Essa è intesa come attività̀ di produzione di mondi possibili, come attività esplorativa e costruttiva volta alla
ricerca e alla definizione dei problemi, come indagine pratica.
1. Motivazioni connesse alla scarsità di risorse finanziarie disponibili per le politiche sociali.
2. Necessità di produrre servizi innovativi e maggiormente rispondenti alle esigenze ed ai bisogni degli
utenti di personalizzare e rendere più flessibile l’offerta.
3. Spinta all’organizzazione a rete dei servizi data dalla necessità di sviluppare strategie concertate tra
diverse organizzazioni pubbliche e private nella gestione dei reciproci servizi.
Dimensione valoriale
Nel sociale l’attività di progettazione può rappresentare il momento privilegiato in cui si esplicitano i propri
valori, i modelli di riferimento, le teorie che implicitamente e a volte inconsapevolmente si utilizzano per
dare senso e spiegare dei fenomeni e si mettono a confronto i sistemi di valori.
La progettazione rappresenta un’attività che costringe a fare i conti con il limite, a rapportare obiettivi,
attese, propositi con orientamenti valoriali, scelte concrete e risorse.
Spesso si incontrano difficoltà date dal fatto che esiste un difficile dialogo con la dimensione economica, la
logica del profitto, gli aspetti finanziari, ecc. articolare un progetto tra diversi soggetti, pensare alla coerenza
tra le diverse parti (scopi, tempi, operatori...) significa problematizzare la prassi e fare i conti con il limite,
con la parzialità̀ e questo è proprio ciò̀ che in alcuni contesti tende ad essere rimosso.
La presenza di professionisti
La complessità̀ dei problemi, cui si cerca di dare risposta, richiede sempre la collaborazione di più saperi.
Il progetto di lavoro sul singolo caso è spesso il punto di partenza per rinforzare processi di integrazione e
avviare altri tipi di progetti.
Notoriamente i contenuti dei progetti si piegano alle forme di finanziamento offerte e utilizzate.
In alcuni casi i progetti presentati per richiedere finanziamenti sono congrui con le politiche perseguite dalle
organizzazioni e con il know how sviluppato e sono i continuità con interventi già avviati.
In altri casi, delle organizzazioni nascono ad hoc per utilizzare tali finanziamenti.
Alcune organizzazioni inoltre scrivono progetti, altre appaltano a terzi.
Un fattore a favore della riuscita di un progetto è rappresentato dalla presenza di scarsi finanziamenti e
quindi di risorse appetibili. Abbassando il livello di competizione sulle risorse economiche aumenta la
garanzia che coloro che collaborano al progetto non abbiamo una motivazione intrinseca al progetto.
Un altro nodo critico legato all’attivazione di progetti tramite finanziamenti ad hoc è legato alla funzione di
controllo. L’ente erogatore del finanziamento ha interessa a verificare che questo si realizzi secondo quanto
previsto e che le risorse messe a disposizione vengano davvero impegnate per il progetto e non per altro.
Quando la distanza tra ente richiedente e ente erogatore è notevole, la funzione di controllo e verifica è
molto difficoltosa.
È opportuno rendersi conto che anche laddove non si utilizzano finanziamenti specifici su progetto,
possono coesistere due logiche (amministrativa-burocratica e operativa) che, all’interno di una stessa
organizzazione, configgono, e che la forma di controllo utilizzata per verificare l’andamento e i risultati di un
progetto d’intervento può risultare incongruente e ostacolante le finalità stesse del progetto.
Organizzazione a rete dei servizi: dal progetto sul singolo caso al progetto tra servizi
Nel sociale i progetti vengono quasi sempre realizzati grazie all’integrazione, alle intese e al coordinamento
di una rete di organizzazioni pubbliche, private e del privato sociale.
Nei servizi accanto al lavoro sul singolo caso, si svolgono una serie di attività rivolte a gruppi, ad altre
organizzazioni, a singoli quartieri o alla popolazione complessiva. In quest’ultimo tipo di attività il
coordinamento tra servizi richiede una sistematicità, una progettualità ed una continuità maggiore e non
può essere attivato in funzione di singole emergenze o singoli accordi connessi alla gestione dei casi.
Una delle difficoltà riscontrate è che le diverse organizzazioni parlano linguaggi diversi ed hanno procedure
e regole di funzionamento diverse. I progetti che richiedono un intervento di rete sono necessariamente
condizionati dalle forme di integrazione e dal tipo di scambi preesistenti tra le varie organizzazioni.
Tra le diverse organizzazioni de sociale convivono una pluralità̀ di logiche organizzative e di culture
organizzative: amministrativa, comunitaria, volontaristica, imprenditoriale...
Le organizzazioni presenti nel sociale si differenziano, inoltre, anche in funzione al livello di
istituzionalizzazione da cui sono caratterizzate: istituzioni vs piccole e medie imprese o gruppi di
volontariato.
Per capire le dinamiche nel contesto dei servizi nel sociale è utile capire la distinzione tra organizzazioni a
legami deboli e organizzazioni a legami forti. Le reti interorganizzative presenti nell’area sociale sono
prevalentemente o tendenzialmente caratterizzare da legami deboli.
Comprendere le dinamiche dei reticoli a legame debole significa contemporaneamente tener conto di
alcuni vincoli e caratteristiche connessi, ad esempio, ai processi di coordinamento e integrazione e alla
gestione comune dei progetti complessi.
Possiamo riassumere in tre tipologie gli approcci e gli orientamenti in merito alla progettazione di
interventi nel sociale: approccio sinottico-razionale, concertativo o partecipativo, euristico.
Approccio sinottico-razionale
Si tratta di un approccio meccanicista che rimanda ad una causalità di tipo lineare. Si ipotizza quindi
che sia possibile individuare nessi di causalità lineare relativamente alle problematiche sociali e, in
base a questi, programmare e prevedere il cambiamento sociale. L’utilizzo di tale modello si
accompagna all’utilizzo di programmi molto strutturati e strumenti predefiniti.
- L’ambiente è predeterminato, ed è descritto da vincoli e parametri che restano fissi nel corso
della procedura.
- Si dà per scontato che il problema sia chiaro e non ambiguo, che gli obiettivi siano esplicitamente
dati fin dall’inizio e non soggetti a interpretazioni; essi non possono essere modificati o ridiscussi nel
corso della progettazione.
- Le opzioni di scelta per conseguire i fini e i criteri di valutazione sono dati in modo distinto dai fini.
- Si presuppone che sia data una struttura ordinata di preferenze relative alle conseguenze della
scelta, che non viene modificata nel corso del processo di scelta stesso.
Un’altra caratteristica di questo approccio è quella di riferirsi ad un progettista solitario e di dare una
rappresentazione individualistica del processo di progettazione. Non vi sono dunque processi di reale
partecipazione dei destinatari o dei diversi soggetti coinvolti nel progetto.
All’interno delle cinque tappe di un intervento questo modello considera cruciale la tappa della
progettazione. La centratura, infatti, è sul prodotto da realizzare, inteso come risultato previsto a priori.
Scarsa è la presenza dell’attivazione o comunque riferita alla ricerca di finanziamenti e all’attivazione di
reati di relazioni e risorse materiali. La tappa della realizzazione viene posta in secondo piano, poiché
dovrebbe essere una conseguenza del progetto. La valutazione si riferisce essenzialmente ad un processo di
confronto tra output previsti ed output ottenuti (risultati intesi come indicatori connessi alle attività
prodotte, non ai risultati intesi come vantaggi e aumento della qualità della vita dei destinatari). In questo
approccio il progetto viene costruito a partire da una comprensione a priori dei bisogni o comunque
estranea e lontana dai soggetti “portatori del problema”, e il processo di progettazione non viene allargato
a diversi soggetti, ma rimane una competenza specifica dell’esperto. Gli obiettivi vengono individuati a
priori, in un certo senso a prescindere dalle specifiche caratteristiche dei futuri utenti. Si prevede, infatti, un
percorso rettilineo: non si lasciano porte aperte all’incertezza, alle varianze connesse alla soggettività, ad
eventuali diramazioni nel cammino e a sperimentazioni flessibili.
Tale approccio ha spesso successo, poiché è attraente e rassicurante anche per i clienti ed è tranquillizzante
poiché offre soluzioni pronte; esso rimanda all’idea di razionale e di ordine, di cambiamento programmato
e controllabile.
- Il modello razionale assume che vi sia un ipotetico decisore in grado di individuare il problema,
definire gli obiettivi, vagliare le ipotetiche alternative, scegliere le soluzioni più adatte. Sappiamo
bene che non esiste un unico decisore in grado di orientare e controllare un intervento senza
processi di negoziazione, co-decisione, corresponsabilità con altri soggetti. Inoltre il processo di
progettazione è sempre la risultante di una serie di interazioni tra i diversi attori impegnati in tale
processo.
