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Il mondo della produzione e dei consumi ha subito nel corso degli ultimi decenni cambiamenti
epocali che hanno segnato la transizione dall’economia industriale del secolo scorso a quella che
viene attualmente definita economia della conoscenza. A questo cambiamento hanno
contribuito molteplici fattori e tra fenomeni che hanno segnato in modo profondo la società in
cui oggi viviamo:
• La diffusione delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni;
• La globalizzazione;
• Il miglioramento degli standard di vita.
L’effetto complessivo di questi cambiamenti ha una portata rivoluzionaria, che mette al centro
dei processi di sviluppo economico la conoscenza, le competenze, l’istruzione, la creatività e
l’innovazione. Gli elementi che connotano la nuova economia sono, in primo luogo, la velocità
nella creazione, applicazione e diffusione di una nuova conoscenza, che obbliga con ritmo
incalzante individui e organizzazioni a rimanere al passo con l’evoluzione continua e spesso
imprevedibile della tecnologia e delle scoperte scientifiche. Altra novità distintiva è la
smaterializzazione dei processi di generazione del valore. La conoscenza rappresenta sovente una
parte importante dei beni offerti dalle imprese, tanto da rendere difficile, in alcuni casi, la
distinzione tra prodotti e servizi.
Tutto ciò ha trasformato in mondo assai profondo anche il mondo del lavoro. La velocità
nell’evoluzione di conoscenze e tecnologie obbliga tutti i lavoratori, qualunque sia l’occupazione
svolta, ad acquisire su base continuativa nuove competenze, abilità e profili professionali in modo
da riuscire ad adeguarsi e a volte anticipare i cambiamenti, in uno sforzo che va ben oltre il
tradizionale aggiornamento professionale. Particolare rilevanza hanno acquisito i cosiddetti
knowledge worker che, secondo un’accezione ampia, in alcuni paesi costituirebbero circa il 40%
del totale degli occupati negli ultimi anni. Anche se non c’è una definizione universalmente
accettata, questa categoria comprende tutti quei lavoratori per i quali la conoscenza rappresenta
al tempo stesso sia il principale input sia il prodotto stesso del lavoratore. Le peculiarità di questa
categoria di lavoratori pongono sfide significative per chi, all’interno delle organizzazioni, deve
capire quali approcci adottare per creare contesti di lavoro in grado di accoglierli e far emergere
il loro potenziale. Ma sarebbe un errore pensare che nell’economia della conoscenza siano spariti
i lavori manuali. Nonostante la globalizzazione abbia incentivato un numero crescente di imprese
a esternalizzare e delocalizzare all’estero le attività labour-intensive, anche nei paesi ad economia
avanzata continuano ad esistere le fabbriche manifatturiere, i cantieri edili, le aziende agricole in
cui una quota importante di occupati svolge lavori che rimangono prevalentemente manuali o
legati all’esecuzione di processi di trasformazione in larga parte standardizzati.
Anche rispetto ai lavori più tradizionali, le organizzazioni si trovano oggi a dover capire come
ripensare i modelli di gestione del passato, che si sono rivelati in molti casi inadeguati sia sotto il
profilo dell’efficienza e della produttività, sia dell’efficacia e della sicurezza. Oltre alla tecnologia,
numerosi altri fattori sia interni che esterni dovrebbero concorrere alle decisioni su come
organizzare ed eventualmente ripensare il lavoro.
APPROCCIO MECCANICISTICO
L’uomo si è trovato a decidere come organizzare il lavoro fin dai tempi dell’antichità. Tuttavia è
con la rivoluzione industriale che l’organizzazione del lavoro è divenuta una delle problematiche
fondanti delle scienze manageriali. L’approccio meccanicistico alla progettazione del lavoro si
sviluppa in questo periodo storico con l’obiettivo di massimizzare l’efficienza organizzativa
creando mansioni semplici e specializzate in grado di sfruttare pienamente i vantaggi offerti dalla
meccanizzazione. L’esempio tipico è la catena di montaggio, in cui ad ogni operatore è affidata
una mansione estremamente semplificata, che corrisponde ad una micro-fase del processo
produttivo e che può essere rappresentata anche da un unico gesto, come ad esempio avvitare
un bullone. L’approccio meccanicistico ha come matrice disciplinare l’ingegneria industriale
classica e trova la sua espressione più conosciuta nei principi dello scientific management proposti da
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Frederick Taylor nella sua monografia del 1911 che hanno ispirato i modelli di organizzazione
del lavoro adottati nell’industria manifatturiera, il cosiddetto fordismo, per buona parte del
secolo scorso. Lo scientific management si basa su una spinta divisione del lavoro tra diversi
operatori e un’allocazione dei compiti di decisione, coordinamento e controllo ad un supervisore.
