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DROGHE E FARMACI PSICOATTIVI

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 FARMACOLOGIA: scienza che studia il modo in cui i farmaci influenzano il nostro organismo
 PSICOFARMACOLOGIA: è una branca della farmacologia che studia come i farmaci
influenzano il cervello e il comportamento.
 FARMACODINAMICA: strutture con le quali il farmaco interagisce per produrre i suoi effetti.
 FARMACOCINETICA: descrive l’evoluzione temporale dell’attività di uno specifico farmaco
in termini di tempo necessario all’insorgenza dell’effetto e alla sua durata.

CAPITOLO 1
Le quattro fasi alla base della farmacocinetica sono:
1. Assorbimento: per esempio nel caso dell’aspirina, dalla compressa ingerita al nostro
organismo.
2. Distribuzione: dell’aspirina in tutto il corpo, incluso il feto.
3. Metabolismo: detossificazione o defìgradazione dell’aspirina che dopo aver esercitato il
suo effetto analgesico viene degradata a metaboliti che non esercitano alcun effetto.
4. Eliminazione: dei prodotti di degradazione o del farmaco, nell’urina.
Queste quattro fasi ADME determinano la biodisponibilità di un farmaco, cioè quale percentuale
raggiunge il suo bersaglio. La comprensione della farmacocinetica, insieme alla conoscenza del dosaggio
assunto, permette la determinazione della concentrazione di un farmaco a livello dei suoi recettori e
l’intensità dell’effetto del farmaco sui recettori in funzione del tempo. La conoscenza dei movimenti di
un farmaco in funzione del tempo offre importanti informazioni sulla sua attività, permettendo di
distinguere un farmaco da altri farmaci correlati. Per esempio, la principale differenza tra il lorazepam e
il triazolam (benzodiazepine) è rappresentata nella loro farmacocinetica poiché nonostante causano
entrambi sedazione ed effetti ansiolitici il lorazepam permane per almeno 24 ore nell’organismo a
differenza dei triazolam che permane dalle 6 alle 8 ore.

 ASSORBIMENTO
Si riferisce ai processi e ai meccanismi attraverso i quali un farmaco passa dall’esterno al corrente
circolatorio.
I meccanismi che permettono ad un farmaco di superare le barriere biologiche sono:
o Meccanismi passivi: Distribuzione passiva e ultrafiltrazione (se un farmaco ha un’elevata
lipofilia passa la membrana senza grandi problemi oppure in un canale il farmaco viene
legato ad un lato ed entra dall’altro).
o Meccanismi attivi: diffusione facilitata; trasporto attivo e fagocitosi/endocitosi.
a. Diffusione passiva: il passaggio è regolato dal grado di lipofilia del farmaco.
b. Diffusione attraverso il canale.
c. Diffusione mediata da un trasportatore.
d. Endocitosi in fase fluida.
e. Endocitosi mediata da recettore.
I farmaci vengono somministrati utilizzando 6 diverse modalità, divise in due categorie:
1. Vie enterinali (somministrazioni che coinvolgono il tratto gastrointestinale GI):
(a) Via orale
Perché risulti efficace un farmaco deve essere solubile e stabile nei fluidi gastrici, deve arrivare
all’intestino, penetrare la superficie dello stomaco o dell’intestino e raggiungere il torrente circolatorio.
Dato che sono già in soluzione, i farmaci somministrati in forma liquida tendono ad essere assorbito più
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velocemente rispetto alle capsule. Quando un farmaco viene assunto in forma solida sia la velocità di
dissoluzione sia la sua struttura chimica possono limitare la velocità di assorbimento. In alcuni casi, le
formulazioni orali contengono un precursore del farmaco: profarmaco (deve andare incontro a una
conversione chimica ad opera di processi metabolici prima di divenire l’agente farmacologicamente attivo.
Come per esempio la Lisdexamfetamina, utilizzata per il trattamento da deficit di attenzione e iperattività
ADHD). Dopo la dissoluzione della compressa le molecole di farmaco raggiungono l’intestino superiore,
dove vengono assorbite dalla mucosa intestinale con un processo di diffusione passiva, passando per
un’area a elevata concentrazione a un’area a più bassa concentrazione. Affinché avvenga questo le
molecole di farmaco devono essere liposolubili, e i farmici con una maggiore liposolubilità vengono
assorbiti più rapidamente.
La maggior parte dei farmaci psicoattivi ha una buona solubilità, quindi circa il 75% del farmaco
somministrato viene assorbito nel torrente circolatorio tra 1 e 3 ore dopo la somministrazione. Vi sono
poche eccezione a tal proposito (per esempio il farmaco antidepressivo/ansiolitico buspirone).
Nonostante sia molto comune, questa somministrazione presenta alcuni svantaggi quali: vomito,
disturbi gastrointestinali, non è prevedibile quanto farmaco sarà assorbito a causa delle variabilità genetica
tra i diversi soggetti, l’ambiente acido dello stomaco degrada alcuni farmaci prima che possano essere
assorbiti (anestetici locali e insulina).
(b) Via rettale
Alcuni farmaci sono somministrati per via rettale nel caso in cui il paziente vomiti, sia privo di
coscienza o non possa deglutire.

2. Via parentali (somministrazioni che non coinvolgono il tratto GI):


(a) Via iniettiva
Può essere endovenosa (viene evitato l’assorbimento con un’efficacia immediata). È utile in caso di
emergenza, permette la titolazione del dosaggio, si possono somministrare volumi significativi e sostanze
irritanti diluite. Ma ha anche delle limitazioni, quali l’aumento del rischio di effetti avversi, di norma si
deve procedere lentamente alla iniezione della soluzione e non è utilizzabile in caso di soluzioni oleose o
di sostanze insolubili. Un’iniezione troppo rapida può risultare catastrofica), intramuscolare (attività
immediata in caso di soluzione acquosa e attività lenta e prolungata in caso di preparazioni ritardo, è
utilizzabile nel caso di volumi moderati, veicoli oleosi e alcune sostanze irritanti. Per quanto riguarda le
limitazioni questa somministrazione viene preclusa nel caso di trattamenti anticoagulanti, può interferire
con l’interpretazione di alcuni test diagnostici) o sottocutanea (attività immediata in caso di soluzione
acquosa e attività lenta e prolungata in caso di preparazioni ritardo, è adatta alla somministrazione di
alcune sospensioni insolubili. Non è però adatta alla somministrazione di volumi elevati, con possibilità
di necrosi o dolore nel caso di sostanze irritanti).
(b) Via inalatoria
La diffusione dell’inalazione come via di somministrazione è il risultato di:
3. Tessuti polmonari che presentano una vasta area attraverso la quale fluiscono elevate quantità
di sangue, permettendo un rapido assorbimento dai polmoni al sangue.
4. I farmaci somministrati per via inalatoria hanno un effetto più rapido dei farmaci
somministrati per via endovenosa poiché a livello dei capillari polmonari, i farmaci vengono
condotti dalle vene polmonari direttamente al lato sinistro del cuore, nell’aorta e nelle arterie
che portano il sangue al cervello.
(c) Via transdermica

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Un cerotto transdermico rappresenta una formula farmaceutica particolare che fornisce una
continua e controllata liberazione del farmaco da un sito di immagazzinamento attraverso una membrana
semipermeabile. Il farmaco viene lentamente assorbito nel torrente circolatorio a livello dell’area di
contatto (nicotina, per scoraggiare il fumo; estrogeni e altri ormoni, per rimpiazzare ormoni che si
riducono dopo la menopausa; selegilina, trattata per la depressione; metilfenidato per il trattamento della
ADHD). Riducono al minimo potenziali effetti collaterali associati ad un rapido aumento della
concentrazione del farmaco presente del cerotto.
(d) Vie mucosali
Occasionalmente farmaci e droghe vengono assunti attraverso membrane mucose della bocca o
del naso.

→ BIODISPONIBILITA’
È la frazione di farmaco non modificato che raggiunge la circolazione sistemica a seguito di una
somministrazione attraverso una qualsiasi via: Endovenosa 100% di Biodisponibilità, Intramuscolare 70-
80% (tranne le benzodiazepine che hanno una Biodisponibilità pari al 50-70%), Sottocutanea 60%, Orale
40-60%, Rettale 70-80% poiché non c’è l’EFFETTO DI PRIMO PASSAGGIO, Inalatoria 5%,
Transdermica (ritenuta la via più sicura).
 DETERMINAZIONE DELLA BIODISPONIBILITA’
Se si riporta in un grafico la concentrazione plasmatica di un farmaco rispetto al tempo, si
determina l’AREA SOTTO LA CURVA che rappresenta la quantità di farmaco che raggiunge la
circolazione.

La biodisponibilità di un farmaco somministrato per via Orale è il rapporto tra l’area calcolata per
𝐴𝑈𝐶 𝑜𝑟𝑎𝑙
la via orale e l’area calcolata per via endovenosa 𝐴𝑈𝐶 𝑖𝑣

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La dose e la via di somministrazione influenzano l’altezza del picco plasmatico che deve trovarsi
tra la Concentrazione Minima Efficace e la Concentrazione Minima Tossica.
La curva tempo concentrazione è caratterizzata da tre parametri:
a) Concentrazione massima = concentrazione massima del farmaco nel plasma dopo la
somministrazione di una data dose (mg/ml)
b) Tempo di concentrazione di massima =tempo impiegato per raggiungere la concentrazione
massima
c) Area sotto la curva (AUC)= quantità totale di farmaco che raggiunge la circolazione generale.
Quando la concentrazione del farmaco si dimezza (EMIVITA) si somministra un’ulteriore dose
del farmaco, in modo da mantenere la Concentrazione Minima Efficace.
Sono necessarie quattro emivite e mezzo per raggiungere lo stato stazionario, è lo stato stazionario
quella condizione biologica in cui anche il paziente sente meno gli effetti collaterali.
L’indice terapeutico di un farmaco è definito dall’intervallo di concentrazioni plasmatiche nell’ambito del
quale un farmaco può essere considerato efficace e generalmente ben tollerato. Nel caso di farmaci con
basso indice terapeutico basso, come ad es. anticoagulanti, antiaritmici, immunosoppressori, antiepilettici,
ecc., esiste un maggior rischio di effetti indesiderati o di una riduzione dell’attività terapeutica a causa
della azione di inibizione o di induzione da parte di un altro composto.

→ L’INTERVALLO TERAPEUTICO (Finestra Terapeutica)


È quell’intervallo esistente tra la Concentrazione Minima Efficace e la Concentrazione Minima Tossica.
Questo intervallo può essere:
o Ampio → farmaco ad alto indice terapeutico
o Ristretto → farmaco a basso indice terapeutico
I farmaci si dividono in:
1) A BASSO INDICE TERAPEUTICO
2) Ad ALTO INDICE TERAPEUTICO
Quanto più ampio è l’intervallo tra la Concentrazione Minima Tossica e la Concentrazione
Minima Efficace, più ampio sarà il farmaco e il cosiddetto Indice Terapeutico. Indice Terapeutico Elevato
significa intervallo più ampio, Indice Terapeutico Basso significa intervallo ridotto.
In Psichiatria i farmaci sono ad Alto Indice Terapeutico.

 Effetti di una scarsa compliance sulle concentrazioni plasmatiche e sull’efficacia clinica


di un antipsicotico
Se un paziente non aderisce ad un trattamento perché riscontra degli effetti collaterali e quindi
non assume il farmaco (scarsa COMPLIANCE) le concentrazioni plasmatiche tenderanno a fluttuare.
Il paziente con queste fluttuazioni ha due certezze: essendo fluttuante non si legherà al suo recettore e
non eserciterà l’effetto terapeutico sperato, quindi il paziente starà anche peggio; e con l’oscillazione la
probabilità di avere effetti collaterali sarà maggiore, quindi smetterà di assumere il farmaco.
È fondamentale raggiungere uno stato stazionario quanto prima possibile restando al di sotto di
quella soglia minima che non dà gli effetti collaterali e questo aumenta la probabilità di guarigione sociale
del paziente, non solo clinica. Non bisogna mirare soltanto alla riduzione dei sintomi, ma il paziente deve
essere in grado di tornare a vivere nell’ambito sociale/lavorativo.

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 DISTRIBUZIONE DEI FARMACI
Una volta assorbito nel torrente circolatorio, il farmaco viene distribuito dal sangue all’organismo
attraverso diverse barriere per raggiungere il bersaglio (i recettori). Solo una piccolissima frazione del
farmaco è a contatto con i suoi recettori, mentre la maggior parte si trova in aree che sono distanzi dal
suo sito d’azione. Per esempio, nel caso di un farmaco psicoattivo, la maggior parte di questo circola
all’esterno del cervello e non contribuisce ai suoi effetti farmacologici e ciò è spesso causa di molti effetti
collaterali (effetti diversi dall’effetto primario o terapeutico per il quale il farmaco viene assunto).
Se il farmaco viene assunto per via orale, passa attraverso le cellule che ricoprono il tratto GI e
poi il fegato, da lì entra nella circolazione centrale e viene trasportato al cuore per essere distribuito in
tutto il corpo. Occasionalmente gli enzimi in grado di metabolizzare i farmaci presenti nel tratto GI e nel
fegato sono in grado di ridurre in maniera significativa la quantità di farmaco che raggiunge il torrente
circolatorio: metabolismo di primo passaggio.
Quando un farmaco viene iniettato, assorbito per via transdermica o per via mucosali, evita
l’assorbimento intestinale. Una volta assorbito entra rapidamente nelle vene e viene portato al lato dentro
del cuore. Il farmaco circola nei vasi polmonari, ritorna al lato sinistro del cuore e attraverso l’aorta
raggiunge il cervello e l’organismo.
I fattori che influenzano la Distribuzione sono:
a) Flusso Sanguigno: tanto più grande è la quantità di sangue che arriva in quel compartimento, tanto
più farmaco arriverà.
b) Tessuto Adiposo: (basso flusso ematico) è la meta in cui si depositano i farmaci lipofili, come le
benzodiazepine, cioè quei farmaci che hanno una particolare affinità con i grassi e il tessuto
adiposo è ricco di questi grassi. Qui si accumulano gli psicofarmaci. Paradossalmente questa
riserva di tessuto adiposo spesso raccoglie molti farmaci somministrati nei 10/15 anni precedenti.
c) Polmoni: (alto flusso ematico)
d) Fegato: (alto flusso ematico)
e) Cervello: (alto flusso ematico)
f) Rene: (alto flusso ematico)
Nel sangue oltre alla parte corpuscolare esistono le PROTEINE, come l’albumina, l’α1
glicoproteina acida, l’α2 macroglobulina. Il legame dei farmaci alle proteine plasmatiche non è selettivo,
nel senso che è possibile avere uno/due/tre farmaci con la stessa affinità alle proteine plasmatiche. Le
proteine plasmatiche sono come degli shuttle che portano il farmaco in giro per l’organismo e lo tengono
legato. Finché lo tengono legato, il farmaco può fare ben poco, ma quando il farmaco si stacca dalle
proteine plasmatiche, può raggiungere il bersaglio e può fare bene o male. Se le sue concentrazioni
plasmatiche sono molto alte si va in contro a tutte le reazioni tossiche.
Vi sono quattro membrane che influenzano la distribuzione di farmaci:
1. Membrane cellulari
Per essere assorbito dall’intestino o per accedere all’interno di una cellula, un farmaco deve
penetrare la membrana cellulare. Sono costituite da proteine e lipidi, formano una barriera fisica
permeabile a farmaci liposolubili di piccole dimensioni, ma impermeabile a farmaci non liposolubili di
grosse dimensioni. Le membrane cellulari sono importanti per i passaggi di farmaci dallo stomaco al
torrente circolatorio, dai liquidi che circondano le cellule dei tessuti all’interno delle cellule, dall’interno
delle cellule ai liquidi interstiziali e dal rene al torrente circolatorio.
2. Capillari
Sono piccoli vasi ematici cilindrici le cui pareti sono formate da uno strato di cellule, tra le quali
vi cono delle aperture che permettono il passaggio di piccole molecole tra sangue e tessuti. Il trasporto
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delle molecole di farmaco tra il plasma e i tessuti è indipendente dalla sua liposolubilità poiché le
fenestrature capillari sono sufficientemente ampie da lasciare passare anche le molecole di farmaco non
liposolubili. Tuttavia le aperture delle membrane capillari non sono ampie abbastanza da permettere la
fuoriuscita di eritrociti e proteine plasmatiche. I soli farmaci a non penetrare a livello tissutale sono i
farmaci legati alle proteine plasmatiche.
3. Barriera emato-encefalica (BEE)
È una barriera strutturale specializzata che protegge il cervello. Le pareti capillari cerebrali non
presentano fenestrature e le cellule endoteliali, che costituiscono le pareti capillari, sono unite le une alle
altre e ricoperte da una barriera lipidica definita guaina gliale. Farmaci di grosse dimensioni penetrano
con difficoltà a differenza dei farmaci di piccole dimensioni. I farmaci, dunque, che non attraversano la
BEE hanno accesso unicamente alle strutture del SNC, come per esempio la penicillina in cui la sua
attività è limitata alle infezioni esterne al cervello. Molecole più grosse sono invece trasportate attraverso
la BEE verso il cervello da mediante il processo di transcitosi (le sostanze si attaccano a un recettore
localizzato nella membrana della parete cellulare). Solamente poche patologie, quali la sindrome maniaco-
depressiva, la schizofrenia, il dolore cronico e l’epilessia rispondono in maniera significativa a molecole
che possono attraversare la BEE, al contrario del 98% dei farmaci che potrebbero esercitare un effetto
sul SNC ma non sono in grado di attraversare la BEE. Molte patologie del SNC, come l’Alzheimer,
l’ischemia cerebrale, la sclerosi laterale amiotrofica, la sclerosi multipla, la malattia di Huntington e le
patologie genetiche del cervello, non rispondono al trattamento con piccole molecole liposolubili.
4. Barriera placentare
Queste membrane sono uniche in quanto separano due esseri umani con differente composizione
genetica e sensibilità ai farmaci. La placenta matura consiste in una rete di vasi e di seni di sangue materno
nei quali fuoriescono villi a forma di dita o di albero che contengono i capillari ematici del feto. L’ossigeno
e le sostanze nutritive si muovono dal sangue materno a quello del feto, mentre il biossido di carbonio e
altri prodotti metabolici di scarto si muovono dal sangue del feto a quello della madre. Tutti i farmaci
psicoattivi saranno presenti nel feto a concentrazioni molto simili a quelle presenti nel sangue materno,
tuttavia la presenza di farmaci nel feto non deve essere considerata sempre dannosa poiché molti farmaci
psicoattivi, per esempio, si sono dimostrato relativamente sicuri per la crescita e lo sviluppo del feto.

 METABOLISMO ED ELIMINAZIONE DEI FARMACI


Le vie attraverso le quali i farmaci possono lasciare il nostro organismo includono:
1. Reni (l’escrezione avviene unicamente per agenti gassosi o altamente volatili, quali gli
anestetici generali o l’alcol in piccole quantità). La maggior parte dei farmaci viene
eliminata tramite le urine, sia in forma immodificata che come metabolita del farmaco
originale. La via più importante di eliminazione dall’organismo di un farmaco è
l’escrezione renale (urinaria) di metaboliti prodotti dalla biodegradazione epatica, fegato,
del farmaco stesso.
2. Bile (i farmaci eliminati con la bile sono facilmente riassorbiti nel torrente circolatorio
dall’intestino stesso)
3. Pelle (eliminazione tramite il sudore)
4. Polmoni
Affinché un farmaco liposolubile venga eliminato, deve essere trasformato metabolicamente (da
enzimi presenti nel fegato) in una forma che può essere eliminata rapidamente e con affidabilità. Questa
biotrasformazione solleva l’organismo dal carico di composti chimici estranei ed è essenziale per la

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sopravvivenza. Il 72% dei processi di Biotrasformazione avvengono nel fegato, il restante 25% nei
polmoni, intestino e reni.
I reni svolgono due funzioni principali: eliminano la maggior parte dei prodotti del metabolismo
corporeo e regolano i livelli della gran parte delle sostanze che si ritrovano nei fluidi biologici. I farmaci
liposolubili possono facilmente attraversare le membrane delle cellule dei tubuli renali e vengono
riassorbiti con il 99,9% dell’acqua a sua volta riassorbita. Il riassorbimento dei farmaci avviene
passivamente. I reni da soli non sono in grado di eliminare da soli i farmaci psicoattivi, infatti il farmaco
riassorbito viene captato dalle cellule epatiche (fegato) e biotrasformato enzimaticamente in metaboliti
che sono meno liposolubili ed eliminabili nelle urine. I metaboliti quindi vengono trasportati nel torrente
circolatorio fino ai reni, dove vengono filtrati e scarsamente riassorbiti, rimanendo nelle urine.
La famiglia degli enzimi del citocromo P450, localizzata negli epatociti, rappresenta il principale
sistema coinvolto nel metabolismo dei farmaci. Il sistema enzimatico del citocromo P450 è in grado di
detossificare gruppi chimicamente diversi di sostanze estranee. Alcune di queste famiglie, in particolare
0450 1, 2, e 3 (definite CYP-1, CYP-2 e CYP-3) codificano enzimi coinvolti nella maggior parte dei
processi di biotrasformazione dei farmaci. Il CYP-3A4 catalizza circa il 50% delle reazioni di
biotrasformazione dei farmaci, questa variante non è presente soltanto nel fegato ma anche nel tratto GI
come per il metabolismo del buspirone. Il CYP-2D6 metabolizza circa il 20% e le varianti CYP-2C
metabolizzano un ulteriore 20%. Altre varianti del citocromo P450 sono responsabili della
metabolizzazione del rimante 10% dei farmaci.
Quando si deve eliminare un farmaco, vi sono due operazioni:
o Fase I - Funzionalizzazione: le reazioni di questa fase hanno la finalità di inserire o mettere in
evidenza nella molecola gruppi funzionali come –OH, −𝑁𝐻2 , -COOH. Sono reazioni di fase I:
ossidazione, riduzione, idrolisi e idrossilazione. Le reazioni di fase I avvengono ad opera di una
famiglia di enzimi, chiamati ossidasi a funzione mista localizzati nei microsomi epatici. Queste
reazioni dipendono da una catena enzimatica di trasporto di elettroni che ha come terminale il
citocromo P450. Il citocromo P450 è presente nel fegato, polmone e intestino, costituiscono una
serie di isoenzimi (CYP) che mediano le reazioni ossidative di Fase I di farmaci e sostanze
endogene. I principali isoenzimi coinvolti nel metabolismo dei farmaci sono: CYP1A2, CYP2C9,
CYP2C19, CYP2D6, CYP3A4.
o Fase II – Coniugazione: sono reazioni enzimatiche di biosintesi per mezzo delle quali un composto
esogeno (farmaco) o un metabolita derivato dalle reazioni di Fase I si lega in modo covalente con
una molecola endogena. In generale i coniugati sono molecole polari facilmente eliminabili, che
hanno finito l’effetto farmacologico. Le più importanti reazioni di coniugazione sono:
Glucoronazione o coniugazione con l’acido glucorico, Acetilazione o coniugazione con l’acetato,
Coniugazione con il glutatione e Coniugazione con la glicina.
→ INDUZIONE METABOLICA
Una caratteristica degli enzimi epatici è che la loro sintesi e attività possono aumentare in seguito
a somministrazione ripetuta di sostanze come farmaci, pesticidi, sostanze chimiche di origine industriale
e alimenti (etanolo). L’induzione farmaco-metabolica si traduce in un’accelerazione del metabolismo e in
una riduzione dell’azione farmacologica non solo della sostanza induttrice, ma anche di farmaci
somministrati contemporaneamente all’induttore. L’induzione metabolica è un temporaneo aumento di
alcuni enzimi di Fase I che è indotto da altri farmaci. Richiede tempo per manifestarsi e scomparire, e può
portare a riduzione dell’effetto terapeutico, aumento dell’effetto terapeutico e/o aumento dell’effetto
tossico. Può essere alla base di fenomeni di appartenente resistenza alla terapia. La presenza di un
induttore può portare alla somministrazione di dosi elevate del farmaco associato che diventano tossiche

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alla sospensione del trattamento. Gli induttori più frequenti sono: alcol, fumo, iperico, carbamazepina,
fenobarbital, fenitoina.
→ INIBIZIONE METABOLICA
È una temporanea riduzione dell’attività di alcuni enzimi biotrasformanti dovuta a inibizione
competitiva o irreversibile, alterata sintesi enzimatica e alterata disponibilità di cofattori. Può portare ad
aumento dell’intensità e della durata dell’effetto terapeutico e tossico, diminuzione dell’attività
farmacodinamica e/o tossica in caso di profarmaci.