- Assunto che sia possibile sempre effettuare una comparazione tra le diverse opzioni o strategie e
scegliere in base ad un’ipotesi di massimizzazione dei benefici.
Tale approccio dunque non aiuta a pensare il progetto come uno strumento flessibile capace di
adattarsi lungo il processo, di riorientare i processi decisionali, di definire a tappe successive altri
elementi; ci si aspetta che il progettista-decisore debba in un certo senso predire il futuro e
permanere nelle proprie scelte.
- Il processo di interazione tra i diversi attori coinvolti nel processo di progettazione prosegue in
tutte le sue tappe.
- Ogni attore continua ad essere portatore di aspettative, presupposti cognitivi, posizioni di potere
diverse e ad avere ampi margini di autodeterminazione e negoziazione.
In tale approccio dunque si parte da un’ipotesi di cambiamento di una data realtà che è
confrontata, negoziata, concertata con i destinatari. Qui si dà maggiore rilevanza alla tappa
dell’attivazione.
Alla base di questo approccio c’è la convinzione che:
Scambiare e confrontare le reciproche percezioni del problema, confrontare i dati in possesso sulla
cui base gli operatori esprimono dei giudizi e definire con chiarezza i ruoli e le funzioni di diversi
soggetti coinvolti in un progetto, sono alcuni passaggi indispensabili che si collocano a monte di un
progetto.
Parola chiave: co-progettare. Ciò significa attivare confronti e negoziazioni, ma anche allungare i
tempi di una decisione, superare situazioni di stallo, gestire conflitti e dinamiche di potere tra
servizi e persone, rinunciare a disegni lineari e preordinati, stabilire ruoli, funzioni e modalità di
coordinamento.
Approccio euristico
In tale approccio si rinuncia a conseguire degli obiettivi predeterminati a monte dagli operatori-
progettisti.
È un processo condiviso di ricerca partecipata attraverso cui si definiranno, con i soggetti,
destinatari, obiettivi specifici, interventi e ipotesi trasformative mirate. Mentre l’approccio
concertativo realizzava una progettazione flessibile in cui si definivano alcuni obiettivi ed altri
rimanevano aperti, questo terzo approccio non individua proprio obiettivi specifici a priori.
Vi sono due assunti di base:
- La centratura sul prodotto, sulla riuscita di un risultato predefinito può indurre a porre in secondo
piano l’attenzione ai processi, ai modi con cui si realizzano le cose, al come e cioè ai reali risultati di
un intervento sociale.
- Molti progetti pensati per aiutare hanno prodotto effetti indesiderati, dipendenza degli assistiti
dai servizi, assistenzialismo e squalifiche dei destinatari stessi.
L’approccio euristico pone al centro del processo di intervento nel sociale la tappa dell’attivazione;
la progettazione di uno specifico intervento è intesa come prodotto di percorso e non come luogo
di partenza. La prima tappa dei progetti che utilizzano una metodologia partecipante di solito
consiste in un’analisi condivisa del contesto, delle risorse e dei dati. La tappa seguente riguarda
l’individuazione di ulteriori soggetti e istituzioni da coinvolgere e l’avvio di un processo di
coinvolgimento a partire da riflessioni e confronti sulle diverse letture del disagio presenti nei
servizi pubblici e nel provato sociale. solo in seguito, di solito, si realizzano scelte operative,
protocolli di intesa tra istituzioni e si avviano specifici progetti di intervento. L’ipotesi sottostante a
tale impostazione è che fare prevenzione significa ridare dignità al contesto e valorizzare le risorse
informali e formali presenti nel territorio.
Nel sociale esistono relativamente al tema della progettazione due modelli forti: quello scolastico
connesso alla programmazione didattica e dello connesso alla pubblica amministrazione connesso
ai bandi per la richiesta di finanziamenti. In entrambi i casi il progetto viene sviluppato a partire da
un’istanza che rappresenta un’autorità pubblica. La progettazione viene così in parte associata a
logiche per adempimento e alla formulazione formale del prodotto cartaceo. In questa logica il
progetto assolve a due importanti
funzioni: favorire l’allocazione di risorse e orientare le funzioni di controllo e verifica di tipo amministrativo
contabile.
Può passare molto tempo dal momento in cui si ha un’intuizione e quello in cui si realizza il progetto; una
fase intermedia va dedicata alla creazione delle condizioni per la fattibilità del progetto (attivazione). In
questa fase bisogna occuparsi di quattro aspetti:
- Sviluppare partnership e alleanze significative con altre organizzazioni. In questo caso bisogna
tenere a mente alcune questioni (che potere riteniamo di avere rispetto agli altri attori? Quali sono
le azioni più corrette da proporre? Che interessi hanno gli altri attori a collaborare? Quale potrebbe
essere l’oggetto di scambio? Ecc)
- Individuare e attivare possibili risorse: risorse umane, capacità professionali, competenze
organizzative, risorse finanziarie,...
- Individuare ed esplicitare le strategie alla base del progetto.
- Sviluppare una costruzione sociale della definizione di problema insieme ad altri attori locali.
Perché un progetto abbia probabilità di successo occorre non dare per scontato il problema e
considerare i diversi attori e i destinatari come osservatori su propri mondi che possono tra loro
comunicare per mettere in relazione le reciproche osservazioni e i reciproci sistemi di osservazione.
Intendersi sul problema non significa concordare su tutto, ma raggiungere delle intese parziali sul
significato dato al concetto di “problema” sufficienti a sviluppare azioni comuni.
È infine importante capire anche quali sono i tempi utili per la presentazione e realizzazione di un
progetto.
In questa fase cominciano a definirsi e a chiarirsi quali sono le strategie che si intendono perseguire, la
filosofia di fondo di un futuro progetto.
Le strategie sono delle macro metodologie; riguardano approcci e convinzioni profonde sul cambiamento
sociale, sulle concezioni di educazione, sviluppo, salute, democrazie, ecc. Le strategie orientano le azioni
sociali pur non determinando modi e soluzioni specifiche. Tale termine però dovrebbe essere utilizzato in
modo non generico e solo quando ci riferiamo a chiavi di lettura, filosofie di intervento e metodologie
sufficientemente strutturate, sperimentate e definite.
La tappa dell’attivazione nell’approccio concertativo ha un ruolo fondamentale anche se non centrale e per
questo si differenzia da un progetto tipicamente centrato sull’approccio euristico.
Molti possono essere i soggetti organizzativi coinvolti in un progetto e possiamo distinguerli in: soggetto
promotore, soggetto titolare del progetto, soggetto finanziatore, soggetto realizzatore o attuatore e
soggetti della rete di implementazione. Per rete di implementazione di un progetto si intende l’insieme dei
soggetti organizzativi realmente coinvolti nella fase operativa per la realizzazione del progetto stesso.
I contesti e i setting in cui si realizzano i progetti in campo sociale sono solitamente complessi e
caratterizzati da un fitto intreccio di relazioni.
Risulta utile anche distinguere due tipologie di progetti: quelli che nascono come iniziativa autonoma
interna a un’organizzazione e quelli che si sviluppano a seguito dell’accoglimento di una richiesta esterna
all’organizzazione.
Nel caso di un’iniziativa autonoma interna, gli operatori dovrebbero analizzare e decodificare le motivazioni
che li spingono a progettare nuovi interventi. L’analisi delle relazioni riguarderà:
- Il rapporto persona-organizzazione inteso come relazione tra il singolo operatore che promuove
un progetto e l’organizzazione di cui è membro.
- Il rapporto organizzazione-organizzazioni inteso come analisi della rete dei servizi.
Nel caso dell’accoglimento di una richiesta esterna, l’analisi delle relazioni può riguardare:
- Esiste quasi sempre un soggetto che nelle vesti di committente si fa interprete di un bisogno
proprio e altrui e pone una domanda di aiuto-intervento.
- Qualcuno è chiamato dal committente come esperto a dare il proprio contributo.
- Il committente pone all’esperto-operatore un problema cui presume possa dare una risposta.
- La richiesta che viene posta contiene messaggi rispetto a come il committente si rappresenta il
ruolo dell’operatore-consulente, a come si rappresenta il problema e a come percepisce il proprio
ruolo rispetto agli altri soggetti.
Attraverso questo processo di decodifica e interpretazione si può sviluppare un’analisi della
domanda.
La prima constatazione è che il cliente non esprime mai una domanda di cambiamento o di aiuto
concernente una disfunzione/un problema in quanto tale, ma nella domanda porta anche se
stesso, il suo modo di intendere la relazione tra lui e il consulente e il suo modo di funzionare. È
però a partire dalla domanda che può svilupparsi una proposta tridimensionale di lavoro tra
consulente, cliente e il problema non scontato.
Il divario esistente tra dimensione ideale e valoriale e concreta esperienza, tra ideale e finitezza, può
rinforzare attese onnipotenti e al contempo portare delusioni e perdite di senso.
