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L’approdo alla prospettiva contingente

D. Scarozza

Corso di
ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

DISPENSA
L’APPRODO ALLA PROSPETTIVA
CONTINGENTE

A cura di
D. Scarozza
L’approdo alla prospettiva contingente
D. Scarozza

1. La prospettiva contingente
Le organizzazioni non sono tutte uguali. Considerarle tutte simili e
pensare, così come proposto da quei contributi teorici definiti “classici”, che
possa esistere un solo modo per fare progettazione organizzativa può
comportare il manifestarsi di alcuni problemi. Pensandoci, inoltre, strutture e
sistemi che funzionano in alcune unità organizzative possono, con molta
probabilità, risultare inappropriate per altre unità e/o reparti organizzativi.
Il termine contingenza esprime il fatto che “una cosa dipende da altre
cose” e che, affinché le organizzazioni siano efficaci, si rende necessaria una
buona corrispondenza tra organizzazione interna e condizioni presenti
nell’ambiente esterno. Ciò che funziona in un determinato contesto, infatti, può
non funzionare in un altro, rendendo impossibile l’individuazione di soluzioni
migliori in generale. Gli studi condotti nell’ambito del filone di ricerca definito
“teorie della contingenza”, nel tentativo di studiare e schematizzare le modalità
organizzative “migliori”, hanno modificato proprio l’accezione da attribuire
all’aggettivo migliore: la progettazione organizzativa deve essere pensata non
già al fine di individuare l’unica e ottimale modalità organizzativa, ma per
identificare diverse alternative organizzative, ciascuna adatta a particolari
circostanze o, qual si voglia, contingenze.
Anche il concetto di efficacia e la sua rilevanza per la progettazione
organizzativa, assume, nelle teorie contingenti, un ruolo fondamentale. Alcuni
studiosi, confrontando entità organizzative a bassa e ad alta performance,
hanno studiato la relazione che intercorre fra quest’ultima e
l’organizzazione. L’idea di fondo di questo “nuovo” filone teorico,
sviluppatosi intorno agli anni ’60 del secolo scorso, è che contingenze ed
organizzazione sono collegate da un imperativo di adattamento che influisce
sulla performance dell’organizzazione (Figura 1): al cambiamento delle
variabili contingenti deve corrispondere un cambiamento
dell’organizzazione (dando così luogo a una relazione asimmetrica).

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Il successo dell’organizzazione, pertanto, dipenderà dalla capacità


dell’organizzazione di adattarsi, di volta in volta, alle contingenze. In caso di
mancato adattamento, pertanto, si parlerà di misfit perché bassa sarà la
prestazione dell’organizzazione, al contrario, in caso di riuscito adattamento, si
parlerà di fit, per sottolineare l’ottenimento di una prestazione elevata.

Figura 1 - L’adattamento dell’organizzazione alle contingenze

Fonte: elaborazione propria

Tali riflessioni portano ad affermare che il principio della “one best way”
caratterizzante gli approcci classici, in sostanza, è sostituito dal principio del
“one better fit” nel senso che le modalità organizzative da adottare per la
divisione e il coordinamento del lavoro devono essere adatte e coerenti al
fattore contingente individuato, di volta in volta, come critico.
L’unica, e probabilmente sola problematicità, è data dalla difficoltà che
sempre si riscontra nella misurazione dell’efficacia organizzativa, definita come
la misura in cui l’organizzazione realizza i propri obiettivi (ovviamente rispetto
a quelli che si era inizialmente posta). Le organizzazioni, però, sono entità vaste,
varie e frammentate; svolgono molte attività simultaneamente, perseguono
molteplici obiettivi e generano molti risultati, alcuni in modo intenzionale, altri
meno. Quello di efficacia è, pertanto, un concetto ampio che prende
implicitamente in considerazione una gamma di variabili sia a livello
organizzativo macro, sia a livello delle singole unità organizzative.
La teoria contingente poggia, in sintesi, su un principio che può essere
sintetizzato nell’espressione “tutto dipende” (it all depends). Alcune