Numerosi sono i fattori che influenzano la biotrasformazione dei farmaci quali fattori genetici,
ambientali, culturali e fisiologici. Per esempio, la valutazione genetica del DNA è in grado di identificare
in quale modo una persona sia in grado di metabolizzare farmaci appartenenti a diversi classi terapeutiche,
inclusi antidepressivi, analgesici e antipsicotici. In generale l’analisi del DNA mediante tampone orale è
in grado di identificare se una persona è un metabolizzatore lento o rapido o normale. I risultati
forniscono una base scientifica alla comprensione del fatto che un soggetto possa presentare una reazione
tossica inaspettata dopo l’assunzione di una dose terapeutica del farmaco o il contrario.
Se nell’organismo sono presenti più farmaci, questi possono interagire tra loro in modo positivo
o negativo causando effetti collaterali o indesiderati. Per quanto riguarda gli effetti positivi, due farmaci
possono avere effetti terapeutici additivi. Tuttavia a livello epatico un farmaco sia aumentare che ridurre
la velocità del metabolismo di un secondo farmaco, riducendone o aumentandone le concentrazioni
ematiche. Possiamo trovarci davanti a tolleranza metabolica (il secondo farmaco diviene meno efficace
perché viene metabolizzato più rapidamente come effetto dell’aumentata quantità di enzima di
metabolismo presente). Una conseguenza dello sviluppo della tolleranza metabolica è data dal fatto che
qualsiasi altro farmaco metabolizzato dallo stesso enzima verrà anch’esso degradato più rapidamente.
Come risultato, tutti questi farmaci eserciteranno un effetto inferiore, un fenomeno definito tolleranza
crociata.
Al contrario della carbamazepina, che aumenta la velocità di metabolismo degli altri farmaci,
alcuni farmaci psicoattivi deprimono le attività degli enzimi della famiglia del CYP in grado di
metabolizzare altri farmaci. Questo processo aumenta le concentrazioni plasmatiche di altri farmaci
aumentandone la loro tossicità, come gli antidepressivi inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina
(SSRI), quali la fluoxetina, inibiscono l’enzima CYP-2D6, aumentando la tossicità di altri antidepressivi e
di alcuni antipsicotici.
 Altre vie di eliminazione dei farmaci
Tra le altre vie di eliminazione dei farmaci bisogna citare: l’aria espirata, la bile, il sudore, la saliva
e il latte materno. Nei farmaci con concentrazione bassa queste vie non vengono considerate quali vie di
eliminazione primarie dei farmaci. Tuttavia potrebbe essere rilevante il trasferimento di farmaci
psicoattivi, quali la nicotina, dalle madri ai figli allattati.

 EVOLUZIONE TEMPORALE DELLA DISTRIBUZIONE E


DELL’ELIMINAZIONE DEI FARMACI E IL CONCETTO DI EMIVITA
La conoscenza della relazione tra l’evoluzione temporale della concentrazione di un farmaco
nell’organismo e i suoi effetti farmacologici è essenziale per:
o Stimare i dosaggi ottimali e l’intervallo tra le dosi necessari a raggiungere l’effetto
terapeutico.
o Mantenere concentrazioni terapeutiche del farmaco per la durata di tempo desiderata
o Determinare il tempo necessario a eliminare il farmaco.
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Con i farmaci psicoattivi le concentrazioni di farmaco nel sangue si avvicinano alle concentrazioni
di farmaco al suo sito d’azione nel cervello.
Conoscere l’emivita plasmatica di un farmaco è importante perché ci dice per quanto tempo un
farmaco rimarrà nell’organismo. La maggior parte delle emivite viene misurata in ore, in alcuni casi
possono essere giorni e di conseguenza il recupero successivo al superamento dell’attività di un farmaco
può richiedere una settimana o più. Per esempio, l’emivita di eliminazione del diazepam è di circa 30 ore
in un adulto, ma molto di più in un anziano. L’emivita del suo metabolita attivo è più lunga: da diversi
giorni a una settimana.
L’emivita di un farmaco è il tempo necessario affinché la concentrazione plasmatica diminuisca
del 50%. L’emivita è indipendente dai livelli assoluti di farmaco nel sangue: la concentrazione si dimezza
ogni emivita plasmatica indipendentemente da quante molecole di farmaco siano effettivamente
metabolizzate durante tale periodo di tempo. In questo caso, definito eliminazione di primo ordine, la
velocità di metabolismo di un farmaco è una frazione costante di farmaco che rimane nell’organismo,
piuttosto che una quantità costante di farmaco nell’unità di tempo.
L’emivita biologica è il principale fattore determinante del tempo necessario al raggiungimento
della concentrazione allo stato stazionario. Se venisse somministrata una seconda dose piena di farmaco
prima che il farmaco sia stato completamente eliminato dall’organismo, la quantità totale di farmaco e la
sua concentrazione di picco nel sangue saranno superiori a quelle osservate nella prima dose. Se questo
tipo di somministrazione venisse ripetuto, la quantità di farmaco nell’organismo continuerebbe ad
aumentare fino al raggiungimento di una concentrazione stabile (stato stazionario) alla quale la quantità di
farmaco assunta e quella eliminata di equivalgono.
Il tempo necessario al raggiungimento della concentrazione allo stato stazionario è di circa 6 volte
l’emivita plasmatica ed è indipendente dal dosaggio del farmaco stesso. La concentrazione allo stato
stazionario è raggiunta quando la quantità somministrata nell’unità di tempo è uguale alla quantità
eliminata nella stessa unità di tempo. Le variabili indipendenti che determinano le concentrazioni
plasmatiche allo stato stazionario sono: la dose, l’intervallo tra le dosi, l’emivita del farmaco.

 MONITORAGGIO TERAPEUTICO DEI FARMACI


Il monitoraggio terapeutico dei farmaci può migliorare in modo rilevante la prognosi di disturbi
psicologici. Il principio alla base del monitoraggio è che è necessaria una concentrazione plasmatica di
soglia di un determinato farmaco perché a livello di recettore inizi e venga mantenuta una risposta
farmacologica. Esso rappresenta una modalità indiretta di misurazione della concentrazione del farmaco
a livello del sito recettoriale. Gli obiettivi del monitoraggio possono essere molteplici: possibilità di
verificare se un paziente assume il farmaco come prescritto, evitare la tossicità, miglioramento della
risposta terapeutica ponendo attenzione alla quantità di farmaco nel plasma.

 DIPENDENZA E TOLLERANZA AI FARMACI


La tolleranza ai farmaci è uno stato di progressiva diminuzione della risposta a un farmaco. Un
soggetto che sviluppa tolleranza ha necessità di una dose maggiore per ottenere l’effetto originario. Sono
coinvolti tre meccanismi farmacologici e uno comportamentale:
1. Tolleranza metabolica. Una maggiore quantità di enzima è disponibile per il metabolismo
di un farmaco e una maggiore quantità di farmaco è necessaria per mantenere le stesse
concentrazioni nell’organismo.
2. Tolleranza adattivo-cellulare o farmacodinamica. I recettori nel cervello si adattano alla
presenza di un farmaco riducendo il numero di recettori disponibili per il farmaco stesso

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o riducendo la loro sensibilità ad esso (down-regulation), quindi dosi più elevate di
farmaco sono necessarie per mantenere la stessa attività biologica.
3. Processi di condizionamento comportamentale. È possibile dimostrare lo svilupparsi di
tolleranza quando una droga viene somministrata in un ambiente caratteristico per
l’assunzione, ma non in ambienti diversi. È stata proposta una teoria omeostatica della
tolleranza alle droghe.

 EFFECTIVENESS
È la reale efficacia clinica (efficienza) di un farmaco che dipende dall’aderenza al trattamento e
alla tollerabilità.

 LONG ACTING
È una nuova formulazione nella pratica clinica, con minore somministrazione di un farmaco. Con
graduale rilascio del farmaco e conseguente somministrazione limitata, per esempio ad una volta al giorno.
Il rilascio prolungato per via orale è la modalità più utilizzata, insieme a quella intramuscolare.

CAPITOLO 2
 RECETTORI PER L’ATTIVITA’ DEI FARMACI
I farmaci esercitano la loro attività formando legami ionici reversibili con specifici recettori. Un
recettore è una molecola grossa (spesso una proteina) presente sulla superficie o all’interno di una cellula
che rappresenta il sito dove composti endogeni svolgono i loro normali effetti biologici. Esistono
moltissimi recettori diversi caratterizzati dalla capacità di riconoscere uno specifico neurotrasmettitore.
Quindi un solo neurotrasmettitore è sufficientemente specifico da interagire o legarsi ad una specifica
proteina recettoriale. Per esempio, se la serotonina è l’unico neurotrasmettitore a legarsi ad uno specifico
recettore, quella proteina verrà definita recettore della serotonina, ma anche se il recettore è specifico, la
serotonina potrà legarsi ad altri recettori strutturalmente diversi. Sono stati identificati, infatti, 15 diverse
proteine recettoriali per la serotonina e questa diversità permette di sviluppare farmaci correlati ciascuno
con un grado di affinità lievemente diverso per i differenti recettori della serotonina.
Ogni farmaco ha un’affinità con il recettore, l’elevata affinità determina la forza con la quale il
farmaco si lega al recettore, chiamato FARMACO AD ALTA POTENZA.
Solo pochi farmaci sono selettivi, cioè che si legano esclusivamente al recettore target, infatti
esistono moltissimi FARMACI OFF TARGET che si legano, dunque, a più recettori (e non solo al
target).
I recettori sono saturabili, ovvero sono presenti nel nostro organismo in un numero limitato.
Il legame specifico (binding) ai recettori risulta nella trasduzione del segnale ad un sito
intracellulare. Il recettore, quando si lega ad un farmaco, si modifica (quando si prescrive un farmaco ad
un paziente già precedentemente trattato, l’effetto è diverso rispetto ad un paziente che non è mai stato
trattato in precedenza).
Agendo a livello dei recettori i farmaci possono aumentare, diminuire o bloccare la generazione
o la trasmissione del segnale, poiché i farmaci sono modulatori dei recettori e non conferiscono nuove
proprietà alle cellule o ai tessuti. Non sempre i recettori si trovano nella membrana della cellula.
Un farmaco determina nel recettore una conformazione specifica che può comportare delle
risposte specifiche all’all’interno della cellula. Per esempio la Dopamina attiva il recettore ketamina A.
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Il legame di un farmaco ad un recettore può causare tre diverse attività:
 Attività agonistica. Il legame al sito recettoriale occupato da un neurotrasmettitore
endogeno può dare inizio ad una risposta cellulare simile o identica a quella esercitata dal
trasmettitore e il farmaco mima l’azione del trasmettitore. Il farmaco viene dunque
definito agonista di quello specifico trasmettitore.
Possiamo distinguere un parziale agonista, ossia un farmaco che determina solo una risposta
parziale del sistema biologico. Può essere un farmaco ad elevata affinità, come
l’aripripazolo. Il legame recettore-agonista spesso provoca la rapida attenuazione della
responsività recettoriale (desensitizzazione), con:
o Disaccoppiamento recettore-proteine G in risposta alla fosforilazione del
recettore.
o Internalizzazione del recettore (scomparsa del recettore dalla membrana cellulare)
o Down-regulation dei recettori totali in seguito della ridotta sintesi di MRNA e di
proteina.
 Attività allosterica. Un legame ad un sito in prossimità del sito di legame del
trasmettitore endogeno può facilitarne il legame, si tratta di un effetto di tipo agonistico.
 Attività antagonistica. Il legame ad un sito recettoriale normalmente occupato da un
neurotrasmettitore, che non dà luogo ad un’attività simile a quella del trasmettitore, blocca
l’accesso di quest’ultimo al suo sito di legame con il risultato di inibirne la normale attività
fisiologica. Il farmaco viene definito antagonista del neurotrasmettitore o del sito
recettoriale. Gli antagonisti possono dividersi in:
o Competitivo: competizione tra l’agonista endogeno e l’antagonista per lo stesso
sito di legame (antagonismo sormontabile).
o Non competitivo: con inibizione allosterica, non c’è competizione poiché
l’agonista e l’antagonista agiscono in siti differenti.
I farmaci si limitano a modulare il normale funzionamento neuronale, mimando o antagonizzando
le azioni di uno specifico neurotrasmettitore.
I principali tipi di recettori sono:
1. Recettori-canali ionici regolati da ligandi (definiti anche recettori ionotropici). Il
primo tipo di recettore che attraversa la membrana è quello che forma un canale ionico.
La porzione centrale del recettore forma un poro che attraversa la membrana del neurone,
il cui diametro aumenta quando un neurotrasmettitore o un farmaco si attaccano al sito
di legame del recettore. Questo legame permette il flusso di uno specifico ione attraverso
il poro allargato. Il recettore ionotropo è composto da 5 subunità, ognuna di esse
attraversa la membrana cellulare ed è costituita di 4 segmenti elicoidali che attraversano la
membrana denominati da M1 a M4. La composizione di queste 5 subunità forma il canale
del recettore ionotropo. Sono presenti:
a. ACETILCOLINA (Ach): placca della giunzione neuromuscolare nel muscolo
scheletrico, gangli autonomi e SNC. Il legame dell’Ach genera segnali elettrici via
Na+ e K+.
b. GABA-A: lega le benzodiazepine.
2. Recettori-canali ionici voltaggio dipendenti. (Nervi, cuore e muscolo scheletrico).
Depolarizzazione di membrana, modifica conformazionale, il canale si apre, Na+ e
Ca++ influx. Blocco del recettore, meccanismo degli anestetici locali, di alcuni
antiaritmici, antiepilettici, stabilizzanti del tono dell’umore, anti-ipertensivi.
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3. Recettori accoppiati a proteine G (definiti anche recettori metabotropi e abbreviati in
GPCR). L’attivazione di questi recettori induce il rilascio di una proteina intracellulare a
essi legata (proteina G) che controlla delle attività enzimatiche all’interno del neurone
postsinaptico. La funzione primaria di questi recettori è quella di trasformare stimoli
extracellulari in segnali intracellulari. A differenza dei recettori ionotropi, i recettori
metabotropi non formano un poro che permette il passaggio di ioni, ma quando un
neurotrasmettitore si associa ad un sito, viene attivato un intermedio all’interno della
cellula postsinaptica, la proteina G, che apre o chiude canali ionici localizzati in posizioni
diverse sulla membrana cellulare e la loro attivazione è più lenta. I metabotropi
rappresentano l’intermediario capace di influenzare la comunicazione tra il complesso
recettore-neurotrasmettitore, enzimi intracellulari e canali ionici adiacenti. Questi recettori
controllano la funzionalità dei canali ionici, il metabolismo energico, la divisione cellulare,
la differenziazione e l’eccitabilità neuronale.
4. Recettori con attività tirosina kinasi. Recettori per i fattori di crescita. Es. insulina,
EGF, PDGF. Dominio extracellulare e dominio intracellulare, autofosforilazione.
Esclusivamente sui gruppi OH- dei residui di tirosina.
I recettori mostrano un’elevata specificità sia per uno specifico neurotrasmettitore che per certe
molecole di farmaci. La molecola di farmaco con la migliore capacità di adattarsi al recettore è in grado
di indurre una risposta più intensa da parte della cellula bersaglio. Questo non significa che un farmaco
più potente è più efficace, ma che è in grado di produrre i suoi effetti ad una dose più bassa.
L’insieme degli effetti di un farmaco sull’organismo risulta dalla sua azione su un tipo di recettore
o su diversi tipi di recettore. In entrambi i casi l’insieme di queste azioni produrrà effetti aggiuntivi: effetti
collaterali. Per esempio, il blocco della ricaptazione della serotonina indotto dalla fluoxetina aumenta la
disponibilità di serotonina a livello di tutti i recettori postsinaptici. Questa azione provoca non solo
sollievo dalla depressione, ma anche effetti collaterali quali insonnia e disfunzione sessuale. Essi
producono però anche sedazione, secchezza delle fauci e visione annebbiata.

 RELAZIONE DOSE-RISPOSTA
Un modo per quantificare le interazioni tra farmaco e recettore è quello di usare curve dose-risposta.
Queste curve indicano che esiste una dose che è sufficientemente bassa da produrre un effetto molto
modesto o nessuno. La potenza si riferisce al numero assoluto di molecole necessarie di farmaco a indurre
una risposta, è la forza con cui il farmaco si lega al suo recettore a prescindere dalla sua attività intrinseca.
L’efficacia si riferisce alla risposta massima che un farmaco è in grado di produrre quando la maggior parte
dei recettori sono occupati e la variabilità e la pendenza si riferiscono a eventuali differenze nella risposta ai
farmaci.

 SICUREZZA ED EFFICACIA DI UN FARMACO


Perché un farmaco venga approvato il suo produttore deve dimostrare che esso sia efficace per
l’uso terapeutico e sicuro per l’utilizzo in un’ampia popolazione. La dose di un farmaco in grado di
produrre una specifica risposta varia tra i pazienti e gli effetti possono essere modificati dalla
contemporanea somministrazione di un altro farmaco. Le interazioni sono positive quando due farmaci
usati insieme producono un beneficio terapeutico che non può essere raggiunto da un solo farmaco,
come con la combinazione di due farmaci antidepressivi che può fornire sollievo dalla depressione che
non è raggiungibile con l’utilizzo di uno solo dei due farmaci.

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Tutti i farmaci producono effetti dannosi, oltre che benefici e gli effetti indesiderati possono
essere ricondotti a due categorie:
1. Effetti che sono riconducibili alle azioni di un farmaco.
2. Effetti che non sono riconducibili all’azione di un farmaco.
Per ottenere un determinato e desiderabile effetto terapeutico, a volte è necessario tollerare alcuni
effetti collaterali purché non siano di grave entità.

CAPITOLO 3
 ORGANIZZAZIONE GENERALE DELL’ENCEFALO
Il sistema nervoso dell’uomo consiste di due parti: Sistema Nervoso Centrale (SNC) e periferico
(SNP).
→ SNC (encefalo e midollo spinale)
→ SNP (nervi che originano dal midollo spinale e lo connettono agli organi)
Il midollo spinale consiste di neuroni e di tratti di fibre coinvolti in: trasporto delle informazioni
sensoriali dalla pelle, dai muscoli, dalle articolazioni e dagli organi fino all’encefalo; organizzazione e
modulazione della trasmissione motoria ai muscoli; modulazione delle afferenze sensoriali; controllo
autonomo delle funzioni corporee vitali.
La parte inferiore del cervello rappresenta il tronco encefalico ed è suddiviso in: midollo allungato, ponte
e mesencefalo. I farmaci ad attività depressiva, come i barbiturici, deprimono il sistema di attivazione del
tronco encefalico, il che è alla base della loro attività ipnotica.
Posteriormente al tronco encefalico vi è il cervelletto necessario all’integrazione del movimento e al
mantenimento della postura. L’area sopra il tronco encefalico coperta dagli emisferi cerebrali è il diencefalo,
costituito dall’ipotalamo (aiuta a controllare le funzioni vegetative quali la fame, sete, sonno). Controlla
da vicino la produzione degli ormoni da parte dell’ipofisi. È il sito d’azione di numerosi farmaci
psicoattivi), il talamo, il subtalamo (comprende piccole strutture che insieme alla substantia nigra SN nel
mesencefalo e ai gangli della base nel telencefalo costituisce il sistema extrapiramidale. Le principali
strutture dei gangli sono il caudato, putamen e globo pallido. I pazienti affetti da Parkinson hanno una
carenza nel neurotrasmettitore dopamina a livello delle terminazioni assoniche (che originano da cellule
nella SN), l’ipofisi e vari tratti di fibre.
Legato all’ipotalamo è il sistema limbico costituito dall’amigdala e l’ippocampo che integrano la
memoria, le emozioni e i meccanismi di gratificazione. Queste strutture sono il sito elettivo per lo studio
di farmaci e droghe psicoattive in grado di alterare l’umore, gli affetti, le emozioni, etc. Al loro interno si
trovano centri ricchi di dopamina che regolano i maccanismi di gratificazione.
La corteccia cerebrale ricopre il tronco encefalico e il diencefalo. La corteccia consiste die 4 lobi
maggiori: lobo occipitale (vista), lobo temporale (udito), lobo parietale (percezione sensoriale) e lobo
frontale (funzioni cognitive superiori).

 IL NEURONE
Rappresenta l’unità di base del SNC. È costituito da un soma (corpo cellulare). Il soma contiene
un nucleo che contiene DNA. Sono localizzati anche i mitocondri che forniscono l’energia biologica al
neurone. Questa energia in forma di adenosia trifosfato ATP viene resa disponibile per le diverse reazioni
chimiche che avvengono nella cellula. In risposta a uno stimolo, il DNA nel nucleo viene trascritto in

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una molecola corrispondente di acido ribonucleico hnRNA. Questo RNA rielaborato viene definito RNA
messaggero e viene successivamente tradotto a partire dall’informazione genetica codificata nell’RNA
nella sequenza amminoacida di una proteina che deve essere espressa) che contiene il nucleo, da dendriti,
corte fibre che dal soma si estendono nelle diverse direzioni che ricevono segnali in ingresso da altri
neuroni attraverso i recettori nella membrana dendritica. Quando vengono ricevuti questi segnali si genera
una corrente che viaggia lungo il dendrite fino al soma. Nella direzione opposta al dendrite si estende
l’assone che trasmette attività elettrica dal soma ad altri neuroni. La conduzione lungo l’assone procede in
un’unica direzione: dal soma lungo l’assone fino a strutture specializzate che formano dei complessi
(sinapsi) insieme a uno o più dendriti di un altro neurone.
Le connessioni sinaptiche formano la base anatomica della memoria e del mantenimento di un
normale stato emotivo, e questo rimodellamento continuo è associato alla plasticità sinaptica, i contatti
sinaptici tra neuroni vengono sempre ridefiniti. Una sinapsi rappresenta il punto di contatto tra un
terminale assonico e un’altra cellula. Essa consiste in un piccolo spazio tra la membrana presinaptica e
quella postsinaptica dei due neuroni. Il terminale presinaptico contiene numerosi elementi strutturali, il
più importante dei quali è rappresentato da vescicole sinaptiche che immagazzinano il trasmettitore che
è pronto al rilascio attraverso l’esocitosi.
L’arrivo del potenziale d’azione a livello della sinapsi induce la liberazione di un
neurotrasmettitore nella fessura sinaptica e il trasmettitore si lega ai suoi recettori. Tuttavia esistono dei
meccanismi in grado di eliminare il neurotrasmettitore:
1. Nella fessura sinaptica è presente un enzima che degrada le molecole di
neurotrasmettitore che rimangono nella sinapsi.
2. Il trasmettitore viene ricaptato dalla cellula presinaptica attraverso trasportatori.
3. Nel caso della trasmissione glutammatergica, dopo la liberazione, il glutammato viene
captato da cellule gliali adiacenti, riprocessato e riportato nella terminazione nervosa
presinaptica.
Alcuni neurotrasmettitori che vengono rimossi tramite ricaptazione presinaptica:
 Noradrenalina, la cui ricaptazione presinaptica viene bloccata dagli antidepressivi triciclici
e dall’atomoxetina.
 Serotonina la cui ricaptazione presinaptica viene bloccata dagli antidepressivi inibitori
della ricaptazione della serotonina (SSRI).
 Dopamina la cui ricaptazione presinaptica viene bloccata dal bupropione dalla cocaina.

 NEUROTRASMETTITORI
L’interazione con i ricettori sui quali agiscono i neurotrasmettitori naturali rappresenta il
meccanismo d’azione dei farmaci psicoattivi. Le prime sostanze chimiche identificate come
neurotrasmettitori nel SNC sono:
 Acetilcolina (Ach). Carenze nell’attività di neuroni sercenti acetilcolina sono state
associate a disfunzioni osservate nella malattia di Alzheimer. Alcuni farmaci possono
potenzia o inibire le attività dell’acetilcolina, come per esempio la scopolamina, un
farmaco psichedelico, che blocca i recettori colinergici centrali e che produce amnesia. Al
contrario i farmaci che aumentano la quantità di acetilcolina possono migliorare le
funzioni mnemoniche. La diffusa distribuzione di Ach è coerente con l’idea che l’Ach sia
convolta nei circuiti che modulano la trasmissione sensoriale.
 Neurotrasmettitori catecolaminergici. Nel SNC viene utilizzato per la dopamina (DA)
e la noradrenalina (NA). Nel cervello un significativo numero di farmaci psicoattivi alterano
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l’attività sinaptica della NA e della DA. La NA e la DA agiscono su due tipi di recettori,
ciascuno dei quali possiede almeno due sottotipi recettoriali. La DA esercita effetti
postsinaptici su almeno 6 tipi di recettori divisi in due famiglie (di tipo 𝐷1 e 𝐷2 ). I recettori
per la DA della famiglia 𝐷2 sono responsabili dell’attività antipsicotica dei farmaci.
La liberazione di NA produce allerta, concentrazione, stato di risposta orientata,
sensazioni positive di gratificazione e analgesia e può essere coinvolta in comportamenti
istintivi come fame, sete, etc. (Vie noradrenergiche).
 Serotonina. I farmaci che potenziano l’attività sinaptica della serotonina sono utilizzati
quali antidepressivi e ansiolitici nel trattamento di patologie ossessivo-compulsive, panico
e fobie. Alcuni di questi farmaci serotoninergici rientrano nella classe di SSRI. La
serotonina ha un ruolo nella depressione e, nel sonno, nell’attività sessuale, nella
regolazione della temperatura, quindi l’utilizzo di un SSRI per il trattamento della
depressione può essere associato a effetti collaterali quali l’insonnia, l’ansia e una perdita
della libido.
 Glutammato. È il principale neurotrasmettitore eccitatorio nel cervello. I recettori per il
glutammato si trovano sulla superficie dei neuroni ed esso rappresenta il precursore del
maggiore neurotrasmettitore inibitorio, il GABA. Il GABA infatti si forma dal
glutammato per azione dell’enzima acido glutammico decarbossilasi. La
neurotrasmissione glutammatergica svolge un ruolo essenziale nelle funzioni cognitive
della corteccia e dell’ippocampo, nella funzione motoria, nel cervelletto e nella sunzione
sensoria. È importante focalizzarsi sulla disfunzione glutammatergica nelle patogenesi
della schizofrenia, in particolare per quanto riguarda i sintomi negativi e la disfunzione
cognitiva associati a questa patologia. Il glutammato è coinvolto nell’apprendimento e
nella memoria, ma un eccesso di glutammato è in grado di scatenare morte neuronale e
questa eccitotossicità svolge un ruolo importante nel danno neuronale che accompagna
l’alcolismo e l’Alzheimer. Vi sono diversi tipi di recettori del glutammato: recettori
ionotropici e metabotropi.
 GABA (acido gamma-aminobutirrico). È un neurotrasmettitore inibitorio e si trova nel
cervello e nel midollo spinale. I due diversi tipi di recettori per il GABA vengono chiamati:
o 𝐺𝐴𝐵𝐴𝐴 . I recettori 𝐺𝐴𝐵𝐴𝐴 sono recettori a risposta rapida, permeabili allo ione
CL- e sensibili alla bicucullina (antagonista) e a muscimolo (agonista). Le
benzodiazepine attivano il GABA. È costituito da subunità α e β. Il GABA lega
le subunità β, mentre le benzodiazepine le subunità α.
 α 1: media gli effetti sedativi, amnestici e anticonvulsionanti delle
benzodiazepine.
 α 2 : media gli effetti ansiolitici delle benzodiazepine.
 α 3 e α 5 : responsabili degli effetti miorilassanti delle benzodiazepine.
Si stanno cercando delle nuove molecole α 1 antagonisti o α 2 agonisti con
proprietà ansiolitiche ma non sedative.
o 𝐺𝐴𝐵𝐴𝐵 . I recettori 𝐺𝐴𝐵𝐴𝐵 sono invece recettori a risposta lenta. L’attivazione
dei recettori 𝐺𝐴𝐵𝐴𝐵 nell’amigdala è associata alle proprietà antiaggressive e di
stabilizzazione di membrana dell’acido valpronico, un farmaco usato per il
disturbo bipolare.
 Peptidi oppioidi. Includono endorfine e encefaline. Sono delle piccole proteine.