Parallelamente all’analisi delle motivazioni e delle fantasie-attese del servizio e dei singoli operatori può
essere realizzata una più accurata analisi dei dati in possesso.
- Cosa mi sta chiedendo questo interlocutore, cosa si aspetta da noi e cosa si aspetta il mio capo?
- Esiste un accordo tra loro e ci sono attese nei miei confronti? Che impegni e accordi esistono tra i
due servizi?
- Sono in disaccordo i due committenti e occorre rimediare?
4. LA STESURA DI UN PROGETTO
4.1 Premessa
La stesura di un progetto può essere fatta con due scopi diversi. Se si è alle prese con la stesura di un
progetto cartaceo che serve per richiedere finanziamenti, bisogna essere precisi e documentati per far
capire all’interlocutore che si possiede una buona competenza nel settore di pertinenza del progetto;
bisogna anche prevedere sufficientemente la flessibilità per poi realizzare l’intervento secondo come si
evolve la situazione. Nel caso si sia certi della possibilità di realizzare l’intervento, la stesura del progetto
serve come guida all’azione; serve essere più precisi operare scelte i modo da limitare la discrezionalità
successiva.
Il progetto dovrebbe rispondere al requisito di logicità e congruenza fra le sue diverse parti, che sono:
Per definire e analizzare il problema si può ricorrere alla conoscenza già acquisita nel settore, alla
letteratura specialistica, a dati e statistiche, oppure bisognerà organizzare una ricerca ad hoc con la quale
cercare di acquisire le conoscenze mancanti.
Come la scelta del problema, anche la sua definizione e la sua analisi sono inevitabilmente collegate ai
valori, alle credenze, ai costrutti personali. È importante quindi cercare di capire chi può condividere la
scelta di lavorare su quel problema, chi può essere contrario alla realizzazione del progetto, quanto lì
opposizione possa essere superata, ecc.
Questa è una fase delicata, perché si tratta di stabilire alleanze; di coinvolgere le persone, i gruppi, le
istituzioni che possono contribuire alla riuscita di un intervento; di cercare di non far sentire esclusi alcuni.
Porre degli obiettivi significa esplicitare cosa si desidera cambiare, in chi, in che senso e in quale misura. I
cambiamenti, e quindi gli obiettivi, possono riguardare:
- Caratteristiche dei singoli individui (stati affettivi, comportamenti, concetto di sé,ecc).
- I rapporti tra due o più persone.
- Le caratteristiche di servizi, gruppi, organizzazioni.
Negli interventi che si rivolgono alla comunità spesso si perseguono con lo stesso progetto obiettivi
che si situano a differenti livelli (singole persone, istituzioni, cittadini,ecc).
Un intervento è sempre un tentativo di ridurre la discrepanza tra una situazione desiderata e ciò
che esiste attualmente.
Prima di definire gli obiettivi specifici, vengono fissati uno o più scopi generali. Lo scopo generale è
una dichiarazione di intenti, desideri, formulato in modo abbastanza ampio e vago (es. ridurre il
disagio giovanile). Essi sono adeguati come punto di partenza, come obiettivi generali, ma devono
essere seguiti da una specificazione di obiettivi più chiari.
- Uno scopo generale o un obiettivo generale, che indica un’aspirazione, una direzione.
- Alcuni sotto obiettivi: ampi, ma delimitano e definiscono meglio gli scopi che si vogliono
raggiungere.
- Obiettivi specifici, che indicano con chiarezza i cambiamenti o risultati attesi. Da ogni sotto
obiettivo discendono uno o più̀ obiettivi specifici.
Gli obiettivi si possono distinguere in obiettivi assoluti e relativi. In genere porsi un obiettivo
assoluto è irrealistico o troppo ambizioso e allora è utile specificare la percentuale di cambiamento
attesa, cioè un obiettivo relativo.
È evidente che per stabilire realisticamente un obiettivo è necessaria una conoscenza precisa della
realtà sulla quale si intende agire.
Quando invece gli obiettivi riguardano cambiamenti negli atteggiamenti, o negli stati affettivi dove
esiste una gradualità, è difficile stabilire gli obiettivi in termini assoluti o relativi. In questi casi
l’obiettivo deve essere formulato in modo diverso.
Alcuni accorgimenti utili per specificare gli obiettivi specifici sono:
- Usare un verbo forte: verbo orientato all’azione che descrive un comportamento osservabile e
misurabile che dovrebbe accadere (diminuire, trovare, promuovere).
- Specificare separatamente i diversi risultati desiderati: scindere in obiettivi specifici così che in
fase di valutazione sia più agevole affermare se un particolare obiettivo sia stato raggiunto o no.
Spesso gli obiettivi sono condusi con le attività necessarie per aggiungerli. Es. scopo generale è
quello di “aumentare la competenza materna” e tra gli obiettivi specifici compare “organizzare
alcuni incontri informativi”. L’obiettivo così formulato non indica alcun cambiamento desiderato
nella popolazione beneficiaria, semplicemente dice cosa dovrà essere fatto dagli operatori. Ma con
quale obiettivo?
Obiettivi individualizzati
Fino a questo momento abbiamo sempre fatto riferimento ad obiettivi che si riferiscono al gruppo o
alla popolazione sulla quale si interviene considerata globalmente. In questi casi il cambiamento
che si desidera è simile per tutti gli individui che costituiscono la popolazione target. In questi casi
gli obiettivi non sono individualizzati e si può affermare che l’intervento ha avuto successo se,
mediamente, il gruppo si è modificato nella direzione desiderata.
Quando le attività previste sono svolte separatamente con le singole persone, si possono sia porre
obiettivi individualizzati, sia obiettivi che si riferiscono complessivamente a tutte le persone alle
quali viene rivolto l’intervento.
Si parla di obiettivi individualizzati quando, all’interno di alcuni scopi generali, si fissano obiettivi
specifici e diversi per i singoli casi, di cui il progetto si fa carico.
Porsi degli obiettivi significa sempre fare delle scelte di valore. Gli obiettivi non devono essere
dissonanti con i valori della popolazione target, altrimenti si pongono altri e più complessi
problemi. Se più persone devono collaborare per raggiungere un obiettivo è importante inoltre che
l’obiettivo sia chiaro e che venga interpretato da tutti nello stesso modo.
Questa situazione ideale non si verifica spesso, infatti succede che i diversi attori coinvolti, compresi
diversi operatori impegnati nella fase realizzativa, a volte, pur condividendo i valori di cui il progetto
è portatore e pur motivati alla sua sua riuscita, interpretano diversamente gli obiettivi.
Quando le attività non sono rivolte direttamente ai beneficiari, due situazioni sono le più frequenti. Nella
prima, il progetto si interessa solamente di fornire competenze, conoscenze agli educatori, medici, ecc,
lasciano poi all’iniziativa delle singole persone, che si sono formate, di applicare o no le competenze
apprese con i beneficiari e sviluppare autonomamente progetti o iniziative. Nell’altro caso, invece, il
progetto iniziale prevede più fasi. In una fase le attività di formazione sono rivolte agli educatori, ecc e nella
fase successiva questi ultimi applicano le nuove competenze sotto la supervisione degli operatori impegnati
nella fase di formazione.
Molte delle attività previste dai progetti presuppongono un coinvolgimento attivo della popolazione
bersaglio, che quindi dovrà essere contattata e dovrà dare la propria adesione al progetto.
Bisognerà quindi prevedere già in fase di progettazione le modalità di contatto da utilizzare. Si possono
ipotizzare le seguenti situazioni:
- Le attività finalizzate al cambiamento coincidono con il contatto: es. quando lo scopo è di
aumentare le informazioni tramite i mass media, non ci sarà una fase preliminare di contatto con la
popolazione target.
- La popolazione target si trova in una condizione di limitata libertà di scelta rispetto alla
partecipazione alle attività del progetto: es. progetti all’interno dell’orario scolastico. In questi casi
una fase preliminare di contatto con i destinatari dovrebbe essere realizzata per conoscere il loro
livello di informazione, di motivazione, ecc.
- Il progetto viene realizzato all’interno di un servizio già esistente e già conosciuto e rientra,
modificandola, nella normale prassi di erogazione del servizio. (es. counseling al momento della
consegna della diagnosi di positività all’HIV).
- Il progetto viene realizzato allo’interno di un servizio già esistente ma si rivolge a persone che
potrebbero anche non aver mai frequentato il servizio per altri motivi.
- L’intervento non viene realizzato in un servizio già esistente, ma questo nasce assieme al
progetto, oppure il progetto è frutto di una collaborazione tra varie strutture, non identificandosi
però con nessuna di esse. In questa situazione una delle maggiori difficoltà è quella di fare in modo
che le attività vengano frequentate. Molti progetti falliscono proprio perché le persone che
aderiscono sono diverse da target immaginato.
Stabiliti gli obiettivi bisogna decidere cosa dovrà esser fatto per ottenere i cambiamenti desiderati
nella popolazione target.
