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Progettare in contesti difficili

Una nuova lettura del quadro logico


A.Stroppiana
Introduzione
Si parlerà di “prog.” o “progettazione” soltanto riferendoci a interventi che si pongono di migliorare, direttamente o
indirettamente, le condizioni di vita di gruppi ben definito di collettività facilmente individuabili. Direttamente, se i
benefici toccano i destinatari nelle loro esigenze immediate, indirettamente se il beneficio al destinatario è visto su
tempi lunghi indipendentemente dalla percezione dei beneficiari: in quest’ultimo caso spesso i beneficiari non sono
identificabili con precisione in quanto i benefici sono trasversali ai confini di singoli paesi o regioni.
Vediamo la definizione della Comunità Europea che definisce prog.: “una serie di attività finalizzate a produrre obiettivi
chiaramente specificati, entro un periodo definito e con un budget specifico”. Si fa notare che in tutte le definizioni di
prog. non devono mancare i seguenti elementi:
a. Obiettivi (benefici per beneficiari identificati);
b. Azioni;
c. Orizzonte spazio temporale;
d. Risorse.
Quindi diciamo che un prog. è è “un insieme di azioni tese al raggiungimento di benefici per espliciti destinatari, in uno
spazio e tempo definiti e con risorse determinate”.
In particolare definiamo un prog. di sviluppo definendolo come un “insieme di azioni, parti di un processo che non si
esaurisce con il termine del prog., ma esige di continuare nel tempo”. Prog. equivale a indurre un miglioramento della
realtà di determinati soggetti beneficiari in un tempo definito e in una prospettiva di lungo periodo.
• Cosa si intende per contesto difficile
Intendiamo:
e. Un contesto nel quale si assista a una rilevante distanza di natura sociale, economica, culturale o geografica tra i
beneficiari e il consesso di attori pubblici, privati, enti finanziatori e progettisti che si muovono in tale spazio e
decidono di intervenire in tale contesto. Alcuni esempi di contesto difficile secondo questa definizione sono
quelli in cui qualcuno decide di promuovere un prog. a beneficio di una categoria non facendone parte.
f. Un contesto in cui chi promuove il prog. si attende una ricaduta sulla collettività intera ovvero in cui i beneficiari
ultimi a cui verrà migliorata la vita non costituiscono un settore definito della società bensì rappresentano la
collettività stessa con al suo interno tutte le differenze.
Un prog. di sviluppo opera spessissimo in un contesto difficile.
Distinguiamo:
g. beneficiari finali: sono coloro che costituiscono la ragion d’essere del prog.; i soggetti le cui condizioni il prog. si
propone di migliorare attraverso il suo operato; spesso la loro identità è espressa nel titolo del prog. o nella
tematica d’intervento; in un prog. educativo sono i giovani in età scolare;
h. beneficiari intermedi: sono invece i soggetti che il prog. può decidere di rafforzare in quanto la loro interazione
con i beneficiari finali è giudicata importante. Tali soggetti sono quindi un valido strumento di sostegno ai
beneficiari finali o di sostenibilità e disseminazione dei benefici del prog. Sono spesso enti pubblici o enti che
interagiscono con i beneficiari finali a vario titolo come associazioni, agenzie dell’impiego, enti locali.
Esistono parimenti dei beneficiari su cui cade l’impatto del prog. durante e dopo la sua esecuzione. Essi vengono definiti
final beneficiaries, in italiano potremmo definirli beneficiari indiretti o a ricaduta ovvero quegli individui o gruppi le cui
condizioni il prog. contribuisce a migliorare come ricaduta positiva dei suoi benefici. Questi beneficiari indiretti possono
essere l’intera collettività di una regione o dei gruppi ben definiti. Se il prog. p. e. aveva come beneficiari finali il
potenziamento delle imprese di mobili di una regione, i beneficiari di ricaduta potrebbero essere i disoccupati.
• Alcune cause di fallimento del prog.
Le cause di fallimento di un prog. non sono correlate né al settore d’intervento né alle caratteristiche geografiche,
economiche, colturali in cui esso si svolge. Alcune tra le più frequenti cause di fallimento di un prog. di sviluppo:
1. Scarso o inesistente coinvolgimento degli attori chiave nelle diverse fasi del ciclo di prog., con particolare
attenzione alla fase di identificazione: coinvolgere gli attori chiave significa mettere in primo i beneficiari finali e
tutti quegli atri soggetti attraverso i quali il cambiamento può transitare. Gli attori chiave troppo spesso non
sono direttamente coinvolti fin dall’inizio nelle fasi in cui il prog. si articola: il prog. nasce a tavolino, per mano di
un esperto progettista senza un idoneo processo di analisi e concertazione tra i protagonisti del territorio.

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2. Obiettivi confusi e spesso sovrapposti alle attività: se definiamo obiettivo come beneficio, l’obiettivo diventa
qualunque cosa si desideri, si faccia e si consideri positivo. Così la frontiera tra obiettivo e attività si assottiglia
fino a scomparire totalmente.
3. Monitoraggio basato solo sull’efficienza e ridotto a rapporti periodici:il monitoraggio è un processo che
accompagna la realizzazione di un prog. per anticipare il concentrarsi di rischi e mettere in atto le manovre
correttive che ne potrebbero salvare la vita. Il monitoraggio è quindi una funzione strumentale al successo di un
prog. e non può ridursi a un rapporto periodico condannato quasi inevitabilmente a giacere inutilizzato nel
cassetto di colui che ne richiede la redazione. Si ricorda che il monitoraggio è una tra le tante attività di un prog.,
viene fatta dal prog. stesso e dai suoi attori e nasce per aiutare il prog. e raggiungere in modo più efficace ed
efficiente i propri obiettivi.
4. Insufficiente attenzione ai fattori di rischio: l’attenzione al rischio e l’analisi dello stesso appare impopolare
perché ritarda i tempi di stesura definitiva del prog., può mettere in forse le decisioni già prese, può dimostrare
l’inutilità di attività che stanno a cuore a uno o a più patner, chiama in causa pericoli o fattori che non si
vorrebbero menzionare ai soggetti preposti a finanziere il prog. o a farlo proprio, ma comunque è un elemento
necessario per progettare con successo.
5. Insufficiente considerazione di tutti i fattori di sostenibilità: la sostenibilità ha a che vedere con la durata dei
benefici nel tempo: la capacità di tali benefici di continuare a essere fruibili nel tempo è strettamente collegata
all’attenzione che viene data sia nel momento della pianificazione,ma anche dell’esecuzione a una molteplicità
di fattori tra cui vale la pena sottolineare:
-il ruolo degli attori istituzionali;
-l’appropriazione del prog. da parte dei beneficiari finali;
-l’attenzione alle tecnologie messe in gioco con i costi e i vincoli che esse sottendono;
-la presa in considerazione degli aspetti ambientali, culturali e di genere;
-la capacità di gestione tecnica e finanziaria degli enti esecutori;
-la presenza di idonee risorse umane e/o finanziarie al di là del termine delle attività
Un prog. che crea benefici solo fintanto che è in piedi costituisce un completo fallimento.

• Il progettista
Non ci può essere uno sviluppo sostenibile fintantoché i prog. saranno formulati a tavolino dagli esperti di
progettazione. Lo sviluppo non si può pianificare sul web o neanche nello spazio di una notte o negli uffici di una società
di consulenza. Se si trasferisce il monopolio della conoscenza e dei processi decisionali fuori dalle mani di coloro che
saranno i destinatari di ciò che il prog. deciderà di raggiungere, ci si condannerà fon forte probabilità al fallimento.
• Il ciclo o i cicli del progetto?
I manuali sulla progettazione amano riferirsi al ciclo di prog. presentato dall’UE in 6 fasi:
Va segnalato che la stessa commissione ha soppresso la fase di
Programmation
finanziamento rendendo il ciclo classico a 5 fasi.
Adesso esporremo due cicli separati e distinti che mostrano
un’ottica diversa. Si tratta di due diagrammi che si Evalutation Identificatio
interfacciano abitualmente nel panorama del mondo della n
progettazione. La differenza si basa sull’appropriazione Mise en oeuvre Instruction
(ownership) del processo decisionale relativo ai passi in essi
descritti. Financement
Il primo diagramma, il ciclo del progetto, rappresenta le fasi
attraverso cui passa il prog. dalla sua nascita alla sua conclusione. L’ownership di ciascuna fase è in mano agli attori
chiave ed esecutori del prog. il secondo diagramma rappresenta i riferimenti esterni ovvero un ciclo che non appartiene
al prog. ma che gli può fare da sfondo se lo stesso decide di seguire le fasi. Un terzo diagramma rappresenta le
interconnessioni possibili, ma non necessarie, tra i due cicli. Qualora un’organizzazione sia indipendente da finanziatori
esterni sarà solo il primo diagramma a descrivere le fasi attraverso cui i loro prog. transiteranno, tali interventi non
saranno quindi imbrigliati dentro i paletti posti dai riferimenti esterni ma seguiranno solo le tappe descritte dal ciclo dl
prog.

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La fase di definizione di settore rappresenta la scelta del tema
Definizione o settore d’intervento e sancisce la natura del prog. Un prog.
settore nasce sempre dalla decisione di intervenire in un settore
circoscritto; se esso si rivolge a molti settori tra loro eterogenei
diventa un programma. Definire il settore vuole dire anche
Realizzazione definire chi saranno i beneficiari finali del prog. Il terzo
Analisi
elemento che contraddistingue questa fase è la definizione del
Allocazione settore comprende la decisione sul “che cosa, chi e dove”. Le
Riformulazione
delle risorse due fasi che seguono di analisi e formulazione descrivono l’una
(l’analisi) le tappe volte a definire i soggetti che
Formulazione parteciperanno al prog. Con le loro visioni della realtà e le loro
Progettazione
scelte sugli obiettivi da raggiungere, l’altra (la formulazione)
esecutiva
descrive i passi da fare per formalizzare i contenuti progettuali
in tutti i dettagli più importanti organizzati sul modello del Quadro Logico.
Ci sono progetti che, una volta maturata la decisone del finanziamento (definita allocazione delle risorse), prima di
entrare nella fase operativa, quella della realizzazione hanno bisogno di un ulteriore fase di riformulazione o
progettazione esecutiva.
In seno alla realizzazione si potrebbero distinguere le sottofasi del monitoraggio (che inizia e finisce con la realizzazione
delle attività) e della valutazione in itinere che rappresenta un momento di riflessione sul prog. e di presa di decisioni
strategiche, dato da uno sguardo esterno.
Nel secondo diagramma, sui riferimenti esterni, vediamo che nella fase di programmazione vengono stabilite le linee a
medio e lungo termine relative ai paesi o aree geografiche,e chiarite le priorità di intervento in termini settoriali, politici,
operativi e finanziari. La
programmazione viene fatta Programmazione dagli
enti finanziatori unitamente ai
governi centrali e locali. Nella Definizione
regolamentazione vengono settore
stabilite le regole del gioco, Valutazione finale
ovvero i pacchetti contenutistici (ex post) Realizzazione Analisi Regolamentazione e
finanziari che spesso si
accompagnano con apposite Formulazione
linee guida e formulari di
presentazione. Nel
Finanziamento
finanziamento le decisioni
vertono su quali proposte meritano di essere finanziate e a quali condizioni. Nella valutazione finale o ex-post,infine, il
prog. viene analizzato come banchmark per trarre conclusioni relative a un eventuale nuova pianificazione strategica di
medio-lungo termine.
Le linee tratteggiate indicano i collegamenti tra il ciclo del prog. e il quadro di riferimento che eventualmente lo
accompagna. All’inizio del ciclo il cerchio il cerchio esterno fornisce input al prog. e in parte ne condizione le fasi; dopo la
fase di realizzazione è il prog. a fornire input al cerchio esterno attraverso la valutazione finale o ex-post e condizionare
almeno in parte la programmazioni a venire.
1. Pianificare la destinazione - Fase di definizione del settore
Il settore della progettazione viene definito da chiunque ha interesse al miglioramento della realtà, e pensa di produrre
tale miglioramento tramite un prog., oppure chiunque veda in un prog. che tocca un determinato settore della realtà un
mezzo per raggiungere benefici per sé o per la propria organizzazione di appartenenza.
1.1 Come si formalizza un settore: cosa, chi e dove
Definire un settore significa definire su che cosa ci si concentra, chi ne verrà toccato positivamente e dove si vuole
produrre tale cambiamento. La definizione del settore non può essere generica su nessuno di questi tre aspetti, nel
senso che chiunque verrà coinvolto nel progetto devve assolutamente avere chiarezza su questi tre punti. Un errore
molto frequente è quello di identificare il settore anticipando le attività o i prodotti che si ha in mente di creare. Il
settore quindi va scelto in modo chiaro, esplicito, vincolato a destinatari e localizzazione e soprattutto definito senza
indicare cose che si potrebbero dare per migliorarlo. Distinguiamo: le tematiche in cui è ben definita una tipologia di

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beneficiari (giovani in cerca di prima occupazione) che definiremo tematiche a target definito ovvero oriented; dall’altro
lato le tematiche incentrate su quei settori che toccano trasversalmente la popolazione intera di una determinata zona
(l’ambiente) che definiremo a target trasversale, cross cutting target.
1.2 Come si sceglie il settore: l’analisi delle opportunità
La scelta di un settore e dei suoi elementi costitutivi passa attraverso l’analisi di opportunità: tale analisi dovrebbe
concentrarsi su diversi aspetti che chiamiamo elementi di analisi (fattori di sostenibilità). Ciascun elemento di analisi
potrebbe dare origine a un ventaglio di domande che aiutano a selezionare il cosa, dove e chi. Un settore può essere
selezionato perché ritenuto strategico, perché risponde alla mission di chi decide di progettare, perché esiste esperienza
pregressa in quel settore o più banalmente perché ci sono finanziamenti disponibili. Un luogo piuttosto che un altro o
un target group piuttosto che un altro può essere preferito perché si hanno maggiori informazioni al riguardo, oppure si
è già lavorato in quella zona o con quelle persone. Qualunque settore sia prescelto e qualunque sia la motivazione che
ha spinto a sceglierlo deve esistere una vera necessità di miglioramento (situazione di bisogno) e il prog. deve esser
fatto rientrare in una logica strategica di sviluppo per cui non si trovi a essere come un’isola in mezzo al mare, ma
diventi un tassello che si possa relazionare con altri tasselli in un sistema organico e pianificabile. Nessun prog. da solo
crea sviluppo, ma può concorrere a crearlo solo se non è abbandonato a se stesso.
Una volta definito il settore, il primo dovere di chi si sta avviando in questo processo è quello di cercare e mettere
insieme tutta l’informazione disponibile sua sulla tematica sia sul territorio che sui beneficiari scelti e informarsi sui
contenuti di tale base conoscitiva.
1.3 La molla che spinge alla scelta: l’interesse
Elementi di analisi Momento dell’analisi Domande chiave per un analisi di opportunità
Occasioni offerte e vincoli posti Prima di ogni definizione -Quali territori, settori, beneficiari sono prioritari per gli enti
da eventuali finanziatori finanziatori?
-Quali sono prossimi ad essere lanciati?
Coinvolgimento istituzioni e Prima di ogni definizione -Ci sono con cui sussistono canali relazionali o comunicativi
attori chiave preferenziali?
-Ci sono localizzazioni geografiche su cui si ha maggiore probabilità
di successo?
Politiche e normativa esistente in Dopo aver definito la -Dato un determinato territorio, ci sono politiche che potrebbero
fieri localizzazione in termini ampli ed facilitare la vita ad un prog. in aree specifiche?
eventuali diversi settori -Ci sono criticità evidenti per qualche tipologia di beneficiario?
-Ci sono opportunità evidenti o latenti che le leggi e norme locali
potrebbero offrire o appoggiare?
Capacità tecniche dei diversi Dopo aver definito la -Si possono sfruttare le conoscenze esistenti sul territorio dai
soggetti localizzazione in termini ampli ed diversi soggetti chiave per massimizzare l’efficacia dell’intervento?
eventuali diversi settori Quali settori o target groups permettono di massimizzare le
capacità o le eccellenze presenti?
Fattori culturali e sociali Sgrossate le 3 variabili onde -Quali sono le particolarità culturali e sociali del target group
definirle meglio e prima della selezionato?
fase di analisi -Quali opportunità possono offrire le particolarità evidenziate?
Problematiche di genere Sgrossate le 3 variabili onde -Come si po’ massimizzare un approccio orientato al genere
definirle meglio e prima della mixando al meglio le tre variabili luogo, settore e destinatari?
fase di analisi -Cosa offre il contesto selezionato per massimizzare la possibilità
di offrire pari opportunità di genere?
Fattori da analizzare in momenti successivi
Fattori ambientali Dopo la scelta delle attività
Situazione del mercato Dopo la scelta delle attività
Appropriatezza delle tecnologie Dopo la scelta delle attività
Disponibilità economiche Dopo la scelta delle attività
Le modalità di approccio al prog. faranno si che questo sia più o meno vincente: l’interesse di cui si parla può essere di
natura diversissima (interesse filantropico o caritativo, interesse collegato alla propria mission, interesse economico).
Ogni interesse, anche quello legato a considerazioni prettamente economiche è positivo in quanto spinge ad agire,
purché non diventi esso stesso l’obiettivo finale di quello che verrà fatto.
2. Decidere i compagni di viaggio e le tappe – Fase di analisi
2.1 Analisi degli attori chiave
nell’analisi degli attori si identificano i soggetti da contattare per massimizzare la possibilità del futuro prog. di avere
successo o i soggetti che potrebbero costituire un pericolo per lo stesso. Un attore chiave è prima di tutto un portatore
di interesse (stakeholder).
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• Perché una molteplicità di attori?
1. Per poter essere efficaci nel cambiare un dato status quo è necessario e irrinunciabile conoscere tutti gli aspetti
che costituiscono la realtà da modificare con le eventuali interrelazioni tra gli aspetti stessi. Gli attori
condivideranno tra di loro la propria visione della realtà: ogni attore quindi deve portare nel prog. le proprie
conoscenze e i propri interessi. Queste diversità costituiscono il primo punto di forza di qualunque gruppo di
attori ben costituito. Non tutti gli attori potranno rientrare nel partenariato, lo faranno soltanto se la loro
visione sul cambiamento atteso sarà in linea con quella dei promotori dell’iniziativa.
2. Il cambiamento, qualunque esso sia, passa attraverso il tessuto connettivo del territorio e dei soggetti che in
esso si muovono. I destinatari del progetto che si vuole identificare non sono isolati ma operano in un contesto
che interagisce continuamente con essi: il coinvolgimento di tale contesto fa parte del cambiamento che si
vuole vedere e ne costituisce un elemento irrinunciabile, con i suoi vantaggi e i suoi ostacoli.
Per ottenere un cambiamento durevole in una qualunque realtà la prima cosa importante da fare è cercare di osservare
tutte le sfaccettature di tale realtà, in particolare quelle non immediatamente evidenti che spesso sono quelle su cui si
gioca il successo o il fallimento degli sforzi per cambiare. La realtà che ci proponiamo di modificare non è mai oggettiva.
• Chi selezionare
Si definiscono gli attori chiave da prendere in considerazione come caratterizzati da:
-una conoscenza della realtà da modificare;
-un interesse a che il cambiamento si produca;
-la disponibilità e la voglia di fare qualcosa per contribuire al cambiamento.
Le tre parole chiave sono: conoscenza, interesse, disponibilità a contribuire.
Tra gli attori chiave non dovrebbero mai mancare:
- I beneficiari finali;
- I beneficiari intermedi (ovvero quelli che si reputano strumentali per interagire positivamente con i beneficiari
finali. Tra questi si includono eventuali organismi che si pensano probabili esecutori di attività);
- Gli enti promotori dell’iniziativa;
- Gli enti locali nella cui mission si riscontra lo sviluppo del territorio e dei suoi abitanti;
- I settori profit e no profit.
Si aggiungono altre due tipologie di attori chiave:
- L’ente finanziatore;
- Le parti lese ( attori che ricevono un danno dal cambiamento dello status quo). Tali soggetti sono da tenere in
dovuta considerazione, ma non necessariamente coinvolgere in maniera diretta nel tavolo di progettazione.

