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CAPITOLO 9: VALORIZZARE LE PERSONE: SVILUPPO E CARRIERE

In un contesto economico e sociale in incessante mutamento, le persone sono chiamate ad


aggiornare e ad ampliare costantemente il proprio bagaglio di conoscenze, competenze e
abitudini di lavoro, così come le imprese non possono rinunciare ad investire con regolarità
risorse sullo sviluppo del proprio capitale umano. Aiutare le persone a realizzare i propri
progetti di sviluppo, creando un ambiente organizzativo che sia in grado di riconoscere e
valorizzare l’impegno e le competenze individuali e di gruppo, è oggi più che in passato una sfida
per la funzione risorse umane. Ma quella dello sviluppo è una responsabilità che i professionisti
delle direzioni del personale condividono con i capi, che hanno un ruolo determinante nel
facilitare oppure ostacolare i percorsi di crescita dei propri collaboratori.
Esiste una stretta relazione tra strategie di business e modalità con cui si pianifica e realizza lo
sviluppo. i processi di decentramento organizzativo e di outsourcing, i piani di ristrutturazione e di
spin-off, i programmi di downsizing e le strategie di riconfigurazione degli assetti proprietari che
hanno confini organizzativi rendendo così possibili percorsi di sviluppo che vanno oltre la singola
impresa e ponendo ai lavoratori nuove sfide. Questa nuova concezione di sviluppo esige un forte
ripensamento anche del modello di leadership, che deve sempre più tener conto della capacità di
interpretare, costruire e comunicare visione e senso del progetto attorno al quale cercare
l’engagement dei collaboratori. La responsabilità dello sviluppo ne risulta necessariamente
ampliata, chiamando in causa, oltre agli specialisti HR che devono avere una rinnovata
motivazione e competenze adeguate, l’individuo, protagonista della propria crescita
professionale, e i capi che devono improntare le proprie scelte gestionali alla valorizzazione delle
persone, delle loro competenze e delle loro motivazioni.

LO SVILUPPO COME SISTEMA INTEGRATO DI STRUMENTI:


Formazione
Valutazione
(modelli di
competenze,
autovalutazione, Gestione delle
360°, carriere
development
center,
feedforwar)

Relazioni di SVILUPPO Esperienze (job


sostegno DELLE rotation, special
(menotirng, assigment,
coaching, RISORSE externship,
counselling) UMANE mobilità)

Tavole di
rimpiazzo e Talent
piani di management
successione

People value
mapping

La figura mostra i principali strumenti su cui si basa lo sviluppo delle risorse umane.

VALUTARE PER SVILUPPARE


I sistemi di valutazione a 360° (o multi-source feedback) rappresentano una modalità di
valutazione particolarmente sofisticata proprio perché amplia il set di attori che sono chiamati a
fornire il loro giudizio sul soggetto valutato. L’autovalutazione, ovvero la valutazione che un
individuo fa delle proprie capacità o prestazioni, ha acquisito una crescente importanza nella
pratica manageriale. Nonostante la sua diffusione, numerose ricerche hanno messo in dubbio
l’affidabilità e l’accuratezza di questa modalità di valutazione. Inoltre, è cresciuto nei contesti
organizzativi l’utilizzo del development centre, uno strumento valutativo che ha un forte
orientamento allo sviluppo. rappresenta un’evoluzione dell’Assessment Centre che esalta una più
diretta e forte partecipazione della persona al processo, il cui esito è quello di una proposta di
diagnosi inclusiva delle prospettive proprie del punto di vista dell’organizzazione e di quello
dell’individuo. Il development centre, attraverso la valutazione delle competenze e abilità degli
individui, consente di ottenere i seguenti benefici:
• Fornire al valutato feedback precisi sui suoi comportamenti nel lavoro;
• Incoraggiare i valutati a sviluppare quelle competenze di cui oggi sono carenti;
• Alimentare il confronto tra il soggetto valutato e il suo capo per definire un piano di
sviluppo;
• Rivedere il pool di competenze dell’organizzazione;
• Consentire ai manager HR di definire gli incarichi futuri da assegnare ai valutati nonché
le attività di formazione con cui supportare lo sviluppo delle competenze necessarie;
• Identificare gli alti potenziali da assegnare a percorsi di sviluppo particolarmente sfidanti.
Infine, il feedforward rappresenta una delle principali applicazioni della psicologia positiva che
sposta l’attenzione dai deficit e dalle carenze che le persone manifestano, su cui tradizionalmente
ci si focalizza nei momenti di valutazione, ai punti di forza e potenzialità che gli individui
posseggono. Si tratta di un vero e proprio capovolgimento di prospettiva: sono privilegiati gli
interventi organizzativi volti a mobilitare le abilità della persona, ad amplificare ciò che meglio sa
fare, anziché a ridurre le sue limitazioni.