Per modello di intervento si intende tradurre le conoscenze in ipotesi. Le ipotesi si distinguono in:
o - Ipotesi causali. Alla base di qualsiasi modello di intervento ci sono sempre delle ipotesi
sull’influenza di uno o più processi o determinanti sul comportamento o la condizione che il
progetto cerca di modificare. Spesso l’ipotesi causale è già esplicitata nell’analisi del
problema, ma mentre nella fase di analisi si possono stabilire o elencare diverse cause
connesse con il problema, in fase di scelta del modello di intervento bisogna esplicitare
quale o quali di esse si accoglie come punto di partenza per le attività proposte.
o - Ipotesi di intervento e di azione. Un’ipotesi di intervento è un’affermazione che specifica
la relazione fra un progetto, quello che verrà̀ fatto, e il processo o determinante specificata
come associata all’ipotesi causale con il comportamento o la condizione che si vuole
cambiare.
Se si impone una scelta bisognerebbe essere a conoscenza della diversa efficacia dei metodi e, se gli altri
vincoli legati al progetto lo permettono, bisognerebbe scegliere quello che si è dimostrato maggiormente
efficace. Per scegliere una fra le diverse possibili ipotesi di intervento bisogna considerare la loro fattibilità.
Scegliere un modello di intervento significa quindi decidere una serie di attività che hanno elevata
probabilità di provocare il cambiamento desiderato in quanto incidono direttamente o indirettamente sulla
o sulle cause ipotizzate del problema.
Nella scelta del modello di intervento bisogna considerare, oltre all’efficacia, anche altri criteri, cioè
scegliere attività che possono essere messe in pratica, considerando i vincoli del progetto, e che possono
provocare gli effetti nei tempi previsti dal progetto stesso.
Bisogna evitare interventi con bassa fattibilità e interventi che comportano elevati rischi di produrre
risultati negativi oltre che i risultati sperati.
Strategie di intervento
In che modo chi progetta un intervento dovrebbe arrivare a scegliere tra le diverse strategie, i diversi
modelli, le diverse attività possibili? In ogni settore di intervento ci sono delle esperienze e delle ricerche
che dovrebbero essere utilizzate come punto di partenza per la stesura e la realizzazione del progetto.
Uno dei criteri più importanti per la scelta della strategia e dei modelli di intervento è quello di privilegiare
quelle modalità che abbiano le più elevate probabilità di raggiungere i risultati sperati, ovvero di rendere il
più possibile efficace l’intervento. Sarà quindi necessario svolgere una ricerca attraverso diversi canali (testi,
statistiche, archivi elettronici...).
Fino ad ora, parlano dei modelli di intervento, ci siamo riferiti alle attività principiali o primarie di un
intervento, vale a dire quelle connesse direttamente al cambiamento nei beneficiari. Accanto a queste
attività, bisogna anche considerare e progettare tutte quelle necessarie all’avvio del progetto stesso (attività
secondarie) e quelle relative al contatto della popolazione bersaglio.
Prima di passare alla progettazione operativa sarà necessario stabilire i tempi e la sequenza con cui
dovranno essere realizzate le diverse attività.
4.6 Valutazione
È nella fase di progettazione che è conveniente stabilire se, e con quali modalità, verranno intrapresi
percorsi valutativi.
Quando si è certi che il progetto sarà realizzato, bisognerà passare alla fase della progettazione operativa,
vale a dire sviluppare un piano per organizzare concretamente le diverse azioni. Solo quando questa fase
sarà completata si potrà conoscere con precisione i mezzi e le risorse necessarie per la realizzazione del
progetto.
Sviluppare un piano d’azione significa passare al livello organizzativo e quindi convertire il progetto in una
sequenza logica di compiti e azioni. Significa evidenziare chi deve fare cosa e quando. È necessario
organizzare:
- Le attività d’avvio, che possono consistere in attività di selezione, formazione del personale,
acquisizione di beni e strumenti.
- Le attività di contatto della popolazione target.
- Le attività strettamente connesse al cambiamento.
- Le attività connesse alla valutazione dell’intervento.
- Le eventuali attività connesse alla valutazione dell’efficacia e dell’impatto.
- Le attività di collegamento con eventuali altri servizi.
- Le attività di coordinamento generale dell’intervento.
Per ognuno di questi punti è necessario individuare le attività pratiche che dovranno essere svolte,
chi le può svolgere, quanto tempo è necessario per ogni attività, se per svolgerle sono necessari
beni strumentali. Sarà importante realizzare uno schema temporale per stabilire in quale ordine di
tempo devono essere svolte di diverse attività.
È necessario che vi sia coerenza tra progetto sociale e progetto economico e che tutte le fasi e le
attività, i servizi, i mezzi previsti nel progetto siano tradotti in valore monetario e che vi sia una
coerenza con le diverse voci di spesa.
Nel progetto si possono individuare e classificare quattro tipi di attività:
- Attività primarie, il cui risultato contribuisce direttamente a erogare i prodotti e servizi previsti.
- Attività secondarie, che sono a supporto delle primarie.
- Attività obbligatorie, che si devono svolgere in quanto previste da diversi livelli normativi.
- Attività discrezionali, che sono svolte in base a valutazioni soggettive fatte dai responsabili di
progetto.
La traduzione delle diverse risorse previste nel progetto permette, a ritroso, di puntualizzare e
verificare la coerenza stessa del progetto e la sua compatibilità complessiva con le risorse
finanziarie attivabili o attivate. Anche per questo motivo, la definizione del budget rappresenta un
momento critico che non va delegato a figure esterne alla logica del progetto stesso.
Quando si utilizza il termine budget nell’ambito di progetti finanziati gli aggettivi che possono
identificarlo sono essenzialmente due:
progetto.
Il livello di dettaglio del budget e le stesse voci di spesa dipendono, nel caso si tratti di progetti
cofinanziati da autorità pubbliche, dal tipo di formulario cui bisogna attenersi per richiedere il
finanziamento. In alcuni casi l’organismo cui si chiede un finanziamento predispone nel formulario
delle voci di budget estremamente articolate e spesso il non rispetto della struttura del budget
rappresenta un elemento sufficiente per vedersi scartare un progetto per altri aspetti adeguato.
I vincoli economici posti dall’organismo che finanzia o co-finanzia il progetto rappresentano dei
fattori che influenzano fortemente la struttura stessa del progetto e questa è un’ulteriore ragione
per cui la dimensione sociale del progetto e quella economica devono essere sviluppate
parallelamente.
Più che parlare di valutazione, bisognerebbe parlare di valutazioni in quanto ogni oggetto, e quindi anche
un progetto, può essere valutato differentemente secondo i criteri utilizzati.
Diversi sono gli attori interessati alla valutazione dei progetti psicosociali e ognuno di loro utilizza propri
criteri di valutazione. Eccone alcuni:
- Il legislatore, il politico, sarà interessato alla rilevanza sociale del problema sul quale interviene il
progetto e alla sua legittimità.
- Gli amministratori saranno soprattutto attenti a questioni di bilancio e quindi valuteranno i costi
degli interventi e la loro efficienza (rapporto costi-benefici).
- I finanziatori, oltre ad essere interessati ai costi, valuteranno la congruenza dell’intervento con il
progetto che hanno deciso di approvare e finanziare.
- Gli utenti saranno sensibili alla rilevanza sociale del problema, all’accessibilità, cioè se tutti i
potenziali beneficiari possono usufruire con facilità dell’intervento. Inoltre giudicheranno se i valori
veicolati dal progetto sono condivisibili e se le modalità d’espletamento delle attività sono
rispettose della dignità e dei diritti dei beneficiari.
- Gli operatori detengono il sapere professionale e sono interessati a verificarlo costantemente e
ad ampliarlo. Per loro sarà prioritario comprendere se gli obiettivi del progetto vengono raggiunti
(efficacia) attraverso la metodologia impiegata, quali sono stati eventuali altri cambiamenti non
previsti apportati dal progetto (impatto) sia nei beneficiari sia nelle organizzazioni coinvolte.
- Eventuali consulenti o ricercatori esterni assumeranno l’ottica e il punto di vista del loro
committente, che po’ essere uno qualsiasi degli attori appena menzionati.
Le modalità con le quali viene realizzato un percorso valutativo porta all’identificazione di diversi approcci; i
più importanti fra questi sono l’approccio realista e l’approccio costruttivista.
Secondo l’approccio realista o razionalista alla valutazione esistono situazioni oggettive, cioè date
indipendentemente dai presupposti delle persone che osservano e dal contesto specifico all’interno del
quale avviene tale osservazione, che determinano modalità di realizzazione e risultati degli interventi
sociali. All’interno di quest’ottica compito del valutatore è quello di trovare i metodi più adatti per misurare
i risultati dell’intervento. Quest’approccio si fonda sugli stessi presupposti sui quali i basa il modello logico-
razionale alla progettazione.