• Come procedere nella selezione?


Nell’analisi degli attori chiave è fondamentale che il promotore di prog. segua4 fasi:
1. Identificare tutti i potenziali soggetti (individui, enti, organizzazioni):
a. Che sono di rilevanza centrale nello sviluppo del territorio in cui ci si muove (il comune o altro ente locale);
sono di solito istituzioni dotate di potere nei processi di cambiamento;
b. Che potrebbero favorire con il loro supporto il cambio dello status quo dei beneficiari; soggetti molto vicini
ai beneficiari finali anche se non centrali nello sviluppo territoriali (servizio sociale);
c. Che sono influenti in quanto costituiscono un punto di riferimento morale, culturale o religioso per i
destinatari del prog. (prete, capo tribù);
d. Che detengono conoscenze e informazioni importanti riguardo i destinatari del prog. (l’università, le
associazioni, enti che hanno svolto ricerche studi).
Tale identificazione può essere avvalorata dall’uso di una matrice che soppesi le 4 tipologie descritte dando una
valutazione da 1 a 3 al ruolo dell’attore nel processo di cambiamento auspicato.
Attore Centralità territoriale Supporto Riferimento Conoscenza Totale

Si noti che la colonna del totale da sola non basta a indicare la “bontà” di un attore; un attore deve essere valutato
rilevante (punteggio 3) in almeno un’area per poterlo considerare centrale nel partenariato anche se non influente in
altre aree. Al contrario, un attore che riceva punteggio 1 in diverse aree sarebbe certamente assai meno interessante a
parità di totale.
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2. Identificare con chiarezza cosa si vuole dai soggetti selezionati nel punto precedente ovvero il perché si desidera
avere a bordo ciascuno degli attori proposti e come ci si può aspettare che esse contribuiscano al successo del
prog. che nascerà. Se non si riesce ad individuare un interesse abbastanza forte probabilmente non ha senso
continuare a considerarlo.
3. Identificare quali potrebbero essere gli interessi che si andrebbero a soddisfare in ciascuno degli attori sopra
individuati se coinvolti nell’identificazione/realizzazione del prog.
4. Analizzare se sussistono rischi, vincoli od obblighi correlati alla scelta di una determinato soggetto rispetto agli
altri. Tale identificazione si può fare mediante un’analisi di punti di debolezza dell’attore e minacce che la scelta
di un attore potrebbe portare con sé nel territorio di riferimento vis a vis con un possibile prog.
Si sottolinea che l’analisi degli attori è strumentale al coinvolgimento pratico degli stessi nel prog. In questa ottica
appare abbastanza inutile elencare attori generici (donne, giovani, lavoratori): tali tipologie espresse in modo così
indefinito non sono in quanto non è pensabile coinvolgere tutte le donne, tutti i disoccupati. Rispetto al target
considerato bisogna dettagliare chi concretamente potrà rappresentare gli interessi e il punto di vista delle tipologie di
attori messi in evidenza (per esempio avrebbe senso parlare dell’associazione di donne X).
Nome Descrizione attore Contributi sperati (perché il prog. Probabile interesse (perché l’attore Rischi o vincoli potenziali (quali
attore ha bisogno di questo attore?) potrebbe avere bisogno del prog.?) elementi di ostacolo l’attore
porta con sé?)

Limitare il numero degli attori chiave ai soli più rappresentativi è utile per un veloce, snello e corretto svolgimento di
tutte le fasi che seguono. Adesso bisogna verificare con gli attori veri e propri s ele aspettative e i contributi sperati sono
nella realtà rispecchiati negli interessi e disponibilità dei soggetti in carne e ossa del territorio. Tale verifica si può fare
tramite visite di persona, contatti telefonici o telematici. La matrice provvisoria non va condivisa tra gli attori che
costituiscono il partenariato: essa è solo uno strumento in mano al promotore del prog. per creare in modo efficace un
partenariato di successo.
• Attori particolari
1. Le parti lese: sono attori che traggono un danno dal miglioramento dello status quo dei beneficiari del prog.
qualora ciò avvenga. Incarnano perciò fattori di rischio del prog. La valutazione circa l’opportunità di coinvolgere
le parti lese in un prog non si può che valutare caso per caso, senza una regola predeterminata. In generale si
può affermare che il coinvolgimento è da ricercare quando si vede l’esistenza di spazi compatibili di reciproco
beneficio di fronte a un futuro cambiamento indotto della realtà.
2. Gli enti finanziatori: questo attore è costituito dagli enti finanziatori, ovviamente qualora un prog. decida di
contare su questa categoria di organismi che non sempre sono presenti. Non è scontato che avvenga il
coinvolgimento nella cordata di progettazione, anzi accade piuttosto raramente: l’ente finanziatore va
comunque sempre testato prima di selezionare il settore, quando si voglia contare sul suo contributo, e tenuto
informato in tutte le decisioni prese, consultato sull’identità/opportunità dei partner che si pensa di coinvolgere
e sulla direzione che un prog. sta imboccando nella fase di analisi o di formulazione.

• Dare vita ad un partenariato


Un partenariato è uno strumento di efficacia di cui il prog. ha bisogno per modificare la realtà dei suoi beneficiari finali,
e tale bisogno è direttamente proporzionale al bisogno che ogni singolo partner ha del prog. Questi due bisogni
dovrebbero essere di intensità analoga affinché il partenariato duri e assolva la sua funzione strumentale. Se uno dei
due bisogni è più forte dell’altro si raggiunge una situazione di squilibrio in cui è il prog. a indebolirsi. Creare un
partenariato è un processo che si compie con piccoli passi e, cosa fondamentale, che nasce prima della nascita del prog.
Il promo passo che sai può compiere e che potrebbe sancire la nascita di un partenariato efficace è l’avviamento di un
processo di ownership (senso di appartenenza) attorno al prog. che si sta per mettere in piedi. Tale ownership si ottiene
con la concertazione. La migliore forma di concertazione e anche la più veloce e al contempo efficace è il workshop o
laboratorio, situazione nella quale gli operatori possono riunirsi fisicamente, ognuno con i suoi particolari interessi, le
sue idee, le sue aspettative, per dar vita al progetto. In effetti il primo contributo che viene chiesto a ogni parte in causa
è il tempo, risorsa preziosa come nessun’altra.
Un tavolo di concertazione è un luogo dove gli attori possono confrontarsi. Affinché il confronto abbia senso è richiesto
che ogni organismo o ente coinvolto sai presentato da individui sufficientemente autorevoli (decision makers).

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2.2 Analisi dei problemi
Se si vuole produrre un cambiamento è perché esiste qualcosa che non viene percepito come soddisfacente. L’analisi
dei problemi ci porta a capire che non va, che non mi piace, che vogliamo che cambi. L’analisi dei problemi costituisce
l’asse portante della metodologia di progettazione orientata agli obiettivi; essa passa attraverso 3 sottofasi:
1. Raccolta e registrazione dei problemi;
2. Verifica sulla comprensione;
3. Costruzione dell’albero dei problemi.
1.Raccolta e registrazione dei problemi. Questo passaggio si divide concettualmente in due momenti:
- il momento di preparazione di chi conduce il processo di progettazione. Ogni processo di progettazione deve avere un
responsabile, capofila o attore trainante. Nella fase embrionale del prog. tale attore assume, eventualmente insieme ad
altri attori di rilievo, la responsabilità di raccogliere e analizzare tutta l’informazione disponibile circa la realtà che si
intende modificare. La raccolta e la disamina dei dati può anche risultare un processo veloce, in quanto si può essere
testimoni di scelte strategiche che implicano lavoro presso realtà marginali in cui esiste pochissima letteratura, oppure
tale tappa può necessitare di tempi lunghi per l’abbondanza di materiale trovato. Non ci sono regole al riguardo;
internet può essere un grande alleato, ma non può sostituirsi ad un’opera di scouting che un leader accorto potrebbe
dare con il supporto di organismi locali prima ancora di fissare il partenariato di attori chiave.
-il momento di raccolta e prima analisi. I problemi possono essere raccolti con una molteplicità di strumenti: possono
emergere da statistiche, studi, pubblicazioni, d internet oppure attraverso il brainstorming, di cui noi ci occuperemo.
Questo passo comincia contemporaneamente all’inizio lavori di un eventuale workshop. Il workshop per avere successo
ha bisogno di una figura di facilitatore, meglio se estranea al partenariato, che deve conoscere non i contenuti di cui si
parlerà, ma il processo e le modalità in cui il workshop si svolgerà nei suoi diversi passi.
La prima parte del workshop consiste nella presentazione in plenaria dei partecipanti: si richiede di introdurre le
motivazioni che hanno spinto ogni attore a investire il proprio tempo e le proprie energie nel settore selezionato e con i
beneficiari stabiliti. Prima di entrare nel vivo del laboratorio è ancora necessario passare all’enunciazione degli obiettivi
del workshop e del programma per le 2 o 3 giornate di durata complessiva. Si lavorerà con l’uso di cartoncini per
visualizzare le idee che emergeranno. È importante, se si decide di usare i cartoncini, di premunirsi di una colla
riposizionabile per attaccarli si grandi fogli di carta appesi a guisa di lavagna di fronte a i partecipanti disposti a ferro di
cavallo semplice o doppio a seconda del numero e delle dimensioni della stanza. La funzione dei cartoncini:
a) Far risparmiare tempo rispetto al classico giro gi tavolo nel quale ognuno occupa il tempo che vuole esprimendo
come vuole i propri punti di vista: il cartoncino delimita lo spazio a disposizione di ognuno. Si evita così la
sequela di interventi in interminabili giri di tavolo dove gli oratori, spesso molto prolissi, parlano in un contesto
dove l’attenzione generale cala a ogni minuto che passa;
b) Registra i concetti chiave che quindi restano scritti fin dal primo momento: il verbale dell’incontro comincia da
subito e sono tutti gli astanti che lo stanno redigendo;
c) Colloca ogni individuo/organizzazione sullo stesso livello di importanza rispetto agli altri, il cartoncino da la
stessa rilevanza e la stessa visibilità a ogni partecipante;
d) Rende ogni partecipante protagonista: ognuno ha sia la possibilità che il dovere di esprimersi, non c’è spazio per
il silent partners, ognuno è artefice di ciò che costruisce e porta il suo mattone alla costruzione del muro.
L’ownership è il punto di forza di questa pratica.
Prima dell’inizio del workshop il facilitatore avrà formulato sotto forma di problema il tema inerente il settore scelto,
inoltre, nell’enunciarlo non deve mancare la definizione dei beneficiari a cui ci si intende indirizzare:
-target definito: sarà sempre opportuno che l’enunciazione del settore, oltre a contenere la localizzazione geografica,
contenga il target in modo esplicito. Quindi non mancheranno il cosa, il chi e il dove (es. alti livelli di escusione dal
mercato del lavoro tra i giovani 18-26 anni nell’area dei comuni X e Y);
-target trasversale: in questi casi la specifica dei beneficiari può considerarsi non apportatrice di un valore aggiunto e
può quindi non essere espressa perché ciò che interessa è il fenomeno. Qui è importante il cosa e il dove, non tanto il
chi, a meno di casi molto specifici(es. eleva contaminazione del torrente Lagunilla a vale del comune di Beltran).
L’enunciazione del caso sarà riportato in un cartoncino di colore giallo: questo serve a ribadire a tutti il settore in cui il
prog si muoverà, obbligando a definire in modo concreto e diretto il campo d’azione e i confini in cui ognuno è libero di
spaziare. Ogni partecipante verrà invitato a scrivere sul proprio foglio di carta un certo numero di problemi che egli
reputa importanti e di urgente risoluzione. La regola è che ogni problema che un partecipante scrive sia:
✓ collegato con il problema principale da cui si è partiti;

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✓ reale e sperimentato dal punto di vista dell’attore che lo enuncia e non sentito dire;
✓ (solo nel caso di target definito) fonte di dolore e di frustrazione per i beneficiari finali o per coloro che con essi
interagiscono e perciò urgente per quanto attiene i tempi di risoluzione.
La domanda chiave da porre nel momento che si richiede la scrittura dei problemi cambia a seconda che si stia
lavorando su di una tematica a target definito o a target trasversale:
✓ Target definito: quali sono i problemi rilevanti dal vostro punto di vista in relazione al problema di partenza?
✓ Target trasversale: quali sono i problemi che si possono considerare causa del problema principale?
Fatta la domanda chiave è opportuno spiegare che si richiede a ognuno un numero limitato di problemi, da un minimo
di 1 a un massimo di 3-4. Ogni attore scriverà per proprio conto i suoi problemi, poi verà invitato a scegliere uno
soltanto tra questi: il più rilevante e importante dal proprio punto di vista. Comincia così quello che chiameremo primo
round di brainstorming.
Il problema scelta dall’attore verrà poi riportato su di un cartoncino giallo identico a quello in cui si è registrato il
problema di partenza. Si avranno in bella vista davanti ai presenti tanti cartoncini gialli scritti quanto numerosi saranno
gli attori. Nel momento in cui si richiede ai partecipanti di registrare sul cartoncino è utile introdurre tre regole base e
scriverle su di un cartoncino per darle maggior importanza:
✓ un sono problema su di un cartoncino;
✓ massimo tre righe;
✓ scrivere in stampatello maiuscolo.
2.Verifica sulla comprensione (check for understanding)
Questo passaggio è finalizzato a cercare di parlare tutti la stessa lingua. Ciò che è importante è capire se gli attori si
trovano in accordo o disaccordo: il facilitatore bloccherà ogni intervento polemico, spiegando che ci sarà spazio per
discutere più avanti nel workshop, perché questa fase è finalizzata solo a che tutti siano a conoscenza dei diversi punti di
vista. È importante capire qual è il problema e a chi è riferito, se dietro vi siano altri problemi o sia la sommatoria di più
situazioni. Il facilitatore non dovrà mai chiedere se c’è qualcuno che vuole spiegare un problema ma chiederà se il
portatore dell’idea ha voglia di condividerla con il gruppo.
• Le 5 caratteristiche di un problema ben formulato
Secondo queste caratteristiche i problemi sono ben formulati quando sono:
a. Espressi in termini negativi, o esprimenti situazioni negative come un vero problema, non come delle attività
auspicate;
b. Reali, basati cioè su fatti concreti e non su idee, luoghi comuni o opinioni;
c. Univocamente formulati, cioè chiariti, comprensibili quindi a chiunque legga quella formulazione, anche se
esterno al workshop;
d. Specifici, riferiti cioè a aspetti o elementi precisi (persone, luighi, tempi, qualità) qundinon generici o astratti;
e. Non contenenti una soluzione.
a.È frequente leggere formulazioni del tipo “giovani meglio informati”: è sufficiente in questi casi cambiare l’aggettivo o
mettere una negazione nella frase “giovani male informati”. Il cartoncino va corretto in modo che dalla formulazione
appaia l’immagine di qualcosa che si giudica negativamente e pertanto andrebbe cambiato.
b.Si fa riferimento alla tendenza delle persone a mettere in evidenza propri giudizi personali che a volte riprendono
conflitti non risolti o a nascondersi dietro la banalità dei luoghi comuni. Pertanto l’atteggiamento vincente è quello di
approfondire quali contenuti reali potrebbero nascondersi dietro. La domanda da porre è “Quando dice questo a che sta
pensando?” oppure “Nella realtà cosa si osserva a questo proposito?”
c.Chiunque li legge dovrebbe capire la stessa cosa purché tale cosa rispecchi esattamente l’idea di colui che l’ha
espressa.
d.Questo punto è simile al precedente: ci si riferisce a formulazioni da cui , per incompletezza, non si evince di chi e di
che cosa esattamente si sta parlando. Specifici significa riconducibili chiaramente a un chi e a un che cosa nella loro
formulazione definitiva (es. “scarsa informazione” modificata in “scarsa informazione da parte dei servizi per l’impiego
sull’offerta di lavoro;
e.Il problema non deve contenere soluzioni:un elemento che può far suonare il campanello d’allarme della soluzione
assente è la presenza del termine “manca” e di tutti i suoi sinonimi; inoltre deve esser presente anche la “soluzione”
cioè lo strumento che l’attore ha identificato per risolvere il vero problema che egli sottintende, ma di cui non ha ancora
parlato. Un problema provoca dolore e pertanto va a toccare la sfera emozionale, una soluzione mancante come
“manca lo sportello” o “manca la pianificazione famigliare” non provoca di per sé nessun dolore ma contengono al loro

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interno delle soluzioni, come ad esempio lo sportello risolve un problema di disorientamento giovanile o la
pianificazione famigliare può risolvere un problema di gravidanze indesiderate: questi aspetti sono collegati a dolore e/o
frustrazione degli individui coinvolti. La soluzione assente rappresenta una possibile soluzione a un problema, ma non
sappiamo se sia l’unica e soprattutto se sia la migliore tra tutte quelle possibili. Quando si scopre una soluzione assente
è importantissimo fare le domande giuste per far emergere quale sia il problema che la soluzione dovrebbe contribuire
a risolvere. Una domanda che spesso si rileva vincente è “Se la soluzione X si rendesse possibile qual è il miglioramento
che osserverebbe nella realtà dei destinatari a tale soluzione?”. Quando ci si trova di fronte a una soluzione assente è
assolutamente doveroso risalire al suo (o ai suoi) problema corrispondente.
Non si può creare uno sviluppo efficace partendo dalle soluzioni mancanti: esse sono paraocchi che ci impediscono di
prendere in considerazione tutte le altre possibili varianti, che limitano la soluzione dei problemi alla prima istanza,
spesso anche la più scontata, che ci impediscono di porci la domanda che porta al successo: “In quali altri modi migliori il
problema si potrebbe risolvere?”.
• Procedura di verifica per la comprensione
I problemi si disporranno in una o più colonne da un lato dello spazio di fronte ai partecipanti; poi si analizzerà un
cartoncino per volta, senza mai passare al successivo prima che sia stato toccato in modo esaustivo e se opportuna
riformulato per renderlo più chiaro e conforme ai 5 punti. Ogni problema sviscerato si collocherà dalla parte opposta
alla colonna di quelli ancora da trattare, finché tutta la colonna dei problemi sarà trasferita da un lato all’altro dello
spazio di fronte ai partecipanti. Accadrà di sicuro di avere duplicazioni di punti di vista, ovvero lo stesso concetto
espresso da più persone, anche se con parole diverse: in questo caso è indispensabile lasciare uno solo dei problemi
doppi o tripli attaccando i doppioni nel retro della formulazione più leggibile evitando quindi in gesto antipatico di
gettarli nella spazzatura (si ricordi che sono dei contributi di attori chiave e che ognuno guarda al proprio cartoncino
come a un proprio “parto”) in questo modo tutti i contributi si troveranno in gioco.
Terminato il primo round di problemi (si ricordi che è stato chiesto ai partecipanti di registrare solo un problema tra i 3-4
identificati) si da il via al secondo round con la domanda seguente “Ci sono nelle vostre liste problemi che al momento
non sono ancore stati trattati?”. Raccolti i problemi del secondo round si continuerà con la verifica fino a che tutti i
problemi degli astanti non si troveranno espressi di fronte al gruppo.
3.Costruzione dell’albero dei problemi
Dall’esperienza possiamo evincere che il tempo a disposizione di un workshop in cui siano presenti gli attori chiave è
regolarmente inferiore a quello necessario per fare un lavoro metodologicamente impeccabile, perciò vale la
raccomandazione di cercare di limitare il numero di problemi, senza limitare molto la qualità.
L’ultima sottofase dell’analisi dei problemi è la costruzione dell’Albero dei Problemi (a.p.). L’a.p. è una struttura che
mostra i legami causa-effetto esistenti tra i problemi identificati dagli attori. Si cerca di individuare l’esistenza di legami
che uniscano tutto quanto emerso nella fase precedente. Convenzionalmente l’accordo è che se due problemi sono
collegati direttamente come causa-effetto, la causa si colloca sotto e l’effetto sopra. Se esistono due o più cause dello
stesso effetto, sempre le cause staranno sotto e l’effetto si posizionerà in centro al di sopra delle cause. Se tre cause o
tre effetti stanno allo stesso livello implica che tra di loro non sussistono legami immediati e non raggiungibili con lunghi
ragionamenti o attraverso il realizzarsi di eventi intermedi.
• Le trappole più frequenti
Quando ci si appresta ad iniziare la costruzione dell’a.p. è opportuno fare particolare attenzione a diverse trappole che
possono rendere piuttosto difficile tale operato.
✓ Problemi a matrioska. Ci si trova a confrontarsi con tale tipologia quando due problemi appaiono strettamente
correlati tra di loro ma non è possibile determinare il nesso di causalità semplicemente perché uno è contenuto
nell’altro, ovvero uno è generico e l’altro è specifico (es. ”Pratiche agricole scorrette” e “Eccessivo uso di
fertilizzanti chimici”). Sull’albero non possiamo lasciare entrambi: la soluzione migliore è quella di rendere il
cartoncino specifico più generico dettagliando di quali pratiche stiamo parlando.
✓ Problemi travestiti. Sono problemi che apparentemente sembrano nuovi, ma in realtà la diversità con altri
problemi discussi è solo apparente perché esprimono lo stesso concetto di questi utilizzando solo parole diverse
(es. “esclusione donne dal mercato del lavoro” e “Alti livelli di disoccupazione femminile”). In questi casi è
opportuno spiegare che il significato se non identico è perlomeno molto simile. La soluzione è attaccare uno dei
due cartoncini sotto l’altro in modo da farlo sparire alla vista. Si lascerà in vista il più ampio tra i due se non sono
esattamente identici, altrimenti quello più facilmente leggibile.