Una larga parte dello sviluppo individuale si realizza durante il lavoro, accumulando esperienze.
L’importanza dell’apprendimento work-based è stata sempre riconosciuta e con l’affermarsi del
nuovo contratto psicologico apprendere da attività informali ed esperienze di lavoro è divenuto
ancora più essenziale sia per l’individuo che per l’organizzazione al fine di accrescere l’employability.
Talvolta i manager decidono di assegnare un proprio collaboratore ad un ruolo di maggiore
responsabilità non tanto perché il suo profilo professionale è in linea con i job requirements della
posizione ma piuttosto perché la promozione può rappresentare un’occasione importante di
apprendimento e di sviluppo di alcune competenze critiche per l’organizzazione. Allo stesso
modo sono spesso decisi incarichi temporanei, interventi di job rotation o job enlargement, di mobilità
internazionale, o addirittura strategie di externship.

Quando si parla di valorizzazione e sviluppo delle persone, il riferimento alla gestione delle
carriere è immediato. Si tratta di un’attività che richiede all’organizzazione uno sforzo di
pianificazione a lungo termine e una capacità di integrazione dei diversi strumenti di gestione
delle risorse umane. Il sistema di gestione delle carriere include:
- La pianificazione delle carriere;
- La pianificazione delle successioni;
- La formazione;
- Il sistema delle promozioni.
Per l’individuo il tema della carriera è complesso ed è fonte di incertezza. Questa crescente
complessità ed incertezza rendono la gestione delle carriere ancora più importante che in passato.
Secondo un approccio tradizionale, la carriera rappresenta un percorso di mobilità all’interno di
una singola organizzazione o tra più organizzazioni. Si tratta dunque di una caratteristica
strutturale di un’occupazione o di un’organizzazione. Oggi la carriera non è sinonimo di lavoro
ma rappresenta un aspetto significativo della vita di una persona. Questo approccio riconosce la
dualità del concetto di carriera: quella oggettiva, fatta di posizioni, unità organizzative, livelli
gerarchici, che rappresenta la parte strutturale o pubblica del concetto, e quella soggettiva, fatta
dei significati che gli individui attribuiscono alla carriera. In questa ultima prospettiva, la carriera
è proprietà di un individuo anziché di un’occupazione o di un’organizzazione, e ciascuna persona
è unica nel condurre il suo percorso di carriera.
Questa dualità si riflette anche sul concetto di successo di carriera. Secondo un approccio
oggettivo, una carriera è di successo quando consente di raggiungere posizioni di elevato livello
nella scala gerarchica e di avere una retribuzione elevata. Accanto alle misure oggettive del
successo, si considerano sempre più spesso misure soggettive, che consentono di cogliere la
diversità di attese e aspettative che caratterizzano le persone. Queste misure tendono a cogliere
il valore complessivamente acquisito dalla persona sul mercato del lavoro (employability), lo
sviluppo delle competenze, la soddisfazione, la reputazione e l’equilibrio vita-lavoro che si è
riusciti a conquistare.
La pianificazione delle carriere ha le seguenti finalità prevalenti:
- Garantire lo sviluppo di quelle competenze e conoscenze che sono indispensabili
all’organizzazione per competere con successo;
- Assicurare la disponibilità di risorse;
- Trattenere le risorse di maggior valore per l’impresa;
- Garantire lo sviluppo dell’organizzazione nel lungo periodo.
A seconda dello stadio di vita, dell’età e delle condizioni di contesto, ognuna di queste dimensioni
può prevalere rispetto alle altre. Il tempo gioca un ruolo fondamentale nel determinare cosa è più
importante per un individuo. Ma l’età non è l’unico fattore ad influire sulle aspettative di carriera:
le esperienze passate, il contesto sociale e familiare, i contesti organizzativi.
Brosseau et al. propongono un approccio pluralistico alla definizione della carriera. In particolare,
essi propongono quattro percorsi o concetti di carriera, che differiscono in termini di
direzione e frequenza del movimento nel tempo, all’interno o tra diversi ambiti lavorativi:

LINEARE ESPERTO SPIRALE TRANSITORIA


Direzione del Verso l’alto Piccolo Laterale Laterale
movimento movimento
Tempo di Variabile Per la vita 7-10 anni 3-5 anni
permanenza in
una posizione
Motivazioni Potere, Competenze, Crescita Varietà,
achievement sicurezza personale, indipendenza
creatività