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 Sostanza P. È un peptide che svolge un ruolo importante come trasmettitore sensoriale,
in particolare per gli impulsi dolorosi che arrivano al midollo spinale e al cervello da siti
periferici di danno tissutale. Gli oppioidi, gli antagonisti della serotonina e gli agonisti della
noradrenalina esercitano una quota significativa della loro azione analgesica a livello delle
terminazioni nervose della sostanza P quali possibili antidepressivi.

 SISTEMA SEROTONINERGICO
a. TRASMISSIONE SEROTONERGICA
Gli effetti della Serotonina (5-HT, 5-idrossitriptamina) sono: Regolazione del tono della
muscolatura liscia (sistema cardiovascolare, tratto gastrointestinale); aumento dell’aggregazione
piastrinica, neurotrasmettitore a livello del SNC.
b. SINTESI E METABOLISMO
SINTESI: nei neuroni serotoninergici e gliali. Il precursore è l’amminoacido triptofano che si
converte in 5-idrossitriptofano dall’enzima triptofano-idrossilasi che non viene inibito dal prodotto finale.
Il 5-idrossitriptofano viene decarbossilato a 5-HT ad opera della decarbossilasi degli aminoacidi aromatici.
DEGRADAZIONE: MAO-A
La serotonina ha un ruolo fondamentale nell’aggressività e può fare da precursore della
melatonina (per es. nella depressione abbiamo poca serotonina che comporta uno squilibrio delle
abitudini quotidiane, come svegliarsi tardi).
c. FUNZIONI DELLA SEROTONINA NEL SNC
Neurotrasmettitore modulatorio che generalmente esercita un’azione finale di tipo inibitorio,
modulazione della sensibilità dolorifica, modulazione dei sistemi sonno-veglia, elevazione del livello
dell’umore, lesioni del sistema serotoninergico determinano: Comportamenti aggressivi, disinibiti, Perdita
di inibizione nei confronti di comportamenti vietati.
o Patologie legate ad una alterazione della trasmissione serotoninergica
1. Depressione maggiore
2. Disturbi d’ansia
3. Disturbi dell’attenzione
4. Malattia di Alzheimer
5. Schizofrenia
6. Autismo
1. Farmaci che inibiscono la ricaptazione di serotonina
Antidepressivi triciclici (Amitriptilina – Imipramina – Nortiptilina – Desimipramina), Selettivi
per il reuptake di noradrenalina e serotonina SNRI (duloxetina e venlafaxina), Selettivi per il reuptake di
serotonina: SSRI (Fluoxetina, Fluvoxamina – Sertralina, Paroxetina – Citalopram, escitalopram).
2. Farmaci attivi sui recettori 5-HT
o Recettori 5-HT1A: Autorecettori somatodendritici (espressi sul corpo e sui
dendriti dei neuroni dei nuclei del rafe determinano, se attivati, una diminuzione
della frequenza di scarica dei nuclei del rafe e una depressione del sistema
serotoninergico nel SNC), Espressi nei nuclei vasomotori (possibile bersaglio per
terapie contro l’ipertensione) e Probabile bersaglio per farmaci ansiolitici e
coinvolti nell’azione terapeutica degli antidepressivi.
o Recettori 5-HT1D: Recettori presinaptici che inibiscono il rilascio di
neurotrasmettitori classici e neuropeptidi e sostanze ad azione vasodilatante (SP,
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CGRP, NO) – Bersaglio per farmaci antiemicranici. Triptani (sumatriptan,
eleltriptan. rizatriptan)
o Recettori 5-HT2A e 2C: espressi nei nuclei vasomotori bulbari (Bloccanti:
Ketanserina), Bersaglio per farmaci antiipertensivi (Ketanserina 5-HT2A),
Bersaglio di farmaci antiemicranici (Metisergide 5-HT2A 5-HT2C). Gli agonisti
dei recettori 5-HT2C sono farmaci allucinogeni (LSD). Bersaglio di farmaci
antipsicotici di nuova generazione (Clozapina (5-HT2A/2) e Risperidone, (5-
HT2A/2C)).
o Recettori 5-HT3: espressi nell’area postrema (CTZ) e nei nuclei motori dorsali
del vago che sono coinvolti nel controllo del riflesso del vomito. Modulano la
liberazione di numerosi neurotrasmettitori e aumentano la liberazione di
dopamina.
3. Farmaci che agiscono sui recettori 5-HT (agonisti indiretti)
Sostanze che aumentano la liberazione di serotonina dal terminale presinaptico tramite il
neurotrasportatore: Anoressizzanti (D-fenfluramina e Amfetamina), Sostanze d’abuso
Metilendiossimentamfetamina (Ecstasy).

c. FUNZIONI DELLA SEROTONINA NEL TRATTO GASTROINTESTINALE


 Recettori 5-HT4 (Cellule muscolari lisce e Aumento della peristalsi )
 Cellule nervose (Modulazione del rilascio di acetilcolina e stimolazione della peristalsi,
aumento del rilascio di neurotrasmettitori dai gangli intramurali = aumento della peristalsi
(effetto collaterale degli SSRI).
d. FUNZIONE DELLA SEROTONINA SULLE PIASTRINE
 Le piastrine non sono in grado di sintetizzare la serotonina perché non possiedono gli
enzimi necessari alla sua sintesi.
 Recettori 5-HT2 (Attivazione del recettore → aumento dell’aggregazione piastrinica.
Aggregazione piastrinica →liberazione di serotonina → vasocostrizione).
e. FUNZIONI DELLA SEROTONINA SUL CONTROLLO DELLA PRESSIONE
ARTERIOSA
 Effetti sul tono vasale (Ipotensione per attivazione dei recettori 5-HT1A → nuclei
vasomotori, Inibizione del rilascio di noradrenalina dai terminali ortosimpatici, Attivazione
della produzione di NO da parte delle cellule endoteliali (5-HT2 ).
f. FUNZIONI DELLA SEROTONINA SUL SISTEMA ENDOCRINO
 Secrezione di ormoni steroidei (Innervazione dell’ipotalamo: i recettori 5-HT1A e 5-HT2A =
liberazione dell’ormone rilasciante la corticotropina (CRH) = liberazione di ormoni
steroidei dalla corticale del surrene; Secrezione di prolattina: Controllo dopaminergico da parte
dei neuroni serotoninergici del rafe (5-HT1B).

4. ECSTASY
L’ecstasy agisce selettivamente sul sistema serotoninergico, può causare delle allucinazioni che
possono durare in media 4-5 ore. L’ecstasy produce degenerazione a carico dei serotoninergici. Gli effetti
avversi dell’ecstasy sono:
o Tremore, ipertermia, brividi, etc. (Sono predisposti i soggetti che assumono farmaci
serotoninergici).
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o Successivo svuotamento dei terminali serotoninergici.
o Disturbi cognitivi (a lungo termine) con confusione, depressione e disturbi del sonno.
o Elevati livelli d’ansia.
o Aggressività e comportamento impulsivo.

 SISTEMA GLUTAMMATERGICO
Le principali vie glutammatergiche sono: vie cortico-corticali, corticotalamiche, extrapiramidali e
ippocampali. È fondamentale per la percezione localizzata delle sensazioni e del dolore, apprendimento
e memoria, controllo della funzione motoria. Le patologie legate ad esso sono: epilessie, malattie
neurodegenerative, invecchiamento cerebrale, schizofrenia e dolore cronico.
I sottotipi recettoriali ionotropi possono essere suddivisi in tre gruppi: recettori NMDA (ruolo
fondamentale nell’apprendimento), recettori del KAINATO e recettori AMPA (entrambi nella
trasmissione glutammatergica a livello fisiologico).
1. Recettori AMPA: permeabilità con Na+ e Ca+
2. Recettori del KAINATO: pre e post-sinaptico nel SNC.
3. Recettori NMDA: post-sinaptico. Regolarmente sono inattivi. Attivi fanno entrare Ca+.
Lo ione magnesio impedisce a Ca+ di entrare, ma questo si può staccare quando la sinapsi
viene eccitata. Il Ca+ attiva una serie di proteine fondamentali per l’apprendimento.
L’apertura dello ione magnesio si chiama depolarizzazione.
La LTP è un fondamentale fenomeno per i processi dell’apprendimento che richiede l’attivazione
ad alta frequenza del recettore NMDA. Il glutammato non è solo legato all’apprendimento ma anche alla
memoria di abusi o traumi e al dolore cronico. Il dolore cronico è trattato con il farmaco PREGABANIL
il quale riduce l’ingresso di Ca+ nella sezione presinaptica e induce il rilascio di neurotrasmettitori
eccitatori (Glu, Sostanza P, noradrenalina).
L’NMDA fa entrare il Ca+ e si ha dunque l’attivazione del Glutammato. L’eccessiva attivazione
dei recettori NMDA determina fenomeni di degenerazione e morte neuronale per l’eccessivo ingresso di
Ca+ nei neuroni.
I recettori metabotropici regolano l’eccitabilità del SNC e i processi di plasticità neuronale e
agiscono da modulatori della sinapsi glutammatergica, in quanto reclutati sono in condizioni di elevate
concentrazioni di glutammato. Gli agonisti dei recettori mGlu3 esercitano effetti neuroprotettivi
stimolando un fattore neurotrofico: TGF-β1 (sostiene i neuroni durante i processi di apprendimento).

 SISTEMA COLINERGICO
La struttura del sistema nervoso autonomo è costituita da 2 branchie:
1. La via del simpatico (l'acetilcolina è il neurotrasmettitore rilasciato nelle cosiddette sinapsi
gangliari, nei gangli del sistema nervoso simpatico.)
2. La via del parasimpatico.

L'acetilcolina ha un ruolo nel sistema nervoso autonomo, nel simpatico e sia nel parasimpatico:
→ Nel simpatico solo nella prima sinapsi tra neurone pregangliare e neurone postgangliare,
→ Nel sistema parasimpatico sia nella prima sinapsi tra neurone pregangliare e post gangliare,
sia soprattutto nell'organo target, dove arriva l'acetilcolina rilasciata. Questo secondo
neurone è estremamente importante (tutti i farmaci che aumentano il segnale colinergico,
magari nel tentativo di migliorare memoria, attenzione e concentrazione, non devono
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dimenticare che l'acetilcolina non è solo il neurotrasmettitore della memoria ma è anche
il neurotrasmettitore del sistema nervoso autonomo).

I livelli di acetilcolina aumentano attraverso varie strategie, per esempio inibizione della sua
degradazione, ma aumentare l'acetilcolina nonostante abbia dei riscontri positivi al cervello nei processi
di memoria, finirà per aumentare anche in questi gangli sia nel simpatico che nel simpatico, e
prevalentemente tenderà a potenziare il parasimpatico e quindi ci saranno una serie di effetti collaterali
da accumulo di acetilcolina in periferia.
Quando si utilizza un farmaco che blocca l'acetilcolinesterasi bisogna tener conto che questa è
ovunque ci sia un neurone colinergico, i neuroni colinergici non sono solo nell'ippocampo, ma sono
anche nel sistema nervoso autonomo dove controllano l'attività di diversi organi.
o Il simpatico è il sistema che si attiva in condizioni di fuga, quindi per bronco-dilatare. Il
simpatico dà tachicardia (e anche midriasi, aumento della pressione arteriosa,
broncodilatazione, aumento della frequenza cardiaca);
o Il parasimpatico, bradicardia ecc. (quando nostri paziente il sistema simpatico è iperattivo
per anni le cose non vanno, c'è una produzione di stress cronico).

L'acetilcolina viene sintetizzata in un modo abbastanza semplice, perché vengono messe insieme
due molecole, l'acetil-coA, che è un intermedio metabolico, e la colina. E così si forma l'acetilcolina. A
fare questa sintesi è l'enzima che caratterizza il neurone colinergico che si chiama ChAt, detta anche
colinoacetiltransferasi. Una volta che la chAt ha sintetizzato l'acetilcolina, questa viene accumulata nelle
vescicole pronta a essere rilasciata in caso di arrivo del potenziale d'azione. Quando l'acetilcolina viene
rilasciata può agire sia a livello presinpatico (nel neurone presinptico avviene la sintesi e il rilascio di
neurotrasmettitore), sia a livello postsinaptico (dove si trovano i recettori target). Una volta che
l'acetilcolina ha agito sui recettori nicotinici viene degradata: è l'unico neurotrasmettitore che non viene
ricaptato.
L'acetilcolina viene degradata da un altro enzima, l'aceticolinesterasi. I farmaci che inibiscono
l'aceticolinesterasi sono i farmaci in uso per il trattamento dell'Alzheimer: inibire la degradazione
dell'acetilcolina è un modo per tentare di tenere più elevati i livelli di acetilcolina in una patologia in cui è
grave il deficit del sistema colinergico.
Una volta che viene degradato a colina e acetato, la colina può essere ripresa all'interno del
neurone. La cosa migliore da fare quando si vogliono tenere alti i livelli di acetilcolina è ridurne la
degradazione inibendo l'acetilcolinesterasi.
La sintesi di acetilcolina che può essere degradata da 2 tipi di enzimi: l'acetilcolinesterasi (che si
pensò fosse l'unico, e ha una localizzazione prevalentemente neuronale) e la butirrilcolinesterasi (presente
nelle cellule della glia, e fa la stessa cosa dell'altro enzima). La butirrilcolinesterasi non è un doppione
dell'acetilcolinesterasi, ma è allo stesso modo importante.
Esistono farmaci che inibiscono solo l'acetilcolinestrerasi e farmaci che inibiscono la
butirrilcolinesterasi e farmaci che fanno entrambe le cose.
Quindi il sistema simpatico è noradrenergico (per quanto riguarda i neuroni post gangliari),
mentre il sistema parasimpatico ha effetti opposti, ovvero colinergici.
I neuroni colinergici sono anche presenti nelle vie extrapiramidali. Ed è l'unico caso in cui l'eccesso di
acetilcolina dello striato (che è la somma di caudato e putanem), causa eccessiva attività degli interneuroni
colinergici, e si ritiene sia la causa del sintomo del tremore nel Parkinson (servono farmaci che bloccano
i recettori muscarinici per l'acetilcolina).

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L'acetilcolina ha un ruolo fondamentale nei processi cognitivi, in parte anche nel movimento, è coinvolto
nel ciclo sonno-veglia (pazienti che assumono farmaci colinergici hanno variazioni nel sonno). C'è anche
una regolazione del sistema colinergico anche a livello del sistema cardiovascolare.
 Sistema delle CATECOLAMINE
La noradrenalina è un neurotrasmettitore importantissimo che si forma a partire da un
amminoacido, la tirosina: tirosina → dopa → dopamina → noradrenalina.
La dopamina e la noradrenalina hanno funzioni completamente diverse nel sistema nervoso
centrale. La dopamina è importantissima nei meccanismi del movimento e altro; la noradrenalina è
essenziale per il funzionamento del sistema simpatico, ma anche per il mantenimento dell'attenzione:
come per esempio nei bambini con ADHD c'è un deficit di noradrenalina. Un neurone noradrenergico
deve essere in grado di trasformare l'amminoacido tirosina che gli arriva dalla dieta in dopa, poi in
dopamina e infine in noradrenalina.
Nelle cellule del surrene si ha la possibilità di trasformare la noradrenalina in adrenalina, che ha funzioni
leggermente diverse dalla noradrenalina che diventa un neurotrasmettitore ad azione ormonale con
caratteristiche essenziali per la branca simpatica del sistema nervoso autonomo.
I neurotrasmettitori oltre ad essere sintetizzati possono essere degradati., ma vedete che però queste
monoamine (noradrenalina e dopamina) possono essere degradate. A degradarle ci pensano degli enzimi:
 MAO: MonoAmino Ossidasi. Sono gli enzimi che degradano sia la dopamina, sia la
noradrenalina, sia la serotonina. Questi enzimi se vengono inibiti causano l’aumento della quantità
di neurotrasmettitore. Se in una patologia c'è un deficit di dopamina, come nel parkinson, e si
inibiscono le MAO, in particolare le MAO-B, si inibisce la degradazione di dopamina e quindi si
tengono i livelli di dopamina più alti nel vallo sinaptico. Sia i neuroni noradrenergici che i neuroni
dopaminergici devono degradare quello che sintetizzano. Il neurotrasmettitore che viene
prodotto da questi neuroni deve essere degradato dalle MAO.
 COMT: sono coinvolti esclusivamente nella degradazione della dopamina.
La noradrenalina agisce solo su 2 tipi di recettori: ALFA o BETA.
Quando si parla di tachicardia da noradrenalina da sistema simpatico, è legata proprio
all'attivazione dei recettori BETA.
La noradrenalina ha una maggiore affinità per i recettori BETA, mentre l'adrenalina tende di più
a legare i recettori ALFA. Questi recettori non sono solo nel cervello, ma sono ovunque, inoltre la
noradrenalina è nata come neurotrasmettitore del sistema simpatico, controllo degli organi periferici,
controllo dell'attività di molti visceri, ma è anche il principale neurotrasmettitore dell'attenzione ed è
essenziale per il raggiungimento di molti obiettivi, nell'apprendimento, e nell'attività psicomotoria
(quando nel depresso si ha un deficit psicomotorio è da ricondurre a un deficit di noradrenalina globale
in molte aree del cervello, in particolare nell'ippocampo ma soprattutto a livello della corteccia
prefrontale. Questo deficit di noradrenalina spiega anche quella difficoltà, quella lentezza che c'è nel
paziente depresso nella fase iniziale. Infine tutti i recettori per la noradrenalina sono tutti recettori
accoppiati a proteine G. Noradrenalina e acetilcolina hanno effetti opposti sullo stesso organo perché lo
stesso organo esprime due recettori diversi.
Risposte degli organi effettori agli impulsi nervosi autonomi: Intestino → aumento della motilità
e del tono, rilassamento degli sfinteri, stimolazione della secrezione.

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 TRASMISSIONE COLINERGICA
Sia per i neuroni colinergici, sia per i neuroni noradrenergici, la sede di partenza è nella sotto
corteccia, e poi dalla sotto corteccia questi neuroni con i loro assoni vanno ad innervare tutte le aree,
come in un sistema a margherita: pochi neuroni concentrati tutti in un'area, che partono da lì e arrivano
ovunque. I neuroni colinergici si trovano, nello specifico, nel nucleo basale di Meynert.
Nella malattia di Alzheimer si ha un grave deficit del sistema colinergico, mentre nel Parkison
un’eccessiva attività colinergica nello striato con disturbi motori.

 LA GIUNZIONE NEUROMUSCOLARE
I motoneuroni spinali prendono contatto con i muscoli scheletrici nelle giunzioni neuromuscolari
e inducono la contrazione muscolare mediante la liberazione di acetilcolina che deve attivare un
sottogruppo di recettori accoppiati al canale (canale verso cui entra lo ione sodio), che sono i recettori
nicotinici.
L'acetilcolina rilasciata qui, raggiunge i recettori, entra lo ione sodio che induce depolarizzazione,
quindi ingresso di ione calcio. Nel muscolo l'ingresso di ione calcio serve a innescare il meccanismo della
contrazione.
Esistono due grandi famiglie di recettori per l'acetilcolina:
1. I recettori-canale detti nicotinici che si dividono in 2 sottogruppi: muscolare e neuronale
(la nicotina delle sigarette attiva proprio il recettore neuronale);
2. I recettori metabotropici muscarinici (accoppiati a proteine G) sono 5:
a. il più importante è M1, che è quello associato ai processi memorizzazione
(nell'Alzheimer il deficit di acetilcolina si paga nella ridotta attivazione del
recettore muscarinico M1 importante per i processi di apprendimento e di
memoria). Localizzato nell’ippocampo. Si pensa ad un farmaco che stimola M1
con importanza particolare della selettività. I suoi antagonisti vengono usati per il
tremore indotto dai farmaci (quindi non nel Parkinson). I suoi agonisti vengono
usati per il trattamento nei deficit cognitivi e nella malattia di Alzhaimer. (Agonisti
e Antagonisti uguali per M1 e M2)
b. M2: presente nel SNC e produce brachicardia.
c. M3: presente nel SNC e produce contrazione della vescica e peristalsi.
d. M4: presente nel SNC e facilita il rilascio di dopamina, è inoltre coinvolta nel
rilascio di neurotrasmettitori.
e. M5: permette una facilitazione nel rilascio di dopamina. Gli M5 sono espressi nei
neuroni dopaminergici della VTA.
 Avvelenamento da muscarina: nausea, vomito, salivazione, dolori addominali,
miosi e lacrimazione, disturbi visivi, bradicardia, broncospasmo, ipotensione. Si tratta
di sintomi di natura parasimpatica che sono bloccati dalla somministrazione di
atropina.
 Usi terapeutici degli agonisti muscarinici: Disordini gastrointestinale, Disordini
della vescica urinaria, Xerostomia, Oftalmologia, Sistema nervoso centrale.

 INIBITORI DELLE COLINESTERASI


Possono essere di 2 tipi: REVERSIBILI (Rivastigmina, Donepezil, Galantamina, Huperzina) e
IRREVERSIBILI.
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Rivastigmina, donepezil e galantamina sono i farmaci che oggi usiamo per bloccare la
degradazione dell'acetilcolina, per l'inibizione della degradazione dell'acetilcolina. Serve per trattare il
malato di Alzheimer.

 USI DEGLI ANTICOLINESTERASICI


Inibire le colinesterasi (quindi usare anticolinesterasici) non è solo utile per trattare la malattia di
Alzheimer, ma anche in una patologia in cui si salva la vita ai pazienti: nella Miastenia Gravis. Sono
pazienti pieni di anticorpi che bloccano i recettori nicotinici muscolari, è una malattia autoimmune, per
cui questi recettori a un certo punto bloccano anche la respirazione. L'unico modo di salvarli è dare un
farmaco che blocca le colinesterasi, l'acetilcolina sale e spiazza gli anticorpi che stanno bloccando il
recettore, e il soggetto riprende a respirare.
Un anticolinesterasico è un farmaco che inibisce la degradazione dell'acetilcolina. Se l'acetilcolina
sale, quando sale si lega a tutti i recettori e quindi ha effetti sul sistema simpatico, sul parasimpatico, e
quindi stimola tutti i recettori muscarinici, i gangli del sistema nervoso autonomo, i muscoli scheletrici.
Quindi bisogna fare attenzione ad aumentare i livelli di acetilcolina perché si rischia di avere l'aumento
della contrazione gastrica, secrezione acida, aumento della motilità intestinale.

 STRUTTURA DEI RECETTORI NICOTINICI


Hanno 4 subunità è l'ingresso degli ioni sodio e calcio; quando l'agonista si lega al recettore c'è un
rapido cambiamento conformazionale, cioè il canale si apre; è un recettore canale e questo vale per il
recettore nicotinico muscolare, ma anche per quello nicotinico neuronale.

