Sei sulla pagina 1di 43

COSTRUIRE E VALUTARE I PROGETTI NEL SOCIALE (Leone-Prezza)

CARATTERISTICHE DELLA PROGETTAZIONE SOCIALE:

La progettazione è un' attività fondamentale unitaria, orientata all' invenzione e alla


realizzazione di artefatti molto complessi. E' un' attività cognitiva che riguarda la
trasformazione di materiali e condizioni: c'è progettazione urbanistica, di software, di nuovi
prodotti … intendere la progettazione come attività cognitiva significa spostare l' attenzione
sulle competenze progettuale possedute dagli attori sociali e viene definita come attività di
produzione di mondi possibili, come attività esplorativa e costruttiva volta alla ricerca e alla
definizione di problemi, come indagine pratica.

Progettare nel sociale →


• si producono servizi alle persone
• gli operatori sono professional o para-professional
• molteplicità di attori e frammentazione delle competenze istituzionali
• molteplici tipologie organizzative e molteplici culture organizzative e professionali
• complessità dei fenomeni oggetto di intervento
• forte dipendenza da finanziamenti pubblici

Perché lavorare x progetti?


• Forte esigenza di innovazione, di sperimentazione, di flessibilità
• necessità di evitare inadeguatezze e sprechi nella divisione del lavoro x funzioni
• esigenza di sviluppare collaborazioni e partnership con altre organizzazioni sula base di
accordi e obiettivi comuni ma anche necessità di sviluppare “lavoro di rete” tra servizi
• modalità prevalente di accesso a risorse finanziarie.

La flessibilità organizzativa risulta necessaria laddove l’ambiente è turbolento e caotico, dove


non è possibile avere ampi margini di previsione, né standardizzare le pratiche di lavoro, né
utilizzare soluzioni sperimentate in precedenza come modelli di riferimento per il futuro.
Il progetto, inteso come mezzo per connettere le attività agli obiettivi e ad una verifica,
rappresenta lo strumento privilegiato di un’organizzazione flessibile.

Secondo Manoukian è opportuno ipotizzare un’organizzazione che permetta processi di lavoro


non meccanici e lineari, ma circolari, soggetti a continui aggiustamenti, in cui si definiscono
degli obiettivi parziali, dei programmi operativi, che si attuano, che si svolgono praticamente e
si verificano.

Funzioni di front-office e back-office. Il front-office gestisce direttamente il rapporto con il


cliente-utente, influenzando significativamente la qualità del servizio. Soprattutto quando il
servizio è poco standardizzabile e richiede flessibilità e adattamento (es. assistenza
domiciliare), per evitare dannose logiche di burocratizzazione l’operatore del front-office deve
essere corresponsabile non solo nell’erogazione del servizio, ma anche nell’elaborazione
progettuale. Spesso, infatti, il processo di lavoro non può essere meccanico e lineare, ma
richiede un approccio circolare, legato a verifiche continue e al raggiungimento di obiettivi
parziali. Progettare e valutare in modo continuo i propri interventi è una caratteristica dei
servizi più innovativi e capaci di adattarsi al contesto.

Dimensione valoriale. Le difficoltà nella progettazione sono solo parzialmente di ordine


tecnico. L’intervento sociale ha implicazioni etiche e valoriali sia in relazione ai clienti, sia in
relazione agli operatori. Spesso si fissano mete troppo ambiziose rispetto ai tempi, alle risorse e
alle possibilità concrete di successo; la “buona causa” rischia di indurre idealizzazioni che
sottovalutano gli elementi della realtà, di distogliere dai processi di verifica e di non dare il
giusto peso agli aspetti finanziari. E’ importante perseguire i valori ultimi, ma anche realizzare
un servizio efficiente, efficace e coerente.
Nei servizi alla persona è necessaria la capacità di attivarsi e di modificarsi in funzione di
stimoli e necessità provenienti dai propri clienti e dall' ambiente esterno. Un servizio rigido: è
una struttura centrata sulle procedure e sull' adempimento dei compiti;la flessibilità
organizzativa risulta essere necessaria laddove l' ambiente è turbolento e caotico, dove non è
possibili avere ampi margini di previsione e dove non è possibile standardizzare le procedure.
Quindi, se la chiarezza delle procedure è il requisito fondamentale di quelle organizzazioni
rigide basate sulla ripetitività dei compiti, allora il progetto (inteso qui come un mezzo per
connettere le attività agli obiettivi e ad una verifica) rappresenta lo strumento privilegiato ed
essenziale di un' organizzazione flessibile. La capacità di progettare e valutare continuamente
i propri interventi è tra le caratteristiche principali dei servizi piu innovativi, di quei servizi
cioè che sono capaci di adattarsi ai contesti che cambiano ed ,in senso pro-attivo, capaci di
cambiare i contesti sociali in cui operano.

Il lavoro nel sociale è carico di valenze etiche, affettive ed emozionali, investe i valori e le
credenze più profonde sia degli operatori che dei clienti/destinatari/utenti/beneficiari. Nel
sociale l' attività di progettazione può essere anche intesa come momento in cui è possibile
esprimere i propri valori, credenze, i propri modelli di riferimento, le teorie che implicitamente
si utilizzano x dare senso e spiegare i fenomeni e con cui si confrontano vari sistemi di valori. La
progettazione costringe a fare i conti con il limite, a rapportare obiettivi, attese, propositi con
orientamenti di valore, scelte concrete e risorse. Articolare un progetto tra i diversi soggetti,
pensare alla coerenza tra le diverse parti(tempi, scopi, operatori disponibili … ) significa fare i
conti con il limite, con la parzialità, che non deve essere rimossa, come al contrario accade in
alcuni contesti.

Professionisti:
le professioni e le para-professioni sono caratterizzate da:
• riferimento ad un corpus di saperi, teorie e tecniche
• responsabilità elevata sui risultati
• curriculum formativo comuni e norme deontologiche a cui riferirsi.
L' operatore sociale tende a sviluppare una sorte di micro-progetto nella relazione duale con il
cliente: interpreta il bisogno, definisce il problema, pone obiettivi di intervento, definisce tempi
e metodi e modalità di verifica dello stesso. Il progetto sul singolo caso è spesso il punto di
partenza x rinforzare processi di integrazione e avviare altri tipi di progetti rivolti ad esempio
alla comunità.
L’identità lavorativa e la comunicazione dell’operatore sociale si fonda fortemente
sull’appartenenza professionale, prima ancora che organizzativa. Questo influenza il modo di
progettare e facilita lo sviluppo di “microprogetti” basati sulla relazione duale con il cliente che
rischiano di staccarsi da un contesto, soprattutto nelle professioni più “forti” (psicologo,
medico). Il lavoro per progetti richiede un passaggio ulteriore alla progettualità condivisa in
équipe e tra servizi ed organizzazioni. Anche laddove si debba lavorare sul “singolo caso”, la
progettazione deve essere uno strumento di lavoro comune basato su strategie, attività e
verifiche.

Chi si occupa di progetti nel sociale deve confrontarsi con una difficoltà: nel sociale i progetti
vengono quasi sempre realizzati grazie all' interazione, alle intese e al coordinamento di una
rete di organizzazioni pubbliche, private e del privato sociale. L' elemento di difficoltà consiste
nel fatto che le diverse organizzazioni del sociale sono spesso diverse tra di lodo a livello di
organizzazione della struttura, delle tipologia delle diverse dimensioni, del settore, della
mission (finalità), dei diversi codici linguistici … una tipica difficoltà è data infatti dal fatto che
le diverse organizzazioni parlano linguaggi differenti ed hanno procedure e regole di
funzionamento diverse. I progetti che richiedono un intervento di rete sono condizionati
necessariamente dalle forme di integrazione e dal tipo di scambi preesistenti tra le diverse
organizzazioni.

Finanziamenti. Notoriamente i progetti si piegano alle forme di finanziamento disponibili e, in


genere, i servizi sociali si sviluppano nella pubblica amministrazione o in convenzione attraverso
fondi stanziati a livello centrale. Queste risorse costituiscono forti stimoli: attraverso di esse
amministrazioni pubbliche, organizzazioni del privato sociale e aziende attuano programmi
coerenti con il proprio know how e interventi già avviati, ma talvolta tentano anche di
raggiungere obiettivi estranei alle proprie esperienze, elaborando progetti sociali in termini di
atti tecnici che implicano il ricorso a consulenti o società. Per questo, un finanziamento
cospicuo può addirittura essere di ostacolo ad un progetto innovativo, mentre un fattore a
favore della riuscita è la presenza di scarsi finanziamenti: un abbassamento del livello di
competizione sulle risorse economiche, infatti, garantisce che l’interesse immediato non sia il
ritorno economico.

Controlli. Un altro aspetto critico riguarda il controllo; quando la distanza tra l’erogatore del
finanziamento e l’ente esecutore è notevole, il controllo ne risente, limitandosi ad aspetti
formali e alla rendicontazione amministrativa. Alcune cooperative sociali che gestiscono servizi
in convenzione con comuni e ASL redigono “progetti mensili” sui casi presi in carico che in realtà
hanno il solo scopo di documentare le prestazioni erogate perché siano remunerate; il progetto
diventa così un adempimento amministrativo privo di programmazione e di verifica dei risultati.
Situazioni di questo genere sono favorite da situazioni protette e garantiste che escludono
un’adeguata concorrenza. La logica amministrativo-burocratica e quella operativo-progettuale
sono entrambe necessarie, ma per molti aspetti in conflitto tra loro.

Organizzazione “a rete” dei servizi. Nel sociale, l’interazione tra organizzazioni pubbliche,
private e del privato sociale è quasi sempre necessaria e questo rappresenta una difficoltà
notevole. Questa forma di coordinamento richiede metodo e progettualità, non può essere
attivata in emergenza o su accordi stabiliti di volta in volta. I diversi enti sono spesso diversi per
struttura organizzativa, dimensioni, mission, settore di attività, cultura organizzativa; spesso
hanno linguaggi, valori, regole e procedure diversi. Basta pensare alle diversità tra pubblica
amministrazione, associazioni di volontariato, cooperative, imprese, organi politici. In ambito
sociale, i progetti richiedono sempre più di essere concepiti come progetti “di” e “tra”
organizzazioni diverse connesse da legami deboli.

→ SCOPO DELLA PROGETTAZIONE SOCIALE: Lo scopo del progetto è quello di sviluppare


identificazioni, dare spinte motivazionali.
Ciascun professionista tende a sviluppare una sorta di micro progetto nella relazione duale con il
cliente: interpreta il bisogno, definisce il problema, pone obiettivi di intervento, definisce tempi
e metodi e modalità di verifica dello stesso. I passaggi legati alla presa in carico del caso,
possono svilupparsi in modo “solitario”, soprattutto se il professionista è lo psicologo. Alcune
professioni sociali come quella dell’educatore sono meno individualiste, ma le professioni
socialmente considerate “forti” sono quelle che derivano da modelli di relazione di aiuto di tipo
duale.
La complessità dei problemi cui si cerca di dare risposta, richiede spesso la collaborazione di più
saperi. L’appartenenza professionale rappresenta un forte collante e, contemporaneamente, un
fattore di differenziazione interna alle singole equipe dei servizi. E’ in funzione dell’intervento
sul singolo caso che più operatori di uno stesso servizio, o di altri servizi, si coordinano.
Spesso a livello centrale esistono dei fondi finalizzati ad alcuni tipi di intervento (leggi sulle
tossicodipendenze, prevenzione del disagio minorile, imprenditorialità giovanile, pari
opportunità). Queste risorse finanziarie rappresentano uno stimolo enorme: enti, organizzazioni,
amministrazioni pubbliche tentano di raggiungere obiettivi preesistenti o creano strutture ad hoc
per gestire nuovi progetti di intervento.
A volte anche la presenza di scarsi finanziamenti è un fattore di riuscita, perché abbassa il
livello di competizione sulle risorse economiche e aumenta la garanzia che coloro che
collaborano al progetto non abbiano una motivazione intrinseca.
L’ente erogatore del finanziamento ha anche funzione di controllo, cioè verifica che il progetto
si realizzi e che le risorse economiche a disposizione non si disperdano in altre attività non
inerenti il progetto stesso.
Nel sociale i progetti vengono quasi sempre realizzati grazie all’interazione, alle intese e al
coordinamento di una rete di organizzazioni pubbliche, private.
Accanto al lavoro sul singolo caso, si svolgono una serie di attività rivolte a gruppi, ad altre
organizzazioni, a singoli quartieri o all’intera popolazione.
L’elemento di difficoltà consiste nel fatto che le diverse organizzazioni del sociale sono spesso
enormemente diverse tra loro per struttura organizzativa, dimensioni, settore, mission, logiche
e culture organizzative, valori e codici linguistici, e si differenziano anche in funzione del livello
di istituzionalizzazione da cui sono caratterizzate.
Si possono distinguere organizzazioni a legami deboli e organizzazioni a legami forti.
Le reti interorganizzative presenti nell’area sociale sono prevalentemente o tendenzialmente
caratterizzate da legami deboli.

APPROCCI E MODELLI ALLA PROGETTAZIONE:

Le tappe di un progetto di intervento:

• PRIMA TAPPA → IDEAZIONE


Momento in cui o più persone ipotizzano di realizzare un progetto, di attivare un'
iniziativa, di fare o proporre qualcosa. Un progetto non nasce mai all’improvviso ma
correlato a precedenti esperienze di lavoro, di progettazione, di processi decisionali,
fatte dalle persone che producono l’idea di un “nuovo intervento”. Le motivazioni alla
base del “perché nasce un’idea progettuale” sono in genere complesse e diversificate.
• SECODA TAPPA → ATTIVAZIONE
una volta avviata una propria ipotesi di progetto bisogna cercare di verificare quali sono
le risorse disponibili, identificare meglio il proprio ruolo e quello degli altri soggetti
coinvolti in queste prime fasi, identificare il problema e le strategie di intervento,
ottenere il consenso + o meno allargato e analizzare la domanda della committenza.
Occorre chiedersi “chi” e “cosa” è indispensabile per dar vita al progetto e per
realizzarlo. In questa fase ci si occupa di 4 aspetti:
1. Sviluppo di alleanze, di accordi, di consenso sociale
2. Individuazione di strategie
3. Individuazione di risorse
4. Definizione del problema e del campo di azione.
*Sviluppo di alleanze, di accordi e di consenso sociale: consiste nella prima
condivisione dell’idea progettuale con referenti significativi istituzionali e territoriali;
sensibilizzare e coinvolgere le persone significative interne e/o esterne alla nostra
organizzazione; Raccogliere dati, informazioni, ricerche e progetti esistenti (attivi o
chiusi) sul problema e sulla comunità al cui interno intendiamo operare. E’ il momento di
interrogarsi sul senso della nostra idea di servizio, di proposta progettuale. In funzione
del senso possiamo capire se:
• Siamo legittimati a sostenere questa proposta?
• Siamo in grado di sostenere l’idea?
• Su che potere possiamo contare?
• Con chi dobbiamo dialogare?
E’ quindi necessario aver chiaro l’ambito dell’intervento e la sua finalità, in funzione dei
quali sviluppare alleanze, accordi, consenso sociale.
Individuazione di strategie: Con il termine strategia, nell’ambito della progettazione, si
vuole indicare la pluralità di macro metodologie che guidano e orientano le azioni nel
sociale. Le strategie sono determinate da approcci e convinzioni di fondo circa il
cambiamento sociale, l’educazione, la qualità della vita Individuazione di strategie.
Tra le strategie più diffuse nell’ambito della progettazione nel sociale troviamo: Lavoro
sociale di rete + Empowerment locale →
Lavoro sociale di rete : “E’ un metodo generale di lavoro sociale che fonda su un’azione
di raccordo, uno sforzo diretto a facilitare i sincronismi, le sinergie etc. tra i molteplici
poli – formali e informali – coinvolti concretamente nell’aiuto ad una singola persona o a
categorie di persone”. (Folgheraiter). Il lavoro di rete prevede che un ruolo notevole sia
svolto dalle stesse persone portatrici del problema, definiti generalmente “utenti” o
“destinatari dei
servizi”. Nell’ottica di rete essi hanno invece un rilievo paritetico e la centralità non è
assunta dall’operatore bensì dalla rete. Il massimo di professionalità coincide con il
massimo di decentramento dell’operatore.
Empowerment locale: termine empowerment è utilizzato per indicare sia un concetto
complesso che una pluralità di pratiche
volte allo sviluppo di un territorio, di una comunità. Nel settore delle ONG lo si utilizza
per indicare “un processo attraverso il quale le persone diventano consapevoli delle
cause della loro povertà o impoverimento e si organizzano per utilizzare le loro
competenze, le risorse e le energie collettive per modificare tali condizioni”.
Individuazione di risorse: Le risorse significative da individuare sono di diversa natura:
Strumentali, strutturali ed economiche, Professionali, Relazionali (per costruire consenso
e ottenere legittimazione).
Definizione del problema e del campo di azione: Il problema su cui s’intende agire va
definito e compreso ma questa operazione concettuale è influenzata da:
• Competenze professionali
• Sistema di valori
• Stereotipi
• Modelli e stili di vita
• Campo di azione
Occorre trovare le maggiori convergenze possibili tra gli attori coinvolti nella fase di
attivazione. Nell’approccio sinottico chi decide “cosa è problema” è l’esperto
progettista. Negli approcci a valenza partecipativa assistiamo invece al processo di
costruzione sociale del problema.
• TERZA TAPPA → PROGETTAZIONE
elaborazione di un cartaceo, dell' identificazione e della programmazione delle diverse
fasi dell' intervento. Si cerca di prevedere quali saranno le esigenze di personale, i tempi,
le necessità tecniche e materiali per garantire l' operatività.
• Le parti che compongono il progetto sono:
- Legittimazione e sviluppo di partnership e alleanze. Condivisione con i partner che
hanno competenze, motivazioni, interessi e ruoli significativi rispetto alla tematica
trattata e definizione degli oggetti di scambio: risorse, conoscenze, informazioni,
competenze.
• Definizione e analisi del problema → Lo stile di formulazione dei problemi è
considerato rilevante nella qualità e nella comprensione di un progetto. In caso di
approccio sinottico-razionale, il problema viene definito dal progettista esperto; in caso
di approccio concertativo o euristico, è il risultato di processi di negoziazione tra diversi
attori: un fenomeno percepito da qualcuno come problematico potrebbe non esserlo per
altri o esserlo in modo diverso. La costruzione sociale della definizione del problema
attraverso il confronto e il superamento dell’autoreferenzialità evita l’influenza di
stereotipi, modelli, schemi e pregiudizi e facilita lo sviluppo di azioni comuni.
• Identificazione degli obiettivi → All’analisi del problema deve corrispondere,
in senso logico e coerente, l’individuazione di obiettivi che ci si pone per realizzare
cambiamenti positivi. Occorre definire: L’obiettivo (o scopo) generale del progetto che
indica in forma astratta e ampia l’aspirazione e la direzione che assume il progetto
stesso. Seguono i sotto obiettivi, gli obiettivi specifici e gli
obiettivi operativi. L’esito di queste formulazioni può essere rappresentato dal c.d.
“albero degli obiettivi”, trasposizione in positivo di quanto formulato “nell’albero dei
problemi”. Anche in questa operazione concettuale e scritta, l’utilizzo di forme
espressive adeguate è cruciale. Viene suggerito:
• L’utilizzo di verbi forti
• La specificazione di un solo effetto o risultato
• La specificazione del tempo che si ipotizza necessario al conseguimento del risultato.
• Beneficiari dell’intervento → Chi è interessato al cambiamento ipotizzato dal
progetto? Quale il contesto in cui vive/vivono?
Ha condiviso la definizione di problema? La sua percezione coincide con le
caratteristiche individuate nella parte apposita di progetto? Quanti sono i destinatari
dell’intervento? Occorre distinguere tra destinatari diretti e destinatari indiretti perché
potrebbe rendersi necessario specificarli in funzione delle diverse fasi del progetto.
Occorre, inoltre, delineare le modalità di contatto e coinvolgimento per evitare l’errore
di ritrovarsi con destinatari diversi da quelli ipotizzati.
• Modello d’intervento e attività che verranno svolte → Il modello d’intervento è
strettamente connesso all’intervento stesso. Si potrebbe dire che ne è “l’anima”, la
guida teorico-pratica. Il modello è già stato scelto all’inizio del processo di progettazione
ma, in questa fase, trova piena esplicitazione. Per modello d’intervento può intendersi
“Un tentativo di tradurre le conoscenze che
riguardano la regolazione, modificazione e il controllo di comportamenti, atteggiamenti,
reazioni psico-fisiche o condizioni comunitarie in ipotesi , sulle quali possono basarsi le
azioni”. (Rossi – Freeman). Il modello d’intervento aiuta a specificare le ipotesi causali
relative al problema su cui intendiamo lavorare, e le conseguenti ipotesi di intervento e
azione. Come scegliere modello e attività più idonee? A partire dalle esperienze, dalla
fattibilità, dalla coerenza con cultura e stili di vita dei dest inatari (accettazione).
• Risorse → Strategie di progetto e attivazione delle risorse. Le strategie definiscono
l’approccio di fondo e orientano le azioni sociali in vista del conseguimento di certi
obiettivi al di là delle soluzioni specifiche, ma comunque in modo sufficientemente
strutturato. Si parla, ad esempio, di strategie di sviluppo locale, di empowerment di
gruppi e comunità, di sviluppo locale dell’occupazione.
• Esempio 1: Strategie di lavoro sociale “di rete” dei servizi sociali. Valorizzare e stimolare
lo sviluppo di reti di supporto sociale attivando le reti sociali primarie (famiglia, parenti,
amici) e forme associative della comunità (volontariato, associazioni, gruppi di auto-
aiuto). Attivate per favorire la soluzione di problemi quali dipendenze, disoccupazione,
forme di disagio fornendo supporto a breve, medio o lungo termine.
• Esempio 2: Strategie di empowerment. Innescare processi di sviluppo che rendono le
persone consapevoli delle cause della loro povertà/impoverimento/disagio e capaci di
organizzarsi per utilizzare le proprie energie e risorse collettive al fine di superare queste
condizioni. Ad esempio, per molte comunità dell’America latina, l’empowerment
significa poter controllare le risorse produttive, in particolare “avere la terra”.