▪ CARRIERA LINEARE
Consiste in una serie progressiva di passi avanti lungo una linea gerarchica verso posizioni
di maggiore autorità e responsabilità. Le persone che vedono la propria carriera ideale in
termini lineari difficilmente immaginano una definizione del successo che non sia legata
all’ascesa verticale lungo la gerarchia dell’organizzazione e al potere che ne consegue.
▪ CARRIERA DA ESPERTO
È caratterizzata dall’attaccamento ad un determinato mestiere che dura per tutta la vita.
Non comporta dunque una progressione tra diverse posizioni ma piuttosto l’acquisizione
della totale padronanza di una determinata area professionale e può interessare sia
lavoratori dipendenti che liberi professionisti. Una volta che la scelta è stata compiuta,
l’individuo si concentra sul progressivo sviluppo delle sue conoscenze e competenze
nell’ambito della specializzazione.
▪ CARRIERA A SPIRALE
È caratterizzata da periodici spostamenti tra aree, specialità o discipline diverse, che
idealmente avvengono ogni 7-10 anni, un tempo sufficientemente ampio da garantire
l’approfondimento di una determinata area di competenze. Lo spostamento ideale è quello
che avviene in un’area vicina a quella di provenienza.
▪ CARRIERA TRANSITORIA
È quella meno tradizionale. In questo caso la carriera consiste in una serie di spostamenti
che si verificano ogni 3-5 anni in aree e campi di attività molto diversi e spesso non
correlati tra di loro. Le persone che perseguono una carriera transitoria non pensano di
avere una carriera, ma piuttosto sono in cerca di varietà e di indipendenza.
Se in passato le persone intraprendevano carriere lineari o da esperto, oggi i cambiamenti sono
divenuti più frequenti, i contesti organizzativi più instabili, le strutture meno formalizzate. Questo
ha reso le carriere a spirale e transitorie più frequenti e più adeguate.

Le trasformazioni che hanno caratterizzato le organizzazioni negli ultimi decenni hanno


contribuito ad arricchire il concetto di carriera, affiancando all’idea di una crescita
nell’organizzazione basata sulla progressione verticale e sull’assunzione di responsabilità via via
maggiori nella catena di comando dell’impresa, sistemi di carriera più orizzontali, che si
concretizzano cioè nel progressivo arricchimento di esperienze e competenze. Il rapido sviluppo
delle tecnologie, i processi di globalizzazione e la progressiva internazionalizzazione delle imprese
hanno ampliato i confini entro i quali si sviluppano le carriere. Al tempo stesso, l’allungamento
della vita lavorativa, i cambiamenti nelle strutture familiari e in generale le modificate attitudini
delle persone nei confronti del lavoro hanno reso il modello tradizionale di carriera gerarchica
sempre più raro. Le carriere contemporanee sono molto più frammentate e sempre più raramente
si esprimono all’interno dei confini di una singola organizzazione o di una medesima professione.
Il concetto di boundaryless career esprime l’idea di una carriera senza confini, sia fisici che
psicologici. I percorsi di crescita si sviluppano tra diverse organizzazioni, attraverso differenti
funzioni e professioni, e talvolta differenti Paesi e culture. In questa nuova concezione la carriera
diventa proteiforme e quindi guidata dalla persona, la quale deve saper reinventare di volta in
volta il proprio percorso professionale sia sulla base dei cambiamenti che la riguardano
personalmente, sia sulla base delle trasformazioni che avvengono nell’ambiente esterno. Queste
trasformazioni hanno reso i lavoratori maggiormente responsabili nella gestione delle proprie
carriere.

PIANIFICAZIONE DELLA SUCCESSIONE


L’attenzione per questa attività è tornata a crescere soprattutto a causa dei fenomeno di
invecchiamento della popolazione che richiedono alle imprese uno sforzo di pianificazione
ancora più forte per evitare un decadimento del proprio patrimonio di competenze manageriali.
Questa attività di pianificazione si avvale prevalentemente di uno strumento denominato tavola
di sostituzione (o di rimpiazzo), che ha l’obiettivo di dotare l’impresa e il suo management di
una mappa che consenta loro di prendere le decisioni più adeguate per sostituire una persona
non più disponibile a ricoprire un certo incarico. Alla costruzione delle tavole di rimpiazzo si
arriva attraverso una metodologia che prevede le seguenti fasi:
1. Scegliere le persone e i ruoli che entreranno nel piano delle sostituzioni;
2. Decidere quale sistema di coinvolgimento attivare in azienda;
3. Definire gli standard con cui aiutare ad individuare i candidati successori;
4. Decidere l’orizzonte temporale delle idoneità alla successione e le eventuali azioni e
strumenti di gestione e sviluppo per supportarle;
5. Stabilire che tipo di feedback dare e a chi nell’organizzazione.
Nonostante sia ampliamente diffuso nella pratica manageriale, questo strumento è stato da molti
criticato per il rischio che esso generi aspettative di promozione che non sempre possono essere
soddisfatte dall’impresa, rimanendo un esercizio esclusivamente teorico oltre che molto
dispendioso.