 NICOTINA
La dipendenza da fumo non è solo dipendenza da nicotina, ma da tutta la sigaretta. Esiste la
nausea di nicotina, che di solito viene sperimentata durante la prima fase nei fumatori, fin quanto non si
estingue a causa di una desensibilizzazione recettoriale, ovvero i recettori nicotinici cominciano a ritirarsi
dalla superficie delle cellule. Ma c'è anche un'eccitazione, un'influenza nei processi e nel transito del tratto
gastro-intestinale: l'ipertono. Cioè attivare i recettori nicotinici neuronali periferici migliora il transito
gastro-intestinale. C'è un aumento del battito cardiaco in una fase iniziale. Subito dopo aver fumato la
sigaretta la nicotina raggiunge il cervello e viene poi metabolizzata nel fegato; con un’attivazione del
sistema dopaminergico.
La nicotina viene metabolizzata e degradata dal citocromo CYP2A6 in coteina. La nicotina attiva
e desensibilizza un determinato tipo di neuroni e fa l’opposto negli α7 (esteri della colina). Nell’ottenere
il piacere il sistema colinergico si attiva ancora prima di provare piacere. Se si attiva un neurone
dopaminergico vi è un rilascio di dopamina (𝛼4𝛽2) che alla seconda sigaretta sono più attivi
(desensibilizzazione) e il rilascio di dopamina aumenta.

CAPITOLO 4
 SCHIZOFRENIA
È una malattia neuropsichiatrica debilitante che colpisce i soggetti giovani nella fase di passaggio
all’età adulta. Si verifica un’aumentata attività dopaminergica nella via mesolimbica e una diminuzione
della stessa nella corteccia prefrontale che comporta sintomi positivi e cognitivi (funzioni esecutive,
depressione, etc.).

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Nella fase premorbosa si osservano leggere alterazioni motorie, cognitive e sociali.
Nella fase prodromica si possono sviluppare sintomi umorali, cognitivi, isolamento sociale e
comportamenti ossessivi.
L’insorgenza della patologia porta a un deterioramento delle funzioni necessarie
all’autosufficienza, al lavoro e alle relazioni sociali, specialmente nei primi 5-10 anni, dopo i quali il
deterioramento clinico raggiunge una fase stabile che riporta a un miglioramento delle funzioni. La
schizofrenia è associata ad un aumento del rischio di suicidio. Mentre i comportamenti violenti sono
scarsamente collegati con tale patologia.
La schizofrenia è ritenuta un disturbo dello sviluppo neurologico associato a significative
anomalie delle strutture e delle funzioni cerebrali, è considerata una sindrome dissociativa, che riflette un
disturbo di base dei circuiti neuronali causata da molteplici fattori che alterano lo sviluppo cerebrale. I
sintomi della schizofrenia sono stati divisi in:
1. Sintomi positivi. Sono tipici della psicosi e includono allucinazioni, manie ed eloquio
disorganizzato, incoerente e illogico (disturbi del pensiero).
2. Sintomi negativi. Appiattimento degli affetti, povertà di linguaggio e di creatività mentale,
mancanza di motivazioni e interessi, della capacità di provare piacere e isolamento sociale.
Questa differenziazione della sintomatologia è importante perché gli agenti classici hanno effetto
principalmente sui sintomi positivi.
I pazienti schizofrenici mostrano anche compromissioni a livello di molti sistemi cognitivi
(memoria, attenzione e funzioni esecutive). Il trattamento è dunque mirato a qualcosa di più che ridurre
le alterazioni percettive e del pensiero, ma migliorare le funzioni cognitive e la qualità della vita.
Il farmaco long acting permette di preservare il cervello riducendo i fenomeni di degenerazione.
Nella schizofrenia vi sono inizialmente un eccessivo glutammato nel cervello e un ridotto funzionamento
della stimolazione del GABA che determinano una disinibizione della via mesolimbica e dopaminergica.
Si utilizzano i farmaci agonisti di mGlu 2/3 per inibire il rilascio di glutammato.
o Il ruolo della DOPAMINA
Le principali vie dopaminergiche del SNC sono: via mesolimbica, via nigro-striatale e
mesocorticale (5 − 𝐻𝑇2𝐴 ), Via tubero-infundibolare (il rilascio di dopamina permette l’inibizione della
prolattina).
Secondo le prime evidenze scientifiche il disturbo deriverebbe da un’errata regolazione del
sistema dopaminergico cerebrale, dando origine ad una iperattività delle funzioni dopaminergiche. Ciò
derivava dall’abuso di sostanze stimolanti note per aumentare la concentrazione sinaptica della dopamina
(amfetamine), e i farmaci antipsicotici sono antagonisti dei recettori dopaminergici e bloccano i recettori
per la dopamina nel cervello. I recettori dopaminergici possono essere classificati come recettori 𝐷1 e
𝐷2 . Tutti i farmaci antipsicotici hanno affinità per il recettore 𝐷2 e questa è il miglior predittivo della dose
clinica efficace di un antipsicotico. Bloccando i recettori dopaminergici, questi farmaci, provocano effetti
collaterali molto simili ai sintomi del parkinsonismo (sintomi extrapiramidali ESP). La somministrazione
cronica di antipsicotici potrebbe portare ad altre sindromi con abnormi funzioni motorie come la discinesia
tardiva (DT) una forma di disturbo motorio grave in cui si manifestano movimenti ipercinetici involontari
spesso della faccia e della lingua, ma anche del tronco e degli arti che posso essere inabilitanti (succhiare,
far schioccare le labbia, spingere o storcere la lingua, movimenti laterali della mandibola).
I recettori 𝐷2 sono recettori target degli antipsicotici (antagonisti dei recettori 𝐷2 )
o Il ruolo della SEROTONINA
Dato che la sostanza LSD provoca allucinazioni, si è inizialmente pensato che fosse coinvolta
nella sintomalogia clinica osservata con la schizofrenia. La LSD si pensava esercitasse un effetto agonista
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del recettore 5 − HT2𝐴 . Per questo motivo è stato ipotizzato che l’antagonismo del recettore 5 − HT2𝐴
possa essere responsabile di alcuni degli effetti benefici degli antipsicotici
o Il ruolo del GLUTAMMATO
Oltre alle amfetamine e alla LSD, anche la fenciclidina e la ketamina (bloccante del recettore
NMDA) hanno portato a nuove intuizioni sulla schizofrenia, poiché queste due provocano sintomi
schizofreniformi. Il meccanismo responsabile di questi effetti è un potente blocco dei recettori NMDA
del glutammato. L’ipofunzionalità da recettori NMDA provoca un eccessivo rilascio di neurotrasmettitori
eccitatori, glutammato e acetilcolina, nella corteccia frontale, danneggiando i neuroni corticali e
innescando il deterioramento tipico dei pazienti schizofrenici.

 CLASSIFICAZIONE DEI FARMACI


1. Antipsicotici di prima generazione (FGA): le fenotiazine.
Le fenotiazine sono stati dei farmaci utilizzati per il trattamento della schizofrenia. Esse sono
assorbite dal tratto GI in modo variabile e imprevedibile, la somministrazione orale è la più utilizzata, ma
l’iniezione intramuscolare è più efficace (da 4 a 10 volte di più). I livelli di fenotiazine presenti nel tessuto
cerebrale sono più bassi rispetto a quelli riscontrati degli altri tessuti, le concentrazioni più alte sono nei
polmoni, nel fegato, nel surrene e nella milza. Hanno un’emivita plasmatica da 24 a 48 ore e sono
metabolizzate lentamente nel fegato. Gli effetti clinici di una singola dose perdurano per almeno 24 ore.
Quindi, l’assunzione della dose giornaliera al momento di coricarsi riduce al minimo alcuni effetti
collaterali. Esse si legano ai tessuti dell’organismo è ciò spiega in parte la ridotta velocità di eliminazione.
I metaboliti di alcune fenotiazine possono essere rilevati per alcuni mesi dopo la sospensione
dell’assunzione del farmaco.
Oltre a bloccare i recettori 𝐷2 le fenotiazine bloccano anche i recettori colinergici, serotoninergici,
istaminergici e noradrenergici.
Le fenotiazine sopprimono a livello del tronco encefalico i centri coinvolti nelle reazioni di
eccitazione comportamentale e nel vomito, provocando indifferenza agli stimoli esterni; provocano
nell’area ipotalamo-ipofisi cambiamenti nell’assunzione di cibo e nell’appetito, variazioni della
temperatura e nelle funzioni ipofisarie; bloccando i recettori dopaminergici dei gangli della base
producono EPS e DT. Gli effetti collaterali extrapiramidali sono: acatisia (sensazione soggettiva d’ansia,
oscillazioni continue avanti e indietro), distonia (spasmi muscolari involontari e prolungate posture
anormali e bizzarre degli arti, del tronco, della faccia e della lingua), parkinsonismo indotto dai neurolettici
(tremori a riposo, rigidità degli arti, movimenti a catti a ruota dentata e rallentamento dei movimenti. Si
presentano quando la dopamina nei nuclei dei gangli della base sono al 20%).
Gli effetti collaterali legati alle fenotiazine sono: alterazioni cognitive e sedazione, alterazione della
pigmentazione cutanea, formazione di depositi di pigmenti nella retina, riduzione della vista, reazioni
allergiche con disfunzione epatica e disturbi ematologici, scompensi ormonali e la sindrome neurolettica
maligna (NMS). Ma non provocano tolleranza o dipendenza.
a) Antipsicotici di prima generazione alternativi
→ Aloperidolo. Il meccanismo d’azione è lo stesso delle fenotiazine: blocca i recettori 𝐷2 . È efficace
per trattare i pazienti con psicosi acuta (somministrazione endovenosa). Dato che è un potente
antagonista 𝐷2 provoca parkinsonismo.
→ Molidone. Provoca una sedazione e può essere euforizzante. Entrambi gli effetti possono essere
in relazione al blocco dell’enzima monoaminossidasi (regola la quantità di neurotrasmettitori,
incluse noradrenalina, dopamina e serotonina). Può provocare parkinsonismo.

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→ Loxapina. Ha proprietà antipsicotiche, antiemetiche e sedative, abbassa la soglia compulsiva in
maniera maggiore rispetto alle fenotiazine. Somministrazione con iniezioni intramuscolari,
endovenose o compresse o inalatoria.
→ Pimozide. Gli effetti collaterali maggiori sono EPS, DT, anomalie elettrocardiografiche
(prolungamento dell’intervallo QT).

2. Antipsicotici di seconda generazione (atipici)


→ Clozapina. Non causa gli effetti collaterali extrapiramidali associali ai neurolettici tradizionali,
può trattare la psicosi senza esacerbare i disturbi motori e riduce il rischio di suicidio negli
schizofrenici. È ben assorbita oralmente e i livelli plasmatici del farmaco raggiungono il picco
in circa 1-4 ore. Il farmaco ha due principali metaboliti farmacologicamente inattivi, il tempo
di emivita varia da 9 a 30 ore. Antagonizza il recettore 𝐷2 in modo meno marcato rispetto a
𝐷1 e meno del recettore 5 − 𝐻𝑇2 . Gli effetti collaterali comuni sono: sedazione, forte
incremento del peso corporeo, abbassamento della soglia convulsiva, ipersalivazione e
costipazione con rari casi di agrinulocitosi.
→ Risperidone. È un potente antagonista del recettore 𝐷2 e del recettore 5 − 𝐻𝑇2, portando a
un migliore controllo dei sintomi psicotici con minima induzione di effetti ESP. È ben
assorbito se assunto per via orale, si lega alle proteine plasmatiche ed è metabolizzato in un
intermedio attivo, il 9-idrossi-risperidone. Può essere assunto anche in forma iniettiva ad
azione prolungata, utilizzato sia come monoterapia sia come terapia aggiuntiva. L’emivita
plasmatica è di circa 3 ore e quella del metabolita attivo, che è responsabile della sua attività, è
di 23 ore. Il riconoscimento di questa caratteristica ha portato all’approvazione del metabolita
attivo 9-idrossi-risperidone. Il risperidone è efficace quanto l’aloperidolo nel ridurre i sintomi
positivi della schizofrenia, ma a dosaggi che non provocano un’elevata incidenza di ESP. Gli
effetti collaterali comuni sono: sonnolenza, agitazione, insonnia, mal di testa, prolattina elevata,
ESP ad alti dosaggi e nausea, e una maggiore incidenza di infarti e attacchi ischemici nel SNC
in anziani.
→ Olanzapina. È ben assorbita oralmente. I livelli plasmatici raggiungono il picco in circa 5-8
ore. Con dosaggi bassi vi è un completo blocco dei recettori 5 − 𝐻𝑇2 , con un blocco crescente
del recettore 𝐷2 all’incrementare delle dosi. Per somministrazione intramuscolare è altrettanto
o più efficace del lorazepam o aloperidolo nel trattamento dei comportamenti aggressivi.
→ Sertindolo. È un antagonista recettoriale 5 − 𝐻𝑇2 con una capacità inferiore di bloccare i
recettori 𝐷2 . Diversamente da risperidone e clozapina non ha alcuna affinità per i recettori
dell’istamina e ha un minor effetto sedativo. Il farmaco può essere dannoso per il cuore, ed è
per questo che non viene più commercializzato.
→ Quietapina. È ad azione di blocco recettoriale 5 − 𝐻𝑇2/𝐷2 . È paragonabile all’aloperidolo
nel ridurre i sintomi positivi con pochi ESP. Viene utilizzata per il trattamento della
schizofrenia e della depressione bipolare acuta e maniacale e, come farmaco aggiunto, nella
terapia di mantenimento del disturbo bipolare. Ha un’emivita plasmatica di circa 6 ore ed è
molto utilizzata nel trattamento della mania degli adolescenti.
→ Ziprasidone. È efficace per il trattamento della schizofrenia con bassa probabilità di
provocare ESP. La sua emivita è di circa 6 ore. Oltre a bloccare i recettori 5 − 𝐻𝑇2 e 𝐷2 è un
agonista parziale del recettore 5 − 𝐻𝑇1𝐴 e un moderato inibitore della ricaptazione di
serotonina e noradrenalina. Ciò conferisce proprietà antidepressive e ansiolitiche, ma prolunga
l’intervallo QT.
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→ Amisulpride. Blocca selettivamente i recettori 𝐷2 e 𝐷3 del sistema limbico ma non nei gagli
della base, e non lega i recettori 𝐷1 , 𝐷4 e 𝐷5 il che potrebbe giustificare la bassa incidenza di
effetti collaterali di tipo ESP. Non blocca i recettori 5 − 𝐻𝑇2 , né antagonizza i recettori
anticolinergici, adrenergici o istaminergici. A bassi dosaggi blocca i recettori dopaminergici
presinaptici, incrementando il rilascio di dopamina. È efficace nel trattamento della distimia e
della depressione e in quello dei sintomi negativi della schizofrenia. Ha un’emivita plasmatica
di circa 12 ore, di 16 ore negli anziani. È un antidepressivo con azione di antagonista sui
recettori 𝐷3 con maggiore rilascio di Dopamina.
I farmaci di prima generazione curano solo i sintomi positivi, quelli di seconda sia i sintomi
positivi che negativi (blocco 5 − 𝐻𝑇2𝐴 ) e sono più tollerabili, presentando un ridotto rischio di sviluppare
effetti extrapiramidali.
Olanzapina, Clozapina e Quetiapina vengono raggruppati in MARTA.

o Principali effetti collaterali degli psicotici di seconda generazione


Aumento di peso, diabete di tipo 2 nell’età adulta e iperglicemia (rispetto a quelli che assumono
antipsicotici della prima generazione), aritmia. LA Clozapima e l’Olanzapina provocano aumento di peso
ed effetti anticolinergici (convulsioni/agranulocitosi).
o Altre applicazioni dei farmaci psicotici di seconda generazione
Disturbo bipolare → Olanzapina, risperidone, quetiapina (usata anche per trattare gli episodi
depressivi bipolari), ziprasidone, aripiprazolo (TGA) sono statati approvati per la monoterapia della
mania bipolare acuta e gli episodi misti.
Depressione unipolare → aripiprazolo (TGA) e quetiapina.
Demenza → olanzapina e quietiapina (possono peggiorare la demenza) e risperidone.
Disturbi dello spettro autistico, disturbo pervasivo dello sviluppo, agitazione e
aggressività → risperidone, anche se il 30% dei bambini non risponde a tale farmaco, l’olanzapina.
Disturbo da stress post-traumatico → risperidone, olanzapina, quetiapina, ziprasidone e
aripiprazolo (GTA).
Disturbo ossessivo-compulsivo → risperidone, olanzapina e aripiprazolo (GTA)
Disturbo borderline di personalità → risperidone, clozapina, quetiapina, olanzapina, ma nei
disturbi gravi sono risultati molto blandi.
Morbo di Parkinson → clozapina e quetiapina.

3. Antipsicotici di terza generazione (TGA)


→ Aripiprazolo. È un agonista parziale dei recettori 5 − 𝐻𝑇1𝐴 e 𝐷2 , ma è anche antagonista del
recettore 5 − 𝐻𝑇2. In condizioni di alti livelli di dopamina, l’aripiprazolo potrebbe rimpiazzare
la dopamina sul suo recettore senza produrre un effetto tanto marcato quanto quello causato
dal suo trasmettitore naturale. Al contrario quando la concentrazione di dopamina è bassa, può
provocare un incremento dell’attivazione dopaminergica. L’agonismo parziale del recettore
5 − 𝐻𝑇1𝐴 ha proprietà ansiolitiche o antidepressive e aumenta l’effetto degli SSRI in pazienti
con disturbi d’ansia e depressivi. Viene usato in aggiunta nella terapia antidepressiva negli adulti
e al trattamento dell’irritabilità associata ai disturbi dello spettro autistico nei bambini.
L’aripiprazolo con somministrazione orale era stato approvato per il trattamento di episodi
maniacali acuti o misti di disturbo bipolare, per il trattamento per il mantenimento acuto della
schizofrenia. Non causa prolungamento dell’intervallo QT o innalzamento dei livelli di

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prolattina, non è associato ad aumenti di peso. Tuttavia anche se raramente possono esservi dei
casi di sindrome neurolettica maligna e l’acatisia.

 Antipsicotici nella patologia dell’età evolutiva


Gli antipsicotici possono essere somministrati nel trattamento dell’autismo (alcuni sintomi
autistici possono ridurre l’efficacia dei provvedimenti terapeutici), della schizofrenia ad esordio precoce,
nei disturbi comportamentali associati a disabilità intellettiva, nel disturbo bipolare e nelle sindromi
ticcose. Il target della terapia farmacologica è l’aggressività.
Vengono utilizzati maggiormente:
1. Risperidone: contro l’aggressività che non si riesce a controllare. (Viene
somministrato esclusivamente in questi casi).
2. Aripiprazolo: somministrato soprattutto nel disturbo bipolare negli adolescenti.
CAPITOLO 5
 DEPRESSIONE
Esistono diverse forme di Depressione:
1. Disturbo depressivo maggiore (DDM) noto anche come depressione unipolare e
disturbo unipolare, si tratta di un disturbo depressivo episodico grave. I sintomi devono
essere presenti per almeno due settimane e rappresentano una modificazione rispetto al
funzionamento precedente. Più comune nelle donne che negli uomini (2:1). Variazione
diurna dei sintomi con peggioramento nelle prime ore del mattino. Sono presenti
rallentamento o agitazione psicomotoria. Associato a segni vegetativi e deliri congruenti
con l'umore; possono essere presenti allucinazioni. Età mediana di esordio 40 anni, ma
può manifestarsi ad ogni età.
2. Disturbo distimico (precedentemente noto come nevrosi depressiva) meno grave del
DDM, è più comune e cronico nelle donne. Esordio insidioso. Si manifesta più spesso
con storia di stress cronico o perdite improvvise; spesso coesiste con altri disturbi
psichiatrici, ad esempio abuso di sostanze, disturbi di personalità e DOC. Dovrebbero
essere presenti almeno due dei seguenti sintomi: scarso appetito, iperfagia, disturbi del
sonno, facile affaticabilità, scarsa autostima, scarsa capacità di concentrazione o difficoltà
nel prendere decisioni e sentimenti di disperazione.
3. Depressione reattiva o reazione depressiva si ha quando i sintomi sono legati ad un
evento scatenante (grave perdita, cambiamento di vita, stress elevato). Si tratta di un
fenomeno senza caratteri cronici (sintomi per meno di due mesi).
4. Disturbo Bipolare (varie tipologie): episodi depressivi associati ad episodi maniacali
(periodi di umore euforico con insonnia, affaccendamento, logorrea, ideazioni grandiose,
megalomania, disinibizione ecc.).
La depressione, o disturbo depressivo maggiore (DDM) è un disturbo cronico ricorrente e fatale.
Il DDM è la quarta patologia invalidante a livello mondiale. La depressione peggiora lo stato di salute
delle persone affette da altre patologie croniche, ha una tendenza a ricorrere ed è associata a disabilità. La
depressione è un disturbo affettivo caratterizzato da alterazioni dell’umore e delle emozioni con: umore
depresso o irritabile, diminuito interesse per le attività voluttuarie e minore capacità di provare piacere,
perdita di peso, insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, affaticamento o
mancanza di energia, sensazione di inutilità o eccessivo senso di colpa, ridotta capacità di pensare o
concentrarsi, pensieri ricorrenti di morte o suicidio.

28
La depressione maggiore può essere associata a sintomi di psicosi o di perdita del contatto con la
realtà. Le persone che mostrano sintomi lievi ma che perdurano per due anni sono considerate affette da
“distimia”. Altri sottotipi sono: depressione atipica e sintomi depressivi che fanno seguito ad un trauma
significativo.
Si manifestano sintomi d’ansia (classicamente trattati con benzodiazepine) adesso vengono trattati
anche con antidepressivi, questi non solo sono efficaci in questo campo ma è meno probabile che alterino
la memoria, l’apprendimento e la capacità di concentrarsi.
Inizialmente la depressione veniva interpretata come mancanza di neurotrasmettitori, soprattutto
le “monoamine” serotonina, noradrenalina e dopamina. Il riequilibrio dei neurotrasmettitori portava al
recupero del normale stato umorale, ma l’effetto antidepressivo si manifesta molto più lentamente e
spesso richiede qualche settimana di trattamento continuo. Questo ritardo potrebbe derivare da variazioni
della sensibilità del recettore, tuttavia l’attenzione si è successivamente spostata sullo studio delle azioni
a lungo termine del trattamento con antidepressivi sui processi intracellulari, come i secondi messaggeri,
e le loro funzioni neuronali.
Secondo la teoria neurogenica della depressione i neuroni hanno una capacità di ripararsi e il cervello
può generare nuovi neuroni. La formazione di questi nuovi neuroni è denominata neurogenesi. Questa
scoperta è importante per comprendere il disturbo depressivo, perché l’ippocampo influenza molte
funzioni compromesse in un soggetto depresso (attenzione, memoria, concentrazione). Le situazioni
stressanti sono note per ridurre la neurogenesi nell’ippocampo e nella corteccia frontale e per danneggiare
i neuroni esistenti.
Una delle varie condizioni di stress che possono danneggiare l’ippocampo è lo stato depressivo.
È stato dimostrato che l’ippocampo si riduce fisicamente in risposta a condizioni stressanti, inclusa la
depressione e che tanto più a lungo la depressione rimane non trattata, tanto maggiore è la riduzione. Ne
consegue che la depressione è considerata un disturbo neurodegenerativo e per riparare i neuroni e
aumentare la neurogenesi vengono utilizzati i farmaci antidepressivi.
L’obiettivo della ricerca attuale è l’identificazione dei processi cellulari nell’ippocampo e della
corteccia frontale, responsabili di effetti protettivi degli antidepressivi. La maggioranza degli studi è
focalizzata sui meccanismi di secondi messaggeri. Uno dei bersagli intracellulari del sistema dei secondi
messaggeri è chiamato CREB. Il fatto che la quantità di proteina CREB aumenti nell’ippocampo durante
il trattamento cronico con antidepressivi, fornisce un ulteriore supporto all’ipotesi neurogenica. È noto
che CREB attiva i geni che controllano la produzione di una proteina chiamata BDNF (fa parte di un
gruppo di sostanze chiamate neurotrofine importanti per lo sviluppo e il benessere del SN).

 L’ipotesi monoaminergica
Il meccanismo d’azione dei farmaci antidepressivi e la patofisiologia della depressione: alterazioni
dei livelli delle monoamine e dei loro recettori
I vari tipi di trattamento antidepressivo producono effetti diversi sul sistema serotoninergico e
noradrenergico ed è inoltre possibile che i farmaci antidepressivi esercitino il loro effetto terapeutico
attraverso più di un meccanismo. I primi studi avevano indicato che composti come la reserpina, che
depletano il contenuto di catecolamine a livello centrale e periferico, potevano indurre la comparsa di una
sintomatologia depressiva in una percentuale di pazienti.