• Monitoraggio e valutazione → In questa parte del progetto devono trovare risposta i


seguenti quesiti:
-Qual’è il problema su cui dobbiamo intervenire?
-Come lo abbiamo definito? Come si manifesta e quali le cause che abbiamo ipotizzato
alla sua origine?
-Che rilevanza ha il problema e per chi?
-Qual è la sua rilevanza nella comunità e l’incidenza sulle condizioni di benessere e sulla
qualità della vita?
-Genera altri problemi?
-E’ stato fatto qualcosa in precedenza? Da chi? Con quali risultati? All’interno di un
progetto deve essere esplicitata la modalità (o le modalità) di monitoraggio e
valutazione dello stesso progetto. Questo presuppone la scelta di modelli di valutazione
(e la determinazione di indicatori)
e la previsione:
• dei tempi
• delle risorse necessarie a condurre i processi valutativi.

Alcuni tipi di organizzazioni non investono molte energie nella fase di attivazione e, per ottenere
i finanziamenti, presentano progetti “standard” (comunque, in generale si presenta un progetto
generale e solo successivamente si esegue una progettazione operativa più dettagliata). La
rilevanza delle diverse fasi dipende dal modello di progettazione adottato (nell’approccio
euristico, la fase di attivazione assorbe la maggior parte delle energie e il progetto cartaceo è
propriamente uno dei risultati del percorso). Inoltre, è sempre importante proporre progetti con
un certo grado di apertura, passibili di aggiustamenti in seguito al confronto continuo con gli
interessati. Un progetto sociale non dovrebbe tanto prescrivere quanto orientare un percorso,
garantendo le risorse necessarie e il loro coordinamento.
• QUARTA TAPPA → REALIZZAZIONE
realizzazione dell' intervento. Attraverso l' avvio delle prime attività si verificano le
proprie ipotesi, si attuano gli interventi ed i cambiamenti necessari x sostenere il
progetto, si sviluppano processi di confronto e verifica in itinere x produrre gli
aggiustamenti necessari.
• QUINTA TAPPA → VERIFICA
verifica conclusiva e riformulazione, ridefinizione o conclusione del progetto stesso.

Queste tappe sono poste in un ordine sequenziale, tuttavia esse possono essere accavallate e
sovrapposte.

La verifica è posta come ultima tappa anche se processi di monitoraggio e valutazione si attivano
lungo il percorso ad ogni tappa, cosi pure il processo di attivazione può proseguire
parallelamente alla realizzazione dell' intervento.
I diversi modelli di riferimento attribuiscono a queste fasi importanza diversa. Il modello
adottato configura in maniera caratteristica già le prime tappe di un intervento, stabilendo il
livello di apertura e flessibilità del progetto. Si distinguono 3 approcci lungo un continuum:

Sinottico-razionale Concertativo o partecipato Euristico


Massima prestrutturazione Minima prestrutturazione

E' da come si configurano le prime tappe dell' intervento sarà possibile capire quale approccio
viene utilizzato e agito.

Approccio:
Cornice teorica al cui interno si sviluppa una visione della realtà e la spiegazione di fenomeni
sociali
Modello:
Oggetto o termine atto a fornire un conveniente schema di punti di riferimento ai fini della
riproduzione, dell’imitazione, talvolta dell’emulazione.

Tre approcci:

1. APPROCCIO SINOTTICO-RAZIONALE → Anche se è il meno adatto per gli interventi di


tipo sociale, è il modello “forte” per definizione poiché si è sviluppato nell’ambito del
modello della scelta razionale ed elaborato principalmente dalle scienze economiche.
Si tratta di un approccio meccanicista che rimanda ad una causalità di tipo lineare tra le
problematiche sociali: “in condizioni ambientali date trovare i mezzi migliori per
raggiungere obiettivi dati giudicati desiderabili secondo criteri di valutazione stabiliti”.
Presuppone:
• Un ambiente predeterminato, descritto da vincoli e parametri fissi nel corso della
procedura
• Un problema chiaro con obiettivi espliciti dati fin dall’inizio,
• Se ci sono mezzi alternativi, questi sono dati in modo distinto dai fini,
• Ottenere il massimo dei benefici con il minimo costo.
Un’altra caratteristica del modello è che si riferisce ad un progettista solitario.
Cruciale è la tappa della progettazione (III) poiché la centralità è sul prodotto da
realizzare inteso come risultato previsto a priori.
La presenza della tappa di attivazione (II) è scarsa e si riferisce alla ricerca di
finanziamenti e all’attivazione di reti di relazioni e risorse materiali per l’approvazione
del progetto; la tappa di realizzazione (IV) è vista come conseguenza del progetto e non
vi sono processi di reale partecipazione dei destinatari o dei diversi soggetti coinvolti nel
progetto.
La valutazione (V), infine, si riferisce ad un mero processo di confronto tra output
previsti ed output ottenuti.
Purtroppo questo modello non tiene conto del fatto che gli obiettivi non sono definibili a
priori e da un unico soggetto, ma sono la risultante di processi di negoziazione che
vedono coinvolti i diversi soggetti che, in virtù del loro sistema di aspettative,
atteggiamenti e motivazioni, spesso alimentano quel conflitto che costituisce l’input
della progettazione stessa.
Esso inoltre non aiuta a pensare al progetto come ad uno strumento flessibile.
Il cambiamento sociale è possibile perché: le cause scatenanti problemi sociali e
devianze individuali sono comprensibili e circoscrivibili, appositi progetti possono
intervenire a prevenire e modificare le cause degli stati problematici; azioni pre -
determinate possono modificare atteggiamenti e comportamenti.

E' quindi un approccio meccanicista derivante dal modello classico della scelta razionale che
assume una causalità lineare per cui è possibile:
- Individuare i fattori causali del problema sociale;

- Modificarli per prevenire/superare il problema;

- Modificare atteggiamenti e comportamenti delle persone ottenendo un cambiamento


sociale.
Poiché il risultato è prevedibile a priori, si tratta di predisporre un programma ben strutturato e
degli strumenti ben definiti; l’enfasi ricade quindi sulla fase di progettazione per la quale può
teoricamente bastare anche un singolo progettista esperto. Non vi è partecipazione dei
destinatari o di altri soggetti coinvolti.
La fase di attivazione riguarda semplicemente la ricerca di finanziamenti e l’approvazione del
progetto, mentre la realizzazione è una conseguenza della progettazione: va monitorata, ma non
ci si aspetta che l’incontro con i destinatari produca elementi significativi da considerare per
l’efficacia del progetto, poiché i loro bisogni sono già noti a priori. La valutazione consiste nel
confronto tra output previsti ed ottenuti, dando per scontati i vantaggi per i destinatari.
Gli assunti sono:
- L’ambiente è predeterminato, descritto da parametri stabili nel corso dell’intervento;

- Il problema, gli obiettivi e i criteri di valutazione non presentano ambiguità, non sono
soggetti ad interpretazioni diverse e non possono essere ridiscussi in seguito;

- Esiste una struttura ordinata di preferenze sulle conseguenze di ogni possibile opzione
che non si modifica nel corso del processo.
La semplificazione è eccessiva e tanto più il contesto è complesso/imprevedibile, tanto più
questo approccio è inadeguato. Pur essendo il meno adatto all’intervento sociale, ha molto
successo perché sottende certezze, prevedibilità, ordine e controllo del cambiamento.
Esempio 1: Programmazione didattica tradizionale. Si tracciano a priori, indipendentemente
dalle caratteristiche degli alunni e dalle dinamiche di classe che si svilupperanno, obiettivi
didattici/educativi generali e specifici che vengono associati criteri di verifica. Non si
prevedono opportunità o incertezze, non si valorizzano risorse o possibilità emergenti.

Esempio 2: Cooperativa sociale in convenzione per l’assistenza domiciliare agli anziani.


L’assistente sociale del comune individua il caso e lo passa alla collega della cooperativa, che lo
assegna a due assistenti. Quale obiettivo prevale? Quello dell’AS del comune, dell’AS della
cooperativa, degli assistenti, dell’anziano, dei suoi parenti? A parte i vincoli normativi, non
esiste un decisore che orienti l’intervento con una negoziazione tra soggetti diversi. Gli
assistenti domiciliari hanno comunque un ruolo “forte”: se sono convinti che la persona non è
autonoma, si porranno in modo da non favorire il ripristino/mantenimento delle sue capacità
funzionali, inviando messaggi che rinforzano la dipendenza anche solo attraverso le cure
domestiche. La distanza tra chi programma il progetto e chi lo realizza introduce spazi di
interpretazione che allontanano obiettivi dichiarati e perseguiti, riducendo la possibilità di
orientare e prevedere ciò che accade.
Critiche all’approccio sinottico-razionale.
- Progettisti diversi possono dare soluzioni diverse e anche individuare diversamente il
problema. Esiste sempre una dimensione del processo di progettazione basata sul
confronto e la divergenza tra strategie e soluzioni diverse. Un progetto è un artefatto
risultante dall’interazione tra i diversi attori coinvolti;

- Non è sempre possibile comparare le diverse opzioni e operare una scelta sulla base della
massimizzazione dei benefici, soprattutto nei settori di intervento meno esplorati;

- Il progetto non è flessibile e adattabile. Si toglie efficacia ed efficienza l’intervento.

2. APPROCCIO CONCERTATIVO O PARTECIPATO →


Ha un riferimento eterogeneo di impostazioni teoriche rintracciabili all’interno di
differenti discipline. La realtà è la “costruzione” di chi la osserva: la conoscenza non è
data dalla corrispondenza tra ciò che sappiamo e la realtà esterna. La realtà è un
costrutto personale mediante il quale osserviamo, interpretiamo, spieghiamo e
rappresentiamo il mondo, a partire dall’esperienza e servendoci della comunicazione.
Conseguenze sul processo di progettazione: Non vi è oggettività a priori relativamente al
problema e al contesto; l’interazione tra i diversi attori è ricercata e costruita in tutte le
fasi della progettazione; la logica dell’intervento è comune a tutti coloro che sono
coinvolti nella progettazione ma questo non limita potere di negoziazione e diritto
all’autodeterminazione. Rifiuta l’eccesso di tecnicismo e di oggettivazione a priori dei
bisogni perché:
-Non esiste nel sociale il determinismo “causa – effetto”
-I bisogni possono essere letti e interpretati in modi diversi
-I tecnici ed i servizi sono visti come maieuti rispetto alle potenzialità delle persone e
delle comunità
-Le persone e le comunità, se supportate, sanno auto – organizzarsi e sanno indicare
bisogni e risorse necessarie.

Gli obiettivi sono in parte definiti e in parte lasciati alla definizione nel corso del
processo decisionale → sono “partecipati”.

L’approccio partecipativo implica il coinvolgimento attivo dei beneficiari potenziali nelle


diverse fasi di un piano, fin dalla sua ideazione.

Si parte da un’ipotesi di cambiamento di una data realtà che è confrontata, negoziata,


concertata con i destinatari. Per questo è cruciale la tappa dell’attivazione
-Valorizza la dimensione dell’interazione sociale ed il livello cognitivo ed emotivo
-Assume che non esista una conoscenza unica ed oggettiva della realtà esterna ma essa è
il frutto delle costruzioni dell’osservatore: la realtà non è scoperta ma è inventata
-Il problema e l’ambiente non sono dati a priori
-Il processo d’interazione tra i diversi attori prosegue in tutte le tappe
-Pur condividendo un impianto logico comune ogni attore continua ad essere portatore di
aspettative, presupposti cognitivi, posizioni di potere, e ad avere ampi margini di
autodeterminazione e negoziazione.

Privilegia l’interazione sociale: nel processo di progettazione interagiscono le diverse


prospettive, portatrici delle posizioni di attori con ruoli (strategico, operativo, ecc.) e poteri di
influenza diversi, che permettono di definire il problema. Sostiene una progettualità legata a un
processo di comunicazione che produce conoscenze intersoggettive utili alla costruzione di
significati più ampi (costruttivismo). Conseguentemente:
- Il problema e l’ambiente non possono essere dati a priori come fatti oggettivi;

- Gli attori devono confrontarsi in tutte le tappe del progetto come portatori di
aspettative, presupposti e posizioni di potere diversi;
L’enfasi viene quindi posta sulla fase dell’attivazione; inoltre, il modello non descrive un
percorso a senso unico che attraversa le diverse fasi, ma a partire dalla fase dell’attivazione
prevede anche la ripresa delle fasi precedenti a causa dell’influenza reciproca delle une sulle
altre, creando aperture sugli obiettivi.
Gli assunti sono:
- Nei problemi sociali non esiste una causalità lineare;

- I bisogni non sono definiti a priori; esistono letture e ipotesi interpretative diverse;

- Servizi e operatori non distribuiscono soluzioni preconfezionate, ma promuovono


l’empowerment, poiché le persone possono attivare risorse ed impegnarsi in azioni delle
quali sentano l’utilità e il significato.
L’interazione tra più attori si estende a tutte le fasi del processo, anche se non tutti sono
necessariamente coinvolti in ciascuna di esse. Implica necessariamente una dilatazione
dei tempi di decisione.

3. APPROCCIO EURISTICO
Come l’approccio "partecipato" pone al centro la tappa attivazione, ma rispetto ad esso:
-Si rinuncia a conseguire obiettivi predeterminati a monte dagli operatori-progettisti
-Il progetto è in continua costruzione ed i protagonisti sono i suoi destinatari
-L’operatore-progettista fa da promotore, stimolo, impulso per la comunità
-Misurare la riuscita di un progetto in base al conseguimento di un risultato predefinito
può indurre a porre in secondo piano i "processi", che sono il risultato reale
dell’intervento sociale
-Si pone contro il processo di "etichettamento" , quel meccanismo che accentua la
marginalità. p.es. : rivolgersi pubblicamente a ragazzi deboli, sviluppa identità e
appartenenze emarginanti
-La progettazione è intesa come prodotto di un percorso e non come luogo di partenza
("modello sinottico")
-Dalla tappa di attivazione può non scaturire un unico progetto bensì tanti sotto progetti
tra loro connessi con un proprio percorso di progettazione, realizzazione e verifica
-Il progetto inteso come strumento di razionalità lineare risulta gravemente disturbante e
inefficace, quando il successo di un intervento dipende da iniziative della popolazione o
dall’operare integrato di molteplici soggetti organizzativi
-L’approccio euristico si fonda su un approfondito lavoro di ricerca, analisi del contesto,
del problema, della comunità, e sulla presenza di ricerche basate sulla metodologia della
ricerca-azione (action-ricerca).

Si parte da un fine e da un contesto e si attua un processo di ricerca partecipata attraverso il


quale anche gli obiettivi, gli interventi e le ipotesi trasformative vengono definiti con i
destinatari. Non esistono obiettivi predeterminati a monte dai progettisti. L’assunto di base è
che la centratura su risultati predefiniti possa portare a trascurare il processo.
Questo approccio vuole inoltre evitare effetti indesiderati quali la dipendenza degli assistiti dai
servizi, l’assistenzialismo e la squalifica/etichettamento di soggetti deboli che conferma e
sviluppa identità negative.

La progettazione dell’intervento non è un punto di partenza, ma il prodotto di un percorso che


dopo la fase di attivazione può sviluppare più nuclei progettuali interconnessi, ma paralleli e
separati nelle rispettive fasi di progettazione, realizzazione e verifica. Molti progetti di
cooperazione internazionale rivolti a paesi arretrati o in via di sviluppo seguono oggi questo
approccio, anziché essere calati dall’alto in modo irrispettoso e secondo logiche meccaniciste.
Un percorso di questo tipo nasce da un’analisi dei bisogni e delle risorse finalizzate
all’attivazione della comunità locale, che si fa direttamente carico del problema creando
progetti basati su proprie iniziative autonome. L’elaborazione di specifici progetti di intervento
diventa così una delle ultime tappe del processo. (vedi scheda pagg. 53-55 testo Leone-Prezza su
progetto in Burundi).