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✓ Problemi circolari. Ci si trova con due problemi che, anche se molto diversi tra di loro, potrebbero essere
benissimo visti come causa ed effetto, indifferentemente l’uno dall’altro (es. “Fuga dei cervelli” e
“Disoccupazione”). Nell’albero però bisogna operare una scelta: per scegliere ci si deve porre la seguente
domanda “Oggi quale dei due problemi ho più facilità di risolvere per poter influire sull’altro?” la risposta sarà la
causa e l’atro il suo effetto. Se invece ci troviamo davanti a un problema più generico e uno più specifico è
opportuno che il generico sia l’effetto dello specifico.

• Procedura di costruzione dell’albero


L’a.p. si inizia a costruire quando tutti i problemi sono emersi e sono stati discussi.
Chiamiamo “spazio di lavoro” la superficie sulla quale giacciono tutti i problemi che si sono analizzati e su cui si sta
costruendo l’albero. Essi sono incolonnati, supponiamo, sul lato sinistro dello spazio di lavoro, lasciando libera l’area
centrale. L’a.p. si inizia a comporre partendo dal problema di partenza: questo viene affisso nella parte superiore dello
spazio di lavoro e in modo centrale. Si inizia così a chiedere ai partecipanti di nominare un altro problema che sia
direttamente collegato a quello iniziale. Si ricordi che si inserirà sull’albero un cartoncino per volta. La domanda da porsi
è “C’è legame causa-effetto tra questo problema iniziale e quelli che già si trovano sull’albero scendendo (o salendo) dal
problema iniziale ai livelli ad esso collegati?” Se la è negativa si apriranno nuovi rami o sotto sei problemi sono cause) o
sopra (se i problemi sono effetto) rispetto al problema iniziale.
Soltanto quando l’ultimo problema è stato inserito si possono tracciare le linee di collegamento tra i problemi. È buona
prassi ch le linee partano dal centro di ogni cartoncino e si muovano in orizzontale o in verticale, evitando le linee
oblique.
• Considerazioni sulla costruzione dell’albero
✓ L’albero si può incominciare a costruire da qualsiasi problema. È però consigliabile cominciare il primo passo
partendo dal problema centrale in quanto si ha la certezza che qualunque altro problema sia esso collegato o
come causa o come effetto;
✓ In questa fase è importante essere tutti d’accordo. È quindi un passaggio obbligatorio quello di raggiungere il
consenso prima di passare a un nuovo cartoncino. Quando si hanno bipolarità nel gruppo, il fatto di tornare
indietro alla spiegazione fornita dall’attore sul problema nella fase di verifica può aiutare molto;
✓ Se si vede che subito comincia il disaccordo è meglio rimettere il problema insieme a quelli ancora da discutere,
lasciandolo per un momento successivo e chiedendo di porre un altro problema;
✓ Sottolineare che il legame deve essere immediato e diretto, non prendere in considerazione legami nebulosi e
non facilmente intuibili senza necessita di spiegazioni articolate;
✓ Può succedere che tra due problemi collegati causa-effetto sussista un gap, ovvero un salto dovuto a un
problema intermedio che non è stato espresso: in questi casi il problema mancante che aiuta a far fluire la
logica di causalità può essere aggiunto sull’albero testando sempre l’assenso del gruppo;
✓ Se un problema ha legami su punti diversi dell’albero e graficamente risulterebbe difficile mostrarli con linee
troppo lunghe o arzigogolate è buona cosa riprodurlo e incollarlo due volte;
✓ I problemi che si trovano nella parte bassa dell’albero potrebbero avere legami trasversali con tutti i rami: il
facilitatore può allora fare ricordare al gruppo quale era la spiegazione fornita dall’attore proponente.

• Riflessioni conclusive
Un albero con una quindicina di problemi non dice cose nuove ai partecipanti, ha solo la funzione dimettere in ordine le
idee che bene o male tutti già condividono. Il suo vero valore aggiunto è di duplice natura:
✓ da una parte dà al gruppo una panoramica sulle priorità. Dato che la domanda iniziale è rivolta agli attori è
quella di selezionare, tra i diversi problemi quello più importante, la prima carta che si scopre nel gioco della
identificazione dei problemi è quella sulla eterogeneità delle priorità.
✓ Dall’altra parte mette in evidenza i legami esistenti tra i vari problemi secondo nessi di causa-effetto, aspetto
fondamentale nella scelta degli obiettivi e delle strategie del progetto.
Un terzo elemento di valore aggiunto, che l’a.p. potrebbe apportare se contenesse un an’analisi più approfondita della
situazione, è quello di fornire nuovi spunti di riflessione ai partecipanti con idee variegate, più approfondite sulle cause e
spunti di riflessione con un ventaglio più ampio di contenuti. Questo si ottiene con un albero che contiene un numero di
problemi superiore o vicino ai 25-30 problemi e implica tempi più lunghi ed esperienza di moderazione più consolidata;
aspetti entrambi spesso non disponibili quando si vuole formulare un prog.

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2.3 Analisi degli obiettivi (costruzione dell’albero degli obiettivi)
Se si accetta la definizione di prog. come induzione di un miglioramento nella realtà gli obiettivi sono la descrizione di
tale miglioramento. l’obiettivo si presenta sotto forma di condizione positiva raggiunta e non come processo né tanto
meno come attività o strumento. L’obiettivo descrive sempre il miglioramento di una situazione senza comprendere
nella sua formulazione il come il miglioramento avverrà. Esso esprime con il verbo preferibilmente al participio passato
perché descrive meglio di qualunque altro tempo verbale un punto d’arrivo.
Caratterizzanti di un obbiettivo ben formulato:
✓ Non implica né esprime o sottintende azioni o strategie di qualsivoglia natura. L’obiettivo non è mai la soluzione
a un problema, bensì un diverso stato di cose in cui il problema non sussiste più (es. “Metodologie di studio
obsolete” diventa “Metodologie di insegnamento dei docenti più all’avanguardia”).
✓ È possibile e ragionevole raggiungerlo in un periodo determinato (es. “presenza di criminalità” non può
diventare “Criminalità debellata”, ma almeno “criminalità ridotta”). Cercare sempre di usare locuzioni
attenuative e non assolute.
✓ Essendo un punto di arrivo e non un processo, l’obiettivo nella sua formulazione, preferisce il verbo non
all’infinito, bensì al participio passato o al presente. Problemi con il verbo all’infinito indicano più che un
traguardo raggiunto, un processo che di per sé potrebbe non avere mai fine. Il participio passato invece esprime
un punto di termine che viene suggellato da uno o più indicatori misurabili. Un’alternativa al participio passato
può essere il presente indicativo.
✓ Desiderabile sotto i punti di vista degli attori coinvolti. A volte una situazione positiva per qualcuno può
diventare negativa per altri. La formulazione dovrà tener conto della desiderabilità di tutti gli attori coinvolti
nella progettazione.
✓ Soggetto chiaramente espresso: non è saggio dare per scontato che tutti sappiano se stiamo parlando di alcuni
soggetti in particolare. Come il “chi” era un elemento importante nella formulazione dei problemi, ora lo
diventa allo stesso modo nella enunciazione degli obiettivi.
✓ Formulazione che evita di menzionare le negatività espresse dai problemi anche se collegate a una loro
riduzione (e. invece di “ridurre la criminalità” si può dire “incremento della sicurezza”). È spesso semplice
convertire una riduzione di negativo in un aumento di positivo e quest’ultimo è sempre molto più accattivante,
motivante e desiderabile rispetto al primo. È buono se l’obiettivo non contiene termini come riduzione,
decremento, calo, abbassamento, bensì termini quali migliorato, aumentato, cresciuto.
È opportuno precisare che gli obiettivi individuati in questa fase non sono ancora gli obiettivi del prog, rappresentando
semplicemente la situazione che si avrebbe qualora venissero risolti tutti i problemi individuati.
(Vedi esempi dell’albero dei problemi a pag 80 e l’albero degli obiettivi a pag 86)
2.4 analisi delle strategie
in questa fase si scelgono le strategie di successo che daranno corpo al prog. L’analisi delle strategie si declina in due
tempi separati: l’individuazione delle strategie descritte nell’albero (clustering) e la scelta delle strategie di prog.
(scoping).
• L’individuazione delle strategie (clustering)
La riflessione parte dall’obiettivo formulato a partire dal problema centrale. Definiamo strategie le diverse catene di
obiettivi, alcuni collegati tra di loro, ma tutti collegati all’obiettivo centrale (quello derivante dal problema di partenza).
Esse per la loro natura e per il modo in cui sono state generate partano all’obiettivo strategico per eccellenza. Le
strategie sono passi necessari per risolvere il problema che ha mosso gli attori a riunirsi per generare un prog. Esistono
due modalità di individuazione delle strategie:
✓ la prima modalità è quella più semplice e consiste nel dare un nome a ognuno dei rami che nascono
dall’obiettivo centrale cercando la natura della strategia. Ogni ramo denota un certo tipo di strategia a suo
modo vincente per raggiungere l’obiettivo centrale. Questo approccio è utile quando si lavora con alberi
ramificati orizzontalmente (sono la stragrande maggioranza) ed è poco consigliabile se invece la ramificazione si
sviluppa in verticale.
✓ La seconda è più completa ma anche più complessa da mettere in pratica. Essa si basa sulla logica della prima
modalità, ma la arricchisce tenendo in considerazione i rami che a loro volta susuddividono (vedi esempio pag.
89).
Va detto che l’individuazione delle strategie (il clustering) non ha nulla di scientifico: viene fatta in modo ampiamente
discrezionale, serve per suddividere l’albero in un numero di parti più facilmente gestibili rispetto alla mole degli

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obiettivi. Il clustering è strumentale alla fase di scelta che seguirà, serve per rendere quest’ultima più gestibile da parte
degli attori e restringere a un numero più limitato di ambiti la varietà di obiettivi che l’albero presenta. È opportuno non
raggruppare nella stessa strategia/cluster obiettivi provenienti da rami diversi anche se tali obiettivi rappresentano lo
stesso contenuto o comunque carattere di apparente omogeneità tra di loro (evitare clusters trasversali ai rami).
✓ La scelta (scoping)
La scelta riguarda cosa si vuole e si può lasciare dentro al prog. e cosa invece è opportuno lasciare esternamente a esso.
In una condizione ottimale si dovrebbero scegliere tutte le strategie individuate sull’albero: esse infatti denotano
obiettivi risultanti da problemi urgenti e rilevanti, collegati strettamente con il problema principale che è servito da
punto di partenza di tutto il lavoro. Però la realtà è quasi sempre lontana dalla teoria in quanto le risorse finanziarie, le
capacità umane e i tempi a disposizione per il prog. appaiono spesso insufficienti per raggiungere tutti gli obbiettivi da
includere nel prog, e quelli da escludere.
Due diverse domande a questo stadio risultano doverose:
- siamo certi che i settori evidenziati ed etichettati nel clustering siano rappresentativi di tutte le aree collegabili
all’obiettivo strategico e veramente importanti che il prog potrebbe toccare? Non potrebbe il brainstorming aver
omesso settori chiave (rami dell’albero) che semplicemente non sono emersi? Quali altri settori sono strumentalmente
importanti al raggiungimento dell’obiettivo centrale al di fuori di quelli già emersi sulle teste dei rami?
- ammesso e non concesso che la domanda posta sopra riceva una risposta positiva, esiste un metro che ci consenta di
dare in peso alle diverse aree in modo da definire una priorità di certe aree rispetto ad altre nel raggiungere con
efficacia la parte superiore dell’albero? (il principio di Pareto, formulato dal sociologo ed economista italiano nel 1897,
diceva che l’80% di un problema è risolto da un 20% delle sue cause, in altre parole che ci sono poche cause che hanno
un peso fortissimo nella risoluzione del problema e tante cause che hanno un peso molto più debole). Come si può
determinare quel 20% di cause aventi il maggior impatto sulla parte superiore dell’albero?
Per decenni i prog. sono nati da risultati di studi, ricerche, analisi ecc: l’ultima di tali strumenti è stata in molti casi
fondamentale per il buon esito degli interventi, in altri casi si è rilevata un forte ostacolo ai processi interni di sviluppo.
Una seconda scuola di pensiero invece lascia nelle mani del territorio la scelta delle strategie sulla base non di elementi
oggettivi ma di interessi, volontà e capacità degli attori stessi. Questa seconda scuola asserisce che, se gli stakeolders
valutassero un settore più importante per raggiungere l’obiettivo strategico rispetto ad un altro che invece uno studio
ad ho già fatto sull’argomento proverebbe essere più utile, la scelta degli attori del territorio sarebbe comunque la
scelta migliore. È evidente che tale approccio è soggetto a diversi elementi di rischio, tra cui non ultimo la buona fede di
chi opera nel territorio. Anche in questo caso si sono registrati successi e fallimenti da manuale.
In questi appunti sceglieremo la strategia di scelta che privilegia la volontà degli attori rispetto a quella che privilegia gli
studi: tale scelta fa perno sulla maggior ownership che un prog. così identificato dovrebbe avere e sulla convinzione che
gli attori stessi sappiano meglio di qualunque studio ciò che è migliore per lo sviluppo del loro territorio.
La procedura di scoping non è da considerare definitiva in quanto, se al momento di analizzare le attività risultasse per
qualsiasi ragione un’area poco perseguibile, oppure se nell’analisi del rischio emergessero fattori di forte pericolo, sarà
certamente opportuno abbandonare quell’aera ed eventualmente sostituirla con un’altra. Uno strumento che si può
usare al fine di semplificare il processo è una matrice che potremo chiamare “matrice di selezione degli ambiti
d’intervento” o più semplicemente matrice di scoping. Tale matrice si basa sull’introduzione di quattro criteri:
1° criterio efficacia. Maggior impatto sull’obiettivo strategico. Il primo criterio tocca l’efficacia della strategia e gli attori
valuteranno quale strategia è in grado di produrre il massimo dell’impatto sul cambiamento (quale obiettivo fa parte di
quel 20% di cause in grado di risolvere l’80% del problema).
2° criterio (tempo). Realizzabilità nel breve periodo. Gli attori giudicheranno quale area contiene obiettivi che si
riuscirebbero a raggiungere in un periodo non superiore alla durata massima consentita dal prog. Per prog. che
eccedono i due anni si considera di limitare in modo prudenziale tale durata al numero di anni meno 1 (es. in un prog. di
3 anni la raggiungibilità degli obiettivi dovrebbe essere garantita in 2 anni). Ogni attore esprimerà una sola scelta
secondo questo criterio, scelta che potrà essere diversa o identica al settore selezionato secondo il criterio precedente.
Gli attori valuteranno quale strategia raggiunge i suoi obiettivi nel minor tempo: a ben poco vale una strategia magari
molto efficace ma non compatibile con i tempi sempre troppo brevi della durata di un pro.
3° criterio (risorse finanziarie). Bassa intensità di investimenti richiesti. Gli attori giudicheranno quale area contiene
obiettivi che si riuscirebbero a raggiungere con il minore investimento finanziario. A ben poco vale una strategia seppur
efficace, compatibile con i tempi dati, se poi non è compatibile con le risorse finanziarie a disposizione.