Una serie di dati suggerisce che la depressione è una conseguenza dello stress che danneggia il
cervello e indebolisce la sua capacità di recupero. Gli antidepressivi sollevano l’umore depresso agendo a
livello cellulare per promuovere la sopravvivenza neuronale e risolvere il danno neuronale indotto dallo

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stress. I bersagli finali degli antidepressivi sono le molecole intracellulari responsabili del mantenimento
della salute neuronale e della plasticità. Si sono sviluppate diverse categorie di antidepressivi:

1. ANTIDEPRESSIVI DI PRIMA GENERAZIONE


→ Antidepressivi triciclici (TCA). Il termine indica una classe di farmaci caratterizzati da una parte
centrale della molecola costituita da tre anelli. I TCA non solo alleviano i sintomi della
depressione, ma hanno anche azione ansiolitica e analgesica. Essi sono stati considerati farmaci
di prima scelta nel trattamento della depressione maggiore. (Gli SSRI non sono più efficaci dei
TCA, ma sono meno tossici e con una maggiore adesione alla terapia “compliance”).
L’imipramina è il prototipo dei TCA, ma un altro TCA disponibile per l’uso clinico la desipramina
(provoca meno effetti collaterali colinergici) rappresenta il metabolita intermedio di
biotrasformazione dell’imipramina farmacologicamente attivo. La amitriptilina ha un metabolita
intermedio farmacologicamente attivo nortriptilina (provoca meno effetti collaterali colinergici e
ha un’ampia finestra terapeutica). I TCA esercitano due attività farmacologiche: bloccano il
trasmettitore presinaptico per la ricaptazione di noradrenalina e serotonina; bloccano il recettore
postsinaptico per istamina, acetilcolina e noradrenalina.
Gli effetti terapeutici risultano dal blocco presinaptico dei trasportatori per la ricaptazione di
serotonina e noradrenalina. Il blocco dei recettori per l’istamina provoca sonnolenza e
sedazione; il blocco dei recettori dell’acetilcolina provoca confusione, compromissione
cognitiva e mnemonica; il blocco dei recettori per la noradrenalina altera la pressione sanguigna.
I TCA sono ben assorbiti con somministrazione orale e data l’emivita particolarmente lunga,
l’assunzione è preferibile prima di andare a letto per minimizzare gli effetti collaterali. Questi
farmaci sono metabolizzati nel fegato e la combinazione di un farmaco attivo e il metabolita
farmacologicamente attivo porta a un effetto clinico che permane fino a 4 giorni o più e passano
la barriera placentare non causando problemi al feto.
Tutti i TCA si legano e inibiscono le proteine presinaptiche che agiscono da trasportatori per
noradrenalina e serotonina e questo effetto è efficace per la terapia antidepressiva, ma hanno tre
limitazioni cliniche: manifestano lentamente l’insorgenza dell’effetto; esercita una grande varietà
di effetti nel SNC causando molti effetti collaterali; in sovradosaggio sono cardiotossici. Dato
che non provocano euforia non è presente abuso o tolleranza. Nei pazienti depressi i TCA
migliorano l’umore, fanno aumentare l’attività fisica, migliorano l’appetito e l’andamento del
sonno e riducono la preoccupazione morbosa, sono utili per il trattamento degli episodi acuti di
depressione maggiore e nella prevenzione di ricadute, sono efficaci nella terapia a lungo termine
della distimia e del disturbo bipolare e in varie sindromi dolorose.
Gli effetti collaterali derivano dall’attività anticolinergica, antistaminica e antiadrenergica. Si può
sviluppare tolleranza a molti effetti collaterali. L’amitriptilina e la doxepina sono i TCA
maggiormente sedativi e ciò li rende utili per trattare soggetti con insonnia in comorbilità alla
depressione. Gli effetti dei farmaci TCA sulla memoria e sulle funzioni cognitive sono
significativi, ma gli effetti cardiaci possono risultare fatali.
→ Inibitori delle monoaminossidasi (MAOI). Esistono due varianti dell’enzima la MAO-A
metabolizza dopamina, noradrenalina e serotonina e la tiramina; la MAO-B metabolizza
dopamina, tiramina e altre sostanze. Si pensa che l’inibizione di MAO-A sia responsabile
dell’attività antidepressiva. I MAOI risultano sicuri alla pari degli SSRI, possono funzionare su
molti pazienti che rispondono scarsamente sia ai TCA sia agli SSRI e sono farmaci efficaci per

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il trattamento della depressione atipica, mascherata, anoressia, bulimia, depressione bipolare,
distimia, depressione dell’anziano, del disturbo da crisi di panico e fobie.
Le selegina è stata commercializzata come cerotto transdermico che consente un continuo e lento
rilascio evitando il tratto GI. Risulta molto efficace nel ridurre la depressione moderata o grave
con un’insorgenza degli effetti in pochi giorni senza compromissione della funzionalità sessuale.

2. ANTIDEPRESSIVI DI SECONDA GENERAZIONE (ATIPICI)


Sono composti strutturalmente diversi che possono ovviare alcune degli svantaggi dei TCA.
→ Maprotilina. Ha un’emivita plasmatica lunga, blocca la ricaptazione della noradrenalina ed è
efficace quanto l’imipramina. Può provocare convulsioni a causa dell’accumulo di metaboliti
attivi che eccitano il SNC.
→ Amoxapina. È un inibitore della ricaptazione della noradrenalina e può provocare effetti
collaterali di tipo parkinsoniano.
→ Trazodone. Il suo metabolita attivo è un agonista serotoninergico. La sonnolenza è il più
comune effetto collaterale e blocca tutti i recettori 5 − 𝐻𝑇2𝐴 , può provocare priapismo con
infertilità e impotenza.
→ Clomipramina. Il suo metabolita attivo blocca la ricaptazione della noradrenalina, ed è usata
per trattare il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC).

3. INIBITORI SELETTIVI DELLA RICAPTAZIONE DELLA SEROTONINA


(SSRI)
Attualmente sono disponibili sei farmaci: fluoxetina (è stata usata nel trattamento della distimia,
bulimia, astinenza da alcol e bulimia). Ha un’emivita di circa 2-3 giorni, ma il suo metabolita attivo ha
un’emivita di 6-10 giorni. Questa azione prolungata distingue la fluoxetina da tutti gli altri SSRI che hanno
emivita di circa 1 giorno e nessun metabolito attivo. Non deve essere somministrata quotidianamente ma
una volta la settimana. Come per tutti gli SSRI la funzione è lenta a insorgere, quindi il farmaco e il suo
metabolita tendono ad accumularsi dopo somministrazioni ripetute per più di 2 mesi. Gli effetti collaterali
includono ansia, agitazione e insonnia che possono provocare la sindrome serotoninergica. Inibisce alcuni
degli enzimi del metabolismo epatico, quindi può incrementare i livelli di altri farmaci che il paziente sta
assumendo), paroxetina (Inibisce alcuni degli enzimi del metabolismo epatico, quindi può incrementare
i livelli di altri farmaci che il paziente sta assumendo. È usato per il trattamento della depressione
maggiore, della distimia, di vari disturbi d’ansia e del disturbo disforico premestruale. È selettiva nel
bloccare la ricaptazione di serotonina, l’emivita plasmatica è di 24 ore e la concentrazione plasmatica
stazionaria è raggiunta in 7 giorni, i suoi metaboliti sono inattivi. Questo farmaco è quello più associato
alla sindrome serotoninergica e alla sindrome da dismissione, all’insorgenza di psicosi, a ideazioni
paranoidi, a temperamento incontrollato, a manie e allucinazioni visive), sertralina (Inibisce alcuni degli
enzimi del metabolismo epatico, quindi può incrementare i livelli di altri farmaci che il paziente sta
assumendo. È efficace nel trattamento della depressione maggiore e della distimia. È 4-5 volte più potente
della fluoxetina nel bloccare la ricaptazione di serotonina ed è più selettiva. Gli effetti collaterali possono
essere intensi. I livelli plasmatici di farmaco allo stato stazionario vengono raggiunti in 4-7 giorni e i suoi
metaboliti tendono meno ad accumularsi. Causa scarsi effetti anticolinergici, antistaminici e
cardiovascolari avversi), fluvoxamina (Inibisce alcuni degli enzimi del metabolismo epatico, quindi può
incrementare i livelli di altri farmaci che il paziente sta assumendo. Si è dimostrato efficace nei trattamenti
di tutti i disturbi d’ansia), citalopram (dosaggi molto alti sono stati associati a irregolarità nell’ECG,
convulsioni e raramente decessi. Vi è una minore incidenza nell’inibizione degli enzimi del metabolismo

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epatico. Riduce il consumo di alcol da parte di alcolisti ed esercita effetti ansiolitici) ed escitalopram
(viene utilizzato per il trattamento della depressione maggiore e del disturbo d’ansia generalizzato -DAG).
Sono potenti inibitori del trasportatore presinaptico per la ricaptazione della serotonina. Non bloccano
alcun sottotipo di recettore postsinaptico per la serotonina quindi il principale effetto neuronale dei
farmaci SSRI è di rendere un quantitativo maggiore di serotonina disponibile nello spazio sinaptico,
condizione che attiva tutti i recettori postsinaptici per la serotonina.
La maggiore disponibilità di serotonina per i recettori 5 − 𝐻𝑇1 è associata agli effetti
antidepressivi e ansiolitici, mentre una maggiore disponibilità per i recettori 5 − 𝐻𝑇2 e 5 − 𝐻𝑇3 provoca
gli effetti collaterali. La maggiore attività 5 − 𝐻𝑇2 è associata a insonnia, ansia, agitazione, disfunzioni
sessuali, e con dosaggi più alti alla sindrome serotoninergica. L’incremento di attività del recettore 5 − 𝐻𝑇3 è
responsabile della nausea provocata da questi farmaci. I farmaci SSRI hanno mostrato pochi effetti
collaterali anticolinergici e antistaminici, nonostante la fluoxetina sia un sedativo. Il trattamento a lungo
termine con gli SSRI può provocare alcune compromissioni cognitive e in sovradosaggio risultano letali.
Le terapie trattate con SSRI sono: depressione maggiore, distimia e disturbi d’ansia. Vi sono però delle
problematiche associate ad essi, quali:
o Sindrome serotoninergica
Alti dosaggi di SSRI possono indurre tale sindrome. L’accumulo di serotonina porta a una serie
di risposte caratterizzate da disturbi cognitivi, agitazione comportamentale, irrequietezza, disfunzione del
sistema nervoso autonomo e compromissione neuromuscolare e allucinazioni visive. Alcuni di questi
sintomi possono derivare da un eccesso di recettori 5 − 𝐻𝑇2. Esiste una correlazione positiva tra
specificità dell’SSRI nel bloccare il trasportatore 5-HT e la probabilità di provocare la sindrome.
o Sindrome d’astinenza da SSRI
Si manifesta nel 60% dei pazienti e può durare tra 3 a 4 settimane, i sintomi sono: sintomi
influenzali, insonnia, nausea, squilibrio, disturbi sensoriali, ipereccitazione, iperattività,
depersonalizzazione, umore depresso e problemi mnemonici. I fattori di rischio sono la sospensione
improvvisa dell’antidepressivo, il breve tempo di emivita del farmaco, la giovane età, etc. La sindrome
deriva da una carenza di serotonina alla sospensione dell’SSRI.
o Disfunzioni sessuali da SSRI
Fino all’80% dei pazienti depressi manifesta disfunzioni sessuali.
o Suicidalità, apatia, disturbi del sonno, sintomi fisiologici

4. ANTIDEPRESSIVI A DUPLICE AZIONE (DUAL ACTION)


→ Nefazodone. È un antidepressivo a duplice azione la cui azione farmacologicamente più
importante è il blocco del recettore 5 − 𝐻𝑇2 che lo distingue dagli altri SSRI, tuttavia inibisce
la ricaptazione della serotonina e noradrenalina. Provoca insufficienza epatica, portando a
morte o rendendo necessario il trapianto.
→ Milnacipran. Blocca la ricaptazione di serotonina e noradrenalina è efficace nel trattamento
della fibromialgia riducendo il dolore cronico con miglioramenti del benessere generale,
dell’affaticamento e altri aspetti del disturbo.
→ Venlafaxina. È un inibitore della ricaptazione della serotonina e noradrenalina. Il blocco della
serotonina si manifesta a concentrazioni più basse rispetto a quelle necessarie per il blocco
della noradrenalina e a dosi ancora più alte blocca la ricaptazione di dopamina. Provoca effetti
collaterali nella sfera sessuale e può indurre uno stato maniacale in soggetti che stanno
assumendo il farmaco per il trattamento della depressione bipolare, esso può esacerbare
comportamenti agitati o aggressivi in alcuni pazienti. Nella formulazione a rilascio prolungato
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è usato per il trattamento di DAG, per il panico e disturbo d’ansia sociale. Il principale
metabolita è farmacologicamente attivo, l’emivita plasmatica è di 5 ore per il composto
originale e 11 ore per il metabolita attivo.
→ Duloxetina. È un antidepressivo che lega e blocca il trasportatore per la ricaptazione di
serotonina e noradrenalina. È efficace per il trattamento della depressione, riduce i sintomi
fisici del dolore, riduce l’interferenza del dolore nelle attività quotidiane e il dolore durante la
veglia. È stato approvato per il controllo del dolore neuropatico associato alla neuropatia
periferica da diabete e fibromialgia, può provocare episodi maniacali o ipomaniacali in pazienti
con disturbo bipolare. Ha mostrato efficacia nel trattamento del DAG. L’emivita è di circa 12
ore.
→ Mirtazepina. È un antidepressivo a duplice azione che aumenta il rilascio presinaptico di
noradrenalina e serotonina. Aumenta sia la neurotrasmissione noradrenergica sia
serotoninergica, è un potente antagonista dei recettori 5 − 𝐻𝑇2 e 5 − 𝐻𝑇3 postsinaptici e non
provoca gli effetti collaterali degli SSRI. È un antagonista anche dei recettori per l’istamina e
provocando sonnolenza. Altri effetti collaterali sono: maggior appetito e incremento del peso
corporeo e quindi utilizzato in pazienti anoressici. Il farmaco è sicuro ed efficace ed è
rapidamente assorbita oralmente, i valori massimi nel sangue sono raggiunti dopo 2 ore. Il
tempo di eliminazione è da 20 a 40 ore con una sola somministrazione giornaliera.

 BUPROPIONE: INIBITORE DELLA RICAPTAZIONE DI DOPAMINA-


NORADRENALINA
È un inibitore della ricaptazione di dopamina-noradrenalina (DNRI). Come antidepressivo ha un
meccanismo d’azione selettivo per i trasportatori deputati alla ricaptazione di questi due
neurotrasmettitori. Non ha alcun effetto sui recettori serotoninergici quindi non manifesta gli effetti
collaterali associati agli SSRI. È stato utilizzato per trattare i bambini con ADHD come ansiolitico, come
farmaco aggiuntivo nella terapia di pazienti che non rispondono o poco alla terapia con farmaci SSRI e
per pazienti con una depressione bipolare difficile da trattare. Induce la funzionalità sessuale a differenza
degli SSRI e può quindi essere combinato a questi per contrastarne questo effetto collaterale.
Il trattamento a breve termina ad azione prolungata può provocare perdita di peso. Questo
farmaco è utilizzato nelle terapie di sostituzione della nicotina finalizzate allo smettere di fumare.
Gli effetti collaterali del bupropione sono: ansia, irrequietezza, tremori, insonnia, insorgenza di
psicosi e convulsioni con dosaggi alti. Non è efficace nel trattamento di disturbi da crisi di panico ma
potrebbe scatenare il panico in soggetti suscettibili. Dato che il bupropione e la cocaina condividono lo
stesso meccanismo d’azione è possibile che il farmaco eserciti un’azione di rinforzo o che induca la
dipendenza.

 ANTIDEPRESSIVI DEL FUTURO


→ Modafinil. È un farmaco non stimolante che promuove la veglia, usato per contrastare
l’affaticamento in pazienti che soffrono di narcolessia. Non provoca i tipici effetti collaterali
dovuti alle sostanze psicostimolanti, migliora il benessere soggettivo, riduce la fatica e aumenta
la capacità di concentrazione.
→ Tianeptina. Aumenta la captazione neuronale presinaptica di serotonina nel cervello e riduce
la neurotrasmissione serotoninergica. Induce l’atrofia dei dendriti neuronali indotta da stress,
esercitando quindi un effetto di protezione neuronale e ristabilendo i meccanismi intracellulari
alterati dallo stress. La sua efficacia nella depressione non sembra provocare effetti collaterali
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cognitivi, psicomotori, del sonno, cardiovascolari, sul peso e nella sfera sessuale. È efficace
nella depressione bipolare, distimia e nell’ansia. È utile per gli anziani e i pazienti con alcolismo.
→ Farmaci che alterano glutammato e GABA
→ Farmaci che alterano il sistema dei peptidi: tachichinine (sono i prodotti di due geni che
producono anche la sostanza P (SP). I peptidi delle tachichinine agiscono attraverso 3 tipi di
recettori 𝑁𝐾1 , 𝑁𝐾2 e 𝑁𝐾3 – antagonisti della SP- per regolare diversi processi fisiologici come
l’asma, disturbi intestinali e emicrania. La SP è rilasciata in risposta allo stress e al dolore e i
pazienti depressi hanno aumentati livelli di SP nel plasma e nel fluido cerebrospinale. Il
trattamento cronico con antidepressivi riduce la SP), peptidi ipotalamici (producono
l’ormone concentrante la melanina MCH che promuove l’appetito), fattori rilascianti
corticotropina e peptidi glucocorticoidi (la capacità di una persone di fronteggiare lo stress
è regolata dal sistema fisiologico noto come asse ipotalamo-ipofisi-surrene HPA. Il fattore
rilasciante corticotropina CRF rappresenta la forza trainante di questo circuito. In un soggetto
depresso l’asse HPA è iperattivo e l’aumento di cortisolo potrebbe essere le cause della minore
dimensione dell’ippocampo di un depresso rispetto al normale.
→ Farmaci che alterano il sistema dei secondi messaggeri e le neurotrofine
→ Sostanze con diversi meccanismi d’azione: deidroepiandrosterone DHEA (incrementa la
quantità di neurotrofine disponibili coinvolte nella regolazione dell’umore). Il DHEA è stato
proposto per prevenire alcuni disturbi: ritardare i processi di invecchiamento, migliorare
l’umore e ritardare il declino cognitivo che si accompagna all’invecchiamento. Il trattamento
con DHEA è utile per ridurre i sintomi di una lieve depressione o di distimia. Gli effetti
collaterali sono: acne, calvizie mascolina, irsutismo, alterazione della voce, cancro al seno e alla
prostata e danno epatico); agomelatina (è un antagonista per entrambi i recettori della
melatonina, 1 e 2, ed è antagonista dei recettori 5 − 𝐻𝑇2. Migliora i sintomi della depressione
nella fase tardiva per il trattamento del disturbo depressivo maggiore, il farmaco è efficace
quanto gli SSRI/SRNI, ma con minori effetti collaterali. Inoltre stimola i processi di
neurogenesi e la produzione di BDNF nell’ippocampo influenzando i processi di plasticità
sinaptica); S-adenosil-metionina SAM/SAMe (la S-adenosil-metionina viene prodotta dal
fegato. SAM è ampiamente commercializzata per il trattamento della depressione); acidi
grassi omega-3 (acido eicosapentaenoico EPA e acido docosaesaenoico DHA. Nonostante
vi siano evidenze che correlano i bassi livelli di acidi grassi omega-3 ai disturbi dell’umore, vi
sono poche evidenze che EPA e DHA siano efficaci antidepressivi.

CAPITOLO 6
 DISTURBO BIPOLARE (BD / sindrome maniaco-depressiva)
È una delle condizioni più debilitanti al mondo, il decorso della malattia è episodico, con periodi
alterni di mania e/o depressione e periodi intermedi nei quali sembra esserci un certo grado di remissione.
La diagnosi è molto difficile e i suoi principali problemi sono dovuti al fatto che mania e ipomania
possono essere sottostimate, che i sintomi della depressione unipolare e bipolare si sovrappongono e che
vi è un alto grado di comorbilità con molte altre condizioni psichiatriche.
L’insorgenza si osserva verso i 30 anni o più tardi e la maggior parte dei pazienti va incontro a
diversi episodi nel corso della vita.
A un paziente con BD può essere diagnosticato uno dei vari sottotipi del disturbo:

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1. Disturbo bipolare di tipo I (BP-I): è la patologia tradizionale che include almeno un
episodio maniacale conclamato con o senza episodi di depressione maggiore.
2. Disturbo bipolare di tipo II (BP-II): se l’episodio è meno grave o ipomaniacale e si
manifestano episodi di depressione maggiore.
3. A cicli rapidi: se gli episodi della patologia si manifestano almeno 4 volte in un periodo
di 12 mesi, con un’alternanza tra fasi depressive e maniacali.
I sintomi dei pazienti con depressione bipolare sono: tristezza, insonnia, sensazione di impotenza,
perdita di energia e incapacità di concentrarsi, di godere delle attività quotidiane, pensieri di morte e di
suicidio e incapacità di gestire la vita quotidiana. I sintomi includono vari tipi di iperattività
comportamentale e psicologica come: sonno irregolare, ipersessualità pensieri ricorrenti ossessivi ed
esaltata emotività, aumentata attività fisica, impulsività, incapacità di giudizio e comportamento
aggressivo e imprudente.
Nonostante un paziente bipolare si possa inizialmente presentare in una fase depressiva o
maniacale, la maggior parte di essi richiede un trattamento per la depressione. Il risultato è che tali soggetti
possono essere erroneamente diagnosticati come depressi e mentre gli antidepressivi sono efficaci nei
confronti della depressione, possono indurre o inasprire un episodio maniacale e provocare uno switch
(processo di rapida conversione da uno stato di depressione a uno stato di mania o ipomania). Il rischio
di switch è maggiore nei soggetti che hanno manifestato sintomi maniacali gravi (e hanno aggiunto poi
un antidepressivo) o flip. Il trattamento elettroconvulsionante (ECT) si è mostrato invece efficace nel
trattamento del BD. Per quanto riguarda lo switch e l’uso di depressivi, si consiglia di somministrare uno
stabilizzatore dell’umore (MS). Il trattamento a lungo termine con l’associazione
antidepressivo/stabilizzatore dell’umore può peggiorare la gravità dei sintomi maniacale e dato che il
mantenimento con antidepressivi potrebbe non risultare efficace nel prevenire le ricadute è stato
consigliato uno svezzamento dagli antidepressivi per 6-12 mesi dopo la remissione.
Gli obiettivi della farmacoterapia sono: in acuto, trattamento della mania acuta, della depressione
acuta e prevenire il suicidio; in cronico, prevenire le ricadute in mania (depressione, trattare i sintomi
sottosoglia, migliorare le funzioni cognitive e la qualità della vita).
→ Nel trattamento acuto della mania è passo necessario il ricovero e gli stabilizzatori dell’umore
(litio e valproato) sono di solito sufficienti per trattare le forme levi di mania. I farmaci
antipsicotici invece, vengono somministrati nelle forme gravi.
→ Nel trattamento di mantenimento viene effettuato con somministrazioni di stabilizzatori
dell’umore e un uso prudente degli antidepressivi solo durante le fasi depressive (a causa del
rischio di indurre ipomania o BD a cicli rapidi).
o La depressione unipolare si manifesta dopo i 25 anni e può essere preceduta da un
lungo periodo di sintomatologia in graduale peggioramento, i pazienti non hanno una
sorta di mania o ipomania.
o La depressione bipolare è caratteristica dei soggetti più giovani con insorgenza
improvvisa ed è molto spesso ereditaria e manifesto in famiglia, rendendo la storia
familiare fondamentale per la diagnosi. La depressione post-partum può essere
erroneamente diagnosticata come depressione bipolare.