Il concetto di progettazione negli operatori


La costruzione di mappe cognitive, ottenute tramite libere associazioni sul tema della
progettazione, ha rilevato che professionalità diverse condividono idee e rappresentazioni molto
simili. In particolare si rilevano:
- Sovradimensionamento dell’idea di modello razionale e progetto cartaceo, che emerge
sempre per prima;

- Il termine “obiettivo” è il più ricorrente;

- Mancano quasi sempre associazioni connesse al concetto di strategia;

- Le dimensioni organizzative e interorganizzative sono poco presenti: pochi cenni a


comitati di coordinamento, commissioni, protocolli di intesa, accordi di programmi,
gruppi di lavoro interistituzionali;

- Nella dimensione relazionale raramente emergono i temi della conflittualità e del potere,
mentre si fa spesso riferimento a sentimenti e relazioni positivi;

- Le persone (utenti o operatori) vengono dimenticate: il progetto sembra qualcosa di


distante da coloro che lo realizzano o ne fruiscono;

- Non emerge il concetto di errore o fallimento.


L’esperienza degli operatori in relazione ai progetti è eccezionalmente omogenea. I motivi di ciò
sono sostanzialmente due: il modello scolastico, connesso alla programmazione didattica e
quello della pubblica amministrazione, connesso alla richiesta di finanziamenti, entrambi
portatori di schemi organizzativi di tipo burocratico che spiegano un concetto di progettazione
legato a logiche di adempimento e formalizzazione.

Seminari di formazione sulla progettazione nel sociale:


All’interno di seminari di formazione sul tema della progettazione nel sociale, si utilizza la
“mappa cognitiva” del concetto di progettazione presente nel gruppo.
Il gruppo può fare delle libere associazioni sul tema “progettazione” al fine di esplorare insieme
la mappa cognitiva di tale concetto.
Le caratteristiche di queste mappe cognitive sono simili nelle diverse professionalità sociali:
Il termine “obiettivo” è quello più presente nelle conversazioni di gruppo.
La dimensione organizzativa, istituzionale, interorganizzativa è poco presente.
Si fa più riferimento a relazioni positive che alla conflittualità e al potere.
Non c’è posto per l’errore e il fallimento, è previsto solo un cambiamento in positivo.
Nell’attività formativa si può favorire una rielaborazione del concetto di progettazione e di
sviluppare alcune categorie di analisi che tengano conto dei processi di progettazione
sperimentati dalle persone.
Al termine di queste riflessioni, molti operatori saranno in grado di ricollocare e ripensare alle
proprie esperienze di progettazione, poco lineari e cariche di difficoltà relazionali, senza
considerarle delle eccezioni, solamente degli errori, degli sbagli di progettazione.

LE PRIMA TAPPE DI UN PROGETTO: IDEAZIONE E ATTIVAZIONE


L' ideazione: I progetti non nascono in un vuoto sociale: l’ideazione è sempre connessa alle
precedenti esperienze e ai processi di lavoro realizzati dalle persone. SEMPRE CONNESSA ALL'
ESPERIENZA, ALLA STORIA, ALLA CULTURA, ALLA COMUNITA' LOCALE E AI PROCESSI DI LAVORO. Si
tratta quindi di un insight creativo che combina in modo nuovo elementi precedentemente noti
connettendo entità, persone, oggetti ed eventi che originano risorse e opportunità
precedentemente non percepiti come tali.
Non esiste, quindi, nemmeno l’idea geniale avulsa dal contesto, ma si tratta di un lungo e
laborioso lavoro di incubazione di idee e tessitura di relazioni.
La tappa dell’ideazione non è rintracciabile attraverso i documenti scritti, ma si ricostruisce
attraverso le storie dei diversi soggetti coinvolti; può essere caratterizzata da un insight
creativo, da una rappresentazione mentale che permette di creare combinazioni nuove tra
elementi precedentemente noti, di ipotizzare nuove connessioni.
Può essere identificata in un tempo ben precisabile, oppure può svilupparsi in un arco di tempo
di mesi o anni, può innescarsi da un processo routinario. Solo in alcuni casi i soggetti promotori
di un progetto sono gli stessi che poi lo elaboreranno e realizzeranno.
L’attività di progettazione è spesso associata ad una credenza positivista che concepisce ogni
intervento come atto a promuovere un progresso, a migliorare le attuali condizioni.
In realtà, il problema cui si vuole dar risposta è proprio il senso di inadeguatezza e impotenza, il
desiderio di uscire dal grigiore della routine, la necessità di creare occupazione.
Nasce in un tempo identificabile o nel corso degli anni, anche a partire da processi routinari. In
generale, si pensa ingenuamente che un progetto sociale nasca per promuovere un progresso, a
partire da bisogni sociali privi di risposta, da condizioni di emergenza o di rischio, da una volontà
di miglioramento della qualità di vita di alcuni destinatari. In realtà, le motivazioni alla base di
un intervento sociale includono anche aspetti come l’utilizzo di fondi residui, la credibilità e
visibilità politica, la necessità di creare occupazione. Inoltre, solo in alcuni casi chi promuove un
progetto poi lo realizza; quindi spinte e motivazioni di soggetti diversi si intrecciano e co-
agiscono.

L’attivazione: Tra l’intuizione e la realizzazione di un progetto serve una fase intermedia per
la creazione delle condizioni di fattibilità dello stesso. Serve creare consenso e legittimazione
sviluppando alleanze, accordi e partnership tra enti, agenzie e organizzazioni diversi e giungere
a una definizione condivisa del problema e del campo di azione, serve individuare le strategie e
individuare le risorse necessarie. E’ anche importante valutare i vincoli temporali esistenti:
scadenze, stagionalità di alcuni servizi (es. scuola), tempi per la costituzione formale di gruppi,
associazioni, cooperative o altro.

L’attivazione serve:
• A sviluppare partnership e alleanze significative con altre organizzazioni.
• Ad individuare ed attivare possibili risorse: risorse umane, capacità professionali, competenze
organizzative, risorse finanziarie, legittimità sociale e consenso, visibilità.
• Ad individuare ed esplicitare le strategie alla base del progetto.
• A sviluppare una costruzione sociale della definizione di problema insieme ad altri attori locali.
Essa crea le condizioni per la fattibilità del progetto stesso.
Dopo aver chiarito l’ambito e il fine del progetto, bisogna dare una definizione del problema.
A seconda dell’approccio che si intende utilizzare, essa sarà:
• Fatta dal progettista in seguito ad un’analisi di tipo tecnico (approccio sinottico-razionale),
• Costruita socialmente come risultato di processi di attivazione e di concertazione (approccio
concertativo ed approccio euristico).
Un problema viene percepito come tale per una varietà di fattori che esulano dal semplice stato
di benessere o disagio delle persone: il problema entra nell’agenda politica di coloro che hanno
più potere di influenza e di decidere perché nei gruppi di interesse l’hanno reso visibile o perché
esiste un finanziamento diretto a risolvere quel problema e non un altro o perché, ancora,
affrontando quel problema si evita di prendere atto di problemi più complessi.
Soggetti interessati alle fasi di ideazione e attivazione:
Consideriamo un progetto per la realizzazione di un centro di aggregazione giovanile. I soggetti
organizzativi coinvolti sono diversi:

Promotore Un’associazione si rivolge a un funzionario a all’assessore ai servizi


sociali del comune.
Titolare Il comune, che chiede il finanziamento a un Ministero
Finanziatore Il ministero finanzia il progetto.
Attuatore Alcune associazioni locali gestiscono in convenzione il centro e le
relative attività socio-culturali.
Rete di Insieme dei soggetti organizzativi coinvolti nella realizzazione. Le
implementazione associazioni (attuatore) possono collaborare con il centro
Informagiovani del comune; il provveditorato agli studi può inserirsi
per attività nelle ore pomeridiane nei locali scolastici, ecc.

Le strategie di un progetto nel sociale e l’attivazione delle risorse:


Le strategie sono delle macro-metodologie, sufficientemente definite, strutturate e
sperimentate, che orientano le azioni sociali senza determinarne i modi o le soluzioni specifiche.
Si parla di strategie di sviluppo locale o di comunità, strategie di empowerment di gruppi e
comunità, strategie per lo sviluppo locale dell’occupazione.
Due esempi di strategie di intervento:
1.il lavoro sociale di rete adottato dai servizi sociali: qui le reti sociali primarie (relazioni
familiari) e altre forme micro associative della comunità (associazioni, gruppi di volontariato),
costituiscono delle reti che forniscono “supporto sociale” essenziale per il benessere psicofisico
delle persone. Il lavoro sociale tende ad enfatizzare il ruolo di tali risorse e ad orientarle in
modo efficace per favorire la soluzione dei molteplici problemi.
2. l’empowerment sociale: definibile come un processo attraverso il quale le persone diventano
consapevoli delle cause del loro impoverimento e si organizzano per utilizzare le loro
competenze, le energie e le risorse collettive per modificare tali condizioni.
Si tratta di una dinamica interna ai gruppi, che si sviluppa come risultato di una consapevolezza
di gruppo e di esperienze di presa in carico dei problemi.

La funzione di un progetto sociale non dovrebbe essere tanto quella di prescrivere, quanto
quella di orientare un percorso e garantire le risorse necessarie ed il loro coordinamento.
Nella stesura di un progetto, sviluppiamo in un primo momento una progettazione di massima ed
in un secondo una ri-progettazione di dettaglio.
Per questo motivo, l’attivazione non può essere concepita come rigida fase temporale cui
consegue la stesura del progetto, ma possono esserci sovrapposizioni.

Sono molti i soggetti organizzativi coinvolti in un progetto. Possiamo distinguerli in:


• soggetto promotore
• soggetto titolare del progetto
• soggetto finanziatore
• soggetto realizzatore o attuatore
• soggetti della rete di implementazione.
La rete di implementazione indica tutti i soggetti organizzativi realmente coinvolti nella fase
operativa per la realizzazione del progetto.

Decodifica delle motivazioni e analisi della domanda in campo sociale:


I contesti e setting in cui si realizzano i progetti in campo sociale sono complessi e caratterizzati
da un fitto intreccio di relazioni.

Risulta utile distinguere due tipologie di progetti:

1. quelli che nascono da un’iniziativa autonoma interna ad un’organizzazione; in questo caso gli
operatori dovrebbero analizzare e decodificare le motivazioni che li spingono a progettare nuovi
interventi; l’analisi delle relazioni riguarderà:
• il rapporto persona/organizzazione
• il rapporto organizzazione/organizzazioni.

2. quelli che si sviluppano a seguito dell’accoglimento di una richiesta esterna


all’organizzazione; in questo caso l’analisi riguarderà:
• il rapporto persona/organizzazione
• il rapporto organizzazione/organizzazioni
• il rapporto tra organizzazioni.

Elementi comuni alle 2 tipologie:


Esiste quasi sempre un soggetto che, nelle vesti di committente, si fa interprete di un bisogno
proprio e altrui e pone una domanda di aiuto-intervento.
Qualcuno è chiamato dal committente come “esperto”. Il committente pone all’esperto-
operatore un problema cui presume possa dare una risposta.
La richiesta posta contiene messaggi rispetto a come il committente si rappresenta il ruolo
dell’operatore-consulente, a come si rappresenta il problema e a come percepisce il proprio
ruolo rispetto agli altri soggetti che potrebbero essere importanti per il progetto. Attraverso
questo processo di decodifica e interpretazione si può sviluppare un’analisi della domanda.

Il “cliente” non esprime mai una domanda di cambiamento o di aiuto concernente una
disfunzione in quanto tale, ma nella domanda porta anche se stesso, il suo modo di intendere la
relazione tra lui e il consulente e il suo modo di funzionare. E’ a partire dalla domanda che può
svilupparsi una proposta tridimensionale del lavoro tra consulente, cliente e il problema.

Iniziative interne o esterne ai servizi sociali:


Spesso non esiste un “committente” esterno ai servizi, ma delle pressioni, delle richieste, delle
auto committenze che vanno comprese e analizzate.
Bisogna interrogarsi sul ruolo di chi interpreta il bisogno e sulle motivazioni che lo spingono ad
attivarsi.
Alcune motivazioni sono comprensibili, altre sono sommerse perché non consapevoli o non
esplicitabili.
Aiutando le persone ad accettare la parzialità dei loro interventi, riconoscere i fallimenti e le
stanchezze, le si aiutano a riconoscere anche i risultati e si favorisce la verifica, la possibilità di
correggersi e rielaborare i programmi.
Parallelamente all’analisi delle motivazioni e delle fantasie-attese del servizio e dei singoli
operatori può essere realizzata un’accurata analisi dei dati in possesso.

Iniziative interne.

Quali sono le motivazioni dell’autocommittenza? Quelle che emergono da specifiche esperienze


sono facilmente identificabili e comprensibili, ma ne esistono di non consapevoli, legate a
concezioni, valori, modelli e anche idealizzazioni dei soggetti che si attivano che, in alcuni casi,
possono anche determinare aspettative distorte e vissuti di delusione (es. laboratorio sulla
prevenzione a pagg. 75-76 del testo Leone-Prezza). L’analisi delle motivazioni e delle attese
permette una più accurata lettura dei dati disponibili, che devono essere sempre considerati.
Accoglimento di richieste dall’esterno.
Il fatto stesso che si parli di accoglimento, permette di parlare di doppia committenza, esterna
ed interna:

Committente Committente
interno esterno

Operatore Utenti
destinatari

L’operatore, sotto la pressione di una doppia committenza, è soggetto a complesse


dinamiche relazionali (Che cosa vogliono i diversi interlocutori? Sono in accordo? Serve
mediare?).

Accoglimento di richieste esterne al servizio → in molti casi la domanda di attivazione di un


progetto proviene da organizzazioni esterne. Spesso un operatore sociale, pur lavorando per
un’organizzazione quale il comune o l’ASL (committente interno) deve collaborare con altre
agenzie presenti nel territorio (provveditorato, tribunale dei minori) che fungono da
committenti esterni.

Griglia per il processo di decodifica della domanda

1) Chi pone la richiesta di intervento e come?


a. Contatto formale o informale?
b. Interviene come singolo o per conto di un’organizzazione?
c. Qual è il suo ruolo?
d. Sull’organizzazione: settore, struttura, attività, cultura.
e. C’è urgenza? Titubanza? Tempo fra un contatto e il successivo.
2) Quale evento ha suscitato la richiesta? È successo qualcosa? C’è qualcosa che si prevede o
si teme?
3) Interpretazione: quali cause e nessi si evidenziano? Esistono interpretazioni condivise tra
i diversi operatori?
4) Quali sono le attese (da entrambe le parti)?
a. Idee, aspettative e fantasie sul consulente?
b. Esistono storia tra chi pone la domanda e chi la accoglie (amicizie, parentele,
appartenenze politiche o di altro genere)?
5) Come si pone in committente in termini di relazione?
a. C’è una richiesta esplicita di intervento e di aiuto?
b. Quali emozioni prevalgono?
c. Esprime fiducia, delega, sfida, disinteresse, preoccupazione, impotenza,
speranza?
d. Cerca un alleato contro qualcuno?
6) Che cosa non dice?
a. Ci sono argomenti “difficili” o che non si toccano?
b. Qualcosa è chiaramente taciuta?
c. Livelli di riservatezza nella comunicazione di informazioni.
7) Che cosa dice il contesto?
a. Che cosa si sa dell’organizzazione, dell’ambiente, del settore, del problema da
cui nasce la domanda?
b. Che cosa si può osservare? Codici comportamentali e verbali, regolamenti, norme
formali e non, ambiente fisico, uso degli spazi, disposizione spaziale delle
persone, clima (confusione, disponibilità, collaborazione, apatia).
8) Che significato ha la richiesta per chi la riceve?
a. Come la accolgo?
b. Che tipo di segnale restituisco (non mi interessa, ti risolvo tutto)?
c. Che sentimenti suscita (fastidio, simpatia, interesse, inadeguatezza, noia)?
d. Argomento e contesto mi disturbano e si discostano dai miei valori e convinzioni?

Esempio di analisi della domanda: Progetto per la prevenzione delle tossicodipendenze in


istituto alberghiero – Un caso di analisi della domanda mancata (pagg. 78-81 testo Leone-
Prezza).

LA STESURA DI UN PROGETTO:
La stesura di un progetto può essere fatta con due scopi diversi che possono più o meno
sovrapporsi:
1. se si è alle prese con la stesura di un progetto cartaceo per chiedere dei finanziamenti,
bisogna essere sufficientemente precisi e documentati per far capire all’interlocutore che si
possiede una buona competenza nel settore di pertinenza del progetto e nella progettazione;
contemporaneamente bisogna prevedere una certa flessibilità per poi realizzare l’intervento
secondo come si evolve la situazione.
2. nel caso si sia certi, o quasi, della possibilità di realizzare l’intervento, la stesura del progetto
serve come guida all’azione: è necessario essere più precisi, operare scelte in modo da limitare
la discrezionalità successiva.
Per interventi complessi sarà utile operare una progettazione per fasi o macro-fasi, in cui ogni
macro-fase può considerarsi come un progetto e un intervento a sé stante.

Approccio razionale Un buon progetto è garanzia di successo per l’intervento, quindi la


progettazione implica un grande sforzo;

Approccio concertativo La progettazione è importante, ma devono includere modalità di


negoziazione e confronto tra i diversi attori (progettisti, realizzatori,
destinatari). La lettura del problema deve essere, almeno
parzialmente, condivisa;

Approccio euristico Inizialmente si progettano solo le strategie di coinvolgimento e


attivazione della comunità coinvolta. Successivamente si sviluppano
progetti con obiettivi specifici, stabiliti autonomamente dalla
comunità stessa in un’ottica di sviluppo.
In ogni caso, il progetto dovrebbe rispondere al requisito di logicità e congruenza fra le sue
diverse parti, che sono:
• definizione e analisi del problema
• identificazione degli obiettivi
• beneficiari dell’intervento
• modello di intervento e attività che verranno svolte
• valutazione
• mezzi, risorse.
Definizione e analisi del problema
Serve avere una conoscenza generale del problema e dell’istanza specifica locale ed esplicitare i
seguenti punti:
- La definizione del problema è condivisa?
- Come si manifesta?
- Quali sono le cause? Sono condivise?
- Per chi e per quale motivo il problema è rilevante? È percepito come tale dalle persone
che ne sono coinvolte?
- Qual è la sua entità in termini di incidenza e rilevanza? È in espansione?
- Genera altri problemi a sua volta?
- Qualcuno se ne sta già occupando?
Si può ricorrere alla collaborazione di esperti e alle conoscenze già acquisite nel settore o, se
carenti, impiantare una ricerca ad hoc per acquisire ulteriori conoscenze.

Se si desidera modificare o prevenire un comportamento, serve conoscere il significato


psicologico di questo assume nel target interessato (es. il fumo per gli adolescenti:
trasgressione, sentirsi adulti, rito di gruppo).

Inevitabilmente, la definizione e l’analisi del problema sono legate a valori, credenze e costrutti
personali; per questo è importante la condivisione, così come comprendere eventuali opposizioni
al progetto, sia nell’ottica di un ampliamento di vedute, sia per prevenire possibili interferenze.
In questo momento si stabiliscono anche alleanze tra entità e soggetti che possono contribuire
alla riuscita e si deve evitare di escludere chi potrebbe risentirne.