Ciò permetteva di individuare mansioni elementari che venivano più attentamente studiate dagli
analisti del lavoro per identificare il modo migliore e più efficiente di eseguire ciascuna mansione.
Pur partendo da una matrice disciplinare diversa, ai principi fondanti dell’approccio
meccanicistico è possibile ricondurre anche il modello di lavoro burocratico ispirato all’opera del
sociologo tedesco Max Weber. Nel secolo scorso, per l’organizzazione de lavoro dei “colletti
bianchi” (ovvero il lavoro di ufficio), il modello burocratico ha rappresentato in termini di
influenza e pervasività di applicazione ciò che il taylorismo è stato per i “colletti blu” (ovvero per
il lavoro in fabbrica).
APPROCCIO MOTIVAZIONALE
A partire dagli anni 50 inizia a farsi strada un insieme di studi e teorie di matrice psicologica e
sociologica che mettono al centro dell’attenzione le caratteristiche delle mansioni che influiscono
sul significato psicologico del lavoro e sul potenziale motivazionale. Alla base vi è una visione
dell’uomo-lavoratore come portatore di bisogni psicologici e relazionali e non solo meramente
economici, che il lavoro può contribuire a soddisfare sia attraverso la dimensione sociale di
appartenenza ad un gruppo, sia attraverso il contenuto della mansione che può diventare una
fonte di ricompensa intrinseca. La motivazione intrinseca consiste in sensazioni positive in
termini di interesse, divertimento, senso di competenza che si ricavano dal fare bene il proprio
lavoro e indipendenti da fattori esterni, come incentivi monetari ed approvazione del capo o dei
colleghi. Gli studi di Maslow e Herzberg contribuiscono ad affermare la necessità di avviare un
processo di revisione e correzione degli eccessi del fordismo che stavano generando un clima di
crescente conflittualità e disaffezione dal lavoro nelle fabbriche. Il modello delle caratteristiche
del lavoro elaborato da Hackman e Oldham costituisce uno dei contributi teorici più importanti
dell’approccio motivazionale. Il modello individua cinque caratteristiche fondamentali del lavoro
che influiscono sulla motivazione intrinseca e soddisfazione legata al lavoro:
• Varietà: dipende dalla numerosità e diversità dei compiti assegnati che richiedono al
lavoratore di utilizzare abilità e capacità diverse nello svolgimento della mansione;
• Identità: misura quanto un compito sia eseguito in modo completo dall’inizio alla fine;
• Significatività: dipende dalla possibilità di identificare il contributo della mansione al
risultato finale dell’organizzazione;
• Autonomia: misura il grado di discrezionalità che il lavoratore esercita nella
programmazione dei compiti e nella scelta delle modalità di esecuzione;
• Feedback: misura quante informazioni il lavoratore riceve sull’efficacia della propria
prestazione.
A seconda di come sono progettate le mansioni, queste caratteristiche possono manifestarsi in
vari gradi. Generalmente, maggiore sarà il loro livello tanto più alto è il contenuto motivazionale
del lavoro poiché queste cinque caratteristiche influiscono su tre stati psicologici critici: il
significato attribuito al proprio lavoro, la responsabilità e la conoscenza dei risultati.
