comportamento in:
-Comportamento reattivo: termine usato da Skinner per definire i riflessi condizionati stimolo-
risposta (S-R) à ad esempio piangere mentre si taglia la cipolla: sono i riflessi dell’essere umano
-Comportamento operativo: termine usato da Skinner per definire il comportamento d’acquisto,
determinato dalle conseguenze che produce (R-S) à sono comportamenti appresi nell’operare
sull’ambiente

A partire dalla teoria di Skinner, le conseguenze contingenti nel condizionamento operativo,


controllano il comportamento in 4 modi:
1. Rinforzo positivo: fare in modo che un comportamento si ripeta offrendo in cambio qualcosa di
positivo à rafforza il comportamento (es. un operaio lavora fuori orario perché il capo lo ha

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lodato e ha riconosciuto il suo operato)


2. Rinforzo negativo: fare in modo che un comportamento si ripeta evitando una conseguenza
negativa à rafforza il comportamento (es. portare le mani alle orecchie mentre gli aerei decollano
è un comportamento negativamente
rinforzato dal sollievo dato dall’azione)
3. Punizione: fare in modo che un
comportamento si verifichi più raramente
rispondendo con una conseguenza negativa o
negandone una positiva à indebolisce il
comportamento (es. il manager diminuisce lo
stipendio di colui che arriva in ritardo)
4. Estinzione: fare in modo che un
comportamento si verifichi con minor
frequenza evitando di rinforzarlo o
ignorandolo à indebolisce il comportamento
(es. liberarsi dell’ex fidanzato rifiutandosi di
rispondere alle sue telefonate)

Programmi di rinforzo
Un programma di rinforzo è preferibile se strutturato solo rispetto a rinforzi positivi. In particolare:
1. Rinforzo continuo: ogni singola azione del comportamento viene rinforzata (es. se l’iPhone
funziona bene, ogni sua azione come display e suono fungono da rinforzo della sua ottima
funzionalità)
2. Rinforzo intermittente: rinforzo solo di alcune azioni del comportamento desiderato. In
particolare esistono 4 sottogruppi di tale tipologia à 2 di proporzione (il rinforzo dipende dal
numero di risposte date) e 2 di intervallo (il rinforzo si basa sul passare del tempo):
-Proporzione fissa: es. stipendio a cottimo, bonus che dipende dalla vendita di un certo
numero di unità
-Proporzione variabile: es. lotterie, che pagano dopo l’acquisto di un numero variabile di
biglietti
-Intervallo fisso: es. stipendio annuale pagato su base fissa
-Intervallo variabile: lode e complimenti da parte del supervisore fatti a intervalli casuali, in
risposta ad un buon lavoro

Tale programmazione può essere criticato in quanto talvolta il tipo di programma scelto può
influenzare il comportamento molto più della qualità del rinforzo stesso.
Inoltre, le organizzazioni in genere si basano sul programma più debole = programmi di rinforzo a
proporzione variabile e a intervalli variabili.

Modellare il comportamento
La modellazione viene definita come il processo che porta a rinforzare le approssimazioni che si
avvicinano sempre di più al comportamento richiesto. Ad esempio, da parte di un manager, lodare
o dare feedback costruttivi non costa niente e portano, se associati ad un programma di
modellizzazione del comportamento, a efficaci miglioramenti nella performance lavorativa.

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A tal proposito, si formulano 10 consigli pratici per la modellazione del comportamento lavorativo:

10. DINAMICHE DI GRUPPO


10.1 I GRUPPI ALL’EPOCA DEI SOCIAL MEDIA
Organizzazione: insieme di persone che interagiscono costantemente per raggiungere risultati
superiori a quelli ottenibili da singoli
Un’organizzazione efficace non funziona senza i team, ma i lavori di gruppo portano fuori il meglio
o il peggio delle persone. Lavorare in team può portare a risultati che un singolo da solo, con le sue
singole capacità non avrebbe ottenuto.
Per sfruttare la potenzialità dei gruppi e vedere le loro criticità, il manager devono essere capaci di
capire il gruppo e i suoi processi.
Gruppo: due o più persone che interagiscono liberamente condividendo norme e obiettivi
collettivi e avendo un’identità comune
Edgar Schein ha suddiviso tale definizione in:
- Gruppo: si parla di gruppo quando abbiamo interazione libera, obiettivi collettivi, norme
collettive, consapevolezza reciproca/identità comune à team di lavoro, comitati…
- Folla: aggregato di persone che non interagiscono e non si sentono parte di un gruppo,
anche se conoscono la reciproca esistenza
- Organizzazione: anche se in un’organizzazione esiste un gruppo, non tutti interagiscono tra
loro e si conoscono
Gruppi formali e informali
Gruppo formale: formato da un manager per aiutare l’organizzazione e i suoi obiettivi (task force,
team di lavoro o di progetto…). Questi gruppi soddisfano due funzioni basilari: organizzativa e
individuale
funzioni organizzative funzione individuali
portare a termine risultati complessi e interdipendenti soddisfare esigenze di affiliazione
generare delle soluzioni originali e creative sviluppare, migliorare e confermare la fiducia in sé stesso e senso di identità
coordinare attività interfunzionali Dare un’opportunità di provare e condividere le percezioni della realtà
sociale
fornire un meccanismo di problem solving Ridurre ansie, insicurezze, impotenza che richiedono informazioni e
valutazioni
mettere in atto decisioni complesse Fornire meccanismo di problem solving per problemi di carattere personale e
interpersonale
curare socializzazione e formare i nuovi arrivati

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Gruppo informale: lo scopo dell’aggregazione è l’amicizia o interessi comuni


In alcuni casi può succedere che in un’organizzazione questi due gruppi si sovrappongano tra loro.
I social media hanno sfumato i confini tra queste due tipologie di gruppo in quanto è difficile
delimitare un confine netto. Tuttavia, questa sovrapposizione in ambito lavorativo comporta
aspetti positivi: ambiente più incoraggiante, più lavoro di team e due aspetti negativi: favoritismi
e pettegolezzi. Per questo i manager dovrebbero trovare un equilibrio.
Networking: prima dei social indicava lo sviluppo di relazioni personali e professionali e cura dei
contatti. Con l’avvento dei social indica una cosa più ampia:
“il sito web è una comunità virtuale per persone interessate ad uno stesso topic o se vogliono
passare del tempo insieme. Si crea un profilo pubblico e si comunica con altri utenti in molti modi,
anche con contatti di altri membri”
Amicizia manager collaboratore: si può non essere amici se condividiamo stessi obiettivi aziendali
anche se avere amici sul lavoro è più divertente. L’amicizia esiste se c’è piena e costante onestà e
schiettezza. Si devono tenere separate le valutazioni prestazioni/personalità e devono esistere
momenti separati di conversazione sulle prestazioni effettive (almeno 4 volte all’anno).

10.2 IL PROCESSO DI SVILUPPO DEI GRUPPI


Processo di sviluppo dei gruppià i team hanno un ciclo di vita. Possiamo dire che esistono vari
stadi identificabili ma non c’è accordo sul numero, sequenza, durata e natura.
Tuckman 1965: quattro stadi (forming, storming, norming, performing) ai quali è stato aggiunto
successivamente adjourning.
Quando si decide di prendere parte ad un gruppo, si ha una rinuncia immediata all’indipendenza.
Ciascuna fase non ha la stessa durata o intensità, ma dipende dal gruppo stesso e dalle persone
che lo formano.
1. FORMINGà rottura del ghiaccio, i membri non sanno bene quale sia il loro ruolo, gli obiettivi o
la responsabilità. Conoscenze precedenti possono portare attriti. Bassa fiducia reciproca e si
aspetta che qualcuno prenda il comando.
2. STORMINGà periodo di prova, i membri mettono alla prova gli assunti del leader. Si creano dei
sottogruppi e possibili ribellioni. Molti gruppi si bloccano in questa fase perché i problemi di
potere diventano scontri.
3. NORMINGà si risolvono i problemi legati al potere con discussioni controllate promosse dai
membri del gruppo e solitamente in questa fase ciascuno trova il suo ruolo. In questa fase si
crea spirito di squadra e coesione, ovvero un senso di collettività che unisce i membri del
gruppo.
4. PERFORMINGà ci si basa sulla risoluzione del
problema in oggetto. Il gruppo è maturo e i
partecipanti portano a termine il loro compito.
Aperta comunicazione, cooperazione e aiuto
reciproco. Questo impegno personale permette al
gruppo di raggiungere obiettivi più consistenti di
quelli di un singolo individuo. La struttura del
gruppo può essere flessibile alle esigenze della
situazione. Il grado di importanza si sposta verso
chi ha le capacità o esperienza necessaria per il
compito. I sottogruppi non minacciano più la
coesione del gruppo.

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5. ADJOURINGà il lavoro è concluso, molti membri di sentono persi e si torna all’autonomia.


Solitamente per spronare un nuovo inizio di festeggia la fine e un nuovo inizio. I leader devono
mettere in risalto gli insegnamenti utili, ottenuti in seguito alle dinamiche di gruppo.
Sviluppo dei gruppi: studi e indicazioni pratiche
Altri studi di sviluppo:
1.Estensione del modello di Truckman: decadenza del gruppo. In uno studio svolto su un team
pluriennale, si è notato un modello più articolato. Una volta raggiunta la fase del performing,
spesso si verifica la decadenza del gruppo. Le tre fasi riguardanti la decadenza sono state
chiamate:
- De-norming: quando il progetto viene a formarsi, i comportamenti standard vengono
meno e i membri si spostano in posizioni diverse secondo i loro interessi
- De-storming: si sviluppa in maniera opposta allo storming, il senso di infelicità arriva
lentamente e diminuisce la coesione
- De-forming: il gruppo si disgrega e i sottogruppi cercano di avere il controllo. Le parti del
progetto non volute da nessuno sono abbandonate. I membri si isolano e il valore della
performance non ha valore perché il lavoro non viene svolto
I leader non dovrebbero sentirsi arrivati al raggiungimento della fase performing ed è molto
rischiosa. Per questo dovrebbero cercare di rafforzare le norme e la coesione che riconfermino gli
obiettivi comuni.
2.Feedback: lo studio prevede l’analisi di come i feedback interpersonali mutino
sistematicamente.
- Il feedback interpersonale aumenta man mano il gruppo si sviluppa nelle fasi successive
- Nello sviluppo del gruppo il feedback diventa più specifico
- Con lo sviluppo del gruppo, il feedback positivo aumenta e quello negativo diminuisce
- Nello sviluppo del gruppo aumenta la credibilità del feedback tra pari
Il contenuto e la modalità del feedback possono esser utili per vedere come si è sviluppato il
gruppo. Si deve cercare di creare un feedback positivo e specifico affinché il gruppo non si fermi.
3.Scadenze: studi sul campo e in laboratorio hanno dato esiti incerti rispetto al ruolo delle
scadenze come forze distruttive per il gruppo e le sue relazioni. L’incertezza rispetto alle scadenze
potrebbe portare allo stress, tempo sprecato, conflitti e straordinari. La sincronia tra le aspettative
dei partecipanti può influire sulle capacità dei gruppi di concludere con successo le fasi di lavoro. Si
deve avere quindi una chiarezza rispetto agli obiettivi, programmi e scadenze. Se le scadenze sono
importanti, il lavoro ed il tempismo migliorano.
4.Stili di leadership: alcuni studiosi supportano che nel corso del suo sviluppo, il gruppo ha
bisogno di diversi tipi di leadership.
Uno stile attivo, aggressivo, direttivo, strutturato e orientato al compito tende ad essere efficace
nella prima parte dello sviluppo del gruppo. Se mantenuti a lungo portano meno coesione e
minore qualità del lavoro.
Uno stile verso il sostegno, democratico, decentralizzato e partecipativo porta a risultati mediocri
se usato inizialmente ma a produttività più alte, soddisfazione e creatività nel lungo termine.
Da uno stile di leadership direttivo ad uno democratico.

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10.3 RUOLI E NORME: BASI SOCIALI PER IL COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO DEL


GRUPPO
I gruppi di lavoro trasformano individui in membri di un’organizzazione attraverso forze sociali.
L’influenza del gruppo porta l’individuo nella trama sociale dell’organizzazione comunicando ruoli
e norme obbligatorie.
Ruolià una serie di comportamenti che la gente si aspetta da ci occupa una determinata
posizione, comportamento previsto da una posizione
Episodi di ruolo: un’istantanea di un’interazione tra due persone. In ciascun episodio di ruolo c’è
una persona che crea il ruolo e una che lo deve mettere in pratica. In alcuni casi colui che da il
ruolo può anche interpretarne uno, in contesti più grandi.
Gli episodi di ruolo iniziano con la percezione dei requisiti comportamentali importanti per il
gruppo, da parte di colui che lo assegna. I requisiti sono la base in base a cui si valuta il
comportamento della persona. E successivamente questa viene spinta ad adeguarsi al massimo
con messaggi verbali e comportamentali. Dando maggiori spiegazioni sulle aspettative di ruolo, si
può migliorare la produttività dell’ambiente organizzativo.
La persona che deve interpretare il ruolo può reagire in maniera costruttiva o distruttiva.
Sovraccarico di un ruoloà quando l’insieme delle aspettative di coloro che hanno creato il ruolo
superano le sue effettive capacità. All’aumentare dei compiti, diminuisce il tempo, aumenta lo
stress e l’efficacia diminuisce
Conflitti di ruoloà quando diversi soggetti che sono intorno al ruolo hanno aspettative diverse
nei confronti della persona che lo interpreta (tra lavoro e famiglia). Questi conflitti si hanno anche
quando si scontrano aspettative di altri e valori propri. Questi conflitti portano inquietudine,
conflitto interpersonale o dimissioni. Chi ha conflitti di ruolo possono avere problemi ad adeguarsi
alle esigenze richieste.
Ambiguità di ruoloà coloro che creano il ruolo non comunicano ciò che si aspettano da lui o le
informazioni necessarie per mettere in pratica il ruolo, o perché non le hanno o perché non le
danno. Le persone in questo caso non sanno cosa le persone si aspettano da loro. Un’ambiguità
lunga può portare insoddisfazione, poca fiducia i se stessi e danneggiare la prestazione di lavoro.
L’ambiguità varia a seconda delle realtà culturali, le persone con culture individualistiche hanno
più ambiguità rispetto a culture collettivistiche (che sapevano cosa veniva richiesto loro). Nelle
culture collettivistiche ci si assicura che ciascuno sappia dove stare.
Le culture (per maggiore info): Quelle collettiviste sono caratterizzate sostanzialmente dalla
focalizzazione sul bene degli altri, le persone si percepiscono i termini dei gruppi di appartenenza,
c’è una coerenza tra scopi individuali e collettivi e i secondi prevalgono sui primi. Nella cultura
individualista si è più indipendente.
Nelle culture individualistiche si ha più discrezionalità ma meno riscontro da parte di terzi e quindi
più ambiguità. Le conseguenze dal ruolo si sviluppano in maniera combinata tra loro e
danneggiano l’organizzazione e l’individuo.

Normeà le norme sono più complete dei ruoli. Le norme aiutano i membri dell’organizzazione a
capire cosa è giusto e cosa è sbagliato, positivo o negativo. Solitamente non sono scritte o discusse

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ma hanno impatti notevoli sul gruppo. Coloro che non seguono le norme, anticonformisti, sono
rifiutati dagli altri membri.
Norma: indica il comportamento, un atteggiamento, un’opinione o un’azione che giuda il
comportamento
Ostracismo: rifiuto da parte degli altri membri del gruppo organizzativo.
Sviluppo delle normeà quando il team stabilisce cosa è necessario per essere efficaci, le norme
sono informali e si sviluppano secondo diverse combinazioni di questi modi:
- Affermazioni esplicite dei capi o colleghi: il leader fissa delle norme esplicite
- Avvenimenti critici nella storia del gruppo: si può creare una norma successivamente ad uno
storico critico che stabilisce un precedente importante, in maniera che si impediscano le
replicazioni di certi comportamenti sgradevoli
- Supremazia: il primo tipo di comportamento che emerge nel gruppo spesso determina le
aspettative del gruppo stesso (prima riunione formale, ci aspettiamo siano tutte così)
- Comportamenti passati applicati a situazioni presenti: applicare comportamenti già verificatisi
può aumentare la prevedibilità dei comportamenti del gruppo e facilitare l’esecuzione del
compito

Perché si applicano le normeà solitamente le norme si applicano quando


1. Aiutano la sopravvivenza del gruppo o organizzazione
2. Chiariscono e semplificano le aspettative sul comportamento
3. Aiutano le persone a evitare situazioni imbarazzanti
4. Chiariscono i valori fondamentali e/o identità del gruppo e dell’organizzazione
Implicazioni manageriali:
- L’ambiguità e il conflitto di ruolo impattano negativamente sui collaboratori,
sull’insoddisfazione professionale, no commitment con l’org., tensione, ansia, abbandono
del lavoro e prestazioni lavorative scadentià ridurre queste due criticità con feedback,
regole, procedure formali, leadership direttiva, impostazione di obiettivi specifici
comportamentali, partecipazione, mentore
- In gruppi con norme che permettevano giudizi, discriminazioni, reazioni a scherzi con risate
si sono notati comportamenti spiacevoli
- In gruppi con regole più accettabili a livello sociale si sono notate norme contro la
discriminazione e pregiudizi
- I manager che vogliono creare gruppi con diversità devono valorizzare modelli di ruolo e
norme di gruppo adeguate, eliminando modelli negativi e norme antisociali

10.4 STRUTTURA E COMPOSIZIONE DEL GRUPPO


I gruppi di lavoro sono formati da individui con capacità e motivazioni diverse. Possono avere ruoli
diversi in mansioni loro assegnate o su base volontaria. La gestione degli aspetti che ora
elenchiamo può valorizzare o ostacolare l’efficacia del gruppo
- Ruoli funzionali dei membri del gruppo
- Dimensione del gruppo
- Composizione di genere
Ruoli funzionali dei membri del gruppo
Quando abbiamo una mansione, devono essere definiti i ruoli di mantenimento e quelli orientati
al compito. Ciascun ruolo può essere rivestito in diverse combinazioni e sequenze da chiunque nel
gruppo.

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I ruoli orientati al compito per metto al gruppo di definire, chiarire e perseguire un obiettivo
comune. Mantengono il gruppo in carreggiata.
I ruoli di mantenimento favoriscono i ruoli interpersonali per il sostegno. Mantengono il gruppo
unito.
Checklist per i managerà i ruoli di
mantenimento e orientati al compito possono
servire da checklist per i manager che
vogliono far crescere il gruppo. Al ruolo del
coordinatore, valutatore o custode non
sempre ricoperti quando utile, possono
provvedere leader o altri membri assegnati. I
ruoli orientati ai compiti come iniziatore,
guida e stimolo sono importanti perché
puntano all’obiettivo.
Stabilire traguardi ambizioni comporta una
grande motivazione, obiettivi difficili ma
raggiungibili comportano risultati di gruppo
migliori. Gli obiettivi di gruppo sono più
efficaci se i membri li capiscono e si
impegnano a portarli a termine.
I manager internazionali devono tener conto delle differenze culturali rispetto a questi due ruoli.
Dimensione del gruppo
Solitamente i gruppi con 3 persone sono i preferiti, poi quelli da +3 ed infine quelli da 2. Per
definire il numero dei partecipanti ad un gruppo si sono utilizzati de approcci diversi: modelli
matematici e simulazioni effettuate in laboratorio
Approcci matematicià elaborazione di un modello matematico rispetto a dei risultati auspicati del
gruppo. Per problemi di modelli statistici diversi i risultati della ricerca sono inconcludenti. Stime
statistiche indicano da 3 a 13 membri.
Approccio delle simulazioni in laboratorioà presupposto che il comportamento del gruppo debba
essere osservato personalmente in ambienti controllati di laboratorio. Una prima ricerca evidenzia
che il numero ottimale per decisione di qualità sia 3-5, anche se in un’organizzazione potrebbero
esserci più membri al fine di soddisfare più necessità (oltre alla qualità).
Studi più recenti che analizzano la produttività del brainstorming “tu per tu” hanno visto che la
produttività e le idee non aumentano con l’aumento delle persone, invece il brainstorming
“mediato dal computer” porta più idee e produttività all’aumentare della numerosità.
Implicazioni manageriali:
- Non esistono regole rigide per quanto riguarda la dimensione del gruppo ma avaria a seconda
dall’obiettivo che il manager stabilisce
- Se vogliamo decisioni di qualità, gruppi 3-5
- Se vogliamo generare idee, creare partecipazione, socializzazione, formazione, comunicazione
di politiche, +5
- All’aumentare del numero diminuisce tuttavia gli effetti positivi diminuiscono
- I manager devono essere consapevoli dei mutamenti qualitativi a cui porta l’aumento del
numero del gruppo
- All’aumentare del numero, i leader diventano più direttivi e si ha una minore soddisfazione
dei membri
- Si consigliano gruppi di numeri dispari in caso di votazioni per maggioranza

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Composizione di genere
Studi di laboratorio e sul campo mostrano una posizione difficile per le donne che fanno parte di
team misti. L’atteggiamento della maggioranza maschile cambia e da neutrale diventa resistente e
quindi di mantenere il proprio campo. L’atteggiamento della maggioranza femminile cambia da
favorevole a neutrale e disposte a condividere il campo con gli uomini.
Si deve cercare di evitare tendenze discriminatorie nel gruppo.
Si riscontrano, anche in maniera minori, la presenza di molestie sessuali e discriminazioni etniche
nelle organizzazioni. Le donne subiscono più molestie, donne appartenenti a minoranze più degli
uomini, delle donne in minoranza e delle donne bianche. Le donne hanno una percezione più
ampia dei comportamenti che rientrano in “molestia”.
Categorie di comportamento delle molestie sessuali: atteggiamenti impersonali (denigratori in
generale), atteggiamenti denigratori- personali (denigratori verso il genere), pressioni rispetto ad
appuntamento non desiderato, richieste sessuali, contatto fisico di natura sessuale e non,
coercizione sessuale.
Implicazioni manageriali:
in molte circostanze, l’interazione uomo-donna in un team comporta cooperazione e sostegno.
Inoltre, una presenza femminile leggermente superiore dentro ai gruppi contribuisce a risolvere
meglio i problemi del team. Il manager deve assicurarsi che il rapporto tra sessi diversi non sfoci in
molestie verso uomini e donne in quanto vanno contro l’etica e sono inquinanti nell’ambiente di
lavoro.
La commissione per le pari opportunità lavorative considera i dipendenti responsabili di
comportamenti sessualmente molesti perseguibili a livello legale, dove per molestia si intende:
- Anvance
- Richieste di favori sessuali
- Altra condotta verbale o fisica di natura sessuale
Se rappresentano condizioni indispensabili all’impiego, quando incidono su decisioni professionali
o quando creano ambienti di lavoro intimidatori, ostili e offensivi. I datori di lavoro sono
responsabili per le azioni dei supervisori, agenti, collaboratori se egli è o dovrebbe essere al
corrente della molestia.
I manager devono attuale politiche contro le discriminazioni e molestie e adottare un approccio
proattivo come workshop sulla diversità e su come evitare ed individuare molestie.

10.5 MINACCE ALL’EFFICACIA DEL GRUPPO


Le dinamiche del gruppo possono andare fuori controllo. Tre principali fattori di minaccia:
- Effetto di Asch
- Groupthink
- Inerzia sociale

I primi due sono legati al conformismo. Senza conformarsi alle norme, ruoli, politiche, regole non
si arriva all’obiettivo ma questi devono essere stabiliti e rispettati. Il conformismo puro e semplice
o eccessivo può opprimere il pensiero critico.

Effetto di Asch
Psicologo Asch che condusse esperimenti di laboratorio per far emergere aspetti negativi delle
dinamiche di gruppo. Somministrazione di due carte, una con una linea di riferimento e una con
linee alte diversamente e i rispondenti dovevano individuare quale linea sulla seconda carta fosse
quella uguale alla linea di riferimento. Nei gruppi, tutti erano complici di Asch tranne uno e
ciascuno selezionava volutamente la risposta sbagliata. La pressione del gruppo stava nel fatto che

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l’unico non complice doveva scegliere per ultimo. Solo il 20% di questi non complici è risultato
indipendente e il resto ha ceduto alla pressione del gruppo almeno una volta, il 58% si è
conformato almeno 2 volte.
L’effetto è dunque la distorsione del giudizio individuale per mezzo un’opposizione unanime
scorretta.
Implicazioneà Questo esperimento è stato svolto più volte con risultati contrastanti e con stati di
conformismo alti o bassi in situazioni e con soggetti diversi. I paesi collettivistici hanno un grado di
conformismo più alto rispetto ai paese individualistici. I manager devono sapere della sua
esistenza. Per l’ex Ceo di Ernon, questo effetto doveva essere sostenuto e curato ma portava
indubbiamente ad un clima dittatorio dove tutti obbedivano. Il conflitto e l’assertività possono
aiutare ad avere reazioni giuste davanti a maggioranze immorali.
Groupthink
Si definisce Groupthink Come un modo di
pensare adottato dalle persone
profondamente coinvolte in un gruppo
coeso quando lo sforzo dei membri per
raggiungere l'unanimità supera la loro
motivazione a valutare realisticamente
azioni alternative. Deterioramento
dell’efficienza mentale e della valutazione
della realtà e del giudizio morale, risultati
dalla pressione esercitata dal gruppo. I
membri di un gruppo sono uniti e coesi tra
loro, non estranei come in Asch, e il clima è “di paura ad opporsi nonostante la scelta sbagliata”.
- Gruppi con coesione moderata prendono decisioni migliori rispetto a gruppi molto o poco coesi
- Gruppi con ala coesione, se vittime di groupthink, prendono le decisioni peggiori nonostante
l’alta insicurezza delle decisioni stesse
Prevenire meglio che curare, comporta diversità e aiuta i gruppi a prendere decisioni sensate:
- Ogni membro dovrebbe essere valutatore critico e quindi porta ad esternazione di dubbi o
obiezioni
- I top manager non dovrebbero ricorrere a comitati per approvare decisioni che sono già state
prese
- Stessi problemi dovrebbero essere analizzati da gruppi diversi con leader diversi
- Ricorrere a dibattiti dei sottogruppi ed esperti esterni per avere nuovi punti di vista
- Nella discussione delle alternative più importanti qualcuno dovrebbe essere avvocato del
diavolo per trovare aspetti negativi
- Raggiunto un accordo ciascun membro dovrebbe riesaminare la sua posizione nel caso ci
fossero punti deboli

Inerzia sociale
Viene definita come la diminuzione dello sforzo individuale in concomitanza con l’aumento della
dimensione del gruppo. Spiegazioni a supporto:
- Equità dello sforzo
- Perdita di responsabilità personale
- La perdita di motivazione dovuta alla condivisione dei premi
- Perdita di coordinamento data da più persone coinvolte nello stesso compito

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L’inerzia sociale si verifica quando:


- Il compito da svolgere è stato percepito come non importante, semplice, non interessante
- I membri hanno pensato che il risultato individuale non fosse identificabile
- I membri si aspettavano scarso impegno da parte dei colleghi
L’inerzia non si verifica quando i membri si aspettavano di essere valutati. Gli individualisti hanno
maggiore tendenza all’inerzia rispetto ai collettivisti. I primi possono essere portati ad essere più
cooperativi con gruppo ridotto e responsabilizzando ciascuno per i risultati ottenuti. Ricompense
ibride di lavoro e di gruppo portano meno inerzia sociale.
Implicazioni: i manager possono controllare questo fattore assicurandosi che il compito sia
stimolante e sia visto come importante. I membri devono essere personalmente responsabili per
parti definite del lavoro. Con l’era di internet si ha bisogno di innovazione nelle tecniche
contrastanti in quanto internet può amplificare questo fenomenoà ozio telematico: uso di
internet per attività non legate al lavoro.
Soluzioni all’ozio telematicoà monitoraggio dell’uso dei computer da parte dei collaboratori,
politiche di uso di internet/sm/mail, elaborare norme sull’uso appropriato di internet da parte dei
collaboratori
Mancanza di impegno nei team virtuali/lavoro intellettuale: minore impegno perché difficile
osservare e identificare l’impatto del singolo sul lavoro complessivo, dedicarsi ad attività di routine
non orientate al risultato, ambigua relazione sforzo-prestazione
Soluzioni alla mancanza di impegno nei team virtualià sottolineare la responsabilità individuale e
reciproca nel raggiungere gli obiettivi, garantire meccanismi giusti per trovare e risolvere conflitti
nel team, proporre obiettivi di apprendimento e prestazione

11. SVILUPPARE E GUIDARE TEAM DI LAVORO EFFICACI


11.1 TEAM DI LAVORO: TIPI, EFFICACIA E DIFFICOLTÀ
Solitamente si tende a sovrapporre il termine team e il termine gruppo. Katzenbach e Smith
studiano queste differenze.
Team: numero limitato di persone aventi capacità complementari, impegnate per uno scopo
comune, per il raggiungimento degli obiettivi e che condividono un approccio similare (dove per
limitato si intende 2-25)
Rispetto alla teoria di Tuckman, i team sono gruppi di lavoro maturati fino alla fase performing ma
non precipitati in decadenza. A causa di conflitti di potere e rapporti tra i membri, molti gruppi
non arrivano ad essere un team.
Il team si fonda sull’impegno comune, in assenza di ciò i gruppi lavorano come individui, con la
sua presenza lavorano invece come un’unità collettiva.
Un gruppo di lavoro diventa un team quando:
- La leadership diventa condivisa
- La responsabilità, da strettamente individuale diventa individuale e collettiva
- Il gruppo sviluppa un suo scopo o missione
- Il problem solving diventa uno stile di vita e non part time
- L’efficacia si misura sui risultati e sui prodotti del gruppo

Secondo i due ricercatori il team è efficace quando si hanno meno di 10 membri.