Identificazione degli obiettivi di un progetto sociale


Porre degli obiettivi significa esplicitare cosa si desidera cambiare, in chi, in che senso e in
quale misura.
I cambiamenti, e quindi gli obiettivi, possono riguardare:
• Caratteristiche dei singoli individui → livello intrapersonale (Conoscenze, competenze (es.
genitoriali, sociali, lavorative), atteggiamenti (es. verso i disabili, gli imigrati), comportamenti
(es. uso di droghe e sostanze, fumo, prosociali,antisociali), stati affettivi (es. ansia, umore,
depressione), percezioni (es. sostegno percepito, autoefficacia, controllo), costrutti complessi
(es. autostima, concetto di sé), variabili fisiologiche, disponibilità di beni materiali, ecc … );
• I rapporti fra due o più persone (livello interpersonale: qualità o quantità delle relazioni
amicali, familiari, docente/discente) o fra due o più sistemi (livello intersistemico);
• Le caratteristiche di servizi, gruppi, organizzazioni, o dell’intera comunità territoriale: in
questo caso i cambiamenti possono riguardare sia le caratteristiche delle singole persone incluse
nel sistema, sia quelle fra persone/gruppi che appartengono a quel sistema, sia le
caratteristiche stesse del sistema sul quale s’interviene. Struttura, funzionamento, clima,
cultura. Gli interventi rivolti alla comunità spesso perseguono obiettivi situati a diversi livelli.

Un intervento è sempre un tentativo di ridurre la discrepanza fra una situazione desiderata e ciò
che si ha attualmente.
Prima di definire gli obiettivi specifici, vengono fissati uno o più scopi generali.
Lo scopo generale è una dichiarazione di intenti, desideri, formulato ancora in modo molto vago.
Ne sono esempio il miglioramento dell’adattamento scolastico dei bambini extracomunitari, la
diminuzione del disagio giovanile, la prevenzione della tossicodipendenza. Solo successivamente
segue la specificazione di obiettivi specifici (o operativi o risultati attesi) che siano:
- Operazionalizzabili in termini di cambiamenti attesi in un target definito;
- Associabili ad indicatori adeguati, cioè a variabili in grado di informare sull’efficacia
dell’intervento.
Quando gli scopi generali sono molto ampi, prima di definire gli obiettivi specifici è possibile
definire una gerarchia di sotto-obiettivi che definiscano meglio gli scopi da raggiungere.
Questo deve essere seguito da obiettivi più chiari, che indichino chiaramente quali cambiamenti
ci si aspetta: si definiscono obiettivi specifici o risultati attesi.

In un progetto si possono distinguere diversi livelli di obiettivi:


Obiettivo generale: è una dichiarazione di intenti generica e abbastanza astratta
Sottoobiettivo B: obiettivi abbastanza ampi che delimitano e definiscono meglio gli scopi che
si intende raggiungere
Ob.specifico B 1: indicano con chiarezza i cambiamenti e i risultati attesi

Eliminare una condizione sfavorevole costituisce un obiettivo assoluto; in generale si tratta di un


risultato troppo ambizioso, quindi solitamente si indica una percentuale di cambiamento attesa,
cioè un obiettivo relativo (es. ridurre del 20% l’abbandono scolastico). Quando però il
cambiamento riguarda condizioni soggette a gradualità (atteggiamenti, stati affettivi),
l’obiettivo può essere formulato in termini di diminuzione significativa della condizione, ad
esempio, del livello di ansia. In casi simili, la verifica del raggiungimento dell’obiettivo implica
rilevazioni ripetute nel tempo in un gruppo sperimentale e in un gruppo di controllo.

Gli obiettivi specifici possono essere:


• Assoluti: si propongono di eliminare completamente una condizione sfavorevole (visione
utopica, è più utile specificare la percentuale di cambiamento attesa) e sono impossibili in caso
di cambiamenti negli atteggiamenti o negli stati affettivi;
• Relativi: ad esempio una diminuzione del livello di ansia si può valutare con diverse rilevazioni
nel tempo, utilizzando un gruppo di controllo equivalente.
Suggerimenti per specificare gli obiettivi specifici:
- Usare un verbo “forte”, cioè un verbo che descrive un comportamento atteso osservabile
e misurabile (incrementare, aumentare, diminuire, anziché promuovere, facilitare,
incoraggiare);
- Specificare un solo effetto atteso alla volta, separando gli obiettivi specifici;
- Specificare un tempo ipotizzato per il raggiungimento dell’obiettivo. A volte obiettivi
diversi hanno scadenza diverse.
Gli obiettivi non devono essere confusi con le attività necessarie per raggiungerli, che non
indicano alcun cambiamento nel target, ma solo che cosa deve essere fatto. Una domanda che è
sempre opportuno porsi quando si formula un obiettivo riguarda l’esistenza di indicatori adeguati
che si possano ricavare in modo diretto.

Esempio. Scopo generale: prevenire nei ragazzi che frequentano la scuola l’abuso di
alcool e i rischi associati.

Sotto-obiettivi Obiettivi specifici Indicatori


Prevenire l’abuso di alcool. Diminuire il numero di ragazzi che bevono N. di ragazzi che hanno consumato alcool
alcool. nell’ultimo mese.
Diminuire la quantità di alcool bevuta. N. di unità alcooliche assunte nell’ultima
settimana.
Diminuire gli episodi di “sbronza”. N. sbronze negli ultimi 6 mesi.
Prevenire comportamenti a Diminuire la guida in stato di ebbrezza. N. volte che ha guidato in stato di ebbrezza
rischio associati nell’ultimo mese.
all’assunzione di alcool. Evitare di farsi accompagnare in auto se il N. delle volte che è salito in auto con un
conducente ha bevuto. guidatore che ha bevuto nell’ultimo mese.
Promuovere le capacità di Aumentare l’assertività. Assertività.
comprendere l’influenza Aumentare l’abilità a resistere all’influenza Abilità percepite di resistere alla pressione
dei media e dei pari e dei pari. dei pari.
resistere alle pressioni di Aumentare la capacità di decodificare i Capacità di decodificare i messaggi
gruppo. messaggi pubblicitari. pubblicitari.
In questo caso, gli indicatori, oltre che essere rilevati a breve distanza dall’intervento
(circa 3 mesi dopo), devono essere rilevati dopo circa un anno. Anche un follow-up dopo
3-4 anni è opportuno per capirne l’efficacia sul comportamento.

Quando si scelgono e si definiscono gli obiettivi, bisogna preoccuparsi che essi siano rilevanti
rispetto al problema da cui si è partiti, ragionevolmente raggiungibili e, per gli obiettivi
specifici, formulati chiaramente.
Esistono alcuni accorgimenti utili per specificare gli obiettivi specifici: usare un verbo forte (cioè
un verbo orientato all’azione e che descrive un comportamento osservabile e misurabile che
dovrebbe accadere), specificare un solo effetto finale o desiderato, specificare il tempo
ipotizzato per il suo raggiungimento.
Quando vengono fissati degli obiettivi è indispensabile la collaborazione di chi si occuperà di
valutare l’efficacia dell’intervento; sarà importante che per ogni obiettivo specifico si possano
individuare degli indicatori idonei (variabili che, misurate, diano delle indicazioni sull’efficacia
dell’intervento), misurabili e pertinenti, sempre compatibilmente con le risorse disponibili.

Obiettivi individualizzati → si parla di obiettivi individualizzati quando, all’interno di alcuni


obiettivi generali, si fissano degli obiettivi specifici e diversi per i singoli casi di cui il progetto si
fa carico.
Quando si ipotizza che i bisogni dei membri di un gruppo siano simili, l’intervento si svolge
attraverso modalità collettive ed ha successo se, mediamente, il gruppo si è modificato nel
modo desiderato. Quando invece si prevedono attività individuali, possono coesistere obiettivi di
gruppo e individuali: all’interno degli scopi generali, si fissano obiettivi diversi per i singoli casi.
Questi vengono decisi possibilmente in equipe e, a intervalli regolari, si verifica se c’è stato o
meno un avvicinamento verso gli obiettivi posti e, nel caso, si ridefiniscono.
Porsi degli obiettivi significa sempre fare scelte di valore.
Valori e condivisione degli obiettivi
Un obiettivo implica sempre delle scelte di valore; ad esempio, ridurre l’abbandono scolastico
riflette un valore positivo attribuito alla scuola. Poiché in un progetto possono essere coinvolti
finanziatori, esperti, enti, associazioni, istituzioni, operatori, valutatori, fra di essi deve
necessariamente esserci condivisione di valori affinché vi sia anche condivisione degli obiettivi.
Da questro punto di vista, ad esempio, un progetto che si pone lo scopo di limitare il ricorso
all’aborto ponendosi obiettivi quali una maggiore conoscenza dei meccanismi riproduttivi e dei
metodi contraccettivi, un atteggiamento più favorevole all’utilizzo di questi ultimi e un aumento
del senso di responsabilità nelle scelte riproduttive è diverso da un progetto con lo stesso scopo
che si pone obiettivi quali la diminuzione dei rapporti sessuali prematrimoniali e rendere più
favorevole l’accoglimento di un maggior numero di figli nelle famiglie. Altrettanto importante è
che gli obiettivi non siano dissonanti rispetto ai valori del target. Anche per queste ragioni è
fondamentale la chiarezza degli obiettivi in modo che tutti gli attori coinvolti li possano
interpretare nello stesso modo e siano facilitati nella collaborazione reciproca.
Un metodo per arrivare alla condivisione di obiettivi in un team di lavoro. Con una
settimana di anticipo si convoca la riunione, invitando gli interessati a riflettere sugli
obiettivi importanti del progetto. Alla riunione ognuno li scrive su uno o più fogli (uno per
foglio) in modo conciso e chiaro. Messi tutti i fogli sul tavolo, le persone girano intorno e,
senza parlare, girano quelli con obiettivi che non condividono; restano così quelli
condivisi da tutti, che si tolgono dal tavolo e si riportano su una lavagna, senza discuterli.
Si rigirano i fogli rimasti sul tavolo e ognuno gira i fogli con gli obiettivi che condivide.
Quelli che restano visibili si eliminano perché non sono condivisi da nessuno. Quelli che
sono stati girati riportano obiettivi condivisi solo da una parte dei presenti. Inizia la
discussione per fissare l’albero degli obiettivi sino alla condivisione generale.
Nella discussione sugli obiettivi è sempre opportula la presenza di un esperto del settore, in
grado di discriminare fra quelli raggiungibili e quelli che non lo sono, tenendo conto anche
dell’esistenza di tecniche e modelli adeguati.
Obiettivi strumentali o intermedi
Gli obiettivi delle prime fasi del progetto possono non riguardare i beneficiari, ma il
raggiungimento di altre condizioni funzionali agli obiettivi finali (es. preparazione di materiali,
formazione, costituzione di organi, ecc.).

Beneficiari dell’intervento sociale o popolazione bersaglio (target):


Dal momento in cui si delinea lo scopo generale e si fissano gli obiettivi specifici, si sono
individuati i beneficiari dell’intervento.
Sarà importante conoscere le loro principali caratteristiche sociodemografiche (età, genere,
grado di istruzione, stato civile, professione), i valori, le credenze e le abitudini che li
contraddistinguono, con particolare riguardo a quegli aspetti valoriali e comportamentali
maggiormente collegati alla problematica affrontata.
Una questione importante riguarda se, quanto e in quale modo, i beneficiari percepiscono il
problema sul quale si cerca di intervenire e se ritengono desiderabile o meno il cambiamento cui
mira l’intervento. Nel caso più comune, i beneficiari dell’intervento sono anche direttamente
coinvolti nelle attività previste (es. incontri con adolescenti per il cambiamento delle loro
abitudini alimentari), ma le attività potrebbero anche essere rivolte a soggetti in contatto con il
target (es. genitori o insegnanti); in tal caso, l’intervento coinvolge due popolazioni: una
destinata alle attività previste, disposta a farsi carico della trasmissione di nuove conoscenze,
l’altra in quanto bersaglio. Questa strategia indiretta permette di concentrare le attività su un
numero limitato di persone raggiungendo però un elevato numero di beneficiari. Secondo i casi,
il progetto può limitarsi a fornire conoscenze e competenze ai referenti del primo stadio,
lasciando quindi ad essi l’iniziativa, o prevedere un affiancamento/supervisione degli stessi nella
fase di applicazione delle nuove competenze verso il target.

Contatto della popolazione: molte delle attività previste dai progetti presuppongono un
coinvolgimento attivo della popolazione bersaglio, che dovrà essere contattata e dovrà dare la
propria adesione al progetto; molti progetti falliscono perché le persone che vi aderiscono sono
diverse dal target immaginato. Spesso si dà per scontato che i beneficiari siano interessati o
disponibili a partecipare; la non partecipazione del target può dipendere da molti fattori: non
sono stati raggiunti dall’informazione; l’informazione non è stata per loro comprensibile o non
ha reso attraente la partecipazione; c’è sfiducia in chi propone l’intervento; le attività non sono
adeguate alle loro abitudini e ai loro valori; il cambiamento proposto non è congruente con i loro
desideri; il problema non è percepito. Contatto della popolazione
In tutti i casi in cui, come in genere accade, il target è direttamente coinvolto, il contatto può
avvenire in condizioni diverse:
Il contatto esaurisce l’attività. Campagna per aumentare le conoscenze sul contagio da
HIV attraverso i mass-media.

Il contatto avviene in condizioni di limitata libertà di scelta. Progetti realizzati in


contesti scolastici nell’orario curriculare: gli studenti sono di fatto coinvolti.

Il contatto rientra nella prassi di un servizio. Intervento di sostegno e counseling alla


consegna della diagnosi di positività all’HIV.

Il contatto parte da un servizio esistente. Un consultorio intende organizzare un gruppo


di sostegno per donne in menopausa. Serve decidere come diffondere l’informazione:
dall’interno (es. agganciando donne che frequentano il consultorio per altri motivi) o
dal’esterno (es. locandine). È fondamentale conoscere abitudini e caratteristiche del
target.

Il contatto parte da un servizio che nasce con il progetto. Le strategie per il


raggiungimento del target potenziale sono ancora più importanti. Alcuni progetti
falliscono proprio perché le persone che aderiscono non appartengono al target.
Per copertura si intende la misura in cui un progetto ottiene la partecipazione della popolazione
target, mentre si parla di bias quando alcuni sottogruppi della popolazione target partecipano
più numerosi rispetto ad altri sottogruppi.
Copertura perfetta o totale: tutte le persone per le quali il progetto è stato pensato partecipano
alle attività.
Sottocopertura: un certo numero di persone target non partecipano.
Sovracopertura: partecipano all’intervento persone che non ne avrebbero bisogno.

Modello di intervento e attività nel sociale


Stabiliti gli obiettivi, bisogna decidere cosa dovrà essere fatto per ottenere i cambiamenti
desiderati nella popolazione target.
Un modello di intervento è un tentativo di tradurre le conoscenze che riguardano la regolazione,
modificazione e il controllo si comportamenti, atteggiamenti, reazioni psicofisiche o condizioni
comunitarie in ipotesi, sulle quali possano basarsi delle azioni.
Nel modello di intervento bisogna specificare le ipotesi causali e le ipotesi di intervento.
Per prima cosa quindi bisogna specificare le ipotesi causali e le ipotesi di intervento; per farlo si
ricorre a dati sperimentali, teorie, risultati di altri progetti, esperienza propria e altrui.
Ipotesi causali. Nei progetti di preparazione al parto, secondo il metodo RAT (Training
Autogeno Respiratorio) un’ipotesi causale è l’instaurarsi di un circolo vizioso fra ansia,
paura, tensione, dolore: ansia e paura si traducono a livello psicosomatico in difese e
reazioni d’organo che aumentano la tensione dei muscoli agonisti e antagonisti del parto;
questo rallenta la dilatazione del collo dell’utero e poi l’espulsione, comportando un
maggiore dolore e tempi più lunghi. Tutto questo aumenta l’ansia e la paura. Le ipotesi
causali stanno alla base di qualsiasi modello d’intervento (a volte sono implicite) e
riguardano l’influenza di uno o più processi, o determinanti, sul comportamento o la
condizione che il progetto cerca di modificare. Spesso l’ipotesi causale è già esplicitata
nell’analisi del problema e, in fase di scelta del modello di intervento, bisogna rendere
nota quale/i di esse si accoglie come punto di partenza per le attività proposte.

Lo studio del recidivismo criminale ha mostrato che non riuscire a trovare un impiego legittimo
dopo la scarcerazione comporta una maggiore propensione a procurarsi il reddito in modo illegale:
l’ipotesi causale è che il recidivismo dipenda dalla mancata occupazione.

Ipotesi di intervento e di azione. Relazione tra le azioni da intraprendere e il


cambiamento desiderato sulla base delle ipotesi causali. Le ipotesi di intervento o di
azione sono delle affermazioni che specificano la relazione fra un progetto, quello che
verrà fatto, e il processo o determinante associata all’ipotesi causale con il
comportamento o la condizione che si vuole cambiare.

Nel metodo RAT, l’apprendimento di una tecnica di rilassamento può ridurre la tensione,
riducendo il dolore e i tempi del parto. A questo punto serve affrontare altre questioni: è possibile
apprendere in tempi adeguati una tecnica di rilassamento? Come si fa? Potrà essere applicata nel
momento del travaglio e del parto? Le diverse tecniche di rilassamento sono diversamente
efficaci? Esistono vincoli nel progetto (competenze, risorse, accettabilità del metodo)?

Nel caso de recidivismo criminale, le ipotesi di intervento potrebbero essere fornire una
qualificazione professionale, fornire incentivi fiscali a chi assume ex-carcerati o assistere questi
ultimi nella ricerca di un lavoro. Un progetto potrebbe mettere a confronto le diverse opzioni e
verificarne la fattibilità e l’efficacia.

Nella prevenzione delle tossicodipendenze, alcuni anni fa si riteneva che la scarsa informazione
sulla natura e gli effetti delle sostanze fosse la principale causa dell’abuso; così si sceglieva di
trasmettere informazioni in tal senso. Tale attività, però, non si è dimostrata in grado di
modificare questo comportamento. Approcci più recenti mirano invece il potenziamento delle
risorse personali (autostima, immagine di sé). Un’altra strada considera l’influenza del contesto
sociale e punta a superare le scarse possibilità di aggregazione giovanile.

Analogamente, la ricerca ha mostrato che un importante fattore di rischio per gli adolescenti è il
comportamento e l’atteggiamento del gruppo dei pari e la difficoltà a resistere alle pressioni
sociali. È nata così l’educazione tra pari: si formano ragazzi “leader”che poi propongono ai
compagni attività finalizzate alla prevenzione. I risultati per la prevenzione del fumo e i
comportamenti sessuali a rischio sono buoni.
Un modello di intervento particolare è quello della ricerca intervento partecipante, in cui si
cerca di attivare percorsi di riflessione e coinvolgimento della diverse componenti di una
comunità territoriale stabilendo o ripristinando collegamenti fra i giovani e le altre componenti
della comunità stessa. Alcuni aspetti da valutare con attenzione riguardano la fattibilità
dell’intervento, il rischio di produrre effetti indesiderati e la compatibilità con abitudini di vita e
fattori culturali.
Scegliere un modello di intervento significa decidere di svolgere una serie di attività che hanno
elevate probabilità di provocare il cambiamento desiderato in quanto incidono direttamente o
indirettamente sulla o sulle cause ipotizzate del problema.
Un approccio recente si basa sul potenziamento delle risorse personali.