Per decidere quante e quali attività ricomprendere in ciascuna mansione occorre tener conto di 3
variabili fondamentali:
1. Economie di specializzazione: già nella metà del 700, il grande economista inglese Adam Smith
aveva compreso che la divisione del lavoro può creare significativi vantaggi di efficienza
nell’esecuzione delle attività dovute all’apprendimento. La presenza di elevate economie
di specializzazione nell’esecuzione di attività spinge a parcellizzare il lavoro e a creare
mansioni altamente specializzate, che includono poche attività. L’entità dei vantaggi di
efficienza conseguibili attraverso la specializzazione dipende dalla divisibilità tecnica del
lavoro ma anche dalle dimensioni del mercato. La specializzazione delle mansioni crea
vantaggi ma anche rigidità.
2. Interdipendenza tra attività: un fattore che incide sulla scelta di quante e quali attività
assegnare ad una stessa persona è il grado di interdipendenza tra le attività stesse, ovvero
il legame che presentano. Un fattore che può generare interdipendenza è la specificità
delle conoscenze necessarie a svolgere in modo efficiente ed efficace un’attività rispetto
all’altra. Più forte è l’interdipendenza tra attività diverse, maggiore è la necessità di
assicurare uno stretto coordinamento tra le stesse per non pregiudicarne l’efficace
svolgimento.
3. Bisogno di identità e contribuzione: l’opportunità e convenienza ad allargare le mansioni deve
tener conto anche di quanto è forte il bisogno di autorealizzazione nel lavoro che le
persone manifestano.
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Queste soluzioni organizzative hanno senza dubbio contribuito a riconoscere la centralità della
persona nelle scelte di job design. Al tempo stesso, è necessario essere consapevoli degli ostacoli
che possono ridurre l’efficacia di questi interventi organizzativi. Spesso le organizzazioni parlano
di empowerment dei propri collaboratori quando in realtà si limitano ad ampliare i loro compiti.
Un ulteriore problema che le organizzazioni devono affrontare è rappresentato dal rischio di un
“sovraccarico” della mansione che si verifica quando si supera quel limite oltre il quale l’aggiunta
di compiti, responsabilità, conoscenze richieste, porta ad un decadimento della performance e
della soddisfazione sul lavoro e ad un aumento dello stress. C’è poi da considerare il fattore
temporale. Gli effetti di lungo periodo degli interventi di work-redesign possono essere molto
diversi da quelli di breve periodo. Anche le differenze individuali influiscono sull’effettiva
capacità degli interventi di job design di incidere positivamente sulla produttività dell’impresa e il
benessere delle persone. Gli individui portano all’interno dell’organizzazione il loro vissuto e le
loro preferenze e di conseguenza considerano una mansione più o meno motivante non solo in
funzione di parametri oggettivi ma anche in funzione di elementi soggettivi.
FASI E METODI
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alcune famiglie professionali
o a determinati ruoli chiave.
Analisi della posizione (job È il processo mediante il - Osservazione diretta
analysis) quale ogni posizione viene - Questionario
analizzata per comprendere i - Intervista
contenuti del lavoro in
termini di responsabilità,
relazioni interne-esterne,
dimensioni gestite, ecc.
Descrizione della posizione (job Il quadro complessivo
description) scaturito dall’analisi
confluisce in una descrizione
analitica della posizione, in
un format prestabilito.
Valutazione della posizione (job Processo con cui si assegna - Analitici
evaluation) un valore a ciascuna - Globali
posizione.
La Tabella descrive le fasi che caratterizzano il processo di job evaluation che si conclude con
l’assegnazione di un valore a ciascuna posizione sulla base di uno dei diversi metodi proposti dalla
letteratura e applicati nella pratica manageriale. Una prima distinzione è tra metodi globali e
metodi analitici di valutazione. I primi sono caratterizzati da una maggiore semplicità di
applicazione: essi si limitano a classificare le diverse posizioni, considerandole nel loro complesso,
senza fornire una valutazione puntuale dei loro contenuti. Ad esempio, il job ranking colloca le
posizioni in ordine di importanza attraverso un giudizio di tipo globale espresso in base alle
informazioni raccolte con la job analysis. Il più diffuso tra i metodi globali è il Global Job Grading
System proposto dalla società di consulenza Towers Watson. Questo metodo colloca i ruoli
organizzativi all’interno di 25 classi prestabili in base ad un processo che prevede i seguenti
passaggi:
1. Definizione del grade aziendale (classe più elevata);
2. Identificazione della banda di appartenenza;
3. Valutazione della posizione sulla base di 7 fattori.
Questo metodo è applicato in maniera standardizzata in numerosi Paesi. Tra i metodi analitici, il
più diffuso è il metodo del punteggio. Alla base di questo metodo c’è l’idea che vi siano alcuni fattori
che sono trasversali a tutte le posizioni, seppur presenti in ciascuna di esse con un peso differente.