L’approccio costruttivista alla valutazione invece ha gli stessi fondamenti dell’approccio concertativo alla
progettazione; infatti, secondo tale approccio, non esistono condizioni d’oggettività in termini assoluti, cioè
indipendenti dall’osservatore. Ogni osservatore si porrà in atteggiamento valutativo rispetto a quel
determinato intervento guidato dai propri presupposti cognitivi e quindi la valutazione non può essere
considerata un insieme di procedure asettiche e neutrali. In questo approccio i percorsi valutativi
necessariamente coinvolgono sia i valutatori sia chi lavora per la realizzazione del progetto. In quest’ottica,
infatti, gli operatori, i coordinatori e i responsabili sono indispensabili.
Nella tappa dell’ideazione il progetto è solo un’idea, un desiderio. Ciò non significa che l’idea non venga
valutata, anzi è proprio basandosi su una serie di giudizi che chi ha avuto l’idea e chi ne viene a conoscenza,
decidono se abbandonarla o proseguire.
La tappa d’attivazione ha l’obiettivo di creare le condizioni per passare alla definizione del piano o progetto
d’intervento. Se questa fase precede i finanziamenti e la stesura del progetto, la sua valutazione non è
inserita in un processo di valutazione formalizzato, ma per gli operatori è utile valutare in questa tappa i
seguenti aspetti:
- La rilevanza percepita del problema da parte dei diversi soggetti contattati.
- La condivisione rispetto al problema.
- La quantità e la qualità delle informazioni raccolte.
- La possibilità di attivare risorse per realizzare il progetto.
Nella tappa di progettazione (che comprende la stesura del progetto e la progettazione operativa) si cerca
di stimare a priori la validità del progetto e verificare la congruenza del disegno concettuale.
Una parte della valutazione del piano o progetto cartaceo consiste nel controllo di errori di tipo logico,
contenutistico e formale. Le componenti da considerare sono:
Nella tappa della realizzazione o implementazione del progetto l’attenzione si rivolge da una parte alla
raccolta di informazioni di tipo descrittivo, per capire chi aderisce al progetto, cosa viene realizzato, da chi e
i quali tempi, le risorse impiegate (monitoraggio), dall’altra ai processi messi in atto. Questa valutazione
dovrebbe seguire passo passo la realizzazione dell’intervento per costruire un sensibile ritratto complessivo
del funzionamento del progetto.
La tappa della verifica o della valutazione degli esiti o risultati.
Al termine del progetto si possono verificare i risultati ottenuti, stimando:
L’indicatore è costruito e rilevato per dare informazioni, quindi deve essere chiaro, comprensibile e allo
stesso tempo capace di rappresentare o riprodurre proprio il particolare fenomeno per il quale è stato
costruito.
Gli indicatori, in quanto informazioni di sintesi, devono rispettare sia requisiti metodologici (validità,
attendibilità), come tutte le altre misure, sia requisiti legati a problemi di natura concettuale (pertinenza,
rilevanza, specificità e sensibilità). Prima di decidere quali indicatori effettivamente utilizzare, bisognerà
fare una scelta legata alla fattibilità, cioè una scelta che tenga conto anche dei costi e degli sforzi necessari
per rilevarli.
Gli indicatori possono essere suddivisi in base a molteplici criteri. Se si utilizza ad esempio il criterio della
vicinanza più o meno stretta dell’indicatore con il fenomeno che vuole rappresentare gli indicatori si
dividono in:
L’indicatore può essere qualificato anche in base all’obiettivo per cui viene utilizzato.
Ad esempio gli indicatori valutativi permettono di valutare se e in che misura sono stati raggiunti gli
obiettivi di un’attività programmata. Essi si dividono in:
Premessa
In realtà la valutazione di processo si pone mete più ambiziose, conglobando in sé anche il monitoraggio. Si
pone diverse domande, tra cui:
La valutazione di processo rende possibili aggiustamenti in itinere, fornisce informazioni utili per un
eventuale miglioramento o riprogettazione dell’intervento nel caso lo scarto tra il piano e la realizzazione
sia consistente o, comunque, se emergono elementi tali da renderla opportuna.
Si è visto che una delle domande rilevanti per il monitoraggio è se il progetto sta raggiungendo tutto il
target (persone per le quali il progetto è stato pesato).
Spesso si dà per scontato che i beneficiari siano interessati e disponibili a partecipare. La non
partecipazione del target, cioè dei potenziali beneficiari, può dipendere da molti fattori: non sono stati
raggiunti dall’informazione, l’informazione non è stata comprensibile, c’è sfiducia, il cambiamento proposto
non è congruente ai loro desideri.
Per copertura si intende la misura in cui un progetto ottiene a partecipazione della popolazione al target,
mentre si parla si bias quando alcuni sottogruppi della popolazione target partecipano più numerosi
rispetto ad altri sottogruppi. Si avrà una copertura perfetta o totale quando tutte le persone per le quali il
progetto era stato pensato partecipano alle attività. Si dirà che un progetto è sottocoperto quando un certo
numero di persone target non partecipano. Si dirà invece che c’è una sovracopertura quando partecipano
all’intervento persone che non ne avrebbero bisogno.
Per prevenire fenomeni spiacevoli è utili raccogliere le informazioni più dettagliate possibile sul target.
Per quanto riguarda la capacità del progetto di raggiungere gli obiettivi, solo a fine intervento, in
seguito alla verifica degli esiti, può essere dato un giudizio accurato. Già prima però si possono
cogliere dei segnali. Per comprendere quindi se e in che modo le attività vengono realizzate e se c’è
probabilità di raggiungere gli obiettivi, sarà importante raccogliere informazioni su:
- Rilevazione dati da parte dello staff (numero presenze all’attività, numero utenti contattati, ecc).
- Osservazione partecipante (interesse dei partecipanti, modalità di conduzione delle attività, ecc).
- Questionari (caratteristiche utenti e operatori, ecc).
- Interviste individuali (impressioni, riflessioni di operatori e beneficiari, ecc).
- Discussioni di gruppo (riflessioni, proposte, ricostruzione difficoltà e punti di forza, ecc).
La prima e l’ultima dovrebbero essere sempre utilizzate. Per la gestione del progetto sono infatti
indispensabili le informazioni che documentano l’attività svolte, mentre la discussione, la riflessione
in gruppo di quanti sono impegnati nel progetto è la modalità più flessibile che permette di
comprendere i processi messi in atto, di affrontare eventuali problemi che si presentano.
È evidente che prerequisito per la stima dell’efficacia diviene l’aver già stabilito quali sono gli obiettivi o
cambiamenti attesi come risultato dell’implementazione del progetto. Gli obiettivi dovrebbero essere
definiti con sufficiente precisione e chiarezza in modo che la scelta degli indicatori o variabili da rilevare
discenda logicamente da essi, rispetti lo spirito del progetto e sia condivisibile da chi è impegnato nel
progetto a diverso titolo.
Per poter attribuire il cambiamento con elevata probabilità proprio all’intervento è necessario riuscire a
distinguere tra risultati grezzi e risultati netti e a questo proposito vengono in aiuto diverse strategie di
ricerca. Per risultato grezzo si intende il cambiamento avvenuto nelle variabili oggetto di indagine, mentre
per risultato netto la parte di cambiamento causato dall’intervento.
A questo proposito è rilevante il concetto di validità interna: si ha validità interna quando si può provare
che le modifiche nei risultati sono attribuiti proprio all’intervento e quindi quando è possibile stimare il
risultato netto, controllando gli effetti dovuti a fattori estranei e al disegno di ricerca. Tra i fattori estranei vi
sono:
- Tendenze a lungo termine: es. tendenza all’aumento dell’età della prima gravidanza.
- Maturazione dei soggetti.
- Eventi estranei all’intervento: es. malattie, cambiamenti di reddito, ecc.
- Fattori legati alla selezione dei soggetti: se l’intervento è ad adesione volontaria, chi aderisce è
più disposto al cambiamento.
Gli effetti dovuti al disegno di ricerca che contribuiscono al cambiamento grezzo possono essere dovuti o
all’uso di misure poco precise e attendibili, oppure ad effetti di naturale casuale che possono essere ridotti
utilizzando adeguate tecniche di scelta dei gruppi e di trattamento statistico dei dati.
Cosa e come misurare: la scelta degli indicatori di efficacia e degli strumenti di misura
In generale, nella valutazione dell’efficacia, è consigliabile utilizzare indicatori forti, cioè misure oggettive,
eventualmente accanto ad indicatori soffici, cioè misure più soggettive. Indicatori soffici che si possono
rilevare sono ad esempio la soddisfazione dei beneficiari, la loro percezione di utilità, ecc...
Possiamo immaginare un continuum che va dal massimo dell’oggettività al massimo della soggettività sul
quale collocare gli indicatori.