 STABILIZZATORI DELL’UMORE (litio) E NEUROMODULATORI


ANTICONVULSIONANTI STABILIZZATORI DELL’UMORE
Gli stabilizzatori dell’umore possono avere alcune azioni neurobiologiche in comune con gli
antidepressivi, possono causare la regressione di alcune delle alterazioni subite dalle strutture cerebrali e

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i livelli di fattore neurotrofico cerebrale (BDNF). Questi farmaci sembrano agire a livello intracellulare (a
differenza degli antipsicotici e antidepressivi che agiscono sui recettori per i neurotrasmettitori nel
cervello) provocando cambiamenti che stabilizzano le membrane neuronali. I possibili meccanismi degli
stabilizzatori dell’umore sono a livello dei sistemi di secondo o terzo messaggero, ovvero i processi
intracellulare provocati dall’attivazione dei recettori accoppiati a proteine G, come il litio, il valproato e
la carbamazepina.
→ Litio. È efficace nel trattamento delle fasi maniacali e non nel BD a cicli rapidi e in
concomitanza con disturbi di personalità e abuso di sostanze. Controlla la formazione del
Secondo Messaggero e inibisce l’inositolo in alcune aree del cervello, quindi riduce l’eccitabilità
di alcune cellule nervose (di notevole importanza nella cura dei sintomi maniacali). Ha un
effetto di neuroprotettore con diminuzione dell’insorgenza di demenza. I picchi della
concentrazione plasmatica vengono raggiunti entro 3 ore dall’assunzione orale e
l’assorbimento completo si ha entro 8 ore; l’efficacia terapeutica del litio è correlata alla
concentrazione nel sangue. Il litio non viene metabolizzato ed è escreto inalterato attraverso i
reni con una minima quantità escreta dalla pelle. Circa metà della dose orale viene eliminata in
18-24 ore e il resto viene eliminato nelle successive 1-2 settimane. Il litio si accumula
lentamente per 2 settimane finché non viene raggiungo lo stato stazionario; ha un intervallo
terapeutico molto stretto al di sotto del quale la tossicità e gli effetti collaterali sono prevalenti.
Anche se può efficacemente controllare i sintomi maniacali e ridurre la ricorrenza degli episodi
maniacali e depressivi ha dei gravi effetti collaterali correlati alla concentrazione plasmatica del
farmaco e coinvolgono il sistema nervoso, il tratto GI, i reni, la tiroide, il sistema
cardiovascolare e la pelle, quali: reazioni dermatologiche (acne, psoriasi, arrossamento,
modificazioni delle unghie e dei capelli), ingrossamento della tiroide, tremori letargia,
incapacità di concentrarsi, vertigini, eloquio farfugliante, atassia, debolezza muscolare; effetti
avversi cognitivi e sulla memoria, attività motoria anomala, psicosi, stupore e l’intossicazione
da litio provoca gravi deficit cognitivi. Il trattamento dell’avvelenamento da litio non è
specifico poiché non esiste un antidoto. Generalmente si interrompe la somministrazione e si
infondono fluidi ad alto contenuto di sodio. Se i segni di intossicazione sono gravi si può
ricorrere a lavaggio gastrico o farmaci antiepilettici. Il litio è controindicato in gravidanza come
anche l’allattamento. La “non compliance” è il risultato principale della non tollerabilità degli
effetti collaterali (rallentamenti cognitivi, alterazioni mnemoniche, aumento di peso,
sensazione di minore energia e produttività). La terapia con il litio riduce i comportamenti
suicidi, ma quando i pazienti smettono di assumere il farmaco i casi si suicidio aumentano fino
a 14 volte. La terapia combinata (litio + farmaco antipsicotico/antiepilettico) può garantire sia
una migliore efficacia terapeutica sia una migliore protezione dalle ricadute rispetto alla
monoterapia, ed esercita maggiori effetti neuroprotettivi a livello cerebrale.
Solo il 60-70% dei pazienti con BD può essere trattato con il litio, quindi sono necessari composti
alternativi come gli anticonvulsionanti, detti neuromodulatori. Gli anticonvulsionanti di prima
generazione includono il fenobarbitale, altri barbiturici e la fenitoina, ma nessuno di essi si è dimostrato
utile per il trattamento.
→ Carbamazepina. Nonostante la sua efficacia per il trattamento dei BD si è dimostrato
inferiore al litio. Nasce come antiepilettico, è efficace nella fase maniacale e come prevenzione
della fase maniacale acuta. Gli effetti anticonvulsionanti derivano dal fatto che il farmaco
riduce l’eccitabilità neuronale, bloccando i canali del sodio e quindi la possibilità di dare inizio
al potenziale d’azione. È utile per la profilassi e può essere la migliore scelta negli episodi di

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mania mista e rapid cycling. Gli effetti collaterali includono: disturbi GI, sedazione, atassia,
disturbi della vista e reazioni dermatologiche rare ma fatali, agranulocitosi. Le interazioni
farmacologiche che coinvolgono questo farmaco sono comuni e derivano dalla stimolazione
di enzimi metabolizzanti (CYP_3A4 epatico). Il risultato è una diminuzione acuta dei livelli
plasmatici che rende necessario un incremento del dosaggio anche del 100% per poter
mantenere il livello terapeutico. La carbamazepina non deve essere somministrata in
gravidanza ed è stata approvata per il trattamento di episodi maniacali e misti con formulazione
a rilascio prolungato.
→ Oxcarbazepina. Può sostituire la carbamazepina in tutte le indicazioni d’uso. La differenza
tra i due deriva da una diversità strutturale delle due molecole. Può essere considerato un
profarmaco inattivo. È approvata per l’uso in pazienti epilettici e per il BD, e previene la fase
maniacale nel BD.
→ Acido valproico (valproato). È utilizzato per il BD, l’epilessia e l’emicrania con una
formulazione a rilascio ritardato, che permette un’unica somministrazione diurna per favorire
la compliance. L’acido valproico si lega e inibisce la GABA transaminasi (enzima che
catabolizza il GABA). L’attività anticonvulsionante del farmaco è attribuita quindi
all’incremento di GABA nel cervello, bloccandone la ricaptazione da parte delle terminazione
nervose e glia, e può agire sopprimendo la continua attivazione neuronale e infine è coinvolto
nella trascrizione genica alterando la funzione del DNA. Il valproato è efficace nel trattamento
della mania acuta, degli stati misti, dei disturbi schizo-affettivi e della depressione bipolare a
cicli rapidi. Gli effetti collaterali comprendono: disturbi GI, sedazione, letargia, tremore alle
mani, alopecia e alcune alterazione metaboliche epatiche. Può avere effetti negativi sulla
funzione cognitiva leggermente superiori a quelli della carbamazepina e può essere teratogeno
(come litio e carbamazepina). È inoltre un antiepilettico controindicato durante la gravidanza.
→ Lamotrigina. È un anticonvulzionante di terza generazione, questo neuromodulatore è
utilizzato per la monoterapia della depressione bipolare acuta e del BP-II a cicli rapidi oltre
che per la prevenzione degli episodi depressivi ricorrenti. È la terapia di prima scelta per il
trattamento di pazienti bipolari di tipo II a cicli rapidi e per la depressione bipolare. È stata
approvata per il mantenimento a lungo termine in adulti con BP-I. Il principale meccanismo
d’azione è il blocco della conduttanza a livello dei canali del sodio voltaggio-dipendenti. Riduce
il rilascio di glutammato e aumenta l’espressione dei recettori AMPA. Dopo la
somministrazione orale, la lamotrigina viene rapidamente e completamente assorbita,
raggiungendo il picco plasmatico in 1-5 ore. Viene metabolizzata prima dell’escrezione, con
un’emivita di 26 ore, che può ridursi a 7 ore quando viene somministrata insieme a fenitoina
o carbamazepina. Gli effetti collaterali associati comprendono vertigini, tremori, sonnolenza,
mal di testa, nausea ed eruzioni cutanee “rash” (è l’effetto collaterale più grave tanto da rendere
necessario il ricovero o essere fatale). La lamotrigini può migliorare le funzioni cognitive.
→ Topiramato. Non è stato approvato per il BD. Innalza i livelli di GABA e funge da
antagonista sui recettori AMPA e Kainato che causano rallentamento cognitivo. È un sottotipo
recettoriale del glutammato. Si è mostrato utile nel trattamento del disturbo post-traumatico
da stress. È molto usato nella cura dei disturbi alimentari e nei casi di craving nell’alcolismo.
Inizialmente è stato commercializzato come entiepilettico.

Il disturbo borderline di personalità è caratterizzato da instabilità emotiva, impulsività e aggressività,


ed è associato a una considerevole morbilità e mortalità, e comorbilità con il disturbo bipolare. Tutti i

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farmaci utilizzati per trattare il disturbo borderline hanno mostrato una certa validità nel trattamento del
disturbo borderline di personalità: gli antipsicotici di seconda generazione SGA (aripiprazolo nel
trattamento della mania; risperidone nella monoterapia o come adiuvante nel mantenere la remissione
della mania senza indurre depressione; quetiapina; olanzapina che ha mostrato un’attività paragonabile al
litio; ziprasidone), i farmaci stabilizzatori dell’umore, gli antidepressivi migliorano l’irritabilità e la collera
e riducono l’impetuosità delle relazioni e l’aggressività. Anche se i farmaci SGA sembrano indurre con
minore probabilità i disturbi del movimento nei pazienti schizofrenici, si è visto che nei oazienti con
disturbo borderline siano più suscettibili a questi effetti collaterali.

 TRATTAMENTI PSICOTERAPEUTICI E PSICOSOCIALI


I pazienti con disturbo bipolare risentono delle conseguenze psicologiche degli episodi passati,
della vulnerabilità a episodi futuri e del peso dell’adesione al piano di trattamento a lungo termine che
può comportare delle spiacevoli conseguenze. Inoltre molti pazienti soffrono di instabilità emotiva tra
un episodio e l’altro. Un trattamento psicoterapeutico di successo comporta un social network che
riconosca i primi sintomi dell’episodio, che cerchi l’aiuto necessario per i pazienti che non si rendono
conto della loro condizione e che assista nel riconoscimento degli effetti collaterali e della tossicità
aiutando a seguire la prescrizione terapeutica. È importante assicurarsi che lo stato maniacale non sia
stato provocato da farmaci. Tra i vari interventi psicoterapeutici troviamo: psicoterapia di gruppo, terapia
cognitivo-comportamentale, terapia orientata alla psicodinamica, terapia familiare, terapia di coppia,
psicoterapia interpersonale ed i gruppi di auto-aiuto.

CAPITOLO 7
Storicamente gli effetti dei barbiturici sedativi-ipnotici, ansiolitici, anticonvulsionanti e anestetici
generali sembravano essere il risultato di una depressione neuronale a livello cerebrale. Allo stato attuale
dello sviluppo dei farmaci, la denominazione dei nuovi farmaci è determinata non tanto dalla loro
struttura ma piuttosto dai recettori con i quali si legano o che sono alla base della loro attività principale.
Un barbiturico o una benzodiazepina oggi verrebbero chiamati agonisti del recettore del GABA.
Vengono utilizzati anche degli anestetici generali per via inalatoria o endovenosa che inducono
una depressione dose-dipendente di tutte le funzioni del SNC, dove il periodo iniziale di sedazione è
seguito dal sonno. Con l’approfondirsi dell’anestesia vengono indotte amnesia e incoscienza. L’aggiunta
di un narcotico oppioide a un anestetico volatile affianca un’attività analgesica allo stato di incoscienza.

 BARBITURICI
Causano una depressione reversibile di tutti i tessuti eccitabili.
La loro emivita plasmatica può essere molto breve o della durata di alcuni giorni. L’azione ipnotica
a brevissima durata (come il tiopentale) è determinata dalla ridistribuzione, mentre l’azione di altri
barbiturici è determinata dall’entità del loro metabolismo da parte degli enzimi epatici. I barbiturici sono
facilmente assorbiti dopo l’assunzione orale e si distribuiscono bene nella maggior parte dei tessuti. Quelli
ad azione ultrabreve sono estremamente liposolubili, attraversano rapidamente la barriera
ematoencefalica e inducono subito il sonno, con la somministrazione endovenosa. I barbiturici ad azione
prolungata sono più idrosolubili e quindi sono più lenti a penetrare nel SNC.
I barbiturici non sono analgesici, essi sopprimono i sogni (sopprimendo il sonno in fase REM) e
durante l’astinenza i sogni diventano più vividi ed eccessivi provocando insonnia. Dato che i barbiturici

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deprimono le funzioni mnemoniche essi causano inibizione cognitiva: sonnolenza e modificazioni più
sottili del giudizio, delle funzioni cognitive, dell’abilità motoria che possono perdurare per giorni. Le dosi
sedative hanno effetti minimi sulla respirazione, ma a dosi elevate possono essere fatali. A bassi dosi una
persona piò rispondere sia con sollievo dall’ansia, sia con isolamento, depressione emotiva o
comportamento aggressivo e violento. L’uso dei barbiturici è stato ridotto per molte ragioni: sono letali
in sovradosaggio, hanno una concentrazione terapeutica vicina a quella tossica, hanno un elevato
potenziale di induzione di tolleranza (a causa di induzione di enzimi epatici che metabolizzano il farmaco
e dell’adattamento dei neuroni dell’encefalo alla presenza del farmaco), dipendenza e abuso, agiscono
pericolosamente con altri farmaci, si distribuiscono liberamente al feto.

 BENZODIAZEPINE
Le benzodiazepine e i farmaci correlati vengono denominati agonisti del recettore per le
benzodiazepine (BZAR). Questo termine comprende le benzodiazepine e i nuovi composti non
benzodiazepinici che sono agonisti per lo stesso recettore e prescritti per migliorare la qualità del sonno
nella gestione clinica dell’insonnia.
Le benzodiazepine facilitano il legame del GABA al suo recettore e per questo vengono definite
agonisti puri GABAergici. Esse non stimolano direttamente il recettore GABA, ma si legano ad un sito
adiacente al sito di legame del GABA aumentando l’affinità del GABA per il recettore stesso. Questa
azione aumenta l’azione inibitoria sinaptica del GABA. Le benzodiazepine esercitano le loro proprietà
ansiolitiche agendo sui neuroni GABA nei centri limbici. Le azioni nelle altre regioni producono effetti
collaterali quali: sedazione, maggiore soglia alle convulsioni, disfunzioni cognitive, amnesia e rilassamento
muscolare. La confusione mentale e l’amnesia derivano dall’azione sui neuroni GABAergici localizzati
nella corteccia cerebrale e nell’ippocampo. Gli scarsi effetti miorilassanti invece sono dovuti sia all’azione
ansiolitica, sia agli effetti sui recettori GABA localizzati nel midollo spinale, nel cervelletto e nel tronco
dell’encefalo. Le azioni antiepilettiche derivano da azioni sui recettori del GABA localizzati nel cervelletto
e nell’ippocampo. La potenzialità d’abuso e la dipendenza psicologia derivano dall’azione sui recettori
GABA che modulano la scarica di altri neuroni sulla zona ventrale tegmentale e nel nucleus accumbens.
Le benzodiazepine sono ben assorbite dopo l’assunzione per via orale, il picco di concentrazione
plasmatica viene raggiunto in 1 ora. Oxazepam e lorazepam sono assorbite più lentamente, mentre il
triazolam (con emivita 2-4 ore) viene assorbito più rapidamente. Il clorazepato viene metabolizzato dai
succhi gastrici producendo il metabolita attivo nordiazepam che viene assorbito completamente. I
farmaci psicoattivi vengono metabolizzati in prodotti farmacologicamente inattivi che vengono poi
eliminati nelle urine, diverse benzodiazepine vengono biotrasformate in metaboliti attivi a lunga durata
d’azione: come il nordiazepam, che ha un’emivita di 60 ore ma molto più lunga nelle persone anziane.
Le benzodiazepine a lunga durata d’azione sono tali a causa della lunga emivita plasmatica del metabolita
attivo, al contrario le benzodiazepine a breve durata d’azione sono tali perché vengono metabolizzate
direttamente in prodotti inattivi. L’emivita di eliminazione del diazepam e del suo metabolita attivo è di
7-10 giorni.
Con le benzodiazepine a breve durata come il midazolam la farmacocinetica non risulta alterata,
ma la dose necessaria per ottenere gli effetti desiderati si riduce del 50%. Dato che tutte le benzodiazepine
possono provocare disfunzioni cognitive, i pazienti anziani possono incorrere in demenza da farmaci.
Non vengono usate per il trattamento cronico della depressione, vanno evitate in situazioni che
richiedono capacità motorie e cognitive o durante l’assunzione di alcol o altri farmaci antidepressivi del
SNC. Una benzodiazepina può alleviare i sintomi di nervosismo, disforia e disagio psicologico senza
bloccare i correlati psicologici che accompagnano lo stato d’ansia. Dato che sono farmaci sedativi, esse
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vengono usate come ipnotici per il trattamento dell’insonnia. Agenti con un’azione di rapida insorgenza
con emivita di 2-3 ore senza metaboliti attivi sono preferibili per ridurre al minimo la sedazione diurna,
inoltre esse non rilassano direttamente i muscoli, ma alleviano il disagio associato alla tensione muscolare
(come l’alcol).
→ Lorazepam: utilizzato per indurre amnesia anterograda a lunga durata.
→ Midazolam: utilizzato per indurre amnesia anterograda a breve durata.
→ Alprazolam: utilizzato per trattare gli attacchi di panico e le fobie, con effetto inferiore agli
antidepressivi serotoninergici.
→ Flumazenil: utilizzato come antidoto quando si sospetta un sovradosaggio di benzodiazepine.
Si lega ai recettori 𝐺𝐴𝐵𝐴𝐴 .
Le benzodiazepine sono utilizzate sia nel trattamento di pazienti in astinenza acuta da alcol sia
nella terapia a lungo termine per ridurre il tasso di ricaduta nell’alcolismo. Tutte le benzodiazepine
esercitano azioni antiepilettiche perché alzano la soglia delle convulsioni, e vengono utilizzate come farmaci
secondari o come adiuvanti ad altri anticonvulsionanti specifici. L’unica situazione nella quale le
benzodiazepine non possono essere sostituite da altri farmaci è quando si voglia intenzionalmente
provocare amnesia anterograda.
Gli effetti collaterali associati alle benzodiazepine sono: sedazione, sonnolenza, atassia, letargia,
confusione mentale, alterazioni cognitive e motorie, disorientamento, disturbi dell’articolazione della
parola, amnesia e induzione o estensione dei sintomi della demenza. La compromissione mentale e
psicomotoria progredisse a ipnosi. Possono provocare la desiderata sedazione ma possono indurre
un’agitazione paradossa.
Quando le benzodiazepine sono assunte per lunghi periodi di tempo si sviluppa un quadro di
dipendenza. I primi segni di astinenza includono: ritorno dello stato di ansia, insonnia, irrequietezza,
agitazione, irritabilità e sogni sgradevoli, allucinazioni, psicosi e convulsioni nei casi gravi. Pazienti con
storie di droga o abuso di alcol sono quelli che fanno più uso inappropriato di questi farmaci.

 AGONISTI IPNOTICI DEL RECETTORE PER LE BENZODIAZEPINE


o BZRA benzodiazepinici (flurazepam, estazolam, quazepam, temazepam e triazolam utilizzate per
il trattamento dell’insonnia)
o BZRA non benzodiazepinici
→ Zolpidem (commercializzato per il trattamento dell’insonnia. Ha un’emivita di 2 ore ed è
paragonato al triazolam. È rapidamente assorbito nel tratto GI dopo somministrazione orale:
circa il 75% del farmaco raggiunge il plasma e il resto viene metabolizzano non appena assorbito.
Il picco plasmatico viene raggiunto entro un’ora. Gli effetti avversi comprendono: sonnolenza,
vertigini e nausea. Confusione, cadute, perdita di memoria e reazioni psicotiche negli anziani).
→ Zaleplon (ha un effetto ipnotico. La sua emivita è molto breve e solo il 30% del farmaco raggiunge
il circolo epatico; la maggior parte di esso subisce l’effetto di primo passaggio del metabolismo
epatico. Il sonno viene indotto rapidamente e la qualità del sonno è migliore e senza insonnia di
rimbalzo, vi sono assenze di effetti deleteri sulle funzioni cognitive. Data la poco durata d’azione
è raro che si instauri dipendenza).
→ Eszopiclone (utilizzato per il trattamento dell’insonnia. Ha un’emivita di 5-7 ore ed è preferibile
ad altri farmaci per migliorare sia la latenza che la durata del sonno, ma questo beneficio è
annullato dal maggiore rischio di sedazione mattutina. Ad alti dosaggi sono state rilevate
compromissioni della memoria mattutina e scarse prestazioni psicomotorie).

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 AGONISTI RECETTORIALI SEROTONINERGICI COME ANSIOLITICI
L’ansia può in parte derivare da difetti della trasmissione serotoninergica, e i farmaci che
aumentano l’attività della serotonina sono utili nel trattamento dei disturbi d’ansia. La classe di farmaci
agonisti serotoninergici più usati è quella degli antidepressivi SSRI.
→ Buspirone. È un agonista 5 − 𝐻𝑇1𝐴 con proprietà ansiolitiche: l’effetto ansiolitico si manifesta
senza significativa sedazione o azione ipnotica, anche in caso di sovradosaggi; amnesia,
confusione mentale e altre alterazioni psicomotorie sono minime o assenti; non potenzia gli effetti
deprimenti dell’alcol, delle benzodiazepine e di altri sedativi sul SNC; non mostra tolleranza
crociata o dipendenza crociata con le benzodiazepine; mostra uno scarso potenziale d’abuso o
tossicodipendenza; induce un effetto antidepressivo oltre a quello ansiolitico; il suo effetto
insorge in modo graduale a differenza delle benzodiazepine. Il buspirone è un debole agonista
del recettore 5 − 𝐻𝑇1𝐴 , esercitando così sia azione ansiolitica sia antidepressiva. Difficilmente
pazienti che hanno precedentemente assunto benzodiazepine passano al buspirone.
→ Gepirone. È un agonista 5 − 𝐻𝑇1𝐴 e ina formulazione a rilascio prolungato è paragonabile agli
agenti tradizionali, e gli effetti collaterali sono tollerabili.

 FARMACI ANTIEPILETTICI
I farmaci sedativo-ipnotici usati per il trattamento dell’epilessia sono stati chiamati
anticonvulsionanti o antiepilettici. Nel corso degli ultimi anni il loro uso si è allargato anche al trattamento
del disturbo bipolare, al trattamento dei disturbi del comportamento esplosivo nei bambini, negli
adolescenti e negli adulti, alla gestione dell’astinenza e della compulsione nell’alcolismo, al trattamento
del dolore cronico e alla gestione di alcuni disturbi d’ansia come il disturbo post-traumatico da stress, il
disturbo d’ansia generalizzato e alcune componenti del disturbo borderline di personalità. Il
fenobarbitale (un barbiturico) è stato il primo farmaco antiepilettico che ha mostrato una notevole
efficacia, ma a causa dell’effetto sedativo e degli affetti avversi di depressione cognitiva è poco utilizzato.

CAPITOLO 7
La causa della tossicodipendenza: sta nella capacità della sostanza di “rinforzare” il
comportamento di assunzione, usando gli stessi meccanismi fisiologici per cui si diventa dipendenti da
una sostanza utile per l’organismo (cibo, acqua etc. che da sensazioni positive o abolisce sensazioni
negative) che viene poi regolarmente ricercata e assunta
 Il rinforzo positivo: si verifica quando, in una certa situazione, un comportamento è
seguito da uno stimolo appetitivo (una gratificazione che rinforza appunto
comportamenti di avvicinamento e consumazione). Il rinforzo positivo induce a ripetere
il comportamento di assunzione (o altri comportamenti) generando la dipendenza da
quella sostanza. Maggiore è la capacità di rinforzo positivo dello stimolo, più velocemente
insorgerà la dipendenza. Il topiramato può abbassare il rinforzo negativo.
 Il rinforzo negativo: si verifica quando un comportamento è seguito da riduzione o
interruzione di uno stimolo spiacevole (avversivo). Esso induce all’assunzione di sostanze
(o altri comportamenti) che riducano ansia e sensazioni spiacevoli, compresi la sostanza
che ha indotto i sintomi di astinenza.
È però il rinforzo positivo induce per primo la dipendenza psicologica alla sostanza.

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Il DSM-IV-TR presenta i criteri accettati per ciò che viene considerato sostanza da abuso o che
genera dipendenza. I due disturbi derivati dall’uso di sostanze presumono un utilizzo improprio delle
sostanze stesse che portano ad alterazioni e disturbi clinicamente significativi. Circa 1/3 delle persone
dipendenti da una sostanza illegale o dall’alcol, ha una diagnosi di comorbilità con disturbi psichiatrici,
una situazione definita diagnosi duale. Gli effetti rinforzanti delle droghe sono una proprietà della droga
stessa, non del soggetto. Gli effetti rinforzanti delle droghe sono fenomeni recettore-dipendenti e dose-
dipendenti che possono essere antagonizzati da bloccanti recettoriali selettivi. La somministrazione acuta
di tutte le droghe è gratificante e questo effetto ne promuove un uso ripetuto. Sfortunatamente nelle
persone vulnerabili l’uso ripetuto può portare a tossicomania, ossia una perdita del controllo e dell’uso
della droga. Come risultato di un uso cronico, il sistema nervoso assuefatto si adatta all’esposizione
ripetuta. Se l’assunzione della droga viene interrotta avverranno reazioni emotive negative e cambiamenti
a livello cerebrale molto simili, indipendentemente dal tipo di droga, sono questi gli effetti responsabili
della compulsione e delle recidive, anche dopo lunghi periodi d’astinenza. Anche dopo che tutte le tracce
di una specifica droga d’abuso sono sparite dall’organismo il tossicomane prova necessità di assumere
ancora la droga ed è a rischio ricaduta. Infine, a cause dell’uso a lungo termine, è avvenuto un
cambiamento a livello cerebrale: si sono manifestati dei fenomeni di neuroadattamento.
Indipendentemente dagli specifici effetti dalle droghe, tutte hanno un’azione comune nei riguardi
del circuito mesolimbico dopaminergico. Ognuna di esse incrementa la trasmissione dopaminergica di
questo sistema, infatti la maggior parte delle droghe d’abuso aumenta la quantità di dopamina rilasciata
dall’area tegmentale ventrale (VTA) verso il nucleus accumbens (NAc), l’amigdala, l’ippocampo e il lobo
frontale.
1. La cocaina incrementa la quantità di dopamina sui neuroni del NAc bloccando la
ricaptazione di dopamina da parte dei neuroni nella VTA dopo che il trasmettitore è stato
rilasciato.
2. Gli oppiacei agiscono sui recettori localizzati sui neuroni GABA e inibiscono il rilascio di
GABA. Quando il rilascio di GABA viene ridotto vi è una diminuita inibizione dei
neuroni dopaminergici e il rilascio di dopamina aumenta.
3. L’alcol può aumentare la dopamina inibendo il rilascio di GABA.
4. La nicotina può stimolare direttamente i neuroni dopaminergici e provocare rilascio di
dopamina.
L’esposizione cronica a lungo termine a qualsiasi delle varie droghe d’abuso porta a un’alterazione
del circuito della dopamina in modo tale da renderlo meno responsitivo. L’eccessivo uso di droga altera
la risposta agli stimoli naturali della gratificazione, rendendoli meno piacevoli rispetto a quanto lo erano
precedentemente. L’uso ripetuto può evolvere a cronico e diventare compulsivo portando a tossicomania.
Dato che il lobo frontale è una delle aree del cervello che fanno parte del circuito della gratificazione,
esso risulta profondamente alterato dall’abuso cronico di droga causando ipofrontalità, cioè la normale
attività basale di varie regioni della corteccia frontale è ridotta. Anche se la corteccia diventa meno attiva
e meno sensibile alle normali gratificazioni, è invece iperattiva in risposta alle droghe o agli stimoli che
preannunciano le droghe.