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organizzazioni, ad esempio, possono operare in un ambiente certo, adottare una


tecnologia di routine e desiderare l’efficienza. In questa situazione, un approccio
burocratico che utilizza procedure di controllo formalizzate, una struttura
funzionale e una comunicazione scritta sarebbero le scelte più appropriate. Ne
deriva che l’approccio gestionale corretto dipende dalla situazione contingente
dell’organizzazione. Altre organizzazioni potrebbero invece operare in un
ambiente incerto, ciò richiederebbe altri approcci, altre strutture e altre
procedure.
Secondo la prospettiva contingente, dunque, identificare l’organizzazione
“migliore” significa comprendere sia quale è l’organizzazione più adatta a
gestire una specifica tecnologia, a interagire e a operare in un certo mercato, a
competere con successo nel settore di appartenenza, sia come la localizzazione
in un determinato paese, la strategia formulata dal management, la tecnologia
adottata e la dimensione raggiunta possano influenzare e condizionare la forma
organizzativa delle imprese, delle organizzazioni pubbliche, dei centri di ricerca,
delle associazioni di assistenza e tutela sociale. All’unico modello organizzativo
teorizzato e proposto dai teorici classici va, quindi, a sostituirsi il pluralismo
organizzativo.
L’ipotesi formulata e sostenuta dagli autori “contingenti” ha rappresentato
a lungo un riferimento scientifico valido e importante per tutti gli studiosi e i
practioner nell’ambito dell’organizzazione aziendale, fornendo anche modelli
utili da un punto di vista manageriale. Aver sia contestualizzato le scelte
organizzative, sia relativizzato la loro convenienza in funzione del modificarsi
dei fattori contingenti (ambiente competitivo, tecnologie impiegate, dimensione,
ecc.) rappresenta, senza ombra di dubbio, un rilevante punto di forza di tali
modelli. Tuttavia, è indubbio che per considerare “migliore” una configurazione
organizzativa o per poterla considerare più adatta a uno specifico contesto,
occorre misurare i suoi risultati, ovvero si deve poter ricorrere a una qualche
unità di misura in grado di quantificare la validità a fronte di specifiche
circostanze.

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1.1 I fattori contingenti


Uno dei primi passi, fondamentale, per comprendere le organizzazioni è
quello di guardare e di individuare le dimensioni che descrivono specifici tratti
della struttura organizzativa.
Le “variabili contingenti”, o dimensioni strutturali, caratterizzano l’intera
organizzazione e comprendono:
1. l’ambiente, che include tutti gli elementi esterni ai confini
dell’organizzazione. Gli elementi chiave comprendono il settore di
attività, i clienti, i fornitori, la comunità finanziaria, insomma tutti
coloro che con una definizione molto in voga soprattutto negli ultimi
anni è possibile classificare come stakeholders, che alla lettera vuol dire
“portatori di interesse”. Anche la presenza di altre organizzazioni può
considerarsi un elemento ambientale determinante nel condizionare il
funzionamento di un’organizzazione;
2. la tecnologia, invece, si riferisce agli strumenti, alle tecniche e alle
azioni utilizzate per trasformare gli input in output. Riguarda il modo in
cui l’organizzazione realizza i prodotti e i servizi che fornisce ai
clienti/utenti e comprende elementi quali la produzione assistita da
computer, i sistemi informativi e Internet. Una linea di assemblaggio di
automobili, una sala operatoria, un’aula universitaria e un sistema di
spedizione di pacchi in giornata costituiscono tutti delle tecnologie,
sebbene di tipo assai differente;
3. la strategia dell’organizzazione che definisce lo scopo e le tecniche
competitive che distinguono un’organizzazione dalle altre. Una
strategia consiste in un piano d’azione che descrive l’allocazione delle
risorse e le attività attraverso le quali relazionarsi con l’ambiente e
raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione. Le strategie definiscono

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anche l’ambito delle attività e l’insieme delle relazioni con gli attori
interni ed esterni all’organizzazione;
4. la dimensione, ovvero la grandezza dell’organizzazione è rappresentata
dal numero delle persone che vi lavorano. Può essere misurata per
l’organizzazione nel suo complesso o per specifiche componenti, come
stabilimenti o divisioni. Poiché le organizzazioni sono sistemi sociali, la
dimensione viene tipicamente misurata attraverso il numero di
dipendenti; altre misure, come il fatturato o il valore dell’attività di
bilancio, riflettono anch’esse la grandezza dell’organizzazione, ma non
indicano la dimensione della sua componente umana.

Queste dimensioni strutturali, rappresentando tanto l’organizzazione,


quanto l’ambiente di riferimento possono dare origine a confusione. Esse
possono essere viste come un insieme di elementi sovrapposti che stanno alla
base della struttura e dei processi di lavoro di un’organizzazione.
Per comprendere e valutare le organizzazioni, ovviamente, si deve sempre
tenere presente che tali dimensioni della progettazione organizzativa
interagiscono le une con le altre e possono, anzi devono, essere utilizzate per
perseguire e raggiungere i fini organizzativi, ovvero lo stato futuro desiderato
dell’organizzazione.