Possiamo includere 2 modelli:


-Il primo discende dalla teoria dell’apprendimento sociale e si realizza attraverso il metodo
dell’educazione tra pari;
-Il secondo modello punta a rendere l’adolescente in grado di affrontare i problemi quotidiani
connessi alla sua esperienza di crescita, di analizzare i diversi compiti evolutivi e di valutare
criticamente i comportamenti adottati in rapporto ad essi.

Per affrontare il disagio giovanile, si cerca di attivare dei percorsi di ricerca, riflessione, coinvolgimento
da parte della comunità territoriale, potenziando le risorse e stabilendo collegamento tra i giovani e tra i
giovani e la comunità.

Nella scelta del modello di intervento bisogna considerare, oltre l’efficacia, anche altri criteri,
cioè scegliere attività che possono essere messe in pratica, considerando i vincoli del progetto, e
che possono provocare gli effetti nei tempi previsti dal progetto stesso.

Strategie d’intervento nel sociale


Uno dei criteri più importanti per la scelta delle strategie e dei modelli d’intervento è quello di
privilegiare quelle modalità che abbiano le più elevate probabilità di raggiungere i risultati
sperati, ovvero da rendere il più possibile efficace l’intervento.
Sarà necessario svolgere una ricerca attraverso diversi canali: archivi elettronici, testi
specialistici, atti di convegni, scambi di informazioni con altri operatori.
La scelta di una strategia, legata a questioni valoriali e convinzioni profonde (talvolta anche a
“mode” del lavoro sociale), influenza fortemente il progetto, gli attori coinvolti, gli obiettivi e,
ovviamente, anche il modello di intervento. Ad esempio, un intervento che sfrutta strategie di
empowerment di comunità punta alla valorizzazione e al potenziamento delle risorse della
comunità stessa, al coinvolgimento attivo e alla partecipazione dei membri e all’incremento
delle connessioni tra i gruppi; questo escluderà il modello razionale a vantaggio di quello
concertativo o di quello euristico e, quindi, inciderà profondamente sulle attività del progetto.
Le scelte strategiche nella progettazione di un intervento dovrebbero sempre basarsi, oltre che
sull’esperienza, su ricerche e studi precedenti, con grande cautela nella generalizzazione dei
risultati. Una ricerca sull’alcolismo fatta negli USA può rispecchiare la realtà italiana? Uno studio
su una popolazione adulta aiuta veramente a comprendere un fenomeno del mondo
adolescenziale?
Avvio del progetto e contatti con la popolazione →
Bisogna distinguere tra:
• Attività principali/primarie: sono quelle connesse direttamente al cambiamento dei beneficiari
• Attività secondarie: sono quelle necessarie all’avvio del progetto stesso (acquisizione delle
risorse, preparazione del materiale didattico e divulgativo) e al contatto della popolazione
bersaglio,
• Attività obbligatorie: sono quelle che si devono svolgere in quanto previste da diversi livelli
normativi,
• Attività discrezionali: sono quelle che vengono svolte in base a valutazioni soggettive fatte dai
responsabili di un progetto.
Prima di passare alla progettazione operativa è sempre necessario realizzare un workplane che
stabilisca i tempi e la sequenza con cui dovranno essere realizzate le diverse attività.

Sintesi di un intervento rivolto a madri adolescenti di classe sociale svantaggiata (USA)

Bambini a rischio per: maggiori livelli di mortalità, maggiori problemi di apprendimento, QI più basso. Il
rischio è legato alle condizioni sociali ed economiche, associate a inadeguatezza delle cure pre e post-
natali.

Scopo generale Favorire la relazione madre bambino e lo sviluppo.


Obiettivi specifici Diminuire le complicanze perinatali (neonati sottopeso, prematuri).
Aumentare il ricorso a strutture sanitarie e sociali. Aumentare l’autostima e il
senso di competenza. Aumentare la capacità di risposta ai segnali del
bambino. Diminuire l’isolamento sociale.
Target e contatto Madri di età < 18 anni al primo figlio residenti in zone stabilite. Contatto il
prima possibile nella gravidanza nelle strutture sanitarie.
Mod. di intervento Ipotesi causali. L’ambiente sociale influenza la madre, il bambino e la loro
interazione. Ricerche hanno dimostrato che l’effetto positivo del sostegno di
stima, emotivo e informativo. L’isolamento sociale diminuisce il ricorso a
strutture sanitarie e sociali, che comporta complicanze peri e post-natali.
Ipotesi di intervento. Fornire le diverse forme di sostegno con para-
professional, stimolare le risorse presenti nella rete sociale per un ambiente
più supportivo.
Attività. In un primo progetto, fino agli 8 mesi del bambino, supporto da
attività in gruppo condotto da un professionista + informazioni + supporto
materiale + accompagnamento presso le strutture. Scarso successo per non
avere considerato la difficoltà delle madri adolescenti di ritrovarsi in gruppo.
Secondo progetto basato su intervento domiciliare con volontarie (madri-
risorsa), già madri e provenienti da ambienti socioculturali simili,
appositamente formate e supervisionate. La MR va al domicilio una volta al
mese dalla gravidanza fino a quando il bambino ha 1 anno fornendo sostegno
emotivo, informativo e pratico e rafforzando l’ambiente con coinvolgimento
della famiglia e incoraggiamento a utilizzare le risorse della rete sociale.
Valutazione Due gruppi di madri adolescenti, uno come controllo. Tre contatti per la
valutazione: in gravidanza, subito dopo il parto e 8 mesi dopo, con interviste
per sondare sostegno percepito, autostima, senso di competenza materna e
soddisfazione per la vita. Fatte anche osservazioni sistematiche durante il
gioco e l’interazione diadica e per valutare lo sviluppo del bambino. Risultati:
riduzione dei casi sottopeso, maggiori conoscenze sullo sviluppo del bambino,
maggiore soddisfazione, maggiore capacità di risposta ai segnali del bambino,
maggiore utilizzo dei servizi e minore abbandono della scuola.
Complessivamente, intervento efficace.
Workplanning

Oltre alle attività primarie dell’intervento, direttamente connesse al cambiamento dei


beneficiari, è necessario progettare anche tutte quelle complementari o secondarie:
acquisizione delle risorse, preparazione di materiali divulgativi e formativi, formazione, contatto
del target, ecc. Per tutto ciò è necessario stabilire un piano con i tempi e la sequenza delle
diverse attività.

Anche la valutazione deve essere pianificata della fase di progettazione, stabilendo le modalità
dei percorsi valutativi, definendo gli indicatori di efficacia, i momenti della loro rilevazione (pre
e post-intervento) e prevedendo i costi e le risorse necessarie per queste attività.

Valutazione → È conveniente stabilire durante la fase di progettazione se, e con quali modalità,
verranno intrapresi dei percorsi valutativi; questo al fine di:

• Stimare le risorse e i costi necessari alla valutazione ed includerli nei costi totali
dell’intervento,
• Qualora si voglia procedere alla valutazione dell’efficacia, per capire se gli obiettivi saranno
raggiunti, è necessario realizzare una ricerca valutativa che prevede la rilevazione degli
indicatori sia prima sia dopo l’intervento.

Progettazione operativa → Sviluppare un piano d’azione significa passare al livello organizzativo


e convertire il progetto in una sequenza logica di compiti e di azioni; significa evidenziare chi
deve fare cosa e quando.
Progettazione operativa
A fronte della certezza della realizzazione di un progetto, dopo la sua approvazione, viene
sviluppato il piano concreto per l’organizzazione e l’esecuzione delle attività, in cui si specifica
chi deve fare che cosa, con quali competenze, come, con quali mezzi, quando e in quanto
tempo. Solo in seguito si conosceranno con precisione mezzi e risorse necessari. In breve, la
progettazione operativa considera:
- Attività di avvio (selezione e formazione del personale, acquisizione di beni e strumenti);
- Attività di contatto della popolazione target;
- Attività primarie direttamente connesse al cambiamento;
- Valutazione dell’intervento in itinere;
- Valutazione dell’efficacia e dell’impatto;
- Collegamenti con altri servizi, istituzioni, progetti;
- Coordinamento generale dell’intervento.
Saranno estremamente funzionali schemi Gantt e Pert.

Si rende necessario organizzare:


• Le attività di avvio: selezione, formazione del personale, acquisizione di beni e strumenti
necessari per le attività connesse al cambiamento;
• Le attività di contatto della popolazione target;
• Le attività strettamente connesse al cambiamento, cioè connesse alla modalità di intervento;
• Le attività connesse alla valutazione dell’intervento durante la sua implementazione;
• Le eventuali attività connesse alla valutazione dell’efficacia o/e dell’impatto;
• Le attività di collegamento con altri eventuali servizi;
• Le attività di coordinamento generale dell’intervento.
Per ognuno di questi punti è necessario individuare le attività pratiche che dovranno essere
svolte, chi le può svolgere, quanto tempo è necessario per ogni attività, se per svolgerle sono
necessari dei beni strumentali. Sarà importante realizzare uno schema temporale per stabilire in
quale ordine di tempo debbono essere svolte le diverse attività e quali possono essere svolte
indipendentemente dal compimento delle altre. Quando questa fase sarà completata, sarà
chiaro quali risorse saranno già disponibili, quali e come dovranno essere attivate.

La stesura del budget → La traduzione delle diverse risorse previste nel progetto (umane,
gestionali, strumentali) permette, a ritroso, di puntualizzare e verificare la coerenza stessa del
progetto e la sua compatibilità complessiva con le risorse finanziarie attivabili o attivate. La
definizione del budget rappresenta, quindi, un momento critico.
Stesura del budget
La qualità di un intervento dipende anche da una buona progettazione economica. Il progetto
sociale deve essere coerente con il progetto economico, che a sua volta deve essere coerente
nelle varie componenti di costo. La definizione del budget è un momento critico da non delegare
a figure esterne alla logica del progetto. Si tratta di stendere un programma gestionale che
quantifichi e qualifichi costi (attrezzature, personale, immobili e infrastrutture, spese di viaggio
e soggiorno, spese generali, ecc.), ricavi e risorse necessarie.
Nel caso di progetti finanziati da istituzioni pubbliche, forma e livello di dettaglio del budget
devono in genere rispettare modalità predefinite. Nei progetti di grandi dimensioni si prevedono
spesso budget articolati per macroattività assegnati a ruoli di responsabilità distinti anche se
coordinati nell’insieme.
Quando si utilizza il termine budget nell’ambito di progetti finanziati, gli aggettivi che possono
identificarlo sono:
• Economico: quando è inteso come previsione dei costi da sostenere,
• Finanziario: quando si riferisce alle risorse finanziarie necessarie per la realizzazione del
progetto.
Le previsioni del budget vengono comparate con la rendicontazione effettiva sia nel corso
dell’implementazione del progetto sia al termine dello stesso.

Congruenza interna al progetto


La stesura di un progetto non è un processo lineare, ma a mano a mano che si procede è
necessario ritornare indietro e apportare aggiustamenti, cambiamenti affinché venga mantenuta
coerenza generale con gli obiettivi (che possono essere rivisti), le risorse (che possono
cambiare), la metodologia di intervento (che può essere cambiata) e con le parti costituenti il
progetto stesso.

LA VALUTAZIONE DI UN PROGETTO D' INTERVENTO


Più che parlare di valutazione, bisognerebbe parlare di “valutazioni” in quanto ogni oggetto, e
quindi anche ogni progetto, può essere valutato differentemente secondo i criteri utilizzati. Le
procedure valutative dei progetti di intervento mutuano i concetti dell’efficienza e della
produttività dal mondo delle imprese, dovendo coniugare richieste in espansione con una risorse
limitate.
Diversi sono gli attori interessati alla valutazione dei progetti psicosociali e ognuno di loro
utilizza propri criteri di valutazione:

Il politico, essendo interessato alla rilevanza sociale del problema, valuta il progetto alla luce
della conformità normativa e legislativa;

L’amministratore ne valuta i costi e, se lungimirante, l’efficienza;

Il finanziatore, oltre ai costi, valuta la congruenza dell’intervento nell’ambito più ampio di


un programma finanziato;

L’utente è sensibile alla rilevanza sociale del problema, all’accessibilità dell’intervento da


parte dei potenziali beneficiari, giudica se i valori sostenuti dal progetto sono condivisibili e
se le attività previste sono rispettose della dignità e dei diritti dei beneficiari;

L’operatore considera l’efficacia del progetto ed il suo impatto, cioè l’insieme di eventuali
ulteriori cambiamenti indotti dallo stesso;
Il consulente e il ricercatore assumeranno l’ottica del proprio committente.
La valutazione può divenire un’occasione importante per la crescita professionale e la
motivazione degli operatori psicosociali se viene realizzata innescando un processo di scambio e
di riflessione.
In genere gli operatori sono motivati e collaborano volentieri alla valutazione dei progetti di
intervento per diversi motivi:
1. La valutazione è l’unico modo per avere un feed-back, per capire se il lavoro produce
cambiamenti o meno,
2. Perché lavorando in equipe è necessaria una verifica condivisa,
3. Per rendere visibili i risultati,
4. Per prevenire il burn-out,
5. Per contribuire alla condivisione di conoscenze tra gli operatori.
Da un punto di vista generale, la valutazione riguarda l’efficacia e il monitoraggio
dell’intervento. Esistono due approcci di base alla valutazione:
Approccio realista o razionalista alla valutazione: esistono situazioni oggettive, cioè date
indipendentemente dai presupposti delle persone che osservano e dal contesto nel quale avviene
tale osservazione, che determinano modalità di realizzazione e risultati degli interventi sociali.
Il compito del valutatore è quello di trovare i metodi più adatti per misurare i risultati
dell’intervento. Quest’approccio alla valutazione si fonda sugli stessi presupposti sui quali si
basa il metodo logico-razionale alla progettazione. Ciò che viene osservato è oggettivo e
indipendente dall’osservatore e dal contesto. Il valutatore deve trovare i metodi più adatti per
misurare i risultati. La valutazione, pur essendo importante, non è un fattore costitutivo della
progettazione. Valgono i medesimi presupposti dell’approccio razionale alla progettazione.
Approccio costruttivista alla valutazione: ha gli stessi fondamenti dell’approccio concertativo
alla progettazione; secondo tale approccio non esistono condizioni di oggettività in termini
assoluti, cioè indipendenti dall’osservatore. Non esiste un’oggettività indipendente
dall’osservatore e la valutazione non può essere ridotta a procedure asettiche e neutrali; i
risultati si misurano attraverso un accordo tra osservatori diversi, che stabiliscono i criteri di
valutazione. La valutazione è un fattore costitutivo della progettazione. Valgono i medesimi
presupposti dell’approccio concertativo alla progettazione.
Ciò che distingue i due approcci non sono i metodi di misurazione, ma il senso attribuito alla
valutazione. Nell’approccio costruttivista, i percorsi valutativi coinvolgono sia i valutatori, sia
chi lavora alla realizzazione del progetto per comprendere se gli obiettivi dichiarati sono stati
raggiunti, per avere suggerimenti sugli indicatori da impiegare, per raccogliere informazioni utili
alla valutazione.

Soprattutto nei modelli concertativo ed euristico alla progettazione, la valutazione è ciò che
determina la non linearità del percorso, inserendosi in esso come processo continuo e parallelo:

Quando Prima Durante Dopo


si valuta (ex-ante) (in-itinere) (ex-post)
Fasi del Progettazi Implementazione
progett Attivazio one Contatto Valutazio
Ideazione Attività
o ne Pr. Avvio popolazi ne esiti
primarie
operativa one
Che Rilevanza Rilevanza
cosa si Partnership Adeguatez
valuta Fattibilità za Monitoraggio
Risultati
Condivisione Congruenz Valutazione di processo
Informazioni raccolte a
Risorse attivabili Impegno
Ideazione. Anche l’idea del progetto deve essere valutata per decidere se proseguire o
abbandonarla. Se ne valutano rilevanza, opportunità, novità, fattibilità, interesse, convenienza.

Attivazione. Nell’approccio euristico è la fase essenziale dalla quale scaturiscono i sottoprogetti


realizzati da una comunità. Più in generale, è la fase che precede la stesura del progetto
cartaceo ed ha l’obiettivo di creare precondizioni quali consenso, alleanze, collaborazioni e
condivisione che devono essere valutate congiuntamente alla qualità e quantità delle
informazioni raccolte in relazione al problema e alle risorse attivabili.

Progettazione (stesura del progetto e progettazione operativa). Qui si valuta l’adeguatezza della
formulazione del progetto come guida per la progettazione operativa e la fase di
implementazione (livello di dettaglio, completezza, ruoli, workplanning), la congruenza interna
fra le diverse parti del progetto e rispetto alle risorse attivabili ed infine l’impegno delle risorse
impiegate.

Implementazione. Sistema di monitoraggio del processo di realizzazione.

Valutazione degli esiti. Si valutano l’efficacia in termini di raggiungimento degli obiettivi


attraverso l’uso di indicatori, l’impatto su destinatari, organizzazioni e operatori, l’efficienza in
termini di rapporto fra costi e ricavi, la produttività in termini di rapporto fra le risorse
impiegate e gli output ottenuti (es. costo unitario per ora di assistenza domiciliare), la
trasferibilità del modello.

Ogni osservatore si porrà in atteggiamento valutativo rispetto a quel determinato intervento


guidato dai propri presupposti cognitivi e quindi la valutazione non può essere considerata un
insieme di procedure asettiche e neutrali.
La collaborazione tra operatori e valutatori è un’occasione per ripensare e riflettere sui percorsi
intrapresi, per ridefinire gli obiettivi in termini più realistici e congruenti con le attività svolte,
per interrogarsi e tentare risposte sugli elementi positivi e negativi del progetto.
Non ha senso intraprendere un percorso valutativo se:
- Lo staff impegnato nel progetto è contrario alla valutazione;
- Si prevede che i risultati della valutazione non saranno utilizzati o lo saranno solo
strumentalmente;
- Le risorse disponibili/attivabili per la valutazione non sono sufficienti.

Le tappe di un progetto sociale

Nella tappa di ideazione il progetto è solo un’idea; ciò non significa che l’idea non venga
valutata, anzi è proprio basandosi su una serie di giudizi che chi ha avuto l’idea e chi ne viene a
conoscenza, decide se abbandonarla o proseguire.
La tappa di attivazione ha l’obiettivo di creare le condizioni per passare alla definizione del
piano o progetto d’intervento; questa fase assume più o meno rilevanza secondo l’approccio alla
progettazione cui si fa riferimento.
In questa tappa è utile rilevare:
• La quantità e la qualità dei contatti attivati
• La rilevanza percepita del problema da parte dei diversi soggetti contattati
• La condivisione rispetto al problema
• La quantità e la qualità delle informazioni raccolte
• La possibilità di attivare le risorse per realizzare il progetto.
Nella tappa di progettazione (che comprende la stesura del progetto e la progettazione
operativa) si cerca di stimare a priori la validità del progetto e verificare la congruenza del
disegno concettuale.
Una parte della valutazione del piano o progetto cartaceo, consiste nel controllo di errori di tipo
logico, contenutistico e formale e le componenti da considerare sono:
• Rilevanza: attinenza del progetto e problematiche ritenute rilevanti.
• Adeguatezza della formulazione del progetto in modo che possa fungere da guida per la
progettazione operativa e per la successiva fase di realizzazione, e che sia comprensibile per
tutti i soggetti coinvolti.
• Congruenza interna tra le diverse parti del progetto e fra progetto e risorse attivabili.
• Sforzo, inteso come risorse impiegate per questa fase.
Anche per la progettazione operativa si controllano prevalentemente errori di tipo logico-
formale:
• Adeguatezza della formulazione
• Congruenza o coerenza interfase
• Sforzo.
Nella tappa della realizzazione/implementazione da una parte l’attenzione si rivolge alla
raccolta di informazioni di tipo descrittivo, per capire chi aderisce al progetto; cosa da chi e in
quale tempo viene realizzato; le risorse impiegate (monitoraggio); dall’altra parte si rivolge ai
processi messi in atto. Questa valutazione dovrebbe seguire passo passo la realizzazione
dell’intervento, in itinere, per costruire un ritratto complessivo del funzionamento del progetto.
La tappa di verifica di un progetto sociale si fa ex-post e serve a verificare i risultati ottenuti
stimando:
• L’efficacia: la capacità del progetto di raggiungere gli obiettivi fissati,
• L’impatto: tutti i cambiamenti indotti dal progetto, esclusi quelli connessi agli obiettivi,
• La rilevanza: ovvero la capacità del progetto di incidere su problemi di rilevanza sociale,
• L’efficienza: intesa come rapporto costi/ricavi,
• La produttività: ossia il rapporto fra risorse impiegate e output ottenuti,
• La trasferibilità e riproducibilità del modello, in termini di metodologie, know how, buone
prassi e soluzioni organizzative attivate dal progetto.

