Sei sulla pagina 1di 15

ORGANIZZAZIONE E GESTIONE DELLE PERSONE

a cura di
Maurizio Decastri

1. I sistemi di gestione del personale: il quadro di insieme ..................................... 2

2. Il sistema di sviluppo: teoria e prassi ................................................................... 4


2.1 Le competenze, il reclutamento e la selezione ............................................. 4
2.2 La pianificazione del personale ................................................................... 6

3. Il sistema di ricompensa: ancora teoria e ancora prassi ....................................... 8


3.1 Le persone e gli incentivi ............................................................................. 9
3.2 Le varianti dei sistemi retributivi ............................................................... 11
3.3 Le fondamenta delle retribuzioni: valore, grado di copertura del ruolo e
risultati ............................................................................................................... 12

BIBLIOGRAFIA ...................................................................................................... 14
1. I sistemi di gestione del personale: il quadro di insieme
Da parecchi anni, fa parte del senso comune manageriale l’idea secondo la quale il
dinamismo e la complessità sono le principali sfide a cui le organizzazioni devono
saper rispondere. Dinamismo e complessità divengono, a volte, mostri leggendari,
eterni e imbattibili. E’ proprio vero? Solo parole? Sorge il dubbio che sia un modo
per negarne l’esistenza, fuggire e continuare a operare in modo tradizionale. Questo
sospetto è confermato dal fatto che spesso, al di là dei “proclami”, si trattano in
modo un po’ superficiale la variabile organismo personale e l’evoluzione delle
competenze e delle attese delle persone che operano nelle organizzazioni. Nessuno a
parole nega che le persone siano un elemento assolutamente rilevante; non è però
sempre facile capire come nel concreto si cerchi di trasformare tale convinzione in
realtà. Ancora oggi, nella gran parte delle organizzazioni, l’organismo personale
occupa - di fatto - l’ultima posizione della sequenza ambiente-strategia-struttura:
dato l’ambiente, si sceglie la strategia; per realizzare la strategia si progetta la
struttura organizzativa; per “far funzionare” le posizioni presenti nella struttura, si
definiscono gli strumenti di gestione del personale e si scelgono le persone. Questo
modo di guidare le organizzazioni è probabilmente superato dai fatti, rendendo le
soluzioni tecniche tradizionali un po’ obsolete.
La strategia, da un lato, e l’organismo personale, dall’altro, hanno caratteri ed
orientamenti distinti; ma le dinamiche della strategia e le dinamiche delle persone
sono fortemente interdipendenti e devono potersi combinare in modo armonico. La
vera sfida è duplice: da un lato non limitarsi a enunciare la prospettiva sistemico
(vecchia, sì, ma non ancora realmente utilizzata); dall’altro, avere il coraggio di
andare oltre e considerare realmente le persone uno degli elementi su cui costruire
l’orientamento strategico. Per realizzare l’integrazione tra dinamiche strategiche e
dinamiche personali, non è quindi sufficiente “saltare” la struttura organizzativa e
considerare l’influenza diretta della strategia sui sistemi di gestione del personale;
un po’ provocatoriamente, ma non tanto, è lo “stock” (con molte virgolette) del
personale che determina le possibili evoluzioni della strategia.
In altri termini, le persone sono da considerare alla base – e non la conseguenza –
dei processi di costruzione strategica e progettare un sistema di gestione del
personale significa – di fatto – definire almeno una parte della strategia.
In tale prospettiva e considerate le possibili ricadute, si palesa la necessità di
conoscere l’articolazione logica e tecnica del sistema di gestione del personale
costituito dall’insieme dei sottosistemi e processi volti a governare la relazione di
equilibrio tra persona e organizzazione. I due principali sottosistemi di gestione
delle risorse umane sono il sistema di sviluppo e il sistema di ricompensa.

Il sistema di sviluppo funge da regolatore delle dinamiche quali – quantitative


dell’organismo personale rispetto alle dinamiche organizzative. Consente di

2
determinare il fabbisogno di personale e di accompagnarne l’evoluzione rispetto
agli eventuali mutamenti dell’assetto organizzativo, coniugando così lo sviluppo
delle persone con lo sviluppo (positivo o negativo) dell’organizzazione.