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Tipologia generale dei team di lavoro


I team sono formati per scopi diversi e affrontano sfide diverse. Se il manager capisce la differenza
dei team, affronta meglio tali sfide.
Eric Sundstorm: esistono quattro tipi generici di team di lavoro che sono mutevoli, alcuni si
evolvono e mutano di tipologia, altri sono una combinazione di diverse tipologie.
4 variabili chiave:
1. Livello di specializzazione basso quando il team punta sull’esperienza e problem solving, è
alto quando si richiedono capacità tecniche ottenute via studio o formazione avanzata
2. Il grado di coordinamento con gli altri team è determinato dall’indipendenza (basso) o
interdipendenza (alto)
3. Il ciclo di lavoro intende il tempo necessario per il team per portare a termine la missione
4. Scopo di base e risultati tipici
Team di supporto: Creati per ampliare la base informativa per le decisioni manageriali. Sono
solitamente comitati, consigli o gruppi di revisione, circoli di qualità, gruppi di coinvolgimento di
collaboratori o comitato consultivo.
è Bassa specializzazione tecnica
è Coordinamento basso perché solitamente lavorano da soli
è Ciclo di vita dipendente dal tipo di scopo, alcuni sono permanenti, altri occasionali, spesso
pari alla vita del team
è Decisioni, consigli, selezioni, suggerimenti, proposte
Team di produzione: responsabile dello svolgimento delle azioni quotidiane. Team di
assemblaggio/minerari/mantenimento/assistenza sugli aerei
è Bassa specializzazione tecnica perché lavori di routine
è Alto coordinamento per passaggio del lavoro tra team
è Cicli di lavoro ripetuti o a processo continuo, spesso più brevi della vita del team
è Cibo/prodotti chimici/assistenza/vendite

Team di progetto: eseguire progetti richiede creatività e capacità di problem solving. Gruppi di
ricerca, team di architetti, di ingegneri, di sviluppo. Dato che l’obiettivo è specifico, il fattore
tempo è vitale
è Alta specializzazione per ottenere risultati specifici
è Coordinamento basso per le unità tradizionali, alto per le unità interfunzionali (specialisti di
ambiti diversi)
è Cicli lavorativi diversi per ogni progetto, il ciclo può essere pari alla vita del team per poi
sciogliersi
è Piani, progetti, prototipi, scoperte, nuovo vaccino
Team di azione: squadre, spedizioni, chirurghi, piloti, pattuglie
è Alta specializzazione, alta preparazione e formazione
è Alto coordinamento
è Performance brevi, spesso ripetute con diverse condizioni
è Missioni, combattimento, operazioni chirurgiche
Efficacia dei team di lavoro
Due criteri di efficacia dei team di lavoro: prestazione e vitalità (spesso ignorato)
Prestazioneà il team ha concluso il lavoro? Il risultato corrisponde alle aspettative degli utenti

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Vitalitàà soddisfazione dei membri del team e il loro desiderio costante di offrire il proprio
contributo. Membri disposti a continuare a contribuire allo sforzo del team
Un team non si può dire efficiente se raggiunge l’obiettivo ma si distrugge.
I team di lavoro devono avere un sistema di supporto per essere efficacià organizzazione
orientata ai team
Un team è più efficiente se supportato dall’organizzazione. L’obiettivo del team è di essere in
armonia con la strategia dell’organizzazione e l’organizzazione deve permettere l’autonomia del
team, strumenti adeguati, programmazione ragionevole e adeguata formazione.
Il lavoro di gruppo deve essere consolidato dal sistema di ricompense.
Team di lavoro: membri con competenze di lavoro in team e efficace lavoro di team
I membri necessitano di competenze di lavoro di team
Per avere un team efficace si deve creare team nell’ambiente lavorativo e incoraggiare ad essere
buoni membri. Il team deve massimizzare il potenziale e aderire ad una sola cultura.
Orientare il team verso una situazione di problem solving à visione comune della situazione o del
problema, trovare gli elementi importanti di una situazione problematica, trovare dati rilevanti al
problema o alla situazione
Organizzare e gestire la prestazione del team à aiutare il team a stabilire obiettivi collettivi
specifici accettati, monitorare, valutare e fornire feedback sulle prestazioni del team. Identificare
altre strategie o nuova allocazione di risorse in risposta ai feedback
Favorire una ambiente di team positivo à rafforzare norme di tolleranza, rispetto ed eccellenza.
Premiare l’impegno altrui, aiutarsi e sostenersi. Modello di comportamento auspicato.
Promuovere e gestire conflitto di team à incoraggiare possibili conflitti e scoraggiarne altri, capire
il tipo e la causa dei conflitti e risolverli. Negoziazioni win win per risolvere il conflitto.
Proporre adeguatamente la propria prospettiva à difendere preferenze esplicite, sostenere punti
di vista e non cambiare posizione per altre non motivate, ma cambiarla quando è valida. Difendere
la propria argomentazione in modo cortese.

Quali sono le caratteristiche di un team efficace?


Il lavoro di team necessita uno sforzo collettivo concentrato richiedendo tolleranza, esercizio e
apprendimento. Caratteristiche team efficace:
1. Scopo chiaro: vision, mission, compito definito ed accettato da tutti. Paino di azione
2. Informalità: atmosfera informale, rilassata, no tensioni o noie
3. Partecipazione: tutti partecipano
4. Ascolto: tecniche di ascolto come porre domande, parafrasare, riassumere per trovare
nuove idee
5. Disaccordo civile: disaccordo che viene affrontato bene
6. Decisioni consensuali: importante per le decisioni rilevanti
7. Comunicazione aperta: pareri espressi liberamente sui compiti da svolgere e sull’operato del
gruppo. Pochi obiettivi occulti. Comunicazione fuori dalle riunioni
8. Ruoli chiari e assegnazione dei compiti: chiare aspettative dei ruoli di ciascuno, accettate ed
eseguite. Equa distribuzione del lavoro tra i membri del team
9. Leadership condivisa: leader formale ma le funzioni di leadership variano in base alle
circostanze, alle necessità e alle capacità del gruppo. Il leader formale aiuta a stabilire norme
positive
10. Relazioni esterne: sviluppo relazioni chiave con elementi esterni al team, mobilitando risorse
e credibilità con persone dell’organizzazione

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11. Diversità di stile: vari soggetti nel team, alcuni guardano al compito, all’obiettivo, al
processo, a domande di funzionamento del team
12. Auto-valutazione: scadenza periodica dove il team esamina la qualità del funzionamento e
quali elementi potrebbero interferire con l’efficacia
Perché i team di lavoro falliscono?
Chi vuole utilizzare un approccio di team deve tener presente i vantaggi ed i limiti di questo
sistema.
Errori tipici del management (scarsa capacità di creare un Problemi sperimentati dai membri del team
ambiente di supporto per il team e il lavoro di gruppo)
- Il team non supera strategie deboli e pratiche - Il team tenta di portare a termine troppe cose in troppo
aziendali scadenti poco tempo
- Ambiente ostile per il team (comando e controllo, - Conflitti personali e conflitti sulle differenze degli stili
ricompense individuali) lavorativi
- Team usati per moda senza impegno a lungo - Troppa importanza ai risultati rispetto ai processi o alle
termine dinamiche di gruppo
- Lezioni non trasmesse da un team all’altro (limitata - Ostacoli imprevisti che portano a rinunciare
sperimentazione coi team) - Resistenza a voler agire diversamente
- Compiti vaghi o contrastanti - Abilità interpersonali mediocri (comunicazione
- Formazione sulle capacità di team non adeguata aggressiva, win lose)
- Mancanza di fiducia - Scarsa alchimia interpersonale (solitari, dominatori,
- Selezione scadente dei membri esperti)
- Mancanza di fiducia
Frequenti errori di gestione dei team
Ciò che minaccia l’efficacia del team sono le aspettative irrealistiche e irrealizzabili, che portano
frustrazione, che porta all’abbandono del team. Questo sfocia dall’intersezione degli errori tipici
del management e dai problemi dei membri del team
Problemi dei membri del team
È frequente intraprendere troppe cose troppo velocemente ed estenuarsi troppo per raggiunger
l’obiettivo, nel correre per un risultato, si perde la dinamica di gruppo. Le aspettative degli
individui devono essere ritenute realizzabili sia dal management sia dai membri. Il team non deve
abbandonare la sua posizione quando trova ostacoli. Il fallimento fa parte del processo di
apprendimento del team stesso.
Una formazione sulle capacità interpersonali può evitare problemi legati al lavoro di gruppo.

11.2 LAVORO DI TEAM EFFICACE TRAMITE COOPERAZIONE, FIDUCIA E COESIONE


Con l’aumento della pressione competitiva, il successo organizzativo dipenderà sempre più dal
lavoro di gruppo, piuttosto che da quello di individui eccellenti. I tre elementi fondamentali del
lavoro di team sono cooperazione, fiducia e coesione.
Cooperazione
Individui cooperativi: quando gli sforzi di ciascun membro sono sistematicamente integrati al fine
di realizzare un comune obiettivo. Più integrazione più cooperazione

Cooperazione vs competizione
Mente la competizione fa parte di tuti noi, la cooperazione è effettivamente il fattore decisivo di
differenziazione nel contesto economico globalizzato del futuro. Dobbiamo avere la capacità di
collaborare con persone che hanno interessi e modi di pensare diversi. Solitamente le donne
trovano maggior valore nella collaborazione, gli uomini sono più restii. Il lavoro di gruppo riesce

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solo se ciascuno contribuisce tirando fuori il meglio di sé e non si permette a qualcuno di


dominare.
Sostegno della ricerca alla cooperazione
Uno studio ha tratto queste conclusioni:
- La cooperazione è superiore alla competizione nel promuovere il raggiungimento dei risultati e
della produttività
- La cooperazione è superiore agli sforzi individuali nel promuovere il raggiungimento dei risultati
e la produttività
- La cooperazione senza competizione tra gruppi favorisce un miglior raggiungimento dei risultati
e una maggiore produttività rispetto alla cooperazione unita alla concorrenza tra gruppi
La cooperazione si può incentivare con sistemi di ricompensa che rafforzino il lavoro di gruppo
oltre che il risultato del singolo individuo. La cooperazione si ha abbattendo le barriere (come un
ufficio aperto senza divisori che permettano comunicazione e apprendimento).
Fiducia
Secondo uno studio, il 95% delle persone hanno dichiarato che la fiducia col proprio manager
determina principalmente la decisione di abbandonare o meno l’azienda.
Fiducia: credito reciproco nelle intenzioni e nel comportamento altrui.
La reciprocità della fiducia è essenziale, la fiducia genera fiducia. La fiducia è nei rapporti ed è la
convinzione che l’altro farà la cosa più giusta per noi anche se non possiamo confermarlo. La
fiducia permette di assumere rischi perché sappiamo che l’altro agirà solo dopo aver considerato
le conseguenze delle azioni sul loro rapporto. La fiducia incoraggia a mettere energia nel lavoro.
Un modello di fiducia organizzativa include la propensione alla fiducia: aspetto della personalità
che implica la disponibilità a fidarsi degli altri, il che determinerà il grado di fiducia nei confronti di
una persona prima di poter avere su di lei alcune informazioni.
Diverse persone con esperienze e personalità diverse, avranno una diversa propensione.
La fiducia è un salto cognitivo oltre le aspettative, che la fiducia e l’esperienza garantirebbero da
sole. Quando ci fidiamo, ci basiamo sulle buone intenzioni e si rischia di essere traditi. “Mi
impegno in un progetto perché presuppongo tutti facciano così” è un salto cognitivo che va oltre
l’esperienza.
Salto cognitivo: fede nelle buone intenzioni altrui. Assunto che gli altri si comporteranno come noi
desideriamo
Conoscenza personale dell’abilità
Sfiducia Fiducia
e integrità altrui

I vantaggi legati alla fiducia tra perone sono superiori al rischio legato al tradimento della fiducia
stessa.
Costruire la fiducia
1. Comunicazione: tenere aggiornati i membri del team e i collaboratori, spiegando le decisioni e
le politiche, con un giusto feedback. Dire la verità ed essere franchi. Discutere problemi e
limiti di un membro
2. Sostegno: mostrare disponibilità ed apertura, aiuto, consigli, sostegno alle idee dei membri
3. Rispetto: la delega (autorità decisionale) è la forma più importante di rispetto manageriale.
Ascolto attivo delle altre idee è il secondo (empowerment)
4. Lealtà: riconoscere i meriti dei collaboratori, assicurarsi che apprezzamenti e valutazioni delle
prestazioni siano obiettivi
5. Prevedibilità: coerenti e prevedibili nelle azioni quotidiane. Mantenere promesse fatte ed
implicite
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6. Competenza: valorizzare la credibilità dimostrando buone competenze nel business, capacità


tecniche e professionali
La fiducia si guadagna e si lega alla credibilità: effetto di integrità, intenti, capacità e risultati agli
occhi altrui e ai nostri
Coesione
Coesione: processo attraverso cui emerge un senso di pluralità che supera le differenze e le
motivazioni individuali, senso di unione che aiuta il gruppo a stare unito
I membri di un gruppo coeso restano uniti e non lo abbandonano perché:
- Apprezzano la compagnia reciproca
- Bisogno gli uni degli altri per perseguire un obiettivo comune

Esistono due tipi di coesione:


1. Coesione socio-emotiva: senso di unione che si sviluppa quando gli individui hanno
soddisfazione emotiva nel partecipare all’attività di gruppo. La condivisione di esperienze
emotivamente intense favorisce la creazione di legami tra gli individui
2. Coesione strumentale: senso di unione che si sviluppa quando i membri del gruppo sono
legati da reciproca dipendenza perché ritengono di non poter arrivare all’obiettivo da soli.
La pluralità è strumentale al raggiungimento dell’obiettivo comune
Non si ha evidenza di collegamento tra coesione del gruppo e qualità delle decisioni prese, però i
gruppi coesi e con forte leadership subiscono il groupthink e quindi decisioni peggiori.
Effetti positivi della coesione del gruppo
La coesione di gruppo non è un’arma segreta per migliore la performance del gruppo o del team. Il
trucco sta nel mantenere gruppi piccoli assicurando che gli standard di performance e gli obiettivi
siano chiari e accettati. Passi per aumentare le due coesioni di gruppo.
Coesione socio-emotiva Coesione strumentale
- Gruppi ridotti - Aggiornare e chiarire con regolarità obiettivi/obiettivi di gruppo
- Impegnarsi per immagine pubblica per aumentare - Fornire a ciascun membro del gruppo un ruolo concreto nel
lo status e il prestigio di appartenenza al team team
- Favorire l’interazione e la cooperazione - Dirigere le doti di ciascuno verso l’obiettivo
- Valorizzare interessi e le caratteristiche comuni dei - Riconoscere e avvalorare equamente i contributi di ciascun
membri membro
- Far presente le minacce ambientali per mobilitare - Ricordare spesso ai membri del gruppo che ognuno necessita di
il gruppo ognuno per raggiungere l’obiettivo

11.3 TEAM VIRTUALI E TEAM AUTO-GESTITI


Queste metodologie flessibili di organizzazione dei gruppi:
- Nomi facilmente riconoscibili
- Sono parzialmente supportati da ricerche
- Implicano diversi livelli di empowerment: basso, medio, alto
Non sono gli unici e presentano elementi comuni. I team virtuali possono essere su base
volontaria o meno, autogestiti oppure no. I team sono strutture parallele perché esistono al di
fuori dei normali canali di autorità. I team autogestiti sono integrati nella struttura di base.
Solitamente i gruppi virtuali variano, anche se si somigliano perché portano avanti progetti a
termine.

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virtuali autogestiti
Tipo di team Consiglio o progetto Produzione, progetto, azione
Tipo di empowerment Consultazione, partecipazione, delega Delega
Membri Manager specialisti tecnici Produzione/servizio specialisti tecnici
Base di appartenenza Assegnata (volontaria anche) Assegnata
Rapporto con struttura org. Parallelo o integrato integrato
Grado di comunicazione faccia a faccia Tendenza a zero Varia a seconda dell’uso dell’informatica
Team virtuali
Grazie a tecnologie informatiche è possibile far parte di un gruppo di lavoro anche se non si è in
presenza. Convocazioni elettroniche e i membri partecipano stando in luoghi e in organizzazioni
diverse.
Team virtuale: un gruppo di lavoro composto da membri geograficamente distanti che porta
aventi il business avvalendosi di strumenti moderni di tecnologia informatica.
I team virtuali sono flessibili ed efficienti con alla base informazioni e capacità dei membri e non si
basano sul luogo o momento di lavoro. Il manager deve sempre assicurarsi che i team siano vitali e
ciascuno apprezzato.
Una manca del faccia a faccia può portare minore fiducia, comunicazione e senso di responsabilità.
Vantaggi: migliore coordinamento, riunioni con breve preavviso, poche spese di viaggio,
sostenibilità ambientale, minimizzare tempi morti, favorisce eterogeneità
Dalla ricerca:
- Gruppi virtuali formati tramite internet seguono un processo di sviluppo simile a quello dei non
virtuali
- Le stanze di chat su internet creano maggiore lavoro e approdano a decisioni più limitate
rispetto a incontri faccia a faccia
- Utilizzo efficace del groupware richiede formazione ed esperienza pratica
- Un leader ispiratore ha effetto positivo durante i brainstorming
- Gestione dei conflitti difficoltosa per i gruppi asincroni perché non ci sono faccia a faccia
- Se almeno un membro è da remoto il gruppo è motivato a più disciplina nel coordinamento e
comunicazione e quindi più produttiva per tutti. La situazione cambia quando si ha una coppia.
Considerazioni pratiche: questi gruppi non sono una soluzione generale. Possono essere un
problema con i non pratici dell’informatica. Il contatto visivo nella prima parte di lavoro di gruppo
è essenziale. L’interazione faccia a faccia periodica stimola un legame sociale tra i membri e facilita
la risoluzione dei conflitti.
Indispensabile: avere il sostegno del top management, formazione pratica, missione chiara,
leadership efficace e tempi pianificati di attività e scadenze
Gestire e creare un team virtuale:
Formare il team - Definire la mission, aspettative e norme di lavoro, obiettivi e scadenze
- Reclutare membri con capacità complementari eterogenee con capacità e volontà
- Avere sponsor che sostenga il progetto
- Favorire la socializzazione e corretta gestione geografica, dare informazioni biografiche
Preparare il team - Accertarsi che tutti i membri abbiano connessione e sappiano usare le tecnologie
- Garantire compatibilità hardware e software
- Assicurarsi che tutti i membri siano in grado di gestire il lavoro sincrono e asincrono
- Fare che i singoli seguano gli obiettivi di gruppo, scadenze e compiti individuali
Costruire il lavoro in - Coinvolgere tutti i membri del team
team e la fiducia - Organizzare incontri faccia a faccia, team building e svago
- Promuovere la collaborazione tra i membri del team per lavori intermedi
- Sistema di segnalazione dei conflitti

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Motivare e guidare il - Tabellone per segnare progressi del team verso gli obiettivi
team - Festeggiare successi in modo virtuale e non
- Aprire le chat con elogi e riconoscimenti
- Informare i manager di linea dei successi e progressi compiuti

Team auto-gestiti
Team auto-gestiti: lavoratori ai quali viene affidata la supervisione gestionale del loro ambito di
attività
La supervisione gestionale implica la delega di attività che solitamente sono dati ai manager,
perché capaci di eseguire ottimi lavori in autonomia. I collaboratori, in questi casi, agiscono come
supervisori di loro stessi. La gestione delle responsabilità è gestita indirettamente da manager e
leader esterni.
Secondo uno studio, i consiglieri di team sfruttavano 4 strategie di influenza indiretta:
1. Creare relazioni: comprendere la struttura di potere dell’organizzazione, costruire
fiducia e interesse per i singoli
2. Fare scouting: cercare informazioni all’esterno, trovare problemi del lavoro in team,
facilitare la risoluzione dei problemi di gruppo
3. Persuadere: acquistare supporto e risorse esterne, influenzare il team ad essere più
efficace e a seguire gli obiettivi
4. Favorire l’empowerment: delegare l’autorità decisionale, facilitare il processo
decisionale del team e fare coaching
I team autogestiti sono anche detti semi-autonomi, gruppi lavoro autonomi e super-team.
Un’organizzazione pronta ad usare questi team deve cambiare filosofia gestionale, struttura,
pratiche di selezione, formazione e remunerazione. All’interno dell’impresa deve avvenire un
capovolgimento delle autorità e controllo.

11.4 TEAM BUILDING E LEADERSHIP DEI TEAM


Team building: una serie di tecniche volte a migliorare il funzionamento interno dei gruppi di
lavoro.
Svolti internamente o meno, puntano a maggiore cooperazione, comunicazione e conflitti. Meglio
gli approcci attivi e attenzione al modo in cui i gruppi svolgono il lavoro e non il lavoro stesso.
Esercizi come giochi di ruolo, giochi competitivi, all’aperto. Senza obiettivi specifici e chiari, buona
leadership, le sessioni di questa attività possono essere deludenti.
Obiettivo del team building: team ed alta performance
Il team building aiuta ad affrontare problemi reali o simulati. I risultati sono poi commentati per
capire cosa migliorare. L’apprendimento viene dal conoscere e parlare delle dinamiche di gruppo.
Soprattutto importante per gruppi internazionali.
Team ad alta performance. Solitamente si ha bisogno dai 3 ai 5 anni, pazienza e disciplina:
- Leadership partecipativa: interdipendenza attraverso l’empowerment, concessione di libertà
e servizio verso gli altri
- Responsabilità condivisa: ambiente dove tutti si sentono responsabili come i manager della
performance
- Allineamento al proposito: senso di proposito comune sul motivo per cui i team esistono e
sulla funzione che ricoprono
- Alta comunicazione: clima di fiducia e comunicazione onesta
- Focalizzazione sul futuro: vedere crescita nel cambiamento
- Focalizzazione sul compito: riunioni focalizzate sui risultati

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- Talenti creativi: applicare talenti e creatività individuali


- Risposta rapida: identificare e agire in base alle opportunità
Valutare efficacia del team building: modello più usato per vedere l’efficacia è quello di
Kirkpatrick
1. Reazione. Cosa pensano i partecipanti
2. Apprendimento: l’esperienza ha migliorato le capacità e conoscenza?
3. Comportamento: comportamento sul lavoro dei partecipanti è migliorato dopo l’attività?
4. Risultati: i partecipanti hanno poi ottenuto risultati misurabili migliori?
Leadership dei team
Guidare un team non è come gestire dei singoli ma serve una leadership versatile. Si deve capire
come gestire il potere di un team, non bisogna concentrarsi sulle relazioni uno ad uno coi membri.
La gestione degli individui non è collegabile alla gestione del team. Non dobbiamo vedere
performance individuali ma vedere quella del team. Prendere decisioni in base a confronti a uno a
uno sono limitanti.

12. PROCESSI DECISIONALI INDIVIDUALI E DI GRUPPO


Il processo decisionale è una delle responsabilità primarie dei manager e la qualità delle decisioni
può determinare conseguenze importanti.

12.1 MODELLI DECISIONALI


Processo decisionale: identificazione e scelta tra soluzioni che portano al risultato finale
desiderato.
Possiamo scegliere tra due modelli nel momento della decisione: modello razionale e modello non
razionale
Modello razionale
In fase decisionale, propone al manager una sequenza razionale e articolata in 4 fasi. In questa
maniera si ha oggettività e si hanno le informazioni necessarie per decidere. È un modello
istruttivo perché divide in modo analitico il processo decisionale, anche se ritenuto poco
applicabile.
È un modello prescrittivo perché indica il modello logico che i manager dovrebbero avere e si base
sul principio che il manager, in fase decisionale, segua l’ottimizzazione.
Fase 1. Identificare il problema o l’opportunità e confrontare la situazione effettiva con quella
desiderata à in ogni caso dobbiamo apportare dei miglioramenti per modificare a portare la
situazione attuale a quella auspicata. Per questo dobbiamo vedere la cause del problema.
Problema: quando la situazione attuale e quella desiderata non coincidono
Opportunità: situazione dove possiamo intraprendere azioni che potrebbero portare a risultati più
elevati delle aspettative e degli obiettivi

Fase 2. Generare una molteplicità di soluzioni, dalle più scontate alle più creative à
Dopo aver trovato il problema e le cause, si devono trovare soluzioni. I principali ostacoli che i
manager trovano in questa fase sono:
- Giudizi affrettati
- Scelta di idee o soluzioni non disponibili subito
- Allocazione delle risorse per trovare soluzioni alternative inefficace

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Per questo motivo il processo decisionale dovrebbe avvenire con calma, vedendo le alternative e
investire tempo nel trovare soluzioni

Fase 3. Vagliare le alternative e scegliere una soluzione etica, fattibile ed efficace à


Valutare le alternative tenendo conto dei costi e della qualità, se la decisione è etica, se è fattibile
(tempo, costi, risorse, se la decisione elimina il problema risolvendo la cause.