Gli indicatori che riguardano il comportamento sono in ogni modo ritenuti più oggettivi rispetto ad
indicatori che riguardano atteggiamenti, opinioni e intenzioni.
Numerose sono le fonti utilizzabili per rilevare gli indicatori:
Max soggettività
- Scale.
- Test.
Quando misurare
Valutare l’efficacia significa stimare se l’intervento ha prodotto o meno i cambiamenti desiderati. A tal fine
è evidente che il confronto fra i valori degli indicatori dopo l’intervento con i valori rilevati prima
dell’intervento è la procedura più idonea a stimare il cambiamento.
- Disegno quasi sperimentale con doppia rilevazione (pre-test e post-test) e con gruppo di controllo
non equivalente: come il modello sperimentale, ma i soggetti non sono scelti casualmente.
- Le serie temporali interrotte, con o senza controllo: si usa quando gli indicatori scelti sono già
regolarmente rilevati da enti, istituti o servizi.
3. L’adesione del target è volontaria: in questi casi la popolazione del target è caratterizzata
da un particolare bisogno e l’intervento non si pone come obbligatorio. Per realizzare
ricerche valutative basate sui metodi classici (sperimentale e quasi sperimentale)
bisognerebbe costituire due gruppi formati da persone con lo stesso tipo di bisogno e, in
più, motivate a partecipare all’intervento che si intende valutare. È importante infatti che
tutti i soggetti, anche quelli inclusi nel gruppo di controllo, siano interessati all’intervento,
dimostrando un desiderio di cambiamento. Delle volte è possibile trovare degli
escamotages, con i quali risolvere sia i problemi etici sia quelli metodologici, legati proprio
alla motivazione di chi partecipa all’intervento. Eccone alcuni:
- La costituzione di liste d’attesa: con procedure possibilmente casuali si scelgono i soggetti del
gruppo sperimentale con i quali l’intervento viene realizzato immediatamente, mentre questo
viene realizzato dopo un certo periodo con il gruppo di controllo. Nell’attesa i soggetti di
quest’ultimo gruppo partecipano alle procedure di ricerca.
- Si cambia l’obiettivo della valutazione, nel senso che non si confronta l’intervento con l’assenza di
intervento, ma due o più interventi con gli stessi obiettivi, ma che utilizzano modelli di intervento
diversi. In questi casi la domande che si pone è: quale fra questi è più efficace? E perché? Questo è
un metodo molto usato e che presenta meno problemi etici e metodologici. In genere si assegnano
casualmente i soggetti ai due tipi di trattamento e si comparano poi i risultati.
- Il progetto propone un intervento innovativo, non solo rispetto alla metodologia, alle attività
previste, ma anche perché si occupa di problemi fino a quel momenti non coperti. In questi casi si
parla generalmente di interventi sperimentali, che vengono cioè realizzati con un numero limitato
di utenti con lo scopo di capire se è possibile, vantaggioso e utile estenderli ad una popolazione più
ampia.
Come visto, nella ricerca valutativa, si cerca di utilizzare i disegni classici di ricerca che sicuramente
danno buone garanzie dal punto di vista metodologico.
Non ricorrere a modelli precostituiti ma porre attenzione alla specificità del progetto ed alle
azioni
I criteri di valutazione non sono a carattere universale ma sono frutto della collaborazione tra
diversi attori.
Nel caso non vi siano i presupposti (vedi cap. 5) per una corretta valutazione, rinunciare ad essa.
Tra i presupposti poniamo fattori sia attinenti al senso e all’utilizzo della valutazione sia alla sua
fattibilità.
Costruire un modello ad hoc, leggero, poco ingombrante e facilmente applicabile a situazioni
concrete.
Verificare con gli operatori l’adeguatezza dell’impianto e degli strumenti di valutazione.
La valutazione come modo per gestire i cambiamenti deve consentire di apportare modifiche;
deve quindi essere realizzata nei tempi opportuni.
La valutazione deve svincolarsi da forme di controllo che inficiano la stessa. La valutazione ha un
valore giudicante quando non esplicita in base a cosa giudica. Un maggior tecnicismo rischia di
centrare l’attenzione sulla misurazione dello scarto tra obiettivi attesi del controllore e risultati de
controllato.
I tre nuclei attorno a cui ruota il processo di valutazione: domanda, obiettivi del progetto e processi
decisionali.
I nuclei principali attorno cui si sviluppa il processo di valutazione sono: l’analisi della domanda di
valutazione che si sviluppa tra organizzazione, committente e valutatore esterno; la definizione,
comprensione e condivisione degli obiettivi del progetto; e i processi decisionali con cui interagisce
il processo di valutazione. Questi tre nuclei influenzano la valutazione e ne sono influenzati.
1° Passo: comprensione della domanda di valutazione e identificazione degli obiettivi a cui rispondere,
l’utilità per i soggetti interessati. Esplicitare al committente l’approccio di valutazione utilizzato, le
condizioni e le implicazioni di un sistema di valutazione.
4° Passo: studio e comprensione del progetto formale: identificazione delle strategie di fondo.
5° Passo: esplicitazione e laddove necessario ricontrattazione e ridefinizione adeguata degli obiettivi del
progetto fatta in gruppo a partire da diverse figure interne all’organizzazione. Prefigurazione dei risultati
attesi. Evidenziare congruenze o incongruenza o diverse interpretazioni rispetto a quanto dichiarato nel
progetto cartaceo e nelle sue riformulazioni.
6° Passo: individuazione dei diversi attori coinvolt direttamente e indirettamente nel progetto e loro
funzioni. Studio del contesto in cui si va ad inserire la valutazione in termini di attori e partner coinvolti, tipi
di scambi preesistenti, livelli di condivisione, ecc.
7° Passo: identificare quale interesse possono trarre i diversi attori dall’atto valutativo, quanto impegno e
quante risorse in termini sia finanziari che di tempo e capacità sono in grado di investire in modo realistico.
Tracciare i circuiti di regolazione e i livelli di valutazione.
8° Passo: identificare le critcità del sistema di valutazione ed accertarsi che le informazioni ritenute più
significative ai fini della valutazione del progetto siano raccolte in modo adeguato.
9° Passo: identificare a priori le critcità del progetto e dedicarvi particolare attenzione nel processo di
valutazione in itinere.
10° Passo. Scegliere gli oggetti della valutazione, i parametri e i criteri della stessa. Elaborare gli strument di
valutazione adatti a ciascuna fase ed individuare i relativi indicatori di esito e di processo. Verificare il grado
di adeguatezza dei metodi di valutazione e degli strumenti proposti e il tipo di utilizzo.
Durante la fase di implementazione di un progetto bisogna sviluppare dei circuiti di valutazione che
permettono ai soggetti coinvolti nelle diverse fasi di confrontarsi efficacemente per orientare ed
eventualmente modificare il proseguimento dell’azione stessa o del progetto nel suo complesso.
Questi diversi loop o circuiti devono poi essere connessi tra loro in modo da provocare derive e variazioni di
una parte del progetto che non interagiscono e intaccano le altre parti.
lOMoARcPSD|8380312
Oggetto di valutazione nella prima fase è il progetto inteso nella doppia accezione di documento cartaceo e
di articolazione delle diverse attività in termini di tempi, responsabilità, budget, ecc.
Una parte della valutazione consiste nel controllo di errori di tipo logico, contenutistico e formale. Le
componenti che in questa fase abbiamo considerato sono:
Per ciascuna azione sono stati individuati criteri e parametri della valutazione, strumenti necessari
alla valutazione e indicatori di processo e di esito. Con il termine azione identifichiamo una serie di
sottoprogetti e sottoprodotti significativi: l’azione riprogettazione operativa riguardava per esempio
il lavoro di progettazione in dettaglio del progetto che era stato approvato e l’attivazione delle
partnership con attori locali, previste nel progetto originario, ed essenziali per un’efficace
realizzazione dello stesso.
Il piano complessivo di valutazione è stato fatto in fase di avvio del progetto ma il piano reale è
cambiato in modo sostanziale man mano che le diverse azioni ipotizzate subivano modifiche e
riprogettazioni.
Per valutare le diverse azioni hanno usato una tabella a 4 colonne: nella prima colonna vengono
sintetizzate le diverse azioni o macro-attività del progetto, in seguito troviamo per ciascuna azione
criteri e parametri (secondo colonna) adottati dalla valutazione, strumenti (terza colonna) e
indicatori (quarta colonna). Ciascuna fase/azione durante il percorso ha subito della modifiche e la
valutazione ha accompagnato e in parte orientato tali cambiamenti. Proponiamo ora uno schema di
valutazione a tre colonne specifico di ogni singola azione relativa alla realizzazione di alcuni
interventi formativi e informativi. Nella prima colonna vengono individuati i criteri o parametri della
valutazione: qui dobbiamo individuare cosa ci interessa osservare e valutare. Oltre a criteri connessi
agli esiti troveremo qui altri possibili parametri: il grado di soddisfazione, la coerenza, ecc.