Il sistema di ricompensa ha l’obiettivo di rendere “conveniente” sia per


l’organizzazione, sia per la persona il rapporto di lavoro, proprio secondo la logica
di Barnard che, nel 1938, affermò la necessità di perseguire un sostanziale equilibrio
di medio termine tra contributi forniti all’organizzazione e incentivi offerti al
prestatore di lavoro. E’ spesso identificato con il sistema retributivo: tra le
molteplici ricompense che possono essere parte di un sistema premiante (il compito,
lo stile di direzione, l’ambiente fisico e sociale, i valori condivisi ecc.), le
organizzazioni fanno solitamente affidamento sulla retribuzione. In questo modo,
non impiegando al meglio la gamma potenziale di incentivi utilizzabili, stipendio
fisso e bonus sono considerati gli unici strumenti a disposizione per premiare le
persone.

Le tavole 1 e 2 propongono gli schemi sintetici che riassumono gli strumenti che
compongono, rispettivamente, il sistema premiante e il sistema di sviluppo; tali
schemi saranno illustrati a larghi tratti nei prossimi paragrafi.

Tavola 1 – Il sistema di ricompensa

Valutazione della Curva retributiva


Descrizione di posizione base
ruolo

Valutazione della
Retribuzione Sistema di
copertura della
base effettiva ricompensa
posizione

Profili di ruolo Valutazione dei Bonus


risultati

3
Tavola 2 - Il sistema di sviluppo

Reclutamento e
selezione

Copertura di Formazione di
Descrizione di ruolo miglioramento
ruolo

Analisi del Pianificazione Sistema di


potenziale del personale sviluppo

Profili di ruolo Prospettive Formazione di


organizzative evoluzione

2. Il sistema di sviluppo: teoria e prassi


Il sistema di sviluppo è l’insieme delle tecniche che permettono di garantire un
sostanziale equilibrio quali-quantitativo tra l’evoluzione organizzativa e
l’evoluzione dell’organismo personale (tavola 2). Come per il sistema premiante,
descrizione e profilo di ruolo stanno alla base della costruzione del sistema: da qui
si parte per definire e realizzare sia il processo di reclutamento e selezione, sia la
pianificazione del personale.

2.1 Le competenze, il reclutamento e la selezione


L’analisi e la descrizione dei ruoli costituisce il primo elemento per la costruzione
di un sistema integrato di gestione del personale e deve includere una serie di fattori
quali:
 la finalità del ruolo, ossia la sua ragione d’essere;
 il contesto organizzativo, ossia le relazioni gerarchiche e funzionali, verticali e
orizzontali che costituiscono riferimento e vincolo per la sua attività;
 i mezzi a disposizione per realizzare gli obiettivi (risorse umane, economiche,
tecnologiche, gestionali); ma soprattutto:
 le attività svolte;
 le responsabilità assegnate al ruolo;
 le interdipendenze con altri ruoli.
Il profilo di ruolo contiene, invece, sia l’elenco del “cosa e come fare”, sia l’elenco
delle competenze, ovvero di quei requisiti personali e professionali ideali e

4
necessari per svolgere in modo ottimale il ruolo e garantire l’efficacia dei
comportamenti.
In particolare, le competenze risultano dal combinato di conoscenze, esperienze e
capacità. Le conoscenze (il saper fare) rappresentano il bagaglio di nozioni,
informazioni, studi che la persona ha acquisito nel corso della propria vita. Le
esperienze (il saper fare) sono l’insieme delle attività e delle condizioni
professionali sperimentate dalla persona nel corso della propria carriera. Le capacità
(il saper essere), infine, sono le caratteristiche profonde che identificano l’individuo
e ne costituiscono la sua struttura portante. Quest’ultimo elemento fondante le
competenze può essere raggruppato in tre aree: cognitiva, relazionale e, da ultimo,
quella realizzativa e manageriale. Nell’area cognitiva ci sono quei tratti che
identificano il modo di leggere e interpretare la realtà (es. flessibilità di pensiero,
analisi/sintesi, apprendimento); l’area relazionale comprende le capacità che
presiedono una gestione efficace dei rapporti sociali (quali, per esempio,
l’intelligenza sociale, la collaborazione, ecc.); l’area realizzativa e manageriale fa
riferimento all’energia che la persona spende per agire sulla realtà circostante
(l’autonomia, l’iniziativa, la costanza, ecc.) ma anche alle modalità con le quali si
agisce (la stabilità emotiva e la leadership). Le funzioni d’uso di documenti quali i
profili di ruolo si esplicano chiaramente nei sistemi di gestione del personale, in
primis in quello di sviluppo: nel caso in cui si riuscisse a selezionare una persona
con un profilo di competenze analogo a quello richiesto per il ruolo da ricoprire, ci
sarebbero le premesse per garantire prestazioni migliori.