 ABITUDINE/TOLLERANZA
1. Abitudine semplice: Tolleranza, assenza del fenomeno di gratificazione psichica (reward), assenza
del fenomeno di craving, assenza di sindrome d’astinenza alla sospensione.

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2. Abitudine viziosa: Tolleranza, fenomeno della gratificazione psichica (reward), craving senza gravi
alterazioni comportamentali, dipendenza psichica, sindrome d’astinenza incompleta (psichica) alla
sospensione.
3. Abitudine compulsiva: Tolleranza, fenomeno della gratificazione psichica (reward), craving con gravi
alterazioni comportamentali, dipendenza psichica e somatica, sindrome d’astinenza completa
(psichica e somatica) alla sospensione.

 “NEW ADDICTIONS” (behavioural dependences)


GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO; VIDEO GAMES – INTERNET ADDICTION;
JOY RIDING (CORSE SPERICOLATE IN MACCHINA); SEXUAL ADDICTION; WORK
ADDICTION; TELEVISION ADDICTION; ALTERNATING ADDICTIONS (DIPENDENZE
MULTIPLE IN SUCCESSIONE).

 COCAINA E ANFETAMINA
Cocaina: induce vigilanza, attivazione, euforia (rinforzo positivo-dipendenza). Essa inibisce la
ricaptazione della dopamina da parte dei bottoni terminali, aumentando la disponibilità di dopamina nello
spazio sinaptico. Può essere assunta per combattere i sintomi apatici.
L’anfetamina: produce effetti mentali simili a quelli della cocaina. Oltre ad inibire la ricaptazione
della dopamina, l’anfetamina ne aumenta il rilascio dai bottoni terminali allo spazio sinaptico.
Gli effetti di rinforzo di cocaina e anfetamina: sono mediati dall’incremento della dopamina nel
nucleo accumbens dei gangli della base
Effetti psicotici di cocaina e anfetamina: l’assunzione prolungata di cocaina e anfetamina può
indurre sintomi di schizofrenia di tipo paranoide.
Si sviluppa rapidamente. La tolleranza si riflette nella riduzione degli effetti piacevoli, che
diventano meno intensi e solo parzialmente vengono superati con l'aumento dei dosaggi e la riduzione
degli intervalli tra le dosi. Contemporaneamente si sviluppa sensibilizzazione per gli effetti ansiogeno e
disforizzante. Il desiderio di riprovare il piacere iniziale e di sfuggire all'ansia conduce all'uso compulsivo
della sostanza, arrivando a vere e proprie abbuffate ("binges") durante le quali il soggetto non si alimenta,
non dorme, diviene sempre meno euforico, più disforico, agitato ed aggressivo. I binges durano in genere
2-3 giorni e si interrompono per un crollo psicofisico del soggetto che piomba in uno stato di torpore-
apatia o per l'insorgenza di uno stato psicotico vero e proprio.
L'uso cronico di cocaina, diminuendo le scorte di dopamina, può causare anche iperprolattinemia
con ginecomastia (sviluppo di mammelle nei maschi), galattorrea e amenorrea.
 NICOTINA
La nicotina: induce una forte dipendenza psicologica senza intossicazione. Essa stimola il rilascio
di dopamina da parte dei neuroni mesolimbici (attivazione recettori colinergici 𝛼4 𝛽2).
La continua assunzione di nicotina determina dapprima desensibilizzazione recettoriale e quindi
sviluppo di tolleranza. Il tabacco contiene inibitori reversibili e irreversibili delle MAO. La dipendenza è
una patologia cronica.
Secondo l’OMS la dipendenza da nicotina viene definita in base a tre criteri: tentativo fallito di
smettere di fumare; difficoltà nel controllare l’uso di tabacco; comparsa di sintomi d’astinenza alla
sospensione. I sintomi d’astinenza comprendono umore depresso, insonnia, irritabilità, ansia, difficoltà,
di concentrazione, irrequietezza, aumento dell’appetito e craving (desiderio impellente di fumare).
 Trattamento: terapia cognitivo-comportamentale e un sostituto che non dà dipendenza.

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 Trattamento farmacologico: Bupropione (non molto utilizzato a causa della sua scarsa
efficacia), cerotti transdermici, vareniclina (riduce i sintomi d’astinenza, riduce il rinforzo
positivo e negativo. Si lega ai recettori nicotinici neuronali dell’acetilcolina nel sistema
nervoso centrale e periferico e dimostra un’elevata affinità al ricettore nicotinico del
sottotipo α4β2, presente in larga concentrazione nel cervello. Ha un duplice meccanismo
d’azione: da un lato agisce come agonista parziale del recettore nicotinico α4β2, dove il
suo legame produce un effetto sufficiente ad alleviare i sintomi del desiderio compulsivo
e dell’astinenza (attività antagonista). Dall’altro determina una riduzione degli effetti della
gratificazione e del rinforzo dell’abitudine al fumo, impedendo il legame nicotinico ai
recettori α4β2 (attività antagonista). Pertanto il consumo di tabacco sotto vareniclina
comporta effetti meno rafforzativi.)

 CANNABIS
Il sistema endocannabinoide esercita un potente ruolo modulatorio sulla trasmissione sinaptica
nel cervello. Gli eCB sono prodotti al bisogno e possono inibire la liberazione di GABA o di glutammato
dalle terminazioni in diverse aree cerebrali come, il cervelletto, l’ippocampo, lo striato dorsale e ventrale
e la neocorteccia. Questo effetto modulatorio è mediato dalla stimolazione di recettori CB1, che sono
espressi soprattutto nelle terminazioni assonali GABAergiche e glutammatergiche. Gli eCB svolgono un
ruolo prevalente di neurotrasmettitori di tipo presinaptico. Gli studi più recenti ne hanno definito il ruolo
di messaggeri per via retrograda.
Decisamente compromessi già a dosi di una o due sigarette sono: percezioni, attenzione,
elaborazione delle informazioni. Questa compromissione dura 4-8 ore, molto oltre il periodo di tempo
durante il quale i soggetti percepiscono gli effetti della droga. Effetti di alcool e cannabis si sommano.
Nel SNC la cannabis produce: sensazione di benessere ed euforia, rilassamento, aumento delle
percezioni sensoriali, accentuazione del flusso ideativo, rilassamento delle associazioni, riso spontaneo
(in compagnia), sonnolenza, memoria a breve termine compromessa, alterata la percezione del tempo,
coordinazione motoria, postura.
Gli effetti psicotossici ad alte dosi sono: allucinazioni franche, delirio, paranoia, pensieri confusi
e disorganizzati, accentuazione di depersonalizzazione, accentuata alterazione del senso del tempo - Ansia
fino al panico (sensazione che non cesserà mai l’azione della droga) Per dosi abbastanza elevate, psicosi
tossica con allucinazioni, depersonalizzazione e perdita della capacità critica (possibile comparsa acuta o
anche dopo mesi di uso)
L’assunzione cronica comporta: sindrome amotivazionale (apatia, torpore, ridotta capacità di
giudizio, di concentrazione, di memoria, perdita di interesse verso la propria persona e verso le
convenzioni sociali).
Cannabinoidi Effetti farmacologici: tolleranza: rapida insorgenza, rapido recupero efficacia •
Dipendenza: sindrome di astinenza modesta rispetto a quella da oppiacei, abuso.

 OPPIACEI
Comprendono sostanze naturali, semisintetiche o sintetiche derivate dall'oppio: eroina, morfina,
metadone, codeina, buprenorfina, pentazocina, meperidina. Mimano gli effetti dei peptidi oppioidi
endogeni. Aumentano il rilascio di dopamina.
 Eroina. Effetti: senso di tranquillità, diminuita apprensione, effetto profondo su dolore ed ansia
anticipatoria, euforia, aumento acuto e rapido di livelli di oppioidi nel cervello: “RUSH”,

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“FLASH”, gratificazione, costipazione, liberazione di istamina con vasodilatazione cutanea e
prurito, soppressione del riflesso della tosse, nausea e vomito.
Terapia della dipendenza da oppiacei:
1. Metadone (agonista): buona biodisponibilità, può essere somministrato per os in unica
somministrazione giornaliera; determina una sindrome d’astinenza meno intensa rispetto
all’eroina ma più protratta nel tempo.
2. Buprenorfina (agonista parziale): previene gli effetti gratificanti dell’assunzione dell’eroina
contribuendo al divezzamento; se assunta da un soggetto impregnato di eroina o metadone
può determinare la comparsa di una sindrome astinenziale.
3. Clonidina, α2 agonista che riduce l’iperattività dei neuroni adrenergici responsabili dei
sintomi astinenziali. Riduce agendo a livello presinaptico il rilascio di dopamina.

 ALLUCINOGENI
Determinano un'alterazione dello stato della coscienza, della percezione spazio-temporale, del
concetto di individualità, con senso di espansione della mente ed euforia. Gli effetti variano in base alla
personalità del consumatore, alla sua predisposizione emotiva e dal fine ricercato con l'esperienza
psichedelica. Oltre agli effetti psichedelici, queste sostanze sono in grado di sviluppare sintomi somatici.
Non creano dipendenza e astinenza. I tipi di allucinogeni più utilizzati sono: LSD, Ketamina, mescalina.

 TERAPIA DELLA DIPENDENZE


1. Terapia farmacologiche specifiche
2. Intossicazione acuta da cocaina: benzodiazepine, beta-bloccanti, antipsicotici in caso di psicosi
3. Craving da cocaina: carbamazepina e benzodiazepine
4. Dipendenza da cocaina: possibile sviluppo del vaccino
5. Dipendenza da oppiacei: metadone (agonista) e buprenorfina (agonista parziale)
6. Psicoterapia

 ALCOL
Sindromi neurologiche nell’etilismo:
1. Intossicazione acuta: ebbrezza alcolica.
2. Sindromi da astinenza: Epilessia alcolica, Delirium Tremens.
3. Sindromi carenziali secondarie: Sindrome di Wernicke-Korsakoff, neuropatia periferica,
neuropatia ottica.
4. Sindromi associate: demenza alcolica
5. Sindrome feto-alcolica
→ Terapia della dipendenza da alcool
Sindrome d’astinenza: benzodiazepine a lunga emivita per, clonidina, antipsicotici in caso di
deliri e allucinazioni, Disulfiram: inibizione aldeide-deidrogenasi e acetaldeide che determina nausea,
vomito, vampate, ipotensione, Naltrexone: blocca le proprietà gratificanti dell’alcool, acamprosato:
antagonismo funzionale sui recettori NMDA, topiramato.

 TRATTAMENTO SOSTITUTIVO ALL’AGONISTA


La prescrizione di una sostanza sostitutiva della droga di abuso è uno dei più fondati interventi
farmacologici per la tossicomania.

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Il metadone può sostituire l’eroina perché è un agonista oppioide relativamente puro, ma
provoca un’insorgenza più lenta dell’effetto. Anche se la somministrazione per via orale non produce un
rush come l’eroina, la sua lunga durata d’azione permette un dosaggio da somministrarsi una volta al
giorno, che riduce la bramosia e l’effetto dell’eroina. Tuttavia il metadone è una sostanza molto
tossicomanogena e deve essere somministrata in situazioni controllate.
La sostituzione con agonisti è stata utilizzata a lungo ed efficacemente per trattare la dipendenza
da nicotina. Un approccio sostitutivo potrebbe essere efficace anche per il trattamento della dipendenza
da stimolanti.

 TRATTAMENTO SOSTITUTIVO CON AGONISTA PARZIALE


Anziché sostituire un agonista puro con un altro, un approccio alternativo per curare la
dipendenza da oppiacei è quello di utilizzare un agonista parziale come la buprenorfina. La buprenorfina
produce una sindrome da astinenza meno grave del metadone, ma questo potrebbe essere dovuto alla
sua lunga durata d’azione, che proteggerebbe il tossicomane dall’uso di eroina per 1 o 2 giorni. Gli agonisti
parziali sono stati sviluppati con successo per la dipendenza da nicotina.

 TRATTAMENTO DELLA TOSSICOMANIA CON ANTAGONISTI


Un approccio standard per trattare la tossicomania è la somministrazione di un antagonista della
sostanza da abuso. Bloccando direttamente l’effetto di rinforzo, l’antagonista dovrebbe ridurre il
comportamento compulsivo. Gli antagonisti oppiacei naloxone, naltrexone (approvato per il
trattamento della dipendenza da alcol) e nalmefene sono stati a lungo disponibili per questo trattamento.
Tuttavia il principale problema con questi agenti è la remissione. Se il tossicomane aderisce al trattamento
con un antagonista, questo risulterà molto efficace nella riduzione d’abuso; ma se il paziente cessa la
terapia e ricade nell’uso di eroina c’è la possibilità che l’oppiaceo sia ancora più pericoloso rispetto a prima
del trattamento: verrebbe a mancare la tolleranza che si era sviluppata durante il precedente uso di
oppiaceo e la risomministrazione di oppiacei potrebbe produrre gravi problemi come la depressione
respiratoria.

 SISTEMI DEI NEUROTRASMETTITORI NON DOPAMINERGICI QUALI


BERSAGLI TERAPEUTICI
Gli approcci che hanno come obiettivo i sistemi dei neurotrasmettitori che modulano il sistema
dopaminergico sono molto compromettenti:
→ Sistemi GABAergico e glutammatergico. I corpi cellulari dopaminergici nell’area
tegmentale ventrale sono sotto controllo GABAergico, ed il recettore GABA-B è coinvolto in
questa interazione. Gli agonisti GABA-B come il biclofen possono ridurre l’azione di rinforzo
operata da diverse classi di droghe d’abuso (eroina, alcol).
Altri farmaci GABAergici sono gli anticonvulsionanti. Una di queste sostanza è il vigabatrin
un anticonvulsionante che blocca l’enzima che metabolizza il GABA.
La tiagabina è un anticonvulsionante che blocca uno dei trasportatori del GABA e in uno
studio di piccole dimensioni ha dimostrato di facilitare l’astinenza alla cocaina.
L’anticonvulsionante topiramato è stato approvato in studi sull’astinenza dalla cocaina e questo
composto non solo facilita la funzione del GABA, ma inibisce anche la neurotrasmissione
glutammaterciga bloccando i recettori AMPA. Questa sostanza provoca sedazione e problemi
alla memoria.
→ Sistema oppioide

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→ Sistema cannabinoide. Le interazioni cannabinoidi-oppiacei stanno guadagnando maggiore
attenzione nell’attuale concezione della tossicomania e del meccanismo della gratificazione. Di
conseguenza la ricerca sul ruolo di questo sistema nella modulazione delle proprietà
tossicomanogene dell’ecstasy, della nicotina, e dell’alcol è in significativo aumento.
Vi sono 3 principali aspetti rilevanti in questo modello: i cannabinoidi possono rilasciare
peptidi oppioidi e gli oppioidi possono rilasciare endocannabinoidi, quando i recettori per
questi due sistemi sono localizzati sulle stesse cellule è stata dimostrata una interazione diretta
recettore-recettore, vi è interazione fra i due sistemi a livello intracellulare.

CAPITOLO 8
 GRAVIDANZA E DROGHE PSICOTROPE
Un farmaco psicoattivo attraversa la barriera ematoencefalica e raggiunge il cervello. La barriera
ematoencefalica è la più resistente di tutte le barriere dell’organismo alla distribuzione dei farmaci e la
barriera placentare è al contrario la più facile da attraversare. Quindi il feto avrà una concentrazione di
farmaco nel sangue molto simile a quella della madre. I rischi del trattamento sono:
1. Rischio di potenziale danno teratogeno
2. Rischio di anormalità comportamentali
3. Rischio di sindromi perinatali o tossicità neonatale
Ma non curare il malessere della madre potrebbe comportare:
1. Scarsa osservanza della cura prenatale
2. Nutrizione non adeguata
3. Esposizione a droghe
4. Aumento dell’uso di alcol, caffeina, tabacco
5. Carenze nell’istaurare il legame affettivo madre-figlio
6. Alterazione nell’ambiente familiare.

 ANTIDEPRESSIVI IN GRAVIDANZA E CONSEGUENZE NEONATALI


Depressione, distimia e stati d’ansia sono disturbi comuni delle donne in età fertile e molte donne
che soffrono di tali disturbi vengono trattate con farmaci antidepressivi SSRI. Un adeguato trattamento
è essenziale, preferibilmente iniziato prima del concepimento. Donne con grave depressione smettono di
usare i farmaci ad alto rischio di recidive e la depressione durante la gravidanza aumenta il rischio di
depressione post-partum. Le donne che smettono di assumere gli antidepressivi hanno recidive con una
frequenza maggiore nel corso della gravidanza rispetto a quelle che continuano il trattamento. La
gravidanza non è una protezione nei riguardi di depressione o distimia, e la depressione maggiore se non
trattata spesso provoca gravi disturbi depressivi o abuso di sostanze.
Si consiglia l’utilizzo di paroxetina durante la gravidanza.
Studi recenti hanno mostrato una sindrome di astinenza da SSRI nei neonati di madri in cura con
antidepressivi di tipo SSRI durante il terzo trimestre di gravidanza. I segni tipici della sindrome di
astinenza sono: irritabilità con pianto frequente, disturbi del sonno, riflessi di iperattività, difficoltà nel
respiro e nella nutrizione. Si suggerisce dunque di cambiare il farmaco SSRI con fluoxetina e
successivamente di smettere anche quest’ultima a 7 mesi dalla nascita permettendo al nascituro di
disintossicarsi mentre si trova ancora nell’utero. Durante questo periodo la madre può essere trattata con
interventi psicologici e non farmacologici ed eventualmente con acidi grassi omega-3.

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 STABILIZZATORI DELL’UMORE IN GRAVIDANZA E CONSEGUENZE
SUL NEONATO
Il disturbo bipolare in una donna in gravidanza è associato a ricadute nell’uso di droga e abuso di
alcol, episodi maniacali e alterazione della vita interpersonale.
Il litio è debolmente teratogeno, potenzialmente rischioso però per la possibilità di sviluppare
malformazioni cardiache. Se il litio è necessario, il dosaggio andrebbe ridotto al minimo e il feto dev’essere
costantemente tenuto sotto controllo. Durante il periodo di allattamento al seno, una parte del litio
assunto dalla madre passa al bambino.
L’acido valproico è associato a maggiori malformazioni congenite. La carbamazepina è
blandamente teratogena. La lamotrigina non è considerata tra i maggiori teratogeni. Il topiramato è
stato associato ad un incremento di malformazioni genetiche gravi. La gabapentina e il pregabalin non
vengono indicati come forti teratogeni.

 ANTIPSICOTICI ATIPICI IN GRAVIDANZA E CONSEGUENZE


NEONATALI
Gli antipsicotici atipici sono stati a lungo utilizzati nelle prime fasi della gravidanza per trattare la
nausea e il vomito associati alla gestazione. Questi farmaci non erano associati a gravi conseguenze
teratogene anche se diversi bambini sono nati con difetti cardiaci. Era stato inoltre rilevato un rischio
maggiori per le madri di sviluppare diabete gestazionale. Questi farmaci, però, non andrebbero interrotti
nel trattamento dei disordini psichiatrici più gravi perché i rischi derivanti dalla dismissione potrebbero
essere superiori a quelli dovuti al trattamento stesso.
Il risperidone andrebbe usato solo se i benefici superano i potenziali rischi.
Il passaggio placentare è più alto per: olanzapina, aloperidolo, risperidone e quetiapina (con
riduzione del peso alla nascita).

 PSICOFARMACOLOGICA PRESCOLARE
1. Cure per il trattamento del disturbo da deficit di attenzione/iperattività in bambini da 1 a 5 anni
Uno studio ha dimostrato la potenzialità del metilfenidato per trattare questo disturbo. Il
metilfenidato a rilascio immediato provocava una riduzione significativa dei sintomi, anche se l’efficacia
era inferiore a quella dimostrata nei bambini in età scolare. Nel caso in cui i bambini non rispondono a
una classe di stimolanti è raccomandabile passare a un’altra classe di farmaci (es. atomoxetina o un
farmaco alfa-agonista).
2. Cure per il trattamento dei comportamenti disgregativi nei bambini
Il risperidone può essere preso in considerazione.
3. Cure per trattare la depressione nei bambini
La depressione durante l’infanzia è un disturbo particolarmente grave e recidivante. I bambini
depressi appaiono tristi anche quando giocano, i loro giochi possono avere una tematica di morte o cupe
argomentazioni, manifestano perdita d’appetito e hanno problemi di sonno, temperamento capriccioso,
scontroso e provano forte vergogna e senso di colpa. La psicoterapia rappresenta sempre la prima scelta.
4. Cure per il trattamento del disturbo bipolare
Il disturbo bipolare tende a essere associato a terapie mediche per l’aggressività, spesso con una
diagnosi debole quando non accompagnato da assistenza psicoterapeutica/sociale. Le caratteristiche
principali sono: senso di superiorità, ipersessualità con alte funzionalità e esaltazione. Gli interventi
psicoterapeutici sono i più sicuri. Gli interventi farmacologici vanno presi in considerazione in caso di
deperimento significativo e ansia, associati a segni di gravi alterazioni dell’umore e del comportamento.

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5. Cure per il disturbo d’ansia
La fluoxetina dovrebbe essere il trattamento farmacologico di prima scelta per l’ansia in età
prescolare. Le benzodiazepine non sono raccomandate se non per procedure a breve termine.
6. Cure per il trattamento dei disturbi pervasivi dello sviluppo
Il risperidone è stato approvato per bambini in età superiore ai 5 anni con comportamenti
associati all’autismo e l’aripiprazolo è stato approvato per il trattamento dell’irritabilità associata
all’autismo.

 PSICOFARMACOLOGIA PER BAMBINI IN ETA’ SCOLARE E


ADOLESCENTI
1. Cure per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico
L’autismo è un disturbo pervasivo dello sviluppo caratterizzato da carenza nelle interazioni sociali
e nella capacità di comunicazione e presenza di comportamento, interessi e attività stereotipati. L’uso di
farmaci psicotropi mirati a sistemi neurochimici coinvolti nella patofisiologia dell’autismo ha mostrato
una riduzione dell’aggressività, dei comportamenti autolesivi, dell’ansia, dei comportamenti ripetitivi,
delle variazioni umorali, dell’iperattività, dell’impulsività e di altri comportamenti di disadattamento.
Storicamente gli antidepressivi sono stati utilizzati nel tentativo di ridurre gli stati d’ansia e agitazione
associati all’autismo. Per questo fino a tempi recenti gli SSRI erano la base del trattamento. I farmaci
antipsicotici atipici sono i farmaci clinicamente più efficaci per ridurre l’aggressività, l’irritabilità e la grave
collera dei giovani affetti da autismo. Il risperidone e l’aripiprazolo sono considerati la terapia primaria
per l’autismo, i gravi effetti collaterali sono: aumento di peso, intolleranza al glucosio. L’aripiprazolo
sembra provocare meno effetti collaterali metabolici di sedazione rispetto al risperidone.
2. Cure per il trattamento dei disturbi del comportamento o dell’aggressività
I bambini in cui gli scatti di rabbia e l’agitazione sono così gravi da mettere in pericolo se stessi e
gli altri rappresentano una sfida diagnostica. Le crisi, chiamate furori, sono state associate a manie, gravi
alterazioni dell’umore e aggressività impulsiva manifesta e reattiva. La manifestazione di sintomi
disgregativi nell’infanzia è un indicatore di psicopatologia pervasiva in età adulta. Questi comportamenti
rispondono bene agli stabilizzatori dell’umore (litio e anticonvulsionanti) e agli antipsicotici atipici
(sono il fulcro del trattamento dei disturbi aggressivi, collerici e rabbiosi). Il risperidone e l’olanzapina
sono stati usati per i comportamenti aggressivi ma tendono a causare aumento del peso e altri effetti
metabolici avversi. Un miglior profilo da un punto di vista degli effetti collaterali è stato attribuito
all’aripiprazolo. Gli psicostimolanti sono utili nei disturbi della condotta e nell’aggressività. Gli SSRI
possono essere efficaci. La clinidina è efficace nell’iper-reattività e nell’aggressività pediatrica e forse nei
disturbi pervasivi dello sviluppo. Le benzodiazepine possono ridurre l’agitazione e l’irritabilità, ma
possono indurre disinibizione comportamentale.
3. Farmaci per il trattamento del disturbo da deficit di attenzione/iperattività
Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) è il disturbo mentale pediatrico più
studiato. Esso sembra associarsi ad alterazioni dell’attività dopaminergica nella corteccia prefrontale
(CPF). La CPF è cruciale per la regolazione del comportamento, dell’attenzione e della cognizione e
riduce l’effetto di distrazione e di attenzione divisa. Le lesioni della CPF producono un profilo di
distraibilità, dimenticanza, impulsività, scarsa capacità di pianificazione e iperattività locomotoria.
Possono essere distinte tre tipologia di ADHD:
1. ADHD con disattenzione.
2. ADHD con impulsività e iperattività.
3. ADHD combinato.