Nella colonna centrare indichiamo, invece, gli strumenti che utilizzeremo per raccogliere
informazioni che ci permettono di valutare quanto indicato in precedenza.
Nell’ultima colonna indichiamo, invece, gli indicatori e cioè le variabili, i dati che ci permettono di misurare
il raggiungimento dei risultati o di altri parametri individuati nella prima colonna.
Paragonano nello specifico obiettivi espliciti e impliciti e obiettivi ottenuti. (inutile perché sono obiettivi
specifici di quel progetto, con percentuali, ecc...)
Quando parliamo di impatto ci riferiamo agli esiti positivi e negativi, logicamente e probabilmente connesse
alla realizzazione del progetto, che non possono essere definiti “risultati attesi” e che non erano né stati
previsti, né indicati come obiettivi. Non è ovviamente possibile individuare a monte del progetto specifici
indicatori e ambiti su cui si svilupperà una ricaduta ma è possibile, attraverso un’attenta valutazione in
itinere, cogliere diversi segnali e raccogliere osservazioni e informazioni che dal punto di vista logico e
metodologico appaiono essere connesse alla realizzazione del progetto.
Per affermare che una metodologia di lavoro o un modello di intervento sono trasferibili dobbiamo prima:
- Inventare modi nuovi di affrontare i problemi, che liberino le energie esistenti, chiamandole a
raccolta e organizzandole.
- Proporre l’esempio ad altri, evitando però che diventi un obbligo imposto dall’esterno; favorire
invece che altri adottino le novità in modo autonomo.
- Imparare ad usare la valutazione come strumento per muoversi tra questi due compiti, favorendo
il potenziamento delle energie individuali e locali, per un cambiamento che tenga conto
dell’interesse generale.
In tal senso diventa allora urgente raccontare i progetti e le sperimentazioni che si sviluppano nel sociale,
offrirle e diffonderle in forma di analisi di caso ed estrapolarne strategie di intervento e strategie di
interconnessione tra le diverse risorse e attori.
Il progetto pilota per poter essere compreso e osservato dovrebbe essere collocato all’interno di un sistema
di osservazione abbastanza ampio; dalla stessa organizzazione possono essere sviluppati, ad esempio, in
contemporanea più progetti/azioni tra loro di fatto interconnessi.
Quali potrebbero essere in conclusione le indicazioni metodologiche, le buone pratiche che emergono dalla
valutazione dei progetti pilota? Alcune indicazioni attengono alla fase cosiddetta di valutazione ex ante
(prima), altre riguardano la valutazione in corso d’opera ed altre ancora riguardano la valutazione ex post
(dopo).
Gli attori portatori di propri obiettivi sono sempre molteplici; come si è visto non esiste alcun soggetto
puramente esecutore o neutro e all’interno delle organizzazioni si interfacciano singoli attori portatori di
proprie logiche.
Di conseguenza la valutazione sarà un processo influenzato da dimensioni politiche oltre che tecniche per
cui è necessario riconoscere le diverse istanze e i diversi punti di vista o almeno ammettere che esistano.
PROGRAMMAZIONE
Un servizio che decide di aumentare il lavoro per progetti ha necessità di prevedere quali implicazioni tale
scelta comporta rispetto l’organizzazione interna e i rapporti con l’esterno, in particolare con la rete dei
servizi.
Per poter affrontare la questione delle implicazioni del lavoro per progetti all’interno di un servizio pubblico
o del privato sociale dovremmo precedentemente confrontarci su cosa intendiamo con il termine
organizzazione; l’organizzazione è una forma di azione collettiva reiterata basata su processi di
differenziazione e di integrazione tendenzialmente stabili e intenzionali. Qui non entriamo nel merito di una
specifica organizzazione, ma ne osserviamo i modi, i processi generali con cui si distribuiscono compiti, ruoli
e funzioni e, in seguito, i modi con cui questi compiti, ruoli e funzioni vengono coordinati.
La differenziazione all’interno dell’organizzazione permette di stabilire chi fa cosa. La divisione dei compiti,
la definizione dei ruoli e del sistema dei ruoli e le specializzazioni accompagnate ad un adeguato e coerente
processo di selezione del personale rappresentano le forme con cui si manifesta il processo di
differenziazione.
Dividere compiti e funzioni non è sufficiente per produrre organizzazione; è necessario che le diverse
attività vengano riportate ad unità. È proprio attraverso il processo di integrazione che gli sforzi prodotti da
diversi ruoli si integrano almeno parzialmente. L’integrazione è garantita da diversi fattori, tra cui: la
gerarchia, le norme e le procedure, le tecnologie, ecc.
Proviamo ora ad analizzare in modo più analitico cosa comporta lo sviluppo del lavoro per progetti in
relazione anche ai due processi organizzativi (differenziazione e integrazione) menzionati.
I servizi che iniziano a lavorare per o su progetti, se in precedenza o contemporaneamente lavorano
secondo modelli centrati sulla divisione di funzioni e compiti e sul lavoro sul singolo caso, si vedono in breve
tempo costretti a reinterpretare e ridefinire le funzioni e le forme di coordinamento. Sarà necessario
individuare un referente ed almeno un coordinatore per ciascun progetto e tale ruolo non potrà più
utilizzare unicamente i precedenti criteri di divisione dei ruoli, né potrà utilizzare come unico criterio la
gerarchia.
È necessario che vi sia un’assunzione di responsabilità ed una capacità imprenditiva più diffuse a livello di
singoli operatori e che la logica del lavoro per progetti sia sufficientemente condivisa dai diversi settori, dal
personale e dai vertici.
La diretta conseguenza di quanto affermato in precedenza è che anche i processi decisionali sviluppati
all’interno dell’organizzazione vengono influenzati e influenzano il lavoro per progetti. Non è possibile
coordinare adeguatamente un progetto e rispondere dello stesso nei confronti di terzi e di istituzioni
pubbliche se all’interno della propria organizzazione non si è legittimati a farlo e se non vi è un corrispettivo
in termini di assunzioni di responsabilità e di poteri. Le organizzazioni possono dare legittimità a propri
membri anche grazie a incarichi formali, a riconoscimenti economici e all’utilizzo di altri incentivi intangibili.
Il responsabile di progetto dovrebbe essere in grado di capire le esigenze, ad esempio, del settore
amministrativo e degli altri settori e unità con cui deve interagire, ma anche essere in grado di influenzare e
parzialmente controllare la gestione di alcune risorse fondamentali per la realizzazione del progetto.
Il lavoro per progetti induce gli operatori a rivedere la propria formazione, informarsi e formarsi curando sia
lo specifico di settore che le interconnessioni con altri ambiti.
Dal punto di vista della struttura tenderanno a svilupparsi all’interno dell’organizzazione dei gruppi di
lavoro più o meno formalizzati, dei gruppi di progetto interistituzionali o intersettoriali e dei nuclei di
coordinamento. In altri termini, tenderanno a svilupparsi dei modelli organizzativi a matrice in cui vi è una
doppia dipendenza di tipo gerarchico e di tipo funzionale-operativo.
All’interno di alcuni servizi/organizzazioni può svilupparsi una tendenza semplificatoria che porta le persone
ad identificarsi con il proprio progetto e a ridurre le occasioni di confronto e di coinvolgimento rispetto ad
altri progetti in cui la propria organizzazione è comunque coinvolta, che vengono percepiti come “altri”.
Parallelamente ai processi di differenziazione e specializzazione delle funzioni, occorrerà curare i processi di
coordinamento e integrazione.
- Vi è un primo livello di coordinamento che riguarda la gestione e l’implementazione del progetto
stesso. È inoltre necessario curare le coerenze tra logica di progetto e sistema di controllo di
gestione e logiche della funzione personale e amministrativa.
- Vi è un secondo livello di coordinamento in cui poniamo il lavoro di raccordo tra mission,
strategie e indirizzi programmatici di un’organizzazione e i diversi progetti in corso: a questo livello
ci interessa riflettere sulla coerenza complessiva e sui possibili raccordi e interazioni tra progetti
diversi portati avanti da parti, settori, ambienti diversi dell’organizzazione. La cultura del lavoro per
progetti dovrebbe essere affiancata alla capacità di osservare, cogliere, valorizzare e implementare
le innovazioni che all’interno dell’organizzazione si producono in modo spesso non programmato.
Per sostenere l’innovazione all’interno dei servizi è necessario promuovere progettualità e
osservare-valutare con attenzione progetti pilota o percorsi anomali ed, infine, favorire lo sviluppo
di apprendimenti comuni, messa in rete e diffusione delle buone prassi e delle lezioni.
Nel lavoro per progetti gli operatori sono indotti a interrogarsi sul senso dei servizi erogati, sul
concetto di efficacia, sui bisogni delle persone, sulle esigenze di integrazione con altri servizi
territoriali, sulle possibili distorsioni. Il lavorare per progetti, in particolare se accompagnato da una
valutazione in itinere, restituisce alle organizzazioni coinvolte ed agli operatori moltissime
opportunità di modificarsi e apprendere in termini individuali e di learning organisation.