Il reclutamento costituisce lo strumento con cui il selezionatore contatta i candidati


potenzialmente interessanti per la posizione scoperta; la selezione consente invece
di scegliere tra i candidati contattati coloro i quali meglio rispondono alle
caratteristiche richieste; il processo giunge a conclusione con la scelta – fatta da
colui che occupa la posizione gerarchicamente superiore – del candidato più vicino
alle esigenze per competenze e motivazione. Al di là delle etichette, la selezione è
un vero e proprio momento di analisi e valutazione del potenziale e come tale deve
essere gestito; stupisce, quindi, che frequentemente sia affidato a persone molto
giovani (è spesso un compito assegnato a un neo-laureato!) o non specializzate, con
le prevedibili conseguenze per l’organizzazione e per la persona. Considerato il
costo complessivo di un’assunzione, ci si può chiedere come mai le organizzazioni,
dedichino attenzione e personale specialistico all’acquisizione di un tornio e lascino
dominare dal “buon senso” un investimento economicamente ben più rilevante.
Le organizzazioni che scelgono di privilegiare le carriere interne e di alimentare
dall’interno lo sviluppo organizzativo dedicano un’attenzione “culturale” al
processo di reclutamento e selezione e lo basano, oltre che sull’individuazione di
potenzialità, anche sulle affinità valoriali. Le organizzazioni che preferiscono

5
acquisire persone già formate dedicano un’attenzione prevalentemente “tecnica”
alla selezione, basata sull’analisi della posizione da coprire, sull’individuazione dei
profili dei candidati e sul migliore adattamento puntuale del candidato alla
posizione.

2.2 La pianificazione del personale


La pianificazione del personale viene costruita sulla base delle informazioni
provenienti dal grado di copertura di ruolo che le persone offrono, dall’analisi del
potenziale e dalle prospettive organizzative.
La copertura di ruolo consente di misurare il gap esistente tra i profili dei ruoli
esistenti nella struttura organizzativa e i profili delle persone che coprono tali ruoli:
scostamenti significativi sono un segnale di pericolo e devono essere affrontati e
risolti tramite rapide scelte di pianificazione del personale; gap molto ridotti sono,
invece, un segnale di attenzione : la persona potrebbe essere pronta – previa verifica
del potenziale – per un altro ruolo o, in alternativa, è “plafonata” con la conseguente
eventuale esigenza di un intervento retributivo.
L’analisi del potenziale è il processo che consente allo specialista di rilevare, in
modo scientificamente solido, le capacità – latenti ed espresse – detenute da una
persona; è un momento delicatissimo della vita aziendale perché può determinare
l’intero percorso professionale della persona analizzata: il potenziale è un dato
immutabile nel tempo e, se la misurazione è fatta correttamente, la scheda personale
è la base di tutto il percorso di sviluppo della persona. Errori in questo ambito –
peraltro frequenti a motivo della diffusione di personaggi che nulla hanno da
invidiare al “Mago Gabriel” e che approfittano della scarsa cultura psicologica delle
organizzazioni – sono piuttosto costosi: per l’azienda, perché non riesce a utilizzare
le persone laddove possono produrre ottimi risultati; per le persone, perché sono
collocate in ruoli non confacenti alle loro capacità con effetti negativi sulla loro
soddisfazione e sui processi di carriera.
Tecnicamente, l’analisi del potenziale può consistere in un colloquio clinico svolto
con uno psicologo del lavoro o in assessment centre. In entrambi i casi, il setting
costruito dallo specialista e una serie di stimoli controllati consentono di rilevare le
caratteristiche di fondo delle persone sottoposte ad analisi; cambia, però, il contesto
sociale: il colloquio è un’occasione di incontro a due, mentre l’assessment vive
sull’interazione di più persone che sono analizzate contemporaneamente.
La pianificazione del personale è una componente rilevante della più ampia
pianificazione organizzativa; di qui l’assoluta esigenza di conoscere l’evoluzione
della struttura e dei ruoli per inserirvi e guidare l’evoluzione dell’organismo
personale. In particolare, le prospettive organizzative comprendono le variazioni di
organigramma e di ruoli previste per gli anni successivi e, più precisamente, i profili