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Le amfetamine (benzadrina e destroamfetamina) sono state utilizzate per il trattamento del
ADHD. I farmaci stimolanti migliorano il comportamento e le abilità di apprendimento e i bambini
mostrano miglioramenti nella sintomatologia del ADHD, ma sfortunatamente i miglioramenti sono rari.
Una questione importante riguarda l’eventualità di un’associazione tra l’uso di psicostimolanti durante
l’infanzia e la successiva assunzione di sostanze da abuso. È chiaro che giovani con ADHD non trattati
e con comorbilità di disturbi di condotta, d’ansia, d’umore sono maggiormente a rischio, e l’uso di farmaci
stimolanti durante l’infanzia e l’adolescenza non è associato a un successivo abuso di sostanze, comunque
l’uso improprio degli stimolanti rimane un problema. Attualmente il metilfenidato è il più utilizzato nei
farmaci per il ADHD. Ha una rapida insorgenza d’azione e breve durata, quindi deve essere
somministrato 2 o 3 volte al giorno e la sua breve emivita può essere un problema per alcuni bambini. È
stato presentato anche un rilascio transdermico di metilfenidato ed è disponibile il desmetilfenidato (D-
isomero attivo del metilfenidato) che è 2 volte più potente del metilfenidato, così il dosaggio può essere
ridotto della metà, ed è disponibile in una formula a rilascio prolungato. L’atomoxetina è il primo
inibitore selettivo della ricaptazione di noradrenalina SNRI approvato per il trattamento di ADHD. Il
farmaco sembra essere ben tollerato e sicuro se usato fino a 4 anni. Clonidina e guanfacina (agonisti
dopaminergici) si sono dimostrati efficaci. Gli antidepressivi triciclici si sono dimostrati occasionalmente
efficaci, ma vengono limitatamente utilizzati a causa di rara tossicità cardiaca (buspirone e fluoxetina).
Gli effetti collaterali ai farmaci stimolanti sono: insonnia, aumento della pressione sanguigna e della
frequenza del battito cardiaco, riduzione dell’appetito e possibile soppressione della crescita (comuni);
problemi psichiatrici di tipo avversativo, peggioramento o insorgenza di nuovi disturbi del pensiero e del
comportamento, insorgenza o peggioramento del disturbo bipolare, nuovi o piò problemi di aggressività
e ostilità, sentire delle voci, credere a cose non vere, una maggiore sospettosità e nuovi sintomi maniacali;
morte improvvisa (gravi).
4. Farmaci e trattamenti per la depressione
Il miglior trattamento per la depressione nel bambino e nell’adolescente è quello combinato di
fluoxetina e la terapia cognitivo-comportamentale (TCC), la combinazione riduce al minimo il
pensiero persistente di suicidio e gli eventi suicidi derivati dal trattamento e aumenta la sicurezza del
trattamento stesso. La lunga emivita della fluoxetina sembra essere responsabile della superiorità rispetto
ad altri farmaci. Strategie di incremento, come l’aggiunta di una stabilizzatore dell’umore a TCC e
fluoxetina, migliorano le risposte positive. Vengono utilizzati nel trattamento della depressione:
escitalopram (12-17 anni), farmaci coadiuvanti (lamotrigina, aripiprazolo, quetiapina), trattamenti
complementari (auto-aiuto, elioterapia).
5. Farmaci per il trattamento dei disturbi d’ansia
I disturbi d’ansia sono molto comuni tra i bambini e gli adolescenti e causano sostanziali
peggioramenti a scuola, nelle relazioni familiari e nella socializzazione. Questi disturbi sono predittivi di
disturbi d’ansia e depressione maggiore in età adulta.
I disturbi d’ansia generalizzata (DAG), l’ansia da separazione (DAS) e la fobia sociale (FS)
sono caratterizzati da uno stato di eccessiva ansia, preoccupazione, irrequietezza, stanchezza, incapacità
di concentrazione, irritabilità, tensione muscolare o disturbi del sonno che si protraggono per almeno 6
mesi o che causino disturbi funzionali. Molti giovani che manifestano DAG, DAS o FS spesso
manifestano comorbilità con la depressione, con disturbi d’ansia secondari o ADHD. Il trattamento di
DAG, DAS e FS comporta una combinazione di farmacoterapia e psicoterapia. Si pensa che qualsiasi
farmaco SSRI sarebbe efficace nel trattamento del ragazzo e dell’adolescente per i disturbi d’ansia e che
la combinazione SSRI-TCC è la più efficace.

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Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è di precoce insorgenza ed è caratterizzato da
ossessioni o compulsioni così forti da provocare angoscia e significativi peggioramenti. La terapia prevede
la combinazione di TCC e una farmaco SSRI o con la sola TCC. Nonostante l’efficacia della
combinazione, circa il 25-30% dei giovani non migliora. Sono necessarie quindi strategie alternative. Una
delle più utilizzate è l’aggiunta di un antipsicotico atipico in corso di trattamento con SSRI.
Nel disturbo da attacchi di panico si suggerisce la terapia con SSRI, potrebbero essere efficaci
anche la TCC e altre terapie.
Nel disturbo da stress post-traumatico si predilige la psicoterapia focalizzata sul trauma, la
farmacoterapia e interventi combinati.
6. Farmaci per il trattamento del disturbo bipolare
Il disturbo bipolare in età pediatrica è una malattia psichiatrica cronica debilitante associata a
molte complicazioni a breve e a lungo termine, incluse le scadenti prestazioni scolastiche e sociali,
problemi legali e l’aumento di rischio di suicidio. Spesso questo disturbo è complicato da altri gravi
problemi psichiatrici come il ADHD, disturbo oppositivo provocatorio (DOP), disturbo di condotta
(DC) e abuso di sostanze. Il litio, alcuni anticonvulsionanti e gli antipsicotici di seconda generazione
potrebbero essere utili nella monoterapia acuta per i giovani con stati maniacali o misti. L’acido valproico
e la quetiapina sono utilizzati nel trattamento del disturbo bipolare pediatrico. La lamotrigina può
essere efficace sia nella monoterapia sia in aggiunta ad altra terapia, in adolescenti. I farmaci SSRI
possono alleviare la depressione bipolare, ma vi è il rischio di indurre destabilizzazione dell’umore se non
viene contemporaneamente somministrate uno stabilizzatore dell’umore. L’integrazione con acidi grassi
omega-3 con un elevato contenuto di acido eicosapentaenoico (EPA) è efficace per il trattamento di
ragazzi con ADHD, disturbo bipolare e altri problemi educativi e comportamentali.
7. Farmaci per il trattamento dei disturbi psicotici
La schizofrenia e le sue condizioni correlate sono considerate piuttosto rare in ambito pediatrico.
Il trattamento con acidi grassi omega-3 riduce marcatamente il rischio di progressione del disturbo
psicotico e può offrire una strategia sicura ed efficace per la prevenzione. Gli agenti psicofarmacologici
attualmente utilizzati per il trattamento della schizofrenia sono i nuovi farmaci antipsicotici atipici. Anche se
efficaci, l’aloperidolo e le fenotiazepine sono evitati per gli effetti collaterali extrapiramidali. Clozapina,
risperidone, olanzapina e quetiapina sono tutti efficaci per il trattamento dei bambini e degli
adolescenti. L’aripiprazolo è stato approvato per il trattamento di pazienti con schizofrenia e disturbo
bipolare nei pazienti di età compresa tra 10-17 anni.
8. Farmaci per i disturbi della condotta alimentare
Anoressia nervosa: Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo normale
per l’età e la statura, Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi anche quando si è sottopeso,
alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma corporea, ed eccessiva influenza sui livelli
di autostima, rifiuto di ammettere la gravità della condizione di sottopeso, amenorrea. Sottotipo restrittivo
(la perdita di peso è ottenuta soprattutto con dieta, digiuno o attività fisica eccessiva), sottotipo con
abbuffate/condotte di eliminazione: in cui sono attuate abbuffate.
Gli antidepressivi SSRI e SNRI, forse utili anche, a lungo termine, nella prevenzione delle
ricadute. I nuovi antipsicotici atipici (in particolare olanzapina) possono trovare impiego soprattutto nei
casi più difficili e resistenti.
Bulimia nervosa: Ricorrenti abbuffate, ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per
prevenire l’aumento di peso. Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media
almeno 2 volte a settimana per 3 mesi. I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e
dal peso corporei. Sottotipi:

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- con Condotte di eliminazione: nell’episodio attuale il soggetto ha presentato regolarmente
vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici enteroclismi
- senza Condotte di eliminazione: nell’episodio attuale il soggetto ha presentato altri
comportamenti compensatori inappropriati, come digiuno, esercizio fisico eccessivo, ma non si dedica
regolarmente a vomito autoindotto, etc.
Gli effetti antibulimici degli antidepressivi (riduzione delle crisi di bingeing and purging) si
manifestano indipendentemente dalla coesistenza di uno stato depressivo e dal suo miglioramento;
La fluoxetina si è dimostrata un farmaco particolarmente efficace e maneggevole; egualmente
efficaci ma meno tollerabili i triciclici
Binge-eating disorder: abbuffate ricorrenti e sensazione di perdita del controllo nel mangiare
durante l’episodio. L’alimentazione incontrollata non si associa a condotte compensatorie, le abbuffate si
verificano in media 2 volte la settimana o più, per 3-6 mesi. Marcato disagio riguardo l’alimentazione
incontrollata.
I farmaci che presentano le maggiori evidenze in termini di efficacia e tollerabilità sono: la
sertralina, il topiramato.
Terapia dei DCA: Ha l'obiettivo di attaccare i principali fattori psicologici e comportamentali di
sviluppo e mantenimento dei DCA: scarso concetto di sé, relazioni interpersonali deficitarie,
preoccupazione eccessiva per il peso e l'aspetto fisico, dieta ferrea e comportamenti di compenso.

CAPITOLO 9
 CONTROLLO DELL’AGITAZIONE E DELL’AGGRESSIVITA’
DELL’ANZIANO
I farmaci antipsicotici atipici sono diventati la cura standard per i sintomi psicologici e
comportamentali della demenza (BPSD). Questi farmaci controllano i comportamenti gitati e aggressivi
dell’anziano. L’uso di antipsicotici atipici per trattare le persone anziane affette da BPDS è molto comune,
specialmente in ambienti di cura a lungo termine. Questi farmaci sono di aiuto nell’alleviare vari sintomi
tipici che insorgono nel corso della demenza: agitazione, aggressività, resistenza fisica alla cura o non
adesione alla cura, psicosi, sintomi di depressione, comportamenti sessuali inappropriati e disturbi del
sonno. Il risperidone e l’olanzapina sono stati utilizzati molto frequentemente, ma la quetiapina è
stata preferita perché sembra causare in misura minore l’incremento di peso corporeo e la propensione
allo sviluppo del diabete di tipo 2. L’aripiprazolo si è mostrato efficace nel trattamento della psicosi nella
cura domiciliare di pazienti con morbo di Alzheimer.

 TRATTAMENTO SUBTERAPEUTICO DELL’ANZIANO: IL CASO DELLA


DEPRESSIONE
Una depressione non curata nell’anziano può ridurre drasticamente la qualità e la durata della vita.
Vengono utilizzati l’escitalopram e la mirtazepina. La presenza di disturbi d’ansia in comorbilità con
un disturbo depressivo è correlata alla riuscita più scarsa del trattamento della depressione, un alto livello
di ansia precedente al trattamento incrementa il rischio di non risposta agli antidepressivi.

 MORBO DI PARKINSON
È una malattia neurodegenerativa cronica e progressiva. La depressione ne è un sintomo
prodromico. I sintomi del morbo di Parkinson (MP) sembrano essere dovuti a una carenza nel numero e
nelle funzionalità dei neuroni secernenti dopamina, collocati principalmente a livello della substantia
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nigra. Il MP è caratterizzato da perdita progressiva dei neuroni dopaminergici. Attualmente non ci sono
terapie neuroprotettive efficaci. La sindrome clinica del MP presenta delle caratteristiche proprie, quali:
bradicinesia, rigidità muscolare, tremori a riposo, alterazione del bilanciamento posturale, progressione
in 5-10 anni in assenza di trattamento di uno stato di grave rigidità e perdita del movimento.
Uno dei maggiori fattori di rischio è l’uso di pesticidi (compromettono i mitocondri che
producono ATP, legati ai neuroni dopaminergici).
Le regioni cerebrali coinvolte sono:
 La via della Substantia Nigra allo Striato (Caudato e Putamen) → via Nigro-striatriale.
 I neuroni dopaminergici attivano la via indiretta (𝐷1 ) e agiscono sui recettori 𝐷2 inibendo
la via indiretta. Bloccando questi compaiono i sintomi Parkinsoniani. Se i neuroni
dopaminergici sono eccitati abbiamo un rilascio di GABA che causa la malattia.
 La patogenesi del Parkinson
Eccessivi radicali liberi. Esordio a 60 anni, ma ci sono casi di malattia anche in età giovanile (per
esempio 35 anni) dovuti ad un eccessivo utilizzo di pesticidi, fungicidi o dovuto a tossicità endogene ed
encefalite. I neurono dopaminergici sono vulnerabili, e quando vengono attaccati si autodistruggono,
questo processo si chiama APOPTOSI (come nell’Alzheimer).
 FARMACI PER IL MORBO DI PARKINSON
La levodopa è un farmaco precursore della dopamina che viene considerata la principale terapia
per il MP, anche se oggi viene usata in combinazione con altri farmaci. Somministrata oralmente viene
rapidamente assorbita nel torrente circolatorio, dove la maggior parte viene convertita a dopamina nel
plasma. Anche se solo una piccola quantità di levodopa attraversa la barriera ematoencefalica e viene
convertita a dopamina nel cervello è sufficiente ad alleviare i sintomi del MP, provoca però effetti
collaterali come la nausea.
Un possibile approccio per risolvere il problema prevede la riduzione degli alti livelli di dopamina
nella circolazione sistemica, mantenendo invece una quantità sufficiente nell’encefalo. Per fare ciò
bisogna esaminare la via biosintetica che porta alla dopamina. Dato che l’enzima dopa decarbossilasi è
responsabile della conversione della dopa in dopamina, inibendo questo enzima nella circolazione
sistemica e non nell’encefalo, si riduce la biotrasformazione sistemica del composto. Il farmaco inibitore
della dopa decarbossilasi dovrebbe avere una caratteristica particolare: quella di essere attivo a livello
sistemico senza attraversare la barriera ematoencefalica così che la conversione metabolica in dopamina
avverrebbe selettivamente a livello del SNC e non periferico. Un esempio di questo farmaco è la
carbidopa. Con il passare del tempo la dose di levodopa somministrata diventa sempre meno efficace e i
sintomi del paziente cambiano drasticamente nell’intervallo del dosaggio, fino a determinare il wearing-
off (perdita di efficace della singola dose). In parte il fenomeno è dovuto alla breve emivita della levodopa
e può essere ridotto al minimo incrementando il dosaggio e riducendo l’intervallo fra le dosi.
Un’innovazione nel regime del MP coinvolge un enzima chiamato cetecolo-o-metiltransferasi
(COMT). Anche con la combinazione levodopa e carbidopa gran parte della dose orale di levodopa viene
sprecata, dato che le COMT convertono la levodopa in un metabolita inattivo. Il tempo di emivita e gli
effetti clinici di questa combinazione possono essere incrementati con l’aggiunta di un farmaco inibitore
delle COMT. Il tolcapone blocca l’enzima COMT aumentando l’emivita della levodopa e prolungandone
l’effetto, ma il tolcapone causa diversi effetti tossici a livello epatico. Un secondo COMT-inibitore è
l’entacapone. La somministrazione di entacapone e levodopa-carbidopa potenzia gli effetti della
levodopa in pazienti con MP, riducendo il wearing-off.
Gli agonisti recettoriali dopaminergici vengono sempre più presi in considerazione per
l’utilizzo nei primi stadi del MP: pramipexolo e ropinirolo (sono indicati per l’uso nella prima insorgenza
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del MP, il loro profilo di efficacia e sicurezza è migliore. La lunga emivita può in parte spiegare la riduzione
del wearing-off nella terapia con levodopa. Rotigotina e apomorfina.
La selegilina riduce i sintomi del MP con un meccanismo particolare, inibisce selettivamente e
in modo irreversibile MAO-B. Il risultato è che la selegilina inibisce la degradazione locale di dopamina,
preservando le piccole quantità di dopamina presenti. La selegilina non inibisce il metabolismo periferico
della levodopa, quindi può essere assunta con sicurezza insieme alla levodopa. Il secondo inibitore
selettivo MAO-B per il MP approvato è la rasagilina che potrebbe avere un potenziale effetto
neuroprotettivo che contrasta la progressione del MP.

 MALATTIA DI ALZHEIMER
La malattia di Alzheimer (MA) è la più comune malattia neurodegenerativa e riguarda la maggior
parte dei casi di demenza. La MA è una malattia neurodegenerativa progressiva che porta alla perdita
irreversibile dei neuroni colinergici, soprattutto a livello della corteccia cerebrale dell’ippocampo.
Quando l’Amiloide si accumula diventa tossica portando alla morte dei neuroni colinergici e
dopaminergici con conseguenti deficit della memoria. Da sola, l’Amiloide ha una funzione protettiva.
Il graduale e incessante declino causato dalla MA è caratterizzato da deterioramento cognitivo,
cambiamenti comportamentali, perdita dell’autosufficienza e maggiore necessità di assistenza. La MA si
manifesta anche con un progressivo deterioramento della memoria, della capacità di giudizio, della
capacità di prendere decisioni, dell’orientamento nello spazio circostante e del linguaggio. La demenza è
la caratteristica principale della MA.
Mentre in condizioni normali nel cervello, anche invecchiato, i piccoli ioni calcio entrano nel
recettore NMDA, ma i livelli basali di calcio sono bassi, in un malato di Alzheimer, invece, l'eccesso di
glutammato extracellulare dà delle microstimolazioni del recettore NMDA e dei microrilasci di ioni calcio,
per cui anche quando arriva il segnale giusto, esso è sommerso da un elevato segnale di fondo.
I farmaci attualmente utilizzati agiscono sui neurotrasmettitori cerebrali, anche se è ben
documentato che non alterano il decorso della malattia. Il fatto che alcuni sintomi della MA sono forse
dovuti alla carenza di neurotrasmissione colinergica ha dato origine alla teoria della deficienza colinergica
nella MA. Pertanto, una terapia diffusa è quella che prevede il rinforzo della funzione colinergica inibendo
gli enzimi deputati alla degradazione dell’acetilcolina nelle sinapsi. Questi farmaci, chiamati inibitori delle
colinesterasi, non alterano il corso della malattia, ma rallentano il declino cognitivo.
La MA è associata non solo al deterioramento cognitivo, ma a una miriade di alterazioni
dell’umore e a sintomi comportamentali che pongono ulteriori problemi per quanto riguarda il
trattamento. I disturbi comportamentali, psicosi, agitazione, sono molto più presenti nella seconda parte
della giornata.
La depressione associata alla MA è un evento comune e di solito viene trattata con farmaci
antidepressivi SSRI. Deve essere preso in considerazione il trattamento per l’apatia con psicostimolanti,
bupropione, bromocriptina (antagonista del recettore dopaminergico) e amantadina e/o memantina
(agente antiparkinsoniano). La psicosi, l’agitazione e altre manifestazioni di disturbo comportamentale
potrebbero richiedere il trattamento con un antipsicotico atipico per BPSD. I farmaci antiepilettici
stabilizzatori dell’umore, gli antidepressivi sedativi trazodone e mirtazepina e gli SSRI sono utili nel
trattamento dei sintomi comportamentali.
La strategia di maggior successo per incrementare la funzionalità colinergica ha avuto come
obiettivo l’AChE (acetilcolinesterasi), la cui inibizione incrementa i livelli di acetilcolina nell’encefalo.
Esistono diversi farmaci a tal proposito:

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 Donepezil (è più selettivo per l’AChE cerebrale rispetto a quella periferica. Ha un’emivita
lunga e induce meno effetti collaterali gastointestinali, può rallentare la progressione del
declino cognitivo nel primo stadio della Ma, ma l’effetto protettivo viene perso dopo 18
mesi di trattamento. Incrementa le capacità cognitive e aiuta a preservare la funzionalità
del paziente);
 Rivastigmina (è clinicamente efficace, dato che produce un modesto incremento delle
funzioni cognitive e dell’attività quotidiana. Inibisce la butirrilcolinesterasi ed è usata nella
fase avanzata della malattia. Esiste sotto forma di cerotto transdermico in cui la
concentrazione rimane relativamente stabile per 24 ore. Vi è una dimostrata superiorità
del cerotto rispetto alla somministrazione orale di capsule);
 Galantamina (migliora moderatamente le funzioni cognitive, ma fallisce nel migliorare
significativamente i punteggi in tutte le attività della vita quotidiana). Gli inibitori delle
colinesterasi sono efficaci soprattutto nelle forme di malattia lieve o moderata. Vi sono
però delle limitazioni nell’utilizzo di questi farmaci, perché anche se si manifesta la
stabilizzazione vi è solamente un modesto miglioramento rispetto alla condizione di base.
 La memantina è un antagonista non competitivo moderatamente affine al recettore
glutammatergico NMDA, che ha mostrato di ridurre il deterioramento clinico nei pazienti
con MA moderata o grave, ma alte dosi di memantina può produrre un effetto amnesico.
La betamiloide stimola il rilascio di glutammato e bombarda il recettore NMDA. Vi è
dunque un’iperattività glutammatergica. La memantina, legandosi al recettore, ne
impedisce l’eccessiva attivazione (troppo Calcio → morte neuronale). È un farmaco off-
label.
Esistono diversi tipi di terapie:
1. Terapie per la Ma mirate agli aspetti dell’attuale conoscenza patofisiologica della malattia,
2. Terapie sintomatiche per i sintomi cognitivi,
3. Terapie sintomatiche per altri sintomi neuropsichiatrici,
4. Interventi di supporto e mirati a fornire cure di supporto ai pazienti,
5. Interventi di supporto e mirati a fornire cure di supporto ai soggetti che assistono i pazienti.
Il trattamento della malattia comprende terapie volte a prevenire il deposito di placche amiloidi e
a prevenire il danno neuronale eccitatossico. Le terapie per i sintomi cognitivi prevedono i farmaci
AChE-I e la memantina che si lega lì dove si legava il magnesio, è che mima i processi presenti in natura.
Fa quello che fa il magnesio: così come il magnesio fa da tappo e si stacca quando arriva la
depolarizzazione, lo stesso fa la memantina. Cioè è un farmaco che si lega, ma si stacca quando il recettore
deve essere usato per mediare i processi di apprendimento, quindi blocca finché conviene bloccare,
perché protegge molti neuroni da una inutile depolarizzazione. E' come se fosse una sorta di tampone, e
su quel contesto poi fa arrivare il segnale. La memantina si lega con una affinità moderata, serve che non
abbia una elevata affinità, ma che si riesca a staccare appena quel neurone sta lavorando a depolarizzazioni
così importanti come quelle associate a un processo di apprendimento.
Nella malattia di Alzheimer sono presenti soprattutto dei cambiamenti comportamentali notevoli
che portano i familiari a chiedere aiuto.
I sintomi psichiatrici che caratterizzano il cuore della patologia sono BPDS (alterazioni della
percezione, del contenuto del pensiero, dell’umore e del comportamento). Si possono distinguere diversi
clusters: apatia, depressione (che possono coesistere), psicosi, agitazione psicomotoria e aggressività.
Nei casi di Alzheimer non bisogna somministrare benzodiazepine e neurolettici, ma SSRI a basse
dosi, come gli antipsicotici per un massimo di 12 settimane. Le molecole più utilizzate sono:
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1. Risperidone: nei casi in cui l’aggressività non è trattabile. Può causare ischemie. La
somministrazione deve rientrare nelle 12 settimane e non può essere somministrato in
caso di ictus. Questo farmaco, inoltre non è off- label (uso nella pratica clinina di farmaci
già registrati, ma usati in maniera non conforme).
2. Olanzapina: può causare eventi avversi cerebrovascolari.
3. Quetiapina
 ADUCANUMAB
È un farmaco utilizzato per il trattamento dell’Alzheimer che produce anticorpi simili a quelli
prodotti dagli anziani senza Alzheimer. Il trattamento è di 48 mesi e questi anticorpi rallentano la storia
naturale della malattia.

 ICTUS
1. Attacco ischemico transitorio con sintomatologia di durata inferiore alle 24 h e senza esiti.
2. Ictus minore, con sintomatologia di durata superiore alle 24 h ed esiti neurologici di scarso o
nessun significato funzionale.
3. Ictus maggiore, con sintomatologia di durata superiore alle 24 h ed esito permanente o anche
letale.
Dopo l’ictus nel 50% dei casi si mostra la depressione con afasia. I farmaci antidepressivi possono
essere utili nel trattamento della depressione: nortriptilina, duloxetina (la noradrenalina stimola il
rilascio di fattori neurotrofici), venlafaxina.

 DEMENZA VASCOLARE
È la seconda demenza più diffusa. È presente un deficit d’attenzione, con presenza di ischemie
nella sostanza bianca (sottocorteccia → corteccia), deficit nelle funzioni esecutive, rallentamento del
processamento delle informazioni, cambiamenti del carattere e alterazioni del tono dell’umore.
Nel caso di demenza vascolare bisogna intervenire con antidepressivi che migliorano il microciclo
(rivastigmina).

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