2. Le teorie contingenti: una sintesi


I fattori, poc’anzi definiti come contingenti o strutturali, sono stati
considerati dagli studiosi della scuola contingente come variabili indipendenti,
ovvero come elementi dati che vanno a determinare e influenzare la scelta della
configurazione organizzativa più adatta che, pertanto, nei diversi modelli teorici
elaborati è stata considerata come la variabile dipendente.

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La contrapposizione tra sistemi organici e sistemi meccanici elaborata nel


1961 da Tom Burns e George Stalker, così come le ricerche elaborate da 1967 da
Lawrence e Lorsch, sui processi di differenziazione e integrazione tra le diverse
componenti organizzative di un’impresa, hanno indagato l’impatto
dell’ambiente sulle configurazioni organizzative. Lo studio pubblicato dalla
Woodward nel 1965 e quello condotto da Perrow nel 1967 hanno studiato
l’influenza esercitata dalla tecnologia sulle scelte organizzative. E ancora, gli
studi condotti dal gruppo dell’Università inglese di Aston sin dal 1968 sul
variare delle caratteristiche organizzative al variare delle dimensioni aziendali e
l’analisi del rapporto tra decisioni strategiche del management e forma
organizzativa elaborata sia da Chandler (1966) che da Child (1972)
rappresentano alcuni dei principali tentatici volti a elaborare modelli in grado di
indicare come la validità di una modalità di divisione del lavoro e
coordinamento si modifichi al variare di circostanze, definite appunto fattori
contingenti (si veda la Tabella 1).

Tabella 1 – Le 4 scuole contingenti


Scuola di pensiero
Correlazione
(variabile Autore Livello di analisi
indagata
indipendente)
Correlazioni tra stati
Burns & Stalker Sistema ambientali e
(1961) organizzativo configurazioni
organizzative
Ambiente
Correlazioni tra stati
Lawrence e Lorsch Sistema ambientali e
(1967) organizzativo configurazioni
organizzative
Correlazioni tra
sistemi di produzione
Woodward (1958, Sistema
e caratteristiche della
1965) organizzativo
struttura
organizzativa
Tecnologia
Correlazione tra
tipologie di
Sistema
Perrow (1967) tecnologie e
organizzativo
configurazioni
organizzative

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Correlazione tra
Sistema
Strategia Chandler (1962) strategia e assetto
organizzativo
organizzativo
Correlazione tra
dimensione e livello
Dimensione Pugh et al. (1968) Individuo e gruppo
di specializzazione e
professionalizzazione

In definitiva, la struttura organizzativa è il risultato di numerose


circostanze. L’enfasi posta sull’efficienza e il controllo, piuttosto che
sull’apprendimento e la flessibilità è determinata dalla circostanze che
riguardano la strategia, l’ambiente, la dimensione e la tecnologia. In poche
parole, come del resto poc’anzi accennato, progettare le organizzazioni vuol dire
anche adattarsi ai fattori contingenti: trovare il giusto fit porta all’efficacia
organizzativa, mentre un equilibrio scarso può portare al declino o persino alla
morte dell’organizzazione.

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Riferimenti bibliografici

Burns T., Stalker G.M., (1962), The management of Innovation, London, Tavistock
Publications, Londra (trad. it. Direzione aziendale e innovazione, Franco
Angeli, Milano, 1974).
Chandler A.D., (1962), Strategy and Structure. Chapters in the History of the
Industrial Enterprise, Mit Press, Cambridge e Londra.
Lawrence P., Lorsch J., (1967), Organizations and Environment, Harvard
Business Press, Cambridge.
Mercurio R., Testa F., (2000), Organizzazione – Assetto e relazioni nel sistema di
business, Giappichelli Editore, Torino.
Perrow C.A., (1967), “A Framework for the comparative Analysis of
Organization”, in American Sociological Review, 32(2): 194-208.
Pugh D.S., Hickson J., Hinings C. R., Turner C., (1969), “The context of
organization structure”, in Administrative Science Quarterly, 14: 91-114.
Rugiadini A., Organizzazione d’impresa, Giuffrè Milano, 1979
Woodward J., (1965), Industrial Organization: Theory and Practice, Oxford
University Press, Oxford.

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