PEOPLE VALUE MAPPING


Al fine di identificare le persone che possono essere inserite all’interno di una tavola di
successione, è necessario che l’organizzazione scelga quali sono le dimensioni chiave sulla base
delle quali segmentare la popolazione aziendale. Un’attività, quella definita di people value mapping,
che si realizza generalmente incrociando due dimensioni: i livelli di valutazione conseguiti
dall’individuo in termini di prestazione e di potenziale. Questo esercizio consente di segmentare
la popolazione aziendale in diversi cluster.

RELAZIONI DI SOSTEGNO
Vi sono una serie di attività che l’organizzazione può avviare al fine di sostenere lo sviluppo e le
carriere dei propri collaboratori, valorizzando le relazioni interpersonali. Si tratta di interventi
disegnati su misura in base a specifiche esigenze del singolo individuo o di un gruppo, in grado
quindi di riconoscere i bisogni specifici e fornire un servizio di supporto personalizzato, che
metta in grado gli individui di sviluppare capacità di apprendimento e utilizzare al meglio le
proprie leve di sviluppo. La transizione da una gestione delle carriere prevalentemente
organizzativa ad una individualistica ha richiesto alle organizzazioni di rinunciare ad un approccio
top-down, di pianificazione e controllo delle carriere, per abbracciare piuttosto un approccio
supportivo e orientato allo sviluppo. un effetto di questo nuovo approccio alla gestione delle
carriere è quello di una maggiore responsabilizzazione dei manager di linea nel supportare i
processi di sviluppo individuali e di gruppo attraverso una serie di attività quali:

• Coaching:
Può essere definito come una modalità di intervento, individuale o di gruppo, basato su
una varietà di metodi e tecniche comportamentali, diretto ad aiutare le persone ad avviare
un percorso di cambiamento e di sviluppo al fine di migliorare la propria performance
professionale, il proprio benessere e di conseguenza l’efficacia dell’organizzazione. Si
tratta di un processo finalizzato a tirare fuori il meglio dalle persone. Nel coaching l’obiettivo
è l’apprendimento a fini lavorativi; le tematiche affrontate sono legate al contesto di lavoro;
il setting è più variabile, essendo definito dal contesto di lavoro. Il ruolo del coach è quello
di proporre al proprio interlocutore domande semplici, chiare e in grado di aiutarlo a
spostare il punto di osservazione del problema ed acquisirne una visione più completa.
Secondo Segers le diverse tipologie di coaching possono essere classificate sulla base di
tre dimensioni:
- What: cosa c’è nell’agenda del coaching. Ne esistono tre tipologie di contenuti: skill
(obiettivo modificare comportamenti o abitudini molto specifici), performance (richiede
uno sforzo maggiore di tutte le parti coinvolte) e life coaching (ha a che fare con questioni
più intime e personali e richiede un approccio più olistico).
- Who: chi è il coach. Vi sono quattro possibilità: un coach esterno all’impresa; un coach
interno all’impresa; il capo diretto; il self-coaching.
- How: come si svolge il coaching. Fa riferimento ai differenti approcci utilizzati: umanistico,
comportamentale, cognitivo, gestaltico e sistemico.

• Counseling:
Ha la finalità di generare un cambiamento nella persona. Si tratta di un intervento teso a
favorire l’analisi e la comprensione di problemi specifici, a sostenere un processo
decisionale, eliminando quelle problematiche che ostacolano il percorso individuale di
sviluppo. Può assumere finalità diverse, a seconda che sia orientato a fornire un servizio
di orientamento alla carriera o a risolvere specifici problemi, o essere utilizzato a
completamento di un intervento di formazione tradizionale. Consiste in una relazione di
aiuto che si instaura tra counselor e cliente attraverso una serie di colloqui.