Fase 4. Implementare e valutare la soluzione scelta à


Scelta la soluzione, va messa in pratica. Dobbiamo poi valutare la sua efficacia. Se la soluzione
fosse efficace dovrebbe ridursi il divario tra soluzione attuale e quella desiderata. Se il divario
resta, la soluzione non ha avuto successo e quindi:
- Problema non identificato correttamente: sperimentare una delle soluzioni vagliate ma non
attuate
- Soluzione non appropriata: tornare alla prima fase di identificazione del problema

Il processo viene fatto finché tutte le soluzioni possibili sono state provate o finché il problema
non cambia.
Ottimizzazione: risoluzione dei problemi tramite la scelta della migliore delle soluzioni possibili
Si basa su un insieme di presupposti altamente auspicabili ma non realmente applicabili:
- Avere informazioni complete
- Non essere toccati da sentimenti emotivi
- Valutare con attenzione e onestà le alternative
- Tempo e risorse abbondanti
- Collaboratori che disposti a sostenere e implementare le decisioni
Seguire il processo razionale in maniera realistica porta a:
- Migliorare la qualità delle decisioni, saranno più logiche in base alle conoscenze e competenze
disponibili
- Il ragionamento è trasparente e possibile da analizzare
- Se reso pubblico, questo modello scoraggia azioni non legali
Modelli decisionali non razionali
Questo modello è un tentativo di descrivere quello che avviene e si basa su questi presupposti:
- Il processo decisionale è incerto
- I decisori non hanno informazioni complete
- Difficile prendere decisioni ottimali
Due modelli decisionali non razionali sono: modello normativo (Herbert Simon) e modello Garbage
can.
Modello normativo di Simon
Modello che i manager adottano quando prendono decisioni con razionalità limitata.
Razionalità limitata: coloro che prendono decisioni sono limitati e ostacolati da alcuni vincoli
I vincoli possono essere di tipo personale (mente umana, personalità, temporali), risorse interne
(capitale umano e sociale, tecnologia, risorse finanziarie) o esterne (non manipolabili direttamente
come vincoli legislativi, tassi di occupazione) che limitano il processo decisionale.
Le limitazioni imposte dalla realtà diminuiscono il numero di informazioni in possesso e quidni la
decisione non sarà ottimale ma soddisfacente:
Processo di satisficing: optare per la prima soluzione che incontra uno standard minimo di
soddisfazione

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Motivazioni legate alle cause più frequenti dell’inefficacia del processo decisionale:
- Processi e pratiche mal definite
- Poca chiarezza di vision, mission e obiettivi aziendali
- Riluttanza dei leader a prendersi responsabilità
- Carenza di informazioni affidabili e tempestive
Modello Garbage can
Si basa sull’idea che il processo decisionale sia accidentale. Secondo questo modello, le decisioni
sono il risultato di un’interazione complessa tra quattro flussi indipendenti di eventi:
1. Problemi
2. Soluzioni
3. Attori del processo
4. Opportunità di scelta
Le interazioni sono casuali e gli elementi si combinano in maniera accidentale. Secondo questo
modello, il processo decisionale non segue delle fasi ma delle soluzioni possono essere abbinate a
qualsiasi problema in un determinato momento. Alcuni individui hanno certi incarichi solo perché
hanno meno carico di lavoro.
Questo modello ha quattro implicazioni:
- Più evidente per settori basati su innovazioni scientifiche (potenziale del processo
decisionale casuale)
- Molte decisioni sono prese per sbaglio o per opportunità significative
- Spesso le decisioni sono spinte da fattori politici e capire le conseguenze
- Maggiore probabilità che si risolvano i problemi importanti e non quelli secondari perché
più rilevanti

Integrare il modello razionale e i modelli non razionali


Basandosi sul fatto che le decisioni sono plasmate sui problemi e sui decisori, è stato proposto un
approccio meno casuale del Garbage can (Snowden e Boone), integrando il modello razionale a
quelli non razionali.
Identificano 4 contesti decisionali e un metodo efficace di prendere decisioni in ciascuno di questi:
1. Contesto semplice e stabile, rapporti palesi di causa effetto identificabili, scelta migliore
identificabileà Modello razionale
2. Contesto complicato, rapporto chiaro ma non palese di causa effetto, possibili più soluzioni
efficaci à modello razionale indagando le possibili opzioni e analizzarle
3. Contesto complesso, rapporti causa effetto non identificabili, solo una risposta è giusta à
sperimentare, testare varie opzioni e considerare vari scenari, cercando soluzioni creative
4. Contesto caotico, rapporti causa effetto mutevoli, impossibilità di applicare un modello à
si chiede di ordinare e trovare dei modelli per gestire i problemi, ricorrere all’intuito e
processi decisionali basati sull’evidenza

12.2 BIAS DECISIONALI


Durante il processo decisionale, si possono compiere molti errori sistematici, solitamente associati
a dei bias che possono sorgere quando si ricorre alle euristiche.
Euristiche: regole empiriche o scorciatoie usate per ridurre le esigenze di elaborazione
dell’informazione

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Queste eristiche si usano in maniera automatica senza esserne consapevoli per ridurre l’incertezza
delle decisioni e sono frutto di esperienze passate. Aiutano i decisori a valutare i problemi che si
presentano.
Le euristiche possono causare errori sistematici che impattano sulla qualità delle decisioni,
soprattutto quando sono legati al tempo. Analizzeremo 8 bias.
1. Euristica della disponibilità: Tendenza del decisore a basare le decisioni su informazioni già
presenti nella sua memoria che sono accessibili e si riferiscono a eventi accaduti in un passato
recente. Solitamente sono più accessibili se hanno importanza rilevante (disastro aereo) o
quando riguardano emozioni forti (uno sparo). Questa euristica attribuisce probabilità troppo
alta al verificarsi di eventi rari. Questa euristica è responsabile in parte dell'effetto attualità
2. Euristica della rappresentatività: quando si valuta la probabilità che un evento si verifichi
basandosi su impressioni legate ad avvenimenti simili (valuto bene uno studente perché
proveniente dalla stessa uni di un ragazzo che conosco). Può portare a decisioni errate e non
precise
3. Bias di conferma: due comportamentià la prima è decidere inconsciamente di fare qualcosa
prima di accertarsi che la decisione sia quella giusta, la seconda e la ricerca di informazioni che
confermano la nostra decisione
4. Bias di ancoraggio: Si verifica quando i decisori sono influenzati dalle prime informazioni
ricevute anche.se sono irrilevanti, le informazioni, impressioni, dati, feedback e stereotipi delle
frasi iniziali influenzano le decisioni successive
5. Overconfidence bias: tendenza a essere eccessivamente ottimisti nelle proprie stime
previsioni, soprattutto quando si hanno domande con difficoltà moderata elevata. L' eccesso di
ottimismo influenza in modo significativo a decisioni degli imprenditori di avviare continuare
nuove attività.
6. Bias retrospettivo: quando la conoscenza di un risultato influenza le convinzioni sulla capacità
di prevedere un risultato (il prof fa sempre le interrogazioni il martedì e te studi solo quel
girono, ma una volta il prof interroga mercoledì e te non sei pronto). Solitamente ne siamo
soggetti quando si riesamina la decisione e ritentiamo di ricostruire il processo che ci ha
portato a prenderle.
7. Framing bias: in base a come sono poste le domande scegliamo solitamente quella che ci fa
ottenere più benefici con meno sacrifici
8. Escalation of commitment bias: Intensificazione dell'impegno, ovvero la tendenza a
perseverare indecisione inefficaci anche quando la situazione negativa possa scomparire
(spendo tanto in un'auto vecchia). Alcuni effetti per ridurre questa euristica
- stabilire obiettivi minimi di performance e paragonare il risultato con gli obiettivi
- durante lo svolgimento di un progetto ruotare i manager nelle posizioni chiave
- incoraggiare i decisori a diminuire il loro coinvolgimento emotivo nel progetto
- far sapere i costi necessari al perseguimento del progetto

12.3 IL PROCESSO DECISIONALE BASATO SULL’EVIDENZA


Ci basiamo sull’evidenza per evitare i bias decisionali e perché è stata applicata alla medicina (uso
coscienzioso delle evidenze disponibili riguardanti le cure per i pazienti che permette un uso
efficiente delle risorse sanitarie). Questo processo applicato al management (EBDM) consiste
nell’uso scrupoloso dei dati e delle evidenze migliori a disposizione durante il processo decisionale.

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Identificare Raccogliere evidenze e Raccogliere evidenze Raccogliere i punti di Integrare tutti i dati, valutarli
problema o dati interni circa il circa il problema vista degli stakeholders criticamente e prendere una
opportunità problema da affrontare, delle ricerche interessati dalla decisione
valutandone la rilevanza pubblicate decisione e considerare
e validità le implicazioni etiche

Processo decisionale basato sull’evidenza in 5 frasi. Nella prima fase si raccolgono dati sul
problema da affrontare, successivamente si integrano i punti di vista degli stakeholder e visioni
etiche. Questo processo valuta i fatti con obiettività i debita bias individuali. Si ricorre a fonti
diverse per rendere l'ambiente più sistematico.
Le evidenze in questo processo hanno tre finalità:
- prendere una decisione à l’evidenza viene usata quando questa è conseguenza diretta
dell’evidenza (voglio una macchina rossa a basso costo, prendo info sulla macchina, prendo
quella rossa al prezzo più basso)

- influenzare una decisione à l’evidenza viene usata quando il processo decisionale associa
dati obiettivi e input qualitativi come intuito e negoziazione con gli stakeholders (nelle
assunzioni le referenze, impressioni soggettive, dati obiettivi derivanti dall’esperienza del
candidato)

- sostenere una decisione à l’evidenza viene usata quando una decisione viene raccolta o
modificata per legittimare una decisione già presa. Questo tipo di applicazione porta effetti
positivi (convincere soggetti esterni che l’organizzazione segue fini sani in un contesto
complesso, crea fiducia e predisposizione positiva) e negativi (ostacola l’offerta di input e il
coinvolgimento dei collaboratori, facendo credere che il management voglia agire a propria
discrezione)
Usare l’evidenza nei primi due casi è positivo e devono essere incoraggiati. Quando si usa
l’evidenza per sostenere delle scelte si deve tener presente che questa pratica ha risvolti positivi e
negativi, per questo motivo non va sempre evitata, ma il management deve valutare i casi in cui
potrebbe essere opportuno ignorare le evidenze contrarie e seguire lungo la propria linea di
azione.
Sette principi per l’implementazione
Pfeffer e Sutton propongono sette principi per l’implementazione che possono aiutare le
organizzazioni a integrare il processo decisionale basato sull’evidenza
1. Considerare l’organizzazione un prototipo incompiuto à favorire la mentalità secondo la
quale l’organizzazione è un prototipo incompiuto e potrebbe essere rotto o da riparare,
evitandola convinzione che nulla debba essere cambiato all’interno
2. Bando alla chiacchere, attenzione ai fatti à misurare e monitorare l’efficacia
dell’organizzazione e la soddisfazione dei clienti
3. Guardare sé stessi e l’organizzazione con gli occhi di un esterno à solitamente il manager ha
ottimismo e visione distorta del proprio talento e delle possibilità di raggiungere il successo.
Possono però sottovalutare i rischi e avere il commitment bias, per questo abbiamo bisogno
di figure terze per giudicarci
4. Il management basato sull’evidenza non è prerogativa dell’alta dirigenza à le organizzazioni
migliori sono quelle in cui tutti i collaboratori e il top management applicano il processo
decisionale basato sull’evidenza. I manager devono trattare i dipendenti come se dovessero

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inventare, implementare… per questo devono avere la formazione e le risorse giuste per
applicare il processo decisionale basato sull’evidenza
5. Bisogna sapersi vendere à per “vendere” il processo decisionale basato sull’evidenza bisogna
saper fare ricorso a storie e casi accattivanti
6. Fermarsi è meglio che andare avanti facendo le cose sbagliate à può succedere che i
collaboratori siano spinti a fare azioni che sanno essere inefficaci e potrebbero avere
comportamenti ostruzionistici basati sull’evidenza
7. La migliore domanda diagnostica: che cosa accade quando si sbaglia? à senza errore non si
apprende e aiuta a migliorare il sistema
Difficoltà di applicare il processo decisionale basato sull’evidenza
Può essere difficile avvalersi delle evidenze migliori in fase decisionale perché le evidenze sono
troppe, le evidenze di buona qualità sono insufficienti, le evidenze non sono pertinenti, altri
cercano di depistare il decisore, il decisore inganna sé stesso, gli effetti collaterali hanno maggiore
peso di rimediare, le fandonie sono più convincenti

12.4 DINAMICHE DEL PROCESSO DECISIONALE


Gli stili decisionali sono la parte “scientifica” del processo e sono importante perché impattano
sulle decisioni dei singoli. L’intuizione è la parte “artistica” del processo.
Stili decisionalià Modo in cui lo stile decisionale influisce sul processo decisionale. Gli stili variano
in base a due dimensioni: orientamento al valore e la tolleranza verso l’ambiguità
ANALITICO (Alta Tolleranza, Orientamento al compito) CONCETTUALE (Alta Tolleranza, Orientamento alle Persone)
- Tolleranza verso l'ambiguità maggiore - Alto grado verso l'ambiguità
- Analisi della situazione approfondita - Si concentrano su aspetti personali e sociali al lavoro
- Valutano più informazioni e alternative - La risoluzione del problema è ampia, usano molte opzioni e
- Decisori attenti, maggior tempo, possibilità future
reagiscono bene a situazioni incerte - Lungimiranti, intuitivi e confronti verbali per aver informazioni
- Possono essere autocratici - Trovano soluzioni creative ai problemi e inclini a correre rischi
- Può favorire un approccio idealistico e poco incisivo

DIRETTIVO (Bassa tolleranza, Orientamento al compito) COMPORTAMENTALE (Bassa Tolleranza, Orientamento alle persone)
- Bassa tolleranza per l'ambiguità - Più orientato verso le persone
- Quando prendo una decisione e più - Buon rapporto di lavoro con colleghi
orientato al compito e alle questioni - Apprezza interazioni sociali e scambi di opinioni
tecniche - Da sostegno, apprezza suggerimenti, cordiale
- Nelle soluzioni è efficiente logico e - Preferisce informazioni verbali a quella scritta
sistematico. - Evitano il conflitto
- Stile orientato all’azione e deciso e si - Più orientate verso i bisogni degli altri
concentra sui fatti - Possono avere un approccio poco convinto nel processo
- Nel raggiungere velocemente i risultati decisionale
sono autocratici, esercitano il potere e - Possono avere problemi a dire no e a prendere decisioni
controllo, focus al breve termine sgradevoli
Stile decisionale: la combinazione del modo in cui un individuo percepisce le informazioni e vi
risponde
Orientamento al valore: evidenzia quanto un individuo nel momento della decisione si concentra
sugli aspetti tecnici e sul compito piuttosto che al lato sociale e personale
Tolleranza verso l’ambiguità: quanto un individuo sente la forte necessità di strutturare e
controllare la sua vita

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Implicazioni pratiche
Poche persone hanno uno stile dominante, gli stili decisionali variano a seconda del lavoro preso in
considerazione e dalla posizione che si occupa e del paese in cui si trova. quattro modi per
utilizzare la teoria degli stili decisionali:
1. la conoscenza degli stili aiuta a capire noi stessi, il nostro stile, i punti di forza e debolezza
ed essere facilitati a migliorarsi personalmente
2. accresce la nostra capacità di esercitare influenza sugli altri
3. la conoscenza degli stili ci rende consapevoli di come i singoli, avendo le stesse
informazioni, traggono decisioni diverse con diverse strategie decisionali. I diversi stili
rappresentano a lavoro una fonte di conflitto interpersonale
4. non esiste uno stile decisionale migliore degli altri e valido per tutte le situazioni, ma è
meglio usare un approccio contingente scegliendo lo stile più adeguato alla situazione

L’intuizione nel processo decisionale


Intuizione: un giudizio che affiora spontaneamente senza un’esplicita consapevolezza dei suoi
fondamenti
Chiunque ha intuizione ed è importante comprendere quali siano le fonti dell’intuizione e
sviluppare le proprie capacità intuitive in quanto possono essere rilevanti nel processo decisionale.
Un modello dell’intuizione: a destra i due tipi di intuizioni, a sinistra i fattori che influenzano i
processi intuitivi. La reazione intuitiva si basa sull’interazione tra le competenze e le sensazioni
individuali in una situazione.

competenza intuizione olistica


Nascono dalla combinazione delle conoscenze esplicite valutazione basata sull'integrazione incoscia di
(esprimibili verbalmente) e dalle conoscenze tacite infromazioni immagazzinate nella memoria. le
(infromazioni derivanti dall'esperienza e difficili da perosne che la usano potrebbero non essere in
esprimere) individuali rispetto a qualcosa e si sviluppa grado di spiegare il perchè della decisione
con l'età e l'esperienza
processi intuitivi
- automatici, involontari e spontanei
- controllati, volontari e forzati
possono agire insiemeo separatamente
sensazioni esperienza automatica
effetto sottostante automatico sollecitato da un Scelta basata su situazioni familiari e applicazione
oggetto, persona, situazione parzialmente inconscia di informazioni apprese in precedenza
e legate a quella situazione

Pro e contro dell’intuizione in fase decisionale


Di positivo l'intuizione può velocizzare il processo ed essere di aiuto, e pratico quando le risorse il
tempo sono limitati. di negativo l'intuizione è soggetta e bias che possono influenzare il processo
decisionale razionale, soprattutto quelle della disponibilità e della rappresentatività, ancoraggio,
retrospettivo e overconfidence. Inoltre, il decisore potrebbe faticare a convincere gli altri che il
suo intuito abbia senso e che è una buona idea possa essere scartata. L’intuizione la razionalità
sono complementari e dovrebbero essere usate e stimolate in fase decisionale (come in tabella
dopo)

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Linee guida per sviluppare la consapevolezza intuitiva


Aprite il cassetto In che misura avete intuizioni, vi affidate alle valutazioni, ignorate le
impressioni, vi fidate dell’istinto?
Non fare confusione tra le I Istinti, idea e intuizione non sono sinonimi
Cercare feedback di qualità Cercate di ottenere feedback sui giudizi intuitivi, fiducia verso l’istinto, creare
ambiente di apprendimento che aiuti a sviluppare l’intuito
Valutare efficacia dell’intuito Creare parametri di valutazione delle intuizioni e vedere quanto sono affidabili,
come posso migliorarli
Usare immagini Usare immagini non parole, visualizzare scenari futuri e tenere presente le
sensazioni
Fare l’avvocato del diavolo Mettere alla prova le nostre valutazioni intuitive, obiezioni, argomentazioni
contrarie per vedere solidità
Catturare le intenzione e avvaloratele Raggiungere momento in cui la mente è libera di elaborare e di avere intuito

12.5 PROCESSI DECISIONALI DI GRUPPO


I gruppi hanno spesso un ruolo chiave nel processo decisionale.
Il gruppo nei processi decisionali
I gruppi possono contribuire in ciascuna fase del processo decisionale sia faccia a faccia sia con
metodi tecnologici. Per massimizzare il valore del gruppo i membri devono sentirsi a proprio agio e
liberi di esprimere le proprie opinioni.
Si è studiato per stabilire quanto la capacità di innovazione del gruppo fosse legata al dissenso
della minoranza e al livello di partecipazione al processo decisionale
dissenso della minoranza: libertà percepita dai membri del gruppo di dissentire dalle opinioni degli
altri
I gruppi più innovativi possedevano il dissenso della minoranza e la partecipazione al processo
decisionale. Per questo motivo dobbiamo favorire il dibattito, le discussioni aumentano la
soddisfazione lavorativa e la performance dei membri. Sollecitare punti di vista diversi dei membri
e non penalizzare chi opinioni diverse.
Vantaggi e svantaggi del processo decisionale di gruppo
Aspetti positivi: i gruppi possono comprendere più conoscenze (più info, più esperienze), punto di
vista eterogenei, maggiore comprensione dei problemi (migliore comprensione delle ragioni che
hanno portato alla decisione finale), favorisce l'accettazione di una decisione (vedere i risultati
come nostri), formazione per i membri senza esperienza (imparano a gestire le dinamiche di
gruppo grazie al coinvolgimento attivo)
Aspetti negativi: pressione sociale (voler evitare conflitti e conformismo diminuiscono la
creatività), supremazia di una piccola ma accesa minoranza (minore qualità della scelta quando si
cede a chi interviene in modo più acceso e lungo), scambio di voti (scambi di natura politica se i
progetti o interessi di una persona sono in gioco), spostamento dell’obiettivo (considerazioni
secondarie che distolgono dal compito primario e dal risolvere il problema), groupthink (prevale il
senso di unanimità)
Per questo motivo manager devono vedere i vantaggi e gli svantaggi in ciascuna situazione. per
decidere.se il gruppo debba essere coinvolto nel processo decisionale si usano tre criteri:
- sei informazioni aggiuntive possono contribuire a migliorare la qualità della decisione,
allora si coinvolgono gli individui che hanno tali informazioni
- se la citazione è importante, bisogna coinvolgere coloro la cui approvazione e impegno
sono importanti
- se la partecipazione favorisce la crescita delle persone bisogna coinvolgere coloro la cui
crescita importante

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Performance individuale e performance di gruppo


Prima di includere i gruppi dobbiamo capire.se sono in grado di produrre un risultato migliore
rispetto agli individui. Il risultato del gruppo, secondo uno studio, è solitamente qualitativamente
e quantitativamente superiore rispetto a quello dell’individuo medio. Considerare 5 risultati prima
di coinvolgere il gruppo:
1. in alcuni casi i gruppi sono meno efficienti dei singoli individui. vincoli di tempo rilevanti.
2. i gruppi hanno una maggiore sicurezza nei giudizi e nelle scelte rispetto ai singoli. Troppa
sicurezza può portare groupthink e resistenza a considerare soluzioni alternative proposte
da individui esterni al gruppo
3. Il gruppo prendono solitamente decisioni più moderate perché devono avere un consenso
e quindi un compromesso
4. l'accuratezza del processo decisionale e maggiore quando i gruppi coinvolti conoscevano
bene gli argomenti da trattare e leader possedevano la capacità di valutare in modo
efficace le opinioni giudizi dei membri del gruppo. I gruppi devono dare maggior valore
giudizi importanti e accurata dei membri e minimizzare quelli non importanti e meno
accurati
5. la composizione di un gruppo influisce sui processi decisionali e sul risultato. Può succedere
che persone che si conoscono meglio prendano decisioni migliori quando devono
condividere informazioni personali e che gruppi con persone meno legate abbiano risultati
migliori rispetto a un gruppo di amici se le informazioni sono noti a tutti
Raccomandazioni pratiche legate alle situazioni e circostanze
Se sono decisioni che si presentano spesso si dovrebbe coinvolgere il gruppo per la sua tendenza a
prendere decisioni più coerenti. Nel caso ci siano vincoli temporali stringenti la decisione deve
prendere individuo più competente. In caso di bilanci ambientali come pressioni temporali o gravi
effetti, i gruppi hanno meno informazioni e meno canali di comunicazione e quindi una decisione
sbagliata.
Nel caso dei compiti difficili è opportuno che manager ricordino la necessità di definire strumenti
adeguati a potenziare la comunicazione in quanto la sua qualità influisce sulla produttività del
gruppo.
Tecniche per il problem solving di gruppo
Quando coinvolgiamo I gruppi nel processo decisionale dobbiamo raggiungere un consenso
all'interno del gruppo.
Consenso: situazione in cui tutti i membri di un gruppo sostengono l’esito finale
Il consenso non è per forza un anime ma i membri possono essere d'accordo sulla decisione finale
per raggiungere lo scopo decisionale.
È possibile che nel raggiungere la decisione si abbiano degli ostacoli come un atteggiamento
dominante di un membro del gruppo in maniera aperta o subdola. Anche la timidezza e l’ansia
possono limitare la produzione di alternative. Accontentarsi di un’alternativa soddisfacente può
rappresentare un ostacolo verso l'efficacia di un processo decisionale di gruppo.
I gruppi optano per un alternativa soddisfacente a causa del tempo limitato, poche informazioni o
per l’incapacità di gestire le informazioni. Come raggiungere con successo il consenso:
- I gruppi dovrebbero ascoltare in maniera attiva, coinvolgere più persone possibile, capire le
ragioni dietro ogni discussione, esaminare a fondo i fatti
- non scambi politici, non essere d'accordo per evitare conflitti, non mettere voti questioni
controverse

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Usare la votazione per prendere decisioni non è consigliabile perché potrebbe creare una
spaccatura nel gruppo tra chi ha vinto e chi ha perso. per risolvere questi ostacoli siano tre
tecniche di problem solving
- brainstorming
- nominal group
- tecnica Deplhi
Brainstorming
Tecnica sviluppata da Osborn per migliorare la creatività. Il suo fine è quello di aiutare i gruppi a
generare molte idee e alternative per risolvere i problemi. Un gruppo viene convocato per
valutare il problema del giorno e ciascuno deve generare in silenzio idee o alternative per risolvere
il problema. Il silenzio porta contenuti più originali. Le idee sono poi scritte, raccolte in maniera
anonima (idee più controverse) e il gruppo si riunisce per valutare le varie alternative. Durante il
processo i manager devono attenersi a queste regole:
1. Sospendere il giudizioà Non criticare le idee generate durante la prima fase
2. costruire sulle idee degli altri à Incoraggiare i partecipanti a sviluppare le idee degli altri
3. incoraggiare idee bizzarre à favorire il pensiero libero, più stravaganti sono meglio è
4. dare importanza alla quantità più che alla qualità à scrivere e generare più idee possibili
andando oltre a quelle idee preferite
5. curare l’aspetto visivo à usare penne di colore diverso per scrivere su oggetti da
appendere al muro
6. restare concentrati sul tema à presenza di un facilitatore per guidare la discussione ed
evitare divagazioni
7. parlare uno alla volta à non si interrompono altri, non si scartano idee altrui e si tiene
sempre atteggiamento rispettoso
Si possono affinare le capacità del brainstorming con la formazione, è utile per nuove idee ma non
è adatto per valutare alternative o selezionare soluzione appropriate
Tecnica del nominal group
Questa tecnica sta serve ad aiutare i gruppi a generare idee, valutare e selezionare le varie
alternative. Consiste in un incontro strutturato di gruppo. Il gruppo viene convocato per discutere
di un problema, una volta focalizzato il tema, ciascuno espone per iscritto le proprie idee in
silenzio. In cerchio ciascuno sceglie un’idea della propria lista, tutte le idee sono scritte sulla
lavagna e non vengono discusse subito.
Completato l'elenco inizia la discussione dove possiamo criticare o difendere le idee e dove
vengono dati anche chiarimenti rispetto ad un'idea per raggiungere un accordo. Per agevolare la
discussione si può utilizzare il metodo dei 30 secondi: ciascun membro può parlare a favore o
contro qualsiasi idea per massimo 30 secondi.
Altrimenti, i gruppi possono creare una matrice sforzo/benefici e trovare i costi e i potenziali
benefici di ciascuna idea.
Alla fine, i membri indicano la loro preferenza e il capogruppo somma i voti per stabilire l'idea
vincente. Prima della decisione finale, il gruppo può optare per una seconda valutazione rispetto
alle idee più votate.
Questa tecnica riduci la difficoltà nel processo decisionale perché:
- separa la fase di brainstorming e quella di valutazione
- propone una partecipazione equilibrata tra i membri del gruppo
- sia una votazione per raggiungere l'accordo

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Questa tecnica si usa in varie situazioni e genera più idee del brainstorming.
Tecnica Deplhi
Questo metodo è stato sviluppato per effettuare previsioni tecnologiche. È un processo applicato
alla comunicazione di gruppo durante il quale esperti, anche in diverse zone geografiche,
generano idee ed esprimono giudizi in forma anonima.
In questo caso le idee vengono raccolte con questionari o comunicazioni via internet. Il manager
espone il problema, vengono poi selezionati i partecipanti e formulato un questionario che viene
poi inviato. Il manager riassume le risposte e le rispedisce ai partecipanti. Si chiede poi a ciascuno
di riesaminare la propria proposta, di assegnare priorità agli argomenti considerati e di restituire
entro un periodo specificato il questionario. Questo iter viene fatto finché non si hanno le
informazioni necessarie.
Questa tecnica è utile quando non possiamo organizzare incontri in presenza, quando disaccordi
possono compromettere la comunicazione, quando alcuni individui potrebbero essere
predominante nella discussione e quando c'è alta probabilità di groupthink.