6
di ruolo (capacità, conoscenze ed esperienze) che devono trovare copertura – interna
o esterna – in prospettiva.
La pianificazione del personale è, a sua volta, la base su cui costruire e realizzare i
programmi di formazione e le politiche di carriera.
La formazione può essere di miglioramento, se orientata ad accrescere il grado di
copertura del ruolo, o di evoluzione, se finalizzata a fornire alla persona competenze
fruibili in ruoli diversi da quello ricoperto. Nel primo caso, la valutazione di
copertura elaborata dal capo è la base su cui definire l’intervento: lo scostamento
rilevato diviene l’area su cui operare, sia offrendo alla persona l’opportunità di
sviluppare capacità latenti, sia fornendo conoscenze ed esperienze utili al ruolo. Se
ben progettata, la formazione di miglioramento è un tipico esempio di gioco a
somma maggiore di zero: l’azienda ottiene migliori prestazioni e la persona
acquisisce il diritto a una revisione retributiva. La formazione di evoluzione è un
vero e proprio processo finalizzato a preparare il futuro dell’organizzazione e, più
precisamente, a rendere le persone pronte a occupare ruoli diversi o nuovi. Come
tutti gli investimenti, comporta il sostenimento di costi con effetti non certi e,
comunque, differiti e una certa dose di rischio, poiché il risultato non è prevedibile e
può diventare obsoleto prima che i costi siano recuperati; l’investimento è, inoltre,
materializzato in un sapere che non è nella disponibilità assoluta dell’impresa, ma è
condiviso con persone il cui impegno è indispensabile per renderlo efficace. Infine,
la formazione può produrre un cambiamento nel valore relativo delle persone e,
conseguentemente, nello status delle diverse professionalità aziendali, modificando
i rapporti di potere esistenti: si tratta quindi di un processo che può generare
tensioni conflittuali e squilibri che richiedono un’accorta gestione.
La tematica della gestione delle carriere non può essere affrontata prescindendo
dalle altre scelte relative all’assetto organizzativo complessivo, scelte che
condizionano in modo forte l’insieme di decisioni che riguardano i possibili sentieri
di carriera. Un sentiero di carriera può essere definito come un insieme coerente di
ruoli da ricoprire in sequenza nel tempo; la costruzione di tali sentieri deve essere
integrata da informazioni specifiche riguardanti, da una parte, la struttura
organizzativa dell’azienda e, dall’altra, le scelte in merito al sistema premiante. La
base indispensabile per impostare le politiche di carriera deve comprendere lo stato
e i fabbisogni della struttura organizzativa (soprattutto per quelle aree dove si
concentrano i ruoli più critici) e la mappa delle competenze.
In particolare, la mappa delle competenze è fondamentale per fare chiarezza
sull’insieme di conoscenze, esperienze e capacità necessarie per coprire i ruoli
presenti e futuri e per seguire con attenzione i percorsi di sviluppo delle persone. É,
inoltre, condizione necessaria per la realizzazione e la gestione di due importanti
strumenti di gestione del personale direttivo: le tavole dei tempi di sostituzione e
le tavole di rimpiazzo.

7
Il primo strumento individua le sequenze cronologiche dei sentieri di carriera ed
evidenzia i tempi minimi di permanenza utili per acquisire le competenze necessarie
per gli ulteriori sviluppi; consente, inoltre, di collegare la struttura organizzativa alla
pianificazione del personale, indicando i tempi necessari per la copertura dei ruoli
scoperti o da creare e la fonte a cui attingere (personale interno o acquisito sul
mercato del lavoro esterno).
Le tavole di rimpiazzo consistono, invece, in uno schema in cui, al di sotto del
nome del titolare di ogni ruolo, viene posto il nome delle persone che potrebbero
sostituirlo e il tempo entro cui ciò potrebbe accadere.
Una importante distinzione è quella tra sentieri di carriera verticali e sentieri
diagonali. I primi sono quelli che si sviluppano all’interno del medesimo
raggruppamento professionale attraverso una progressione continua da un livello
inferiore a quello superiore. I sentieri diagonali si esplicitano, congiuntamente o
meno alla variazione di livello (gerarchico e/o retributivo e/o di qualifica), in uno
spostamento a un altro raggruppamento professionale. Le difficoltà connesse
all’adattamento della persona alla nuova posizione, sia questa frutto di una
progressione verticale o diagonale, possono in parte essere risolte da interventi di
formazione; nel caso di mutamenti di carriera verticali, la formazione dovrà
insistere più sul mutamento delle competenze di fascia gerarchica; nel caso di
mutamenti di carriera diagonali, l’intervento formativo dovrà focalizzarsi più sulle
competenze specifiche di funzione.