Per una buona valutazione sono necessari degli indicatori → intesi come caratteristiche, o
variabili, osservabili (o calcolabili) che ci danno un’indicazione su un certo fenomeno, che
deve comunicare delle informazioni. Un indicatore deve essere chiaro e comprensibile nella
sua forma finale e deve rappresentare proprio ciò per cui è stato costruito. Gli indicatori devono
rispettare sia requisiti metodologici (validità, attendibilità), sia requisiti legati a problemi di
natura concettuale (pertinenza, rilevanza, specificità, sensibilità) e, prima di decidere quali
indicatori utilizzare, bisognerà fare una scelta legata alla fattibilità, cioè che tenga conto dei
costi e degli sforzi necessari per rilevarli.
Requisiti concettuali Pertinenza Riflette una caratteristica essenziale del fenomeno
dell’indicatore rilevato. Riduce i rischi di falso negativo.
Rilevanza Riflette l’importanza della caratteristica colta.
Specificità Capacità di cogliere una caratteristica esclusiva del
fenomeno rilevato. Riduce i rischi di falso positivo.
Sensibilità Capacità di evidenziare differenze nell’intensità del
fenomeno rilevato.
Requisiti metodologici Validità Misura proprio il fenomeno che interessa. Validità di
delle misure costrutto, di contenuto, predittiva, concorrente. La
validità di uno strumento di misura costruito per altre
lingue/culture deve essere nuovamente verificata.
Attendibilit Si riferisce alla precisione e alla ripetibilità della
à misurazione.
Requisiti pratici Fattibilità Considera le risorse necessarie per l’impiego
dell’indicatore.

Inoltre, gli indicatori si classificano in base ai seguenti criteri:

Vicinanza Gli indicatori diretti rappresentano direttamente il fenomeno di


interesse, quelli indiretti elementi in relazione con esso quando la
misura diretta è molto difficile.
Obiettivo I. valutativi: raggiungimento degli obiettivi di un’attività programmata.
I. di processo: valutano le modalità di implementazione.
I. di esito: valutano gli esiti finali di un intervento; suddivisi in
indicatori di efficacia, impatto ed efficienza.
Gli indicatori possono essere suddivisi in base a molteplici criteri; se si utilizza il criterio della
vicinanza dell’indicatore con il fenomeno che si vuole rappresentare, essi si dividono in:
• Diretti: rappresentano direttamente il fenomeno o l’oggetto della conoscenza,
• Indiretti o proxi: rappresentano elementi che sono, o si presumono, in relazione con il
fenomeno oggetto d’analisi.
L’indicatore può essere qualificato anche in base all’obiettivo per cui viene utilizzato:
• Indicatori valutativi: permettono di valutare se e in che misura sono stati raggiunti gli
obiettivi di un’attività programmata.
• Indicatori di processo: utilizzati per valutare le modalità di implementazione del progetto.
• Indicatori di esito: vengono utilizzati per la valutazione degli esiti finali dell’intervento. Essi
possono suddividersi in indicatori di efficacia, di impatto e di efficienza a seconda che vangano
utilizzati per stimare, rispettivamente, l’efficacia, l’impatto e l’efficienza di un intervento.
Il monitoraggio e la valutazione di processo in un progetto sociale
La valutazione di processo accompagna in itinere l’implementazione del progetto e s’interessa
principalmente dei processi messi in atto e considera:
- Il raggiungimento della popolazione target;
- La conformità tra le attività realizzate e quelle progettate;
- La congruità delle risorse impiegate.
La valutazione di processo comprende il monitoraggio e si pone mete più ambiziose:
- Esistono ostacoli che deviano l’implementazione da ciò che è stato progettato?
- Ci si sta avvicinando agli obiettivi nel rispetto dei diversi punti di vista?
- Quali sono le condizioni (organizzazione, operatori, target) facilitanti?
- Gli obiettivi si confermano rilevanti per il target?
- Il progetto sta avendo un impatto su operatori, gruppi e comunità coinvolti?
La raccolta regolare di indicatori di processo è fondamentale per prendere delle decisioni e per
avere una visione complessiva da parte del responsabile di progetto, dei finanziatori e degli
operatori impegnati nelle attività, oltre che per raccogliere feedback dai beneficiari e da altri
enti ed organizzazioni coinvolti e stabilire la necessità di eventuali cambiamenti in itinere,
nonché introdurre miglioramenti e aggiustamenti. Le informazioni raccolte durante
l’implementazione serviranno anche per la valutazione degli esiti. Nel caso di progetti innovativi
è indispensabile raccogliere la maggior quantità possibile di informazioni in fase di
implementazione.
A volte si fa coincidere la valutazione nella fase d’implementazione con il monitoraggio che,
principalmente, risponde ai seguenti quesiti:
• Se l’intervento sta raggiungendo la popolazione bersaglio
• Se le attività realizzate sono conformi a quelle progettate
• Se le risorse materiali e finanziarie impiegate sono sufficienti e se il personale è adeguato a
svolgere i compiti richiesti.
La valutazione di processo si pone mete più ambiziose, conglobando in sé anche il monitoraggio
e pone nuovi interrogativi:
• Ci sono ostacoli e di quale natura che causano divergenza fra quello che è realizzato e quello
che è stato progettato?
• Secondo i diversi punti di vista, il progetto si sta avvicinando agli obiettivi?
• Quali sono le condizioni dell’ambiente, le caratteristiche dell’organizzazione, degli operatori,
del target che facilitano il progetto?
• Quali aspetti del progetto si stanno rivelando più utili? Quali meno?
• Gli obiettivi del progetto si confermano rilevanti per la popolazione target?
La valutazione di processo rende possibili aggiustamenti in itinere, fornisce informazioni
utili per un eventuale miglioramento o riprogettazione dell’intervento nel caso lo scarto tra il
piano e la realizzazione sia consistente o, comunque, se emergono elementi tali da renderla
opportuna.
Una delle domande rilevanti per il monitoraggio è se il progetto sta raggiungendo tutto il
target, di cui si dovranno conoscere preventivamente i bisogni e la sua entità numerica.
Spesso di dà per scontato che i beneficiari siano interessati o disponibili a partecipare.
Laddove la partecipazione avviene su base volontaria il progetto può fallire perché non c’è
sufficiente partecipazione, oppure perché aderiscono al progetto persone diverse dal target.
La non partecipazione del target può dipendere da diversi fattori: non sono stati raggiunti
dall’informazione, l’informazione non era comprensibile o non ha reso attraente la
partecipazione, c’è sfiducia in chi propone l’intervento, il problema non è percepito.
Raccolta di informazioni sulla popolazione target e copertura del progetto
Il monitoraggio si propone anche di verificare il raggiungimento del target. Spesso si dà per
scontato che i beneficiari potenziali di un intervento siano interessati e disponibili a partecipare.
In un progetto a Napoli furono organizzate attività sportive pomeridiane immaginando di
rivolgersi a ragazzi delle classi sociali più svantaggiate che trascorrevano il pomeriggio nei vicoli
del centro storico; le adesioni furono numerose, ma quasi tutte di ragazzi appartenenti a
famiglie che potevano permettersi per i figli anche attività sportive a pagamento. La mancata
partecipazione del target può dipendere da un’informazione non raggiungibile, non
comprensibile o non attraente; da una mancanza di fiducia in chi propone l’intervento; dal fatto
che le attività non siano adeguate ad abitudini e valori del target; da una proposta di
cambiamento non conforme ai suoi desideri; dal fatto che il problema non sia percepito come
tale.
Raccolta di informazioni sulle attività
L’efficacia di un progetto rispetto agli obiettivi può essere verificata solo in seguito alla
valutazione degli esiti. Tuttavia, si possono cogliere anche in corso di realizzazione segnali
importanti.
Fallire → un intervento può fallire sia perché le attività progettate non sono adeguate al
raggiungimento degli obiettivi, sia perché – anche se adeguate – possono sorgere problemi, fra i
quali:
• Le attività sono state solo parzialmente realizzate
• Non sono state realizzate nel modo corretto
• Il livello di motivazione degli operatori è basso
• Le attività sono state realizzate in modalità troppo diverse dai singoli operatori.
Modalità di raccolta delle informazioni →
Per realizzare la valutazione bisogna decidere quali indicatori di processo utilizzare, come
rilevarli, chi si occupa della loro rilevazione e della loro elaborazione.
La scelta dovrebbe essere fatta da tutto lo staff, in collaborazione con il team dei valutatori,
considerando l’utilità degli indicatori stessi, i costi e gli sforzi per rilevarli, rapportati alle
risorse e ai vincoli del progetto.
Gli indicatori possono essere sia qualitativi (presenza o assenza di una determinata condizione)
sia quantitativi.

Modalità di rilevazione Indicatori


Direttamente dallo staff N. utenti contattati
n. partecipanti ad attività, n. contatti con altri servizi, ore dedicate
alle attività, ostacoli incontrati nelle attività.
Osservaz. Partecipante Interesse dei partecipanti, modalità di conduzione delle attività.
Questionari Caratteristiche degli utenti (socio-demografiche, abitudini, valori,
interessi,bisogni), caratteristiche degli operatori (socio-demografiche,
competenze, formazione, motivazione), soddisfazione dei beneficiari e
degli operatori.
Interviste individuali Impressioni e riflessioni di beneficiari, operatori, altre organizzazioni,
personaggi chiave.
Discussioni di gruppo Con beneficiari o operatori con riflessioni, proposte, ricostruzione della
storia, difficoltà, ipotesi sull’impatto, ecc.
La rilevazione di informazioni da parte degli operatori è fondamentale per documentare
l’attività svolta, mentre la discussione in gruppo permette di comprendere i processi messi in
atto e comprendere eventuali problemi.

Valutazione dell’efficacia di un progetto sociale


Un progetto è efficace se provoca i cambiamenti attesi, condizione rilevabile dal confronto
tra obiettivi attesi e raggiunti. Precondizioni fondamentali sono quindi la chiarezza e la
precisione degli obiettivi e la scelta di indicatori con essi coerenti.

L’efficacia è la capacità del progetto di provocare i cambiamenti attesi; va valutata quando:


• Il progetto utilizza una metodologia d’intervento innovativa
• Si utilizza una metodologia già sperimentata, ma in condizioni diverse
• Il problema è rilevante e quindi il fallimento del progetto nel raggiungere gli obiettivi
comporta costi molto pesanti
• I costi del progetto sono rilevanti
• Il progetto è a lungo termine.
Prerequisiti per la stima dell’efficacia → poiché la definizione di efficacia fa riferimento ad un
confronto fra obiettivi attesi ed obiettivi raggiunti, il prerequisito per la sua stima attiene
all’aver già stabilito quali sono gli obiettivi o cambiamenti attesi come risultato
dell’implementazione del progetto.
Affinché il cambiamento possa essere attribuito con elevata probabilità all’intervento, serve
fare una distinzione: il risultato grezzo è il cambiamento rilevabile nelle variabile indagate,
mentre il risultato netto è la parte di cambiamento causato dall’intervento:

Risultato grezzo = Risultato netto + Efffetti da fattori estranei + Effetti del disegno di ricerca

Quando è possibile stimare il risultato netto controllando gli effetti dei fattori estranei e del
disegno di ricerca, si ha validità interna.

Effetti da fattori estranei. Tendenze a lungo termine (es. diminuzione negli anni della
mortalità infantile), maturazione dei soggetti, eventi che accadono ai soggetti (es.
malattie, variazioni del reddito) o in comunità (es. disastri naturali), selezione dei
soggetti (es. in partecipazione volontaria, chi aderisce è più disponibile al cambiamento o
avverte maggiormente il problema).

Effetti del disegno di ricerca. Misure poco precise e attendibili ed effetti casuali.

Risultati grezzi e risultati netti → per poter attribuire il cambiamento con elevata probabilità
proprio all’intervento è necessario riuscire a distinguere fra risultati grezzi e risultati netti.

Per risultato grezzo si intende il cambiamento avvenuto nelle variabili oggetto di indagine,
mentre per risultato netto la parte di cambiamento causato dall’intervento.

E’ rilevante il concetto di validità interna: si ha validità interna quando si può provare che le
modifiche nei risultati sono attribuibili proprio all’intervento e quindi quando è possibile stimare
il risultato netto, controllando gli effetti dovuti ai fattori estranei e al disegno di ricerca.
I fattori estranei più importanti sono: tendenze a lungo termine, maturazione dei soggetti,
fattori legati alla selezione dei soggetti.
Gli effetti dovuti al disegno di ricerca che contribuiscono al cambiamento grezzo possono essere
dovuti all’uso di misure poco precise e attendibili, oppure ad effetti di natura casuale.
Per stimare il risultato netto bisognerà realizzare una ricerca valutativa, riferendosi ad adeguate
metodologie di ricerca nella scelta di cosa misurare, quando e su chi misurare.
Nella valutazione dell’efficacia è consigliabile utilizzare indicatori forti, cioè misure
“oggettive”, accanto ad indicatori soffici, cioè misure più soggettive.

Laddove gli obiettivi specifici del progetto sono molteplici, si impone una scelta per renderli
meno numerosi, che si basa su 2 criteri: quello di fattibilità, e quello di rilevanza dell’indicatore
rispetto al progetto complessivamente considerato.
Gli indicatori che riguardano il comportamento sono ritenuti più oggettivi rispetto ad indicatori
che riguardano atteggiamenti; per la scelta degli indicatori è necessario partire dagli obiettivi
esplicitati nel progetto o da una discussione e ridefinizione degli obiettivi da parte degli attori
coinvolti.
Valutare l’efficacia significa stimare se l’intervento ha prodotto o meno i cambiamenti
desiderati. La procedura più idonea è il confronto fra i valori degli indicatori dopo l’intervento
(post-test) con i valori rilevati prima dell’intervento (pre-test).

Classificazione dei diversi tipi di ricerca

La ricerca serve per aumentare le conoscenze, l’intervento per produrre cambiamenti; tuttavia,
il momento conoscitivo e quello trasformativo sono strettamente connessi: il primo è premessa
del secondo, che a sua volta incide sul primo. Si distinguono:

Rispetto al fine Ricerca descrittiva o conoscitiva. Fotografare un fenomeno (es. capire


le abitudini alimentari dei giovani).
Scoprire modelli di funzionamento
Ricerca correlazionale. Scoprire il collegamento tra fenomeni senza
individuare nessi di causalità.
Ricerca sperimentale e quasi-sperimentale. Le manipolazioni del
ricercatore sono volte a scoprire nessi di causalità (es. ricerca
valutativa).
Ricerca di base. Aumentare le conoscenze teoriche su un argomento
indipendentemente dall’applicazione.
Ricerca applicata. Nasce da problemi concreti che richiedono soluzioni.
Rispetto alla Ricerca d’archivio. Utilizza informazioni e documenti prodotti da altri.
modalità di raccolta Ricerca etologica e naturalistica. Osservazione non intrusiva in
delle informazioni situazione naturale.
Rispetto a chi si Ricerca sperimentale. Scelta casuale dei soggetti della popolazione alla
misura quale generalizzare i risultati del campione. Campione di controllo.
Ricerca quasi-sperimentale. Il gruppo di controllo non è equivalente al
gruppo sperimentale e la scelta dei soggetti non può essere casuale.
Ricerca a campione unico. Per indagare variabili di una popolazione.
Ricerca sull’intera popolazione. Come sopra, quando la popolazione non
è estesa.
Studio di casi. Su fenomeni circoscritti sui quali serve raccogliere molte
informazioni, anche considerando il contesto ecologico. È un metodo
descrittivo che, a volte, fornisce spiegazioni di tipo causale.
Rispetto a quando si Ricerche trasversali. Una sola misurazione.
misura Ricerche longitudinali. Misurazioni ripetute nel tempo.
Rispetto al grado di Ricerca a bassa collaborazione. Uso di dati di archivio e assenza di
collaborazione e di rapporto fra ricercatore e soggetti della ricerca.
coinvolgimento dei Ricerca a media collaborazione. Uso di questionari, interviste,
soggetti rilevazioni fisiologiche.
Ricerca ad alta collaborazione. Fra ricercatore e soggetti non c’è una
netta differenziazione (osservazione partecipante, ricerca
partecipante, ricerca-intervento partecipante). Le aree più importanti
emergono proprio dalla collaborazione tra le due parti. Usate per
orientare interventi, sensibilizzare su un problema, motivare gli attori
sociali a collaborare a un progetto di intervento. La ricerca-intervento
partecipante si propone due scopi: accrescere la conoscenza e
apportare cambiamenti; in questo caso, il ruolo del ricercatore non è
neutro.

Gli indicatori di efficacia e gli strumenti di misura

Esiste un continuum sul quale collocare gli indicatori che va dalla massima oggettività (indicatori
“forti” – es. n. di bambini nati) alla massima soggettività (indicatori “soft” – es. dichiarazioni dei
soggetti, come il n. delle ore trascorse a guardare la tv). Gli indicatori soft sono esposti a
sotto/sovrastime in base all’accettabilità sociale o di altri fattori. Indicatori relativi ai
comportamenti sono in ogni caso considerati più oggettivi di indicatori relativi ad atteggiamenti,
opinioni, intenzioni, percezioni.

In presenza di obiettivi numerosi, si impone una scelta degli indicatori. I criteri sono due:
fattibilità e rilevanza.