Processo decisionale assistito dal computer


Esistono due modalità di utilizzo.
In primo luogo, molte imprese per migliorare il processo decisionale usano molti strumenti
informatici, hardware e software che raccolgono molte informazioni da collaboratori, clienti e
fornitori in tutto il mondo. Questi sistemi migliorano l'elaborazione delle informazioni il processo
decisionale dei team virtuali.
La seconda applicazione è legata alla gestione delle riunioni. Esistono due sistemi di processo
decisionale assistito dal computer:
1. quello guidato da un moderatore à i partecipanti devono rispondere a delle domande
prestabilite indicando la risposta su tastiere elettroniche, usato spesso in tv
2. quello guidato dal gruppo à queste sono condotte secondo due metodi
- I manager per raccogliere informazioni o valutare le idee ricorrono alla posta elettronica o
internet
- le riunioni si svolgono in strutture specializzate con postazioni di lavoro collegate tra loro e
partecipanti digitano sulla tastiera le idee reazioni o valutazioni invece di parlare. i risultati
sono proiettati a tutti.
Questo procedimento riduce gli ostacoli per arrivare al consenso perché l'input è anonimo e
ciascuno esprime la propria idea. Questo processo ha prodotto idee quantitativamente e
qualitativamente superiori rispetto alle prime due tecniche.

12.6 CREATIVITÀ
C'è sempre più un crescente bisogno di prendere decisioni rapidamente e l'organizzazione deve
stimolare la creatività e l'innovazione dei collaboratori. In alcuni casi la creatività e l'innovazione
sono le chiavi del successo. la creatività fa parte delle quattro fasi del processo decisionale
razionale e in qualsiasi momento si debba risolvere un problema, anche nel brainstorming.
Definizione caratteristiche individuali associate alla creatività
Creatività: processo volto allo sviluppo di qualcosa di unico il nuovo ricorrendo all’immaginazione
e alle proprie abilità

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La creatività può portare a risultati semplici o complesse. si possono avere tre tipologie generali di
creatività:
1. qualcosa di nuovoà creazione
2. combinare o sintetizzare qualcosa à sintesi
3. migliorare o modificare le cose à modifica
Il comportamento creativo è influenzato da varie caratteristiche della persona, motivazione, agire
fuori dagli schemi, sviluppano una conoscenza tacita esplicita rispetto a un interesse o
un’occupazione.
In generale i creativi sono insoddisfatti dello status quo e cercano nuove soluzioni ai problemi e
tendono ad essere curiosi, non sono solo geni o persone introverse, nemmeno degli “adattatori”.
Non ci sono poi differenze tra uomo e donna di livelli di creatività.
Caratteristiche individuali associate alla creatività:
Capacità intellettuali - capacità di vedere i problemi da altre prospettive e non avere limiti
- saper riconoscere quali idee sono sviluppabili
- saper persuadere influenzare gli altri
conoscenza tacita ed esplicita rispetto a un settore, argomento, servizio
stile di pensiero - preferenza verso nuovi modi di pensare scelti personalmente
aspetti personali - propensione a superare ostacoli
- propensione ad assumere rischi ragionevoli
- propensione a tollerare l'ambiguità
- autoefficacia
- apertura l'esperienza e coscienziosità
motivazione intrinseca il compito -

Caratteristiche del contesto associato la creatività


Il contesto può influenzare il nostro comportamento e la nostra creatività. Le organizzazioni con
una cultura adhocratica tendono ad essere più innovative. Bisogna consentire flessibilità e
sperimentazioni nell’ambiente lavorativo. La creatività è associata anche ai vincoli temporali e ai
livelli di stress dell'ambiente, che limitano la creatività. La creatività, infatti, è al massimo quando
esiste uno stress moderato. Si può accrescere la creatività se il leader mostra interesse per i
collaboratori e riserva trattamenti equi. Ambienti di lavoro positivi e di supporto aiutano il
processo creativo.
Le fasi del processo creativo
Non si hanno certezze sul funzionamento della creatività, ma la creatività implica associazioni
remote tra eventi, idee e informazioni presente nella memoria.
Si sono individuate 5 fasi del processo creativo:
1. preparazione à la creatività ha origine dalla conoscenza e gli esperti pensano che
comprenda una convergenza tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita
2. concentrazione à l'individuo si focalizza sul problema (è consigliato di non focalizzarsi
eccessivamente perché questo inibisce la creatività ma di distrarsi perché può migliorare la
fase successiva). Fantasticare e curiosare in internet apporta creatività, secondo alcune
ricerche.
3. incubazione à avviene a livello inconscio durante il quotidiano e la persona rimugina sulle
informazioni in proprio possesso compiendo associazioni remote. Questa fase è legata a
quella successiva
4. illuminazione

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5. verifica à rivedere l'intero processo, controllare, apportare modifiche o sperimentare l'idea


scaturita

13. GESTIONE DEL CONFLITTO E NEGOZIAZIONE


13.1 CONFLITTO: UNA PROSPETTIVA MODERNA
Il conflitto è inevitabile nell'organizzazione alcune cause possono essere:
- cambiamento costante
- maggiore diversità nel personale
- presenza di più gruppi virtuali e autogestiti
- diminuzione della comunicazione faccia a faccia
- economia globale con maggiori rapporti interculturali

Il cambiamento genera conflitto e il conflitto genera cambiamento. Gestire il conflitto non evita il
cambiamento o di avere il massimo del successo, ma è un investimento che porta un
miglioramento nell'organizzazione traendo vantaggio dal cambiamento che avviene. Una buona
gestione del conflitto permette di restare in contatto con nuovi sviluppi e creare soluzioni
adeguate alle minacce nascenti.
Conflitto: processo per cui una parte percepisce che i propri interessi sono ostacolati o influenzati
negativamente da un'altra parte
Questo può rafforzarsi o indebolirsi nel tempo ma deve essere gestito.

Il linguaggio del conflitto: metafore e significati


Il conflitto implica un coinvolgimento emotivo, varia in ampiezza, include persone coinvolte
direttamente e osservatori (alcuni attivi altri passivi).
Per questo motivo il termine conflitto ha diversi significati a seconda delle circostanze e del
coinvolgimento del singolo: conflitto come guerra (uccisione di un’idea), conflitto come
opportunità (cosa posso fare per risolvere il diverbio), conflitto come viaggio (trovare punto di
incontro e imparare qualcosa di utile).
Chi vede il conflitto come una guerra cercherà di vincere il nemico, coloro che la vedono come
un’opportunità un viaggio tenderà ad essere più positivi e costruttivi. Per gestire conflitti
nell’organizzazione, dobbiamo vedere il conflitto come un’opportunità ed un viaggio.
Il conflitto permette di aumentare l'empatia e l'intimità nei confronti degli avversari. Quando si
dialoga con una persona esce il lato umano della personalità che permette di esprimere il proprio
punto di vista (senza essere aggressivi o difensivi). Gestire i conflitti con integrità accresce la
consapevolezza e migliora noi stessi. Risolvere i conflitti far sentire meglio, le vittorie ottenute con
la rabbia logorano a lungo termine e creano sentimenti rancorosi. Il conflitto serve per imparare
qualcosa in più rispetto a ciò che non funziona imparare a risolvere il problema.
L’utilità della soluzione dipende dalla comprensione che si ha del problema, capacità di ascolto
(arresto del ciclo dell’escalation) e dalla ricerca di miglioramentoà situazione win win sia in fase
di conflitto che in fase di negoziazione

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Continuum dei conflitti


A partire dal XX secolo la gestione del conflitti si è voluta, inizialmente si vedevano come minacce
e che dovessero essere evitati, successivamente si è riconosciuto l'inevitabilità del conflitto e
introdotta la concezione di cercare di convivere con esso
(anche se la risoluzione è sempre stato il principio di base).
A partire dagli anni 70 si è notato che il conflitto a seconda
della natura dell’intensità portava risultati negativi e positivi
e quindi si è introdotto l'idea che le organizzazioni potessero
soffrire di avere troppi pochi conflitti.
Gruppi organizzazioni con troppi pochi conflitti tendono ad
essere meno creativi, più indecisi, hanno rispettare le
scadenze ed essere apatici. eccessivi conflitti inficiano sulla
performance, insoddisfazioni e poco lavoro di squadra.
Il bullismo nell’ambiente di lavoro è visto come conflitto patologico e l'aggressività e la violenza
come un conflitto eccessivo. Giusti livelli di conflitto portano giusta energia e costruttività.

Conflitto funzionale e conflitto patologico


La distinzione tra conflitto e funzionale conflitto patologico in relazione a quanto gli interessi
dell'organizzazione vengano o meno soddisfatti. Alcuni tipi di conflitto sostengono gli obiettivi
dell'organizzazione e migliorano la performance, sono quindi costruttivi funzionali e fisiologici.
Altri conflitti invece ostacolo le performance organizzative e sono definiti patologici o distruttivi.
Il conflitto funzionale è detto anche costruttivo o cooperativo. Coloro che hanno un atteggiamento
funzionale adotta un approccio win win per risolvere i problemi e trovare una soluzione comune.
Aggressività: meccanismo di sopravvivenza
Assertività: “aggressività” socialmente accettabile che potrebbe essere usata anche tra persone
dalla stessa parte
Essere assertivi è fondamentale nelle negoziazioni. Dobbiamo essere empatici con la persona con
cui ci si confronta, usare dei dati utili e non impressioni, offrire alternative, evitare moralismi,
gioire di aver vinto un conflitto.

Antecedenti del conflitto


Alcune situazioni generano più conflitti di altre. Conoscendo gli antecedenti del conflitto, i
manager possono anticiparlo e agire in caso diventasse patologico. Alcune situazioni che tendono
a creare conflitti funzionali e patologici:
personalità incompatibili, confini di ruolo, risorse limitate, comunicazione inadeguata, conflitti
irrisolti, processo decisionale basato sul consenso, complessità organizzativa (pagina 298 lista
lunghissima completa).
I manager proattivi tengono conto di queste situazioni e prendono adeguati provvedimenti.

Soluzioni auspicabili ai conflitti


In ambito organizzativo la gestione dei conflitti è qualcosa di più del perseguimento di un accordo.
il conflitto non solo deve essere eliminato ma risolto in modo funzionale all'organizzazione.
Modello del conflitto cooperativo di Tjosvold suggerisce tre risultati:
1. Accordo à equo e leale
2. Rapporti più solidi à buoni accordi permettono alle parti in conflitto di creare legami
basati su volontà e fiducia e possono arrivare più rapidamente ad un accordo
3. Apprendimento à un conflitto funzionale può creare una maggiore consapevolezza di sé e
una risoluzione conflitti più creativa. la gestione del conflitto si apprende praticandola.

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13.2 TIPOLOGIE DI CONFLITTO


Conflitto di personalità
Ciascuno di noi ha un modo unico di interagire con gli altri. il conflitto di personalità si definisce
come un contrasto interpersonale basato su personali antipatie, disaccordi e/o modo di essere
differenti.
Intolleranza sul posto di lavoro: i germi del conflitto di personalità
I conflitti di personalità cronici cominciano spesso con irritazioni insignificanti. L'intolleranza o la
mancanza di rispetto reciproco tra i collaboratori è costosa per le organizzazioni in maniera
pervasiva. L'intolleranza induce le vittime ad agire in maniera tale da ledere i valori organizzativi e
impoverire le risorse dell'organizzazione, riduce l'impegno di lavoro, produttività, prestazioni. Non
limitando l'intolleranza la soddisfazione lavorativa e la realtà tenderanno a diminuire, per questo
deve essere evitata e prevenuta creando una cultura rispetto e uno spirito positivo di
collaborazione.
Anche corsi di correttezza o di comportamento possono aiutare.
Gestione dei conflitti di personalità
Questa tipologia di conflitto possono generare violenza e aggressività sul posto di lavoro e sono
difficili da gestire perché la personalità è resistente al cambiamento. Spostamenti di persone
coinvolte o ignorare il problema comporta problemi legali legati a denunce per discriminazione.
Alcuni metodi:
Gestire conflitti di personalità tra Suggerimenti per spettatori di conflitti di Suggerimenti per manager aventi collaboratori che
pari: personalità: soffrono di conflitti di personalità:
- comunicare con l'altra - non prendere le parti di nessuno - fare indagini documentare il conflitto
persona per risolvere il - suggerire le parti di risolvere i - in caso farsi parte attiva (formazioni
conflitto problemi in modo costruttivo e comportamentali)
- evitare di coinvolgere i positivo - se necessario risolvere il conflitto in modo
colleghi - se persiste riferire il problema al informale
- se il conflitto persiste diretto supervisore delle persone - in caso di conflitti difficili rivolgersi a
cercare aiuto nei supervisori coinvolte specialisti di risorse umane o consulenti per
o esperti di risorse umane risolvere formalmente o in altra natura

Conflitto tra gruppi


Chi comprende i meccanismi di questo conflitto è più preparato ad affrontare la sfida
In-group thinking: i germi del conflitto tra gruppi
Più la coesione può essere un fattore positivo negativo. un certo grado di coesione può
trasformare un gruppo in una squadra efficiente, 1 ° elevato di coesione può portare al cosiddetto
in-group thinking, ovvero la volontà di non creare disaccordi:
è Le persone in un gruppo si considerano un insieme di individui unici e considerano i
membri degli altri gruppi uguali tra loro
è le persone di un gruppo si considerano positive e moralmente corrette mentre negative e
immorali i membri di altri gruppi
è le persone all’interno del gruppo vedono gli elementi esterni come una minaccia
è le persone all'interno del gruppo portano all'estremo le differenze tra loro gruppo e gli altri
e quindi una percezione distorta della realtà
questo fenomeno può portare a conflitto e quindi non deve essere ignorato dal manager.
Lezioni della ricerca per la gestione dei conflitti tra gruppi
Per ridurre i conflitti tra gruppi i sociologi hanno suggerito il contatto reciproco.
Ipotesi del contatto: maggiore è il grado di interazione tra i membri di gruppi diversi e minore sarà
il numero dei conflitti tra gruppi

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Qualsiasi tipo di interazione che non abbia conflitti recenti ridurrà la stereotipizzazione e quindi
ridurrà l'in-group thinking. Più contatto porta meno pregiudizi.
Il numero di relazioni negative è significativamente correlato con le elevate percezioni di conflitti
tra gruppi. Le relazioni negative vanno oltre gli effetti positivi collegati alla creazione di legami
amichevoli tra gruppi.
Legami di amicizia tra gruppi diversi può essere possibile anche se tuttavia sopraffatti dalle
relazioni negative tra gruppi.
La priorità dei manager nel caso di conflitti tra gruppi e quella di identificare ed eliminare specifici
legami negativi tra gruppi (come conflitti di personalità). Se si vuole minimizzare il conflitto si deve
agire all’interno del gruppo evitando pettegolezzi di terzi e sostenere atteggiamenti positivi verso
il gruppo.
Il livello di conflitto tra gruppi percepito tende ad interventi suggeriti:
aumentare quando: -eliminare interazioni negative specifiche tra i gruppi
- il conflitto nel gruppo è alto - formazione sul team building e preparare i collaboratori per un lavoro di gruppo
- interazioni tra gruppi o tra membri dei interfunzionale
gruppi sono negative - incoraggiare le amicizie e buoni rapporti tra i gruppi e i reparti
- pettegolezzi i terzi su altri gruppi influiscono - sostenere atteggiamenti positivi nei confronti di altri gruppi
negativamente - evitare o neutralizzare pettegolezzi negativi tra i gruppi e i reparti

Conflitti interculturali
Relazioni tra culture diverse dipendono dal fatto di evitare o minimizzare un conflitto reale o
presunto. Si devono superare le differenze culturali, neutralizzare gli stereotipi e ricorrere in caso a
consulenti internazionali per costruire relazioni interculturali.
E consulenti possono aiutare a distinguere eventuali conflitti tra gruppi o di personalità tra conflitti
basati sulle differenze culturali.
Modi di costruire relazioni interculturali (dal più al meno importante): buon ascoltatori, sensibili ai
bisogni degli altri, collaborativi, avere una leadership inclusiva, essere accomodanti, creare
relazioni tramite conversazioni, essere comprensivi, evitare conflitti, prendersi cura degli altri
13.3 GESTIRE I CONFLITTI
Stimolare i conflitti funzionali
In alcuni casi i gruppi che devono prendere decisioni non riescono ad ottenere un risultato
sostanzioso. Un conflitto funzionale tenuto sotto controllo potrebbe attivare uno spirito creativo. I
manager possono puntare su un conflitto spontaneo oppure ad un conflitto programmato punto
Conflitto programmato: conflitto che suscita opinioni diverse a prescindere dai personali
sentimenti dei manager
In questi conflitti chiunque deve difendere o criticare le idee basandosi su fatti rilevanti e non su
preferenze personali e rispettare il proprio ruolo. Due tecniche sono l'avvocato del diavolo e il
metodo dialettico.
L’avvocato del diavolo à assegnare a qualcuno un ruolo critico. Questo conflitto programmato è
volto a stimolare il senso critico e una forte adesione ai dati di fatto. Consigliabile alternarsi il ruolo
per evitare reputazioni negative. Rivestire questo ruolo è un buon addestramento per lo sviluppo
delle abilità comunicative e analitiche
Metodo dialettico à sviluppare un dibattito tra punti di vista opposti per una migliore
comprensione del problema. Analisi della tesi e dell’antitesi. I manager devono sostenere un
dibattito strutturato basato su punti di vista opposti. Svantaggio: voler vincere potrebbe far
perdere di vista il fulcro della discussione. Questo metodo necessita di una formazione più forte
rispetto alla precedente.

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I metodi sembrano paritari a livello di risultati. Rispetto ai gruppi orientati al consenso, i gruppi che
hanno utilizzato questi due metodi hanno prodotto decisione di qualità migliore. Una ricerca
recente dice però che il metodo dell’avvocato del diavolo produce risultati più efficaci.
La scelta delle tecniche è indifferente e vede l’esperienza dei manager stessi. È necessario
stimolare un conflitto funzionale quando si è alto rischio di conformismo o groupthink. Prima di
prendere una decisione ci deve essere discussione e il leader deve sapere come creare tensione e
accendere un dibattito.
Esiste una relazione positiva tra grado di dissenso della minoranza e l’innovazione di gruppo
quando si ha un processo decisionale partecipativo.
Itinerario dell'avvocato del diavolo Metodo decisionale dialettico
1 si crea un itinerario per l'azione 1 si crea un itinerario per l'azione
2 l'avvocato del diavolo deve criticare la proposta 2 vengono identificati i presupposti sottostanti la proposta
3 la critica viene presentata ai deciso chiave 3 viene prodotta una contro proposta basata su presupposti diversi
4 si riuniscono le informazioni aggiuntive rilevanti nella 4 i portavoce di ciascuna posizione presentano e discutono i valori
discussione delle loro proposte davanti ai decisori chiave
5 si prende la decisione necessaria per adottare, modificare o 5 viene presa la decisione per l'adozione di una o l'altra posizione o un
abbandonare il corso d’azione proposto compromesso

6 la decisione viene monitorato 6 la decisione viene monitorata

Stili alternativi per la gestione del conflitto patologico


La gestione dei conflitti negativi viene fatta ricorrendo a modelli definibili come stili. I vari stili
sono stati poi raggruppati in categorie. È possibile tracciare 5 diverse tipologie di stili di gestione
del conflitto inseriti in uno spazio bidimensionale (Rahim). Sull'asse orizzontale abbiamo un grado
alto o basso di preoccupazione per sé, mentre sull'asse verticale un grado alto o basso di
preoccupazione per gli altri.

Integrante: Premuroso:
persone con questo stile confrontano i contenuti e collaborano a Meteo da parte le sue preoccupazioni favore degli altri.
Alta preoccupazione

trovare il problema generando e valutando soluzioni alternative Appianatore, minimizza le differenze e valorizza i punti in
per poi trovarne una. Questo stile è utile quando si hanno comune. Usato per gestire conflitti dove possiamo ottenere
questioni complesse generale malintesi e risolvere i conflitti qualcosa in cambio ma è adeguata in caso di problemi complessi.
per gli altri

radicati in sistemi con valori contrapposti. Soluzione di lunga Valorizza la collaborazione ma propone soluzioni temporanee.
durata perchè trova i problemi profondi ma richiede tempi lunghi
Favorevole al compromesso:
Comporta dare e ricevere. Utile quando le parti hanno obiettivi opposti o hanno
lo stesso grado di potere. Non comporta perdenti ma porta a soluzioni
temporanee che possono soffocare una risoluzione del problema più creativo
Bassa preoccupazione

Propenso a evitare il conflitto:


Dominante :
Comporta un allontanamento dal problema o una sospensione di
I bisogni dell'altra parte sono ignorati e viene chiamato stile
per gli altri

questo punto utile quando si hanno problemi di poca importanza


coercitivo appunto si basa sull'autorità formale che costringe all'
uh in cui i costi del confronto sono uguale vantaggi che ne
obbedienza. Utile quando dobbiamo optare per una soluzione
possono derivare. Non utile con problemi difficili o in caso di
impopolare, il problema passa in secondo piano, scadenza vicina,
peggioramento. Fa guadagnare tempo in casi ambigui o in
crisi. Non adatto in climi partecipativi. Rapido ma provoca
evoluzione ma da soluzioni temporanee e non affronta il
risentimento.
problema sottostante

Alta preoccupazione per sé Bassa preoccupazione per sé

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Intervento da parte di terzi 1. Portare lamentele a un discorso costruttivo


Triangolazione del conflitto: Parti in conflitto tra loro da esporre
coinvolgono una terza persona invece di gestire la situazione 2. agevolare un incontro tra due litiganti
attraverso un confronto reciproco perché parlino del problema in modo
I lavoratori tendono a creare coalizioni spesso deleterie. diretto
3. trasmettere quanto affermato dal mittente,
Chi si trova in un conflitto triangolare ha varie opzioni di
includendo il suo nome, e suggerire al
intervento. Una risposta può portare ad un conflitto destinatario muori costruttivi per discutere
funzionale o patologico. Le prime due fasi sono le preferite e della faccenda
sono dette detriangolazione, ovvero una terza parte crea un 4. trasmettere quanto detto dal mittente,
confronto tra parti. Nelle prime due opzioni di intervento senza includere il nome
5. attenuare il messaggio da trasmettere per
non si devono prendere parti. Le opzioni da 3 ad 8 possono
proteggere il mittente
portare ad una triangolazione controproducente. 6. aggiungere commenti personali al
Si parte da una detriangolazione, meno politica, basso messaggio per proteggere il mittente
rischio di conflitto patologico à Maggiore triangolazione, 7. non fare nulla, coinvolgeranno un altro
più politica, rischio di un conflitto patologico 8. non fare nulla e diffondere la voce. Saremo
Risoluzioni alternative di conflitto à Evitare costose azioni noi a creare triangoli
legali risolvendo i conflitti in modo informale o con l'intervento di mediatori e arbitri.
Le tecniche legate a questo approccio sono utili alle parti terze per aiutare a risolvere conflitti
organizzativi. Sono politiche formali di risoluzione alternativa delle controversie:
- Facilitazione à una terza parte, solitamente il manager, spinge le parti a discutere
direttamente della questione in modo positivo e costruttivo. Detriangolazione
- Conciliazione à una terza parte neutrale comunica tra le parti in causa. Quando non si
vogliono incontrare faccia a faccia. Crea una comunicazione diretta per trovare punti
d'incontro.
- Supervisione da parte dei pari à colleghi di fiducia obiettivi ascoltano in un incontro
entrambe le parti. A seconda della politica di risoluzione la scelta del gruppo non è
vincolante e viene fatta girare tra i collaboratori
- Ombudsman à figura dell’organizzazione di rispetto, ascolta i motivi del litigio e trova una
soluzione. Metodo che non dipende dalle gerarchie
- Mediazione à terza parte neutrale aiuta le parti a trovare soluzioni al conflitto. Esistono
sia interni sia esterni all’azienda. Non dice la soluzione da prendere ma spetta ai litiganti
arrivare alla soluzione accettabile
- Arbitrato à Le parti in causa vogliono una decisione neutrale di un arbitro presa in un
ambiente simile a un tribunale con prove testimonianze. partecipazione volontaria
obbligatoria sempre in base a contratti azienda e sindacali. e decisioni si basano su
elementi giuridici e sono arbitri addestrati
Lezioni pratiche dalla ricerca sui conflitti derivanti da studi di laboratorio
è persone con bisogno di affiliazione hanno uno stile premuroso ed evitano quello coercitivo.
I tratti della personalità influiscono sul modo in cui le persone gestiscono il conflitto
è un disaccordo espresso in modo arrogante produce più effetti negativi rispetto a un
espresso in modo ragionevole. La modalità di espressione del disaccordo è rilevante
è L'aggressione genera aggressione
è uno stile integrativo della gestione del conflitto porta più soddisfazione del gruppo rispetto
ad uno stile evita il problema
è aziende con politiche di arbitraggio vincolanti sono viste peggio rispetto ad aziende che
non hanno queste strategie

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è i conflitti dentro l'organizzazione e tra sottoinsiemi diminuiscono all'aumentare della


complessità e della chiarezza degli obiettivi. obiettivi chiari stimolanti diminuiscono la
conflittualità
è alti livelli di conflitto erodono la soddisfazione professionale e la motivazione
è donne e uomini manager gestiscono il conflitto in modo simile
è il conflitto spesso origine in un'area o in un livello dell'organizzazione per mostrarsi poi da
qualche altra parte. si deve risalire alle origini reali del conflitto
è nella risoluzione di un conflitto interculturale non esistono approccio migliore di altri. le
preferenze culturalmente specifiche devono essere prese in considerazione prima di
risolvere un conflitto interculturale

13.4 NEGOZIAZIONE
Negoziazione: processo di dare avere in atto tra parti interdipendenti coinvolte in un conflitto
Due tipi di negoziazione
Negoziazione distributiva: da una “torta” qualcuno trae porzioni maggiori a spese dell'altro
(contrattare un prezzo). Strategia win lose.
Negoziazione integrativa: in molti conflitti ci sono più argomenti e ciascuno attribuisce ad essi un
valore diverso. La negoziazione integrativa che può arrivare a un accordo migliore per entrambe le
parti. Win win.
Le parti, tuttavia, non considerano vantaggiose tali soluzioni perché ciascuna di queste
presuppone che suoi interessi siano direttamente in conflitto con quell'altra parte “se è buono per
lui, allora non è giusto per me” (mito della torta fissa).
La negoziazione che crea valore aggiunto è un approccio integrativo che può superare gli ostacoli
culturali:
separatamente insieme
Passo 1: chiarire gli interessi - discutere i rispettivi bisogni
- Identificare bisogni tangibili non tangibili - trovare punti in comune per la negoziazione
Passo 2: identificare delle opzioni - Creare un mercato del valore discutendo su
- identificare gli elementi di valore (denaro, rischio) elementi di valore
Passo 3: progettazione di pacchetti di accordi alternativi
- mescolare e abbinare elementi di valore nelle
- identificare scambiare soluzioni differenti
combinazioni possibili
- pensare in termini di accordi multiple
Passo 4: selezione di un accordo - discutere selezionare tre pacchetti attuabili
- analizzare i pacchetti proposti dall’altra parte - pensare a termini di accordi creativi
Passo 5: accordo perfetto - discutere questioni risolte
- sviluppare un accordo per iscritto
- creare i rapporti per negoziazione future

Insidie di carattere etico nella negoziazione


Un successo di negoziazione integrativa, come il valore aggiunto della negoziazione, dipende
molto dalla qualità delle informazioni scambiate. False informazioni riducono la fiducia e la
strategia win win. Le negoziazioni non etiche dovrebbero essere illustrate nei codici etici delle
organizzazioni.
Tattiche discutibili /controverse: menzogne, esagerazioni, raggiri (promesse o minacce),
indebolimento dell’avversario (incolparlo, indebolire alleanze), consolidamento della propria
posizione (supporti finanziari o alleanze, persuasione dell’avversario), omissione (fatti parziali,
nascosti), sfruttamento dell’informazione (informazioni per usare debolezze altrui), cambiamento

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di opinione, distrazione (porre male domande, eludere risposte), massimizzazione (richieste


all’avversario che porta ad un win lose).