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4° criterio (opportunità) capacità di contribuire con proprie risorse. Ogni attore giudicherà quale area contiene obiettivi
per i quali egli stesso può e vuole investire risorse e conoscenze utili al loro Attore
raggiungimento. A questo riguardo l’attore deve esplicitare quale contributo è Criterio 1 Strategia scelta
disposto a investire nell’area prescelta. Sono pochissimi i prog. che vengono finanziati Criterio 2 Strategia scelta
al 100% da un ente finanziatore. La parte scoperta da finanziamento esterno dovrebbe Criterio 3 Strategia scelta
essere coperta dal prog. stesso, ovvero con i contributi degli attori coinvolti. Criterio 4 Strategia scelta
Metodologicamente è opportuno che ogni attore esprima le sue 4 priorità su di una
scheda: la scelta è fatta da ciascun attore senza conoscere le preferenze espresse dagli altri attori e questo aspetto è di
cruciale importanza (blind brainstorming). Una volta riempite le schede vengono raccolte e i risultati trascritti in plenaria
nella matrice di selezione degli ambiti di intervento.
Criteri Strategia 1 Strategia 2 Strategia 3 Strategia 4 Strategia 5
Criterio 1
Criterio 2
Criterio 3
Criterio 4
Totale

In un prog. è sempre possibile coinvolgere nuove figure, anzi è una splendida opportunità che il gruppo di attori ne
proponga di nuovi per rendere più efficace il partenariato. Sarà compito di chi sta organizzando i lavori (il capofila del
partenariato) provvedere a un contatto esplorativo con il nuovo soggetto proposto per presentare il lavoro già fatto e
testare il suo interesse ad aggregarsi. Gli alberi dei problemi e degli obiettivi non verranno rimessi in discussione dai
nuovi eventuali entrati, ma le loro scelte sulle strategie del nascituro prog. potranno essere integrati con le altre scelte
degli attori storici e dal momento dell’ingresso di un nuovo attore, tutto il lavoro potrà risultare arricchito con i suoi
contributi nelle fasi che seguiranno.
Lo scoping ha quindi 3 funzioni fondamentali:
1 aiuta a definire qual è il contributo del prog al budget totale, ovvero la parte di prog. che non beneficerà di
finanziamenti esterni;
2 induce gli attori a venire allo scoperto e le parole acquistano maggior peso e maggior valore e non vengano facilmente
dimenticate o rinnegate;
3 aiuta a dare una direzione al prog. e a verificare se gli attori coincidono negli interessi e nelle aspettative o se ognuno
va in direzione differente rispetto agli altri.
2.5 La ricerca di scorciatoie (compromesso)
La metodologia fin qui presentata nasconde due grossi vincoli che costituiscono altrettanti punti di debolezza:
✓ La presenza di un facilitatore che abbia dimestichezza con il metodo e che sappia gestire tecniche di lavoro con
gruppi di persone e che possegga l’esperienza necessaria per fare una buona analisi dei problemi e costruire un
albero dei problemi;
✓ La disponibilità di almeno 2-3 giorni di lavoro da parte di tutti gli attori.
Questi due vincoli, a volte, rendono impossibile l’applicazione del metodo qui presentato. Il caso più frequente è che
almeno uno dei due presupposti venga a mancare, ovvero si verifica il caso in cui gli stakeholders non possano dedicare
più pi un giorno o giorno e mezzo per un lavoro in plenaria, oppure in cui il facilitatore non si senta abbastanza esperto
da riuscire a gestire l’intero processo. A rimetterci nell’uso della scorciatoia è la qualità del risultato perciò si
raccomanda di utilizzarla soltanto quando ci si trovi di fronte a reali vincoli di tempo e disposizione o quando il
facilitatore sia alle prime armi e non voglia sobbarcarsi lo stress e la responsabilità di un albero dei problemi.
Il facilitatore potrà allora procedere nel modo qui schematizzato:
1. Richiedere alle diverse persone appartenenti alla stessa organizzazione di lavorare in un gruppo come
organizzazione e non come persona singola;
2. Richiedere a ogni organizzazione di identificare, sui propri appunti, uno o più settori nel quale (nei quali) la loro
organizzazione vorrebbe che il prog. lavorasse e per il quale saranno più avanti chiamati a esplicare i loro
contributi;
3. Far registrare i un cartoncino una sola area auspicata: il settore più importante e prioritario
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4. Fare la verifica per comprensione sui settori emersi; si noti che il numero dei settori evidenziati sarà uguale al
numero degli attori e non al numero dei partecipanti;
5. Verificare i legami causa-effetto diretti esistenti tra i settori proposti; se il legame casuale esiste ed è evidente i
due settori si accorpano usando la logica cause sotto, effetti sopra;
6. Individuare i problemi nascosti dentro ogni settore. Due tappe:
a. È fondamentale che prima di individuare nuovi problemi sia formulato, sotto forma di problema, espresso in
colore diverso ciò che contraddistingue il settore (es. se il settore era “formazione professionale” non deve
mancare un problema che indichi la “insufficiente qualità della formazione professionale”);
b. Una volta chiariti i settori (con i loro eventuali legami) e i problemi che essi implicano, il facilitatore chiederà al
gruppo, in plenaria, di elencare i problemi più importanti inerenti al primo settore emerso e via via a tutti gli
altri. Formulerà tali problemi, sempre in plenaria, su cartoncini che attaccherà uno sotto l’altro a ogni cartoncino
recante il titolo del settore corrispondente. Sono sufficienti 4 o5 problemi per settore non essendo necessario
spingere il gruppo a un dettaglio maggiore.
7. Fare un albero dei problemi all’interno di ciascuna area: si avranno N piccoli alberi dei problemi sospesi uno a
fianco all’altro. In meno di due ore sarà così possibile avere un albero dei problemi;
8. Trasformare ogni problema in obiettivo costruendo l’albero degli obiettivi;
9. A questo punto è possibile identificare e formulare l’obiettivo strategico che ancora manca. Si definirà come
quell’obiettivo che si trova a essere immediato effetto comune a tutte le teste dell’albero
(vedi da pag 101 a 109 per esempio)
2.6 considerazioni sull’approccio al workshop
esistono diversi elementi di criticità collegati a tale approccio:
✓ la metodologia poggia sulla selezione degli attori “giusti”, ovvero sul presupposto che le persone che
partecipano al workshop siano realmente rappresentative del punto di vista delle entità che rappresentano,
siano informali, abbiano le idee chiare e siano mossi da motivazioni solide;
✓ gli attori non sempre lavorano nell’interesse dei destinatari finali del progetto;
✓ la figura del facilitatore è cruciale e diventa condizione affinché il processo si sviluppi nella maniera descritta;
✓ i tempi di lavoro in comune sono necessariamente lunghi. Non sempre l’insieme degli attori dispone di giornate
intere da investire nel disegno del prog.
✓ le relazioni di potere tra i diversi attori del territorio potrebbe non fare emergere i veri problemi per questioni di
timore-auorità.
A fronte delle criticità descritte vale la pena sottolineare due elementi di forza e successo:
✓ l’ownership del prog. che dovrebbe portare ogni attore a pensare che il prog. è qualcosa che nasce da lui stesso
e non è stata imposta o portata dall’esterno;
✓ la presenza reale, attiva e condivisa del territorio nel suo complesso nel tessuto costitutivo del prog. che
dovrebbe portare a considerare il prog. come una cellula di unità viva.

3. Descrivere il viaggio. Fase di formulazione

Soltanto dopo la selezione degli ambiti di intervento è possibile entrare in una nuova fase: la formulazione del prog. Per
fare ciò ci avvarremo di uno strumento: il Quadro logico (QL).
3.1 Considerazioni sullo strumento QL
La paternità del QL va alla cooperazione governativa degli Stati Uniti, USAid, che incomincia ad usare questo strumento
alla fine degli anni ’70. Da allora molte agenzie delle varie Nazioni Unite, o istituzioni di paesi donatori, hanno
rielaborato, corretto, arricchito il QL. È impossibile, dunque, parlare di quadro logico tout court perché non si parlerebbe
di qualcosa di univocamente definibile: ha senso solo affiancare alla dicitura QL l’ente finanziatore utilizzatore dello
stesso (si parlerà allora di QL dell’Undp, il QL del Gtz, il QL dell’UE. In questi appunti si è scelto di presentare il QL
dell’UE.
Il QL è uno strumento e come tale può essere usato con diversi fini. A questo stadio del presente manuale utilizzeremo il
QL come strumento di formulazione e presentazione di una proposta di prog. ma è opportuno tenere presente che
questa non è la sua unica funzione: il QL si presenta sotto forma di matrice composta da 4 righe e 4 colonne (con
un’appendice in basso a destra).

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Logica di intervento Indicatori verificabili Fonti di verifica Ipotesi
Obiettivi generali: obiettivi di
lungo periodo; overall object;
goals
Obiettivo specifico; scopo;
finalità del prog; project
purpose
Risultati: obiettivi
operativi, results,
outcomes
Attività: activities Risorse umane/materiali Risorse finanziarie

Precondizioni

3.2 La logica di intervento


La prima colonna è la più importante ed è quella che si deve riempire per prima in quanto a questa si appoggiano,
secondo logiche e finalità diverse, le altre tre colonne della matrice.
✓ L’obiettivo specifico, ovvero il capolinea
Il primo passo nella compilazione della logica di intervento è quello della definizione dell’obiettivo specifico. Esso si
colloca al secondo livello della colonna. In inglese si può chiamare project purpose, specific objective; in italiano può
anche essere denominato scopo o finalità del prog. l’obiettivo specifico descrive il beneficio per i beneficiari finali che
verrà raggiunto dal prog come conseguenza di tutto quello che berrà fatto. È l’obiettivo a cui tende, metaforicamente
parlando, ogni fibra del prog. Descrive il punto d’arrivo di quello che si vuole fare. Determina, se raggiunto, il successo
del prog. e se non raggiunto il suo fallimento.
L’obiettivo specifico, per sua stessa natura di obiettivo, è naturale che si trovi sull’albero degli obiettivi: la sua
collocazione è nella parte alta dello stesso, è l’obiettivo che viene raggiunto allorché le strategie selezionate portano i
loro benefici. Supponiamo di trovarci ad avere a che fare con un “prog. semplice”, ciò avviene ogni qual volta lo scoping
trovi tutti gli attori concordi nella scelta di una strategia: visto che l’obiettivo specifico è sempre uno solo, esso si troverà
in questa tipologia di progetti in testa al ramo prescelto (vedi immagine a pag.117). Se ci troviamo si fronte a una scelta
che tocca invece diversi rami parliamo di un prg. integrato, che si contrappone al prog semplice visto prima: in questo
caso l’obiettivo specifico, che è sempre uno solo, si troverà al di sopra di tali rami, come loro effetto. Saliremo quindi di
un livello sull’albero rispetto al caso precedente perché saremmo costretto a trovare l’obiettivo che indica la
conseguenza (effetto) di tutte le strategie poste dallo scoping interamente al prog. (vedi immagine a pag 118).
✓ Obiettivi generali, ovvero la rete dei trasporti
Il secondo passo per la compilazione della logica d’intervento è l’individuazione degli obiettivi generali. Essi si collocano
al livello più alto della colonna della logica di intervento, ovvero in corrispondenza della prima casella partendo dall’alto.
In inglese si possono chiamare general object, overall object o goals; in italiano possono anche essere chiamati obiettivi
di lungo periodo del prog.
Sono i benefici che il prog contribuisce a raggiungere successivamente al raggiungimento del suo scopo, detto
diversamente sono gli obiettivi di medio e lungo periodo, dove medio e lungo sono però da intendersi al di là della
durata del prog. Essi rappresentano benefici che l’intervento in quanto tale non si propone di raggiungere direttamente,
ma al raggiungimento dei quali darà un valido contributo. Pertanto, essi spesso appartengono a settori diversi rispetto a
quello del prog.
L’identificazione degli obiettivi generali ha un senso in quanto mette in luce le relazioni che sussistono tra il prog. e il
contesto macro nel quale esso si sviluppa. Capire gli obiettivi generali significa calarli nel significato della parola
mainstreaming.

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Per definire correttamente gli obiettivi generali è necessario conoscere il contenitore del prog, ovvero il contesto in cui
si muove, con le sue priorità di sviluppo e crescita di medio e lungo termine. Gli obiettivi generali sono gli effetti del
prog, e dato che il prog è centrato sul raggiungimento del proprio obiettivo specifico, essi di questo sono gli effetti.
Graficamente, se sono stati evidenziati nella fase d’analisi, li troveremo sull’albero al di sopra dello scopo del progetto.
(vedi esempio a pag 120)
✓ I risultati, ovvero le fermate intermedie
Il terzo passo è quello dell’individuazione dei risultati. Essi si collocano al di sotto dello scopo nella colonna della logica di
intervento. In inglese si possono chiamare results o outcomes o meglio intermediate outcomes; in italiano possono
alternativamente essere denominati obiettivi operativi. Sono i servizi espressi in termini di benefici, che il pro. si
impegna a erogare ai beneficiari finali o intermedi per poter arrivare a raggiungere l’obiettivo specifico. Detto
diversamente essi sono gli obiettivi strumentali allo scopo del pro. I risultati sono obiettivi (e quindi mai prodotti) e si
estrapolano pertanto dall’albero degli obiettivi: essi si trovano in corrispondenza dei rami dell’albero che sono stati
inseriti nel prog. da pare degli attori durante la fase di decisione sulle strategie da adottare (scoping). I rami cosidetti
“in” (da contrapporre ai rami “out”, esclusi dal prog.) vanno qui presi in considerazione in quanto costituiscono le
strategie facenti parte del prog.
✓ I risultati trasversali
Osserviamo una particolare attenzione per i risultati trasversali, a volte denominati risultati di processo: essi sono
risultati che toccano direttamente i beneficiari intermedi nella loro funzione strumentale di supporto ai beneficiari finali.
Questo tipo di supporto-servizio fornito ai beneficiari intermedi deve migliorare la loro integrazione con i beneficiari
finali in quanto sono questi ultimi la ragion d’essere del prog. I risultati trasversali o di processo toccano parimenti le
organizzazioni esistenti tra i beneficiari finali laddove queste esistano o siano create dal prog, dando loro empowerment
sia direttamente, sia collegandole al territorio e agli attori che con queste dovrebbero interagire per massimizzarne
l’efficacia.
I risultati di processo costituiscono sempre servizi che sono, come tutti i servizi, strumentali al successo del prog.
Toccano modalità d’interazione di uno o più istituzioni o attori chiave sia all’interno del singolo organismo, sia tra un
organismo e gli altri. Questo gruppo di risultati tocca un tema che chiamiamo in maniera generica capacity building, o
rafforzamento istituzionale (o interistituzionale) e che si esplica tramite un miglioramento di comunicazione,
partecipazione, condivisione, coordinamento, capacità di M&V, messa in rete.
✓ Le attività, ovvero il processo
Il quarto passo è quello dell’individuazione delle attività. In inglese si possono chiamare activities o action. Sono le azioni
che permettono al soggetto di creare quei prodotti necessari per raggiungere gli obiettivi descritti nei risultati e per
poter dare corpo quindi ai servizi di cui il prog. ha bisogno. Costituiscono quello che il prog. fa o fa fare a terzi. Le attività
costituiscono il processo per approdare ai prodotti che servono per raggiungere le destinazioni indicate nei risultati.
Le attività e i prodotti non le troviamo sull’albero degli obiettivi se non come suggerimento nelle parti più basse dei rami
(soluzioni assenti). Le attività possono essere descritte con un diverso livello di dettaglio e, come si è detto,
sottintendono i prodotti che il prog. renderà disponibili. Le attività sono sempre abbinate al verbo fare. Se qualcosa
implica un’azione (formare, mettere insieme, acquistare) siamo sicuri che si tratta di un’attività.
✓ I prodotti, ovvero i veicoli
Solo dopo aver identificato il ”processo” possiamo avere chiarezza sui prodotti o outputs. I prodotti nel progetto si
identificano insieme alle azioni, i loro indicatori di realizzazione. I prodotti sono i veicoli necessari per raggiungere gli
obiettivi descritti nei risultati, e per poter quindi dare corpo ai servizi cui il prog. ha bisogno. Sono dei meri strumenti,
mai dei benefici in quanto tali.
3.3 pregi e limiti del quadro logico
Punti di forza:
- obbliga a una riflessione approfondita sugli obiettivi ai tre livelli in cui questi sono esplicitati (generali, scopo e
risultati) collegando il prog. più saldamente al territorio;
- consente di esaminare il contesto del prog con maggior accuratezza e metodo attraverso le ipotesi e
l’attenzione al rischio;
- permette un più facile monitoraggio di efficacia e di contesto grazie sia alla suddivisione degli obiettivi
menzionata al primo punto di questa lista, sia richiedendo gli indicatori ai vari livelli di obiettivo;
- suggerisce la pratica di partire dai problemi degli attori come chiave per la sua costruzione invece che dalle
attività e dalle capacità degli organismi esecutori, pratica, che se applicata, assicura rilevanza al prog.

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Punti di debolezza:
- non prende in considerazione i tempi e le eventuali interconnessioni delle azioni che appaiono sulla matrice
slegate tra di loro e dei risultati;
- non lascia sufficiente spazio né ai risultati di processo (che in un albero ben fatto si troverebbero all’interno di
diversi rami), né alle attività trasversali che non è definito dove collocare sulla matrice;
- il significato dei diversi livelli della logica di intervento non è immediato né facilmente comprensibile né
specificabile agli attori del territorio che spesso non capiscono il perché dei contenuti registrati ai vari livelli.

4. Muovere un passo dopo l’altro. Le attività


Le attività concorrono direttamente a fare la bontà di un prog. e, cosa non da poco, determinano il computo delle
risorse umane, fisiche e finanziarie di cui il prog. avrà bisogno e che si ritroveranno nel budget.
La conoscenza e l’informazione capillare sul territorio sono fattori vincenti imprescindibili che vanno affiancati da
competenze specifiche ed esperienza diretta di campo. Per delineare le attività ci vuole tempo e ci vogliono le risorse
umane giuste. Si noti che l’individuazione delle attività è l’ultimo passo che si fa nella compilazione della logica
d’intervento quando si segue l’approccio orientato agli obiettivi, mentre è il primo a compiersi se si vuole progettare per
attività. Un prog. orientato alle attività non inizia con i problemi riferiti a un tema, come si è fatto in questi appunti, ma
inizia con la domanda seguente: Dato il tema x che cosa vogliamo (sappiamo) fare? È ovvio come i due approcci partano
da logiche diametralmente opposte.
È opportuno che le attività vengano stabilite con uno o più workshop separati da quello di identificazione degli obiettivi,
separati tanto sotto il profilo temporale quanto sotto quello relativo ai soggetti coinvolti. Prima di tutto è importante
lasciare il tempo necessario affinché gli attori raccolgano o verifichino le informazioni e le priorità dei loro colleghi,
dirigenti di grado più alto; contemporaneamente si permetterà un cambio della guardia: non saranno più ora soltanto i
decision maker a fare i protagonisti del workshop sulle attività, bensì, insieme a loro lo staff tecnico delegato a eseguire
il lavoro di una sgrossatura di massima che andrà poi ovviamente ratificata.
Le attività vanno cercate e dettagliate per ognuno dei risultati selezionati nel prog; vanno inoltre aggiunte tutta una
serie di attività che, per loro stessa natura, sono trasversali a tutti i risultati. Le definiremo attività trasversali. L’esempio
tipico è il monitoraggio, altre attività di questo genere possono essere seminari, pubblicazioni, eventi disseminativi,
apertura di uffici di gestione ecc.
Le microfasi che portano alla compilazione delle attività sono sostanzialmente 3:
1° prima individuazione delle attività, preferibilmente attraverso un workshop, al fine di scegliere un set iniziale di
azioni per ciascun risultato;
2° verifica degli elementi critici relativi alle attività proposte in 1; è un esame fatto a tavolino dopo il workshop sulle
azioni per determinare informazioni precise relativamente a quanto si può essere solo ipotizzato in 1;
3° presentazione del prodotto finale a tutti gli attori originariamente coinvolti con il fine di avere una sottoscrizione
prima di tutto morale del lavoro fatto da parte degli stakeholders attivamente coinvolti, onde poter poi procedere alla
redazione del budget

1° L’individuazione delle attività. L’approccio a pettine (cause scouting)


La prima delle tre macrofasi analizzate può avere luogo prevedendo un workshop di prima identificazione delle attività.
L’approccio a pettine (cause scouting) consente di percorrere questo passo con una metodologia di massimizzazione
dell’efficacia. L’approccio a pettine consiste nel riprendere in mano i problemi che si nascondevano dietro ognuno degli
obiettivi-risultato mettendo in luce tutte le cause esistenti dietro ogni problema, non solo quelle eventualmente emerse
sull’albero. È un processo relativamente rapido che però dà un contributo preziosissimo alla ricerca delle attività più
efficaci. Non importa se nella ricerca delle cause si ripeteranno alcuni dei problemi già emersi sull’albero, anzi è
necessario che ciò avvenga perché se la logica causa-effetto era valida prima resta valida anche ora.
La domanda chiave nell’approccio a pettine relativamente a ognuno dei 4 problemi sottostanti ai risultati è: “quali sono
le cause dirette relative al problema in esame?” Questa domanda vuole fare emergere gli ostacoli che al momento
presente impediscono il cambiamento della situazione negativa espressa nel problema. La domanda viene posta agli
attori per ciascun risultato separatamente. È questo un brainstorming veloce di grandissima efficacia. Le risposte non
vanno più messe in relazione causa effetto tra di loro, ma semplicemente collocate tutte una di fianco all’atra al di sotto
del problema-risultato come i denti di un pettine. È importante avere il maggior numero di cause dirette possibili.