Le fonti utilizzabili per rilevare gli indicatori di efficacia sono diverse:


Statistiche prodotte da istituti ed enti. Dati demografici, economici, sociali,
epidemiologici, sanitari, scolastici, ecc. è necessario sapere come vengono raccolti e
codificati per una corretta attribuzione di significato;

Registrazione delle attività del progetto e dei servizi coinvolti. Utenza, partecipanti;

Osservazione diretta. Rilevazione di comportamenti. Supera la consapevolezza di chi


agisce il comportamento osservato. Metodo potente, ma da usare con rigore
(operazionalizzazione del comportamento da osservare). Un aspetto critico è l’influenza
dell’osservatore. Richiede tempo;

interviste individuali. Per rilevare soprattutto indicatori “soft” (es. soddisfazione


dell’utenza). Il numero dei soggetti non può essere elevato. Richiede tempo;

Questionari. Raccolgono molte informazioni e di diverso tipo, sono di facile


somministrazione, sono costruibili con relativa facilità, non permettono approfondimenti
rispetto a quanto prevedono di rilevare;

Scale. Rilevazione di atteggiamenti, stati affettivi, caratteristiche di personalità, ecc. Se


ne conoscono le proprietà psicometriche di validità e attendibilità, sono facilmente
somministrabili, producono variabili quantitative, ma sono complesse da costruire o da
adattare alla lingua/cultura;

Test. Rilevano costrutti anche complessi. In alcuni settori sono le uniche misure
adeguate. In molti casi richiedono tempo e competenze specifiche per la
somministrazione.

Tempi della misurazione → Poiché l’efficacia è connessa a un cambiamento, il confronto pre-


test post-test è la procedura più idonea. Nella ricerca valutativa, pertanto, le misure sono
ripetute due o più volte.

Alcuni disegni di ricerca nel sociale (di ricerca qualitativa):

• Il disegno sperimentale: è quello più rigoroso dal punto di vista metodologico. La sua
caratteristica è la costituzione di due o più gruppi scelti con procedura casuale; il gruppo che
viene sottoposto al trattamento/intervento è definito “sperimentale”, l’altro “di controllo” (non
sottoposto al trattamento). Per la costituzione dei gruppi, prima bisogna estrarre casualmente i
soggetti dalla popolazione cui si vuole generalizzare i risultati e poi, sempre casualmente,
assegnarli ad uno dei due gruppi.
Nella ricerca sperimentale classica si prevedono due rilevazioni: prima e dopo l’intervento.

• Disegni quasi sperimentali: possono assumere diverse forme, tra cui:


1. disegno quasi sperimentale con doppia rilevazione (pre-test e post-test) e con gruppo di
controllo non equivalente: assomiglia al disegno sperimentale classico, in quanto ci sono due
gruppi e la doppia rilevazione, ma i due gruppi ed i soggetti al loro interno non sono scelti
casualmente; questo disegno è spesso utilizzato nella valutazione dell’efficacia. Quindi → due
gruppi e doppia rilevazione, ma i gruppi e i loro soggetti non possono essere scelti casualmente
perché non è praticamente o eticamente possibile. Il gruppo di controllo deve assomigliare il più
possibile a quello sperimentale, in generale, ma anche in relazione alle caratteristiche che si
desidera modificare con l’intervento. Qualora si rilevino differenze al pre-test, è possibile
controllare statisticamente questa condizione;
2. le serie temporali interrotte, con o senza controllo: questo disegno si può utilizzare quando
gli indicatori scelti sono già regolarmente rilevati da enti, istituti o servizi; per capire se
l’andamento del fenomeno subisce variazioni dopo l’intervento rispetto a prima, si usa la
tecnica statistica della regressione. Quindi → gli indicatori sono ricavati da enti o servizi, si
riferiscono a una successione di momenti diversi (serie temporale) al cui interno si colloca il
momento dell’intervento. Attraverso la regressione statistica si verifica se il fenomeno subisce
variazioni dopo l’intervento. Si usa il gruppo di controllo se sono disponibili serie temporali che
rilevano gli stessi indicatori negli stessi momenti senza l’introduzione del trattamento.
Riflessioni sulla valutazione dell’efficacia
Gli interventi psicosociali si rivolgono tipicamente a gruppi e i disegni di ricerca per la
valutazione dell’efficacia più ricorrenti sono quello sperimentale e quasi-sperimentale. Si
riconoscono in particolare 3 situazioni:

1) L’intervento è imposto in un determinato contesto e l’adesione non è volontaria.


Esempio: il Ministero della Difesa decide di realizzare un intervento di prevenzione del
nonnismo. Metodo sperimentale classico: selezione casuale di alcune caserme e, al loro
interno, di unità dove realizzare e non realizzare l’intervento.

In alcuni casi si possono avere effetti particolari. Negli USA il progetto DARE, finalizzato a
prevenire l’uso di alcool e droghe in adolescenti è talmente diffuso che è diventato
difficile formare gruppi di controllo, soprattutto in relazione al fatto che è importante la
ricerca a lungo termine. Tuttavia, anche quando ciò è stato possibile, non si sono trovate
differenze rilevanti tra il gruppo sperimentale e quello di controllo, rilevando un uso di
droghe molto contenuto in entrambe le condizioni; un’ipotesi è che la diffusione massiva
del programma abbia creato un clima favorevole nelle scuole che ha interessato anche
chi non vi partecipa.

2) La scelta casuale del gruppo sperimentale non è possibile oppure opportuna e l’adesione
è di fatto non volontaria. Esempio: un preside introduce un progetto, ma avendo bisogno
della collaborazione degli insegnanti potrà realizzarlo solo in alcune classi; i soggetti da
includere nei gruppi sperimentale e di controllo non potranno essere scelti casualmente e
non possono scegliere di aderire o meno. In tal caso si applica il metodo quasi-
sperimentale, cercando di formare un gruppo di controllo il più possibile simile a quello
sperimentale; utile la tecnica dell’appaiamento uno-a-uno, in cui si abbinano soggetti
simili nelle caratteristiche generali e in quelle connesse alla ricerca.

3) L’adesione è volontaria. Esempio: delle gestanti si iscrivono ad un corso di preparazione


al parto. Il target è caratterizzato da un particolare bisogno e l’intervento non è
obbligatorio, quindi si può proporre l’intervento a chi è nella condizione di bisogno e poi
selezionare casualmente i soggetti per i due gruppi (se non si pongono problemi etici).
In caso di problemi etici o metodologici, si adottano le seguenti soluzioni:
- Formazione di liste di attesa. Con procedure casuali, i soggetti assegnati al gruppo si
controllo vengono posti in una lista di attesa, dalla quale verranno prelevati
successivamente per essere inseriti in un gruppo sperimentale;

- Cambiamento dell’oggetto della valutazione. Anziché confrontare l’intervento con


l’assenza di intervento, si confrontano interventi diversi con gli stessi obiettivi. Il quesito
valutativo è quindi volto a verificare l’intervento maggiormente efficace. L’assegnazione
dei soggetti ai diversi tipi di intervento è, ovviamente, casuale.

- Fornitura di altre forme di assistenza/aiuto. Il progetto è innovativo, ha implicazioni


etiche e non c’è la possibilità di raggiungere tutti i beneficiari. Esempio: in un progetto
di assistenza domiciliare prolungata al puerperio, identificando il target dalla cartelle
cliniche dei reparti di maternità, ogni settimana veniva proposta alternativamente la
partecipazione al progetto o a una ricerca che prevedeva anche visite a domicilio (gruppo
di controllo). Scelte di questo genere non garantiscono che i soggetti dei due gruppi siano
simili rispetto alla motivazione, ma si tratta di un compromesso che tiene conto delle
questioni etiche.

- Non uso del gruppo di controllo. Non è detto che la ricerca valutativa non debba esse
fatta se, per questioni etiche, non è possibile costituire un gruppo di controllo. Il
progetto ADM (Assistenza Domiciliare ai Minori) del comune di Milano è oggi esteso a
tutte le zone della città. L’intervento è prescritto dal Tribunale di Minori e un gruppo di
controllo non può esistere. La valutazione dell’efficacia dell’intervento viene effettuata
a partire dalle schede individuali nelle quali viene formulato il progetto specifico e gli
operatori annotano regolarmente il grado di raggiungimento degli obiettivi posti.
Considerando che la durata dell’intervento non è definita (2-3 anni mediamente per ogni
singolo caso) e l’assenza di una fine programmata per l’intero programma, il confine tra
progetto e servizio diventa molto sfumato.

Interventi psicosociali rivolti a gruppi o a singole persone:


Molti interventi psicosociali si indirizzano a gruppi già esistenti oppure costituiscono gruppi ad
hoc per realizzare le attività previste dall’intervento.
Questi interventi partono dal presupposto che tutte le persone che comporranno il gruppo, pur
nella loro individualità e diversità, abbiano alcuni bisogni comuni sui quali si focalizza
l’intervento.
I disegni di ricerca per la valutazione dell’efficacia nei casi in cui si lavora in gruppo, o
individualmente, ma con obiettivi comuni, utilizzano quasi sempre il metodo sperimentale o
quello quasi-sperimentale.
Il disegno scelto dipenderà principalmente dalla possibilità di scegliere casualmente il gruppo
sperimentale e quello di controllo e dalla volontarietà o meno della partecipazione da parte
dei beneficiari.

Le tre situazioni più ricorrenti sono:


→ Qualcuno ha il potere di imporre l’intervento scegliendo dove realizzarlo, l’adesione del
target non è volontaria. Rientrano in questa categoria gli interventi da realizzare nelle caserme
o nelle scuole, imposti a livello centrale.
→ Non si può e non è opportuno scegliere casualmente il gruppo con il quale realizzare
l’intervento; l’adesione del target è, nei fatti, non volontaria. Casi tipici possono essere: una
preside desidera introdurre nella scuola un progetto di educazione alla salute, ma avendo
bisogno della collaborazione attiva e volontaria degli insegnanti, lo potrà realizzare solo in
alcune classi.
→ L’adesione del target è volontaria. Ad esempio, in occasione di in corso di formazione, molti
operatori della stessa Regione si accordano e progettano insieme un intervento che poi ognuno
realizzerà nella sua zona di competenza.
Interventi psicosociali rivolti a comunità:
Se l’intervento si rivolge, non ad un particolare gruppo di persone, bensì a tutta la comunità
territoriale (quartiere, paese, città), la valutazione diviene più complessa.

Non si parlerà più di progetto, ma di programma, nel senso che si porranno degli obiettivi da
raggiungere, che potranno essere fissati dall’amministrazione locale e poi diversi progetti
verranno attivati contemporaneamente e, tutti insieme, perseguiranno l’obiettivo fissato.

Se il progetto che si rivolge all’intera comunità può utilizzare come indicatori variabili che
vengono regolarmente registrate da enti, istituti, ecc. allora per la verifica dell’efficacia si
potrà utilizzare il metodo delle serie temporali.
Se non si dispone di dati già regolarmente rilevati da altri, si potranno raccogliere direttamente
informazioni attraverso interviste, scale o questionari prima e dopo l’intervento.
Oppure si può effettuare la ricerca separatamente in sottogruppi omogenei rispetto ad alcune
caratteristiche (età, classe sociale, professione) così da poter valutare se l’intervento abbia
prodotto risultati differenziati nei diversi sottogruppi.
Con questo metodo si rilevano soprattutto cambiamenti avvenuti nelle persone appartenenti alla
comunità e non cambiamenti strutturali della comunità stessa.
Quando si vogliono rilevare i cambiamenti strutturali nella comunità, il focus si sposta dagli
individui alle organizzazioni, all’ambiente, all’offerta di servizi, ai rapporti fra questi, ai
regolamenti della comunità.
Nei progetti che si rivolgono all’intera comunità, oltre a registrare i pareri dei
servizi/operatori/beneficiari coinvolti direttamente nel progetto è utile registrare anche quelli
di persone che occupano un ruolo importante nella comunità, cioè coloro che hanno un ruolo
chiave nell’amministrazione della comunità, dei servizi sanitari, nel volontariato. Si possono
utilizzare in questo caso tecniche qualitative.
In altre parole: La valutazione diventa più complessa, dovendo essere effettuata a vari livelli:
intraindividuale, interindividuale, intergruppo, intersistemico, strutturale. Inoltre, si parlerà più
di programma che di singolo progetto e anche la valutazione rifletterà questa impostazione più
articolata. Come indicatori saranno facilmente disponibili serie temporali regolarmente
registrate da enti nel corso di periodi anche molto lunghi sia prima che dopo l’intervento.
Un problema, però, è quello di disporre di una seconda comunità che funga da controllo; anziché
individuare una comunità simile (per area geografica, numero di abitanti, attività prevalenti,
reddito, occupazione, cultura, ecc.), oggi si preferisce fare riferimento ai dati aggregati di
un’area geografica più estesa (es. l’intera regione), in modo da limitare il rischio che particolari
avvenimenti in seno alla comunità di controllo possano interferire.
Se non sono disponibili dati elaborati da altri, le informazioni dovranno essere espressamente
raccolte attraverso questionari, interviste e altre modalità prima e dopo l’intervento. Tuttavia,
questo metodo consentirà di rilevare soprattutto i cambiamenti nelle persone e non nella
struttura della comunità.
I cambiamenti strutturali vengono riflessi da indicatori più ampi (es. livello di inquinamento,
numero delle poste ciclabili, livello di occupazione, spazi pubblici, sicurezza).

Oltre a registrare i pareri dei beneficiari e degli operatori, nella comunità è utile registrare
anche le opinioni di persone-chiave che occupano ruoli importanti, come responsabili di
associazioni di volontariato, culturali o ricreative, di cooperative, commercianti, pastori di
culto, alcuni professionisti. Queste persone possono essere intervistate individualmente o in
focus group in relazione alla rilevanza del problema, agli effetti dell’intervento percepiti o alle
aspettative, anche attraverso l’impiego di tecniche qualitative, sempre più utilizzate nella
valutazione.
ESEMPIO DI IMPIANTO DI VALUTAZIONE: IL PROGETTO YOUTHSTART

Progetto finalizzato a migliorare le capacità di ingresso nel mercato dei lavoro dei giovani nel
quale si valuta l’azione dei protagonisti del programma durante la sua realizzazione (procedure,
meccanismi di implementazione, loro efficacia e rilevanza), piuttosto che eseguire una
valutazione finale di tipo sommativo. Inserito e cofinanziato nell’ambito di un programma della
Commissione Europea, al suo interno prevede specifiche azioni di valutazione, concepita anche
come strumento per l’adattamento dell’intervento in tempi opportuni.

Il valutatore, esterno, fornisce consulenza all’organizzazione che gestisce il progetto.


L’approccio è di tipo concertativo, costruttivista; non persegue una validazione secondo
l’approccio sperimentale, ma l’idea di giungere a leggere ed analizzare, comunque in modo
rigoroso, i risultati facendo attenzione agli esiti per i destinatari e all’impatto sulla comunità,
mettendo a fuoco i significati condivisi e rendendo tangibili esiti spesso sfuggenti.

I criteri di valutazione, essendo frutto della collaborazione fra attori diversi, non hanno
carattere universale e gli indicatori di esito non si legano a visioni tecniche delegate a un
esperto.

L’intero processo di valutazione si sviluppa attorno a tre nuclei:


- La domanda di valutazione tra organizzazione, committente e valutatore esterno;
- La definizione-comprensione-condivisione degli obiettivi del progetto
- I processi decisionali interagenti con la valutazione stessa.

Il progetto
Lo scopo era sviluppare a livello regionale la messa in rete di servizi per l’orientamento dei
giovani con meno di 20 anni esclusi da percorsi scolastici e a rischio di esclusione dal mercato
del lavoro. Due valutatori esterni, uno per gli aspetti amministrativi e finanziari (qui non
trattati) e l’altro per la valutazione in termini di esiti, processi e impatto; particolarmente
critica la messa a punto di impianti di valutazione fattibili e sostenibili,cioè effettivamente in
grado di attivare processi di valutazione. I passi del progetto valutativo:
1) Comprensione della domanda di valutazione. Perché si valuta, che cosa e per chi.
Condivisione con il committente dell’approccio, delle condizioni e delle implicazioni:
costi, impatto decisionale, disponibilità a ridefinire parzialmente il progetto;

2) Costruzione del gruppo di valutazione. Ruoli, soggetti e accordi sul funzionamento;

3) Verifica delle condizioni favorevoli/sfavorevoli alla valutazione. Presenza di investimenti


per la valutazione, verifica dei sistemi informativi (controllo di gestione);

4) Studio del progetto formale;

5) Ricontrattazione, laddove necessaria e in gruppo, degli obiettivi. Incongruenze e


superamento delle diverse interpretazioni;

6) Individuazione degli attori coinvolti. Ente titolare, gestore, esecutore, partners,


beneficiari diretti e indiretti; tipi di scambi tra loro, livelli di condivisione, ruoli
istituzionali,grado di conflittualità e interessi contrastanti;

7) Vantaggi dell’atto valutativo per i diversi attori e loro grado di investimento;

8) Identificazione delle criticità del sistema di valutazione. Grado di condivisione


dell’impianto e degli obiettivi, compatibilità dei tempi per la raccolta delle informazioni
più significative;
9) Identificazione delle criticità del progetto. Al fine di dedicarvi particolare attenzione
nella valutazione in itinere;

10) Scelta dei parametri della valutazione. Criteri, strumenti, indicatori di esito/processo.
Il punto 5 è particolarmente delicato, poiché la formulazione cartacea sconta quasi sempre
distorsioni, imprecisioni e incompletezze. Tipicamente si tratta di adeguamenti alle priorità e
finalità del finanziatore, scadenze connesse ai bandi di assegnazione, incompletezza nella
formulazione degli obiettivi (in genere riferiti solo all’offerta); una serie di assunti
autoreferenziali che riflettono la produttività del progetto, ma dicono poco sulla sua utilità.
Partendo da quello originario, ai fini della valutazione, il progetto è stato scomposto e
ricomposto in fasi oggetto, appunto, di valutazione, sulla base di criteri quali l’omogeneità delle
attività, il tipo di prodotto e i referenti organizzativi. Solo in seguito a questa riorganizzazione è
stato possibile fissare con chiarezza modalità operative, tempi e strumenti per la valutazione.

Gli attori e i circuiti della valutazione

I diversi attori che partecipano a un progetto (gestori, operatori, destinatari, committenti,


decisori, testimoni-chiave, gruppi di rappresentanza, leader di comunità, referenti del network
dei servizi sociali, ecc.) rimandano a diversi punti di vista, che occorre recuperare nel confronto
dei giudizi e nella valutazione. Per questo si parla di circuiti di valutazione da attivare al fine di
sviluppare la condivisione e il confronto efficace.
Nella mappa degli attori esisteranno circuiti a senso unico e bidirezionali, a legami forti o
deboli, diretti e indiretti. Questi devono funzionare in modo equilibrato, senza provocare derive
di parti del progetto che non interagiscono con le altre (esempio in fig, 2 pag. 201 testo Leone-
Prezza).

Fasi del progetto e valutazione differenziale non sommativa

Le diverse fasi nelle quali si scompone un progetto hanno obiettivi specifici che non sono gli esiti
finali, ma che sono strumentali al loro raggiungimento. L’idea che l’efficacia e l’efficienza
complessive dipendano dal grado di raggiungimento degli obiettivi delle varie fasi e che si
leghino a questi in termini sommativi non è corretta. Non sempre esiste un “albero degli
obiettivi”; in un progetto complesso e innovativo esistono sotto-obiettivi coerenti con una
finalità generale, ma non semplicemente sommabili in quanto variamente interconnessi tra loro.
Per questo si parla di valutazione differenziale non sommativa.