• Mentoring:
È una relazione interpersonale in cui un individuo con significativa esperienza offre il suo
aiuto ad uno junior con poca esperienza, divenendo per lui una guida nelle diverse fasi di
sviluppo all’interno dell’organizzazione. L’essenza di questa relazione sta proprio nel
significativo differenziale di competenza ed esperienza tra mentore e protégé (colui che
beneficia del supporto). Il mentoring può essere utilizzato con differenti finalità tra le
quali: facilitare i processi di socializzazione dei neo-assunti; affiancare i processi di
apprendimento formali; migliorare la performance; valorizzare il potenziale.
TALENT MANAGEMENT
Il tema del talent management si può far risalire al 1998 quando alcuni consulenti della McKinsey
parlarono per primi di War for talent (guerra dei talenti) coniando una felice espressione che
avrebbe influenzato in modo rilevante la percezione e le scelte di gestione di numerosi manager.
Il talento rappresenta la risorsa più importante nell’economia globale della conoscenza, la materia
prima più ricercata al mondo. Le persone con buone idee e capacità di valore sono sempre più
in grado di attrarre risorse e finanziamenti, soprattutto nei settori ad alta intensità di tecnologia.
Nelle imprese succede spesso la stessa cosa. Per fronteggiare un gap di competenze strategiche
si ricorre spesso al mercato esterno del lavoro quando sono mancate strategie mirate di sviluppo
che avrebbero consentito di anticipare i fabbisogni di competenze. Una strategia di sviluppo dei
talenti ha proprio questa finalità: garantire l’apprendimento di quelle competenze necessarie
all’organizzazione per raggiungere e sostenere un vantaggio competitivo, con una particolare
enfasi sullo sviluppo della leadership. È corretto individuare il talento nel miglior cervello?
Talento è sicuramente una persona dotata di ingegno e capacità ma al tempo stesso talento è
evocativo di voglia, desiderio e motivazione. Sarebbe più corretto parlare di talent development
perché il talento è necessariamente contestuale. Se si escludono, infatti, quelle professioni
tipicamente caratterizzate da un forte contenuto artistico e di creatività, il talento si manifesta
nell’ambito di contesti sociali e organizzati.

CAPITOLO 10: CONOSCENZA E APPRENDIMENTO: GLI STRUMENTI DELLA FORMAZIONE


Numerosi autori hanno definito quella in cui viviamo una knowledge based-company per
sottolineare l’importanza che la conoscenza ha assunto nel generare valore, innovazione e
produttività. L’esperienza ci suggerisce che nel contesto attuale ciò che veramente è in grado di
fare la differenza tra un’azienda e i propri competitor è il capitale umano. È per questo motivo
che da qualche anno il knowledge management ha assunto un ruolo significativo nell’agenda
organizzativa. La sfida su cui ogni azienda si confronta è quella di operare come una Learning
organization.

Quando parliamo di formazione ci riferiamo in particolare all’insieme di processi, iniziative e


strumenti, definite e pianificate all’interno dell’organizzazione, con la finalità di far acquisire,
mantenere e sviluppare nelle persone che ne fanno parte le competenze sia tecniche che
trasversali necessarie per ricoprire con efficacia il proprio ruolo organizzativo. Fare formazione
significa indurre nelle persone una serie di cambiamenti in termini di competenze tali da
promuovere benefici sia a livello individuale che organizzativo. Non può esserci cambiamento
senza un processo di apprendimento che porti all’acquisizione e allo sviluppo di nuove
competenze.
L’apprendimento è un processo psicologico che induce un cambiamento delle conoscenze,
abilità, percezioni, motivazioni e atteggiamenti dell’individuo, che si conclude con l’acquisizione
permanente di un nuovo comportamento. Di seguito alcuni principali approcci teorici
sull’apprendimento:
• Il comportamentismo;
• Il cognitivismo;
• Il costruttivismo;
Comportamentismo Cognitivismo Costruttivismo
Periodo storico Inizi 900 Metà 900 Anni ‘80
Principali autori Watson, Pavlov, Dewey, Piaget Papert, Bruner,
Skinner Jonassen
Assunti principali L’apprendimento è Le conoscenze si Il processo di
inteso come mera formano attraverso apprendimento di
modifica del l’interpretazione delle struttura non
comportamento e informazioni, intorno al docente,
non coinvolge gli l’organizzazione delle bensì intorno al
aspetti cognitivi e stesse e l’assegnazione soggetto che
psichici. di significati personali. apprende e alla sua
esperienza.