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Una volta terminato il lavoro di cause scouting si inizierà a fare il vero e proprio lavoro di individuazione delle azioni
affrontando un risultato alla volta. Conviene visualizzare il lavoro prendendo tutti i problemi collegati al primo
disponendoli bene in vista di fronte a tutti i partecipanti. I cartoncini dei problemi posti sotto al risultato numero 1 ci
indicano quali saranno gli ostacoli che è necessario rimuovere per poter raggiungere detto risultato numero 1. Se le
attività selezionate riuscissero a toccare e a rimuovere tutte le cause presenti come responsabilità dello status quo, con
grande probabilità si otterrebbe il cambiamento sperato. Il lavoro da fare in plenaria è allora di verificare, per ogni
ostacolo messo in luce, se è possibile trovare delle attività idonee a rimuoverlo.
Può accadere che tra i problemi individuati alcuni non prevedono attività specifiche idonee per incidere su di esse con
efficacia: queste saranno tenute in considerazione nella sessione sesta sulle ipotesi e sui fattori di rischio.
Per la colonna delle “attività trasversali” il cause scouting non è applicabile in quanto tale colonna non contiene azioni
tese a risolvere un problema specifico.
Un workshop di identificazione delle attività può prendere un’intera giornata di lavoro o due buone mezze giornate. Se i
tempi sono molto limitati si può pensare di dedicare una giornata intera alla fase dia analisi terminando con lo scoping.
La presentazione dei 3 livelli superiori della logica di intervento non comporta un lavoro aggiuntivo rispetto a quanto
deciso nella fase di analisi, quindi tale ripartizione in: scopo del prog,obiettivi generali e risultati può essere presentata
con comunicazione separata a tutti gli attori oppure spiegata in plenaria all’inizio del workshop sulle attività.

2° verifica degli elementi critici


Vi sono fattori di criticità quando arriva il momento della selezione delle attività. Tali fattori di criticità sono stati
suddivisi in tre blocchi:
I blocco: analizzerà alcune importanti considerazioni generali e buone pratiche trasversali che potrebbero
accompagnare l’intero processo di individuazione delle azioni;
II blocco: cerca di fare un lavoro “di fino” esaminando alcuni tra i più importanti fattori di eccellenza all’interno di ogni
risultato;
III blocco: infine si concentrerà su di una tipologia di attività volta a garantire sostenibilità ai risultati.
I blocco: Considerazioni generali e buone pratiche riguardo le attività
Queste rappresentano una serie di verifiche da effettuare dopo aver definito a grandi linee le azioni da svolgere.
Quando si riflette sulle attività è consigliabile tenere presenti le seguenti considerazioni generali:
1 dilatare la previsione sui tempi di assimilazione. Se si lavora in contesti difficili è facile sbagliare la valutazione sui
tempi richiesti per ottenere risultati qualitativamente rilevanti. Formazione, sensibilizzazione, informazione, assistenza
tecnica, modifica di attitudini e comportamenti a tutti i livelli. La formazione non accompagnata da un’immediata e
reiterata messa in pratica sul campo delle abilità apprese perde molto rapidamente i suoi effetti. L’invito è di espandere
considerevolmente la tempistica prevista per l’ottenimento dei benefici attesi, sottolineando la pratica della ripetizione
soprattutto per quelle azioni volte a modificare comportamenti umani (training, sensibilizzazione, informazione).
2 imparare da esperienze pregresse di altri. Cercare le esperienze di maggior successo considerandole come veri e
propri manuali di buone pratiche. Questo processo si chiama benchmarking e significa imparare dall’esperienza degli
altri. Il benchmarking costa in termini di tempo e di risorse, man è una delle chiavi di volta del successo. Possiamo dire
però che costa molto meno che assoldare un progettista e da risultati qualitativamente superiori.
3 migliorare invece di rifare da capo. Il fatto di fare il benchmarking non ci mette a riparo dal rischiare duplicazioni:
verificare se ciò che si propone di fare già esiste è una pratica tanto importante quanto troppo spesso disattesa.
4 andare dal poco al molto. È una saggezza spicciola che quasi sempre è possibile riuscire a mettere in pratica. Ha un
senso ogni qual volta il prog. decide di far nascere qualcosa di nuovo in termini modulari o con una pluralità di
esperienze su un territorio. È certamente vero che questo implica costi superiori, ma evita di scoprire che ciò che si
credeva funzionasse si riveli non efficace.
5 richiedere qualcosa in cambio. È una pratica sana da rivolgere ai propri beneficiari. I progetti quasi sempre lasciano ai
beneficiari dei beni o dei servizi senza richiedere nulla in cambio: questo atteggiamento ha generato una cultura del
“tutto è dovuto” presso molte comunità. È buona pratica tornare a stabilire una sorta di scambio tra ciò che il prog porta
e ciò che i destinatari possono fare per meritarsi l’aiuto.
6 fare rete locale. Qualunque cosa si metta in piedi è sempre possibile e consigliabile cercare di creare le famose reti sul
territorio: fare rete significa cercare esperienze in atto complementari o simili a quella che il prog. si accinge a esplorare
e stabilire meccanismi di scambio con mutuo beneficio trovando il modo di massimizzare l’efficacia di tutti gli elementi
coinvolti.

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7 inserirsi in processi già avviati. È una chiave per il successo ma non sempre esistono ma non sempre esistono le
condizioni per poterlo fare. La domanda è “Dati i risultati che si è scelto di raggiungere con lo scoping, possiamo
scegliere di appoggiare processi già avviati in quella direzione? Gli attori pubblici del territorio hanno già avviato o
deciso di avviare processi educativi, formativi o di altra natura in cui mi posso inserire?
8 preferire prog. semplici. L’idea di preferire prog. semplici a prog. integrati muove dalla constatazione che ogni
situazione su cui un prog. va a intervenire e ogni realtà che si pretende di modificare ha richiesto tempi spesso lunghi
per giungere allo stato in cui si trova riuscendo a raggiungere il suo equilibrio. Transitare da una situazione d’equilibrio
ad un’altra radicalmente diversa implica un passaggio intermedio in cui alcuni punti di appoggio verranno a mancare. Il
rischio è quello di voler fare troppo e di non riuscire a farlo in maniera eccellente ed esaustiva su ciascun fronte in cui si
è deciso di impiegarsi (a meno che chi promuove il prog. sia dotato di tempi lunghi e di una forza organizzativo-
gestionale, politica ed economica considerevole).
Riassunto. L’albero degli obiettivi ci da un’analisi delle strategie che lascia aperte tutte le porte. Il processo di scelta
(scoping), come si è visto, dovrebbe implicare una convergenza sulle aree strategiche che il prog. toccherà. Preferire
prog. semplici invece di prog. altamente integrati significa scegliere pochi risultati (o anche uno soltanto) e mettere in
gioco tutte le energie per raggiungerli. Il prog. avrà più possibilità di successo se le risorse (di qualunque natura esse
siano) non saranno sparpagliate su diversi fronti. Può essere utile porsi un paio di domande: Da quanto tempo esiste
nelle modalità attuali la situazione che ho interesse a modificare? Ci sono già stati in passato tentativi o sforzi tesi a
stimolare un cambiamento? Tanto più di lunga durata tanto più lunga sarà la permanenza dello status quo da modificare
e tanto più innovativo appare lo sforzo che il prog. promuove tanto più difficile sarà avere successo e tanto più sarà
raccomandabile non variegare il prog. con aree eterogenee d’intervento
II blocco: Fattori d’eccellenza all’interno di ogni singolo risultato
Parliamo ora dei fattori fondamentali per il raggiungimento pieno e sostenibile dei destinatari (destinatari diretti o
indiretti). Vi sono 5 variabili di cui tenere conto nel momento in cui si ragiona sulle attività da pianificare all’interno di
ogni risultato. Ognuna delle variabili descrive un requisito, che può determinare il successo o il fallimento, facente parte
del contesto fisico o psicologico che accompagna gli esseri umani sulla strada del cambiamento. Ogni variabile è
accompagnata da una serie di domande che possono aiutare a determinare se quella variabile, qualora non considerata
in tutti i suoi aspetti, potrebbe costituire un rischio per il raggiungimento del risultato su cui si sta lavorando e di
conseguenza per il prog. Sopra al trapezio sono indicate all’interno di un triangolo due leve che possono aiutare a
rimuovere più facilmente gli ostacoli esaminati in precedenza e raggiungere quindi meglio il risultato su cui si sta
ragionando: sono questi aspetti che è consigliabile attivare, ammesso che ne sussistano le condizioni per amplificare i
margini di successo atteso.
I livello La variabile contestuale mette luce sui possibili ostacoli che si potrebbero frapporre nel raggiungimento dei
risultati aventi natura spaziale o temporale. L’attenzione al bello è un aspetto che tocca questa variabile: un luogo
esteticamente bello diventa certamente più accessibile e viene fruito più facilmente di un luogo ordinario o brutto.
Spendere dei soldi e prevedere attività per rendere bello un luogo in cui è previsto l’accesso di individui è qualcosa che
spesso ripaga in termini di sostenibilità, ownership e impegno al mantenimento. Domande da porsi: a quali condizioni
spazio temporali il beneficiario (che dovrebbe fruire del servizio descritto nel risultato) si sente maggiormente a proprio
agio? Posso influire con il prog. per creare/ottenere tali condizioni?
II livello La conoscenza del bisogno pone l’attenzione su di una precondizione necessaria, ma spesso erroneamente data
per scontata, per il raggiungimento dei risultati. Spesso i prog. pianificano attività utilissime, attinenti a vere necessità
dei destinatari finali, ma che non portano i benefici attesi semplicemente perché manca la conoscenza del bisogno da
parte di coloro che si vorrebbe aiutare. Domande: Che cosa mi induce a credere che i beneficiari abbiano coscienza di un
vuoto da riempire? Posso identificare attività che aumentino tale consapevolezza? Posso far capire ai beneficiari con
quale azione ad hoc il nesso causa-effetto tra il loro problema e il mezzo da me scelto per risolverlo?
III livello La predisposizione è una variabile intrinsecamente legata ai prog che contengono componenti formative o di
awareness. Mette luce sui possibili ostacoli che si potrebbero frapporre nel raggiungimento dei risultati quando si da per
scontato che tutti gli individui abbiano le stesse potenzialità e che una determinata azione abbia effetti analoghi su tutti
i destinatari. La predisposizione è il patrimonio di partenza che il beneficiario ha accumulato nel corso di tutta la sua
vita. È un dovere del prog valorizzarlo e costruire su questo. Senza predisposizione il know how dà il minimo rendimento
con il massimo sforzo e la sensibilizzazione non trova terreno fertile e muore. Domande: C’è qualcosa a cui si può
attingere nel passato degli individui bersaglio che mi può indicare l’esistenza di un terreno fertile ad attività formative o
di sensibilizzazione? Quali capacità preesistenti vanno ricercate per massimizzare l’efficacia? È possibile identificare

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attività che si adattino alle predisposizioni già in essere? Si possono identificare attività che preparino il terreno a
campagne di sensibilizzazione?
IV livello Capacità. È una variabile che abbiamo suddiviso in 2 momenti separati:
a) Saper fare, abilità, know how: mette luce sui possibili ostacoli che si potrebbero frapporre nel raggiungimento
dei risultati qualora manchi il know how necessario ai destinatari, non soltanto finali, ma molto spesso
intermedi (istituzioni)può essere utile richiamare l’attenzione su tre modalità di trasferimento di capacità (o
abilità):
- La formazione dei beneficiari;
- La formazione delle istituzioni che operano come beneficiari intermedi fianco a fianco dei beneficiari finali;
- La formazione di formatori, spesso più economica e quantitativamente impattante rispetto alla formazione ai
beneficiari finali.
Domande: Se il prog. sta creando strutture permanenti il cui funzionamento è chiave per il successo, sono sicuro di
aver fatto un’’analisi delle capacità di chi lavora sufficientemente approfondita?? Ho previsto un affiancamento per
verificare che i formati (siano essi, beneficiari finali, istituzioni o formatori) siano in grado di fare ciò che
dovrebbero?;
b) Saper essere, comportamenti: le abilità servono a poco se manca il saper essere, il saper interagire con se stessi
e con gli altri. Domande: quali elementi relativi al mondo del saper essere sono necessari per trasformare le
abilità in elementi di successo? Come posso verificare e stabilire con buon margine di certezza se tali elementi
esistono o se vanno costruiti ad hoc?.
V livello Convinzioni: la presenza o assenza di questa variabile è un fattore determinante per il successo o il fallimento
del prog. Forse senza le convinzioni si possono raggiungere i risultati, ma certamente il prog. non riuscirà a raggiungere il
proprio obiettivo specifico. Nulla di ciò che si riferisce al cambiamento di abitudini e comportamenti degli esseri umani,
funziona senza che le persone credano in quello che stanno facendo. La convinzione è un fattore collegato alle credenze
e alla motivazione che gli individui si pensa abbiamo nel momento in cui si decide di coinvolgerli in qualche tipo di
attività. Ha senso parlare di convinzioni se gli altri livelli si considerano dati (contesto, coscienza del bisogno,
predisposizione, abilità, saper essere). Domande: Come posso selezionare beneficiari con il massimo di convinzione?
Quali azioni potrebbero rafforzare le convinzioni sull’utilità dei servizi proposti per il benessere dei beneficiari?
Le leve sono quegli strumenti che aiutano a rendere uno sforzo meno faticoso e dispendioso di energie. Nell’analisi delle
attività si possono distinguere due leve, che aiutano ad amplificare la possibilità di successo del prog.
- Valori è una leva efficace e sostenibile di quella economica comunemente utilizzata in tutti i progetti per
ottenere certi comportamenti; è ciò che fa sì che un progetto si possa mettere in pratica anche senza
finanziamenti esterni. Lavorare con volontari può essere, in alcuni casi, più sostenibile ed efficace che con
personale pagato: pagare risorse per coordinare volontari è più incisivo. Domande: si possono attivare
meccanismi d volontariato per ottenere i risultati che oggi si ottengono pagando esperti ad hoc? In che modo il
prog. può fare leva sui valori delle persone coinvolte per aumentare la sua efficacia?
- Riconoscimento È quella marcia in più che le persone hanno per il fatto di identificarsi in un gruppo che
condivide qualcosa d’importante (casta, religione, famiglia, tradizione) se si riesce a fare leva su questo senso di
appartenenza a un gruppo si hanno maggiori garanzie di impegno. Domande: i beneficiari fanno parte di gruppi
in cui si identificano? Cosa si può fare per coinvolgere nel prog. tali gruppi o i loro leader in forma utile?
(sensibilizzare prima i leader rispetto ai destinatari finali).
Conclusioni
Lo studio del caso sul microcredito della Grameen Bank ripercorre le variabili di successo qui descritte attraverso un
unico esempio di prog. che è stato capace di metterle in atto tutte assieme (vedi pag 168).
III blocco: attività volte ad assicurare sostenibilità ai risultati
Una volta raggiunti i risultati di prog. con le attività finora identificate, cosa potrebbe impedire ai benefici in esse
descritti di durare nel tempo? Questa domanda presume che le attività abbiano realmente portato i benefici espressi in
ciascun risultato e che quindi i risultati siano raggiunti. Non si deve però confondere i fattori di sostenibilità con le
ipotesi.
La domanda di cui sopra deve essere posta per ogni singolo risultato. Le risposte potrebbero portare a voler introdurre
delle attività specifiche che possano limitare i danni dei fattori che si sono identificati. I fattori di cui parliamo sono stati
raggruppati dall’unione europea in 6 categorie:

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- Ownership, senso di appartenenza: ovvero come il prog. venga fatto e sentito proprio da parte degli attori
chiave, principalmente beneficiari finali. Attività rilevanti a questo proposito sono quelle volte a coinvolgere i
beneficiari e gli attori chiave di un sistema continuo di monitoraggio e quelle che danno importanza agli attori di
fronte a terzi;
- Capacità tecnica degli enti promotori nel follow up: ovvero capacità di continuare a svolgere le attività
intraprese. Si ottiene con le azioni di rafforzamento istituzionale di cui si è già parlato oppure cercando enti da
coinvolgere (eventuali nuovi partner) aventi esperienze previe di successo nel campo in cui il prog. opera;
- Sostenibilità ambientale: è la previsione di possibili danni all’ambiente derivanti da attività di prog dirette o
indotte. È molto ben visto pianificare azioni volte a ridurre l’impatto ambientale laddove si possa intravedere
anche un debole rischio;
- Fattori culturali e di genere: sono componenti dalle caratteristiche assai sfaccettate nel senso che sono
tantissimi gli aspetti nei quali si possono scomporre. Per quanto riguarda i fattori di genere è buona pratica
analizzare le attività che coinvolgono donne con il contributo di attori femminili sufficientemente
rappresentativi, per evitare che siano gli uomini a dettagliare le modalità di intervento in cui a beneficiarne
siano le donne; circa gli aspetti culturali è buona pratica pensare le attività con il contributo dei beneficiari delle
stesse insieme ai loro leader e rappresentanti;
- Sostenibilità economico-finanziaria: ovvero capacità del prog. a pagare i propri costi di funzionamento e regime.
È questo il tipo di sostenibilità più facilmente applicato ai progetti; consiste nel prevedere delle attività
generatrici di cash per sostenere gli imprevisti, oltre ovviamente per tutte le spese prevedibili che saranno da
sostenere dopo il ritiro delle organizzazioni esecutrici.

3° sottoscrizione degli stakeholders


Adesso giunge il momento fondamentale della condivisione. Vediamo che:
a) È buona pratica stabilire l’informazione da condividere evitando un livello di dettaglio troppo accurato onde
prevenire l’accensione di discussioni su fattori meno rilevanti rispetto ad altri.
b) È consigliabile riprendere in mano la matrice degli stakeholders e includervi con un invito ad hoc anche quegli
attori che per qualunque ragione non hanno preso parte alla cordata di prog. sottolineando l’importanza della
loro opinione prima di sigillare e presentare il prog. a eventuali finanziatori;
c) Le parti lese potrebbero giocare un ruolo non secondario in questa fase, purché si possa scorgere un margine
anche ridotto di loro interesse in quello che il prog. si è prefisso di raggiungere o fare;
d) È importante che l’esposizione del prog. si limiti al livello della logica di intervento tralasciando anche le altre
colonne del QL;
e) È consigliabile lasciare ad ogni invitato una brevissima presentazione scritta delle macro attività del prog. da
discutere previamente alla data del workshop;
f) Si raccomanda di evitare la richiesta d’assenso a ogni passo che si andrà a descrivere, mentre è importante
lasciare uno spazio per commenti, critiche e dibattito solo al termine della presentazione del prog. nella sua
totalità. Se qualche attore avrà richieste o critiche veramente importanti le farà alla fine; in questo modo le
critiche marginale non verranno fuori;
g) Va specificato, tanto all’inizio del workshop di condivisione, quanto alla fine dello stesso, che ogni suggerimento
sarà preso in attenta considerazione, ma non sarà considerato vincolante.