Modello di valutazione differenziale applicato al progetto Youthstart

Fase 1 Verifica della validità e della congruenza concettuale del progetto


Riprogettazione Rilevanza: attinenza e capacità di rispondere a problematiche
operativa e dell’occupazione giovanile.
attivazione Coerenza interfase: coerenza tra le diverse parti del progetto.
Interna Congruenza: tra obiettivi e risorse (da intendere sempre in tutte le forme:
(Valutazione ex- economiche, competenze, partnership, ecc.).
ante) Adeguatezza: della formulazione progettuale in termini di guida per la
progettazione operativa; riformulazione degli obiettivi.
Impegno: necessario per la realizzazione (costi e tempi).
Divisione dei ruoli: chi fa che cosa e livelli di coordinamento.
Fase 2 Valutazione delle azioni
Implementazione Per ogni azione (macro-attività del progetto) sono stati individuati gli
del progetto indicatori di processo e di esito e gli strumenti di rilevazione Esempi:
(Valutazione in
itinere) Azione Criteri Strumenti Indicatori
(che cosa (per raccogliere (variabili di
osservare) informazioni) risultato)
Formazi -Efficacia -Griglia di ingresso -Grado
one didattica operatori apprendimento
operator -Esiti e -Griglia di analisi pre e -Grado
i impatto per gli post Informagiovani soddisfazione
Informagiovani -Questionario di -% operatori che
-Coerenza valutazione moduli ottengono la
intra e formativi qualifica
interfase -% abbandoni
Banca -Qualità -Autovalutazione -Rispetto di
dati -Impegno équipe standard banche
-Completezza -Contatori degli dati del settore
- accessi -Grado
Legittimazione -Questionario per aggiornamento
istituzionale Informagiovani -Usabilità
-Giudizio esperti -N. accessi
Internet -N. curricula in
rete
-Convenzioni con
enti locali
Per l’elenco completo, vedi tab. 4 pagg. 206-207 testo Leone-Prezza.
Fase 3 Destinatari intermedi (operatori degli Informagiovani):
Esiti complessivi - Sviluppo di una professionalità specifica e riconosciuta
del progetto sull’orientamento;
(Valutazione ex-post) - Sviluppo di metodologie efficaci di contatto del target e aumento del
n. degli accessi agli IG da parte del target;
- Aumento capacità e frequenza di utilizzo di banche dati
informatizzate per il lavoro e l’orientamento.
Sistema di orientamento a livello regionale (Marche):
- Maggiore grado di scambio tra gli Informagiovani della regione;
- Sviluppo di progettualità e modelli di intervento comuni per
l’orientamento;
- Ampliamento della rete tra IG e aziende locali.
Destinatari finali (target Youthstart):
- Maggiore capacità di orientamento nel mercato del lavoro e di
conoscere le proprie capacità e motivazioni.
Altri obiettivi impliciti a livello della cooperativa sociale titolare (RES):
- Maggiore autorevolezza e visibilità;
- Sviluppare un nuovo know-how, riutilizzabile, sull’orientamento;
- Sviluppare un nuovo know-how interno, riutilizzabile, sulla
valutazione.

In generale, la valutazione dei risultati ottenuti mostra benefici altamente significativi per ciò
che concerne la messa in rete degli Informagiovani, gli obiettivi relativi alla
professionalizzazione dei loro operatori, l’uso di tecnologie informatiche/telematiche, le reti
interorganizzative con il mercato del lavoro e l’organizzazione cooperativa RES (titolare del
progetto); esiti decisamente più modesti per il network regionale. L’obiettivo di raggiungere e
coinvolgere una maggiore porzione del target non risulta invece raggiunto, nonostante l’utenza
complessiva degli IG sia raddoppiata. Lo scarso successo con la popolazione target di giovani < 20
anni a bassa scolarità ed a rischio di esclusione dal mercato del lavoro si connette a fattori
diversi del contesto:
- Solo 1/3 degli IG ha sperimentato i moduli di orientamento innovativi Youthstart, non
condividendo l’impostazione e ritenendo che nel contesto regionale questo target
esprime altri bisogni e non necessita di particolari misure di orientamento al lavoro;

- Tradizionalmente i servizi di sportello IG hanno un target diverso in termini di fascia di


età (18-25 anni);

- I moduli sperimentali del target < 20 anni sono terminati solo due mesi prima della
chiusura del progetto ed i tempi per una valutazione delle ricadute effettive in termini di
cambiamento dell’utenza sono ancora troppo brevi. Un eventuale cambiamento potrà
essere apprezzato non prima di un periodo di 6-12 mesi;

- Nella regione Marche il problema della disoccupazione giovanile sembra marginale, in


quanto una microimprenditorialità diffusa assorbe facilmente manodopera non qualificata
basandosi su reti di conoscenza che connettono bene domanda e offerta di lavoro.
Il progetto ha prodotto alcuni impatti (risultati non attesi) significativi:
- Maggiore coinvolgimento degli IG nei processi di orientamento e ricerca del lavoro (gli
utenti segnalati dagli IG sono raddoppiati in un anno), secondo gli IG stessi a causa di una
maggiore e migliore capacità organizzativa e di contatto con gli utenti acquisite grazie al
progetto;

- Richiesta da parte di Assessorati comunali ai servizi sociali di una seconda edizione del
corso formativo per operatori IG (maggiore riconoscimento istituzionale degli IG).

Riproducibilità del progetto e dell’intervento

La fase di contatto è risultata complessa e strategicamente centrale; la trasferibilità e la


riproducibilità dei moduli è quindi strettamente connessa alla capacità di riprodurla. I diversi IG,
inoltre, pur condividendo il medesimo impianto di moduli innovativi, hanno scelto
autonomamente la metodologia di contatto e alcune si sono dimostrate più efficaci di altre, in
particolare l’uso di comunicati stampa su giornali locali, il passa parola e il contatto diretto con
giovani già noti agli IG. Contrariamente, non si sono mostrati efficaci metodi quali telefonate
dirette a casi noti all’Assistente Sociale, mailing a nominativi segnalati dalle scuole, inviti
mediati da Parrocchie e sale giochi, manifesti pubblici. In ogni caso, gli invii da un servizio
all’altro funzionano se ci sono operatori motivati che sostengono l’informazione ai giovani; non
bastano volantini e locandine affisse.
Autorità centrali e locali a vari livelli (Regioni, Ministeri, Commissione Europea) finanziano studi
per individuare soluzioni, modelli e buone prassi. Tuttavia, la letteratura mette in discussione
l’idea di ripetibilità. A causa dell’importanza del contesto locale e dei ruoli giocati dai diversi
attori, un programma si sviluppa sempre in modo diverso dalle previsioni (altrimenti, non
avremmo insistito sulla condivisione dei significati). Ci si chiede allora come applicare e
sviluppare le conoscenze emerse da un programma o progetto. Secondo molti autori, la
ricostruzione di come qualcosa abbia funzionato è importante per altre situazioni che possono
essere migliorate, ma queste devono saper cogliere ciò che si adatta alle proprie condizioni e
farne il perno della propria innovazione.
Per questo serve raccontare progetti e sperimentazioni che si sviluppano nel sociale, offrendole
e diffondendole come “analisi di caso”. Attraverso l’analisi del caso non ci si limita a descrivere
un progetto, ma a ricostruirne la storia e i percorsi nell’ambito di una prospettiva molto più
ampia tesa a comprendere un possibile adattamento, sempre parziale. Il processo di valutazione
può contribuire in modo determinante in questo, attraverso buone pratiche che si inseriscono in
un progetto pilota:

Fase di - Raccogliere e analizzare la documentazione di progetti simili, anche


progettazione rapporti di valutazione;
(Valutazione ex-ante) - Intervistare o tenere seminari di lavoro con chi si è occupato di progetti
analoghi per identificarne le criticità e le soluzioni adottate;
- Non imporre la valutazione, ma accogliere le priorità dei diversi attori in
gioco con disegni di valutazione aperti;
- Sviluppare disegni di valutazione mista interna/esterna e con ampi spazi
di osservazione differenziati per tipologia, ruoli e funzioni.
Fase di - Descrivere accuratamente i percorsi di intervento e le metodologie
realizzazione sviluppate (diari di bordo);
(Valutazione in - Condividere i criteri e gli indicatori della valutazione e riadattarli alle
itinere) variazioni di percorso;
- Organizzare riunioni di verifica.
Fase di verifica e - Diffondere le iniziative sviluppate e sostenere scambi e confronti con
diffusione altre realtà del settore;
(Valutazione ex-post) - Rendere visibili ai diversi attori sforzi e risultati;
- Verificare e cercare di spiegare anche gli effetti inattesi;
- Restituire i risultati della valutazione ai diversi attori;
- Verificare anche gli esiti in termini di apprendimento organizzativo,
oltre a quelli individuali;
- Realizzare anche valutazioni di follow-up.

IMPLICAZIONI ORGANIZZATIVE DEL LAVORO PER PROGETTI

Un servizio che decide di incrementare il lavoro per progetti, approcciando una logica di
programmazione a scapito dell’emergenzialità, risente di importanti implicazioni
nell’organizzazione interna e nei rapporti con l’esterno. Il lavoro per progetti ha sempre
ripercussioni sui processi organizzativi, di comunicazione e di coordinamento, su ruoli, funzioni,
sistemi decisionali, procedure amministrative e di controllo e sulla cultura organizzativa. Questi
problemi e le relative modalità di soluzione cambiano con il contesto organizzativo: l’impatto
presso l’Assessorato ai Servizi Sociali di una grande città sarà diverso da quello su una
cooperativa sociale o un istituto educativo.
All’interno di un’organizzazione, la differenziazione stabilisce “chi fa che cosa” e quindi
compiti, sistema dei ruoli e specializzazioni. Tuttavia, dividere compiti e funzioni non basta per
produrre organizzazione: le diverse attività vanno anche rapportate ad unità che, grazie al
processo di integrazione, basato su gerarchie, norme e procedure, agiscono in modo organico.
Le funzioni di differenziazione e integrazione sono supportate dalle tecnologie, ma in ambienti
mutevoli e ad alta complessità, al di là di queste servono strategie e programmi per indirizzare
le attività e sistemi di valori condivisi dati da culture e sottoculture organizzative.
I servizi centrati sulla divisione di compiti e funzioni (es. accoglienza dell’assistente sociale,
psicoterapia dello psicologo, cure del medico) che passano al lavoro per progetti devono
reinterpretare e ridefinire le funzioni e le forme di coordinamento. La divisione delle funzioni
sulla base delle specializzazioni non garantisce un adeguato coordinamento di un progetto, che
necessita di un referente identificabile anche attraverso criteri diversi dal titolo di studio o dalla
posizione gerarchica (es. progetto con operatori allo stesso livello o in cui la competenza non è
connessa al livello gerarchico).
Sono quindi necessarie assunzioni di responsabilità e capacità imprenditive più diffuse, oltre che
una sufficiente condivisione della logica del lavoro per progetti a tutti i livelli che legittimi il
coordinamento. Chi coordina un progetto deve infatti poter influenzare o controllare alcune
risorse e gestire interconnessioni con altri ambiti.
Dal punto di vista strutturale, all’interno dell’organizzazione serve costituire gruppi di lavoro,
anche intersettoriali, interistituzionali e nuclei di coordinamento, tenderanno cioè a svilupparsi
modelli organizzativi a matrice, caratterizzati da una doppia dipendenza: l’unità alla quale si
risponde e la funzione svolta. Questa logica del lavoro si raggiunge per gradi.

La funzione di coordinamento riguarda almeno due livelli:


- La gestione del progetto stesso. In un progetto di media durata e complessità (2-3 anni),
al quale prendono parte oltre una decina di operatori, inevitabilmente, si formano
sottogruppi che tendono a sviluppare operatività, e logiche proprie che vanno
costantemente ricondotte all’unità. Serve inoltre creare coerenza tra progetto e
controllo di gestione; soprattutto nel sociale vi è infatti una forte tendenza a separare le
istanze tecnico-professionali da quelle amministrative, mentre la logica di progetto
richiede coerenza tra le due;

- Il lavoro di raccordo tra progetto e indirizzo programmatico dell’organizzazione. In tal


senso deve essere mantenuta una coerenza complessiva. Se da una parte è pur vero che
l’innovazione si sviluppa anche grazie alla devianza, è altrettanto vero che gli
apprendimenti derivanti dall’implementazione dei progetti devono, almeno
parzialmente, essere rimessi in circolo. Talvolta è proprio l’osservazione dei processi
passati ciò che può favorire l’innovazione oltre che, naturalmente, diffondere “buone
prassi” nell’organizzazione. Dare visibilità interna ai progetti in corso o presentare
progetti passati (anche attraverso un sito intranet o una newsletter) può essere
estremamente proficuo.
Nel sociale è radicata una cultura monosettoriale che orienta a target di intervento specifici:
minori a rischio, terza età, disabili, tossicodipendenze, immigrati, senza fissa dimora,
prostituzione, ecc. in tali ambiti si differenziano poi diverse tipologie di intervento (es.
scolastico, educativo, tempo libero). Il lavoro per progetti sicuramente conferma queste
divisioni, ma ne mette in evidenza anche i limiti e restituisce agli operatori opportunità di
attingere nuove conoscenze incrociando gli ambiti ed evolvendosi.

Ecco un confronto di fattori organizzativi in organizzazioni basate sul modello meccanico-


burocratico ed organizzazioni in cui prevale la logica per progetto:

Fattore Logica meccanico-burocratica Logica per progetto


organizzativo (o di adempimento)
Soggetti rilevanti Dirigente/Progettista Gruppo di progetto
Struttura Modello divisionale Modello misto a matrice
organizzativa
Operatori Distinzione per qualifica, livello e appartenenza Superamento degli ambiti di competenza e
professionale forte interazione
Autorità Secondo linea gerarchica Per competenza; responsabilità diffusa con
ampi margini di autonomia
Tempi e Soluzioni predefinite nella struttura Soluzioni flessibili ad hoc; gestione dei tempi
flessibilità organizzativa mirata alle esigenze del progetto
Rapporti con Scarsi, istituzionalizzati, centrati sull’autorità o Intensi, basati su partnership, accordi, e intese
l’esterno obblighi amministrativi tra soggetti istituzionali e non
Prodotto Servizi intesi come attività (es. n. utenti presi Insieme di servizi intesi come benefici
in carico, numero sussidi)
Verifica Basata su rendicontazione periodica e analisi Attenzione alla qualità dei servizi, valutazione
della scarto tra programmato e output di processo e degli esiti, dell’impatto; follow-
up.

Coordinamento nel lavoro di rete – Reticoli a legami deboli

Legame debole Scarso collegamento tra le componenti del sistema. Le reti


interorganizzative dell’area sociale sono prevalentemente caratterizzate da
legami deboli; ad esempio, nel sistema educativo il rapporto docente-
discente è tendenzialmente debole: non c’è una relazione certa e
predeterminata tra l’input del primo (metodo didattico, lezione) e risultato
del secondo (comprensione, crescita) e il medesimo comportamento del
docente può determinare risultati e reazioni diverse in discenti diversi, così
come risultati diversi nello stesso discente in momenti e circostanze diverse;

Legame forte Il collegamento è tale da fornire un elevato grado di prevedibilità. Ad


esempio: legame tra un operaio e le operazioni che compie in una catena di
montaggio.
La prevalenza di legami deboli in ambito sociale offre dei vantaggi nel coordinamento del lavoro
di rete:
- L’appartenenza e la condivisione della medesima cultura professionale favorisce i legami
fra operatori di organizzazioni diverse;

- Spontaneamente e al di fuori dei canali formali, si creano piccoli gruppi che condividono
idee, metodologie e culture di riferimento;

- L’integrazione nelle reti è spesso favorita da pluri-appartenenze: alcuni operatori con


ruoli-chiave mantengono infatti legami con più organizzazioni (es. funzionario di un’ASL e
responsabile di un’associazione di volontariato).
Altri fattori di integrazione possono essere la scarsità di risorse, che spinge ad ottimizzare quelle
esistenti anche mettendosi in rete e l’inerzia, intesa generalmente con connotazione negativa in
termini di resistenza al cambiamento, che permette ad ogni organizzazione di non disintegrarsi.
Le politiche pubbliche

Sono i programmi di azione di autorità provviste di potere pubblico e legittimità istituzionale


(es. politica per l’immigrazione da parte del governo) che si concretizzano in direttive, progetti,
campagne di informazione/sensibilizzazione e interventi vari. Simili programmazioni sono
portatrici di standard di funzionamento in alcuni servizi, modelli di funzionamento, stanziamenti
di fondi e finanziamenti e definiscono obiettivi e priorità di intervento. Programmi di questo
tipo, lanciati a livello di autorità centrale, vengono successivamente recepiti e implementati a
livello locale attraverso lo sviluppo di progetti.

Approcci alla programmazione


Sinottico-razionale. Analogamente a quanto già visto per i progetti, deriva dall’economia
neoclassica ponendosi in termini prescrittivi e facendo riferimento a una razionalità oggettiva
che introduce modelli di decisione e azione seriali esenti da incertezze e opzioni soggettive e
di valore. La scelta ottimale non risente delle caratteristiche del decisore o del contesto; a
fronte di un’informazione completa, le opzioni sono sempre pesabili in relazione di
un’ottimizzazione legata alla massimizzazione dell’utilità.

Incrementalismo sconnesso e disarticolato . Critica il modello precedente: non esistono


decisioni giuste permanenti, i decisori non dispongono di tutti i dati necessari, le politiche
non offrono tutte le risorse che servono, i problemi stessi non sono definiti chiaramente. Non
si possono prevedere tutte le alternative, quindi si segue una strada e, in seguito, si fanno
adattamenti riorientando gli obiettivi. Anche i criteri di verifica non sono definibili a priori,
ma in corso d’opera. Si tratta in sostanza di una strategia per trattare i problemi più che per
risolverli.
La critica a questo secondo modello è che sposta l’attenzione sui processi di compromesso
sbilanciandosi a favore del mantenimento dello status quo e a detrimento dell’innovazione
sociale. Non funzionerebbe con questioni nuove o in momenti di profonda innovazione
sociale.
Modello normativo ottimale. Riunisce gli elementi positivi dei primi due modelli, fondendo
l’idealismo del primo (chiarire obiettivi, valori, criteri decisionali e identificare la nuove
alternative) con il realismo del secondo (contributi extra-razionali come creatività,
speculazione e ricorso all’incrementalismo quando il cambiamento deve essere progressivo e
contenere i rischi).
Nonostante tutto, il modello sinottico-razionale continua a mantenersi attraente e rassicurante,
nonostante non sia rappresentativo di come in effetti vanno le cose.

Effetti imprevisti e perversi di progetti e programmi


Talvolta si ottengono effetti non solo diversi da quelli desiderati, ma addirittura opposti. Il
fenomeno più noto è l’inversione mezzi-fini: l’organizzazione coinvolta nel progetto o nel
programma non si orienta al raggiungimento degli obiettivi e all’efficacia dell’intervento, ma si
concentra sul proprio funzionamento. Esempio: si decide di aprire una casa famiglia allo scopo di
diminuire i minori istituzionalizzati e, in attesa dei finanziamenti, si avvia un servizio di
assistenza domiciliare. I tempi di attivazione sono lunghi e, quando i finanziamenti sono stati
ottenuti, i minori realmente bisognosi restano solo 3; l’organizzazione promotrice preme perché
il progetto venga comunque realizzato. La casa famiglia diventa così un fine e non un mezzo per
rispondere a un bisogno.

Potrebbero piacerti anche