• L’andragogia: si sviluppa verso la metà degli anni ’60 e indica i principi che guidano
l’apprendimento negli adulti. Knowles individua almeno quattro fattori che caratterizzano
l’apprendimento delle persone adulte e che lo fanno differire da quello dei fanciulli.
• La teoria di apprendimento esperienziale: la centralità dell’esperienza sottolineata dalla teoria
andragogica e l’esigenza di rendere l’insegnamento un’attività basata sulle caratteristiche e
sulle necessità del singolo soggetto che apprende, sottolineata dal costruttivismo, hanno
determinato negli anni 80 lo sviluppo della Teoria di Apprendimento Esperienziale di cui
è massimo referente David A. Kolb. Lui elabora e propone un modello che è da oggi uno
dei più diffusi e noti tra coloro che si occupano di progettare interventi formativi. Nel
modello di Kolb il processo di apprendimento avviene attraverso 4 fasi principali:
esperienza concreta, osservazione riflessiva, concettualizzazione astratta e
sperimentazione attiva. Il processo di apprendimento potrebbe iniziare da uno qualsiasi
dei quattro punti ma è preferibile che esso inizi dall’esperienza concreta del contenuto che
si vuole trasferire. Kolb afferma che ogni individuo ha un determinato stile di
apprendimento. L’autore identifica quattro stili di apprendimento che corrispondono a
quattro tipologie di profili personali: accomodatore, divergente, assimilatore, convergente.
• La teoria delle intelligenze multiple: un altro interessante approccio teorico, denominato
intelligenze multiple, è quello proposto verso la metà degli anni 80 dallo psicologo
statunitense Howard Gardener secondo cui, oltre alle già note due forme di intelligenza,
ne esistono altre che se opportunamente stimolate e valorizzate all’interno di interventi
formativi possono promuovere negli individui un apprendimento efficace. Le 8
intelligenze descritte sono:
- l’intelligenza linguistica;
- l’intelligenza logico-matematica;
- l’intelligenza visivo-spaziale;
- l’intelligenza corporeo-cinestetica;
- l’intelligenza interpersonale;
- l’intelligenza naturalistica.
• L’approccio sociale è situato nell’apprendimento: secondo gli autori che promuovono questo
approccio l’apprendimento e la creazione di conoscenza sono fenomeni che non
avvengono nella mente degli individui ma nelle interazioni che hanno luogo all’interno di
un contesto sociale, culturale e temporale specifico e definito.

IL PROCESSO FORMATIVO
L’efficacia della formazione dipende da diversi fattori, tra cui una corretta e adeguata
impostazione metodologica nella fase di progettazione. La progettazione di un intervento
formativo è un processo di attività strutturale la cui impostazione dovrebbe essere sempre
sistemica ma allo stesso tempo flessibile per adeguarsi alle specifiche necessità aziendali.

Valutazione Analisi dei


dei risultati fabbisogni

Realizzazione Progettazione

ANALISI DEI FABBISOGNI


Al fine di realizzare interventi formativi efficaci ed utili, è fondamentale partire da un’attenta
analisi delle esigenze formative. L’analisi dei fabbisogni consiste in un’attività di ricerca finalizzata
all’acquisizione di dati ed informazioni utili a comprendere le effettive necessità di apprendimento
degli individui e dell’organizzazione in generale. La rilevazione dei fabbisogni organizzativi può
essere effettuata tramite diversi strumenti tra cui:
• Interviste o somministrazione di questionari al Top Management, ai manager di linea
oppure allo stesso Direttore Risorse Umane;
• Survey (indagini di clima, indagini di customer satisfaction);
• Analisi dei documenti di programmazione aziendale anche riguardanti il personale.
Una seconda rilevazione importante riguarda l’analisi dei fabbisogni individuali- questo livello di
analisi può essere effettuato tramite colloqui, interviste o questionari alle singole persone oppure
analizzando i documenti di programmazione del personale. Il terzo ed ultimo livello riguarda
l’analisi professionale, finalizzata ad identificare le esigenze di formazione derivanti dalla
valutazione delle attività previste dalle varie mansioni organizzative (job description) e dall’analisi
dei gap esistenti tra le competenze del ruolo e le performance degli individui che li ricoprono.