3. Il sistema di ricompensa: ancora teoria e ancora prassi


Come si è detto, il sistema premiante può essere definito come l’insieme dei
meccanismi che rendono “conveniente” nel tempo la relazione tra organizzazione e
persona e che consentono di mantenere equo il rapporto “contributi-incentivi”. Da
esso dipende in buona misura la possibilità di realizzare e di mantenere l’equilibrio
tra prestatori di lavoro e organizzazione, ossia quell’articolato intreccio di equità,
fiducia e cooperazione che è la base sulla quale è opportuno fondare il
perseguimento degli obiettivi di economicità duratura delle combinazioni
economiche. Piccoli errori di progettazione della struttura organizzativa o del
sistema informativo possono produrre inefficienze che non si traducono in
discontinuità negative significative nelle relazioni tra prestatori di lavoro e
organizzazione. Errori, anche piccoli, di progettazione e di gestione del sistema
premiante possono avere effetti negativi profondi sul rapporto di fiducia, equità e
cooperazione che si cerca di costruire, soprattutto laddove l’attività da svolgere è
complessa e la pressione sui risultati è elevata.
In parte, a motivo dei molteplici intrecci tra le discipline a cui si può fare
riferimento (economia aziendale, organizzazione, psicologia, sociologia) e, in parte,

8
per una qualche forma di distanza tipica dell’accademica quando ha di fronte temi
un po’ troppo concreti, non esiste una teoria condivisa sulla cui base progettare con
sufficiente sicurezza il sistema premiante; esistono, piuttosto, alcuni parziali
contributi di rilievo, molte esperienze empiriche e numerosi prodotti offerti dalle
società di consulenza.

3.1 Le persone e gli incentivi


Tra i contributi di rilievo, volti a indagare e spiegare proprio la relazione prestatore
di lavoro-organizzazione, è utile ricordare almeno il pensiero di Barnard e di
Galbraith. Come poc’anzi ricordato, Barnard propone una teoria che ha per oggetto
le condizioni necessarie affinché le persone (prestatori di lavoro, conferenti di
capitale, fornitori, clienti), avviino e mantengano la loro partecipazione
all’organizzazione. I punti essenziali di questa teoria sono:
1) un’organizzazione è un sistema di comportamenti messi in atto da coloro che
sono definiti i “partecipanti” all’organizzazione;
2) ciascun partecipante riceve incentivi in cambio dei quali offre contributi;
continua a partecipare all’organizzazione solo finché gli incentivi che gli
vengono offerti valgono (misurati in termini dei suoi valori e in termini di
alternative che gli si offrono) quanto o più dei contributi che percepisce di dare;
3) i contributi dei partecipanti producono le risorse da cui l’organizzazione trae gli
incentivi che offre loro;
4) un’organizzazione è “solvibile” e continua ad esistere finché i contributi sono
sufficienti a fornire incentivi tali da ottenere appunto questi contributi.
Gli incentivi di varia natura offerti dall’organizzazione (soldi, sicurezza, sviluppo
ecc.) sono ricondotti ad una valutazione unitaria in base alle curve di utilità, che
variano da persona a persona e per una stessa persona nel tempo. Considerazioni
analoghe valgono per i contributi che, anch’essi di varia natura e variamente
misurabili, sono apprezzati in termini di utilità relativa rispetto alle alternative
disponibili. Il punto di equilibrio tra l’utilità percepita degli incentivi e l’utilità
percepita dei contributi rappresenta la discriminante per la decisione di abbandonare
o meno il “contratto” tra azienda e persona.
La teoria di Galbraith si basa invece sulle seguenti proposizioni:
a) differenti ruoli richiedono differenti comportamenti;
b) le organizzazioni non possono aspettarsi dagli individui comportamenti
spontaneamente orientati agli obiettivi aziendali e devono quindi progettare un
sistema premiante “artificiale”;
c) il sistema premiante più efficace è quello che incentiva il comportamento
richiesto dal ruolo.