13.5 GESTIONE DEL CONFLITTO E NEGOZIAZIONE: UN APPROCCIO CONTINGENTE


esistono tre principi che guidano il modo in cui un conflitto organizzativo dovrebbe essere gestito.
esistono vari tipi di conflitto e non esistono modalità migliori di altre per affrontare o risolvere i
conflitti. Per questo viene raccomandato un approccio contingente, ossia adeguata alle
circostanze specifiche.
Per questo si deve conoscere gli antecedenti e le conseguenze che possono avere. Se si avessero
pochi conflitti dovremmo stimolarli alimentando antecedenti o programmandone alcuni. Se il
conflitto è patologico dobbiamo avere uno stile di gestione appropriato.
I manager possono evitare di essere troppo coinvolti stabilendo obietti chiari e stimolanti,
esprimendo il disaccordo in modo costruttivo e ragionevole, non entrare in triangolazioni, non
essere coinvolti emotivamente.
Intervento di terzi è necessario quando le parti non trovano una soluzione oh non rientrano in una
negoziazione integrativa (usato soprattutto in conflitti tra gruppi organizzazioni). Le parti non
devono avere uno schema mentale prefissato e aspettative.
Aspetti emotivi essenziali della negoziazione:
- apprezzamento à riconoscere reciprocamente il valore di pensieri, sentimenti azioni
- affiliazione à essere colleghi
- autonomia à rispettare la libertà di ciascuno nel prendere decisioni importanti
- status à riconoscere la reputazione dell'altra persona e non considerarla inferiore
- ruolo à definire ruoli attività in maniera gratificante

14. COMUNICAZIONE ORGANIZZATIVA NELL’ERA DIGITALE


Moltiplicando le occasioni di contatto tra gli individui, le moderne tecnologie dell’informazione
stanno determinando trasformazioni senza precedenti nel nostro stile di vita. È per questo
importante comprendere il processo comunicativo soggiacente e il mutare delle dinamiche della
comunicazione di pari passo con l’innovazione tecnologica. Lo studio della comunicazione assume
un’enorme importanza perché tutte le funzioni e le attività manageriali implicano qualche forma
di comunicazione diretta o indiretta. La capacità di comunicare di ciascuno incide sull’efficacia
personale e organizzativa. Molte ad oggi sono imprese che soffrono dei più svariati problemi
comunicativi, che incidono negativamente sulla produttività e la qualità del prodotto, arrecando
costi del lavoro e turnover più alti. Nel corso del capitolo si capirà meglio come i manager possano
migliorare le loro doti comunicative e ad ideare programmi di comunicazione più efficaci.

14.1 DIMENSIONI BASE DEL PROCESSO COMUNICATIVO E IMPATTO DEI SOCIAL MEDIA
La comunicazione è definita come lo scambio di informazioni tra un mittente e un destinatario e la
deduzione (percezione) del significato tra le parti coinvolte. È quindi necessario ideare programmi
di comunicazione che rispecchino le esigenze dell’organizzazione

Un modello di processo percettivo della comunicazione


Il modello comunicativo è stato descritto storicamente come un modello di flusso. In questo
modello tradizionale la comunicazione viene rappresentata come una tubazione nella quale le
informazioni e i loro significati si trasmettono da una persona all’altra. Ad oggi, gli esperti criticano

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questo modello perché ritenuto non realistico poiché quest’ultimo parte dall’assunto che la
comunicazione trasmetta, da un individuo all’altro, significati voluti, presumendo che chi legge o
ascolta capisca perfettamente ciò che intendiamo comunicare. Per tali motivazioni, i ricercatori
hanno iniziato ad esaminare la comunicazione come una forma di elaborazione sociale
dell’informazione, durante il quale i destinatari elaborano i messaggi tramite un’informazione
elaborata razionalmente. Tale modo di interpretare il processo comunicativo è stato definito
modello percettivo della comunicazione. Questo, descrive la comunicazione come un processo
nei quali i destinatari creano nella loro mente un significato ci quanto viene detto. Esaminiamo gli
elementi che lo compongono:
• Mittente, messaggio e destinatario: il mittente è l’individuo che desidera comunicare delle
informazioni, cioè il messaggio, mentre il destinatario, è l’individuo, il gruppo o
l’organizzazione a cui il messaggio è rivolto.
• Codifica: consiste nel tradurre un pensiero mentale in un codice o in un linguaggio che può
essere capito da altri e costituisce le fondamenta del messaggio.
• Scelta del mezzo di comunicazione: ci si
può avvalere di una varietà di mezzi al
fine della comunicazione. La scelta dei
mezzi appropriati dipende da molti
fattori, inclusa la natura del messaggio,
il tipo di pubblico e quanto questo
pubblico è vicino, l’orizzonte temporale
per la diffusione del messaggio, le
preferenze e le capacità individuali.
Tutti i mezzi di comunicazione
presentano vantaggi e svantaggi. Le
conversazioni faccia a faccia, ad esempio, sono utili per la comunicazione di questioni
importanti e richiedono un feedback e un’interazione intensa. Le telefonate sono utili per
lo scambio di informazioni rapide ma mancano di informazione non verbale.
• Codifica e costruzione del messaggio: è il processo che avviene quando il destinatario
riceve il messaggio, lo interpreta e gli attribuisce un significato. Il modello percettivo si basa
sulla convinzione che sia il destinatario a elaborare nella sua mente il significato di un
messaggio.
• Feedback: quando il mittente ottiene una qualsiasi reazione dal destinatario.
• Disturbo: rappresenta qualunque cosa vada a interferire con la trasmissione e la
comprensione del messaggio e che può influenzare qualsiasi fase del processo
comunicativo.
Barriere ad una comunicazione efficace
Le componenti essenziali di un processo comunicativo sono due: il mittente deve comunicare con
precisione il messaggio desiderato, altrimenti è improbabile che sarà compreso, e il destinatario
deve percepire e interpretare il messaggio con altrettanta precisione. Qualsiasi elemento che si
frapponga alla trasmissione e recezione è una barriera. La comunicazione non può andare a buon
fine se in una qualsiasi sua fase questa viene disturbata o interrotta. In linea generale le barriere
che possono ostacolare il processo comunicativo sono tre: (1) barriere personali, (2) barriere
fisiche, (3) barriere semantiche.

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Barriere personali. Sono rappresentate da attributi individuali che possono ostacolare la


comunicazione.
1. Capacitò individuali di comunicare efficacemente: alcuni individui sono più bravi a
comunicare rispetto ad altri, sono dotati di capacità espressive e di ascolto e sanno usare la
gestualità per determinare un maggior impatto
2. Variazioni nel modo in cui le informazioni vengono elaborate e interpretate: le nostre
esperienze di vita sono importanti perché contribuiscono a plasmare gli schemi di
riferimento e le esperienze a cui ciascun individuo ricorre per interpretare il mondo. Gli
individui dedicano un’attenzione selettiva alla molteplicità di stimoli che ricevono a
seconda del proprio schema di riferimento individuale. Tali differenze possono incidere
sulla interpretazione di ciò che vediamo e sentiamo.
3. Variazioni nel livello di fiducia interpersonale: la fiducia influenza i rapporti interpersonali. È
più probabile che una conversazione venga alterata se non vi è fiducia reciproca. Una
carenza di fiducia può indurre ad adottare un atteggiamento difensivo e a mettere in
discussione i contenuti comunicati o a filtrare le informazioni.
4. Stereotipi e pregiudizi: i pregiudizi sono convinzioni semplicistiche riguardo a gruppi di
persone e potenzialmente distorcono la comunicazione perché inducono gli individui a
filtrare le informazioni.
5. Ego ipertrofico: per orgoglio, eccessiva arroganza o eccessiva sicurezza in sé stessi, il nostro
ego può rappresentare una notevole barriera di comunicazione. L’ego determina il modo in
cui le persone si trattano tra di loro reciprocamente, nonché la nostra apertura a subire
l’influenza di alti.
6. Scarse capacità di ascolto: se l’interlocutore non ascolta, è molto difficile che la
comunicazione sia efficace
7. Naturale tendenza a valutare o giudicare il messaggio di un mittente: questo avviene
soprattutto quando siamo molto coinvolti nell’argomento
8. Incapacità di ascoltare comprendendo: l’ascolto volto a comprendere si ha quando il
destinatario è in grado di capire l’idea stessa e l’atteggiamento partendo dal punto di vista
di un altro, di percepire che cosa significhi per lui, e di acquisire il suo schema di
riferimento.
9. Comunicazione non verbale: il processo comunicativo acquista efficacia quando le
espressioni del viso e la gestualità sono coerenti con lo scopo del messaggio. Le persone
non sono consapevoli dei messaggi non verbali che comunicano.
Barriere fisiche: rumori, vincoli temporali e spaziali. Le barriere fisiche sono molteplici, dal
parlare in un luogo estremamente chiassoso e affollato, fino al dover comunicare con un individuo

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con un diverso fuso orario dal nostro. La stessa disposizione degli uffici può rappresentare una
barriera fisica, motivo per cui un numero sempre più crescente di imprese si affida a esperiti in
grado di progettare spazi che favoriscano l’interazione e, laddove necessario, la privacy.
Barriere semantiche. La semantica è lo studio delle parole e del loro significato. Tali barriere sono
spesso tipiche dell’economia globalizzata moderna, dove vi è una crescente diversità e diverse
origini della forza lavoro. In tal caso, il gergo e alcuni termini in voga rappresentano delle tipologie
di barriere semantiche. Il gergo, nello specifico, è dato dal linguaggio, dagli acronimi e la
terminologia specifici di una professione, di un gruppo o di una azienda. Tali termini però
potrebbero non esserne compresi al di fuori. Dobbiamo quindi scegliere bene le parole adeguate
per i nostri messaggi a seconda della situazione e degli schemi di riferimento del destinatario.

L’impatto dei social media sulla comunicazione


I social media stanno significativamente alterando la comunicazione organizzativa e la vita
lavorativa nel suo insieme. Essi portano con sé due importanti conseguenze: accesso personale e
immediato a informazioni provenienti da tutto il mondo e non filtrate e empowerment dal basso
verso l’alto.
Implicazioni manageriali. I manager non si possono permettere di ignorare o sottovalutare questo
fenomeno. In tal senso i social media interni all’azienda possono racchiudere tempestivi
campanelli d’allarme rispetto a problemi legati alla morale dei dipendenti o alla gestione delle
risorse umane. I social media esterni sono utili invece per aggiornarsi sui reclami, le reazioni dei
consumatori e le minacce dei concorrenti.

14.2 COMUNICAZIONE INTERPERSONALE


La competenza comunicativa può essere definita come la capacità di comunicare efficacemente in
situazioni specifiche. Questa si articola in una molteplicità di capacità e abilità comunicative, la
nostra attenzione si focalizzerà su quelle cinque che si possono controllare: l’assertività,
l’aggressività, la non assertività, la
comunicazione non verbale e
l’ascolto attivo
ASSERTIVITA’, NON ASSERTIVITA’ E
AGGRESSIVITA’
La tabella riporta i diversi stili di
comunicazione con i relativi modelli
di comportamento verbale e non
verbale. Di seguito alcuni consigli per
imparare i dire no:
• Non sentitevi obbligati a dare
una risposta immediata
• Siate onesti e prendete parola dicendo “no”
• Usate comportamenti verbali e non verbali assertivi per sottolineare le vostre parole
La comunicazione non verbale
Si dice comunicazione non verbale qualsiasi tipo di messaggio, inviato o ricevuto primo di parola
scritta o detta a voce. Stando agli esperti e possibile interpretare circa il 65% delle conversazioni
tramite la comunicazione non verbale, per questo è importate assicurarsi che i messaggi non
verbali siano coerenti con il tipo di messaggio verbale che si intende trasmettere. La mancanza di
coerenza crea disturbo e da adito a incomprensioni a livello comunicativo.

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Il linguaggio del corpo e dei gesti. I movimenti del corpo sono fonte di informazioni non verbali
che possono sia migliorare che peggiorare la funzione comunicativa. Posizioni del corpo aperte,
come la tendenza di sporgersi verso l’interlocutore, comunicano immediatezza, termine usato per
esprimere calore, vicinanza e predisposizione alla comunicazione. Un atteggiamento difensivo
viene trasmesso da gesti quali le braccia conserte, le mani incrociate o le gambe accavallate.
L’analisi del linguaggio del corpo da facilmente adito a interpretazioni anche sbagliate e che
possono dipendere in gran parte dal contesto
Il contatto. Di solito si avere contatto fisico con le persone che piacciono. Le norme relative al
contatto fisico variano significativamente da cultura a cultura.
L’espressione del viso. Le espressioni facciali forniscono un notevole numero di informazioni. Il
legame tra le espressioni del viso e le emozioni variano significativamente da cultura a cultura,
occorre infatti fare attenzione all’uso delle espressioni facciali dei diversi collaboratori quando si
opera in contesti interculturali.
Il contatto visivo. Rappresenta un forte segnale non verbale che nella comunicazione svolge 4
funzioni: segnala l’inizio e la fine della conversazione regolandone il flusso; uno sguardo intenso
facilita e monitorizza il feedback perché esprime interesse e attenzione; trasmette un sentimento;
è legato al rapporto tra gli interlocutori. Le abitudini relative al contatto visivo cambiano da cultura
a cultura.

Ascolto attivo
È stata notata una correlazione positiva tra l’efficacia dell’ascolto e la soddisfazione del cliente, a
fronte di una correlazione negativa con l’intenzione, da parte del collaboratore, di abbandonare il
posto di lavoro. Ascoltare un messaggio comporta uno sforzo maggiore del semplice udirlo.
L’ascolto è quel processo che comporta una decodifica e un’interpretazione attiva dei messaggi
verbali; richiede una attenzione e rielaborazione dell’informazione.
Stili di ascolto. Ciascun individuo adotta uno stile di ascolto preferenziale, alcuni presentano una
combinazione di più stili. Gli stili di ascolto principali sono 5:
• Stile che mostra apprezzamento: tende ad ascoltare con uno stato d’animo rilassato,
prediligendo informazioni piacevoli, divertenti e ispiratrici e a non essere in sintonia con
individui con scarso senso dell’umorismo.
• Empatico: interpreta i messaggi prestando attenzione alle emozioni e al linguaggio del
corpo dell’interlocutore, nonché al mezzo di comunicazione, astenendosi dal giudizio
• Olistico: attribuisce un significato al messaggio attribuendo pensieri e azioni specifiche
integrando le informazioni così ricavate con l’analisi delle relazioni tra le idee. Predilige le
presentazioni logiche e senza interruzioni
• In grado di distinguere: tenta di comprendere il messaggio principale e di individuarne i
punti più rilevanti, prende appunti e predilige presentazioni logiche.
• Valutativo: ascolta analiticamente e formula argomentazioni su ciò che viene affermato,
tendendo ad accettare o bocciare i messaggi a seconda delle sue opinioni, pone numerose
domande e tende ad interrompere l’interlocutore
Diventare un ascoltatore migliore. Occorrono energia e forte motivazione per poter veramente
ascoltare gli altri. la sensazione di non essere ascoltati può minare la qualità del rapporto
interpersonale nonchè alimentare sentimenti di insoddisfazione, diminuire la produttività e
peggiorare il servizio alla clientela. La tabella riporta le chiavi di un ascolto efficace

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Stili linguistici e genere


Uomini e donne comunicano in modo diverso. Tali differenze possono creare dei problemi di
comprensione che vanno a minare la produttività e la comunicazione interpersonale. Tali
differenze di comunicazione tra generi diversi sono in base anche dovute allo stile linguistico.
Quest’ultimo si riferisce allo schema di comunicazione tipico di un soggetto, il ritmo, la scelta delle
parole, l’uso degli elementi. Consiste in una serie di segnali culturalmente acquisiti che ci
permettono di comunicare non solo ciò che vogliamo esprimere ma anche di interpretare ciò che
gli altri ci vogliono dire e di valutarci reciprocamente come individui. Lo stile linguistico influenza
anche la percezione che noi abbiamo del grado di fiducia, di competenza e di capacità altrui. Un
maggior incremento nella conoscenza dei diversi stili migliorerebbe l’accuratezza comunicativa e
le competenze in termini di comunicazione.
Differenze di genere nella comunicazione. lo stile linguistico di ognuno influenza le percezioni che
gli altri hanno sul vostro grado di sicurezza, di competenza e di autorità. Per migliorare la
comprensione dello stile linguistico dell’altro genere è necessaria la flessibilità di genere, ovvero
l’uso temporaneo di comportamenti comunicativi tipici dell’altro generare fine di incrementare la
possibilità di generale influenza. Gli uomini tendono a parlare ad alta voce nei gruppi, non
aspettano di essere interpellati per esprimere il loro pensiero e quindi hanno più probabilità di
essere ascoltati in contesti come una riunione di lavoro. Le donne, invece, tendono a parlare solo
dopo che l’oratore precedente ha terminato, aspettano di essere ammesse nella conversazione e
tendono a collegare i loro commenti a quelli di altri. la conoscenza di tali differenze può aiutare i
manager a valutare metodi che assicurino che le idee di tutti vengano ascoltate e che vengano
attribuiti i giusti meriti.

14.3 COMUNICAZIONE ORGANIZZATIVA


Adottare la prospettiva della comunicazione organizzativa può essere una buona strategia per
identificare i fattori che contribuiscono a determinare l’efficacia o viceversa del management.
L’analisi è incentrata sul chi e sul come del processo di comunicazione. qualsiasi atto comunicativo
inizia dall’identificazione del destinatario del messaggio che negli ambienti di lavoro può essere:

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verso l’alto, un superiore; verso il basso con i diretti subordinati, orizzontalmente con i colleghi e
esternamente con i clienti o fornitori. Vedremo poi come l’efficacia comunicativa è determinata da
un’adeguata corrispondenza tra il contenuto del messaggio e il mezzo impiegato per comunicarlo.

I canali formali per la comunicazione verso l’alto, il basso, orizzontale o esterna


I canali di comunicazione formali seguono la linea gerarchica o la struttura organizzativa. I
messaggi comunicati attraverso i canali formali sono considerati ufficiali.
Comunicazione verticale verso l’alto o verso il basso. la comunicazione verticale è il flusso di
informazioni tra individui che ricoprono livelli organizzativi diversi.
• La comunicazione verso l’alto: consiste nel comunicare con qualcuno che occupa una
posizione superiore. Una comunicazione verso l’alto dinamica favorisce l’equità
organizzativa e una condotta etica, la motivazione intrinseca è l’empowerment. Assume
inoltre particolare rilevanza nelle politiche organizzative mirate a crescere la produttività.
Purtroppo, in questo caso sono molti gli individui a non condividere le informazioni
autocensurandosi. Tra le strategie mirate ad incoraggiare questa pratica vi sono le indagini
di opinione, sistemi per proporre suggerimenti, le pratiche di reclamo e le chiacchere
informali.
• La comunicazione verso il basso: quando qualcuno che occupa un livello organizzativo alto
comunica informazioni a chi occupa una posizione più bassa sulla scala gerarchica. I
manager forniscono cinque principali tipologie di informazione: strategie/obiettivi,
istruzione per le mansioni, ragioni delle mansioni, pratiche e procedure organizzative e
feedback sulle performance
Comunicazione orizzontale. Riguarda la comunicazione tra colleghi e unità di lavoro diverse,
essenzialmente focalizzata al coordinamento. Gli scambi orizzontali consentono ai collaboratori di
condividere informazioni e scambiare prassi, coordinare i programmi e le attività di lavoro, fornire
consigli e superare conflitti. Gli strumenti che favoriscono questo genere di comunicazioni sono i
comitati e le attività di team building. I possibili ostacoli alla comunicazione orizzontale sono tre:
• la specializzazione, che induce gli individui a lavorare da soli
• l’accendersi della competizione che incide negativamente sullo scambio di informazioni
• una cultura organizzativa che non favorisce la collaborazione e la cooperazione
comunicazione esterna. È un flusso bidirezionale di informazioni tra i collaboratori e una
molteplicità di stakeholder esterni. Numerose organizzazioni costruiscono unità a sé stanti dedite
alla cura delle pubbliche relazioni.

I canali di comunicazione informali


I canali di comunicazione informali non seguono la scala gerarchica, aggirano i livelli del
management e le linee di autorità. Due canali informali utilizzati comunemente sono le voci di
corridoio e il management by walking around.
Le voci di corridoio. Rappresentano il sistema di comunicazione non ufficiale dell’organizzazione
informale e possono essere diffuse attraverso tutti i mezzi di comunicazione, avendo anche una
funzione positiva, favorendo i cambiamenti all’interno della stessa organizzazione. Coloro che
trasmettono informazioni tramite le voci di corridoio sono definiti individui di collegamento. È
stato dimostrato che questi individui comprendono meglio il contesto sociale e sono considerati
più influenti dai colleghi. Condividendo i pettegolezzi, si istaura, inoltre, un sostegno sociale ed
emotivo tra individui, fungendo anche come svago.

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In opposizione agli individui di collegamento vi sono le talpe organizzative, che usano le voci di
corridoio al fine di ottenere informazioni negative sugli altri al fine di valorizzare il proprio potere
ed il proprio status. Tale comportamento permette alla talpa di sviare l’attenzione da sé stesso e
di apparire più competente di altri.
Le ricerche hanno evidenziato alcuni aspetti importanti relative alle voci di corridoio:
• è un canale più rapido di quelli formali
• è attendibile per il 75%
• le persone vi fanno affidamento quando si sentono insicure, minacciate o poste di fronte a
cambiamenti organizzativi
• non è una forma di comunicazione isolate, ma è integrato a tutte le altre modalità di
comunicazione

tale comportamento deve essere quindi monitorato e influenzato piuttosto che controllato.
Il management by walking around. È una particolare metodologia che richiede ai manager di
camminare per gli uffici e intrattenere conversazioni informali con i collaboratori di tutte le unità e
di tutti i livelli. Alcuni consigli:
1. dedicare una certa quantità di tempo settimanale all’attività
2. mantenere l’attenzione sulle persone con cui si sta parlando evitando distrazioni
3. esercitare l’ascolto attivo e non pensare che il lavoro possa essere l’unico argomento di
conversazione
4. deve essere una conversazione bilaterale, si deve mostrare interesse per i timori e
problemi dell’interlocutore
5. annotare le faccende che devono essere approfondite
6. ringraziare l’interlocutore per il suo tempo e il feedback
Scelta del mezzo di comunicazione: una prospettiva contingente
Ci concentriamo ora sull’analisi del come del processo comunicativo, esaminando quale sia il
mezzo migliore per comunicare attraverso mezzi formali o informali. Si può scegliere tra un
ampissimo ventaglio di mezzi di comunicazione (face to face, telefonata, sms, e-mail..), in tal senso
i manager possono ridurre il sovraccarico di informazioni e migliorare l’efficacia della
comunicazione operando una scelta oculata sul mezzo da utilizzare. Bisogna quindi selezionare i
mezzi di comunicazione in maniera sistematica ed efficace. La selezione die mezzi si basa
sull’interazione tra la ricchezza del mezzo e la complessità del problema oggetto di discussione.
Ricchezza del mezzo di comunicazione. definisce la potenziale capacità dei dati di contenere
informazioni. Se il dato fornisce molta comprensione l’informazione è considerata ricca e
viceversa. La ricchezza del mezzo è quindi la capacità di un dato mezzo di trasmettere informazioni
e favorirne la comprensione. I mezzi possono essere più o meno ricchi. La ricchezza del mezzo di
comunicazione si basa su 4 fattori:
1. feedback (lento o veloce)
2. canale (dato dalla combinazione di caratteristiche audio- visive)
3. tipo visivo di comunicazione (personale vs impersonale)
4. fonte linguistica (linguaggio del corpo e del discorso o dei dati scritti)
la conversazione bidirezionale faccia a faccia è il mezzo di comunicazione più ricco, fornisce un
feedback immediato e permette di osservare molteplici segnali linguistici. Sulla parte opposta
della scala abbiamo le newsletter e i report finanziari. Le email e gli sms hanno un grado di
ricchezza variabile, basso se rivolto ad un pubblico ampio e alto se sono di carattere personale e
favoriscono un feedback di conversazione rapido.

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Complessità del problema. Situazioni con un basso grado di complessità fanno parte della routine,
sono prevedibili e vengono gestite tramite procedure standard. Situazioni con un alto gradi di
complessità, come la riorganizzazione della stessa azienda, sono ambigue ed imprevedibili, difficili
da analizzare e spesso sono anche cariche di una componente emotiva.
Raccomandazioni legate alle situazioni.
Esistono tre zone di efficacia della
comunicazione. la comunicazione è efficace
quando la ricchezza del mezzo si accorda con la
complessità del problema. Mezzi con un basso
grado di ricchezza sono adatti a problemi
semplici e quelli con alto grado di ricchezza a
problemi complessi. La comunicazione non
efficace si verifica quando in situazioni in cui
mezzo di comunicazione e complessità del
problema non sono in linea tra di loro. È stato
inoltre rilevato che l’uso dei mezzi di
comunicazione e significativamente diverso per
livelli organizzativi.

14.4 L’IMPATTO DELLA COMUNICAZIONE DIGITALE SUL COMPORTAMENTO


ORGANIZZATIVO
Oggi, grazie allo sviluppo di internet e del web, parole, suoni e immagini sono confezionati in un
formato che ne consente la condivisione. il connubio di diverse tecnologie ci offre virtualmente
accesso a una quantità di informazioni e opportunità di interazione comunicativa a livello globale
senza precedenti. È quindi necessario in che modo la rivoluzione della comunicazione digitale
influenza il comportamento organizzativo, sia in positivo che in negativo. Alcuni studi hanno
dimostrato che gli individui si comportano in modo differente anche a seconda del mezzo che
usano. L’utilizzo di mezzi digitali può infatti accrescere la produttività, allo stesso tempo però è
stato dimostrato che l’incidenza più importante è data dai contatti faccia a faccia. Inoltre, il
maggior volume di informazioni e la rapidità della comunicazione non coincidono necessariamente
con un miglioramento qualitativo della comunicazione. il sovraccarico di informazioni
nell’ambiente di lavoro è un problema che determina ingenti costi.

Problemi strategici: sicurezza e privacy


Dato che molti degli scambi attuali passano attraverso sistemi computerizzati, disattenzioni e gesti
intenzionali possono causare veri e propri disastri in termini di tempo di inattività o perdita di dati.
La problematica riguardante la sicurezza e la privacy in questi casi è quindi determinante. La
prevenzione è essenziale, quando occorre proteggere i sistemi da tentativi di hackeraggio, furto di
identità e frode.