PROGETTAZIONE DELL’INTERVENTO
La fase di progettazione è strettamente correlata ai risultati emersi dall’analisi dei fabbisogni
organizzativi e individuali oltre che alle risorse economiche (budget) disponibili. Le esigenze
formative emerse vengono tradotte in obiettivi formativi, ovvero il bagaglio di conoscenze,
abilità e comportamenti che i partecipanti dovranno sviluppare al termine dell’iniziativa. Le
dimensioni della professionalità alle quali si riferiscono gli obiettivi formativi sono
fondamentalmente le conoscenze professionali (sapere), le abilità (saper fare) e le capacità
comportamentali (saper essere). Nell’offerta formativa aziendale vengono inserite:
- Iniziative più orientate allo sviluppo delle conoscenze e delle tecniche;
- Iniziative di formazione orientate allo sviluppo/cambiamento non solo delle conoscenze
e delle abilità ma anche del comportamento.
Oltre agli obiettivi da raggiungere, l’analisi dei fabbisogni permette di identificare i destinatari
della formazione. In funzione della strategia individuata si scelgono le metodologie didattiche,
ovvero le modalità pratiche per produrre apprendimento. Il processo di progettazione prevede
inoltre la definizione di ulteriori variabili:
• La scelta dei docenti: esterni o interni;
• I criteri di valutazione;
• Aspetti logistico-organizzativi.

VALUTAZIONE DEI RISULTATI


La valutazione dei risultati della formazione rappresenta l’ultima fase del processo formativo: il
momento della valutazione non coincide con la chiusura ma può rappresentare l’input per
riattivare l’intero sistema. La fase di valutazione della formazione consiste sostanzialmente in
un’attività di ricerca per individuare i cambiamenti intervenuti nei partecipanti a conclusione
dell’esperienza formativa, rispetto agli obiettivi formativi che il corso si è posto di conseguire.
Uno dei modelli di valutazione più noti ed utilizzati all’interno delle organizzazioni è quello
proposto negli anni 60 da Donald Kirkpatrick. Tale modello propone quattro distinti livelli di
valutazione, finalizzati a comprendere l’efficacia dell’intervento formativo sull’individuo e
sull’organizzazione.
Livello 1. Reazione: Questa prima fase è finalizzata a misurare il livello di gradimento dei
partecipamenti nei confronti dell’esperienza formativa vissuta e si effettua subito dopo la chiusura
dell’intervento formativo tramite la somministrazione di questionari di soddisfazione.
Livello 2. Apprendimento: è finalizzato a comprendere il raggiungimento degli obiettivi formativi e
può essere effettuato tramite test di profitto, questionario, casi e può avvenire in itinere o ex post.
Livello 3. Comportamento: la terza fase è finalizzata a valutare quanto di ciò che il partecipante ha
appreso durante l’intervento formativo viene applicato nel suo lavoro quotidiano e se ciò
comporta dei miglioramenti in termini di performance. La valutazione avviene attraverso test o
interviste ai discenti stessi, al responsabile o ai colleghi.
Livello 4. Impatto sul business: a questo ultimo livello si valuta l’impatto che la performance del
discente ha sul business una volta tornato sul posto di lavoro. L’indicatore più noto è il cosiddetto
ROI della formazione.