9
La base di riferimento è dunque rappresentata dai comportamenti attesi, i quali
dipendono, a loro volta, dal grado di complessità dei ruoli e dalle interdipendenze
che li legano. La scala dei comportamenti corrispondente al crescere di tali variabili
è così definita:
1) entrare e rimanere: si tratta del comportamento minimo che si manifesta con la
semplice presenza;
2) comportamento dipendente: alla persona è chiesto di eseguire gli ordini e seguire
le nome aziendali; è il comportamento richiesto nei casi in cui i compiti siano
programmabili e il coordinamento richiesto con altre mansioni sia minimo;
3) sforzo sopra il minimo: è il comportamento richiesto per lo svolgimento di
compiti che presentano un significativo grado di discrezionalità;
4) comportamento spontaneo e attivo: è necessario quando i comportamenti efficaci
non possono essere previsti e programmati e l’impresa fa affidamento sulla persona
per l’individuazione dei problemi e la ricerca delle soluzioni;
5) comportamento cooperativo: richiesto nelle posizioni in cui esistono non solo
ampi margini di discrezionalità, ma anche elevati livelli di interdipendenza con altre
unità aziendali.
Galbraith, inoltre, distingue tra incentivi estrinseci ed incentivi intrinseci1 e li
classifica nel modo seguente:
1) accettazione delle regole: il comportamento è prodotto sulla base del principio
dell’autorità, ossia chiedendo la sospensione del giudizio da parte del subordinato
nei confronti del suo superiore; il premio è la non sanzione.
2) Incentivi d’impresa: sono incentivi estrinseci corrisposti ai prestatori di lavoro in
quanto membri dell’impresa.2
3) Incentivi di gruppo: sono assegnati a un gruppo di prestatori di lavoro, di regola
in funzione dei risultati conseguiti dal gruppo.3
4) Incentivi individuali: sono premi, aumenti di merito, simboli di status,
riconoscimenti di vario genere collegati ai risultati individuali.
5) Identificazione con il compito: incentivo di tipo intrinseco derivante dalla
soddisfazione connessa allo svolgimento del compito; i risultati positivi comportano
essi stessi un premio in quanto soddisfano i bisogni di successo e di stima di sé.
6) Identificazione con gli obiettivi: la soddisfazione deriva dallo svolgimento di
compiti funzionali agli obiettivi d’impresa e interiorizzati dall’individuo.

1
Per incentivi estrinseci l’autore intende le “soddisfazioni artificiali” non derivanti dallo svolgimento
del compito in sé; per incentivi intrinseci egli intende la soddisfazione derivante, come naturale
conseguenza, dallo svolgimento del compito in sé.
2
Ne sono esempi: le ferie, le indennità di quiescenza, l’assistenza medica, gli aumenti retributivi a
fronte del costo della vita, favorevoli condizioni fisiche di lavoro, opportunità di attività ricreative.
3
Il gruppo può essere rappresentato dai membri di una squadra, di un reparto, di un ufficio. Si tratta
tipicamente di incentivi monetari.

10
Esistono delle relazioni di funzionalità e di disfunzionalità tra tipi di
comportamento richiesti e incentivi; la scelta del meccanismo incentivante va fatta
non in astratto o per motivi ideologici, ma sulla base del comportamento
effettivamente richiesto alla persona in quel determinato ruolo, tenendo conto del
fatto che il costo dei vari strumenti aumenta progressivamente passando dalla
“accettazione delle regole” alla “identificazione con gli obiettivi”.