Descrivere le attività in maniera completa


Il lavoro delle azioni deve essere fatto in modo che da ciascuna di esse si possa evincere quale sarà la spesa che l’azione
presupposta pone e in tal modo si possa determinare la corrispondente voce del budget per attività del futuro prog.
Questo obbliga parimenti ad accompagnare la descrizione di ogni singola azione con tutte le caratteristiche di specificità
tecnica di contenuto. Tale dettaglio si richiede per le macroattività e non per le sotto-azioni in cui ogni attività potrebbe
venire scomposta. Le domande da porsi una volta decisa l’attività, per poterla descrivere in modo competo e risalire ai
costi che essa presuppone sono le seguenti:
- Chi realizzerà l’azione? (elencare le risorse necessarie all’esecuzione con specifica delle qualifiche professionali
richieste, eventuali trasporti e diarie necessari per avere tali risorse esecutrici nel posto giusto al momento
giusto);

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- Chi ne sarà beneficiario? (elencare a beneficio di chi l’attività verrà realizzata esplicitando l’esatto numero dei
destinatari/beneficiari e i costi per il loro eventuale trasporto e presa in carico);
- Quale ne sarà la durata? (specificare se si tratta di un’azione puntuale, che si svolge una sola volta o periodica,
che si ripeterà a cadenza prevedibile);
- Quali sono i prodotti di cui tener conto? (i prodotti verranno descritti in tutte le loro caratteristiche (si parla di
prodotti in entrata, ovvero quelli che bisogna predisporre prima dello svolgimento delle attività, e prodotti in
uscita, ovvero quelli che saranno originati dall’attività stessa);
- Quali sono i costi unitari? (elencare i costi di mese uomo per le risorse une previste nella realizzazione come
pure i costi delle risorse fisiche nella realizzazione come pure i costi delle risorse fisiche, dei prodotti in entrata,
e dei parametri di realizzazione per le opere e le infrastrutture.
Se tutti e cinque elementi verranno raccolti e descritti in corrispondenza di ogni attività si può essere certi di avere tutti
gli elementi necessari alla redazione di un budget completo.
5. Misurare le tappe. Gli indicatori e le fonti di verifica

1. Gli indicatori
L’indicatore è ciò che è possibile osservare nella realtà quando un obiettivo viene raggiunto, ovvero quando la realtà a
cui esso si riferisce, comincia a cambiare. Il Marradi definisce l’indicatore come “la traccia empirica di un concetto”.
1.1 Perché gli indicatori
Gli indicatori si trovano sul Quadro Logico all’altezza dei tre livelli superiori della logica d’intervento nei quali si
registrano gli obiettivi. Essi misurano e circostanziano il raggiungimento di tutti gli obiettivi del prog. (obiettivo specifico
obiettivi generali e risultati), dando una descrizione e quantificazione del miglioramento indotti dal prog. Gli indicatori
quindi ci permettono di valutare, comparare, decidere e misurare quanto siamo vicini alla metà o quanto ancora ci
manchi.
Solo le attività non necessitano di indicatori sul QL, in quanto contengono nella descrizione dei prodotti e esse collegati
gli elementi quantitativi di cui abbiamo bisogno. Gli obiettivi invece toccano aspetti concettuali che sono meno
facilmente misurabili e richiedono un monitoraggio accurato con l’uso di diversi indicatori.
La letteratura ama parlare di indicatori oggettivamente verificabili (Iov). Il termine oggettivamente indica che ciò che
l’indicatore esprime dovrebbe essere verificabile da chiunque, e la sua misurazione non dovrebbe cambiare a seconda di
chi verifica o del modo di interpretare i suoi elementi costitutivi.
1.2 Come si compone un indicatore
Le caratteristiche fondamentali sono:
- La variabile, che indica ciò che si vede e quindi si può verificare nella realtà quando un beneficio viene raggiunto,
in altre parole la variabile indica il cosa cambia. La variabile è la parte più importante di un indicatore e ogni
obiettivo può originare più di una variabile e può quindi generare più indicatori diversi;
- Il gruppo di riferimento, ovvero chi cambia: presso quali soggetti possiamo osservare il cambiamento della
variabile descritta nel punto anteriore;
- La dimensione del cambiamento, ovvero quanto cambia ciò che cambia: è buona pratica cercare di evitare
variabili e dimensioni in valore percentuale, ma in valore assoluto perché la percentuale implica la conoscenza,
per nulla scontata, del valore di partenza;
- La localizzazione del cambiamento, ovvero dove si può andare a misurare che il gruppo di riferimento ha
modificato quella variabile di quel tanto;
- Il timing del cambiamento, ovvero quando si riuscirà a osservare in quel luogo che quella variabile è cambiata di
quel tanto per quelle persone. Quando si scrive un prog. di solito si fa coincidere la durata dello stesso con il
timing degli indicatori almeno per quanto riguarda gli indicatori di obiettivo specifico.
Corollario: come scegliere la migliore variabile per un indicatore. Qui vediamo come scegliere la variabile migliore
quando si identifica un indicatore per un obiettivo apparentemente difficile da misurare. Tra le tante variabili possibili di
un indicatore di risultato sceglieremo quella che:
- Meglio descrive il raggiungimento dell’obiettivo;
- Risulta più economica e facile da rilevare;
- È più attinente alle attività che il prog. fa per quel risultato.
La scelta della migliore variabile che verrà usata nell’indicatore si fa:

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- In accordo alle azioni intraprese dal prog. per aumentare la consapevolezza, la miglior variabile è quella che
descrive un cambiamento risultante grazie al prog. cambiamento che non ci sarebbe stato senza il prog.;
- Cercando di minimizzare i costi da sostenere per verificarlo;
- Considerando la capacità della variabile scelta a rappresentare il beneficio descritto nel risultato (più sensibilità,
quindi meno pregiudizi).
1.3 Tipologia di indicatori
Esiste una quantità incredibile di tipologie di indicatori in questi appunti ci vogliamo soffermare solamente su due
tipologie che ci paiono interessanti.
✓ Indicatori diretti e indiretti
Indicatore diretto, è strettamente collegata alla natura e al contenuto dell’obiettivo da misurare mentre, nel caso di
indicatori indiretti, la variabile tocca aspetti molto diversi dalla natura dell’obiettivo ma ad esso indirettamente
riconducibili con forte probabilità. Questi ultimi (gli indiretti) si utilizzano solo quando i primi risultano difficili da
reperire o eccessivamente onerosi da misurare. In altre parole, l’indicatore diretto misura con più precisione il
raggiungimento dall’obiettivo perché sceglie una variabile che è direttamente collegata allo stesso.
✓ Indicatori di realizzazione o di beneficio
Definiamo un indicatore di realizzazione quello che ci fornisce elementi che ci permettono di quantificare un beneficio
quantificando aspetti relativi alle attività a esso collegate ma che è incapace di dirci alcunché sull’obiettivo a cui
dovrebbe riferirsi, ovvero sul raggiungimento vero e proprio del beneficio stesso. Tali indicatori sono i prodotti o
outputs. Definiamo un indicatore di beneficio quello che ci permette di misurare direttamente l’esistenza di
cambiamento positivo nella realtà ovvero il raggiungimento di beneficio (obiettivo o risultato).
Gli indicatori di obiettivo generale si definiscono anche indicatori di impatto.
2. Le fonti di verifica
Le fonti indicano come e dove verificare se gli obiettivi di prog. sono stati raggiunti nei termini indicati dagli indicatori.
Domanda: ora che so cosa andare a misurare per verificare il raggiungimento di un obiettivo, dove posso reperire i dati
di cui ho bisogno per farlo? Le fonti di verifica occupano la parte superiore della terza colonna del quadro logico.
Gli elementi costitutivi delle fonti di verifica sono:
- Un cosa: ovvero quale documento contiene i dati che dovrei quantificare?
- Un chi: ovvero quale soggetto (persona o organizzazione) è incaricato di compilare, redigere e rendere
disponibile l’informazione di cui ho bisogno?
- Un quando: ovvero quando i materiali sopra indicati saranno consultabili o verificabili?
- Un dove: ovvero dove mi devo recare per essere sicuro di trovare l’informazione di cui ho bisogno.
Distinguiamo fonti interne e fonti esterne al prog.:
- Fonti interne al prog: è lo stesso prog. che è deputato a rilevare i dati, elaborarli e renderli disponibili per
chiunque ne faccia richiesta;
- Fonti esterne: molto spesso sono fonti ufficiali, che quindi esistono a priori prima del prog. e non dipendono da
esso.
È quindi altamente probabile che sia il prog. stesso a dover stabilire al proprio interno le fonti di verifica. Il monitoraggio
è appunto una funzione che dovrebbe, tra l’altro, predisporre ed elaborare tali fonti interne.
3. I mezzi e i costi
In fondo al QL troviamo le risorse umane e fisiche e le risorse finanziarie.
- Risorse umane e fisiche: la colonna degli indicatori prevede a livello delle attività le risorse umane e fisiche
necessarie alla realizzazione di ogni singola azione. In altre parole, il prog. analizzerà per ogni singola attività di
quali risorse potrà aver bisogno.
- Risorse finanziarie: la colonna delle fonti di verifica a livello delle attività le risorse finanziarie necessarie al
pagamento di ogni risorsa umana o fisica prevista nella colonna adiacente, ovvero necessarie alla realizzazione
di ogni singola azione. In alt parole il prog. analizzerà per ogni singola risorsa (fisica o umana) quale sarà il suo
costo in modo tale che sia possibile poter stabilire il costo relativo a ogni singola azione e a ogni singolo
risultato.
Allo stesso modo è necessario accorpare i costi previsti per tutte le attività in modo da dare un valore monetario al prog.
nel suo insieme. Tali dati raccolti saranno indispensabili per redigere il budget finale del prog. che sarà compilato in
accordo ai moduli o ai formulari predisposti dagli enti finanziatori. Il compito delle risorse, fatto attività per attività, dà
modo di riempire senza grosse difficoltà qualsiasi tipo di budget.

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6. I contrattempi. Le condizioni esterne o ipotesi

1. Il concetto di ipotesi
Questa colonna con quella degli indicatori e fonti, pertanto si potrebbe anche riempire subito dopo quella della logica di
intervento dato che con essa va strettamente a braccetto. Le ipotesi sono:
- I presupposti esterni al prog. che è importante che si verifichino affinché si compia la sequenza descritta nella
logica di intervento;
- Le condizioni che si presume si realizzeranno affinché si possa passare da ogni livello della logica di intervento al
livello superiore;
- Quelle supposizioni situate fuori dall’intervento progettuale, indispensabili affinché si possano svolgere le
attività e queste possano raggiungere i risultati e gli obiettivi previsti.
Parliamo sempre di ipotesi esterne al prog. la realizzazione delle quali viene supposta, ma su cui non esiste certezza su
cui il prog. ha deciso di non cimentarsi.
Poiché le condizioni esterne sono probabili ma non certe (sono ipotesi), esiste comunque la possibilità che esse non si
verifichino: in questo caso il prog. rischia di non riuscire a raggiungere i suoi obiettivi realizzare le sue attività. Le ipotesi
funzionano da “ponte” tra due livelli diversi della logica di intervento. La domanda da porsi guardando i due livelli A e B
è: che cosa potrebbe andare storto nel passaggio tra A e B e dovremmo ipotizzare che non si verifichi?
Primo di tutto le ipotesi accompagnano il prog. non solo nella sua formulazione, ma anche nella sua esecuzione, quindi
la loro presenza è opportuno che sia considerata in tutta la fase di realizzazione. Questo si attua con un continuo
monitoraggio del loro “persistere come fattori in positivo”. Un monitoraggio che non sia capace di seguire
costantemente le ipotesi e non attribuisca a loro appropriati indicatori non si può dire che sia un monitoraggio fatto
bene.
Un’ipotesi va inserita nel QL se sussistono contemporaneamente queste due condizioni:
a) L’ipotesi presenta un margine ristretto, ma abbastanza concreto e imprevedibile, di non realizzarsi (il rischio che
nasconde e reale e non così remoto);
b) Il fatto di non realizzarsi porterebbe un serio danno al prog. (è un’ipotesi rilevante).
Queste due considerazioni fanno la “bontà” di un’ipotesi e il senso di ritrovarla sul QL.
Osservazione importante: la stessa ipotesi può essere presente anche su diversi livelli del QL.
2. Le precondizioni
Le precondizioni sono le ipotesi registrate graficamente al livello più basso della colonna: esse rappresentano quelle
condizioni che devono preesistere per rendere fisicamente realizzabile attività. Sono condizioni previe all’avvio del prog.
o propedeutiche alle attività o al loro completamento. Se non verificate portano il prog. a non poter iniziare oppure
impediscono che le azioni completate come pianificato.
3. Le ipotesi al livello delle attività
Il raggiungimento sulle ipotesi va fatto ovviamente per ciascuno dei risultati del prog. e per le attività a ognuno riferibili.
È opportuno cercare soltanto rischi (da convertire in seguito in ipotesi) che potrebbero realmente prodursi e che
producendosi costituirebbero un ostacolo reale.
4. Valutare il peso di un’ipotesi
Parlare di un’ipotesi ha senso solo se queste si includono in un sistema di monitoraggio: è allora strategico selezionare le
ipotesi in modo da avere solamente quelle veramente importanti per il prog. e concentrare su queste l’attenzione.
Se si può fare qualcosa per evitare il rischio allora vale la pena modificare la logica di intervento (se l’ipotesi è a livello
delle attività, inserire nuove attività per scongiurarle; se le ipotesi sono a livello dei risultati, inserire un nuovo risultato
con le corrispondenti nuove attività) se non si può fare nulla per evitare il rischio, probabilmente si è in presenza di
un’ipotesi killer, ovvero in grado di ammazzare il livello superiore a quello in cui si trova. In presenza di un’ipotesi killer
meglio vale riformulare diversamente un prog., tenendo conto di tale ipotesi o addirittura lasciarlo perdere se non si
può trovare una diversa formulazione dello stesso.
La compilazione dell’algoritmo presuppone un’analisi seria del rischio che ogni ipotesi nasconde dietro alla sua
formulazione positiva. Tale analisi passa attraverso una valutazione incrociata di due fattori:
- La ripercussione che tale rischio avrebbe al prodursi sul raggiungimento del livello della logica di intervento a cui
l’ipotesi tende (il livello della logica di intervento soprastante l’ipotesi);
- La probabilità che l’elemento di rischio in esame si verifichi).

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Entrambi i fattori si misurano sulla base dell’esperienza, delle statistiche a disposizione e di una valutazione che si deve
fare di ogni possibile minaccia. Si può redigere una matrice nella quale si valutano i due elementi descritti (ripercussione
e probabilità) attraverso 3 livelli: basso. Medio e alto.
Una corretta analisi del rischio però non può limitarsi a suddividere i fattori in funzione delle due variabili e ad arricchire
di conseguenza la colonna delle ipotesi, dovrebbe prevedere delle azioni ad hoc che si potrebbero attivare nel caso un
fattore di rischio si produca (ovvero che l’ipotesi non si realizzi).
Algoritmo di verifica delle condizioni esterne (da effettuare ipotesi per ipotesi)

È una ipotesi rilevante?


Sì No

Sì, certamente
È probabile che si
Esclusione dalle
verifichi?
condizioni esterne

Forse
Poco probabile Inclusione nelle condizioni
Non si sa esterne

Si può fare qualcosa? Sì

No
Modifichiamo la logica di un
intervento
Ipotesi killer Si aggiungono o modificano le
Si verifica ad una attività, attività,
uccide il risultato si aggiungono risultati (e
Se riferita ad un risultato, quindi attività) se riferita ad u
uccide il prog. risultato

Ripercussione Alta Media Bassa


Probabilità
Molto probabile Alto rischio Alto rischio Rischio medio
Mediamente probabile Alto rischio Rischio medio Basso rischio
Poco probabile Rischio medio Basso rischio Basso rischio

5. Diverse chiavi di lettura

Le ipotesi rispondono ad una logica di sviluppo globale in quanto a ogni livello comunicano ai decision makers e a chi si
trova a dover selezionare un prog. tra una rosa di diverse alternative, quali sono i nodi sensibili per il successo di un
determinato intervento e come si possono incrociare i diversi prog. in una logica di sistema.

Esiste un legame tra il concetto d’ipotesi e quello di sostenibilità: la veridicità delle ipotesi garantisce sostenibilità al
prog. Detto diversamente il perdurare di un’ipotesi nella sua valenza positiva segnala la sostenibilità degli obiettivi
descritti nel livello superiore dell’ipotesi stessa. Quindi se le ipotesi a livello delle attività permangono vere nel tempo,
permarranno verosimilmente accessibili nel tempo i benefici-servizi descritti nei risultati; allo stesso modo se
permangono realizzate le ipotesi a livello dei risultati, permarranno i benefici descritti nello scopo.

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7. La realizzazione del viaggio. La messa in opera del prog.

Si possono distinguere tre macrofasi temporali nella realizzazione di un prog:

a) La fase di preparazione, in cui prima di tutto si definisce e si condivide con gli stakeholders e gli eventuali
organismi esecutori terzi il documento del prog in tutti i suoi dettagli sia nel caso in cui in testo originario abbia
subito taglio modifiche a opera degli enti finanziatori, sia che sia rimasto inalterato; in secondo luogo si mette a
punto la macchina progettuale sotto il profilo della predisposizione degli strumenti che verranno usati nella
gestione quotidiana, dell’apertura di un ufficio di prog., della selezione delle risorse, umane e fisiche, che è
necessario mobilitare (par. 1);
b) La fase di messa in opera vera e propria, nella quale il prog. verrà gestito e amministrato, ovvero le risorse, rese
disponibili nella fase precedente, si trasformano in azioni che produrranno benefici per i destinatari del prog, il
tutto affiancato da un regolare monitoraggio del funzionamento della macchina progettuale (par. 2);
c) La fase di uscita di scena degli esecutori del prog. con il passaggio del testimone ai partner ritenuti più idonei ad
assicurare la sostenibilità dei benefici prodotti dopo aver trasferito loro le competenze e capacità necessarie e
aver verificato la copertura dei costi di mantenimento dei benefici stessi (par. 3).

Si parlerà ora dell’ente esecutore (o enti esecutori), intendendo coloro che gestiranno il prog. Tale ente potrebbe
coincidere con il promotore di prog, spesso ciò accade, ma non è regola.

1. Fase di preparazione
✓ Un documento di prog. definitivo e condiviso

Non è raro che la decisione di approvare un prog. da parte di enti finanziatori sia accompagnata dalla decisione di
modificare la struttura e il budget: spesso tali cambiamenti vanno nella direzione di tagli di spese e di attività, molto più
difficilmente nel cambio degli obiettivi. Questo comporta una revisione del QL e una riformulazione del budget.

È anche frequente che tra la formulazione del prog. e il suo avvio trascorra molto tempo (a volte anche anni): sarebbe
ottimale organizzare un seminario che coinvolga stakeholders passati e presenti nel quale si rinfreschino contenuti
progettuali assunti e mete comuni.

Nella fase di preparazione alla gestione vera e propria di un prog. gli enti esecutori hanno la possibilità di imbastire e
cominciare a dare forma ad alcuni strumenti di gestione e pianificazione che si possono rivelare di grande supporto nel
lavoro di esecuzione dell’intervento. Spesso tutti o taluni di questi strumenti si preparano contestualmente alla
presentazione del prog. agli enti finanziatori (il cronogramma e il budget vanno presentati insieme alla proposta di
finanziamento e in questa fase vanno solo rivisti); altri invece sono da creare ex novo contestualmente alla partenza del
prog. Ci occuperemo qui degli strumenti di gestione e il budget.

✓ Gli strumenti di gestione

Gli strumenti di gestione che verranno analizzati sono i seguenti:

✓ Il diagramma dei tempi, cronogramma o diagramma di Gantt;


✓ Il diagramma delle risorse umane;
✓ Il diagramma delle competenze;
✓ Il diagramma delle risorse fisiche;
✓ Il diagramma delle risorse finanziarie;
✓ Il diagramma incrociato delle risorse.