La net generation
Sono coloro nati dal 1977 al 1997 e presentano caratteristiche uniche nel loro genere, non solo in
termini di dimensioni ma soprattutto perché sono cresciuti con la presenza di internet costante
nelle loro vite. La visione del mondo di questa generazione, plasmata dall’uso di internet e delle
tecnologie digitali, fornisce una buona visione su come stanno mutando gli ambienti di lavoro. I
net gener stanno proponendo nuovi approcci alla collaborazione, alla condivisione della
conoscenza e all’innovazione. I ricercatori hanno individuato otto norme della net generation che
racchiudono i loro sistemi di esperienze, atteggiamenti, e aspettative. Essi cercano nella loro vita

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lavorativa lo stesso accesso istantaneo a informazioni complete e contatto personale che hanno
nella loro vita privata.

Telependolarismo e telelavoro: vantaggi e problemi


La comunicazione digitale ha significativamente alterato i legami tradizionali tra lavoro, spazio e
tempo. Il telependolarismo, oggi, consente di trasferire elettronicamente il lavoro a casa,
eliminando la necessità di recarsi fisicamente in ufficio. Successivamente, vi è stata l’evoluzione da
telependolarismo a telelavoro (cioè la possibilità di collegarsi all’ufficio da qualsiasi luogo). Tali
alterazioni hanno alterato il legame tradizionale tra lavoro e luogo fisico.
Vantaggi del telelavoro.
1. Accresce la produttività dei collaboratori
2. Accresce l’attrattività del datore di lavoro
3. Abbassa i costi operativi
4. Migliora l’operatività durante le crisi
5. Contribuisce a migliorare l’impronta ambientale
Problemi del telelavoro. Per lavorare da casa, o da ovunque si sia in quel momento occorre in
primis autodisciplina. Si tende generalmente a pensare che le persone che lavorano a distanza
hanno meno possibilità di ottenere una promozione. Un altro importante fattore da considerare è
il senso di isolamento professionale determinato dal lavorare da casa, infine, la connettività
determina la disponibilità continua a lavorare e spesso innalza le aspettative più del dovuto
determinando, paradossalmente orari più lungi di lavoro e un minor senso di flessibilità. Le
interazioni face to face per motivi professionali o di svago sono essenziali per la coesione di un
team di lavoro.

Gestire le conseguenze indesiderate dell’era digitale


Allo stesso tempo, queste tecnologie rapide, comode e divertenti hanno dato adito a
comportamenti improduttivi e persino pericolosi. Hanno impoverito la capacità di scrittura e
evidenziato l’effetto definito di “continua attenzione parziale”. Controllare continuamente i

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dispositivi elettronici è diventato un fenomeno epidemico e non consente di essere mai


pienamente concentrati su quello che si sta facendo.
Uso eccessivo della posta elettronica. Trattandosi di uno strumento comodo e rapido se ne fa un
uso eccessivo con alcune conseguenti effetti indesiderati:
1. Diminuzione delle altre forme di comunicazione tra colleghi, compresi i saluti informali
2. Comunicazione inadeguata o errata delle emozioni
3. Percezione di un maggiore senso di isolamento
4. Tendenza maggiore a mentire su tale strumento rispetto all’utilizzo di un messaggio
tradizionale su carta
L’uso della posta elettronica continua a presentare una serie di problemi legali, etici e di
produttività questo anche a causa del fatto che gli utenti associano questo tipo di comunicazione
ad una comunicazione informale, e non a un messaggio che resta.
Abuso del cellulare. L’uso del telefono causa molteplici conseguenze indesiderate, che vanno da
quelle semplicementi fastidiose (suoneria a volume eccessivo) fino a quelle etiche e legali
(scambio di materiale pornografico)
Politica per l’uso dei social media sul posto di lavoro. Nel giro di pochi hanno i social media hanno
avuto un impatto fortissimo sulle nostre vite, sia private che lavorative. In questo senso, l’uso dei
social media sul posto di lavoro è diventato diffuso, di qualità opinabile e fuori controllo. Si
pongono quindi delle sfide in tal senso:
• Sfruttare il potenziale di marketing, di miglioramento della reputazione, team building e
formazione
• Rispettare il diritto alla privacy e evitare abusi legali ed etici da parte dei dipendenti sui
social media

15. INFLUENZA, EMPOWERMENT E MANOVRE POLITICHE


Al centro delle questioni interpersonali nel lavoro delle organizzazioni vi è una continua lotta tra
interessi collettivi ed individuali. La soggettiva preoccupazione per l’interesse individuale è
comprensibile, dato che ognuno di noi, altre ad essere nato all’interno di una collettività possiede
anche istinti di autoconservazione. In tal senso, la reciprocità di interesse, implica una situazione
win-win nella quale l’interesse del singolo viene soddisfatto tramite una cooperazione attiva e
creativa. Nulla è più importante di questa reciprocità all’interno di un’organizzazione per garantire
la massima efficacia e qualità nei prodotti. I collaboratori che identificano il loro interesse con la
qualità del risultato
dell’organizzazione mettono in atto
tale reciprocità. Vi è qindi un
continuo tiro alla fune tra
l’interesse personale dei
collaboratori e le necessità
dellìorganizzazione. Al fine di
perseguire quest’ultimo interesse i
manager hanno bisogno dell’uso di alcuen metodologie per gestire i diversi individiui.

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15.1 TATTICHE DI INFLUENZA ORGANIZZATIVA


La base di queste tattiche si trova nel concetto di influenza sociale, ovvero quell’interazione
personale volta a esercitare la propria influenza sugli altri. ma in che modo le persone, all’interno
dell’organizzazione si influenza a vicenda? Sono state identificate nove tattiche principali, poste in
ordine decrescente a seconda del loro uso sul luogo di lavoro:
1. Persuasione razionale: tentativo di convincere qualcuno ricorrendo ai fatti, alla logica e alla
ragione
2. Ispirazione: tentativo di suscitare l’entusiasmo facendo leva sui sentimenti, gli ideali o i
valori
3. Consultazione: coinvolgimento degli altri affinché prendano parte nella fase di
pianificazione, decisionale e di cambiamento
4. Propiziazione: mettere qualcuno in uno stato di buon umore prima di fargli una richiesta
5. Attrazione personale: fare riferimento all’amicizia o alla lealtà al momento di effettuare
una richiesta
6. Scambio: fare promesse implicite o esplicite e contrattare favori
7. Tattiche di coalizione: coinvolgimento di altri per sostenere lo sforzo di convincere
qualcuno
8. Pressione: pretendere obbedienza, ricorrendo ad intimidazione o minacce
9. Tattiche di legittimazione: basare una richiesta sull’autorità o sul diritto di poterlo fare, su
regole politiche o organizzative
Si definiscono le prime cinque tattiche soft perché cordiali e non imperative, mentre le ultime
quattro hard perché implicano una pressione esplicita.

Esiti del processo di influenza


Gli esiti identificati sono tre:
1. Impegno: il collaboratore accetta con entusiasmo dimostrando iniziativa
2. Adeguamento: il collaboratore si adegua alla richiesta controvoglia e necessita di essere
sollecitato per soddisfare i requisiti minimi
3. Resistenza: il collaboratore si rifiuta, trovando scuse o discutendo
Il risultato migliore è quello dell’impegno perché la motivazione intrinseca verso l’ottenimento del
risultato della persona interpellata attiverà una buona performance

15.2 POTERE SOCIALE


Il potere, che ci piaccia o meno è un dato di fatto nelle organizzazioni moderne. Esso deve essere
utilizzato affinchè i manager abbiamo un’influenza su chi dipende da loro. È cruciale per lo
sviluppo di fiducia in sé stessi e per il supporto dei subordinati. La stessa mancanza di potere è
quindi causa di insuccesso, il potere è una forza necessaria e generalmente positiva all’interno
delle organizzazioni. Il potere sociale, nello specifico, viene definito come l’abilità di governare le
risorse umane, materiali e di informazioni per ottenere risultati organizzativi.

Dimensioni del potere


I ricercatori hanno dimostrato che, a differenza di quanto ritenuto, il potere è caratterizzato da
dimensioni abbastanza chiare: (1) la contrapposizione di potere personalizzato e socializzato; (2) le
cinque basi del potere.

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Due tipi di potere. il bisogno di potere è uno dei bisogni primari dell’uomo, poiché è appreso e
non innato. Il potere socializzato si ricollega a dimensioni di piani, dubbi personali, volontà di
aiutare gli altri e preoccupazione per gli altri, mentre quello personalizzato riguarda le espressioni
di potere con obiettivo il puro rafforzamento personale. Tutti coloro che perseguono il potere
personalizzato per scopi egoistici contribuiscono a dare una cattiva connotazione al potere. si
parla di potere personalizzato generalmente quando:
• Ci si concentra in misura preponderante sulla soddisfazione dei propri bisogni
• Non ci si concentra sui bisogni dei collaboratori
• Ci si comporta come se si fosse al di sopra delle regole che gli altri sono tenuti a rispettare
Le cinque basi del potere. il potere ha origine su cinque basi diverse, ciascuna delle quali ha
origine da un approccio diverso all’esercizio dell’influenza sugli altri:
• Potere di ricompensa: quando si ottiene obbedienza promettendo o assegnando
ricompense. Queste ultime comprendono anche riconoscimenti verbali o scritti o altre
forme di rinforzo. Solitamente si assiste ad una totale assenza di feedback fino a quando il
lavoro non viene completamente finito, questo è un grande errore e non rende onore agli
sforzi necessari per raggiungere all’obiettivo prefissato
• Potere coercitivo: quando si compiono minacce di sanzioni o penalità
• Potere legittimo: la base di questo potere è legata alla posizione o all’autorità formale.
Questo si può esprimere sia in modo positivo che negativo. Nel primo caso ci si concentra
in modo costruttiva sulla performance lavorativa, nel secondo si tende ad essere
minacciosi o degradanti nei confronti di chi subisce il potere. lo scopo principale è
rafforzare l’ego di chi lo detiene
• Potere di competenza: conoscenze o informazioni qualificate danno all’individui questo
genere di potere rispetto a coloro che invece necessitano di tali informazioni
• Potere di esempio: viene chiamato anche carisma, ovvero quando la personalità del leader
diventa ragione di obbedienza.
Richerche sul potere sociale
Alcune ricerche hanno dimostrato che uomini e donne dimostrano di avere il medesimo bisogno di
potere personalizzato, ma che le donne dimostrano un bisogno più alto innato di potere
socializzato. Questo porta ad una maggiore tensione tra i sessi in tal senso: gli uomini detengono
la maggior parte del potere e oppongono resistenza a qualsiasi cambiamento in termini di esso.
Altri studiosi hanno poi cercato di individuare quali fossero i rapporti tra le basi del potere e i
risultati in termini di performance lavorativa, soddisfazione professionale e turnover:
• Il potere di competenza e di esempio hanno un impatto positivo sulle performance
• Il potere di ricompensa e legittimo un impatto leggermente positivo
• Il potere coercitivo un impatto leggermente negativo
Anche la persuasione razionale si è rivelata una tattica accettata di buon grado. In sintesi, i poteri
in grado di esercitare il miglior risultato sono quelli di competenza ed esempio.

Uso etico e responsabile del potere


I leader che non utilizzano il potere in modo responsabile rischiano di perderlo. Come le tattiche di
influenza anche quelle di potere possono avere tre possibili esiti: impegno, adeguamento e
resistenza. Il potere di ricompensa, coercitivo o legittimo negativo tendono a produrre
adeguamento e talvolta resistenza. Quello legittimo positivo, di competenza e di esempio

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tendono, invece, a favorire l’impegno. I collaboratori che si limitano ad obbedire hanno bisogno di
frequenti scossoni al fine di mantenersi orientati su un atteggiamento produttivo mentre i
collaboratori che si impegnano tendono ad essere attivi sin dal primo stadio nel lavoro e non
richiedono un eccessivo controllo. Questo permette un notevole risparmio in termini di energie e
denaro.

15.3 EMPOWERMENT: DALLA CONDIVISIONE ALLA DISTRIBUZIONE DI POTERE


Una tendenza sempre più in uso nelle organizzazioni interne è quella di conferire ai collaboratori
una maggior voce in capitolo. Tale tendenza viene chiamata in vari modi: gestione ad alto
coinvolgimento, gestione partecipativa o gestione a libro aperto ma si tratta sempre,
operativamente parlando, di assegnare ai collaboratori un maggiore controllo sulla vita lavorativa.
L’empowerment consiste nel riconoscimento e nella distribuzione all’interno dell’organizzazione
del potere che i collaboratori già possiedono grazie alla loro conoscenza, esperienza e
motivazione. La componente chiave di tale processo consiste nello spingere verso il basso
l’autorità decisionale fino ad arrivare progressivamente ai livelli minimi della gerarchia.
L’empowerment, consiste, inoltre, nello spostare il processo decisionale fino ad arrivare al livello
più basso dove è possibile prendere una decisione valida. Sarebbe infatti controproducente
estendere tale potere a collaboratori svogliati o poco preparati.

Una questione di sfumature


Il concetto di empowerment richiede, in
primo luogo, di cambiare il modo di pensare
tradizionale, ovvero quel pensiero comune
secondo cui il potere si esprime a somma
zero, quindi il guadagno di uno corrisponde
alla perdita di un altro. Il potere sociale è
illimitato e in tal senso è necessario avere una
mentalità win-win. I manager autoritari, che
vedono l’empowerment come una minaccia
al loro potere non riescono a capire questo
approccio a causa della loro mentalità
radicata di tipo win-lose. La seconda modifica nel modo di pensare implica vedere l’empowerment
come una questione di sfumature e non con una secca logica si-no. L’obiettivo strategico del
processo consiste in un incremento della produttività e della competitività contribuendo alla
creazione di organizzazioni più snelle. Ogni fase del processo aumenta il potere di coloro che
contribuiscono al risultato organizzativo.

Management partecipativo
Il management partecipativo è il processo per mezzo del quale i collaboratori assumono un ruolo
diretto:
1. Nello stabilire obiettivi
2. Nel prendere decisioni
3. Nell’apportare cambiamenti all’interno dell’organizzazione
4. Nel risolvere problemi
La gestione collaborativa, sicuramente, implica molto di più che chiedere ai collaboratori la loro
opinione su qualche questione. I ricercatori affermano che incrementa la soddisfazione, l’impegno
e la performance dei dipendenti. In merito alla teoria di Maslow dei bisogni e al modello delle

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caratteristiche del lavoro, si prevede che il management partecipativo sia collegato ad un aumento
della motivazione perché aiuta i collaboratori a soddisfare tre bisogni fondamentali: l’autonomia,
l’attribuzione di significato al lavoro, il contatto interpersonale. La soddisfazione di questi bisogni
fa sentire l’individuo più accettato, ne valorizza l’operato e aumenta il suo senso di sicurezza. Il
management partecipativo, però, non può essere applicato a tutte le situazioni. Tre aspetti
influiscono sulla sua efficacia: l’organizzazione del lavoro, il livello di fiducia tra manager e i
collaboratori e la competenza e prontezza a partecipare di questi ultimi. Tale processo risulta
controproducente quando i collaboratori non possiedono una comprensione globale del processo
produttivo (per es. catene di montaggio) o quando non si è istaurato un adeguato livello di fiducia
tra individui.

Delega
Il più alto grado di empowerment è la delega, ovvero il processo mediante il quale a collaboratori
di livelli più bassi viene conferita una autorità decisionale. Questo corrisponde ad una
distribuzione del potere. la delega conferisce, in fase decisionale, non solo voce in capitolo ma
anche la possibilità di prendere decisioni.
Ostacoli alla delega. Nelle organizzazioni è necessario uno sforzo concreto e comune al fine di
attuare il processo di delega, superando questi ostacoli:
• Convinzione che le cose fatte bene devono essere fatte da soli
• Basso grado di fiducia in sé stessi
• Paura di essere considerati pigri
• Definizione vaga del lavoro da svolgere
• Paura della concorrenza da parte dei subalterni
• Riluttanza a correre rischi derivanti dal coinvolgimento di altri
• Scarsità di controllo nel caso in cui qualcosa vada male negli aspetti delegati
• Esempi mediocri da parte dei capi che non ricorrono mai alla delega
Ricerche sulla delega e implicazioni sulla fiducia e iniziativa personale. Attraverso alcune ricerche
è stato possibile dimostrare che vi è stato un grado
maggiore di delega quando:
1. Il collaboratore era competente
2. Il collaboratore condivideva gli obiettivi di
lavoro del manager
3. I manager e i collaboratori avevano tra di loro
un rapporto positivo e di lunga durata
4. La persona a livello gerarchico inferiore è a sua
volta un supervisore
Lo scenario descritto si riconduce ad un unico fattore
determinante: la fiducia. L’evoluzione
dell’empowerment appare come una scala a tre
gradini verso la fiducia: consultazione, partecipazione
e delega. I manager devono quindi partire dalle piccole cose per ascendere in questa scala. Uno
dei metodi migliori per acquisire fiducia è dimostrare iniziativa personale. Questa, è un
comportamento che risulta dall’approccio attivo dell’individuo nei confronti del lavoro, e va oltre a
ciò che viene formalmente richiesto nella mansione.

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L’iniziativa personale è caratterizzata da questi aspetti:


1. È coerente con la missione dell’organizzazione
2. Ha un obiettivo a lungo termine
3. È orientata verso l’obiettivo e l’azione
4. Non demorde di fronte ad ostacoli e difficoltà
5. Si autoalimenta ed è proattiva

15.4 MANOVRE POLITICHE E GESTIONE DELL’IMPRESSIONE


I giochi politici sono una caratteristica sempre presente nelle organizzazioni. Anche se la loro
percezione è spesso associata a fastidio, talvolta possono costituire una forza positiva. Manovre
abili e attuate tempestivamente possono aiutare a raggiungere i propri scopi.

Definizione e dominio delle manovre politice


Le manovre politiche implicano l’atto intenzionale di esercitare influenza al fine di valorizzare o
progettare gli interessi degli individui o dei gruppi. Tale forma di influenza sociale si distingue per
la propria enfasi sugli interessi. I manager, in tal senso, devono cercare di trovare un equilibrio tra
gli interessi personali dei collaboratori e gli interessi dell’organizzazione. Il comportamento politico
diventa negativo nel momento in cu questo va a danneggiare gli interessi dell’organizzazione.
L’incertezza innesca i giochi politici. Le manovre politiche sono spesso provocate da situazioni di
incertezza, di cui cinque sono le sue fonti comuni all’interno dell’organizzazione:
1. Obiettivi non chiari
2. Parametri vaghi di misurazione delle performance
3. Processi decisionali mal definiti
4. Forte competizione individuale o di gruppo
5. Qualunque tipo di cambiamento
Ogni volta che si cerca di apportare cambiamenti il sottosistema politico si attiva. La possibilità,
però, di far ricorso a manovre politiche dipende anche dalla situazione: manager di progetto,
essendo in contesto di maggiore incertezza saranno più portati ad adottarle, così come i giovani
rispetto agli esperti.
Tre livelli di giochi politici. Sebbene la maggior parte delle manovre politiche avvenga a livello
individuale, esse possono coinvolgere un’azione collettiva o di gruppo. Vi sono infatti, tre
differenti livelli di gioghi politici:
• Individuale: gli interessi personali sono
perseguiti dal singolo
• Coalizione: consiste in un gruppo
informale legato dall’attivo
perseguimento di un solo obiettivo. Le
coalizioni possono anche non
coincidere con ala formale
appartenenza ad un gruppo e una
volta raggiunto l’obiettivo tendenzialmente si scioglie. L’appartenenza alla coalizione è
instabile, la struttura flessibile e la durata temporanea.
• Network: diversamente dalle coalizioni che ruotano attorno questioni specifiche, i network
sono associazioni libere formate da individui alla ricerca di un sostegno sociale per i loro
interessi personali. A differenza delle coalizioni, quindi, sono orientati alla persona e hanno
obiettivi a più lungo termine.

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Tattiche politiche
Quelle emerse da alcuni studi sono essenzialmente otto:
1. Attaccare o incolpare gli altri: usata per minimizzare un errore o un fallimento. È proattiva
quando l’obiettivo è quello di ridurre la competizione per risorse limitate
2. Strumentalizzare le informazioni: implica il tacere o distorcere le informazioni. Rendere
poco chiara una situazione sfavorevole sommergendo di altro genere di informazioni gli
individui
3. Creare un’immagine favorevole di sé (gestione dell’impressione): rendersi visivamente
piacevoli agli altri. aderire a norme organizzative o attirare l’attenzione su di sé. Prendersi i
meriti per risultati positivi ottenuti da altri
4. Costruire una base di sostegno: ottenere sostegno preventivo per una decisione. Costruire
tramite la partecipazione l’impegno di altri.
5. Elogiare gli altri (propiziazione): accattivarsi le simpatie di persone influenti
6. Formare coalizioni con alleati potenti: unirsi a persone in grado di conseguire importanti
risultati
7. Associarsi con persone influenti: costruire una rete di supporto sia all’interno che
all’esterno dell’organizzazione
8. Creare obblighi: creare debiti sociali
Tali tattiche si possono poi suddividere in reattive e proattive. Le reattive hanno il principale
intento di difendere i propri interessi mentre le proattive quello di promuoverli. Inoltre, gli
individui, in relazione a queste tattiche si possono suddividere in tre categorie a seconda del loro
uso di questi strumenti.

Gestione dell’impressione
La gestione dell’impressione è definita come quel processo con il quale si cerca di controllare e di
manipolare le reazioni di altri in merito alla propria immagine o idea. Riguarda il modo in cui ci si
veste, si parla, o ci si atteggia. Ci concentreremo sulla gestione dell’impressione di tipo
ascendente, ovvero il tentativo di suscitare certe reazioni nei confronti di persone di livello
gerarchico superiore. È bene ricordare che tutti, però, possono diventare oggetto di gestione
dell’impressione.
Aspetti concettuali collegati. La gestione dell’impressione è un interessante crocevia concettuale
tra l’auto-osservazione, la teoria dell’attribuzione e le manovre politiche. I collaborati ad elevato
grado di auto-osservazione (camaleonti che si adattano all’ambiente circostante) saranno
probabilmente più inclini ad impegnarsi nella gestione dell’impressione. Questa tecnica si inserisce
senza alcun dubbio all’interno dei giochi politici, poiché il suo obiettivo è quello di favorire gli
interessi della persona che la mette in pratica.
Fare una buona impressione. Le persone che puntano al successo tengono pronto un
atteggiamento positivo per tutte le occasioni. Vi sono nello specifico tre categorie di tattiche per la
gestione dell’impressione favorevole verso i superiori:

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• Incentrate sul lavoro: manipolare le informazioni in merito alla propria performance


professionale
• Incentrate sul supervisore: elogiare il proprio supervisore e farli favori
• Incentrate su sé stessi: presentarsi come persona garbata e gentile
È necessario però calibrare tale tecnica. Se la gestione dell’impressione è troppo bassa, il superiore
potrebbero sottovalutare il contributo potenziale dell’individuo, al contrario, se troppo alta, si
corre il rischio di essere etichettati come adulatori, ritorcendosi contro e creando motivo di
imbarazzo. La tattica di gestione dell’impressione è efficace solo nel momento in cui essa va a
sposarsi con le norme accettate di comportamento.
Fare una cattiva impressione. Vi sono anche motivazioni per il quale l’individuo è spronato a
mettersi in cattiva luce con i suoi superiori, ne sono state individuate quattro:
• Tentativo di schivare: per evitare lavoro aggiuntivo, stress, stanchezza o trasferimenti non
desiderati
• Ottenere riconoscimenti concreti: per ottenere un trasferimento, una promozione o una
retrocessione desiderati
• Uscita: per essere licenziati o sospesi e accumulare indennità o indennizzi per malattia
professionale
• Potere: cercano di controllare, manipolare o intimidire gli altri, vendicandosi o mettendo
qualcun altro in cattiva luce.
Cinque sono invece le tattiche corrispondenti:
• Diminuire la performance: ridurre la propria produttività, commettere più errori del solito,
trascurare i propri compiti
• Non sfruttare la massimo le proprie potenzialità: fare finta di non capire e non sfruttare le
abilità che si possiedono
• Mostrare un atteggiamento negativo: lamentarsi, innervosirsi e arrabbiarsi, non andare
d’accordo con i colleghi
• Divulgare i propri limiti: comunicare ai colleghi i problemi fisici e gli errori che si
commettono
Gestione delle manovre politiche nelle organizzazioni
I giochi politici nelle organizzazioni non si possono eliminare, ma possono e devono essere gestiti
in modo tale che rimangano costruttivi. Gli obiettivi misurabili sono la prima arma a disposizione
del management per contrastare giochi politici controproducenti. Chi è del tutto fuori da questi
giochi, così come chi ne è totalmente prigioniero paga un prezzo elevato per il suo
comportamento. Una dose moderata di partecipazione ai giochi politici, viene generalmente
considerata, nell’ambito delle organizzazioni, come

16. LEADERSHIP
Nella sezione ci occuperemo di fornire una panoramica completa sulla leadership, sia efficace che
inefficace. Tratteremo i seguenti argomenti: tratti della personalità e approcci comportamentali
alla leadership, teorie contingenti della leadership, le teorie full range e altre prospettive
alternative sul tema.

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16.1 TEMI DELLA LEADERSHIP


Vi sono una molteplicità di approcci e punti di vista applicati a tale tema e si evidenzia sempre più
la necessita di differenziare il profilo del manager da quello del leader.

Cosa e’ la leadership
Il disaccordo su una specifica definizione di leader deriva dal fatto che vi è una complessa
interazione, difficile da descrivere tra il leader, i collaboratori e la situazione contingente. I leader
sono stati definiti quindi secondo una molteplicità di approcci: secondo la personalità e le
caratteristiche fisiche, rispetto ad una serie di comportamenti predefiniti, rispetto all’influenza che
esercitano sui follower, rispetto gli obiettivi raggiunti o ancora dal punto di vista delle capacità. Le
numerose definizioni di leadership rappresentano però quattro elementi in comune, la leadership
è:
• Un processo tra leader e follower
• Legata all’influenza sociale
• Si manifesta a diversi livelli dell’organizzazione: a livello individuale comporta il ruolo di
mentore e deve ispirare e motivare, a livello di team deve generare coesione e risolvere i
conflitti, a livello organizzativo, generare una cultura e creare cambiamenti
• Incentrata sul raggiungimento degli obiettivi
È quindi definita come un processo mediante il quale un soggetto influenza un gruppo di individui
al fine di raggiungere un obiettivo comune. Ci sono due elementi che mancano però nella
definizione sopra: la prospettiva morale e il punto di vista dei follower. Questi ultimi aspetti
possono incidere sull’efficacia della leadership.

Approcci alla leadership


La ricerca si è ispirata ad una molteplicità di approcci diversi, comprendendo che non esiste uno
stile di leadership preferibile in termini assoluti ma che bisogna identificare i tipi di
comportamento più efficaci a seconda delle diverse situazioni. Attualmente l’approccio studiato
prevalentemente è quello transazionale, che si basa sull’idea che, adottando una molteplicità di
comportamenti, i leader adottano un processo di trasformazione sui collaboratori ai fini di indurli a
perseguire gli obiettivi organizzativi.

Leadership vs management
Alla base di questi approcci vi deve essere una consapevolezza delle differenze tra leader e
manager. I leader gestiscono mentre i manager guidano e, benchè spesso le due attività si
frappongano una comporta una serie di attività diversa dall’altra. Il manager svolge solitamente
funzioni associate alla pianificazione, alla ricerca di informazioni, all’organizzazione e al controllo
mentre il leader ha a che fare con gli aspetti interpersonale del lavoro del manager. Questi ultimi
svolgono un lavoro chiave nella creazione di una visione e di un piano strategico
dell’organizzazione, mentre i manager si occupano di attuare tale piano. In tal senso, il successo
organizzativo richiede una combinazione dei due.