Ad esempio secondo il Metodo Hay i fattori presi in esame sono tre:
1. Il know-how: le competenze richieste dal ruolo;
2. Il problem solving;
3. L’accountabiliy: la responsabilità.
Sulla base della job description si valuta il peso che ciascuno di questi fattori ricopre in ciascun
compito e si sommano i punteggi attribuiti ottenendo così il valore della posizione (job size).
FINALITA’
Abbiamo visto come la principale finalità della job evaluation sia quella retributiva. Attraverso
questi processo l’organizzazione è in grado di:
- Individuare dei riferimenti sul mercato del lavoro, in modo da garantire una certa
competitività retributiva;
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- Garantire l’equità del sistema, facendo sì che i livelli retributivi siano adeguati
all’importanza dei ruoli e riducendo la soggettività;
- Risolvere quelle anomalie retributive che talvolta si vengono a creare nell’organizzazione.
Vi sono numerose altre ragioni per cui le aziende valutano le posizioni. La job evaluation infatti
ha molte interrelazioni con gli altri sistemi di gestione delle risorse umane.
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verticale sono sempre più diffuse modalità di sviluppo orizzontale. La globalizzazione dei
contesti organizzativi ha reso la mobilità internazionale un’interessante opportunità di
sviluppo.
• La gestione dei flussi in uscita
I fattori che più frequentemente alimentano i flussi in uscita dalle organizzazioni hanno
determinanti di natura individuale o organizzativa. Il turnover volontario rappresenta una
rilevante causa di interruzione del rapporto di lavoro. Alla base vi è la valutazione da parte
della persona di un maggior beneficio nel terminare la relazione lavorativa, motivata
spesso da alternative professionali più allettanti. A livello organizzativo, la necessità di
diminuire la forza lavoro viene in genere affrontata attraverso piani di downsizing, che
comportano la riduzione pianificata di una componente significativa dell’organico
aziendale, attraverso il ricorso alle diverse modalità previste di risoluzione del rapporto di
lavoro. L’outsourcing rappresenta un’altra leva utilizzata delle organizzazioni per
comprimere l’organico agendo su una parte significativa della forza lavoro. Questa
strategia comporta l’esternalizzazione di un’attività ritenuta non core e di tutte le relative
risorse. Obiettivo di questo intervento è perseguire una maggiore efficienza e allo stesso
tempo accrescere la flessibilità nell’utilizzo della forza lavoro.
IL RECLUTAMENTO
una volta definito il proprio fabbisogno, diventa fondamentale per l’organizzazione attrarre ed
identificare le persone potenzialmente interessanti per coprire tali esigenze. Il reclutamento
consiste precisamente nell’insieme di attività che consentono all’impresa di esprimere la propria
domanda di lavoro e attivare l’offerta potenziale di lavoro.
Requisito indispensabile per avviare la fase di reclutamento è la stesura del profilo relativo alla
posizione da ricoprire. Per disporre di un profilo accurato è necessario coniugare due dimensioni
distinte ma fortemente integrate: la prima riguarda le caratteristiche della gestione (job
description), la seconda le competenze e i requisiti personali necessari per coprire al meglio tale
posizione (person specification).
o Job description: l’obiettivo è pervenire ad una descrizione accurata della posizione in
termini di finalità, aree di responsabilità e obiettivi attesi. La parte centrale è dedicata
all’esposizione dei principali compiti della posizione.
o La Person specification o human specification: coglie la componente più soft della
posizione. L’analisi è rivolta all’individuazione delle competenze richieste per ricoprire
adeguatamente il ruolo vacante. Nello specifico, vengono esplicitate le conoscenze, abilità
e comportamenti che l’organizzazione ritiene possano favorire performance eccellenti in
quella particolare mansione.