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La direzione del prog. (che consideriamo emanazione dell’ente esecutore) dovrebbe avere ben chiara la necessità di
procedere ai seguenti passi, relativamente alla mole di attività previste nel documento di prog:

a) Suddividere ogni azione in sotto-attività, ovvero in azioni sufficientemente semplici da essere realizzate e gestite
con facilità. Questo passo consiste nello scomporre un’azione in sotto-azioni ed eventualmente ogni sotto
azione in compiti che la costituiscono e che sono suscettibili di essere assegnati a una persona che ne diventerà
responsabile e che considererà come suoi obiettivi di breve periodo;
b) Stabilire la sequenza e l’interdipendenza tra le attività. La sequenza riguarda l’ordine con cui le attività
dovrebbero svolgersi, quale azione va fatta prima e quale invece in un momento successivo; l’interdipendenza
invece aggiunge la necessità che un’attività possa iniziare soltanto quando un’altra a essa colegata è terminata o
ha raggiunto un livello stabilito;
c) Definire le milestones (pietre miliari), ovvero gli eventi cruciali nel corso dello svolgimento di u’attività che
misura un effettivo progresso nell’avanzamento dell’attività stessa. Le milestones sono indispensabili per un
corretto monitoraggio del prog. perché indicano cosa si può misurare nel processo di verifica dell’avanzamento
di ogni singola azione.

✓ Il diagramma dei tempi, cronogramma o diagramma di Gantt

Questo strumento consente di visualizzare graficamente la durata di ogni singola attività e le interconnessioni temporali
tra le diverse attività. Si tratta di una matrice nella quale si inseriscono le attività al livello di dettaglio desiderato come
intestazione delle righe e le unità di tempo a intestazione delle colonne. Sulla matrice si visualizzano graficamente gli
incroci che indicano la durata di ogni singola attività in corrispondenza del periodo (o dei periodi) nel quale si prevede
cche avrà luogo. Leggendo il diagramma per righe si ha la panoramica relativa alla tempistica in cui ogni azione si
prevede che si svolga; leggendo la matrice per colonne si ha la mole di lavoro pianificata per unità di tempo e le
concatenazioni eventuali di ogni attività con le altre.

È opportuno che le unità di tempo vengano scelte in funzione della durata complessiva del prog: per prog. brevi (della
durata inferiore al semestre) l’unità di tempo preferibile è la settimana o il mese; per progetti della durata annuale è
conveniente usare il mese, mentre per prog. pluriennali è usanza che la prima annualità sia suddivisa in mesi mentre le
annualità successive si suddividano in trimestri, quadrimestri o semestri. (vedi pag. 214)

✓ Il diagramma delle risorse umane

Questo strumenti consente di mostrare le risorse umane che il prog. ha pianificato di utilizzare per ogni singola attività e
per unità di tempo. Si tratta di una matrice nella quale si inseriscono le attività al livello di dettaglio desiderato come
intestazione delle righe, le unità di tempo e intestazione delle colonne e le risorse umane negli incroci corrispondenti.
Leggendo il diagramma per righe si ha la panoramica relativa alle risorse umane di cui il prog. ha bisogno per la
realizzazione di ogni singola azione; leggendo per colonne si ha la richiesta di risorse umane pianificata per unità di
tempo. La lettura verticale consente inoltre di determinare eventuali sovraccarichi di lavoro o, al contrario, tempi residui
da impiegare relativamente alle singole risorse umane coinvolte nel prog. quando ci si accinge alla ripartizione delle
responsabilità dello staff o degli eventuali consulenti. (vedi pag. 216)

✓ Il diagramma delle competenze;

Potrebbe essere utile redigere come strumento di gestione un diagramma delle responsabilità nel quale si assegnano le
competenze, suddivise in responsabilità primarie (R) o di supporto (S), ai membri dello staff assunto dalla entità
esecutrice. Il diagramma, se letto per riga, consente di visualizzare per ogni azione chi sono i responsabili primari e di
supporto; se letto per colonna consente di stabilire se le responsabilità sono suddivise tra le risorse o se alcune risorse
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umane rischiano di essere troppo oberate di impegni rispetto ad altre. Se il prog. prevede un responsabile della gestione
delle risorse umane, questi dovrà pianificare la loro gestione utilizzando due diagrammi. Se il prog. non prevede una
figura ad hoc è comunque indispensabile che tale compito, e il conseguente uso dei due strumenti descritti, sia sotto il
controllo del capo prog. (vedi pag. 217)

✓ Il diagramma delle risorse fisiche

Si intende per risorse fisiche l’acquisto di beni o servizi includendo sia materiali, merci, beni mobili, sia affitti, utenze,
servizi bancari, ristorazione e altro.

Questo strumento consente di mostrare le risorse fisiche che il prog. ha pianificato di utilizzare per ogni singola attività e
per unità di tempo. Si tratta di una matrice in cui si inseriscono le attività a livello di dettaglio desiderato come
intestazione delle righe, le unità di tempo a intestazione delle colonne e le risorse fisiche negli incroci corrispondenti.
Leggendo il diagramma per righe orizzontali si ha la panoramica relativa agli acquisti o alle risorse da organizzare per la
realizzazione di ogni azione; leggendo per colonne si ha la richiesta di risorse fisiche pianificata per unità di tempo. La
lettura verticale consente inoltre di determinare eventuali sovraccarichi negli acquisti su determinati periodi di tempo.

È buona pratica che l’ente esecutore nomini una persona (risorsa umana) responsabile del settore acquisti
(procurement), in special modo in cui sia necessario procedere a bandi o alla richiesta formale di preventivi, che si
avvarrà di tale programma come strumento di programmazione dettagliandolo nei tempi (colonne) e nei compiti (righe)
secondo il proprio bisogno. (vedi pag. 219)

✓ Il diagramma delle risorse finanziarie

Per poter redigere tale strumento è necessario un lavoro preliminare sul territorio per reperire il costo unitario delle
risorse descritte nei diagrammi precedenti. Questo strumento quantifica in termini monetari gli input che il prog. ha
pianificato di utilizzare per ogni singola attività e per unità di tempo.

Si tratta di una matrice nella quale si inseriscono le attività al livello di dettaglio desiderato come intestazione alee righe,
le unità di tempo alle colonne e i costi delle risorse umane e fisiche identificate anteriormente negli incroci
corrispondenti. Leggendo il diagramma per righe orizzontali si ha ka panoramica relativa al costo pianificato per ogni
singola azione, corredato dal peso della stessa in termini percentuali sul budget totale; leggendo per colonne si ha la
richiesta di risorse finanziarie pianificata per unità di tempo, il cash flow mensile o settimanale. La lettura verticale
consente inoltre di determinare eventuali sovraccarichi di richiesta finanziaria su determinati periodi di tempo,
considerazione importante che potrebbe portare il management del prog. ad anticipare o ritardare determinate attività
per evitare sovrapposizioni di spesa che potrebbero causare difficoltà gestionali. (vedi pag. 221)

✓ Il diagramma incrociato delle risorse

È possibile incrociare su di un solo diagramma tutte le informazioni raccolte in precedenza ponendo in un’unica matrice:
- le attività a intestazione delle righe;
- le unità di tempo a intestazione delle colonne;
- tutte le informazioni sulle responsabilità e le milestones disponendole all’interno del diagramma (vedi pag 222).

Il diagramma incrociato delle risorse, chiamato più semplicemente diagramma delle risorse, è lo strumento principe per
la gestione di un prog., non sostituisce i diagrammi disaggregati, ma li combina in un documento unico.

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✓ Il budget

Il budget è uno strumento che, insieme al cronogramma, va predisposto contestualmente alla proposta di prog.; in fase
di gestione si potrebbe eventualmente detta glarloper renderlo più idoneo a una corretta pianificazione del prog.
L’approccio metodologico è lo stesso utilizzato sino a ora per dettagliare le attività specificandone le risorse necessarie.
Utilizzando la matrice come strumento di lavoro sarà possibile, in questa fase, servirsi del diagramma incrociato delle
risorse come partenza. Le matrici avranno a intestazione di riga le voci di spesa (Items) del budget richiesto dall’ente
finanziatore a cui ci stiamo rivolgendo. Distinguiamo budget per attività e il budget per capitoli di spesa.

Bisogna tenere conto delle seguenti disposizioni:

- Tutti i costi vanno inclusi e dettagliati indipendentemente dal fatto che si abbia certezza della copertura degli
stessi con fondi degli enti finanziatori o che rappresentino contributi o valorizzazioni di uno o più stakeholders;
- Inserire nel budget solo macro attività, ovvero evitare di esplodere le sottoattività nelle quali ogni azione si
suddivide, ciò renderebbe lo strumento di difficile elaborazione e di utilizzo troppo frammentario.

✓ Il budget per attività

È un budget che si presenta sotto forma di matrice nella quale gli items sono costituiti: A) dalle attività; B) da un loro
dettaglio a livello di risorse comparabili e aggregabili. L’ultima tipologia la ritroviamo in quel budget in cui l’ente
finanziatore richiede un maggior dettaglio per ogni attività prevista nel QL. I due budget sono fratelli gemelli del
diagramma delle risorse letto per riga. Sono un eccellente strumento di valutazione di efficienza, poiché consentono di
determinare il peso di ogni attività sul totale del prog. (vedi es. pag. 226-227-228)

✓ Il budget per capitoli di spesa

È un budget che si presenta sotto forma di matrice nella quale compaiono i diversi items (in questo caso non più per
attività ma capitoli di spesa) a intestazione delle righe e i costi unitari, il numero di unità e i costi complessivi a
intestazione delle colonne. È importante tenere conto delle seguenti osservazioni:

- La suddivisione dei capitoli di spesa varia moltissimo a seconda dell’ente finanziatore e della linea di
finanziamento a cui il budget si riferisce, quindi non è possibile descrivere una ripartizione standard bensì una
ripartizione tipo;
- Tale tipologia di budget è la più comune utilizzata e può essere saltuariamente corredata dal budget per attività
che viene richiesto come documento solo da alcuni enti finanziatori e solo in certe linee finanziarie.

Analizziamo di seguito una suddivisione di un prog. in capitoli di spesa secondo uno dei tanti modelli in uso presso l’UE.
Il primo grande paragrafo è quello relativo alle risorse umane che si suddivide al suo interno in:

- Salari lordi, sia per staff locale che per staff espatriato nel caso l’intervento si attui in un paese non europeo, a
loro volta suddivisi a seconda che si tratta di staff tecnico o amministrativo;
- Diarie per trasferte suddivise nel caso di staff locale e di staff espatriato.

Si devono sempre intendere i valori comprensivi di imposte e trattamento di fine rapporto. Tale primo macro capitolo si
conclude con un sub totale delle risorse umane. I paragrafi successivi sono:

- Viaggi e trasporti, suddiviso al suo interno in viaggi internazionali e trasporto locale. Tale secondo macro capito
si conclude con un sub totale viaggi e trasporti;

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- Equipaggiamenti e forniture, suddiviso al suo interno in: acquisto o affitto di veicoli; mobilio, computer,
attrezzature con relativi ricambi. Tale terzo macro capitolo si conclude con un sub totale equipaggiamenti e
forniture.
- Ufficio di prog. in loco, suddiviso al suo interno in: mantenimento veicoli, affitti, cancelleria e forniture ufficio,
servizi e utenze ufficio. Tale quarto macro capitolo si conclude con un sub totale ufficio di prog.
- Altri costi e servizi, suddiviso al suo interno in: pubblicazioni, studi e ricerche, monitoraggio e valutazione,
conferenze e seminari, visibilità, audit, costi finanziari, traduzioni. Tale quinto macro capitolo si conclude con un
sub totale altri costi e servizi.
- Altro. In questa voce di budget si inseriscono i fondi di credito, gli apporti di particolari stakeholders per attività
ad hoc, fondi rotatori e tutte le voci di spesa che non si riescono a inserire nei paragrafi anteriori.

A questo punto si calcola il totale dei costi fino a qui dettagliati dalla prima alla sesta macrovoce, come “sub totale costi
diretti del prog.”, che viene fatta seguire dal settimo e ottavo capitolo:

- Imprevisti (costi convenzionali) massimo il 5% del totale precedente di costi diretti da 1 a 6 che sommato al
totale precedente dà il “totale costi diretti del prog.”. Questa voce è consentita soltanto presso pochissime linee
di finanziamento.
- Costi di amministrazione (costi convenzionale) su base percentuale (7% di tutti i costi calcolati fino qui da 1 a 7).

A questo punto si può tracciare il totale dei costi ammissibili, che risulterà quindi uguale al totale dei costi diretti più la
voce dei costi amministrativi.

Considerazione sulla variabile unità di tempo: nel caso di prog. pluriennali il finanziatore può richiedere oltre al budget
totale anche tutti i budget relativi ai periodi intermedi. Per costruirli sarà sufficiente suddividere il diagramma delle
risorse in annualità e utilizzarlo come punto di partenza per tutte le successive matrici. Sarà così possibile per un prog.
triennale formulare i budget di tutte le tre annualità.

✓ Il prospetto delle fonti di finanziamento

Il prospetto delle fonti di finanziamento è un prospetto che descrive come la totalità del budget di prog. sarà coperta da
tutti i cofinanziatori. Si può fare sia un prospetto che descrive soltanto gli attori con la rispettiva quota di budget totale,
oppure un incrocio tra gli attori e gli items di budget. Il primo dei due prospetti non vincola gli stakeholders alla scelta
delle azioni specifiche da finanziare. È importante a questo proposito distinguere tra:

- Finanziamenti monetari (cash) ovvero veri e propri esborsi di denaro;


- Finanziamenti valorizzati (in kind) ovvero monetarizzazione di risorse umane e/o fisiche poste al servizio totale o
parziale del prog.

Il prospetto è uno strumento utile per mostrare la partecipazione reale al prog da parte degli attori chiave e, qualora la
linea di finanziamento la consenta, permette di valorizzare parte delle risorse di taluni stakeholders che altrimenti non
potrebbero in alcun modo contribuire al finanziamento del prog.

✓ L’apertura dell’ufficio e la selezione delle risorse umane

L’ente esecutore potrà cominciare a predisporre l’ufficio di prog. con uno staff minimo organizzativo e una struttura
logistica di partenza che sarà via via arricchita e completata attraverso la selezione delle risorse umane e la stesura dei
TOR (termini di riferimento) delle stesse e la definizione delle risorse fisiche. Come momento conclusivo della fase
preparatoria, l’ufficio di prog., ora in una veste operativa, non più provvisoria con uno staff al completo e le risorse

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fisiche necessarie al suo funzionamento potrà formalizzare un sistema di monitoraggio, ultimo passo prima dell’avvio
delle attività.

Nella definizione dei compiti preliminari alla fase di messa in opera le entità esecutrici hanno la funzione di coinvolgere
alcuni degli attori chiave all’interno dello staff di gestione, oppure disporre alcune attività del prog. sotto la
responsabilità di uno o più organizzazioni partner che su quelle attività possono far coincidere capacità e interessi per la
massimizzazione dell’efficacia e per garantire la sostenibilità in futuro. A questo proposito è necessario che i ruoli di
ciascun attore nel prog. vengano formalizzati prima di iniziare le attività e che tale formalizzazione venga condivisa tra
tutti gli attori. Tale formalizzazione è tanto più rilevante quanto più vicini gli attori si trovano riguardo alle rispettive aree
di interesse e di specializzazione.

2. La di messa in opera

questa fase tocca i seguenti punti chiave:

a) Utilizzo delle risorse umane, fisiche e finanziarie pianificate;


b) Realizzazione delle attività descritte nel documento di prog.;
c) Messa a punto dei prodotti originati dalle attività, tangibili o intangibili;
d) Ottenimento dei benefici-servizi dai prodotti (obiettivi e risultati di prog.);
e) Monitoraggio del prog. con leasua relativa reportistica.

✓ Utilizzo degli strumenti di gestione

È in questa fase che gli strumenti di gestione che si sono approntati nel momento di preparazione all’avviamento del
prog. vengono verificati, aggiornati e utilizzati in un processo di riadattamento che continuerà per tutta la durata del
prog.

✓ Pianificazione

Il compito più delicato nella gestione di un prog. è quello della pianificazione delle azioni da intraprendere. Si tratta di
cercare di anticipare il futuro e stabilire:

a) Passi da fare;
b) I vincoli e gli ostacoli che potrebbero frapporsi;
c) Le opportunità da cogliere per massimizzare l’efficacia di ciò che si da o l’efficienza nell’uso delle risorse.

La pianificazione necessita di un continuo adeguamento a ciò che sta accadendo nella realtà e agli imprevisti di percorso
soprattutto per quanto riguarda:

a) Le attività restanti;
b) I benefici da esse risultanti;
c) Il budget finanziario e il sistema di rendicontazione;
d) Le risorse umane e fisiche;
e) I tempi di realizzazione.

I passi da fare sono quelli descritti nell’ordine di presentazione degli strumenti:

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- Definizione attività spacchettate in sottoazioni e compiti;
- Individuazione sequenza e interdipendenze in ogni unità di tempo;
- Taratura dei tempi;
- Identificazione delle risorse umane preposte a ogni compito con esplicitazione tra tutte di termini di riferimento
relativi a ciascuna di esse;
- Pianificazione degli acquisti dove presenti;
- Pianificazione delle spese compatibili con il cash flow mensile da mettere a punto mese per mese.

Tale sequenza di passi, qualora venga trasposta su di un supporto cartaceo o informatico costituisce il work plan, ovvero
piano di lavoro o più comunemente piano operativo. La base per la redazione del work plan è il diagramma incrociato
delle risorse: la differenza è che il secondo viene fatto contestualmente alla presentazione del prog. e serve
principalmente per la redazione del budget mentre il primo (il work plan) è uno strumento di gestione che farà da
sponda al monitoraggio di efficienza (avanti).

Un altro strumento che può aiutare una corretta pianificazione è lo stato di avanzamento o progress review report,
documento che comunica a che punto ci si trova con ciò che si è già realizzato in rapporto con quanto ancora si prevede
di realizzare. Può assumere la forma di matrice nella quale per ogni attività (disposta a intestazione delle righe) si
dettaglia a intestazione delle 5 colonne:

Attività Realizzato Speso Responsabile Azioni residue Residuo di spesa


Azione n.

Anche in questo caso lo stato di avanzamento va preparato anno per anno sulla durata di 6 o 12 mesi e aggiornato
periodicamente.

✓ Monitoraggio e adozione di misure correttive

Se ne parlerà nel capitolo successivo

✓ Reportistica

Chi gestisce il prog. deve produrre e comunicare una serie di documenti agli attori chiave del prog. stesso: documenti
che asumono la forma di rapporti, sovente secondo formulari predefiniti. Le finalità di detti rapporti sono le seguenti:

- Informare sui progressi raggiunti;


- Documentare formalmente ciò che si è fatto per facilitare decisioni o valutazioni a venire;
- Documentare cambiamenti e descrivere lo stato dei livelli di spesa e di utilizzo del budget;
- Garantire la trasparenza e la fiducia dei finanziatori e degli attori nel loro complesso.

✓ La fase di uscita di scena

Questa fase va pensata e predisposta fin dall’inizio del prog. come suo elemento portante e sostitutivo e pianificata nei
minimi particolari come fattore di sostenibilità. A tal fine dovrebbe essere ben chiaro fin dal primo giorno:

a) Quali sono i soggetti che si prenderanno cura di mantenere funzionanti ed efficienti le strutture create dal prog.;
b) Quali sono i soggetti che dovranno erogare i servizi-benefici ai destinatari del prog. attraverso le strutture
create;

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c) Quali sono i soggetti il cui sostegno politico, economico o morale è indispensabile affinché i benefici creati
continuino a essere fruibili da parte dei beneficiari nel tempo.