3.2 Le varianti dei sistemi retributivi


Nessuna tecnica premiante – per quanto sofisticata sia – può essere considerata la
soluzione perfetta e universale per garantire equità e convenienza. Nel passato, il
ruolo di “formula magica” è stato attribuito via via al cottimo, alla job evaluation,
alla direzione per obiettivi, al profit sharing, e così via. Nell’uso delle differenti
formule si notano corsi e ricorsi e combinazioni varie di logiche e strumenti;
ciascuna formula retributiva, inoltre, comporta vantaggi e svantaggi, almeno
potenziali, per ogni partecipante al gioco. Di seguito si propone una rassegna
sintetica delle più significative varianti dei sistemi retributivi, schematizzandone
anche una approssimativa sequenza storica.
 Il prezzo di mercato del lavoro. Il salario è un prezzo che scaturisce dall’incontro
tra domanda e offerta dei vari tipi di competenze; il mercato detta i prezzi e la
retribuzione della singola persona ha a che fare solo parzialmente con la sua
prestazione o con le caratteristiche dell’azienda in cui essa opera.
 Il cottimo. Ciascuna persona è retribuita in funzione di quanto produce e
l’impresa paga soltanto il risultato effettivamente prodotto.
 La partecipazione al profitto. Poiché i risultati economici di un’impresa derivano
congiuntamente dal capitale e dal lavoro, tali risultati sono ripartiti tra coloro che
conferiscono capitale e coloro che prestano il lavoro.
 Job evalutation. La teoria secondo la quale le retribuzioni devono essere
correlate direttamente al valore delle mansioni ha origine negli Usa negli anni
’40 e si diffonde negli anni ’60. Ciascuna mansione si presenta con vari gradi di
difficoltà e di complessità per livelli di responsabilità assegnati e competenze
richieste, e le retribuzioni sono definite in funzione di tali caratteri. Tra i metodi
disponibili, il più diffuso è il metodo Hay, ancora oggi considerato un
riferimento universale; tra l’altro, l’utilizzo standardizzato di tale metodo in più
aziende nel corso di molti anni consente di fare moltissimi confronti per settore,
per area geografica, per ruoli. Il “punto Hay” è così diventato l’unità di misura
per le retribuzioni.
 La direzione per obiettivi. A metà degli anni ‘60 la logica della job evaluation
viene parzialmente corretta. Le persone non devono essere retribuite per il fatto
di svolgere una mansione secondo le regole (si potrebbe essere indotti a

11
privilegiare l’accuratezza del lavoro piuttosto che l’utilità dello stesso), ma in
funzione dei risultati prodotti. Periodicamente ciascuna persona concorda con
l’azienda gli obiettivi da raggiungere e la sua retribuzione è commisurata al
grado di realizzazione degli stessi. Nasce la cosiddetta direzione per obiettivi
(management by objectives).
 Retribuire le competenze. Nel corso degli anni ‘80 i sistemi retributivi basati
sulla job evaluation vivono momenti di difficoltà: il dinamismo dei contesti e
delle strategie aziendali è tale per cui non si riesce più ad aggiornare gli
organigrammi, i mansionari, i punteggi Hay, le curve retributive; si cerca di
slegare le retribuzioni dall’evoluzione dell’assetto organizzativo identificando
una logica retributiva che riduca l’enfasi sulle mansioni e concentri l’attenzione
sulle persone e sulle loro competenze (pay for knowledge); i compiti e gli
obiettivi possono modificarsi continuamente, ma la remunerazione è collegata
alla persona. Nonostante gli sforzi fatti, non sembra esservi ancora una soluzione
tecnicamente valida: in alcuni casi, il tutto si è risolto in una “traduzione” della
complessità del compito in competenze, vanificando il tentativo di superare le
rigidità dei sistemi di job evaluation. In altri casi, si è tentato di elaborare dei
“listini prezzi” delle competenze, ma il forte vantaggio competitivo dei metodi
tradizionali in termini di comparabilità interaziendale ha bloccato ogni ipotesi di
cambiamento.

3.3 Le fondamenta delle retribuzioni: valore, grado di copertura del ruolo e


risultati
La realtà ci dice che, di regola, le retribuzioni vanno ancorate a tre elementi: il
valore del ruolo, il grado di copertura offerto dalla persona, i risultati prodotti
(tavola 1).
Per giungere a determinare tali elementi, occorre prima definire con accuratezza il
contesto organizzativo in cui inserire il sistema retributivo; in particolare, sono da
individuare ed esplicitare (così come per il sistema di sviluppo) i ruoli oggetto del
sistema (più o meno le tradizionali job description) e i relativi profili professionali.
Dopo averli individuati e descritti4,
l’assegnazione del valore ai ruoli è compiuta con tecniche tutte riconducibili al
metodo Hay; a titolo esemplificativo, i fattori considerati da tale metodo sono :
 know-how: l’insieme delle competenze tecniche necessarie; l’ampiezza della
competenza manageriale richiesta; la capacità necessaria nell’area delle relazioni
umane;

4
Per l’approfondimento di questo punto si rimanda al paragrafo 2.1

12
 problem solving: l’intensità dei vincoli e dei limiti posti dall’ambiente e
dall’organizzazione all’attività di pensiero rivolta all’individuazione e alla
risoluzione dei problemi; il grado di complessità del processo mentale richiesto;
 finalità: il volume di risorse governate, il livello di influenza detenuto su tali
risorse e la discrezionalità nell’uso delle stesse.
Una volta determinato il valore del ruolo, è possibile individuarne le correlazioni
con le retribuzioni teoriche, costruendo la curva retributiva base (Tavola 3).
Per giungere alla retribuzione effettiva, è necessario rilevare il grado di copertura
del ruolo: occorre, in altri termini, misurare quanto le capacità realmente espresse
nei comportamenti e le conoscenze e le esperienze detenute dalla persona
“riempiono” il profilo di ruolo, ossia corrispondono effettivamente alle esigenze
determinate dalle attività svolte. La retribuzione effettiva è una percentuale della
retribuzione teorica; tale percentuale è espressiva della reale copertura del ruolo e va
periodicamente rivista in funzione della crescita della persona.