7.2 Il coordinamento all’interno della rete per la gestione di progetti: i reticoli a legami deboli
1. Un fattore di integrazione è rappresentato dal riferimento alle culture professionali che permette di
definire ruoli, processi di divisione del lavoro, metodologie di intervento.
2. Ulteriore fattore integrativo è rappresentato dai piccoli gruppi che spontaneamente e al di fuori di
canali formali si creano condividendo ideologie, culture di riferimento, progetti e metodologie.
3. L’integrazione all’interno di queste reti è spesso favorita dalle pluri-appartenenze: una chiave di
lettura dell’esistenza di alcuni progetti è spesso data dal fatto che alcuni operatori, con ruoli chiave,
hanno avuto la possibilità di mantenere delle pluri-appartenenze, di essere all’interno e portavoci
di più organizzazioni.
4. La scarsità di risorse può anche sviluppare una maggiore necessità e disponibilità a mettersi in rete
al fine di ottimizzare le risorse comuni esistenti, la possibilità di attivare finanziamenti o di realizzare
progetti complessi.
5. Ultimo fattore integrativo è paradossalmente l’inerzia altrove definita con connotazione negativa
come resistenza al cambiamento. Laddove l’organizzazione è caratterizzata da fattori di
integrazione deboli il resistere al cambiamento, il riassorbire nella routine quotidiana le istanze di
cambiamento, può essere letto come uno strumento che permette alla stessa di non disintegrarsi di
fronte a continue pressioni e riforme dei servizi.
Di solito le formalizzazioni premature e i protocolli di intesa realizzati a seguito di accordi politici tra i vertici
delle organizzazioni e non di condivisioni e intese sulle pratiche di lavoro degli operatori, si scontrano con
inerzie e resistenze.
Passiamo ora a una definizione di ciò che si intende con i termini di politiche pubbliche e di policy.
Per politiche pubbliche possiamo intendere in generale il prodotto dell’attività di un’autorità provvista di
potere pubblico e di legittimità istituzionale. con il termine politica in questo contesto si intende fare
riferimento a quello che viene definito come programma, schema di indirizzo per gli interventi o linee guida
e non ad aggregazioni partitiche.
Una politica pubblica è un programma di azione di governo in un dato settore della società o in uno
specifico contesto geografico.
L’attività di programmazione può portare all’identificazione di standard di funzionamento di taluni servizi,
all’allocazione di finanziamento e di nuove strutture. L’attività di programmazione si rende indispensabile
per gestire, indirizzare e coordinare tra loro la molteplicità degli interventi pubblici.
Programmare significa quindi definire quali sono gli obiettivi e le priorità di intervento e localizzare i servizi.
Significa, inoltre, mantenere un adeguato livello di elasticità o flessibilità per potere adattare la risposta alle
modificazioni della domanda dei servizi. Si tratta di un ciclo che, partendo dall’analisi e dalla proiezione
delle condizioni di ambiente, si sviluppa attraverso la definizione degli obiettivi e la scelta dei programmi di
azione idonei all’ottenimento degli obiettivi, prosegue con la quantificazione del fabbisogno finanziario
richiesto dai programmi e con la verifica di disponibilità dei mezzi finanziari o dei modi per ottenerli, si
completa con la realizzazione dei programmi e con il controllo sulla realizzazione e sugli effetti prodotti.
I progetti rispetto ai programmi rappresentano il gradino successivo di una policy.
Alcuni autori hanno teorizzato alcuni modelli per rappresentare e indirizzare i processi di programmazione
presenti nelle politiche pubbliche.
Un primo tpo di approccio, adottato sino agli anni ’70, è stato definito razionalistco o sinottico (vedi cap. 2).
Un secondo modello di programmazione è conosciuto con il termine di incrementalismo sconnesso o
disartcolato. Gli incrementalisti sostengono che i policy makers non sono in grado di prendere alcuna
decisione giusta permanente, non solo perché non dispongono di tutti i dati necessari a compiere scelte di
questa natura, o perché le politiche non offrono tutte le risorse necessarie all’adozione dei programmi, ma
anche perché i problemi stessi non sono mai definiti chiaramente, così che risulta impossibile risolverli in
via definitiva.
Invece di prevedere tutte le possibili alternative, nell’approccio incrementale, si seguirebbe una strada e in
seguito, verificate le conseguenze, si tenterebbe attraverso adattamenti successivi di gestire gli imprevisti e
riorientare l’obiettivo. L’attenzione qui è spostata sui processi di compromesso e sulla realizzazione di scelte
parziali e di breve respiro che necessariamente giocherebbero a favore del consolidamento dello status
quo. Dror cerca di cogliere gli aspetti positivi dei precedenti approcci e propone un terzo modello,
normatvo ottimale, in cui si fondono l’idealismo del modello razionale-sinottico con il realismo
dell’approccio incrementalista. Il modello di Dror si basa sull’utilizzo moderato del metodo razionale
(chiarire valori, obiettivi e criteri decisionali, ecc), sull’apporto di un contributo extra-razionale
(speculazione, creatività, istinto nella definizione del problema, ecc) e sull’utilizzo del metodo delle
comparazioni limitate e successive nel caso sia preferibile una strategia di cambiamenti marginali e di
rischio minimo.
Una caratteristica di questi ultimi due approcci è che entrambi pongono l’attenzione sul tipo di decisione,
sul fatto che sia “fondamentale e originale” o “ordinaria”, per spiegare i processi decisionali e le strategie
del decisore pubblico.
Ciò che sembra rilevante, ai nostri fini, è che il contributo di questi autori ha stimolato una maggiore
attenzione nei confronti dell’implementazione dei programmi. Si è così sviluppato un altro interessante
campo di studi, denominato implementaton research, in cui sono diventati oggetto di analisi i processi di
interazione tra chi tenta di mettere in opera una policy e coloro dai quali dipende tale messa in opera.
Questo nuovo filone di studi si sviluppa a partire dagli anni ’70 negli USA in seguito alla presa di
consapevolezza dei fallimenti delle politiche di riforma degli anni precedenti. In tale filone una questione
centrale è rappresentata dal problema dell’efficacia delle policy. Poiché non esiste un rapporto gerarchico
tra chi formula una politica e chi la deve attuare, il processo di attuazione di una policy assomiglia più ad
un’oscillazione tra formulazione, attuazione, riformulazione che ad un percorso lineare.
I programmi che vengono sviluppati talvolta ottengono risultati non solo contrastanti ma addirittura
opposti a quanto ricercato inizialmente. Il fenomeno più noto di effetto imprevisto è quello cosiddetto
dell’inversione mezzi-fini.
È noto che in alcuni casi si verifica un divario profondo tra le finalità con cui nasce e si avvia un programma
e la prassi quotidiana che può portare all’inversione dei fini per effetti di bisogni funzionali alla
sopravvivenza stessa delle organizzazioni e dei condizionamenti e pressioni esercitate da strutture di potere
interne ed esterne alle stesse. In altre parole l’organizzazione coinvolta nel progetto o nel programma può
ad un certo punto orientare la propria attenzione non all’efficacia dell’intervento ed al raggiungimento di
quanto era stato previsto, ma privilegiare aspetti attinenti al funzionamento della stessa organizzazione.
Per spiegare questi fenomeni nella letteratura possiamo distinguere due tesi: la prima tesi, prevalente nella
scienza politica più tradizionale, interpreta e spiega i fallimenti dei programmi pubblici alla luce di errori
nella fase di pianificazione e di pressioni di attori interessati a boicottare il programma. La seconda tesi
invita a guardare altrove: alle modalità di strutturazione dei processi decisionali, alla complessità dell’azione
congiunta di più attori, alle arene e alle reti attraverso cui le politiche vengono formulate ed eventualmente
messe in opera.
Boudon afferma che le situazioni di crisi, di squilibrio o di tensione sociale possano derivare dall’apparizione
di effetti perversi, cioè di effetti non voluti dagli attori sociali e che non derivano dall’opposizione degli
interessi e dei conflitti che ne conseguono.
Siamo portati a interpretare i processi di mutamento sociale come il risultato di contrasti di interesse, di
contraddizioni di interessi di gruppo e classi sociali o come irradiazioni a catena di innovazioni e a porre
scarsa attenzione ai processi di mutamento sociale dovuti a effetti perversi. Questi ultimi sono meno
facilmente comprensibili ed evidenti, tuttavia, secondo l’autore, sono molto frequenti.
Le logiche di azione collettiva non corrispondono alle logiche di azione del singolo soggetto e la
giustapposizione delle azioni individuali può provocare degli effetti a livello collettivo non previsti, non
desiderati, o comunque non presenti negli obiettivi espliciti degli stessi soggetti.