Le tre tipologie di soggetti hanno bisogno di una pianificazione ad hoc di azioni propedeutiche all’uscita di scena. Nel
dettaglio è necessario assicurare che:

a) La funzionalità delle strutture create abbia una copertura dei costi ricorrenti e un pacchetto di competenze
acquisite per garantire sia il funzionamento che il mantenimento di dette strutture;
b) Le competenze necessarie alla erogazione di tutti i servizi (risultati) che si prevede debbano proseguire oltre il
termine del prog. siano non solo state trasferite, ma soprattutto acquisite e testate sul campo da parte di chi
dovrà fornire detti servizi;
c) Gli attori pubblici e privati siano coinvolti attivamente in ogni fase del prog. e negli eventi di chiusura in modo
che il loro appoggio permanga nel tempo.

8. Seguire il viaggio da vicino. Il monitoraggio

Con il monitoraggio si entra nel vivo della fase di realizzazione di un progetto, la quarta e ultima fase del ciclo.

8.1 Monitoraggio versus valutazione

I due concetti sono costituiti da un nocciolo duro che li distingue profondamente, ma si sfilacciano in una miriade di
applicazioni sulle quali esiste un empio terreno di sovrapposizione.

Il monitoraggio è un processo continuo che accompagna il prog. dall’inizio della sua realizzazione e fino alla chiusura
dell’ultima attività. Viene svolto dallo staff del prog. stesso unitamente ad altri stakeholders e dovrebbe servire a
migliorare il management progettuale. È considerata alla stregua delle altre attività di prog. e pertanto si finanzia
all’interno del budget progettuale. Il monitoraggio non nasce con l’intento di giudicare ma di rendere disponibili le
informazioni importanti per chi vuole prendere decisioni. Vediamo ora la definizione OCSE

Funzione di management che usa la raccolta metodologica dei dati per determinare se le risorse materiali e finanziarie
sono sufficienti; se le persone incaricate della gestione hanno qualifiche idonee sia tecniche che personali; se le attività
rispondono alla pianificazione fatta e se quanto pianificato è stato fatto e ha permesso di raggiungere gli obiettivi fissati.

La domanda a cui il monitoraggio vuole dare una risposta è: Stiamo facendo le cose come previsto? Are we doing the
things right?

L’obiettivo specifico del monitoraggio è: performance del management migliorate.

L’obiettivo generale è: efficacia del prog. migliorate.

La valutazione è un insieme di verifiche che si svolgono a un momento dato, viene messa in atto da personale esterno al
management, quasi sempre richiesta e commissionata da un ente finanziatore, finanziata con fondi esterni al budget di
progetto. La valutazione giudica e trae conclusioni, vegliando sul raggiungimento degli obiettivi fissati. A seconda del
momento in cui viene richiesta giudicherà sull’ammissibilità del prog. a essere finanziato (ex ante), sulla capacità del
prog. di convertire le attività in risultati (in itinere), sul successo nel trasformare i risultati nell’obiettivo specifico (finale),

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sulla capacità del prog. di essere sostenibile a contribuire al raggiungimento degli obiettivi generali e creare sviluppo (ex
post). La valutazione permette di provare l’affidabilità agli enti finanziatori (accountability).

La definizione di valutazione data dall’UE:

Periodica verifica sulla efficienza, efficacia, impatto, sostenibilità e rilevanza di un prog. nel contesto di obiettivi definiti:
è sovente portata a termine da un esame indipendente con lo scopo di formulare principi che possano guidare future
prese di decisioni.

La domanda a cui la valutazione vuole dare risposta è: Stiamo facendo le cose giuste? Are we doing the right things?

L’obiettivo specifico della valutazione è: migliorato il processo decisionale dei donors.

L’obiettivo generale è: migliorata l’efficacia dell’aiuto allo sviluppo.

Se il monitoraggio si propone di migliorare il management del prog., allora deve non solo elaborare i dati raccolti, ma
anche interpretarli, valutarli e formulare delle azioni concrete di correzione del tiro da mettere in pratica. Questa
seconda parte attiene alla valutazione propriamente detta, dovrebbe essere parimenti appannaggio del monitoraggio.
Un monitoraggio ben fatto non potrà esimersi dal contemplare la valutazione dei dati che sta raccogliendo per
formulare proposte concrete e operative di miglioramento. possiamo così affermare che un monitoraggio di prog. che
abbia senso e non sia fine a sé stesso contempla una parte di valutazione.

8.2 Tipologie e attori del monitoraggio

Distinguiamo 3 dimensioni inerenti al monitoraggio che rappresentano altrettanti passi che si snodano
contemporaneamente e congiuntamente, e che non si possono pensare in maniera disgiunta o alternativa quando si
voglia fare un lavoro serio. Ognuno di questi passi è da pianificare con accuratezza da parte delle entità esecutrici e
rientra nella definizione di monitoraggio. Le tre dimensioni cui si esplica il monitoraggio sono:

a) Il monitoraggio di efficienza basato sulle attività sulle risorse;


b) Il monitoraggio di efficacia basato sugli obiettivi;
c) Il monitoraggio di contesto basato sulle ipotesi e sugli elementi di rischio che esse nascondono.

È prassi che del monitoraggio sia incaricato lo staff del prog. con la definizione di responsabilità precise a individui
precisi, unitamente al supporto di esperti di monitoraggio, se il budget lo permette, e la partecipazione dei seguenti
attori cruciali:

- I destinatari dei benefici progettuali descritti nei risultati per quanto attiene il monitoraggio di efficacia
(principalmente ma non esclusivamente);
- Gli stakeholders che conformano il contesto nel quale il prog. si muove per quanto attiene il monitoraggio sulle
ipotesi.

8.3 monitoraggio di efficienza: concentrarsi sulle attività e sulle risorse

questo è il tipo di monitoraggio più facile d realizzare, solo parzialmente chiama in causa la qualità dell’intervento e non
espone le entità esecutrici al rischio di venir criticate nel senso profondo del loro operare. Il monitoraggio di efficienza è
volto a determinare se gli output del prog. sono stati prodotti ed erogati in accordo con le attività pianificate e con le
caratteristiche previste. Si fa qui riferimento ai prodotti materiali o immateriali e alle risorse umane, fisiche e finanziarie

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previste nell’ambito del prog. e non ai benefici (servizi). I prodotti del prog. sono descritti tramite la realizzazione di
azioni. Tale monitoraggio ci può soltanto dire se le azioni sono state fatte come previsto, originando gli outputs previsti
e hanno implicato l’uso delle risorse previste, ma non potrà dire nulla sull’utilità delle stesse. Pertanto definiremo
questo tipo di monitoraggio come monitoraggio di realizzazione.

• Elementi portanti

si tratta si stabilire dei piani periodici contenenti soltanto le attività di prog. che si pianifica di svolgere nel semestre
considerato. Per ogni attività è opportuno pensare a tre diversi strati informativi che si espliciteranno nella tabella di
monitoraggio di efficienza (vedi pag 253):

a) Milestones, ovvero realizzazioni intermedie che siano strumentali alla realizzazione complessiva dell’attività
prevista nel cronogramma, circostanziate con la previsione temporale in cui si vorrebbe che avessero luogo;
b) Indicatore esecutivo di attività (o indicatore di realizzazione o indicatore di efficienza), si cercano elementi fisici
suscettibili di essere contati o misurati nell’attività. A volte tale indicatore è insito nell’attività stessa. Spesso i
prodotti previsti dal prog. sono corredati da caratteristiche tecniche specifiche: tali caratteristiche è necessario
che siano esplicitate negli indicatori di efficienza;
c) Indicatore finanziario, esprime il valore monetario dell’indicatore esecutivo espresso in precedenza o di altra
variabile considerata di interesse per l’attività in questione. Altre volte l’indicatore finanziario è semplicemente
il costo del prodotto che si è acquistato o che si è realizzato.

In pratica il rapporto periodico di monitoraggio di efficienza non è altro che una relazione semestrale in cui si
raffrontano i tre strati previsti e pianificati con ciò che nel semestre è realmente avvenuto. Quel che realmente importa
è sempre:

- Se ci sono stati degli scostamenti rilevanti;


- Le cause di tali scostamenti;
- Le azioni correttive che potrebbero migliorare l’aderenza del prog. alle sue previsioni iniziali.

Si può creare una tabella composta da due colonne che descrivono gli indici di realizzato o speso sul periodo e sul prog.
nel suo complesso.

L’indice sul periodo descrive che percentuale di realizzato e di speso si è realmente portata a termine. Se si è stati molto
bravi a fare le previsioni e a scrivere il prog. tali valori saranno entrambi uguali a 100.

L’indice sul totale del prog. Descrive quanta parte dell’attività in questione è stata già realizzata dall’inizio del prog. a
oggi sul totale che sarebbe da realizzare entro fine prog. Questa seconda colonna con percentuale ha un senso solo se
l’attività è ricorrente nel corso del prog. o si snoda su un periodo eccedente il semestre.

L’applicazione degli indici agli indicatori di tempo (milestones) ha un senso solo sul periodo e con una scala di
valutazione basata su 5 indicatori

SAT- Substancialy above target Equivalente a molto sopra le aspettative


AT- Above target Equivalente a sopra le aspettative
OT- On target Equivalente a In linea con le aspettative
BT- Below target Equivalente a Sotto le aspettative
SBT Substancially below target Equivalente a Molto sotto le aspettative

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Il management esprimerà un giudizio a posteriori sulla bontà della previsione senza usare valor numerici in % ma usando
indicatori più flessibili e soggettivi.

● Le risorse umane implicate nella gestione del prog.

Lo staff di prog. Va sottoposto a una onotinua valutazione delle performance nel quadro di monitoraggio di efficienza.
Questa verifica riguarda sia le abilità personali relazionali, come le abilità tecniche. Il fine è stabilire se sia necessario
intervenire con azioni di sostegno al personale della entità esecutrice, se le responsabilità di gestione affidate alle
diverse persone necessitino di essere riviste e ridistribuite, o se le risorse umane impiegate si trovano all'altezza della
situazione. Anche qui eventuali misure correttive vanno esplicitate con chiarezza e suffragate da motivazioni.

Lo strumento di monitoraggio delle risorse umane va preparato dalla dirigenza del prog per ciascuna delle risorse che nel
prog. Collabora. È una pianificazione trimestrale che va fatta all'inizio di ogni anno sulle macro attività attese dalla risorsa
umana in relazione agli obiettivi di prog. La prima parte a redatta dalla dirigenza insieme a ciascuna risorsa a cui la
scheda si riferisce. La seconda parte è una pianificazione dettagliata di azioni specifiche: le prime due colonne si
redigono gli ultimi due giorni del mese precedente a quello a cui la pianificazione si riferisce. La risorsa umana al termine
di ogni mensilità compilerà la terza colonna che si riferisce agli scostamenti sul pianificato e alle cause di scostamento e
lo passerà al suo superiore il quale apporrà i propri commenti nella quarta e ultima colonna. (vedi pag 259).

Il monitoraggio sulle risorse umane può essere affiancato da colloqui personale con coloro che interagiscono con le
risorse umane in questione (destinatari delle attività, colleghi di lavoro, partner locali, capo progetto). In questo modo si
coinvolgono i beneficiari del prog. E i diversi stakeholders che vengono inviati a esprimersi sulle risorse umane impiegate.

4. Monitoraggio di efficacia: concentrarsi sugli obiettivi

Aiuta il management del prog a capire se e in che misura le attività e i prodotti del prog stiano compiendo la loro
funzione di “creazione di benefici”. Il monitoraggio di efficacia considera normalmente intervalli annuali (nel caso in cui
il prog abbia durata pluriennale).

● L'importanza degli indicatori

un buon monitoraggio sui risultati di prog deve capire se si sta procedendo verso il successo o il fallimento: quindi si
devono individuare degli indicatori capaci di aiutare in itinere il processo di monitoraggio. È importante che si ricerchi ciò
che si può osservare nel modo più semplice e meno dispendioso possibile e che inoltre ci permetta di fare paragoni tra
ciò che accade grazie al prog e ciò che sarebbe accaduto senza il prog. I passi da fare per costruire buoni indicatori sono i
seguenti:

– ricercare gli ostacoli: riconvertire il risultato in problema dopo di che cercare in plenaria le risposte alla
domanda.

Far corrispondere le attività di prog agli ostacoli esistenti: una volta appurate le cause si va a cercare se il prog ha
previsto azioni dirette a rimuoverli. In caso positivo tali attività si scrivono in corrispondenza delle cause.

– Cercare un indicatore per ogni ostacolo di cui è prevista la rimozione: gli ostacoli indicati servono da guida per
formulare indicatori di efficacia che abbiano senso. Per far ciò bisogna raffrontare l'ostacolo rispetto a ciò che nel
periodo preso in esame si vuole fare per ri muoverlo. Guardando le attività pianificate e l'ostacolo che tali attività
dovrebbero rimuovere si formula uno scenario positivo futuro, con elementi quantificabili, che mostra come le attività
stiano realmente modificando positivamente la situazione descritta nell'ostacolo. Tale scenario, il più realistico possibile
è l'indicatore di cui abbiamo bisogno.

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● Efficacia del periodo su efficacia totale

si tratta di misurare come il prog dal suo inizio e in particolare nel periodo considerato, stia contribuendo al
raggiungimento dei suoi obiettivi definiti negli indicatori fissati per la durata complessiva del pog. Per far ciò è necessario
esaminare l'indicatore di ciascun risultato espresso nel QL.

● Il rapporto periodico di efficacia

questo rapporto andrà redatto dai responsabili di questo tipo di monitoraggio nel quale è opportuno siano coinvolti i
beneficiari finali e intermedi del prog che si rispecchiano nei risultati. Il rapporto di efficacia si accompagna al rapporto di
efficienza visto nel capitolo precedente e con questo forma parte del rapporto periodico di monitoraggio propriamente
detto. (vedi pag 268)

5. monitoraggio del contesto: concentrarsi sulle ipotesi

il monitoraggio del contesto è quella importante funzione che, facendo leva sulle ipotesi, permette al prog di porre una
barriera di campanelli di allarme al verificarsi di rischi concreti al fallimento. Tale tipo di monitoraggio va a toccare la
sostenibilità del prog durante la sua esecuzione. L'esame degli ostacoli al raggiungimento di un risultato può servire per
identificare ipotesi utili: tramite esso si possono integrare le ipotesi già esistenti con quegli ostacoli per cui, in tutta la
durata del prog, non si 'prevedono attività i quali andranno formulati in positivo (come ipotesi)

dopo bisogna selezionare quelle che maggiormente vale la pena di monitorare, selezionare dunque ipotesi sensibili o
meritevoli di maggiore attenzione. La scelta verrà fatta tenendo presente questa domanda “quali tra le ipotesi presenti
se non verificate diventeranno delle ipotesi killer?” quali ipotesi dunque sono così importanti da uccidere se non
verificata il suo risultato corrispondente o l'obiettivo specifico.

6. redigere un piano di monitoraggio

serve a comunicare all'esterno del prog cosa si farà, come e perchè lo si vuole fare. In esso saranno esplicitati tutti i
pagamenti che si prenderanno in considerazione nel monitoraggio: QL ricorretto, indicatori scelti per le varie unità di
tempo, fonti di verifica, ipotesi prese in considerazione nonché tempi e i responsabili delle varie forme di monitoraggio
adottate. (vedi pag 279 per chiarezza)

7. i rapporti periodici: necessità di ritoccare il prog

il piano di monitoraggio non va confuso con i rapporti periodici che invece si redigono a cadenza quadrimestrale,
semestrale o annuale. Dal rapporto periodico di monitoraggio può emergere la necessità di richiedere ai finanziatori
l'autorizzazione a compiere dei veri e propri spostamenti di risorse da certe attività a certe altre non originariamente
previste. Questi travasi si chiamano varianti: tanto più le varianti non richiedono nuovi capitali da parte dei finanziatori,
tanto sarà maggiore la probabilità che vengano da questi approvate. La richiesta di variante non è sintomo di malessere
in un prog, al contrario è sinonimo di efficienza e di serietà.

Considerazioni conclusive

i principali concetti che costituiscono la struttura portante del libro.

– il territorio artefice del proprio sviluppo. Quando un processo di cambiamento nasce al di fuori dal contesto che ne è
direttamente interessato, rifletterà presumibilmente le percezioni dei suoi ideatori con una forte probabilità di
restare al di fuori di molte dinamiche e relazioni del territorio che dovrebbe modificare. Riportare l'analisi all'interno

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della soggettività degli individui che costituiscono l'oggetto stesso del cambiamento può riservare sorprese
piacevolissime in termini di impegno, contributi e volontà di creare e mantenere nuovi equilibri.

– L'interesse motore delle azioni umane. L'identificazione dell'interesse come principale motore dei comportamenti
umani: laddove si fa leva sugli interessi di un territorio per ottenere le risorse e i contributi richiesti per il
cambiamento si imbocca la strada più facile per il successo. Un partenariato in cui tutti i membri contribuendo al
successo del prog soddisfano i propri interessi particolari è un partenariato solido e l'impegno e il contributo di
ciascun membro sarà proporzionale al grado di soddisfacimento del proprio tornaconto che tale membro otterrà
come effetto del proprio impegno.

– I problemi del cambiamento. Questo approccio si fonda sui problemi, tocca la sfera dell'emotività dell'individuo,
ricerca le sue frustrazioni senza, in un primo momento, volerne necessariamente conoscere le cause né le soluzioni.

– Le azioni come risposta agli ostacoli esistenti. Le azioni dovrebbero nascere da una ricerca degli ostacoli esistenti al
momento dell'analisi unitamente alla valutazione di come scavalcarli o renderli innocui. L'analisi delle attività è
prima di tutto un'analisi sui perché.

– L'individuo perno per il cambiamento. Il suo intorno spazio-temporale, le sue predisposizioni, valori e percezioni non
sono un corollario decorativo, ma gli aspetti centrali da cui non si può prescindere affinché quello che si fa possa
funzionare e creare un cambiamento in cui benefici durino nel tempo.

– L'attenzione al rischio, condizione per il successo. Il rischio di fallimento accompagna ogni processo di cambiamento.
La presenza e l'intensità di potenziali fattori di rischio non è di per se proporzionale alle probabilità di fallimento che
un intervento può avere se esistono un'attenzione dell'intervento sia in quella di realizzazione. Il rischio che qualcosa
vada storto, quando si vanno a modificare equilibri consolidati è sempre presente.

– Una gestione fondata sul monitoraggio. Continua attenzione al miglioramento, alla correzione del tiro,
all'adattamento ad una realtà che può cambiare ogni giorno. Laddove siu cerca l'eccellenza si investe nel
monitoraggio.

– Il mantenimento dei benefici nel tempo. La sostenibilità che va misurata sugli obiettivi rigorosamente intesi come
benefici e non sulle attività. Ciò che deve essere sostenibile è il beneficio che il prog-programma crea per i
beneficiari finali e non ciò che il prog realizza né i prodotti-output che prevede tali output devono durare nel tempo
solo fintanto che siano in grado di dare un servizio reale. Non c'è sostenibilità senza ownership (approvazione) da
parte della comunità e dei responsabili del territorio; l'ownership deve essere continuamente innaffiata e concimata
per non morire e tale nutrimento va previsto sin dai primi tempi del prog in divenire e ca garantito oltre il suo
presunto termine.

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