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16.2 TEORIA DEL TRATTI


Le teorie dei tratti si concentrano sull’identificazione delle caratteristiche personali che
differenziano i leader dai follower, secondo cui tali caratteristiche non sono innate ma possono
essere sviluppate attraverso l’esperienza e l’apprendimento. Il tratto del leader è una
caratteristica fisica o della personalità tipica di coloro che hanno le abilità per diventare tali.
Tratti principali. Alcune ricerche hanno mostrato che cinque sono i tratti che tendono a
differenziare il leader: (1) intelligenza, (2) predominio, (3) fiducia in sé stessi, (4) livello alto di
energia e attività; (5) conoscenza delle specifiche attività. L’intelligenza si è dimostrata il miglior
predittore della leadership.
Teoria della leadership implicita. Secondo tale teoria esistono persone che incarnano i tratti della
leadership migliori e vengono definiti come prototipi dei leader. Questi prototipi sono una
rappresentazione mentale dei tratti e dei comportamenti che si ritiene siano prerogativa del
leader. Nelle prime ricerche tali tratti riguardavano il predominio e la mascolinità, ad oggi però
questi sono più associati all’empowerment, all’equità e all’atteggiamento di supporto.
Ricerche sui tratti emotivi. I primi quattro valori ricercati nel proprio superiore sono l’onestà, la
lungimiranza, l’ispirazione e la competenza. Questi valori costituiscono la credibilità di un leader.
Dall’altro lato l’intelligenza emotiva è descritta come la capacità di gestire sé stessi e le proprie
relazioni con maturità e approccio costruttivo. Le ricerche però, che dimostrano un’associazione
tra intelligenza emotiva ed efficacia della leadership sono ancora insufficienti. Anche
l’estroversione ha mostrato una correlazione con l’efficacia, così come la coscienziosità e
l’apertura a nuove esperienze. In tal senso possiamo affermare che tali ricerche supportano la tesi
per cui la personalità conta più dell’intelligenza nella scelta di un leader.
Tratti del cattivo leader. Ne sono stati identificati sette:
1. Incompetenza: il leader non è dotato delle capacità o della volontà adeguata.
2. Rigidità: è rigido e inflessibile, privo della capacità di adattarsi a nuove idee o a circostanze
diverse
3. Intemperanza: non ha autocontrollo e tale comportamento è rinforzato da follower
incapaci o non intenzionati ad intervenire
4. Insensibilità: è insensibile e scortese. Ignora le necessità e i desideri dei membri del gruppo
e dell’organizzazione
5. Disonestà: leader che mente o imbroglia e che antepongono l’interesse privato a quello
pubblico in misura eccessiva
6. Ristrettezza di vedute: minimizza o ignora la salute e il benessere dell’altro

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7. Cattiveria: leader malvagi che incoraggiano i propri follower a commettere atrocità e


tendono a usare il dolore come strumento di potere
Genere e leadership. a tal proposito è interessante la comprensione delle similitudini e delle
differenze tra leader uomini e donne. Si sono evidenziate le seguenti differenze:
• Gli uomini mostrano una maggiore leadership orientata al compito mentre le donne una di
tipo sociale
• Le donne utilizzano uno stile democratico e partecipativo mentre gli uomini uno
autocratico e direttivo
• Uomini e donne sono ugualmente assertivi
• Nel giudizio dei colleghi, le donne in posizione di comando totalizzano un punteggio più
alto su vari criteri di efficacia.

16.3 TEORIA DEGLI STILI COMPORTAMENTALI


Alla base di questo approccio vi furono, da un lato l’incapacità della teoria dei tratti di spiegare
l’efficacia della leadership e dall’altro, il movimento continuo delle relazioni umane. In tal caso ci si
è focalizzati maggiormente sul comportamento piuttosto che sulla personalità del leader,
permettendo di evidenziale diversi stili di leadership che conducessero ad una maggiore efficacia.
Gli studi. In Ohio furono effettivamente identificate solo due dimensioni indipendenti di
comportamento del leader. La considerazione, che si riferisce al comportamento del leader che
crea rispetto reciproco e fiducia e si focalizza sui bisogni e desideri dei membri del gruppo e la
specificazione del metodo di lavoro,
ovvero quel comportamento volto a
organizzare e definire cosa i
collaboratori devono fare per
massimizzare il loro risultato.
Attraverso una matrice su queste
due dimensioni sono stati
indentificati quattro stili di
leadership. Fu inizialmente ipotizzato
che il miglior stile fosse quelle con
alta considerazione e alla
specificazione del metodo di lavoro
ma i risultati emersi successivamente
confermano che non esiste uno stile
di leadership più efficace di un altro in termini assoluti. In Michigan una ricerca tentò di
identificare le differenze comportamentali tra leade efficaci e non. Anche in questo caso si sono
identificati due stili diversi di leadership; uno centrato sulla relazione e l’altro sulla produzione.
Implicazioni. Queste teorie si basano
sull’assunto che le doti del leader non
siano innate ma che possano essere
sviluppate e perfezionate. Non vi è uno
stile a livello assoluto migliore di altri
ma l’efficacia dello stile dipende dalla
situazione contingente. A tal proposito
uno studioso ha elaborato un insieme
di nove comportamenti per rendere la
leadership più efficace. Essi servono

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principalmente ad ottenere le conoscenze necessarie, a trasformare le conoscenze in azioni


effettive e a far in modo che l’organizzazione nel suo insieme sia responsabile e pronta a
rispondere delle sue azioni.

16.4 TEORIE CONTINGENTI


Tali teorie nascono dal tentativo di dare risposta ai risultati incoerenti ottenuti con le teorie dei
tratti e degli stili comportamentali. Le teorie contingenti suggeriscono che l’efficacia di un
particolare stile comportamentale dipenda dalla situazione. Dal momento che le circostanze
cambiano, stili diversi sono appropriati per circostanze diverse.

Modello contingente di fiedler


Secondo la premessa di base del modello, l’efficacia della leadership dipende dal grado di
corrispondenza tra stile di leadership e la situazione contingente. Gli stili di leadership identificati e
le situazioni contingenti di Fiedler costituiscono ciò che è stato chiamato controllo situazionale.
Stili di leadership. Secondo tale teoria vi sono essenzialmente quattro stili di leadership:
• Orientato ai compiti: leader che si concentrano sul raggiungimento di obiettivi prefissati
• Orientato alle persone: investono più energie nella creazione di rapporti positivi con i
follower
• Dominante
• Resistente al cambiamento
Per individuare lo stile di leadership di un individuo Fiedler ha poi individuato una scala attraverso
il quale è richiesto al leader di indicare le caratteristiche del collaboratore con il quale ci si è trovati
meno bene a lavorare. Tale scala è denominata LPC. Un punteggio elevato significa che il leader è
orientato alle persone, mentre basso che è orientato ai compiti.
Controllo situazionale. Si riferisce al grado di controllo e influenza che il leader ha nel suo
ambiente di lavoro. Vi sono tre dimensioni di controllo situazionale indicate in ordine di
importanza:
• Relazione leader-membri del gruppo: riguarda l’ampiezza del supporto, della lealtà e della
fiducia che il leader ha da parte del suo gruppo. Delle buone relazioni tra i due attori fanno
in modo che il gruppo tenti di raggiungere i traguardi e gli obiettivi del leader
• Prescrittività dei compiti: si riferisce a quanto i compiti del gruppo sono strutturati. Tali
compiti seguono delle linee guida che indicano come deve essere svolto il lavoro, in tal
caso il leader ha più influenza sui collaboratori
• Posizione di potere: il grado in cui il leader ha il potere di premiare o punire, o ottenere
condiscendenza dei propri collaboratori.
Legame tra leadership e controllo situazionale. I
leader devono imparare a manipolare o influenzare la
situazione di leadership per creare un insieme
armonico tra il loro stile e la situazione. I leader
orientati al compito sono considerati più idonei a
situazioni di forte o debole controllo. Mentre nelle
situazioni di controllo moderato è necessaria una
leadership orientata alle persone.
Implicazioni. In primo luogo, il modello sottolinea che
l’efficacia della leadership non è legata solo ai tratti
della personalità e ai comportamenti, ma è anche
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funzione della corrispondenza tra lo stile di leadership e il contesto. In secondo luogo, il modello
spiega perché alcune persone gestiscono bene determinate situazioni ma non altre. Infine, i leader
devono adattare il loro stile alla situazione.

Teoria del percorso-obiettivo


Tale teoria si basa a sua volta sulla teoria dell’aspettativa., basata sul concetto secondo cui la
motivazione per esercitare uno sforzo cresce con l’aumentare dell’aspettativa di un rapporto
causa-effetto tra sforzo, prestazione e risultato. Si suppone quindi che i comportamenti dei leader
siano accettabili quando i collaboratori li vedano come fonte di soddisfazione o come promessa di
future soddisfazioni. Inoltre, il comportamento del leader deve essere motivante nella misura in
cui:
1. Riduce gli ostacoli che interferiscono con il raggiungimento dell’obiettivo
2. Fornisce guida e sostegno di cui hanno bisogno i collaboratori
3. Collega riconoscimento al raggiungimento dell’obiettivo

L’efficacia della leadership è influenzata dall’interazione dei quattro diversi stili individuati e una
varietà di fattori contingenti: direttivo, supportivo, partecipativo e orientato al successo. I fattori
contingenti, invece, sono situazioni variabili che causano la maggior efficacia di uno stile di
leadership piuttosto che di un altro. Vi sono principalmente due gruppi di variabili contingenti: le
caratteristiche dei collaboratori e i fattori ambientali. Le cinque principali caratteristiche dei
collaboratori sono:
• Locus of control: chi possiede un locus of control interno tende a preferire leadership
partecipative o orientate al successo, al contrario, chi lo possiede esterno una leadership di
tipo direttivo o supportivo
• Abilità: anche in questo caso vale quanto detto prima, chi è più abile preferirà leader della
prima categoria, chi meno della seconda e così via anche per le successive caratteristiche
• Bisogno di successo
• Esperienza
• Bisogno di chiarezza
Due fattori ambientali di una certa importanza sono poi: compiti (dipendenti o indipendenti) e le
dinamiche di gruppo
Riformulazione della teoria. Vi sono tre cambiamenti chiave nella nuova teoria rivisitata. In primo
luogo, si pensa che venga coinvolta una più vasta categoria di comportamenti da parte del leader,
che non corrispondono più a quattro ma diventano otto:
• Comportamenti che chiariscono il percorso-obiettivo: fornire indicazioni su come i
collaboratori devono completare i compiti, chiarire standard e aspettative, utilizzo dei
premi in relazione alle performance
• Comportamenti orientati al successo: stabilire obiettivi sfidanti, enfatizzare l’eccellenza,
dimostrare fiducia
• Comportamenti che facilitano il lavoro: pianificare e organizzare il lavoro, consigliare e
controllare il lavoro per aiutare i collaboratori per sviluppare le loro capacità
• Comportamenti supportivi: mostrare interesse per i bisogni e il benessere dei collaboratori
• Comportamenti che facilitano l’interazione: risolvere le dispute, agevolare la
comunicazione, incoraggiare le collaborazioni tra membri
• Comportamenti orientati al processo decisionale di gruppo: porre problemi piuttosto che
soluzioni al gruppo, incoraggiare a partecipare al processo decisionale

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• Comportamenti di rappresentanza e di network: presentare il gruppo di lavoro sotto una


luce positiva agli altri, mantenere rapporti con persone influenti
• Comportamenti basati sui valori: stabilire e mostrare passione per una visione, dimostrare
fiducia in sé stessi, comunicare aspettative di grandi performance e fiducia al gruppo, dare
frequenti riscontri positivi
Un altro cambiamento che concorre a
influenzare l’efficacia della leadership
comporta la motivazione intrinseca del ruolo e
l’empowerment. Il leader deve infatti
alimentare la motivazione intrinseca. La
leadership condivisa rappresenta, poi, il
cambiamento finale della teoria rivisitata.
Questo tipo di leadership avviene quando il
potere è egualmente condiviso tra tutti i
collaboratori all’interno dell’organizzazione.
Implicazioni. Possiamo trarre tre importanti
insegnamenti da questa teoria. Primo, i leader
efficaci possiedono e utilizzano più di uno stile di leadership. I manager sono quindi incoraggiati a
sperimentare nuovi comportamenti. Secondo, la teoria offre suggerimenti precisi su come aiutare
i collaboratori incoraggiando i leader a chiarire il percorso verso il raggiungimento dell’obiettivo.
Terzo, un numero ristretto di caratteristiche dei collaboratori e fattori ambientali si è rivelato un
importante fattori contingente.

Applicazione pratica
L’applicazione pratica non è stata chiaramente sviluppata. Tentando di colmare questa lacuna si
sono proposte alcune strategie di carattere generale che si articolano su cinque fasi:
1. Identificare i risultati importanti: individuare gli obiettivi che si intende raggiungere
2. Identificare i tipi di leadership rilevanti: identificare i tipi di leadership adeguati alla
situazione
3. Identificare le condizioni situazionali: identificare un insieme di potenziali fattori
contingenti di cui tenere conto
4. Adeguare la leadership alle condizioni situazionali: le possibili variabili sono infinite, in tal
caso bisogna sfruttare le proprie conoscenze sul comportamento organizzativo
5. Determinare come stabilire la corrispondenza: applicare lo stile di leadership individuato
come più idoneo nella fase precedente. In tal caso si possono utilizzare due approcci: il
leader modifica il suo stile o il suo comportamento o si sostituisce l’individuo che detiene la
leadership
Cautela nell’applicazione
In alcuni casi, se i membri del team vengono trattati sistematicamente in maniera diversa, alcuni si
sentono esclusi dalle dinamiche di scambio all’interno del gruppo. Queste sensazioni negative
determinano, poi, un effetto controproducente sull’auto-efficacia degli individui coinvolti nel
gruppo.

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16.5 IL MODELLO FULL RANGE DELLA LEADERSHIP: DALLO STILE LAISSEZ-FAIRE ALLO STILE
TRASFORMAZIONALE
uno degli approcci più recenti è il modello full range, in cui il comportamento di leadership varia in
un continuum che va dalla leadership da evitare a quelle più complesse ed è composto da tre stati:
laissez-faire, transazionale e trasformazionale.
• Laissez-faire: ovvero l’incapacità di assumersi le responsabilità della leadership, evitare il
conflitto, non affiancare i collaboratori nella definizione degli obiettivi, non fornire
feedback sulle performance o essere totalmente assenti. Deve essere assolutamente
evitato.
• Leadership transazionale: è mirata a chiarire il ruolo del collaboratore e le necessità legate
al suo compito e fornire ricompense positive o negative a seconda delle performance. Si
basa principalmente sull’assegnazione di premi per stimolare la motivazione
• Leadership trasformazionale: è atta a generare fiducia, cerca di sviluppare la capacità del
follower a loro volta come leader e in cui gli stessi leader si sacrificano e fungano da
modelli morali, convogliando la propria attenzione e quella dei follower su obiettivi che
vanno oltre le esigenze più immediate del gruppo di lavoro. Questo stile promuove livelli
più alti di coinvolgimento, fiducia, impegno o lealtà da parte dei follower
È stato dimostrato però che la maggiore efficacia viene ottenuta dalla combinazione di
comportamenti di leadership transazionali con quelli trasformazionali.

Come la leadership trasformazionale influisce sui follower


I leader trasformazionali agiscono sui follower modificandone obiettivi, valori, bisogni, convinzioni
e aspirazioni. In tal caso si fa leva sul concetto di sé che i follower hanno e sui loro valori e identità
personali. Il leader, in tal caso, è influenzato da una serie di caratteristiche individuali e
organizzative. Nonostante i leader trasformazionali tendano ad essere più estroversi, ben disposti
e proattivi, con un elevato livello di intelligenza emotiva, la personalità e la leadership
trasformazionale sono correlate debolmente. Questa leadership è infatti meno legata ai tratti e
più soggetta a un’influenza manageriale. Inoltre, la stessa cultura organizzativa può misurare la
misura in cui si riesce ad adottare ad una leadership di tipo trasformazionale. Il leader
trasformazionale mette in atto quattro insiemi di comportamenti nello specifico:
• Motivazione ispiratrice: implica la creazione di una visione attraente per il futuro, l’uso di
argomentazioni emotive e un atteggiamento ottimista e entusiasta
• Influenza idealizzata: comprende comportamenti come il sacrificarsi per il bene del gruppo,
fungere da modello di ruolo ed esibire standard etici elevati. I leader, in questo caso, con il
loro modo di agire, danno forma ai valori, alle convinzioni o ai comportamenti desiderati per
realizzare la loro visione.
• Considerazione individuale: sono comportamenti associati all’offerta di supporto,
incoraggiamento e empowerment ai collaboratori. I leader devono rivolgere particolari
attenzioni ai follower e cercare strategie per favorirne lo sviluppo e la crescita.
• Stimolazione concettuale: comportamenti che incoraggiano i collaboratori a mettere in
discussione lo status quo e a cercare soluzioni creative a problemi organizzativi. È un
comportamento atto ad incoraggiare la creatività, l’innovazione e le capacità di problem
solving dei collaboratori.

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Ricerche e implicazioni manageriali


I dati a conferma del modello della leadership trasformazionali sottolineano sei importanti
implicazioni manageriali:
1. L’elaborazione di una motivazione ispiratrice dovrebbe essere considerata il primo passo
della leadership trasformazionale. In tal casosi individua un obiettivo di lungo periodo che
raccolta accordo e consensi, è quindi essenziale che questi valori vengano comunicati al
team per essere condivisi
2. I leader migliori non sono solo transazionale ma anche trasformazionali
3. La leadership trasformazionale non incide solo sui risultati individuali ma anche sulle
dinamiche e i risultati di gruppo
4. La leadership trasformazionale funziona anche nella realtà virtuale, quando il gruppo è
geograficamente disperso
5. I collaboratori appartenenti a tutti i livelli organizzativi possono essere formati a diventare
più transazionali e trasformazionali.
Infine, questo genere di leader si comportano in modo etico e rendono i collaboratori in grado di
aumentare la loro stima. La leadership trasformazionale etica può essere ottenuta come segue:
• Creando e rafforzando un codice chiaro di principi etici
• Assumendo, selezionando e promuovendo persone che esibiscono comportamenti etici
• Sviluppando aspettative di performance riguardo al trattamento dei collaboratori, che
possono essere valutate attraverso l’uso di alcuni parametri
• Formando i collaboratori a valorizzare la diversità
• Identificando e apprezzando esempi di elevata morale

16.6 ALTRE PROSPETTIVE DI LEADERSHIP


Analizziamo quattro ulteriori approcci di leadership

Modello di scambio tra leader e collaboratore


Tale modello ruota attorno ai rapporti diadici tra i manager e i diretti subordinati e si basa sulla
qualità di tali rapporti piuttosto che sui comportamenti o sui tratti del leader. Si differenzia anche
dalle altre teorie perché non parte dal presupposto che il comportamento del leader sia
necessariamente di leadership, ma che, piuttosto egli possa sviluppare nei confronti di ciascun
soggetto un rapporto personale, questo tipo di rapporto è stato chiamato diade verticale. Si dice
che tale rapporto sia di tipo naturale e risulti dal tentativo del leader di delegare i suoi ruoli. Vi
sono essenzialmente due tipi di scambio tra collaboratori e leader:
• Scambio all’interno del gruppo: i due creano un rapporto basato sulla fiducia, sulla stima e
sul rispetto reciproco. Condividono un senso di destino comune. Questo genere di scambio
è stato associato positivamente alla soddisfazione professionale
• Scambio all0esterno del gruppo: i leader sono supervisori che non riescono a creare un
senso di fiducia e rispetto reciproco

Implicazioni manageriali. Vi sono tre implicazioni manageriali che derivano da questo tipo di
approccio:
1. I leader sono incoraggiati a fissare aspettative di performance alte in quanto promuovono
uno scambio di qualità con i collaboratori

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2. Nonostante quando vi sono somiglianze tra leader è follower la qualità del rapporto è
spesso migliore, bisogna prestare attenzione a non creare un ambiente di lavoro troppo
omogeneo. La forza lavoro con caratteristiche diversificate apporta infatti notevoli benefici
3. Coloro che si trovano in una situazione mediocre di scambio tra leader e collaboratore
possono cercare di influenzare positivamente la situazione con un approccio assertivo, che
introduce elementi di novità alla relazione.
Leadership condivisa
In determinati contesti una sola catena di comando potrebbe risultare meno ottimale della
condivisione della responsabilità di leadership su più individui. Il concetto di leadership condivisa si
basa sull’idea che occorre condividere informazioni e collaborare per ottenere migliori risultati, è,
nello specifico, un processo di influenza dinamico e interattivo tra gli individui appartenenti ad un
gruppo al fine di guidarsi l’un l’altro al raggiungimento degli obiettivi del gruppo e della
organizzazione. Questo tipo di leadership può comportare un tipo di influenza laterale ma anche di
tipo gerarchico verso l’alto o il basso. è più probabile che tale metodo si riveli necessario quando si
lavora in team, per la gestione di processi complessi che si basano sulla conoscenza, che
richiedono indipendenza o creatività.

La leadership di servizio
La leadership di servizio si basa sul conetto che i grandi leader fungono da servitori, ponendo i
bisogni degli altri e dei collaboratori come priorità assoluta. Tale metodo si concentra
sull’incremento del servizio rivolto agli altri piuttosto che su quello rivolto a sé stessi. In questo
caso risulta molto poco probabile che i leader assumano comportamenti egoistici o che
danneggino gli altri. tale leadership è positivamente correlata alle performance, alla soddisfazione
lavorativa e alla creatività. Definiamo le caratteristiche del leader di servizio

Il ruolo dei follower nel processo di leadership


La leadership dipende anche dalla relazione dinamica che si istaura tra le persone coinvolte. I
leader e i follower si devono impegnare a sviluppare un rapporto appagante e reciprocamente
positivo. I follower evidenziano un grado variabile di impegno, consenso e resistenza rispetto ai
tentativi di influenza dei leader. Vi sono diverse tipologie di follower:

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• Facilitatori: mostrano deferenza e rispetto nei confronti del leader


• Indipendenti: prendono le distanze e manifestano meno consenso
• Ribelli: esprimono divergenze ed evidenziano il grado di consenso più basso
Altre tipologie di follower con un consenso moderato sono i diplomatici, i bipartisan e i consiglieri.
I leader non traggono vantaggio da follower che nascondono la verità, trattengono le idee o non
collaborano. La ricerca rivela che i follower che ammirano e rispettano il leader producono tre
risposte emotive
• Importanza: il lavoro di ciascuno è rilevante e degno di nota
• Comunità: un senso di unità incoraggia le persone a trattare gli altri con rispetto e dignità,
lavorando insieme per perseguire gli obiettivi organizzativi
• Entusiasmo: i collaboratosi si impegnano e sono pieni di energia

17. GESTIONE DEL CAMBIAMENTO E DELLO STRESS


La competizione a livello globale e il rapido progresso tecnologico esercitano una forte pressione
sulle organizzazioni imponendo la necessità di cambiare. La vita lavorativa diviene sempre più
complessa e sarà la gestione di questa complessità a determinare la sopravvivenza delle
organizzazioni su lungo periodo. Va inoltre notato che qualunque tipo di cambiamento, che sia
individuale, organizzativo o legato al prodotto, può incontrare una certa resistenza, che talvolta si
manifesta anche con un incremento dell’assenteismo e del turnover.

17.1 LE FORZE DEL CAMBIAMENTO


È possibile riconoscere che denotano la necessità di
cambiamento tramite il monitoraggio delle forze del
cambiamento. Molteplici sono le forze del cambiamento,
che possono derivare sia da fattori interni che esterni.
FORZE ESTERNE
Le forze esterne al cambiamento nascono fuori
dall’organizzazione ma possono mettere in discussione
l’interno di quest’ultima, a partire dall’essenza del
business fino ad arrivare al processo produttivo dei
prodotti:
• caratteristiche demografiche. Molti sono i
cambiamenti demografici che possono interessare la
forza lavoro: le differenze generazionali stanno
imponendo una trasformazione della progettazione e
commercializzazione dei prodotti, mentre la
disoccupazione giovanile alimenta una forte pressione
di cambiamento
• progressi tecnologici. Le aziende utilizzano sempre
più la tecnologia come mezzo per aumentare la produttività e la competitività sul mercato,
riducendo al contempo i costi. Alcuni esempi sono l’utilizzo sempre più frequente di social
network per il reclutamento di nuove risorse umane, le tecnologie informatiche come forma
di self-service e il telelavoro

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• cambiamenti legati al mercato, agli azionisti e ai clienti. Gli azionisti assumono un ruolo
sempre più attivo, esercitando forti pressioni al cambiamento delle organizzazioni. Le diverse
abitudini di consumo impongono di fornire sempre prodotti ad alto valore. Per quanto
riguarda i cambiamenti del mercato, le aziende si vedono costrette ad accrescere la loro
produttività a fronte della sempre più feroce competizione. Inoltre, il ciclo economico
altalenante continua a porre cambiamenti in risposta alla crescita o al calo di domanda.
• Pressioni socio-politiche. Questo tipo di forze è creato da eventi sociali o politici. Ad esempio,
la crescente attenzione al cambiamento climatico e il continuo aumento dei costi energetici
sono diventati motivazione di un cambiamento organizzativo verso una maggiore
sostenibilità. Anche i cambiamenti di tipo politico sono molto importanti ed è molto difficile
per le imprese prevederli.
Forze interne
Le forze interne al cambiamento derivano dall’interno dell’organizzazione e possono essere
impercettibili o manifestarsi con segni esteriori forti.
• Problematiche/prospettive legate alle risorse umane. Questo tipo di problemi nasce dalla
percezione dei collaboratori su come sono trattati sul posto di lavoro e dalla
corrispondenza tra i bisogni e desideri dell’individuo e quelli dell’organizzazione. Quando i
collaboratori sono insoddisfatti si verificano alti livelli di assenteismo e turnover. Le
organizzazioni, in tal caso, possono intervenire utilizzando diversi approcci
all’organizzazione del lavoro, riducendo i conflitti di ruolo, il sovraccarico di lavoro,
l’ambiguità ed eliminando le cause di stress
• Comportamento/decisioni del manager. Un eccessivo conflitto interpersonale tra
manager e subordinati è segnale della necessità di cambiamento. Entrambe le parti
potrebbero aver bisogno di una formazione interpersonale, o banalmente, di essere tenute
separate perché incompatibili. Un comportamento inadeguato del leader può dar luogo a
problemi legate alle risorse umane che necessitano di un cambiamento.