La definizione del profilo è inoltre completata dall’identificazione di alcuni requisiti specifici che
possono indirizzare opportunamente l’attività di reclutamento.
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tipologie di capitale umano, ciascuna delle quali presenta implicazioni diverse in termini di
reclutamento.
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vacante, nel caso del job posting è la singola risorsa a farsi avanti e a proporsi per un
cambiamento di ruolo.
• Mercato esterno: il reclutamento si avvale di una molteplicità di strumenti tra i quali i più
efficaci sono l’autocandidatura, il passaparola, il ricorso ad inserzioni su organi di stampa
oppure online. L’autocandidatura rappresenta uno strumento estremamente diffuso, in
particolare in situazioni economiche e sociali in cui l’offerta di lavoro eccede la domanda.
Sono i potenziali candidati a fornire spontaneamente il proprio curriculum vitae. Con il
VANTAGGI SVANTAGGI
• Minore asimmetria • Rischio di
informativa obsolescenza
INTERNO • Strumento di retention, professionale del
motivazione e commitment capitale umano
• Riduzione dei costi e dei • Irrigidimento della
tempi di selezione cultura aziendale
• Aumento del ritorno degli
investimenti in formazione
• Minori conflitti sindacali
• Iniezione di nuove • Tempi lunghi
competenze • Maggiore incertezza
ESTERNO • Ibridazione della cultura • Maggiori costi
• Attivazione della reclutamento e
concorrenza tra lavoratori selezione
interni ed esterni • Maggiori costi
• Esternalizzazione di parte dei formazione ed
costi per creare le inserimento
competenze richieste
termine passaparola si intendono i canali informali attraverso i quali molto spesso
potenziali candidati vengono a conoscenza di posizioni vacanti all’interno delle
organizzazioni. Il ricorso alle inserzioni rappresenta una modalità di reclutamento
estremamente efficace in termine di diffusione, consentendo di raggiungere un vasto
bacino di potenziali candidati. Sempre più spesso le aziende si affidano al recruitment
online, che si avvale di siti e piattaforme tecnologiche specificatamente dedicate a favorire
l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro.
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La formulazione di una comunicazione chiara e precisa della domanda rappresenta un momento
cruciale nel processo di reclutamento. Un messaggio efficace quando raggiunge il bacino di
riferimento, sia esso interno o esterno, è in grado di attivare un meccanismo di autoselezione
tra i potenziali candidati, favorendo l’avvicinamento delle persone realmente interessate e in linea
con i requisiti.
L’EMPLOYER BRANDING
Da ormai più di un decennio l’employer branding rappresenta uno strumento piuttosto diffuso
nella cassetta degli attrezzi della funzione risorse umane. Sono molti i fattori che hanno
contribuito ad accrescere la rilevanza di questo approccio nelle organizzazioni. In primo luogo,
l’employer branding offre una risposta concreta ai cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni
nel mercato del lavoro. La frenesia, nota con la definizione di “guerra dei talenti”, con la quale alla
fine degli anni 90 le aziende hanno cercato di accaparrarsi le risorse migliori, ha certamente
contribuito ad accrescere per le organizzazioni l’importanza di essere percepite come contesti
lavorativi in grado di soddisfare esigenze di sviluppo e di riconoscimento nei propri collaboratori.
Va anche considerato che si è progressivamente cominciato ad erodere il principio dell’impiego
a vita come modalità prevalente nelle relazioni di lavoro. Inoltre, la comparsa nel mercato del
lavoro di una nuova generazione, Generazione Y, ha comportato l’esigenza di confrontarsi con
nuovi e diversi valori ed aspettative nei confronti del lavoro. Elemento distintivo di questo
approccio è l’aver integrato contributi forniti da discipline diverse: dal marketing, alla psicologia,
alle scienze organizzative. Tra queste, è certamente il marketing, e per precisione the science of
branding, l’ambito dal quale sono stati mutati i principi base di questo approccio. Il brand infatti
rappresenta un importante fattore in grado di influenzare le scelte di potenziali clienti. Come
l’attività di product branding si occupa di rendere attrattivo un determinato prodotto nei confronti
di potenziali consumatori, l’employer branding promuove verso i dipendenti attuali o futuri di
un’organizzazione un prodotto particolare che consiste nell’esperienza di lavoro, unica e
specifica, che le persone possono vivere all’interno di un determinato contesto di lavoro.