LE METODOLOGIE DIDATTICHE
Le architetture di apprendimento sviluppate all’interno delle organizzazioni possono avvalersi di
diverse e molteplici metodologie didattiche. Ci sono metodi didattici che promuovono
l’apprendimento attraverso l’esposizione di concetti e stimolando l’ascolto (learning by absorbing),
metodi che fanno leva sul learning by doing e rendono i discenti partecipi nella costruzione della
conoscenza e della competenza e infine metodi che stimolano e producono apprendimento
attraverso l’interazione con gli altri (apprendimento collaborativo).
▪ LEZIONI IN AULA
La lezione è una delle tecniche didattiche più comuni e a oggi più utilizzate all’interno dei
corsi di formazione. Essa consiste nel trasferimento di informazioni e conoscenze in
forma già strutturata dal docente al discente. Uno dei principali vantaggi delle lezione è la
sua efficienza, in quanto consente di trattare un elevato numero di argomenti in un tempo
più contenuto rispetto ad altre metodologie didattiche.
▪ ESERCITAZIONI E CASI
È possibile classificare queste tecniche didattiche in esercitazioni nozionistiche,
esercitazioni addestrative, metodo dei casi, incident e auto-casi.
▪ SIMULAZIONI
Le simulazioni sono tecniche didattiche che pongono i discenti in una situazione simile a
quella che essa che essi potrebbero incontrare nella loro vita lavorativa, chiedendo loro di
raggiungere l’obiettivo dato attraverso l’interazione con gli altri. Tra i metodi di
simulazione più noti e utilizzati nella formazione aziendale vi è il role playing.
▪ CINEMA
L’inserimento di spezzoni filmici a supporto delle lezioni d’aula è una pratica diffusa sia
nei contesti formativi aziendali che in ambito più accademico. L’efficacia di tale strumento
sembra essere particolarmente legata all’opportunità che esso offre di attivare.
▪ OUTDOOR TRAINING
È una metodologia di apprendimento che prevede che le attività formative siano svolte
all’esterno del contesto di lavoro e quindi al di fuori di una tradizionale aula di formazione.
Tipicamente i programmi outdoor training sono finalizzati a sviluppare nelle persone
dimensioni comportamentali e relazionali. Molte iniziative outdoor sono inoltre mutuate
dallo sport.
▪ STORYTELLING
L’utilizzo delle tecniche narrative e del racconto di storie nell’ambito di percorsi di
formazione e sviluppo si configura come opportunità di apprendimento collaborativo e
situato; le principali potenzialità di questa metodologia sono legate alla possibilità di
sviluppare consapevolezza di sé, socializzare e condividere con altri le proprie esperienze.
Oltre che nei percorsi di coaching e mentoring, tra le diverse finalità con cui lo storytelling
può essere utilizzato, sia nella sua forma tradizionale sia in modalità digitale, vi sono quella
legata alla diffusione di best practices ma anche al cosiddetto problem solving.
▪ TEATRO NELLA FORMAZIONE
L’utilizzo del teatro in ambito formativo può assumere diverse configurazioni:
- training lab all’interno dei quali i partecipanti sono coinvolti in esercizi individuali e di
gruppo, tratti dalle arti teatrali;
- realizzazione di spettacoli formativi;
- partecipazione ad uno spettacolo formativo.
▪ COMUNITA’ DI PRATICHE
Sono gruppi di individui che condividono una pratica lavorativa e che interagiscono per
scambiarsi esperienze e conoscenze e risolvere problemi lavorativi comuni, imparando,
quindi, gli uni dagli altri e con gli altri. Secondo Wenger, Me Dermott e Snyder i
presupposti perché ci possa essere una comunità di pratiche sono tre:
1. L’esistenza di un domain, che è l’ambito di riferimento della comunità ed è costituito
dall’insieme di questioni e problemi che i partecipanti sperimentano nella loro
attività professionale.
2. Il senso di comunità.
3. La pratice, un repertorio condiviso di risorse cognitive, operative, simboli.
▪ TRAINING ON THE JOB (TOJ)
Questa metodologia prevede che la formazione e l’apprendimento della persona
avvengano sul posto di lavoro attraverso il supporto di colleghi più esperti e
professionalmente più anziani. Uno dei principali vantaggi del TOJ consiste nel fatto che
consente di trasmettere e socializzare conoscenze tacite. Tra i principali punti di attenzioni
connessi a tale metodo vi sono l’individuazione di esperti preparati, motivati e capaci di
gestire il proprio ruolo di formatori e il rischio, per la natura stessa dell’attività che si
svolge sul campo, che non vi sia chiara separazione tra i tempi della formazione e il tempo
lavorativo.

NUOVE TECONOLOGIE: L’E-LEARNING


Con il termine e-learning si indica la possibilità di sviluppare e supportare attraverso
l’utilizzo delle nuove tecnologie processi di formazione sia in tempo reale che in remoto.
L’utilizzo della formazione a distanza ha subito un’evoluzione che è stata non solo
tecnologica ma anche metodologico-concettuale e che ha previsto il passaggio da un
approccio di tipo erogativo/trasmissivo dei contenuti ad una concezione
dell’apprendimento come processo sociale e collaborativo. I percorsi di e-learning oggi
permettono infatti ai partecipanti di ricoprire un ruolo sempre più attivo e di interagire
non solo in autonomia con il contenuto del corso (apprendimento autonomo) o con il
docente/tutor (apprendimento assistito) ma con la comunità di utenti che contribuiscono
reciprocamente e collaborano al raggiungimento degli obiettivi di apprendimento
(apprendimento collaborativo e reciproco). Le nuove tecnologie possono offrire un contributo
prezioso per supportare l’esigenza di lifelong learning, poiché favoriscono forme di
apprendimento veloce e frazionato.
Ma quali sono gli orientamenti attuali nell’utilizzo dei percorsi e-learning? Una tendenza
ormai diffusa e consolidata è quella di sviluppare architetture formative che veicolano i
contenuti attraverso linguaggi diversi e sempre innovativi. Ulteriore tendenza attuale è
rappresentata dall’applicazione/implementazione del web 2.0 ai processi di distance learning,
per cui è stata coniata la definizione di e-learning 2.0.

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