17.2 MODELLI E DINAMICHE DEL CAMBIAMENTO PIANIFICATO


Le soluzioni tampone non risolvono realmente i problemi e durano poco, il cambiamento
pertanto, deve essere considerato come una caratteristica naturale e costante della vita
organizzativa.
Tipologie di cambiamento
La classificazione di cambiamento generica
prevede una tipologia tripartita e riguarda tutte
le principali tipologie di cambiamento, da quello
amministrativo a quello tecnologico:
• Il cambiamento adattivo comporta meno
spese, meno incertezze e risulta meno
complesso. Si ha quando si propone lo
stesso cambiamento di una unità
organizzativa dopo qualche tempo dalla prima attuazione, o quando si riproduce un
cambiamento simile all’interno di un’unità diversa. Non risultano cambiamenti
particolarmente minacciosi per il collaboratore perché sono a lui familiari.
• I cambiamenti innovativi si situano a metà della scala di complessità, costi ed incertezza.
Potrebbe essere un esperimento di orario di lavoro flessibile, e sono cambiamenti che

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tendono ad attuarsi quando altre aziende del settore applicano le stesse soluzioni.
Comportano un certo grado di non familiarità e quindi incertezza
• I cambiamenti radicalmente innovativi sono i più difficili in assoluto da applicare e tendono a
comportare maggiori rischi, al tempo stesso, possono determinare maggiori benefici. Tali
cambiamenti devono trovare appoggio nella cultura organizzativa e si concludono con un
fallimento se sono incoerenti con i tre livelli della cultura: manifestazioni osservabili, valori
dichiarati e assunti di base.
Il modello di cambiamento di lewin
Lo studioso ha elaborato un modello in tre fasi del cambiamento pianificato, che spiega come
iniziare, gestire e stabilizzare il processo di cambiamento. Prima di passare alla descrizione delle
fasi è necessario mettere in luce gli assunti alla base del modello:
1. Il processo di cambiamento implica l’apprendimento di qualcosa di nuovo e l’interruzione
degli atteggiamenti, dei comportamenti e delle pratiche organizzative in uso
2. Il cambiamento non si verifica senza motivazione
3. Le persone sono il cuore di qualsiasi cambiamento organizzativo. Infatti, il cambiamento, a
qualsiasi livello, richiede un cambiamento dell’individuo
4. Il fatto che gli obiettivi del cambiamento siano molto desiderabili non significa che non si
verifichi comunque della resistenza al cambiamento
5. Un cambiamento per essere efficace richiede che si rinforzino i comportamenti e le
politiche organizzative nuove

Le tre fasi del cambiamento sono:


1. Scongelamento: in questa fase ci si concentra sulla creazione di una motivazione al
cambiamento. Gli individui sono incoraggiati a cambiare i loro comportamenti con quelli
nuovi desiderati. Gli individui devono quindi in primo luogo diventare insoddisfatti del
vecchio modo di fare le cose. Il tal caso è utile apportare il benchmarking, esso descrive il
processo con cui l’azienda confronta la propria performance con quella delle altre aziende,
per comprendere come le aziende più forti riescano a raggiungere tali risultati. Questi dati,
poi, sono utilizzati per scongelare il comportamento dei collaboratori e motivarli a nuovi
atteggiamenti per poter rimanere competitivi
2. Trasformazione: è la fase durante la quale il cambiamento organizzativo si compie. Il
cambiamento implica apprendimento, pertanto è necessario informare i collaboratori sui
nuovi modelli comportamentali e sulle diverse modalità di svolgimento del lavoro. Il
cambiamento di per sé può riguardare diversi obiettivi, ottenere miglioramenti o crescita
oppure risolvere un problema, e può coinvolgere livelli diversi dell’organizzazione. Il
cambiamento dovrebbe essere mirato al raggiungimento di un risultato finale auspicabile e
in tal caso, è bene utilizzare il modello sistemico del cambiamento al fine di individuare che
cosa deve essere cambiato.
3. Ricongelamento. Tale fase è finalizzata a sostenere e rinforzare il cambiamento, portando i
collaboratori ad adottare questo nuovo modo nella loro normale routine. Questo obiettivo
si raggiunge in primo luogo, mostrando ai collaboratori nuovi atteggiamenti e, in un
secondo momento, utilizzando il rinforzo, come l’uso di ricompense o di incentivi
economici al fine di ricongelare i comportamenti.

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Un modello sistemico del cambiamento

Un approccio sistemico adotta una prospettiva più ampia del cambiamento organizzativo. Si basa
sul concetto che qualsiasi cambiamento, indifferentemente dalla dimensione, ha un effetto a
cascata all’interno dell’organizzazione. Tale modello offre ai manager una struttura per individuare
che cosa cambiare e per stabilire come valutare il successo di un’azione di cambiamento. Le
quattro componenti principali sono:
• Input: qualsiasi cambiamento organizzativo dovrebbe essere coerente con la missione, la
visione e il piano strategico dell’organizzazione. La definizione della missione rappresenta
la ragione di esistenza dell’azienda, mentre la visione ne determina l’obiettivo a lungo
termine, descrivendo cosa l’organizzazione vuole diventare. Pertanto, la visione richiedere
un confronto con le altre imprese e la creazione di piani strategici per il raggiungimento
dell’obiettivo, ovvero di cambiamento.
• Piani strategici: questi delineano la direzione aziendale a lungo termine e le azioni
necessarie per raggiungere tali obiettivi. Attraverso un’analisi SWOT è possibile un
confronto utile all’elaborazione di una strategia organizzativa efficace.
• Obiettivi del cambiamento: rappresentano le componenti dell’organizzazione che
potrebbero essere modificate. La scelta della leva di cambiamento giusta si basa su una
diagnosi dei problemi oppure su un’identificazione delle azioni necessarie per raggiungere
un obiettivo. Come illustrato dall’immagine gli elementi sottoponibili ad un’azione di
cambiamento sono quattro: gli accordi organizzativi, i fattori sociali, i metodi e le persone.
Ciascuno di essi contiene un sottoinsieme di caratteristiche organizzative più specifiche. Vi
sono poi altri due elementi da ricordare rispetto agli obiettivi del cambiamento: Il primo, le
doppie frecce che collegano tutti gli obiettivi di cambiamento e che indicano che il
cambiamento si ripercuote sull’intera organizzazione; il secondo, che la componente delle

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persone si trova al centro del riquadro perché tutti i cambiamenti organizzativi finiscono
per determinare un effetto sui dipendenti.
• Output: rappresentano i risultati finali che ci si aspetta dal cambiamento. Questi ultimi
dovrebbero essere coerenti con il piano strategico. Il cambiamento può essere indirizzato a
livello organizzativo, di gruppo o a livello individuale.

Applicare il modello sistemico del cambiamento. Tale modello può essere applicato secondo due
modalità diverse: come strumento di ausilio nel processo di pianificazione strategica, una volta che
p manager hanno definito gli obiettivi strategici possono utilizzare gli obiettivi del cambiamento
nello sviluppo dei piani d’azione per sostenere la strategia, oppure utilizzarlo come schema di
individuazione delle cause di un problema organizzativo.

Le otto fasi di kotter nella gestione del cambiamento organizzativo


Kotter sostiene che il cambiamento organizzativo solitamente fallisce perché il management
commette una moltitudine di errori sulla fase di implementazione, ha quindi ideato un processo
articolato in otto fasi per la gestione del cambiamento. Queste otto fasi sottintendono quanto
ideato nel modello di cambiamento di Lewin. Le prime quattro rappresentano la fase di
scongelamento, le successive tre quella di trasformazione e l’ultima corrisponde al
ricongelamento. La ricerca inoltre, evidenzia che è inefficiente saltare le fasi e che i manager
tendono a commettere errori proprio nelle fasi iniziali:
1. Stabilire un senso di urgenza: scongelare l’organizzazione dando una motivazione di
necessità impellente di cambiamento
2. Creare la coalizione guida: creare un gruppo di persone interfunzionale e trasversale che
abbia abbastanza potere per dirigere il cambiamento
3. Sviluppare una visione e una strategia: creare una visione e un piano strategico che guidino
il processo
4. Comunicare la visione di cambiamento: creare e applicare una strategia comunicativa che
permetta di comunicare in modo efficace la nuova visione
5. Incentivare un’azione partecipativa: eliminare le barriere al cambiamento. Incoraggiare
l’assunzione di rischio e la risoluzione creativa dei problemi
6. Generare successi a breve termine: pianificare successi e miglioramenti a breve termine
7. Consolidare i successi e produrre ancora più innovazioni: la coalizione guida utilizza la
credibilità guadagnata dalle vittorie a breve termine per introdurre ulteriori cambiamenti.
Un numero sempre più crescente di persone viene introdotto nella fase di cambiamento
8. Ancorare i nuovi approcci alla cultura: rinforzare i cambiamenti evidenziando le
connessioni tra i nuovi comportamenti e i processi del successo organizzativo.
Determinare il cambiamento attraverso lo sviluppo organizzativo
Lo sviluppo organizzativo si differenzia dai modelli di cambiamento analizzati finora perché non
prevede una sequenza strutturata e si contraddistingue per un orientamento molto più ampio.
Viene definito sviluppo organizzativo quell’insieme di interventi pianificati per aiutare i
collaboratori a lavorare e convivere più efficientemente all’interno dell’organizzazione nel corso
del tempo. Tali obiettivi vengono raggiunti applicando metodi e principi delle scienze
comportamentali. Lo sviluppo organizzativo, quindi, costituisce un insieme di tecniche che
possono essere usate per implementare il cambiamento organizzativo pianificato mirato ad
accrescere la capacità di un’organizzazione di migliorarsi. Lo sviluppo organizzativo viene attuato

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da individui che sono definiti agenti del cambiamento. Questi ultimi aiutano le organizzazioni a
gestire i problemi di vecchia data in modo nuovo.
Come funziona lo sviluppo organizzativo. Gli agenti del cambiamento diagnosticano i problemi e
ne prescrivono un intervento, verificandone i successi. Se dalla valutazione non emerge un
cambiamento positivo le informazioni ottenute vengono impiegate per affinare l’analisi e valutare
l’efficacia dell’intervento:
1. Diagnosi: si ricorre a interviste, sondaggi e osservazione diretta per individuare il problema
e le sue cause. Bisogna in tal caso elaborare domande diagnostiche mirate
2. Intervento: è dato dai cambiamenti attuati per risolvere il problema esistente ed è calibrato
in base alle cause. L’elemento da ricordare è che non esiste un insieme di misure applicabili
a tutte le situazioni, si deve piuttosto intervenire sulla base delle teorie e modelli
3. Valutazione: l’organizzazione è chiamata a produrre misure di efficacia, a seconda del
problema esistente. La valutazione finale dovrebbe basarsi sul confronto tra efficacia pre e
post intervento.
4. Feedback: se dalla valutazione emergono risultati positivi è necessario congelare i nuovi
comportamenti nel modo migliore. Se, al contrario, i risultati sono negativi questo può
essere indice di due problemi: la diagnosi iniziale era sbagliata oppure l’intervento non è
stato effettuato efficacemente. In tal caso l’agente è tenuto a raccogliere maggiori
informazioni sulle fasi uno e due
Ricerche e implicazioni pratiche. Dagli studi legati allo sviluppo organizzativo sono emersi i
seguenti risultati con le annesse implicazioni pratiche:
• La soddisfazione di un collaboratore in presenza di un cambiamento cresce quando il top
management dimostra un alto livello di coinvolgimento. Il cambiamento organizzativo ha,
quindi maggiori probabilità di successo quando il top management si impegna nel processo
di cambiamento e nei confronti degli obiettivi definiti
• Le ricerche sostengono che il modello sistematico del cambiamento organizzativo sia
auspicabile e funzioni. Vi è inoltre una presenza di correlazione positiva tra il cambiamento
comportamentale individuale e quello a livello organizzativo. In tal senso i programmi di
cambiamento sono più efficaci se mirati al raggiungimento di obiettivi sia di breve che di
lungo periodo
• Gli interventi multiformi che utilizzano più di una tecnica di sviluppo organizzativo riescono
a modificare meglio gli atteggiamenti nei confronti del lavoro rispetto agli interventi basati
soltanto su un approccio tecnico-strutturale. È quindi dimostrato che il cambiamento
organizzativo pianificato funziona e che dovrebbero essere utilizzati interventi multiformi
• Alcuni interventi di sviluppo organizzativo non sono legati alla cultura mentre altri sì, quindi
l’efficacia di questi dipende anche da considerazioni interculturali.

17.3 CAPIRE E GESTIRE LA RESISTENZA AL CAMBIAMENTO


A prescindere dalla perfezione tecnica del cambiamento, sono le persone a farlo addare in porto o
meno. Per supportare il cambiamento si utilizzano delle tecniche di influenza, che, come abbiamo
visto, possono produrre tre esiti distinti: resistenza, adeguamento ed impegno. In passato, la
ricerca sulla resistenza si è basata sul presupposto secondo il quale gli agenti del cambiamento
agiscono in modo adeguato e corretto mentre i destinatari del cambiamento pongono ostacoli o
barriere irragionevoli. La resistenza era quindi considerata come un esito negativo determinato da
soggetti irrazionali o intenti a curare solo i propri interessi. In certi casi, però, è altrettanto
probabile che la resistenza derivi da altri due fattori importanti: le caratteristiche, le azioni ed

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omissioni degli agenti del cambiamento e la qualità del rapporto tra gli agenti e i destinatari del
cambiamento. È necessario quindi comprendere quali siano le principali cause di questa resistenza
al cambiamento.

Le cause della resistenza al cambiamento


La resistenza al cambiamento è una reazione emotiva e comportamentale a fatti reali o
immaginari che minacciano lo status quo. Essa può essere nascosta, come nel caso di
rassegnazione passiva o manifesta, nel caso di sabotaggio deliberato. In questo modello la
resistenza viene considerata come l’effetto dato dall’interazione dinamica tra le cause, e non
come la conseguenza di un comportamento irrazionale o testardo dei destinatari. La resistenza si
basa infatti principalmente sulla percezione del cambiamento, che è a sua volta influenzata da
atteggiamenti esibiti dagli agenti e dallo stesso livello di fiducia che intercorre tra agenti e
destinatari
Caratteristiche dei destinatari. Tra queste è compresa una molteplicità di caratteristiche
individuali, azioni o omissione, nonché la stessa percezione del cambiamento. Sei sono le
caratteristiche principali dei destinatari del cambiamento:
1. Predisposizione individuale nei confronti del cambiamento: tale caratteristica è molto
personale e radicata nell’individuo. La resilienza al cambiamento, ad esempio, è una
caratteristica composita che riflette un alto livello di autostima, ottimismo e locus of
control interno ed è risultata positivamente associata alla disponibilità di adeguarsi al
cambiamento
2. Sorpresa e paura dell’ignoto: avviene spesso quando si introduce un cambiamento
innovativo o radicalmente innovativo senza preavviso e i collaborati iniziano ad aver paura
per le possibili conseguenze. Accade quando i manager presentano i nuovi obiettivi senza
illustrare i piani strategici per il raggiungimento di essi
3. Paura del fallimento: cambiamenti intimidatori sul lavoro possono portare i collaboratori a
dubitare delle proprie capacità
4. Perdita di status o di sicurezza lavorativa: cambiamenti che minacciano di alterare i
fondamenti del potere o di eliminare posti di lavoro generano forti resistenze
5. Pressioni da parte dei colleghi: qualcuno che non è direttamente coinvolto nel
cambiamento resiste attivamente per proteggere gli interessi dei colleghi
6. Successi passati: produce una testarda resistenza data dal fatto che i collaborati si
convincono del fatto che ciò che è stato vincente in passato continuerà ad esserlo.
Caratteristiche dell’agente di cambiamento. Anche questi individui si caratterizzano per una
molteplicità di differenza individuali. Vi sono cinque caratteristiche essenziali:
1. Decisioni che comportano l’abbandono di tradizioni culturali o relazioni di gruppo: ogni
volta che un collaboratore viene trasferito le dinamiche culturali e di gruppo vengono
messe in una situazione di squilibrio. La resistenza aumenta l’incertezza associata alla
gestione dei rapporti.
2. Conflitti di personalità: la resistenza può nascere da un conflitto di personalità degli attori
del cambiamento, in particolar modo che gli agenti del cambiamento detengono le
caratteristiche tipiche della cattiva leadership
3. Mancanza di tatto o tempestività sbagliata: la resistenza può nascere dal fatto che i
cambiamenti sono introdotti senza tatto o nel momento sbagliato. Una strategia per
evitare resistenza potrebbe essere quella di spiegare in che modo tale cambiamento è
necessario per il successo dell’organizzazione
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4. Stile di leadership: le probabilità di innescare resistenza si riducono quando la leadership è


di tipo trasformazionale
5. Mancata legittimazione del cambiamento: prima che venga accettato il cambiamento deve
essere interiorizzato dai destinatari. Per fare ciò è necessaria una comunicazione onesta e
attiva e l’attuazione di meccanismi di rinforzo e di ricompensa.
Rapporto tra l’agente e i destinatari. La resistenza è minore quando i due attori sono legati da un
rapporto positivo, basato sulla fiducia. La mancanza di fiducia può condannare al fallimento anche
un tentativo di cambiamento perfetto sotto gli aspetti tecnici.

Strategie alternative per vincere la resistenza al cambiamento


La resistenza è una forma di feedback. Esistono maggiori probabilità che i dipendenti oppongano
resistenza quando i costi individuali del cambiamento superano i benefici. In tal caso si consiglia di:
• Fornire quante più informazioni possibili riguardo al cambiamento
• Illustrare le ragioni e la logica del cambiamento
• Organizzare riunioni per rispondere alle domande dei collaboratori sul cambiamento
• Offrire ai collaboratori un confronto su come il cambiamento inciderà sulla loro vita
lavorativa
Applicando queste raccomandazioni si può, allo stesso tempo migliorare il rapporto tra agente e
destinatario e accrescere la fiducia tra i due. Lo stesso management deve ricercare dei feedback
da parte dei collaboratori rispetto ad eventuali ostacoli che possono interferire con le possibilità di
attuare il cambiamento. In questi casi gli agenti non devono temere di modificare gli obiettivi del
cambiamento o l’approccio adottato in risposta alla resistenza al cambiamento. La stessa
partecipazione dei dipendenti, infatti, rappresenta un modo attraverso cui è possibile ridurre la
resistenza, spesso però queste richiedono anche un lasso di tempo non sempre disponibile. Di
seguito le sei strategie per vincere la resistenza al cambiamento:

17.4 DINAMICHE DELLO STRESS


I ricercatori hanno dimostrato che lo stress da origine a due reazioni fondamentali:
combattimento attivo o reazione passiva (fuga o accettazione), ovvero la cosiddetta reazione
combattimento o fuga. Problemi di tutti i giorni, quali scadenze da rispettare, conflitti con i

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membri del team o sovraccarico di informazioni possono generare stress e la nostra risposta a
quest’ultimo può dar vita o meno ad effetti collaterali.

Definizione di stress
Lo stress è una reazione adattativa, mediata dalle caratteristiche individuali e/o da processi
psicologici che si presenta in conseguenza ad azioni esterne che sono particolarmente esigenti da
un punto di vista fisico o psicologico. Suddividiamo la definizione per maggior chiarezza in tre
componenti: (1) richieste ambientali, definite agenti stressanti che producono (2) una reazione
adattativa che varia a seconda delle (3) differenze individuali. Selye fu il primo studioso a
distinguere tra agenti stressanti e reazione allo stress, ponendo particolare enfasi sul fatto che
eventi sia negativi che positivi possono originare la stessa reazione, che a sua volta può essere
utile o dannosa. In tal senso, è stato definito eustress quella forma di stress positivo o che produce
conseguenze positive. Inoltre:
• Lo stress non è semplice tensione nervosa
• Lo stress può avere conseguenze positive
• Lo stress non va evitato
• La completa assenza di stress è la morte
Il manager si deve quindi piuttosto impegnare a gestire questo fenomeno e non ad evitarlo del
tutto.

Un modello di stress lavorativo


Secondo il modello l’individuo prova
inizialmente quattro tipologie di agenti
stressanti ed è di conseguenza motivato
a scegliere la strategia più adatta per
ciascun agente- il modello specifica
inoltre molte differenze individuali che
moderano il processo legato allo stress.
Un moderatore, nello specifico, è una
variabile che rende la relazione con le
altre due variabili (agente stressante e
valutazione cognitiva) più forte o più
debole a seconda dell’individuo.
Vediamo nel dettaglio le altre
componenti del modello:
Agenti stressanti. Sono fattori
ambientali che producono stress. Le
quattro tipologie principali sono:
• Individuali: legati direttamente alla
mansione della persona (sovraccarico, conflitti di ruolo, ambiguità di ruolo, controversie etc.)
• A livello di gruppo: sono legate alle dinamiche specifiche di gruppo e al comportamento
manageriale i manager creano stress nei collaboratori se: si comportano in modo incoerente,
non danno sostegno, dimostrano poco interessamento, non dirigono in modo efficace, danno
vita ad un ambiente ad elevata produttività e si concentrano solo sulle performance negative
senza notare quelle positive

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• A livello organizzativo: ad esempio un ambiente di lavoro che pone richieste pressanti sui
lavoratori e quindi alimenta lo stress, l’utilizzo crescente delle tecnologie e il sovraccarico
eccessivo di informazioni
• Extra-organizzativi: legati a fattori che risiedono al di fuori dell’organizzazione e che nascono
dal tentativo di conciliare il lavoro con la vita privata
Valutazione cognitiva degli agenti stressanti. La valutazione cognitiva riflette la percezione o
valutazione che l’individuo dà di una situazione o di un agente stressante. Le persone interpretano
in modo diverso gli agenti stressanti e compiono due tipi di valutazione sull’impatto degli agenti
stressanti:
• Valutazione primaria: è una categorizzazione dell’agente stressante come irrilevante,
positivo o stressante. Questi ultimi sono percepiti come pericolosi o difficili da affrontare
• Valutazione secondaria: ha luogo solo ed esclusivamente quando l’agente stressante viene
categorizzato nella fase precedente come “stressante” e implica una valutazione su che
cosa si possa fare per ridurre il livello di stress percepito. La persona prende in esame
quindi le strategie che si possono adottare
Strategie. Le strategie per affrontare lo stress sono caratterizzate da comportamenti e cognizioni
specifiche utilizzate per gestire una situazione. Per gestire agenti stressanti le persone utilizzano
una combinazione di tre approcci:
• Strategia del controllo: utilizzo di comportamenti e cognizioni che anticipano e risolvono
direttamente i problemi. Si tende a gestire la situazione affrontando di petto il problema.
Le persone che tendono a ricorrere a questa strategia sono dotate di auto-stima, auto-
efficacia e capacità di problem solving. Una particolare strategia di controllo è stata
definita distacco psicologico, ovvero il mancato coinvolgimento in attività, pensieri e
sentimenti legati all’attività lavorativa durante il proprio tempo libero
• Strategia della fuga: prevede di evitare il problema anzi che affrontarlo. Gli individui
utilizzano questa strategia quando accettano in modo passivo le situazioni o le evitano
perché incapaci di confrontarsi con esse
• Strategia di gestione dei sintomi: consiste nell’utilizzare metodi come il rilassamento ma
meditazione o l’esercizio fisico per gestire i sintomi dello stress.
Conseguenze dello stress. Lo stress porta conseguenze a livello attitudinale, comportamentale,
cognitivo e fisico. Sul posto di lavoro esso è correlato negativamente alla soddisfazione, al
commitment, alle emozioni positive e alle performance ed è associato a comportamenti negativi

Moderatori dello stress occupazionale


I moderatori sono variabili che indeboliscono o rafforzano la relazione tra agenti stressanti, stress
percepiti e conseguenze. Il manager deve conoscere i principali moderatori dello stress a fronte
anche di alcuni concetti che devono essere tenuti a mente:
• La consapevolezza dell’esistenza dei moderatori aiuta ad identificare le persone più
esposte a subire stress, a fronte di ciò è bene ideare programmi mirati per i collaboratori
più a rischio
• I moderatori suggeriscono possibili soluzioni volte alla riduzione delle conseguenze
negative legate allo stress lavorativo

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Esaminiamo ora tre importanti moderatori:


Sostegno sociale. avere relazioni sociali significative aiuta le persone a gestire meglio lo stress. Si
definisce sostegno sociale la quantità percepita di sostegno derivante dalle relazioni sociali. Vi
sono quattro tipi di sostegno sociale:
• Di stima: comunicare che una persona è accettata e rispettata
• Conoscitivo: aiutare a definire, capire ed affrontare i problemi
• Sociale: passare con altri del tempo dedito ad attività ricreative
• Pratico: dare aiuto economico, fornire risorse o servizi
I manager, in primo luogo dovrebbero informare i propri collaborati dei sistemi di sostegno
presenti all’interno ed esterno dell’organizzazione e, in secondo luogo, tenere a mente che i
collaborati hanno bisogno di tempo ed energia per mantenere le loro relazioni sociali. Le richieste
dell’azienda, quindi, non devono essere eccessive.

Hardiness. Riguarda un insieme di specifiche caratteristiche della personalità che neutralizzano lo


stress lavorativo. Tali caratteristiche implicano la capacità di trasformare dal punto di vista
percettivo gli agenti stressanti negativi in sfide positive. L’hardiness è composta da alcune
caratteristiche specifiche individuali: commitment, ovvero la misura in cui l’individuo è coinvolto
nel compito che sta svolgendo; locus of control interno, ovvero il pensiero di poter influenzare le
situazioni della propria vita; la sfida, cioè la convinzione che il cambiamento sia normale e che sia
un’opportunità di crescita e sviluppo e non una minaccia. Il concetto di hardiness non va d’accordo
con la programmazione delle mansioni poiché un lavoro vario alimenta le dimensioni di
commitment e sfida.

Comportamento di tipo A. tale comportamento è una complessa azione-emozione osservabile in


qualsiasi individuo coinvolto in modo prepotente nello sforzo cronico e incessante di ottenere
sempre di più in minor tempo. È una forma di conflitto e sfida interiore socialmente accettabile.
Questo comportamento viene anche definito come “malattia della fretta” e vien misurato su una
scala che va da un estremo all’altro: da una parte l’individuo A, sempre di fretta e molto
competitivo; dall’altra l’individuo B, più rilassato. Nonostante i collaboratori che rientrano in
questa definizione tendono ad essere più produttivi il management deve evitare di sovraccaricare
il loro lavoro, nonostante sembrino sempre disposti ad accettare un maggior carico. Questo tipo di
comportamento è, inoltre, associato anche ad alcune conseguenze negative quali maggiori
sentimenti di rabbia, ostilità e aggressività.

Tecniche per ridurre lo stress


È necessario che le organizzazioni attuino una molteplicità di programmi mirati ad aiutare i
collaboratori a gestire lo stress. Le tecniche sono molte e molto svariate le quattro principali sono:
il rilassamento muscolare, il biofeedback (macchina che localizza la tensione muscolare), la
meditazione e la ristrutturazione cognitiva (vengono identificati i pensieri inadeguati e sostituiti
con pensieri razionali e logici). È stato dimostrato che il processo di ristrutturazione cognitiva è
anche il più efficace e si articola in cinque fasi:
1. Individuare la circostanza avversa o il problema
2. Elencare le proprie convinzioni rispetto a tale circostanza
3. Identificare le conseguenze delle proprie convinzioni
4. Mettere in discussione le proprie convinzioni. Solitamente i pensieri negativi sono una
reazione esagerata, il primo passo consiste nel ridimensionare le impressioni errate o distorte
5. Descrivere la carica e sensazione di empowerment che si provano

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Le organizzazioni devono poi mettere a punto approcci più mirati a ridurre lo stress, in tal senso ne
identifichiamo due:
• Programmi di assistenza ai dipendenti: riguardano un ampio ventaglio di iniziative mirate
ad aiutare i collaboratori ad affrontare le difficoltà che possono incidere negativamente
sulle prestazioni lavorative
• Approccio di benessere olistico: va oltre la semplice riduzione dello stress e si articola su
cinque dimensioni: la responsabilità (del benessere), la consapevolezza nutrizionale, la
riduzione dello stress e del rilassamento (tecniche di rilassamento per ridurre i sintomi
dello stress), benessere fisico (fare ginnastica con regolarità) e sensibilità ambientale.

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