Tavola 3 - La curva retributiva base

Retribuzione
annua lorda

Valore della posizione

La valutazione dei risultati è il processo attraverso il quale l’azienda misura e


valuta ciò che la persona ha realizzato rispetto agli obiettivi di ruolo; tale processo
ha due finalità: una finalità motivazionale, tramite la quale vengono regolati i
rapporti fra contributi e ricompense, e una finalità economico-organizzativa, utile a
esaminare i risultati prodotti rispetto a tutte le altre performance aziendali. Risultano
così ancor più evidenti le connessioni tra gestione del personale, psicologia del
lavoro e controllo di gestione. Purtroppo, le organizzazioni sono più inclini a usare
il sistema come “paravento” per l’erogazione di bonus “politici” piuttosto che come
momento di verifica dell’efficienza organizzativa.
La valutazione dei risultati, in effetti, non è solo un momento formale, ma un
processo articolato che, oltre a produrre i “numeretti” finali, consente di:
- chiarire i risultati attesi e i mezzi disponibili per raggiungerli;
- promuovere il feed-back tra capo e collaboratore;

13
- porre le basi per un continuo miglioramento delle prestazioni individuali e
collettive;
- produrre le informazioni utili a programmare sia le attività aziendali, sia gli
interventi di formazione individuali.
Gli strumenti utilizzabili per far funzionare il sistema in tal modo sono:
1) la scheda (documento formale in cui si registrano le fasi fondamentali del
processo: assegnazione obiettivi, verifiche intermedie, valutazione, commenti
alla valutazione);
2) la procedura (documento in cui vengono specificati i ruoli e le responsabilità
dei principali attori nelle varie fasi);
3) il manuale (documento che illustra il corretto utilizzo dello strumento e la
gestione di alcune eccezioni prevedibili);
4) la formazione dei valutatori;
5) il sistema di controllo del processo (per garantire l’effettivo e corretto utilizzo
del sistema attraverso analisi e verifiche dei comportamenti effettivi).
Sia le logiche, sia gli strumenti devono tenere in considerazione i valori culturali e il
clima esistenti nell’organizzazione per consentire una maggiore condivisione del
processo e dei risultati che ne emergono.
Grado di copertura del ruolo e valutazione dei risultati consentono di definire con
completezza il “premio” da assegnare alla persona. Tramite la valutazione del grado
di copertura si giunge a determinare la retribuzione fissa effettiva: in grande sintesi,
come si è già detto, la percentuale di copertura applicata alla retribuzione teorica
definisce la retribuzione da assegnare alla persona. La valutazione dei risultati
consente, infine, di definire la parte variabile della retribuzione, quella legata alle
prestazioni effettivamente raggiunte dalla persona nell’anno considerato.

BIBLIOGRAFIA
Carretta A., Dalziel M., Mitrani A., (1998), Dalle risorse umane alle competenze,
Franco Angeli, Milano.
Costa G., (1997), Economia e Direzione delle Risorse Umane, Utet, Torino.
Costa G., (1992), Manuale di gestione del personale, Utet, Torino.
Decastri, M. (2011), Leggere e progettare le organizzazioni, G. Giappichelli
Editore, Torino.
Fincham R., Rhodes P., (2005), Principles Of Organizational Behaviour, Oxford
University Press.
Levati W., Saraò M., (1998), Il modello delle competenze, Franco Angeli, Milano
Paneforte S., (1999), La gestione delle persone nell’impresa, Cedam, Padova.

14
Slocum J. W. Jr., Hellriegel D., (2010), Comportamento organizzativo, Hoepli –
Collana: Economia.
Tosi H., Pilati M., (2008), Comportamento organizzativo. Attori, relazioni,
organizzazione, management, Egea.

15

Potrebbero piacerti anche