Sono molti gli elementi che concorrono a differenziare un’organizzazione da un’altra. Studi di
psicologia organizzativa evidenziano ad esempio l’elevata capacità attrattiva giocata dalla
reputazione in termini di business. Organizzazioni di successo in termini di performance
economico-finanziarie tendono ad essere più attrattive. A determinare l’attrattività di
un’organizzazione concorrono quindi due diverse declinazioni di brand, una che coglie
l’immagine aziendale come realtà istituzionale e/o come realtà che produce beni/servizi, l’altra
che rileva l’immagine dell’azienda come ambiente di lavoro. La combinazione di queste due
dimensione da origine a diversi profili di attrattività delle aziende.
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Alta
Best Strong
Corporate Company
Weak Best
Company Employer
CORPORATE
BRAND
Bassa
Bassa EMPLOYER BRAND Alta
Nel quadrante in alto a destra si collocano le imprese più forti in termini di attrattività poiché
possono beneficiare di un elevato livello di apprezzamento in generale e rispetto ai temi di people
management. Vi si possono trovare aziende come Barilla, Ferrero, Ferrari, Microsoft e Google.
Le best corporate sono aziende che, pur godendo di elevata notorietà e prestigio in termini
istituzionali, risultano meno efficaci nel comunicare la propria offerta come employer. Al
contrario, le Best Employer sono aziende che si distinguono per la cura e l’impegno rivolto ai
propri dipendenti, pur godendo di una minore notorietà come corporate. Nell’ultimo quadrante
si trovano le aziende con un basso livello di attrattività sia a livello istituzionale sia come employer.
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L’obiettivo principale del posizionamento è proprio quello di far sì che l’azienda venga vista dal
proprio target di riferimento con caratteristiche di unicità rispetto alla concorrenza. Analizzato il
target e definito il posizionamento, diventa centrale per l’azienda riuscire ad essere percepita come
un employer of choice. Questa attività chiave rappresenta di fatto la comunicazione dell’employer value
proposition. Obiettivo di questa fase è riuscire a creare un messaggio che comunichi cosa distingue
in modo unico e positivo l’esperienza di lavoro. Chiude il processo la fase di monitoraggio
attraverso la quale l’azienda raccoglie feedback dai propri target di riferimento rispetto all’efficacia
dell’azione intrapresa. Per monitorare la forza di una campagna di employer branding le aziende
possono avvalersi di una molteplicità di canali che consentono di rilevare il proprio
posizionamento.
Sempre più frequentemente le aziende si rivolgono ad enti esterni per misurare l’efficacia delle
proprie attività di employer branding e il proprio posizionamento come employer of choice. Di seguito
vengono proposti 3 approcci diversi che privilegiano ciascuno una fonte specifica:
• La prospettiva dei job seekers, attraverso survey finalizzate a rilevare le percezioni di
attrattività delle aziende da parte di potenziali candidati. L’employer Brand Positioning
Survey condotta da Monster Italia rappresenta un esempio di questo approccio. Ogni
anno la survey, attraverso un questionario articolato in diverse sezioni, rileva opinioni,
aspettative e tendenze dei job seeker sul brand di circa 200 aziende italiane;
• La prospettiva della funzione risorse umane, attraverso survey finalizzate a identificare
le migliori organizzazioni nello sviluppo di politiche di gestione delle risorse umane. Il
CRF Institute seguendo questo approccio elabora la lista dei Top Employers in Italia.
L’indagine prende in esame un panel di aziende e in ciascuna analizza le politiche
retributive, le condizioni di lavoro e i benefit, le iniziative di formazione e sviluppo, le
opportunità di camera e la cultura aziendale.
• La prospettiva dei dipendenti, attraverso survey che mettono al centro il punto di vista
dei collaboratori. Great Piace to Work Institute conduce annualmente una survey
finalizzata ad identificare i migliori ambienti di lavoro in Italia avvalendosi di un
questionario che dà voce alle persone.
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